dossier
CONTRIBUTO DI COSTRUZIONE |
settembre 2022 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Mentre la quota del contributo per il rilascio
del permesso di costruire commisurata al costo di
costruzione risulta ontologicamente connessa alla
tipologia e all'entità (superficie e volumetria)
dell'intervento edilizio e vuole in qualche modo
“compensare” la c.d. compartecipazione comunale
all'incremento di valore della proprietà immobiliare in
ragione della trasformazione del territorio consentita al
privato istante, quella commisurata agli oneri di
urbanizzazione assolve alla prioritaria funzione di
compensare invece la collettività per il nuovo ulteriore
carico urbanistico che si riversa sulla zona, con la
precisazione che per “aumento del carico urbanistico” deve
intendersi tanto la necessità di dotare l'area di nuove
opere di urbanizzazione, quanto l'esigenza di utilizzare più
intensamente quelle già esistenti.
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4.3. Quanto poi alla ulteriore censura concernente la
richiesta di pagamento della somma di € 32.831,42 a titolo
di contributo di costruzione per l’accertamento di
conformità ex art. 36 T.U. Edilizia delle opere realizzate
sull’immobile A (“Villa Costa”), consistenti nella
realizzazione di un loggiato scoperto e nella pavimentazione
dell’area antistante, si osserva che le relative
contestazioni risultano generiche e non congruenti rispetto
alle risultanze istruttorie, dal momento che non sono
oggetto di specifica contestazione i calcoli relativi alla
individuazione e alla quantificazione delle superfici utili
e accessorie appositamente sviluppati dal comune ai fini del
computo del contributo di costruzione relativo
all’accertamento di conformità ex art. 36 TU Edilizia (cfr.
Allegato sub n. 26 della produzione documentale della
ricorrente).
In ogni caso, in senso contrario alle doglianze della
ricorrente assume decisiva rilevanza il fatto che il
fabbricato è situato (non già in zona agricola, ma) in zona
destinata alla residenze (A1) e che le opere in questione
sono complessivamente destinate ad incrementarne la capacità
insediativa e quindi ad aggravare il carico urbanistico che
interessa l’area di riferimento, ciò che giustifica la
richiesta del comune, anche in riferimento alla parte del
contributo riguardante specificamente gli oneri di
urbanizzazione: “Mentre la quota del contributo per il
rilascio del permesso di costruire commisurata al costo di
costruzione risulta ontologicamente connessa alla tipologia
e all'entità (superficie e volumetria) dell'intervento
edilizio e vuole in qualche modo “compensare” la c.d.
compartecipazione comunale all'incremento di valore della
proprietà immobiliare in ragione della trasformazione del
territorio consentita al privato istante, quella commisurata
agli oneri di urbanizzazione assolve alla prioritaria
funzione di compensare invece la collettività per il nuovo
ulteriore carico urbanistico che si riversa sulla zona, con
la precisazione che per “aumento del carico urbanistico”
deve intendersi tanto la necessità di dotare l'area di nuove
opere di urbanizzazione, quanto l'esigenza di utilizzare più
intensamente quelle già esistenti” (Consiglio di Stato,
Sez. II, 13.01.2022 n. 235) (TAR Puglia-Lecce, Sez. I,
sentenza 26.09.2022 n. 1461 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
agosto 2022 |
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EDILIZIA PRIVATA: Legittimato a richiedere il rimborso
del contributo di costruzione per mancata realizzazione dell’opera è
solo il titolare del permesso di costruire.
Nel caso in esame la ricorrente
non ha mai chiesto né ottenuto la voltura del permesso di costruire n.
674/2005 e non può dedurre la legittimazione dall’art. 11 DPR 380/2001, che
si limita a prevedere i soggetti a cui può essere rilasciato il permesso di
costruire.
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1) In punto di fatto va preliminarmente precisato che il
permesso di costruire rilasciato ai Sigg. Po. e Ma. nel 2005 è stato
volturato a favore della Società Pa.Sa., mentre agli atti non
risulta alcuna istanza di voltura da parte della ricorrente, circostanza mai
contestata dalla ricorrente.
E’ altresì pacifico che la Società non ha rispettato il termine di
conclusione dei lavori, prorogato fino al dicembre 2012.
Sempre in via preliminare va poi rilevato che la ricorrente ha presentato
domanda di permesso di costruire per un intervento consistente nella
realizzazione di una abitazione unifamiliare costituita da due piani fuori
terra e un piano interrato, diverso quindi da quanto in precedenza assentito
con il primo titolo edilizio, consistente in due fabbricati residenziali
multipiano.
4) Quanto sopra dedotto è sufficiente per respingere anche l’ultima censura,
in cui parte ricorrente contesta l’affermazione del Comune secondo cui il
soggetto legittimato a richiedere la restituzione di quanto versato sarebbe
solo la società Pa..
Sostiene la ricorrente di essere legittimata a
richiedere il ricalcolo degli oneri, con detrazione di quanto già versato
dai precedenti proprietari, in qualità di acquirente a titolo derivativo, ai
sensi dell’art. 11 DPR 380/2001.
La tesi non può essere condivisa.
Legittimato a richiedere il rimborso per mancata realizzazione dell’opera è
solo il titolare del permesso di costruire: nel caso in esame la ricorrente
non ha mai chiesto né ottenuto la voltura del permesso di costruire n.
674/2005 e non può dedurre la legittimazione dall’art. 11 DPR 380/2001, che
si limita a prevedere i soggetti a cui può essere rilasciato il permesso di
costruire.
5) Il ricorso va respinto (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 22.08.2022 n. 1933 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Secondo
una consolidata giurisprudenza, la controversia attinente alla spettanza e
liquidazione del contributo per gli oneri di urbanizzazione e costo di
costruzione è riservata alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. f), cod. proc. amm..
Essa ha ad oggetto l’accertamento di un rapporto di credito a prescindere
dall’esistenza di atti della pubblica amministrazione e non è soggetta alle
regole delle azioni impugnatorie-annullatorie degli atti amministrativi e ai
rispettivi termini di decadenza.
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In ipotesi di decadenza del titolo edilizio, ai fini della decorrenza
dell'ordinario termine di prescrizione decennale relativo alla restituzione
di somme pagate a titolo di oneri di urbanizzazione e costo di costruzione,
il dies a quo deve essere individuato nel momento in cui il diritto al
rimborso può essere effettivamente esercitato dal privato, ossia nella data
di scadenza del termine di decadenza.
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Circa il diritto alla ripetizione di quanto versato, la giurisprudenza
amministrativa ha chiarito che il contributo di costruzione, essendo
strettamente connesso al concreto esercizio della facoltà di costruire, non
è dovuto in caso di rinuncia o di mancato utilizzo del titolo edificatorio.
Conseguentemente, «nel caso in cui il privato rinunci o non utilizzi il
permesso di costruire, ovvero quando sia intervenuta la decadenza del titolo
edilizio, sorge in capo alla Pubblica Amministrazione, anche ai sensi
dell’art. 2033 o dell’art. 2041 c.c., l’obbligo di restituzione delle somme
corrisposte a titolo di contributo per oneri di urbanizzazione e costo di
costruzione e, conseguentemente, il diritto del privato a pretenderne la
restituzione. Il contributo concessorio, infatti, è strettamente connesso
all’attività di trasformazione del territorio e, quindi, ove tale
circostanza non si verifichi, il relativo pagamento risulta privo della
causa dell'originaria obbligazione di dare, cosicché l'importo versato va
restituito. La giurisprudenza è concorde pure nel ritenere che il diritto
alla restituzione sorge non solamente nel caso in cui la mancata
realizzazione delle opere sia totale, ma anche ove il permesso di costruire
sia stato utilizzato solo parzialmente, tenuto conto che sia la quota degli
oneri di urbanizzazione, che la quota relativa al costo di costruzione sono
correlati, sia pur sotto profili differenti, all’oggetto della costruzione,
per cui l’avvalimento solo parziale delle facoltà edificatorie comporta il
sorgere, in capo al titolare, del diritto alla rideterminazione del
contributo ed alla restituzione della quota di esso che è stata calcolata
con riferimento alla porzione non realizzata».
Unica eccezione ai principi sopra richiamati è costituita dall’ipotesi in cui la partecipazione agli oneri di
urbanizzazione costituisce oggetto di un’obbligazione non già imposta ex lege,
ma assunta con un accordo nell’ambito di un rapporto di natura pubblicistica
correlato alla pianificazione territoriale.
Pertanto, dato che il contributo concessorio è strettamente connesso
all'attività di trasformazione del territorio, ove detta circostanza non si
verifichi, il relativo pagamento risulta privo della causa dell'originaria
obbligazione di dare, cosicché l'importo versato va restituito, con la
precisazione che il diritto alla restituzione sorge non solamente nel caso
in cui la mancata realizzazione delle opere sia totale, ma anche ove il
permesso di costruire sia stato utilizzato solo parzialmente.
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... per l'annullamento
della nota del Comune di Spoleto del 30.12.2020 con la quale veniva
rigettata la richiesta di ripetizione di parte della somma corrisposta a
titolo di contributo di costruzione relativamente ai permessi di costruire
n. 48268/2007 e 35284/11
e per l'accertamento del diritto della ricorrente alla ripetizione di parte
della somma corrisposta a titolo contributo di costruzione correlati ai
permessi di costruire n. 48268/2007 e 35284/2011,
nonché per la condanna del Comune di Spoleto alla restituzione di quanto
trattenuto indebitamente nei confronti della ricorrente pari ad euro
142.138,92 o della somma che risulti all'esito del giudizio.
...
1. La Gi.Ca.Im. s.r.l. ha agito per l’annullamento della nota
del Comune di Spoleto del 30.12.2020 con la quale è stata rigettata la
richiesta di ripetizione di parte della somma corrisposta a titolo di
contributo di costruzione relativamente ai permessi di costruire n.
48268/2007 e 35284/11, nonché per l’accertamento del proprio diritto alla
ripetizione detta somma e la conseguente condanna dell’Amministrazione
comunale alla restituzione di quanto trattenuto indebitamente.
2. Riferisce in punto di fatto la parte ricorrente di aver ottenuto, a
seguito di istanza presentata nell’ottobre del 2006 al Comune di Spoleto, il
permesso di costruire n. 48268/2007 per la realizzazione di tre edifici ad
uso abitativo e commerciale su un proprio lotto di terreno situato a Spoleto
loc. San Giovanni di Baiano, per complessivi mc 13.979,70; il titolo
abilitativo prevedeva che i lavori dovessero iniziare entro un anno e che la
validità del titolo abilitativo medesimo fosse di quattro anni dalla data di
rilascio. La crisi del settore immobiliare determinava un fermo
dell'attività.
La ricorrente chiedeva -ed otteneva- un nuovo permesso a costruire per i
lavori non ultimati n. 35284/2011; tuttavia a causa dell’ulteriore
aggravamento della crisi del settore immobiliare giungeva a decadenza anche
il secondo titolo abilitativo, con la realizzazione nelle more solo di una
delle tre palazzine previste, pari a mc 4.520,80.
In data 16.11.2020, la Gi.Ca.Im. inviava al Comune di
Spoleto una richiesta di rimborso del costo di costruzione [e oneri di
urbanizzazione] versato con riferimento alle cubature non realizzate.
Con nota prot. 65524 del 30.12.2020, il Responsabile del Servizio
edilizia del Comune di Spoleto ha affermato quanto segue: «[s]i contesta la
restituzione degli importi richiesti in quanto non dovuti in primis per il
lasso del tempo trascorso; infatti il primo Permesso di Costruire è del
2007. Inoltre si fa presente che anche la recente giurisprudenza ha ribadito
che il contributo di costruzione è strettamente connesso al concreto
esercizio della facoltà di costruire per cui non è dovuto in caso di
rinuncia o di mancato utilizzo del titolo edificatorio (ovvero in ipotesi di
intervenuta decadenza del titolo edilizio). Fermo quanto sopra, si rende
comunque necessario procedere ad un sopralluogo sul posto alla presenza del
Tecnico comunale istruttore della pratica, del Direttore dei Lavori e del
Titolare della Ditta esecutrice degli stessi, per verificare l’effettivo
stato dei lavori, in relazione ai titoli rilasciati…».
3. Contestando la ricostruzione fatta propria dall’Amministrazione comunale,
la parte ricorrente ha rimarcato di aver interamente versato il costo di
costruzione per i mc 13.979,70 originariamente previsti per la realizzazione
delle tre palazzine per un importo complessivo di euro 210.073,00, come
risulta dal conteggio inserito all’interno del permesso a costruire. Stante
la mancata edificazione di due delle tre palazzine, la ricorrente ribadisce
la spettanza della restituzione di quanto pagato con riferimento alla
cubatura residua di mc. 9.458,80, pari ad euro 142.138,92, oltre interessi e
rivalutazione dal dovuto al saldo effettivo.
4. Si è costituito in giudizio il Comune di Spoleto non contestando il
quantum versato bensì eccependo l’intervenuta prescrizione del diritto alla
ripetizione delle somme per essere le stesse state richieste oltre il
termine decennale dalla decadenza del titolo edilizio cui le stesse si
riferiscono, ovvero il permesso di costruire n. 48268 del 19.07.2007,
decaduto in data 09.08.2010, ossia dopo tre anni dall’inizio degli stessi
20.08.2007, non rilevando il nuovo permesso di costruire n. 35284/2011.
La difesa resistente ha, inoltre, eccepito l’inammissibilità del ricorso in
quanto rivolto avverso un atto non lesivo attesa la sua natura endo-procedimentale.
Infine, la difesa comunale ha affermato l’infondatezza
della censura attorea stante l’incertezza del presunto credito vantato; a
fronte della realizzazione parziale dei lotti nn. 2 e 3, consistente nella
demolizione di edificio esistente e nella esecuzione delle opere di
urbanizzazione con modifica sostanziale e permanente dello stato dei luoghi,
l’importo richiesto da controparte a titolo di restituzione dei costi di
costruzione sulle cubature non realizzate (due palazzine, lotti nn. 2 e 3)
del permesso di costruire n. 48268/2007 viene contestato come non dovuto in toto o comunque in gran parte per effetto delle opere che hanno comportato
la modifica definitiva dell’assetto edilizio dei lotti.
5. La parte ricorrente ha replicato contestando, in particolare, che sui
lotti nn. 2 e 3 vi sia stata alcuna trasformazione –non avendo del resto
l’area, situata in zona B1-zona di completamento urbano, necessità di essere
urbanizzata– ed evidenziando come sia incontestata la mancata realizzazione
di due dei tre fabbricati per i quali la società ricorrente ha versato
quanto dovuto a titolo di costo di costruzione.
...
7. Preliminarmente va ribadita la giurisdizione del giudice amministrativo
in ordine alla presente controversia, che concerne la debenza del contributo
di costruzione in materia edilizia e la ripetizione di quanto versato a tale
titolo.
Difatti, secondo una consolidata giurisprudenza, dalla quale il Collegio non
ravvisa ragioni per discostarsi, la controversia attinente alla spettanza e
liquidazione del contributo per gli oneri di urbanizzazione e costo di
costruzione è riservata alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. f), cod. proc. amm.;
essa ha ad oggetto l’accertamento di un rapporto di credito a prescindere
dall’esistenza di atti della pubblica amministrazione e non è soggetta alle
regole delle azioni impugnatorie-annullatorie degli atti amministrativi e
ai rispettivi termini di decadenza (cfr., ex plurimis, C.d.S., sez. IV, 30.08.2018, n. 5096; Id., sez. VI,
07.05.2015, n. 2294; TAR
Lombardia, Milano, sez. II, 01.02.2022, n. 223; Id., 20.05.2020,
n. 858; TAR Abruzzo, L’Aquila, 29.12.2017, n. 610).
8. Si presenta infondata l’eccezione di prescrizione del credito sollevata
dal Comune resistente.
Giova rammentare che, in ipotesi di decadenza del titolo edilizio, ai fini
della decorrenza dell'ordinario termine di prescrizione decennale relativo
alla restituzione di somme pagate a titolo di oneri di urbanizzazione e
costo di costruzione, il dies a quo deve essere individuato nel momento in
cui il diritto al rimborso può essere effettivamente esercitato dal privato,
ossia nella data di scadenza del termine di decadenza (ex multis, TAR
Abruzzo, L’Aquila, 29.12.2017, n. 610).
Nel caso di specie al permesso di costruire n. 48268/2007 ha fatto seguito
un secondo titolo abilitativo n. 35284/2011 del 12.10.2011, nel quale
si legge: “il presente atto costituisce nuovo permesso per i lavori non
ultimati di cui al permesso di costruire n. 48268 del 19/07/2007 – Restano
invariate tutte le condizioni e prescrizioni riportate su permesso
originario”. Il nuovo titolo avrebbe, quindi, consentito alla società
ricorrente di realizzare in toto le cubature per le quali aveva già versato
interamente gli oneri dovuti.
Il medesimo provvedimento espressamente prevede (pag. 3, punto 6) la
decadenza del titolo in caso di mancato inizio lavori entro un anno dalla
data di rilascio e, comunque, quattro anni dall’inizio dei lavori.
Risultando pacifico che la società ricorrente non ha avviato i lavori a
seguito del rilascio del nuovo titolo, lo stesso è decaduto trascorso un
anno dal rilascio, ossia il 12.10.2012, dies a quo per il computo della
prescrizione decennale relativo alla restituzione di somme pagate. Pertanto,
la pec inviata dalla società ricorrente in data 16.11.2020 (assunta al
protocollo comunale n. 58009 del 16.11.2020) è intervenuta prima dello
spirare del termine decennale di prescrizione.
9. Parimenti non meritevole di accoglimento è l’eccezione di inammissibilità
dell’impugnazione della nota prot. 65524 del 30.12.2020, in quanto,
come riconosciuto dalla stessa difesa comunale (pag. 2 della memoria di
discussione), con tale atto il Comune ha comunicato “la non debenza della
restituzione per prescrizione del diritto (stante il lasso di tempo
trascorso)”, pur ritenendo necessario effettuare un sopralluogo
sull’effettivo stato dei lavori.
10. Circa il diritto alla ripetizione di quanto versato, la giurisprudenza
amministrativa ha chiarito che il contributo di costruzione, essendo
strettamente connesso al concreto esercizio della facoltà di costruire, non
è dovuto in caso di rinuncia o di mancato utilizzo del titolo edificatorio;
conseguentemente, «nel caso in cui il privato rinunci o non utilizzi il
permesso di costruire, ovvero quando sia intervenuta la decadenza del titolo
edilizio, sorge in capo alla Pubblica Amministrazione, anche ai sensi
dell’art. 2033 o dell’art. 2041 c.c., l’obbligo di restituzione delle somme
corrisposte a titolo di contributo per oneri di urbanizzazione e costo di
costruzione e, conseguentemente, il diritto del privato a pretenderne la
restituzione. Il contributo concessorio, infatti, è strettamente connesso
all’attività di trasformazione del territorio e, quindi, ove tale
circostanza non si verifichi, il relativo pagamento risulta privo della
causa dell'originaria obbligazione di dare, cosicché l'importo versato va
restituito. La giurisprudenza è concorde pure nel ritenere che il diritto
alla restituzione sorge non solamente nel caso in cui la mancata
realizzazione delle opere sia totale, ma anche ove il permesso di costruire
sia stato utilizzato solo parzialmente, tenuto conto che sia la quota degli
oneri di urbanizzazione, che la quota relativa al costo di costruzione sono
correlati, sia pur sotto profili differenti, all’oggetto della costruzione,
per cui l’avvalimento solo parziale delle facoltà edificatorie comporta il
sorgere, in capo al titolare, del diritto alla rideterminazione del
contributo ed alla restituzione della quota di esso che è stata calcolata
con riferimento alla porzione non realizzata» (C.d.S., sez. II, 15.06.2021, n. 4633; cfr.,
ex multis, C.d.S., sez. IV, 15.10.2019, n. 7020; C.d.S., A.P., 30.08.2018, n. 12; C.d.S., sez. IV,
07.03.2018, n.
1475).
Unica eccezione ai principi sopra richiamati è costituita dall’ipotesi –che
non ricorre nel caso in esame– in cui la partecipazione agli oneri di
urbanizzazione costituisce oggetto di un’obbligazione non già imposta ex lege, ma assunta con un accordo nell’ambito di un rapporto di natura
pubblicistica correlato alla pianificazione territoriale (C.d.S., sez. IV,
12.11.2018, n. 6339).
Pertanto, dato che il contributo concessorio è strettamente connesso
all'attività di trasformazione del territorio, ove detta circostanza non si
verifichi, il relativo pagamento risulta privo della causa dell'originaria
obbligazione di dare, cosicché l'importo versato va restituito, con la
precisazione che il diritto alla restituzione sorge non solamente nel caso
in cui la mancata realizzazione delle opere sia totale, ma anche ove il
permesso di costruire sia stato utilizzato solo parzialmente (TAR Umbria,
sentenza 22.08.2022 n. 648 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: In linea generale, si rileva che, secondo le linee interpretative della
costante giurisprudenza amministrativa, l’istanza di sanatoria edilizia ha un
preciso valore confessorio dell’abuso.
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In base ai principi elaborati
dalla giurisprudenza, ciò che rileva ai fini del calcolo del contributo di
costruzione è l’oggetto sostanziale dell’intervento, questo essendo
determinante per stabilire l’effettiva incidenza sul carico urbanistico.
Invero:
a) il pagamento degli oneri di urbanizzazione è connesso
all’aumento del carico urbanistico determinato dal nuovo intervento, nella
misura in cui da ciò deriva un incremento della domanda di servizi nella
zona coinvolta dalla costruzione; del resto, gli oneri di urbanizzazione si
caratterizzano per avere natura compensativa rispetto alle spese di cui
l’Amministrazione si fa carico per rendere accessibile e pienamente
utilizzabile un nuovo o rinnovato edificio, purché vi sia una nuova
destinazione, dato che non può essere chiesto due volte il pagamento per gli
stessi interventi di sistemazione e adeguamento del contesto urbanistico;
b) è stata ritenuta sufficiente, al fine della configurazione
di un maggior carico urbanistico, la circostanza che, quale effetto
dell’intervento edilizio, sia mutata la realtà strutturale e la fruibilità
urbanistica, con oneri riferiti all’oggettiva rivalutazione dell’immobile e
funzionali a sopportare l’aggiuntivo carico socio-economico che l’attività
edilizia comporta;
c) considerato che il fondamento del contributo di
urbanizzazione non consiste nel titolo edilizio in sé, ma nella necessità di
ridistribuire i costi sociali delle opere di urbanizzazione, facendoli
gravare su quanti beneficiano delle utilità derivanti dalla presenza delle
medesime secondo modalità eque per la comunità, nel caso di ristrutturazione
edilizia, il pagamento degli oneri di urbanizzazione è dovuto solo nel
momento in cui l’intervento va a determinare un aumento del carico
urbanistico (il che può verificarsi anche nel caso in cui la
ristrutturazione non interessi globalmente l’edificio, ma, a causa di lavori
anche marginali, ne risulti comunque mutata la realtà strutturale e la
fruibilità urbanistica.
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1. L’oggetto del presente giudizio è costituito dai seguenti provvedimenti:
a) nota prot. n. 9867 del 28.05.2012 recante la determinazione del
contributo di cessione delle aree a standards ai sensi del d.m. n. 1444 del
1968 (impugnato con il ricorso introduttivo);
b) nota prot. n. 2844 del 14.02.2013, recante la determinazione del
pagamento delle somme dovute a titolo di contributo di costruzione per il
rilascio del permesso di costruire di cui all’istanza del 18.12.2021
(impugnato con motivi aggiunti).
2. La ditta appellante –proprietaria di un immobile sito nel comune di
Bellizzi, in via ... ricompreso in zona D del vigente P.R.G.- ha presentato
istanza di permesso di costruire in sanatoria per talune opere abusive ed in
particolare per un ampliamento (di circa 40 mq.) del piano terra/rialzato a
destinazione terziaria, nonché per il cambio di destinazione d’uso da
artigianale a commerciale/terziario di parte del piano terra e parte del
piano ammezzato (per circa mq. 890).
Con il primo provvedimento il comune di Bellizzi ha rilasciato il permesso
di costruire in sanatoria e ha determinato l’oblazione dovuta per
l’ampliamento e il cambio di destinazione d’uso dell’immobile da artigianale
a terziario, stabilendo inoltre la cessione delle aree da destinare a spazio
pubblico (standards).
A seguito della interlocuzione tra le parti e della proposizione del ricorso
introduttivo il comune ha ripetuto l’istruttoria e ha confermato il
precedente, già impugnato, provvedimento.
3. La ditta PCA ha impugnato davanti al Tar per la Campania, sede di
Salerno, i su indicati provvedimenti, con ricorso principale (affidato a sei
motivi estesi da pagina 3 a pagina 11) e ricorso per aggiunzione (affidato a
tre motivi da pag. 2 a pag. 5).
4. L’impugnata sentenza emessa dal Tar per la Campania, sede di Salerno, n.
295 del 2015:
a) ha in parte respinto e in parte dichiarato inammissibile il
ricorso principale e i motivi aggiunti;
b) ha condannato la ricorrente al pagamento delle spese di lite
nella misura di euro 1.500,00.
...
12. Con il primo, il secondo e il terzo motivo di
ricorso, che possono essere trattati congiuntamente, è dedotta la violazione
degli artt. 16 e 19 del d.P.R. n. 380 del 2001 poiché l’amministrazione
avrebbe calcolato in modo erroneo il costo di costruzione e gli oneri di
urbanizzazione.
12.1 In particolare, l’amministrazione avrebbe calcolato, in violazione del
su indicato art. 16, gli oneri di urbanizzazione sulla base di una
volumetria già esistente e, pertanto, si tratterebbe di costi che il privato
ha già interamente pagato al momento del rilascio del titolo originario.
Inoltre, i costi non sarebbero dovuti in caso di solo cambio di destinazione
d’uso.
L’amministrazione, in violazione degli artt. 1 e 5 del d.m. n. 1444 del 1968
e in eccesso di potere, avrebbe disposto la cessione di aree standard sulla
base di presupposti che nella fattispecie non ricorrerebbero.
12.2 I motivi sono infondati.
In linea generale, si rileva che, secondo le linee interpretative della
costante giurisprudenza amministrativa (ex multis, Cons. Stato, sez.
IV, n. 676 del 2022; n. 463 del 2017), l’istanza di sanatoria edilizia ha un
preciso valore confessorio dell’abuso.
Nel caso in esame l’appellante ha presentato un’istanza di permesso in
sanatoria in relazione ad un aumento volumetrico abusivo con cambio di
destinazione funzionale dell’immobile (da artigianale a terziario) con
evidente aggravio del carico urbanistico e conseguente doverosità del
pagamento del costo di costruzione, che l’amministrazione, in esatta
applicazione dell’art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001, ha correttamente
calcolato in maniera doppia.
12.3. Peraltro, il Collegio osserva, in linea generale, che, in base ai
principi elaborati dalla giurisprudenza (ex multis, Cons. Stato, sez.
IV, n. 148 del 2022), ciò che rileva ai fini del calcolo del contributo di
costruzione è l’oggetto sostanziale dell’intervento, questo essendo
determinante per stabilire l’effettiva incidenza sul carico urbanistico.
Invero:
a) il pagamento degli oneri di urbanizzazione è connesso
all’aumento del carico urbanistico determinato dal nuovo intervento, nella
misura in cui da ciò deriva un incremento della domanda di servizi nella
zona coinvolta dalla costruzione; del resto, gli oneri di urbanizzazione si
caratterizzano per avere natura compensativa rispetto alle spese di cui
l’Amministrazione si fa carico per rendere accessibile e pienamente
utilizzabile un nuovo o rinnovato edificio, purché vi sia una nuova
destinazione, dato che non può essere chiesto due volte il pagamento per gli
stessi interventi di sistemazione e adeguamento del contesto urbanistico (Cons.
Stato, sez. IV, 23.02.2021, n. 1586);
b) è stata ritenuta sufficiente, al fine della configurazione di un
maggior carico urbanistico, la circostanza che, quale effetto
dell’intervento edilizio, sia mutata la realtà strutturale e la fruibilità
urbanistica, con oneri riferiti all’oggettiva rivalutazione dell’immobile e
funzionali a sopportare l’aggiuntivo carico socio-economico che l’attività
edilizia comporta (Cons. Stato, sez. II, 21.07. 2021, n. 5494);
c) considerato che il fondamento del contributo di urbanizzazione
non consiste nel titolo edilizio in sé, ma nella necessità di ridistribuire
i costi sociali delle opere di urbanizzazione, facendoli gravare su quanti
beneficiano delle utilità derivanti dalla presenza delle medesime secondo
modalità eque per la comunità, nel caso di ristrutturazione edilizia, il
pagamento degli oneri di urbanizzazione è dovuto solo nel momento in cui
l’intervento va a determinare un aumento del carico urbanistico (il che può
verificarsi anche nel caso in cui la ristrutturazione non interessi
globalmente l’edificio, ma, a causa di lavori anche marginali, ne risulti
comunque mutata la realtà strutturale e la fruibilità urbanistica (Cons.
Stato, sez. IV, 31.07.2020, n. 4877).
Pertanto, nel caso in esame, il costo di costruzione è stato correttamente
quantificato dall’amministrazione ai sensi dell’art. 19 del d.P.R. n. 380
del 2001 (di cui ha fatto applicazione la deliberazione del Consiglio
comunale n. 44 del 2012, non impugnata) giacché l’istanza di sanatoria ha ad
oggetto un abuso che implica un mutamento di destinazione funzionale
dell’immobile con oggettive ricadute sul carico urbanistico (Consiglio di
Stato, Sez. IV,
sentenza 17.08.2022 n. 7191 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
dicembre 2021 |
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EDILIZIA PRIVATA: Le
controversie attinenti la determinazione e la liquidazione degli oneri
concessori –nelle componenti sia del costo di costruzione sia degli oneri di
urbanizzazione- sono riconducibili a quegli aspetti dell’uso del territorio
costituenti prerogativa della Pubblica amministrazione e, per questo,
riservate alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ai sensi
dell'art. 133, comma 1, lett. f), c.p.a..
Peraltro, rientrano nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo
-ai sensi dell'art. 133, comma 1, lett. f), c.p.a.- anche le controversie
aventi ad oggetto la cartella di pagamento emessa dal concessionario della
riscossione relative alle somme dovute per oneri concessori, nelle quali non
vengano dedotte censure derivanti da atti generali autoritativi relativi
alla determinazione degli atti presupposti quello impugnato. Questo perché i
predetti oneri non hanno natura tributaria, bensì costituiscono un
corrispettivo di diritto pubblico a titolo di partecipazione ai costi delle
opere di urbanizzazione.
Deve infine osservarsi che le controversie in materia di determinazione e
pagamento degli oneri concessori, investendo l’esistenza o l’entità di
un’obbligazione legale, concernono diritti soggettivi, con la conseguenza
che la relativa domanda non soggiace al regime di decadenza proprio del
processo di impugnazione, ma può essere proposta nel termine di prescrizione
ordinaria ed indipendentemente dall’impugnazione di eventuali atti.
---------------
Fondato, con rilievo assorbente, è la censura con la quale parte ricorrente
ha eccepito la prescrizione, ai sensi dell’art. 2946 cod. civ., della
pretesa azionata dall’amministrazione comunale.
Per giurisprudenza pacifica, il fatto costitutivo dell’obbligo giuridico
avente ad oggetto il contributo di costruzione -articolato sulle due voci
inerenti, da un lato, agli oneri di urbanizzazione e, dall’altro,
al costo di costruzione- dal quale decorre il dies a quo per il decorso del
periodo di tempo ai fini della prescrizione decennale, è il rilascio della
concessione.
Anche secondo risalente giurisprudenza, il "dies a quo" per la prescrizione
dell'obbligo giuridico relativo al pagamento degli oneri concessori,
riguardo sia al costo di costruzione sia agli oneri di urbanizzazione,
decorre dal giorno del rilascio del titolo edilizio.
---------------
Ai sensi dell’art. 2934 cod.
civ., un diritto si estingue per prescrizione quando il titolare non lo
esercita per il tempo determinato dalla legge e, ai sensi dell’art. 2935
cod. civ., la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto
può essere fatto valere.
Se, dunque, è dal giorno del rilascio della concessione che
l'amministrazione comunale può fare valere il suo diritto di credito, anche
fissando modalità e garanzie particolari, è dalla medesima data che decorre
la prescrizione del suo diritto.
Ne consegue che l'Amministrazione non ha alcun potere di differire
l'esercizio del suo diritto di credito sicché l'inerzia nell'emanazione
degli atti d’imposizione, di liquidazione ovvero di recupero del contributo
dovuto si configura quale mancato esercizio del diritto da parte del
creditore, idoneo a fare decorrere il periodo di prescrizione.
---------------
1.- Il Comune di Trentola–Ducenta, con la Determinazione del Responsabile
dell’Area Tecnica Urbanistica n. 16 del 22.12.2016, ha richiesto alla
società ricorrente CI.Me. s.r.l., società attualmente sottoposta alle misure
previste dalla legge 203 del 1991, il pagamento delle somme asseritamente
dovute e non versate per un totale di € 55.973,32.
Dette somme sono relative al computo degli oneri concessori per alcuni
immobili di proprietà, insistenti nel Centro Commerciale J., originati a
seguito del rilascio del permesso di costruire in sanatoria n. 32 del
22.06.2006 e della successiva DIA prot. n. 8088 del 09.10.2006.
...
2.- In via preliminare, il Collegio, nel confermare l’orientamento di questa
Sezione dal quale non ha motivo di discostarsi, osserva che le controversie
attinenti la determinazione e la liquidazione degli oneri concessori –nelle
componenti sia del costo di costruzione sia degli oneri di urbanizzazione-
sono riconducibili a quegli aspetti dell’uso del territorio costituenti
prerogativa della Pubblica amministrazione e, per questo, riservate alla
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ai sensi dell'art. 133,
comma 1, lett. f), c.p.a. (TAR Campania, Napoli, Sez. VIII, 09.10.2018, n.
5835, TAR Calabria, Catanzaro, Sez. II, 24.10.2018, n. 1790, Consiglio di
Stato, Adunanza Plenaria 30.08.2018, n. 12).
Peraltro, secondo altrettanto costante e condivisa giurisprudenza, rientrano
nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo -ai sensi dell'art.
133, comma 1, lett. f), c.p.a.- anche le controversie aventi ad oggetto la
cartella di pagamento emessa dal concessionario della riscossione relative
alle somme dovute per oneri concessori, nelle quali non vengano dedotte
censure derivanti da atti generali autoritativi relativi alla determinazione
degli atti presupposti quello impugnato (così Cons. di Stato sez. IV,
21.08.2013, n. 4208; nonché Cass. SS.UU. 20.10.2006, n. 22514; TAR Sicilia,
Catania, 11.10.2016, n. 2531; TAR Sicilia, Palermo, 12.07.2016, n. 1730; TAR
Toscana, 11.02.2011, n. 265). Questo perché i predetti oneri non hanno
natura tributaria, bensì costituiscono un corrispettivo di diritto pubblico
a titolo di partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione (cfr.,
Cons. Stato Sez. IV, n. 4208/2013 cit. nonché TAR Campania, Napoli,
18.11.2008, n. 19792).
Deve infine osservarsi che le controversie in materia di determinazione e
pagamento degli oneri concessori, investendo l’esistenza o l’entità di
un’obbligazione legale, concernono diritti soggettivi, con la conseguenza
che la relativa domanda non soggiace al regime di decadenza proprio del
processo di impugnazione, ma può essere proposta nel termine di prescrizione
ordinaria ed indipendentemente dall’impugnazione di eventuali atti (cfr.
Cons. Stato, sez. IV, n. 4208/2013; TAR Sicilia, Catania, 27.01.2017, n.
189; TAR Sicilia, Palermo, 10.11.2016, n. 2581; TAR Puglia, Bari,
03.12.2015, n. 1596; TAR Puglia, Lecce, 30.10.2015, n. 3114; TAR Sicilia,
Catania, 09.07.2015, n. 1881).
3.- Assodata la giurisdizione del giudice amministrativo, nel merito il
ricorso è fondato e, pertanto, deve essere accolto.
3.1.- Fondato, con rilievo assorbente, è la censura con la quale parte
ricorrente ha eccepito la prescrizione, ai sensi dell’art. 2946 cod. civ.,
della pretesa azionata dall’amministrazione comunale.
Per giurisprudenza pacifica, il fatto costitutivo dell’obbligo giuridico
avente ad oggetto il contributo di costruzione -articolato sulle due voci
inerenti, da un lato, agli oneri di urbanizzazione e, dall’altro,
al costo di costruzione (cfr., Ad. Plen. Cons. Stato, 12 del 2018)- dal
quale decorre il dies a quo per il decorso del periodo di tempo ai
fini della prescrizione decennale, è il rilascio della concessione (cfr.
Cons. Stato, sez. IV, 26.02.2013, n. 1188; 03.10.2012, n. 5201; 19.01.2009,
n. 216).
3.2.- Nella fattispecie in esame, il permesso di costruire n. 32/2006 è
stato rilasciato il 22.06.2006 e la DIA prot. n. 8088 è del 09.10.2006, ne
consegue che il termine di prescrizione decennale si è compiuto in relazione
al permesso di costruire il 22.06.2016 e in relazione alla DIA il
10.10.2016.
I comune di Trentola-Ducenta ha adottato e notificato l’impugnata
determinazione n. 16/2016 il 22.12.2016, pertanto dopo oltre dieci anni
dalla data di rilascio dei titoli edilizi.
Pur volendo considerare il provvedimento impugnato quale atto interruttivo
della prescrizione, è giocoforza dedurre che, alla data del 22.12.2016, il
diritto di credito dell’amministrazione nei confronti della ricorrente
debitrice si era ampiamente estinto per avvenuta prescrizione decennale,
espressamente eccepita dal debitore.
Anche secondo risalente giurisprudenza, il "dies a quo" per la
prescrizione dell'obbligo giuridico relativo al pagamento degli oneri
concessori, riguardo sia al costo di costruzione sia agli oneri di
urbanizzazione, decorre dal giorno del rilascio del titolo edilizio (cfr.
TAR Campania, Salerno, Sez. II, 29.11.2007 n. 2864; Cons. Stato, Sez. V,
25.10.1993 n. 1071 e 06.12.1999 n. 2058).
3.3.- Di quanto sopra, ne è consapevole la stessa amministrazione comunale,
la quale, nella motivazione della determinazione impugnata, chiarisce per
l’appunto che: “al fine di scongiurare la decorrenza dei termini
prescrittivi, sono stati presi in considerazione anche i certificati di
agibilità rilasciati, in considerazione della circostanza che, con il
rilascio del certificato di agibilità, l’Ufficio Tecnico ha modo di
accertare, a perfezionamento finale della pratica, anche eventuali somme non
versate a titolo di oneri concessori”.
L’indicazione appare un tentativo per rimediare all’avvenuto verificarsi
della prescrizione. Ed invero, come ammette la stessa amministrazione, il
rilascio del certificato di agibilità è stato preso in considerazione, non
per determinare l’ammontare delle somme da versare a titolo di oneri
concessori, quanto per verificare se questi siano stati effettivamente ed
integralmente versati.
Ai sensi dell’art. 2934 cod. civ., un diritto si estingue per prescrizione
quando il titolare non lo esercita per il tempo determinato dalla legge e,
ai sensi dell’art. 2935 cod. civ., la prescrizione comincia a decorrere dal
giorno in cui il diritto può essere fatto valere.
Se, dunque, è dal giorno del rilascio della concessione che
l'amministrazione comunale può fare valere il suo diritto di credito, anche
fissando modalità e garanzie particolari, è dalla medesima data che decorre
la prescrizione del suo diritto.
Ne consegue che l'Amministrazione non ha alcun potere di differire
l'esercizio del suo diritto di credito sicché l'inerzia nell'emanazione
degli atti d’imposizione, di liquidazione ovvero di recupero del contributo
dovuto si configura quale mancato esercizio del diritto da parte del
creditore, idoneo a fare decorrere il periodo di prescrizione
(TAR Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 09.12.2021 n. 7921 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ottobre 2021 |
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EDILIZIA PRIVATA: Non
è rinvenibile alcuna ragione, né letterale né logica, per ritenere che gli
oneri urbanistici vadano commisurati sulla base dei criteri vigenti al
momento di adozione del piano di lottizzazione.
Il contributo per il rilascio di un permesso di costruire è disciplinato
dall’art. 16 e segg. del D.P.R. n. 380 del 2001, peraltro in linea con le previgenti disposizioni di legge.
In forza di tale disposizione normativa sia la quota relativa agli oneri di
urbanizzazione, che quella relativa al costo di costruzione, vengono
determinate all’atto del rilascio del permesso di costruire sulla base dei
parametri stabiliti dal consiglio comunale, a sua volta vincolato dalle
tabelle parametriche individuate con atto regionale; è altresì previsto che
ogni cinque anni i comuni provvedano ad aggiornare gli oneri di
urbanizzazione primaria e secondaria, in conformità alle relative
disposizioni regionali.
Ciò posto non è rinvenibile alcuna ragione, né letterale né logica, per
ritenere che gli oneri urbanistici vadano commisurati sulla base dei criteri
vigenti al momento di adozione del piano di lottizzazione.
Su un piano strettamente letterale, le norme che vengono in rilievo fanno
sempre esclusivo riferimento al momento del rilascio del permesso di
costruire, mentre una vistosa deroga al principio del tempus regit actum -nel senso sostenuto da parte ricorrente- avrebbe richiesto una sua chiara esplicitazione.
Ma la tesi non regge neanche da un punto di vista logico: il piano di
lottizzazione è uno strumento urbanistico attuativo, e non è chiaro perché –diversamente dagli altri strumenti urbanistici normativamente previsti–
dovrebbe produrre l’effetto di cristallizzare la quantificazione degli oneri
urbanistici dovuti a seguito del rilascio di permessi di costruire, che
potrebbero venire richiesti anche a distanza di diversi anni dalla sua
adozione.
Inoltre gli oneri di urbanizzazione hanno lo scopo di assicurare all’ente
locale la provvista economica necessaria per la realizzazione delle opere di
urbanizzazione conseguenti all’intervento edilizio autorizzato; da ciò ne
consegue che tali oneri devono essere, il più possibile, adeguati
all’effettiva spese che dovrà affrontare il comune, e quindi parametrati ai
criteri vigenti al momento del rilascio dei permessi di costruire, momento
nel quale sorge l’esigenza di realizzare le opere di urbanizzazione.
---------------
Ciò considerato, sostiene parte ricorrente che gli oneri urbanistici
sarebbero dovuti essere parametrati in ragione dei criteri vigenti all’atto
dell’adozione del piano di lottizzazione in cui rientra l’intervento
edilizio per cui è causa, e non di quelli –meno favorevoli per parte
ricorrente– vigenti al momento del rilascio delle concessioni edilizie.
La tesi non è condivisibile.
Il contributo per il rilascio di un permesso di costruire è disciplinato
dall’art. 16 e segg. del D.P.R. n. 380 del 2001, peraltro in linea con le previgenti disposizioni di legge.
In forza di tale disposizione normativa sia la quota relativa agli oneri di
urbanizzazione, che quella relativa al costo di costruzione, vengono
determinate all’atto del rilascio del permesso di costruire sulla base dei
parametri stabiliti dal consiglio comunale, a sua volta vincolato dalle
tabelle parametriche individuate con atto regionale; è altresì previsto che
ogni cinque anni i comuni provvedano ad aggiornare gli oneri di
urbanizzazione primaria e secondaria, in conformità alle relative
disposizioni regionali.
Ciò posto non è rinvenibile alcuna ragione, né letterale né logica, per
ritenere che gli oneri urbanistici vadano commisurati sulla base dei criteri
vigenti al momento di adozione del piano di lottizzazione.
Su un piano strettamente letterale, le norme che vengono in rilievo fanno
sempre esclusivo riferimento al momento del rilascio del permesso di
costruire, mentre una vistosa deroga al principio del tempus regit actum -nel senso sostenuto da parte ricorrente- avrebbe richiesto una sua chiara esplicitazione.
Ma la tesi non regge neanche da un punto di vista logico: il piano di
lottizzazione è uno strumento urbanistico attuativo, e non è chiaro perché –diversamente dagli altri strumenti urbanistici normativamente previsti–
dovrebbe produrre l’effetto di cristallizzare la quantificazione degli oneri
urbanistici dovuti a seguito del rilascio di permessi di costruire, che
potrebbero venire richiesti anche a distanza di diversi anni dalla sua
adozione.
Inoltre gli oneri di urbanizzazione hanno lo scopo di assicurare all’ente
locale la provvista economica necessaria per la realizzazione delle opere di
urbanizzazione conseguenti all’intervento edilizio autorizzato; da ciò ne
consegue che tali oneri devono essere, il più possibile, adeguati
all’effettiva spese che dovrà affrontare il comune, e quindi parametrati ai
criteri vigenti al momento del rilascio dei permessi di costruire, momento
nel quale sorge l’esigenza di realizzare le opere di urbanizzazione.
La diversa ricostruzione sostenuta da parte ricorrente non è pertanto
condivisibile.
Prive di alcun fondamento sono anche le censure genericamente mosse dalla
ricorrente avverso i parametri -per la quantificazione degli oneri
urbanistici– adottati dal Comune di Lascari.
Invero, come correttamente riportato dalla difesa del Comune intimato, la
periodica delibera di adeguamento degli oneri urbanistici deve tenere conto
dei parametri stabiliti in sede regionale; conseguentemente, piuttosto che
avanzare generiche e vaghe censure, ove la ricorrente avesse voluto
compiutamente censurare la delibera adottata sul punto dal Comune
resistente, avrebbe dovuto rilevare, e comprovare, il suo eventuale
scostamento dai parametri indicati in sede regionale.
Le censure concretamente articolate risultano invece del tutto generiche ed
apodittiche e, in quanto tali, non possono che essere respinte.
E’ infine evidente che il calcolo contabile degli oneri urbanistici
effettuato dal comune, nella fattispecie per cui è causa, o è corretto
(rispetto alla delibera generale di quantificazione di tali oneri) o non lo
è, ma non può porsi una questione di adeguata motivazione, proprio in
quanto, in ultima analisi, si tratta di un mero computo matematico, e non
dell’esercizio di un potere autoritativo; ancora una volta, ove parte
ricorrente avesse voluto efficacemente contestare il conteggio effettuato
dal Comune resistente avrebbe dovuto –e potuto agevolmente– evidenziare
l’eventuale errore di calcolo compiuto dall’amministrazione, e non invocare,
semplicisticamente, la mancanza di adeguata motivazione.
In conclusione, il ricorso è infondato e deve essere respinto
(TAR Sicilia-Palermo, Sez. II,
sentenza 12.10.2021 n. 2779 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
luglio 2021 |
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EDILIZIA PRIVATA: Ai
fini dell’insorgenza dell’obbligo “di corresponsione degli
oneri concessori è rilevante il realizzarsi di un maggiore carico
urbanistico quale effetto dell’intervento edilizio assentito, di modo che
non occorre che la trasformazione interessi l’intero immobile ma è
sufficiente che ne risultino, anche solo in parte, variate la realtà
strutturale e la fruibilità urbanistica, con oneri di conseguenza riferiti
all’oggettiva rivalutazione del bene e funzionali ad affrontare l’aggiuntivo
peso socio-economico che ne deriva, anche quando l’incremento dell’impatto
sul territorio consegua solo a marginali lavori dovuti ad una diversa
distribuzione dell’immobile fra più proprietari o fruitori”.
---------------
Come già rilevato dal Consiglio di Stato:
- “mentre la quota del contributo di costruzione commisurata al costo di
costruzione risulta ontologicamente connessa alla tipologia e all’entità
(superficie e volumetria) dell’intervento edilizio e assolve alla funzione
di permettere all’amministrazione comunale il recupero delle spese sostenute
dalla collettività di riferimento per la trasformazione del territorio
consentita al privato istante, la quota del contributo di costruzione
commisurata agli oneri di urbanizzazione assolve alla prioritaria funzione
di compensare la collettività per il nuovo ulteriore carico urbanistico che
si riversa sulla zona, con la precisazione che per aumento del carico
urbanistico deve intendersi tanto la necessità di dotare l’area di nuove
opere di urbanizzazione, quanto l’esigenza di utilizzare più intensamente
quelle già esistenti”;
- “in base al generale principio di correlare gli oneri di urbanizzazione al
carico urbanistico, tale carico sussiste anche in caso di divisione e
frazionamento di immobile che da uno si trasforma in due unità. Pertanto è
rilevante il verificarsi di un maggior carico urbanistico quale effetto
dell’intervento edilizio, sicché è sufficiente che risulti comunque mutata
la realtà strutturale e la fruibilità urbanistica, con oneri riferiti
all’oggettiva rivalutazione dell’immobile e funzionali a sopportare
l’aggiuntivo carico socio-economico che l’attività edilizia comporta, anche
quando l’incremento dell’impatto sul territorio consegua solo a lavori
dovuti a una divisione dell’immobile in due unità o fra due o più
proprietari”;
- “sulla base del generale principio di correlare gli oneri di
urbanizzazione al carico urbanistico, la ristrutturazione edilizia comporta
il pagamento di detti oneri allorché l’intervento abbia determinato un
aumento del carico urbanistico –e considerato che il carico urbanistico
sussiste anche allorquando l’intervento di ristrutturazione comporti la
divisione ed il frazionamento di un immobile, … per essere l’edificio
adibito ad attività di impresa di due distinti soggetti, con l’apertura di
due nuovi ingressi, per due distinte unità abitative– deve ritenersi che
anche in tal caso si realizza un aumento dell’impatto sul territorio e sono
pertanto dovuti i predetti oneri”.
---------------
1. Giova, preliminarmente alla disamina dei proposti motivi di
appello, procedere ad una ricognizione degli essenziali tratti motivazionali
della gravata sentenza del TAR dell’Emilia Romagna.
Premesso che, ai fini dell’insorgenza dell’obbligo “di corresponsione degli
oneri concessori è rilevante il realizzarsi di un maggiore carico
urbanistico quale effetto dell’intervento edilizio assentito, di modo che
non occorre che la trasformazione interessi l’intero immobile ma è
sufficiente che ne risultino anche solo in parte variate la realtà
strutturale e la fruibilità urbanistica, con oneri di conseguenza riferiti
all’oggettiva rivalutazione del bene e funzionali ad affrontare l’aggiuntivo
peso socio-economico che ne deriva, anche quando l’incremento dell’impatto
sul territorio consegua solo a marginali lavori dovuti ad una diversa
distribuzione dell’immobile fra più proprietari o fruitori”, il giudice di
prime cure ha ritenuto che:
- “la chiusura degli accessi interni fra le due unità immobiliari, lungi dal
risolversi nel mero esercizio del diritto di proprietà della società
ricorrente –che ha in tal modo impedito il libero ingresso da proprietà
altrui–, integri in realtà un’oggettiva variazione delle modalità d’uso
dell’immobile, d’ora in poi suscettibile di impiego da parte di un ulteriore
operatore commerciale, in aggiunta a quello dell’altra unità immobiliare, e
per questo fonte di maggiore carico urbanistico”;
- e che, anche in assenza di “una vera e propria creazione di più unità
immobiliari … si è comunque realizzato un frazionamento di fruibilità
urbanistica per effetto della moltiplicazione di soggetti che possono
servirsi di locali in precedenza riservati, in ragione dell’uso comune
(adesso precluso dalla soppressione degli accessi interni), ad un unico
operatore commerciale”;
-
da ultimo, escludendo che possa “essere rimproverato all’Amministrazione
comunale di avere fatto indebitamente gravare sulla società ricorrente oneri
concessori dovuti in realtà dall’altro proprietario, in quanto il contributo
edilizio è legalmente a carico di chi ottiene il titolo abilitativo, mentre
eventuali vantaggi indiretti da parte di terzi devono essere regolati inter
partes nelle forme e nei limiti ammessi dall’ordinamento”.
2. Il percorso argomentativo che ha condotto alla reiezione del ricorso di
primo grado, merita in questa sede integrale conferma.
Come da questa Sezione rilevato con recente sentenza 12.04.2021, n.
2956:
- “mentre la quota del contributo di costruzione commisurata al costo di
costruzione risulta ontologicamente connessa alla tipologia e all’entità
(superficie e volumetria) dell’intervento edilizio e assolve alla funzione
di permettere all’amministrazione comunale il recupero delle spese sostenute
dalla collettività di riferimento per la trasformazione del territorio
consentita al privato istante, la quota del contributo di costruzione
commisurata agli oneri di urbanizzazione assolve alla prioritaria funzione
di compensare la collettività per il nuovo ulteriore carico urbanistico che
si riversa sulla zona, con la precisazione che per aumento del carico
urbanistico deve intendersi tanto la necessità di dotare l’area di nuove
opere di urbanizzazione, quanto l’esigenza di utilizzare più intensamente
quelle già esistenti” (Cons. Stato, Sez. VI, 02.07.2015, n. 3298);
- “in base al generale principio di correlare gli oneri di urbanizzazione al
carico urbanistico, tale carico sussiste anche in caso di divisione e
frazionamento di immobile che da uno si trasforma in due unità. Pertanto è
rilevante il verificarsi di un maggior carico urbanistico quale effetto
dell’intervento edilizio, sicché è sufficiente che risulti comunque mutata
la realtà strutturale e la fruibilità urbanistica, con oneri riferiti
all’oggettiva rivalutazione dell’immobile e funzionali a sopportare
l’aggiuntivo carico socio-economico che l’attività edilizia comporta, anche
quando l’incremento dell’impatto sul territorio consegua solo a lavori
dovuti a una divisione dell’immobile in due unità o fra due o più
proprietari” (Cons. Stato, Sez. IV, 17.05.2012, n. 2838);
- “sulla base del generale principio di correlare gli oneri di
urbanizzazione al carico urbanistico, la ristrutturazione edilizia comporta
il pagamento di detti oneri allorché l’intervento abbia determinato un
aumento del carico urbanistico –e considerato che il carico urbanistico
sussiste anche allorquando l’intervento di ristrutturazione comporti la
divisione ed il frazionamento di un immobile, … per essere l’edificio
adibito ad attività di impresa di due distinti soggetti, con l’apertura di
due nuovi ingressi, per due distinte unità abitative– deve ritenersi che
anche in tal caso si realizza un aumento dell’impatto sul territorio e sono
pertanto dovuti i predetti oneri” (Cons. Stato, Sez. IV, 29.04.2004, n.
2611).
3. Se, per effetto degli illustrati principi, l’immanenza dell’obbligo di
corresponsione degli oneri di urbanizzazione accede alla realizzazione di un
maggiore carico urbanistico, quale effetto di un assentito intervento
edilizio, anche nell’ipotesi in cui (come nella fattispecie all’esame) venga
in considerazione un intervento di divisione e frazionamento di immobile
(con riveniente creazione di due distinte unità), deve darsi atto della
piena condivisibilità della pretesa nei confronti dell’odierna appellante
fatta valere dal Comune di Bologna, attesa la rilevanza –ai fini di che
trattasi– del verificarsi di un maggior carico urbanistico quale effetto
dell’intervento edilizio, con conseguente immutazione della realtà
strutturale e della fruibilità urbanistica ed aggiuntivo carico
socio-economico indotto dall’attività edilizia (quand’anche sostanziatasi
esclusivamente in lavori dovuti a una divisione dell’immobile in due unità o
fra due o più proprietari).
Né, in contrario avviso, rileva la preesistente alienità, sotto il profilo
della titolarità dominicale, delle due unità componenti l’immobile
(precedentemente destinato, unitariamente, ad attività commerciale), atteso
che tale dato si dimostra appieno irrilevante, con riferimento alla
separazione degli ambienti (alla quale ha fatto seguito la pretesa di
corresponsione degli oneri di urbanizzazione da parte dell’appellata
Amministrazione) e alla elettiva potenzialità di ciascuna delle stesse ad
una difforme adibizione, con riveniente incremento del carico urbanistico in
esse riconoscibile.
La chiusura degli accessi interni fra le due unità immobiliari
(precedentemente funzionale ad un’unica conduzione, a fini commerciali, dei
locali) ha determinato una obiettiva immutazione delle modalità d’uso
dell’immobile, con duplicazione delle modalità di impiego e corrispondente
accrescimento del carico urbanistico.
Il frazionamento del compendio immobiliare, precedentemente oggetto di
unitaria conduzione commerciale, ha quindi determinato un corrispondente
frazionamento di fruibilità urbanistica, con riveniente duplicazione dei
soggetti abilitati a servirsi di locali già riservati, in conseguenza di un
uso unitario (ora, inibito dalla eliminazione degli accessi interni), ad un
unico operatore commerciale.
Se tale presupposto appieno integra idoneo fondamento ai fini della
corresponsione degli oneri concessori di urbanizzazione, va da ultimo
escluso che (come correttamente osservato dal giudice di primo grado) abbia
errato l’appellata Amministrazione nel porre il relativo carico
esclusivamente sull’odierna appellante, atteso che –impregiudicata,
ovviamente, l’esercitabilità, da parte di Ca’ To., di eventuali azioni
volte alla regolamentazione dei rapporti inter partes– il contributo
edilizio grava sul soggetto che abbia richiesto (ed ottenuto) il titolo
abilitativo.
4. La riscontrata infondatezza delle censure esposte con il presente
appello, ne impone la reiezione, con conseguente conferma della sentenza di
primo grado (Consiglio di Stato, Sez. II,
sentenza 21.07.2021 n. 5494 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Si tratta di controversia avente ad oggetto la domanda di
accertamento del diritto alla restituzione degli oneri concessori versati in
conseguenza dei titoli edilizi rilasciati dal Comune che rientra nella
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (ex art. 133, comma 1,
lett. f), cod. proc. amm., disposizione relativa alla giurisdizione esclusiva
del G.A. sulle “… controversie aventi ad oggetto gli atti e i provvedimenti
delle pubbliche amministrazioni in materia urbanistica e edilizia,
concernente tutti gli aspetti dell’uso del territorio”), concernendo
l’accertamento dell’esistenza di posizioni giuridiche soggettive di
credito-debito, che hanno origine direttamente da fonti normative, e che,
quindi, prescindono dall’esistenza di atti dell’Amministrazione.
---------------
1. - Con il presente ricorso, ritualmente notificato in data
14.04.2017 e depositato il successivo 04.05.2017, la ditta ricorrente -OMISSIS-
& C. s.r.l. agisce per l’accertamento del proprio diritto alla restituzione
delle somme corrisposte a titolo di contributo per il rilascio del permesso
di costruire -OMISSIS-/2007 del 19.11.2007, avente ad oggetto la costruzione
in Barletta di un fabbricato per civile abitazione, negozi e box tra le vie
-OMISSIS- e -OMISSIS-.
Dovendo successivamente al rilascio del permesso di costruire -OMISSIS-/2007
presentare un progetto di variante (prot. -OMISSIS-/09) per alcune opere in
difformità, il Settore Edilizia Pubblica e Privata e Servizi Catastali del
Comune di Barletta provvedeva alla rideterminazione delle somme dovute a
titolo di oneri di urbanizzazione.
2. - A fondamento della domanda espone quanto segue:
- che per l’edificazione di tale complesso immobiliare era prevista la
realizzazione di parcheggi obbligatori nella misura minima di mq. 1.317,32,
corrispondente ad un metro quadro per ogni dieci metri cubi di costruzione
ex art. 2, comma 2, legge n. 122/1989;
- di aver versato, quindi, in base allo sviluppo del prospetto per la
determinazione di tutti gli oneri concessori utilizzato dalla società
ricorrente e vistato dal responsabile del procedimento e tenuto conto della
rideterminazione delle somme dovute a titolo di oneri di urbanizzazione per
la chiesta variante all’originario p.d.c., la somma di complessivi €
77.724,81 per oneri di urbanizzazione primaria, di complessivi € 169.340,93
per oneri di urbanizzazione secondaria e di complessivi € 46.136,66 per
costo di costruzione;
- di aver pagato anche i non condivisi importi aggiuntivi richiesti dal
Settore Urbanistica del Comune di Barletta al solo fine di ottenere il
rilascio della variante.
3. - Deduce, quindi, di aver chiesto -senza aver ricevuto dal Comune di
Barletta alcun riscontro- la restituzione dei contributi versati per la
parte relativa alle superfici del parcheggio obbligatoriamente previste per
legge, in quanto le stesse (quantificate in € 46.244,26) devono ritenersi
esonerate dal calcolo per il pagamento del contributo di costruzione, e,
quindi, indebitamente trattenute dal medesimo Comune di Barletta.
4. - Lamenta, quindi, “illegittimità; violazione degli artt. 2 e 11 legge n.
122/1989 in combinato disposto con gli artt. 9 legge n. 10/1977 e 17 T.U. n.
380/2001; eccesso di potere per contraddittorietà”.
...
7. - In via preliminare il Collegio rileva la sussistenza nella fattispecie
in esame, della giurisdizione del giudice amministrativo.
Si tratta, infatti, di controversia avente ad oggetto la domanda di
accertamento del diritto alla restituzione degli oneri concessori versati in
conseguenza dei titoli edilizi rilasciati dal Comune che rientra nella
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (ex art. 133, comma 1,
lett. f), cod. proc. amm., disposizione relativa alla giurisdizione esclusiva
del G.A. sulle “… controversie aventi ad oggetto gli atti e i provvedimenti
delle pubbliche amministrazioni in materia urbanistica e edilizia,
concernente tutti gli aspetti dell’uso del territorio”), concernendo
l’accertamento dell’esistenza di posizioni giuridiche soggettive di
credito-debito, che hanno origine direttamente da fonti normative (cfr. ex multis, TAR Calabria, Catanzaro, Sez. II, 24.10.2018, n. 1790), e che,
quindi, prescindono dall’esistenza di atti dell’Amministrazione (cfr. TAR
Veneto, Venezia, Sez. II, 21.02.2018, n. 209)
(TAR Puglia-Bari, Sez. III,
sentenza 21.07.2021 n. 1253 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
maggio 2021 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
L'esistenza di una costruzione abusiva può aggravare il c.d.
carico urbanistico e, quindi, protrarre le conseguenze del reato.
---------------
L'aumento del carico urbanistico non costituisce una conseguenza
ontologicamente connaturata alla mera esistenza dell'immobile abusivo, ma
può determinarsi per effetto dell'utilizzazione di esso, secondo le finalità
(nella specie abitative) cui è destinato, dal che discende l'aggravio delle
preesistenti infrastrutture e delle opere collettive correlate sotto il
profilo di una maggiore esigenza di esse.
L'aggravio del carico urbanistico deve dunque essere valutato in concreto,
avuto riguardo alla portata delle opere abusivamente realizzate e
all'incidenza del loro utilizzo sul contesto delle infrastrutture esistenti
e dunque sull'equilibrio urbanistico.
Nel caso di specie si tratta di una villa di rilevanti dimensioni, con
destinazione in parte alberghiera, in relazione alla quale è stato, inoltre,
accertato un mutamento della destinazione d'uso (abitativo) di parte dei
locali; l'utilizzo dell'immobile, pertanto, senza dubbio determinerebbe una
significativa incidenza sul carico urbanistico di zona, oltre al pericolo di
un ulteriore deterioramento dell'ecosistema protetto dal vincolo
paesaggistico.
---------------
2. Avverso tale ordinanza propone ricorso per cassazione Ni.Se., a mezzo del
proprio difensore, lamentando (in sintesi giusta il disposto di cui all'art.
173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.):
...
III) violazione di legge in relazione alle esigenze cautelari.
Deduce che la motivazione sul punto è viziata da un error in procedendo che
si manifesta sotto due differenti profili: in primo luogo, l'apparato argomentativo, posto a sostegno del provvedimento, appare privo dei
requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza in tema dei
requisiti cautelari idonei alla conferma della misura cautelare; manca ogni
motivazione; in secondo luogo, la decisione del Collegio del Riesame è
censurabile nella parte concernente la sussistenza delle esigenze cautelari.
...
V) violazione di legge per erronea applicazione della normativa
urbanistica in ordine ai capi e ai punti dell'ordinanza concernenti il
concetto di carico urbanistico posto a fondamento della sussistenza del
periculum in mora.
Deduce che la nozione di carico urbanistico deriva dall'osservazione per cui
ogni insediamento umano risulta costituito da un elemento c.d. primario
(abitazioni, uffici, opifici, negozi) e da uno secondario di servizio (opere
pubbliche in genere, strade,fognature, elettrificazione, servizio idrico,
etc.) che deve essere proporzionato all'insediamento primario.
Ciò che deve connotare l'immobile abusivo è lo sperequato incremento del
carico urbanistico ossia il carico urbanistico realizzato in assenza di
valido permesso o in difformità della normativa urbanistica o ambientale.
Nella specie, l'incremento non aggrava né protrae le conseguenze del fatto
di reato contestato ovvero il periculum in mora.
Il Ni., infatti, aveva ottenuto un nuovo permesso di costruire in variante a
tutti gli effetti valido ed astrattamente idoneo a legittimare l'attuale
costruzione.
...
8. Le censure sub III) e V) -da trattarsi congiuntamente poiché
logicamente avvinte- al di là della qualificazione assegnata dal ricorrente,
attengono, sostanzialmente, a presunti vizi della motivazione.
Nondimeno, è opportuno evidenziare la presenza di una sufficiente
motivazione -per altro priva di aporie manifeste- resa dal Tribunale,
secondo cui la sussistenza delle esigenze cautelari deriva da fatto che «l'esistenza
di una costruzione abusiva può aggravare il c.d. carico urbanistico e quindi
protrarre le conseguenze del reato [...] l'aumento del carico urbanistico
non costituisce una conseguenza ontologicamente connaturata alla mera
esistenza dell'immobile abusivo, ma può determinarsi per effetto
dell'utilizzazione di esso, secondo le finalità (nella specie abitative) cui
è destinato, dal che discende l'aggravio delle preesistenti infrastrutture e
delle opere collettive correlate sotto il profilo di una maggiore esigenza
di esse. L'aggravio del carico urbanistico deve dunque essere valutato in
concreto, avuto riguardo alla portata delle opere abusivamente realizzate e
all'incidenza del loro utilizzo sul contesto delle infrastrutture esistenti
e dunque sull'equilibrio urbanistico. Nel caso di specie si tratta di una
villa di rilevanti dimensioni, con destinazione in parte alberghiera, in
relazione alla quale è stato, inoltre, accertato un mutamento della
destinazione d'uso (abitativo) di parte dei locali; l'utilizzo
dell'immobile, pertanto, senza dubbio determinerebbe una significativa
incidenza sul carico urbanistico di zona, oltre al pericolo di un ulteriore
deterioramento dell'ecosistema protetto dal vincolo paesaggistico»,
facendo, così, anche buon uso del principio fissato da Sez. 3, Sentenza n.
11146/2002 (Corte di Cassazione, Sez. IV penale,
sentenza 20.05.2021 n. 20109). |
EDILIZIA PRIVATA: Sulla
sussistenza, o meno, dei
presupposti per la declaratoria di acquiescenza laddove il ricorrente abbia
impugnato il permesso di costruire nella parte in cui prevede l'onerosità
solo dopo avere pagato l'importo richiesto e senza manifestare alcuna
preventiva riserva circa la debenza del contributo di costruzione.
Un consolidato orientamento giurisprudenziale ha avuto modo di evidenziare
che non ricorrono, nei casi come quello in esame, gli estremi per
configurare estinzione del diritto per acquiescenza.
- “L'acquiescenza consiste nell'accettazione definitiva del
provvedimento oppure in un comportamento incompatibile con la volontà
d'impugnarlo o di ottenerne il riesame da parte della p.a. emanante e non è
configurabile nel caso in cui non v'è un atto amministrativo autoritativo,
ma si riscontrano posizioni di diritto soggettivo direttamente azionabile
dal titolare (com'è, appunto, il diritto del concessionario a non pagare un
contributo eccedente o non dovuto)”.
- “La controversia attinente alla spettanza e liquidazione del
contributo per gli oneri di urbanizzazione, riservata alla giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo a norma dell’art. 16 l. 29.01.1977, n.
10 [oggi, ex art. 133, lett. f), cod. proc. amm.], ha ad oggetto
l’accertamento di un rapporto di credito a prescindere dall’esistenza di
atti della pubblica amministrazione e non è soggetta alle regole delle
azioni impugnatorie-annullatorie degli atti amministrativi ed ai rispettivi
termini di decadenza, con conseguente inconfigurabilità dell’istituto
dell’acquiescenza rispetto alla liquidazione del contributo e alla sua
corresponsione (pro quota o per intero) in funzione del rilascio del titolo
edilizio.
In tale contesto, irrilevante è il convenzionamento, o meno, dell’immobile
costruendo, incidente sulla misura del contributo di concessione, ma non sui
principi generali in tema di contestazione giudiziale del contributo e di
eventuale azione di ripetizione, entro il termine ordinario di prescrizione.
Si aggiunga che l’obbligo della corresponsione del contributo di
concessione, essendo obiettivamente collegato alla posizione di titolare
della concessione edilizia rilasciata, dà vita a un’obbligazione di diritto
pubblico priva di ogni connotazione negoziale, con la conseguenza che anche
la sottoscrizione, al momento del rilascio della concessione, di un impegno
a corrispondere al comune il contributo in una determinata misura non
preclude all’interessato la tutela giurisdizionale per l’accertamento del
diritto a non pagare il contributo in misura eccedente a quanto dovuto per
legge, versandosi in materia sottratta alla disponibilità delle parti”.
- “La giurisprudenza ha
chiarito che il pagamento degli oneri di urbanizzazione non determina
acquiescenza al provvedimento impositivo, dovendo piuttosto essere
considerato quale espressione della connaturale esigenza dell’attività
imprenditoriale edilizia di dare avvio, senza indugi, alla realizzazione
dell’opera progettata".
- “La mera esecuzione, anche senza riserve, del
provvedimento, non implica di per sé acquiescenza, in quanto il
provvedimento amministrativo, fino al suo eventuale annullamento, produce
effetti ed è immediatamente esecutivo. La sua esecuzione è, dunque,
comportamento neutro, potendo trovare giustificazione, più che nell'univoca
e incondizionata volontà di accettarne gli effetti, nell'esigenza di evitare
le conseguenze ulteriori che potrebbero derivare dalla sua inottemperanza.
I
medesimi principi sono stati affermati anche con riferimento al pagamento,
al momento del ritiro della concessione edilizia, dei relativi oneri
contributivi, escludendo che ricorra il requisito dell'univoca
manifestazione di volontà dell'interessato ad accettare le statuizioni di un
determinato provvedimento amministrativo e, quindi, a rinunciare
all'esperimento della tutela giurisdizionale, quando, al momento del ritiro
della concessione edilizia, lo stesso non avanzi riserva alcuna circa la debenza degli oneri concessori perché tale comportamento risponde
all'esigenza di dare avvio senza indugi all'opera edilizia o di beneficiare
del relativo titolo e le posizioni che si determinano in conseguenza del
rilascio del titolo abilitativo alla realizzazione dell'opera sono di
diritto soggettivo”.
---------------
4. Il Collegio esamina preliminarmente l’eccezione di inammissibilità
sollevata dall’amministrazione resistente, che ritiene sussistenti tutti i
presupposti per la declaratoria di acquiescenza, in quanto i ricorrenti
hanno impugnato il permesso di costruire nella parte in cui prevede
l'onerosità, solo dopo avere pagato l'importo richiesto e senza manifestare
alcuna preventiva riserva circa la debenza del contributo di costruzione.
Tale comportamento lascerebbe denotare, in maniera univoca, la volontà di
accettazione degli effetti del provvedimento.
Il Collegio ritiene tale eccezione priva di pregio.
Un consolidato orientamento giurisprudenziale ha avuto modo di evidenziare
che non ricorrono, nei casi come quello in esame, gli estremi per
configurare estinzione del diritto per acquiescenza.
- “L'acquiescenza consiste nell'accettazione definitiva del
provvedimento oppure in un comportamento incompatibile con la volontà
d'impugnarlo o di ottenerne il riesame da parte della p.a. emanante e non è
configurabile nel caso in cui non v'è un atto amministrativo autoritativo,
ma si riscontrano posizioni di diritto soggettivo direttamente azionabile
dal titolare (com'è, appunto, il diritto del concessionario a non pagare un
contributo eccedente o non dovuto)” (TAR Campania, 27/07/2006, sent.
8533).
- “La controversia attinente alla spettanza e liquidazione del
contributo per gli oneri di urbanizzazione, riservata alla giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo a norma dell’art. 16 l. 29.01.1977, n.
10 [oggi, ex art. 133, lett. f), cod. proc. amm.], ha ad oggetto
l’accertamento di un rapporto di credito a prescindere dall’esistenza di
atti della pubblica amministrazione e non è soggetta alle regole delle
azioni impugnatorie-annullatorie degli atti amministrativi ed ai rispettivi
termini di decadenza, con conseguente inconfigurabilità dell’istituto
dell’acquiescenza rispetto alla liquidazione del contributo e alla sua
corresponsione (pro quota o per intero) in funzione del rilascio del titolo
edilizio (v., ex plurimis, Cons. St., Sez. IV, 21.08.2013, n. 4208; Cons. St.,
Sez. IV, 10.03.2011, n. 1565); in tale contesto, irrilevante è il
convenzionamento, o meno, dell’immobile costruendo, incidente sulla misura
del contributo di concessione, ma non sui principi generali in tema di
contestazione giudiziale del contributo e di eventuale azione di
ripetizione, entro il termine ordinario di prescrizione. Si aggiunga che
l’obbligo della corresponsione del contributo di concessione, essendo
obiettivamente collegato alla posizione di titolare della concessione
edilizia rilasciata, dà vita a un’obbligazione di diritto pubblico priva di
ogni connotazione negoziale, con la conseguenza che anche la sottoscrizione,
al momento del rilascio della concessione, di un impegno a corrispondere al
comune il contributo in una determinata misura non preclude all’interessato
la tutela giurisdizionale per l’accertamento del diritto a non pagare il
contributo in misura eccedente a quanto dovuto per legge, versandosi in
materia sottratta alla disponibilità delle parti (v. in tal senso, ex
plurimis, Cons. St., Sez. V, 06.12.1999, n. 2056)” (Cons. Stato Sez. VI,
07/05/2015, n. 2294, conforme TAR Campania, Napoli, Sez. III, 31/10/2016, n.
5013).
- “Infatti la giurisprudenza, condivisa dal Collegio, ha
chiarito che il pagamento degli oneri di urbanizzazione non determina
acquiescenza al provvedimento impositivo, dovendo piuttosto essere
considerato quale espressione della connaturale esigenza dell’attività
imprenditoriale edilizia di dare avvio, senza indugi, alla realizzazione
dell’opera progettata (cfr. TAR Toscana, Sez. III, 24.09.2018, n. 1213; TAR
Sicilia, Palermo, Sez. III, 08.11.2013, n. 2066; TAR Emilia Romagna,
09.02.1999, n. 81)” (TRGA Bolzano, 26.09.2019, sent. n. 226).
- Ed ancora “La mera esecuzione, anche senza riserve, del
provvedimento, non implica di per sé acquiescenza, in quanto il
provvedimento amministrativo, fino al suo eventuale annullamento, produce
effetti ed è immediatamente esecutivo. La sua esecuzione è, dunque,
comportamento neutro, potendo trovare giustificazione, più che nell'univoca
e incondizionata volontà di accettarne gli effetti, nell'esigenza di evitare
le conseguenze ulteriori che potrebbero derivare dalla sua inottemperanza. I
medesimi principi sono stati affermati anche con riferimento al pagamento,
al momento del ritiro della concessione edilizia, dei relativi oneri
contributivi, escludendo che ricorra il requisito dell'univoca
manifestazione di volontà dell'interessato ad accettare le statuizioni di un
determinato provvedimento amministrativo e, quindi, a rinunciare
all'esperimento della tutela giurisdizionale, quando, al momento del ritiro
della concessione edilizia, lo stesso non avanzi riserva alcuna circa la
debenza degli oneri concessori perché tale comportamento risponde
all'esigenza di dare avvio senza indugi all'opera edilizia o di beneficiare
del relativo titolo e le posizioni che si determinano in conseguenza del
rilascio del titolo abilitativo alla realizzazione dell'opera sono di
diritto soggettivo.” (TAR Lazio sez. II, 19/09/2017, sent. n. 9818).
Per tali ordini di considerazioni, dai quali questo Collegio non ritiene di
doversi discostare, l’eccezione di inammissibilità non può essere accolta (TAR
Piemonte, Sez. II,
sentenza 04.05.2021 n. 457 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L’edificio
di nuova costruzione, derivante dalla demolizione di quello preesistente,
pur presentando nove piani fuori terra (in luogo dei precedenti quattro), è
tuttavia caratterizzato dalla medesima volumetria e dalla stessa superficie
lorda di pavimento (occupa infatti un’area ridotta rispetto a prima), mentre
la destinazione d’uso abitativa è aumentata a discapito di quella
commerciale. Sicché, non sussiste l'aggravio del carico urbanistico e,
conseguente, l'obbligo di versare gli oneri di urbanizzazione.
Quanto agli oneri di urbanizzazione, il Collegio ricorda che,
per orientamento giurisprudenziale costante e consolidato, il contributo di
costruzione è configurabile come un corrispettivo di diritto pubblico di
natura non tributaria, posto in connessione ad un intervento edilizio. Si
tratta di una prestazione patrimoniale imposta che prescinde dalle singole
opere di urbanizzazione e dalle concrete utilità che il concessionario trae
dal titolo rilasciato, sia dalle spese effettivamente occorrenti per
realizzare le opere.
Tali posizioni sono state fatte proprie anche dall’Adunanza Plenaria del
Consiglio di Stato, che ha precisato altresì che “le prestazioni da
adempiere da parte dell'amministrazione comunale e del privato intestatario
del titolo edilizio non sono tra loro in posizione sinallagmatica. Come si è
detto, infatti, l'amministrazione è tenuta ad eseguire le opere di
urbanizzazione ed a dotare degli indispensabili standard il comparto ove
viene allocato il nuovo insediamento edilizio a prescindere dal puntuale
pagamento del contributo di costruzione da parte del soggetto che abbia
ottenuto il titolo edilizio; per parte sua, questi è tenuto al pagamento del
contributo senza poter pretendere la previa realizzazione delle opere di
urbanizzazione”.
La giurisprudenza, pertanto, ha colto e fissato l’autonomia della debenza
del contributo rispetto ai singoli parametri che caratterizzano le opere
autorizzate, dovendosi avere riguardo al complessivo valore dello stesso in
termini di fruibilità urbanistica e realtà strutturale edificata.
---------------
Per gli interventi di demolizione e ricostruzione la valutazione della incidenza del carico
urbanistico sia determinante per valutare an e quantum del
contributo.
Questo Tribunale ha avuto modo di evidenziare che nel caso di interventi di
sostituzione edilizia
- da un lato comportino il mantenimento delle
superfici e
- dall’altro non comportino né mutamento di destinazione d’uso né
aumenti di volume il contributo,
- per la parte degli oneri di urbanizzazione,
non è dovuto in quanto non vi è induzione di maggior carico urbanistico.
“In senso analogo si è espresso il giudice d’appello, proprio in una
fattispecie di sostituzione edilizia, nella cui
sentenza si legge: “il contributo per oneri di urbanizzazione è un
corrispettivo di diritto pubblico, di natura non tributaria, posto a carico
del costruttore a titolo di partecipazione ai costi delle opere di
urbanizzazione in proporzione all’insieme dei benefici che la nuova
costruzione ne ritrae.
In effetti, gli oneri di urbanizzazione sono dovuti se ed in quanto
l’intervento edilizio comporti un incremento della domanda di servizi nella
zona coinvolta dalla costruzione: le opere di urbanizzazione, distinte in
primarie e secondarie, si caratterizzano per essere necessarie,
rispettivamente, all’utilizzo degli edifici e alla vita di relazione degli
abitanti di un territorio.
Ciò posto, se rispetto ad una zona circoscritta sono già state sostenute le
spese necessarie a fornire i suddetti servizi ai cittadini ivi residenti, un
intervento edilizio che non implichi un maggior carico urbanistico nella
medesima zona, non può determinare la necessità di una nuova spesa per
fornire i medesimi servizi già predisposti: diversamente ragionando, si
giungerebbe ad affermare la duplicazione di costi a fronte dell’unicità dei
servizi. All’opposto, se l’intervento edilizio assentito imponesse un
incremento del carico urbanistico nella zona interessata, gli oneri di
urbanizzazione dovrebbero essere versati in vista della predisposizione
degli strumenti idonei a far fronte ad un incremento di dette esigenze
urbanistiche.
In sostanza, gli oneri di urbanizzazione si caratterizzano per avere
natura compensativa rispetto alle spese di cui l’amministrazione si fa
carico per rendere accessibile e pienamente utilizzabile un nuovo o
rinnovato edificio, purché vi sia una nuova destinazione, dato che non può
essere chiesto due volte il pagamento per gli stessi interventi di
sistemazione e adeguamento del contesto urbanistico.
Sul punto, il Collegio condivide il costante orientamento giurisprudenziale
secondo cui “in caso di ristrutturazione edilizia, il pagamento degli
oneri di urbanizzazione è dovuto solo nel caso in cui l’intervento
abbia determinato un aumento del carico urbanistico”.
“È illegittimo il provvedimento che impone il pagamento degli oneri di
urbanizzazione e di costruzione nel caso in cui il permesso di costruire ha
ad oggetto una ristrutturazione edilizia consistente nella demolizione e
ricostruzione di un preesistente edificio, che non ha comportato un aumento
del carico urbanistico, a nulla rilevando, a tal fine, la modifica di sagoma
e prospetti dell'immobile stesso".
---------------
L’incremento dei più comuni indici edilizi (volumetria, superficie, ecc.)
così come il prospettato concreto riutilizzo di immobili disabitati da
tempo, possono lasciar presumere la variazione del carico urbanistico ma ciò
deve formare oggetto di precipua istruttoria; ciò è poi maggiormente
necessario quando l’intervento porti ad un decremento dei citati indici e ad
una sostanziale continuatività del carico insediativo.
“Il presupposto imponibile per il pagamento del contributo va dunque
ravvisato nella domanda di una maggiore dotazione di servizi (rete viaria,
fognature, ecc.) nell'area di riferimento, che sia indotta dalla
destinazione d'uso concretamente impressa all'immobile; ma poiché l'entità
degli oneri di urbanizzazione è in buona sostanza correlata alla variazione
del carico urbanistico, è ben possibile che un intervento di
ristrutturazione e mutamento di destinazione d'uso possa non comportare
l’obbligo della corresponsione del contributo nella misura in cui non
risulti aggravato il carico urbanistico. Correlativamente, è altrettanto
possibile che in caso di mutamento di destinazione di uso nell'ambito della
stessa categoria urbanistica, faccia seguito un maggior carico urbanistico
indotto dalla realizzazione di quanto assentito e siano quindi dovuti i
relativi oneri concessori.
Ne segue che, in presenza di un insediamento già in possesso di analoghe
caratteristiche funzionali, ed a fronte di un intervento edilizio che
l’abbia strutturalmente modificato (come nell’ipotesi della demolizione e
contestuale ricostruzione), l'amministrazione, per poter legittimamente
esigere il contributo per gli oneri di urbanizzazione, deve dare
contezza degli indici o, comunque, delle condizioni da cui si evince il
maggior carico urbanistico rispetto alla preesistente situazione.
È pertanto da considerare illegittimo il provvedimento che impone il
pagamento degli oneri di urbanizzazione nel caso in cui il permesso
di costruire ha ad oggetto una ristrutturazione edilizia consistente
nella demolizione e ricostruzione di un preesistente edificio, che non ha
comportato un aumento del carico urbanistico, a nulla rilevando, a tal fine,
la modifica di sagoma e prospetti dell'immobile stesso.
---------------
Richiamando la giurisprudenza già citata e che evidenzia come anche per
interventi di sostituzione edilizia l’analisi dell’induzione di domanda di
carico urbanistico debba comunque essere svolta, si evidenzia che per
giurisprudenza costante tale automatismo non vale per gli interventi di demolizione e ricostruzione.
“Non vi è contestazione tra le parti sulle circostanze di fatto; è dunque
pacifico che l’edificio oggetto di ricostruzione è crollato accidentalmente
e che la ricostruzione non ha modificato né la volumetria né la destinazione
d’uso. Parte resistente propone una lettura letterale della normativa
applicabile, senza tuttavia valorizzare quella che in giurisprudenza viene
pacificamente individuata quale ratio fondamentale e giustificatrice della
corresponsione degli oneri di urbanizzazione, ossia il carico
urbanistico, con connessa esigenza di realizzazione di opere di
urbanizzazione primaria e secondaria. Se pure suddetta ratio giustificatrice
non trasforma l’onere in una imposta di scopo (non vi è la necessità che gli
oneri di urbanizzazione incassati in una determinata area siano
devoluti alle opere di urbanizzazione ivi realizzate e/o necessarie) né il
rapporto tra carico urbanistico ed oneri di urbanizzazione è rigoroso
al punto da non ammettere la modulazione degli oneri stessi anche in
funzione di diverse finalità (ad esempio scoraggiare l’espansione in
determinate aree ovvero incentivarla in altre), la giustificazione
sostanziale di tale forma di imposizione resta il carico urbanistico
ingenerato da un nuovo insediamento o da un mutamento di destinazione
d’uso)”.
---------------
“Ai fini
dell'insorgenza dell'obbligo di corresponsione degli oneri concessori, è
rilevante il verificarsi di un maggior carico urbanistico quale effetto
dell'intervento edilizio, sicché non è neanche necessario che la
ristrutturazione interessi globalmente l'edificio, ma basta che ne risulti
comunque mutata la realtà strutturale e la fruibilità urbanistica, con oneri
conseguentemente riferiti all'oggettiva rivalutazione dell'immobile e
funzionali a sopportare l'aggiuntivo carico socio-economico che l'attività
edilizia comporta, anche quando l'incremento dell'impatto sul territorio
consegua solo a marginali lavori”.
---------------
A diverse conclusioni,
invece, si giunge con riferimento alla componente relativa al costo di costruzione.
Nel caso di specie, non vi è dubbio che
dall'intervento realizzato derivi un concreto e significativo aumento di
valore della proprietà immobiliare la quale, da edificio sostanzialmente
inabitabile, è diventa una palazzina bifamiliare di pregio, come emerge
dalla relazione tecnica depositata.
Questo Tribunale ha già avuto modo di precisare che:
- “riguardo alla
differenza tra oneri di urbanizzazione e costi di costruzione si ritiene che
i primi espletino la funzione di compensare la collettività per il nuovo
ulteriore carico urbanistico che si riversa sulla zona a causa della
consentita attività edificatoria, mentre i secondi si configurino quale
compartecipazione comunale all'incremento di valore della proprietà
immobiliare del costruttore”;
- “Riguardo alla differenza tra oneri di
urbanizzazione e costi di costruzione, la giurisprudenza concordemente
ritiene che i primi espletino la funzione di compensare la collettività per
il nuovo ulteriore carico urbanistico che si riversa sulla zona a causa
della consentita attività edificatoria, mentre i secondi si configurino
quale compartecipazione comunale all'incremento di valore della proprietà
immobiliare del costruttore”.
Questa componente del contributo, pertanto, essendo non direttamente
connessa con il presupposto della modifica del carico urbanistico o con la
domanda di servizi, ma afferendo direttamente all’incremento del pregio e
del valore della proprietà e quindi con la pura manifestazione dello ius
aedificandi, viene correttamente ancorata dall’amministrazione comunale
alla qualificazione formale dell’intervento di sostituzione edilizia
mediante permesso a costruire, in grado di apportare una trasformazione
urbana significativa ed evidente.
Risultano pertanto neutri, a tali scopi, i
parametri evidenziati da parte ricorrente circa il decremento dei volumi,
delle superfici e delle unità immobiliari, essendo pacifico che trattasi
comunque di ricostruzione di corpi di fabbrica con diversa sagoma e che solo
in minima parte mantengono le componenti preesistenti.
Per tali ragioni il contributo risulta legittimamente richiesto ed applicato
per la parte relativa ai costi di costruzione.
---------------
5.
Passando al merito, con l’unico motivo di ricorso si lamenta
violazione e falsa applicazione di legge [art. 3, comma 1, lett. d); art.
10, comma 1, lett. c); artt. 16 e 17 del DPR n. 380/2001] nonché eccesso di
potere per travisamento di fatto e di diritto, carenza istruttoria,
erroneità, illogicità manifesta, irragionevolezza e arbitrarietà.
In particolare i ricorrenti sostengono che l’intervento di ristrutturazione
assentito sarebbe “neutro” dal punto di vista urbanistico, non
determinerebbe un maggior carico urbanistico dell’area né un più intenso
utilizzo delle urbanizzazioni esistenti, con conseguente venir meno di ogni
pretesa di versamento di un corrispettivo (trattandosi nello specifico di
una riduzione del volume complessivo del fabbricato, previamente demolito,
nonché dell’abbassamento di un piano dello stesso, con mantenimento della
medesima destinazione d’uso e riduzione, da otto a due, delle unità
abitative).
Nell’articolare le proprie memorie i ricorrenti evidenziano che la pretesa
del Comune viene considerata illegittima sotto due profili: con riferimento
alla richiesta di pagamento degli oneri di urbanizzazione in ragione della
diminuzione del carico urbanistico; con riferimento al costo di costruzione,
per la mancata motivata emersione d’una asserita maggior capacità
contributiva.
L’amministrazione, nelle proprie memorie, sostiene che l’intervento debba
essere qualificato non come ristrutturazione semplice, ma come intervento di
sostituzione edilizia, assimilabile ad una nuova costruzione, di per sé
sottoposto al versamento degli oneri di cui all’art. 16 del DPR n. 380/2001.
Il nuovo manufatto, avendo caratteristiche del tutto distinte da quelle del
complesso originario (da due edifici preesistenti ne viene realizzato uno
solo), sarebbe solo parzialmente sovrapponibile ad uno degli immobili
preesistenti e costituirebbe un corpo di fabbrica inedito sia per sagoma sia
per collocazione spaziale.
La difesa di parte resistente fa altresì leva sulla diversa situazione di
fatto che la nuova edificazione verrebbe a determinare nell’area. Se pure il
nuovo edificio risulta avere una volumetria inferiore rispetto a quella dei
due edifici preesistenti ed un minor numero di unità abitative, l'intervento
muterebbe radicalmente la consistenza della struttura realizzando un
edificio, oltre che completamente nuovo, anche concretamente utilizzato. I
due immobili, nella ricostruzione di parte, erano disabitati da tempo: uno
dei due era un rudere abbandonato da decenni, mentre gli appartamenti
dell'altro sono stati gradualmente abbandonati negli anni in quanto inidonei
a costituire un'abitazione dignitosa fino a che, nel 2016, nessuno degli
alloggi risultava occupato. Sempre secondo la ricostruzione di parte
resistente, la realizzazione di un nuovo immobile, con caratteristiche di
pregio e destinato ad effettiva abitazione, determinerebbe una nuova domanda
di servizi per il Comune il quale si trova a fare fronte alle esigenze di
due nuovi nuclei familiari, mentre prima gli immobili versavano in stato di
sostanziale abbandono.
Ciò premesso ritiene il Collegio che le posizioni dei ricorrenti risultino
parzialmente fondate. La pretesa dei ricorrenti infatti, risulta
condivisibile quanto alla quota parte degli oneri di urbanizzazione, mentre
non è fondata quanto a quella del costo di costruzione.
6. Quanto agli oneri di urbanizzazione, infatti, il Collegio ricorda che,
per orientamento giurisprudenziale costante e consolidato, il contributo di
costruzione è configurabile come un corrispettivo di diritto pubblico di
natura non tributaria, posto in connessione ad un intervento edilizio. Si
tratta di una prestazione patrimoniale imposta che prescinde dalle singole
opere di urbanizzazione e dalle concrete utilità che il concessionario trae
dal titolo rilasciato, sia dalle spese effettivamente occorrenti per
realizzare le opere.
Tali posizioni sono state fatte proprie anche dall’Adunanza Plenaria del
Consiglio di Stato, che ha precisato altresì che “le prestazioni da
adempiere da parte dell'amministrazione comunale e del privato intestatario
del titolo edilizio non sono tra loro in posizione sinallagmatica. Come si è
detto, infatti, l'amministrazione è tenuta ad eseguire le opere di
urbanizzazione ed a dotare degli indispensabili standard il comparto ove
viene allocato il nuovo insediamento edilizio a prescindere dal puntuale
pagamento del contributo di costruzione da parte del soggetto che abbia
ottenuto il titolo edilizio; per parte sua, questi è tenuto al pagamento del
contributo senza poter pretendere la previa realizzazione delle opere di
urbanizzazione” (Cons Stato Ad. Plen. 07.12.2016, sent. n. 24).
La giurisprudenza, pertanto, ha colto e fissato l’autonomia della debenza
del contributo rispetto ai singoli parametri che caratterizzano le opere
autorizzate, dovendosi avere riguardo al complessivo valore dello stesso in
termini di fruibilità urbanistica e realtà strutturale edificata.
Nella istanza di permesso a costruire e nel provvedimento rilasciato dal
Comune l’intervento viene qualificato come ristrutturazione edilizia
mediante demolizione e ricostruzione di edificio esistente.
L’art. 3, comma 1,
lett. d), del DPR n. 380/2001 definisce "interventi di ristrutturazione
edilizia", gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi
mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo
edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi
comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi
dell'edificio, l'eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi
ed impianti. Nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono
ricompresi altresì gli interventi di demolizione e ricostruzione di edifici
esistenti con diversi sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche
planivolumetriche e tipologiche, con le innovazioni necessarie per
l'adeguamento alla normativa antisismica, per l'applicazione della normativa
sull'accessibilità, per l'istallazione di impianti tecnologici e per l'efficientamento
energetico. Solo con riferimento agli immobili sottoposti a tutela ai sensi
del codice dei beni culturali e del paesaggio (di cui al decreto legislativo
22.01.2004, n. 42), nonché, fatte salve le previsioni legislative e degli
strumenti urbanistici, a quelli ubicati nelle zone omogenee A di cui al
decreto del Ministro per i lavori pubblici 02.04.1968, n. 1444 (o in zone a
queste assimilabili in base alla normativa regionale e ai piani urbanistici
comunali), nei centri e nuclei storici consolidati e negli ulteriori ambiti
di particolare pregio storico e architettonico, gli interventi di
demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici
crollati o demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia
soltanto ove siano mantenuti sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche
planivolumetriche e tipologiche dell'edificio preesistente e non siano
previsti incrementi di volumetria.
L’amministrazione resistente evidenzia che l’intervento effettuato nel caso
di specie si configura come sostituzione edilizia, così come definita
dall’art. 13, comma 3, della LRP n. 56/1977 che così definisce le seguenti
tipologie di intervento: “d) ristrutturazione edilizia: gli interventi
rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico
di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte
diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la
sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, l'eliminazione,
la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti e quanto
ulteriormente previsto all'articolo 3, comma 1, lettera d), del decreto del
Presidente della Repubblica 06.06.2001, n. 380; d-bis) sostituzione
edilizia: gli interventi di integrale sostituzione edilizia dell'immobile
esistente, ricadenti tra quelli di cui all'articolo 3, comma 1, lettera e)
del decreto del Presidente della Repubblica 06.06.2001, n. 380, da attuarsi
mediante demolizione e ricostruzione anche con diversa localizzazione nel
lotto e con diversa sagoma”. La normativa regionale, pertanto, associa
la sostituzione edilizia alle “nuove costruzioni” di cui all’art. 3,
comma 1, lett. e), del DPR 380/2001.
I ricorrenti, nelle proprie memorie, non offrono argomentazioni a
confutazione della riconduzione dell’intervento a tale fattispecie.
Occorre premettere altresì che, nel caso di specie, è pacifico tra le parti
che l’intervento non rientri tra le esenzioni di cui all’art. 17 del DPR n.
380/2001, ed in particolare tra quelle previste al comma 2, lett. b), “per
gli interventi di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore
al 20%, di edifici unifamiliari”, poiché nel caso di specie trattasi di
demolizione e ricostruzione di una villa bifamiliare (come emerge dalla
relazione tecnica allegata al permesso di costruire, cfr. doc. 3 allegato al
ricorso).
Nel quadro delle facoltà degli enti locali di graduare l’ammontare del
contributo, l’art. 16 del DPR n. 380/2001 ha riconosciuto ai comuni la
possibilità di determinare l'incidenza degli oneri di urbanizzazione
primaria e secondaria anche in base “alla differenziazione tra gli
interventi al fine di incentivare, in modo particolare nelle aree a maggiore
densità del costruito, quelli di ristrutturazione edilizia di cui
all'articolo 3, comma 1, lettera d), anziché quelli di nuova costruzione”
(comma 4, lett. d-bis e comma 5). Il medesimo articolo, al comma 10,
riconosce ai comuni “nel caso di interventi su edifici esistenti il costo
di costruzione è determinato in relazione al costo degli interventi stessi,
così come individuati dal comune in base ai progetti presentati per ottenere
il permesso di costruire. Al fine di incentivare il recupero del patrimonio
edilizio esistente, per gli interventi di ristrutturazione edilizia di cui
all'articolo 3, comma 1, lettera d), i comuni hanno comunque la facoltà di
deliberare che i costi di costruzione ad essi relativi siano inferiori ai
valori determinati per le nuove costruzioni”.
Il Comune di Momo evidenzia che, con Delibera del Consiglio Comunale n.
1/2017 (cfr. doc. 5 allegato di parte resistente) ha approvato tali
riduzioni per gli interventi su patrimonio esistente (pari al 50% rispetto
alle nuove costruzioni), con esclusione di quelli di sostituzione edilizia.
Ciò premesso la difesa comunale insiste, da un lato, a giustificare
l’imposizione del contributo in ragione della tipologia di intervento
sostanzialmente assentita (sostituzione edilizia) e dall’altra ad
evidenziare l’aumento del carico urbanistico che l’intervento comporta.
6.1 Partendo da quest’ultimo profilo il Collegio ritiene innegabile che, per
gli interventi di demolizione e ricostruzione (genus all’interno del
quale rientra quello in esame), la valutazione della incidenza del carico
urbanistico sia determinante per valutare an e quantum del
contributo.
Questo Tribunale ha avuto modo di evidenziare che nel caso di interventi di
sostituzione edilizia da un lato comportino il mantenimento delle
superfici e dall’altro non comportino né mutamento di destinazione d’uso né
aumenti di volume il contributo, per la parte degli oneri di urbanizzazione,
non è dovuto in quanto non vi è induzione di maggior carico urbanistico.
“In senso analogo si è espresso il giudice d’appello, proprio in una
fattispecie di sostituzione edilizia realizzata nel comune di Torino, con la
sentenza Cons. St. sez. IV, n. 4950/2015, nella quale si legge: “il
contributo per oneri di urbanizzazione è un corrispettivo di diritto
pubblico, di natura non tributaria, posto a carico del costruttore a titolo
di partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione in proporzione
all’insieme dei benefici che la nuova costruzione ne ritrae. In effetti, gli
oneri di urbanizzazione sono dovuti se ed in quanto l’intervento edilizio
comporti un incremento della domanda di servizi nella zona coinvolta dalla
costruzione: le opere di urbanizzazione, distinte in primarie e secondarie,
si caratterizzano per essere necessarie, rispettivamente, all’utilizzo degli
edifici e alla vita di relazione degli abitanti di un territorio. Ciò posto,
se rispetto ad una zona circoscritta sono già state sostenute le spese
necessarie a fornire i suddetti servizi ai cittadini ivi residenti, un
intervento edilizio che non implichi un maggior carico urbanistico nella
medesima zona, non può determinare la necessità di una nuova spesa per
fornire i medesimi servizi già predisposti: diversamente ragionando, si
giungerebbe ad affermare la duplicazione di costi a fronte dell’unicità dei
servizi. All’opposto, se l’intervento edilizio assentito imponesse un
incremento del carico urbanistico nella zona interessata, gli oneri di
urbanizzazione dovrebbero essere versati in vista della predisposizione
degli strumenti idonei a far fronte ad un incremento di dette esigenze
urbanistiche. In sostanza, gli oneri di urbanizzazione si caratterizzano per
avere natura compensativa rispetto alle spese di cui l’amministrazione si fa
carico per rendere accessibile e pienamente utilizzabile un nuovo o
rinnovato edificio, purché vi sia una nuova destinazione, dato che non può
essere chiesto due volte il pagamento per gli stessi interventi di
sistemazione e adeguamento del contesto urbanistico. Sul punto, il Collegio
condivide il costante orientamento giurisprudenziale secondo cui “in caso di
ristrutturazione edilizia, il pagamento degli oneri di urbanizzazione è
dovuto solo nel caso in cui l’intervento abbia determinato un aumento del
carico urbanistico” (Cons. di Stato, Sez. IV, 29.04.2004, n. 2611)” (Tar
Piemonte 07/01/2020 n. 20).
“È illegittimo il provvedimento che impone il pagamento degli oneri di
urbanizzazione e di costruzione nel caso in cui il permesso di costruire ha
ad oggetto una ristrutturazione edilizia consistente nella demolizione e
ricostruzione di un preesistente edificio, che non ha comportato un aumento
del carico urbanistico, a nulla rilevando, a tal fine, la modifica di sagoma
e prospetti dell'immobile stesso” (TAR Piemonte, sez. I, 13/12/2013, n.
1346).
L’incremento dei più comuni indici edilizi (volumetria, superficie, ecc.)
così come il prospettato concreto riutilizzo di immobili disabitati da
tempo, possono lasciar presumere la variazione del carico urbanistico ma ciò
deve formare oggetto di precipua istruttoria; ciò è poi maggiormente
necessario quando l’intervento porti ad un decremento dei citati indici e ad
una sostanziale continuatività del carico insediativo.
“Il presupposto imponibile per il pagamento del contributo va dunque
ravvisato nella domanda di una maggiore dotazione di servizi (rete viaria,
fognature, ecc.) nell'area di riferimento, che sia indotta dalla
destinazione d'uso concretamente impressa all'immobile; ma poiché l'entità
degli oneri di urbanizzazione è in buona sostanza correlata alla variazione
del carico urbanistico, è ben possibile che un intervento di
ristrutturazione e mutamento di destinazione d'uso possa non comportare
l’obbligo della corresponsione del contributo nella misura in cui non
risulti aggravato il carico urbanistico. Correlativamente, è altrettanto
possibile che in caso di mutamento di destinazione di uso nell'ambito della
stessa categoria urbanistica, faccia seguito un maggior carico urbanistico
indotto dalla realizzazione di quanto assentito e siano quindi dovuti i
relativi oneri concessori (così, ancora, TAR Piemonte, questa II sez., n.
1009 del 2013, cit.; TAR Lazio, Roma, sez. II, n. 11213 del 2007).
Ne segue che, in presenza di un insediamento già in possesso di analoghe
caratteristiche funzionali, ed a fronte di un intervento edilizio che
l’abbia strutturalmente modificato (come nell’ipotesi della demolizione e
contestuale ricostruzione), l'amministrazione, per poter legittimamente
esigere il contributo per gli oneri di urbanizzazione, deve dare contezza
degli indici o, comunque, delle condizioni da cui si evince il maggior
carico urbanistico rispetto alla preesistente situazione (cfr.,
analogamente, TAR Sicilia, Catania, sez. I, n. 2249 del 2013; TAR Marche, n.
699 del 2013).
È pertanto da considerare illegittimo il provvedimento che impone il
pagamento degli oneri di urbanizzazione nel caso in cui il permesso di
costruire ha ad oggetto una ristrutturazione edilizia consistente nella
demolizione e ricostruzione di un preesistente edificio, che non ha
comportato un aumento del carico urbanistico, a nulla rilevando, a tal fine,
la modifica di sagoma e prospetti dell'immobile stesso (così questo TAR,
sez. I, sent. n. 1346 del 2013).
Proprio questa è la situazione che caratterizza la fattispecie oggetto
dell’odierno giudizio: l’edificio di nuova costruzione, derivante dalla
demolizione di quello preesistente, pur presentando nove piani fuori terra
(in luogo dei precedenti quattro), è tuttavia caratterizzato dalla medesima
volumetria e dalla stessa superficie lorda di pavimento (occupa infatti
un’area ridotta rispetto a prima), mentre –come da ultimo confermato dalla
relazione tecnica comunale– la destinazione d’uso abitativa è aumentata a
discapito di quella commerciale (e salva la necessità, in futuro, di dover
riconsiderare la fattispecie qualora dovesse essere assentita la richiesta
di variante che innalzerebbe l’edificio di un ulteriore piano)” (TAR
Piemonte, 19/12/2014, sent. n. 2033).
Nessuna delle parti ha fornito prova dello stato di conservazione degli
immobili in demolizione. Parte resistente deduce che una porzione era
disabitata da decenni, ma entrambe riconoscono in maniera pacifica che una
porzione fosse abitata sino al 2016. Dal corredo fotografico prodotto
dall’amministrazione (cfr. doc. n. 6) risulta che una consistente porzione
di fabbricato non appare collabente o priva dei connotati minimi per
individuare una civile abitazione e che, pertanto, corrisponda a quello
abitato sino al 2016. I ricorrenti, dal canto loro, evidenziano che la nuova
volumetria corrisponda a circa la metà di quella preesistente ed è pertanto
ragionevole dedurre che le valutazioni sulla variazione di carico
urbanistico non possano non tenere in considerazione tale realtà di fatto.
Lo stesso regolamento comunale definisce, all’art. 2.1, il carico
urbanistico “l'effetto prodotto dall'insediamento primario (abitazioni,
uffici, opifici, negozi) che determina domanda di strutture ed opere
collettive (opere pubbliche in genere, strade, fognature, condutture e
reti), in dipendenza del numero di persone insediate su di un determinato
territorio; le strutture e le opere collettive devono essere proporzionate
all'insediamento primario, ossia al numero degli abitanti insediati ed alle
caratteristiche dell'attività da costoro svolte, con riferimento a standard
di legge” (cfr. doc. 4 allegato si parte resistente).
L’amministrazione per giustificare l’incremento del carico urbanistico fa
leva sul fatto che il nuovo intervento, che prevede la creazione di due
nuove villette, benché di volumetria e superficie inferiore, riporterebbe la
zona ad essere concretamente abitata, a differenza di quanto avvenuto negli
ultimi anni. Orbene tale deduzione, sul piano probatorio, non è corroborata
da riscontri significativi. Ciò che è pacifico tra le parti è che almeno una
parte del complesso immobiliare sia stato abitato sino al 2016 (circa due
anni prima della presentazione della istanza di permesso), mentre per la
restante parte non sono forniti riferimenti temporali precisi. Dal tenore
degli atti istruttori, dalla relazione tecnica allegata al permesso a
costruire (doc. 6 allegato al ricorso) e dagli elementi dedotti dalle parti,
pertanto, si desume che il carico urbanistico generato dal nuovo edificio,
va a sostituire quello del vecchio immobile, senza apprezzabile soluzione di
continuità, e che nessun nuovo carico, tale da giustificare l’imposizione
degli oneri di urbanizzazione, si deve nella specie considerare prodotto.
In un caso analogo questo Tribunale ha precisato che “l’amministrazione,
nelle proprie difese, ha invece valorizzato la circostanza (indicata nella
relazione tecnica asseverata, allegata all’istanza di permesso di costruire)
che il vecchio edificio fosse da tempo disabitato ed in pessimo stato di
conservazione con conseguente “irrilevanza del precedente carico urbanistico”:
ma tale asserzione –che aveva peraltro indotto questo TAR a respingere la
domanda cautelare– risulta destituita di fondamento, posto che la ricorrente
ha successivamente allegato di aver concesso in locazione gli appartamenti
del vecchio edificio fino a pochi anni prima rispetto alla richiesta di
realizzazione dell’intervento di sostituzione edilizia e che “i contratti
di affitto [...] sono andati ad esaurimento in ragione di tale programmata
attività” (TAR Piemonte, 19/12/2014, sent. n. 2033).
6.2 Anche il primo ordine di argomentazioni utilizzato dall’amministrazione
per giustificare l’addebito degli oneri di urbanizzazione, che fa leva sulla
tipologia di intervento (sostituzione edilizia), non persuade.
Richiamando la giurisprudenza già citata e che evidenzia come anche per
interventi di sostituzione edilizia l’analisi dell’induzione di domanda di
carico urbanistico debba comunque essere svolta, si evidenzia che per
giurisprudenza costante tale automatismo non vale per gli interventi di demolizione e ricostruzione. “Non vi è contestazione tra le parti sulle
circostanze di fatto; è dunque pacifico che l’edificio oggetto di
ricostruzione è crollato accidentalmente e che la ricostruzione non ha
modificato né la volumetria né la destinazione d’uso. Parte resistente
propone una lettura letterale della normativa applicabile, senza tuttavia
valorizzare quella che in giurisprudenza viene pacificamente individuata
quale ratio fondamentale e giustificatrice della corresponsione degli oneri
di urbanizzazione, ossia il carico urbanistico, con connessa esigenza di
realizzazione di opere di urbanizzazione primaria e secondaria. Se pure
suddetta ratio giustificatrice non trasforma l’onere in una imposta di scopo
(non vi è la necessità che gli oneri di urbanizzazione incassati in una
determinata area siano devoluti alle opere di urbanizzazione ivi realizzate
e/o necessarie) né il rapporto tra carico urbanistico ed oneri di
urbanizzazione è rigoroso al punto da non ammettere la modulazione degli
oneri stessi anche in funzione di diverse finalità (ad esempio scoraggiare
l’espansione in determinate aree ovvero incentivarla in altre), la
giustificazione sostanziale di tale forma di imposizione resta il carico
urbanistico ingenerato da un nuovo insediamento o da un mutamento di
destinazione d’uso. Per la fisiologica connessione tra aumento del carico
urbanistico e oneri di urbanizzazione, ex pluribus, si veda Cons. St., sez.
IV, n. 1187/2018)” (TAR Piemonte, sez. II, 21/05/2018 n. 630).
6.3 Così stando le cose è ragionevole dedurre che, nel particolarissimo caso
di specie, non vi sia aumento del carico urbanistico. Ciò, come si è detto,
è desumibile dal combinato di più elementi: il decremento di tutti gli
parametri edilizi (volumetria, superficie, mantenimento della destinazione
residenziale); il ragionevole minor potenziale carico antropico rispetto al
recente passato (riduzione del numero di unità residenziali da otto a due);
l’assenza di alcuna motivazione o argomentazione che lasci anche solo
presumere che l’intervento esprima, anche a livello potenziale, un
incremento della domanda di servizi che vada a gravare sul complesso
infrastrutturale su cui l’area ricade.
È indicativo, peraltro, che la stessa amministrazione resistente, nelle
proprie memorie, giunga e riconoscere, benché in via subordinata, la
possibilità che per la parte degli oneri di urbanizzazione, possa
effettivamente giungersi a conclusioni differenti, in ragione di una lettura
più sostanzialista dell’incidenza sul carico urbanistico, circa la relativa
debenza.
La stessa giurisprudenza citata nelle memorie dell’amministrazione
resistente, peraltro, ha avuto modo di precisare che “ai fini
dell'insorgenza dell'obbligo di corresponsione degli oneri concessori, è
rilevante il verificarsi di un maggior carico urbanistico quale effetto
dell'intervento edilizio, sicché non è neanche necessario che la
ristrutturazione interessi globalmente l'edificio, ma basta che ne risulti
comunque mutata la realtà strutturale e la fruibilità urbanistica, con oneri
conseguentemente riferiti all'oggettiva rivalutazione dell'immobile e
funzionali a sopportare l'aggiuntivo carico socio-economico che l'attività
edilizia comporta, anche quando l'incremento dell'impatto sul territorio
consegua solo a marginali lavori.” (Cons. Stato, II, 19.04.2019, n.
2561).
Si aggiunga, infine, che non costituisce ostacolo alla conferma di tale
linea interpretativa quanto previsto nella citata Deliberazione n. 1/2017
che disciplina una serie di incentivi per gli interventi sul patrimonio
edilizio esistente (con riduzioni sui contributi, inclusi gli oneri di
urbanizzazione, ad eccezione degli interventi di sostituzione edilizia,
quale quello in commento), poiché ciò che si discute non è l’assoggettamento
dell’intervento alla scontistica sperimentalmente approvata, quanto il
ricorrere del presupposto stesso dell’applicazione della quota degli oneri
di urbanizzazione (al di là della formale qualificazione dell’intervento).
Da quanto precede, pertanto, occorre concludere che la richiesta del
contributo di costruzione, per la quota parte relativa agli oneri di
urbanizzazione, è stata illegittimamente computata in capo ai ricorrenti e dev’essere, pertanto, restituita.
7. A diverse conclusioni, invece, si giunge con riferimento alla componente
relativa al costo di costruzione.
Nel caso di specie, non vi è dubbio che
dall'intervento realizzato derivi un concreto e significativo aumento di
valore della proprietà immobiliare la quale, da edificio sostanzialmente
inabitabile, è diventa una palazzina bifamiliare di pregio, come emerge
dalla relazione tecnica depositata.
Questo Tribunale ha già avuto modo di precisare che “riguardo alla
differenza tra oneri di urbanizzazione e costi di costruzione si ritiene che
i primi espletino la funzione di compensare la collettività per il nuovo
ulteriore carico urbanistico che si riversa sulla zona a causa della
consentita attività edificatoria, mentre i secondi si configurino quale
compartecipazione comunale all'incremento di valore della proprietà
immobiliare del costruttore (TAR Piemonte, n. 630/2018)” (TAR Piemonte,
25/11/2020, n. 769). “Riguardo alla differenza tra oneri di
urbanizzazione e costi di costruzione, la giurisprudenza concordemente
ritiene che i primi espletino la funzione di compensare la collettività per
il nuovo ulteriore carico urbanistico che si riversa sulla zona a causa
della consentita attività edificatoria, mentre i secondi si configurino
quale compartecipazione comunale all'incremento di valore della proprietà
immobiliare del costruttore” (TAR Piemonte sez. II, 21/05/2018 n. 630,
conforme Cons. St., sez. IV, n. 2915/2016).
Questa componente del contributo, pertanto, essendo non direttamente
connessa con il presupposto della modifica del carico urbanistico o con la
domanda di servizi, ma afferendo direttamente all’incremento del pregio e
del valore della proprietà e quindi con la pura manifestazione dello ius
aedificandi, viene correttamente ancorata dall’amministrazione comunale
alla qualificazione formale dell’intervento di sostituzione edilizia
mediante permesso a costruire, in grado di apportare una trasformazione
urbana significativa ed evidente. Risultano pertanto neutri, a tali scopi, i
parametri evidenziati da parte ricorrente circa il decremento dei volumi,
delle superfici e delle unità immobiliari, essendo pacifico che trattasi
comunque di ricostruzione di corpi di fabbrica con diversa sagoma e che solo
in minima parte mantengono le componenti preesistenti.
Per tali ragioni il contributo risulta legittimamente richiesto ed applicato
per la parte relativa ai costi di costruzione.
8. Il ricorso, nel suo complesso, risulta parzialmente fondato limitatamente
all’accertamento della non debenza della quota degli oneri di urbanizzazione
nella qualificazione e quantificazione del contributo di costruzione,
richiesto e versato dalla ricorrente e, per l’effetto: la nota impugnata è
illegittima e viene annullata nella parte in cui prevede l’inclusione di
tale voce nel contributo di costruzione; il Comune di Momo è condannato a
restituire la somma di euro 10.804,00.
Quanto agli interessi la relativa decorrenza deve essere individuata nel
giorno della domanda e non in quello del pagamento (trattandosi di
percezione di indebito intervenuta in buona fede, che si presume). Non può
essere riconosciuta la rivalutazione monetaria, non avendo parte ricorrente
dimostrato un maggior danno che resterebbe non compensato dalla
corresponsione degli interessi (TAR
Piemonte, Sez. II,
sentenza 04.05.2021 n. 457 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
aprile 2021 |
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EDILIZIA PRIVATA: Il TAR ha ritenuto che l’operazione effettuata dal ricorrente
rappresenta un intervento di restauro risanamento conservativo e non
una ristrutturazione edilizia; tuttavia siffatta qualificazione non è
sufficiente per qualificare l’intervento sotto il profilo oneroso o
gratuito, poiché è necessario considerare anche l’aspetto funzionale dello
stesso.
In particolare, nel caso di specie
l’intervento di restauro ha comportato una profonda modificazione
dell’immobile, cambiandone la destinazione da esclusivamente terziaria e unifunzionale (ufficio bancario) a mista e polifunzionale (banca, uffici e
appartamenti); ne è seguito altresì un frazionamento dell’edificio con un
notevole aumento di unità immobiliari [da quattro (di cui n. 1 D/5 e n. 3 A/10 e
n. 1
A/2) a venti (di cui n. 1 D/5, n. 9 A/10, n. 6 A/2 e quattro beni comuni non
censibili)].
La tesi ermeneutica del Tar è in linea con la prevalente giurisprudenza del
Consiglio di Stato, atteso
peraltro che nel caso di specie vi è stato un cambio di destinazione e un
notevole aumento dei locali. In particolare è stato precisato che:
- “In caso di ristrutturazione edilizia, il pagamento degli
oneri di urbanizzazione è dovuto solo nel caso in cui l’intervento abbia
determinato un aumento del carico urbanistico, nella misura in cui
unicamente in tale ipotesi deriva un incremento della domanda di servizi
nella zona”;
- “Mentre la quota del contributo di costruzione commisurata al
costo di costruzione risulta ontologicamente connessa alla tipologia e
all’entità (superficie e volumetria) dell’intervento edilizio e assolve alla
funzione di permettere all’amministrazione comunale il recupero delle spese
sostenute dalla collettività di riferimento per la trasformazione del
territorio consentita al privato istante, la quota del contributo di
costruzione commisurata agli oneri di urbanizzazione assolve alla
prioritaria funzione di compensare la collettività per il nuovo ulteriore
carico urbanistico che si riversa sulla zona, con la precisazione che per
aumento del carico urbanistico deve intendersi tanto la necessità di dotare
l’area di nuove opere di urbanizzazione, quanto l’esigenza di utilizzare più
intensamente quelle già esistenti”;
- “Il mutamento di destinazione d’uso di un immobile da
produttiva a ricreativa (nella specie da officina a sala giochi), deve
considerarsi attuato tra distinte categorie funzionali e comporta variazione
del carico urbanistico, con conseguente mutamento degli standard che è
sufficiente a giustificare la richiesta di contributo per oneri di
urbanizzazione”;
- “In base al generale principio di correlare gli oneri di
urbanizzazione al carico urbanistico, tale carico sussiste anche in caso di
divisione e frazionamento di immobile che da uno si trasforma in due unità.
Pertanto è rilevante il verificarsi di un maggior carico urbanistico quale
effetto dell’intervento edilizio, sicché è sufficiente che risulti comunque
mutata la realtà strutturale e la fruibilità urbanistica, con oneri riferiti
all’oggettiva rivalutazione dell’immobile e funzionali a sopportare
l’aggiuntivo carico socio-economico che l’attività edilizia comporta, anche
quando l’incremento dell’impatto sul territorio consegua solo a lavori
dovuti a una divisione dell’immobile in due unità o fra due o più
proprietari”;
- “Sulla base del generale principio di correlare gli oneri di
urbanizzazione al carico urbanistico, la ristrutturazione edilizia comporta
il pagamento di detti oneri allorché l’intervento abbia determinato un
aumento del carico urbanistico -e considerato che il carico urbanistico
sussiste anche allorquando l’intervento di ristrutturazione comporti la
divisione ed il frazionamento di un immobile, conseguenti ad una scissione
societaria per essere l’edificio adibito ad attività di impresa di due
distinti soggetti, con l’apertura di due nuovi ingressi, per due distinte
unità abitative- deve ritenersi che anche in tal caso si realizza un aumento
dell’impatto sul territorio e sono pertanto dovuti i predetti oneri”.
---------------
10. Tramite il secondo motivo l’appellante ha sostenuto che le opere
di restauro e risanamento non possono essere sottoposte a contributi
concessori.
Questa censura è infondata.
In proposito si evidenzia che il Tar ha ritenuto che l’operazione effettuata
dall’interessato rappresenti un intervento di restauro risanamento
conservativo e non una ristrutturazione edilizia, tuttavia ha affermato che
siffatta qualificazione non è sufficiente per qualificare l’intervento sotto
il profilo oneroso o gratuito, poiché è necessario considerare anche
l’aspetto funzionale dello stesso.
In particolare, nel caso di specie
l’intervento di restauro ha comportato una profonda modificazione
dell’immobile, cambiandone la destinazione da esclusivamente terziaria e unifunzionale (ufficio bancario) a mista e polifunzionale (banca, uffici e
appartamenti); ne è seguito altresì un frazionamento dell’edificio con un
notevole aumento di unità immobiliari da quattro (di cui 1 D/5 e 3 A/10 e 1
A/2) a venti (di cui 1 D/5, 9 A/10, 6 A/2 e quattro beni comuni non
censibili).
La tesi ermeneutica del Tar è in linea con la prevalente giurisprudenza del
Consiglio di Stato, da cui il Collegio non intende discostarsi, atteso
peraltro che nel caso di specie vi è stato un cambio di destinazione e un
notevole aumento dei locali. In particolare è stato precisato che:
- “In caso di ristrutturazione edilizia, il pagamento degli
oneri di urbanizzazione è dovuto solo nel caso in cui l’intervento abbia
determinato un aumento del carico urbanistico, nella misura in cui
unicamente in tale ipotesi deriva un incremento della domanda di servizi
nella zona” (Consiglio di Stato, sezione IV, 29/10/2015, n. 4950);
- “Mentre la quota del contributo di costruzione commisurata al
costo di costruzione risulta ontologicamente connessa alla tipologia e
all’entità (superficie e volumetria) dell’intervento edilizio e assolve alla
funzione di permettere all’amministrazione comunale il recupero delle spese
sostenute dalla collettività di riferimento per la trasformazione del
territorio consentita al privato istante, la quota del contributo di
costruzione commisurata agli oneri di urbanizzazione assolve alla
prioritaria funzione di compensare la collettività per il nuovo ulteriore
carico urbanistico che si riversa sulla zona, con la precisazione che per
aumento del carico urbanistico deve intendersi tanto la necessità di dotare
l’area di nuove opere di urbanizzazione, quanto l’esigenza di utilizzare più
intensamente quelle già esistenti” (Consiglio di Stato, sezione VI,
02/07/2015, n. 3298);
- “Il mutamento di destinazione d’uso di un immobile da
produttiva a ricreativa (nella specie da officina a sala giochi), deve
considerarsi attuato tra distinte categorie funzionali e comporta variazione
del carico urbanistico, con conseguente mutamento degli standard che è
sufficiente a giustificare la richiesta di contributo per oneri di
urbanizzazione” (Consiglio di Stato, sezione V, 30/08/2013, n. 4326);
- “In base al generale principio di correlare gli oneri di
urbanizzazione al carico urbanistico, tale carico sussiste anche in caso di
divisione e frazionamento di immobile che da uno si trasforma in due unità.
Pertanto è rilevante il verificarsi di un maggior carico urbanistico quale
effetto dell’intervento edilizio, sicché è sufficiente che risulti comunque
mutata la realtà strutturale e la fruibilità urbanistica, con oneri riferiti
all’oggettiva rivalutazione dell’immobile e funzionali a sopportare
l’aggiuntivo carico socio-economico che l’attività edilizia comporta, anche
quando l’incremento dell’impatto sul territorio consegua solo a lavori
dovuti a una divisione dell’immobile in due unità o fra due o più
proprietari” (Consiglio di Stato, sezione IV, 17/05/2012, n. 2838);
- “Sulla base del generale principio di correlare gli oneri di
urbanizzazione al carico urbanistico, la ristrutturazione edilizia comporta
il pagamento di detti oneri allorché l’intervento abbia determinato un
aumento del carico urbanistico -e considerato che il carico urbanistico
sussiste anche allorquando l’intervento di ristrutturazione comporti la
divisione ed il frazionamento di un immobile, conseguenti ad una scissione
societaria per essere l’edificio adibito ad attività di impresa di due
distinti soggetti, con l’apertura di due nuovi ingressi, per due distinte
unità abitative- deve ritenersi che anche in tal caso si realizza un aumento
dell’impatto sul territorio e sono pertanto dovuti i predetti oneri”
(Consiglio di Stato, sezione IV, 29/04/2004, n. 2611)
(Consiglio di Stato, Sez. II,
sentenza 12.04.2021 n. 2956 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
In linea generale va ricordato che il
contributo di costruzione dovuto dal soggetto che intraprende un’iniziativa
edificatoria rappresenta una compartecipazione del privato alla spesa
pubblica occorrente alla realizzazione delle opere di urbanizzazione che
hanno spesso portata più ampia rispetto a quelle strettamente necessarie a
urbanizzare il nuovo insediamento edilizio.
Per tale motivo quand’anche risultino trasfuse in apposita convenzione
urbanistica, le prestazioni da adempiere da parte dell’amministrazione
comunale e del privato intestatario del titolo edilizio non sono tra loro in
posizione sinallagmatica, con la conseguenza che rientrano nel novero delle
prestazioni patrimoniali imposte di cui all’art. 23 Cost..
In secondo luogo va osservato che il rilascio del titolo edilizio si
configura come fatto di per sé costitutivo dell’obbligo giuridico di
corrispondere il relativo contributo per oneri di urbanizzazione, ossia per
gli oneri affrontati dall’ente locale per le opere indispensabili affinchè
l’area acquisti attitudine al recepimento dell’insediamento assentito e per
le quali l’area acquista un beneficio economicamente rilevante, da
calcolarsi secondo i parametri vigenti prescindendo totalmente o meno dalle
singole opere di urbanizzazione, venendo altresì determinato
indipendentemente sia dall'utilità che il concessionario ritrae dal titolo
edificatorio, sia dalle spese effettivamente occorrenti per realizzare dette
opere.
Orbene, sulla base di tali premesse è necessario affermare che il contributo
di costruzione ha carattere generale, prescinde totalmente dalle singole
opere di urbanizzazione, viene altresì determinato indipendentemente sia
dall'utilità che il concessionario ritrae dal titolo edificatorio, sia dalle
spese effettivamente occorrenti per realizzare dette opere.
Inoltre va altresì sottolineato che, attesa la natura non sinallagmatica e
il regime interamente pubblicistico che connota il contributo de quo, la sua
disciplina vincola anche il giudice, al quale è impedito di configurare
autonomamente ipotesi di non debenza della specifica prestazione
patrimoniale diverse da quelle autoritativamente individuate dal
legislatore.
Pertanto (…) l’esistenza della convenzione e la presenza delle opere di
urbanizzazione non possono fondatamente essere invocate per sostenere che
non è dovuto il pagamento del contributo di costruzione.
---------------
Non v’è, infatti, un’esatta sovrapponibilità del fondamento causale
dell’obbligo che il privato assume alla realizzazione delle opere di
urbanizzazione e l’obbligo alla corresponsione del contributo di
costruzione.
Com’è stato chiaramente affermato, “In linea generale va ricordato che il
contributo di costruzione dovuto dal soggetto che intraprende un’iniziativa
edificatoria rappresenta una compartecipazione del privato alla spesa
pubblica occorrente alla realizzazione delle opere di urbanizzazione che
hanno spesso portata più ampia rispetto a quelle strettamente necessarie a
urbanizzare il nuovo insediamento edilizio.
Per tale motivo quand’anche risultino trasfuse in apposita convenzione
urbanistica, le prestazioni da adempiere da parte dell’amministrazione
comunale e del privato intestatario del titolo edilizio non sono tra loro in
posizione sinallagmatica, con la conseguenza che rientrano nel novero delle
prestazioni patrimoniali imposte di cui all’art. 23 Cost. (cfr. Consiglio di
Stato, Ad. Plen., 07.12.2016, n. 24; id. 30.08.2018, n. 12).
In secondo luogo va osservato che il rilascio del titolo edilizio si
configura come fatto di per sé costitutivo dell’obbligo giuridico di
corrispondere il relativo contributo per oneri di urbanizzazione, ossia per
gli oneri affrontati dall’ente locale per le opere indispensabili affinchè
l’area acquisti attitudine al recepimento dell’insediamento assentito e per
le quali l’area acquista un beneficio economicamente rilevante, da
calcolarsi secondo i parametri vigenti prescindendo totalmente o meno dalle
singole opere di urbanizzazione, venendo altresì determinato
indipendentemente sia dall'utilità che il concessionario ritrae dal titolo
edificatorio, sia dalle spese effettivamente occorrenti per realizzare dette
opere (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 22.02.2011, n. 1108; Consiglio
di Stato, Sez. IV, 24.12.2009, n. 8757; Consiglio di Stato, Sez. V, 23.01.2006, n. 159; id. 21.04.2006, n. 2258; Cons. Stato V, 15.12.2005, n. 7140;
06.05.1997, n. 462).
Orbene, sulla base di tali premesse è necessario affermare che il contributo
di costruzione ha carattere generale, prescinde totalmente dalle singole
opere di urbanizzazione, viene altresì determinato indipendentemente sia
dall'utilità che il concessionario ritrae dal titolo edificatorio, sia dalle
spese effettivamente occorrenti per realizzare dette opere.
Inoltre va altresì sottolineato che, attesa la natura non sinallagmatica e
il regime interamente pubblicistico che connota il contributo de quo, la sua
disciplina vincola anche il giudice, al quale è impedito di configurare
autonomamente ipotesi di non debenza della specifica prestazione
patrimoniale diverse da quelle autoritativamente individuate dal legislatore
(cfr. Tar Marche, Ancona, Sez. I, 30.12.2017, n. 954).
Pertanto (…) l’esistenza della convenzione e la presenza delle opere di
urbanizzazione non possono fondatamente essere invocate per sostenere che
non è dovuto il pagamento del contributo di costruzione.” (TAR Veneto
sez. II - Venezia, 15/07/2019, n. 835)
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 08.04.2021 n. 458 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
marzo 2021 |
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EDILIZIA PRIVATA: La maggioritaria giurisprudenza, da tempo,
si è evoluta nel senso di ritenere che gli oneri di urbanizzazione sono
dovuti (in ipotesi anche per il mero mutamento di destinazione d’uso senza
opere) allorquando un intervento determini un maggiore carico urbanistico.
Altresì, «il
contributo per oneri di urbanizzazione è un corrispettivo di diritto
pubblico, di natura non tributaria, posto a carico del costruttore a titolo
di partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione in proporzione
all’insieme dei benefici che la nuova costruzione ne ritrae. In effetti, gli
oneri di urbanizzazione sono dovuti se ed in quanto l’intervento edilizio
comporti un incremento della domanda di servizi nella zona coinvolta dalla
costruzione: le opere di urbanizzazione, distinte in primarie e secondarie,
si caratterizzano per essere necessarie, rispettivamente, all’utilizzo degli
edifici e alla vita di relazione degli abitanti di un territorio.
Ciò posto,
se rispetto ad una zona circoscritta sono già state sostenute le spese
necessarie a fornire i suddetti servizi ai cittadini ivi residenti, un
intervento edilizio che non implichi un maggior carico urbanistico nella
medesima zona, non può determinare la necessità di una nuova spesa per
fornire i medesimi servizi già predisposti: diversamente ragionando, si
giungerebbe ad affermare la duplicazione di costi a fronte dell’unicità dei
servizi.
All’opposto, se l’intervento edilizio assentito imponesse un
incremento del carico urbanistico nella zona interessata, gli oneri di
urbanizzazione dovrebbero essere versati in vista della predisposizione
degli strumenti idonei a far fronte ad un incremento di dette esigenze
urbanistiche. In sostanza, gli oneri di urbanizzazione si caratterizzano per
avere natura compensativa rispetto alle spese di cui l’amministrazione si fa
carico per rendere accessibile e pienamente utilizzabile un nuovo o
rinnovato edificio, purché vi sia una nuova destinazione, dato che non può
essere chiesto due volte il pagamento per gli stessi interventi di
sistemazione e adeguamento del contesto urbanistico.
Sul punto, il Collegio
condivide il costante orientamento giurisprudenziale secondo cui “in caso di
ristrutturazione edilizia, il pagamento degli oneri di urbanizzazione è
dovuto solo nel caso in cui l’intervento abbia determinato un aumento del
carico urbanistico"».
---------------
Il ricorso risulta parzialmente fondato.
Deve premettersi che è pacifico tra le parti che l’intervento assentito è
stato un intervento di ristrutturazione, nella forma della
demo-ricostruzione con ampliamento; è ugualmente pacifico che non vi siano
stati cambi di destinazione d’uso in quanto, già in precedenza, il complesso
ospitava un’area produttiva, un’area uffici ed un alloggio del custode,
ciascuna delle quali ha subito ampliamenti. E’ ugualmente pacifico che il
calcolo degli oneri di urbanizzazione è stato effettuato dal comune in
relazione all’intero edificio, ivi compresa la parte realizzata in
sostituzione delle preesistenti strutture.
La maggioritaria giurisprudenza, per contro, da tempo si è evoluta nel senso
di ritenere che gli oneri di urbanizzazione sono dovuti (in ipotesi anche
per il mero mutamento di destinazione d’uso senza opere) allorquando un
intervento determini un maggiore carico urbanistico (in tal senso ex
pluribus Tar Piemonte, sez. I, n. 630/2018; Tar Brescia n. 449/2018).
In senso analogo si è espresso il giudice d’appello, proprio in una
fattispecie di sostituzione edilizia realizzata nel comune di Torino, con la
sentenza Cons. St. sez. IV, n. 4950/2015, nella quale si legge: “il
contributo per oneri di urbanizzazione è un corrispettivo di diritto
pubblico, di natura non tributaria, posto a carico del costruttore a titolo
di partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione in proporzione
all’insieme dei benefici che la nuova costruzione ne ritrae. In effetti, gli
oneri di urbanizzazione sono dovuti se ed in quanto l’intervento edilizio
comporti un incremento della domanda di servizi nella zona coinvolta dalla
costruzione: le opere di urbanizzazione, distinte in primarie e secondarie,
si caratterizzano per essere necessarie, rispettivamente, all’utilizzo degli
edifici e alla vita di relazione degli abitanti di un territorio. Ciò posto,
se rispetto ad una zona circoscritta sono già state sostenute le spese
necessarie a fornire i suddetti servizi ai cittadini ivi residenti, un
intervento edilizio che non implichi un maggior carico urbanistico nella
medesima zona, non può determinare la necessità di una nuova spesa per
fornire i medesimi servizi già predisposti: diversamente ragionando, si
giungerebbe ad affermare la duplicazione di costi a fronte dell’unicità dei
servizi. All’opposto, se l’intervento edilizio assentito imponesse un
incremento del carico urbanistico nella zona interessata, gli oneri di
urbanizzazione dovrebbero essere versati in vista della predisposizione
degli strumenti idonei a far fronte ad un incremento di dette esigenze
urbanistiche. In sostanza, gli oneri di urbanizzazione si caratterizzano per
avere natura compensativa rispetto alle spese di cui l’amministrazione si fa
carico per rendere accessibile e pienamente utilizzabile un nuovo o
rinnovato edificio, purché vi sia una nuova destinazione, dato che non può
essere chiesto due volte il pagamento per gli stessi interventi di
sistemazione e adeguamento del contesto urbanistico. Sul punto, il Collegio
condivide il costante orientamento giurisprudenziale secondo cui “in caso di
ristrutturazione edilizia, il pagamento degli oneri di urbanizzazione è
dovuto solo nel caso in cui l’intervento abbia determinato un aumento del
carico urbanistico” (Cons. di Stato, Sez. IV, 29.04.2004, n. 2611).”.
Condividendosi i principi sopra affermati ne consegue che, per la quota
parte di edificio che trova corrispondenza nella pregressa SUL, non si è
realizzato alcun aumento di carico urbanistico e non sono dovuti, come in
effetti lamentato in ricorso, gli oneri di urbanizzazione
(TAR Piemonte, Sez. II,
sentenza 01.03.2021 n. 213 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
febbraio 2021 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Il Collegio, richiamando quanto già espresso in ordine alla
rilevanza sul piano giuridico del mutamento di destinazione d’uso, osserva
che, secondo la costante giurisprudenza:
a) “in caso di ristrutturazione edilizia, il pagamento degli
oneri di urbanizzazione è dovuto solo nel caso in cui l’intervento abbia
determinato un aumento del carico urbanistico”;
b) “la variazione della misura del contributo di costruzione è
legittimamente imposta anche in presenza di una trasformazione edilizia che,
indipendentemente dall’esecuzione fisica di opere, si rivela produttiva di
vantaggi economici ad essa connessi, situazione che si verifica per il
mutamento di destinazione o, comunque, per ogni variazione anche di semplice
uso che comporti un passaggio tra due categorie funzionalmente autonome dal
punto di vista urbanistico”;
c) invero, il pagamento degli oneri di urbanizzazione è connesso
all’aumento del carico urbanistico determinato dal nuovo intervento, nella
misura in cui da ciò deriva un incremento della domanda di servizi nella
zona coinvolta dalla costruzione; del resto, gli oneri di urbanizzazione si
caratterizzano per avere natura compensativa rispetto alle spese di cui
l’amministrazione si fa carico per rendere accessibile e pienamente
utilizzabile un nuovo o rinnovato edificio, purché vi sia una nuova
destinazione, dato che non può essere chiesto due volte il pagamento per gli
stessi interventi di sistemazione e adeguamento del contesto urbanistico.
Del resto, tale orientamento non può dirsi superato con l’entrata in
vigore dell’art. 23-ter del d.P.R. n. 380/2001, non risultando dal combinato
disposto di tale norma con quella di cui all’art. 16 del medesimo d.P.R.
alcuna esenzione (ancorché parziale) per l’ipotesi che interessa, potendo
osservarsi in particolare che:
a) l’articolo 23-ter attiene unicamente alla definizione dei
mutamenti di destinazione d’uso urbanisticamente rilevanti, nulla disponendo
in ordine al regime degli oneri concessori;
b) nemmeno l’articolo 16, laddove con specifico riferimento ai
costi di costruzione li rapporta ai costi delle opere edili, afferma
alcunché sulla sua applicabilità o meno ai mutamenti di destinazione d’uso;
c) così come il successivo articolo 17, che elenca i casi tassativi
di esonero totale o parziale dagli oneri concessori, non vi ricomprende i
mutamenti di destinazione d’uso senza opere.
Alla luce di tali considerazioni, il Collegio ritiene che gli oneri di
urbanizzazione sono dovuti solo se l’intervento edilizio comporti un
incremento della domanda di servizi nella zona coinvolta dalla costruzione,
atteso che le opere di urbanizzazione, sia primarie che secondarie, si
caratterizzano per essere necessarie, rispettivamente, all’utilizzo degli
edifici e alla vita di relazione degli abitanti di un territorio.
Ne consegue che se, come nel caso di specie, rispetto ad una zona
circoscritta sono già state sostenute le spese necessarie a fornire i
suddetti servizi ai cittadini ivi residenti, un intervento edilizio che
implichi un maggior carico urbanistico nella medesima zona, come quello
derivante dal mutamento di destinazione d’uso da “terziario” a “residenziale”,
determina la necessità di una nuova spesa per fornire ulteriori servizi per
far fronte ad un incremento delle connesse esigenze urbanistiche.
Risulta pertanto legittima la richiesta di versamento di tali ulteriori
oneri di urbanizzazione in vista della predisposizione degli strumenti
idonei, nella misura differenziale rispetto a quanto già in precedenza
corrisposto per la realizzazione dell’edificio a destinazione terziaria.
---------------
7. Con un secondo motivo di appello il Comune di Bari censura
l’impugnata sentenza laddove ha affermato la non debenza del contributo di
costruzione per la fattispecie in esame, senza considerare che, alla stregua
della normativa applicabile, il passaggio di destinazione d’uso da “terziario
direzionale” a “residenziale”, essendo queste categorie non
omogenee, è un cambio di destinazione d’uso di tipo rilevante,
indipendentemente dall’esecuzione di opere edilizie, e quindi deve essere
subordinato al pagamento del contributo di costruzione ex art. 16 d.P.R. n.
380/2001.
7.1. La censura è fondata.
7.2. Il Collegio, al riguardo, richiamando quanto già espresso in ordine
alla rilevanza sul piano giuridico del mutamento di destinazione d’uso,
osserva che, secondo la costante giurisprudenza:
a) “in caso di ristrutturazione edilizia, il pagamento degli
oneri di urbanizzazione è dovuto solo nel caso in cui l’intervento abbia
determinato un aumento del carico urbanistico” (Cons. di Stato, Sez. IV,
29.04.2004, n. 2611);
b) “la variazione della misura del contributo di costruzione è
legittimamente imposta anche in presenza di una trasformazione edilizia che,
indipendentemente dall’esecuzione fisica di opere, si rivela produttiva di
vantaggi economici ad essa connessi, situazione che si verifica per il
mutamento di destinazione o, comunque, per ogni variazione anche di semplice
uso che comporti un passaggio tra due categorie funzionalmente autonome dal
punto di vista urbanistico” (Cons. Stato, Sez. IV, 15.09.2015, n. 4296;
Sez. IV, 03.09.2014, n. 4483);
c) invero, il pagamento degli oneri di urbanizzazione è connesso
all’aumento del carico urbanistico determinato dal nuovo intervento, nella
misura in cui da ciò deriva un incremento della domanda di servizi nella
zona coinvolta dalla costruzione; del resto, gli oneri di urbanizzazione si
caratterizzano per avere natura compensativa rispetto alle spese di cui
l’amministrazione si fa carico per rendere accessibile e pienamente
utilizzabile un nuovo o rinnovato edificio, purché vi sia una nuova
destinazione, dato che non può essere chiesto due volte il pagamento per gli
stessi interventi di sistemazione e adeguamento del contesto urbanistico (Cons.
Stato, Sez. IV, 29.10.2015, n. 4950).
7.3. Del resto, tale orientamento non può dirsi superato con l’entrata in
vigore dell’art. 23-ter del d.P.R. n. 380/2001, non risultando dal combinato
disposto di tale norma con quella di cui all’art. 16 del medesimo d.P.R.
alcuna esenzione (ancorché parziale) per l’ipotesi che interessa, potendo
osservarsi in particolare che:
a) l’articolo 23-ter attiene unicamente alla definizione dei
mutamenti di destinazione d’uso urbanisticamente rilevanti, nulla disponendo
in ordine al regime degli oneri concessori;
b) nemmeno l’articolo 16, laddove con specifico riferimento ai
costi di costruzione li rapporta ai costi delle opere edili, afferma
alcunché sulla sua applicabilità o meno ai mutamenti di destinazione d’uso;
c) così come il successivo articolo 17, che elenca i casi tassativi
di esonero totale o parziale dagli oneri concessori, non vi ricomprende i
mutamenti di destinazione d’uso senza opere.
7.4. Alla luce di tali considerazioni, il Collegio ritiene che gli oneri di
urbanizzazione sono dovuti solo se l’intervento edilizio comporti un
incremento della domanda di servizi nella zona coinvolta dalla costruzione,
atteso che le opere di urbanizzazione, sia primarie che secondarie, si
caratterizzano per essere necessarie, rispettivamente, all’utilizzo degli
edifici e alla vita di relazione degli abitanti di un territorio.
Ne consegue che, se, come nel caso di specie, rispetto ad una zona
circoscritta sono già state sostenute le spese necessarie a fornire i
suddetti servizi ai cittadini ivi residenti, un intervento edilizio che
implichi un maggior carico urbanistico nella medesima zona, come quello
derivante dal mutamento di destinazione d’uso da “terziario” a “residenziale”,
determina la necessità di una nuova spesa per fornire ulteriori servizi per
far fronte ad un incremento delle connesse esigenze urbanistiche.
Risulta pertanto legittima la richiesta di versamento di tali ulteriori
oneri di urbanizzazione in vista della predisposizione degli strumenti
idonei, nella misura differenziale rispetto a quanto già in precedenza
corrisposto per la realizzazione dell’edificio a destinazione terziaria.
7.5. In conclusione, essendo rilevante il mutamento di destinazione da
terziario a residenziale, e comportando ciò un aumento del carico
urbanistico, è legittima la richiesta di pagamento del corrispondente costo
di costruzione aggiuntivo
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 23.02.2021 n. 1590 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il parametro per la determinazione degli oneri di
urbanizzazione va riferito al criterio della destinazione
urbanistica della zona e non alla concreta destinazione
d’uso dell’immobile, in quanto, diversamente opinando, il
quantum dovuto all’amministrazione verrebbe modificato in
base ad un comportamento del privato, peraltro integrante un
abuso edilizio, seppur successivamente sanato, ed essendo,
inoltre, congruo che una medesima opera, ancorché abusiva,
sia chiamata a contribuire in modo diverso a seconda della
zona in cui ricade, differente essendo la dotazione delle
opere di urbanizzazione primaria e secondaria delle varie
zone.
---------------
... per la
riforma:
quanto al ricorso n. 8185 del 2010:
- della
sentenza 05.05.2010 n. 1734 del Tribunale
Amministrativo Regionale per la Puglia, sede di Bari
(sezione seconda), resa tra le parti;
quanto al ricorso n. 8186 del 2010:
- della
sentenza 05.05.2010 n. 1735 del Tribunale
Amministrativo Regionale per la Puglia, sede di Bari
(sezione seconda), resa tra le parti.
...
19. – Venendo alle critiche rivolte alla sentenza di primo
grado con riferimento alle questioni concernenti la
quantificazione degli oneri concessori, il Comune contesta,
anzitutto, l’assunto che l’amministrazione avrebbe dovuto
tener conto della destinazione in concreto attuata dal
manufatto e non della destinazione di zona impressa all’area
in questione dallo strumento urbanistico.
Il motivo è fondato.
Meritevole di adesione, infatti, è il più recente
orientamento, fatto proprio anche da questa Sezione, per cui
il parametro per la determinazione degli oneri va riferito
al criterio della destinazione urbanistica della zona e non
alla concreta destinazione d’uso dell’immobile, in quanto,
diversamente opinando, il quantum dovuto all’amministrazione
verrebbe modificato in base ad un comportamento del privato,
peraltro integrante un abuso edilizio, seppur
successivamente sanato, ed essendo, inoltre, congruo che una
medesima opera, ancorché abusiva, sia chiamata a contribuire
in modo diverso a seconda della zona in cui ricade,
differente essendo la dotazione delle opere di
urbanizzazione primaria e secondaria delle varie zone (ex
ceteris, C.d.S., sez. II, 06.07.2020, n. 4345).
D’altronde, il principio per cui, nella determinazione degli
oneri in questione deve aversi riguardo alla destinazione di
zona dell’ambito urbanistico che racchiude l’immobile
interessato dal condono, indipendentemente dalla particolare
destinazione d’uso propria di quest’ultimo, è già stato
applicato da questo Consiglio di Stato in occasione di altre
impugnazioni proposte dallo stesso Comune di Barletta in
giudizi analoghi a quello per cui è causa, con specifico
riferimento alla legislazione regionale della Puglia (C.d.S.,
sez. II, 21.10.2019, n. 7097, con i relativi richiami
giurisprudenziali).
...
21. – Per queste
ragioni, in conclusione, entrambi gli appelli sono fondati e
devono essere accolti (Consiglio di Stato, Sez. II,
sentenza 19.02.2021 n. 1485 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: In
materia di convenzioni urbanistiche la giurisprudenza ha chiarito che:
- gli impegni assunti in sede convenzionale -al contrario di quanto
si verifica in caso rilascio del singolo titolo edilizio, in cui gli oneri
di urbanizzazione e di costruzione a carico del destinatario sono collegati
alla specifica trasformazione del territorio oggetto del titolo, con la
conseguenza che ove, in tutto o in parte, l'edificazione non ha luogo, può
venire in essere un pagamento indebito fonte di un obbligo restitutorio- non
vanno riguardati isolatamente, ma vanno rapportati alla complessiva
remuneratività dell'operazione, che costituisce il reale parametro per
valutare l'equilibrio del sinallagma contrattuale e, quindi, la sostanziale
liceità degli impegni assunti;
- la partecipazione agli oneri di urbanizzazione costituisce
oggetto di un'obbligazione non già imposta ex lege, ma assunta
contrattualmente nell'ambito di un rapporto di natura pubblicistica
correlato alla pianificazione territoriale;
- la causa della convenzione urbanistica, e cioè l'interesse che
l'operazione contrattuale è diretta a soddisfare, va valutata non con
riferimento ai singoli impegni assunti, ma con riguardo all'oggettiva
funzione economico-sociale del negozio, in cui devono trovare equilibrata
soddisfazione sia gli interessi del privato sia quelli della pubblica
amministrazione;
- è necessario procedere a un'analisi sistematica, e non
atomistica, della complessiva operazione posta in essere, onde individuare,
in ragione degli interessi pubblici (di titolarità del Comune) e privati (di
titolarità dell'impresa stipulante) tutelati dalle parti, i diritti e le
obbligazioni a loro carico, che in essa trovano la propria fonte e la
propria giustificazione causale;
- non è affatto escluso dal sistema che un operatore, nella
convenzione urbanistica, possa assumere oneri anche maggiori di quelli
astrattamente previsti dalla legge, trattandosi di una libera scelta
imprenditoriale (o, anche, di una libera scelta volta al benessere della
collettività locale), rientrante nell'ordinaria autonomia privata, non
contrastante di per sé con norme imperative.
La giurisprudenza ha, quindi, affermato che il principio generale, secondo
cui l’obbligo di contribuzione è indissolubilmente correlato all’effettivo
esercizio dello ius aedificandi, non vale rispetto ai casi in cui la
partecipazione agli oneri di urbanizzazione costituisce oggetto di
un’obbligazione non già imposta ex lege, ma assunta contrattualmente
nell’ambito di un rapporto di natura pubblicistica correlato alla
pianificazione territoriale.
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Il contributo di costruzione ex art. 16 del DPR 380/2001 deve essere
distinto dal contributo di urbanizzazione di cui all’edilizia produttiva
convenzionata.
Nel primo caso, infatti, il rilascio del permesso di costruire
costituisce fatto costitutivo dell’obbligo giuridico del concessionario di
corrispondere il relativo contributo per oneri di urbanizzazione, da
calcolarsi secondo i parametri vigenti a tale momento.
Nel secondo caso, invece, la Convenzione di assegnazione dell’area
sottoscritta dall’odierna ricorrente rappresenta la fonte dell’obbligo di
provvedere alla corresponsione degli oneri di urbanizzazione primaria
effettivamente realizzati dal Consorzio, a nulla rilevando la mancata
edificazione della singola opera produttiva di cui al permesso di costruire
31/2007 e ciò in quanto, nella fattispecie, si versa in un’ipotesi di
edilizia convenzionata (la fonte dell’obbligo di pagamento del contributo di
urbanizzazione dell’area è costituita dalla Convenzione sottoscritta
dall’assegnatario e non dai permessi di costruire nn. 31/2007 e 32/2007).
---------------
Le obbligazioni attinenti agli oneri di urbanizzazione assunte dalle ditte
lottizzanti (e dai loro aventi causa) in sede di convenzione urbanistica
trovano la propria giustificazione causale non solo e non tanto nel carico
urbanistico specificamente riconducibile alla quantità di edificazione che
forma oggetto di ciascun titolo edilizio rilasciato in esecuzione della
convenzione, bensì nel disegno relativo al complessivo assetto urbanistico
stabilito dalla stessa convenzione quale risultato finale derivante dalla
relativa attuazione.
La ricorrente, pertanto, che ha avuto accesso ai vantaggi derivanti
dall’urbanizzazione dell’area (effettivamente) realizzata dal Consorzio e
non ha rinunciato integralmente all’edificazione, non può chiedere al Comune
la ripetizione di quanto versato al Consorzio per le opere di urbanizzazione
primaria interne al Piano di lottizzazione.
Non è dovuto neppure il rimborso del contributo corrisposto per le opere di
urbanizzazione “esterne” in quanto tale contributo ha concorso a formare il
corrispettivo della cessione dell’area.
Trattasi, in sostanza, non di oneri di urbanizzazione ex 16 del DPR
380/2001, bensì di obbligazioni aventi ad oggetto il pagamento di somme non
dovute ex lege, che i lottizzanti si sono liberamente e convenzionalmente
assunti al momento della cessione delle aree, a fronte del riconoscimento
dell’astratta possibilità di realizzare in futuro insediamenti produttivi
nella nuova area industriale.
---------------
Ciò posto, il ricorso non merita accoglimento per le ragioni di seguito
sinteticamente esposte.
Giova premettere che la fattispecie in esame rientra nell’ambito
dell’edilizia produttiva convenzionata (P.I.P) in cui operano le così dette
“Convenzioni urbanistiche” e non nelle ipotesi di una normale
lottizzazione ad iniziativa privata ad intervento edilizio diretto di cui
all’art. 16 del DPR n. 380/2001.
Che la fattispecie scrutinata ricada tra le ipotesi di edilizia produttiva
convenzionata si evince dalla lettura degli artt. 6 e seguenti della
Convenzione di assegnazione delle aree a favore di parte ricorrente, laddove
si precisa che: art. 6 “L’acquirente non può cedere il diritto di
proprietà o costituire a favore di terzi diritti reali di godimento
sull’area ancora da edificare, se non previa autorizzazione comunale (...),
art. 7) l’alienazione o la costituzione di diritti reali sull’immobile, può
avvenire esclusivamente a favore di soggetti aventi i requisiti per
l’assegnazione di cui al bando di assegnazione approvato con delibera di
Giunta comunale (...), ad un prezzo determinato secondo i seguenti criteri:
Il costo sostenuto per l’area, per le relative opere di urbanizzazione e
spese generali ai sensi dell’art. 2 della presente convenzione, sarò
rivalutato (...);L’eventuale valore del fabbricato e dei suoi impianti, sarà
determinato sulla base di una stima tecnica giurata. Il Comune, in base alle
proprie graduatorie, potrà indicare idonei acquirenti (...) In caso di
cessione dell’immobile a prezzo superiore a quello determinato secondo i
criteri della presente convenzione, sarà applicata una penalità (...)”.
In materia di convenzioni urbanistiche la giurisprudenza (cfr. Consiglio di
Stato, sez. IV - 01/10/2019 n. 6561) ha chiarito che:
- gli impegni assunti in sede convenzionale -al contrario di quanto
si verifica in caso rilascio del singolo titolo edilizio, in cui gli oneri
di urbanizzazione e di costruzione a carico del destinatario sono collegati
alla specifica trasformazione del territorio oggetto del titolo, con la
conseguenza che ove, in tutto o in parte, l'edificazione non ha luogo, può
venire in essere un pagamento indebito fonte di un obbligo restitutorio- non
vanno riguardati isolatamente, ma vanno rapportati alla complessiva
remuneratività dell'operazione, che costituisce il reale parametro per
valutare l'equilibrio del sinallagma contrattuale e, quindi, la sostanziale
liceità degli impegni assunti (Consiglio di Stato, sez. IV - 15/02/2019 n.
1069; TAR Veneto, sez. I - 07/03/2019 n. 300);
- la partecipazione agli oneri di urbanizzazione costituisce
oggetto di un'obbligazione non già imposta ex lege, ma assunta
contrattualmente nell'ambito di un rapporto di natura pubblicistica
correlato alla pianificazione territoriale;
- la causa della convenzione urbanistica, e cioè l'interesse che
l'operazione contrattuale è diretta a soddisfare, va valutata non con
riferimento ai singoli impegni assunti, ma con riguardo all'oggettiva
funzione economico-sociale del negozio, in cui devono trovare equilibrata
soddisfazione sia gli interessi del privato sia quelli della pubblica
amministrazione (Consiglio di Stato, sez. IV - 14/05/2019 n. 326; TAR
Lombardia Milano, sez. II - 23/12/2019 n. 2734);
- è necessario procedere a un'analisi sistematica, e non
atomistica, della complessiva operazione posta in essere, onde individuare,
in ragione degli interessi pubblici (di titolarità del Comune) e privati (di
titolarità dell'impresa stipulante) tutelati dalle parti, i diritti e le
obbligazioni a loro carico, che in essa trovano la propria fonte e la
propria giustificazione causale;
- non è affatto escluso dal sistema che un operatore, nella
convenzione urbanistica, possa assumere oneri anche maggiori di quelli
astrattamente previsti dalla legge, trattandosi di una libera scelta
imprenditoriale (o, anche, di una libera scelta volta al benessere della
collettività locale), rientrante nell'ordinaria autonomia privata, non
contrastante di per sé con norme imperative.
La giurisprudenza ha, quindi, affermato che il principio generale, secondo
cui l’obbligo di contribuzione è indissolubilmente correlato all’effettivo
esercizio dello ius aedificandi, non vale rispetto ai casi in cui la
partecipazione agli oneri di urbanizzazione costituisce oggetto di
un’obbligazione non già imposta ex lege, ma assunta contrattualmente
nell’ambito di un rapporto di natura pubblicistica correlato alla
pianificazione territoriale (Consiglio di Stato, sentenza n. 6339 del
12.11.2018).
Ciò posto, una volta chiarito che la fattispecie scrutinata rientra tra le
ipotesi di edilizia convenzionata (P.I.P.) e non di edilizia privata libera,
deve ritenersi che le disposizioni di cui all’art. 16 del DPR 380/2001 e
art. 81 della LRV 61/1985 richiamate dall’odierna ricorrente a fondamento
della pretesa al rimborso di quanto corrisposto per mancato utilizzo del
permesso di costruire n. 31/2007, di cui ai mapp. 614 e 615, siano
inapplicabili al caso di specie.
L’obbligo giuridico di corresponsione delle somme versate dalla ricorrente
al Consorzio “Mu.Pr.”, per l’importo di € 74.135,16, trae, infatti,
origine dalla Convenzione urbanistica del 2004 di attuazione del Piano di
lottizzazione e dalla successiva Convenzione di Assegnazione delle aree, e
non è direttamente correlato al rilascio del permesso di costruire n.
31/2007.
Il Collegio condivide la tesi dell’Ente Civico, secondo cui il contributo di
costruzione ex art. 16 del DPR 380/2001 deve essere distinto dal contributo
di urbanizzazione di cui all’edilizia produttiva convenzionata.
Nel primo caso, infatti, il rilascio del permesso di costruire
costituisce fatto costitutivo dell’obbligo giuridico del concessionario di
corrispondere il relativo contributo per oneri di urbanizzazione, da
calcolarsi secondo i parametri vigenti a tale momento.
Nel secondo caso (applicabile alla presente fattispecie), invece, la
Convenzione di assegnazione dell’area sottoscritta dall’odierna ricorrente
rappresenta la fonte dell’obbligo di provvedere alla corresponsione degli
oneri di urbanizzazione primaria effettivamente realizzati dal Consorzio, a
nulla rilevando la mancata edificazione della singola opera produttiva di
cui al permesso di costruire 31/2007 e ciò in quanto, nella fattispecie, si
versa in un’ipotesi di edilizia convenzionata (la fonte dell’obbligo di
pagamento del contributo di urbanizzazione dell’area è costituita dalla
Convenzione sottoscritta dall’assegnatario e non dai permessi di costruire
nn. 31/2007 e 32/2007).
Il contributo di € 74.135,16 è stato corrisposto dalla ricorrente al
Consorzio (costituito per la realizzazione delle opere di urbanizzazione
primaria a servizio dell’area previste nel progetto del Piano di
Lottizzazione approvato) -e non al Comune- a copertura delle opere di
urbanizzazione primaria effettivamente realizzate dal Consorzio come
espressamente previsto e disciplinato dalla Convenzione urbanistica di
attuazione del Piano di lottizzazione e dalla successiva Convenzione di
assegnazione delle aree, sottoscritta dall’odierna ricorrente, laddove
espressamente prevede all’art. 1): “L’assegnatario partecipa
obbligatoriamente al Consorzio di urbanizzazione “Musile Produce” di cui
alle premesse, che dovrà provvedere alla realizzazione delle opere di
urbanizzazione previste dal Piano di Lottizzazione approvato e secondo
quanto stabilito nello schema di convenzione ivi allegato, per cui al
Consorzio la ditta acquirente dovrà corrispondere euro 25,59/mq di
superficie assegnata quale corrispettivo del costo complessivo presunto,
delle opere di urbanizzazione primaria a servizio dell’area previste nel
progetto del Piano di lottizzazione approvato”.
Le obbligazioni attinenti agli oneri di urbanizzazione assunte dalle ditte
lottizzanti (e dai loro aventi causa) in sede di convenzione urbanistica
trovano la propria giustificazione causale non solo e non tanto nel carico
urbanistico specificamente riconducibile alla quantità di edificazione che
forma oggetto di ciascun titolo edilizio rilasciato in esecuzione della
convenzione, bensì nel disegno relativo al complessivo assetto urbanistico
stabilito dalla stessa convenzione quale risultato finale derivante dalla
relativa attuazione.
La ricorrente, pertanto, che ha avuto accesso ai vantaggi derivanti
dall’urbanizzazione dell’area (effettivamente) realizzata dal Consorzio e
non ha rinunciato integralmente all’edificazione, non può chiedere al Comune
la ripetizione di quanto versato al Consorzio per le opere di urbanizzazione
primaria interne al Piano di lottizzazione.
Non è dovuto neppure il rimborso del contributo corrisposto per le opere di
urbanizzazione “esterne” -senza che possa assumere rilevanza la
mancata realizzazione del terzo ponte sul Piave, potendo l’Amministrazione
destinare tali somme diversamente- in quanto tale contributo ha concorso a
formare il corrispettivo della cessione dell’area.
Trattasi, in sostanza, non di oneri di urbanizzazione ex 16 del DPR
380/2001, bensì di obbligazioni aventi ad oggetto il pagamento di somme non
dovute ex lege, che i lottizzanti si sono liberamente e
convenzionalmente assunti al momento della cessione delle aree, a fronte del
riconoscimento dell’astratta possibilità di realizzare in futuro
insediamenti produttivi nella nuova area industriale (sulla possibilità che
il privato assuma in sede di convenzione urbanistica obblighi di fare e/o
dare ulteriori ed eccedenti rispetto a quelli discendenti dalla legge vedi
anche Tar Brescia nn. 115 e 538/2020)
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 16.02.2021 n. 221 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
gennaio 2021 |
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URBANISTICA:
Criteri interpretativi con riferimento al
contenuto di una convenzione urbanistica.
Il TAR Milano, con
riferimento ai criteri interpretativi da
utilizzare con riguardo ad una convenzione
urbanistica, osserva in termini generali
che:
<<secondo un consolidato orientamento
giurisprudenziale che il Collegio condivide,
le convenzioni urbanistiche come quella in
esame rientrano nel novero degli accordi tra
privati e amministrazione, ai sensi
dell’articolo 11 della legge n. 241 del
1990.
Tale qualificazione impone che
l’interpretazione della convenzione avvenga
utilizzando i criteri ermeneutici di cui
agli articoli 1362 e ss. del codice civile,
visto l’esplicito richiamo di cui al comma 2
dell’art. 11 medesimo, e come, del resto,
confermato dalla giurisprudenza, sia di
questo Tribunale sia del Consiglio di Stato>>.
Aggiunge quindi che:
<<L’operazione ermeneutica indicata al
precedente punto deve, quindi,
necessariamente prendere le mosse dalle
disposizioni contenute all’interno
dell’articolo 1362 c.c. a mente delle quali:
a) “nell'interpretare il contratto si deve
indagare quale sia stata la comune
intenzione delle parti e non limitarsi al
senso letterale delle parole”;
b) “per determinare la comune intenzione
delle parti, si deve valutare il loro
comportamento complessivo anche posteriore
alla conclusione del contratto”.
Sul punto, la giurisprudenza della
Corte di Cassazione chiarisce che:
a) “ai fini della ricerca della
comune intenzione dei contraenti il primo e
principale strumento è rappresentato dal
senso letterale delle parole e delle
espressioni utilizzate”;
b) “il rilievo da assegnare alla
formulazione letterale va invero verificato
alla luce dell'intero contesto contrattuale,
le singole clausole dovendo essere
considerate in correlazione tra loro
procedendosi al relativo coordinamento ai
sensi dell'art. 1363 c.c., giacché per senso
letterale delle parole va intesa tutta la
formulazione letterale della dichiarazione
negoziale, in ogni sua parte ed in ogni
parola che la compone, e non già in una
parte soltanto, quale una singola clausola
di un contratto composto di più clausole,
dovendo il giudice collegare e raffrontare
tra loro frasi e parole al fine di chiarirne
il significato”.
Inoltre, la Corte di Cassazione
sottolinea che: “pur assumendo l'elemento
letterale funzione fondamentale nella
ricerca della reale o effettiva volontà
delle parti, il giudice deve invero a tal
fine necessariamente riguardarlo alla
stregua degli ulteriori criteri di
interpretazione, e in particolare di quelli
dell'interpretazione funzionale ex art. 1369
c.c. e dell'interpretazione secondo buona
fede o correttezza ex art. 1366 c.c., avendo
riguardo allo scopo pratico perseguito dalle
parti con la stipulazione del contratto e
quindi alla relativa causa concreta.
Il primo di tali criteri (art. 1369 c.c.)
consente di accertare il significato
dell'accordo in coerenza appunto con la
relativa ragione pratica o causa concreta.
L'obbligo di buona fede oggettiva o
correttezza ex art. 1366 c.c. quale criterio
d'interpretazione del contratto (fondato
sull'esigenza definita in dottrina di
"solidarietà contrattuale") si specifica in
particolare nel significato di lealtà,
sostanziantesi nel non suscitare falsi
affidamenti e non speculare su di essi, come
pure nel non contestare ragionevoli
affidamenti comunque ingenerati nella
controparte.
A tale stregua esso non consente di dare
ingresso ad interpretazioni cavillose delle
espressioni letterali contenute nelle
clausole contrattuali, non rispondenti alle
intese raggiunte e deponenti per un
significato in contrasto con la ragione
pratica o causa concreta dell'accordo
negoziale.
Assume dunque fondamentale rilievo che il
contratto venga interpretato avuto riguardo
alla sua ratio, alla sua ragione pratica, in
coerenza con gli interessi che le parti
hanno specificamente inteso tutelare
mediante la stipulazione contrattuale, con
convenzionale determinazione della regola
volta a disciplinare il rapporto
contrattuale (art. 1372 c.c.)”>>.
---------------
Il contributo afferente al
permesso di costruire, commisurato
all'incidenza degli oneri di urbanizzazione
nonché al costo di costruzione, è
determinato e liquidato all'atto del
rilascio del titolo edilizio.
Tale contributo è un corrispettivo di
diritto pubblico, di natura non tributaria,
posto a carico del concessionario a titolo
di partecipazione ai costi delle opere di
urbanizzazione e in proporzione all'insieme
dei benefici che le nuove costruzioni
inducono nel contesto urbano, senza alcun
vincolo di scopo in relazione alla zona
interessata dalla trasformazione urbanistica
e indipendentemente dalla concreta utilità
che il concessionario può conseguire dal
titolo edificatorio e dall'ammontare delle
spese effettivamente occorrenti per la
realizzazione delle opere stesse.
La stessa Adunanza plenaria del Consiglio di
Stato osserva che l’obbligazione di
corrispondere il contributo nasce “nel
momento in cui viene rilasciato il titolo ed
è a tale momento che occorre aver riguardo
per la determinazione dell’entità del
contributo".
L’opzione seguita dalla convenzione
urbanistica risulta, quindi, allineata ai principi che
regolano la materia e, soprattutto, ha una
specifica ratio interna all’accordo stesso:
si intende, in tal modo, adeguare il quantum debeatur a seconda degli interventi
concretamente eseguiti dalla parte. Una
scelta pienamente legittima in quanto non
“cristallizza” l’obbligo di pagamento a
determinazioni ancora generali e
programmatiche ma in relazione ai singoli
titoli edilizi mediante i quali si realizza
tale programma di intervento.
Pertanto, è
proprio ai singoli titoli che occorre
ancorare il quantum debeatur dell’operatore
privato
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 25.01.2021 n. 223 - commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
---------------
SENTENZA
10. Procedendo, quindi, alla disamina della
domanda principale il Collegio osserva
quanto segue.
11. L’aspetto centrale della controversia
riguarda la corretta interpretazione delle
previsioni contenute nella convenzione
urbanistica dell’11.06.1991 ed i
riflessi delle iniziative edificatorie della
ricorrente (e della Società conduttrice del
compendio e successivamente fusa per
incorporazione in Fi. s.r.l.) sul piano
degli oneri di urbanizzazione e della
monetizzazione per aree a parcheggio.
11.1. In termini generali va premesso che,
secondo un consolidato orientamento
giurisprudenziale che il Collegio condivide,
le convenzioni urbanistiche come quella in
esame rientrano nel novero degli accordi tra
privati e amministrazione, ai sensi
dell’articolo 11 della legge n. 241 del 1990
(cfr., ex multis: Cass. civ., I, 28.01.2015,
n. 1615; Cass. civ., s.u., 09.03.2012, n.
3689; nella giurisprudenza di questa
sezione, cfr. TAR per la Lombardia-Milano, II, 18.06.2020, n. 1525: Id.,
20.02.2020, n. 345).
Tale qualificazione
impone che l’interpretazione della
convenzione avvenga utilizzando i criteri ermeneutici di cui agli articoli 1362 e ss.
del codice civile, visto l’esplicito
richiamo di cui al comma 2 dell’art. 11
medesimo, e come, del resto, confermato
dalla giurisprudenza, sia di questo
Tribunale sia del Consiglio di Stato (cfr.,
ex multis, TAR per la Lombardia–Milano, II,
05.05.2015, n. 1103, e giurisprudenza ivi
richiamata; Consiglio di Stato, IV,
17.12.2014, n. 6164).
11.2. L’operazione ermeneutica indicata al
precedente punto deve, quindi,
necessariamente prendere le mosse dalle
disposizioni contenute all’interno
dell’articolo 1362 c.c. a mente delle quali:
a) “nell'interpretare il contratto si deve indagare quale sia stata
la comune intenzione delle parti e non
limitarsi al senso letterale delle parole”;
b) “per determinare la comune intenzione delle parti, si deve
valutare il loro comportamento complessivo
anche posteriore alla conclusione del
contratto”.
11.3. Sul punto, la giurisprudenza della
Corte di Cassazione chiarisce che:
a) “ai fini della ricerca della comune intenzione dei contraenti il
primo e principale strumento è rappresentato
dal senso letterale delle parole e delle
espressioni utilizzate” (cfr., Cass. civ.
III, 19.03.2018, n. 6675);
b) “il rilievo da assegnare alla formulazione letterale va invero
verificato alla luce dell'intero contesto
contrattuale, le singole clausole dovendo
essere considerate in correlazione tra loro procedendosi al relativo coordinamento ai
sensi dell'art. 1363 c.c., giacchè per senso
letterale delle parole va intesa tutta la
formulazione letterale della dichiarazione
negoziale, in ogni sua parte ed in ogni
parola che la compone, e non già in una
parte soltanto, quale una singola clausola
di un contratto composto di più clausole,
dovendo il giudice collegare e raffrontare
tra loro frasi e parole al fine di chiarirne
il significato” (Cfr. Cass. civ. III,
16.01.2007, n. 828; Id., I, 22.12.2005, n.
28479).
11.4. Inoltre, la Corte di Cassazione
sottolinea che: “pur assumendo l'elemento
letterale funzione fondamentale nella
ricerca della reale o effettiva volontà
delle parti, il giudice deve invero a tal
fine necessariamente riguardarlo alla
stregua degli ulteriori criteri di
interpretazione, e in particolare di quelli
(quali primari criteri d'interpretazione
soggettiva, e non già oggettiva, del
contratto: v. Cass., 23/10/2014, n. 22513;
Cass., 27/06/2011, n. 14079; Cass.,
23/05/2011, n. 11295; Cass., 19/05/2011, n.
10998; con riferimento agli atti unilaterali
v. Cass., 06/05/2015, n. 9006)
dell'interpretazione funzionale ex art. 1369
c.c. e dell'interpretazione secondo buona
fede o correttezza ex art. 1366 c.c., avendo
riguardo allo scopo pratico perseguito dalle
parti con la stipulazione del contratto e
quindi alla relativa causa concreta (cfr.
Cass., 23/05/2011, n. 11295).
Il primo di tali criteri (art. 1369 c.c.)
consente di accertare il significato
dell'accordo in coerenza appunto con la
relativa ragione pratica o causa concreta.
L'obbligo di buona fede oggettiva o
correttezza ex art. 1366 c.c. quale criterio
d'interpretazione del contratto (fondato
sull'esigenza definita in dottrina di
"solidarietà contrattuale") si specifica in
particolare nel significato di lealtà, sostanziantesi nel non suscitare falsi
affidamenti e non speculare su di essi, come
pure nel non contestare ragionevoli
affidamenti comunque ingenerati nella
controparte (v. Cass., 06/05/2015, n. 9006; Cass., 23/10/2014, n. 22513; Cass.,
25/05/2007, n. 12235; Cass., 20/05/2004, n.
9628).
A tale stregua esso non consente di dare
ingresso ad interpretazioni cavillose delle
espressioni letterali contenute nelle
clausole contrattuali, non rispondenti alle
intese raggiunte (v. Cass., 23/05/2011, n.
11295) e deponenti per un significato in
contrasto con la ragione pratica o causa
concreta dell'accordo negoziale (cfr., con
riferimento alla causa concreta del
contratto autonomo di garanzia, Cass., Sez.
Un., 18/02/2010, n. 3947).
Assume dunque
fondamentale rilievo che il contratto venga
interpretato avuto riguardo alla sua ratio,
alla sua ragione pratica, in coerenza con
gli interessi che le parti hanno
specificamente inteso tutelare mediante la
stipulazione contrattuale (v. Cass.,
22/11/2016, n. 23701), con convenzionale
determinazione della regola volta a
disciplinare il rapporto contrattuale (art.
1372 c.c.)” (Cass. civ. III, 19.03.2018, n.
6675).
...
11.5. Individuati i criteri interpretativi
di riferimento può procedersi ad esporre ed
interpretare le singole regole contenute
nella convenzione del 1991.
Questa contiene
la concreta disciplina di attuazione del
Piano particolareggiato approvato dal Comune
e volto al recupero di una serie di comparti
tra cui quello di proprietà della Società
ricorrente che ha una originaria
destinazione industriale e che, per il
tramite del programma in esame, è destinato
ad ampliamento per 5.000 mc.
Le destinazioni
d’uso del comparto sono le seguenti: i) per
il piano terra magazzino ad uso commerciale; ii) per il piano primo in parte un magazzino
ad uso commerciale e in parte uffici; iii)
quota di residenza (minore del 20 per
cento). La convenzione urbanistica stipulata
inter partes prevede una serie di obblighi a
carico dell’operatore privato ed è volta,
quindi, a regolare un intervento di modifica
“del tessuto urbanistico-edilizio esistente,
del disegno dei lotti, degli isolati e della
rete stradale” (f. 4 della convenzione).
In particolare, il privato si impegna, ex aliis, a versare i contributi per opere di
urbanizzazione primaria e secondaria nonché
il costo di costruzione nella misura
indicata dalla convenzione ma con la
precisazione che tali importi sono destinati
ad essere aggiornati in sede di rilascio
delle singole concessioni edilizie, “secondo
le modalità e le tariffe vigenti [alla data
di rilascio dei titoli] e sulla base dei
progetti esecutivi presentati” (f. 5 della
convenzione).
11.6. In sostanza, la convenzione in esame
prevede un “aggiornamento” degli oneri e del
costo di costruzione al momento del rilascio
dei singoli titoli edilizi. Il primo di tali
titoli è costituito dalla concessione del
1991 che è volta all’ampliamento del primo
piano dell’immobile con funzioni produttive.
Si tratta, quindi, di un intervento di
conservazione della struttura industriale
esistente evidentemente ritenuto compatibile
pur in presenza della possibilità di
riconversione prevista dalla convenzione del
1991.
In relazione al suddetto intervento
produttivo, viene richiesta (e poi
corrisposta) la somma di £ 37.079.140, per
oneri di urbanizzazione primaria,
secondaria, nonché £ 14.000 per smaltimento
rifiuti. Sono, quindi, coerentemente
applicate le tariffe per la funzione
produttiva secondo la vigente ratione
temporis deliberazione del C.C. del 26.07.1982, n. 240. In tale titolo edilizio
vengono altresì verificati, oltre agli
standard, parcheggi ex art. 41-sexies della
Legge 1150/1942, pari a mq. 794,55.
11.7. La d.i.a. del 2007 riguarda, invece,
espressamente “ampliamento e cambio di
destinazione d’uso di immobile industriale”
ed interessa una s.l.p. di complessivi mq
2.533,15, di cui mq 350 in ampliamento. Con
tale titolo sono, altresì, monetizzate aree
a standard per mq 1.241,26 e garantiti in
sito i restanti mq 2.648,69.
Successivamente, con p.d.c. n. 4/2013 sono
assentite opere per mutamento della
destinazione d’uso per l’insediamento di una
media struttura di vendita.
In particolare,
il permesso assente una modifica della
destinazione d’uso di porzione di edificio
ad uso residenziale e terziario (posti a
piano terra e primo) a funzioni commerciali,
con conseguente conguaglio del contributo di
costruzione ai sensi del combinato disposto
di cui agli artt. 44 e 48 della L.r. n.
12/2005, nonché verifica della dotazione
aggiuntiva di aree per servizi pubblici e di
uso pubblico, provvedendo, altresì, a
“regolarizzare/confermare, mediante atto
unilaterale, l’uso pubblico delle aree a
parcheggio pertinenziali, già insito nei
pregressi titoli edilizi” (f. 4 del
documento n. 1 di parte ricorrente).
11.8. Dalla ricostruzione sin qui operata
emerge, quindi, con chiarezza come la
convenzione del 1991 non “esaurisca” le
obbligazioni di pagamento dell’operatore
privato che sono parametrate, al contrario,
sui singoli titoli edilizi. La somma pari a
£ 65.600.000,00 versata dall’operatore è
relativa alla monetizzazione del valore
delle aree per opere di urbanizzazione
secondaria per le quali non è possibile la
cessione al Comune. Ma si tratta di una
stima che, secondo quanto espressamente si
legge nella convenzione, deve
necessariamente rideterminarsi al momento
del rilascio dei titoli (cfr.: premesse alla
convenzione ed articolo 4 della stessa).
Del resto, la scelta convenzionale è in
linea con i principi espressi anche dalla
normativa vigente. Come, infatti, affermato
dalla Sezione, “il contributo afferente al
permesso di costruire, commisurato
all'incidenza degli oneri di urbanizzazione
nonché al costo di costruzione, è
determinato e liquidato all'atto del
rilascio del titolo edilizio (cfr. Consiglio
di Stato, sez. IV, 19.03.2015, n. 1504)”;
“tale contributo è un corrispettivo di
diritto pubblico, di natura non tributaria,
posto a carico del concessionario a titolo
di partecipazione ai costi delle opere di
urbanizzazione e in proporzione all'insieme
dei benefici che le nuove costruzioni
inducono nel contesto urbano, senza alcun
vincolo di scopo in relazione alla zona
interessata dalla trasformazione urbanistica
e indipendentemente dalla concreta utilità
che il concessionario può conseguire dal
titolo edificatorio e dall'ammontare delle
spese effettivamente occorrenti per la
realizzazione delle opere stesse (cfr.
Consiglio di Stato, sez. IV, 29.10.2015, n. 4950; TAR Lombardia-Brescia,
02.03.2012, n. 355; TAR Piemonte, 26.11.2003 n. 1675)” (TAR per la
Lombardia–Milano, II, 18.06.2018, n. 1525,
confermata, in parte qua, da C.d.S., IV,
31.12.2019, n. 8919; cfr., da ultimo, TAR
per la Lombardia–Milano, II, 18.01.2021, n. 171).
La stessa Adunanza plenaria del Consiglio di
Stato osserva che l’obbligazione di
corrispondere il contributo nasce “nel
momento in cui viene rilasciato il titolo ed
è a tale momento che occorre aver riguardo
per la determinazione dell’entità del
contributo (Cons. St., sez. IV, 30.11.2015, n. 5412, ma v. anche Cons. St., sez.
V, 13.06.2003, n. 3332)” (C.d.S., A.p.,
30.08.2018, n. 12).
11.9. L’opzione seguita dalla convenzione
risulta, quindi, allineata ai principi che
regolano la materia e, soprattutto, ha una
specifica ratio interna all’accordo stesso:
si intende, in tal modo, adeguare il quantum debeatur a seconda degli interventi
concretamente eseguiti dalla parte. Una
scelta pienamente legittima in quanto non
“cristallizza” l’obbligo di pagamento a
determinazioni ancora generali e
programmatiche ma in relazione ai singoli
titoli edilizi mediante i quali si realizza
tale programma di intervento. Pertanto, è
proprio ai singoli titoli che occorre
ancorare il quantum debeatur dell’operatore
privato. |
EDILIZIA PRIVATA: Circa
l’obbligo di versamento del contributo di costruzione, quindi comprensivo
degli oneri di urbanizzazione, si è espresso, di recente, questo Consiglio,
affermando quanto segue: “occorre, dunque, perché sia necessario il rilascio
del permesso di costruire una modifica (parziale o totale) dell'organismo
edilizio preesistente ed un aumento della volumetria complessiva; solo in
questi casi, d’altra parte, l'intervento si caratterizza (in ossequio alla
prescrizione normativa) come “trasformazione urbanistica ed edilizia del
territorio”.
Nelle ipotesi, invece, di “ristrutturazione ricostruttiva”, a maggior
ragione se con invarianza, oltre che di volume, anche di sagoma e di area di
sedime, "non vi è necessità di permesso di costruire e, dunque, ai sensi
dell'art. 16 D.P.R. n. 380 del 2001, manca il presupposto per la richiesta e
corresponsione del contributo di costruzione”.
Si deve concludere ravvisando che emerge il principio, di conio statale,
secondo cui l’obbligo al pagamento degli oneri di urbanizzazione postula
l’incremento del carico urbanistico.
---------------
11.1 Col primo mezzo, l’appellante, dopo aver ripercorso i passaggi
essenziali della complessa vicenda di causa, ha dedotto che il Tar sarebbe
incorso in difetto motivazionale non avendo preso in considerazione le
difese dell’ente comunale articolate nel corso del giudizio di primo grado
ed imperniate sulla riconducibilità dell’intervento abusivamente realizzato
dagli appellati nel novero di quelli di ristrutturazione edilizia per
ritenerlo sottoposto alla previsione di cui all’art. 120 della legge Regione
Toscana n. 1 del 2005, secondo cui in casi siffatti si applica la Tabella C
dell’Allegato A della stessa legge, la quale prevede il coefficiente di 0,30
ai fini della determinazione degli oneri di urbanizzazione primaria e
secondaria.
Secondo le prospettazioni dell’appellante, quindi, seppur l’intervento
contestato a controparte consiste nella demolizione e fedele ricostruzione
del manufatto originario senza alcuna aggiunta di volumi, sarebbe
applicabile nel caso di specie l’anzidetta norma regionale che prevede,
proprio nel caso di interventi siffatti, l’applicazione di un coefficiente,
sia pur ridotto, ai fini della determinazione degli oneri a carico del
richiedente la sanatoria.
L’infondatezza del motivo si deve innanzitutto al fatto che il giudice di
prime cure non ha alcun onere di soffermarsi su tutte le articolazioni
difensive della parte resistente dovendo anzi calibrare la propria pronuncia
sulle censure dedotte da parte ricorrente.
Esclusa, quindi, la carenza motivazionale da cui sarebbe affetta la sentenza
impugnata, occorre esaminare il merito delle deduzioni sollevate
dall’appellante in ordine alla effettiva ricorrenza dei presupposti per far
gravare sulla richiedente il titolo in sanatoria una quota parte di oneri di
urbanizzazione.
Giova premettere che, a fronte di quanto argomentato da parte appellante
circa la prevalenza della norma regionale su quella statale, è proprio il
riferimento alla prima e segnatamente allo stesso articolo 120 invocato
dall’appellante, che emerge la rilevanza attribuita all’incidenza
plano-volumetrica dell’intervento ai fini della soggezione o meno al
versamento degli oneri di urbanizzazione.
Infatti detta norma, al comma 1, statuisce che “gli oneri di
urbanizzazione sono dovuti in relazione agli interventi, soggetti a permesso
o a denuncia di inizio dell'attività, che comportano nuova edificazione o
determinano un incremento dei carichi urbanistici in funzione di: a) aumento
delle superfici utili degli edifici; b) mutamento delle destinazioni d'uso
degli immobili; c) aumento del numero di unità immobiliari”.
È di tutta evidenza, pertanto, che anche il legislatore regionale riconnette
l’onere di versare gli oneri di urbanizzazione alla realizzazione di un
intervento che sia in grado di determinare un incremento dei carichi
urbanistici, evenienza questa da escludere nel caso di specie proprio in
considerazione del fatto che trattasi di un intervento di demolizione e
fedele ricostruzione senza quindi che si possa configurare alcun surplus
volumetrico.
Circa l’obbligo di versamento del contributo di costruzione, quindi
comprensivo degli oneri di urbanizzazione, si è espresso, di recente, questo
Consiglio, affermando coerentemente con quanto testé opinato, quanto segue:
“occorre, dunque, perché sia necessario il rilascio del permesso di
costruire una modifica (parziale o totale) dell'organismo edilizio
preesistente ed un aumento della volumetria complessiva; solo in questi
casi, d’altra parte, l'intervento si caratterizza (in ossequio alla
prescrizione normativa) come “trasformazione urbanistica ed edilizia del
territorio”.
Nelle ipotesi, invece, di “ristrutturazione ricostruttiva” (come
definita dalla giurisprudenza: Cons. Stato, sez. IV, 07.04.2015 n. 1763;
09.05.2014 n. 2384; 06.07.2012 n. 3970), a maggior ragione se con invarianza,
oltre che di volume, anche di sagoma e di area di sedime, "non vi è
necessità di permesso di costruire e, dunque, ai sensi dell'art. 16 D.P.R.
n. 380 del 2001, manca il presupposto per la richiesta e corresponsione del
contributo di costruzione” (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 30.05.2017, n.
2567; Tar Roma, sez. II-bis, 12.09.2019, n. 10887).
Si deve concludere ravvisando che emerge il principio, di conio statale,
secondo cui l’obbligo al pagamento degli oneri di urbanizzazione postula
l’incremento del carico urbanistico, che, nel caso di specie, è
pacificamente da escludere. Ne consegue che non ricorrono i presupposti per
ritenere che gli appellati siano tenuti al versamento del contributo, e ciò
anche in virtù di quanto disposto dalla norma regionale ritenuta
dall’Amministrazione prevalente, che detto principio non contraddice
(Consiglio di Stato, Sez. II,
sentenza 15.01.2021 n. 489 - link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
In merito alla richiesta del contributo di costruzione,
è utile premettere che lo stesso trova causa nell’utilità
che il proprietario ritrae appunto dall’edificazione
assentita. Trattandosi di principio di portata generale, la
deroga alla onerosità del titolo edilizio non può che
ricorrere nelle “…sole ipotesi tassativamente previste dalla
legge… da intendersi di stretta interpretazione”.
---------------
In base al prevalente orientamento della giurisprudenza
amministrativa “…la controversia sulla quantificazione del
contributo di costruzione involge l'apprezzamento del
diritto soggettivo alla determinazione dell'obbligazione
contributiva. Attività questa, non autoritativa, vincolata,
da eseguirsi secondo criteri predeterminati o tabelle
parametriche in ragione della natura paratributaria del
contributo…”, con la conseguenza
che “trova campo elettivo d'applicazione, specie con
riguardo alle norme che prevedono l'esonero e la riduzione
del pagamento del contributo, il criterio interpretativo
delle norme c.d. "a fattispecie esclusiva", proprio delle
disposizioni tributarie. Ossia l'interprete, oltre a doversi
attenere alla littera legis deve individuare il criterio in
base al quale è stato disposto il beneficio che deroga
all'ordinario regime paratributario, al fine di non
estenderne l'applicazione oltre i casi espressamente
preveduti”.
---------------
Con specifico riferimento al costo di
costruzione, è stato statuito che:
- “l’art. 16 del D.P.R. n. 380/2001 stabilisce, al primo
comma, che il rilascio del permesso di costruire comporta la
corresponsione di un contributo commisurato all'incidenza
degli oneri di urbanizzazione, nonché al costo di
costruzione. Presupposto per la debenza del costo di
costruzione è che l’intervento rientri nell’ambito di quelli
per i quali l’art. 10 del medesimo del D.P.R. n. 380/2001
prevede il titolo abilitativo del permesso di costruire. In
tal senso deve essere interpretato anche il comma 10,
dell’art. 16 del D.P.R. n. 380/2001, secondo il quale “nel
caso di interventi su edifici esistenti il costo di
costruzione è determinato in relazione al costo degli
interventi stessi, così come individuati dal comune in base
ai progetti presentati per ottenere il permesso di
costruire. Al fine di incentivare il recupero del patrimonio
edilizio esistente, per gli interventi di ristrutturazione
edilizia di cui all'articolo 3, comma 1, lettera d), i
Comuni hanno comunque la facoltà di deliberare che i costi
di costruzione ad essi relativi siano inferiori ai valori
determinati per le nuove costruzioni”.
Questo comma rileva l’esistenza di interventi di
ristrutturazione edilizia soggetti al pagamento dell’onere,
ma deve essere interpretato nel senso che, in caso di
interventi di ristrutturazione, il costo di costruzione è
dovuto solo qualora le opere medesime richiedano il titolo abilitativo del permesso di costruire in conformità a quanto
previsto dall’art. 10, comma 1, lett. c), del D.P.R. n.
380/2001, ovverosia per quelle opere di ristrutturazione che
“che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte
diverso dal precedente e che comportino modifiche della
volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti, ovvero
che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone
omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d'uso,
nonché gli interventi che comportino modificazioni della
sagoma di immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto
legislativo 22.01.2004, n. 42”; mentre il costo di
costruzione non deve essere corrisposto per gli interventi
di ristrutturazione realizzabili con d.i.a..
Significativi dell’esattezza di tale interpretazione si
rivelano il comma 5 dell’art. 22 del D.P.R. n. 380/2001, che
assoggetta al pagamento del costo di costruzione gli
interventi effettuati con d.i.a. solo nel caso in cui questa
sia sostitutiva del permesso di costruire nelle ipotesi
previste nel comma 3, tra le quali si trova l’ipotesi degli
interventi di ristrutturazione assoggettati al regime del
permesso di costruire ai sensi del già indicato art. 10,
comma 1, lettera c), D.P.R. n. 380/2001. Inoltre, la
giurisprudenza ha precisato che per le opere di
ristrutturazione edilizia (soggette al regime del permesso
di costruire), il pagamento degli oneri concessori è dovuto solo
nel caso in cui l'intervento abbia determinato un aumento
del carico urbanistico. [..
omissis ..]. Gli oneri concessori richiesti non risultavano,
pertanto dovuti, per due ragioni, ciascuna delle quali
autonomamente sufficiente; ovverosia perché le opere poste
in essere non rientrano nel regime abilitativo del permesso
di costruire e in quanto le stesse non hanno comportato
l’aumento del carico urbanistico”.
...
Speculari considerazioni valgono con riferimento alla debenza degli
oneri di urbanizzazione, dal momento che “è
consolidato in giurisprudenza il principio secondo cui il
pagamento degli oneri di urbanizzazione è dovuto solo
nel caso in cui l'intervento abbia determinato un aumento
del carico urbanistico”.
---------------
1. Il ricorrente, in qualità di proprietario dell’immobile
sito nel Comune di Vico Equense, al corso ... n. 125
(Cinema – teatro Aequa), è stato autorizzato, con permesso
di costruire n. 35 del 2003, ad effettuare interventi di
riqualificazione e ripristino funzionale, unitamente alla
realizzazione di un parcheggio interrato di natura
pertinenziale. Il titolo edilizio è stato successivamente
volturato in favore della società Ge. s.p.a, incaricata di
eseguirne i lavori.
1.1. A fronte del rilievo della realizzazione di opere
difformi dal progetto originario, peraltro non conformi alle
norme edilizie in quanto integranti un’ipotesi di
ristrutturazione pesante, l’amministrazione comunale ha
ordinato, in espressa applicazione dell’art. 33 DPR
380/2001, il ripristino fedele della costruzione originaria,
irrogando una sanzione per le opere difformi, ed ha
contestualmente richiesto per la prima volta il pagamento
del contributo di costruzione, quantificato in 81.672,66
euro.
1.2. Avverso l’atto così adottato, limitatamente alla
richiesta del contributo e all’applicazione della sanzione
pecuniaria ex art. 33 DPR 380/2001, insorge con il presente
ricorso, articolando censure di violazione e falsa
applicazione degli artt. 16, 17 e 33 del d.P.R. n. 380 del
2001, nonché degli artt. 74 e 75 del P.r.g. del Comune di
Vico Equense, nonché per violazione degli obblighi nascenti
dalla convenzione stipulata fra le parti e per difetto dei
presupposti. Evoca inoltre la violazione del principio di
affidamento, tenuto anche conto che nei pregressi atti
autorizzatori il contributo non è stato mai stato richiesto,
con violazione dei principi posti a presidio dell’esercizio
del potere di autotutela.
In ogni caso contesta la genericità e la carenza di
motivazione in ordine ai criteri seguiti per quantificare il
contributo di costruzione, nonché le argomentazioni spese
dall’amministrazione in merito alla natura degli interventi
di ristrutturazione pesante.
...
2. Il ricorso è fondato nei seguenti termini.
2.1. In via preliminare occorre chiarire che la
contestazione relativa all’irrogazione della sanzione non ha
avuto alcuno sviluppo nel corpo del ricorso, ed anzi il
Comune di Vico Equense ha incontestatamente affermato e
documentato (cfr. deposito in atti del 05.02.2020) l’avvenuto
pagamento appunto della sanzione ad opera della GE. srl in
data 19.06.2019, onde l’impugnazione sul punto si rivela del
tutto inammissibile. Parimenti inammissibile per genericità
e carenza di interesse è la contestazione (evidentemente
ipotetica) dell’ammissibilità o meno degli interventi di
ristrutturazione pesante nell’area interessata.
2.2. In merito alla richiesta del contributo di costruzione,
è utile premettere che lo stesso trova causa nell’utilità
che il proprietario ritrae appunto dall’edificazione
assentita. Trattandosi di principio di portata generale, la
deroga alla onerosità del titolo edilizio non può che
ricorrere nelle “…sole ipotesi tassativamente previste dalla
legge… da intendersi di stretta interpretazione” (cfr.,
Cons. Stato, Sez. V, 07.05.2013, n. 2467; TAR Emilia
Romagna –BO- sez. I, 12/10/2016 n. 846).
In base al prevalente orientamento della giurisprudenza
amministrativa “…la controversia sulla quantificazione del
contributo di costruzione involge l'apprezzamento del
diritto soggettivo alla determinazione dell'obbligazione
contributiva. Attività questa, non autoritativa, vincolata,
da eseguirsi secondo criteri predeterminati o tabelle
parametriche in ragione della natura paratributaria del
contributo…” (v. TAR Emilia Romagna –BO- n. 846 del
2016 cit.; TAR Lombardia –BS- 24/08/2012 n. 1467; Cons.
Stato, sez. V, 14.12.1994 n. 1471), con la conseguenza
che “trova campo elettivo d'applicazione, specie con
riguardo alle norme che prevedono l'esonero e la riduzione
del pagamento del contributo, il criterio interpretativo
delle norme c.d. "a fattispecie esclusiva", proprio delle
disposizioni tributarie. Ossia l'interprete, oltre a doversi
attenere alla littera legis deve individuare il criterio in
base al quale è stato disposto il beneficio che deroga
all'ordinario regime paratributario, al fine di non
estenderne l'applicazione oltre i casi espressamente
preveduti” (TAR Liguria, Sez. I, 30/09/2014, n. 1401).
3. Fatte queste premesse, il ricorso va accolto, sulla
scorta delle considerazioni già fatte proprie da questo
Tribunale, in cui, con specifico riferimento al costo di
costruzione, è stato statuito che:
- “l’art. 16 del D.P.R. n. 380/2001 stabilisce, al primo
comma, che il rilascio del permesso di costruire comporta la
corresponsione di un contributo commisurato all'incidenza
degli oneri di urbanizzazione, nonché al costo di
costruzione. Presupposto per la debenza del costo di
costruzione è che l’intervento rientri nell’ambito di quelli
per i quali l’art. 10 del medesimo del D.P.R. n. 380/2001
prevede il titolo abilitativo del permesso di costruire. In
tal senso deve essere interpretato anche il comma 10,
dell’art. 16 del D.P.R. n. 380/2001, secondo il quale “nel
caso di interventi su edifici esistenti il costo di
costruzione è determinato in relazione al costo degli
interventi stessi, così come individuati dal comune in base
ai progetti presentati per ottenere il permesso di
costruire. Al fine di incentivare il recupero del patrimonio
edilizio esistente, per gli interventi di ristrutturazione
edilizia di cui all'articolo 3, comma 1, lettera d), i
Comuni hanno comunque la facoltà di deliberare che i costi
di costruzione ad essi relativi siano inferiori ai valori
determinati per le nuove costruzioni”.
Questo comma rileva l’esistenza di interventi di
ristrutturazione edilizia soggetti al pagamento dell’onere,
ma deve essere interpretato nel senso che, in caso di
interventi di ristrutturazione, il costo di costruzione è
dovuto solo qualora le opere medesime richiedano il titolo abilitativo del permesso di costruire in conformità a quanto
previsto dall’art. 10, comma 1, lett. c), del D.P.R. n.
380/2001, ovverosia per quelle opere di ristrutturazione che
“che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte
diverso dal precedente e che comportino modifiche della
volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti, ovvero
che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone
omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d'uso,
nonché gli interventi che comportino modificazioni della
sagoma di immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto
legislativo 22.01.2004, n. 42”; mentre il costo di
costruzione non deve essere corrisposto per gli interventi
di ristrutturazione realizzabili con d.i.a..
Significativi dell’esattezza di tale interpretazione si
rivelano il comma 5 dell’art. 22 del D.P.R. n. 380/2001, che
assoggetta al pagamento del costo di costruzione gli
interventi effettuati con d.i.a. solo nel caso in cui questa
sia sostitutiva del permesso di costruire nelle ipotesi
previste nel comma 3, tra le quali si trova l’ipotesi degli
interventi di ristrutturazione assoggettati al regime del
permesso di costruire ai sensi del già indicato art. 10,
comma 1, lettera c), D.P.R. n. 380/2001. Inoltre, la
giurisprudenza ha precisato che per le opere di
ristrutturazione edilizia (soggette al regime del permesso
di costruire), il pagamento degli oneri concessori è dovuto solo
nel caso in cui l'intervento abbia determinato un aumento
del carico urbanistico (Cons. Stato Sez. IV, 29.10.2015, n.
4950; Cons. di Stato, Sez. IV, 29.04.2004, n. 2611). [..
omissis ..]. Gli oneri concessori richiesti non risultavano,
pertanto dovuti, per due ragioni, ciascuna delle quali
autonomamente sufficiente; ovverosia perché le opere poste
in essere non rientrano nel regime abilitativo del permesso
di costruire e in quanto le stesse non hanno comportato
l’aumento del carico urbanistico” (da ultimo TAR Campania
Napoli, Sez. VIII, 28.04.2020 n. 1541).
3.1. Speculari considerazioni valgono con riferimento alla
debenza degli oneri di urbanizzazione, dal momento che “è
consolidato in giurisprudenza il principio secondo cui il
pagamento degli oneri di urbanizzazione è dovuto solo nel
caso in cui l'intervento abbia determinato un aumento del
carico urbanistico (TAR Piemonte, sez. I, 26.11.2003 n. 1675
e, da ultimo, TAR Piemonte, sez. II, 16.09.2013 n. 1009;
Cons. Stato, sez. IV, 29.04.2004, n. 2611)” (TAR Lombardia
Milano, Sez. II, 03.10.2018 n. 2198).
4. Nel caso in esame, è incontestato che, a seguito del
tortuoso percorso relativo agli interventi edilizi
sull’immobile in questione, alla fine il proprietario,
mediante una demo-ricostruzione fedele, si è conformato
all’ordine di riduzione in pristino della struttura
pregressa, con conseguente elisione di ogni carico
urbanistico aggiuntivo. È pur vero che l’intervento di
ristrutturazione non sarebbe stato consentito dagli
strumenti urbanistici del territorio (onde correttamente
l’amministrazione comunale ha proceduto ad irrogare la
relativa sanzione), ma, sul piano sostanziale, la modalità
di recupero del manufatto pre-esistente (mediante
ristrutturazione ovvero mediante recupero conservativo), non
condiziona la debenza o meno degli oneri di costruzione, i
quali sono comunque collegati a tutti quegli interventi
suscettibili di determinare una diversa destinazione ovvero
una trasformazione strutturale che comportino una incidenza
qualitativa o quantitativa sul carico urbanistico.
4.1. Pertanto la richiesta degli oneri concessori non
risulta pertinente rispetto all’intervento realizzato dal
ricorrente e la relativa pretesa avanzata
dall’amministrazione comunale si rivela priva di fondamento (TAR
Campania-Napoli, Sez. VII,
sentenza 12.01.2021 n. 207 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
agosto 2020 |
|
EDILIZIA PRIVATA: Natura
delle obbligazioni di pagamento degli oneri
di urbanizzazione e del costo di
costruzione.
Deve essere affermata la
giurisdizione del giudice amministrativo
giacché, secondo una consolidata
giurisprudenza, le questioni attinenti alla
spettanza e alla liquidazione del contributo
per gli oneri di urbanizzazione e costo di
costruzione sono riservate alla
giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo ai sensi dell’art. 133, comma
1, lett. f), cod. proc. amm..
Le stesse, poi, avendo ad oggetto
l’accertamento di un rapporto obbligatorio
che prescinde dall’esistenza di atti della
P.A., non sono soggette alle regole delle
azioni impugnatorie-annullatorie degli atti
amministrativi e ai rispettivi termini di
decadenza.
Invero, “L’affermazione secondo cui il
contributo di costruzione costituisce una
prestazione patrimoniale imposta e rientra a
tale titolo nell’ambito dei rapporti di
diritto pubblico in quanto necessariamente
legata al rilascio del titolo edilizio,
tuttavia, non comporta ex se che i relativi
atti di determinazione abbiano
necessariamente carattere autoritativo, si
colorino, per così dire, di imperatività e
siano espressione di potestà pubblicistica.
Il privato che intende ottenere il permesso
di costruire ha avanti a sé la scelta di
corrispondere il contributo di costruzione o
di rinunciare al rilascio del titolo.
Effettuata questa scelta, che comporta la
necessaria corresponsione del corrispettivo
di diritto pubblico, il pagamento di questo,
esclusa pacificamente la sua natura
tributaria, non può che costituire l’oggetto
di un ordinario rapporto obbligatorio,
disciplinato dalle norme di diritto privato,
come prescrive l’art. 1, comma 1-bis, della
l. n. 241 del 1990, salvo che la legge
disponga diversamente”).
Ciò vale anche per la cd. monetizzazione di
standard, la quale, una volta definito
l’importo dovuto, accede ad un ordinario
rapporto obbligatorio con l’amministrazione.
---------------
Le obbligazioni di
pagamento degli oneri di urbanizzazione e
dei costi di costruzione, così come le
conseguenti sanzioni per ritardato
pagamento, hanno natura reale o “propter rem”,
essendo caratterizzate dalla stretta
inerenza alla res ed essendo perciò
destinate a circolare unitamente ad essa,
per il carattere dell’ambulatorietà che le
contraddistingue. Ne deriva che le stesse
gravano anche sull’acquirente nel caso di
trasferimento del bene.
È stato infatti affermato che
“l’obbligazione in solido per il pagamento
degli oneri di urbanizzazione e la natura
reale dell’obbligazione riguardano i
soggetti che stipulano la convenzione,
quelli che richiedono la concessione e
quelli che realizzano l’edificazione, nonché
i loro aventi causa”.
Analogamente, si è precisato che anche
“l’obbligazione di pagamento delle sanzioni
per ritardato pagamento degli oneri
concessori va configurata come propter rem
e, quindi, da porsi a carico del soggetto
che, in un determinato momento, si trova in
una relazione qualificata con l’immobile”.
---------------
SENTENZA
1. La vicenda oggetto del presente giudizio
è relativa alla consistenza e titolarità,
dal lato passivo, dell’obbligazione di
pagamento del contributo di costruzione (e
relative sanzioni) e degli oneri concernenti
la “monetizzazione di aree diverse”
per un intervento di sostituzione edilizia
eseguito a Milano, in via ..., sulla base
della DIA WF 10981/2013, a suo tempo
presentata da Pa.So.2007 s.r.l. e poi
volturata a In.La.Im. s.r.l.
2. In via preliminare, deve essere affermata
la giurisdizione del giudice amministrativo
sulla presente controversia, giacché secondo
una consolidata giurisprudenza, condivisa
dal Collegio, le questioni attinenti alla
spettanza e alla liquidazione del contributo
per gli oneri di urbanizzazione e costo di
costruzione sono riservate alla
giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo ai sensi dell’art. 133, comma
1, lett. f), cod. proc. amm.; le stesse,
poi, avendo ad oggetto l’accertamento di un
rapporto obbligatorio che prescinde
dall’esistenza di atti della P.A., non sono
soggette alle regole delle azioni
impugnatorie-annullatorie degli atti
amministrativi e ai rispettivi termini di
decadenza (cfr., ex plurimis, Cons.
Stato, Sez. VI, 07.05.2015, n. 2294; TAR
Lombardia, Milano, Sez. II, 10.05.2018, n.
1242 e, in particolare, Cons. Stato, Ad.
Plenaria, 30.08.2018, n. 12, la quale ha
ritenuto che “L’affermazione secondo cui
il contributo di costruzione costituisce una
prestazione patrimoniale imposta e rientra a
tale titolo nell’ambito dei rapporti di
diritto pubblico in quanto necessariamente
legata al rilascio del titolo edilizio,
tuttavia, non comporta ex se che i relativi
atti di determinazione abbiano
necessariamente carattere autoritativo, si
colorino, per così dire, di imperatività e
siano espressione di potestà pubblicistica.
Il privato che intende ottenere il permesso
di costruire ha avanti a sé la scelta di
corrispondere il contributo di costruzione o
di rinunciare al rilascio del titolo.
Effettuata questa scelta, che comporta la
necessaria corresponsione del corrispettivo
di diritto pubblico, il pagamento di questo,
esclusa pacificamente la sua natura
tributaria, non può che costituire l’oggetto
di un ordinario rapporto obbligatorio,
disciplinato dalle norme di diritto privato,
come prescrive l’art. 1, comma 1-bis, della
l. n. 241 del 1990, salvo che la legge
disponga diversamente”).
Ciò vale anche per la cd. monetizzazione di
standard, la quale, una volta definito
l’importo dovuto, accede ad un ordinario
rapporto obbligatorio con l’amministrazione.
3. L’assenza di un termine decadenziale di
impugnazione del provvedimento rende anche
irrilevante, il fatto –non oggetto di
eccezione di parte– che il ricorso dinnanzi
al TAR, trasposto a seguito di riassunzione,
si affidi a motivi diversi e più estesi di
quelli, invero nemmeno formulati, dell’atto
di citazione dinnanzi al Tribunale ordinario
di Milano (cfr. doc. 4 depositato dalla
ricorrente il 06.11.2019), essendo comunque
autonomamente proponibili, senza che sia
appunto intervenuta decadenza.
4. Venendo ora al merito del giudizio, la
domanda –affidata a cinque motivi di
ricorso– è infondata.
5. Si ritiene di analizzare prioritariamente
il quarto motivo di ricorso, con il quale si
deduce l’illegittima erogazione delle
sanzioni di ritardato pagamento del
contributo di costruzione, ex art. 42 d.P.R.
n. 380/2001, poiché le stesse sarebbero
spettate invece alla venditrice Pa.So.2007
s.r.l., essendo questa ad aver posto in
essere il comportamento (mancato pagamento
alla scadenza) rimproverabile.
In sostanza, il motivo è volto
all’accertamento dell’insussistenza del
presupposto dell’ingiunzione di pagamento,
vale a dire il debito in capo alla società
In.La.Im..
5.1. La prospettazione della parte
ricorrente non può essere accolta.
5.2. Secondo un condivisibile orientamento
giurisprudenziale, le obbligazioni di
pagamento degli oneri di urbanizzazione e
dei costi di costruzione, così come le
conseguenti sanzioni per ritardato
pagamento, hanno natura reale o “propter
rem”, essendo caratterizzate dalla
stretta inerenza alla res ed essendo
perciò destinate a circolare unitamente ad
essa, per il carattere dell’ambulatorietà
che le contraddistingue.
Ne deriva che le stesse gravano anche
sull’acquirente nel caso di trasferimento
del bene. È stato infatti affermato che “l’obbligazione
in solido per il pagamento degli oneri di
urbanizzazione e la natura reale
dell’obbligazione riguardano i soggetti che
stipulano la convenzione, quelli che
richiedono la concessione e quelli che
realizzano l’edificazione, nonché i loro
aventi causa” (cfr. Cons. di Stato, Sez.
IV, 15.05.2019, n. 3141; altresì, C.G.A.,
30.09.2019, n. 848; TAR Lombardia, Milano,
Sez. II, 12.07.2017, n. 1604; TAR Veneto,
11.10.2019, n. 1083; TAR Sicilia, Palermo,
Sez. II, 19.10.2017, n. 2402).
Analogamente, si è precisato che anche “l’obbligazione
di pagamento delle sanzioni per ritardato
pagamento degli oneri concessori va
configurata come propter rem e, quindi, da
porsi a carico del soggetto che, in un
determinato momento, si trova in una
relazione qualificata con l’immobile” (cfr.
Consiglio di Stato, IV, 01.04.2011, n.
2037).
5.3. L’obbligazione inerente il contributo
di costruzione, nella sua interezza, e le
sanzioni per l’omesso pagamento, quindi, si
è trasferita in capo alla In.La.Im. s.r.l.,
la quale, peraltro, era perfettamente
consapevole dell’omesso pagamento, come
evidenziato dalla nota con cui la stessa
comunicava la voltura del titolo, di cui si
è dato conto in “fatto”.
5.4. D’altro canto, anche volendosi
analizzare la questione da una prospettiva
meramente civilistica, non risulta che
l’amministrazione comunale abbia liberato la
ricorrente dalle obbligazioni derivanti dal
titolo edilizio oggetto di voltura (sia
quanto a contributo di costruzione, sia
quanto a sanzioni per omesso pagamento).
Con riferimento alla comunicazione di
voltura della DIA, in data 01.10.2015, e
agli accordi di pagamento e imputazione
esclusiva intervenuti tra le società,
l’amministrazione comunale creditrice si è
potuta limitare a prendere atto del cambio
di titolarità della DIA, senza tuttavia
prestare alcun consenso all’imputazione alla
società In.La.Im. del solo importo di €
224.526,89, come indicato nella scrittura
privata sottoscritta dalle due società
debitrici, accordo che, ovviamente, non può
vincolare il Comune creditore, estraneo al
medesimo.
5.5. E, ancora, in tema di mera
rimproverabilità della condotta –seppur
irrilevante, alla luce di quanto già
precisato– nella presente fattispecie, il
comportamento omissivo (mancato pagamento) è
proseguito in capo alla società ricorrente,
sicché nemmeno sarebbe astrattamente
predicabile una non imputabilità del
comportamento medesimo (TAR Lombardia-Milano,
Sez. II,
sentenza 13.08.2020 n. 1573 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Secondo una consolidata giurisprudenza,
la
controversia attinente alla spettanza e
liquidazione del contributo per gli oneri di
urbanizzazione e costo di costruzione è
riservata alla giurisdizione esclusiva del
giudice amministrativo ai sensi dell’art.
133, comma 1, lett. f), cod. proc. amm., ha
ad oggetto l’accertamento di un rapporto di
credito a prescindere dall’esistenza di atti
della pubblica amministrazione e non è
soggetta alle regole delle azioni
impugnatorie-annullatorie degli atti
amministrativi ed ai rispettivi termini di
decadenza.
Ciò vale anche quanto alla pretesa alla
corresponsione di quanto a suo tempo
determinato per la cd. monetizzazione di
standard, in quanto, nonostante la
diversa natura di tale pretesa rispetto a
quella concernente il contributo di
costruzione, deve ritenersi che il relativo
credito sia comunque soggetto al termine di
prescrizione decennale dal rilascio del
titolo.
---------------
SENTENZA
1. Con il ricorso in epigrafe, notificato il
27.01.2017 e depositato il 16 febbraio
successivo, la società ricorrente ha
impugnato il provvedimento del Comune di
Milano del 25.10.2016, notificatole il
29.11.2016, con il quale veniva invitata a
versare la somma di € 17.236,22, a titolo di
conguaglio del contributo di costruzione e
di cd. monetizzazione degli spazi destinati
a parcheggio, relativamente alla DIA del
12.08.2004 e successive varianti.
2. Ha esposto in fatto la società
ricorrente:
- che la Im.It. s.r.l., sua dante causa, presentava in data
12.08.2004 una DIA finalizzata a “ristrutturazione
e ampliamento di un edificio industriale da
destinare a residenza, e realizzazione di un
parcheggio al piano terra e al piano
interrato ad utilizzo della residenza”,
da eseguirsi presso l’immobile di proprietà
in via ... n. 3;
- di essere subentrata all’Im.It. e aver presentato, in data
03.05.2006, per il medesimo intervento, una
seconda DIA per “ristrutturazione
edilizia ed ampliamento edificio”, che
comprendeva le seguenti opere: “recupero
a fini abitativi di tutto il piano
sottotetto dell’immobile in oggetto con la
creazione di sei unità immobiliari,
rispettando i volumi, gli allineamenti e le
finiture dell’edificio originario. Verranno
modificate le aperture delle scale e
verranno realizzati dei terrazzi praticabili
sulla copertura piano dell’edificio,
raggiungibile tramite scale a chiocciola
esterne”;
- di avere poi, in data 20.09.2007, depositato una DIA in variante
non essenziale per “modifica
distribuzione interna, modifica copertura
edificio, modifica boxes, nuove canne
fumarie”;
- di aver effettuato, nella medesima data, la dichiarazione di fine
lavori, con contestuale richiesta di
certificato di agibilità;
- di aver autoliquidato e corrisposto interamente l’importo del
contributo di costruzione (oneri di
urbanizzazione e costo di costruzione),
nonché di aver provveduto ad asservire a
spazi per parcheggio la superficie richiesta
in applicazione della normativa allora
vigente, il tutto per complessivi €
261.698,00 circa;
- che durante il procedimento per il rilascio del certificato di
agibilità, il Comune procedeva al controllo
dei calcoli e dei versamenti operati dalla
società relativamente agli oneri di
urbanizzazione e al costo di costruzione e
rilevava un errore nella superficie dei
parcheggi, inferiore di mq. 46,55 rispetto a
quella prevista per legge;
- che il Comune indicava quindi, nel provvedimento del 29.11.2016,
la somma complessiva di € 17.236,22 come
dovuta dalla società, a titolo di
conguaglio, per contributo di costruzione e
cd. “monetizzazione parcheggi”, così
suddivisi: € 1,21 per oneri di
urbanizzazione primaria, € 2,79 per oneri di
urbanizzazione secondaria, € 2.240,79 per
costo di costruzione ed € 14.991,43 per “monetizzazione
parcheggi”;
- di aver chiesto l’annullamento dell’atto in autotutela,
lamentandone l’erroneità e la tardività;
- di non aver ricevuto riscontro dal Comune.
3. Assumendo l’illegittimità del predetto
provvedimento, la ricorrente ha quindi
proposto il ricorso in epigrafe, chiedendo
l’annullamento dell’atto e l’accertamento
dell’insussistenza del diritto di credito
del Comune.
...
1. La ricorrente ha dedotto l’illegittimità
del provvedimento comunale, eccependo
innanzitutto (con il primo motivo)
l’intervenuta prescrizione del credito del
Comune, la violazione dell’art. 2935 cod.
civ. alla luce dell’art. 16, comma 1, del
D.P.R. n. 380 del 2001 e dell’art. 64 della
legge regionale n. 12 del 2005, l’eccesso di
potere per violazione delle circolari dello
Sportello unico per l’edilizia n. 5/2001 e
n. 2/2011 e la carenza di motivazione.
Con le ulteriori censure, ha dedotto
l’erroneità del calcolo dell’amministrazione
(secondo motivo), nonché la violazione e
falsa applicazione dell’art. 7 della legge
n. 241 del 1990 (terzo motivo) e
l’insufficienza della motivazione (quarto
motivo).
2. In via preliminare, deve essere ritenuta
la giurisdizione del giudice amministrativo
in ordine alla presente controversia, che
concerne innanzi tutto la debenza del
contributo di costruzione in materia
edilizia.
Secondo una consolidata giurisprudenza,
condivisa dal Collegio, infatti, la
controversia attinente alla spettanza e
liquidazione del contributo per gli oneri di
urbanizzazione e costo di costruzione è
riservata alla giurisdizione esclusiva del
giudice amministrativo ai sensi dell’art.
133, comma 1, lett. f), cod. proc. amm., ha
ad oggetto l’accertamento di un rapporto di
credito a prescindere dall’esistenza di atti
della pubblica amministrazione e non è
soggetta alle regole delle azioni
impugnatorie-annullatorie degli atti
amministrativi ed ai rispettivi termini di
decadenza (cfr., ex plurimis, Consiglio di
Stato, Sez. IV, 30.08.2018, n. 5096; id.,
Sez. VI, 07.05.2015, n. 2294; TAR
Lombardia, Milano, Sez. II, 20.05.2020,
n. 858; id., 10.05.2018, n. 31242).
Ciò vale anche quanto alla pretesa alla
corresponsione di quanto a suo tempo
determinato per la cd. monetizzazione di
standard, in quanto, nonostante la diversa
natura di tale pretesa rispetto a quella
concernente il contributo di costruzione,
deve ritenersi che il relativo credito sia
comunque soggetto al termine di prescrizione
decennale dal rilascio del titolo (v. TAR
Lombardia, Milano, Sez. II, 03.05.2018 n.
1197)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 11.08.2020 n. 1561 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Perfezionamento
della dia.
Il titolo edilizio si
perfeziona indipendentemente dalla
corresponsione degli oneri di
urbanizzazione, come si ricava anche dal
tenore dell’art. 42, comma 3, della legge
regionale n. 12 del 2005 (‘la quota relativa
agli oneri di urbanizzazione è corrisposta
al comune entro trenta giorni successivi
alla presentazione della denuncia di inizio
attività, fatta salva la facoltà di rateizzazione’).
A tal fine, si deve richiamare l’art. 42 del
D.P.R. n. 380 del 2001 che prevede
l’applicazione di una sanzione pecuniaria
rapportata all’entità del contributo in caso
di mancato pagamento o per il suo ritardo,
con la possibilità per i Comuni di tutelarsi
mediante la riscossione coattiva.
Ciò risulta avallato, oltre che dal dato
normativo –art. 44, comma 13, della legge
regionale n. 12 del 2005 [‘L’ammontare
dell’eventuale maggior somma va sempre
riferito ai valori stabiliti dal comune alla
data (…) di presentazione della denuncia di
inizio attività’]–, altresì dalla
giurisprudenza maggioritaria, secondo la
quale il momento su cui appuntare
l’affidamento della parte istante è quello
della presentazione della denuncia, che
coincide con il momento perfezionativo per
consolidazione postuma e non in quello in
cui la stessa acquisterebbe efficacia,
trovandosi al cospetto non di un
provvedimento amministrativo tacito o
implicito, ma semplicemente di un atto del
privato, cui va applicata la disciplina
legislativa vigente al momento della
presentazione della denuncia alla Pubblica
Amministrazione.
Da ciò discende che i singoli titoli edilizi
si sono perfezionati all’atto del loro
deposito, una volta trascorso il termine di
trenta giorni senza alcun intervento
inibitorio dell’Amministrazione.
---------------
Quanto alla
natura del contributo di costruzione dovuto
dal soggetto che intraprenda un’iniziativa
edificatoria, lo stesso ‘rappresenta una
compartecipazione del privato alla spesa
pubblica occorrente alla realizzazione delle
opere di urbanizzazione.
In altri termini,
fin dalla legge che ha introdotto
nell’ordinamento il principio della
onerosità del titolo a costruire (art. 1
della legge n. 10 del 1977), la ragione
della compartecipazione alla spesa pubblica
del privato è da ricollegare sul piano eziologico al surplus di opere di
urbanizzazione che l’amministrazione
comunale è tenuta ad affrontare in relazione
al nuovo intervento edificatorio del
richiedente il titolo edilizio’.
Pertanto, laddove l’intervento edilizio
non determini alcun aumento del carico insediativo a livello urbanistico nessun
contributo risulta dovuto in capo al privato
che ha realizzato il predetto intervento.
---------------
Ai sensi dell’art. 42, comma 3, della legge
regionale n. 12 del 2005 (“La quota relativa agli
oneri di urbanizzazione è corrisposta al
comune entro trenta giorni successivi alla
presentazione della denuncia di inizio
attività, fatta salva la facoltà di
rateizzazione”) il termine per esigere tale
contributo o richiedere eventuali conguagli si prescrive per
decorso del termine decennale.
---------------
Quanto alla pretesa comunale circa la c.d. monetizzazione “parcheggi”, il
Collegio concorda con la ricorrente a
proposito della decorrenza del termine di
prescrizione decennale ancorata alla
formazione del titolo edilizio.
Non recando
una previsione esplicita l’art. 64, comma 3,
della legge regionale n. 12 del 2005
(“Qualora sia dimostrata l’impossibilità,
per mancata disponibilità di spazi idonei,
ad assolvere tale obbligo, gli interventi
sono consentiti previo versamento al comune
di una somma pari al costo base di
costruzione per metro quadrato di spazio per
parcheggi da reperire. Tale somma deve
essere destinata alla realizzazione di
parcheggi da parte del comune”), è doveroso
interpretare la norma nel senso
dell’immediata esigibilità della somma, una
volta intervenuta l’abilitazione
all’esecuzione dell’intervento edilizio,
così come già detto per la quota di
contributo relativa agli oneri di
urbanizzazione.
---------------
Diversa conclusione deve invece predicarsi
con riferimento alla quota relativa al costo
di costruzione tenuto conto che l’art. 48,
comma 7, della legge regionale n. 12 del
2005 –similmente all’art. 16, comma 3, del
D.P.R. n. 380 del 2001– stabilisce che “la
quota di contributo relativa al costo di
costruzione, determinata all’atto del
rilascio, ovvero per effetto della
presentazione della denuncia di inizio
attività, è corrisposta in corso d’opera,
con le modalità e le garanzie stabilite dal
comune e comunque non oltre sessanta giorni
dalla data dichiarata di ultimazione dei
lavori” (nel senso della decorrenza del
termine di prescrizione del credito relativo
al costo di costruzione riferita alla fine
lavori o alla diversa data stabilita
dall’Amministrazione).
---------------
SENTENZA
1. Con il ricorso in epigrafe, notificato il
27.01.2017 e depositato il 16 febbraio
successivo, la società ricorrente ha
impugnato il provvedimento del Comune di
Milano del 25.10.2016, notificatole il
29.11.2016, con il quale veniva invitata a
versare la somma di € 17.236,22, a titolo di
conguaglio del contributo di costruzione e
di cd. monetizzazione degli spazi destinati
a parcheggio, relativamente alla DIA del
12.08.2004 e successive varianti.
2. Ha esposto in fatto la società
ricorrente:
- che la Im.It. s.r.l., sua dante causa, presentava in data
12.08.2004 una DIA finalizzata a “ristrutturazione
e ampliamento di un edificio industriale da
destinare a residenza, e realizzazione di un
parcheggio al piano terra e al piano
interrato ad utilizzo della residenza”,
da eseguirsi presso l’immobile di proprietà
in via ... n. 3;
- di essere subentrata all’Im.It. e aver presentato, in data
03.05.2006, per il medesimo intervento, una
seconda DIA per “ristrutturazione
edilizia ed ampliamento edificio”, che
comprendeva le seguenti opere: “recupero
a fini abitativi di tutto il piano
sottotetto dell’immobile in oggetto con la
creazione di sei unità immobiliari,
rispettando i volumi, gli allineamenti e le
finiture dell’edificio originario. Verranno
modificate le aperture delle scale e
verranno realizzati dei terrazzi praticabili
sulla copertura piano dell’edificio,
raggiungibile tramite scale a chiocciola
esterne”;
- di avere poi, in data 20.09.2007, depositato una DIA in variante
non essenziale per “modifica
distribuzione interna, modifica copertura
edificio, modifica boxes, nuove canne
fumarie”;
- di aver effettuato, nella medesima data, la dichiarazione di fine
lavori, con contestuale richiesta di
certificato di agibilità;
- di aver autoliquidato e corrisposto interamente l’importo del
contributo di costruzione (oneri di
urbanizzazione e costo di costruzione),
nonché di aver provveduto ad asservire a
spazi per parcheggio la superficie richiesta
in applicazione della normativa allora
vigente, il tutto per complessivi €
261.698,00 circa;
- che durante il procedimento per il rilascio del certificato di
agibilità, il Comune procedeva al controllo
dei calcoli e dei versamenti operati dalla
società relativamente agli oneri di
urbanizzazione e al costo di costruzione e
rilevava un errore nella superficie dei
parcheggi, inferiore di mq. 46,55 rispetto a
quella prevista per legge;
- che il Comune indicava quindi, nel provvedimento del 29.11.2016,
la somma complessiva di € 17.236,22 come
dovuta dalla società, a titolo di
conguaglio, per contributo di costruzione e
cd. “monetizzazione parcheggi”, così
suddivisi: € 1,21 per oneri di
urbanizzazione primaria, € 2,79 per oneri di
urbanizzazione secondaria, € 2.240,79 per
costo di costruzione ed € 14.991,43 per “monetizzazione
parcheggi”;
- di aver chiesto l’annullamento dell’atto in autotutela,
lamentandone l’erroneità e la tardività;
- di non aver ricevuto riscontro dal Comune.
3. Assumendo l’illegittimità del predetto
provvedimento, la ricorrente ha quindi
proposto il ricorso in epigrafe, chiedendo
l’annullamento dell’atto e l’accertamento
dell’insussistenza del diritto di credito
del Comune.
...
3. Venendo ora allo scrutinio del merito del
ricorso, lo stesso è fondato.
4. Con la prima doglianza, di carattere
assorbente, si assume l’illegittimità della
pretesa comunale, in quanto il diritto a
ottenere il conguaglio del contributo di
costruzione e il versamento della monetizzazione degli spazi destinati a
parcheggi si sarebbe prescritto per scadenza
del termine decennale decorrente dal
perfezionamento delle DIA presentate il 12.08.2004 e
03.05.2006, considerato
invece che l’ultima DIA del 20.09.2007, quale variante minore non essenziale,
non avrebbe determinato alcun aumento del
carico urbanistico e, quindi, nessuna
variazione in aumento del contributo di
costruzione.
4.1. La censura è parzialmente fondata.
4.2. Come già osservato dalla Sezione in una
fattispecie analoga alla presente (sentenza
10.05.2018, n. 1242), “va premesso che
il titolo edilizio si perfeziona
indipendentemente dalla corresponsione degli
oneri di urbanizzazione, come si ricava
anche dal tenore dell’art. 42, comma 3,
della legge regionale n. 12 del 2005 (‘la
quota relativa agli oneri di urbanizzazione
è corrisposta al comune entro trenta giorni
successivi alla presentazione della denuncia
di inizio attività, fatta salva la facoltà
di rateizzazione’).
A tal fine, si deve
richiamare l’art. 42 del D.P.R. n. 380 del
2001 che prevede l’applicazione di una
sanzione pecuniaria rapportata all’entità
del contributo in caso di mancato pagamento
o per il suo ritardo, con la possibilità per
i Comuni di tutelarsi mediante la
riscossione coattiva (anche se con
riferimento al permesso di costruire, cfr.
TAR Lombardia, Milano, II, 14.11.2017, n. 2173).
Ciò risulta avallato, oltre che dal dato
normativo –art. 44, comma 13, della legge
regionale n. 12 del 2005 [‘L’ammontare
dell’eventuale maggior somma va sempre
riferito ai valori stabiliti dal comune alla
data (…) di presentazione della denuncia di
inizio attività’]–, altresì dalla
giurisprudenza maggioritaria, secondo la
quale il momento su cui appuntare
l’affidamento della parte istante è quello
della presentazione della denuncia, che
coincide con il momento perfezionativo per
consolidazione postuma e non in quello in
cui la stessa acquisterebbe efficacia,
trovandosi al cospetto non di un
provvedimento amministrativo tacito o
implicito, ma semplicemente di un atto del
privato, cui va applicata la disciplina
legislativa vigente al momento della
presentazione della denuncia alla Pubblica
Amministrazione (cfr. Consiglio di Stato, IV,
13.05.2013, n. 2593; 04.09.2012,
n. 4669; TAR Lombardia, Milano, II, 15.03.2018, n. 730;
04.03.2016, n. 434).
Da ciò discende che i singoli titoli edilizi
si sono perfezionati all’atto del loro
deposito, una volta trascorso il termine di
trenta giorni senza alcun intervento
inibitorio dell’Amministrazione.
Quanto alla
natura del contributo di costruzione dovuto
dal soggetto che intraprenda un’iniziativa
edificatoria, lo stesso ‘rappresenta una
compartecipazione del privato alla spesa
pubblica occorrente alla realizzazione delle
opere di urbanizzazione.
In altri termini,
fin dalla legge che ha introdotto
nell’ordinamento il principio della
onerosità del titolo a costruire (art. 1
della legge n. 10 del 1977), la ragione
della compartecipazione alla spesa pubblica
del privato è da ricollegare sul piano eziologico al surplus di opere di
urbanizzazione che l’amministrazione
comunale è tenuta ad affrontare in relazione
al nuovo intervento edificatorio del
richiedente il titolo edilizio’ (Consiglio
di Stato, Ad. plen., 07.12.2016, n.
24).
Pertanto, laddove l’intervento edilizio
non determini alcun aumento del carico insediativo a livello urbanistico nessun
contributo risulta dovuto in capo al privato
che ha realizzato il predetto intervento”.
4.3. Applicando i suesposti principi, che il
Collegio condivide, alla fattispecie oggetto
di scrutinio nella presente sede, deve
evidenziarsi che gli interventi posti in
essere dalla società ricorrente che hanno
determinato un aumento del carico
insediativo sono pacificamente riconducibili
esclusivamente alle D.I.A. del 12.08.2004 e del
03.05.2006 e non anche alla
DIA del 20.09.2007, avendo avuto quest’ultima ad oggetto interventi di
modifica della distribuzione interna degli
spazi, non rilevanti né con riguardo al peso
insediativo né in relazione alla variazione
della destinazione d’uso.
Peraltro, tali elementi non sono stati
contestati dalla difesa comunale, la quale
ha invece sostenuto che solo al termine dei
lavori sia possibile stabilire la corretta e
definitiva entità del contributo da versare.
4.4. In sintesi, l’ultimo intervento
edilizio comportante un aumento di carico
insediativo è quello relativo alla d.i.a.
del 03.05.2006 e quindi, ai sensi
dell’art. 42, comma 3, della legge regionale
n. 12 del 2005 (“La quota relativa agli
oneri di urbanizzazione è corrisposta al
comune entro trenta giorni successivi alla
presentazione della denuncia di inizio
attività, fatta salva la facoltà di
rateizzazione”), il termine per esigere tale
contributo o richiedere eventuali conguagli
ha cominciato a decorrere dal 02.06.2006
e si è prescritto il 02.06.2016, per
decorso del termine decennale (cfr.
Consiglio di Stato, Sez. IV, 27.09.2017, n. 4515; TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 26.07.2017, n. 1678).
4.5. Quanto, poi, alla pretesa comunale
circa la c.d. monetizzazione “parcheggi”, il
Collegio concorda con la ricorrente a
proposito della decorrenza del termine di
prescrizione decennale ancorata alla
formazione del titolo edilizio.
Non recando
una previsione esplicita l’art. 64, comma 3,
della legge regionale n. 12 del 2005
(“Qualora sia dimostrata l’impossibilità,
per mancata disponibilità di spazi idonei,
ad assolvere tale obbligo, gli interventi
sono consentiti previo versamento al comune
di una somma pari al costo base di
costruzione per metro quadrato di spazio per
parcheggi da reperire. Tale somma deve
essere destinata alla realizzazione di
parcheggi da parte del comune”), è doveroso
interpretare la norma nel senso
dell’immediata esigibilità della somma, una
volta intervenuta l’abilitazione
all’esecuzione dell’intervento edilizio,
così come già detto per la quota di
contributo relativa agli oneri di
urbanizzazione.
Anche la pretesa relativa alla cd.
“monetizzazione parcheggi” era dunque
prescritta alla data di adozione (e a quella
successiva di invio) dell’atto contestato.
4.6. Diversa conclusione deve invece
predicarsi con riferimento alla quota
relativa al costo di costruzione (sulla
differenza tra contributo di costruzione e
costo di costruzione, cfr. Consiglio di
Stato, IV, 28.06.2016, n. 2915), pari ad
€ 2.240,79, tenuto conto che l’art. 48,
comma 7, della legge regionale n. 12 del
2005 –similmente all’art. 16, comma 3, del
D.P.R. n. 380 del 2001– stabilisce che “la
quota di contributo relativa al costo di
costruzione, determinata all’atto del
rilascio, ovvero per effetto della
presentazione della denuncia di inizio
attività, è corrisposta in corso d’opera,
con le modalità e le garanzie stabilite dal
comune e comunque non oltre sessanta giorni
dalla data dichiarata di ultimazione dei
lavori” (nel senso della decorrenza del
termine di prescrizione del credito relativo
al costo di costruzione riferita alla fine
lavori o alla diversa data stabilita
dall’Amministrazione, cfr. TAR Lombardia,
Milano, Sez. II, 02.05.2018, n. 1183; id.,
08.01.2019, n. 32; id, 05.09.2019,
n. 1949).
Nel caso di specie, la dichiarazione di fine
lavori risale al 20.09.2007 e, quindi, la
richiesta comunale di conguaglio del costo
di costruzione –datata 25.10.2016 e
comunicata alla società il 29.10.2016–
risulta tempestiva rispetto al termine
prescrizionale decennale che sarebbe scaduto
in data successiva.
4.7. Alla luce di quanto sopra, l’ordine di
pagamento è illegittimo, per intervenuta
prescrizione del relativo credito, quanto
alle poste relative a oneri di
urbanizzazione primaria e secondaria (€ 1,21
ed € 2,79) e a cd. “monetizzazione
parcheggi” (€ 14.991,43). La pretesa
comunale è invece tempestiva quanto al
credito per conguaglio del costo di
costruzione (€ 2.240,79).
4.8. La fondatezza della suesposta censura
in relazione alle poste per oneri di
urbanizzazione e monetizzazione determina
–previo assorbimento del secondo motivo di
ricorso, relativo al merito del calcolo
della monetizzazione– il parziale
accoglimento del ricorso
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 11.08.2020 n. 1561 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
luglio 2020 |
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EDILIZIA PRIVATA: Il
contributo concessorio (comprendente oneri di urbanizzazione e
costo di costruzione) è un’obbligazione giuridica di tipo pubblicistico
che sorge con il rilascio della concessione edilizia ed è qualificabile come
corrispettivo di diritto pubblico, di natura non tributaria, posto a carico
del costruttore a titolo di partecipazione ai costi delle opere di
urbanizzazione in proporzione all'insieme dei benefici arrecati al nuovo
manufatto.
La disposizione che regola la fattispecie si rinviene all’art. 16 del DPR
380/2001 (rubricato “Contributo per il rilascio del permesso di costruire”),
il quale dispone al comma 1 che “Salvo quanto disposto dall'articolo 17,
comma 3, il rilascio del permesso di costruire comporta la corresponsione di
un contributo commisurato all'incidenza degli oneri di urbanizzazione nonché
al costo di costruzione, secondo le modalità indicate nel presente
articolo”.
---------------
In linea generale, la partecipazione del privato
al costo delle opere di urbanizzazione è dovuta allorquando l’intervento
determini un incremento del peso insediativo con un’oggettiva rivalutazione
dell’immobile, sicché l'onerosità del permesso di costruire è funzionale a
sopportare il carico socio-economico che la realizzazione comporta sotto il
profilo urbanistico.
Invero, <<Mentre il costo di costruzione rappresenta una
compartecipazione comunale all’incremento di valore della proprietà
immobiliare, gli oneri di urbanizzazione svolgono la funzione di
compensare la collettività per il nuovo ulteriore carico urbanistico che si
riversa sulla zona a causa della consentita attività edificatoria. Essi sono
pertanto dovuti nel caso di trasformazioni edilizie che, indipendentemente
dall’esecuzione di opere, si rivelino produttive di vantaggi economici per
il proprietario, determinando un aumento del carico urbanistico. Tale
incremento può derivare anche da una mera modifica della destinazione d’uso
di un immobile, mentre può non configurarsi nell’ipotesi di intervento
edilizio con opere. … Secondo consolidata e risalente giurisprudenza il
fondamento del contributo di urbanizzazione pertanto “non consiste nel
titolo edilizio in sé, ma nella necessità di ridistribuire i costi sociali
delle opere di urbanizzazione, facendoli gravare su quanti beneficiano delle
utilità derivanti dalla presenza delle medesime secondo modalità eque per la
comunità con la conseguenza che, anche nel caso di modificazione della
destinazione d'uso, cui si correli un maggiore carico urbanistico, è
integrato il presupposto che giustifica l'imposizione del pagamento della
differenza tra gli oneri di urbanizzazione dovuti per la destinazione
originaria e quelli, se più elevati, dovuti per la nuova destinazione
impressa.” …>>.
Altresì, “In linea di diritto, mentre la quota del contributo
di costruzione commisurata al costo di costruzione risulta ontologicamente
connessa alla tipologia e all'entità (superficie e volumetria)
dell'intervento edilizio e assolve alla funzione di permettere
all'amministrazione comunale il recupero delle spese sostenute dalla
collettività di riferimento alla trasformazione del territorio consentita al
privato istante (ossia, a compensare la c.d. compartecipazione comunale
all'incremento di valore della proprietà immobiliare del costruttore, a
seguito della nuova edificazione), la quota del contributo di costruzione
commisurata agli oneri di urbanizzazione "assolve alla prioritaria
funzione di compensare la collettività per il nuovo ulteriore carico
urbanistico che si riversa sulla zona, con la precisazione che per aumento
del carico urbanistico deve intendersi tanto la necessità di dotare l'area
di nuove opere di urbanizzazione, quanto l'esigenza di utilizzare più
intensamente quelle già esistenti".
---------------
Il contributo concessorio è in buona sostanza strettamente connesso
all'attività di trasformazione del territorio e quindi, ove tale ultima
circostanza non si verifichi, il pagamento risulta privo della causa
dell'originaria “obbligazione di dare”, cosicché l'importo versato va
restituito; il diritto al rimborso sorge non solamente nel caso in cui la
mancata realizzazione delle opere sia totale, ma anche ove il permesso di
costruire sia stato utilizzato solo parzialmente: la parziale realizzazione
di opere previste nel permesso di costruire non può che comportare una
riduzione dell'aggravio del carico urbanistico della zona e manifestare una
minore capacità contributiva rispetto all'ipotesi in cui tutte le opere
assentite fossero edificate.
Da ciò l'ulteriore corollario che, allorché si dia luogo alla rinuncia al
permesso di costruire o questo rimanga inutilizzato, ovvero nelle ipotesi di
intervenuta decadenza del titolo edilizio, sorge in capo
all’amministrazione, anche ai sensi dell'articolo 2033 c.c. o, comunque,
dell'articolo 2041 c.c., l'obbligo di restituzione delle somme corrisposte a
titolo di contributo per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione, e
il diritto del privato a pretenderne la restituzione.
---------------
In caso di non debenza del contributo di costruzione
versato l'’amministrazione comunale è tenuta alla restituzione
del quantum indebitamente percepito, oltre agli interessi maturati dalla
data di notificazione dell'atto introduttivo del presente giudizio.
Dispone
infatti l’art. 2033 c.c. che “chi ha eseguito un pagamento non dovuto ha
diritto di ripetere ciò che ha pagato. Ha inoltre diritto ai frutti e agli
interessi dal giorno del pagamento, se chi lo ha ricevuto era in mala fede,
oppure, se questi era in buona fede, dal giorno della domanda”. In assenza
di prova contraria, deve presumersi la buona fede dell’amministrazione
comunale.
---------------
La Società ricorrente, che aveva ottenuto il titolo abilitativo per
i lavori di ristrutturazione di un edificio ex rurale, censura la pretesa
del Comune di esigere il pagamento del contributo di urbanizzazione (i
lavori risultano solo parzialmente eseguiti).
La controversia ha quindi ad
oggetto un giudizio di accertamento negativo in ordine all’obbligazione
pecuniaria relativa al pagamento del contributo, nell’ambito della
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo rispetto alla quale gli
atti di liquidazione sono privi di contenuto ed effetti provvedimentali
(Consiglio di Stato, sez. IV – 01/02/2017 n. 425).
Il gravame è fondato e merita accoglimento, per i motivi di seguito
illustrati.
1. Il Collegio richiama anzitutto i principi giurisprudenziali elaborati
nella materia controversa, per cui il contributo concessorio (comprendente
oneri di urbanizzazione e costo di costruzione) è un’obbligazione giuridica
di tipo pubblicistico che sorge con il rilascio della concessione edilizia (cfr.
Consiglio di Stato, sez. VI – 07/02/2017 n. 728) ed è qualificabile come
corrispettivo di diritto pubblico, di natura non tributaria, posto a carico
del costruttore a titolo di partecipazione ai costi delle opere di
urbanizzazione in proporzione all'insieme dei benefici arrecati al nuovo
manufatto (Consiglio di Stato, sez. IV – 29/10/2015 n. 4950).
2. La disposizione che regola la fattispecie si rinviene all’art. 16 del DPR
380/2001 (rubricato “Contributo per il rilascio del permesso di costruire”),
il quale dispone al comma 1 che “Salvo quanto disposto dall'articolo 17,
comma 3, il rilascio del permesso di costruire comporta la corresponsione di
un contributo commisurato all'incidenza degli oneri di urbanizzazione nonché
al costo di costruzione, secondo le modalità indicate nel presente
articolo”.
Nel caso di specie, è pacifica la natura dell’intervento in
origine programmato, consistente nella ristrutturazione di un complesso
edilizio.
3. Osserva il Collegio che, in linea generale, la partecipazione del privato
al costo delle opere di urbanizzazione è dovuta allorquando l’intervento
determini un incremento del peso insediativo con un’oggettiva rivalutazione
dell’immobile, sicché l'onerosità del permesso di costruire è funzionale a
sopportare il carico socio-economico che la realizzazione comporta sotto il
profilo urbanistico.
Come ha statuito di recente il TAR Brescia (cfr.
sentenza Sezione I – 17/06/2019 n. 574, che non risulta appellata) <<Mentre
il costo di costruzione rappresenta una compartecipazione comunale
all’incremento di valore della proprietà immobiliare, gli oneri di
urbanizzazione svolgono la funzione di compensare la collettività per il
nuovo ulteriore carico urbanistico che si riversa sulla zona a causa della
consentita attività edificatoria (TAR Piemonte, sez. I, 21.05.2018, n.
630).
Essi sono pertanto dovuti nel caso di trasformazioni edilizie che,
indipendentemente dall’esecuzione di opere, si rivelino produttive di
vantaggi economici per il proprietario, determinando un aumento del carico
urbanistico. Tale incremento può derivare anche da una mera modifica della
destinazione d’uso di un immobile, mentre può non configurarsi nell’ipotesi
di intervento edilizio con opere. … Secondo consolidata e risalente
giurisprudenza il fondamento del contributo di urbanizzazione pertanto “non
consiste nel titolo edilizio in sé, ma nella necessità di ridistribuire i
costi sociali delle opere di urbanizzazione, facendoli gravare su quanti
beneficiano delle utilità derivanti dalla presenza delle medesime secondo
modalità eque per la comunità con la conseguenza che, anche nel caso di
modificazione della destinazione d'uso, cui si correli un maggiore carico
urbanistico, è integrato il presupposto che giustifica l'imposizione del
pagamento della differenza tra gli oneri di urbanizzazione dovuti per la
destinazione originaria e quelli, se più elevati, dovuti per la nuova
destinazione impressa.” (Cons. Stato, Sez. V, 30.08.2013, n. 4326; id.
ex multis TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, 04.05.2009, n. 3604; Cons.
Stato, Sez. V, 21.12.1994, n. 1563) …>>. Si richiama, sul punto, la
sentenza della sez. I del TAR Brescia – 28/01/2020 n. 75.
3.1 Anche il Consiglio di Stato (cfr. sentenza sez. II – 09/12/2019 n. 8377)
ha chiarito che “In linea di diritto, cioè, mentre la quota del contributo
di costruzione commisurata al costo di costruzione risulta ontologicamente
connessa alla tipologia e all'entità (superficie e volumetria)
dell'intervento edilizio e assolve alla funzione di permettere
all'amministrazione comunale il recupero delle spese sostenute dalla
collettività di riferimento alla trasformazione del territorio consentita al
privato istante (ossia, a compensare la c.d. compartecipazione comunale
all'incremento di valore della proprietà immobiliare del costruttore, a
seguito della nuova edificazione), la quota del contributo di costruzione
commisurata agli oneri di urbanizzazione "assolve alla prioritaria funzione
di compensare la collettività per il nuovo ulteriore carico urbanistico che
si riversa sulla zona, con la precisazione che per aumento del carico
urbanistico deve intendersi tanto la necessità di dotare l'area di nuove
opere di urbanizzazione, quanto l'esigenza di utilizzare più intensamente
quelle già esistenti" (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 07.05.2015, n. 2294; id.,
29.08.2019, n. 5964)” (si veda anche Consiglio di Stato, sez. II –
21/10/2019 n. 7119).
4. Il contributo concessorio è in buona sostanza strettamente connesso
all'attività di trasformazione del territorio e quindi, ove tale ultima
circostanza non si verifichi, il pagamento risulta privo della causa
dell'originaria “obbligazione di dare”, cosicché l'importo versato va
restituito; il diritto al rimborso sorge non solamente nel caso in cui la
mancata realizzazione delle opere sia totale, ma anche ove il permesso di
costruire sia stato utilizzato solo parzialmente (Consiglio di Stato, sez. IV – 07/03/2018 n. 1475; TAR Marche – 08/05/2017 n. 348; TAR Lombardia
Brescia, sez. II – 02/05/2019 n. 426): la parziale realizzazione di opere
previste nel permesso di costruire non può che comportare una riduzione
dell'aggravio del carico urbanistico della zona e manifestare una minore
capacità contributiva rispetto all'ipotesi in cui tutte le opere assentite
fossero edificate (TAR Lombardia Milano, sez. II – 25/11/2019 n. 2492).
5. Da ciò l'ulteriore corollario che, allorché si dia luogo alla rinuncia al
permesso di costruire o questo rimanga inutilizzato, ovvero nelle ipotesi di
intervenuta decadenza del titolo edilizio, sorge in capo
all’amministrazione, anche ai sensi dell'articolo 2033 c.c. o, comunque,
dell'articolo 2041 c.c., l'obbligo di restituzione delle somme corrisposte a
titolo di contributo per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione, e
il diritto del privato a pretenderne la restituzione (Consiglio di Stato,
sez. IV – 15/10/2019 n. 7020 e l’ampia giurisprudenza evocata).
6. Se il presupposto dell'onerosità della trasformazione edilizia è
costituito dall’incremento di valore della proprietà immobiliare e dal
maggior carico urbanistico determinato dall'intervento, nella fattispecie
non può dirsi integrato: la Società ha posto in essere una mera attività di
demolizione prodromica a una ristrutturazione (mai realizzata) e pertanto il
fabbricato non si è arricchito di nuovi elementi ma è stato spogliato di
alcune sue parti strutturali.
In questo contesto è fuori luogo il richiamo a
una trasformazione, avendo la demolizione investito un manufatto già
esistente, senza arrecare un vulnus o comunque una modifica all’assetto del
territorio.
7. Per tale motivo, deve essere rigettata la richiesta di subordinare il
rimborso alla remissione in pristino dello status quo ante. Nell’invocata
pronuncia del TAR Toscana, sez. III – 11/02/2014 n. 288 (che risulta
appellata) è stato affermato che “l’Amministrazione comunale può ben vantare
una pretesa alla rimessione in pristino, cioè alla eliminazione delle
trasformazioni territoriali realizzate e non più sorrette dal permesso di
costruire” laddove –pur non essendo state realizzate le opere assentite dal
titolo– “siano stati tuttavia posti in essere significativi interventi
modificativi del territorio, come sbancamenti e ingenti movimenti terra,
propedeutici alle edificazioni poi non realizzate”.
Come già illustrato,
nella fattispecie non si registra una manipolazione del territorio rispetto
all’assetto preesistente, dal momento che le opere eseguite riguardano
l’eliminazione e l’asportazione di porzioni ed elementi dell’edificio.
8. In conclusione, il ricorso deve essere accolto, con l’accertamento della
non debenza da parte della Società ricorrente del contributo di costruzione
versato e con la condanna dell’amministrazione comunale alla restituzione
del quantum indebitamente percepito, oltre agli interessi maturati dalla
data di notificazione dell'atto introduttivo del presente giudizio.
Dispone
infatti l’art. 2033 c.c. che “chi ha eseguito un pagamento non dovuto ha
diritto di ripetere ciò che ha pagato. Ha inoltre diritto ai frutti e agli
interessi dal giorno del pagamento, se chi lo ha ricevuto era in mala fede,
oppure, se questi era in buona fede, dal giorno della domanda”. In assenza
di prova contraria, deve presumersi la buona fede dell’amministrazione
comunale (cfr. sentenze TAR Brescia, sez. I – 20/05/2019 n. 499; sez. II –
02/05/2019 n. 426).
Non sussiste alcun ulteriore pregiudizio suscettibile di riparazione, in
totale assenza di prova.
9. Il Comune intimato dovrà conseguentemente provvedere –entro 90 giorni
dalla comunicazione della presente pronuncia– alla restituzione del quantum
dovuto. La somma dovrà essere maggiorata degli interessi, calcolati dalla
data di notificazione del ricorso fino al saldo
(TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. II,
sentenza 31.07.2020 n. 538 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Come noto, il contributo di costruzione è dovuto dal soggetto che
intraprende un’iniziativa edificatoria e rappresenta una compartecipazione
del privato alla spesa pubblica occorrente alla realizzazione delle opere di
urbanizzazione che hanno spesso portata più ampia rispetto a quelle
strettamente necessarie a urbanizzare il nuovo insediamento edilizio.
Il rilascio del titolo edilizio si configura come fatto di per sé
costitutivo dell’obbligo giuridico di corrispondere il relativo contributo
per oneri di urbanizzazione, ossia per gli oneri affrontati dall’ente locale
per le opere indispensabili affinché l’area acquisti attitudine al
recepimento dell’insediamento assentito e per le quali l’area acquista un
beneficio economicamente rilevante.
La giurisprudenza ha affermato che gli interventi edilizi minori sono
gratuiti, per la manutenzione ordinaria e straordinaria degli immobili non
viene richiesto il contributo di costruzione ma la nuova costruzione
produce, sempre, un incremento del carico urbanistico sull'area di
intervento ed è quindi un intervento oneroso.
Sono stati considerati onerosi anche gli interventi che comportano un
aumento delle superfici utili di calpestio pur in assenza di aumento di
cubatura
---------------
Il Collegio condivide la ricostruzione del Comune.
Come noto, il contributo di costruzione è dovuto dal soggetto che
intraprende un’iniziativa edificatoria e rappresenta una compartecipazione
del privato alla spesa pubblica occorrente alla realizzazione delle opere di
urbanizzazione che hanno spesso portata più ampia rispetto a quelle
strettamente necessarie a urbanizzare il nuovo insediamento edilizio.
Il rilascio del titolo edilizio si configura come fatto di per sé
costitutivo dell’obbligo giuridico di corrispondere il relativo contributo
per oneri di urbanizzazione, ossia per gli oneri affrontati dall’ente locale
per le opere indispensabili affinché l’area acquisti attitudine al
recepimento dell’insediamento assentito e per le quali l’area acquista un
beneficio economicamente rilevante.
La giurisprudenza ha affermato che gli interventi edilizi minori sono
gratuiti, per la manutenzione ordinaria e straordinaria degli immobili non
viene richiesto il contributo di costruzione ma la nuova costruzione
produce, sempre, un incremento del carico urbanistico sull'area di
intervento ed è quindi un intervento oneroso.
Sono stati considerati onerosi anche gli interventi che comportano un
aumento delle superfici utili di calpestio (cfr., Corte di giustizia
amministrativa sentenza 05.09.2013, n. 741) pur in assenza di aumento
di cubatura (cfr., Consiglio di Stato, Sez. V, n. 999/1999)
(TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. II,
sentenza 31.07.2020 n. 530 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Natura del contributo di concessione.
Il contributo di
costruzione –previsto dall’art. 16 del
D.P.R. n. 380 del 2001 e articolato nelle
due voci inerenti agli oneri di
urbanizzazione e al costo di
costruzione– gravante sul soggetto che
intraprenda un’iniziativa edificatoria
«rappresenta una compartecipazione del
privato alla spesa pubblica occorrente alla
realizzazione delle opere di urbanizzazione.
In altri termini, fin dalla legge che ha
introdotto nell’ordinamento il principio
della onerosità del titolo a costruire (art.
1 della legge n. 10 del 1977), la ragione
della compartecipazione alla spesa pubblica
del privato è da ricollegare sul piano
eziologico al surplus di opere di
urbanizzazione che l’amministrazione
comunale è tenuta ad affrontare in relazione
al nuovo intervento edificatorio del
richiedente il titolo edilizio».
Più nello specifico, gli oneri di
urbanizzazione, di natura latamente
corrispettiva, hanno la funzione di
compensare la collettività per il nuovo
ulteriore carico urbanistico che si riversa
sulla zona a causa della consentita attività
edificatoria, mentre il costo di
costruzione è stato configurato alla
stregua di una prestazione di natura
pubblica, determinata tenendo conto della
produzione di ricchezza generata dallo
sfruttamento del territorio, ovvero quale
compartecipazione comunale all’incremento di
valore della proprietà immobiliare del
costruttore.
Il contributo di costruzione è un
corrispettivo di diritto pubblico, proprio
per il fondamentale principio dell’onerosità
del titolo edilizio recepito dall’art. 16
del D.P.R. n. 380 del 2001 (cfr. Corte
costituzionale, sentenza n. 64 del
10.04.2020), e come tale, benché esso non
sia legato da un rigido vincolo di
sinallagmaticità rispetto del rilascio del
permesso di costruire, rientra anche, e
coerentemente, nel novero delle prestazioni
patrimoniali imposte di cui all’art. 23 Cost..
La debenza del contributo di costruzione, di
conseguenza, è direttamente correlata
all’effettiva trasformazione urbanistica ed
edilizia e quindi al concreto impatto che la
stessa determina sul territorio.
Pertanto, “qualora il privato rinunci o non
utilizzi il permesso di costruire, sorge in
capo all’amministrazione, ex art. 2033 cod.
civ., l’obbligo di restituzione delle somme
corrisposte a titolo di contributo per oneri
di urbanizzazione e costo di costruzione
nonché, conseguentemente, il diritto del
privato a pretenderne la restituzione; con
la precisazione che il diritto alla
restituzione sorge non solamente nel caso in
cui la mancata realizzazione delle opere sia
totale, ma anche ove il permesso di
costruire sia stato utilizzato solo
parzialmente".
---------------
4. La parte ricorrente assume la fondatezza
della richiesta di restituzione, rivolta al
Comune di Milano, degli importi da essa
versati in eccesso a titolo di oneri di
urbanizzazione, in relazione ad un
intervento edilizio riguardante il
fabbricato “D” situato nel complesso
edilizio di Via Noto n. 10 a Milano.
Nello specifico, a fronte dell’iniziale
realizzazione (avviata con d.i.a. del
29.06.2009: all. 1 al ricorso) di un
intervento di “demolizione e nuova
costruzione di edificio a destinazione
direzionale/industriale a saturazione di slp”
–nello specifico 1.849,53 mq di s.l.p. con
destinazione direzionale e commerciale e
333,15 mq di s.l.p. con destinazione
industriale e artigianale (all. 5 al
ricorso)–, cui ha fatto seguito il
versamento della complessiva somma di €
889.689,98 (di cui € 423.374,00 per oneri di
urbanizzazione primaria, € 332.705,91, per
oneri di urbanizzazione secondaria, e €
133.610,08, per quota costo di costruzione:
all. 8 al ricorso), la ricorrente ha deciso,
prima del termine dei lavori, dichiarati con
la s.c.i.a. del 19.07.2017 (all. 7 al
ricorso), di cambiare la destinazione
dell’intero immobile e renderlo interamente
residenziale (con dd.ii.aa. 30.07.2014 e
03.08.2015).
Le originarie destinazioni –ossia
direzionale e commerciale e industriale e
artigianale– non sono mai state
concretamente attuate, visto che, prima
della conclusione dei lavori, all’intero
immobile è stata impressa una destinazione
residenziale.
5. La pretesa formulata dalla parte
ricorrente è fondata.
Va premesso che il contributo di costruzione
–previsto dall’art. 16 del D.P.R. n. 380 del
2001 e articolato nelle due voci inerenti
agli oneri di urbanizzazione e al costo di
costruzione– gravante sul soggetto che
intraprenda un’iniziativa edificatoria «rappresenta
una compartecipazione del privato alla spesa
pubblica occorrente alla realizzazione delle
opere di urbanizzazione. In altri termini,
fin dalla legge che ha introdotto
nell’ordinamento il principio della
onerosità del titolo a costruire (art. 1
della legge n. 10 del 1977), la ragione
della compartecipazione alla spesa pubblica
del privato è da ricollegare sul piano
eziologico al surplus di opere di
urbanizzazione che l’amministrazione
comunale è tenuta ad affrontare in relazione
al nuovo intervento edificatorio del
richiedente il titolo edilizio»
(Consiglio di Stato, Ad. plen., 07.12.2016,
n. 24; altresì Ad. plen., 30.08.2018, n. 12;
TAR Lombardia, Milano, II, 15.05.2020, n.
828).
Più nello specifico, gli oneri di
urbanizzazione, di natura latamente
corrispettiva, hanno la funzione di
compensare la collettività per il nuovo
ulteriore carico urbanistico che si riversa
sulla zona a causa della consentita attività
edificatoria, mentre il costo di costruzione
è stato configurato alla stregua di una
prestazione di natura pubblica, determinata
tenendo conto della produzione di ricchezza
generata dallo sfruttamento del territorio,
ovvero quale compartecipazione comunale
all’incremento di valore della proprietà
immobiliare del costruttore (ex multis,
Consiglio di Stato, II, 09.12.2019, n. 8377;
V, 21.11.2018, n. 6592).
Il contributo di costruzione è un
corrispettivo di diritto pubblico, proprio
per il fondamentale principio dell’onerosità
del titolo edilizio recepito dall’art. 16
del D.P.R. n. 380 del 2001 (cfr. Corte
costituzionale, sentenza n. 64 del
10.04.2020), e come tale, benché esso non
sia legato da un rigido vincolo di
sinallagmaticità rispetto del rilascio del
permesso di costruire, rientra anche, e
coerentemente, nel novero delle prestazioni
patrimoniali imposte di cui all’art. 23
Cost. (Consiglio di Stato, Ad. plen.,
30.08.2018, n. 12; IV, 07.11.2017, n. 5133).
La debenza del contributo di costruzione, di
conseguenza, è direttamente correlata
all’effettiva trasformazione urbanistica ed
edilizia e quindi al concreto impatto che la
stessa determina sul territorio.
Pertanto, “qualora il privato rinunci o
non utilizzi il permesso di costruire, sorge
in capo all’amministrazione, ex art. 2033
cod. civ., l’obbligo di restituzione delle
somme corrisposte a titolo di contributo per
oneri di urbanizzazione e costo di
costruzione nonché, conseguentemente, il
diritto del privato a pretenderne la
restituzione; con la precisazione che il
diritto alla restituzione sorge non
solamente nel caso in cui la mancata
realizzazione delle opere sia totale, ma
anche ove il permesso di costruire sia stato
utilizzato solo parzialmente” (TAR
Lombardia, Milano, II, 07.01.2016, n. 12;
altresì, TAR Lombardia, Brescia, II,
02.05.2019, n. 426; TAR Puglia, Bari, III,
03.04.2018, n. 488; TAR Lombardia, Milano,
II, 01.03.2017; n. 496; TAR Sicilia,
Catania, II, 27.01.2017, n. 189) (TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 23.07.2020 n. 1418 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA:
Il Cds ha statuito che "Esiste una differenza ontologica tra
l’istituto giuridico della monetizzazione e
quello relativo al contributo di costruzione.
Il primo attiene infatti alla disciplina del
territorio e dunque può essere attratto
nelle previsioni di cui all’art. 12, comma
3, T.U. edilizia e della corrispondente
normativa regionale (nel caso di specie, la
legge regionale della Lombardia n. 12/2005).
In sostanza, la monetizzazione è un
elemento essenziale della validità del
titolo edilizio, mentre il contributo di
costruzione opera sul piano dell’efficacia
all’interno del rapporto paritetico fra
Amministrazione e contribuente.
Gli atti con i quali l’Amministrazione
comunale determina o ridetermina il
contributo di costruzione, di cui all’art.
16 T.U. edilizia, hanno infatti natura
privatistica, con la conseguenza che
l’obbligazione di corrispondere il
contributo nasce nel momento in cui viene
rilasciato il titolo ed è a tale momento che
occorre aver riguardo per la determinazione
dell’entità dello stesso.
La monetizzazione sostitutiva della
cessione degli standard afferisce, invece,
al reperimento delle aree necessarie alla
realizzazione delle opere di urbanizzazione
all'interno della specifica zona di
intervento e deve considerare la vicenda edilizia
così come concretamente si è manifestata.
In tale quadro, deve quindi ritenersi
che operino le misure di salvaguardia in
quanto finalizzate ad evitare l'immediata
realizzazione di interventi che ledano le
scelte programmatorie del Comune, anche
sotto il profilo degli standard”.
---------------
Il Collegio ritiene di dover prendere
atto dei principi espressi dal Consiglio di
Stato che, nel distinguere tra contributo di
costruzione e clausola di monetizzazione di
standard, rimarca che quest’ultima ha una
diretta e immediata incidenza urbanistica e,
avendo tale natura, segue la disciplina
dello strumento urbanistico, anche in
relazione all’applicazione delle misure di
salvaguardia.
Deve essere infatti evidenziato che la
stessa è definita dallo strumento
urbanistico generale e trattasi, in
sostanza, di una previsione di dotazione di
standard che viene tradotta in equivalente
monetario, essendo a priori noto che la
dotazione non potrà essere soddisfatta.
Natura diversa ha invece il contributo di
costruzione che, essendo definito sulla base
di parametri regolamentari estranei al PGT,
è insensibile rispetto alle variazioni dello
strumento urbanistico medesimo.
---------------
1.4. Venendo ora all’applicazione delle
misure di salvaguardia per la disciplina
della cd. monetizzazione, si è già
evidenziato in sede cautelare che la
questione delle modalità di calcolo
dell’aggravio di standard dovuto per
modificazioni delle destinazioni d’uso
assentite con titoli edilizi presentati nel
periodo compreso tra l’adozione e la
definitiva approvazione del PGT del 2012,
quindi con perdurante vigenza del PRG
precedente, è stata affrontata dalla Sezione
con la sentenza n. 2039 del 31.08.2018.
In quel caso, analogo al presente, il TAR
aveva ritenuto che la monetizzazione degli
standard, al pari della determinazione del
contributo di costruzione, dovesse avvenire
in base alla normativa vigente all’atto di
formazione del titolo edilizio e che le
norme contenute nel nuovo strumento
urbanistico generale –solo adottato–,
volte a disciplinare il conferimento dello
standard, non potessero essere oggetto di
applicazione in salvaguardia.
1.5. Tuttavia la pronuncia predetta è stata
riformata in appello, con la sentenza n.
1436 del 27.02.2020.
Ha evidenziato il Consiglio di Stato che
“Esiste una differenza ontologica tra
l’istituto giuridico della monetizzazione e
quello relativo al contributo di costruzione
(cfr. Cons Stato, sez. V, n. 4417 del 2016;
sez. IV, n. 1820 del 2014 e n. 6211 del
2013).
13.1. Il primo attiene infatti alla
disciplina del territorio e dunque può
essere attratto nelle previsioni di cui
all’art. 12, comma 3, T.U. edilizia e della
corrispondente normativa regionale (nel caso
di specie, la legge regionale della
Lombardia n. 12/2005, arg. da Cons. Stato,
sez. IV, n. 4058 del 2018).
13.2. In sostanza, la monetizzazione è un
elemento essenziale della validità del
titolo edilizio, mentre il contributo di
costruzione opera sul piano dell’efficacia
all’interno del rapporto paritetico fra
Amministrazione e contribuente.
13.3. Gli atti con i quali l’Amministrazione
comunale determina o ridetermina il
contributo di costruzione, di cui all’art.
16 T.U. edilizia, hanno infatti natura
privatistica (cfr. Cons. Stato, Ad. plen.,
n. 12 del 2018), con la conseguenza che
l’obbligazione di corrispondere il
contributo nasce nel momento in cui viene
rilasciato il titolo ed è a tale momento che
occorre aver riguardo per la determinazione
dell’entità dello stesso (cfr. Cons. Stato,
sez. IV, n. 5412 del 2015 e n. 6202 del
2019).
13.4. La monetizzazione sostitutiva della
cessione degli standard afferisce, invece,
al reperimento delle aree necessarie alla
realizzazione delle opere di urbanizzazione
all'interno della specifica zona di
intervento e deve considerare, come ha fatto
il Comune di Milano, la vicenda edilizia
così come concretamente si è manifestata.
13.5. In tale quadro, deve quindi ritenersi
che operino le misure di salvaguardia in
quanto finalizzate ad evitare l'immediata
realizzazione di interventi che ledano le
scelte programmatorie del Comune, anche
sotto il profilo degli standard”.
1.6. Il Collegio ritiene, anche per
oggettive esigenze di uniformità della
giurisprudenza in materia, di dover prendere
atto dei principi espressi dal Consiglio di
Stato che, nel distinguere tra contributo di
costruzione e clausola di monetizzazione di
standard, rimarca che quest’ultima ha una
diretta e immediata incidenza urbanistica e,
avendo tale natura, segue la disciplina
dello strumento urbanistico, anche in
relazione all’applicazione delle misure di
salvaguardia.
Deve essere infatti evidenziato che la
stessa è definita dallo strumento
urbanistico generale e trattasi, in
sostanza, di una previsione di dotazione di
standard che viene tradotta in equivalente
monetario, essendo a priori noto che la
dotazione non potrà essere soddisfatta.
Natura diversa ha invece il contributo di
costruzione che, essendo definito sulla base
di parametri regolamentari estranei al PGT,
è insensibile rispetto alle variazioni dello
strumento urbanistico medesimo
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 20.07.2020 n. 1389 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L’azione volta alla declaratoria di
insussistenza o diversa entità del debito contributivo per oneri di
urbanizzazione può essere intentata a prescindere dall'impugnazione o
esistenza dell'atto con il quale viene richiesto il pagamento, trattandosi
di un giudizio di accertamento di un rapporto obbligatorio pecuniario, e
quindi avente ad oggetto diritti soggettivi; il relativo ricorso può essere
proposto nel termine prescrizionale dinanzi al giudice amministrativo attesa
la sua cognizione esclusiva ex art. 133, comma 1, lett. f), c.p.a..
---------------
Il contributo per gli oneri di urbanizzazione, per quanto non abbia natura
tributaria, costituisce, comunque, un corrispettivo di diritto pubblico
posto a carico del costruttore, connesso al rilascio della concessione
edilizia, a titolo di partecipazione del concessionario ai costi delle opere
di urbanizzazione in proporzione all’insieme dei benefici che la nuova
costruzione ne ritrae, e che «per la determinazione di esso deve essere
fatto necessario ed esclusivo riferimento alle norme di legge che regolano i
relativi criteri di conteggio, norme che vanno rigorosamente rispettate
anche in osservanza del principio di cui all’art. 23 della Costituzione,
secondo il quale nessuna prestazione patrimoniale può essere imposta se non
in base alla legge».
L’affermazione secondo cui il
contributo di costruzione costituisce una prestazione patrimoniale imposta e
rientra a tale titolo nell’ambito dei rapporti di diritto pubblico in quanto
necessariamente legata al rilascio del titolo edilizio, tuttavia, non
comporta ex se che i relativi atti di determinazione abbiano necessariamente
carattere autoritativo, si colorino, per così dire, di imperatività e siano
espressione di potestà pubblicistica. Il privato che intende ottenere il
permesso di costruire ha avanti a sé la scelta di corrispondere il
contributo di costruzione o di rinunciare al rilascio del titolo. Effettuata
questa scelta, che comporta la necessaria corresponsione del corrispettivo
di diritto pubblico, il pagamento di questo, esclusa pacificamente la sua
natura tributaria, non può che costituire l’oggetto di un ordinario rapporto
obbligatorio, disciplinato dalle norme di diritto privato, come prescrive
l’art. 1, comma 1-bis, della l. n. 241 del 1990, salvo che la legge disponga
diversamente.
---------------
Considerato che il pagamento del contributo di costruzione costituisce
oggetto di un ordinario rapporto obbligatorio, a ciò consegue la non
necessità di impugnazione della nota avente ad oggetto la restituzione della
somma versata e la sua quantificazione, nonché la rateizzazione del debito,
stabilita unilateralmente dal Comune, non avendo l’atto natura autoritativa
nemmeno sotto tale profilo.
---------------
Il “contributo di costruzione, essendo strettamente connesso al concreto
esercizio della facoltà di costruire, non è dovuto in caso di rinuncia o
di mancato utilizzo del titolo edificatorio. Conseguentemente, allorché il
privato rinunci al permesso di costruire o non lo utilizzi, ovvero in
ipotesi di intervenuta decadenza del titolo edilizio, sorge in capo alla p.a.,
anche ai sensi dell’articolo 2033 c.c. o, comunque, dell’articolo 2041 c.c.,
l’obbligo di restituzione delle somme corrisposte a titolo di contributo per
oneri di urbanizzazione e costo di costruzione, e conseguentemente il
diritto del privato a pretenderne la restituzione […] La giurisprudenza ha
poi avuto modo di chiarire che il diritto alla restituzione del contributo
di costruzione sorge non solamente nel caso in cui la mancata realizzazione
delle opere sia totale, ma anche ove il permesso di costruire sia stato
utilizzato solo parzialmente”.
In altre parole, “la quantificazione degli oneri di concessione effettuata
dal Comune non è espressione di alcun potere autoritativo, bensì si
configura come esercizio vincolato, di attribuzioni da esercitarsi sulla
base di tabelle parametriche: la quantificazione dell'importo dovuto è atto
paritetico” e “la
controversia attinente alla spettanza e liquidazione del contributo per gli
oneri di urbanizzazione […] ha infatti ad oggetto l'accertamento di un
rapporto di credito a prescindere dall'esistenza di atti della pubblica
amministrazione e non è soggetta alle regole delle azioni impugnatorie-annullatorie degli atti amministrativi”.
---------------
In relazione alla
condizione sospensiva alla restituzione, posta nella nota comunale,
ovverosia la richiesta di rinuncia all’azione (pendente innanzi al Consiglio
di Stato, deve ritenersi che non
sia necessaria una preventiva formale rinuncia all’azione (e quindi la
condizione opposta dall’amministrazione è illegittima), in quanto, da un
lato, la società ha già dichiarato formalmente al Comune di non avere più
interesse alcuno alla realizzazione dell’impianto e che presenterà,
successivamente alla restituzione, la rinuncia all’azione (pertanto tale
dichiarazione rileverà eventualmente nel giudizio pendente) e, dall’altro
lato, il Comune ha già accertato l’intervenuta decadenza dal titolo edilizio
con un provvedimento che, sebbene impugnato, è efficace ed esecutivo (in
assenza di sospensione cautelare).
Come noto, il dies a quo del diritto alla
restituzione del contributo di costruzione a suo tempo versato va fatto
decorrere proprio dalla data in cui il titolare comunica all'amministrazione
la propria intenzione di rinunciare al titolo abilitativo o dalla data di
adozione da parte dell'Amministrazione medesima del provvedimento che
dichiara la decadenza del permesso di costruire per scadenza dei termini
iniziali o finali.
---------------
Circa
la formale richiesta, trasmessa a mezzo pec al Comune,
della restituzione del contributo versato, ai sensi dell’art. 2033 c.c., chi ha eseguito un pagamento non dovuto ha
diritto agli interessi dal giorno della domanda (per il caso in cui, come
nella specie, chi ha ricevuto il pagamento fosse in buona fede).
Sul
significato da attribuire al termine “domanda”, come chiarito dalle Sezioni
Unite della Corte di Cassazione, “l’obbligo della corresponsione degli interessi da parte dell’accipiens
in buona fede (quale debitore dell’indebito percepito) può decorrere da data
antecedente a quella dell’instaurazione del giudizio, ove sia stata
preceduta da uno specifico atto di costituzione in mora, dovendo il termine
‘domanda’ di cui all’art. 2033 c.c. essere inteso come riferito non
esclusivamente alla domanda giudiziale ma, anche, agli atti stragiudiziali
di cui all’art. 1219 c.c.”.
Va precisato inoltre che la domanda di pagamento degli interessi legali e
quella di pagamento degli interessi moratori sono coincidenti quanto alla
loro misura (infatti gli interessi moratori spettano, ai sensi dell’art.
1224 c.c. nella misura degli interessi legali) e detti interessi spettano,
nella misura del saggio degli interessi legali dalla
data coincide con quella
della formale richiesta sino alla
data di adempimento.
Non è invece dovuta la rivalutazione monetaria, essendo
l’indebito oggettivo (di cui all’art. 2033 c.c.) un debito di valuta (e non essendo
stata dimostrata, nel caso di specie, la sussistenza del maggior danno ai sensi dell'art. 1224,
secondo comma, cod. civ.).
---------------
1. In via preliminare, deve essere chiarito che la nota comunale del
20.12.2017 non ha valore provvedimentale, sicché la domanda di
accertamento del credito può essere analizzata senza il previo “annullamento
e/o disapplicazione” della nota medesima, proposta in via prudenziale (sopra
riportata sub vi).
Come condivisibilmente ritenuto dal Consiglio di Stato (cfr., ex plurimis,
Sez. IV, 30.08.2018, n. 5096), “l’azione volta alla declaratoria di
insussistenza o diversa entità del debito contributivo per oneri di
urbanizzazione può essere intentata a prescindere dall'impugnazione o
esistenza dell'atto con il quale viene richiesto il pagamento, trattandosi
di un giudizio di accertamento di un rapporto obbligatorio pecuniario, e
quindi avente ad oggetto diritti soggettivi; il relativo ricorso può essere
proposto nel termine prescrizionale dinanzi al giudice amministrativo attesa
la sua cognizione esclusiva ex art. 133, comma 1, lett. f), c.p.a.”.
Deve inoltre richiamarsi la pronuncia dell’Adunanza Plenaria n. 12 del 30.08.2018, la quale ha ribadito che “il contributo per gli oneri di
urbanizzazione, per quanto non abbia natura tributaria, costituisce,
comunque, un corrispettivo di diritto pubblico posto a carico del
costruttore, connesso al rilascio della concessione edilizia, a titolo di
partecipazione del concessionario ai costi delle opere di urbanizzazione in
proporzione all’insieme dei benefici che la nuova costruzione ne ritrae, e
che «per la determinazione di esso deve essere fatto necessario ed esclusivo
riferimento alle norme di legge che regolano i relativi criteri di
conteggio, norme che vanno rigorosamente rispettate anche in osservanza del
principio di cui all’art. 23 della Costituzione, secondo il quale nessuna
prestazione patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge» (Cons.
St., sez. V, 21.04.2006, n. 2228).
L’affermazione secondo cui il
contributo di costruzione costituisce una prestazione patrimoniale imposta e
rientra a tale titolo nell’ambito dei rapporti di diritto pubblico in quanto
necessariamente legata al rilascio del titolo edilizio, tuttavia, non
comporta ex se che i relativi atti di determinazione abbiano necessariamente
carattere autoritativo, si colorino, per così dire, di imperatività e siano
espressione di potestà pubblicistica. Il privato che intende ottenere il
permesso di costruire ha avanti a sé la scelta di corrispondere il
contributo di costruzione o di rinunciare al rilascio del titolo. Effettuata
questa scelta, che comporta la necessaria corresponsione del corrispettivo
di diritto pubblico, il pagamento di questo, esclusa pacificamente la sua
natura tributaria, non può che costituire l’oggetto di un ordinario rapporto
obbligatorio, disciplinato dalle norme di diritto privato, come prescrive
l’art. 1, comma 1-bis, della l. n. 241 del 1990, salvo che la legge disponga
diversamente”.
Considerato che il pagamento del contributo di costruzione costituisce
oggetto di un ordinario rapporto obbligatorio, a ciò consegue la non
necessità di impugnazione della nota avente ad oggetto la restituzione della
somma versata e la sua quantificazione, nonché la rateizzazione del debito,
stabilita unilateralmente dal Comune, non avendo l’atto natura autoritativa
nemmeno sotto tale profilo.
2. Venendo ora al merito del giudizio, si ritiene, in ordine logico, di
esaminare anzitutto la domanda di accertamento del diritto alla
restituzione, senza dilazione, di quanto corrisposto a titolo di oneri di
urbanizzazione e contributo smaltimento rifiuti per € 1.067.629,31 (sopra
sintetizzata sub i) e quella, ad essa connessa, di annullamento dell’art. 13
del regolamento edilizio comunale (sopra riportata sub vii).
La domanda di accertamento, evidentemente funzionale alla successiva domanda
di condanna alla restituzione della somma, è fondata.
2.1. Va evidenziato che non è in contestazione nel presente giudizio
l’esistenza di un diritto di credito relativo alla restituzione di quanto
integralmente corrisposto a titolo di contributo di costruzione.
È dunque appena il caso di evidenziare che, come già affermato da questo
Tribunale (cfr. TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 01.03.2017, n. 496), il
“contributo di costruzione, essendo strettamente connesso al concreto
esercizio della facoltà di costruire, non sia dovuto in caso di rinuncia o
di mancato utilizzo del titolo edificatorio. Conseguentemente, allorché il
privato rinunci al permesso di costruire o non lo utilizzi, ovvero in
ipotesi di intervenuta decadenza del titolo edilizio, sorge in capo alla p.a.,
anche ai sensi dell’articolo 2033 c.c. o, comunque, dell’articolo 2041 c.c.,
l’obbligo di restituzione delle somme corrisposte a titolo di contributo per
oneri di urbanizzazione e costo di costruzione, e conseguentemente il
diritto del privato a pretenderne la restituzione […] La giurisprudenza ha
poi avuto modo di chiarire che il diritto alla restituzione del contributo
di costruzione sorge non solamente nel caso in cui la mancata realizzazione
delle opere sia totale, ma anche ove il permesso di costruire sia stato
utilizzato solo parzialmente”.
In altre parole, “la quantificazione degli oneri di concessione effettuata
dal Comune non è espressione di alcun potere autoritativo, bensì si
configura come esercizio vincolato, di attribuzioni da esercitarsi sulla
base di tabelle parametriche: la quantificazione dell'importo dovuto è atto
paritetico (cfr., da ultimo, Cons. Stato, ad. Plen n. 12 del 2018)” e “la
controversia attinente alla spettanza e liquidazione del contributo per gli
oneri di urbanizzazione […] ha infatti ad oggetto l'accertamento di un
rapporto di credito a prescindere dall'esistenza di atti della pubblica
amministrazione e non è soggetta alle regole delle azioni impugnatorie-annullatorie degli atti amministrativi” (cfr.,
ex plurimis,
Consiglio di Stato, Sez. II, 25.05.2020, n. 3327).
2.7.
Infine, in relazione alla condizione sospensiva alla restituzione, posta
nella nota comunale, ovverosia la richiesta di rinuncia all’azione (pendente
innanzi al Consiglio di Stato con R.G. n. 3122/2016), deve ritenersi che non
sia necessaria una preventiva formale rinuncia all’azione (e quindi la
condizione opposta dall’amministrazione è illegittima), in quanto, da un
lato, la società ha già dichiarato formalmente al Comune di non avere più
interesse alcuno alla realizzazione dell’impianto e che presenterà,
successivamente alla restituzione, la rinuncia all’azione (pertanto tale
dichiarazione rileverà eventualmente nel giudizio pendente) e, dall’altro
lato, il Comune ha già accertato l’intervenuta decadenza dal titolo edilizio
con un provvedimento che, sebbene impugnato, è efficace ed esecutivo (in
assenza di sospensione cautelare).
Come noto, il dies a quo del diritto alla
restituzione del contributo di costruzione a suo tempo versato va fatto
decorrere proprio dalla data in cui il titolare comunica all'amministrazione
la propria intenzione di rinunciare al titolo abilitativo o dalla data di
adozione da parte dell'Amministrazione medesima del provvedimento che
dichiara la decadenza del permesso di costruire per scadenza dei termini
iniziali o finali (cfr., ex plurimis, TAR Lazio, Roma, Sez. II, 08.01.2020, n. 134).
...
5.
Devono essere ora essere esaminate le domande (sintetizzate sub iii e v) di
accertamento del diritto e condanna al pagamento degli “interessi legali”
nella misura pro tempore vigente sulle predette richieste, dalla data del
22.11.2017 sino alla data della domanda giudiziale e degli “interessi
moratori” dalla data della domanda giudiziale.
Come già evidenziato in narrativa, la data del 22.11.2017 coincide con
quella della formale richiesta, trasmessa a mezzo pec al Comune da parte
della società, della restituzione del contributo versato.
Ai sensi dell’art. 2033 c.c., chi ha eseguito un pagamento non dovuto ha
diritto agli interessi dal giorno della domanda (per il caso in cui, come
nella specie, chi ha ricevuto il pagamento fosse in buona fede). Sul
significato da attribuire al termine “domanda”, come chiarito dalle Sezioni
Unite della Corte di Cassazione (cfr. Cass. civ., Sez. un., 13.06.2019,
n. 15895), “l’obbligo della corresponsione degli interessi da parte dell’accipiens
in buona fede (quale debitore dell’indebito percepito) può decorrere da data
antecedente a quella dell’instaurazione del giudizio, ove sia stata
preceduta da uno specifico atto di costituzione in mora, dovendo il termine
‘domanda’ di cui all’art. 2033 c.c. essere inteso come riferito non
esclusivamente alla domanda giudiziale ma, anche, agli atti stragiudiziali
di cui all’art. 1219 c.c.” (cfr. anche, nello stesso senso, TAR
Lombardia, Milano, Sez. II, 30.04.2020, n. 720).
Pertanto, la domanda di condanna al pagamento degli interessi a decorrere
dal 22.11.2017 deve essere accolta, integrando la nota i requisiti di
cui all’art. 1219 c.c. (intimazione di pagamento fatta per iscritto, nel
caso di specie trasmessa a mezzo pec).
Precisato inoltre che la domanda di pagamento degli interessi legali e
quella di pagamento degli interessi moratori sono coincidenti quanto alla
loro misura (infatti gli interessi moratori spettano, ai sensi dell’art.
1224 c.c. nella misura degli interessi legali), in accoglimento delle
domande sopra sintetizzate sub iii e v, detti interessi spettano, nella
misura del saggio degli interessi legali, dal 22.11.2017 sino alla
data di adempimento.
6. Non è invece dovuta la rivalutazione monetaria (domanda sub iv), essendo
l’indebito oggettivo (di cui all’art. 2033 c.c.) un debito di valuta (cfr.,
ex plurimis, Cassazione civile, sez. lav., 20.12.1996, n. 11440 e
TAR Lombardia, Milano, Sez, II, 07.01.2016, n. 12) e non essendo
stata dimostrata la sussistenza del maggior danno ai sensi dell'art. 1224,
secondo comma, cod. civ. (TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 07.07.2020 n. 1293 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Le
controversie attinenti alla determinazione e liquidazione degli oneri
concessori (costo di costruzione e oneri di urbanizzazione), sono
riconducibili a quegli aspetti dell’uso del territorio costituenti
prerogativa della P.A., e per questo riservate alla
giurisdizione esclusiva del G.A., ai sensi dell'art. 133, comma 1, lett. f),
c.p.a..
Peraltro, ai sensi dell'art. 133, comma 1, lett. f), c.p.a., rientra nella
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo anche la controversia
avente ad oggetto la cartella di pagamento emessa da Equitalia Servizi di
Riscossione spa ed avente ad oggetto somme dovute per oneri concessori, nel
corso della quale non vengano dedotte censure derivanti da atti generali
autoritativi relativi alla determinazione degli oneri presupposti di quello
impugnato; atteso anche che detti oneri non hanno natura tributaria, bensì
costituiscono un corrispettivo di diritto pubblico avente la funzione di
partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione.
Ancora, si è rilevato che le controversie in materia di determinazione e
pagamento degli oneri concessori, investendo l’esistenza o l’entità di
un’obbligazione legale, concernono diritti soggettivi, con la conseguenza
che la relativa domanda non soggiace al regime di decadenza proprio del
processo di impugnazione, ma può essere proposta nel termine di prescrizione
ordinaria ed indipendentemente dall’impugnazione di eventuali atti.
In particolare, si è osservato che gli atti emessi nella materia degli oneri
concessori dal Comune non presentano carattere autoritativo, e, quindi,
attitudine a divenire incontestabili se non impugnati nel termine
decadenziale di gg. 60 (come accade, invece, per i provvedimenti
amministrativi), tanto più che –come già detto– non ha natura tributaria
l’obbligazione riguardante gli oneri in parola, per cui sul punto non può
neppure parlarsi di atti di accertamento (suscettibili di far divenire
incontestabile la pretesa, se non impugnati nei termini), ancorché vi sia
stata emissione di ordinanza ingiunzione ex R.D. 14.04.1910 n. 639 (posto
che, comunque, la giurisdizione viene determinata sulla base della tipologia
della pretesa fatta valere con tale mezzo di riscossione, per cui si
applicano in definitiva le regole del giudice fornito di giurisdizione: ma
nella fattispecie vi è giurisdizione esclusiva e le posizioni sono di
diritto/obbligo, cosicché il termine per impugnare l’ingiunzione –cui è
riconoscibile valore di atto amministrativo paritetico– è quello decennale
di prescrizione ordinaria).
Quindi, si è sottolineato come l’azione volta alla declaratoria di
insussistenza o diversa entità del debito contributivo per oneri concessori
possa essere intentata a prescindere dalla impugnazione o esistenza
dell’atto con il quale viene richiesto il pagamento, trattandosi di un
giudizio di accertamento di un rapporto obbligatorio pecuniario proponibile
nel termine di prescrizione, e pur dopo decorsi i termini per opporsi
all’ingiunzione ex R.D. 14.04.1910 n. 639, ovvero ad una cartella di
pagamento -essendo questi meri strumenti per procedere ad esecuzione
coattiva-..
Va, quindi, affermata la sussistenza della giurisdizione del giudice
amministrativo anche nel caso di specie in cui è stato impugnato l’atto di
ingiunzione fiscale emesso concessionaria del Comune per la gestione delle
entrate comunali.
---------------
Il ricorso è in parte fondato nei sensi di cui si dirà.
In via preliminare deve essere richiamato l’orientamento della Sezione in
materia (da ultimo n. 1872/2020).
Si è, infatti, osservato che le controversie attinenti alla determinazione e
liquidazione degli oneri concessori (costo di costruzione e oneri di
urbanizzazione), sono riconducibili a quegli aspetti dell’uso del territorio
costituenti prerogativa della P.A., e per questo riservate alla
giurisdizione esclusiva del G.A., ai sensi dell'art. 133, comma 1, lett. f),
c.p.a. (TAR Campania, Napoli, Sez. VIII, 09.10.2018, n. 5835, TAR
Calabria, Catanzaro, Sez. II, 24.10.2018, n. 1790, Consiglio di Stato,
Adunanza Plenaria 30.08.2018, n. 12).
Peraltro, ai sensi dell'art. 133, comma 1, lett. f), c.p.a., rientra nella
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo anche la controversia
avente ad oggetto la cartella di pagamento emessa da Equitalia Servizi di
Riscossione spa ed avente ad oggetto somme dovute per oneri concessori, nel
corso della quale non vengano dedotte censure derivanti da atti generali
autoritativi relativi alla determinazione degli oneri presupposti di quello
impugnato (così Cons. di Stato sez. IV, n. 4208 del 21.08.2013; nonché Cass.
SS.UU. n. 22514 del 20.10.2006; TAR Sicilia-Catania n. 2531 dell’11.10.2016;
TAR Sicilia Palermo n. 1730 del 12.07.2016; TAR Toscana n. 265
dell’11.02.2011); atteso anche che detti oneri non hanno natura tributaria,
bensì costituiscono un corrispettivo di diritto pubblico avente la funzione
di partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione (così Cons. di
Stato sez. IV, n. 4208 del 21.08.2013; nonché TAR Campania-Napoli n. 19792
del 18.11.2008).
Ancora, si è rilevato che le controversie in materia di determinazione e
pagamento degli oneri concessori, investendo l’esistenza o l’entità di
un’obbligazione legale, concernono diritti soggettivi, con la conseguenza
che la relativa domanda non soggiace al regime di decadenza proprio del
processo di impugnazione, ma può essere proposta nel termine di prescrizione
ordinaria ed indipendentemente dall’impugnazione di eventuali atti (cfr.
Cons. di Stato sez. IV, n. 4208 del 21.08.2013; TAR Sicilia-Catania n. 189
del 27.01.2017; TAR Sicilia-Palermo n. 2581 del 10.11.2016; TAR Puglia-Bari
n. 1596 del 03.12.2015 TAR Puglia-Lecce n. 3114 del 30.10.2015; TAR
Sicilia-Catania n. 1881 del 09.07.2015).
In particolare, si è osservato che gli atti emessi nella materia degli oneri
concessori dal Comune non presentano carattere autoritativo, e, quindi,
attitudine a divenire incontestabili se non impugnati nel termine
decadenziale di gg. 60 (come accade, invece, per i provvedimenti
amministrativi), tanto più che –come già detto– non ha natura tributaria
l’obbligazione riguardante gli oneri in parola, per cui sul punto non può
neppure parlarsi di atti di accertamento (suscettibili di far divenire
incontestabile la pretesa, se non impugnati nei termini), ancorché vi sia
stata emissione di ordinanza ingiunzione ex R.D. 14.04.1910 n. 639 (posto
che, comunque, la giurisdizione viene determinata sulla base della tipologia
della pretesa fatta valere con tale mezzo di riscossione –cfr. Cass. SS.UU.
29 del 05.01.2016; TAR Emilia Romagna, Parma, n. 134 del 18.04.2016; TAR
Sicilia, Catania, n. 109 del 15.01.2015-, per cui si applicano in definitiva
le regole del giudice fornito di giurisdizione: ma nella fattispecie vi è
giurisdizione esclusiva e le posizioni sono di diritto/obbligo, cosicché il
termine per impugnare l’ingiunzione –cui è riconoscibile valore di atto
amministrativo paritetico; cfr. Cass. Civ. n. 29653 del 12.12.2017– è quello
decennale di prescrizione ordinaria; su quest’ultimo punto cfr. TAR
Calabria, Catanzaro, n. 1976 del 10.12.2007).
Quindi, si è sottolineato come (cfr. Cons. di Stato sez. V, n. 810 del
04.12.1990; nonché Cons. di Stato sez. IV, n. 4208 del 21.08.2013) l’azione
volta alla declaratoria di insussistenza o diversa entità del debito
contributivo per oneri concessori possa essere intentata a prescindere dalla
impugnazione o esistenza dell’atto con il quale viene richiesto il
pagamento, trattandosi di un giudizio di accertamento di un rapporto
obbligatorio pecuniario proponibile nel termine di prescrizione, e pur dopo
decorsi i termini per opporsi all’ingiunzione ex R.D. 14.04.1910 n. 639,
ovvero ad una cartella di pagamento -essendo questi meri strumenti per
procedere ad esecuzione coattiva- (TAR Campania, Napoli, Sez. VIII,
09.10.2018, n. 5835 cit.).
Va, quindi, affermata la sussistenza della giurisdizione del giudice
amministrativo anche nel caso di specie in cui è stato impugnato l’atto di
ingiunzione fiscale emesso dalla Pu. s.r.l, nella sua qualità di
concessionaria del Comune di Caserta per la gestione delle entrate comunali
(TAR Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 01.07.2020 n. 2752 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
giugno 2020 |
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EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: La
controversia avente ad oggetto l'escussione, da parte del
Comune, di una polizza fideiussoria concessa a garanzia di
somme dovute per oneri di urbanizzazione, in relazione al
rilascio di una concessione edilizia, rientra nella
giurisdizione del giudice ordinario e non in quella
esclusiva del giudice amministrativo in materia di
urbanistica ed edilizia. E ciò:
- sia perché l'obbligazione di garanzia, oggetto di
causa, è fondata su un rapporto, sorto per effetto della
polizza, distinto rispetto a quello concernente gli oneri
concessori;
- sia perché, nella specie, la P.A. agisce nell'ambito di
un rapporto privatistico, senza esercitare, neppure
mediatamente, pubblici poteri.
---------------
1. - Le Sezioni Unite sono investite, in sede di risoluzione
di conflitto negativo di giurisdizione, della questione se
spetti al giudice ordinario o al giudice amministrativo
conoscere della controversia avente ad oggetto l'escussione,
da parte del Comune di Cosenza, della polizza fideiussoria
concessa, dalla Co.It. di Pr., a garanzia di somme dovute a
titolo di oneri di urbanizzazione e dei costi di costruzione
e per il pagamento della penale, in relazione al permesso
edilizio rilasciato alla società Si..
2. - La giurisdizione appartiene al giudice ordinario.
3. - Va infatti data continuità alla consolidata
giurisprudenza di queste Sezioni Unite, richiamata anche
nelle conclusioni del Procuratore generale, secondo cui la
controversia avente ad oggetto l'escussione, da parte del
Comune, di una polizza fideiussoria concessa a garanzia di
somme dovute per oneri di urbanizzazione, in relazione al
rilascio di una concessione edilizia, rientra nella
giurisdizione del giudice ordinario e non in quella
esclusiva del giudice amministrativo in materia di
urbanistica ed edilizia: e ciò sia perché l'obbligazione di
garanzia, oggetto di causa, è fondata su un rapporto, sorto
per effetto della polizza, distinto rispetto a quello
concernente gli oneri concessori; sia perché, nella specie,
la P.A. agisce nell'ambito di un rapporto privatistico,
senza esercitare, neppure mediatamente, pubblici poteri (Cass.,
Sez. Un., 23.02.2010, n. 4319; Cass., Sez. Un., 13.06.2012,
n. 9592; Cass., Sez. Un., 28.07.2016, n. 15666; Cass., Sez.
Un., 18.07.2019, n. 19371) (Corte di Cassazione, Sezz. unite
civili,
ordinanza 26.06.2020 n. 12866). |
EDILIZIA PRIVATA: Sulla
rideterminazione degli oo.uu. a distanza di
tempo.
E' possibile per
l’Amministrazione procedere alla rideterminazione
degli oneri di urbanizzazione laddove
l’iniziale determinazione degli oneri sia
dipesa da un’inesatta applicazione delle
tabelle o anche da un semplice errore di
calcolo purché ciò avvenga nel modo più
corretto, sollecito, scrupoloso e preciso,
in una visione del diritto amministrativo
improntata al principio di buon andamento e
alla legalità sostanziale, che deve
considerare anche la posizione della parte
privata.
Tuttavia, la tutela del
legittimo affidamento e il principio della
buona fede trovano applicazione –sebbene
con alcune limitazioni– anche nelle
fattispecie relative alla determinazione del
contributo di costruzione, in particolare
laddove i criteri e i parametri per la
quantificazione non sono conoscibili e
verificabili con il normale sforzo richiesto
al debitore o sono di non piana e univoca
interpretazione, dovendosi comunque
privilegiare una leale collaborazione tra le
parti finalizzata all’attuazione del
rapporto obbligatorio.
Nella specie il Comune si è rideterminato a
distanza di circa tre anni dal rilascio del
permesso di costruire e dalla stipula della
Convenzione, senza fornire una idonea e
solida motivazione, in grado di evidenziare
le ragioni di una rinnovata interpretazione
–non ricavabile testualmente– delle norme
che riguardano la quantificazione del
contributo di costruzione, da cui è derivata
una richiesta notevolmente difforme, in
eccesso, rispetto a quanto inizialmente
stabilito e convenuto formalmente con la
parte privata.
---------------
2. Con il primo, il quarto e
il settimo motivo, da trattare
contestualmente in quanto strettamente
connessi, si assume l’illegittimità
dell’atto impugnato poiché la
quantificazione degli oneri concessori e
degli standard riportata nella Convenzione
sottoscritta tra il Comune di Buccinasco e
il ricorrente risulterebbe corretta e
perfettamente aderente alle previsioni
normative di riferimento, ovvero alle Norme
Tecniche di Attuazione del Piano delle
Regole e della legge regionale n. 12 del
2005, mentre l’atto di rettifica sarebbe del
tutto immotivato e altresì lesivo del
legittimo affidamento del ricorrente.
2.1. Le doglianze sono fondate.
Secondo l’art. 5 della Convenzione per
l’attuazione del permesso di costruire n.
04/16 stipulata tra Comune e il ricorrente
in data 09.09.2016 (all. 6 al
ricorso), la superficie lorda di pavimento
relativa alla superficie di vendita
destinata alle merci ingombranti è pari a
424,89 mq, mentre la superficie lorda di
pavimento soggetta al cambio di destinazione
d’uso da produttivo a commerciale –ai sensi
dell’art. 54, comma 4, delle Norme Tecniche
di Attuazione del Piano delle Regole– è il
10% della predetta s.l.p., ossia 42,49 mq;
poi la superficie lorda di pavimento oggetto
di cambio di destinazione d’uso è pari a
43,07 mq.
Il successivo art. 10, relativo al
calcolo del contributo sul costo di
costruzione, ha quantificato quest’ultimo
secondo quanto disposto dall’art. 48, commi
4 e 6, della legge regionale n. 12 del 2005,
ovverossia nel 10% del costo di costruzione
(pari a € 1.709,72). Anche l’art. 11 della
Convenzione, avente ad oggetto il calcolo
degli oneri di urbanizzazione, ha
specificato che si tratta di un cambio di
destinazione d’uso da produttivo a
commerciale per vendita di merci ingombranti
(quantificando l’importo in € 6.019,47).
Attraverso il provvedimento impugnato, il
predetto contributo di costruzione è stato
rettificato in aumento (€ 142.341,66),
ritenendo sostanzialmente errata la
quantificazione effettuata in sede di
convenzione, poiché parametrata soltanto sul
10% della superficie oggetto di mutamento di
destinazione d’uso. Tuttavia nessuna
motivazione chiara e comprensibile è stata
posta a supporto della rettifica, non
potendosi ritenere satisfattiva a tal fine
l’affermazione che “gli oneri di
urbanizzazione e le aree a standard dovute,
ai sensi della L.R. n. 12/05 e s.m.i e del
Piano di Governo del Territorio, sono da
riferirsi all’intera S.l.p. oggetto di
cambio di destinazione d’uso”.
Attraverso le memorie difensive il Comune ha
evidenziato che in sede convenzionale
sarebbe stato applicato erroneamente l’art.
54, comma 4, delle N.T.A., in quanto
siffatta disposizione si riferirebbe
soltanto alla qualificazione della tipologia
della struttura di vendita, e non sarebbe
affatto rilevante sul diverso piano del
calcolo degli indici urbanistici ai fini
della contribuzione.
Una tale conclusione, oltre ad essere
contenuta soltanto in atti difensivi,
rappresentando quindi una motivazione
postuma (non ammessa di regola in sede
giudiziale: cfr. Consiglio di Stato, VI, 11.05.2018, n. 2843; TAR Lombardia,
Milano, II, 12.03.2020, n. 476), risulta
oggettivamente opinabile e non condivisibile
sia perché l’art. 54, comma 4, delle N.T.A.
(“La superficie di vendita degli esercizi
che hanno a oggetto esclusivamente la
vendita di merci ingombranti, non facilmente
amovibili e a consegna differita, quali ad
esempio i mobilifici, le concessionarie
d'auto, le rivendite di legnami, di
materiali edili e simili, è computata nella
misura di 1/10 della SLP per la quota di
superficie non superiore a mq 2.500 …”) non
contiene alcun evidente ed inequivoco
riferimento in tal senso, sia (e
soprattutto) in ragione del disposto di cui
all’art. 48, comma 4, della legge regionale
n. 12 del 2005 (“Per gli interventi con
destinazione commerciale, terziario
direttivo, turistico-alberghiero-ricettivo,
il contributo è pari ad una quota non
superiore al 10 per cento del costo
documentato di costruzione da stabilirsi, in
relazione alle diverse destinazioni, con
deliberazione del consiglio comunale”), che
riguarda proprio la determinazione del costo
di costruzione (norma altresì richiamata
dall’art. 10 della Convenzione, da cui
discende l’irrilevanza della contraria
interpretazione fornita dalla D.G.R. 20.12.2013, n. X/1193, che, oltre a
riguardare soltanto le grandi strutture di
vendita, è antecedente alla stipula della
Convenzione).
A delineare ulteriormente la situazione
soccorre anche quanto disposto in sede di
Convenzione, dove alla quantificazione del
contributo di costruzione sono stati
dedicati ben tre articoli (9, 10 e 11),
attraverso i quali sono stati
dettagliatamente illustrati il meccanismo di
calcolo delle varie componenti e i
presupposti normativi posti a fondamento
delle stesse.
Pertanto, pur escludendosi che a tali
rapporti di credito “di natura meramente
obbligatoria e agli atti iure gestionis, di
carattere contabile e aventi finalità
liquidatoria, adottati dal Comune, si
applichi la disciplina dell’autotutela di
cui all’art. 21-nonies della l. n. 241 del
1990 o, più in generale, la disciplina
dettata dalla stessa l. n. 241 del 1990 per
gli atti provvedimentali espressivi di
potestà pubblicistica”, è comunque possibile
per l’Amministrazione procedere alla rideterminazione degli oneri di
urbanizzazione laddove l’iniziale
determinazione degli oneri sia dipesa da
un’inesatta applicazione delle tabelle o
anche da un semplice errore di calcolo
purché ciò avvenga nel modo più corretto,
sollecito, scrupoloso e preciso, in una
visione del diritto amministrativo
improntata al principio di buon andamento e
alla legalità sostanziale, che deve
considerare anche la posizione della parte
privata (Consiglio di Stato, Ad. plen.,
30.08.2018, n. 12); tuttavia, la tutela del
legittimo affidamento e il principio della
buona fede trovano applicazione –sebbene
con alcune limitazioni– anche nelle
fattispecie relative alla determinazione del
contributo di costruzione, in particolare
laddove i criteri e i parametri per la
quantificazione non sono conoscibili e
verificabili con il normale sforzo richiesto
al debitore o sono di non piana e univoca
interpretazione, dovendosi comunque
privilegiare una leale collaborazione tra le
parti finalizzata all’attuazione del
rapporto obbligatorio (cfr. Consiglio di
Stato, Ad. plen., 30.08.2018, n. 12).
Nella specie il Comune si è rideterminato a
distanza di circa tre anni dal rilascio del
permesso di costruire e dalla stipula della
Convenzione, senza fornire una idonea e
solida motivazione, in grado di evidenziare
le ragioni di una rinnovata interpretazione
–non ricavabile testualmente– delle norme
che riguardano la quantificazione del
contributo di costruzione, da cui è derivata
una richiesta notevolmente difforme, in
eccesso, rispetto a quanto inizialmente
stabilito e convenuto formalmente con la
parte privata.
2.2. Ciò determina l’accoglimento delle
suesposte doglianze
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 23.06.2020 n. 1166 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Le
questioni attinenti alla spettanza e alla liquidazione del contributo per
gli oneri di urbanizzazione, compreso l’aspetto sanzionatorio, sono
riservate alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi
dell’art. 133, comma 1, lett. f), cod. proc. amm..
Le stesse, poi, avendo ad oggetto l’accertamento di un rapporto di credito a
prescindere dall’esistenza di atti della P.A., non sono soggette alle regole
delle azioni impugnatorie-annullatorie degli atti amministrativi ed ai
rispettivi termini di decadenza.
---------------
Secondo una condivisibile giurisprudenza, “il
contributo comunale dovuto per il rilascio del permesso di costruire ha
natura di prestazione patrimoniale imposta, di carattere non tributario, e
il sistema di pagamento dello stesso è caratterizzato da uno strumento a
sanzione crescente che scatta automaticamente, quale effetto legale
automatico, se l’importo dovuto per il contributo di costruzione non è
corrisposto alla scadenza; in definitiva il potere di sanzionare il
pagamento tardivo è incondizionatamente previsto dall’art. 42, d.P.R.
06.06.2001, n. 380, che è chiaro nell’assegnare alla Pubblica
amministrazione il potere/dovere di applicare le sanzioni al verificarsi di
un unico presupposto fattuale, e cioè il ritardo nel pagamento da parte
dell’intestatario del titolo edilizio o di chi gli sia subentrato secundum
legem”.
Del resto, l’irrilevanza dei principi civilistici di buona fede rispetto
alla fattispecie oggetto di scrutinio nella presente sede discende dalla
circostanza che la maggiorazione del contributo di costruzione, correlata al
ritardato pagamento dello stesso, non ha natura risarcitoria o
corrispettiva, bensì di sanzione pecuniaria nascente al momento in cui
diviene esigibile la sanzione principale.
---------------
Con ricorso notificato in data 16.09.2019 e depositato il 30 settembre
successivo, la ricorrente ha chiesto l’annullamento dell’atto ingiuntivo del
Comune di Seregno – pratica n. EDI/2013/00229/P.E/DIA – datato 16.08.2019,
notificato in pari data, con il quale le è stato intimato il pagamento,
entro 30 giorni dal ricevimento, di € 264.607,30 a titolo di costo di
costruzione, € 105.842,92 per sanzioni ed € 62,47 per diritti di segreteria,
per complessivi € 370.512,69.
La ricorrente, quale proprietaria di un’area sita in Seregno in Via ...
(foglio 42, mappale 533) ricadente ai sensi del previgente P.R.G. in zona
standard per servizi pubblici, ha ottenuto il permesso di costruire n. 137
del 2012 per l’edificazione di un centro di analisi e diagnosi, sanitario e
medico-specialistico, quale opera di interesse generale destinata a
soddisfare il fabbisogno di servizi collettivi di carattere sanitario,
sviluppantesi su due piani fuori terra, oltre un piano interrato, con
superficie complessiva di 3.265,24 mq fuori terra e 1.000 mq interrati.
Il permesso di costruire è stato ottenuto a seguito di richiesta congiunta
della ricorrente e dello Studio Radiologico B., associato alla stipula di un
atto unilaterale d’obbligo, con cui è stato assunto l’impegno di alienare o
locare gli immobili soltanto a soggetti aventi i requisiti di cui all’art.
13 delle N.T.A. al P.R.G., ossia “concessionari di pubblici servizi quali
l’accreditamento A.S.L. o altra autorizzazione rilasciata da una Pubblica
Amministrazione in materia sanitaria”.
Seppure, a giudizio della parte ricorrente, tale opera edilizia fosse da
qualificare come urbanizzativa secondaria realizzata da privati quale
struttura sanitaria ai sensi di legge e, quindi, non vi fosse alcun obbligo
di pagamento del costo di costruzione, il Comune di Seregno ha preteso il
pagamento dello stesso, regolarmente assolto dalla società ricorrente. In
data 14.05.2013 è stata presentata una d.i.a. in variante al progetto
originario per consentire la realizzazione dei locali in cui si sarebbe
insediata una delle farmacie comunali; anche in tale frangente è stato
stipulato un atto d’obbligo riguardante la destinazione a servizio sanitario
pubblico ed è stato corrisposto integralmente il costo di costruzione.
L’approvazione del nuovo P.G.T. ha confermato la destinazione a standard
servizi pubblici per l’area di proprietà della ricorrente.
In data 11.08.2015, il Comune di Seregno ha adottato un provvedimento con
cui è stato rideterminato il contributo di costruzione, richiedendo
l’ulteriore somma di € 282.566,09. La ricorrente ha impugnato tale
determinazione, chiedendo l’accertamento dell’esenzione dal medesimo
contributo, in quanto trattasi di opera di interesse generale destinata a
soddisfare il fabbisogno di servizi collettivi di carattere sanitario da
qualificare come urbanizzativa secondaria realizzata da privati e quindi, in
quanto struttura sanitaria ai sensi di legge, non assoggettabile al
pagamento del costo di costruzione.
Questa Sezione, con la sentenza n. 1502 del 26.07.2016, ha respinto sia la
richiesta di esenzione dal contributo di costruzione, sia la domanda
proposta in via subordinata di rideterminazione del richiamato contributo.
Il Consiglio di Stato, Sezione IV, con la sentenza n. 5942 del 17.10.2018 ha
confermato la pronuncia di primo grado.
Quindi la ricorrente, prima di corrispondere la cifra afferente al
contributo e al fine di definire la vertenza, ha segnalato
all’Amministrazione comunale una serie di errori materiali e di diritto
occorsi nella determinazione della somma finale, chiedendone la rettifica;
tuttavia gli Uffici comunali, con la nota del 04.06.2019, hanno comunicato,
in seguito al riesame dei conteggi effettuati, la conferma dell’importo del
contributo già stabilito nel mese di agosto 2015 e, dopo aver respinto la
richiesta di rateizzazione formulata dalla ricorrente, hanno adottato
l’ingiunzione di pagamento per un totale di complessivi € 370.512,69.
Assumendo l’illegittimità della predetta ingiunzione –premessa la
giurisdizione del giudice amministrativo e la non ostatività del giudicato
di cui alla sentenza del Consiglio di Stato n. 5942 del 17.10.2018– la
ricorrente ne ha chiesto l’annullamento, in primo luogo, per violazione e/o
falsa applicazione della legge regionale n. 12 del 2005, per violazione e/o
falsa applicazione del D.P.R. n. 380 del 2001, per violazione dell’art. 3
della legge n. 241 del 1990, per violazione e/o falsa applicazione del
Decreto del Ministero dei Lavori Pubblici 10.05.1977, per difetto di
istruttoria e di motivazione, per illogicità manifesta, per violazione del
principio di buona fede e per violazione del principio di proporzionalità.
Ulteriormente sono stati dedotti la violazione e/o falsa applicazione della
legge regionale n. 12 del 2005, la violazione e/o falsa applicazione del
D.P.R. n. 380 del 2001, la violazione dell’art. 3 della legge n. 241 del
1990, la violazione e/o falsa applicazione del D.M. 10.05.1977, il difetto
di istruttoria, l’illogicità manifesta, la violazione del principio di buona
fede e la violazione del principio di proporzionalità.
Inoltre, sono stati dedotti la violazione e/o falsa applicazione del D.P.R.
n. 380 del 2001, l’eccesso di potere per difetto di istruttoria e
l’illogicità manifesta.
Infine, sono stati eccepiti la violazione e/o falsa applicazione dell’art.
42 del D.P.R. n. 380 del 2001, la violazione dell’art. 1227 cod. civ. e la
violazione dei principi di autoresponsabilità del creditore.
La ricorrente ha poi chiesto, in via istruttoria, una verificazione/C.T.U.
contabile al fine di determinare la corretta percentuale da applicare sul
costo complessivo delle opere, il corretto computo metrico estimativo sulla
cui base calcolare il costo di costruzione e la quota di spettanza dello
Studio Radiologico B..
...
1. In via preliminare, va affermata la giurisdizione del giudice
amministrativo sulla presente controversia, giacché secondo una consolidata
giurisprudenza, condivisa dal Collegio, le questioni attinenti alla
spettanza e alla liquidazione del contributo per gli oneri di
urbanizzazione, compreso l’aspetto sanzionatorio (cfr. Consiglio di Stato,
Ad. plen., 07.12.2016, n. 24), sono riservate alla giurisdizione esclusiva
del giudice amministrativo ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. f), cod.
proc. amm.; le stesse, poi, avendo ad oggetto l’accertamento di un rapporto
di credito a prescindere dall’esistenza di atti della P.A., non sono
soggette alle regole delle azioni impugnatorie-annullatorie degli atti
amministrativi ed ai rispettivi termini di decadenza (TAR Veneto, II,
11.10.2019, n. 1083; altresì, Consiglio di Stato, Ad. plen., 30.08.2018, n.
12; VI, 07.05.2015, n. 2294; TAR Lombardia, Milano, II, 10.05.2018, n.
1242).
2. Sempre in via preliminare, va evidenziato che la richiesta di discussione
orale formulata dalla difesa della ricorrente con la memoria datata
19.05.2020, ai sensi dell’art. 4 del decreto legge n. 28 del 30.04.2020, è
stata proposta in via subordinata rispetto alla rimessione in termini in
relazione al deposito della produzione documentale allegata alla citata
memoria del 19.05.2020: concedendosi la rimessione in termini ai sensi
dell’art. 84, commi 5 e 7, del decreto legge n. 18 del 2020, convertito in
legge n. 27 del 2020, in virtù delle difficoltà incontrate dalla parte
ricorrente nel reperire la documentazione –e in assenza di opposizione della
parti resistenti, che nelle memorie finali non hanno evidenziato alcuna
ragione ostativa in tal senso–, non è stato necessario effettuare la
discussione orale richiesta comunque in via subordinata.
3. Infine, sempre in via preliminare, non può essere accolta la richiesta
istruttoria contenuta nel ricorso introduttivo e reiterata anche nelle
memorie finali della parte ricorrente –ossia, una verificazione/C.T.U.
contabile al fine di determinare la corretta percentuale da applicare sul
costo complessivo delle opere, il corretto computo metrico estimativo sulla
cui base calcolare il costo di costruzione e la quota di spettanza dello
Studio Radiologico B.– stante l’irrilevanza della stessa ai fini della
decisione della controversia, che risulta istruita in misura adeguata, con
la conseguenza che nessuna ulteriore acquisizione risulta necessaria a tal
fine.
4. Passando all’esame del merito della controversia, il ricorso è in parte
inammissibile e in parte infondato.
5. Con i primi tre motivi di ricorso, con cui sono stati contestati,
rispettivamente, la determinazione del contributo di costruzione (prima
censura), la correttezza del computo metrico estimativo posto alla base
del calcolo del predetto contributo (seconda censura) e il mancato
assoggettamento al pagamento dello stesso anche dello Studio Radiologico B.
(terza censura), la ricorrente Ed. intende porre in discussione
questioni che sono già coperte dal giudicato discendente dalle sentenze n.
1502 del 26.07.2016 di questa Sezione e n. 5942 del 17.10.2018 della IV
Sezione del Consiglio di Stato, che hanno respinto, oltre alla richiesta di
esenzione dal contributo di costruzione, anche la domanda proposta in via
subordinata di rideterminazione del richiamato contributo.
In particolare, il punto 3.1 della parte in diritto della sentenza di questa
Sezione n. 1502/2016 ha respinto la censura con cui era stata eccepita
l’illegittima quantificazione del contributo di costruzione, pari ad €
282.566,09 (come determinata con provvedimento comunale dell’11.08.2015);
anche nel punto 5.5 della sentenza di appello è stata affrontata
specificamente la questione, ritenendola infondata e confermando quindi la
sentenza di primo grado.
Da quanto evidenziato discende che la parte del gravame con cui si contesta
(nuovamente) il calcolo del contributo di costruzione è inammissibile –come
evidenziato in sede difensiva anche dalle parti resistenti– per violazione
del principio del ne bis in idem, in quanto già nel pregresso
giudizio incardinato nel 2015 è stato censurato, come in precedenza
evidenziato, il provvedimento di determinazione del contributo di
costruzione: da ciò discende che la contestazione non può essere nuovamente
presa in considerazione, ostando al proposito la pregressa decisione
giurisdizionale (TAR Lombardia, Milano, II, 26.01.2017, n. 200); del resto
ad un tale esito si giunge anche in ragione del principio che, fatte salve
le sopravvenienze fattuali, il giudicato copre il dedotto e il deducibile e,
certamente, la determinazione della somma da versare a titolo di contributo
di costruzione risultava già censurabile nel suo complesso all’atto della
proposizione del primo contenzioso (sull’applicabilità di tale principio
anche al processo amministrativo, Consiglio di Stato, V, 23.03.2015, n.
1558; TAR Piemonte, Torino, I, 04.02.2016, n. 173; TRGA Trento, I,
05.01.2016, n. 3).
In senso contrario, non risulta fondato il rilievo della parte ricorrente,
secondo il quale, dopo le citate sentenze di questa Sezione e del Consiglio
di Stato, ci sarebbe stata una riedizione del potere dell’Amministrazione
attraverso l’effettuazione di nuovi conteggi, visto che nella nota comunale
del 04.06.2019, adottata in risposta ad una richiesta di riesame della
ricorrente, si è sottolineato, a conferma della primigenia determinazione,
che, “in esito alle ulteriori verifiche, si conferma però che le
osservazioni non possono essere accettate in quanto i criteri utilizzati per
la determinazione dei contributi DIA in data 11/08/2015, prot. 39679,
risultano corretti e non opinabili” (all. 10 al ricorso). Perciò nessuna
nuova spendita di potere amministrativo si è verificata, con la definitiva
conferma della originaria determinazione, già coperta dal giudicato.
5.1. Di conseguenza, va dichiarata l’inammissibilità delle prime tre censure
di ricorso, le quali, riferendosi alla determinazione del contributo di
costruzione posto a carico della ricorrente, hanno violato il principio del
ne bis in idem.
6. Con la quarta censura di ricorso si assume la violazione dell’art.
1227 cod. civ. da parte del Comune creditore che non si sarebbe attivato per
evitare l’aggravamento del danno in capo alla ricorrente ed avrebbe in tal
modo determinato un aumento dell’importo del contributo attraverso
l’applicazione della sanzione nella misura del 40% (ex art. 42 del D.P.R. n.
380 del 2001).
6.1. La doglianza è infondata.
Secondo una condivisibile giurisprudenza, “il contributo comunale dovuto
per il rilascio del permesso di costruire ha natura di prestazione
patrimoniale imposta, di carattere non tributario, e il sistema di pagamento
dello stesso è caratterizzato da uno strumento a sanzione crescente che
scatta automaticamente, quale effetto legale automatico, se l’importo dovuto
per il contributo di costruzione non è corrisposto alla scadenza; in
definitiva il potere di sanzionare il pagamento tardivo è
incondizionatamente previsto dall’art. 42, d.P.R. 06.06.2001, n. 380, che è
chiaro nell’assegnare alla Pubblica amministrazione il potere/dovere di
applicare le sanzioni al verificarsi di un unico presupposto fattuale, e
cioè il ritardo nel pagamento da parte dell’intestatario del titolo edilizio
o di chi gli sia subentrato secundum legem” (Consiglio di Stato, IV,
31.08.2017, n. 4123).
Del resto, l’irrilevanza dei principi civilistici di buona fede rispetto
alla fattispecie oggetto di scrutinio nella presente sede discende dalla
circostanza che la maggiorazione del contributo di costruzione, correlata al
ritardato pagamento dello stesso, non ha natura risarcitoria o
corrispettiva, bensì di sanzione pecuniaria nascente al momento in cui
diviene esigibile la sanzione principale (Consiglio di Stato, Ad. plen.,
07.12.2016, n. 24).
6.2. Da ciò discende il rigetto della predetta doglianza
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 18.06.2020 n. 1109 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L’Adunanza
Plenaria del Consiglio di Stato ha di recente ribadito, confermando
l’orientamento maggioritario già formatosi in giurisprudenza, che “il contributo di
costruzione è e rimane [… ] un corrispettivo di diritto pubblico” sicché “il
pagamento di questo, esclusa pacificamente la sua natura tributaria, non può
che costituire l'oggetto di un ordinario rapporto obbligatorio, disciplinato
dalle norme di diritto privato, come prescrive l'art. 1, comma 1-bis, della L. n. 241 del 1990”.
Ciò reca, come precipitato, che “gli atti con i quali
la pubblica amministrazione determina e liquida il contributo di
costruzione, previsto dall'art. 16 del D.P.R. n. 380 del 2001, non hanno
natura autoritativa, non essendo espressione di una potestà pubblicistica,
ma costituiscono l'esercizio di una facoltà connessa alla pretesa creditoria
riconosciuta dalla legge al Comune per il rilascio del permesso di
costruire”.
---------------
Le
controversie attinenti alla determinazione e alla liquidazione del
contributo per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione, nonché
l'azione volta alla declaratoria del diritto dell'interessato alla
restituzione delle somme versate al Comune per mancato utilizzo del titolo
edilizio appartengono alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo”.
Detta azione può, quindi, essere “proposta a prescindere
dall'impugnazione o dall'esistenza dell'atto con cui viene negato il
rimborso, trattandosi di giudizio di accertamento di un rapporto
obbligatorio pecuniario".
---------------
1. Il ricorso è infondato nel merito e deve essere rigettato.
Va, tuttavia, preliminarmente operata la riqualificazione dell’azione
proposta ai sensi dell’art. 32, comma 2, c.p.a..
A tal fine occorre muovere da alcune considerazioni in ordine alla natura
giuridica dei contributi edilizi di costruzione (oneri concessori).
Ebbene, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, nella decisone n. 12 del
30.08.2018, ha di recente ribadito, confermando l’orientamento
maggioritario già formatosi in giurisprudenza, che “il contributo di
costruzione è e rimane [… ] un corrispettivo di diritto pubblico” sicché “il
pagamento di questo, esclusa pacificamente la sua natura tributaria, non può
che costituire l'oggetto di un ordinario rapporto obbligatorio, disciplinato
dalle norme di diritto privato, come prescrive l'art. 1, comma 1-bis, della L. n. 241 del 1990”.
Ciò reca, come precipitato, che “gli atti con i quali
la pubblica amministrazione determina e liquida il contributo di
costruzione, previsto dall'art. 16 del D.P.R. n. 380 del 2001, non hanno
natura autoritativa, non essendo espressione di una potestà pubblicistica,
ma costituiscono l'esercizio di una facoltà connessa alla pretesa creditoria
riconosciuta dalla legge al Comune per il rilascio del permesso di
costruire”.
Questa ricostruzione ha evidenti riflessi in punto processuale.
Allontanandosi dal modello impugnatorio del giudizio sull’atto, il Giudice
Amministrativo, a cui il legislatore attribuisce in materia edilizia una
giurisdizione esclusiva ex art. 133, comma 1, lett. f), c.p.a., conosce,
infatti, attraverso lo spettro delle censure mosse dal ricorrente, l’intero
rapporto giuridico intercorrente tra questi e l’Amministrazione, con la
possibilità di accertare il suo contenuto e stabilire la sussistenza e la
portata delle singole obbligazioni nascenti dallo stesso.
1.1 Le considerazioni appena rassegnate spingono a ritenere che, in disparte
dal nomen iuris impiegato, la domanda qui spiccata dalla Società ricorrente
avverso la nota prot. n. 6929 del 21.10.2014 vada, più correttamente,
inquadrata come volta ad accertare il contenuto dell’obbligazione legale
gravante a suo carico.
Del resto, come è stato in più occasioni ribadito dalla giurisprudenza (ex multis TAR Abruzzo, L'Aquila, sez. I, 29.12.2017, n. 610), “le
controversie attinenti alla determinazione e alla liquidazione del
contributo per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione, nonché
l'azione volta alla declaratoria del diritto dell'interessato alla
restituzione delle somme versate al Comune per mancato utilizzo del titolo
edilizio appartengono alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo”. Detta azione può, quindi, essere “proposta a prescindere
dall'impugnazione o dall'esistenza dell'atto con cui viene negato il
rimborso, trattandosi di giudizio di accertamento di un rapporto
obbligatorio pecuniario”
(TAR Puglia-Lecce, Sez. II
sentenza 18.06.2020 n. 647 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La costruzione di una Residenza Socio
Sanitaria Assistenziale (R.S.S.A.) sconta il versamento sia degli oo.uu.
nonché del costo di costruzione.
Si deve ritenere che l’esercizio di una Residenza Socio Sanitaria
Assistenziale (R.S.S.A.) per anziani vada inquadrata nel comma 2 dell’art.
19 DPR 380/2001 e cioè "costruzioni o impianti destinati ad attività
turistiche, commerciali e direzionali o allo svolgimento di servizi ".
Del resto, detta attività per le sue caratteristiche
intrinseche si risolve nello svolgimento di una prestazione complessa che
prevede il contatto diretto con l’utenza in cui si combina la
somministrazione di attività di tipo assistenziale con quella di offerta di
vitto e alloggio (che la avvicinano, per il carattere lato sensu recettivo,
alle attività di tipo alberghiero e “turistiche” espressamente menzionate
proprio al comma 2 dell’art. 19).
In altri termini, si tratta di immobile destinato ad
attività essenzialmente recettizia di carattere commerciale, e non di
un’attività di tipo industriale di prestazione di servizi (come potrebbe
essere, tutt’al più, una Casa di Cura in cui vengono erogate, con carattere
prevalente, prestazioni sanitarie, e non socio-assistenziali essenzialmente
di tipo ricettivo).
Quanto appena osservato si pone in linea con l’orientamento espresso dal
Consiglio di Stato che, facendo leva sul dettato normativo e le caratteristiche
tipologiche dell’attività svolta, ha escluso la configurabilità di un
complesso alberghiero come “attività produttiva” ai fini dell’esenzione del
costo di costruzione.
---------------
2. Così riqualificata la domanda proposta, è possibile esaminare le ragioni
giuridiche dedotte a suo fondamento dalla parte ricorrente.
2.1 Con l’unico motivo di gravame si denuncia un difetto di istruttoria e
motivazione atteso che l’Amministrazione Comunale intimata avrebbe applicato
il contributo concessorio nella misura massima stabilita ai sensi del comma
2 dell’art. 19 del D.P.R. n. 380 del 2001 e ss.mm., senza prendere in
considerazione la circostanza che la Residenza Socio Sanitaria Assistenziale
(R.S.S.A.) per anziani realizzata sarebbe qualificabile come impianto
industriale, in relazione al quale risulta dovuto il minore importo di cui
al comma 1 dello stesso art. 19 (con esclusione, quindi, del costo di
costruzione).
2.2 La censura non merita positivo apprezzamento.
L’art. 19, comma 1, del D.P.R. n. 380 del 2001 stabilisce che “il permesso di
costruire relativo a costruzioni o impianti destinati ad attività
industriali o artigianali dirette alla trasformazione di beni ed alla
prestazione di servizi comporta la corresponsione di un contributo pari alla
incidenza delle opere di urbanizzazione, di quelle necessarie al trattamento
e allo smaltimento dei rifiuti solidi, liquidi e gassosi e di quelle
necessarie alla sistemazione dei luoghi ove ne siano alterate le
caratteristiche”.
Il successivo comma 2 prescrive, invece, che “il permesso di costruire
relativo a costruzioni o impianti destinati ad attività turistiche,
commerciali e direzionali o allo svolgimento di servizi comporta la
corresponsione di un contributo pari all'incidenza delle opere di
urbanizzazione, determinata ai sensi dell’articolo 16, nonché una quota non
superiore al 10 per cento del costo documentato di costruzione da
stabilirsi, in relazione ai diversi tipi di attività, con deliberazione del
consiglio comunale”.
Il legislatore ha inteso, dunque, riservare un regime di favore per
l’attività edilizia relativa a “costruzioni o impianti destinati ad attività
industriali o artigianali dirette alla trasformazione di beni ed alla
prestazione di servizi” stabilendo che sia dovuto in tale caso il solo
contributo di urbanizzazione e non anche, come previsto dal comma 2, anche
il costo di costruzione.
Orbene, secondo la ricorrente, la definizione “attività industriali” di cui
al comma 1 dell’art. 19 citato dovrebbe essere intesa in senso lato
facendovi rientrare ogni attività di produzione e scambio di beni e servizi
con l’esclusione dei soli imprenditori agricoli e di quelli esercenti
attività di mera intermediazione. Detta interpretazione riposa sul dettato
dell’art. 2195 c.c. che costruirebbe in termini soltanto negativi la
nozione.
2.3 La ricostruzione offerta dalla difesa della parte ricorrente non pare
condivisibile.
Anzitutto, è preferibile accedere ad una ricostruzione in chiave autonoma
del concetto di “attività industriale” previsto dal comma 1 dell’art. 19,
che si emancipi dal corrispondente codicistico.
Invero, da un confronto con la restante parte del comma 1 dell’art. 19 e del
successivo comma 2 emerge come il legislatore abbia voluto fare riferimento
ad una definizione ben più ristretta di quella disegnata dall’art. 2195 c.c.
.
In prima battuta va rilevato che al comma 1 dell’art. 19 del D.P.R. 06.06.2001 n. 380 si menziona, accanto alle attività industriali anche quelle
“artigianali” che nella sistematica del codice civile trovano una diversa
collocazione rispetto all’art. 2195 c.c., sotto la rubrica dell’art. 2083
c.cc. in tema di “piccoli imprenditori”.
Ma, soprattutto, appare decisiva la circostanza che nel successivo comma 2
dell’art. 19 siano prese in considerazione attività come quelle “turistiche,
commerciali e direzionali” che, invece, rientrerebbero nel disposto
dell’art. 2195, comma 1, n. 1) c.c..
2.4 Il significato da attribuire all’inciso “attività industriali” di cui al
comma 1 dell’art. 19 va, quindi, tracciato in maniera autonoma, prescindendo
dalla omonima categoria civilistica.
È di ausilio, a tal fine, il raffronto tra il primo ed il secondo comma.
Appare evidente che nella prima ipotesi sono raggruppate quelle attività di
produzione di beni o servizi che non prevedono un contatto diretto con
l’utente finale. Viceversa, nel secondo comma sono contemplate attività che
implicano l’accesso alla costruzione o impianto anche di soggetti diversi da
quelli che svolgono l’attività (così quelle “turistiche”, “commerciali” e
“direzionali”). Ciò sembra comprovato dalla circostanza che mentre al comma
1 si parla di “prestazione di servizi” in quello successivo si impiega
l’espressione “svolgimento di servizi”.
Detta differenza non appare neutra da un punto di vista urbanistico atteso
che lo svolgimento di attività che, per loro natura, prevedono l’affluenza
di utenza esterna importa un carico diverso sul territorio e giustifica un
regime di contribuzione più oneroso, che si avvicina a quello residenziale
ex art. 16 del D.P.R. n. 380 del 2001.
2.5 Tanto premesso si deve ritenere che l’esercizio di una Residenza Socio
Sanitaria Assistenziale (R.S.S.A.) per anziani vada inquadrata, come
correttamente ha fatto l’Amministrazione Comunale di Gagliano del Capo, nel
comma 2 dell’art. 19.
Del resto, detta attività per le sue caratteristiche
intrinseche si risolve nello svolgimento di una prestazione complessa che
prevede il contatto diretto con l’utenza in cui si combina la
somministrazione di attività di tipo assistenziale con quella di offerta di
vitto e alloggio (che la avvicinano, per il carattere lato sensu recettivo,
alle attività di tipo alberghiero e “turistiche” espressamente menzionate
proprio al comma 2 dell’art. 19).
In altri termini, si tratta -nel caso di specie- di immobile destinato ad
attività essenzialmente recettizia di carattere commerciale, e non di
un’attività di tipo industriale di prestazione di servizi (come potrebbe
essere, tutt’al più, una Casa di Cura in cui vengono erogate, con carattere
prevalente, prestazioni sanitarie, e non socio-assistenziali essenzialmente
di tipo ricettivo).
Quanto appena osservato si pone in linea con l’orientamento espresso dal
Consiglio di Stato (sez. V, 07.05.2013, n. 2467 e sez. IV, del 12.07.2010, n. 4488) che, facendo leva sul dettato normativo e le caratteristiche
tipologiche dell’attività svolta, ha escluso la configurabilità di un
complesso alberghiero come “attività produttiva” ai fini dell’esenzione del
costo di costruzione.
2.6 Né coglie nel segno, in ultimo, neppure la censura relativa al difetto
di istruttoria e motivazione. Dall’inquadramento dell’intervento nel campo
di applicazione del comma 2 dell’art. 19 discende, infatti, da sé, senza
necessità di ulteriori approfondimenti istruttori né di un supporto
motivazionale specifico, la liquidazione del quantum dovuto.
2.6 La domanda proposta è, quindi, infondata e deve essere respinta
(TAR Puglia-Lecce, Sez. II
sentenza 18.06.2020 n. 647 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: In ordine alla natura
giuridica dei contributi edilizi l’Adunanza Plenaria del Consiglio
di Stato ha di recente ribadito,
confermando l’orientamento maggioritario già formatosi in giurisprudenza,
che “il contributo di costruzione è e rimane [… ] un corrispettivo di
diritto pubblico” sicché “il pagamento di questo, esclusa pacificamente la
sua natura tributaria, non può che costituire l'oggetto di un ordinario
rapporto obbligatorio, disciplinato dalle norme di diritto privato, come
prescrive l'art. 1, comma 1-bis, della L. n. 241 del 1990”.
Ciò reca, come
precipitato, che “gli atti con i quali la pubblica amministrazione determina
e liquida il contributo di costruzione, previsto dall'art. 16 del D.P.R. n.
380 del 2001, non hanno natura autoritativa, non essendo espressione di una
potestà pubblicistica, ma costituiscono l'esercizio di una facoltà connessa
alla pretesa creditoria riconosciuta dalla legge al Comune per il rilascio
del permesso di costruire”.
---------------
La giurisprudenza amministrativa ha chiarito che “l'obbligazione di corrispondere gli oneri di urbanizzazione ha
per oggetto una prestazione pecuniaria, da eseguire al domicilio del
creditore, senza che su quest'ultimo gravi alcun onere di preventiva
sollecitazione o avvertenza”.
Ciò è legato alla peculiare natura giuridica del contributo concessorio che,
secondo l’insegnamento pretorio costituisce “un'obbligazione
giuridica di tipo pubblicistico comprendente oneri di urbanizzazione e costo
di costruzione” che “nasce con il rilascio della concessione edilizia” e non
ha carattere tributario ma è “definibile come corrispettivo di diritto
pubblico posto a carico del costruttore”.
La circostanza che l’atto di rideterminazione non costituisca spendita di
poteri autoritativi reca con sé come precipitato che l’Amministrazione
Comunale non sia tenuta, salvo il rispetto dei principi di cui all’art. 1,
comma 1, della L. n. 241 del 1990 e ss.mm., all’osservanza delle forme
procedimentali e, quindi, segnatamente, della previsione di cui all’art. 7
della stessa in materia di comunicazione di avvio del procedimento.
---------------
Si deve opportunamente tenere distinta la disciplina relativa alla
determinazione degli oneri di urbanizzazione da quella relativa alla
determinazione dei costi di costruzione.
Con riguardo alla prima, la giurisprudenza di questo Tribunale ha già
chiarito che “una volta che la determinazione degli oneri concessori sia
correttamente avvenuta sulla base delle tabelle vigenti all'epoca del
rilascio del permesso di costruire, è illegittima la pretesa
dell'Amministrazione di addossare al titolare del permesso edilizio
rilasciato anni prima l'ulteriore carico finanziario derivante dal
meccanismo di aggiornamento; d'altro canto la convenienza a realizzare o non
l'intervento edilizio non può prescindere da una valutazione degli oneri
concessori quale significativa componente dei costo complessivo, per cui, un
adeguamento del contributo ex post si tradurrebbe in un'alea insopportabile
per chi, ove a conoscenza di un diversa e maggiore entità del contributo, si
sarebbe magari astenuto dall'iniziativa economica intrapresa”.
Ne consegue che le delibere comunali di adeguamento degli oneri di
urbanizzazione possono trovare applicazione esclusivamente "per i permessi
rilasciati a far tempo dall'epoca di adozione dell'atto deliberativo e non
anche per quelli rilasciati in epoca anteriore".
Ciò discende, oltre che dal disposto del citato art. 16 del D.P.R. n. 380
del 2001, dai principi generali in materia di obbligazioni e, segnatamente,
di buona fede oggettiva, che impediscono al creditore di pretendere maggior
somme che presupponevano la diligente attivazione delle proprie prerogative
(quale l’aggiornamento delle tabelle di calcolo).
Detto orientamento è stato recepito dall’Adunanza Plenaria laddove il Supremo Consesso, dopo
aver affermato che il carattere paritetico del rapporto “non esclude la doverosità della rideterminazione quante volte la pubblica amministrazione
si accorga che l'iniziale determinazione degli oneri di urbanizzazione sia
dipesa da un'inesatta applicazione delle tabelle o anche da un semplice
errore di calcolo” ha ribadito fermamente che, a tutela dell’affidamento che
il privato deve potere nutrire in ordine all’operato dell’Amministrazione,
“il Comune ha l'obbligo di adoperarsi affinché la liquidazione del
contributo di costruzione venga eseguita nel modo più corretto, sollecito,
scrupoloso e preciso, sin dal principio”.
È, quindi, da escludere che il Comune resistente possa giustificare una
richiesta di integrazione di quanto già versato a titolo di oneri di
urbanizzazione sulla scorta dell’esigenza di porre rimedio, a posteriori, ad
una propria condotta inadempiente.
Un diverso regime di liquidazione trova applicazione, come anticipato,
con riguardo ai costi di costruzione.
Sul punto il Supremo Consenso della Giustizia Amministrativa ha avuto modo
di precisare che, in base a quanto stabilito dall’art. 16, comma 9,
del D.P.R. n. 380 del 2001 e ss.mm., “i costi-base fissati con delibera
regionale si applicano direttamente”, mentre “le delibere con cui i Comuni
determinino i costi in misura differente da quanto deciso dalla Regione,
avvalendosi di facoltà previste da leggi regionali, hanno carattere eventuale e non
condizionano l’immediata vigenza e operatività del costo-base fissato dalla
Regione”.
Muovendosi da siffatte premesse si è ritenuto che “il principio di
irretroattività delle delibere comunali sopravvenute opera sì, ma solo per
il costo in aumento o in riduzione” rispetto “al costo-base fissato con atto
regionale”.
---------------
1. Il ricorso è, in parte, fondato e deve essere accolto nei limiti
di seguito specificati.
Va, tuttavia, preliminarmente operata la riqualificazione delle azioni
proposte ai sensi dell’art. 32, comma 2, c.p.a..
A tal fine occorre muovere da alcune considerazioni in ordine alla natura
giuridica dei contributi edilizi. Ebbene, l’Adunanza Plenaria del Consiglio
di Stato, nella decisone n. 12 del 30.08.2018, ha di recente ribadito,
confermando l’orientamento maggioritario già formatosi in giurisprudenza,
che “il contributo di costruzione è e rimane [… ] un corrispettivo di
diritto pubblico” sicché “il pagamento di questo, esclusa pacificamente la
sua natura tributaria, non può che costituire l'oggetto di un ordinario
rapporto obbligatorio, disciplinato dalle norme di diritto privato, come
prescrive l'art. 1, comma 1-bis, della L. n. 241 del 1990”.
Ciò reca, come
precipitato, che “gli atti con i quali la pubblica amministrazione determina
e liquida il contributo di costruzione, previsto dall'art. 16 del D.P.R. n.
380 del 2001, non hanno natura autoritativa, non essendo espressione di una
potestà pubblicistica, ma costituiscono l'esercizio di una facoltà connessa
alla pretesa creditoria riconosciuta dalla legge al Comune per il rilascio
del permesso di costruire”.
Questa ricostruzione ha evidenti riflessi in punto processuale.
Allontanandosi da modello impugnatorio del giudizio sull’atto, il Giudice
Amministrativo, a cui il legislatore attribuisce in materia edilizia una
giurisdizione esclusiva ex art. 133, comma 1, lett. f), c.p.a., conosce,
infatti, attraverso lo spettro delle censure mosse dal ricorrente, l’intero
rapporto giuridico intercorrente tra questi e l’Amministrazione, con la
possibilità di accertare il suo contenuto e stabilire la sussistenza e la
portata delle singole obbligazioni nascenti dallo stesso.
1.1 Le considerazioni appena rassegnate spingono a ritenere che, in disparte
dal nomen iuris impiegato, le domande qui spiccate dalla ricorrente avverso
la nota prot. n. 3111 del 19.02.2013 del Comune di Matino non
rispecchino, nella sostanza, il paradigma dell’azione di annullamento ex
art. 29 c.p.a. ma vadano, più correttamente, inquadrate come volte ad
accertare il contenuto dell’obbligazione legale gravante a carico del
privato.
2. Così riqualificate le domande proposte è possibile, adesso, esaminare le
ragioni giuridiche dedotte a loro fondamento dalla ricorrente.
Con il primo motivo di gravame si deduce la violazione dell’art. 7 della L
n. 241 del 1990 per aver omesso il Comune di Matino di dare comunicazione di
avvio del procedimento di recupero delle somme dovute a titolo di oneri
concessori.
2.1 La censura, calibrata in un’ottica eminentemente impugnatoria, è
infondata.
Anzitutto occorre rilevare, quanto alla richiesta di pagamento di pagamento
dei maggior oneri concessori relativi alla pratica edilizia n. 127/2011, che
il relativo procedimento non risultava, al momento della formulazione
dell’intimazione, ancora definito. Non dovendosi, dunque, dare avvio ad un
procedimento diverso da quello di rilascio del permesso di costruire non
era, pertanto, necessaria, alcuna comunicazione ex art. 7 della L. n. 241
del 1990.
Né, a ben vedere, era necessaria alcuna comunicazione di avvio del
procedimento neppure con riguardo alla richiesta di integrazione delle somme
già versate nell’ambito della pratica edilizia n. 31/2009, già definita con
il rilascio del Permesso di Costruire in sanatoria n. 33/2010.
Come si è già ricordato, la giurisprudenza amministrativa ha, infatti,
chiarito che “l'obbligazione di corrispondere gli oneri di urbanizzazione ha
per oggetto una prestazione pecuniaria, da eseguire al domicilio del
creditore, senza che su quest'ultimo gravi alcun onere di preventiva
sollecitazione o avvertenza” (così Consiglio di Stato sez. V, 09.10.2013).
Ciò è legato alla peculiare natura giuridica del contributo concessorio che,
secondo l’insegnamento pretorio (da ultimo TAR Lombardia, Brescia, sez.
I, 28.01.2020, n. 75 che riprende quanto statuito da Consiglio di Stato,
Adunanza Plenaria, 30.08.2018, n. 12) costituisce “un'obbligazione
giuridica di tipo pubblicistico comprendente oneri di urbanizzazione e costo
di costruzione” che “nasce con il rilascio della concessione edilizia” e non
ha carattere tributario ma è “definibile come corrispettivo di diritto
pubblico posto a carico del costruttore”.
La circostanza che l’atto di rideterminazione non costituisca spendita di
poteri autoritativi reca con sé come precipitato che l’Amministrazione
Comunale non sia tenuta, salvo il rispetto dei principi di cui all’art. 1,
comma 1, della L. n. 241 del 1990 e ss.mm., all’osservanza delle forme
procedimentali e, quindi, segnatamente, della previsione di cui all’art. 7
della stessa in materia di comunicazione di avvio del procedimento.
3. Con il secondo motivo di gravame si deduce la violazione dell'art. 12 T.U.E.L., D.lgs. n. 267 del 2000 e ss.mm.. Più nel dettaglio, secondo la
prospettazione di parte ricorrente, la nota prot. n. 3111 del 19.02.2013 sarebbe illegittima nella parte in cui subordina il rilascio del
permesso di costruire al versamento delle somme dovute a titolo di oneri
concessori.
3.1. La censura non coglie nel segno.
In disparte dai rilievi già effettuati in punto di natura giuridica
dell’atto di determinazione e liquidazione del contributo di costruzione,
l’impugnata nota prot. n. 3111 del 19.02.2013, in quanto atto endoprocedimentale, nulla ha statuito con riguardo al rilascio del permesso
di costruire di cui alla pratica edilizia n. 127/2011.
Essa reca unicamente
l’accertamento e la richiesta di pagamento di una maggior somma a titolo di
oneri concessori, il cui versamento, come noto, non costituisce condizione
di legittimità del titolo abilitativo (così ex multis sin da TAR, Lazio,
Roma, sez. II, 11.06.1980, n. 432).
Va, in ogni caso, osservato, a conferma dell’indipendenza tra i due piani,
che il Comune di Matino ha provveduto, dopo la proposizione del ricorso, al
rilascio del permesso di costruire relativo alla pratica edilizia di
ampliamento n. 127/2011.
4. Con il terzo motivo di gravame la ricorrente lamenta l’illegittimità
dell’impugnata nota di richiesta di pagamento nella parte in cui la stessa
ha operato una rideterminazione retroattiva dell'importo del contributo
edilizio, effettuata a distanza di tre anni dal rilascio del titolo
abilitativo n. 33/2010.
In proposito, si lamenta l’illegittimità della
deliberazione n. 38/2012 con cui il Consiglio Comunale, preso atto del
mancato aggiornamento quinquennale degli oneri di urbanizzazione e annuale
dei costi di costruzione da parte degli uffici preposti, ha ritenuto di
fornire indirizzo al Responsabile del Settore Servizi alla Città di
procedere in autotutela al recupero della differenza tra gli oneri di
urbanizzazione ed i contributi di costo costruzione riscossi e quelli dovuti
per gli anni 2007, 2008, 2009, 2010, 2011 e 2012.
Secondo parte ricorrente,
dovendosi, ai sensi dell’art. 16 del D.P.R. n. 380 del 2001, fare
riferimento nella determinazione dell'entità dell'onere concessorio alla
data di rilascio del permesso di costruire e, quindi, alla normativa in tale
momento vigente, la predetta delibera di Consiglio Comunale n. 38/2012
dovrebbe trovare applicazione esclusivamente per i permessi di costruire
successivi alla sua adozione e non per quelli rilasciati in epoca anteriore.
4.1 La censura è fondata nei limiti appresso precisati.
Si deve opportunamente tenere distinta la disciplina relativa alla
determinazione degli oneri di urbanizzazione da quella relativa alla
determinazione dei costi di costruzione.
Con riguardo alla prima, la giurisprudenza di questo Tribunale ha già
chiarito che “una volta che la determinazione degli oneri concessori sia
correttamente avvenuta sulla base delle tabelle vigenti all'epoca del
rilascio del permesso di costruire, è illegittima la pretesa
dell'Amministrazione di addossare al titolare del permesso edilizio
rilasciato anni prima l'ulteriore carico finanziario derivante dal
meccanismo di aggiornamento; d'altro canto la convenienza a realizzare o non
l'intervento edilizio non può prescindere da una valutazione degli oneri
concessori quale significativa componente dei costo complessivo, per cui, un
adeguamento del contributo ex post si tradurrebbe in un'alea insopportabile
per chi, ove a conoscenza di un diversa e maggiore entità del contributo, si
sarebbe magari astenuto dall'iniziativa economica intrapresa” (così TAR
Puglia, Lecce, sez. III, 22.10.2015, n. 3004).
Ne consegue che le delibere comunali di adeguamento degli oneri di
urbanizzazione possono trovare applicazione esclusivamente "per i permessi
rilasciati a far tempo dall'epoca di adozione dell'atto deliberativo e non
anche per quelli rilasciati in epoca anteriore" (così già TAR Puglia,
Lecce, sez. III, 15.01.2013, n. 48).
Ciò discende, oltre che dal disposto del citato art. 16 del D.P.R. n. 380
del 2001, dai principi generali in materia di obbligazioni e, segnatamente,
di buona fede oggettiva, che impediscono al creditore di pretendere maggior
somme che presupponevano la diligente attivazione delle proprie prerogative
(quale l’aggiornamento delle tabelle di calcolo).
Detto orientamento è stato recepito dall’Adunanza Plenaria nella già
richiamata pronuncia n. 12 del 30.08.2018. Il Supremo Consesso, dopo
aver affermato che il carattere paritetico del rapporto “non esclude la doverosità della rideterminazione quante volte la pubblica amministrazione
si accorga che l'iniziale determinazione degli oneri di urbanizzazione sia
dipesa da un'inesatta applicazione delle tabelle o anche da un semplice
errore di calcolo” ha ribadito fermamente che, a tutela dell’affidamento che
il privato deve potere nutrire in ordine all’operato dell’Amministrazione,
“il Comune ha l'obbligo di adoperarsi affinché la liquidazione del
contributo di costruzione venga eseguita nel modo più corretto, sollecito,
scrupoloso e preciso, sin dal principio”.
È, quindi, da escludere che il Comune resistente possa giustificare una
richiesta di integrazione di quanto già versato a titolo di oneri di
urbanizzazione sulla scorta dell’esigenza di porre rimedio, a posteriori, ad
una propria condotta inadempiente.
4.2 Un diverso regime di liquidazione trova applicazione, come anticipato,
con riguardo ai costi di costruzione.
Sul punto il Supremo Consenso della Giustizia Amministrativa ha avuto modo
di precisare, pronunciandosi su un casus a cui era applicabile la normativa
regionale pugliese, che, in base a quanto stabilito dall’art. 16, comma 9,
del D.P.R. n. 380 del 2001 e ss.mm., “i costi-base fissati con delibera
regionale si applicano direttamente”, mentre “le delibere con cui i Comuni
determinino i costi in misura differente da quanto deciso dalla Regione,
avvalendosi di facoltà previste da leggi regionali (nella specie: art. 1,
comma 2, della legge regionale n. 1/2007), hanno carattere eventuale e non
condizionano l’immediata vigenza e operatività del costo-base fissato dalla
Regione”.
Muovendosi da siffatte premesse si è ritenuto che “il principio di
irretroattività delle delibere comunali sopravvenute opera sì, ma solo per
il costo in aumento o in riduzione” rispetto “al costo-base fissato con atto
regionale” (così Consiglio di Stato, sez. IV, 12.06.2017 n. 2821).
4.3 Dall’applicazione delle coordinate ermeneutiche appena illustrate
consegue l’illegittimità dell’impugnata nota prot. n. 3111 del 19.02.2013 nella sola parte in cui la stessa intima il pagamento dell’ulteriore
somma di €. 7.701,15 a titolo di recupero degli oneri di urbanizzazione
dovuti per il permesso di costruire in sanatoria n. 33/2010 inerente alla
pratica edilizia n. 31/2009.
Detto titolo risulta, infatti, essere stato
rilasciato prima dell’intervenuto aggiornamento da parte del Comune, giusta
deliberazione del Consiglio Comunale di Matino n. 38 del 2012, degli oneri
di urbanizzazione. Ne consegue che gli oneri di urbanizzazione relativi alla
pratica edilizia n. 31/2009 dovranno essere liquidati con riguardo ai
parametri vigenti al momento del rilascio permesso di costruire in sanatoria
n. 33/2010.
Alla pratica edilizia di ampliamento n. 127/2011 trova, invece, applicazione,
sempre limitatamente agli oneri di urbanizzazione, come è stato
correttamente ritenuto dall’Amministrazione comunale, l’aggiornamento
disposto con la deliberazione del Consiglio Comunale di Matino n. 38 del
2012. Ciò in quanto il relativo permesso di costruire risulta esser stato
rilasciato nel corso del presente giudizio e, quindi, dopo l’adozione della
prefata delibera consiliare di aggiornamento.
4.4 Per ciò che attiene alla determinazione dei costi di costruzione, appare
legittima, per le ragioni esposte in precedenza, l’applicazione da parte del
Comune di Matino, anche con riguardo alla pratica edilizia n. 31/2009, del
costo di costruzione di € 594,00/mq stabilito dall'art. 2, comma 1, della L.R. Puglia
01.01.2007 n. 1 recante “Norme relative all'esercizio
provvisorio del bilancio di previsione per l'anno finanziario 2007
-Modifiche e integrazioni”.
Va, sul punto, infatti, rilevato che ambedue i
titoli abilitativi relativi alle pratiche edilizie n. 31/2009 e n. 127/2011
sono stati rilasciati dopo l’entrata in vigore della L.R. Puglia n. 1 del
2007 (e sono relativi a richieste di Permesso di Costruire presentate
successivamente alla data del 31.12.2006)
(TAR Puglia-Lecce, Sez. III,
sentenza 12.06.2020 n. 609 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Per
costante giurisprudenza:
a) il contributo per il rilascio del permesso di costruire ha
natura di prestazione patrimoniale imposta, di carattere non tributario, ed
ha carattere generale, prescindendo totalmente delle singole opere di
urbanizzazione che devono in concreto eseguirsi, venendo altresì determinato
indipendentemente sia dall’utilità che il concessionario ritrae dal titolo
edificatorio sia dalle spese effettivamente occorrenti per realizzare dette
opere.
Ne consegue l’assenza di qualsivoglia rapporto di sinallagmaticità tra la
realizzazione delle opere di urbanizzazione da parte dell’amministrazione
comunale ed il pagamento degli oneri concessori da parte del richiedente il
titolo edilizio;
b) dalla natura giuridica degli oneri ne discende, quale immediato
e diretto corollario, la natura privatistica -e non anche pubblicistica-
degli atti con i quali l’amministrazione comunale determina o ridetermina il
contributo di costruzione.
Invero, l’obbligazione di corrispondere il contributo nasce nel momento in
cui viene rilasciato il titolo ed è a tale momento che occorre aver riguardo
per la determinazione dell’entità del contributo e l’atto di imposizione e
di liquidazione del contributo si risolve in un mero atto ricognitivo e
contabile, in applicazione di rigidi e prestabiliti parametri regolamentari
e tabellari;
c) atteso che tale potere si sostanzia, quindi, nella mera
quantificazione (rectius liquidazione) di una obbligazione ex lege (art. 16
d.P.R. n. 380/2001) a carico del richiedente il titolo autorizzatorio
edilizio, sul quale grava una posizione giuridica soggettiva di “obbligo” a
fronte del diritto soggettivo di credito della p.a., sussiste un potere –rectius
dovere- per l’amministrazione di apportare modifiche a siffatte
determinazioni tutte le volte in cui la stessa si sia discostata dai
parametri summenzionati -aventi natura cogente, con esclusione di
qualsivoglia discrezionalità applicativa- e ciò anche in senso “sfavorevole”
al privato, purché nei limiti della prescrizione decennale del relativo
diritto di credito.
---------------
7. Le censure sopra descritte, che in quanto strettamente connesse meritano
trattazione unitaria, non sono meritevoli di accoglimento.
7.1. Il Collegio, al riguardo, osserva preliminarmente che per costante
giurisprudenza:
a) il contributo per il rilascio del permesso di costruire ha
natura di prestazione patrimoniale imposta, di carattere non tributario, ed
ha carattere generale, prescindendo totalmente delle singole opere di
urbanizzazione che devono in concreto eseguirsi, venendo altresì determinato
indipendentemente sia dall’utilità che il concessionario ritrae dal titolo
edificatorio sia dalle spese effettivamente occorrenti per realizzare dette
opere.
Ne consegue l’assenza di qualsivoglia rapporto di sinallagmaticità tra la
realizzazione delle opere di urbanizzazione da parte dell’amministrazione
comunale ed il pagamento degli oneri concessori da parte del richiedente il
titolo edilizio (Cons. Stato, Ad. plen., 30.08.2018, n. 12);
b) dalla natura giuridica degli oneri ne discende, quale immediato
e diretto corollario, la natura privatistica -e non anche pubblicistica-
degli atti con i quali l’amministrazione comunale determina o ridetermina il
contributo di costruzione (Cons. Stato, Ad. plen., 30.08.2018, n. 12).
Invero, l’obbligazione di corrispondere il contributo nasce nel momento in
cui viene rilasciato il titolo ed è a tale momento che occorre aver riguardo
per la determinazione dell’entità del contributo (Cons. St., sez. IV,
30.11.2015, n. 5412, ma v. anche Cons. St., sez. V, 13.06.2003, n. 3332) e
l’atto di imposizione e di liquidazione del contributo si risolve in un mero
atto ricognitivo e contabile, in applicazione di rigidi e prestabiliti
parametri regolamentari e tabellari;
c) atteso che tale potere si sostanzia, quindi, nella mera
quantificazione (rectius liquidazione) di una obbligazione ex lege
(art. 16 d.P.R. n. 380/2001) a carico del richiedente il titolo
autorizzatorio edilizio, sul quale grava una posizione giuridica soggettiva
di “obbligo” a fronte del diritto soggettivo di credito della p.a.,
sussiste un potere –rectius dovere- per l’amministrazione di
apportare modifiche a siffatte determinazioni tutte le volte in cui la
stessa si sia discostata dai parametri summenzionati -aventi natura cogente,
con esclusione di qualsivoglia discrezionalità applicativa (Cons. St., sez.
IV, 28.11.2012, n. 6033)- e ciò anche in senso “sfavorevole” al
privato, purché nei limiti della prescrizione decennale del relativo diritto
di credito (così Ad. Plen. n. 12/2018; Cons. St., sez. IV, 28.11.2012, n.
6033, Cons. St., sez. IV, 17.09.2010, n. 6950).
7.2. Ciò considerato, dall’inesistenza di un potere di natura pubblicistica
in capo alla p.a. discende, innanzitutto, l’infondatezza della prima
censura, potendo ravvisare nell’azione amministrativa de qua una
legittima, se non doverosa, attività di rideterminazione del contributo
concessorio.
D’altro canto, il Comune, con gli atti impugnati, non determinava, a
differenza di quanto sostiene parte appellante, una radicale trasformazione
del titolo edilizio originariamente rilasciato, non potendo –neanche
astrattamente- essere ipotizzato che la concessione c.d. gratuita
costituisca un istituto autonomo e distinto.
Invero, è lo stesso art. 9 della legge n. 10/1977 ad affermare che, per le
ipotesi ivi previste, “il contributo di cui al precedente articolo 3 non
è dovuto”, così provvedendo esclusivamente ad individuare –in deroga al
principio di onerosità del permesso di costruire- delle fattispecie tipiche
di esenzione, senza in alcun modo voler concepire una forma di concessione
differente rispetto a quello di carattere generale (Consiglio di Stato, Sez.
IV,
sentenza 01.06.2020 n. 3405 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Con
riferimento all’interpretazione dell’art. 9, lett. d), della legge n.
10/1977 quale ipotesi di esenzione dal pagamento del contributo concessorio,
occorre considerare che, secondo la costante giurisprudenza, in materia di
edilizia il pagamento degli oneri concessori rappresenta la regola, con la
conseguenza che si impone un’interpretazione restrittiva delle deroghe, da
ritenere, pertanto, quali ipotesi tassativamente previste dalla legge.
Al riguardo, si osserva che l’art. 9, comma 1, lett. d), della legge n.
11/1977, nel prevedere che il contributo non è dovuto per gli interventi di
restauro, di risanamento conservativo, di ristrutturazione e di ampliamento,
in misura non superiore al venti per cento, di edifici unifamiliari, si pone
l’obiettivo di esentare dal contributo concessorio ogni intervento edilizio
sugli edifici esistenti destinati all'abitazione di un solo nucleo
familiare. Il legislatore, pertanto, individua -quali beneficiari
dell’esenzione- i nuclei familiari, per l’appunto proprietari di alloggi
unifamiliari, nell’ottica di migliorare in loro favore le condizioni di
abitabilità degli edifici medesimi.
Conforme alla ratio legis è quindi l’interpretazione volta a considerare
come parametro, ai fini del calcolo della percentuale di ampliamento
ammissibile per l’esenzione, il solo volume e la sola superficie lorda
effettivamente destinati a residenza. Invero, essendo l’ampliamento
finalizzato a migliorare l’abitabilità dell’edificio sono esclusivamente le
parti abitabili a dover essere prese a riferimento per l’applicazione della
percentuale del 20%.
Per converso non è accettabile l’interpretazione alternativa, che
condurrebbe ad applicare, ai fini del rispetto del limite di legge, il
rapporto tra il volume (o la superficie piana) esistente (inteso nella sua
interezza e, quindi con riferimento alla fattispecie in esame, inclusivo di
locali come il loggiato al primo piano, i vani accessori, la soffitta e la
cantina al piano terra) e il risultante.
Seguendo tale impostazione, invero, si addiverrebbe ad una non consentita
applicazione analogica della disposizione e ci si porrebbe in contrasto con
la funzione dell’esenzione, finendo per incentivare la realizzazione di
ampliamenti di carattere esclusivamente lucrativo.
---------------
8. Passando all’esame del secondo motivo di ricorso, il Collegio,
condividendo quanto espresso dal primo giudice, osserva preliminarmente che,
con riferimento all’interpretazione dell’invocato art. 9, lett. d), della
legge n. 10/1977 quale ipotesi di esenzione dal pagamento del contributo
concessorio, occorre considerare che, secondo la costante giurisprudenza (Cons.
Stato Sez. IV, 07.06.2018, n. 3422; Sez. V, 07.05.2013, n. 2467), in materia
di edilizia il pagamento degli oneri concessori rappresenta la regola, con
la conseguenza che si impone un’interpretazione restrittiva delle deroghe,
da ritenere, pertanto, quali ipotesi tassativamente previste dalla legge.
8.1. Al riguardo, si osserva che l’art. 9, comma 1, lett. d), della legge n.
11/1977, nel prevedere che il contributo non è dovuto per gli interventi di
restauro, di risanamento conservativo, di ristrutturazione e di ampliamento,
in misura non superiore al venti per cento, di edifici unifamiliari, si pone
l’obiettivo di esentare dal contributo concessorio ogni intervento edilizio
sugli edifici esistenti destinati all'abitazione di un solo nucleo
familiare. Il legislatore, pertanto, individua -quali beneficiari
dell’esenzione- i nuclei familiari, per l’appunto proprietari di alloggi
unifamiliari, nell’ottica di migliorare in loro favore le condizioni di
abitabilità degli edifici medesimi.
Conforme alla ratio legis è quindi l’interpretazione, avanzata dal
Comune appellato sin dall’adozione del provvedimento di rideterminazione del
contributo, volta a considerare come parametro, ai fini del calcolo della
percentuale di ampliamento ammissibile per l’esenzione, il solo volume e la
sola superficie lorda effettivamente destinati a residenza. Invero, essendo
l’ampliamento finalizzato a migliorare l’abitabilità dell’edificio sono
esclusivamente le parti abitabili a dover essere prese a riferimento per
l’applicazione della percentuale del 20%.
Per converso non è accettabile l’interpretazione alternativa, che
condurrebbe ad applicare, ai fini del rispetto del limite di legge, il
rapporto tra il volume (o la superficie piana) esistente (inteso nella sua
interezza e, quindi con riferimento alla fattispecie in esame, inclusivo di
locali come il loggiato al primo piano, i vani accessori, la soffitta e la
cantina al piano terra) e il risultante. Seguendo tale impostazione, invero,
si addiverrebbe ad una non consentita applicazione analogica della
disposizione e ci si porrebbe in contrasto con la funzione dell’esenzione,
finendo per incentivare la realizzazione di ampliamenti di carattere
esclusivamente lucrativo.
8.2. Ciò considerato, rilevato che prima dell’intervento la superficie utile
ammontava a mq. 111,69 e la superficie non residenziale a mq. 191,24 e il
volume riferito alla parte abitabile ammontava a mc. 468,60 e che a seguito
della trasformazione la superficie utile lievitava a mq. 206,87 e di
conseguenza il volume abitabile lievitava a mc. 747,90, non può trovare
applicazione nel caso di specie l’art. 9, comma 1, lett. d), della legge n.
10/1977, risultando l’ampliamento richiesto superiore al 20% sia in termini
di volume che di superficie.
9. In conclusione, in ragione di quanto esposto, l’appello deve essere
respinto
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 01.06.2020 n. 3405 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
aprile 2020 |
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EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: In
base all’art. 133 del comma 1, lett. a), n. 2), d.lgs. 02.07.2010, n.
104 sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo,
le controversie in materia di “formazione, conclusione ed esecuzione
degli accordi integrativi o sostitutivi di provvedimento amministrativo e
degli accordi fra pubbliche amministrazioni”; ai sensi della lettera f)
sono devolute alla giurisdizione esclusiva “le controversie aventi ad
oggetto gli atti e i provvedimenti delle pubbliche amministrazioni in
materia urbanistica e edilizia, concernente tutti gli aspetti dell'uso del
territorio”.
In base alla consolidata giurisprudenza di questo Consiglio e della Corte di
Cassazione, regolatrice della giurisdizione, tali disposizioni radicano
chiaramente la giurisdizione in tema di convenzioni urbanistiche, quali
accordi integrativi di provvedimenti amministrativi, anche con riferimento
alla loro corretta esecuzione (invero, spetta alla giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo la cognizione della controversia avente
ad oggetto l’adempimento o, in subordine, la risoluzione di una convenzione
di lottizzazione).
---------------
Per consolidata giurisprudenza, la scadenza del termine per l’ultimazione
dell’esecuzione delle opere di urbanizzazione previste in una convenzione
urbanistica non fa venire meno la relativa obbligazione, mentre proprio da
tale momento, in base all’art. 2935 c.c., per cui “la prescrizione
comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere”,
inizia a decorrere l’ordinario termine di prescrizione decennale, ai sensi
dell’art. 2946 del codice civile.
Il Comune, una volta consumato il termine di validità della convenzione, ha
dunque dieci anni di tempo per poter azionare i diritti ivi previsti.
---------------
Ritiene il Collegio di potere richiamare l’orientamento giurisprudenziale
consolidato per cui gli atti con i quali la Pubblica amministrazione
determina e liquida il contributo di costruzione costituiscono l'esercizio
di una facoltà connessa alla pretesa creditoria riconosciuta dalla legge al
Comune per il rilascio del permesso di costruire, nell’ambito di un rapporto
obbligatorio a carattere paritetico e soggetta al termine di prescrizione
decennale.
Nel corso del rapporto concessorio, dunque, la Amministrazione può
rideterminare, sia a favore che a sfavore del privato, l’importo del
contributo di concessione, in principio erroneamente liquidato,
richiedendone o rimborsandone a questi la differenza nell'ordinario termine
di prescrizione decennale, ai sensi dell’art. 2946 c.c., decorrente dal
rilascio del titolo edilizio.
---------------
In via preliminare deve essere esaminata la questione di giurisdizione
sollevata dalla difesa del Comune di Bari e riproposta, pur genericamente,
in appello.
Ritiene il Collegio la sussistenza della giurisdizione del giudice
amministrativo come correttamente ritenuto anche dal giudice di primo grado.
In base all’art. 133 del comma 1, lettera a), n. 2), d.lgs. 02.07.2010, n.
104 sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo,
le controversie in materia di “formazione, conclusione ed esecuzione
degli accordi integrativi o sostitutivi di provvedimento amministrativo e
degli accordi fra pubbliche amministrazioni”; ai sensi della lettera f)
sono devolute alla giurisdizione esclusiva “le controversie aventi ad
oggetto gli atti e i provvedimenti delle pubbliche amministrazioni in
materia urbanistica e edilizia, concernente tutti gli aspetti dell'uso del
territorio”.
In base alla consolidata giurisprudenza di questo Consiglio e della Corte di
Cassazione, regolatrice della giurisdizione, tali disposizioni radicano
chiaramente la giurisdizione in tema di convenzioni urbanistiche, quali
accordi integrativi di provvedimenti amministrativi, anche con riferimento
alla loro corretta esecuzione (Cons. Stato, sez. IV, 04.05.2010 n. 2568; id.
02.02.2012, n. 616; id. 14.01.2013, n. 159; Ad Plen 20.07.2012 n. 28; Cass.
civ., sez. un., 03.02.2011, n. 2546, per cui spetta alla giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo la cognizione della controversia avente
ad oggetto l’adempimento o, in subordine, la risoluzione di una convenzione
di lottizzazione).
Inoltre, nel caso di specie, la controversia attiene in particolare alla
contestazione della società Ma. circa la richiesta del Comune
avanzata con la nota del 04.08.2010 di pagamento degli oneri di
urbanizzazione, che erano stati scomputati al momento della convenzione, a
seguito dell’affermato inadempimento di parte degli obblighi convenzionali.
Anche sotto tale profilo la controversia si deve ritenere rientrante nella
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, in base al consolidato
orientamento giurisprudenziale per cui le controversie attinenti alla
determinazione e liquidazione degli oneri concessori sono riconducibili a
quegli aspetti dell'uso del territorio costituenti prerogativa della P.A., e
per questo riservate alla giurisdizione esclusiva del G.A., ai sensi
dell’art. 133, comma 1, lett. f), c.p.a. ( Cons. di Stato sez. IV,
10.06.2014, n. 2960; 21.08.2013, n. 4208).
Venendo al merito della controversia, nell’ordine logico delle questioni,
deve essere esaminato per primo il motivo del ricorso di primo grado, non
esaminato nella sentenza, e riproposto con l’appello incidentale (comunque
tempestivo rispetto ai termini di cui all’art. 101, comma 2, c.p.a.),
concernente l’eccezione di prescrizione del credito relativo agli oneri di
urbanizzazione.
Il motivo è, infatti, fondato e idoneo a definire il giudizio con la
reiezione dell’ulteriore motivo di appello del Comune.
Per consolidata giurisprudenza, la scadenza del termine per l’ultimazione
dell’esecuzione delle opere di urbanizzazione previste in una convenzione
urbanistica non fa venire meno la relativa obbligazione, mentre proprio da
tale momento, in base all’art. 2935 c.c., per cui “la prescrizione
comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere”,
inizia a decorrere l’ordinario termine di prescrizione decennale, ai sensi
dell’art. 2946 del codice civile (Cons. Stato Sez. IV, 14.05.2019, n. 3127;
n. 3126). Il Comune, una volta consumato il termine di validità della
convenzione, ha dunque dieci anni di tempo per poter azionare i diritti ivi
previsti (Cons. Stato Sez. IV, 15.10.2019, n. 7008).
Nel caso di specie la Convenzione è stata stipulata il 28.10.1988.
L’art. 5 della Convenzione prevedeva il termine di ultimazione degli edifici
in sette anni o nel minor termine previsti nelle concessioni edilizie e per
le opere di urbanizzazione disponeva che potessero essere “realizzate
gradualmente, purché siano assicurati i servizi ai costruendi edifici”.
Il termine di esecuzione degli obblighi convenzionali poteva quindi scadere
già il 28.10.1995.
In ogni caso, anche a ritenere che al termine di esecuzione delle opere di
urbanizzazione si dovesse applicare -in assenza di una specifica previsione-
il termine decennale previsto per l’esecuzione degli strumenti urbanistici
attuativi, secondo quanto affermato dalla giurisprudenza (cfr. Cons. Stato
Sez. IV, 21.04.2017, n. 1875, in caso appunto di mancanza di un termine
indicato nella convenzione), nel caso di specie, il termine decennale
sarebbe scaduto il 28.10.1998.
Almeno da tale data ha, dunque, iniziato a decorrere il termine ordinario
decennale di prescrizione.
Ne deriva che -in assenza di formali intimazioni da parte del Comune o della
proposizione di una eventuale azione di adempimento degli obblighi derivanti
dalla Convenzione, o, ancora, in mancanza della escussione della
fideiussione appositamente stipulata- alla data del 04.08.2010, tale termine
decennale era ampiamente decorso, anche a ritenere idonee ad interrompere la
prescrizione le note inviate dal Comune in risposta alla società Ma., fino
all’ultima del 02.03.2000.
Infatti, a prescindere dalla circostanza che la difesa comunale non ha
eccepito alcunché sulla eventuale interruzione della prescrizione, in ogni
caso non potrebbe essere ritenuta idonea ad interrompere la prescrizione
decennale la nota del 26.05.2009, che risulta inviata dalla Ripartizione
Edilizia pubblica e lavori pubblici alla Ripartizione urbanistica e non alla
società Ma..
Inoltre, la nota del 04.08.2010 risulta la prima comunicazione in cui è
stata effettivamente quantificata la somma richiesta a titolo di oneri
illegittimamente scomputati, non essendo comunque tale somma quantificata
neppure nella nota del 26.05.2009 depositata in giudizio.
Il Comune ha poi dato espressamente atto, nella nota della Ripartizione
urbanistica del 24.11.2010 indirizzata alla Ripartizione Avvocatura che la
richiesta di somme del 04.08.2010 riguardava gli oneri scomputati per opere
di urbanizzazione poi non completate.
Ritiene, dunque, il Collegio di potere richiamare altresì l’orientamento
giurisprudenziale consolidato per cui gli atti con i quali la Pubblica
amministrazione determina e liquida il contributo di costruzione
costituiscono l'esercizio di una facoltà connessa alla pretesa creditoria
riconosciuta dalla legge al Comune per il rilascio del permesso di
costruire, nell’ambito di un rapporto obbligatorio a carattere paritetico e
soggetta al termine di prescrizione decennale; nel corso del rapporto
concessorio, dunque, la Amministrazione può rideterminare, sia a favore che
a sfavore del privato, l’importo del contributo di concessione, in principio
erroneamente liquidato, richiedendone o rimborsandone a questi la differenza
nell'ordinario termine di prescrizione decennale, ai sensi dell’art. 2946
c.c., decorrente dal rilascio del titolo edilizio (cfr. C.G.A. 03.02.2020,
n. 89; Cons. Stato Sez. II, 18.11.2019, n. 7854; Sez. IV, 17.09.2019, n.
6198; Ad. Plen. 30.08.2018, n. 12).
Nel caso di specie, dunque, il Comune ha richiesto il pagamento di somme,
quali oneri di urbanizzazione (ritenuti) illegittimamente scomputati per la
mancata completa realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria solo
il 04.08.2010, quando era decorso il termine di prescrizione decennale dalla
scadenza della convenzione e dalla conclusione dei lavori.
Peraltro, risulta dagli di causa che nella riunione del 16.12.1999 gli
uffici comunali fossero perfettamente a conoscenza della situazione dei
luoghi e delle opere realizzate, potendo quindi eventualmente da tale
momento agire con gli strumenti convenzionali (escussione della
fideiussione) e giurisdizionali (azione di adempimento) a disposizione per
l’adempimento della convenzione o comunque richiedere il pagamento degli
oneri a seguito della rideterminazione degli stessi per le opere non
realizzate.
In ogni caso, come sopra evidenziato, il Comune nei propri atti difensivi
sia in primo grado che in appello non ha neppure controdedotto circa
l’eccezione di prescrizione proposta dalla società appellante, né tanto meno
ha dedotto alcunché circa un eventuale atto di interruzione.
Poiché si tratta di controversia rientrante nella giurisdizione esclusiva
del giudice amministrativo, devono essere applicati i principi dell’onere
della prova in materia di diritti soggettivi, con la conseguenza che il
creditore cui venga eccepita la prescrizione ha l’onere di allegare e
provare il compimento dell'atto interruttivo (cfr. Cass. civ. Sez. III,
05.11.2013, n. 24799). L’interruzione della prescrizione, in replica
all'eccezione di prescrizione formulata dal debitore, infatti, configura una
controeccezione mirante a paralizzare l'eccezione avversaria, assimilabile
ad un'eccezione in senso stretto, e, pertanto, il controeccipiente ha
l’onere non solo di provare i fatti su cui si fonda, ma anche di
controdedurli (Cass. civ. Sez. II, 27.06.2002, n. 9378, per cui in mancanza
di controdeduzioni tali fatti non potrebbero neppure essere rilevati
d’ufficio dal giudice anche se la prova del fatto fosse acquisita al
processo).
Nel caso di specie, la mancanza di qualsiasi riferimento alla interruzione
della prescrizione negli atti difensivi del Comune comporta di per sé la
fondatezza della eccezione di prescrizione.
In ogni caso nulla è stato dedotto circa una precedente richiesta di
pagamento di somme prima del 04.08.2010. Né tali circostanze risultano nella
documentazione degli uffici comunali depositata in giudizio a cui la difesa
comunale si è riportata nella memoria di primo grado e nell’atto di appello.
Infatti, nella nota del 24.11.2010 indirizzata dalla Ripartizione
urbanistica alla Ripartizione Avvocatura comunale, a cui fa riferimento la
memoria di primo grado, e nella nota della Ripartizione edilizia pubblica e
lavori pubblici del 27.12.2011, a cui si riporta l’atto di appello, si
richiamano la nota del 02.03.2000 e poi quella del 26.05.2009 (quest’ultima
della Ripartizione Edilizia pubblica e lavori pubblici inviata solo alla
Ripartizione urbanistica ma non alla società Ma.), senza alcuna
indicazione di atti interruttivi in tale lasso temporale.
L’eccezione di prescrizione proposta come motivo di ricorso di primo grado e
riproposta nell’appello incidentale deve dunque essere accolta
(Consiglio di Stato, Sez. II,
sentenza 20.04.2020 n. 2532 - link a www.giustizia-amministrativa.it).
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Al riguardo si legga anche:
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Esecuzione degli obblighi nascenti da convenzione urbanistica: come
stabilire il decorso del termine di prescrizione (05.05.2020 -
tratto da e link a www.segretaricomunalivighenzi.it).
Convenzione urbanistica con scomputo degli oneri di
urbanizzazione
Un privato ha stipulato con il competente Comune una convenzione urbanistica
per l'attuazione di un piano particolareggiato che prevedeva l'obbligo di
cessione al Comune delle aree relative alle opere di urbanizzazione primaria
e secondaria. Il privato aveva diritto al parziale scomputo degli oneri di
urbanizzazione a fronte dell'esecuzione delle opere di urbanizzazione
primaria, consistenti nella costruzione del corpo stradale, dei marciapiedi
e relative pavimentazioni, delle reti di smaltimento delle acque bianche e
nere, della rete di distribuzione dell'acqua potabile, dell'energia
elettrica, del gas, dell'impianto di pubblica illuminazione.
In seguito, il privato presentava certificato di regolare esecuzione delle
opere, ma il Comune non ha provveduto allo svincolo della fidejussione per
varie criticità sorte in ordine all'esecuzione delle opere, ritenuta solo
parziale, per cui occorreva prevedere un versamento da parte del privato.
Convenzioni urbanistiche e loro esecuzione, una questione
di giurisdizione: ordinaria o amministrativa?
Il Collegio di primo grado e poi anche quello d'appello (Sentenza del Cons.
di Stato n. 2532/2020), hanno ritenuto sussistente la giurisdizione del
giudice amministrativo, facendo leva sul disposto dell'art. 133 del comma 1,
lett. a), n. 2), D.Lgs. 02.07.2010, n. 104, per il quale sono devolute alla
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, le controversie in
materia di "formazione, conclusione ed esecuzione degli accordi integrativi
o sostitutivi di provvedimento amministrativo e degli accordi fra pubbliche
amministrazioni"; ai sensi della lett. f) sono devolute alla giurisdizione
esclusiva "le controversie aventi ad oggetto gli atti e i provvedimenti
delle pubbliche amministrazioni in materia urbanistica e edilizia,
concernente tutti gli aspetti dell'uso del territorio". Anche la
giurisprudenza del Consiglio di Stato e della Suprema Corte di Cassazione
militano in questo senso, riconoscendo che tali disposizioni radicano
chiaramente nel giudice amministrativo la giurisdizione in tema di
convenzioni urbanistiche, quali accordi integrativi di provvedimenti
amministrativi, anche con riferimento alla loro corretta esecuzione.
Nel caso, è emersa la contestazione circa la richiesta del Comune di
pagamento degli oneri di urbanizzazione, che erano stati scomputati al
momento della convenzione, a seguito dell'affermato inadempimento di parte
degli obblighi convenzionali. Anche sotto tale profilo la controversia si
deve ritenere rientrante nella giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo, in base al consolidato orientamento giurisprudenziale per
cui le controversie attinenti alla determinazione e liquidazione degli oneri
concessori sono riconducibili a quegli aspetti dell'uso del territorio
costituenti prerogativa della P.A., e per questo riservate alla
giurisdizione esclusiva del G.A., ai sensi dell'art. 133, comma 1, lett. f)
c.p.a.
Decorso della prescrizione per l'esecuzione delle opere di
urbanizzazione: la giurisprudenza
Per consolidata giurisprudenza, la scadenza del termine per l'ultimazione
dell'esecuzione delle opere di urbanizzazione previste in una convenzione
urbanistica non fa venire meno la relativa obbligazione, mentre proprio da
tale momento, in base all'art. 2935 c.c., per cui "la prescrizione comincia
a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere", inizia a
decorrere l'ordinario termine di prescrizione decennale, ai sensi dell'art.
2946 c.c. (Cons. Stato Sez. IV, 14.05.2019, n. 3127; Cons. Stato Sez. IV,
14.05.2019, n. 3126).
Il Comune, una volta consumato il termine di validità della convenzione, ha
dunque dieci anni di tempo per poter azionare i diritti ivi previsti (Cons.
Stato Sez. IV, 15.10.2019, n. 7008). Ne deriva che -in assenza di formali
intimazioni da parte del Comune o della proposizione di una eventuale azione
di adempimento degli obblighi derivanti dalla Convenzione o, ancora, in
mancanza della escussione della fideiussione appositamente stipulata-
decorsi dieci anni dalla scadenza, tale termine può considerarsi decorso.
Il Collegio d'appello, nella sentenza n. 2532/2020, ha richiamato anche
l'orientamento giurisprudenziale consolidato per cui gli atti con i quali la
Pubblica amministrazione determina e liquida il contributo di costruzione
costituiscono l'esercizio di una facoltà connessa alla pretesa creditoria
riconosciuta dalla legge al Comune per il rilascio del permesso di
costruire, nell'ambito di un rapporto obbligatorio a carattere paritetico e
soggetta al termine di prescrizione decennale; nel corso del rapporto
concessorio, dunque, la Amministrazione può rideterminare, sia a favore che
a sfavore del privato, l'importo del contributo di concessione, in principio
erroneamente liquidato, richiedendone o rimborsandone a questi la differenza
nell'ordinario termine di prescrizione decennale, ai sensi dell'art. 2946
c.c., decorrente dal rilascio del titolo edilizio.
Nel caso affrontato dalla Sentenza del Cons. di Stato n. 2532/2020, il
Comune ha richiesto il pagamento di somme, quali oneri di urbanizzazione
ritenuti illegittimamente scomputati per la mancata completa realizzazione
delle opere di urbanizzazione primaria, quando era decorso il termine di
prescrizione decennale dalla scadenza della convenzione e dalla conclusione
dei lavori.
La questione dell'onere della prova nella giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo
Quanto all'onere della prova, poiché si tratta di controversia rientrante
nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, devono essere
applicati i principi dell'onere della prova in materia di diritti
soggettivi, con la conseguenza che il creditore cui venga eccepita la
prescrizione ha l'onere di allegare e provare il compimento dell'atto
interruttivo (cfr. Cass. civ. Sez. III, 05.11.2013, n. 24799).
L'interruzione della prescrizione, in replica all'eccezione di prescrizione
formulata dal debitore -secondo il Consiglio di Stato- configura una
controeccezione mirante a paralizzare l'eccezione avversaria, assimilabile
ad un'eccezione in senso stretto, e pertanto, il controeccipiente ha l'onere
non solo di provare i fatti su cui si fonda, ma anche di controdedurli. A
tal proposito, si richiama la sentenza della Cass. civ., Sez. II,
27.06.2002, n. 9378, per cui in mancanza di controdeduzioni tali fatti non
potrebbero neppure essere rilevati d'ufficio dal giudice anche se la prova
del fatto fosse acquisita al processo.
Nel caso di specie, la mancanza di qualsiasi riferimento alla interruzione
della prescrizione negli atti difensivi del Comune comporta di per sé la
fondatezza della eccezione di prescrizione. Di conseguenza, non assumono più
alcun rilievo le questioni attinenti alla corretta esecuzione degli obblighi
nascenti dalla convenzione urbanistica, in quanto l'avvenuta prescrizione ha
comportato che di tali obblighi non si possa più chiedere l'adempimento, e
si debba invece procedere a svincolare la fidejussione a suo tempo stipulata
proprio a garanzia del corretto adempimento di tali obblighi (Cons. Stato
Sez. II, Sent. 20.04.2020, n. 2532). |
marzo 2020 |
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EDILIZIA PRIVATA: L’art.
16 D.P.R. n. 380/2001 non prevede un diritto immediato ed
incondizionato allo scomputo degli oneri di urbanizzazione in capo al titolare della concessione edilizia,
ma lo subordina alla circostanza che esso si sia “obbligato a realizzare
direttamente le opere di urbanizzazione”, ossia che abbia preventivamente
assunto il relativo impegno nei confronti dell'Amministrazione.
---------------
La finalità degli oneri concessori, con particolare riguardo alla parte
correlata alle opere di urbanizzazione primaria e secondaria, ha la chiara
funzione di contribuire alle spese da sostenere dalla collettività in
riferimento alla realizzazione delle relative opere, sicché di regola
l’unico criterio per determinare se essi siano dovuti o meno e in che misura
consiste nella valutazione del carico urbanistico derivante dall'attività
edilizia, con la precisazione che per aumento del carico urbanistico deve
intendersi tanto la necessità di dotare l’area di nuove opere di
urbanizzazione, quanto l'esigenza di utilizzare più intensamente quelli
esistenti.
In particolare, quando l’intervento edilizio si collochi all'interno di una
convenzione di lottizzazione, ciò presuppone ontologicamente la preventiva
valutazione dell'impatto dell’intervento sul carico urbanistico e il
conseguente computo degli oneri, ripartiti secondo le regole sopra
richiamate (realizzazione diretta, ovvero pagamento).
---------------
In via generale, deve rilevarsi che la realizzazione delle opere di
urbanizzazione primaria e secondaria è posta dalla legge (attualmente art.
16 del D.P.R. 06.06.2001 n. 380; prima dalla legge 28.01.1977, n.
10) a carico del Comune, mentre i privati devono corrispondere gli oneri per
l’urbanizzazione primaria e secondaria (art. 3 della legge n. 10 del 1977).
In base a tali previsioni legislative i privati possono assumere l’obbligo
di realizzare direttamente le opere con lo scomputo delle somme dovute a
titolo di urbanizzazione primaria e secondaria.
Ai sensi dell’art. 16, comma 2, del D.P.R. n. 380 del 2001, infatti, “a
scomputo totale o parziale della quota dovuta, il titolare del permesso può
obbligarsi a realizzare direttamente le opere di urbanizzazione”.
Come chiarito dalla giurisprudenza, l’art. 16 D.P.R. n. 380 del 2001 cit.
(così come la previgente disciplina) non prevede un diritto immediato ed
incondizionato allo scomputo in capo al titolare della concessione edilizia,
ma lo subordina alla circostanza che esso si sia “obbligato a realizzare
direttamente le opere di urbanizzazione”, ossia che abbia preventivamente
assunto il relativo impegno nei confronti dell'Amministrazione (Cons. Stato
Sez. II, 09.01.2020, n. 215; sez. VI, 28.02.2019, n. 1395).
Inoltre, ai sensi dell’art. 8 della legge 06.08.1967 n. 765 la
convenzione di lottizzazione deve prevedere:
“1) la cessione gratuita entro termini prestabiliti delle aree necessarie
per le opere di urbanizzazione primaria, precisate all'art. 4 della legge 29.09.1964, n. 847, nonché la cessione gratuita delle aree necessarie
per le opere di urbanizzazione secondaria nei limiti di cui al successivo n.
2;
2) l'assunzione, a carico del proprietario, degli oneri relativi alle opere
di urbanizzazione primaria e di una quota parte delle opere di
urbanizzazione secondaria relative alla lottizzazione o di quelle opere che
siano necessario per allacciare la zona ai pubblici servizi; la quota è
determinata in proporzione all'entità e alle caratteristiche degli
insediamenti delle lottizzazioni;
3) i termini non superiori ai dieci anni entro i quali deve essere ultimata
la esecuzione delle opere di cui al precedente paragrafo;
4) congrue garanzie finanziarie per l'adempimento degli obblighi derivanti
dalla convenzione.
La convenzione deve essere approvata con deliberazione consiliare nei modi e
forme di legge.
Il rilascio delle licenze edilizie nell'ambito dei singoli lotti è
subordinato all'impegno della contemporanea esecuzione delle opere di
urbanizzazione primaria relative ai lotti stessi”.
La finalità degli oneri concessori, con particolare riguardo alla parte
correlata alle opere di urbanizzazione primaria e secondaria, ha, quindi, la
chiara funzione di contribuire alle spese da sostenere dalla collettività in
riferimento alla realizzazione delle relative opere, sicché di regola
l’unico criterio per determinare se essi siano dovuti o meno e in che misura
consiste nella valutazione del carico urbanistico derivante dall'attività
edilizia, con la precisazione che per aumento del carico urbanistico deve
intendersi tanto la necessità di dotare l’area di nuove opere di
urbanizzazione, quanto l'esigenza di utilizzare più intensamente quelli
esistenti (cfr. sul punto Sez. VI, 7 maggio, 29.08.2019, n. 5964).
In particolare, quando l’intervento edilizio si collochi all'interno di una
convenzione di lottizzazione, ciò presuppone ontologicamente la preventiva
valutazione dell'impatto dell’intervento sul carico urbanistico e il
conseguente computo degli oneri, ripartiti secondo le regole sopra
richiamate (realizzazione diretta, ovvero pagamento) (Cons. Stato Sez. II, 09.12.2019, n. 8377).
Applicando tali coordinate al caso di specie, si deve rilevare che tale
ripartizione degli oneri e la realizzazione diretta di opere da parte dei
lottizzanti è stata fissata al momento della sottoscrizione della
convenzione edilizia e che le convenzioni di lottizzazioni, anche se
istituto di complessa ricostruzione a causa dei profili di stampo
pubblicistico che si accompagnano allo strumento chiaramente contrattuale,
rappresentano comunque un incontro di volontà delle parti contraenti
nell’esercizio dell'autonomia negoziale retta dal codice civile (cfr. Cons.
Stato, sez. IV, 26.09.2013, n. 4810; id. 07.05.2015, n. 2313)
(Consiglio di Stato, Sez, II,
sentenza 10.03.2020 n. 1725 - link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Ai fini della verifica della spettanza
del contributo, la qualificazione dell’intervento effettuata
dall’Amministrazione nel permesso di costruire non è
decisiva, dovendo, piuttosto aversi riguardo all’autentica
natura dell’attività edilizia esercitata.
Come confermato di recente dall’Adunanza Plenaria del
Consiglio di Stato (n. 12/2018) l’obbligazione al pagamento
del contributo di costruzione costituisce, infatti, una
prestazione imposta (e precisamente un corrispettivo di
diritto pubblico), che sorge al verificarsi dei presupposti
previsti dalla legge, la quale determina altresì
integralmente i suoi contenuti, secondo lo schema
legge-fatto-effetto.
L’Amministrazione, pertanto, poteva, come ha fatto,
riqualificare l’intervento al fine di determinare la debenza
e l’entità del contributo conseguente al rilascio del
titolo.
---------------
È vero che una delle componenti del contributo di
costruzione è determinata in relazione agli oneri di
urbanizzazione e che, pertanto, per tale parte, il
contributo trova un suo fondamento giustificativo
nell’aumento del carico urbanistico derivante
dall’intervento.
È, altresì, vero, tuttavia, che per costante giurisprudenza
il contributo di costruzione non si pone in rapporto
sinallagmatico con le opere di urbanizzazione che devono in
concreto eseguirsi, venendo determinato indipendentemente
sia dall'utilità che il concessionario ritrae dal titolo
edificatorio sia dalle spese effettivamente occorrenti per
realizzare dette opere (C.d.S., Ad. Plen., n. 12/2018). Ciò
in quanto il contributo di costruzione ha natura di
prestazione patrimoniale imposta, di carattere non
tributario ed a carattere generale.
In linea di principio, pertanto, non può affermarsi che
l’assenza di aumento del carico urbanistico escluda
l’obbligo di corrispondere il contributo, ove la legge il
suddetto obbligo imponga in relazione ad un determinato
intervento.
D’altro canto, il contributo di costruzione è costituito
anche dall’ulteriore componente correlata al costo di
costruzione, volta a compensare la c.d. compartecipazione
comunale all'incremento di valore della proprietà
immobiliare del costruttore, che prescinde dall’aumento di
carico urbanistico.
---------------
L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con la sentenza
n. 12/2018 –nel dirimere il contrasto giurisprudenziale
circa l’ammissibilità ed i limiti della riliquidazione del
contributo di costruzione determinato al momento del
rilascio del titolo edilizio-, conferma i seguenti principi:
1) l’obbligazione di pagamento del contributo di
costruzione ha natura di corrispettivo di diritto pubblico,
i cui presupposti e contenuti sono definiti interamente
dalla legge;
2) il rapporto obbligatorio che ne discende soggiace
interamente alla disciplina civilistica, nonostante la fonte
legale da cui promana;
3) dalla natura privatistica del rapporto che s’instaura
tra l’Amministrazione ed il privato deriva che gli atti con
i quali l’Amministrazione determina o riliquida il
contributo hanno natura paritetica;
4) l’Amministrazione può –entro il termine di
prescrizione decennale decorrente dal momento in cui sorge
l’obbligazione– esercitare il diritto di credito che dalla
legge deriva, senza i limiti previsti per l’autotutela per
gli atti aventi natura autoritativa, modificando l’importo
originariamente richiesto.
---------------
1. Con il
primo motivo il ricorrente si duole della violazione
dell’art. 22, c. 7, DPR 380/2001 e 76 L.R. Veneto n. 61/1985
poiché il Comune avrebbe richiesto il contributo di
costruzione per la realizzazione di un intervento di
restauro e risanamento conservativo che né la legge statale
né quella regionale qualificano come oneroso.
1.1 Il motivo è infondato.
1.2 Ai fini della verifica della spettanza del contributo,
la qualificazione dell’intervento effettuata
dall’Amministrazione nel permesso di costruire non è
decisiva, dovendo, piuttosto aversi riguardo all’autentica
natura dell’attività edilizia esercitata.
1.2 Come confermato di recente dall’Adunanza Plenaria del
Consiglio di Stato (n. 12/2018) l’obbligazione al pagamento
del contributo di costruzione costituisce, infatti, una
prestazione imposta (e precisamente un corrispettivo di
diritto pubblico), che sorge al verificarsi dei presupposti
previsti dalla legge, la quale determina altresì
integralmente i suoi contenuti, secondo lo schema
legge-fatto-effetto.
1.3 L’Amministrazione, pertanto, poteva, come ha fatto,
riqualificare l’intervento al fine di determinare la debenza
e l’entità del contributo conseguente al rilascio del
titolo.
...
5. È infondato anche
il terzo motivo di ricorso con il quale il ricorrente
afferma che, anche a prescindere dall’applicabilità della
causa di esenzione di cui all’art. 17, c. 3, lett. b), il
contributo nella specie non può essere preteso poiché ne
difetterebbe il fondamento causale da rinvenirsi
nell’aumento di carico urbanistico derivante
dall’intervento.
5.1 L’argomento prova troppo. È vero che una delle
componenti del contributo di costruzione è determinata in
relazione agli oneri di urbanizzazione e che, pertanto, per
tale parte, il contributo trova un suo fondamento
giustificativo nell’aumento del carico urbanistico derivante
dall’intervento.
È, altresì, vero, tuttavia, che per costante giurisprudenza
il contributo di costruzione non si pone in rapporto
sinallagmatico con le opere di urbanizzazione che devono in
concreto eseguirsi, venendo determinato indipendentemente
sia dall'utilità che il concessionario ritrae dal titolo
edificatorio sia dalle spese effettivamente occorrenti per
realizzare dette opere (C.d.S., Ad. Plen., n. 12/2018). Ciò
in quanto il contributo di costruzione ha natura di
prestazione patrimoniale imposta, di carattere non
tributario ed a carattere generale.
5.2 In linea di principio, pertanto, non può affermarsi che
l’assenza di aumento del carico urbanistico escluda
l’obbligo di corrispondere il contributo, ove la legge il
suddetto obbligo imponga in relazione ad un determinato
intervento.
5.3 D’altro canto, il contributo di costruzione è costituito
anche dall’ulteriore componente correlata al costo di
costruzione, volta a compensare la c.d. compartecipazione
comunale all'incremento di valore della proprietà
immobiliare del costruttore, che prescinde dall’aumento di
carico urbanistico.
5.4 Nella specie, dovendosi, come si è detto, qualificare
l’intervento come di ristrutturazione, il contributo è
dovuto, poiché, non ricorrendo alcuna delle fattispecie per
le quali l’art. 76 L.R. Veneto, n. 61/1985 prevede il
rilascio di un’autorizzazione o di una concessione gratuita,
trova applicazione la residuale previsione di cui al n. 4
del comma 1 (concessione onerosa).
5.5 Conferma dell’onerosità dell’intervento si trae,
inoltre, dall’art. 82, ultimo comma, che, con riferimento al
calcolo della componente del contributo di costruzione
correlata agli oneri di urbanizzazione prevede: “Il
contributo commisurato all'incidenza delle spese di
urbanizzazione relativo a interventi di ristrutturazione,
ivi compresi gli ampliamenti che non comportino aumento
della superficie utile di calpestio, è pari a quello
calcolato per interventi di nuova edificazione moltiplicato
per 0,20.”
Si riferisce agli interventi di ristrutturazione anche
l’art. 83, ultimo comma, L.R. Veneto n. 61/1985, che
definisce i criteri di determinazione del costo di
costruzione ai fini della quantificazione del contributo per
particolari interventi di ristrutturazione.
6. Sono, altresì, da rigettare le residue censure che
attengono a vizi di eccesso di potere, difetto di
motivazione o che presuppongono la tendenziale
immodificabilità delle determinazioni sul contributo di
costruzione assunte dall’Amministrazione in sede di rilascio
del titolo. Esse possono essere esaminate congiuntamente
alla luce dei principi affermati dall’Adunanza Plenaria del
Consiglio di Stato nella citata sentenza n. 12/2018.
6.1 La pronuncia –nel dirimere il contrasto
giurisprudenziale circa l’ammissibilità ed i limiti della
riliquidazione del contributo di costruzione determinato al
momento del rilascio del titolo edilizio- conferma i
seguenti principi:
1) l’obbligazione di pagamento del contributo di
costruzione ha natura di corrispettivo di diritto pubblico,
i cui presupposti e contenuti sono definiti interamente
dalla legge;
2) il rapporto obbligatorio che ne discende soggiace
interamente alla disciplina civilistica, nonostante la fonte
legale da cui promana;
3) dalla natura privatistica del rapporto che s’instaura
tra l’Amministrazione ed il privato deriva che gli atti con
i quali l’Amministrazione determina o riliquida il
contributo hanno natura paritetica;
4) l’Amministrazione può –entro il termine di
prescrizione decennale decorrente dal momento in cui sorge
l’obbligazione– esercitare il diritto di credito che dalla
legge deriva, senza i limiti previsti per l’autotutela per
gli atti aventi natura autoritativa, modificando l’importo
originariamente richiesto.
6.2 Sulla scorta dei suddetti principi può affermarsi che:
6.3 Sono infondate le censure formulate nella seconda parte
del secondo motivo di ricorso con le quali il ricorrente
lamenta la contraddittorietà tra la richiesta di conguaglio
del contributo ed il presupposto dichiarato nella richiesta
di pagamento, ossia che il contributo di costruzione non sia
mai stato richiesto in fase di rilascio del P.d.C. (seconda
sub-censura del secondo motivo) e quelle a mezzo delle quali
si contesta l’ammissibilità della richiesta del contributo
per la prima volta a distanza di anni dal momento del
rilascio del titolo.
La natura di diritto soggettivo della pretesa azionata con
l’atto impugnato, consente all’Amministrazione di agire per
la riscossione in ogni tempo, entro il termine di
prescrizione decennale. Non essendo previsto alcun termine
di decadenza per la richiesta del contributo, deve ritenersi
che l’Amministrazione possa chiedere anche per la prima
volta a distanza di tempo –purché entro il termine di
prescrizione– il pagamento del contributo
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 05.03.2019 n. 289 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il milleproroghe amplia i possibili utilizzi dei proventi da concessioni di
edificare, ma solo dal 1° aprile prossimo.
Domanda
Il mio Ente deve ancora approvare
il bilancio di previsione 2020-2022. Mi sapete dire quali sono le spese
finanziabili con i proventi da oneri di urbanizzazione?
Risposta
L’utilizzo degli oneri di urbanizzazione o meglio, dei proventi dei titoli
abilitativi edilizi e delle relative sanzioni, è disciplinato dall’art. 1,
comma 460 della L. 232/2016, come modificato dall’art. 1-bis, comma 1, D.L.
148/2017.
Tale comma prevede infatti che i suddetti proventi siano destinati
esclusivamente e senza vincoli temporali alla realizzazione e alla
manutenzione ordinaria e straordinaria delle opere di urbanizzazione
primaria e secondaria, al risanamento di complessi edilizi compresi nei
centri storici e nelle periferie degradate, a interventi di riuso e di
rigenerazione, a interventi di demolizione di costruzioni abusive,
all’acquisizione e alla realizzazione di aree verdi destinate a uso
pubblico, a interventi di tutela e riqualificazione dell’ambiente e del
paesaggio, anche ai fini della prevenzione e della mitigazione del rischio
idrogeologico e sismico e della tutela e riqualificazione del patrimonio
rurale pubblico, nonché a interventi volti a favorire l’insediamento di
attività di agricoltura nell’ambito urbano e a spese di progettazione per
opere pubbliche.
Con tale norma venivano finalmente superati –una volta per tutte– i limiti
percentuali e le differenti tipologie di spese correnti che nel tempo vari
provvedimenti normativi avevano individuato come finanziabili. Per
individuare le spese relative ad opere di urbanizzazione primaria e
secondaria è necessario fare riferimento all’art. 4 della legge 847 del
29/09/1964 che elenca in maniera univoca e puntuale sia le une che le altre.
Le prime sono rappresentate da: a) strade residenziali; b) spazi di
sosta o di parcheggio; c) fognature; d) rete idrica; e) rete di
distribuzione dell’energia elettrica e del gas; f) pubblica illuminazione;
g) spazi di verde attrezzato; g-bis) infrastrutture di reti pubbliche di
comunicazione, di cui agli articoli 87 e 88 del codice delle comunicazioni
elettroniche, di cui al decreto legislativo 01.08.2003, n. 259, e successive
modificazioni, e opere di infrastrutturazione per la realizzazione delle
reti di comunicazione elettronica ad alta velocità in fibra ottica in grado
di fornire servizi di accesso a banda ultralarga effettuate anche
all’interno degli edifici.
Le seconde sono invece costituite da: a) asili nido e scuole materne;
b) scuole dell’obbligo nonché strutture e complessi per l’istruzione
superiore all’obbligo; c) mercati di quartiere; d) delegazioni comunali; e)
chiese ed altri edifici religiosi; f) impianti sportivi di quartiere; g)
centri sociali e attrezzature culturali e sanitarie; h) aree verdi di
quartiere.
Sul testo del comma 460 è tuttavia recentemente intervenuto il Legislatore
in sede di conversione del decreto legge Milleproroghe (d.l. 162/2019)
avvenuta con L. 8/2020 pubblicata sulla G.U. n. 51 del 29/02/2020 e già in
vigore dallo scorso 1° marzo. In particolare, nel corso dell’esame alla
Camera dei deputati, è stata aggiunta una nuova tipologia di spesa
finanziabile con i proventi in oggetto.
A farlo è il comma 5-quinquies dell’art. 13 del decreto che prevede
testualmente che all’articolo 1, comma 460, della legge 11.12.2016, n. 232,
sia infine aggiunto il seguente periodo: “A decorrere dal 01.04.2020 le
risorse non utilizzate ai sensi del primo periodo possono essere altresì
utilizzate per promuovere la predisposizione di programmi diretti al
completamento delle infrastrutture e delle opere di urbanizzazione primaria
e secondaria dei piani di zona esistenti, fermo restando l’obbligo dei
comuni di porre in essere tutte le iniziative necessarie per ottenere
l’adempimento, anche per equivalente delle obbligazioni assunte nelle
apposite convenzioni o atti d’obbligo da parte degli operatori”.
Che cosa sono i ‘piani di zona’? Si tratta di strumenti urbanistici previsti
dall’art. 1 della L. 167/1962 come obbligatori per i comuni con popolazione
superiore ai 50.000 abitanti o che siano capoluoghi di provincia. Sono
invece previsti come facoltativi per tutti i restanti comuni. Essi devono
individuare le zone da destinare alla costruzione di alloggi a carattere
economico o popolare nonché alle opere e servizi complementari, urbani e
sociali, ivi comprese le aree a verde pubblico.
La norma ha una data di entrata in vigore ben precisa: il 1° aprile
prossimo. Vista la nuova scadenza per l’approvazione del bilancio di
previsione 2020-2022 fissata al 30 aprile prossimo dal d.m. Interno
pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 50 del 28 febbraio, c’è tutto il
tempo per avvalersene fin da quest’anno. Viceversa, per gli enti che hanno
già approvato lo schema di bilancio con deliberazione di giunta, si potrà
procedere o con un emendamento, ovvero con una variazione dopo la sua
approvazione da parte del consiglio, in modo analogo agli enti che hanno già
approvato.
Infine evidenziamo che dal tenore letterale del periodo aggiunto al comma
460 appare come questa ulteriore forma di utilizzo abbia carattere residuale
rispetto a quelle elencate al periodo precedente. Riteniamo tuttavia che,
data l’ampiezza di queste ultime, gli enti non alcuna abbiano difficoltà a
individuare spese da finanziare con i proventi da oneri di urbanizzazione,
anche in considerazione della loro ormai consolidata esiguità (09.03.2020
- link a www.publika.it). |
gennaio 2020 |
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EDILIZIA PRIVATA: Nel
caso di demolizione e successiva ricostruzione di fabbricato,
il presupposto dell'onerosità della trasformazione edilizia è costituito dal
maggior carico urbanistico determinato dall'intervento, per cui l'Ente
locale deve richiedere il pagamento degli oneri di urbanizzazione se
il peso insediativo aumenta, mentre non deve chiedere alcunché se
non si verifica alcuna variazione.
Il contributo concessorio (comprendente
oneri di urbanizzazione e costo di costruzione) è
un’obbligazione giuridica di tipo pubblicistico che sorge con il rilascio
della concessione edilizia ed è qualificabile come corrispettivo di diritto
pubblico, di natura non tributaria, posto a carico del costruttore a titolo
di partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione in proporzione
all'insieme dei benefici arrecati al nuovo manufatto.
La disposizione che regola la fattispecie si rinviene all’art. 16 del DPR
380/2001 (rubricato “Contributo per il rilascio del permesso di costruire”),
il quale dispone al comma 1 che “Salvo quanto disposto dall'articolo 17,
comma 3, il rilascio del permesso di costruire comporta la corresponsione di
un contributo commisurato all'incidenza degli oneri di urbanizzazione nonché
al costo di costruzione, secondo le modalità indicate nel presente articolo
e fatte salve le disposizioni concernenti gli interventi di trasformazione
urbana complessi di cui al comma 2-bis”.
Osserva il Collegio che, in linea generale, la partecipazione del privato
al costo delle opere di urbanizzazione è dovuta allorquando l’intervento
determini un incremento del peso insediativo con un’oggettiva rivalutazione
dell’immobile, sicché l'onerosità del permesso di costruire è funzionale a
sopportare il carico socio-economico che la realizzazione comporta sotto il
profilo urbanistico.
Come ha statuito questo TAR di recente <<Mentre il costo di costruzione rappresenta una
compartecipazione comunale all’incremento di valore della proprietà
immobiliare, gli oneri di urbanizzazione svolgono la funzione di compensare
la collettività per il nuovo ulteriore carico urbanistico che si riversa
sulla zona a causa della consentita attività edificatoria. Essi sono
pertanto dovuti nel caso di trasformazioni edilizie che, indipendentemente
dall’esecuzione di opere, si rivelino produttive di vantaggi economici per
il proprietario, determinando un aumento del carico urbanistico. Tale
incremento può derivare anche da una mera modifica della destinazione d’uso
di un immobile, mentre può non configurarsi nell’ipotesi di intervento
edilizio con opere. … Secondo consolidata e risalente giurisprudenza il
fondamento del contributo di urbanizzazione pertanto “non consiste nel
titolo edilizio in sé, ma nella necessità di ridistribuire i costi sociali
delle opere di urbanizzazione, facendoli gravare su quanti beneficiano delle
utilità derivanti dalla presenza delle medesime secondo modalità eque per la
comunità con la conseguenza che, anche nel caso di modificazione della
destinazione d'uso, cui si correli un maggiore carico urbanistico, è
integrato il presupposto che giustifica l'imposizione del pagamento della
differenza tra gli oneri di urbanizzazione dovuti per la destinazione
originaria e quelli, se più elevati, dovuti per la nuova destinazione
impressa”…>>.
Anche il Consiglio di Stato ha
chiarito che “In linea di diritto, mentre la quota del contributo di
costruzione commisurata al costo di costruzione risulta ontologicamente
connessa alla tipologia e all'entità (superficie e volumetria)
dell'intervento edilizio e assolve alla funzione di permettere
all'amministrazione comunale il recupero delle spese sostenute dalla
collettività di riferimento alla trasformazione del territorio consentita al
privato istante (ossia, a compensare la c.d. compartecipazione comunale
all'incremento di valore della proprietà immobiliare del costruttore, a
seguito della nuova edificazione), la quota del contributo di costruzione
commisurata agli oneri di urbanizzazione "assolve alla prioritaria
funzione di compensare la collettività per il nuovo ulteriore carico
urbanistico che si riversa sulla zona, con la precisazione che per aumento
del carico urbanistico deve intendersi tanto la necessità di dotare l'area
di nuove opere di urbanizzazione, quanto l'esigenza di utilizzare più
intensamente quelle già esistenti".
In definitiva, il presupposto dell'onerosità della trasformazione
edilizia è costituito dal maggior carico urbanistico determinato
dall'intervento, per cui l'Ente locale deve richiedere il pagamento degli
oneri se il peso insediativo aumenta, mentre non deve chiedere alcunché se
non si verifica alcuna variazione.
Detto altrimenti, "in caso di intervento di ristrutturazione edilizia, dal
contributo per gli oneri di urbanizzazione deve essere sottratto l'importo
imputabile al carico urbanistico generato dall'edificio preesistente".
---------------
Laddove siano state versate al comune somme non dovute a titolo di oneri
di urbanizzazione ovvero di costo di costruzione, la restituzione del quantum indebitamente percepito
soggiace alla quantificazione degli
interessi maturati.
Invero, dispone l’articolo 2033 cod. civ. che “chi ha
eseguito un pagamento non dovuto ha diritto di ripetere ciò che ha pagato.
Ha inoltre diritto ai frutti e agli interessi dal giorno del pagamento, se
chi lo ha ricevuto era in mala fede, oppure, se questi era in buona fede,
dal giorno della domanda”.
---------------
FATTO
A. Espongono i ricorrenti di essere proprietari, nel Comune di Cologne (BS),
di un immobile bifamiliare destinato a residenza, identificato in catasto al
Fg. 9, mappale 77, sub. 8, 9 e 10.
B. Alla luce delle esigenze abitative del nucleo, hanno presentato domanda
di permesso di costruire per un intervento di demolizione del fabbricato
esistente, per realizzare una nuova villa unifamiliare. Come illustrato
nella relazione tecnica (doc. 5), i committenti hanno inteso trasformare
l’edificio –composto da 2 unità immobiliari indipendenti che occupavano una
superficie di 408,32 mq.– in una villa unifamiliare ad uso esclusivo del
nucleo, con superficie complessiva di poco superiore (431,35 mq.) e un
incremento volumetrico di 379,41 mc (cfr. doc. 5-bis).
C. Il 28/05/2010 il Comune intimato rilasciava il titolo abilitativo, che
assentiva l’intervento edilizio e lo assoggettava al pagamento del
contributo ex art. 16 del DPR 380/2001 per 47.859,66 €, suddivisi in
29.008,48 € per costo di costruzione, 5.924,66 € per oneri di urbanizzazione
primaria e 12.926,52 € per oneri di urbanizzazione secondaria.
D. Gli esponenti ravvisavano l’erroneità dell’ammontare richiesto per la
voce “oneri di urbanizzazione”, in quanto l’Ufficio Tecnico aveva applicato
l’aliquota prevista per interventi di nuova costruzione e demo-ricostruzione
all’intero immobile in progetto (per l’intero volume di 1.077,21 mc.) senza
considerare la preesistenza di un fabbricato bifamiliare. Il versamento
veniva eseguito integralmente, per evitare effetti pregiudizievoli
sull’efficacia del permesso di costruire, con l’espressa riserva di tutela
in sede giurisdizionale.
E. Con gravame ritualmente notificato e tempestivamente depositato presso la
Segreteria della Sezione i ricorrenti propongono azione di accertamento,
assumendo la non debenza delle somme versate a titolo di oneri di
urbanizzazione e deducendo la violazione dell’art. 16 del DPR 380/2001,
nonché l’eccesso di potere per travisamento dei presupposti di fatto e di
diritto e il difetto di istruttoria e di motivazione, in quanto:
a) l’edificio, in origine, era formato da due unità immobiliari al
piano terra e al piano primo (2 appartamenti indipendenti e idonei per due
nuclei, per una superficie totale pari a 408,32 mq.) mentre con l’intervento
si è ricavato un manufatto unico da destinare ad abitazione principale,
esteso per 431,35 mq.;
b) l’art. 16 del T.U. Edilizia è stato interpretato nel senso che
il pagamento degli oneri di urbanizzazione deve essere quantificato nella
sola misura determinata dall’incremento del carico urbanistico;
c) il contributo è un corrispettivo di diritto pubblico di natura
non tributaria, il cui presupposto si rinviene nella domanda di maggiore
dotazione di servizi nell’area di riferimento, indotta dalla destinazione
d’uso concretamente impressa all’immobile realizzato;
d) il Comune non ha verificato che l’intervento non ha incrementato
il carico urbanistico preesistente, dal momento che un’abitazione singola ha
sostituito due unità immobiliari ivi ubicate, con mantenimento della
destinazione d’uso residenziale (non sorge alcuna necessità di potenziamento
di strutture o servizi pubblici ed anzi il peso per la comunità sarà
inferiore);
e) l’aumento di superficie è del tutto trascurabile (23 mq.),
mentre la variazione volumetrica è stata determinata dalla collocazione
delle pertinenze accessorie (autorimessa e lavanderia) al piano terreno, con
conseguente computo nella SLP e nel volume urbanisticamente rilevante;
f) come si evince dalla relazione tecnica e dalla tavola di
sovrapposizione (doc. 5 e 8), l’ingombro del nuovo fabbricato è inferiore,
risultando più piccolo e meno profondo;
g) in via subordinata, la pretesa creditoria deve comunque essere
rapportata all’ampliamento dell’edificio in termini di metri cubi (maggior
onere effettivo sul tessuto urbanistico), posto che il volume del fabbricato
ante operam era pari a 697,81 mc. e dopo la ricostruzione ha raggiunto
1.077,21 mc. (l’obbligo di restituzione sarebbe pari a 12.211,68 €).
In conclusione, i ricorrenti chiedono la restituzione della somma
indebitamente versata, con interessi dal versamento al saldo.
F. Si è costituito in giudizio il Comune di Cologne, chiedendo la reiezione
del gravame. Nei propri scritti difensivi puntualizza che la quota di
contributo afferente all’incidenza degli oneri di urbanizzazione è dovuta
per legge al rilascio del titolo edilizio, è individuata dal Consiglio
comunale secondo tabelle parametriche predisposte dalla Regione e prescinde
dalla verifica in concreto del maggior carico urbanistico indotto dalla
nuova costruzione.
G. Alla pubblica udienza del 10/01/2020 il gravame introduttivo è stato
chiamato per la discussione e trattenuto in decisione.
DIRITTO
I ricorrenti, che hanno ottenuto il titolo abilitativo per i lavori di
demo-ricostruzione di un edificio (da bifamiliare a unifamiliare), censurano
la pretesa del Comune di esigere il pagamento della quota di oneri di
urbanizzazione. La controversia ha quindi ad oggetto un giudizio di
accertamento negativo in ordine all’obbligazione pecuniaria relativa al
pagamento del contributo, nell’ambito della giurisdizione esclusiva del
giudice amministrativo, rispetto alla quale gli atti di liquidazione sono
privi di contenuto ed effetti provvedimentale (Consiglio di Stato, sez. IV –
01/02/2017 n. 425).
Il gravame è parzialmente fondato e merita accoglimento, nei termini di
seguito precisati.
1. Il Collegio richiama anzitutto i principi giurisprudenziali elaborati
nella materia controversa, per cui il contributo concessorio (comprendente
oneri di urbanizzazione e costo di costruzione) è un’obbligazione giuridica
di tipo pubblicistico che sorge con il rilascio della concessione edilizia (cfr.
Consiglio di Stato, sez. VI – 07/02/2017 n. 728) ed è qualificabile come
corrispettivo di diritto pubblico, di natura non tributaria, posto a carico
del costruttore a titolo di partecipazione ai costi delle opere di
urbanizzazione in proporzione all'insieme dei benefici arrecati al nuovo
manufatto (Consiglio di Stato, sez. IV – 29/10/2015 n. 4950; sentenza
Sezione 04/04/2018 n. 449).
2. La disposizione che regola la fattispecie si rinviene all’art. 16 del DPR
380/2001 (rubricato “Contributo per il rilascio del permesso di costruire”),
il quale dispone al comma 1 che “Salvo quanto disposto dall'articolo 17,
comma 3, il rilascio del permesso di costruire comporta la corresponsione di
un contributo commisurato all'incidenza degli oneri di urbanizzazione nonché
al costo di costruzione, secondo le modalità indicate nel presente articolo
e fatte salve le disposizioni concernenti gli interventi di trasformazione
urbana complessi di cui al comma 2-bis”.
Nel caso di specie, è pacifica la
natura dell’intervento, consistente nella demolizione di un edificio bifamiliare e ricostruzione di un fabbricato monofamiliare (villa con
piscina di 1.077,22 mc. – cfr. doc. 3 e ss. del Comune).
3. Osserva il Collegio che, in linea generale, la partecipazione del privato
al costo delle opere di urbanizzazione è dovuta allorquando l’intervento
determini un incremento del peso insediativo con un’oggettiva rivalutazione
dell’immobile, sicché l'onerosità del permesso di costruire è funzionale a
sopportare il carico socio-economico che la realizzazione comporta sotto il
profilo urbanistico (sentenza sez. I – 26/04/2018 n. 449).
Come ha statuito
questo TAR di recente (cfr. sentenza Sezione I – 17/06/2019 n. 574, che
non risulta appellata) <<Mentre il costo di costruzione rappresenta una
compartecipazione comunale all’incremento di valore della proprietà
immobiliare, gli oneri di urbanizzazione svolgono la funzione di compensare
la collettività per il nuovo ulteriore carico urbanistico che si riversa
sulla zona a causa della consentita attività edificatoria (TAR Piemonte,
sez. I, 21.05.2018, n. 630). Essi sono pertanto dovuti nel caso di
trasformazioni edilizie che, indipendentemente dall’esecuzione di opere, si
rivelino produttive di vantaggi economici per il proprietario, determinando
un aumento del carico urbanistico. Tale incremento può derivare anche da una
mera modifica della destinazione d’uso di un immobile, mentre può non
configurarsi nell’ipotesi di intervento edilizio con opere. … Secondo
consolidata e risalente giurisprudenza il fondamento del contributo di
urbanizzazione pertanto “non consiste nel titolo edilizio in sé, ma nella
necessità di ridistribuire i costi sociali delle opere di urbanizzazione,
facendoli gravare su quanti beneficiano delle utilità derivanti dalla
presenza delle medesime secondo modalità eque per la comunità con la
conseguenza che, anche nel caso di modificazione della destinazione d'uso,
cui si correli un maggiore carico urbanistico, è integrato il presupposto
che giustifica l'imposizione del pagamento della differenza tra gli oneri di
urbanizzazione dovuti per la destinazione originaria e quelli, se più
elevati, dovuti per la nuova destinazione impressa” (Cons. Stato, Sez. V,
30.08.2013, n. 4326; id. ex multis TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, 04.05.2009, n. 3604; Cons. Stato, Sez. V, 21.12.1994, n. 1563) …>>.
Anche il Consiglio di Stato (cfr. sentenza sez. II – 09/12/2019 n. 8377) ha
chiarito che “In linea di diritto, cioè, mentre la quota del contributo di
costruzione commisurata al costo di costruzione risulta ontologicamente
connessa alla tipologia e all'entità (superficie e volumetria)
dell'intervento edilizio e assolve alla funzione di permettere
all'amministrazione comunale il recupero delle spese sostenute dalla
collettività di riferimento alla trasformazione del territorio consentita al
privato istante (ossia, a compensare la c.d. compartecipazione comunale
all'incremento di valore della proprietà immobiliare del costruttore, a
seguito della nuova edificazione), la quota del contributo di costruzione
commisurata agli oneri di urbanizzazione "assolve alla prioritaria funzione
di compensare la collettività per il nuovo ulteriore carico urbanistico che
si riversa sulla zona, con la precisazione che per aumento del carico
urbanistico deve intendersi tanto la necessità di dotare l'area di nuove
opere di urbanizzazione, quanto l'esigenza di utilizzare più intensamente
quelle già esistenti" (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 07.05.2015, n. 2294; id.,
29.08.2019, n. 5964)” (si veda anche Consiglio di Stato, sez. II –
21/10/2019 n. 7119).
4. In definitiva, il presupposto dell'onerosità della trasformazione
edilizia è costituito dal maggior carico urbanistico determinato
dall'intervento, per cui l'Ente locale deve richiedere il pagamento degli
oneri se il peso insediativo aumenta, mentre non deve chiedere alcunché se
non si verifica alcuna variazione.
5. Nel caso di specie può dirsi realizzato un aumento solo parziale del
carico urbanistico, atteso che gli esponenti hanno trasformato l’edificio
bifamiliare in unifamiliare, aumentandone il volume: ricorre pertanto il
presupposto che giustifica l'imposizione del pagamento degli oneri di
urbanizzazione limitatamente al surplus realizzato (in termini volumetrici).
Come ha rilevato TAR Lazio-Roma, sez. II-bis – 12/09/2019 n. 10887 <<Il
Consiglio di Stato ha, inoltre, precisato al riguardo che "in caso di
intervento di ristrutturazione edilizia, dal contributo per gli oneri di
urbanizzazione deve essere sottratto l'importo imputabile al carico
urbanistico generato dall'edificio preesistente … (cfr. Cons. St., Sez. VI;
02.07.2015 n. 3298)>>.
Per effettuare il calcolo dovrà essere utilizzata la
tabella adottata dal Comune di Cologne (doc. 8 amministrazione), che
pre-determina in via generale ed astratta l’ammontare dovuto assumendo come
unità di misura il metro cubo.
6. In conclusione, il ricorso deve essere parzialmente accolto, con
l’accertamento della non debenza da parte degli esponenti –per l’intervento
di demolizione e successiva ricostruzione– della quota degli oneri di
urbanizzazione versati in eccedenza e con la condanna dell’amministrazione
comunale alla restituzione del quantum indebitamente percepito, oltre agli
interessi maturati dalla data di notificazione dell'atto introduttivo del
presente giudizio.
Dispone infatti l’articolo 2033 cod. civ. che “chi ha
eseguito un pagamento non dovuto ha diritto di ripetere ciò che ha pagato.
Ha inoltre diritto ai frutti e agli interessi dal giorno del pagamento, se
chi lo ha ricevuto era in mala fede, oppure, se questi era in buona fede,
dal giorno della domanda”. In assenza di prova contraria, deve presumersi la
buona fede dell’amministrazione comunale (cfr. sentenze sez. I – 20/05/2019
n. 499; sez. II – 02/05/2019 n. 426).
7. Il Comune intimato dovrà conseguentemente provvedere –entro 90 giorni
dalla comunicazione della presente pronuncia– al ricalcolo, alla
liquidazione del dovuto e al relativo pagamento. La somma dovrà essere
maggiorata degli interessi, calcolati dalla data di notificazione del
ricorso fino al saldo
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 28.01.2020 n. 75 - link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Le
controversie relative all'an e al quantum delle somme dovute a titolo di oblazione e
di oneri concessori riguardano diritti soggettivi rispetto ai quali non è
configurabile il vizio di difetto di motivazione nella considerazione che le
operazioni di concreta quantificazione dei suddetti oneri si esauriscono in
una mera operazione materiale.
---------------
È indubbio che il momento rilevante ai fini della determinazione del
contributo di costruzione non può che essere quello di rilascio del permesso
di costruire.
Giova sottolineare che la giurisprudenza in materia ha anche di recente
ribadito che l'obbligazione di corrispondere il contributo nasce nel momento
in cui viene rilasciato il titolo ed è a tale momento che occorre aver
riguardo per la determinazione dell'entità del contributo.
---------------
6.2. Occorre quindi esaminare il primo motivo di
gravame con cui il Comune contesta la contraddittorietà della statuizione
del Tar laddove, ritenuto di aderire all'orientamento giurisprudenziale
secondo cui il vizio di motivazione non è configurabile nelle controversie
concernenti il quantum e l'an del contributo di costruzione, ha poi
annullato l’atto per difetto di motivazione.
Il Collegio condivide l’impostazione ribadita dall’appellante, e avallata
dallo stesso giudice di prime cure, secondo cui le controversie relative
all'an e al quantum delle somme dovute a titolo di oblazione e
di oneri concessori riguardano diritti soggettivi rispetto ai quali non è
configurabile il vizio di difetto di motivazione nella considerazione che le
operazioni di concreta quantificazione dei suddetti oneri si esauriscono in
una mera operazione materiale.
Pur tuttavia, ciò non vale di per sé a porre in discussione la correttezza
della statuizione del Tar laddove afferma che ai sensi dell'articolo 16
d.p.r. 380 del 2001 le determinazioni e l'ordine di pagamento dovrebbero
essere effettuati nel permesso di costruire rispetto al quale la proroga è
circostanza meramente eventuale per cui sarebbe stato indispensabile che il
Comune avesse chiarito la ragione per la quale ha rinviato le suddette
operazioni alla proroga del titolo edilizio.
A ben vedere, tale affermazione ha ad oggetto, non già la qualificazione
giuridica della situazione sottesa alla richiesta di determinazione degli
oneri di costruzione, ma la legittimità del provvedimento di proroga del
permesso di costruire nel quale si determini e quantifichi per la prima
volta l’obbligazione di pagamento relativa all’intervento assentito,
determinazione che alla luce del dato testuale di cui al citato articolo 16
non pare potersi ammettere.
Ed invero, al comma 1 è stabilito che il rilascio del permesso di costruire
comporta la corresponsione di un contributo commisurato all'incidenza degli
oneri di urbanizzazione nonché al costo di costruzione; al comma 2 che la
quota di contributo relativa agli oneri di urbanizzazione è corrisposta al
Comune all'atto del rilascio del permesso di costruire; al comma 3 che la
quota di contributo relativa al costo di costruzione, determinata all'atto
del rilascio, è corrisposta in corso d’opera.
È indubbio che il momento rilevante ai fini della determinazione del
contributo di costruzione non può che essere quello di rilascio del permesso
di costruire.
Giova sottolineare che la giurisprudenza in materia ha anche
di recente ribadito che l'obbligazione di corrispondere il contributo nasce
nel momento in cui viene rilasciato il titolo ed è a tale momento che
occorre aver riguardo per la determinazione dell'entità del contributo (Cons.
Stato, sez. IV, n. 3009/2014; id., sez. IV, n. 1475/2018)
(Consiglio di Stato, Sez. II,
sentenza 09.01.2020 n. 190 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
maggioritaria giurisprudenza si è evoluta nel senso che gli oneri di
urbanizzazione sono dovuti (in ipotesi anche per il mero mutamento di
destinazione d’uso senza opere) allorquando un intervento determini un
maggiore carico urbanistico.
In senso analogo si è espresso il giudice d’appello, proprio in una
fattispecie di sostituzione edilizia (demolizione/ricostruzione), nella
quale si legge: “il contributo per oneri di urbanizzazione è un
corrispettivo di diritto pubblico, di natura non tributaria, posto a carico
del costruttore a titolo di partecipazione ai costi delle opere di
urbanizzazione in proporzione all’insieme dei benefici che la nuova
costruzione ne ritrae.
In effetti, gli oneri di urbanizzazione sono dovuti se ed in quanto
l’intervento edilizio comporti un incremento della domanda di servizi nella
zona coinvolta dalla costruzione: le opere di urbanizzazione, distinte in
primarie e secondarie, si caratterizzano per essere necessarie,
rispettivamente, all’utilizzo degli edifici e alla vita di relazione degli
abitanti di un territorio.
Ciò posto, se rispetto ad una zona circoscritta sono già state sostenute le
spese necessarie a fornire i suddetti servizi ai cittadini ivi residenti, un
intervento edilizio che non implichi un maggior carico urbanistico nella
medesima zona, non può determinare la necessità di una nuova spesa per
fornire i medesimi servizi già predisposti: diversamente ragionando, si
giungerebbe ad affermare la duplicazione di costi a fronte dell’unicità dei
servizi.
All’opposto, se l’intervento edilizio assentito imponesse un incremento del
carico urbanistico nella zona interessata, gli oneri di urbanizzazione
dovrebbero essere versati in vista della predisposizione degli strumenti
idonei a far fronte ad un incremento di dette esigenze urbanistiche. In
sostanza, gli oneri di urbanizzazione si caratterizzano per avere natura
compensativa rispetto alle spese di cui l’amministrazione si fa carico per
rendere accessibile e pienamente utilizzabile un nuovo o rinnovato edificio,
purché vi sia una nuova destinazione, dato che non può essere chiesto due
volte il pagamento per gli stessi interventi di sistemazione e adeguamento
del contesto urbanistico.
Sul punto, il Collegio condivide il costante orientamento giurisprudenziale
secondo cui “in caso di ristrutturazione edilizia, il pagamento degli
oneri
di urbanizzazione è dovuto solo nel caso in cui l’intervento abbia
determinato un aumento del carico urbanistico”.
---------------
Le ricorrenti hanno adito l’intestato TAR deducendo di essere state
rispettivamente proprietaria (F. s.r.l.) e titolare del relativo permesso di
costruire volturato (Pr. s.r.l.) di un edificio in Torino via ... n. 8,
originariamente suddiviso in 28 unità immobiliari a destinazione
residenziale, oltre una porzione a deposito.
A partire dal 2000 si è dato corso ad un intervento di sostituzione
edilizia, consistente nella demolizione delle strutture esistenti e loro
integrale riedificazione; per assentire il progetto l’amministrazione ha
reclamato il versamento di € 235.557,59, di cui € 172.099,66 a titolo di
oneri di urbanizzazione.
Le società hanno dato corso al versamento (gli oneri sono stati versati per
le ultime due rate dalla Pr. s.r.l. nelle more divenuta titolare del
permesso di costruire), contestando tuttavia l’addebito in quanto
l’intervento non avrebbe comportato alcun aumento di carico urbanistico e
dunque non avrebbe giustificato l’applicazione di oneri.
L’intervento rientra nella disciplina di cui all’art. 4, co. 36, delle NTA
del PRGC vigente, che consente di fatto di demolire l’esistente
ricostruendolo nei limiti della SLP precedente. La ricostruzione ha portato
alla realizzazione di 19 unità immobiliari in luogo di 28, oltre box auto,
in area di PRG già classificata “consolidata residenziale”, e dunque
urbanizzata. Il contributo di urbanizzazione, trovando causa nell’aumento di
carico urbanistico, non avrebbe giustificazione nel caso di specie.
Hanno chiesto pertanto la restituzione di quanto corrisposto oltre interessi
e rivalutazione monetaria.
...
Il ricorso risulta parzialmente fondato.
Deve premettersi che, come evidenziato dall’amministrazione, rispetto alle
somme complessivamente versate menzionate in ricorso (contributo di
costruzione ed oneri di urbanizzazione), la quota in effettiva contestazione
è quella relativa agli oneri di urbanizzazione, quantificati dal Comune in €
172.099,60 e versati a rate in connessione con il rilascio del titolo.
E’ poi pacifico tra le parti che una parte delle preesistenti strutture non
avesse destinazione residenziale; in particolare, come chiarito da una
congiunta valutazione dei tecnici di parte, la volumetria in precedenza
destinata ad attività produttiva era pari a mc. 425,73, corrispondenti ad
oneri di urbanizzazione per € 21.243,92.
E’ ugualmente pacifico che, esclusa l’area a destinazione produttiva, le
ricorrenti abbiano realizzato la sostituzione edilizia di un edificio per il
resto già adibito ad uso residenziale ed in precedenza composto di 28 unità
immobiliari; non vi è invece prova o evidenza alcuna in atti (né se ne fa
cenno nel provvedimento impugnato) che le menzionate unità immobiliari, poi
oggetto di un intervento radicale, fossero da tempo dismesse o praticamente
inservibili, fattispecie alla quale si fa riferimento nelle difese
dell’amministrazione ma che, per le ragioni indicate, non può essere presa
in considerazione.
Ne consegue che l’immobile aveva già in precedenza una parziale destinazione
residenziale, di cui aveva scontato gli oneri; d’altro canto, già in fase
procedimentale, l’amministrazione, a fronte delle obiezioni circa l’importo
calcolato a titolo di oneri di urbanizzazione si è limitata ad osservare
che:
- l’intervento non ricade in nessuno dei casi di esenzione previsti
espressamente dall’art. 17 del d.p.r. n. 380/2001;
- l’intervento ha comportato la sostituzione edilizia anche di una
parte di strutture ad uso non residenziale e, per questa parte, ha
comportato un aumento di carico urbanistico (cfr. doc. 6 di parte
resistente, risposta del comune alla richiesta di ricalcolo).
Così configurata in fatto la fattispecie, dal punto di vista normativo, la
maggioritaria giurisprudenza si è evoluta nel senso che gli oneri di
urbanizzazione sono dovuti (in ipotesi anche per il mero mutamento di
destinazione d’uso senza opere) allorquando un intervento determini un
maggiore carico urbanistico (in tal senso Tar Piemonte, sez. I, n. 630/2018;
Tar Brescia n. 449/2018).
In senso analogo si è espresso il giudice d’appello, proprio in una
fattispecie di sostituzione edilizia realizzata nel comune di Torino, con la
sentenza Cons. St. sez. IV, n. 4950/2015, nella quale si legge: “il
contributo per oneri di urbanizzazione è un corrispettivo di diritto
pubblico, di natura non tributaria, posto a carico del costruttore a titolo
di partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione in proporzione
all’insieme dei benefici che la nuova costruzione ne ritrae. In effetti, gli
oneri di urbanizzazione sono dovuti se ed in quanto l’intervento edilizio
comporti un incremento della domanda di servizi nella zona coinvolta dalla
costruzione: le opere di urbanizzazione, distinte in primarie e secondarie,
si caratterizzano per essere necessarie, rispettivamente, all’utilizzo degli
edifici e alla vita di relazione degli abitanti di un territorio. Ciò posto,
se rispetto ad una zona circoscritta sono già state sostenute le spese
necessarie a fornire i suddetti servizi ai cittadini ivi residenti, un
intervento edilizio che non implichi un maggior carico urbanistico nella
medesima zona, non può determinare la necessità di una nuova spesa per
fornire i medesimi servizi già predisposti: diversamente ragionando, si
giungerebbe ad affermare la duplicazione di costi a fronte dell’unicità dei
servizi. All’opposto, se l’intervento edilizio assentito imponesse un
incremento del carico urbanistico nella zona interessata, gli oneri di
urbanizzazione dovrebbero essere versati in vista della predisposizione
degli strumenti idonei a far fronte ad un incremento di dette esigenze
urbanistiche. In sostanza, gli oneri di urbanizzazione si caratterizzano per
avere natura compensativa rispetto alle spese di cui l’amministrazione si fa
carico per rendere accessibile e pienamente utilizzabile un nuovo o
rinnovato edificio, purché vi sia una nuova destinazione, dato che non può
essere chiesto due volte il pagamento per gli stessi interventi di
sistemazione e adeguamento del contesto urbanistico. Sul punto, il Collegio
condivide il costante orientamento giurisprudenziale secondo cui “in caso di
ristrutturazione edilizia, il pagamento degli oneri di urbanizzazione è
dovuto solo nel caso in cui l’intervento abbia determinato un aumento del
carico urbanistico” (Cons. di Stato, Sez. IV, 29.04.2004, n. 2611)”.
Condividendosi i principi sopra affermati ne consegue che, per la quota
parte di edificio che trova corrispondenza nella pregressa SUL a
destinazione residenziale, non si è realizzato alcun aumento di carico
urbanistico e non sono dovuti, come in effetti lamentato in ricorso, gli
oneri di urbanizzazione
(TAR Piemonte, Sez. II,
sentenza 07.01.2020 n. 20 - link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
dicembre 2019 |
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EDILIZIA PRIVATA: Convenzioni
accessive a provvedimenti amministrativi ampliativi in materia edilizia e
scomputo del costo di costruzione.
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Edilizia – Oneri di costruzione – Scomputo - Convenzioni accessive a
provvedimenti amministrativi ampliativi in materia edilizia – esclusione.
Le convenzioni accessive a provvedimenti
amministrativi ampliativi in materia edilizia possono consentire lo scomputo
degli oneri di urbanizzazione, ma non anche del costo di costruzione (1).
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(1) Osserva la Sezione che l’istituto della datio in solutum
consiste nell’accordo negoziale fra creditore e debitore circa
l’effettuazione, con effetto estintivo dell’obbligazione, di una prestazione
diversa da quella originariamente dedotta in contratto: come tale,
l’istituto è espressione della disponibilità del diritto (e del sovrastante
rapporto obbligatorio) di cui, viceversa, l’Amministrazione impositrice, per
le ragioni sopra enucleate, difetta ex lege ab origine.
Di converso, la locuzione “con le modalità e le garanzie stabilite dal
Comune” contenuta nell’art. 16, comma 2, d.P.R. n. 380 del 2001 non
dimostra né sottende un’implicita autorizzazione legislativa a convenire
pattiziamente forme solutorie alternative a quella monetaria.
In disparte il rilievo che un’eccezione di tale portata richiederebbe una
disciplina espressa ed esplicita, è sufficiente considerare che tale
locuzione va letta nell’ambito della generale disciplina apprestata dal
comma in discorso, afferente alla realizzazione diretta, da parte del
privato, delle opere di urbanizzazione: ne consegue che le “modalità”
in questione sono solo quelle strettamente afferenti alla concreta
esecuzione delle opere de quibus (tempistica, modalità costruttive,
qualità dei materiali, et similia).
Peraltro, l’ammissione della negoziabilità delle modalità solutorie delle
obbligazioni tributarie (o, comunque, disciplinate dal diritto pubblico)
cozzerebbe frontalmente con i principi costitutivi su cui si regge il
vigente sistema di contabilità pubblica, fondato sulla generale e rigida
indisponibilità anche per l’Amministrazione, salve specifiche e puntuali
disposizioni legislative, di tutta la disciplina del tributo (o, comunque,
della prestazione patrimoniale imposta) per come delineata dalla legge.
La Sezione esclude anche la possibilità di richiamare l’istituto della
compensazione.
La compensazione è un istituto ontologicamente diverso dall’anelata facoltà
di scomputo cui il presente giudizio inerisce.
Invero, la compensazione (che, peraltro, nel settore tributario opera solo
in base ad espressa previsione normativa – cfr. art. 8, comma 6, l. n. 212
del 2000) valorizza a fini estintivi dell’obbligazione la compresenza, in
capo all’Amministrazione ed al contribuente, di individuate ragioni
contrapposte di credito/debito, laddove lo scomputo del costo di costruzione
derogherebbe, senza alcuna base legislativa, all’ordinaria regula juris
di natura pubblicistica per cui il pagamento dei tributi (e, più in
generale, delle prestazioni di diritto pubblico) si fa in moneta
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 31.12.2019 n. 8919 -
commento tratto ad e link a www.giustizia-amministrativa.it).
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SENTENZA
Con ricorso avanti il Tar per la Lombardia – Sede di Milano la società
Al. s.p.a. ha chiesto l’accertamento:
- del proprio diritto allo scomputo (anche) del costo di
costruzione relativo alla realizzazione di una multisala cinematografica,
assentita dal Comune di Milano con il p.d.c. n. 85 dell’11.05.2006,
rilasciato anche sulla scorta della previa convenzione integrativa stipulata
inter partes in forma pubblica in data 12.04.2006;
- dell’insussistenza del credito vantato dal Comune a titolo di
conguaglio per monetizzazione e contributo smaltimento rifiuti, con
conseguente diritto alla ripetizione di quanto già versato a tali fini.
Il Comune di Milano si è costituito in resistenza, formulando sia eccezioni
in rito (assunta inammissibilità del ricorso per tardiva instaurazione del
giudizio), sia difese in merito (infondatezza delle pretese svolte ex
adverso).
2. Con la
sentenza 18.06.2018 n. 1525 il Tribunale - Sez. II, previa
reiezione dell’eccezione di rito sollevata dal Comune, ha, nel merito,
accolto integralmente il ricorso.
3. Il Comune ha interposto appello con riferimento alla sola questione
relativa allo scomputo del costo di costruzione.
...
L’oggetto del presente giudizio, pertanto, si riduce alla sola questione
della possibilità di ammettere lo scomputo anche del costo di costruzione (cfr.,
del resto, la memoria del Comune depositata in data 07.11.2019, pag. 3).
5. Quanto, appunto, a tale questione, il Collegio premette che la
convenzione accessiva al p.d.c. n. 85 stabilisce che Al. possa realizzare
opere di urbanizzazione a scomputo dei soli oneri di urbanizzazione, ma,
poi, individua l’importo scomputabile nella somma di oneri di urbanizzazione
e costo di costruzione: secondo la ricorrente in prime cure (cui si è
conformato il Tribunale) dovrebbe darsi prevalenza al dato numerico, secondo
il Comune, invece, rileverebbe il dato terminologico, tanto più che
l’importo dovuto a titolo di “contributo di costruzione” sarebbe
sempre modificabile dall’Amministrazione (l’Ente cita, in proposito, la
sentenza dell’Adunanza Plenaria di questo Consiglio 30.08.2018, n. 12).
Ove, poi, si interpreti la convenzione come anelato da Al., sorge
l’ulteriore, conseguente problematica della possibilità giuridica che
convenzioni accessive a provvedimenti amministrativi ampliativi in materia
edilizia possano consentire lo scomputo non solo degli oneri di
urbanizzazione, ma anche del costo di costruzione.
Anche su tale questione il Tribunale ha dato una risposta positiva, sia
perché l’art. 16, comma 2, d.p.r. n. 380 del 2001, nel prevedere la
possibilità dello scomputo degli oneri di urbanizzazione, non vieterebbe
espressamente lo scomputo anche del costo di costruzione, sia perché la
natura tributaria propria del costo di costruzione atterrebbe all’an
ed al quantum, ma non al quomodo, sì che ben potrebbe il
Comune ottenere il pagamento in forma diversa da quella monetaria.
Secondo il Comune appellante, viceversa, da un lato la disposizione
dell’art. 16, comma 2, d.p.r. n. 380 del 2001 avrebbe natura speciale (recte,
eccezionale) rispetto al generale obbligo di corresponsione monetaria del “contributo
di costruzione” e sarebbe, pertanto, da interpretarsi restrittivamente,
dall’altro la natura tributaria del costo di costruzione (che, non essendo “immediatamente
correlato alla realizzazione di opere di urbanizzazione”, differirebbe
nettamente dagli oneri di urbanizzazione) escluderebbe comunque ex se
ogni possibilità per il Comune di esigere il pagamento in forma diversa da
quella prescritta dalla legge (ossia in forma monetaria), pena lo
stravolgimento delle norme di contabilità pubblica.
6. La prospettazione defensionale svolta dall’appellante Comune è fondata,
ai sensi delle considerazioni che seguono.
6.1. E’ necessario prendere le mosse dalla disciplina legislativa dettata
in subiecta materia.
L’art. 16, comma 2, d.p.r. n. 380 del 2001 stabilisce che “La quota di
contributo relativa agli oneri di urbanizzazione è corrisposta al Comune
all'atto del rilascio del permesso di costruire e, su richiesta
dell'interessato, può essere rateizzata. A scomputo totale o parziale della
quota dovuta, il titolare del permesso può obbligarsi a realizzare
direttamente le opere di urbanizzazione, nel rispetto dell’articolo 2, comma
5, della legge 11.02.1994, n. 109, e successive modificazioni, con le
modalità e le garanzie stabilite dal Comune, con conseguente acquisizione
delle opere realizzate al patrimonio indisponibile del Comune”.
La disposizione, dunque, non menziona il costo di costruzione, ma si
riferisce ai soli oneri di urbanizzazione (analogamente dispone l’art. 45
della l.r. lombarda n. 12 del 2005).
E’ vero che, di converso, la disposizione non vieta espressamente lo
scomputo anche del costo di costruzione: ciò, tuttavia, non assume un
rilievo decisivo.
Anzitutto, allorché il legislatore detta una disciplina per una specifica
fattispecie, ciò conduce implicitamente ad escluderne l’applicazione anche
ad altre e diverse ipotesi non menzionate (è noto il brocardo secondo cui
ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit).
Pur a voler prescindere da tale considerazione, il Collegio osserva che la
disposizione in esame ha natura derogatoria rispetto a quanto previsto dal
comma che precede, ove è stabilito che “il rilascio del permesso di
costruire comporta la corresponsione di un contributo commisurato
all’incidenza degli oneri di urbanizzazione nonché al costo di costruzione”.
L’espressione “corresponsione” rimanda, con ogni evidenza, ad una
dimensione monetaria del pagamento, che, del resto, costituisce l’ordinaria
forma di riscossione delle entrate dello Stato e degli Enti pubblici (cfr.
articoli 225 e 230 r.d. n. 827 del 1924).
La disposizione in commento delinea, in sostanza, un’eccezione alla
regula juris generale per cui i debiti tributari o, comunque, regolati
da norme di diritto pubblico si estinguono con un pagamento in moneta: in
ragione di tale natura eccezionale, la disposizione non è applicabile oltre
i casi ed i tempi in essa previsti (cfr. art. 14 preleggi), giacché non
riflette né veicola un principio generale, ma, al contrario, vi deroga.
6.2. In una più ampia considerazione sistematica, invero, il Collegio
osserva che il “contributo” di cui all’art. 16, comma 1, d.p.r. n.
380 del 2001, ivi inclusa la parte commisurata al costo di costruzione, ha
natura di corrispettivo di diritto pubblico e configura una prestazione
patrimoniale imposta (cfr. la richiamata sentenza dell’Adunanza Plenaria di
questo Consiglio n. 12 del 30.08.2018).
Ora, i crediti di diritto pubblico sono indisponibili per l’Ente impositore
non solo in ordine all’an ed al quantum (ossia alla fase
genetica), ma anche in ordine al quomodo (ossia alla fase esecutiva
o, che dir si voglia, solutoria).
L’Amministrazione, altrimenti detto, non può, in assenza di una specifica e
puntuale previsione legislativa, accordarsi con il contribuente (o,
comunque, con il debitore di una prestazione di diritto pubblico) circa una
modalità di soluzione diversa dall’adempimento monetario.
Per quanto qui di interesse, dunque, de jure condito il Comune non
può convenire una datio in solutum con il soggetto tenuto a
corrispondere il contributo di costruzione.
Invero, l’istituto della datio in solutum consiste nell’accordo
negoziale fra creditore e debitore circa l’effettuazione, con effetto
estintivo dell’obbligazione, di una prestazione diversa da quella
originariamente dedotta in contratto: come tale, l’istituto è espressione
della disponibilità del diritto (e del sovrastante rapporto obbligatorio) di
cui, viceversa, l’Amministrazione impositrice, per le ragioni sopra
enucleate, difetta ex lege ab origine.
6.3. Di converso, la locuzione “con le modalità e le garanzie stabilite
dal Comune” contenuta nell’art. 16, comma 2, d.p.r. n. 380 del 2001 non
dimostra né sottende un’implicita autorizzazione legislativa a convenire
pattiziamente forme solutorie alternative a quella monetaria.
In disparte il rilievo che un’eccezione di tale portata richiederebbe una
disciplina espressa ed esplicita, è sufficiente considerare che tale
locuzione va letta nell’ambito della generale disciplina apprestata dal
comma in discorso, afferente alla realizzazione diretta, da parte del
privato, delle opere di urbanizzazione: ne consegue che le “modalità”
in questione sono solo quelle strettamente afferenti alla concreta
esecuzione delle opere de quibus (tempistica, modalità costruttive,
qualità dei materiali, et similia).
6.4. Peraltro, osserva in termini ancora più generali il Collegio,
l’ammissione della negoziabilità delle modalità solutorie delle obbligazioni
tributarie (o, comunque, disciplinate dal diritto pubblico) cozzerebbe
frontalmente con i principi costitutivi su cui si regge il vigente sistema
di contabilità pubblica, fondato sulla generale e rigida indisponibilità
anche per l’Amministrazione, salve specifiche e puntuali disposizioni
legislative, di tutta la disciplina del tributo (o, comunque, della
prestazione patrimoniale imposta) per come delineata dalla legge.
6.5. A chiusura sul punto, il Collegio rileva che è inconferente il richiamo
operato da Al. all’istituto della compensazione, “cui”, ad avviso
dell’appellata società, “lo scomputo risulta latamente riconducibile”.
In realtà, osserva il Collegio, la compensazione è un istituto
ontologicamente diverso dall’anelata facoltà di scomputo cui il presente
giudizio inerisce.
Invero, la compensazione (che, peraltro, nel settore tributario opera solo
in base ad espressa previsione normativa – cfr. art. 8, comma 6, l. n. 212
del 2000) valorizza a fini estintivi dell’obbligazione la compresenza, in
capo all’Amministrazione ed al contribuente, di individuate ragioni
contrapposte di credito/debito, laddove lo scomputo del costo di costruzione
derogherebbe, senza alcuna base legislativa, all’ordinaria regula juris
di natura pubblicistica per cui il pagamento dei tributi (e, più in
generale, delle prestazioni di diritto pubblico) si fa in moneta.
7. Le considerazioni che precedono conducono alla corretta interpretazione
da riconoscere alla convenzione accessiva al titolo edilizio: ai sensi
dell’art. 1367 c.c., infatti, in situazioni di dubbio esegetico i contratti
(e, quindi, anche gli accordi di diritto pubblico – cfr. art. 11 l. n. 241
del 1990) devono essere interpretati in modo tale da preservarne la
validità.
Nella specie, l’unica esegesi compatibile con la validità della convenzione
è quella che ascrive rilievo determinante alla lettera della stessa (che
limita lo scomputo ai soli oneri di urbanizzazione), ritenendo, viceversa,
recessivo (e, comunque, non significativo) il difforme dato numerico.
8. Incidentalmente, il Collegio rileva che, sia pure in altra materia,
questo Consiglio ha sancito la prevalenza del valore espresso in lettere
rispetto a quello espresso in cifre (cfr. Cons. Stato, Ad. Plen.,
10.11.2015, n. 10).
In una più ampia visione di sistema, peraltro, l’ordinamento –in caso di
discordanze– assegna prevalenza alla lettera rispetto al dato numerico sia
nella disciplina dell’assegno bancario (cfr. r.d. n. 1736 del 1933, art. 9),
sia in quella della cambiale (r.d. n. 1669 del 1933, art. 6).
Oltretutto, le norme generali della contabilità pubblica (art. 72 r.d. n.
827 del 1924) stabiliscono che “quando, in un’offerta all’asta, vi sia
discordanza fra il prezzo indicato in lettere e quello indicato in cifre, è
valida l’indicazione più vantaggiosa per l’Amministrazione”: da tale
disposizione può trarsi un principio di tendenziale favor esegetico, in
ipotesi dubbie, per le ragioni erariali (e, più in generale, per le ragioni
delle finanze pubbliche).
9. L’individuazione del corretto significato da attribuire alla convenzione
rende, conseguentemente, ab origine inconferente e, comunque, priva
di pregio la difesa da ultimo svolta da Al., secondo cui la contestazione,
da parte del Comune, dell’interpretazione della convenzione come ammissiva
dello scomputo anche del costo di costruzione avrebbe imposto, a pena di
inammissibilità della censura d’appello, il previo annullamento in
autotutela del titolo edilizio e della connessa convenzione.
10. Per le esposte ragioni, pertanto, il ricorso in appello va accolto: in
parziale riforma della sentenza impugnata, dunque, deve rigettarsi il
ricorso di primo grado nella parte in cui si chiede l’accertamento del
diritto di fruire dello scomputo del costo di costruzione. |
novembre 2019 |
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EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: In
linea generale va ricordato che il
contributo di costruzione dovuto dal
soggetto che intraprende un’iniziativa
edificatoria rappresenta una
compartecipazione del privato alla spesa
pubblica occorrente alla realizzazione delle
opere di urbanizzazione che hanno spesso
portata più ampia rispetto a quelle
strettamente necessarie a urbanizzare il
nuovo insediamento edilizio.
Per tale motivo quand’anche risultino
trasfuse in apposita convenzione
urbanistica, le prestazioni da adempiere da
parte dell’amministrazione comunale e del
privato intestatario del titolo edilizio non
sono tra loro in posizione sinallagmatica,
con la conseguenza che rientrano nel novero
delle prestazioni patrimoniali imposte di
cui all’art. 23 Cost..
In secondo luogo va osservato che il rilascio del titolo edilizio si
configura come fatto di per sé costitutivo
dell’obbligo giuridico di corrispondere il
relativo contributo per oneri di
urbanizzazione, ossia per gli oneri
affrontati dall’ente locale per le opere
indispensabili affinché l’area acquisti
attitudine al recepimento dell’insediamento
assentito e per le quali l’area acquista un
beneficio economicamente rilevante, da
calcolarsi secondo i parametri vigenti
prescindendo totalmente o meno dalle singole
opere di urbanizzazione, venendo altresì
determinato indipendentemente sia
dall'utilità che il concessionario ritrae
dal titolo edificatorio, sia dalle spese
effettivamente occorrenti per realizzare
dette opere.
Orbene, sulla base di tali premesse è
pertanto necessario affermare che il
contributo di costruzione ha carattere
generale, prescinde totalmente dalle singole
opere di urbanizzazione, viene altresì
determinato indipendentemente sia
dall'utilità che il concessionario ritrae
dal titolo edificatorio, sia dalle spese
effettivamente occorrenti per realizzare
dette opere.
Inoltre va altresì sottolineato che, attesa
la natura non sinallagmatica e il regime
interamente pubblicistico che connota il
contributo de quo, la sua disciplina vincola
anche il giudice, al quale è impedito di
configurare autonomamente ipotesi di non
debenza della specifica prestazione
patrimoniale diverse da quelle
autoritativamente individuate dal
legislatore.
---------------
Come è noto, a livello normativo l’art. 17
della legge 17.08.1942, n. 1150 prevede che
decorso il termine stabilito per
l’esecuzione del piano “questo diventa
inefficace per la parte in cui non abbia
avuto attuazione, rimanendo soltanto fermo a
tempo indeterminato l’obbligo di osservare,
nella costruzione di nuovi edifici e nella
modificazione di quelli esistenti, gli
allineamenti e le prescrizioni di zona
stabiliti dal piano stesso”, chiarendo che
l’ultrattività del piano attuativo riguarda
i soli profili edilizi ed urbanistici, e non
anche quelli di carattere obbligatorio che
regolano i rapporti tra le parti, perché
altrimenti perderebbe ogni senso la
previsione, contenuta nell’art. 16 della
medesima legge, di una data di scadenza del
piano.
Altresì, all’interno delle previsioni
urbanistiche del piano attuativo
“sopravvivono, esclusivamente, la
destinazione di zona, la destinazione ad uso
pubblico di un bene privato, gli
allineamenti, le prescrizioni di ordine
generale e quant’altro attenga all’armonico
assetto del territorio, trattandosi di
misure che devono rimanere inalterate fino
all’intervento di una nuova pianificazione,
non essendo la stessa condizionata
all’eventuale scadenza di vincoli
espropriativi o di altra natura ma tutti
caratterizzati dall’avere contenuto
specifico e puntuale".
---------------
Non è ipotizzabile alcuno scomputo degli
oneri correlati al titolo edilizio
(rilasciato 15 anni dopo la approvazione del
piano poi decaduto) in regione delle
previsioni contenute nel piano di
lottizzazione da anni inefficace (…) di
conseguenza deve ritenersi fondata la
pretesa del Comune di pagamento e ritenzione
degli oneri di urbanizzazione relativi al
permesso perché direttamente ed
autonomamente correlata al rilascio del
permesso medesimo, dove l’eventuale impegno
del Comune a riconoscere alle opere di
urbanizzazione, eseguite a spese del
lottizzante, un carattere satisfattivo
dell’obbligazione relativa al pagamento del
contributo concessorio, non può vincolare
l’ente oltre il termine di durata della
convenzione urbanistica.
Sicché, sulla scorta della prevalente
giurisprudenza, si deve giungere alla
conclusione che la tesi secondo cui non è
dovuto il contributo di costruzione in
ragione dell’integrale ultrattività di tutti
gli obblighi previsti dalla convenzione deve
essere respinta.
---------------
In linea generale va ricordato che il contributo di costruzione
dovuto dal soggetto che intraprende
un’iniziativa edificatoria rappresenta una
compartecipazione del privato alla spesa
pubblica occorrente alla realizzazione delle
opere di urbanizzazione che hanno spesso
portata più ampia rispetto a quelle
strettamente necessarie a urbanizzare il
nuovo insediamento edilizio.
Per tale motivo quand’anche risultino
trasfuse in apposita convenzione
urbanistica, le prestazioni da adempiere da
parte dell’amministrazione comunale e del
privato intestatario del titolo edilizio non
sono tra loro in posizione sinallagmatica,
con la conseguenza che rientrano nel novero
delle prestazioni patrimoniali imposte di
cui all’art. 23 Cost. (cfr. Consiglio di
Stato, Ad. Plen., 07.12.2016, n. 24; id.
30.08.2018, n. 12).
In secondo luogo va osservato che il rilascio del titolo edilizio si
configura come fatto di per sé costitutivo
dell’obbligo giuridico di corrispondere il
relativo contributo per oneri di
urbanizzazione, ossia per gli oneri
affrontati dall’ente locale per le opere
indispensabili affinché l’area acquisti
attitudine al recepimento dell’insediamento
assentito e per le quali l’area acquista un
beneficio economicamente rilevante, da
calcolarsi secondo i parametri vigenti
prescindendo totalmente o meno dalle singole
opere di urbanizzazione, venendo altresì
determinato indipendentemente sia
dall'utilità che il concessionario ritrae
dal titolo edificatorio, sia dalle spese
effettivamente occorrenti per realizzare
dette opere (cfr. Consiglio di Stato, Sez.
V, 22.02.2011, n. 1108; Consiglio di Stato,
Sez. IV, 24.12.2009, n. 8757; Consiglio di
Stato, Sez. V, 23.01.2006, n. 159; id.
21.04.2006, n. 2258; Cons. Stato V,
15.12.2005, n. 7140; 06.05.1997, n. 462).
Orbene, sulla base di tali premesse è
pertanto necessario affermare che il
contributo di costruzione ha carattere
generale, prescinde totalmente dalle singole
opere di urbanizzazione, viene altresì
determinato indipendentemente sia
dall'utilità che il concessionario ritrae
dal titolo edificatorio, sia dalle spese
effettivamente occorrenti per realizzare
dette opere.
Inoltre va altresì sottolineato che, attesa
la natura non sinallagmatica e il regime
interamente pubblicistico che connota il
contributo de quo, la sua disciplina vincola
anche il giudice, al quale è impedito di
configurare autonomamente ipotesi di non
debenza della specifica prestazione
patrimoniale diverse da quelle
autoritativamente individuate dal
legislatore (cfr. Tar Marche, Ancona, Sez.
I, 30.12.2017, n. 954).
Pertanto la pretesa della parte ricorrente
deve essere respinta perché l’esistenza
della convenzione e la presenza delle opere
di urbanizzazione non possono fondatamente
essere invocate per sostenere che non è
dovuto il pagamento del contributo di
costruzione.
Anche la tesi dell’integrale ultrattività di
tutti gli obblighi previsti dalla
convenzione non può essere condivisa perché,
come è noto, a livello normativo l’art. 17
della legge 17.08.1942, n. 1150, prevede che
decorso il termine stabilito per
l’esecuzione del piano “questo diventa
inefficace per la parte in cui non abbia
avuto attuazione, rimanendo soltanto fermo a
tempo indeterminato l’obbligo di osservare,
nella costruzione di nuovi edifici e nella
modificazione di quelli esistenti, gli
allineamenti e le prescrizioni di zona
stabiliti dal piano stesso”, chiarendo
che l’ultrattività del piano attuativo
riguarda i soli profili edilizi ed
urbanistici, e non anche quelli di carattere
obbligatorio che regolano i rapporti tra le
parti, perché altrimenti perderebbe ogni
senso la previsione, contenuta nell’art. 16
della medesima legge, di una data di
scadenza del piano.
Sul punto è stato rimarcato che all’interno
delle previsioni urbanistiche del piano
attuativo “sopravvivono, esclusivamente,
la destinazione di zona, la destinazione ad
uso pubblico di un bene privato, gli
allineamenti, le prescrizioni di ordine
generale e quant’altro attenga all’armonico
assetto del territorio, trattandosi di
misure che devono rimanere inalterate fino
all’intervento di una nuova pianificazione,
non essendo la stessa condizionata
all’eventuale scadenza di vincoli
espropriativi o di altra natura ma tutti
caratterizzati dall’avere contenuto
specifico e puntuale” (cfr. Consiglio di
Stato, Sez. IV, 14.06.2018, n. 3672; id,
18.05.2018, n. 3002; Consiglio di Stato, IV,
28.10.2009, n. 6661).
Sul punto è stato altresì condivisibilmente
osservato che “non è ipotizzabile alcuno
scomputo degli oneri correlati a tale titolo
edilizio (rilasciato 15 anni dopo la
approvazione del piano poi decaduto) in
regione delle previsioni contenute nel piano
di lottizzazione da anni inefficace (…) di
conseguenza deve ritenersi fondata la
pretesa del Comune di pagamento e ritenzione
degli oneri di urbanizzazione relativi al
permesso perché direttamente ed
autonomamente correlata al rilascio del
permesso medesimo, dove l’eventuale impegno
del Comune a riconoscere alle opere di
urbanizzazione, eseguite a spese del
lottizzante, un carattere satisfattivo
dell’obbligazione relativa al pagamento del
contributo concessorio, non può vincolare
l’ente oltre il termine di durata della
convenzione urbanistica" (cfr. Tar
Lombardia, Milano, 29.02.2016, n. 406; Tar
Lombardia, Milano, Sez. IV, 17.08.2018, n.
2001).
La ricorrente sostiene inoltre che l’ultrattività
delle previsioni della convenzione scaduta
deriverebbe dalla circostanza che l’art. 58
delle norme tecniche di attuazione allegate
al piano degli interventi ha qualificato le
aree come “PEC 2” (piano edilizio
convenzionato), in tal modo riconoscendo
alla convenzione una perdurante efficacia.
Questa tesi risulta priva di fondamento
perché la predetta norma si limita a
prevedere che nel caso di piani attuativi
decaduti rimangano in vigore gli indici
urbanistici e stereometrici del piano
approvato, precisando che il piano non deve
più ritenersi efficace per la parte non
attuata, con l’obbligo a tempo indeterminato
di osservare nella costruzione di nuovi
edifici gli allineamenti e le prescrizioni
di zona stabilite dal piano, e ciò è
perfettamente in linea con quanto previsto
dagli articoli artt. 16, 17 e 28 della legge
17.08.1942, n. 1150, i quali, come sopra
precisato, dispongono che l’ultrattività del
piano attuativo scaduto riguarda i soli
profili edilizi ed urbanistici, e non anche
quelli di carattere obbligatorio che
regolavano i rapporti tra le parti.
Ne discende che, sulla scorta della
prevalente giurisprudenza, si deve giungere
alla conclusione che la tesi secondo cui non
è dovuto il contributo di costruzione in
ragione dell’integrale ultrattività di tutti
gli obblighi previsti dalla convenzione deve
essere respinta (TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 26.11.2019 n. 1281 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ottobre 2019 |
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EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: Giusta
la disposizione ex art. 16 dpr 380/2001, il legislatore ha stabilito,
evidentemente al fine di contemperare i contrapposti interessi, che
l’obbligo di pagamento degli oneri di urbanizzazione scatta solo nel momento in cui si prospetta la
concreta possibilità di sfruttamento del fondo, nei limiti in cui tale
sfruttamento ha luogo, della qual cosa il rilascio del permesso di costruire
dà evidenza: ciò sul presupposto che l’obbligo di pagamento degli oneri di
urbanizzazione realizza, in chiave solidaristica, il contributo di ogni
proprietario di suoli alla realizzazione delle opere necessarie per
consentire ai cittadini di accedere ai servizi che debbono considerarsi
indispensabili alla vita moderna, ed inoltre sul presupposto che tale
concorso deve essere proporzionale all’effettiva richiesta di tali servizi,
in proporzione, cioè, al c.d. aumento del carico urbanistico.
Si è quindi formato un consolidato orientamento di giurisprudenza
secondo cui l’obbligo di contribuzione è indissolubilmente correlato
all’effettivo esercizio dello ius aedificandi, essendo gli oneri di
urbanizzazione, e di costruzione, oggetto di una obbligazione ex lege,
che ne collega la debenza alla specifica trasformazione del territorio
oggetto del titolo, conseguendo da ciò che se l’edificazione non ha luogo,
in tutto o in parte, le somme già corrisposte a titolo di oneri di
urbanizzazione, e/o di costo di costruzione, danno luogo ad un indebito,
fonte di un obbligo restitutorio.
La giurisprudenza, tuttavia, ha anche affermato che il ricordato
principio vale solo nel caso in cui il pagamento degli oneri di
urbanizzazione, o il costo di costruzione, trovi origine, direttamente e
soltanto, in un titolo edilizio, versandosi in tal caso in una obbligazione ex lege. Viceversa, ove l’obbligo di pagamento degli
oneri di
urbanizzazione, nonché del costo di costruzione, sia fatto oggetto di una
convenzione urbanistica, esso assume natura convenzionale e trova causa
nella convenzione di lottizzazione, nell’ambito della quale tale debenza
deve essere valutata e rapportata alla intera operazione, la cui complessiva
remuneratività “costituisce il reale parametro per valutare l'equilibrio
del sinallagma a base dell’accordo e, quindi, la sostanziale liceità degli
impegni assunti”.
E stato infatti puntualizzato che “La causa della convenzione
urbanistica, e cioè l'interesse che l'operazione contrattuale è diretta a
soddisfare, in particolare, va valutata non con riferimento ai singoli
impegni assunti, ma con riguardo alla oggettiva funzione economico-sociale
della convenzione, in cui devono trovare equilibrata soddisfazione sia gli
interessi del privato sia quelli della pubblica amministrazione” e che, inoltre, “non è affatto
escluso dal sistema che un operatore, nella convenzione urbanistica, possa
assumere oneri anche maggiori di quelli astrattamente previsti dalla legge,
trattandosi di una libera scelta imprenditoriale (o, anche, di una libera
scelta volta al benessere della collettività locale), rientrante nella
ordinaria autonomia privata, non contrastante di per sé con norme imperative”.
...
Il Collegio non ritiene di doversi discostarsi da tale orientamento,
anche per la ragione che
le convenzioni urbanistiche, ancorché le si voglia qualificare come
contratti pubblici, sono riconducibili ad accordi sostitutivi di atti
amministrativi che, ai sensi dell’art. 11 della L. 241/1990, sono soggetti
alle norme di diritto privato.
Segue da tale constatazione che per effetto della avvenuta stipula di
una convenzione urbanistica che recepisca l’obbligo, per la parte privata,
di pagare gli oneri di urbanizzazione ed il costo di costruzione, tale
obbligo assume natura convenzionale, risultando assistito da una causa che è
costituita, appunto, dalla convenzione urbanistica e dal complesso delle
pattuizioni in essa contenute, così che l’eventuale venir meno dell’obbligo
di che trattasi può determinarsi solo per il venir meno della stessa
convenzione urbanistica, che, secondo i principi civilistici, può essere
risolta consensualmente o per le altre cause indicate nel codice civile.
Del resto, la stipula di una convenzione urbanistica fa nascere
sicuramente, in capo alla amministrazione comunale, un affidamento circa il
pagamento degli oneri di urbanizzazione ivi previsti, nonché circa la
completa attuazione della convenzione, e proprio tale affidamento legittima
l’amministrazione medesima ad utilizzare le somme nel frattempo già versate
per la realizzazione di opere di urbanizzazione, che tra l’altro, nel caso
di opere di urbanizzazione secondaria, sono di fruizione collettiva e
servono gli abitanti di più quartieri: la pretesa della parte privata di una
convenzione urbanistica, tesa ad ottenere il rimborso di quanto corrisposto
per oneri di urbanizzazione in dipendenza della mancata attuazione, in tutto
o in parte della lottizzazione, rischia, allora, di creare gravi squilibri,
che giustificano l’affermazione secondo cui fintanto che la convenzione
urbanistica non viene invalidata o risolta, essa costituisce una giusta
causa di ritenzione di tali somme da parte dell’amministrazione, e, correlativamente, l’eventuale restituzione di esse non può che passare da un
accordo consensuale o –come già precisato– da altra forma di
invalidazione/risoluzione della convenzione, che all’occorrenza deve essere
fatta oggetto di specifica azione giudiziale.
L’eventuale arricchimento per il Comune derivante dalla mancata attuazione,
totale o parziale, della convenzione urbanistica, deve, a maggior ragione,
essere fatta valere espressamente, ai sensi dell’art. 2041 del codice
civile, con azione che ha natura sussidiaria e che, quindi, richiede
preliminarmente, l’esperimento e l’esaurimento di ogni altro mezzo di tutela
del soggetto che si ritiene impoverito.
---------------
10. Il ricorso è infondato.
11. Va ricordato, preliminarmente, che l’obbligo di pagare gli oneri di
urbanizzazione trova causa nella normativa di settore, attualmente
rappresentata dall’art. 16 del D.P.R. n. 380/2001, il quale, contiene le
seguenti previsioni:
“1. Salvo quanto disposto dall'articolo 17, comma 3, il rilascio del
permesso di costruire comporta la corresponsione di un contributo
commisurato all'incidenza degli oneri di urbanizzazione nonché al costo di
costruzione, secondo le modalità indicate nel presente articolo.
2. La quota di contributo relativa agli oneri di urbanizzazione è
corrisposta al comune all'atto del rilascio del permesso di costruire e, su
richiesta dell'interessato, può essere rateizzata. A scomputo totale o
parziale della quota dovuta, il titolare del permesso può obbligarsi a
realizzare direttamente le opere di urbanizzazione, nel rispetto
dell'articolo 2, comma 5, della legge 11.02.1994, n. 109, e successive
modificazioni, con le modalità e le garanzie stabilite dal comune, con
conseguente acquisizione delle opere realizzate al patrimonio indisponibile
del comune .
…………….
3. La quota di contributo relativa al costo di costruzione, determinata
all'atto del rilascio, è corrisposta in corso d'opera, con le modalità e le
garanzie stabilite dal comune, non oltre sessanta giorni dalla ultimazione
della costruzione.
4. L'incidenza degli oneri di urbanizzazione primaria e
secondaria è stabilita con deliberazione del consiglio comunale in base alle
tabelle parametriche……
……………..
7. Gli oneri di urbanizzazione primaria sono relativi ai seguenti
interventi: strade residenziali, spazi di sosta o di parcheggio, fognature,
rete idrica, rete di distribuzione dell'energia elettrica e del gas,
pubblica illuminazione, spazi di verde attrezzato.
7-bis. Tra gli interventi di urbanizzazione primaria di cui al comma 7
rientrano i cavedi multiservizi e i cavidotti per il passaggio di reti di
telecomunicazioni, salvo nelle aree individuate dai comuni sulla base dei
criteri definiti dalle regioni.
8. Gli oneri di urbanizzazione secondaria sono relativi ai seguenti
interventi: asili nido e scuole materne, scuole dell'obbligo nonché
strutture e complessi per l'istruzione superiore all'obbligo, mercati di
quartiere, delegazioni comunali, chiese e altri edifici religiosi, impianti
sportivi di quartiere, aree verdi di quartiere, centri sociali e
attrezzature culturali e sanitarie. Nelle attrezzature sanitarie sono
ricomprese le opere, le costruzioni e gli impianti destinati allo
smaltimento, al riciclaggio o alla distruzione dei rifiuti urbani, speciali,
pericolosi, solidi e liquidi, alla bonifica di aree inquinate...”.
12. Come si può constatare, il legislatore ha stabilito, evidentemente al
fine di contemperare i contrapposti interessi, che l’obbligo di pagamento
degli oneri di urbanizzazione scatta solo nel momento in cui si prospetta la
concreta possibilità di sfruttamento del fondo, nei limiti in cui tale
sfruttamento ha luogo, della qual cosa il rilascio del permesso di costruire
dà evidenza: ciò sul presupposto che l’obbligo di pagamento degli oneri di
urbanizzazione realizza, in chiave solidaristica, il contributo di ogni
proprietario di suoli alla realizzazione delle opere necessarie per
consentire ai cittadini di accedere ai servizi che debbono considerarsi
indispensabili alla vita moderna, ed inoltre sul presupposto che tale
concorso deve essere proporzionale all’effettiva richiesta di tali servizi,
in proporzione, cioè, al c.d. aumento del carico urbanistico.
13. Si è quindi formato un consolidato orientamento di giurisprudenza
secondo cui l’obbligo di contribuzione è indissolubilmente correlato
all’effettivo esercizio dello ius aedificandi, essendo gli oneri di
urbanizzazione, e di costruzione, oggetto di una obbligazione ex lege,
che ne collega la debenza alla specifica trasformazione del territorio
oggetto del titolo, conseguendo da ciò che se l’edificazione non ha luogo,
in tutto o in parte, le somme già corrisposte a titolo di oneri di
urbanizzazione, e/o di costo di costruzione, danno luogo ad un indebito,
fonte di un obbligo restitutorio (tra le più recenti: C.d.S., Sez. IV,
04.10.2019, n. 6668).
14. La giurisprudenza, tuttavia, ha anche affermato che il ricordato
principio vale solo nel caso in cui il pagamento degli oneri di
urbanizzazione, o il costo di costruzione, trovi origine, direttamente e
soltanto, in un titolo edilizio, versandosi in tal caso in una obbligazione
ex lege. Viceversa, ove l’obbligo di pagamento degli oneri di
urbanizzazione, nonché del costo di costruzione, sia fatto oggetto di una
convenzione urbanistica, esso assume natura convenzionale e trova causa
nella convenzione di lottizzazione, nell’ambito della quale tale debenza
deve essere valutata e rapportata alla intera operazione, la cui complessiva
remuneratività “costituisce il reale parametro per valutare l'equilibrio
del sinallagma a base dell’accordo e, quindi, la sostanziale liceità degli
impegni assunti (cfr. Cons. Stato, IV, 15.02.2019, n. 1069)” (C.d.S.,
Sez. IV, 04.10.2019, n. 6668).
E stato infatti puntualizzato che “La causa della convenzione
urbanistica, e cioè l'interesse che l'operazione contrattuale è diretta a
soddisfare, in particolare, va valutata non con riferimento ai singoli
impegni assunti, ma con riguardo alla oggettiva funzione economico-sociale
della convenzione, in cui devono trovare equilibrata soddisfazione sia gli
interessi del privato sia quelli della pubblica amministrazione (Cons.
Stato, V, 26.11.2013, n. 5603)” e che, inoltre, “non è affatto
escluso dal sistema che un operatore, nella convenzione urbanistica, possa
assumere oneri anche maggiori di quelli astrattamente previsti dalla legge,
trattandosi di una libera scelta imprenditoriale (o, anche, di una libera
scelta volta al benessere della collettività locale), rientrante nella
ordinaria autonomia privata, non contrastante di per sé con norme imperative”
(C.d.S., Sez. IV, 04.10.2019, n. 6668).
15. Il Collegio non ritiene di doversi discostarsi da tale orientamento,
anche per la ragione, correttamente prospettata nelle difese del Comune, che
le convenzioni urbanistiche, ancorché le si voglia qualificare come
contratti pubblici, sono riconducibili ad accordi sostitutivi di atti
amministrativi che, ai sensi dell’art. 11 della L. 241/1990, sono soggetti
alle norme di diritto privato (tra le più recenti: C.d.S., Sez. II,
29/07/2019 n. 5304; Consiglio di Stato sez. IV, 07/05/2015, n. 2313;
Consiglio di Stato sez. IV, 26/09/2013, n. 4810).
16. Segue da tale constatazione che per effetto della avvenuta stipula di
una convenzione urbanistica che recepisca l’obbligo, per la parte privata,
di pagare gli oneri di urbanizzazione ed il costo di costruzione, tale
obbligo assume natura convenzionale, risultando assistito da una causa che è
costituita, appunto, dalla convenzione urbanistica e dal complesso delle
pattuizioni in essa contenute, così che l’eventuale venir meno dell’obbligo
di che trattasi può determinarsi solo per il venir meno della stessa
convenzione urbanistica, che, secondo i principi civilistici, può essere
risolta consensualmente o per le altre cause indicate nel codice civile.
16.1. Del resto, la stipula di una convenzione urbanistica fa nascere
sicuramente, in capo alla amministrazione comunale, un affidamento circa il
pagamento degli oneri di urbanizzazione ivi previsti, nonché circa la
completa attuazione della convenzione, e proprio tale affidamento legittima
l’amministrazione medesima ad utilizzare le somme nel frattempo già versate
per la realizzazione di opere di urbanizzazione, che tra l’altro, nel caso
di opere di urbanizzazione secondaria, sono di fruizione collettiva e
servono gli abitanti di più quartieri: la pretesa della parte privata di una
convenzione urbanistica, tesa ad ottenere il rimborso di quanto corrisposto
per oneri di urbanizzazione in dipendenza della mancata attuazione, in tutto
o in parte della lottizzazione, rischia, allora, di creare gravi squilibri,
che giustificano l’affermazione secondo cui fintanto che la convenzione
urbanistica non viene invalidata o risolta, essa costituisce una giusta
causa di ritenzione di tali somme da parte dell’amministrazione, e, correlativamente, l’eventuale restituzione di esse non può che passare da un
accordo consensuale o –come già precisato– da altra forma di
invalidazione/risoluzione della convenzione, che all’occorrenza deve essere
fatta oggetto di specifica azione giudiziale.
L’eventuale arricchimento per il Comune derivante dalla mancata attuazione,
totale o parziale, della convenzione urbanistica, deve, a maggior ragione,
essere fatta valere espressamente, ai sensi dell’art. 2041 del codice
civile, con azione che ha natura sussidiaria e che, quindi, richiede
preliminarmente, l’esperimento e l’esaurimento di ogni altro mezzo di tutela
del soggetto che si ritiene impoverito
(TAR Piemonte, Sez. II,
sentenza 28.10.2019 n. 1090 - link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: L’obbligo
di pagare gli oneri di urbanizzazione trova
causa nella normativa di settore,
attualmente rappresentata dall’art. 16 del
D.P.R. n. 380/2001.
Sicché, il legislatore ha stabilito,
evidentemente al fine di contemperare i
contrapposti interessi, che l’obbligo di
pagamento degli oneri di urbanizzazione
scatta solo nel momento in cui si prospetta
la concreta possibilità di sfruttamento del
fondo, nei limiti in cui tale sfruttamento
ha luogo, della qual cosa il rilascio del
permesso di costruire dà evidenza: ciò sul
presupposto che l’obbligo di pagamento degli
oneri di urbanizzazione realizza, in chiave
solidaristica, il contributo di ogni
proprietario di suoli alla realizzazione
delle opere necessarie per consentire ai
cittadini di accedere ai servizi che debbono
considerarsi indispensabili alla vita
moderna, ed inoltre sul presupposto che tale
concorso deve essere proporzionale
all’effettiva richiesta di tali servizi, in
proporzione, cioè, al c.d. aumento del
carico urbanistico.
Si è quindi formato un consolidato
orientamento di giurisprudenza secondo cui
l’obbligo di contribuzione è
indissolubilmente correlato all’effettivo
esercizio dello ius aedificandi, essendo gli
oneri di urbanizzazione, e di costruzione,
oggetto di una obbligazione ex lege, che ne
collega la debenza alla specifica
trasformazione del territorio oggetto del
titolo, conseguendo da ciò che se
l’edificazione non ha luogo, in tutto o in
parte, le somme già corrisposte a titolo di
oneri di urbanizzazione, e/o di costo di
costruzione, danno luogo ad un indebito,
fonte di un obbligo restitutorio.
---------------
La giurisprudenza, tuttavia, ha anche
affermato che il ricordato principio vale
solo nel caso in cui il pagamento degli
oneri di urbanizzazione, o il costo di
costruzione, trovi origine, direttamente e
soltanto, in un titolo edilizio, versandosi
in tal caso in una obbligazione ex lege.
Viceversa, ove l’obbligo di pagamento degli
oneri di urbanizzazione, nonché del costo di
costruzione, sia fatto oggetto di una
convenzione urbanistica, esso assume natura
convenzionale e trova causa nella
convenzione di lottizzazione, nell’ambito
della quale tale debenza deve essere
valutata e rapportata alla intera
operazione, la cui complessiva
remuneratività “costituisce il reale
parametro per valutare l'equilibrio del
sinallagma a base dell’accordo e, quindi, la
sostanziale liceità degli impegni assunti”.
E' stato infatti puntualizzato che “La causa
della convenzione urbanistica, e cioè
l'interesse che l'operazione contrattuale è
diretta a soddisfare, in particolare, va
valutata non con riferimento ai singoli
impegni assunti, ma con riguardo alla
oggettiva funzione economico-sociale della
convenzione, in cui devono trovare
equilibrata soddisfazione sia gli interessi
del privato sia quelli della pubblica
amministrazione” e che, inoltre, “non è
affatto escluso dal sistema che un
operatore, nella convenzione urbanistica,
possa assumere oneri anche maggiori di
quelli astrattamente previsti dalla legge,
trattandosi di una libera scelta
imprenditoriale (o, anche, di una libera
scelta volta al benessere della collettività
locale), rientrante nella ordinaria
autonomia privata, non contrastante di per
sé con norme imperative”.
Il Collegio non ritiene di doversi
discostarsi da tale orientamento, anche per
la ragione, correttamente prospettata nelle
difese del Comune, che le convenzioni
urbanistiche, ancorché le si voglia
qualificare come contratti pubblici, sono
riconducibili ad accordi sostitutivi di atti
amministrativi che, ai sensi dell’art. 11
della L. 241/1990, sono soggetti alle norme
di diritto privato.
Segue da tale constatazione che per effetto
della avvenuta stipula di una convenzione
urbanistica che recepisca l’obbligo, per la
parte privata, di pagare gli oneri di
urbanizzazione ed il costo di costruzione,
tale obbligo assume natura convenzionale,
risultando assistito da una causa che è
costituita, appunto, dalla convenzione
urbanistica e dal complesso delle
pattuizioni in essa contenute, così che
l’eventuale venir meno dell’obbligo di che
trattasi può determinarsi solo per il venir
meno della stessa convenzione urbanistica,
che, secondo i principi civilistici, può
essere risolta consensualmente o per le
altre cause indicate nel codice civile.
Del resto, la stipula di una convenzione
urbanistica fa nascere sicuramente, in capo
alla amministrazione comunale, un
affidamento circa il pagamento degli oneri
di urbanizzazione ivi previsti, nonché circa
la completa attuazione della convenzione, e
proprio tale affidamento legittima
l’amministrazione medesima ad utilizzare le
somme nel frattempo già versate per la
realizzazione di opere di urbanizzazione,
che tra l’altro, nel caso di opere di
urbanizzazione secondaria, sono di fruizione
collettiva e servono gli abitanti di più
quartieri: la pretesa della parte privata di
una convenzione urbanistica, tesa ad
ottenere il rimborso di quanto corrisposto
per oneri di urbanizzazione in dipendenza
della mancata attuazione, in tutto o in
parte della lottizzazione, rischia, allora,
di creare gravi squilibri, che giustificano
l’affermazione secondo cui fintanto che la
convenzione urbanistica non viene invalidata
o risolta, essa costituisce una giusta causa
di ritenzione di tali somme da parte
dell’amministrazione, e, correlativamente,
l’eventuale restituzione di esse non può che
passare da un accordo consensuale o –come
già precisato– da altra forma di
invalidazione/risoluzione della convenzione,
che all’occorrenza deve essere fatta oggetto
di specifica azione giudiziale.
L’eventuale arricchimento per il Comune
derivante dalla mancata attuazione, totale o
parziale, della convenzione urbanistica,
deve, a maggior ragione, essere fatta valere
espressamente, ai sensi dell’art. 2041 del
codice civile, con azione che ha natura
sussidiaria e che, quindi, richiede
preliminarmente, l’esperimento e
l’esaurimento di ogni altro mezzo di tutela
del soggetto che si ritiene impoverito.
---------------
11. Va ricordato, preliminarmente, che
l’obbligo di pagare gli oneri di
urbanizzazione trova causa nella normativa
di settore, attualmente rappresentata
dall’art. 16 del D.P.R. n. 380/2001, il
quale, contiene le seguenti previsioni:
“1. Salvo quanto disposto dall'articolo
17, comma 3, il rilascio del permesso di
costruire comporta la corresponsione di un
contributo commisurato all'incidenza degli
oneri di urbanizzazione nonché al costo di
costruzione, secondo le modalità indicate
nel presente articolo.
2. La quota di contributo relativa agli
oneri di urbanizzazione è corrisposta al
comune all'atto del rilascio del permesso di
costruire e, su richiesta dell'interessato,
può essere rateizzata. A scomputo totale o
parziale della quota dovuta, il titolare del
permesso può obbligarsi a realizzare
direttamente le opere di urbanizzazione, nel
rispetto dell'articolo 2, comma 5, della
legge 11.02.1994, n. 109, e successive
modificazioni, con le modalità e le garanzie
stabilite dal comune, con conseguente
acquisizione delle opere realizzate al
patrimonio indisponibile del comune.
…………….
3. La quota di contributo relativa al costo
di costruzione, determinata all'atto del
rilascio, è corrisposta in corso d'opera,
con le modalità e le garanzie stabilite dal
comune, non oltre sessanta giorni dalla
ultimazione della costruzione.
4. L'incidenza degli oneri di urbanizzazione
primaria e secondaria è stabilita con
deliberazione del consiglio comunale in base
alle tabelle parametriche………………
……………..
7. Gli oneri di urbanizzazione primaria sono
relativi ai seguenti interventi: strade
residenziali, spazi di sosta o di
parcheggio, fognature, rete idrica, rete di
distribuzione dell'energia elettrica e del
gas, pubblica illuminazione, spazi di verde
attrezzato.
7-bis. Tra gli interventi di urbanizzazione
primaria di cui al comma 7 rientrano i
cavedi multiservizi e i cavidotti per il
passaggio di reti di telecomunicazioni,
salvo nelle aree individuate dai comuni
sulla base dei criteri definiti dalle
regioni.
8. Gli oneri di urbanizzazione secondaria
sono relativi ai seguenti interventi: asili
nido e scuole materne, scuole dell'obbligo
nonché strutture e complessi per
l'istruzione superiore all'obbligo, mercati
di quartiere, delegazioni comunali, chiese e
altri edifici religiosi, impianti sportivi
di quartiere, aree verdi di quartiere,
centri sociali e attrezzature culturali e
sanitarie. Nelle attrezzature sanitarie sono
ricomprese le opere, le costruzioni e gli
impianti destinati allo smaltimento, al
riciclaggio o alla distruzione dei rifiuti
urbani, speciali, pericolosi, solidi e
liquidi, alla bonifica di aree
inquinate………….”.
12. Come si può constatare, il legislatore
ha stabilito, evidentemente al fine di
contemperare i contrapposti interessi, che
l’obbligo di pagamento degli oneri di
urbanizzazione scatta solo nel momento in
cui si prospetta la concreta possibilità di
sfruttamento del fondo, nei limiti in cui
tale sfruttamento ha luogo, della qual cosa
il rilascio del permesso di costruire dà
evidenza: ciò sul presupposto che l’obbligo
di pagamento degli oneri di urbanizzazione
realizza, in chiave solidaristica, il
contributo di ogni proprietario di suoli
alla realizzazione delle opere necessarie
per consentire ai cittadini di accedere ai
servizi che debbono considerarsi
indispensabili alla vita moderna, ed inoltre
sul presupposto che tale concorso deve
essere proporzionale all’effettiva richiesta
di tali servizi, in proporzione, cioè, al
c.d. aumento del carico urbanistico.
13. Si è quindi formato un consolidato
orientamento di giurisprudenza secondo cui
l’obbligo di contribuzione è
indissolubilmente correlato all’effettivo
esercizio dello ius aedificandi,
essendo gli oneri di urbanizzazione, e di
costruzione, oggetto di una obbligazione
ex lege, che ne collega la debenza alla
specifica trasformazione del territorio
oggetto del titolo, conseguendo da ciò che
se l’edificazione non ha luogo, in tutto o
in parte, le somme già corrisposte a titolo
di oneri di urbanizzazione, e/o di costo di
costruzione, danno luogo ad un indebito,
fonte di un obbligo restitutorio (tra le più
recenti: C.d.S., Sez. IV, 04.10.2019, n.
6668).
14. La giurisprudenza, tuttavia, ha anche
affermato che il ricordato principio vale
solo nel caso in cui il pagamento degli
oneri di urbanizzazione, o il costo di
costruzione, trovi origine, direttamente e
soltanto, in un titolo edilizio, versandosi
in tal caso in una obbligazione
ex lege.
Viceversa, ove l’obbligo di pagamento degli
oneri di urbanizzazione, nonché del costo di
costruzione, sia fatto oggetto di una
convenzione urbanistica, esso assume natura
convenzionale e trova causa nella
convenzione di lottizzazione, nell’ambito
della quale tale debenza deve essere
valutata e rapportata alla intera
operazione, la cui complessiva
remuneratività “costituisce il reale
parametro per valutare l'equilibrio del
sinallagma a base dell’accordo e, quindi, la
sostanziale liceità degli impegni assunti (cfr.
Cons. Stato, IV, 15.02.2019, n. 1069)” (C.d.S.,
Sez. IV, 04.10.2019, n. 6668).
E' stato infatti puntualizzato che “La
causa della convenzione urbanistica, e cioè
l'interesse che l'operazione contrattuale è
diretta a soddisfare, in particolare, va
valutata non con riferimento ai singoli
impegni assunti, ma con riguardo alla
oggettiva funzione economico-sociale della
convenzione, in cui devono trovare
equilibrata soddisfazione sia gli interessi
del privato sia quelli della pubblica
amministrazione (Cons. Stato, V, 26.11.2013,
n. 5603)” e che, inoltre, “non è
affatto escluso dal sistema che un
operatore, nella convenzione urbanistica,
possa assumere oneri anche maggiori di
quelli astrattamente previsti dalla legge,
trattandosi di una libera scelta
imprenditoriale (o, anche, di una libera
scelta volta al benessere della collettività
locale), rientrante nella ordinaria
autonomia privata, non contrastante di per
sé con norme imperative” (C.d.S., Sez.
IV, 04.10.2019, n. 6668).
15. Il Collegio non ritiene di doversi
discostarsi da tale orientamento, anche per
la ragione, correttamente prospettata nelle
difese del Comune, che le convenzioni
urbanistiche, ancorché le si voglia
qualificare come contratti pubblici, sono
riconducibili ad accordi sostitutivi di atti
amministrativi che, ai sensi dell’art. 11
della L. 241/1990, sono soggetti alle norme
di diritto privato (tra le più recenti:
C.d.S., Sez. II, 29/07/2019 n. 5304;
Consiglio di Stato sez. IV, 07/05/2015, n.
2313; Consiglio di Stato sez. IV,
26/09/2013, n. 4810).
16. Segue da tale constatazione che per
effetto della avvenuta stipula di una
convenzione urbanistica che recepisca
l’obbligo, per la parte privata, di pagare
gli oneri di urbanizzazione ed il costo di
costruzione, tale obbligo assume natura
convenzionale, risultando assistito da una
causa che è costituita, appunto, dalla
convenzione urbanistica e dal complesso
delle pattuizioni in essa contenute, così
che l’eventuale venir meno dell’obbligo di
che trattasi può determinarsi solo per il
venir meno della stessa convenzione
urbanistica, che, secondo i principi
civilistici, può essere risolta
consensualmente o per le altre cause
indicate nel codice civile.
16.1. Del resto, la stipula di una
convenzione urbanistica fa nascere
sicuramente, in capo alla amministrazione
comunale, un affidamento circa il pagamento
degli oneri di urbanizzazione ivi previsti,
nonché circa la completa attuazione della
convenzione, e proprio tale affidamento
legittima l’amministrazione medesima ad
utilizzare le somme nel frattempo già
versate per la realizzazione di opere di
urbanizzazione, che tra l’altro, nel caso di
opere di urbanizzazione secondaria, sono di
fruizione collettiva e servono gli abitanti
di più quartieri: la pretesa della parte
privata di una convenzione urbanistica, tesa
ad ottenere il rimborso di quanto
corrisposto per oneri di urbanizzazione in
dipendenza della mancata attuazione, in
tutto o in parte della lottizzazione,
rischia, allora, di creare gravi squilibri,
che giustificano l’affermazione secondo cui
fintanto che la convenzione urbanistica non
viene invalidata o risolta, essa costituisce
una giusta causa di ritenzione di tali somme
da parte dell’amministrazione, e,
correlativamente, l’eventuale restituzione
di esse non può che passare da un accordo
consensuale o –come già precisato– da altra
forma di invalidazione/risoluzione della
convenzione, che all’occorrenza deve essere
fatta oggetto di specifica azione
giudiziale.
L’eventuale arricchimento per il Comune
derivante dalla mancata attuazione, totale o
parziale, della convenzione urbanistica,
deve, a maggior ragione, essere fatta valere
espressamente, ai sensi dell’art. 2041 del
codice civile, con azione che ha natura
sussidiaria e che, quindi, richiede
preliminarmente, l’esperimento e
l’esaurimento di ogni altro mezzo di tutela
del soggetto che si ritiene impoverito (TAR
Piemonte, Sez. II,
sentenza 28.10.2019 n. 1090 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Gli
atti di determinazione e liquidazione del contributo di concessione in
relazione a un dato intervento edilizio non hanno natura provvedimentale, in
quanto inidonei a incidere autonomamente sulle posizioni giuridiche degli
interessati, dato che svolgono una funzione essenzialmente ricognitiva di un
debito, relativa ad un rapporto obbligatorio.
Esse sono riservate alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo
pur avendo ad oggetto l'accertamento di un rapporto di credito che prescinde
dall'esistenza e dall'impugnazione di atti determinativi della pubblica
amministrazione, non essendo soggette alle regole delle azioni di
annullamento.
L'azione volta alla declaratoria d'insussistenza o della diversa entità del
debito contributivo per oneri di urbanizzazione può, quindi, essere
intentata, qualora non vengano dedotte censure derivanti da atti generali
autoritativi di determinazione degli oneri, a prescindere dall'impugnazione
o esistenza degli atti con cui viene richiesto il pagamento.
---------------
Il Collegio non ignora gli arresti giurisprudenziali che ancorano la
determinazione del contributo di concessione, avuto riguardo alla
disciplina, legislativa e regolamentare, applicabile, a quella vigente al
momento del rilascio del titolo edilizio, piuttosto che alla data della
richiesta del titolo abilitativo.
---------------
9. È utile premettere che gli atti di determinazione e liquidazione del
contributo di concessione in relazione a un dato intervento edilizio, come
reiteratamente chiarito da questo Consiglio di Stato, dalle cui risultanze
non è motivo di discostarsi, non hanno natura provvedimentale, in quanto
inidonei a incidere autonomamente sulle posizioni giuridiche degli
interessati, dato che svolgono una funzione essenzialmente ricognitiva di un
debito, relativa ad un rapporto obbligatorio. Esse sono riservate alla
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo pur avendo ad oggetto
l'accertamento di un rapporto di credito che prescinde dall'esistenza e
dall'impugnazione di atti determinativi della pubblica amministrazione, non
essendo soggette alle regole delle azioni di annullamento (cfr. ex multis
Cons. Stato, Sez. VI, sentenze nn. 2294 e 3298 del 2015).
L'azione volta alla declaratoria d'insussistenza o, come in questo caso,
della diversa entità del debito contributivo per oneri di urbanizzazione
può, quindi, essere intentata, qualora non vengano dedotte censure derivanti
da atti generali autoritativi di determinazione degli oneri, a prescindere
dall'impugnazione o esistenza degli atti con cui viene richiesto il
pagamento (cfr., oltre alle due sentenze cit. supra, Cons. Stato, Sez. V, n.
5072/2014; nonché Sez. IV, n. 1504/2015).
...
La tematica del regime giuridico
applicabile agli oneri concessori è stata variamente affrontata dalla
giurisprudenza, sia allo scopo di individuare l’esatta decorrenza del
termine di prescrizione del diritto alla relativa riscossione da parte del
Comune, sia, più genericamente, per perimetrarne la consistenza ove si siano
succedute nel tempo discipline del tutto diverse, non necessariamente di
favore.
Il Collegio non ignora a tale proposito gli arresti giurisprudenziali che
ancorano la determinazione del contributo di concessione, avuto riguardo
alla disciplina, legislativa e regolamentare, applicabile, a quella vigente
al momento del rilascio del titolo edilizio, piuttosto che alla data della
richiesta del titolo abilitativo (ex plurimis: Cons. Stato, Sez. IV,
07.06.2012, n. 3379; Cons. Stato, Sez. IV, 25.06.2010, n. 4109; TRGA Bolzano
02.11.2016, n. 305; nonché, di recente, TRGA, Sez. di Bolzano, 26.09.2019,
n. 227) (Consiglio
di Stato, Sez. II,
sentenza 25.10.2019 n. 7290 - link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Secondo costante giurisprudenza, la finalità degli
oneri concessori, con particolare riguardo alla parte correlata alle
opere di urbanizzazione primaria e secondaria, ha la chiara funzione di
contribuire alle spese da sostenere dalla collettività in riferimento alla
realizzazione delle stesse, sicché l’unico criterio per determinare se essi
siano dovuti o meno e in che misura consiste nella verifica del carico
urbanistico derivante dall’attività edilizia, con la precisazione che per
aumento del carico urbanistico deve intendersi tanto la necessità di dotare
l’area di nuove opere di urbanizzazione, quanto l’esigenza di utilizzare più
intensamente quelle esistenti.
Ciò a valere, tuttavia, per
quegli interventi edilizi in relazione ai quali sia revocata in dubbio
suddetta incidenza sul carico urbanistico, quale tipicamente la modifica di
destinazione d’uso funzionale o senza opere. Non certo laddove, come nel
caso di specie, l’intervento necessitava ab origine, per indiscussa
consistenza, di concessione edilizia, richiesta ex post a sanatoria.
In linea di diritto, cioè, mentre la quota del contributo di costruzione
commisurata al costo di costruzione risulta ontologicamente connessa alla
tipologia e all’entità (superficie e volumetria) dell’intervento edilizio e
assolve alla funzione di permettere all’amministrazione comunale il recupero
delle spese sostenute dalla collettività di riferimento alla trasformazione
del territorio consentita al privato istante (ossia, a compensare la c.d.
compartecipazione comunale all’incremento di valore della proprietà
immobiliare del costruttore, a seguito della nuova edificazione), la quota
del contributo di costruzione commisurata agli oneri di urbanizzazione
«assolve alla prioritaria funzione di compensare la collettività per il
nuovo ulteriore carico urbanistico che si riversa sulla zona, con la
precisazione che per aumento del carico urbanistico deve intendersi tanto la
necessità di dotare l’area di nuove opere di urbanizzazione, quanto
l’esigenza di utilizzare più intensamente quelle già esistenti».
La natura di prestazione patrimoniale imposta che connota gli oneri
concessori, in ciascuna delle due componenti, fa sì che l’eventuale
decurtazione della parte di essi correlata al beneficio collettivo
riveniente dalla presenza delle opere di urbanizzazione non consegua
automaticamente neppure all’avvenuta documentata realizzazione delle stesse
da parte del privato istante, laddove l’amministrazione non abbia assentito
al richiesto scomputo.
Infine, la determinazione dell’entità delle somme dovute non necessita
di alcuna motivazione aggiuntiva, essendo semplicemente frutto
dell’applicazione di parametri determinati da norme legislative o
regolamentari, conoscibili all’onerato.
---------------
Compenetrato al diritto di riscuotere
l’obbligazione principale, ovvero il contributo di costruzione
previsto dall’art. 3 della legge 27.01.1977, n. 10, cui fa rinvio l’art. 37
della l. n. 47/1985, è quello di imporre le sanzioni pecuniarie per il
ritardo nel relativo pagamento, quale strumento di coazione all’adempimento
del contributo principale previsto dal legislatore, in tanto dovute in
quanto sia dovuto tale onere.
---------------
7. Invertendo per comodità espositiva la trattazione dei motivi dell’appello principale proposto dai signori Mi.Ma.Re., Fi.Ci. e
Ca.Ci., il Collegio ritiene di poter anteporre lo scrutinio di quello
contraddistinto come secondo, attinente al merito della pretesa del Comune
di Prato, asseritamente indebita in quanto non avrebbe tenuto conto della
circostanza di fatto che le opere di urbanizzazione primaria erano già state
realizzate dalla parte richiedente all’atto della presentazione dell’istanza
di condono.
Detto motivo è infondato.
Secondo costante giurisprudenza, dalle cui risultanze non è ragione di
discostarsi, la finalità degli oneri concessori, con particolare riguardo
alla parte correlata alle opere di urbanizzazione primaria e secondaria, ha
la chiara funzione di contribuire alle spese da sostenere dalla collettività
in riferimento alla realizzazione delle stesse, sicché l’unico criterio per
determinare se essi siano dovuti o meno e in che misura consiste nella
verifica del carico urbanistico derivante dall’attività edilizia, con la
precisazione che per aumento del carico urbanistico deve intendersi tanto la
necessità di dotare l’area di nuove opere di urbanizzazione, quanto
l’esigenza di utilizzare più intensamente quelle esistenti (cfr. sul punto
Cons. Stato, Sez. VI, 07.05.2018, n. 2694).
Ciò a valere, tuttavia, per
quegli interventi edilizi in relazione ai quali sia revocata in dubbio
suddetta incidenza sul carico urbanistico, quale tipicamente la modifica di
destinazione d’uso funzionale o senza opere. Non certo laddove, come nel
caso di specie, l’intervento necessitava ab origine, per indiscussa
consistenza, di concessione edilizia, richiesta ex post a sanatoria.
8. In linea di diritto, cioè, mentre la quota del contributo di costruzione
commisurata al costo di costruzione risulta ontologicamente connessa alla
tipologia e all’entità (superficie e volumetria) dell’intervento edilizio e
assolve alla funzione di permettere all’amministrazione comunale il recupero
delle spese sostenute dalla collettività di riferimento alla trasformazione
del territorio consentita al privato istante (ossia, a compensare la c.d.
compartecipazione comunale all’incremento di valore della proprietà
immobiliare del costruttore, a seguito della nuova edificazione), la quota
del contributo di costruzione commisurata agli oneri di urbanizzazione
«assolve alla prioritaria funzione di compensare la collettività per il
nuovo ulteriore carico urbanistico che si riversa sulla zona, con la
precisazione che per aumento del carico urbanistico deve intendersi tanto la
necessità di dotare l’area di nuove opere di urbanizzazione, quanto
l’esigenza di utilizzare più intensamente quelle già esistenti» (cfr. Cons.
Stato, Sez. VI, 07.05.2015, n. 2294).
8.1. La natura di prestazione patrimoniale imposta che connota gli oneri
concessori, in ciascuna delle due componenti, fa sì che l’eventuale
decurtazione della parte di essi correlata al beneficio collettivo
riveniente dalla presenza delle opere di urbanizzazione non consegua
automaticamente neppure all’avvenuta documentata realizzazione delle stesse
da parte del privato istante, laddove l’amministrazione non abbia assentito
al richiesto scomputo. Nel caso di specie, peraltro, come correttamente
affermato dal giudice di prime cure, «neppure viene allegato quali opere di
urbanizzazione sarebbero state realizzate da Ma.Gr.Re., fatta
eccezione per non meglio decritti “vialetti privati interni di accesso”, dei
quali non è nota l’estensione, e che certo non assorbono certo il peso insediativo degli immobili in questione».
8.2 Infine, la determinazione dell’entità delle somme dovute non necessita
di alcuna motivazione aggiuntiva, essendo semplicemente frutto
dell’applicazione di parametri determinati da norme legislative o
regolamentari, conoscibili all’onerato.
9. Una volta acclarata la sussistenza del debito riveniente dagli oneri
concessori, nel caso di specie limitati al costo delle opere di
urbanizzazione, possono conseguirne, in caso di ritardo nella corresponsione
delle somme dovute, purché ne sia chiaro e certo l’importo, sanzioni e
interessi moratori.
Il che è quanto il Comune di Prato ha inteso essere
accaduto nel momento in cui ha richiesto la somma comprensiva di tutte e tre
le voci alle parti, nel frattempo subentrate, sulla base del combinato
disposto degli artt. 37 della l. n. 47/1985 e 3 e 15 della l. n. 10/1977,
per il tramite dell’ingiunzione prevista dall'art. 2 del regio decreto
14.04.1910, n. 639.
Compenetrato, infatti, al diritto di riscuotere
l’obbligazione principale, ovvero il contributo di costruzione previsto
dall’art. 3 della legge 27.01.1977, n. 10, cui fa rinvio l’art. 37 della l.
n. 47/1985, è quello di imporre le sanzioni pecuniarie per il ritardo nel
relativo pagamento, quale strumento di coazione all’adempimento del
contributo principale previsto dal legislatore, in tanto dovute in quanto
sia dovuto tale onere (cfr. al riguardo Cons. Stato, Sez. V, 08.03.2017, n.
1099).
9.1. Se, dunque, non sussiste un’obbligazione principale giuridicamente
valida, non è predicabile neppure un inadempimento di cui il preteso
debitore deve sopportare le conseguenze di legge.
Da questo nesso di presupposizione logico-giuridico tra le due diverse
prestazioni patrimoniali imposte al privato cui sia stato rilasciato un
titolo edilizio, anche in sanatoria, si ricava dunque la conseguenza che,
sebbene dovute al momento in cui sono state applicate, esse devono essere
restituite dall’amministrazione quando si accerti a posteriori che il
contributo concessorio per il cui mancato o ritardato pagamento sono stati
applicati i relativi interessi e sanzioni non era in realtà dovuto.
10. L’azione giudiziale in cui si contesta l’an o il quantum
del contributo in questione, come ancora di recente precisato da questo
Consiglio di Stato, non si inquadra dunque nel paradigma civilistico
dell’azione di restituzione dell’indebito eventualmente pagato, ma dà luogo
ad una domanda di accertamento negativo devoluta alla giurisdizione
amministrativa (Cons. Stato, Sez. IV, 07.02.2017, n. 528), dal cui
accoglimento consegue la possibilità di ripetere le somme versate ed
accertate come indebitamente corrisposte all’amministrazione nel giudizio di
cognizione, eventualmente con ricorso per ottemperanza laddove quest’ultima
non adempia correttamente al proprio debito restitutorio.
Il che, rileva la Sezione, è quanto avvenuto nel caso di specie, nel quale,
cioè, le parti contestano la sussistenza del credito del Comune di Prato,
ritenendone carenti i presupposti, di fatto (per la preesistenza delle opere
di urbanizzazione) e di diritto (per le modalità di computo seguite), con
ipotetica automatica caducazione delle somme accessorie richieste a titolo
di sanzione e interessi. Solo in denegata ipotesi, ovvero una volta
riconosciuta la legittimità della pretesa originaria, è questione di
eventuale illegittimità propria degli importi sanzionatori e moratori,
contestata egualmente dalle parti o in ragione dell’invocata non
trasmissibilità agli eredi dei primi, ovvero comunque per l’irregolarità
della notifica del titolo di credito originario, con riferimento ad entrambi
(Consiglio di Stato, Sez. II,
sentenza 21.10.2019 n. 7119 - link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La pubblica amministrazione, nel corso del rapporto che si
instaura a seguito dell’avvenuto rilascio del titolo edilizio, può sempre rideterminare, sia a
favore che a sfavore del privato, l’importo del correlato tale contributo,
pur se in principio erroneamente liquidato, richiedendone o rimborsandone a
questi la differenza, purché nell’ordinario termine di prescrizione
decennale (art. 2946 c.c.) decorrente dal rilascio del titolo edilizio,
senza incorrere in alcuna decadenza.
Per parte sua il privato non è tenuto
ad impugnare gli atti determinativi del contributo nel termine di decadenza,
potendo ricorrere al giudice amministrativo, munito di giurisdizione
esclusiva ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. f), c.p.a., nel medesimo
termine di dieci anni, anche con un’azione di mero accertamento.
---------------
10.1 Passando adesso alla disamina dall’appello incidentale del comune di
Prato, il giudice di prime cure ha ritenuto non corretta, in ragione della
doverosa "personalità" delle sanzioni amministrative, consacrato nell’art. 7
della l. n. 689/1981, l’imputazione delle stesse a soggetti estranei alla
violazione, id est gli eredi, peraltro neppure direttamente della
responsabile, bensì del suo primo avente causa, signor Gi.Re., a sua
volta deceduto.
Il Comune di Prato non ha inteso contestare nel merito la ridetta
affermazione, da ritenersi pertanto consolidata; ne ha bensì avversato la
tempestiva proposizione, ritenendo che il Tribunale abbia indebitamente
respinto l’eccezione di inammissibilità dallo stesso già sollevata in primo
grado. La ridetta tardività si porrebbe, gradatamente, o in relazione
all’omessa prospettazione in occasione del primo ricorso al TAR, stante che
la nota del 14.09.1993 già conteneva la richiesta di pagamento delle somme
dovute, agevolmente determinabili per le parti mancanti sulla base di meri
calcoli aritmetici; ovvero avuto riguardo al giudizio instaurato innanzi al
giudice ordinario, con ciò precludendosi l’effetto della translatio
iudicii di una tematica estranea al petitum originario.
All’impugnativa delle ordinanze ingiunzione, tipica espressione di potere autoritativo della P.A., non cristallizzato in un atto paritetico, come
indebitamente ritenuto dal giudice di prime cure, sarebbe dunque applicabile
l’ordinario termine decadenziale, ormai spirato. Ma anche a voler aderire
alla qualificazione come “paritari” degli atti de quibus,
sottesa alle opzioni ermeneutiche del giudice di primo grado, il termine di
prescrizione applicabile non potrebbe che essere quello quinquennale, valido
in generale in materia sanzionatoria, con conseguente tardività del ricorso,
presentato comunque nel 2004, ovvero ben oltre i cinque anni dalla commessa
violazione, consumatasi non onorando tempestivamente l’obbligazione con il
Comune.
11. Anche tale eccezione è infondata e pertanto va respinto l’appello
incidentale e confermata sul punto la ricostruzione effettuata dal TAR per
la Toscana.
Oggetto dell’odierno giudizio è, per quanto sopra detto e sostanzialmente
già affermato dal Tribunale civile di Prato e dalla Corte d’Appello di
Firenze, il riconoscimento di un diritto soggettivo a carattere
patrimoniale, realizzabile peraltro indipendentemente dall’avvenuta
intermediazione di un provvedimento amministrativo (in tal senso, tutta la
giurisprudenza sulla distinzione tra atti paritetici ed atti autoritativi
sviluppatasi a seguito della c.d. sentenza "Fagiolari", Cons. Stato, Sez. V,
01.12.1939 n. 795).
In tale ambito devono infatti essere ricondotte le
controversie in tema di determinazione della misura dei contributi edilizi
che traggono origine direttamente da fonti normative, per cui sono
proponibili, a prescindere dall’impugnazione di provvedimenti
dell’amministrazione, nel termine di prescrizione (Cons. Stato, Sez. IV, 27.09.2017, n. 4515, che richiama Cons. Stato, Sez. IV, 20.09.2012, n. 6033). Come correttamente affermato dal TAR, infatti,
«l’opposizione all’ingiunzione, cumulando in sé le caratteristiche di forma
ed efficacia di titolo esecutivo e di precetto, si traduce in una
opposizione di merito all’esecuzione, con cui il privato può far valere
tutte le eccezioni e contestazioni relative al credito azionato dalla P.A.,
senza preclusioni legate all’epoca della formazione del titolo, stante
l’origine stragiudiziale dello stesso».
11.1. Giova al proposito ricordare come la nozione di atti paritari venga in
considerazione allorché l'amministrazione, tenuta per legge a far fronte ad
un obbligo in ragione di un rapporto di diritto pubblico avente natura
patrimoniale, si veda attribuito -da una legge, appunto, o da altra fonte
normativa- il potere di definire unilateralmente detto rapporto e, quindi,
di determinare essa stessa l'entità dei propri obblighi e dei correlativi
diritti (tipico è il caso della determinazione di stipendi, assegni,
emolumenti, etc.), in base ad una mera attività accertativa. Tali atti non
possono essere ricompresi, a rigore, tra i provvedimenti amministrativi,
poiché in tale ambito l'amministrazione non esercita un potere di supremazia
nei confronti del privato, bensì utilizza strumenti del diritto civile che
la pongono sullo stesso piano della controparte.
12. Che questa sia la natura delle ingiunzioni di pagamento riferite a tale
tipologia di credito, trova conferma di recente finanche in una pronuncia
dell’Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato ( cfr. Cons. Stato, A.P.,
30.08.2018, n. 12), ancorché con riferimento alla tematica
dell’esercizio dell’autotutela e della conseguente necessità di tutelare
l’affidamento delle parti. Si è così riconosciuto che la rideterminazione
degli oneri concessori costituisce espressione di una legittima facoltà
della P.A. che si colloca nell’ambito del rapporto paritetico di natura
creditizia conseguente al rilascio del titolo edilizio a carattere oneroso,
ed è perciò sottoposto nelle sue forme di esercizio al termine
prescrizionale ordinario. Ciò non può non valere, aggiunge il Collegio, per
la loro determinazione originaria.
13. In sintesi, e senza addentrarsi in dissertazioni circa la natura del
titolo edilizio (per le quali si rinvia ancora a Cons. Stato, A.P., n. 12/2018)
la pubblica amministrazione, nel corso del rapporto che si instaura a
seguito dell’avvenuto rilascio dello stesso, può sempre rideterminare, sia a
favore che a sfavore del privato, l’importo del correlato tale contributo,
pur se in principio erroneamente liquidato, richiedendone o rimborsandone a
questi la differenza, purché nell’ordinario termine di prescrizione
decennale (art. 2946 c.c.) decorrente dal rilascio del titolo edilizio,
senza incorrere in alcuna decadenza. Per parte sua il privato non è tenuto
ad impugnare gli atti determinativi del contributo nel termine di decadenza,
potendo ricorrere al giudice amministrativo, munito di giurisdizione
esclusiva ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. f), c.p.a., nel medesimo
termine di dieci anni, anche con un’azione di mero accertamento. Il che è
quanto accaduto nel caso di specie non appena le parti sono venute a
conoscenza della pretesa (impugnativa della nota del 14.09.1993), nonché
dell’avvenuta inclusione nella stessa di sanzioni ed interessi, in sede di
prima comunicazione solo paventati
(Consiglio di Stato, Sez. II,
sentenza 21.10.2019 n. 7119 - link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Gli oneri concessori conseguono al rilascio del titolo edilizio e
trovano la loro causa nello stesso, tanto da poter essere determinati o rideterminati nel termine prescrizionale di dieci anni. La
messa a conoscenza della loro entità non incide, pertanto, sulla loro
nascita, bensì più propriamente sulla loro esigibilità, nonché, per quanto
già detto, sulla decorrenza degli interessi e l’accertamento dell’illecito
ritardo.
La notifica, cioè, del provvedimento di quantificazione, mette la
controparte in condizione di onorare il debito, ma, diversamente da quanto
accade in ambito esclusivamente sanzionatorio, ove la tempestiva conoscenza
della condotta addebitata impatta anche sull’esercizio delle garanzie
difensive, non può certo travolgere la ragione della debenza, che resta
radicata nell’avvenuto rilascio del titolo edilizio.
---------------
18. Resta ora da scrutinare il motivo dell’appello principale incentrato sul
presunto vizio di notifica dell’atto con il quale, prima del diretto
coinvolgimento degli odierni appellanti, sarebbe stata indicata la somma
capitale dovuta a titolo di contributo concessorio alla richiedente la
sanatoria, signora Ma.Gr.Re..
18.1. Sostengono gli appellanti che il riferimento all’art. 139 c.p.c.
sarebbe errato in quanto nel caso di specie non è in contestazione tanto e
solo la qualifica di persona titolata alla ricezione degli atti di quella
che se ne è concretamente fatta carico; bensì l’erroneità dell’indirizzo ove
la notifica è stata effettuata.
19. Il motivo è fondato.
19.1. L’art. 139 c.p.c. considera regolarmente effettuata la notifica nel
luogo di residenza, dimora o domicilio del destinatario, avuto riguardo
all’avvenuta ricezione dell’atto da parte di soggetto, ivi rinvenuto, che ne
accetti la consegna, gravando sul destinatario l’onere di provare
l’inesistenza del rapporto in forza del quale deve ulteriormente presumersi
che il primo porti a conoscenza del secondo l’atto ricevuto. Ciò è quanto
sarebbe avvenuto nel caso di specie, essendo stato l’atto consegnato a mano
di tal signora An.Co., indicata come “addetta” nella prevista relata di notifica.
Ora, anche a prescindere dall’ambiguità della richiamata dizione “addetta” e
volendo riconoscere a tale infelice espressione di sintesi la corretta
accezione di “persona autoqualificatasi deputata alla ricezione degli
atti”, resta il tema del luogo ove è in concreto avvenuta tale affermazione
propositiva. Ove, infatti, la consegna fosse avvenuta effettivamente nel
luogo di residenza, domicilio o dimora della consegnataria, correttamente
dovrebbero trovare applicazione le ricordate regole sull’onere probatorio di
sconfessare la caratteristica di persona titolata al ritiro degli atti di
chi si qualifichi tale. Solo che nel caso di specie così non è accaduto e
per quanto la differenza di un solo numero civico abbia evidentemente
indotto il TAR a pretermettere l’eccepita circostanza essa non consente
di identificare l’indirizzo legale, diverso e ubicato al civico 44, con
quello di consegna del documento, relativo alla medesima via ... , ma
al civico 42.
19.2 Afferma al riguardo il Comune appellato che tale apparente errore
sarebbe da ascrivere ad un’opzione della stessa richiedente il condono che
avrebbe indicato il civico 42 quale proprio domicilio nella relativa
istanza. Ove ciò fosse stato provato, rileva la Sezione, si sarebbe potuto
ipotizzare un legittimo affidamento dell’Amministrazione procedente sulla
correttezza del dato utilizzato, in un’ottica di leale collaborazione che
comunque deve improntare il rapporto tra le parti.
Ma nel caso di specie l’indirizzo assunto quale residenza o domicilio della
parte è semplicemente quello indicato per individuare l’ubicazione del
manufatto oggetto di condono, al più correlabile all’interessata in termini
di domicilio avuto riguardo alla sua veste di presunta committente dei
lavori abusivi, non una volta ultimati gli stessi (il che peraltro,
trattandosi di condono, era già avvenuto al momento della presentazione
della relativa istanza).
19.3. A fronte, dunque, della mancata prova -il cui onere incombeva
sull’amministrazione procedente- della corretta individuazione del domicilio
della richiedente il condono, anagraficamente residente in un immobile a
confine, ma non coincidente, non può operare la presunzione invocata dal
TAR per la Toscana ai fini della ritenuta validità della consegna
dell’atto ad una sedicente “addetta” alla ricezione. Né a diverse
conclusioni può giungersi sul solo rilievo che al civico 42 della via ... insiste comunque un’attività imprenditoriale (la società Ma.
s.r.l) riconducibile a familiari dell’interessata, non potendo tale
circostanza consentire di sanare l’innegabile vizio formale della notifica,
in assenza di riscontro probatorio perfino sulla tipologia di rapporti
intercorrenti con i ridetti familiari, ovvero sulla frequentazione del luogo
da parte dell’interessata, comunque estranea all’attività imprenditoriale in
quanto di professione insegnante.
20. La ritenuta invalidità della notifica, tuttavia, rileva la Sezione, non
pone un problema di rivalutazione della legittimità della richiesta
creditoria nella sua globalità.
20.1. Ritiene cioè il Collegio che -così come essa non può palesarsi neutra
in relazione al computo di interessi e sanzioni, la cui stessa maturazione è
correlata necessariamente alla conoscenza dell’importo dovuto e al suo
mancato pagamento nei termini- lo stesso non può valere con riferimento alla
somma capitale.
Come chiarito ai §§ 7 e 8, gli oneri concessori conseguono al rilascio del
titolo edilizio e trovano la loro causa nello stesso, tanto da poter essere
determinati o rideterminati nel termine prescrizionale di dieci anni. La
messa a conoscenza della loro entità non incide, pertanto, sulla loro
nascita, bensì più propriamente sulla loro esigibilità, nonché, per quanto
già detto, sulla decorrenza degli interessi e l’accertamento dell’illecito
ritardo. La notifica, cioè, del provvedimento di quantificazione, mette la
controparte in condizione di onorare il debito, ma, diversamente da quanto
accade in ambito esclusivamente sanzionatorio, ove la tempestiva conoscenza
della condotta addebitata impatta anche sull’esercizio delle garanzie
difensive, non può certo travolgere la ragione della debenza, che resta
radicata nell’avvenuto rilascio del titolo edilizio.
22. Trasponendo il paradigma teorico sopra descritto nella concretezza della
fattispecie all’esame, si ha dunque che la determinazione dell’importo
dovuto, in quanto correlato alla pratica di condono del 1986, è stata
effettuata con nota del 1989, della quale tuttavia non è stata provata la
conoscenza da parte della richiedente, peraltro deceduta di lì a pochi mesi.
L’importo è stato nuovamente comunicato agli eredi con nota del 14.09.1993, ed è indubbio che a far data da tale momento gli stessi, subentrati
nella proprietà dell’immobile condonato, hanno acquisito piena contezza
della somma capitale dovuta. Per contro, suddetta pregressa mancata
conoscenza -rectius, la mancata prova dell’avvenuta conoscenza- dell’importo
delle somme dovute, travolge inesorabilmente finanche l’ipotizzata
responsabilità da ritardo della signora Ma.Gr.Re., da circoscrivere
peraltro tutt’al più al breve lasso di tempo intercorso tra la consegna
dell’atto (01.03.1989) e il sopravvenuto decesso (13.07.1990). La non
trasmissibilità agli eredi -il signor Gi.Re., a sua volta deceduto
prima dell’instaurazione dell’odierno contenzioso- ha pertanto già creato un
insanabile iato che non consentiva di attingere le odierne appellanti,
quanto meno in relazione a sanzioni ed interessi moratori.
22.1. Ancor prima dell’ingiunzione di pagamento, che dà avvio alla fase
esecutiva del credito, avuta conoscenza del debito “ereditato” una delle
parti ha provveduto a saldarne, pur con riserva di ripetizione, l’importo
capitale, con ciò eliminando in radice, a far data da tale momento, la
possibilità di addebitare alle parti nuovi ritardi, ovvero ulteriori
comportamenti sanzionabili.
22.2. A ciò consegue, rileva la Sezione, la sola residua facoltà per
l’Amministrazione procedente, ove ne ravvisi gli estremi, di rieditare il
proprio potere correggendo il computo degli interessi moratori sulla sola
somma capitale (essendo ormai prescritto l’eventuale autonomo illecito
ritardo addebitabile alle parti a far data dall’avvenuta conoscenza della
somma dovuta, con atto mai sospeso dai giudici adìti) per il lasso di tempo
intercorso tra la ricezione della nota del 14.09.1993 e il suo
avvenuto pagamento.
23. In conclusione, il Collegio ritiene fondata la richiesta del Comune in
relazione alla somma capitale per gli oneri concessori correlati all’istanza
di condono del 29.03.1986, peraltro già corrisposta, pertanto non
ripetibile; ma non quella concernente gli importi sanzionatori e moratori
addebitati agli eredi della -presunta- responsabile del ritardo a decorrere
dal 1989, fatta salva la facoltà di ricalcolo degli interessi moratori a far
data dal 14.09.1993, corrispondente all’effettiva messa a conoscenza
dell’entità del credito mediante notifica dell’apposita nota agli
appellanti. Conseguentemente risultano annullati tutti gli atti con i quali
si è dato seguito a tale parte della pretesa, con particolare riguardo
all’ingiunzione emessa in relazione a sanzioni e interessi di mora non
corrisposti per il lasso di tempo come sopra individuato.
24. Per tutto quanto detto, il Collegio ritiene di dover respingere
l’appello incidentale, confermando in parte qua l’impugnata sentenza, con le
integrazioni sopra esposte; accogliere in parte l’appello principale nei
sensi e limiti di cui in motivazione, con conseguente annullamento
dell’ingiunzione di pagamento prot. n. 33940 in data 08.05.1997, ferma
restando la richiamata facoltà del Comune appellato di rideterminarsi sugli
interessi moratori
(Consiglio di Stato, Sez. II,
sentenza 21.10.2019 n. 7119 - link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
Collegio condivide la tesi sostenuta dall’appellante per cui il parametro
per la determinazione degli oneri va riferito al criterio della destinazione
urbanistica della zona e non alla concreta destinazione d’uso dell’immobile;
diversamente opinando, invero, il quantum dovuto all’amministrazione
verrebbe modificato in base ad un comportamento del privato, peraltro
integrante un abuso delizio, seppur successivamente sanato. È inoltre
congruo che una medesima opera, ancorché abusiva, sia chiamata a contribuire
in modo diverso a seconda della zona in cui ricade, differente essendo la
dotazione delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria delle varie
zone.
In tal senso si è espressa altresì la giurisprudenza amministrativa,
affermando che «non è consentito scorporare il criterio di quantificazione
degli oneri di urbanizzazione dalla effettiva zonizzazione prevista dallo
strumento urbanistico generale», cosicché «non può considerarsi legittima
una quantificazione degli oneri di urbanizzazione che applichi le tariffe di
una tipologia zona ad un intervento edilizio da realizzarsi su di una zona
connotata da differente vocazione».
---------------
1. L’oggetto del presente giudizio è costituito dal provvedimento del Comune
di Barletta prot. n. 12751 dell’11.04.2000, con cui sono stati determinati
l’oblazione e degli oneri concessori relativi all’istanza di condono
presentata, ai sensi dell’articolo 39 della legge numero 724 del 1994, dalla
Pl. s.r.l. per la sanatoria di una tettoia abusivamente realizzata.
2. Avverso tale provvedimento, la Pl. s.r.l. ha proposto il ricorso di primo
grado n. 1326 del 2000, dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per la
Puglia, sede di Bari.
Il Comune di Barletta non si è costituito nel giudizio di primo grado.
3. Con l’impugnata
sentenza 22.03.2010 n. 1097, il Tar per la Puglia, sede di Bari,
sezione seconda, ha accolto il ricorso e ha condannato il Comune di Barletta
al pagamento in favore della Pl. s.r.l. delle spese di lite, liquidate in
euro 1.000.
In particolare, il collegio di primo grado ha stabilito che il contributo
per gli oneri di urbanizzazione vada ricalcolato sulla base della
destinazione d’uso d’impresa dell’opera abusiva (artigianale-produttiva),
anziché, come effettuato dall’amministrazione comunale, sulla destinazione
di zona (agricola).
4. Con ricorso ritualmente notificato e depositato –rispettivamente in data
14.03.2011 e 09.04.2011– il Comune di Barletta ha interposto appello avverso
la su menzionata sentenza, articolando un unico motivo.
...
9. L’appello è fondato e deve essere accolto alla stregua delle seguenti
considerazioni in fatto e diritto.
10. Il Collegio condivide la tesi sostenuta dall’appellante per cui il
parametro per la determinazione degli oneri va riferito al criterio della
destinazione urbanistica della zona e non alla concreta destinazione d’uso
dell’immobile; diversamente opinando, invero, il quantum dovuto
all’amministrazione verrebbe modificato in base ad un comportamento del
privato, peraltro integrante un abuso delizio, seppur successivamente
sanato. È inoltre congruo che una medesima opera, ancorché abusiva, sia
chiamata a contribuire in modo diverso a seconda della zona in cui ricade,
differente essendo la dotazione delle opere di urbanizzazione primaria e
secondaria delle varie zone.
In tal senso si è espressa altresì la giurisprudenza amministrativa,
affermando che «non è consentito scorporare il criterio di
quantificazione degli oneri di urbanizzazione dalla effettiva zonizzazione
prevista dallo strumento urbanistico generale», cosicché «non può
considerarsi legittima una quantificazione degli oneri di urbanizzazione che
applichi le tariffe di una tipologia zona ad un intervento edilizio da
realizzarsi su di una zona connotata da differente vocazione» (Consiglio
di Stato, sezione IV, 27.07.2018, n. 1187).
Va per di più evidenziato che il Consiglio di Stato ha adottato tale
ricostruzione anche con riferimento alla specifica situazione della Regione
Puglia, precisando che: «La norma sancita dall’art. 5, co. 1, lett. c),
l. n. 10 del 28.01.1977 –applicabile ratione temporis e confluita
successivamente nell’art. 16, co. 4, lett. c), t.u. edilizia (d.lgs. n. 380
del 06.06.2001)– nell’individuare gli elementi che l’amministrazione
comunale deve prendere in considerazione per determinare gli oneri di
urbanizzazione, inter alios, si riferisce
«alle
destinazioni di zona previste negli strumenti urbanistici vigenti».
Sulla scorta del puntuale dato positivo:
a) si ritiene in linea generale che non sia consentito scorporare
il criterio di quantificazione degli oneri di urbanizzazione dalla effettiva
zonizzazione prevista dallo strumento urbanistico generale (cfr. Cons. giust.
Amm., 02.03.2007, n. 64; Cons. St., sez. V, 12.10.2004, n. 6564, che ha
ritenuto illegittima una quantificazione degli oneri che applichi le tariffe
relative alle zone di completamento anche a quelle di espansione attesa la
sostanziale diversità dei costi urbanistici afferenti le due distinte zone);
b) conseguentemente si ammette solo in via sussidiaria, e comunque
per il perseguimento di preminenti interessi pubblici, che l’ente locale
possa valorizzare ulteriori parametri per la determinazione degli oneri di
urbanizzazione, fermo restando il loro aggancio con il carico urbanistico
individuabile per la relativa zona (cfr. Cons. St., sez. IV, 31.12.2007, n.
6834, che ha ritenuto tale l’esigenza di favorire interventi di recupero
edilizio in centro storico)» (Consiglio di Stato, sezione V, 26.03.2009,
n. 1804).
È d’uopo, infine, rilevare che il Consiglio di Stato ha accolto altre
impugnazioni proposte dal Comune di Barletta in giudizi analoghi a quello
per cui è causa, osservando che: «l’art. 5, comma 1, lett. c), della
legge n. 10 del 1977 (…) nel porre le basi della disciplina generale degli
oneri di urbanizzazione, stabilisce che le relative tabelle parametriche
regionali devono essere commisurate “alle destinazioni di zona previste
negli strumenti urbanistici vigenti”.
E siffatta indicazione legislativa statale è stata puntualmente recepita dal
legislatore regionale pugliese con la L.R. n. 6/1979 (il cui art. 20, come
sostituito dalla successiva L.R. n. 66/1979, richiama appunto i Comuni a
determinare “i costi di urbanizzazione per le varie zone del territorio
comunale, sulla base delle tabelle B) ed H) della presente legge”).
Con specifico riguardo al condono edilizio va ricordato che l’art. 37 della
legge statale n. 47 del 1985, dopo avere puntualizzato che il versamento
dell’oblazione non esime dalla corresponsione del contributo previsto
dall’art. 3 della legge n. 10 del 1977 per il rilascio della concessione,
ammetteva già la possibilità per le Regioni di modificare, ai fini della
sanatoria, le norme di attuazione della legge medesima, commisurando il
contributo di concessione, tra l’altro, alla destinazione d’uso della
singola costruzione, con il limite che la nuova misura non fosse inferiore
al 50% dell’ammontare che sarebbe scaturito dalle disposizioni già vigenti.
In proposito poi è intervenuta, sempre a livello nazionale, l’analoga
previsione dell’art. 39, comma 13, della legge n. 724 del 1994, come
integrato dalla legge 23.12.1996 n. 662, ossia la norma che il Giudice di
prime cure ha posto sostanzialmente a base della propria decisione. La
norma, peraltro, si è limitata a stabilire, giusta quanto già previsto
dall’art. 37 della legge n. 47/1985, che le Regioni possono modificare le
loro norme di attuazione della legge n. 10 del 1977, e commisurare
senz’altro il contributo di concessione alla destinazione d’uso delle
costruzioni: ciò, però, entro il termine perentorio di 90 giorni, decorsi i
quali si applicano le norme già vigenti.
Orbene, come deduce l’Amministrazione appellante, il legislatore regionale
non si è avvalso della specifica previsione appena detta. Invero la L.R. n.
14 del 1997, con il suo art. 1, si limita a stabilire -per quanto qui
rileva- che “il contributo per opere di urbanizzazione primaria e secondaria
per il rilascio della concessione in sanatoria è pari a quello determinato
dal Comune in base alle leggi regionali 12.02.1979, n. 6, e 31.10.1979, n.
66”.
Vale a dire che essa si richiama semplicemente alle norme regionali generali
della materia (come del resto già faceva la L.R. n. 26/1985, all’art. 9, a
fronte della simile facoltà accordata dall’art. 37 della legge n. 47 del
1985), regole le quali sono appunto calibrate sulla considerazione delle
singole destinazioni di zona» (Consiglio di Stato, sezione V, sentenze
19.07.2013, numeri 3934, 3936, 3937, 3938 e 3939).
In sostanza, nella determinazione degli oneri in questione deve aversi
riguardo, nel contesto regionale pugliese e secondo le regole generali, alla
destinazione di zona dell’ambito urbanistico che racchiude l’immobile
interessato dal condono, indipendentemente dalla particolare destinazione
d’uso propria di quest’ultimo.
11. In conclusione l’appello deve essere accolto e, pertanto, in totale
riforma della sentenza impugnata, va respinto il ricorso di primo grado, con
conseguente integrale conferma del provvedimento del Comune di Barletta prot.
n. 12751 dell’11.04.2000
(Consiglio di Stato, Sez. II,
sentenza 21.10.2019 n.
7097 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Disciplina
applicabile per la determinazione del
contributo di concessione e della
monetizzazione degli standard.
Il contributo di
concessione va determinato con riferimento
alla disciplina, legislativa e
regolamentare, vigente al momento del
rilascio del titolo edilizio, che segna il
perfezionamento della fattispecie
concessoria (o autorizzatoria, a seconda
della tipologia di titolo edilizio).
La rideterminazione del contributo di
costruzione può effettuarsi solo in caso di
errore di calcolo rispetto al contributo
dovuto in base alla situazione di fatto e
alla disciplina vigente al tempo del
rilascio del titolo; principio valevole
anche in caso di monetizzazione di standard,
in quanto la fonte dell’obbligazione è
comunque costituita dal provvedimento
assentivo dell’intervento, sia esso un atto
espresso del Comune o un atto privato
rispetto al quale l’Amministrazione non
esercita alcun potere inibitorio.
A non diversa conclusione può condurre la
ritenuta applicazione delle nuove
disposizioni del P.G.T. operante in regime
di salvaguardia; infatti, occorre
considerare che la normativa relativa alle
misure di salvaguardia ha lo scopo di
evitare la realizzazione di interventi che
nelle more dell'approvazione degli strumenti
urbanistici adottati possono compromettere
l'assetto del territorio programmato dal
Comune, vanificandone la sua concreta
attuazione e, proprio per ovviare a tali
inconvenienti, la legge ha stabilito che a
decorrere dalla data della deliberazione di
adozione dei piani regolatori generali e
fino all'emanazione del decreto di
approvazione il dirigente dell'ufficio
comunale sia obbligato a sospendere ogni
determinazione in ordine ai progetti che
risultino in contrasto con le relative
previsioni.
Le misure di salvaguardia sono, quindi,
unicamente finalizzate ad evitare
l’immediata realizzazione di interventi che
ledano le scelte programmatorie del Comune
quali risultanti dall’adozione del nuovo
piano, ma non si traducono in una
applicazione anticipata delle previsioni
contenute in quest’ultimo; in particolare,
ove l’intervento risulti in sé legittimo e,
come tale, si sottragga alla preclusione
temporanea di cui all’articolo 12, comma 3,
del D.P.R. 380/2001, non può neppure
configurarsi la ratio sottesa alle misure di
salvaguardia al solo fine di dare attuazione
anticipata alle diverse regole in tema di
determinazione degli standards e
quantificazione del contributo di
costruzione.
---------------
Il contributo per
oneri di urbanizzazione e costo di
costruzione per le opere oggetto di una
concessione in variante dev’essere calcolato
sommando le opere dei due titoli edilizi
assentiti (concessione originaria e
variante), scomputando quanto già pagato al
momento del rilascio del titolo originario.
Per la concessione in variante, però, la
quota percentuale della parte del contributo
commisurato al costo di costruzione delle
opere ad essa riferite deve essere calcolata
con riferimento alle norme vigenti al
momento del rilascio della variante stessa
e, come detto, limitatamente alle opere che
ne costituiscono oggetto, escludendo cioè
quelle già considerate (e quantificate) al
momento del rilascio della concessione
originaria.
Con la concessione in variante
il Comune deve quindi determinare, in via di
conguaglio gli oneri e il corrispondente
contributo non in relazione all'intero
complesso in via di realizzazione, ma con
riferimento alle sole opere nuove e
ulteriori volumetrie assentite con la
concessione in variante, da calcolare sulla
base del nuovo parametro vigente al momento
del rilascio del titolo in variante.
Sulla
complessiva somma dovuta per oneri, da
quantificarsi come sopra, va poi scorporata
la somma già versata dalla società
ricorrente.
---------------
MASSIMA
11. In relazione al secondo motivo di
ricorso vanno richiamati, in primo luogo, i
principi posti a sostegno dell’ordinanza
cautelare n. 1325/2018. Punto d’abbrivio per
la disamina del motivo è, infatti, il
consolidato principio secondo cui “il
contributo di concessione va determinato con
riferimento alla disciplina, legislativa e
regolamentare, vigente al momento del
rilascio del titolo edilizio, che segna il
perfezionamento della fattispecie concessoria (o autorizzatoria, a seconda
della tipologia di titolo edilizio)”
(Consiglio di Stato, sez. VI, 07.05.2015,
n. 2294; nello stesso senso, ex plurimis: Id.,
Sez. IV, 07.06.2012, n. 3379; Id., Sez.
IV, 25.06.2010, n. 4109; Id, Sez. V, 13.06.2003, n. 3332; v., inoltre, nella
giurisprudenza della Sezione, TAR per la
Lombardia – sede di Milano, sez. II, 31.08.2018, n. 2039).
La rideterminazione
del contributo di costruzione può
effettuarsi solo in caso di errore di
calcolo rispetto al contributo dovuto in
base alla situazione di fatto e alla
disciplina vigente al tempo del rilascio del
titolo (cfr., Consiglio di Stato, Sez. IV,
12.06.2017, n. 2821).
Principio valevole
anche in caso di monetizzazione di standards,
in quanto la fonte dell’obbligazione è
comunque costituita dal provvedimento
assentivo dell’intervento, sia esso un atto
espresso del Comune o un atto privato
rispetto al quale l’Amministrazione non
esercita alcun potere inibitorio. Aspetto
che, pertanto, rende indifferente ai fini in
esame la differente natura di tale pretesa
rispetto a quella relativa al costo di
costruzione (cfr., Consiglio di Stato, Sez.
IV, 28.12.2012, nn. 6706, 6707 e 6708,
nonché l’ulteriore giurisprudenza richiamata
nell’ordinanza cautelare n. 1325/2018 della
Sezione).
11.1. Secondo l’elaborazione effettuata al
precedente punto la quantificazione degli standards deve, quindi, determinarsi in
ragione della normativa vigente all’epoca
della formazione dell’effettivo titolo che
costituisce la fonte o il presupposto di
tale obbligazione. Inoltre, a non diversa
conclusione può condurre la ritenuta
applicazione delle nuove disposizioni del
P.G.T. operante in regime di salvaguardia;
infatti, occorre considerare che “la
normativa relativa alle misure di
salvaguardia ha lo scopo di evitare la
realizzazione di interventi che nelle more
dell'approvazione degli strumenti
urbanistici adottati possono compromettere
l'assetto del territorio programmato dal
Comune, vanificandone la sua concreta
attuazione e […], proprio per ovviare a tali
inconvenienti, la legge ha stabilito che a
decorrere dalla data della deliberazione di
adozione dei piani regolatori generali e
fino all'emanazione del decreto di
approvazione il dirigente dell'ufficio
comunale sia obbligato a sospendere ogni
determinazione in ordine ai progetti che
risultino in contrasto con le relative
previsioni” (Consiglio di Stato, sez. IV, 20.01.2014, n. 257).
Le misure di
salvaguardia sono, quindi, unicamente
finalizzate ad evitare l’immediata
realizzazione di interventi che ledano le
scelte programmatorie del Comune quali
risultanti dall’adozione del nuovo piano, ma
non si traducono in una applicazione
anticipata delle previsioni contenute in
quest’ultimo.
In particolare, ove
l’intervento risulti in sé legittimo e, come
tale, si sottragga alla preclusione
temporanea di cui all’articolo 12, comma 3,
del D.P.R. 380/2001, non può neppure
configurarsi la ratio sottesa alle misure di
salvaguardia al solo fine di dare attuazione
anticipata alle diverse regole in tema di
determinazione degli standards e
quantificazione del contributo di
costruzione.
11.3. Declinando i principi esposti al caso
all’attenzione del Collegio si osserva che
la pretesa comunale si riferisce ad un
complesso intervento attuato in forza di una
pluralità di titoli edilizi.
In particolare,
secondo l’Amministrazione comunale,
“l’operatore, con le d.i.a. in variante
essenziale, ed in particolare con l’ultima
d.i.a. del 2014, [apporta] modifiche
progettuali incidenti sui parametri
urbanistici e sulle volumetrie, con modifica
dei prospetti, (pag. 2 d.i.a.; relazione
tecnica progettista all. doc. 9); tale
variante essenziale comporta il ricalcolo
del contributo concessorio. L’intervento
edilizio, da ultimo legittimato con d.i.a.
2014, risulta dunque soggetto alle
disposizioni del PGT, adottato in data
14.07.2010 ed entrato in vigore dal
21.11.2012” (foglio 4 della memoria
conclusiva del comune di Milano).
11.3.1. La prospettazione comunale non è,
tuttavia, condivisibile.
Gli interventi
legittimati con le denunce di inizio
attività del 29.03.2011 e del 25.05.2012 risultano, infatti, assoggettate alla previgente disciplina operante sul
territorio comunale e non alle disposizioni
del nuovo P.G.T., adottato in data 14.07.2010 ed entrato in vigore dal 21.11.2012. Come spiegato in precedenza, le nuove
disposizioni non operano retroattivamente né
simili regole possono qualificarsi come
misure di salvaguardia per le ragioni
esposte al punto 11.2 della presente
sentenza a cui si rinvia.
11.3.2. Un diverso discorso vale per gli
interventi realizzati in forza della denunce
di inizio attività del 30.11.2012 e
del 04.08.2014, trattandosi di titoli
formatisi dopo l’entrata in vigore dello
strumento urbanistico. Tale circostanza non
comporta, tuttavia, l’applicazione della
previsione di cui all’articolo 9.1.1. del P.G.T. all’insieme delle opere realizzate
anche in forza di titoli precedenti
all’entrata in vigore dello strumento
urbanistico. Diversamente opinando, si
determinerebbe l’applicazione di una nuova e
diversa normativa per un intervento regolato
da una cornice diversa.
In tale situazione,
opera, al contrario, il principio affermato
dalla sentenza del TAR per il Molise,
sez. I, 05.03.2018, n. 118 (richiamata, in
memoria difensiva finale, anche da parte
ricorrente), secondo cui “il contributo per
oneri di urbanizzazione e costo di
costruzione per le opere oggetto di una
concessione in variante dev’essere calcolato
sommando le opere dei due titoli edilizi
assentiti (concessione originaria e
variante), scomputando quanto già pagato al
momento del rilascio del titolo originario.
Per la concessione in variante, però, la
quota percentuale della parte del contributo
commisurato al costo di costruzione delle
opere ad essa riferite deve essere calcolata
con riferimento alle norme vigenti al
momento del rilascio della variante stessa
e, come detto, limitatamente alle opere che
ne costituiscono oggetto, escludendo cioè
quelle già considerate (e quantificate) al
momento del rilascio della concessione
originaria. Con la concessione in variante
il Comune deve quindi determinare, in via di
conguaglio gli oneri e il corrispondente
contributo non in relazione all'intero
complesso in via di realizzazione, ma con
riferimento alle sole opere nuove e
ulteriori volumetrie assentite con la
concessione in variante, da calcolare sulla
base del nuovo parametro vigente al momento
del rilascio del titolo in variante. Sulla
complessiva somma dovuta per oneri, da
quantificarsi come sopra, va poi scorporata
la somma già versata dalla società
ricorrente” (cfr., inoltre, TAR per la
Sardegna, sez. II, 28.11.2013, n.
780).
Ne consegue che l’eventuale pretesa
comunale può fondarsi solo sui nuovi titoli
e sull’incidenza delle opere con essi
assentite senza effettuare alcun computo
complessivo delle opere (e di conseguenza
delle somme ritenute dovute).
In ragione di quanto esposto, il
provvedimento comunale deve essere
annullato, fatte salve le ulteriori
eventuali determinazioni
dell’Amministrazione da effettuarsi nel
rispetto dei principi affermati dalla
presente sentenza
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 01.10.2019 n. 2085 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
settembre 2019 |
|
EDILIZIA PRIVATA: E'
costante la giurisprudenza nell'affermare la natura reale o “propter rem”
delle obbligazioni di pagamento degli oneri di urbanizzazione e dei costi di
costruzione (nonché delle sanzioni per ritardato pagamento) sicché le stesse, caratterizzate
dalla stretta inerenza alla res e destinate a circolare unitamente ad essa
per il carattere dell'ambulatorietà che le contraddistingue, gravano anche
sull'acquirente nel caso di trasferimento del bene.
Invero, ribadendo un costante principio giurisprudenziale, l'obbligazione in
solido per il pagamento degli oneri di urbanizzazione e la natura reale
dell'obbligazione riguardano i soggetti che stipulano la convenzione, quelli
che richiedono la concessione e quelli che realizzano l'edificazione, nonché
i loro aventi causa.
---------------
6.1. La controversia de qua ruota intorno alla natura della
obbligazioni di pagamento degli oneri di urbanizzazione.
Il Collegio, al riguardo, rammenta che è costante la giurisprudenza (cfr.
Cons. Stato, sez. IV, 30.11.2011, n. 6333; Id., sez. IV, 23.11.2018, n. 6624; Cass. civ., sez. II,
09.06.2011, n. 12571; Id. sez. III,
17.06.1996, n. 5541) nell'affermare la natura reale o “propter rem”
delle obbligazioni di pagamento degli oneri di urbanizzazione e dei costi di
costruzione (nonché delle sanzioni per ritardato pagamento, cfr. Cons.
Stato, sez. IV, 01.04.2011, n. 2037), sicché le stesse, caratterizzate
dalla stretta inerenza alla res e destinate a circolare unitamente ad essa
per il carattere dell'ambulatorietà che le contraddistingue, gravano anche
sull'acquirente nel caso di trasferimento del bene.
Invero, ribadendo un costante principio giurisprudenziale, l'obbligazione in
solido per il pagamento degli oneri di urbanizzazione e la natura reale
dell'obbligazione riguardano i soggetti che stipulano la convenzione, quelli
che richiedono la concessione e quelli che realizzano l'edificazione, nonché
i loro aventi causa (da ultimo Cons. Stato, sez. IV, 15.05.2019 n. 3141) (CGARS,
sentenza 30.09.2019 n. 848 - link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Circa
la prescrizione per la riscossione degli oneri di urbanizzazione, risulta
pacifica l'applicazione dell'ordinario termine decennale ex art. 2946 c.c..
Al riguardo, detto termine decorre dalla data in cui il credito può essere fatto
valere, ossia dal momento del rilascio della concessione, poiché è da tale
momento che l'amministrazione determina (o può determinare) i relativi
importi e che, di conseguenza, il relativo diritto può esser fatto valere
(art. 2935 c.c.).
---------------
8.
Quanto alla dedotta prescrizione per la riscossione degli oneri di
urbanizzazione, premesso che risulta pacifica l'applicazione dell'ordinario
termine decennale ex art. 2946 c.c., il Collegio deve osservare che:
a) detto termine decorre dalla data in cui il credito può essere fatto
valere, ossia dal momento del rilascio della concessione, poiché è da tale
momento che l'amministrazione determina (o può determinare) i relativi
importi e che, di conseguenza, il relativo diritto può esser fatto valere
(art. 2935 c.c.) (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 05.07.2018, n. 4123; Id.,
sez. IV, 26.02.2013, n. 1188; Id., 03.10.2012, n. 5201; Id., 19.01.2009, n. 216) (CGARS,
sentenza 30.09.2019 n. 848 - link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Doppio
limite di destinazione sulle entrate da oneri di urbanizzazione per
interventi finanziati da terzi.
L'utilizzazione degli oneri di urbanizzazione, rispetto ai quali per gli
anni 2016 e 2017 il legislatore ha permesso agli enti locali una deroga al
principio di generica destinazione a spese di investimento, a partire
dall'anno 2018 potrà avvenire in via esclusiva per le sole finalità indicate
dalla normativa (articolo 1, comma 460, della legge 232/2016) con la
conseguenza che, altre destinazioni volute dall'ente, sono da considerare
illegittime in quanto disposte in violazione di legge.
Inoltre, nel caso in
cui l'ente abbia destinato sin dall'inizio quelle risorse finanziarie come
quota di co-partecipazione al finanziamento regionale per specifici
interventi, non potrà successivamente destinare eventuali economie, fino
alla propria quota di partecipazione originaria, per utilizzare queste
risorse finanziarie per una destinazione diversa da quella originaria del
finanziamento ricevuto (nel caso di specie per manutenzione straordinaria
delle strade comunali).
Sono queste le conclusioni contenute nel
parere 23.09.2019 n. 70 della Corte dei Conti del Piemonte.
Il caso presentato dall'ente locale
All'esito di un appalto di lavoro per la manutenzione straordinaria delle
strade comunali, finanziata in parte con oneri di urbanizzazione dall'ente
locale e per la parte restante da uno specifico finanziamento regionale,
sono risultate economie pari alla quota destinata dal Comune.
In ragione di
difficoltà finanziarie e dell'impossibilità di coprire alcune spese
correnti, è stato chiesto ai giudici contabili la legittimità di utilizzo di
quelle economie realizzate per coprire spese correnti istituzionali e
obbligatorie, avendo l'ente locale eliminato già tutte le spese
discrezionali.
A supporto della decisione della copertura a spese correnti
degli oneri di urbanizzazione è stato evidenziano dall'ente locale un
recente indirizzo della Sezione della Lombardia (deliberazione n. 81/2017)
secondo il quale sarebbe consentito finanziare la spesa corrente anche con
entrate in conto capitale derivanti dalla vendita del patrimonio comunale e
dagli oneri di urbanizzazione.
Il doppio vincolo di destinazione
Il collegio contabile piemontese ha ricordato che l'utilizzazione dal 2018
delle entrate da oneri di urbanizzazione potrà avvenire esclusivamente
all'interno delle sole sette categorie di spese individuate in dettaglio
dall'articolo 1, comma 460, della legge 232/2016 (come modificato dal Dl
148/2017), attinenti prevalentemente a spese in conto capitale.
A
differenza, quindi, degli anni precedenti (2016 e 2017), il legislatore ha
ritenuto di privilegiare, a partire dall'anno 2018, un utilizzo prevalente
per spese in conto capitale delle entrate da oneri di urbanizzazione, e nel
disciplinare il principio ha specificato che la destinazione debba avvenire
«senza vincoli temporali».
In altri termini, i proventi da «oneri di
urbanizzazione» cessano di essere entrate con destinazione generica a spese
di investimento per divenire entrate vincolate alle determinate categorie di
spese, comprese quelle correnti, limitatamente agli interventi di
manutenzione ordinaria sulle opere di urbanizzazione primaria e secondaria.
Precisato il primo vincolo, il collegio contabile entra anche nel merito del
caso concreto, ossia della destinazione impressa dall'ente locale sin
dall'inizio per la co-partecipazione alle spese del finanziamento ricevuto
dalla Regione per la manutenzione straordinaria delle strade. In questo
caso, l'economia realizzata dall'appalto, coincidente con le risorse
iniziali stanziate dall'ente locale, non potrà che fare riferimento alla
manutenzione straordinaria di strade comunali, così come stabilito sin
dall'inizio dalla Regione che ha concesso il finanziamento.
In altri termini, la destinazione iniziale prevista nel finanziamento non
permette all'ente locale di poterla successivamente mutare, dato il vincolo
di destinazione al trasferimento di risorse finanziarie deciso
dall'amministrazione regionale (articolo Quotidiano Enti Locali & Pa del
09.10.2019).
---------------
PARERE
Con nota indicata in epigrafe il Commissario Prefettizio del Comune
di Moncestino (AL), premesso che:
- l’Ente, a seguito della riduzione dei trasferimenti da parte
dello Stato, delle varie spending review e delle nuove regole del
pareggio di bilancio, ha scarsissime risorse finanziarie per sostenere le
spese correnti necessarie per assicurare alcuni standard dei servizi
istituzionali;
- la situazione di difficoltà finanziaria dell’Ente si è
ulteriormente aggravata a seguito della circostanza che, essendo le ultime
elezioni amministrative risultate nulle, è stata necessaria, al fine di
assicurare la provvisoria gestione dell’ente medesimo, la nomina di un
Commissario, con il potere del Sindaco, della Giunta e del Consiglio
comunale, al quale è corrisposta una indennità nei termini di legge, a
fronte della rinuncia all’indennità spettante da parte del Sindaco e dei
Componenti della Giunta e del Consiglio comunale uscenti;
- tale circostanza ha comportato il taglio di alcune spese correnti
ritenute “non obbligatorie”, ma comunque necessarie per garantire
alcuni standard istituzionali, e ha aggravato le difficoltà del Comune
concernenti il reperimento delle risorse finanziarie per sostenere tutte le
spese correnti ritenute “obbligatorie” (vale a dire quelle relative
al puntuale pagamento degli stipendi, delle utenze e dell’attività di
sgombero della neve);
- l’Amministrazione comunale, a seguito dell’esecuzione di un
appalto per la manutenzione straordinaria di strade comunali, effettuata con
fondi di finanziamento propri pari a Euro 11.000,00, derivanti da oneri di
urbanizzazione, e con fondi di finanziamento regionali pari a Euro
38.000,00, ha realizzato un’economia pari a Euro 11.000,00;
- la Sezione regionale di controllo per la Lombardia
parere 23.03.2017 n. 81 si è pronunciata nel senso che i Comuni potrebbero finanziare
la spesa corrente anche con entrate in conto capitale derivanti dalla
vendita del patrimonio comunale e dagli oneri di urbanizzazione,
chiede alla Sezione di pronunciarsi circa la possibilità di utilizzo, da
parte del Comune, dell’entrata in conto capitale di Euro 11.000,00,
derivante dalla predetta economia, per il finanziamento delle spese correnti
ritenute “obbligatorie”, negli anni 2019 e 2020.
...
Ciò presupposto, la richiesta in esame attiene sostanzialmente
all’interpretazione delle previsioni normative che disciplinano l’utilizzo
dei proventi derivanti dagli oneri di urbanizzazione, nonché l’utilizzo dei
fondi di finanziamento regionali.
Occorre fare riferimento ai principi generali e alle specifiche disposizioni
di legge che, nel quadro dell’ordinamento finanziario e contabile degli enti
locali, fissano il regime di utilizzazione e di destinazione delle entrate
iscritte a bilancio.
Il principio dell’“unità”, compreso tra i principi contabili generali
fissati dal D.Lgs. 23.06.2011, n. 118 (Allegato 1) e a cui gli enti locali
devono conformare la gestione finanziaria, dopo aver affermato che “è il
complesso unitario delle entrate che finanzia l’amministrazione pubblica e
quindi sostiene così la totalità delle sue spese durante la gestione”,
aggiunge che “le entrate in conto capitale sono destinate esclusivamente
al finanziamento di spese di investimento”; lo stesso principio
stabilisce ancora che “i documenti contabili non possono essere
articolati in maniera tale da destinare alcuni fonti di entrata a copertura
solo di determinate e specifiche spese, salvo diversa disposizione normativa
di disciplina delle entrate vincolate”.
I principi generali dell’Ordinamento, quindi, affermano inequivocabilmente
il divieto di finanziare spese correnti con entrate in conto capitale, che
trova giustificazione anche nell’esigenza di assicurare il mantenimento
degli equilibri di bilancio degli enti locali espressa dall’art. 162, comma
6, del D.Lgs. 10.08.2000, n. 267 (v., in tal senso, Sezione regionale di
controllo per la Lombardia
parere 23.03.2017 n. 81 sopra citata e Sezione regionale
di controllo per la Puglia
parere 12.12.2018 n. 163).
L’utilizzazione di entrate in conto capitale per finanziamento di spese
correnti, in deroga al principio sopra richiamato, può essere autorizzata
solo da specifiche disposizioni di legge quali sono state quelle che,
nell’ultimo decennio, hanno riguardato proprio i proventi derivanti dai c.d.
“oneri di urbanizzazione”.
Con il
parere 09.02.2016 n. 38, cui si rinvia, la
Sezione di controllo per la Lombardia ha ricostruito l’evoluzione
legislativa relativa all’utilizzazione dell’entrate in parola sino al 2016;
successivamente, con il già richiamato
parere 23.03.2017 n. 81, la
stessa Sezione ha ripercorso le disposizioni in vigore per gli anni 2017 e
2018, e, di recente, il già citato
parere 12.12.2018 n. 163 della Sezione Puglia ha nuovamente riesaminato l’intera vicenda.
L’art. 1, comma 737, della legge 28.12.2015, n. 208 (Legge di stabilità per
il 2016) dispone che “per gli anni 2016 e 2017, i proventi delle
concessioni edilizie e delle sanzioni previste dal testo unico delle
disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, di cui al
decreto del Presidente della Repubblica 06.06.2001, n. 380, fatta eccezione
per le sanzioni di cui all'articolo 31, comma 4-bis, del medesimo testo
unico, possono essere utilizzati per una quota pari al 100 per cento per
spese di manutenzione ordinaria del verde, delle strade e del patrimonio
comunale, nonché per spese di progettazione delle opere pubbliche”.
L’art. 1, comma 460, della Legge 11.12.2016, n. 232 (Legge di bilancio per
il 2017), così come modificato dall’art. 1-bis, comma 1, del Decreto Legge
n. 148/2017, dispone viceversa che “a decorrere dal 01.01.2018, i
proventi dei titoli abilitativi edilizi e delle sanzioni previste dal testo
unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 06.06.2001, n. 380,
sono destinati esclusivamente e senza vincoli temporali alla realizzazione e
alla manutenzione ordinaria e straordinaria delle opere di urbanizzazione
primaria e secondaria, al risanamento di complessi edilizi compresi nei
centri storici e nelle periferie degradate, a interventi di riuso e di
rigenerazione, a interventi di demolizione di costruzioni abusive,
all'acquisizione e alla realizzazione di aree verdi destinate a uso
pubblico, a interventi di tutela e riqualificazione dell'ambiente e del
paesaggio, anche ai fini della prevenzione e della mitigazione del rischio
idrogeologico e sismico e della tutela e riqualificazione del patrimonio
rurale pubblico, nonché a interventi volti a favorire l'insediamento di
attività di agricoltura nell'ambito urbano e a spese di progettazione per
opere pubbliche”.
Fino al 2017, pertanto, tali proventi potevano essere destinati totalmente
al finanziamento delle spese correnti elencate dalla Legge di stabilità per
il 2016, in deroga al principio di generica destinazione a spese di
investimento; a decorrere dal 01.01.2018, viceversa, le entrate derivanti
dal rilascio dei titoli abilitativi edilizi e dalle relative sanzioni devono
essere destinati esclusivamente agli specifici utilizzi, attinenti
prevalentemente a spese in conto capitale, indicati dal comma 460, così come
modificato nel 2017 e specificatamente:
1. alla realizzazione e alla manutenzione ordinaria e straordinaria
delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria;
2. al risanamento di complessi edilizi compresi nei centri storici
e nelle periferie degradate;
3. a interventi di riuso e di rigenerazione;
4. a interventi di demolizione di costruzioni abusive;
5. all'acquisizione e alla realizzazione di aree verdi destinate a
uso pubblico;
6. a interventi di tutela e riqualificazione dell'ambiente e del
paesaggio, anche ai fini della prevenzione e della mitigazione del rischio
idrogeologico e sismico e della tutela e riqualificazione del patrimonio
rurale pubblico;
7. a interventi volti a favorire l'insediamento di attività di
agricoltura nell'ambito urbano;
8. a spese di progettazione per opere
pubbliche.
Il Legislatore, quindi, differentemente da quanto avvenuto con riferimento e
limitatamente all’utilizzo nel 2016 e nel 2017, ha ritenuto di privilegiare
nel 2018 un utilizzo prevalente per spese in conto capitale delle entrate da
oneri di urbanizzazione, e nel disciplinare tale principio ha specificato
che tale destinazione debba avvenire “senza vincoli temporali” (v.,
in tal senso, Sezione regionale di controllo per la Puglia
parere 12.12.2018 n. 163
sopra citato).
In sostanza, come la giurisprudenza contabile sul punto ha già affermato,
per effetto della predetta Legge dal 2018 “i proventi da “oneri di
urbanizzazione” cessano di essere entrate con destinazione generica a spese
di investimento per divenire entrate vincolate alle determinate categorie di
spese ivi comprese le spese correnti, limitatamente agli interventi di
manutenzione ordinaria sulle opere di urbanizzazione primaria e secondaria”
(v., in tal senso, Sezione Controllo Lombardia
parere 23.03.2017 n. 81 sopra citata;
sul punto, v. anche la recente
deliberazione 19.07.2019 n. 319 della medesima Sezione, nella quale si esorta l’Ente ad assicurare
l’effettivo conseguimento degli obiettivi individuati dalla Legge n.
232/2016, anche valutando la costituzione di apposito vincolo, al fine di
destinare risorse pari a quelle introitate a titolo di proventi di oneri di
urbanizzazione agli utilizzi previsti dalla norma citata).
Alla luce delle predette considerazioni è possibile affermare, in risposta
al quesito formulato dal Comune di Moncestino, che i
proventi dei titoli abilitativi edilizi e delle sanzioni previste dal Testo
Unico di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 06.06.2001, n. 380
(c.d. “oneri di urbanizzazione”), a partire dall’01.01.2018, possono
essere utilizzati esclusivamente nei limiti dei vincoli stabiliti per il
2018, e senza vincoli temporali, dall’art. 1, comma 460, della legge
11.12.2016, n. 232.
Quanto ancora con riguardo all’utilizzo dei fondi di finanziamento regionale
di cui alla richiesta di parere in esame, non può che farsi riferimento alla
destinazione –presumibilmente per spese di investimento in considerazione
della circostanza che tali fondi sono stati utilizzati dal Comune di
Moncestino per la manutenzione straordinaria di strade comunali– impressa
originariamente a tali fondi dall’Amministrazione regionale concedente il
trasferimento; destinazione che non può essere mutata dall’Ente beneficiario
del trasferimento medesimo.
L’Amministrazione comunale potrà quindi assumere le proprie determinazioni
entro il sopra delineato quadro di riferimento. |
EDILIZIA PRIVATA: La
demolizione e fedele ricostruzione dell’originario edificio, quanto a sagoma
e volumetria, non sconta il pagamento degli oo.uu. poiché non v'è incremento
del carico urbanistico.
Se il contributo per oneri di urbanizzazione costituisce un
corrispettivo di diritto pubblico
previsto dal legislatore a titolo di partecipazione ai costi delle opere di
urbanizzazione, ovvero un
contributo speciale che ha la propria causa giuridica nelle maggiori spese
che l'Amministrazione
pubblica deve accollarsi in dipendenza della costruzione dell'edificio e del
connesso utilizzo, da parte
dei detentori del bene, dei servizi e degli spazi circostanti, la sua
debenza non dipende tanto, ai sensi degli artt. 16 e
22 del DPR n. 380/2001,
dalla tipologia del titolo abilitativo richiesto (permesso di costruire o
DIA, oggi SCIA) per la
realizzazione delle opere, quanto, piuttosto, dalla natura e dagli effetti
dell’intervento edilizio posto
in essere. Di aumento o meno, appunto, del carico antropico.
Invero, “il criterio discretivo tra l’intervento di demolizione e
ricostruzione e la nuova costruzione è
costituito, nel primo caso, dall’assenza di variazioni di volume
dell’altezza e della sagoma
dell’edificio per cui, in assenza di tali indefettibili e precise
condizioni, si deve parlare di intervento
equiparabile a nuova costruzione, da assoggettarsi alle regole proprie della
corrispondente attività
edilizia. Detti criteri vanno osservati con particolare rigore, specie a
seguito dell'ampliamento della
categoria della demolizione e ricostruzione operata dal d.lgs. n. 301/2002,
dato che, proprio perché
non vi è più il limite della fedele ricostruzione, si richiede la
conservazione delle caratteristiche
fondamentali dell'edificio preesistente nel senso che debbono essere
presenti gli elementi
fondamentali, in particolare per i volumi per cui la ristrutturazione
edilizia, per essere tale e non finire
per coincidere con la nuova costruzione, deve conservare le caratteristiche
fondamentali dell'edificio preesistente e la successiva ricostruzione
dell'edificio deve riprodurre le precedenti linee
fondamentali quanto a sagoma, superfici e volumi”.
Altresì, “il presupposto
dell’onerosità della
trasformazione edilizia … è costituito dal maggior carico urbanistico
determinato dall’intervento, per
cui l’Ente locale deve richiedere il pagamento degli oneri se il peso
insediativo aumenta, mentre non
deve chiedere alcunché se non si verifica alcuna variazione del carico
urbanistico” sicché, per tale
motivo, “è solo nell’ipotesi di <<ristrutturazione ricostruttiva>>
(come definita dalla Giurisprudenza) che gli
oneri di urbanizzazione potrebbero al più ritenersi non dovuti, non anche
quando, in ossequio alla
prescrizione normativa, l’intervento risulti caratterizzato da una
<<trasformazione urbanistica ed
edilizia del territorio>>”.
Il Consiglio di Stato ha, inoltre, precisato al riguardo che “in caso di
intervento di ristrutturazione
edilizia, dal contributo per gli oneri di urbanizzazione deve essere
sottratto l'importo imputabile al
carico urbanistico generato dall'edificio preesistente e, laddove la
costruzione originaria sia stata
realizzata in un periodo antecedente (all’introduzione dell')…istituto del
contributo concessorio, il
relativo onere deve ritenersi assolto virtualmente, visto che, in caso
contrario, verrebbe data
un'inammissibile applicazione retroattiva alla sopravvenuta disciplina impositiva”.
---------------
Con il ricorso in epigrafe il [omissis] ha chiesto al Tribunale di
“accertare il (suo) diritto … all’esenzione dal pagamento degli oneri di
urbanizzazione primaria e secondaria relativi all’intervento di demolizione
e ricostruzione del fabbricato condominiale e… condannare il Comune di Roma
… al rimborso della somma di € 78.518,68 corrisposta… per tale causale,
oltre rivalutazione monetaria ed interessi come per legge”.
...
Con il ricorso in epigrafe il [omissis] ha dedotto:
- a) di aver presentato in
data 31.07.2003 denuncia di
inizio attività dei lavori di demolizione e ricostruzione dell’edificio
condominiale, divenuto del tutto
inagibile a causa di un precario equilibrio strutturale;
- b) di essersi vista
richiedere da Roma Capitale
per tale intervento il pagamento degli oneri di urbanizzazione primaria e
secondaria;
- c) di aver
provveduto “al solo fine di impedire l’interruzione del procedimento
instaurato con il deposito della
DIA” all’elaborazione di una perizia asseverata estimativa per la
determinazione dei suddetti oneri
ed al versamento, “in via cautelativa”, delle relative somme, in data
29.09.2004;
- d) di aver posto in
essere un semplice intervento di recupero edilizio, che si sostanziava nella
demolizione e fedele
ricostruzione dell’originario edificio quanto a sagoma e volumetria e, in
quanto tale, avrebbe dovuto
essere considerato esente da qualsiasi onere contributivo;
- e) di aver
reclamato invano il rimborso
degli oneri versati senza ricevere alcuna risposta dall’Amministrazione
Comunale.
Alla luce di tali circostanze il [omissis] ha, quindi, chiesto al Tribunale
di accertare il suo diritto
all’esenzione dal pagamento degli oneri di urbanizzazione primaria e
secondaria e di condannare
Roma Capitale alla rifusione della somma di € 78.518,68 già corrisposta,
lamentando la violazione
da parte dell’Amministrazione del DPR n. 380/2001 ed eccesso di potere per
travisamento dei fatti,
difetto di istruttoria ed omessa motivazione circa le ragioni alla base
della affermata debenza degli
oneri.
Tali censure sono fondate e meritevoli di accoglimento.
Nel caso di specie, l'intervento edilizio, attuato tramite DIA non ha
comportato un aumento del carico
urbanistico, in quanto ha previsto la demolizione di un fabbricato divenuto
ormai pericolante e la sua
successiva riedificazione con pari volumetria, stessa sagoma e medesimi
prospetti.
L'edificio risultante dalla ristrutturazione ha conservato, dunque, la
stessa volumetria, le medesime
caratteristiche e la stessa destinazione d'uso dell'edificio precedente, non
determinando alcuna
modifica dei parametri e del carico urbanistico.
Se, perciò, il contributo per oneri di urbanizzazione costituisce un
corrispettivo di diritto pubblico
previsto dal legislatore a titolo di partecipazione ai costi delle opere di
urbanizzazione, ovvero un
contributo speciale che ha la propria causa giuridica nelle maggiori spese
che l'Amministrazione
pubblica deve accollarsi in dipendenza della costruzione dell'edificio e del
connesso utilizzo, da parte
dei detentori del bene, dei servizi e degli spazi circostanti, la sua
debenza, come ricordato anche da
Roma Capitale nelle sue difese, non dipende tanto, ai sensi degli artt. 16 e
22 del DPR n. 380/2001,
dalla tipologia del titolo abilitativo richiesto (permesso di costruire o
DIA, oggi SCIA) per la
realizzazione delle opere, quanto, piuttosto, dalla natura e dagli effetti
dell’intervento edilizio posto
in essere. Di aumento o meno, appunto, del carico antropico.
Come evidenziato anche da questo Tribunale (cfr. TAR Lazio, Roma, Sez. II-quater,
06.11.2018 n.
10729) “il criterio discretivo tra l’intervento di demolizione e
ricostruzione e la nuova costruzione è
costituito, nel primo caso, dall’assenza di variazioni di volume
dell’altezza e della sagoma
dell’edificio per cui, in assenza di tali indefettibili e precise
condizioni, si deve parlare di intervento
equiparabile a nuova costruzione, da assoggettarsi alle regole proprie della
corrispondente attività
edilizia. Detti criteri vanno osservati con particolare rigore, specie a
seguito dell'ampliamento della
categoria della demolizione e ricostruzione operata dal d.lgs. n. 301/2002,
dato che, proprio perché
non vi è più il limite della fedele ricostruzione, si richiede la
conservazione delle caratteristiche
fondamentali dell'edificio preesistente nel senso che debbono essere
presenti gli elementi
fondamentali, in particolare per i volumi per cui la ristrutturazione
edilizia, per essere tale e non finire
per coincidere con la nuova costruzione, deve conservare le caratteristiche
fondamentali dell'edificio preesistente e la successiva ricostruzione
dell'edificio deve riprodurre le precedenti linee
fondamentali quanto a sagoma, superfici e volumi”.
La stessa Amministrazione Comunale ha, poi, riconosciuto che “il presupposto
dell’onerosità della
trasformazione edilizia … è costituito dal maggior carico urbanistico
determinato dall’intervento, per
cui l’Ente locale deve richiedere il pagamento degli oneri se il peso
insediativo aumenta, mentre non
deve chiedere alcunché se non si verifica alcuna variazione del carico
urbanistico” e che, per tale
motivo, “è solo nell’ipotesi di <<ristrutturazione ricostruttiva>> (come
definita dalla Giurisprudenza:
Cons. Stato Sez. IV, 07.04.2015 n. 1763; 09.05.2014 n. 2384; 06.07.2012 n. 3970) che gli
oneri di urbanizzazione potrebbero al più ritenersi non dovuti, non anche
quando, in ossequio alla
prescrizione normativa, l’intervento risulti caratterizzato da una
<<trasformazione urbanistica ed
edilizia del territorio>>”.
Dagli atti di causa l’intervento posto in essere dal [omissis] ricorrente
risulta appartenere proprio al genus della “ristrutturazione ricostruttiva”, constando nella demolizione e
nella fedele ricostruzione
di un fabbricato degli anni ’50 che, divenuto ormai pericolante, non
risultava altrimenti recuperabile.
Né l’Amministrazione Comunale, nell’esigere dal ricorrente il pagamento
degli oneri di
urbanizzazione nel corso del procedimento o nell’ambito del presente
giudizio, dinanzi alle precise
doglianze del ricorrente, ha motivato in alcun modo la sua pretesa,
esponendo le ragioni per cui il
carico urbanistico e, dunque, il peso antropico dell’edificio ricostruito
avrebbe dovuto essere
considerato comunque aumentato rispetto a quello del fabbricato precedente,
così da rendere
necessaria un’integrazione di quanto eventualmente già versato.
Il Consiglio di Stato ha, inoltre, precisato al riguardo che “in caso di
intervento di ristrutturazione
edilizia, dal contributo per gli oneri di urbanizzazione deve essere
sottratto l'importo imputabile al
carico urbanistico generato dall'edificio preesistente e, laddove la
costruzione originaria sia stata
realizzata in un periodo antecedente (all’introduzione dell')…istituto del
contributo concessorio, il
relativo onere deve ritenersi assolto virtualmente, visto che, in caso
contrario, verrebbe data
un'inammissibile applicazione retroattiva alla sopravvenuta disciplina impositiva” (cfr. Cons. St.,
Sez. VI; 02.07.2015 n. 3298).
In conclusione, il ricorso deve essere, perciò, accolto, con l’accertamento
della non debenza da parte
del [omissis] ricorrente, per l’intervento di demolizione e ricostruzione
dell’edificio condominiale
con medesima sagoma, altezza, volumetria e destinazione del precedente,
degli oneri di
urbanizzazione e condanna di Roma Capitale alla restituzione delle relative
somme versate da
[omissis] a tale titolo, oltre interessi legali dalla notifica del ricorso.
Trattandosi di un debito di valuta per la restituzione di somme
indebitamente versate, deve essere,
infine, respinta la richiesta di corresponsione della rivalutazione
monetaria
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-bis,
sentenza 12.09.2019 n. 10887 - link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Sulla
illegittimità che il permesso di costruire convenzionato, ex art. 28-bis DPR
380/2001, preveda la corresponsione di un ulteriore contributo a titolo di
“corredo minimo delle prestazioni economiche per servizi”.
Un onere posto a carico del privato diverso ed ulteriore
(ed in aggiunta) rispetto sia al contributo di costruzione che agli oneri di
urbanizzazione non trova riscontro nel dato normativo relativo al "permesso
di costruire convenzionato", atteso che l’art. 28-bis del T.U in materia
edilizia non prevede espressamente la possibilità per l’Amministrazione di
richiedere un diverso ed ulteriore (rispetto agli oneri di urbanizzazione)
contributo per opere di urbanizzazione, ma unicamente che ove “le
esigenze di urbanizzazione possano essere soddisfatte con una modalità
semplificata, è possibile il rilascio di un permesso di costruire
convenzionato”.
Peraltro, se pure è ammissibile che in sede di convezione la parte privata
possa assumere impegni economici più onerosi di quelli teoricamente
stabiliti dalla relativa disciplina normativa, in quanto rientranti nella
libera disponibilità delle parti, nel caso in esame il censurato contributo
risulta unilateralmente fissato in via preventiva in sede di pianificazione,
con la conseguenza che la successiva (vincolata) trasfusione nell’accordo
tra la parte pubblica e privata appare concretizzare una prestazione imposta
che non trova base normativa.
Sotto distinto profilo, va rilevato che parimenti
illegittima sarebbe la previsione censurata ove la stessa fosse da
intendersi come previsione di contributo sovrapponibile all’ordinario
contributo per oneri di urbanizzazione –ipotesi peraltro esclusa
dall’Amministrazione comunale resistente-, in quanto ciò determinerebbe una
ingiustificata duplicazione del corrispettivo di diritto pubblico posto a
carico del costruttore connesso al rilascio del titolo edilizio, quale
partecipazione del titolare ai costi delle opere di urbanizzazione in
relazione ai benefici ottenuti dalla nuova costruzione.
---------------
Con il presente gravame, originariamente proposto quale ricorso
straordinario al Presidente della Repubblica e, successivamente, trasposto
in sede giurisdizionale a seguito di opposizione del Comune di
Scanzorosciate, la società La.S. e l’avv. Le.Ge. hanno impugnato la variante
al PGT n. 61 del 27.09.2017, assunta dal suddetto Comune, limitatamente alla
parte in cui è stato modificato il PdS con l’estensione del pagamento di una
somma a titolo di “corredo minimo delle prestazioni economiche per
servizi” in aggiunta al costo di costruzione e agli oneri di
urbanizzazione.
I ricorrenti, in particolare, premesso di essere proprietari di terreni
ricadenti in zona denominata “R7.1”, individuata come “Area residenziale
di completamento soggetta a permesso di costruire convenzionato”
sottoposta, a seguito dell’impugnata variante, al suddetto “corredo
minimo”, hanno dedotto le seguenti censure:
1) Violazione del principio di legalità per difetto di potere, in
quanto la previsione del corredo minimo della prestazioni economiche per
servizi –diverso dal costo di costruzione e dagli oneri di urbanizzazione–
non avrebbe copertura legislativa, con conseguente contrasto con l’art. 23
Cost., tenuto che conto che l’art. 16 del d.P.R. 380/2001 e l’art. 43 della
L.R. n. 12/2005 prevedono esclusivamente la corresponsione di un contributo
commisurato all’incidenza degli oneri di urbanizzazione ed al costo di
costruzione, senza attribuire al Comune il potere di stabilire nuovi ed
ulteriori contributi;
2) in via subordinata, illegittimità dell’ammontare del contributo
minimo in conseguenza della illegittima determinazione della dotazione di
servizi da realizzare in funzione dell’utenza, avendo il Comune deciso il
dimensionamento dei servizi in base ad un rapporto ben superiore a quello
previsto dall’art. 9 della L.R. n. 12/2005, dimensionamento illogico ed
irrazionale;
3) in via subordinata, insussistenza dei presupposti per la
previsione del contributo in quanto non vi era necessità di urbanizzazione
dell’area e difetto di motivazione in ordine alla scelta operata dal Comune;
4) in via subordinata, violazione del principio di correttezza e
buona fede per mancato rispetto, senza alcuna motivazione, delle intese
raggiunte con i proprietari dell’area in questione in occasione
dell’approvazione del vigente PGT in base alle quali l’area stessa era stata
resa edificabile senza imposizione del contributo minimo.
Si è costituito in giudizio il Comune di Scanzorosciate, il quale ha
contestato le censure avversarie e chiesto il rigetto del ricorso.
...
Si può prescindere dall’eccezione, sollevata dalla parte ricorrente, di
tardività del deposito della memoria difensiva avversaria, stante la
fondatezza del ricorso in relazione alla censura di cui al primo motivo,
formulato in via principale.
Parte ricorrente sostiene che il contributo per “corredo minimo” sia
aggiuntivo e diverso rispetto al contributo di costruzione e agli oneri di
urbanizzazione, con conseguente illegittimità per violazione delle
disposizioni invocate, non potendo l’Amministrazione comunale imporre di
corrispondere somme aggiuntive in mancanza di copertura legislativa.
Sotto un primo profilo, si rileva che il Comune resistente non afferma,
invero, che tale contributo coincida con il costo di costruzione ovvero con
gli oneri di urbanizzazione, dovendosi dunque ritenere che il medesimo
costituisca effettivamente un onere posto a carico del privato diverso ed
ulteriore (ed in aggiunta) rispetto sia al contributo di costruzione che
agli oneri di urbanizzazione.
L’Amministrazione comunale sostiene che la normativa invocata dai ricorrenti
riguarderebbe unicamente il permesso di costruire ordinario e non quello
convenzionato, cui sarebbe, dunque, da ricollegare l’imposizione del corredo
minimo.
Tale tesi, però, non persuade in quanto non trova riscontro nel dato
normativo relativo al permesso convenzionato, atteso che l’art. 28-bis del
T.U. in materia edilizia non prevede espressamente la possibilità per
l’Amministrazione di richiedere un diverso ed ulteriore (rispetto agli oneri
di urbanizzazione) contributo per opere di urbanizzazione, ma unicamente che
ove “le esigenze di urbanizzazione possano essere soddisfatte con una
modalità semplificata, è possibile il rilascio di un permesso di costruire
convenzionato”.
Peraltro, se pure è ammissibile che in sede di convezione la parte privata
possa assumere impegni economici più onerosi di quelli teoricamente
stabiliti dalla relativa disciplina normativa, in quanto rientranti nella
libera disponibilità delle parti, nel caso in esame il censurato contributo
risulta unilateralmente fissato in via preventiva in sede di pianificazione,
con la conseguenza che la successiva (vincolata) trasfusione nell’accordo
tra la parte pubblica e privata appare concretizzare una prestazione imposta
che non trova base normativa.
La doglianza di parte ricorrente risulta, dunque, fondata.
Sotto distinto profilo, va rilevato che parimenti illegittima sarebbe la
previsione censurata ove la stessa fosse da intendersi come previsione di
contributo sovrapponibile all’ordinario contributo per oneri di
urbanizzazione –ipotesi peraltro esclusa dall’Amministrazione comunale
resistente-, in quanto ciò determinerebbe una ingiustificata duplicazione
del corrispettivo di diritto pubblico posto a carico del costruttore
connesso al rilascio del titolo edilizio, quale partecipazione del titolare
ai costi delle opere di urbanizzazione in relazione ai benefici ottenuti
dalla nuova costruzione.
In ogni caso, la censurata previsione del “corredo minimo delle
prestazioni economiche per servizi” risulta illegittima e deve,
pertanto, essere annullata
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 09.09.2019 n. 798 - link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
ottobre 2019 |
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EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: Secondo
la giurisprudenza della Cassazione «la controversia avente ad oggetto
l'escussione, da parte del Comune, di una polizza fideiussoria concessa a
garanzia di somme dovute per oneri di urbanizzazione e a titolo di penali,
pattuite in una convenzione di lottizzazione, rientra nella giurisdizione
del giudice ordinario e non in quella esclusiva del giudice amministrativo
in materia di urbanistica ed edilizia, attesa l'autonomia tra i rapporti in
questione, nonché la circostanza che, nella specie, la P.A. agisce
nell'ambito di un rapporto privatistico, senza esercitare, neppure
mediatamente, pubblici poteri».
---------------
Circa l'accertamento negativo
dell’inadempimento da parte della ricorrente agli obblighi assunti con la
Convenzione accessoria al piano, occorre premettere che tale accertamento
rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo secondo
quanto previsto dall’art. 133 del c.p.a. secondo il quale sono devolute alla
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, salvo ulteriori
previsioni di legge: a) le controversie in materia di: …. 2) formazione,
conclusione ed esecuzione degli accordi integrativi o sostitutivi di
provvedimento amministrativo.
Occorre poi precisare che la domanda comporta che la ricorrente si faccia
carico dell’onere della prova delle cause che hanno reso l’inadempimento non
imputabile, ai sensi dell’art. 2697 c.c.
Non basta infatti affermare che si tratterebbe di un accertamento negativo
dell’inadempimento per onerare il convenuto dell’onere di provare la
responsabilità dell’inadempimento, in quanto grava sul debitore provare ex
art. 1218 c.c. l’impossibilità non imputabile della prestazione al fine di
paralizzare la richiesta di escussione della fideiussione del creditore. La
ricorrente ha quindi l’onere della prova dei fatti impeditivi, estintivi e
modificativi del diritto dedotto in giudizio, non potendo limitarsi alla
mera allegazione dei fatti ritenuti tali.
---------------
A. La ricorrente proprietaria di alcuni terreni siti nel Comune di Tradate è
parte del Piano Integrato di Intervento via Monte San Michele/via Don
Tornaghi approvato dal Comune di Tradate con la delibera del consiglio
comunale n. 26 del 03/04/2007, il quale prevede la realizzazione di un
comparto Centro Servizi e di un comparto Caserma dei Carabinieri.
Ai sensi della Convenzione Rep. n. 95039 del 19/06/2008, accessoria al
menzionato PII, la ricorrente doveva realizzare direttamente la nuova
Caserma dei Carabinieri per l'importo di € 3.000.000,00, ristrutturare
l'edificio di proprietà comunale sito in via Isonzo destinato ad ospitare la
nuova sede dei Vigili del Fuoco Volontari per un importo massimo di €
160.000,00, nonché, a titolo di urbanizzazione, realizzare una rotatoria tra
la via Allende e la via Monte San Michele per l'importo di € 500.000, opere
queste tutte a scomputo.
A seguito del superamento dei termini per la realizzazione dei lavori
previsti dalla Convenzione Rep. N. 95039 del 19/06/2008, il Comune, con la
nota prot. 11382 del 24/06/2011, qui gravata, ha chiesto direttamente alla
società CO.CO., quale fideiussore della ricorrente, l’escussione
della polizza fideiussoria n. 5072 del 20/04/2010 ed il conseguente
pagamento entro 15 giorni della somma di € 3.100.000,00 per le asserite
inadempienze della Ma. in ordine al mancato completamento delle opere.
La ricorrente per l’annullamento di tale atto e/o per l'accertamento
negativo del diritto del Comune di Tradate di procedere all'escussione della
polizza fideiussoria n. 5072 del 20/04/2010 e per l’accertamento negativo
del proprio inadempimento, ha sollevato i seguenti motivi di ricorso.
...
B2. Venendo all’eccezione di difetto di giurisdizione dell’impugnazione
dell’atto comunale prot. n. 11382, datato 25/06/2011 di escussione della
polizza fideiussoria n. 5072 del 20/04/2010, essa è fondata.
Secondo la giurisprudenza della Cassazione (Cass., Sez. Un., 28.07.2016,
n. 15666), infatti, «la controversia avente ad oggetto l'escussione, da
parte del Comune, di una polizza fideiussoria concessa a garanzia di somme
dovute per oneri di urbanizzazione e a titolo di penali, pattuite in una
convenzione di lottizzazione, rientra nella giurisdizione del giudice
ordinario e non in quella esclusiva del giudice amministrativo in materia di
urbanistica ed edilizia, attesa l'autonomia tra i rapporti in questione,
nonché la circostanza che, nella specie, la P.A. agisce nell'ambito di un
rapporto privatistico, senza esercitare, neppure mediatamente, pubblici
poteri» (Cass., sez. un., 13.06.2012, n. 9592, m. 623047, Cass., sez.un.
23.02.2010, n. 4319, m. 611803).
Di conseguenza, tutte le contestazioni mosse avverso la richiesta di
escussione della polizza fideiussoria, avrebbero dovuto essere dedotte
davanti al giudice ordinario.
B.3 Ne consegue che i primi tre motivi di ricorso sono inammissibili.
B.4 Venendo ora all’esame della domanda subordinata di accertamento negativo
dell’inadempimento da parte della ricorrente agli obblighi assunti con la
Convenzione accessoria al piano, occorre premettere che tale accertamento
rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo secondo
quanto previsto dall’art. 133 del c.p.a. secondo il quale sono devolute alla
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, salvo ulteriori
previsioni di legge: a) le controversie in materia di: …. 2) formazione,
conclusione ed esecuzione degli accordi integrativi o sostitutivi di
provvedimento amministrativo.
Occorre poi precisare che la domanda comporta che la ricorrente si faccia
carico dell’onere della prova delle cause che hanno reso l’inadempimento non
imputabile, ai sensi dell’art. 2697 c.c.
Non basta infatti affermare che si tratterebbe di un accertamento negativo
dell’inadempimento per onerare il convenuto dell’onere di provare la
responsabilità dell’inadempimento, in quanto grava sul debitore provare ex
art. 1218 c.c. l’impossibilità non imputabile della prestazione al fine di
paralizzare la richiesta di escussione della fideiussione del creditore. La
ricorrente ha quindi l’onere della prova dei fatti impeditivi, estintivi e
modificativi del diritto dedotto in giudizio, non potendo limitarsi alla
mera allegazione dei fatti ritenuti tali.
Nel caso di specie la società ricorrente ha ritenuto che l’inadempimento non
fosse a lei imputabile per i seguenti motivi:
a) i disegni della caserma non sono mai stati formalmente
consegnati dopo la specifica richiesta del progettista della Ma. datata
11/03/2009;
b) i disegni della sede dei Vigili del Fuoco sono pervenuti solo in
data 29/05/2009, per cui la ricorrente ha potuto presentare il progetto
esecutivo solo in data 16/06/2009 cioè 2 giorni prima del termine finale per
l’esecuzione dei lavori;
c) per quanto attiene in particolare la caserma dei carabinieri, le
risultanze geologiche hanno comportato un inevitabile slittamento della
pratica costruttiva;
d) la rotatoria è stata poi di fatto "congelata" per meglio
ponderarne le interferenze con la viabilità anche provinciale di imminente
riassetto; e) non sono mai stati approvati dall’amministrazione i progetti
definitivi su cui la Ma. avrebbe dovuto redigere gli esecutivi.
L’azione è infondata.
Per quanto riguarda la lettera a) la ricorrente non ha depositato la
specifica richiesta del progettista della Ma. datata 11/03/2009 per cui non
ha dato piena prova del fatto che la documentazione specificamente
richiamata nel preambolo della Convenzione come facente parte della pratica
edilizia n. 446/05 relativi al progetto riguardante la Caserma dei
Carabinieri, non fosse sufficiente per la realizzazione della caserma.
Per quanto riguarda la lettera b) il termine previsto dalla convenzione per
l’esecuzione dei lavori relativi alla sede dei Vigili del Fuoco, cioè il
18.06.2009, non è termine essenziale previsto dalla Convenzione a pena di
risoluzione dell’accordo, come si desume dall’art. 15 della Convenzione
secondo la quale in caso di ritardo il Comune si riserva la facoltà di
eseguire i lavori direttamente spese del concessionario nel caso in cui il
medesimo non vi abbia provveduto tempestivamente. Ne consegue che la
scadenza di quel termine non è causa di impossibilità della prestazione.
Per quanto riguarda la lettera c) la ricorrente non ha dato prova della
sorpresa geologica.
Per quanto riguarda la lettera d) la ricorrente non ha fornito prova alcuna
del “congelamento” della rotatoria per supposta necessità di migliore
ponderazione delle interferenze con la viabilità.
e) Per quanto riguarda la presunta mancata approvazione dei progetti
esecutivi la ricorrente non ha dato prova di aver presentato una proposta di
approvazione dei progetti definitivi al protocollo comunale.
In definitiva quindi la domanda subordinata di accertamento negativo
dell’inadempimento va respinta
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 23.10.2019 n. 2216 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Le
questioni attinenti alla spettanza e alla liquidazione del contributo per
gli oneri di urbanizzazione sono riservate alla giurisdizione esclusiva del
giudice amministrativo ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. f), cod. proc. amm.; le stesse, poi,
avendo ad oggetto l’accertamento di un rapporto di credito a prescindere
dall’esistenza di atti della P.A., non sono soggette alle regole delle
azioni impugnatorie-annullatorie degli atti amministrativi ed ai rispettivi
termini di decadenza.
---------------
Le obbligazioni di pagamento degli oneri di urbanizzazione e dei costi di
costruzione, e le conseguenti sanzioni per ritardato pagamento, hanno natura
reale o “propter rem”, essendo caratterizzate dalla stretta inerenza alla
res ed essendo perciò destinate a circolare unitamente ad essa, per il
carattere dell’ambulatorietà che le contraddistingue. Ne deriva che le
stesse gravano anche sull’acquirente nel caso di trasferimento del bene.
È stato infatti affermato che “l’obbligazione in solido per il pagamento
degli oneri di urbanizzazione e la natura reale dell’obbligazione riguardano
i soggetti che stipulano la convenzione, quelli che richiedono la
concessione e quelli che realizzano l’edificazione, nonché i loro aventi
causa”.
Analogamente, si è precisato che anche “l’obbligazione di pagamento delle
sanzioni per ritardato pagamento degli oneri concessori va configurata come
propter rem e, quindi, da porsi a carico del soggetto che, in un determinato
momento, si trova in una relazione qualificata con l’immobile”.
---------------
Un’amministrazione comunale ha il pieno potere di applicare, nei confronti
dell’intestatario di un titolo edilizio, la sanzione pecuniaria prescritta
dalla legge per il caso di ritardo ovvero di omesso pagamento degli oneri
relativi al contributo di costruzione anche ove, in caso di pagamento
dilazionato di detto contributo, abbia omesso di escutere la garanzia fideiussoria in esito alla infruttuosa scadenza dei singoli ratei di
pagamento ovvero abbia comunque omesso di svolgere attività sollecitatoria
del pagamento presso il debitore principale.
Ciò in quanto dalla portata
letterale delle disposizioni che integrano il regime sanzionatorio si evince
come l’applicazione dell’aumento di contributo sia correlata al fatto in sé
del suo mancato o non puntuale pagamento da parte dell’obbligato, senza
distinzione alcuna, sul piano delle conseguenze del meccanismo sanzionatorio,
tra l’ipotesi dell’obbligazione del solo debitore, e quella in cui sia stata
prestata una garanzia fideiussoria accessoria per il pagamento del suddetto
contributo.
Non assumendo, pertanto, alcuna rilevanza il comportamento delle parti
diverse dal debitore principale antecedenti al fatto-inadempimento, ciò che
unicamente rileva, nella logica della norma sanzionatoria, è il semplice
mancato pagamento della rata di contributo imputabile al debitore
principale.
Non solo non si rinviene un dovere di “soccorso” dell’amministrazione
comunale nei confronti del beneficiario di un titolo edilizio in ritardo nel
pagamento del contributo di costruzione, ma in senso opposto
l’amministrazione è tenuta, trattandosi di attività vincolata prevista
direttamente dalla fonte normativa di rango primario, all’applicazione delle
sanzioni alla scadenza dei termini di pagamento, senza potersi sottrarre al
potere-dovere di aumentare, in funzione sanzionatoria, l’importo del
contributo dovuto.
---------------
1. In via preliminare, va affermata la giurisdizione del giudice
amministrativo sulla presente controversia, giacché secondo una consolidata
giurisprudenza, condivisa dal Collegio, le questioni attinenti alla
spettanza e alla liquidazione del contributo per gli oneri di urbanizzazione
sono riservate alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai
sensi dell’art. 133, comma 1, lett. f), cod. proc. amm.; le stesse, poi,
avendo ad oggetto l’accertamento di un rapporto di credito a prescindere
dall’esistenza di atti della P.A., non sono soggette alle regole delle
azioni impugnatorie-annullatorie degli atti amministrativi ed ai rispettivi
termini di decadenza (Consiglio di Stato, VI, 07.05.2015, n. 2294; TAR
Lombardia, Milano, II, 10.05.2018, n. 1242).
2. Passando all’esame del merito del ricorso, lo stesso non è fondato; ciò
consente di prescindere dallo scrutinio delle ulteriori eccezioni di
carattere preliminare sollevate dalla difesa del Comune.
3. Con l’unica censura di ricorso si deduce l’illegittimità delle sanzioni
applicate alla ricorrente, avendo la stessa acquistato il mappale n. 853
soltanto dopo la scadenza dei termini di pagamento degli oneri e quindi non
essendo ad essa imputabile il mancato e/o ritardato versamento delle rate
degli stessi; inoltre, il Comune avrebbe aggravato indebitamente la
posizione del soggetto obbligato non provvedendo alla previa escussione
della garanzia fideiussoria, violando in tal modo i canoni della buona fede
e della cooperazione con il privato debitore; infine si contesta l’ammontare
della somma richiesta, corrispondente al 125% delle rate pagate in ritardo,
piuttosto che alla misura del 40% prevista dall’art. 42 del D.P.R. n. 380
del 2001.
3.1. La doglianza è infondata.
Va premesso che nell’atto di compravendita del 15.02.2001 stipulato
con Im.No. s.r.l., la ricorrente ha espressamente dichiarato
“di assumere a suo totale carico gli oneri di urbanizzazione ancora da
versare al Comune” (cfr. all. 7 del Comune). A ciò ha fatto seguito, in
data 16.03.2001, la volturazione in suo favore della concessione edilizia n.
103/1997 da parte del Comune (all. 8 del Comune).
Ulteriormente, va evidenziato che il Comune, in data 26.10.1998, ha
sollecitato la dante causa della ricorrente ad adempiere agli obblighi di
pagamento, a seguito della scadenza del termine (all. 6 del Comune).
A giudizio della parte ricorrente la sanzione conseguente al mancato
versamento delle rate relative agli oneri concessori non avrebbe potuto
essere irrogata nei suoi confronti, stante l’assenza di alcuna
rimproverabilità in capo ad essa e trattandosi di un atto connotato dal
carattere dell’afflittività.
La prospettazione della parte ricorrente non può essere accolta, poiché
secondo un condivisibile orientamento giurisprudenziale, le obbligazioni di
pagamento degli oneri di urbanizzazione e dei costi di costruzione, e le
conseguenti sanzioni per ritardato pagamento, hanno natura reale o “propter
rem”, essendo caratterizzate dalla stretta inerenza alla res ed essendo
perciò destinate a circolare unitamente ad essa, per il carattere dell’ambulatorietà
che le contraddistingue. Ne deriva che le stesse gravano anche
sull’acquirente nel caso di trasferimento del bene.
È stato infatti affermato che “l’obbligazione in solido per il pagamento
degli oneri di urbanizzazione e la natura reale dell’obbligazione riguardano
i soggetti che stipulano la convenzione, quelli che richiedono la
concessione e quelli che realizzano l’edificazione, nonché i loro aventi
causa” (cfr. Consiglio di Stato, IV, 15.05.2019, n. 3141; altresì, C.G.A.,
30.09.2019, n. 848; TAR Sicilia, Palermo, II, 19.10.2017, n. 2402).
Analogamente, si è precisato che anche “l’obbligazione di pagamento delle
sanzioni per ritardato pagamento degli oneri concessori va configurata come propter rem e, quindi, da porsi a carico del soggetto che, in un determinato
momento, si trova in una relazione qualificata con l’immobile” (cfr.
Consiglio di Stato, IV, 01.04.2011, n. 2037).
3.2. Quanto alla parte della censura che eccepisce l’illegittima mancata
previa escussione della garanzia fideiussoria, invece dell’adozione della
sanzione, si deve richiamare, in senso contrario, la pronuncia dell’Adunanza
plenaria del Consiglio di Stato, 07.12.2016, n. 24, secondo la quale
“un’amministrazione comunale ha il pieno potere di applicare, nei confronti
dell’intestatario di un titolo edilizio, la sanzione pecuniaria prescritta
dalla legge per il caso di ritardo ovvero di omesso pagamento degli oneri
relativi al contributo di costruzione anche ove, in caso di pagamento
dilazionato di detto contributo, abbia omesso di escutere la garanzia fideiussoria in esito alla infruttuosa scadenza dei singoli ratei di
pagamento ovvero abbia comunque omesso di svolgere attività sollecitatoria
del pagamento presso il debitore principale”: ciò in quanto dalla portata
letterale delle disposizioni che integrano il regime sanzionatorio si evince
come l’applicazione dell’aumento di contributo sia correlata al fatto in sé
del suo mancato o non puntuale pagamento da parte dell’obbligato, senza
distinzione alcuna, sul piano delle conseguenze del meccanismo sanzionatorio,
tra l’ipotesi dell’obbligazione del solo debitore, e quella in cui sia stata
prestata una garanzia fideiussoria accessoria per il pagamento del suddetto
contributo.
Non assumendo, pertanto, alcuna rilevanza il comportamento delle parti
diverse dal debitore principale antecedenti al fatto-inadempimento, ciò che
unicamente rileva, nella logica della norma sanzionatoria, è il semplice
mancato pagamento della rata di contributo imputabile al debitore
principale.
Non solo non si rinviene un dovere di “soccorso” dell’amministrazione
comunale nei confronti del beneficiario di un titolo edilizio in ritardo nel
pagamento del contributo di costruzione, ma in senso opposto
l’amministrazione è tenuta, trattandosi di attività vincolata prevista
direttamente dalla fonte normativa di rango primario, all’applicazione delle
sanzioni alla scadenza dei termini di pagamento, senza potersi sottrarre al
potere-dovere di aumentare, in funzione sanzionatoria, l’importo del
contributo dovuto (Consiglio di Stato, Ad. Plen., 07.12.2016, n. 24, cit.; sull’inesistenza di un dovere di “soccorso” e sull’estraneità alla
disciplina civilistica, ed in specie all’art. 1944, secondo comma, cod. civ.,
della pretesa che venga previamente escusso il fideiussore, cfr. TAR
Veneto, II, 11.12.2017, n. 1121)
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 11.10.2019 n. 1083 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
giugno 2019 |
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EDILIZIA PRIVATA - PUBBLICO IMPIEGO: Comporta
responsabilità amministrativa l’erroneo calcolo degli oneri di
urbanizzazione posti a carico dei privati ai quali è rilasciata la
concessione edilizia. Il termine di prescrizione decorre dalla data di
rilascio del titolo edilizio.
Fermo restando la concorrente responsabilità degli organi di governo
dell’Ente, causa danno erariale la condotta del responsabile dell’ufficio
tecnico che non abbia segnalato, tra l’altro, la necessità di adottare la
delibera di adeguamento dei costi in esame sulla base delle variazioni
ISTAT.
----------------
FATTO
1. Con la sentenza n. 87/2017, depositata il 06.03.2017 e notificata il
15.05.2017 la Sezione giurisdizionale regionale della Corte dei conti per la
Puglia, in parziale accoglimento della domanda risarcitoria in tal senso
proposta dalla Procura regionale, ha condannato il sig. Fr.Ma., responsabile
del Settore tecnico del Comune di Salve (LE), a pagare a quest’ultimo, la
somma complessiva di euro 10.000,00, omnicomprensivi di rivalutazione
monetaria, oltre interessi, in misura legale, fino al momento del soddisfo.
1.1. Le contestazioni della Procura, condivise dalla sentenza del giudice di
primo grado attengono alla mancata applicazione nel Comune di Salve (LE),
per il periodo dal 2008 al 2011, del corretto valore del costo di
costruzione da utilizzare per la quantificazione del contributo finanziario
a carico dei privati in sede di rilascio dei permessi di costruire.
1.2. La Sezione regionale, dopo avere affermato la concretezza e l’attualità
del danno sin dalla data del rilascio del permesso di costruire ha accolto
parzialmente la domanda attrice, rideterminando il danno addebitabile al Ma.
in euro 16.839,77.
Ha sostenuto la Sezione che la parte di danno relativa al periodo
interessato dagli aggiornamenti disposti dalla Giunta Comunale non può
essere collegata completamente imputata al convenuto, essendo tali decisioni
state assunte dall'organo di governo, e che pertanto nel periodo in cui sono
intervenute le delibere di Giunta (aprile 2009 e giugno 2011), può
quantificarsi pari a due terzi di quello prodottosi nel 2009 (2.927,06) ed
alla metà di quello scaturito per l'anno 2011 (2.742,28).
Rilevato il recupero da parte del Comune, con riguardo alle pratiche
edilizie del 2008 dell'importo di euro 3.090,61 e per quelle relative al
2009 dell'importo di euro 2.235,53, ha portato in diminuzione per intero
dalla somma il primo importo ed il secondo in riduzione nei limiti della
quota di danno addebitata al convenuto per l'anno 2009 ossia pari ad un
terzo.
In applicazione del potere riduttivo dell'addebito ha, poi, rideterminato
l'importo di danno nella misura di euro 10.000,00 comprensivi anche della
rivalutazione monetaria maturata sino alla data di deposito in Segreteria
della decisione; oltre gli interessi in misura legale, calcolati a decorrere
dalla suddetta data sino al soddisfo.
2. Avverso la sentenza ha proposto appello il sig. Ma. rilevando vari motivi
di gravame.
...
DIRITTO
1. La presente fattispecie ha ad oggetto il danno causato al Comune di
Salve (LE) a causa della mancata applicazione nel Comune di Salve (LE), per
il periodo dal 2008 al 2011, del corretto valore del costo di costruzione da
utilizzare per la quantificazione del contributo finanziario a carico dei
privati in sede di rilascio dei permessi di costruire.
Con il primo motivo l’appellante lamenta, sostanzialmente,
l’inattualità del danno, atteso che il Comune può ancora intervenire nel
termine di prescrizione decennale per recuperare la differenza tra i costi
di costruzione riscossi e quelli dovuti.
Il motivo non ha pregio, perché anche se ciò è vero, le relative partite
contabili non risultano in atto incassate, né è certo se mai lo saranno: la
concretezza e l’attualità del danno, infatti, risiede nella perdita
dell’originaria fonte di credito per l’Ente Locale e poiché gli oneri di
costruzione sono stati riscossi in misura inferiore al dovuto, il
procedimento volto al recupero dei differenziali si appalesa, all’attualità,
di esito incerto e non prevedibile, considerato che i contribuenti, per via
del tempo trascorso, potrebbero più facilmente contestarne la legittimità.
La stessa giurisprudenza del giudice amministrativo ritiene che il costo di
costruzione, sia una prestazione patrimoniale di natura impositiva che trova
la sua ratio nell’incremento patrimoniale che il titolare del permesso di
costruire consegue in dipendenza dell’intervento edilizio e che viene
determinato al momento del rilascio della concessione, che costituisce il
fatto costitutivo del relativo obbligo giuridico.
Relativamente alla dedotta assenza dell’elemento soggettivo della colpa
grave rileva preliminarmente il Collegio che, alla luce della posizione
rivestita dall’appellante, nel 2008, così come negli anni successivi, di
responsabile del settore Tecnico del predetto comune, rientrava, senza alcun
dubbio, tra i doveri e gli obblighi intestati a tale tipologia di
funzionario, la vigilanza sull’ammontare degli introiti, da parte del
Comune, relativi al settore di competenza.
Infatti, gli artt. 4 e 11 del D.L.vo n. 165/2001 e 111 del D.L.vo n.
267/2000 stabiliscono che agli amministratori spettano poteri di indirizzo
politico, mentre ai dirigenti la relativa attuazione e la concreta gestione.
D’altronde, la normativa in materia, nazionale e regionale, prevedeva che il
costo di costruzione venisse determinato periodicamente dalle Regioni e
adeguato annualmente sulla base delle variazioni ISTAT.
E che gli adempimenti di cui trattasi rientrassero tra gli atti di gestione,
trattandosi di autorizzazioni e concessioni edilizie da corredare,
necessariamente con la determinazione del relativo quantum da versare, è
fuor di dubbio.
Ma anche a voler considerare, per gli anni 2008 e 2010 l’inerzia dell’organo
politico, che, secondo l’appellante, non avrebbe adottato la deliberazione
annuale di adeguamento dei costi in questione, resta, pur sempre, inalterata
la responsabilità del Martella il quale, in qualità di responsabile del
settore, avrebbe dovuto segnalare tale inadempimento e sollecitarlo al fine
di evitare le conseguenze dannose derivanti dal mancato adeguamento, nel
tempo, del contributo in argomento.
In tal senso la sentenza deve essere confermata.
In ordine al quantum debetaur, invece, osserva il Collegio che la
documentazione depositata nel corso del giudizio, dalla quale risulta per
tabulas che il Comune ha già recuperato la somma di € 3.772,26, relativa
ai contributi di costruzione per l’anno 2008, la somma di € 3.446,62,
relativa ai contributi di costruzione per l’anno 2009; la somma di €
5.796,91, relativa ai contributi di costruzione per l’anno 2010; la somma di
€ 4.065,08, relativa ai contributi di costruzione per l’anno 2011, consente
di potere dichiarare la cessazione della materia del contendere fino alla
concorrenza della somma, di € 8.915,09.
Va infatti, nella determinazione del quantum, seguito il calcolo
operato in sentenza (sulle cui modalità si è formato giudicato), e va tenuto
conto che, ai fini della determinazione del danno al 21.12.2016 è già stato
decurtato, con riguardo alle pratiche edilizie del 2008 l'importo di €
3.090,61 e per quelle relative al 2009 l'importo di € 2.235,53.
Pertanto dalla somma di € 10.000,00 (di cui è condanna) va detratta la somma
di euro somma di € 681.65 (€ 3.772,26 – € 3.090,61) relativa ai contributi
di costruzione per l’anno 2008, la somma di € 403,69 (1/3 di € 3.446,62 – €
2.235,53) relativa ai contributi di costruzione per l’anno 2009; la somma di
€ 5.796,91, relativa ai contributi di costruzione per l’anno 2010; la somma
di € 2.032,84, relativa ai contributi di costruzione per l’anno 2011 ( pari
ad ½ di € 4.065,08).
Per il resto, la sentenza deve essere confermata con il rigetto
dell’appello, fermo restando che, con riferimento alla somma residua pari a
€ 1.084.91, l’interessato potrà far valere –in sede esecutiva– l’eventuale
ulteriore recupero, da parte del Comune, della somma di cui è condanna.
Ogni ulteriore motivo non espressamente affrontato deve ritenersi assorbito
e, in ogni caso, respinto.
Le spese sono compensate ai sensi dell’art. 31, comma 3 c.g.c.
P.Q.M.
La Corte dei Conti - Sezione Terza Centrale d’appello, definitivamente
pronunciando, disattesa ogni contraria istanza, deduzione ed eccezione,
dichiara cessata la materia del contendere fino alla concorrenza di €
8.915,09.
Respinge l’appello e conferma la sentenza impugnata fino alla concorrenza di
€ 1084.91, nei termini di cui in motivazione (Corte dei Conti, Sez. III
centrale d'appello,
sentenza 27.06.2019 n. 127). |
EDILIZIA PRIVATA: La
demolizione/ricostruzione di un fabbricato, addirittura con diminuzione del
volume (nel caso di specie), non deve scontare il pagamento degli oneri di
urbanizzazione poiché non sussiste un incremento del carico urbanistico.
La controversia investe la questione circa la ricorrenza
dei presupposti per l’applicazione degli oneri di urbanizzazione previsti
dall’articolo 16 del dpr 380/2001. Prevede tale disposizione che: “il
rilascio del permesso di costruire comporta la corresponsione di un
contributo commisurato all'incidenza degli oneri di urbanizzazione nonché al
costo di costruzione”.
Invero, mentre il costo di costruzione rappresenta una compartecipazione
comunale all’incremento di valore della proprietà immobiliare, gli oneri di
urbanizzazione svolgono la funzione di compensare la collettività per il
nuovo ulteriore carico urbanistico che si riversa sulla zona a causa della
consentita attività edificatoria. Essi sono pertanto dovuti nel caso di
trasformazioni edilizie che, indipendentemente dall’esecuzione di opere, si
rivelino produttive di vantaggi economici per il proprietario, determinando
un aumento del carico urbanistico. Tale incremento può derivare anche da una
mera modifica della destinazione d’uso di un immobile, mentre può non
configurarsi nell’ipotesi di intervento edilizio con opere.
Secondo consolidata e risalente giurisprudenza il fondamento del contributo
di urbanizzazione pertanto “non consiste nel titolo edilizio in sé, ma nella
necessità di ridistribuire i costi sociali delle opere di urbanizzazione,
facendoli gravare su quanti beneficiano delle utilità derivanti dalla
presenza delle medesime secondo modalità eque per la comunità con la
conseguenza che, anche nel caso di modificazione della destinazione d'uso,
cui si correli un maggiore carico urbanistico, è integrato il presupposto
che giustifica l'imposizione del pagamento della differenza tra gli oneri di
urbanizzazione dovuti per la destinazione originaria e quelli, se più
elevati, dovuti per la nuova destinazione impressa”.
Pertanto “la partecipazione del privato al costo delle opere di
urbanizzazione è dovuta allorquando l'intervento determini un incremento del
peso insediativo con un'oggettiva rivalutazione dell'immobile, sicché
l'onerosità del permesso di costruire è funzionale a sopportare il carico
socio-economico che la realizzazione comporta sotto il profilo urbanistico”.
---------------
Nel caso di specie non può dirsi realizzato un aumento del carico
urbanistico, atteso che gli esponenti hanno trasformato l’edificio
bifamiliare in unifamiliare, riducendone anche la S.L.P. Non ricorre
pertanto il presupposto che giustifica l'imposizione del pagamento degli
oneri di urbanizzazione.
Ne consegue la fondatezza del ricorso, che deve essere accolto, con la
condanna dell’amministrazione comunale resistente alla restituzione degli
oneri di urbanizzazione indebitamente percepiti, pari ad euro 11.446,81,
oltre agli interessi maturati dalla data di notificazione dell'atto
introduttivo del presente giudizio.
Dispone infatti l’articolo 2033 cod. civ. che “chi ha eseguito un pagamento
non dovuto ha diritto di ripetere ciò che ha pagato. Ha inoltre diritto ai
frutti e agli interessi dal giorno del pagamento, se chi lo ha ricevuto era
in mala fede, oppure, se questi era in buona fede, dal giorno della
domanda”. In assenza di prova contraria deve infatti presumersi la buona
fede dell’amministrazione comunale. Non è, invece, dovuta la rivalutazione
monetaria.
---------------
FATTO
1. I signori An.Ma.So. e Da.Vi., proprietari di un fabbricato sito nel
Comune di Cremona, con ricorso depositato in data 22.05.2014 hanno chiesto
l’accertamento della non debenza, e quindi la restituzione, degli oneri di
urbanizzazione imposti dall’amministrazione per l’intervento di
ristrutturazione del loro immobile. Nel corso del giudizio, deceduto il
signor Vi., si sono costituiti in giudizio gli eredi, indicati in epigrafe.
2. Espongono i ricorrenti che l’edificio era originariamente disposto su tre
piani ed aveva utilizzo bifamiliare e che, in ragione del suo stato di
vetustà, lo avevano demolito e ricostruito, trasformandolo in un’unica unità
immobiliare con autorimessa accessoria. La Superficie Lorda di Pavimento (S.L.P.)
era stata ridotta con l’intervento da 180,40 mq a 153,06 mq.
3. L’amministrazione comunale, dopo la richiesta di verifica della non
onerosità della DIA formulata dal tecnico dei proprietari, ha comunicato di
ritenere l’intervento soggetto al contributo concessorio ai sensi
dell’articolo 16 del d.P.R. 380/2001 (Testo unico dell’edilizia) per essere
l’abitazione di carattere bifamiliare.
4. L’importo da versare è stato quantificato in complessivi 19.940,42 euro,
di cui 1.956,72 euro per oneri di urbanizzazione primaria, 9.490,09 per
oneri di urbanizzazione secondaria e 8.493,61 quale costo di costruzione.
5. Con il gravame proposto i ricorrenti censurano la pretesa del comune per
“violazione o falsa applicazione dell’art. 16 del d.P.R. 06.06.2001, n.
380. Eccesso di potere per travisamento dei presupposti di fatto e diritto e
difetto di motivazione”. Denunciano che il contributo per oneri di
urbanizzazione è previsto solo per interventi edilizi che determinano un
aumento del carico urbanistico dell’area in cui è localizzato e che nel caso
di specie detto aumento non si è realizzato, atteso che essi hanno
trasformato un’abitazione bifamiliare in unifamiliare e ne hanno ridotto la
S.L.P.
6. A tale argomento il Comune, costituitosi in giudizio, contrappone il
richiamo al tenore letterale dell’articolo 17, comma 3, lett. b), del d.P.R. 380/2001, che prevede l’esenzione dal contributo di costruzione “per
gli interventi di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore
al 20%, di edifici unifamiliari”, evidenziando che il requisito della
unifamiliarità dell’edificio deve sussistere sia prima che dopo l’intervento
edilizio.
...
DIRITTO
1. Il ricorso è fondato e merita accoglimento.
2. Il comune resistente deduce che l’esonero previsto dall’articolo 17 del
d.P.R. 380/2001 per l’ampliamento di edifici unifamiliari non troverebbe
applicazione al caso di specie, perché l’intervento edilizio di cui è
questione è stato effettuato su un edificio originariamente bifamiliare;
l’amministrazione sottolinea la natura eccezionale delle esenzioni dal
contributo e richiama un precedente conforme pronunciamento di questo
Tribunale.
3. L’argomento non coglie nel segno.
4. La controversia non verte sulla verifica della ricorrenza delle
condizioni poste dal richiamato articolo 17 del Testo unico ai fini
dell’esonero dal contributo di costruzione, ma investe una questione
logicamente antecedente, ovvero la ricorrenza dei presupposti per
l’applicazione degli oneri di urbanizzazione previsti dall’articolo 16 del
medesimo testo normativo.
5. Prevede tale disposizione che: “il rilascio del permesso di costruire
comporta la corresponsione di un contributo commisurato all'incidenza degli
oneri di urbanizzazione nonché al costo di costruzione”.
6. Mentre il costo di costruzione rappresenta una compartecipazione comunale
all’incremento di valore della proprietà immobiliare, gli oneri di
urbanizzazione svolgono la funzione di compensare la collettività per il
nuovo ulteriore carico urbanistico che si riversa sulla zona a causa della
consentita attività edificatoria (TAR Piemonte, sez. I, 21.05.2018, n. 630).
Essi sono pertanto dovuti nel caso di trasformazioni edilizie che,
indipendentemente dall’esecuzione di opere, si rivelino produttive di
vantaggi economici per il proprietario, determinando un aumento del carico
urbanistico. Tale incremento può derivare anche da una mera modifica della
destinazione d’uso di un immobile, mentre può non configurarsi nell’ipotesi
di intervento edilizio con opere.
7. Secondo consolidata e risalente giurisprudenza il fondamento del
contributo di urbanizzazione pertanto “non consiste nel titolo edilizio
in sé, ma nella necessità di ridistribuire i costi sociali delle opere di
urbanizzazione, facendoli gravare su quanti beneficiano delle utilità
derivanti dalla presenza delle medesime secondo modalità eque per la
comunità con la conseguenza che, anche nel caso di modificazione della
destinazione d'uso, cui si correli un maggiore carico urbanistico, è
integrato il presupposto che giustifica l'imposizione del pagamento della
differenza tra gli oneri di urbanizzazione dovuti per la destinazione
originaria e quelli, se più elevati, dovuti per la nuova destinazione
impressa” (Cons. Stato, Sez. V, 30.08.2013, n. 4326; id. ex multis
TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, 04.05.2009, n. 3604; Cons. Stato, Sez. V,
21.12.1994, n. 1563).
Pertanto “la partecipazione del privato al costo delle opere di
urbanizzazione è dovuta allorquando l'intervento determini un incremento del
peso insediativo con un'oggettiva rivalutazione dell'immobile, sicché
l'onerosità del permesso di costruire è funzionale a sopportare il carico
socio economico che la realizzazione comporta sotto il profilo urbanistico”
(TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, 26.04.2018, n. 449).
8. Nel caso di specie non può dirsi realizzato un aumento del carico
urbanistico, atteso che gli esponenti hanno trasformato l’edificio
bifamiliare in unifamiliare, riducendone anche la S.L.P. Non ricorre
pertanto il presupposto che giustifica l'imposizione del pagamento degli
oneri di urbanizzazione.
9. Ne consegue la fondatezza del ricorso, che deve essere accolto, con la
condanna dell’amministrazione comunale resistente alla restituzione degli
oneri di urbanizzazione indebitamente percepiti, pari ad euro 11.446,81,
oltre agli interessi maturati dalla data di notificazione dell'atto
introduttivo del presente giudizio.
Dispone infatti l’articolo 2033 cod. civ. che “chi ha eseguito un
pagamento non dovuto ha diritto di ripetere ciò che ha pagato. Ha inoltre
diritto ai frutti e agli interessi dal giorno del pagamento, se chi lo ha
ricevuto era in mala fede, oppure, se questi era in buona fede, dal giorno
della domanda”. In assenza di prova contraria deve infatti presumersi la
buona fede dell’amministrazione comunale. Non è, invece, dovuta la
rivalutazione monetaria (conformi: TAR Lombardia, Brescia, Sez. I,
20.05.2019, n. 499 e le pronunce ivi richiamate; TAR Lombardia, Brescia,
Sez. II, 02.05.2019, n. 426)
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 17.06.2019 n. 574 - link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
aprile 2019 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Oggetto: Risposta ai quesiti espressi in merito all’applicazione del
contributo straordinario (ex art. 16 DPR 380/2001) ai sensi della D.A.L. 20.12.2018 n. 186
(Regione Emilia Romagna,
nota 12.04.2019 n. 371904 di
prot.).
----------------
Al riguardo, si leggano anche:
●
deliberazione Assemblea Legislativa 20.12.2018 n. 186 recante «Disciplina
del contributo di costruzione ai sensi del titolo III della legge regionale
30.07.2013, n. 15 in attuazione degli articoli 16 e 19 del D.P.R.
06.06.2001, n. 380. “Testo unico delle disposizioni legislative e
regolamentari in materia edilizia”»;
● le
slide di approfondimento;
●
Contributo di costruzione, cosa cambia. |
EDILIZIA PRIVATA:
Soggetto tenuto al pagamento del contributo straordinario
per concessioni edilizie in deroga in caso di procedimento
SUAP.
---------------
Edilizia - Concessioni in deroga – Contributo
straordinario – Soggetto obbligato - Procedimento SUAP –
Individuazione.
Il contributo straordinario pari
almeno al 50% del maggior valore acquistato dal suolo nel
caso di permesso di costruire rilasciato in deroga al p.r.g.
(art. 16 comma 4, lett. d) ter, T.U. edilizia) va
corrisposto anche in caso di varianti in deroga per attività
produttive, nonostante le norme sul c.d procedimento SUAP
non lo richiamino espressamente (1).
---------------
(1) Ha chiarito la Sezione che: la previsione dell’obbligo di
contribuzione di cui all’art. 16, comma 4, lett. d-ter,
d.P.R. n. 380 del 2001, sebbene –come visto– di carattere
straordinario, presenta nella materia edilizia
un’applicazione generalizzata; del resto, nella disciplina
dell’art. 8, d.P.R. n. 160 del 2010 risulta assente una
espressa previsione in ordine all’esclusione
dell’applicabilità al procedimento Suap del prelievo
contributivo, necessaria al fine di ritenere integrato il
criterio di specialità; così come, la medesima disciplina,
piuttosto che introdurre una normativa derogatoria in
materia di obbligo contributivo, non fa che limitarsi a
disciplinare una modalità particolare per la presentazione
della domanda e per l’espletamento del relativo procedimento
di rilascio del titolo edilizio, con previsioni agevolative
ai fini dell’implementazione e dello sviluppo delle attività
produttive; ad ogni modo, non risulta neppure ipotizzabile
una previsione di esonero totale dal contributo
straordinario, atteso che la riserva di cui al comma 4-bis
dell’art. 16, d.P.R. n. 380 del 2001 (“fatte salve le
diverse disposizioni”), facendo riferimento solo a “quanto
previsto al secondo periodo della lett. d-ter del comma 4”,
riconosce alle legislazioni regionali ed agli strumenti
urbanistici generali comunali un ambito di operatività
limitato ai contenuti indicati in tale disposizione,
individuabili esclusivamente nella percentuale di
ripartizione, nelle modalità di versamento del contributo
perequativo e nelle finalità di utilizzo
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 12.04.2019 n. 2382 -
commento tratto da e link a
www.giustizia-amministrativa.it).
---------------
SENTENZA
1. Con ricorso dinanzi al Tar Veneto (R.G. n.
1330/2017), la società Ga. s.p.a., impugnava, chiedendone
l’annullamento, il provvedimento del Comune di Mirano del
31.07.2017 con il quale il dirigente del Servizio edilizia
privata convenzionata dell’Area 2 comunicava che il rilascio
del permesso di costruire per l’ampliamento di un fabbricato
industriale in viale ... 27 era subordinato al pagamento di
un contributo ai sensi dell’art.
16, comma 4, lett. d-ter), d.P.R. 06.06.2001 n. 380 di
euro 346.828,40.
Chiedeva inoltre disporsi l’accertamento della non debenza
di tale contributo, nonché la condanna al risarcimento del
danno derivato dal ritardo nel rilascio di detto permesso di
costruire.
2. Il Tar Veneto, Sezione II, dopo aver invitato il Comune
-con ordinanza del 16.02.2018- a depositare in giudizio la
perizia di stima del 31.07.2017 con la quale era stato
determinato il maggior valore dell’area ai fini della
applicazione dell’art. 16, comma 4, lett. d-ter), d.P.R. n.
380/2001, ha respinto –con
sentenza 11.04.2018 n. 382- il ricorso ritenendo
che la richiesta del contributo in tal modo calcolato
sarebbe stata giustificata dal fatto che l’intervento
edilizio richiesto comportava una variante urbanistica.
Secondo il Tribunale, in particolare, l’art. 16, comma 4,
lett. d-ter), d.P.R. n. 380/2001 fa riferimento ad ogni
ipotesi di variante urbanistica, quindi anche a quelle
approvate con la procedura dello sportello unico.
6. L’appello è infondato e deve pertanto essere respinto.
7. Con l’unico motivo di appello viene sostanzialmente
riproposta la censura avanzata dalla società nel primo grado
di giudizio, con cui si sostiene che l’intervento edilizio
richiesto ed assentito dal Comune non dovrebbe essere
assoggettato al contributo straordinario perequativo di cui
all’art. 16, comma 4, lett. d-ter), d.P.R. n. 380/2001 in
quanto il titolo che lo assisteva era stato rilasciato ai
sensi del dell’art. 7 d.P.R. 07.09.2010, n. 160, norma
speciale che non prevede la possibilità di procedere alla
richiesta in questione.
In particolare, ad avviso dell’appellante, l’intervento
richiesto sfuggirebbe all’applicazione del d.P.R. n.
380/2001, in quanto il decreto n. 160/2010, avendo un ambito
di applicazione più ristretto rispetto a quello del decreto
n. 380/2001 che disciplina l’attività edilizia in generale,
costituirebbe normativa speciale (e sopravvenuta). Pertanto,
nel caso di specie l’intervento non sarebbe assoggettabile
al pagamento del contributo richiesto, in quanto, il d.P.R.
n. 160/2010, unica normativa applicabile, non prevede alcuna
corresponsione di contributo in sede di rilascio del titolo
abilitante la realizzazione dell’intervento produttivo,
nemmeno ove esso si ponga in variante allo strumento
urbanistico vigente.
7.1. La censura non è meritevole di accoglimento.
7.2. Premettendo una breve ricostruzione dei fatti posti
alla base del provvedimento impugnato, si rammenta che:
i) in data 28.11.2012 la società Ga. s.p.a. presentava al Comune di
Mirano domanda per l’avvio della procedura SUAP (Sportello
Unico per le Attività Produttive), ai sensi degli artt. 7 e
segg. d.P.R. 07.09.2010 n. 160, al fine di ottenere il
provvedimento conclusivo del procedimento unico in variante
allo strumento urbanistico per la realizzazione di un
ampliamento del fabbricato industriale sito in viale Venezia
n. 27 adibito all’attività produttiva svolta dalla stessa;
ii) nella conferenza di servizi decisoria, tenutasi il 27.06.2013 e
conclusasi l’11.07.2013, veniva rilasciato il parere
favorevole alla approvazione del progetto comportante la
variante urbanistica allo strumento urbanistico con annessa
convenzione; variante che, con deliberazione n. 53 del
18.07.2013, veniva approvata dal Consiglio Comunale;
iii) con nota del 30.05.2016 l’Amministrazione comunicava l’avvio
del procedimento di decadenza della variante urbanistica
approvata con la predetta deliberazione del Consiglio
Comunale;
iv) con nota inviata il 21.12.2016 il Comune faceva presente di
ritenere che il rilascio del provvedimento conclusivo del
procedimento unico dovesse essere accompagnato dalla
corresponsione di un contributo straordinario ai sensi
dell’art. 16, comma 4, lett. d-ter), d.P.R. 06.06.2001, n.
380 commisurato all’aumento del valore del terreno;
v) con provvedimento del 31.07.2017 il dirigente del
Servizio edilizia privata convenzionata dell’Area 2 del
Comune di Mirano subordinava il rilascio del permesso di
costruire al pagamento di detto contributo, per un importo
che, in base al maggior valore dell’immobile conseguito
dalla variante urbanistica, ammonta ad euro 346.828,40,
nonché alla sottoscrizione di convenzione urbanistica.
7.3. Ciò considerato, il Collegio rammenta che,
ai sensi
dell’art. 16 (“Contributo per il rilascio del permesso di
costruire”), del d.P.R. n. 380/2001, “Salvo quanto
disposto dall'articolo 17, comma 3, il rilascio del permesso
di costruire comporta la corresponsione di un contributo
commisurato all'incidenza degli oneri di urbanizzazione
nonché al costo di costruzione”.
È pertanto previsto, ai fini del rilascio del titolo, il
pagamento obbligatorio di un contributo, comunemente
ritenuto un corrispettivo di natura non tributaria a titolo
di partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione in
proporzione all’insieme di benefici che la nuova costruzione
consegue ovvero una compartecipazione del privato alla spesa
pubblica occorrente alla realizzazione delle opere di
urbanizzazione (cfr. Cons. Stato, Ad. plen., 30.08.2018, n.
12; Cons. Stato, Sez. IV, 27.02.2018, n. 1187).
Va dato atto, peraltro, che secondo la previsione del quarto
comma del medesimo articolo: “l'incidenza degli oneri di
urbanizzazione primaria e secondaria è stabilita con
deliberazione del consiglio comunale in base alle tabelle
parametriche che la regione definisce per classi di comuni
in relazione: … d-ter) alla valutazione del maggior valore
generato da interventi su aree o immobili in variante
urbanistica, in deroga o con cambio di destinazione d'uso.
Tale maggior valore, calcolato dall'amministrazione
comunale, è suddiviso in misura non inferiore al 50 per
cento tra il comune e la parte privata ed è erogato da
quest'ultima al comune stesso sotto forma di contributo
straordinario, che attesta l'interesse pubblico, in
versamento finanziario, vincolato a specifico centro di
costo per la realizzazione di opere pubbliche e servizi da
realizzare nel contesto in cui ricade l'intervento, cessione
di aree o immobili da destinare a servizi di pubblica
utilità, edilizia residenziale sociale od opere pubbliche”.
Viene in tal modo previsto, più che un criterio di calcolo
degli oneri di urbanizzazione “ordinari”, un
ulteriore onere rapportato all’aumento di valore che le aree
e gli immobili hanno conseguito per effetto di varianti
urbanistiche, deroghe o mutamenti di destinazione d’uso. Si
tratta, pertanto, di un “contributo straordinario”
diverso ed aggiuntivo rispetto agli oneri di urbanizzazione,
che va ad aggiungersi nei casi in cui a monte
dell’intervento vi sia stata una determinata scelta
pianificatoria di natura eccezionale.
Peraltro, con riferimento a quanto previsto dal secondo
periodo della citata lettera d-ter, il comma 4-bis prevede
altresì che “sono fatte salve le diverse disposizioni
delle legislazioni regionali e degli strumenti urbanistici
generali comunali”.
Ai sensi del quinto comma, infine, “Nel caso di mancata
definizione delle tabelle parametriche da parte della
regione e fino alla definizione delle tabelle stesse, i
comuni provvedono, in via provvisoria, con deliberazione del
consiglio comunale, secondo i parametri di cui al comma 4,
fermo restando quanto previsto dal comma 4-bis”.
7.3.1. Parallelamente, occorre considerare che, ai sensi
dell'articolo 38, comma 3, del decreto-legge 25.06.2008, n.
112, convertito, con modificazioni, dalla legge 06.08.2008,
n. 133, è stato adottato il d.P.R. 07.09.2010, n. 160 “regolamento
per la semplificazione ed il riordino della disciplina sullo
sportello unico per le attività produttive” che,
all’art. 8 (rubricato “Raccordi procedimentali con
strumenti urbanistici”), prevede la possibilità per
l'interessato, nei comuni in cui lo strumento urbanistico
non individua aree destinate all'insediamento di impianti
produttivi o individua aree insufficienti (fatta salva
l'applicazione della relativa disciplina regionale), di
richiedere al responsabile del SUAP la convocazione di
apposita conferenza di servizi.
Si prevede altresì che, nel caso in cui l’esito della
conferenza di servizi comporti la variazione dello strumento
urbanistico, ed ove sussista l'assenso della Regione
espresso in quella sede, il verbale viene sottoposto alla
votazione del Consiglio comunale per l’approvazione.
7.4. Alla luce di tale compendio normativo, risulta al
Collegio che il Comune di Mirano abbia fatto corretta
applicazione della richiamata disciplina, dovendo escludersi
che l’art. 8 del d.P.R. n. 160/2010 costituisca norma
speciale derogatoria e pertanto che, essendo quest’ultima
priva di una previsione in merito alla esistenza
dell’obbligo contributivo, sia intenzionalmente diretta ad
impedirne la vigenza. Invero:
a) la previsione dell’obbligo di contribuzione di cui all’art. 16,
comma 4, lett. d-ter, d.P.R. n. 380/01, sebbene –come visto–
di carattere straordinario, presenta nella materia edilizia
un’applicazione generalizzata;
b) del resto, nella disciplina dell’art. 8 del d.P.R. n. 160/2010,
invocata dall’appellante, risulta assente una espressa
previsione in ordine all’esclusione dell’applicabilità al
procedimento Suap del prelievo contributivo, necessaria al
fine di ritenere integrato il criterio di specialità;
c) così come, la medesima disciplina, piuttosto che introdurre una
normativa derogatoria in materia di obbligo contributivo,
non fa che limitarsi a disciplinare una modalità particolare
per la presentazione della domanda e per l’espletamento del
relativo procedimento di rilascio del titolo edilizio, con
previsioni agevolative ai fini dell’implementazione e dello
sviluppo delle attività produttive;
d) ad ogni modo, non risulta neppure ipotizzabile una previsione di
esonero totale dal contributo straordinario, atteso che la
riserva di cui al comma 4-bis dell’art. 16 d.PR. n. 380/2001
(“fatte salve le diverse disposizioni”), facendo
riferimento solo a “quanto previsto al secondo periodo
della lett. d-ter del comma 4”, riconosce alle
legislazioni regionali ed agli strumenti urbanistici
generali comunali un ambito di operatività limitato ai
contenuti indicati in tale disposizione, individuabili
esclusivamente nella percentuale di ripartizione, nelle
modalità di versamento del contributo perequativo e nelle
finalità di utilizzo.
7.5. Deve pertanto concludersi che al rilascio del permesso
di costruire, intervenuto in seguito all’approvazione della
variante urbanistica SUAP, trova applicazione, anche nella
Regione Veneto, l’obbligo di pagamento del contributo
straordinario generato dal maggior valore dell’area. L’art.
16, comma 4, lett. d-ter), d.P.R. n. 380/2001, invero, trova
applicazione indistintamente per tutti i procedimenti che
comportano un maggior valore generato dall’area da
interventi su aree o immobili in variante urbanistica, non
facendo eccezione quello tenuto mediante attivazione del
procedimento SUAP.
7.5.1. Del resto, in questo senso depone anche il tenore
della circolare regionale Veneto n. 1 del 20.01.2015 (“procedure
urbanistiche semplificate di sportello unico per le attività
produttive e disposizioni in materia urbanistica, di
edilizia residenziale pubblica”, in B.U.R. n. 13 del
03.02.2015), esplicativa della l.r. Veneto n. 55/2012 in
materia di SUAP, secondo cui anche in ipotesi di permesso a
costruire rilasciato dal SUAP in variante al PRG su area da
trasformarsi da agricola in destinazione produttiva, occorre
condizionare il rilascio alla sottoscrizione della
convenzione e dell’ottemperanza a tutte le condizioni e
prescrizioni nella stessa fissate, “nonché della corretta
corresponsione del pagamento del contributo di costruzione
ex art. 16 del DPR 380/2001 secondo gli importi e le
modalità fissati dal Comune”.
8. In conclusione, in ragione di quanto esposto, l’appello
deve essere respinto. |
marzo 2019 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Il Collegio rileva come
nelle controversie attinenti alla determinazione e alla
liquidazione del contributo per oneri di urbanizzazione e
costo di costruzione l'azione volta alla declaratoria del
diritto dell'interessato alla restituzione delle somme
indebitamente versate può essere proposta a prescindere
dall'impugnazione o dall'esistenza dell'atto con cui viene
negato il rimborso, trattandosi di giudizio di accertamento
di un rapporto obbligatorio pecuniario sottratto ai termini
di decadenza previsti per l’impugnazione del provvedimento
amministrativo.
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Il contributo per oneri di urbanizzazione e costo di
costruzione per le opere oggetto di una concessione in
variante dev’essere calcolato sommando le opere dei due
titoli edilizi assentiti (concessione originaria e
variante), scomputando quanto già pagato al momento del
rilascio del titolo originario.
Per la concessione in variante, però, la quota percentuale
della parte del contributo commisurato al costo di
costruzione delle opere ad essa riferite deve essere
calcolata con riferimento alle norme vigenti al momento del
rilascio della variante stessa e, come detto, limitatamente
alle opere che ne costituiscono oggetto, escludendo cioè
quelle già considerate (e quantificate) al momento del
rilascio della concessione originaria.
Con la concessione in variante il Comune deve quindi
determinare, in via di conguaglio gli oneri e il
corrispondente contributo non in relazione all'intero
complesso in via di realizzazione, ma con riferimento alle
sole opere nuove e ulteriori volumetrie assentite con la
concessione in variante, da calcolare sulla base del nuovo
parametro vigente al momento del rilascio del titolo in
variante.
Sulla complessiva somma dovuta per oneri, da quantificarsi
come sopra, va poi scorporata la somma già versata dalla
società ricorrente.
---------------
... per l'annullamento
dell'ingiunzione di pagamento prot. 13731 del 13.05.2015 con
la quale il Comune di Campobasso ha intimato alla ricorrente
di pagare la somma integrativa di euro 141.968,10 a titolo
di rate di oneri di urbanizzazione, monetizzazione degli
standard, sanzioni per ritardato pagamento e interessi
legali, preavvertendo che in caso di mancata percezione
della suddetta somma procederà alla riscossione coattiva
della stessa, di ogni atto presupposto, connesso e/o
conseguente nonché per la condanna del Comune di Campobasso
alla restituzione delle somme corrisposte dalla ricorrente
in eccedenza rispetto a quanto dovuto a titolo di oneri di
urbanizzazione costo di costruzione e monetizzazione degli
standard afferenti l'intervento edilizio approvato con il
permesso di costruire n. 61 del 07.06.2010, poi modificato con
plurime varianti.
...
La Ed.Ed.Im. srl otteneva, in data 07.06.2010, il
permesso di costruire n. 61/2010 per la realizzazione di un
fabbricato destinato ad attività ricettiva–residence in
Campobasso alla via ....
Successivamente con permesso di costruire n. 32 del
02.02.2011, SCIA prot. n. 17267 del 10.08.2012, SCIA prot.
24551 del 10.9.2014 e permesso di costruire n. 100 del
18.09.2014 venivano autorizzate una serie di varianti al fine
di procedere al cambio di destinazione d’uso dell’intero
edificio in residenziale, ad eccezione di parte del primo
piano che manteneva la destinazione turistica; si procedeva,
poi, alla modifica della sistemazione esterna del fabbricato
e di alcuni impianti ed elementi interni.
Da ultimo, con
permesso di costruire n. 100 del 18.09.2014 il Comune
accordava la modifica del sottotetto ed il suo recupero a
fini residenziali.
A questo punto, con il provvedimento n. 22416 del
26.10.2012, il Comune disponeva che per il cambio di
destinazione d’uso assentito con la predetta SCIA la
ricorrente doveva corrispondere una quota integrativa degli
oneri di urbanizzazione pari ad euro 35.776,92 ed una quota
di costo di costruzione pari ad euro 587,57.
Successivamente, con il provvedimento prot. n. 13731 del
13.05.2015 il Comune ingiungeva alla ricorrente il pagamento
della somma di euro 141.968,10 a titolo di ratei per oneri
di urbanizzazione e monetizzazione standard non pagati,
oltre a sanzioni ed interessi.
...
Il ricorso è fondato per le considerazioni che seguono.
Come già sopra rilevato, la presente controversia si
incentra sull’assunto della società ricorrente secondo cui
gli oneri già corrisposti per la destinazione ricettivo-alberghiera dell’immobile sarebbero superiori a quelli
dovuti per la nuova destinazione residenziale ottenuta
grazie alle previsioni del c.d. piano casa sicché non vi
sarebbe alcuna somma ulteriore da versare quanto piuttosto
un credito restitutorio per la differenza versata in
eccedenza.
Più nel dettaglio, a seguito del cambio di destinazione
d’uso del fabbricato da ricettivo-alberghiero a
residenziale, il Comune aveva erroneamente rideterminato in
eccesso sia il costo di costruzione che gli oneri di
urbanizzazione dovuti; anche la monetizzazione degli
standard era stata determinata in maniera errata in quanto
il Comune non aveva considerato né le aree già vincolate
dalla ricorrente né gli standard già previsti dal PRG per la
zona di intervento; non le era stato, infine, consentito di
cedere, ove occorrenti, le ulteriori aree nella sua
disponibilità.
Il Comune, all’opposto, riteneva dovuti gli oneri di
urbanizzazione e il costo di costruzione per il cambio di
destinazione d’uso, senza possibilità di compensazioni con
quanto precedentemente corrisposto, a motivo della natura
speciale e derogatoria del c.d. piano casa.
Più nel dettaglio, per il cambio di destinazione d’uso del
fabbricato sarebbe stato correttamente applicato il
coefficiente relativo al mutamento di destinazione d’uso
(euro 21,22 mq) in luogo di quello relativo a nove
costruzioni per una superficie da calcolarsi correttamente
in 1,686 mq. Anche l’importo richiesto per la monetizzazione
degli standard sarebbe corretto atteso che l’edificio di cui
è causa ricade in zona modificata da verde pubblico a zona a
servizi generali cittadini che, una volta utilizzata per la
costruzione di abitazioni private, cesserebbe la funzione di
supporto al PRG; inoltre, a fronte della nuova destinazione
residenziale –abitativa dovrebbero necessariamente essere
reperite e cedute le aree a standard alla collettività ai
sensi dell’art 3 del D.M. n. 1444/1968.
Ciò premesso, il Collegio, nel ribadire quanto già rilevato
con propria sentenza non definitiva circa l’infondatezza
delle eccezioni preliminari sollevate dal Comune, rileva
come nelle controversie attinenti alla determinazione e alla
liquidazione del contributo per oneri di urbanizzazione e
costo di costruzione l'azione volta alla declaratoria del
diritto dell'interessato alla restituzione delle somme
indebitamente versate può essere proposta a prescindere
dall'impugnazione o dall'esistenza dell'atto con cui viene
negato il rimborso, trattandosi di giudizio di accertamento
di un rapporto obbligatorio pecuniario sottratto ai termini
di decadenza previsti per l’impugnazione del provvedimento
amministrativo (TAR L’Aquila, sez. I, 29.12.2017 n. 610).
Nel merito, giova, invece, rammentare che, ai sensi
dell’art. 16 del d.P.R. n. 380/2001 e salvo quanto disposto
all'articolo 17, comma 3, il rilascio del permesso di
costruire comporta normalmente la corresponsione di un
contributo commisurato all’incidenza degli oneri di
urbanizzazione nonché al costo di costruzione, secondo le
modalità indicate nel suddetto articolo.
La quota di contributo relativa agli oneri di urbanizzazione
va, inoltre, corrisposta al Comune all'atto del rilascio del
permesso di costruire e, su richiesta dell’interessato, può
essere rateizzata.
La legge regionale Molise 11.12.2009 n. 30, infine,
prevede all’art. 9, co. 3, che è dovuto per intero il
contributo per gli oneri di urbanizzazione per gli
interventi di mutamento di destinazione d'uso di cui
all'articolo 2, commi 9 e 10, ed all'articolo 3, comma 6.
Da tale disposizione l’amministrazione resistente parrebbe
trarre la conclusione che quanto già versato per gli oneri
di urbanizzazione non debba essere computato e debba,
invece, essere calcolato per intero il costo di costruzione
e gli oneri di urbanizzazione delle varianti, senza tener
conto di quanto già pagato per il progetto originario; parte
ricorrente ritiene invece che l’importo da versare non possa
prescindere dal conguaglio con quanto già versato, con
conseguente diritto alla ripetizione in caso di conguaglio
positivo.
Tra le due impostazioni il Tribunale ritiene che quest’ultima
sia quella corretta.
Il Collegio aderisce infatti
all’impostazione giurisprudenziale preferibile secondo cui
<<il contributo per oneri di urbanizzazione e costo di
costruzione per le opere oggetto di una concessione in
variante dev’essere calcolato sommando le opere dei due
titoli edilizi assentiti (concessione originaria e
variante), scomputando quanto già pagato al momento del
rilascio del titolo originario. Per la concessione in
variante, però, la quota percentuale della parte del
contributo commisurato al costo di costruzione delle opere
ad essa riferite deve essere calcolata con riferimento alle
norme vigenti al momento del rilascio della variante stessa
e, come detto, limitatamente alle opere che ne costituiscono
oggetto, escludendo cioè quelle già considerate (e
quantificate) al momento del rilascio della concessione
originaria. Con la concessione in variante il Comune deve
quindi determinare, in via di conguaglio gli oneri e il
corrispondente contributo non in relazione all'intero
complesso in via di realizzazione, ma con riferimento alle
sole opere nuove e ulteriori volumetrie assentite con la
concessione in variante, da calcolare sulla base del nuovo
parametro vigente al momento del rilascio del titolo in
variante. Sulla complessiva somma dovuta per oneri, da
quantificarsi come sopra, va poi scorporata la somma già
versata dalla società ricorrente>> (cfr. TAR Sardegna, sez.
II, 28.11.2013, n. 780).
Diversamente argomentando, ritenendo cioè che per effetto
delle varianti richieste ed ottenute a norma del Piano casa,
la ricorrente avrebbe dovuto pagare nuovamente e per intero
tutti gli oneri di urbanizzazione senza computare quelli già
corrisposti, significherebbe riconoscere alla previsione
della legge regionale una portata sanzionatoria che essa
invece obiettivamente non presenta, come confermato
dall’art. 1 della legge della Regione Molise 11.12.2009, n. 30 a mente del quale: <<La Regione promuove misure
straordinarie per il sostegno del settore edilizio,
attraverso interventi finalizzati al miglioramento della
qualità abitativa, per preservare, mantenere, ricostruire e rivitalizzare il patrimonio edilizio esistente, promuovere
l'edilizia economica per le giovani coppie e le categorie
svantaggiate e meno abbienti e l'edilizia scolastica nonché
per migliorare le caratteristiche architettoniche,
energetiche, tecnologiche e di sicurezza dei fabbricati>>.
Le disposizioni premiali di cui alla citata normativa hanno
carattere straordinario e rispondono alla dichiarata
finalità di riqualificare il patrimonio edilizio e
contrastare la grave crisi economica e di tutelare i livelli
occupazionali attraverso il rilancio delle attività
edilizie, da attuare sui singoli edifici, in deroga agli
strumenti urbanistici vigenti, in relazione ad un arco di
tempo limitato, con casi di esclusione ben determinati (cfr.
TAR Campania, sez. II, n. 1502/2013).
Stando così le cose una previsione che imponesse a chi
intenda giovarsi della premialità prevista dalla legge di
pagare nella sostanza due volte i medesimi oneri di
urbanizzazione, si porrebbe in aperto contrasto con la
finalità agevolativa e non sanzionatoria sottesa
all’intervento normativo in considerazione.
Ne consegue che, in accoglimento di quanto prospettato da
parte ricorrente, gli oneri di urbanizzazione e il costo di
costruzione corrisposti al Comune devono essere computati
nel calcolo dei corrispondenti oneri dovuti per il cambio di
destinazione d’uso e, ove eccedenti rispetto a quanto dovuto
per la destinazione d’uso residenziale abitativa, devono in
parte qua essere restituiti alla ricorrente. In merito, la
ricorrente ritiene correttamente dovuti oneri di
urbanizzazione per un importo complessivo di euro 104.018,68
a fronte della somma di euro 136.703,69 indebitamente pagata
all’Amministrazione invocando, quindi, il diritto alla
restituzione di quanto pagato in eccesso per euro 32.688,01.
La ricorrente chiede, infine, la restituzione delle sanzioni
e degli interessi pretesi indebitamente dal Comune in
relazione ad una somma che il Comune avrebbe dovuto
restituire per l’eccedenza anziché indebitamente pretendere.
Sul punto, il Collegio non ravvisa ragioni per discostarsi
dalle risultante della relazione di verificazione all’uopo
depositata dalla quale è emerso che la somma
complessivamente dovuta dalla ricorrente, tenendo conto
delle varianti introdotte al progetto originario, con
particolare riferimento al parziale cambio di destinazione
d’uso da ricettivo-alberghiero in residenziale-abitativo
disposto con SCIA prot. 17267/2012, ammonta ad euro
146,453,82 (di cui euro 105.912,21 per oneri di
urbanizzazione primaria e secondaria ed euro 40.541,61 per
costo di costruzione): dal che deriva che, essendo stati già
versati euro 194.853, 42, comprensivi di euro 4.924,26 per
oneri di urbanizzazione ex SCIA n. 17267/2012, la somma in
eccesso corrisposta dalla Ed.Ed. ammonta ad euro
48.399,60.
Pertanto in questi termini il ricorso deve essere accolto e,
per l’effetto, deve dichiararsi il diritto di parte
ricorrente a vedersi restituita la somma versata in eccesso
sia a titolo di oneri di urbanizzazione che a titolo costo
di costruzione; il Comune di Campobasso deve, quindi, essere
condannato alla restituzione, in favore di parte ricorrente,
della somma di euro 48.399,60 corrispondente a quanto
versato a titolo di oneri di urbanizzazione e costo di
costruzione non dovuti cui andranno aggiunte le ulteriori
rate che nelle more del giudizio la ricorrente abbia versato
ove debitamente comprovate e documentate.
Parimenti, il Comune dovrà restituire quanto indebitamente
corrisposto dalla ricorrente a titolo di sanzioni ed
interessi legali non essendo questi più dovuti in presenza
di una somma dalla stessa versata in eccedenza. Il tutto
dovrà, infine, essere maggiorato degli interessi legali e
rivalutazione monetaria dalla data del versamento sino al
soddisfo (TAR Molise,
sentenza 14.03.2019 n. 107 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
febbraio 2019 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Alla Corte costituzionale la norma veneta che prevede la
riscossione del contributo di costruzione solo se
determinato contestualmente al rilascio del titolo.
Il Tar per il Veneto rimette alla Corte costituzionale la
q.l.c. della norma regionale veneta (art. 2, comma 3, l.r.
16.03.2015, n. 4) che, nel prevedere la possibilità per
l’ente locale di riscuotere il contributo di costruzione
solo se determinato contestualmente al rilascio del titolo,
impedisce retroattivamente le azioni necessarie alla
riscossione delle richieste di conguaglio il cui importo non
è stato determinato contestualmente al rilascio del titolo.
---------------
Il Tar per il Veneto rimette alla Corte costituzionale la
q.l.c. della norma regionale veneta (art. 2, comma 3, l.r.
16.03.2015, n. 4) che, nel prevedere la possibilità per
l’ente locale di riscuotere il contributo di costruzione
solo se determinato contestualmente al rilascio del titolo,
impedisce retroattivamente le azioni necessarie alla
riscossione delle richieste di conguaglio il cui importo non
è stato determinato contestualmente al rilascio del titolo.
...
Edilizia – Legge regionale – Contributo per il rilascio del
permesso di costruire – Questione non manifestamente
infondata di costituzionalità
È rilevante e non manifestamente
infondata, in relazione agli artt. 3, 5, 97, 114, 117, 118 e
119 della Costituzione, la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 2, comma 3, della Legge Regionale
della Regione Veneto 16.03.2015, n. 4, nella parte in cui
prevede che resta fermo quanto già determinato dal comune,
in relazione alla quota del costo di costruzione, solo
qualora la determinazione del contributo sia avvenuta
all’atto del rilascio del permesso di costruire e non con
una successiva richiesta di conguaglio (1).
---------------
(1) I. – Con l’ordinanza in epigrafe, il Tar per il Veneto ha
rimesso alla Corte costituzionale,
in relazione agli artt. 3, 5, 97, 114, 117, 118 e 119 della
Costituzione, la questione di legittimità
costituzionale della disciplina del contributo di
costruzione contenuta nell’art. 2, comma 3,
della legge regionale della Regione Veneto 16.03.2015, n.
4, nella parte in cui introduce
un regime differenziato e derogatorio della disciplina
statale di cui all’art. 16, comma 9,
d.p.r. n. 380 del 2001 (t.u. edilizia).
In particolare,
l’art. 16, comma 9, del citato d.p.r. prevede,
con una norma cedevole, che le disposizioni del testo unico,
attuative dei principi di riordino
in esso contenuti, operano direttamente nei riguardi delle
regioni a statuto ordinario, fino a
quando esse non si adeguano ai principi medesimi. Con l’art.
2, comma 3, della legge veneta
del 2015, il legislatore regionale è intervenuto sul regime
anteriore all’entrata in vigore della
medesima legge regionale e, quindi, sulla disciplina
transitoria di fonte regionale
prevedendo che il contributo di costruzione determinato dal
comune rimanga fermo solo
qualora la determinazione del contributo sia avvenuta
all’atto del rilascio del permesso di
costruire e non con una successiva richiesta di conguaglio.
Nel caso di specie, il Comune resistente, nel 2014,
rettificava la determinazione del
contributo di costruzione stabilito nel 2008. Con l’atto
introduttivo del giudizio, la società
ricorrente chiedeva, tra l’altro, sulla base della l.r. n. 4
del 2015, l’accertamento negativo del
diritto del Comune di pretendere il conguaglio del costo di
costruzione e l’annullamento
dell’atto di intimazione emanato.
II. – Premessa la ricostruzione del quadro normativo di
riferimento, il Collegio osserva che:
a) la controversia in ordine alla spettanza e alla
liquidazione del contributo per gli
oneri di urbanizzazione ha ad oggetto l’accertamento di un
rapporto di credito
e non è, pertanto, soggetta alle regole delle azioni
impugnatorie–annullatorie
degli atti amministrativi e ai rispettivi termini di
decadenza;
b) in relazione alla rilevanza della q.l.c. ai fini della
definizione del giudizio,
b1) l’art. 2, comma 3, l.r. Veneto, 16.03.2015, n. 4,
prevede che “Resta fermo
quanto già determinato dal comune, in relazione alla quota
del costo di
costruzione, prima dell'entrata in vigore della presente
legge in diretta
attuazione del comma 9 dell'articolo 16 del decreto del
Presidente della
Repubblica n. 380 del 2001, purché la determinazione sia
avvenuta all'atto del
rilascio del permesso di costruire e non con una successiva
richiesta di
conguaglio”;
b2) la richiesta di conguaglio è stata inviata
dall’amministrazione il 04.12.2014 e la legge regionale è entrata in vigore il
04.04.2015;
b3) tuttavia, la disposizione, pur non qualificandosi
espressamente come
retroattiva, deve ritenersi applicabile anche ai casi in cui
la richiesta di
conguaglio da parte dell’amministrazione sia stata
effettuata prima della
sua entrata in vigore;
b4) infatti, con essa, il legislatore regionale, nel
mantenere ferme le sole
determinazioni con cui si è fatta diretta applicazione della
normativa
statale che siano avvenute contestualmente al rilascio del
permesso di
costruire e non con successivi conguagli, ha escluso
l’ammissibilità del
conguaglio che miri a recuperare l’importo del contributo
nella misura
minima prevista dalla legislazione statale se non
contestuale al rilascio
del titolo edilizio;
b5) la norma ha pertanto portata retroattiva, nel senso che
inibisce il
conguaglio non contestuale al rilascio del titolo edilizio
anche se la
relativa richiesta, come nel caso di specie, è avvenuta
anteriormente
all’entrata in vigore della legge regionale del 2015;
c) sempre in punto di rilevanza, la norma non appare
suscettibile di alcuna
interpretazione costituzionalmente orientata atteso che essa
esclude
espressamente l’applicazione della disposizione di principio
di fonte statale per
i rapporti conseguenti alle determinazioni e liquidazioni
del contributo che
siano state erroneamente effettuate, impedendo, così,
l’applicazione diretta
della norma di principio dettata dal legislatore statale in
materia di legislazione concorrente a tutela di esigenze
unitarie di prelievo e violando l’autonomia di
entrata e di spesa dei Comuni;
d) vi sono dubbi sulla compatibilità costituzionale della
norma in relazione agli
artt. 3, 5, 117, terzo comma, 119, primo, secondo e quarto
comma della
Costituzione, in quanto:
d1) con l’art. 2, comma 3, l.r. n. 4 del 2015, il
legislatore ha esercitato la propria
potestà legislativa in violazione della norma di principio
contenuta
nell’art. 16, comma 9, d.p.r. n. 380 del 2001, così violando
l’art. 117, terzo
comma, ultimo periodo, Cost., che riserva al legislatore
statale la
determinazione dei principi fondamentali delle materie di
legislazione
concorrente; il legislatore regionale ha, infatti,
disciplinato i rapporti
ancora pendenti sorti nel periodo vigente anteriormente alla
sua entrata
in vigore sottraendo all’applicazione della norma statale
quei rapporti in
cui, all’atto del rilascio del titolo, l’amministrazione
erroneamente aveva
omesso di dare applicazione della norma statale di
principio;
d2) l’art. 16, comma 9, d.p.r. n. 380 del 2001, nel dettare
i criteri di
determinazione del contributo di costruzione, contribuisce a
definire il
contenuto dell’onere economico gravante sul soggetto che
intenda
esercitare lo ius aedificandi, così concorrendo a
determinare l’effettiva
portata e la caratterizzazione positiva del principio di
onerosità del
permesso di costruire, che, secondo la giurisprudenza
costituzionale,
costituisce un principio fondamentale della materia di
competenza
concorrente “governo del territorio”; “la disposizione di
cui al comma 9 dell’art.
16 DPR 380/2001, nella parte in cui individua i parametri
per la determinazione
del contributo, nella sua componente relativa al costo di
costruzione, appare
riconducibile a tale categoria di norme di principio, poiché
concorrendo a definire
il contenuto dell’onere economico gravante sul soggetto che
intenda esercitare lo
ius aedificandi, ne integra un aspetto essenziale”;
d3) l’art. 16, comma 9, d.p.r. n. 380 del 2001, costituisce
anche principio di
coordinamento della finanza pubblica ai sensi dell’art. 119,
secondo
comma, Cost. e dell’art. 117, terzo comma, Cost., in quanto
la definizione
di criteri uniformi di determinazione della prestazione
imposta per
l’intero territorio nazionale mira, da un lato, a garantire
a tutti i cittadini
parità di condizioni nell’esercizio dello ius aedificandi,
dall’altro, ai
Comuni una quota minima di compartecipazione ai benefici
derivanti
dall’esercizio dell’attività edificatoria; il contributo di
costruzione
costituisce, per la giurisprudenza maggioritaria, un
corrispettivo di
diritto pubblico, avente carattere generale e non tributario
di cui è titolare il Comune che rilascia il titolo edilizio,
rientrando, quindi, nel novero
delle risorse autonome di cui i Comuni, secondo quanto
prevede l’art.
119, secondo comma, Cost., sono titolari; alle disposizioni
di legge statale
che definiscono i criteri per la quantificazione delle
prestazioni imposte
spettanti ai Comuni dovrebbe riconoscersi natura di principi
di
coordinamento della finanza pubblica, poiché anche da esse
dipende
l’autonomia di entrata e di spesa riconosciuta agli enti
territoriali, nonché
la concreta possibilità di assolvere alle funzioni ad essi
attribuite, atteso
che il quarto comma dell’art. 119 Cost., esclude che essi
possano ricevere,
in via ordinaria, ulteriori risorse rispetto a quelle
previste dal medesimo
articolo;
d4) l’art. 16, comma 9, d.p.r. n. 380 del 2001, nel
prevedere che “Le disposizioni,
anche di dettaglio, del presente testo unico, attuative dei
principi di riordino in
esso contenuti operano direttamente nei riguardi delle
regioni a statuto ordinario,
fino a quando esse non si adeguano ai principi medesimi”,
contiene una
disciplina transitoria e cedevole, mediante la quale le
disposizioni di
dettaglio, attuative di norme di principio contenute nel
medesimo d.p.r.
trovano immediata applicazione fino all’adeguamento da parte
delle
Regioni; le norme statali di dettaglio, espressione di
principi generali,
mirano ad evitare che l’inerzia regionale ponga nel nulla
l’individuazione
dei principi fondamentali delle materie di legislazione
concorrente, che è
riservata al legislatore statale, così preservando la
suddetta riserva e
garantendo l’uniforme disciplina nazionale in conformità con
gli stessi;
l’art. 2, comma terzo, l.r. n. 4 del 2015, introducendo un
regime
differenziato di determinazione del contributo di
costruzione rispetto a
quello applicabile sull’intero territorio nazionale per
talune fattispecie
(quelle per le quali il contributo fosse stato determinato
secondo
parametri diversi da quello minimo previsti dall’art. 16,
comma 9, d.p.r.
n. 380 del 2001), si è posto contro quelle esigenze di
uniforme
regolamentazione presidiate dagli artt. 118, commi primo e
quinto, della
Costituzione, rendendo definitiva la violazione della norma
di principio
che il mancato tempestivo adeguamento della legislazione
regionale
aveva prodotto;
d5) la disposizione regionale, escludendo che i Comuni
possano pretendere
con una richiesta di conguaglio il pagamento del contributo
nella misura
minima prevista dalla legge statale, incide e viola il
principio di
equiordinazione tra enti territoriali previsto dall’art. 114 Cost., nonché
l’autonomia di entrata e di spesa riconosciuta ai Comuni
dall’art. 119, commi primo, secondo e quarto, Cost., e il
principio di buona
amministrazione previsto dall’art. 97 Cost.; la norma
regionale, in
particolare, nell’escludere il diritto dei Comuni di
pretendere il
pagamento del contributo nella misura determinata dalla
legge statale,
incide su un credito già acquisito al patrimonio comunale
per effetto del
rilascio del permesso di costruire, viola l’autonomia di
entrata e di spesa
riservata ai Comuni e impedisce ai Comuni di far valere e
riscuotere nella
loro interezza crediti già acquisiti al patrimonio in
assenza di alcuna
valutazione sulla sostenibilità economica di tale rinuncia;
d6) la norma invade, inoltre, la sfera di potestà
legislativa esclusiva nella
disciplina dell’ordinamento civile riservata al legislatore
statale dall’art.
117, secondo comma, lett. l), Cost.; infatti, con la
disposizione in esame il
legislatore statale ha dettato una disciplina speciale per
gli atti di
determinazione e liquidazione del contributo di costruzione
già emessi,
sottraendo ai Comuni il potere di rideterminare l’importo
già liquidato in
base alla disciplina regionale previgente, prendendo
posizione sulla
natura, autoritativa o paritetica, degli atti con cui
l’amministrazione
determina e liquida l’importo del contributo di costruzione
e
sull’ammissibilità, e le relative condizioni, della
rideterminazione del
suddetto importo.
In particolare, la legge regionale ha
manifestato una
chiara opzione per la tesi che esclude la modificabilità
della liquidazione
del contributo di costruzione effettuata dal Comune
contestualmente al
rilascio del titolo; i rapporti obbligatori, già instaurati
alla data della sua
entrata in vigore, vengono sottoposti a una disciplina
peculiare, mediante
la quale la pretesa creditoria del Comune viene ridotta nel
quantum
rispetto al suo contenuto legale, ove non esercitata in tale
misura fin dal
momento della sua originaria quantificazione ed è
riconosciuta una tutela
dell’affidamento del privato del tutto avulsa dalla verifica
dei profili di
conoscibilità della normativa applicabile.
Il legislatore
regionale ha,
quindi, dettato disposizioni che incidono sul regime
giuridico di un
rapporto obbligatorio di contenuto essenzialmente pecuniario
e soggetto
alle disposizioni di diritto privato, invadendo una
competenza riservata
dall’art. 117, secondo comma, Cost., alla potestà
legislativa statale;
d7) la norma non può, inoltre, ritenersi conforme ai
principi di uguaglianza e
ragionevolezza, in quanto disciplina diversamente rapporti
obbligatori di
fonte legale, integralmente definiti nel loro contenuto, per
effetto della
medesima legge, in funzione della circostanza, meramente
casuale, che il Comune abbia o non abbia fatto corretta
applicazione della legge vigente
in sede di rilascio del titolo.
III. – Per completezza si segnala che:
e) sulla natura della prestazione contributiva e della
relativa obbligazione, sul
momento in cui si deve determinare il contributo, sulla rettificabilità del
contributo,
Cons. Stato, Ad. plen., 30.08.2018, n. 12
(in Foro it., 2018, III, 618,
con nota di TRAVI – BORGIANI, nonché oggetto della
News US,
in data 17.09.2018, alla quale si rinvia per ulteriori
approfondimenti), secondo cui,
tra l’altro:
e1) “gli atti con i quali la pubblica amministrazione
determina e liquida il contributo
di costruzione, previsto dall’art. 16 del d.P.R. n. 380 del
2001, non hanno natura
autoritativa, non essendo espressione di una potestà
pubblicistica, ma
costituiscono l’esercizio di una facoltà connessa alla
pretesa creditoria
riconosciuta dalla legge al Comune per il rilascio del
permesso di costruire, stante
la sua onerosità, nell’ambito di un rapporto obbligatorio a
carattere paritetico e
soggetta, in quanto tale, al termine di prescrizione
decennale, sicché ad essi non
possono applicarsi né la disciplina dell’autotutela dettata
dall’art. 21-nonies della
l. n. 241 del 1990 né, più in generale, le disposizioni
previste dalla stessa legge
per gli atti provvedimentali manifestazioni di imperio”;
e2) “la pubblica amministrazione, nel corso di tale
rapporto, può pertanto sempre
rideterminare, sia a favore che a sfavore del privato,
l’importo di tale contributo,
in principio erroneamente liquidato, richiedendone o
rimborsandone a questi la
differenza nell’ordinario termine di prescrizione decennale
(art. 2946 c.c.)
decorrente dal rilascio del titolo edilizio, senza incorrere
in alcuna decadenza,
mentre per parte sua il privato non è tenuto ad impugnare
gli atti determinativi
del contributo nel termine di decadenza, potendo ricorrere
al giudice
amministrativo, munito di giurisdizione esclusiva ai sensi
dell’art. 133, comma
1, lett. f), c.p.a., nel medesimo termine di dieci anni,
anche con un’azione di mero
accertamento”;
e3) “l’amministrazione comunale, nel richiedere i detti
importi con atti non aventi
natura autoritativa, agisce quindi secondo le norme di
diritto privato, ai sensi
dell’art. 1, comma 1-bis, della l. n. 241 del 1990, ma si
deve escludere
l’applicabilità dell’art. 1431 c.c. a questa fattispecie, in
quanto l’errore nella
liquidazione del contributo, compiuto dalla pubblica
amministrazione, non
attiene ad elementi estranei o ignoti alla sfera del
debitore ed è quindi per lui in
linea di principio riconoscibile, in quanto o riguarda
l’applicazione delle tabelle
parametriche, che al privato sono o devono essere ben note,
o è determinato da un mero errore di calcolo, ben
percepibile dal privato, errore che dà luogo alla
semplice rettifica”;
e4) “la tutela dell’affidamento e il principio della buona
fede, che in via generale
devono essere osservati anche dalla pubblica amministrazione
nell’attuazione del
rapporto obbligatorio, possono trovare applicazione ad una
fattispecie come quella
in esame nella quale, ordinariamente, la predeterminazione e
l’oggettività dei
parametri da applicare al contributo di costruzione, di cui
all’art. 16 del d.P.R.
n. 380 del 2001, rendono vincolato il conteggio da parte
della pubblica
amministrazione, consentendone a priori la conoscibilità e
la verificabilità da
parte dell’interessato con l’ordinaria diligenza, solo nella
eccezionale ipotesi in
cui tali conoscibilità e verificabilità non siano possibili
con l’ordinaria diligenza
richiesta al debitore, secondo buona fede (artt. 1175 e 1375
c.c.), nell’ottica di una
leale collaborazione volta all’attuazione del rapporto
obbligatorio e al
soddisfacimento dell’interesse creditorio vantato dal
Comune”;
e5) il contributo di costruzione è una prestazione
patrimoniale imposta, di
natura non tributaria, a carico del privato, a titolo di
partecipazione ai
costi delle opere di urbanizzazione e in proporzione
all'insieme dei
benefici che la nuova costruzione ne ritrae, senza alcun
vincolo di scopo
in relazione alla zona interessata alla trasformazione
urbanistica e
indipendentemente dalla concreta utilità che il privato può
conseguire
dal titolo edificatorio e dalle spese effettivamente
occorrenti per la
realizzazione delle opere stesse. La circostanza che
un'obbligazione
patrimoniale abbia una fonte pubblicistica non esclude che
le vicende del
rapporto siano assoggettate anche alle ordinarie regole civilistiche;
e6) l'atto del comune che stabilisce la misura del
contributo è un mero atto di
liquidazione, a carattere ricognitivo e contabile, in quanto
il contributo,
nelle sue due diverse componenti, è dovuto in base a criteri
puntuali
predeterminati (cfr. art. 16 d.p.r. n. 380 del 2001), con la
conseguenza che
il suo concreto ammontare è il risultato soltanto di
un'operazione
aritmetica, mentre il fatto costitutivo dell’obbligazione è
il rilascio del
titolo edilizio. La determinazione del contributo non
avrebbe pertanto
carattere provvedimentale e l'atto del comune non sarebbe
neppure
passibile di autotutela;
e7) sebbene il credito dell’amministrazione, per la sua
particolare finalità, sia
assistito da particolari sanzioni e da speciali procedure
coattive di
riscossione ciò non contrasta con la fondamentale natura del
rapporto
obbligatorio paritetico inerente al momento del pagamento
del contributo
e accessorio al rilascio del permesso di costruire;
f) prima dell’intervento dell’Adunanza plenaria potevano
registrarsi tre
orientamenti principali sul tema della rettifica del
contributo di costruzione e
sulle condizioni che un comune deve rispettare per
correggere errori del
proprio atto di determinazione del contributo:
f1) un primo orientamento (Cons. giust. amm. reg. sic., 15.06.2007, n.
422; Id., 18.05.2007, n. 373; Id., 21.03.2007, n.
244, in Foro amm. –
Cons. Stato, 2007, 1063; Id., 02.03.2007, n. 64, in Giurisdiz. amm., 2007, I,
412; Cons. Stato, sez. IV, 28.11.2012, n. 6033, in Giurisdiz. amm.,
2012, I, 1631; Cons. Stato, sez. V, 04.05.1992, n. 360,
in Riv. giur. ed.,
1992, I, 624) riconosceva che il contributo di costruzione
fosse oggetto di
un rapporto obbligatorio sottoposto in quanto tale al
termine ordinario di
prescrizione (art. 2946 c.c.), decorrente dalla data del
rilascio del titolo.
Tuttavia, la liquidazione iniziale del contributo operata
dal comune
sarebbe suscettibile di modifica in peius esclusivamente in
caso di mero
errore di calcolo, che, di per sé, comporterebbe solo
l’esigenza di una
rettifica, con preclusione per il comune di ricorrere
all’istituto
dell’autotutela amministrativa. L’amministrazione
rimarrebbe, tuttavia,
vincolata alla propria liquidazione in quanto l’errore, in
base al principio
enunciato dall’art. 1431 c.c., non potrebbe essere
riconoscibile per il
privato che è indotto a prestare affidamento nella
determinazione del
contributo operata dall’amministrazione;
f2) un secondo orientamento (cfr. in particolare, Cons.
Stato, sez. IV, 27.09.2017, n. 4515; Cons. Stato, sez. IV, 12.06.2017, n. 2821), pur
muovendo dalla natura paritetica del rapporto, afferma che,
trattandosi
di un rapporto di debito-credito di natura paritetica, la
rettifica sarebbe
sempre possibile, entro il termine decennale di
prescrizione, perché, per
un verso, il procedimento sarebbe svincolato dal rispetto
delle condizioni
di esercizio dell’autotutela amministrativa e, per altro
verso, la
rideterminazione del contributo dovuto secondo rigidi
parametri
regolamentari o tabellari costituirebbe un atto dovuto;
f3) un terzo orientamento (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 21.12.2016, n. 5402;
manifesta preferenza per tale ricostruzione anche
l’ordinanza di
rimessione all’Adunanza plenaria resa da
Cons. giust. amm.
reg. sic., 27.03.2018, n. 175, oggetto della
News US in data
03.04.2018) sostiene
la natura pubblicista del rapporto nascente dalla
determinazione del
contributo, trattandosi di prestazione patrimoniale imposta
di carattere
non tributario, per affermare la conseguente applicabilità
in astratto delle
regole dell’autotutela amministrativa;
g) sulla disciplina pubblicistica delle sanzioni per il
ritardato pagamento del
contributo di costruzione,
Cons. Stato, Ad. plen., sentenza
07.12.2016, n.
24 (in Foro it., 2017, III, 129, in Giornale dir. amm.,
2017, 528 (m), con nota di
CUTINI, in Riv. giur. edilizia, 2017, I, 104, e in Riv. amm.,
2017, 274, nonché
oggetto della
News US in data
03.01.2017 alla quale si
rinvia per ulteriori
approfondimenti), secondo cui, tra l’altro:
g1) “l’amministrazione comunale ha il pieno potere di
applicare, nei confronti
dell’intestatario di un titolo edilizio, la sanzione
pecuniaria prescritta dalla legge
per il caso di ritardo ovvero di omesso pagamento degli
oneri relativi al contributo
di costruzione anche ove, in caso di pagamento dilazionato
di detto contributo,
abbia omesso di escutere la garanzia fideiussoria in esito
alla infruttuosa scadenza
dei singoli ratei di pagamento ovvero abbia comunque omesso
di svolgere attività
sollecitatoria del pagamento presso il debitore principale”;
g2) il contributo di costruzione rappresenta una
compartecipazione del
privato alla spesa pubblica occorrente alla realizzazione
delle opere di
urbanizzazione; la ragione di tale compartecipazione è da
ricollegare sul
piano eziologico al surplus di opere di urbanizzazione che
l’amministrazione comunale è tenuta ad affrontare in
relazione al nuovo
intervento edificatorio del richiedente il titolo edilizio;
il contributo ha,
pertanto, natura di prestazione patrimoniale imposta,
d’indole non
tributaria ma di carattere generale (prescindendo totalmente
dalle singole
opere di urbanizzazione che devono in concreto eseguirsi e
venendo
altresì determinato indipendentemente sia dall’utilità che
il
concessionario ritrae dal titolo edificatorio, sia dalle
spese effettivamente
occorrenti per realizzare dette opere); quand’anche
risultino trasfuse in
apposita convenzione urbanistica, le prestazioni da
adempiere da parte
dell’amministrazione comunale e del privato intestatario del
titolo
edilizio non sono tra loro in posizione sinallagmatica; da
ciò discende che
il soggetto obbligato sia tenuto a corrispondere il
contributo di
costruzione nel rispetto dei termini convenuti e che
l’amministrazione
comunale deve eseguire le opere di urbanizzazione in
coerenza, anche sul
piano temporale, allo sviluppo edilizio del territorio,
nell’ambito di un
rapporto che è qualificabile in termini di diritto pubblico;
g3) non sussiste alcuna base normativa che correli il potere
sanzionatorio del
comune al previo esercizio dell’onere di sollecitazione del
pagamento
presso il debitore principale ovvero presso il fideiussore.
Il sistema di
pagamento del contributo di costruzione è caratterizzato
dalla presenza
solo eventuale di una garanzia prestata per l’adempimento
del debito principale e di un parallelo strumento a sanzioni
crescenti, con chiara
funzione di deterrenza dell’inadempimento, che trova
applicazione, in
base alla legge, al verificarsi dell’inadempimento
dell’obbligato
principale.
In tale sistema, l’amministrazione comunale,
allo scadere del
termine originario di pagamento della rata, ha solo la
facoltà di escutere
immediatamente il fideiussore onde ottenere il
soddisfacimento del suo
credito, ma, ove ciò non accada, l’amministrazione dovrà
sanzionare il
ritardo nel pagamento con la maggiorazione del contributo a
percentuali
crescenti all’aumentare del ritardo; solo alla scadenza di
tutti i termini
fissati al debitore per l’adempimento (e quindi dopo aver
applicato le
massime maggiorazioni di legge), l’Amministrazione avrà il
potere di
agire nelle forme della riscossione coattiva del credito nei
confronti del
debitore principale (art. 43, d.P.R. n. 380 del 2001);
g4) la stretta osservanza del principio di legalità comporta
pertanto che va
ritenuta legittima l’applicazione delle sanzioni per il
ritardo, a
prescindere da richieste di pagamento inoltrate
all’interessato o al suo
fideiussore dalla amministrazione concedente il titolo
edilizio;
h) sulla quantificazione del costo di costruzione, sulle
tabelle parametriche, sui
poteri e l’inerzia delle Regioni:
h1) in dottrina: FERRARIO – GIUFFRE’, in Testo unico
dell’edilizia, a cura di
MARIA ALESSANDRA SANDULLI, Milano, 2015, III ed., 447 ss.;
h2) in giurisprudenza: Cons. Stato, sez. IV, 21.12.2016, n. 5402, cit.,
secondo cui, tra l’altro, “sebbene alle Regioni spetti la
disciplina di dettaglio
pure in soggetta materia, al più la diretta applicazione
comunale della norma
statale, che nel fissare direttamente l’aliquota minima di
legge è comunque
inderogabile e ineludibile in base al principio di
coordinamento della finanza
pubblica ai sensi dell’art. 119, co. 2, Cost., serve altresì
ad evitare gli effetti nocivi
d’ogni inerzia del legislatore regionale, onde essa vige
fintanto che la Regione non
intervenga o a confermarla o a porne una superiore a quella
minima, ossia a quella
ritenuta congrua quale livello essenziale di prestazione
imposta, ad evidenti fini
perequativi del prelievo, per tutto il territorio della
Repubblica”, “non è
correttamente invocata la tutela dell’affidamento a causa
d’un overruling
sostanziale da parte del Comune, poiché, per un verso, la
potestà di ripensamento
ovvero di correzione dei propri errori o illegittimità è,
per la P.A., immanente
nell’ordinamento ed è espressamente codificata negli artt.
21-quinquies e 21–nonies della l. 07.08.1990 n. 241 anche per quanto
attiene alla decorrenza dei
relativi effetti e, per altro verso, non esiste un correlato
ed inderogabile principio
per cui il mutamento d’avviso della P.A. stessa debba valere
solo per l’avvenire l’interpretazione delle norme, invero, è
sempre retroattiva, salvo eccezionali
ipotesi non ricorrenti nella specie”, “l’attrazione a
contribuzione del cespite
imponibile non esclude, di per sé solo, effetti in varia
guisa “retroattivi” della
potestà contributiva fintanto che sia ancora attuale
l’attitudine soggettiva ed
oggettiva alla contribuzione stessa (in particolare, se non
v’è stata ancora
decadenza o prescrizione di tal potestà), maxime quando si
deve doverosamente
applicare l’aliquota (minima) di legge ed impedire così
forme surrettizie di
beneficio o di elusione nel caso concreto, donde la
superfluità dell’avviso ex art.
10-bis della l. 241/1990 in relazione al successivo art.
21-octies, co. 2, nonché
l’insussistenza di affidamenti tutelabili a favore
dell’appellante, nonché la
inconfigurabilità della violazione delle garanzie
partecipative”; Cons. Stato, sez.
V, 13.02.1995, n. 229 (in Foro amm., 1995, 348),
secondo cui “ai sensi
dell'art. 5 l. 28.01.1977 n. 10 la determinazione degli
oneri di
urbanizzazione è stabilita in base alle tabelle parametriche
fissate dalle regioni e
nell'attesa della loro emanazione i comuni provvedono in via
provvisoria salvo
conguaglio; pertanto, la determinazione a conguaglio sulla
base di tabelle
sopravvenute all'ultimazione della costruzione è legittima e
non richiede alcuna
dimostrazione analitica della liquidazione”; Cons. Stato,
sez. V, 13.07.1994,
n. 752 (in Ambiente, 1994, fasc. 10, 108, e in Giur. it.,
1995, III, 1, 36), secondo
cui “legittimamente, gli oneri di urbanizzazione relativi
alla nuova costruzione
di magazzini per il deposito e per il commercio di materie
prime tessili, vengono
determinati facendo riferimento alle tabelle parametriche
relative agli edifici
commerciali, direzionali e turistici e non invece sulla base
delle tabelle per gli
edifici aventi natura industriale o artigianale; infatti,
tali locali non risultano
destinati esclusivamente al deposito di materie prime, che
si configura essere una
fase del ciclo produttivo, bensì ad attività promiscua di
deposito e di commercio
delle stesse materie prime; a tal proposito trattandosi di
edifici commerciali
nessuna rilevanza assume l'edificazione su area identificata
«zona D» dal p.r.g.,
poiché per tali edifici non è prevista alcuna zona
territoriale omogenea, potendo
sorgere in ogni parte del territorio, quindi anche in «zone
D» (insediamento
produttivo artigianale-industriale)”; Cons. Stato, sez. V,
27.02.1998, n.
201 (in Riv. giur. urbanistica, 1999, 139, con nota di
FIORINI), secondo cui
“Il contributo per oneri di urbanizzazione è un
corrispettivo di diritto pubblico,
di natura non tributaria, posto a carico del costruttore a
titolo di partecipazione
ai costi delle opere di urbanizzazione in proporzione
all'insieme dei benefici che
la nuova costruzione ne trae”; Cass. civ., sez. I, 27.09.1994, n. 7874 (in
Foro it., 1995, I, 1921, e in Riv. giur. edilizia, 1995, I,
92), secondo cui “poiché
il contributo per le opere di urbanizzazione non ha natura
di contro-prestazione in rapporto sinallagmatico rispetto al
rilascio della concessione edilizia, ma
rappresenta una prestazione di natura tributaria, o al più
un corrispettivo di
diritto pubblico, che trova il suo fondamento negli oneri
che gravano sulla
collettività in rapporto alle opere di trasformazione del
territorio, il comune non
può ritenersi obbligato, per effetto del versamento degli
oneri, all'esecuzione delle
opere di urbanizzazione primaria”;
i) sulla individuazione dei principi fondamentali in materia
di governo del
territorio, ex art. 117 Cost., all’interno del t.u.
edilizia:
i1) Corte cost., 13.04.2017, n. 84 (in Riv. giur.
edilizia, 2017, I, 246), secondo
cui “la questione di legittimità costituzionale dell'art. 9,
1° comma, lett. b), d.leg. 06.06.2001, n. 378, recante «disposizioni legislative in
materia edilizia (Testo
B)», trasfuso nell'art. 9, 1° comma, lett. b), d.p.r. 06.06.2001 n. 380, recante
il «testo unico delle disposizioni legislative e
regolamentari in materia edilizia
(Testo A) », va rigettata in quanto infondata, non
sussistendo la dedotta
violazione degli art. 3, 41, 1° comma, 42, 2° e 3° comma, 76
e 117, 3° comma,
cost.”;
i2) Corte cost., 03.11.2016, n. 231 (in Foro it., 2017,
I, 2566, in Urbanistica
e appalti, 2017, 51, con nota di DI MARIO, in Giur. costit.,
2017, 421, con
nota di CHIEPPA, e in Riv. giur. edilizia, 2016, I, 952),
secondo cui, tra
l’altro: “L'onerosità del titolo abilitativo «riguarda
infatti un principio della
disciplina un tempo urbanistica e oggi ricompresa fra le
funzioni legislative
concorrenti sotto la rubrica "governo del territorio"»
(sentenza n. 303 del 2003),
e anche le deroghe al principio (elencate all'art. 17 del
TUE), in quanto legate a
quest'ultimo da un rapporto di coessenzialità, partecipano
della stessa natura di
principio fondamentale (sentenze n. 1033 del 1988 e n. 13
del 1980)”; “È
dichiarato costituzionalmente illegittimo -per violazione
dell'art. 117, 3º comma,
cost.- l'art. 6, 20º e 21º comma, primo trattino, l.reg.
Liguria n. 12 del 2015, con
cui sono stati modificati gli art. 38, 1º comma, lett. a) e
c), e 39, 1º comma (con
l'aggiunta della lett. g-bis), l.reg. Liguria n. 16 del
2008; le disposizioni
impugnate dal governo esonerano dal contributo di
costruzione due categorie di
«interventi sul patrimonio edilizio esistente» (quelli con
un aumento della
superficie agibile inferiore a venticinque metri quadrati o
con variazione di
superficie derivante da mera eliminazione di muri divisori;
e quelli di
frazionamento di unità immobiliari che determinino un numero
di unità
immobiliari inferiore al doppio di quelle esistenti, sia pur
con aumento della
superficie agibile) che possono rientrare, a seconda delle
loro caratteristiche, nella
nozione di «manutenzione straordinaria» (come definita agli
art. 3, 1º comma,
lett. b), e 6, 2º comma, lett. a), t.u. edilizia) o in
quella di «ristrutturazione edilizia» (come definita
dall'art. 3, 1º comma, lett. c), t.u. edilizia); tali
fattispecie
di totale esonero contrastano con i principi fondamentali
della materia, che
prevedono per la manutenzione straordinaria (ove ricorrano i
presupposti
dell'art. 17, 4º comma, t.u. edilizia) una riduzione del
contributo alla sola parte
corrispondente alla incidenza delle opere di urbanizzazione,
e per la
ristrutturazione edilizia il pagamento del contributo per
intero, salvi casi
particolari di esonero o di riduzione (art. 17, 3º comma,
lett. b), e 4º comma bis,
t.u. edilizia); l'onerosità del titolo abilitativo e le
coessenziali deroghe ad esso
(elencate all'art. 17 del t.u. edilizia) partecipano della
stessa natura di principio
fondamentale della materia «governo del territorio»”;
i3) Corte cost., 09.03.2016, n. 49 (in Riv. giur.
edilizia, 2016, I, 8, con nota di
STRAZZA, in Giur. it., 2016, 2233 (m), con nota di VIPIANA
PERPETUA,
e in Riv. giur. urbanistica, 2016, fasc. 4, 87, con nota di
CERBO), secondo
cui “È costituzionalmente illegittimo, per violazione
dell'art. 117, 3º comma,
cost., l'art. 84-bis, 2º comma, lett. b), l.reg. Toscana 03.01.2005 n. 1, che
stabilisce la possibilità per l'amministrazione di
esercitare poteri sanzionatori per
la repressione degli abusi edilizi, anche oltre il termine
di trenta giorni dalla
presentazione della Scia, in un numero più ampio di ipotesi
rispetto alla
previsione statale; nell'ambito della materia concorrente
del «governo del
territorio», i titoli abilitativi agli interventi edilizi
costituiscono oggetto di una
disciplina che assurge a principio fondamentale e tale
valutazione deve ritenersi
valida anche per la denuncia di inizio attività (Dia) e per
la segnalazione
certificata di inizio attività (Scia), che si inseriscono in
una fattispecie, il cui
effetto è pur sempre quello di legittimare il privato ad
effettuare gli interventi
edilizi; tale fattispecie ha una struttura complessa e non
si esaurisce,
rispettivamente, con la dichiarazione o la segnalazione, ma
si sviluppa in due fasi
ulteriori: una prima, di ordinaria attività di controllo
dell'amministrazione; una
seconda, in cui può esercitarsi l'autotutela amministrativa;
anche le condizioni e
le modalità di esercizio dell'intervento della p.a., una
volta che siano esauriti i
termini prescritti dalla normativa statale, devono
considerarsi il necessario
completamento della disciplina dei titoli abitativi, poiché
l'individuazione della
loro consistenza e della loro efficacia non può prescindere
dalla capacità di
resistenza rispetto alle verifiche effettuate
dall'amministrazione successivamente
alla maturazione degli stessi; la disciplina di questa fase
ulteriore è, dunque, parte
integrante del titolo abilitativo e costituisce un tutt'uno
inscindibile; il suo perno
è costituito da un istituto di portata generale -quello
dell'autotutela- che si
colloca allo snodo delicatissimo del rapporto fra il potere
amministrativo e il suo
riesercizio, da una parte, e la tutela dell'affidamento del
privato, dall'altra; ne deriva che la disciplina de qua
costituisce espressione di un principio
fondamentale della materia «governo del territorio»; la
normativa regionale,
nell'attribuire all'amministrazione un potere di intervento,
lungi dall'adottare
disposizioni di dettaglio, ha introdotto una disciplina
sostitutiva dei principi
fondamentali dettati dal legislatore statale, toccando i
punti nevralgici del
sistema elaborato nella legge sul procedimento
amministrativo e con tutti i rischi
per la certezza e l'unitarietà dello stesso”;
i4) Corte cost., 12.04.2013, n. 64 (in Foro it., 2014,
I, 2299), secondo cui “È
incostituzionale l'art. 1, 1º e 2º comma, l.reg. Veneto 24.02.2012 n. 9, nella
parte in cui prevede che, nell'ambito degli interventi
edilizi nelle zone classificate
sismiche, è esclusa, anche con riguardo ai procedimenti in
corso, la necessità del
previo rilascio delle autorizzazioni del competente ufficio
tecnico regionale per i
«progetti» e le «opere di modesta complessità strutturale»,
privi di rilevanza per
la pubblica incolumità, individuati dalla giunta regionale
in base ad una
procedura nella quale è prevista l'obbligatoria assunzione
di un semplice parere
da parte della commissione sismica regionale”;
i5) Corte cost., 15.11.1988, n. 1033 (in Cons. Stato,
1988, II, 2067, in
Giust. civ., 1989, I, 265, in Riv. giur. edilizia, 1989, I,
10, e in Riv. amm., 1989,
503), secondo cui: “Il d.l. 23.01.1982, n. 9 convertito
con modificazioni
dalla l. 25.03.1982, n. 94 detta norme integratrici delle
norme fondamentali
di riforme economico-sociali contenute nella l. 28.01.1977, n. 10
sull'edificabilità dei suoli e, come tale, pone limiti
costituzionalmente giustificati
sia nei confronti della competenza legislativa spettante
alle regioni a statuto
ordinario in materia urbanistica, ai sensi dell'art. 117
cost., sia nei confronti della
competenza legislativa delle regioni a statuto speciale e in
particolare della
regione Sardegna ai sensi della l. cost. 26.02.1948,
n. 3”; “Le norme che
dettano deroghe al principio dell'onerosità della
concessione edilizia rientrano fra
le norme fondamentali delle riforme economico sociali; gli
art. 7 e 9, d.l. 23.01.1982, n. 9 convertito con modificazioni dalla l. 25.03.1982, n. 94,
non è in contrasto con gli art. 13, lett. f), l. cost. 26.02.1948, n. 3 (statuto
reg. Sardegna) e 117 cost. nelle parti in cui gli articoli
stessi prevedono deroghe
al principio dell'onerosità delle concessioni edilizie”;
i6) dalle pronunce descritte si ricava che la Corte
costituzionale ha ritenuto
che l’urbanistica e l’edilizia vadano ricondotte alla
materia «governo del
territorio» (Corte cost., 28.06.2004, n. 196, in Foro it., 2005, I, 327, in
Riv. corte conti, 2004, fasc. 3, 301, in Riv. giur.
urbanistica, 2005, 38, con nota
di CALEGARI, in Quaderni regionali, 2004, 1166, in Giust.
amm., 2004, 778
(m), con nota di MORBIDELLI, in Regioni, 2004, 1355 (m), con
note di SORACE, TORRICELLI, in Riv. not., 2004, 1487, con
nota di CASU, in
Giur. costit., 2004, 1930, con note di CHIEPPA, PINELLI,
STELLA
RICHTER, in Giust. civ., 2005, I, 16, in Riv. trim. dir.
pen. economia, 2004,
1249, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2004, 1219, con nota di
MAIELLO, in Rass.
avv. Stato, 2004, 576, con nota di FIENGO, e in Giur. it.,
2005, 2024, con
nota di ANGELINI; Corte cost., 19.12.2003, n. 362, in
Quaderni
regionali, 2004, 399, in Foro amm.-Cons. Stato, 2003, 3559,
con nota di FOÀ,
in Cons. Stato, 2003, II, 2317, in Riv. giur. edilizia,
2004, I, 383, e in Giur.
costit., 2003, 3736; Corte cost., 07.10.2003, n. 307, in
Foro it., 2004, I,
1365, con nota di MIGLIORANZA, in Giur. it., 2004, 397, in
Urbanistica e
appalti, 2004, 295 (m), con nota di MANFREDI, in Foro amm.-Cons.
Stato,
2003, 2791, con nota di DE LEONARDIS, in Quaderni regionali,
2004, 311,
in Giur. costit., 2003, 2841, in Ragiusan, 2004, fasc. 239,
258, in Riv. giur.
edilizia, 2004, I, 411, in Riv. giur. ambiente, 2004, 257
(m), con nota di
CERUTI, MAZZOLA, in Rass. giur. energia elettrica, 2003,
523, con nota di
ORO NOBILI, in Resp. civ., 2004, 441 (m), con nota di
ROLANDO, e in
Regioni, 2004, 603, con nota di CAMERLENGO; Corte cost., 01.10.2003,
n. 303, in Foro it., 2004, I, 1004, con note di VIDETTA,
FRACCHIA,
FERRARA, in Corriere giur., 2004, 29, con nota di DICKMANN,
in
Urbanistica e appalti, 2004, 295 (m), con nota di MANFREDI,
in Riv. giur.
Mezzogiorno, 2003, 1472, in Quaderni regionali, 2003, 1012,
in Riv. corte conti,
2003, fasc. 6, 181, in Riv. giur. edilizia, 2004, I, 10, con
nota di CELOTTO, in
Giur. costit., 2003, 2675, con note di D'ATENA, ANZON,
MOSCARINI,
GENTILINI, in Appalti urbanistica edilizia, 2004, 13, in
RivistAmbiente, 2003,
1257, in Cons. Stato, 2003, II, 2007, con nota di D'ARPE, in
Urbanistica e
appalti, 2003, 1399, con nota di CAPUTO, in Guida al dir.,
2003, fasc. 40, 67,
con nota di FORLENZA, in Dir. e giustizia, 2003, fasc. 37,
58, con nota di
MAGNI, in Cons. Stato, 2004, II, 1307 (m), con nota di MILO,
in Giur. it.,
2004, 1567, con nota di MASSA PINTO, in Dir. maritt., 2004,
955, con nota
di CARPANETO, e in Regioni, 2004, 535, con note di BARTOLE,
VIOLINI), di cui all’art. 117, terzo comma, Cost.: materia
di legislazione
concorrente nella quale lo Stato ha il potere di fissare i
principi
fondamentali, mentre spetta alle Regioni il potere di
emanare la
normativa di dettaglio;
i7) le dichiarazioni di incostituzionalità (in particolare
Corte cost., 12.04.2013, n. 64, cit.) sono motivate con riguardo alla
violazione di un principio
fissato dalla legge statale e da ritenersi, per la regione,
principio
fondamentale della materia e come tale non derogabile. Con
riguardo alla portata dei «principi fondamentali» riservati
alla legislazione statale nelle
materie di potestà concorrente, la Corte ha precisato, tra
l’altro, che il
rapporto tra normativa di principio e normativa di dettaglio
deve essere
inteso nel senso che l’una è volta a prescrivere criteri e
obiettivi, mentre
all’altra spetta l’individuazione degli strumenti concreti
da utilizzare per
raggiungere quegli obiettivi;
i8) anche la previsione di limiti invalicabili
all’edificazione nelle “zone
bianche” ha le caratteristiche intrinseche del principio
fondamentale della
legislazione statale in materia di governo del territorio,
coinvolgendo
valori di rilievo costituzionale quali il paesaggio,
l’ambiente e i beni
culturali (Corte cost., 13.04.2017, n. 84, cit.).
In quest’ottica, la
fissazione di standard rigorosi, ma cedevoli di fronte a
qualsiasi
regolamentazione regionale rappresenterebbe una soluzione
contraddittoria, in quanto lascerebbe aperta la possibilità
che eventuali
legislatori regionali finiscano con il frustrare la ratio
della disciplina,
compromettendo in modo tendenzialmente irreversibile
interessi di
rango costituzionale.
La norma statale, anche se prevede la
puntuale
quantificazione dei limiti di cubatura e di superficie,
svolge la funzione
di impedire, tramite l’applicazione di standard legali, una
incontrollata
espansione edilizia in caso di vuoti urbanistici,
suscettibile di
compromettere l’ordinato (futuro) governo del territorio e
di determinare
la totale consumazione del suolo nazionale, a garanzia di
valori di chiaro
rilievo costituzionale. Funzione rispetto alla quale la
specifica previsione
di livelli minimi di tutela si presenta coessenziale, in
quanto necessaria
per esprimere la regola;
i9) nell’ambito della materia concorrente «governo del
territorio», i titoli abilitativi agli interventi edilizi
costituiscono oggetto di una disciplina che assurge a
principio fondamentale e tale valutazione deve ritenersi
valida anche per la denuncia di inizio attività (DIA) e per
la SCIA (cfr., in particolare, Corte cost., 09.03.2016, n.
49) che, seppure con la loro indubbia specificità, si
inseriscono in una fattispecie il cui effetto è pur sempre
quello di legittimare il privato ad effettuare gli
interventi edilizi; anche le condizioni e le modalità di
esercizio dell’intervento della pubblica amministrazione,
una volta che siano decorsi i termini in questione, devono
considerarsi il necessario completamento della disciplina di
tali titoli abilitativi, poiché l’individuazione della loro
consistenza e della loro efficacia non può prescindere dalla
capacità di resistenza rispetto alle verifiche effettuate
dall’amministrazione successivamente alla maturazione degli
stessi.
La disciplina di questa fase ulteriore, dunque, è
parte integrante di quella del titolo abilitativo e
costituisce con essa un tutt’uno inscindibile. Ne discende
che, anche per questa parte, la disciplina in questione
costituisce espressione di un principio fondamentale della
materia «governo del territorio» (TAR
Veneto, Sez. II,
ordinanza 05.02.2019 n. 159 -
commento tratto da e link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Alla Corte costituzionale la legge regionale sugli oneri di
costruzione.
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Edilizia – Omeri di costruzione – Regione Veneto - Art.
2, comma 3, l.reg. Veneto n. 4 del 2015 – Violazione artt.
3, 5, 97, 114, 117, 118 e 119 Cost. – Rilevante e non
manifestamente infondata.
E’ rilevante e non manifestamente
infondata, in relazione agli artt. 3, 5, 97, 114, 117, 118 e
119 Cost., la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 2, comma 3, l. reg. Veneto 16.03.2015, n. 4, nella
parte in cui incide sulla pretesa creditoria dei Comuni ad
ottenere il pagamento della quota del costo di costruzione
nella misura determinata ai sensi del comma 9, ultimo
periodo, dell’art. 16, d.P.R. n. 380 del 2001 (1).
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(1) L’art. 16, comma 9, d.P.R. n. 380 del 2001 prevede che le
Regioni determinino i criteri per il calcolo di tale
componente del contributo di costruzione e definisce i
parametri a cui il Legislatore Regionale deve far
riferimento: il contributo per il costo di costruzione deve
costituire una quota del suddetto costo compresa tra il
cinque ed il venti percento, variabile in funzione delle
caratteristiche, delle tipologie, della destinazione e
dell’ubicazione delle costruzioni.
Il Legislatore Veneto, ha dato attuazione all’art. 16, comma
9, d.P.R. n. 380 del 2001, sostituendo con il comma 1
dell’art. 2, l.reg. 16.03.2015, n. 4 la tabella A4 della
l.reg. n. 61 del 1985. Al comma 2, ha, poi, previsto che i
nuovi criteri si applichino anche “ai procedimenti in
corso relativi ai permessi di costruire nei quali il comune
non abbia ancora provveduto a determinare la quota del costo
di costruzione”. Infine, al comma 3, ha stabilito che: “Resta
fermo quanto già determinato dal comune, in relazione alla
quota del costo di costruzione, prima dell'entrata in vigore
della presente legge in diretta attuazione del comma 9
dell'articolo 16 del decreto del Presidente della Repubblica
n. 380 del 2001, purché la determinazione sia avvenuta
all'atto del rilascio del permesso di costruire e non con
una successiva richiesta di conguaglio”.
La previgente tabella A4 della l.reg. 27.06.1985, n. 61 (“Norme
per l’assetto e l’uso del territorio”) prevedeva
un’aliquota minima del 1,5%. La disposizione aveva dato
attuazione all'art. 6, comma 3, l. reg. n. 10 del 1977 che,
nel testo allora vigente (risultante dalle modifiche di cui
all'art. 9, comma 6, d.l. 23.01.1982, n. 9, convertito, con
modificazioni, dalla L. 25.03.1982, n. 94), senza prevedere
un’aliquota minima, stabiliva che il contributo afferente al
costo di costruzione fosse determinato in misura percentuale
non superiore al 10%.
Successivamente, con l'art. 7, comma 2, l. 24.12.1993, n.
537 (rimasto in vigore fino all’entrata in vigore del Testo
Unico dell’edilizia) il Legislatore Statale aveva già
modificato il parametro, prevedendo che il contributo fosse
determinato in una percentuale compresa tra il cinque ed il
venti per cento del costo di costruzione, così riportandolo
alla cornice prevista dalla formulazione originaria
dell’art. 6, comma 3, l. 28.01.1977, n. 10. Il Legislatore
Veneto, tuttavia, non aveva apportato modifiche alla tabella
A4 della l.reg. 27.06.1985, n. 61, rimasta in vigore nella
sua originaria formulazione.
Ha quindi affermato il Tar che l’art. 2, comma 3, l.reg. n.
4 del 2015 appare più chiaro nel suo contenuto dispositivo.
Il tenore letterale della disposizione sembra sovvertire gli
esiti dell’elaborazione giurisprudenziale circa l’assetto
dei rapporti tra norma statale e norma regionale nella
materia della determinazione del contributo afferente al
costo di costruzione.
Infatti, quasi che a prevalere dovesse essere la
disposizione di fonte regionale, si afferma che “resta
fermo” quanto determinato in diretta applicazione
dell’art. 16, comma 9, d.P.R. n. 380 del 2001, ma soltanto
se tale determinazione sia stata effettuata contestualmente
al rilascio del titolo (“Resta fermo quanto già
determinato dal comune (…) in diretta attuazione del comma 9
dell'articolo 16 del decreto del Presidente della Repubblica
n. 380 del 2001, purché la determinazione sia avvenuta
all'atto del rilascio del permesso di costruire e non con
una successiva richiesta di conguaglio”). Quale che sia
il presupposto in forza del quale il Legislatore si sia
determinato ad esprimersi in tale forma, comunque, al
contenuto dispositivo della norma sembra doversi attribuire
portata retroattiva.
La disposizione sembra, infatti, chiara nel consentire ai
Comuni di chiedere e di riscuotere soltanto gli importi del
contributo quantificati in base alla norma statale
contestualmente al rilascio del titolo, inibendo la
riscossione del conguaglio anche ove la relativa richiesta
sia stata effettuata prima dell’entrata in vigore della
l.reg. n. 4 del 2015.
Infatti, atteso che la norma si inserisce all’interno del testo normativo
di fonte regionale che ha dato attuazione all’art. 16, comma
9, d.P.R. n. 380 del 2001, essa non può applicarsi alle
determinazioni del contributo successive all’entrata in
vigore della norma stessa, per le quali si applicheranno le
nuove aliquote. Essa si rivolge, quindi alle “determinazioni”
già avvenute (quindi ai titoli già rilasciati) per affermare
che quelle effettuate dando diretta attuazione all’art. 16,
comma 9, d.P.R. n. 380 del 2001, restano ferme – e quindi
potranno essere fatte valere e portate ad esecuzione – solo
se contestuali al rilascio del titolo. Il contenuto
precettivo della disposizione appare integralmente definito
in tale parte del comma: esso determina compiutamente sia la
sorte delle “determinazioni” effettuate sulla scorta
dell’art. 16, comma 9, d.P.R. n. 380 del 2001 (che “restano
ferme”), sia di quelle effettuate sulla scorta della
legislazione regionale (che non potranno essere integrate).
Il riferimento alle “successive richieste di conguaglio”,
appare una semplice specificazione di un concetto già
compiutamente espresso con la locuzione che la precede e,
pertanto, non sembra potersi valorizzare al fine di
affermare che l’impedimento alla riscossione derivante dalla
disposizione riguardi soltanto le richieste di conguaglio
successive alla sua entrata in vigore. Il tenore precettivo
della disposizione –che consente di far valere solo le
determinazioni direttamente attuative della norma statale
effettuate contestualmente al rilascio del titolo–
resterebbe, infatti, intatto anche in assenza di tale
specificazione.
D’altronde una diversa soluzione interpretativa –che la
difesa del Comune ha proposto nei suoi scritti difensivi–
appare incompatibile con la natura non autoritativa
riconosciuta agli atti di determinazione del contributo ed a
quelli con i quali tale determinazione venga modificata.
Solo attribuendo ad essi natura provvedimentale, potrebbe
distinguersi tra la sorte delle richieste di conguaglio
inviate prima e dopo l’entrata in vigore della norma.
Poiché, però, è stato ormai chiarito che tali atti hanno
natura paritetica e costituiscono atti di esercizio di un
diritto di credito, la norma viene ad incidere sui rapporti
obbligatori che sono sorti, ex lege, per effetto del
rilascio del titolo, e quindi appare, nel suo contenuto
dispositivo, volta ad impedire le azioni necessarie alla
riscossione anche delle richieste di conguaglio precedenti
alla sua entrata in vigore. Da tutto quanto sopra, emerge la
rilevanza della questione di legittimità costituzionale
della norma nel presente giudizio
(TAR Veneto, Sez. II,
ordinanza 05.02.2019 n. 159 -
commento tratto da e link a
www.giustizia-amministrativa.it).
---------------
SENTENZA
12. Il Collegio dubita della legittimità
costituzionale dell’art. 2, c. 3, L.R. Veneto, 16.03.2015, n. 4, nella parte in cui incide sulla pretesa creditoria dei Comuni ad ottenere il pagamento della quota
del costo di costruzione nella misura determinata ai sensi
del comma 9, ultimo periodo, dell’art. 16, c. 9, D.P.R.
380/2001, per violazione degli artt. 3, 5, 97, 114, 117 comma
III; 118, comma I; 119, commi I, II e IV; 117, comma II,
lett. l), della Costituzione.
13. Preliminarmente, al fine di evidenziare la rilevanza
della questione di legittimità costituzionale per la
decisione dell’odierno ricorso, è necessario soffermarsi
sull’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dal
Comune resistente.
Il Comune afferma, infatti, che la nota prot. 3713 del 13.03.2017, oggetto dell’odierna impugnazione, costituisca
atto meramente confermativo dell’intimazione di pagamento
notificata alla società ricorrente in data 04.12.2014 e
non impugnata, e che, pertanto, il ricorso sarebbe da
ritenersi inammissibile per carenza di interesse, essendo
stato impugnato un atto privo di efficacia immediatamente
lesiva.
L’eccezione non è fondata. Essa presuppone la natura
provvedimentale ed autoritativa degli atti con i quali
l’Amministrazione determina e liquida il contributo di
costruzione e la loro conseguente impugnabilità entro il
termine decadenziale previsto dall’art. 29 c.p.a. Solo
partendo da tale premessa, infatti, potrebbe sostenersi che
l’impugnazione di una diffida di pagamento successiva alla
riliquidazione del contributo sia tardiva ed inammissibile.
L’assunto di partenza, tuttavia, è smentito
dall’orientamento giurisprudenziale, ormai consolidato (cfr.
da ultimo, Cons. Stato, Ad. Plen., 30/08/2018, n. 12; cfr.,
altresì, ex multis Cons. Stato Sez. IV Sent., 27/09/2017, n.
4515, TAR Veneto Venezia Sez. II Sent., 13/05/2016, n.
479), dal quale il Collegio non rinviene ragioni per
discostarsi, secondo cui le controversie in materia di
determinazione della misura dei contributi edilizi non hanno
natura impugnatoria, concernendo l’accertamento di una
pretesa creditoria dell’Amministrazione, avente natura di
prestazione patrimoniale imposta, non tributaria, di cui la
legge integralmente predetermina presupposto e contenuti
(così, Cons. Stato, Ad. Plen., 30/08/2018, n. 12: “la
controversia in ordine alla spettanza e alla liquidazione
del contributo per gli oneri di urbanizzazione, riservata
alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo a
norma dell'art. 16 della L. n. 10 del 1977 e, oggi,
dell'art. 133, comma 1, lett. f), c.p.a., ha ad oggetto
l'accertamento di un rapporto di credito a prescindere
dall'esistenza di atti della pubblica amministrazione e non
è soggetta alle regole delle azioni
impugnatorie-annullatorie degli atti amministrativi e ai
rispettivi termini di decadenza.”).
Tali controversie, pertanto, non soggiacciono al termine
decadenziale previsto per le azioni di annullamento (“le
controversie in tema di determinazione della misura dei
contributi edilizi concernono l'accertamento di diritti
soggettivi che traggono origine direttamente da fonti
normative, sicché sarebbero proponibili, a prescindere
dall'impugnazione di provvedimenti dell'amministrazione, nel
termine di prescrizione” Cons. St., sez. IV, 20.11.2012 n. 6033; Cons. St., sez. V,
04.05.1992, n. 360).
Pertanto la mancata impugnazione, entro il termine
decadenziale previsto dall’art. 29 c.p.a. dell’atto di
riliquidazione del contributo e richiesta di conguaglio
notificato nel 2014, non incide sull’ammissibilità del
giudizio con cui è contestata la suddetta pretesa creditoria,
ciò anche ove l’azione proposta fosse di annullamento.
Nel caso di specie, peraltro, il ricorrente ha espressamente
proposto –oltre all’azione impugnatoria- l’azione di
accertamento negativo del credito vantato
dall’Amministrazione comunale con le richieste di pagamento,
sì che neppure si pone un problema di riqualificazione della
pretesa azionata.
14. In merito alla rilevanza della questione ai fini del
presente giudizio il Collegio osserva quanto segue.
14.1 Pacifici tra le parti i fatti, la decisione della
controversia impone la soluzione di un’unica questione di
diritto, ovvero l’applicabilità alla fattispecie della
disposizione di cui all’art. 2, c. 3, L.R. Veneto, 16.03.2015, n. 4.
Il ricorrente, infatti, afferma che la pretesa del Comune al
pagamento del conguaglio sarebbe infondata, ostando al suo
accoglimento l’entrata in vigore la L.R. Veneto, 16.03.2015, n. 4, il cui art. 2, comma 3, così recita: “3. Resta
fermo quanto già determinato dal comune, in relazione alla
quota del costo di costruzione, prima dell'entrata in vigore
della presente legge in diretta attuazione del comma 9
dell'articolo 16 del decreto del Presidente della Repubblica
n. 380 del 2001, purché la determinazione sia avvenuta
all'atto del rilascio del permesso di costruire e non con
una successiva richiesta di conguaglio.”.
14.2 La difesa del Comune sostiene che la disposizione, non
avendo efficacia retroattiva, non si applicherebbe alla
fattispecie in esame, in cui la richiesta di conguaglio è
stata inviata dall’Amministrazione, per la prima volta, il 04.12.2014 (con intimazione ad eseguire il pagamento
entro 60 giorni), ossia in data anteriore al 04.04.2015,
data di entrata in vigore della Legge Regionale n. 4/2015
(pubblicata sul Bollettino Ufficiale della Regione Veneto
del 20.03.2015, n. 27).
Ad avviso del Comune, il ricorrente, resosi inadempiente
all’obbligo di corrispondere la somma dovuta a titolo di
conguaglio entro i sessanta giorni dalla ricezione
dell’intimazione, non potrebbe giovarsi della disposizione
sopravvenuta.
14.3 Il Collegio ritiene che l’interpretazione della
disposizione offerta dal Comune non sia condivisibile e che
la norma debba, invece, trovare applicazione anche nel
presente giudizio.
Benché la disposizione non si qualifichi espressamente come
retroattiva, tuttavia, un’esegesi della medesima, condotta
sulla scorta dei canoni ermeneutici letterale, teleologico e
sistematico, pare deporre per l’applicabilità della stessa
anche ai casi in cui la richiesta di conguaglio da parte
dell’Amministrazione sia stata effettuata prima della sua
entrata in vigore.
14.4 Giova premettere, al fine di illustrare le ragioni di
quanto si afferma, la ricostruzione del quadro ordinamentale
entro cui la norma si inserisce e della evoluzione
giurisprudenziale che ne ha preceduto l’approvazione.
14.5 La disposizione in esame è contenuta all’interno del
testo normativo con cui il Legislatore Regionale, a quasi
dodici anni di distanza dall’entrata in vigore del Testo
Unico dell’Edilizia, ha dato attuazione al disposto di cui
all’art. 16, c. 9, D.P.R. 380/2001, definendo i criteri per
il calcolo del contributo afferente al costo di costruzione,
sulla base dei parametri previsti dalla disposizione di
fonte statale.
L’art. 16, c. 9, D.P.R. 380/2001 prevede che le Regioni
determinino i criteri per il calcolo di tale componente del
contributo di costruzione e definisce i parametri a cui il
Legislatore Regionale deve far riferimento: il contributo
per il costo di costruzione deve costituire una quota del
suddetto costo compresa tra il cinque ed il venti percento,
variabile in funzione delle caratteristiche, delle
tipologie, della destinazione e dell’ubicazione delle
costruzioni (art. 16, c. 9, D.P.R. 380/2001: “Il costo di
costruzione per i nuovi edifici è determinato periodicamente
dalle regioni con riferimento ai costi massimi ammissibili
per l'edilizia agevolata, definiti dalle stesse regioni a
norma della lettera g) del primo comma dell'articolo 4 della
legge 05.08.1978, n. 457. Con lo stesso provvedimento le
regioni identificano classi di edifici con caratteristiche
superiori a quelle considerate nelle vigenti disposizioni di
legge per l'edilizia agevolata, per le quali sono
determinate maggiorazioni del detto costo di costruzione in
misura non superiore al 50 per cento. Nei periodi
intercorrenti tra le determinazioni regionali, ovvero in
eventuale assenza di tali determinazioni, il costo di
costruzione è adeguato annualmente, ed autonomamente, in
ragione dell'intervenuta variazione dei costi di costruzione
accertata dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT). Il
contributo afferente al permesso di costruire comprende una
quota di detto costo, variabile dal 5 per cento al 20 per
cento, che viene determinata dalle regioni in funzione delle
caratteristiche e delle tipologie delle costruzioni e della
loro destinazione ed ubicazione.”).
Il Legislatore Veneto, ha dato attuazione all’art. 16, c. 9,
D.P.R. 380/2001, sostituendo con il comma 1 dell’art. 2, della
Legge Regionale n. 4/2015 la tabella A4 della Legge Regionale
n. 61 del 1985.
Al comma 2, ha, poi, previsto che i nuovi criteri si
applichino anche “ai procedimenti in corso relativi ai
permessi di costruire nei quali il comune non abbia ancora
provveduto a determinare la quota del costo di costruzione”.
Infine, al comma 3, ha stabilito che: “Resta fermo quanto
già determinato dal comune, in relazione alla quota del
costo di costruzione, prima dell'entrata in vigore della
presente legge in diretta attuazione del comma 9
dell'articolo 16 del decreto del Presidente della Repubblica
n. 380 del 2001, purché la determinazione sia avvenuta
all'atto del rilascio del permesso di costruire e non con
una successiva richiesta di conguaglio”.
La previgente tabella A4 della Legge Regionale 27.06.1985, n. 61 (“Norme per l’assetto e l’uso del territorio”)
prevedeva un’aliquota minima del 1,5%. La disposizione aveva
dato attuazione all'art. 6, co. 3, della Legge 10/1977 che,
nel testo allora vigente (risultante dalle modifiche di cui
all'art. 9, comma 6, D.L. 23.01.1982, n. 9, convertito,
con modificazioni, dalla L. 25.03.1982, n. 94), senza
prevedere un’aliquota minima, stabiliva che il contributo
afferente al costo di costruzione fosse determinato in
misura percentuale non superiore al 10%.
Per vero, successivamente, con l'art. 7, comma 2, L. 24.12.1993, n. 537 (rimasto in vigore fino all’entrata in
vigore del Testo Unico dell’edilizia) il Legislatore Statale
aveva già modificato il parametro, prevedendo che il
contributo fosse determinato in una percentuale compresa tra
il cinque ed il venti per cento del costo di costruzione,
così riportandolo alla cornice prevista dalla formulazione
originaria dell’art. 6, c. 3, Legge 28.01.1977, n. 10.
Il Legislatore Veneto, tuttavia, non aveva apportato
modifiche alla tabella A4 della Legge Regionale 27.06.1985, n. 61, rimasta in vigore nella sua originaria
formulazione.
L’entrata in vigore del D.P.R. 380/2001 (il 30.06.2003),
avvenuta quasi contestualmente alla modifica del Titolo V
della Costituzione, ad opera della Legge costituzionale 30.05.2003, n. 1, ha imposto la verifica della conformità
della legislazione regionale in materia edilizia alle norme
di principio poste dal Testo Unico, atteso che i suoi artt.
1 e 2 espressamente qualificano le norme di principio in
esso contenute, come principi fondamentali della materia,
entro cui le Regioni esercitano la potestà legislativa
concorrente.
Anche nell’assetto dei rapporti tra Stato e Regioni
risultante dalla riforma costituzionale, infatti, la materia
dell’edilizia è rimasta attratta alla potestà legislativa
concorrente, essendo riconducibile –come ha confermato la
Corte Costituzionale (sentenze n. 303, 307, 362 del 2003, n.
196 del 2004)– alla materia “governo del territorio”
contenuta nell’elenco di cui al comma III dell’art. 117
Cost.
La questione fu affrontata con una norma transitoria, l’art.
13 L.R. Veneto n. 16/2003, ma non risolta, poiché essa si
limitava a prevedere che: “1. Fino all'entrata in vigore
della legge regionale di riordino della disciplina edilizia
trovano applicazione le disposizioni di cui al D.P.R. 06.06.2001, n. 380 "Testo unico delle disposizioni
legislative e regolamentari in materia di edilizia"e
successive modificazioni, nonché le disposizioni della legge
regionale 27.06.1985, n. 61 "Norme per l'assetto e l'uso
del territorio" e successive modificazioni, che regolano la
materia dell'edilizia in maniera differente dal testo unico
e non siano in contrasto con i princìpi fondamentali
desumibili dal testo unico medesimo.”.
Nel dibattito che la norma ha suscitato sull’individuazione,
per i vari istituti, delle norme di fonte statale
direttamente applicabili e di quelle della L.R. 27.06.1985, n. 61, non in contrasto con i principi fondamentali
desumibili dal testo unico, si sono inserite diverse
pronunce di questo TAR, che –per quanto rileva in questa
sede– hanno affrontato la questione relativa alla diretta
applicabilità sul territorio regionale della aliquota minima
prevista dall’art. 16, c. 9, D.P.R. 380/2001, sia in sede di
determinazione del contributo all’atto del rilascio del
titolo, sia con successive richieste di conguaglio.
Le pronunce (TAR Veneto, Sez. II, 01.02.2011, n.
181; TAR Veneto, Sez. II, 01.02.2011, n. 189; TAR
Veneto, Sez. II, 09.10.2014, n. 1285; TAR Veneto, Sez. II, 16.07.2014, n. 1035) hanno risolto la questione
affermando che la norma di cui all’art. 16, c. 9, D.P.R.
380/2001 “deve essere interpretata nel senso di disporre
l’immediata applicazione della percentuale minima prevista,
corrispondente al 5%, mentre resta nella discrezionalità
delle Regioni determinare in misura superiore detta
percentuale, in relazione ai parametri individuati dal
medesimo comma 9” e che “Tale interpretazione (…) risponde
anche all’esigenza di assicurare un’uniformità nella
determinazione del costo di costruzione su tutto il
territorio nazionale, a prescindere dall’esercizio del
potere normativo riconosciuto alle singole Regioni.” (cfr.
TAR Veneto, Sez. II, 01.02.2011, n. 181).
La soluzione interpretativa accolta dal TAR ha trovato
conferma anche presso il Giudice amministrativo d’appello.
Il Consiglio di Stato, nella sentenza 21.12.2016, n.
5402, pronunciandosi sul gravame proposto avverso la
sentenza TAR Veneto, Sez. II, 16.07.2014, n. 1035, ha
affermato che la norma statale, “nel fissare direttamente
l’aliquota minima di legge è comunque inderogabile e ineludibile in base al principio di coordinamento della
finanza pubblica ai sensi dell’art. 119, co. 2, Cost., serve
altresì ad evitare gli effetti nocivi d’ogni inerzia del
legislatore regionale, onde essa vige fintanto che la
Regione non intervenga o a confermarla o a porne una
superiore a quella minima, ossia a quella ritenuta congrua
quale livello essenziale di prestazione imposta, ad evidenti
fini perequativi del prelievo, per tutto il territorio della
Repubblica”.
Chiarito dalle suddette pronunce che l’importo del
contributo andava quantificato facendo applicazione della
norma statale, le Amministrazioni comunali che avevano
continuato ad applicare la normativa regionale hanno dato
avvio alle azioni necessarie per ottenere il pagamento del
maggiore importo dovuto in diretta attuazione della norma
statale, mediante richieste di conguaglio.
Come emerge dal comunicato con il quale il Consiglio
regionale ha dato notizia dell’approvazione della legge
regionale di attuazione dell’art. 16, c. 9, del D.P.R.
380/2001, l’avvio di tali azioni ha indotto il Legislatore
Regionale ad introdurre la previsione di cui all’art. 2,
comma 3, sopra riportato.
Il Consiglio regionale ha, infatti, affermato che con
l’intervento normativo in esame “non potranno esserci
richieste di conguaglio successive all’atto del rilascio del
permesso di costruire, cosa che alcuni Comuni, per timore di
possibili responsabilità contabili, stavano iniziando a
fare”.
14.6 Merita, inoltre, osservare che l’intervento normativo -oltre al problema interpretativo relativo alla disciplina
applicabile nelle more dell’adeguamento della legislazione
regionale a quella statale di principio- incrocia
l’ulteriore dibattuta tematica -che solo di recente ha
trovato compiuta soluzione- sulla natura degli atti di
determinazione e liquidazione del contributo di costruzione, nonché sulla ammissibilità ed i presupposti della loro
modificazione.
Prima che si esprimesse l’Adunanza Plenaria del Consiglio di
Stato, con la sentenza 11.07.2018 n. 12, le
differenziate posizioni della giurisprudenza si erano
polarizzate su tre impostazioni interpretative.
Secondo una prima tesi, la determinazione del contributo
darebbe luogo ad un rapporto paritetico che, seppur
azionabile da ambo le parti nel rispetto del termine
prescrizionale ordinario di dieci anni, si cristallizzerebbe
nel quantum al momento del rilascio del titolo edilizio,
ostando a successive sue modifiche la disciplina dell’errore
riconoscibile prevista dall’art. 1431 c.c. L’errore nella
quantificazione costituirebbe una vicenda tutta interna al
dichiarante che, per tale ragione, non potrebbe essere posto
a fondamento di alcuna modifica in peius del contenuto
dell’obbligazione così come originariamente definito.
Una seconda tesi, muovendo anch’essa dalla natura paritetica
del rapporto, perveniva all’opposta conseguenza della sua
libera rettificabilità entro il termine di prescrizione
decennale, perché, per un verso, non venendo in rilievo atti
autoritativi, il procedimento sarebbe svincolato dal
rispetto delle condizioni di esercizio dell’autotutela
amministrativa e, per altro verso, essendo l’obbligazione
definita da rigidi parametri regolamentari o tabellari, la
sua quantificazione secondo il contenuto legale
costituirebbe per l’Amministrazione un atto dovuto.
Terza e più recente impostazione, muove dalla natura
pubblicistica del rapporto nascente dalla determinazione del
contributo, per affermare la conseguente applicabilità, in
astratto, delle regole dell’autotutela amministrativa.
Il Legislatore regionale, con la disposizione in esame -nella quale prevede di “tener ferme” le sole determinazioni
con cui si è fatta diretta applicazione dell’art. 16, c. 9,
D.P.R. 380/2001 che siano avvenute contestualmente al rilascio
del permesso di costruire e non con successivi conguagli-
ha espresso una chiara opzione per la prima delle tesi
richiamate, codificandone gli esiti.
Ha, infatti, escluso per espressa disposizione di legge
l’ammissibilità del conguaglio che miri a recuperare
l’importo del contributo nella misura minima prevista dalla
legislazione statale, con il chiaro intento di evitare che i
Comuni potessero accedere ad altre possibili opzioni
interpretative della disciplina degli atti di determinazione
e liquidazione del contributo di costruzione.
14.7 Tenendo conto del contesto nel quale è maturata la
previsione in esame, l’art. 2, comma 3, L.R. Veneto 16.03.2015, n. 4 appare più chiaro nel suo contenuto dispositivo.
14.8 Il tenore letterale della disposizione sembra
sovvertire gli esiti dell’elaborazione giurisprudenziale
circa l’assetto dei rapporti tra norma statale e norma
regionale nella materia della determinazione del contributo
afferente al costo di costruzione.
Infatti, quasi che a prevalere dovesse essere la
disposizione di fonte regionale, si afferma che “resta
fermo” quanto determinato in diretta applicazione dell’art.
16, c. 9, D.P.R. 380/2001, ma soltanto se tale determinazione
sia stata effettuata contestualmente al rilascio del titolo
(“Resta fermo quanto già determinato dal comune (…) in
diretta attuazione del comma 9 dell'articolo 16 del decreto
del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, purché la
determinazione sia avvenuta all'atto del rilascio del
permesso di costruire e non con una successiva richiesta di
conguaglio”).
Quale che sia il presupposto in forza del quale il
Legislatore si sia determinato ad esprimersi in tale forma,
comunque, al contenuto dispositivo della norma sembra
doversi attribuire portata retroattiva.
La disposizione sembra, infatti, chiara nel consentire ai
Comuni di chiedere e di riscuotere soltanto gli importi del
contributo quantificati in base alla norma statale
contestualmente al rilascio del titolo, inibendo la
riscossione del conguaglio anche ove la relativa richiesta
sia stata effettuata prima dell’entrata in vigore della L.R.
Veneto n. 4/2015.
Infatti, atteso che la norma si inserisce all’interno del
testo normativo di fonte regionale che ha dato attuazione
all’art. 16, c. 9, DPR 380/2001, essa non può applicarsi alle
determinazioni del contributo successive all’entrata in
vigore della norma stessa, per le quali si applicheranno le
nuove aliquote.
Essa si rivolge, quindi alle “determinazioni” già avvenute
(quindi ai titoli già rilasciati) per affermare che quelle
effettuate dando diretta attuazione all’art. 16, c. 9, DPR
380/2001, restano ferme –e quindi potranno essere fatte
valere e portate ad esecuzione– solo se contestuali al
rilascio del titolo.
Il contenuto precettivo della disposizione appare
integralmente definito in tale parte del comma: esso
determina compiutamente sia la sorte delle “determinazioni”
effettuate sulla scorta dell’art. 16, c. 9, D.P.R. 380/2001
(che “restano ferme”), sia di quelle effettuate sulla scorta
della legislazione regionale (che non potranno essere
integrate).
Il riferimento alle “successive richieste di conguaglio”,
appare una semplice specificazione di un concetto già
compiutamente espresso con la locuzione che la precede e,
pertanto, non sembra potersi valorizzare al fine di
affermare che l’impedimento alla riscossione derivante dalla
disposizione riguardi soltanto le richieste di conguaglio
successive alla sua entrata in vigore.
Il tenore precettivo della disposizione –che consente di
far valere solo le determinazioni direttamente attuative
della norma statale effettuate contestualmente al rilascio
del titolo– resterebbe, infatti, intatto anche in assenza
di tale specificazione.
D’altronde una diversa soluzione interpretativa –che la
difesa del Comune ha proposto nei suoi scritti difensivi–
appare incompatibile con la natura non autoritativa
riconosciuta agli atti di determinazione del contributo ed a
quelli con i quali tale determinazione venga modificata.
Solo attribuendo ad essi natura provvedimentale, potrebbe
distinguersi tra la sorte delle richieste di conguaglio
inviate prima e dopo l’entrata in vigore della norma.
Poiché, però, è stato ormai chiarito che tali atti hanno
natura paritetica e costituiscono atti di esercizio di un
diritto di credito, la norma viene ad incidere sui rapporti
obbligatori che sono sorti, ex lege, per effetto del
rilascio del titolo, e quindi appare, nel suo contenuto
dispositivo, volta ad impedire le azioni necessarie alla
riscossione anche delle richieste di conguaglio precedenti
alla sua entrata in vigore.
Da tutto quanto sopra, emerge la rilevanza della questione
di legittimità costituzionale della norma nel presente
giudizio.
15. Deve, inoltre, premettersi, sempre in punto di
rilevanza, che la norma non appare suscettibile di alcuna
interpretazione costituzionalmente orientata, atteso che
essa esclude espressamente l’applicazione della disposizione
di principio di fonte statale per i rapporti conseguenti
alle determinazioni e liquidazioni del contributo che siano
state erroneamente effettuate sulla scorta dei parametri
previsti dalla previgente tabella A4 della Legge Regionale
n. 61/1985, impedendo, così -in violazione degli artt. 3, 5,
117, II comma, lett. l) e III comma, 118, I comma, 119, I,
II e IV comma, Cost.- l’applicazione diretta della norma di
principio dettata dal Legislatore statale in materia di
legislazione concorrente a tutela di esigenze unitarie di
prelievo e violando l’autonomia di entrata e di spesa dei
Comuni.
La difesa del Comune, peraltro, nell’evidenziare il
contrasto della disposizione con la “norma cornice”, di cui
all’art. 16, c. 9, D.P.R. 380/2001 ed invocare per tale ragione
un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma,
non propone alcuna soluzione ermeneutica diversa dalla mera disapplicazione della norma regionale, che non trova
cittadinanza nell’ordinamento e che contrasterebbe con la
equiordinazione della funzione legislativa statale e
regionale prevista e tutelata dall’art. 117, I comma, Cost.
Né costituirebbe un’interpretazione costituzionalmente
orientata quella volta ad escludere l’applicazione della
norma per le richieste di conguaglio anteriori all’entrata
in vigore della disposizione. Non si tratterebbe, infatti,
di un’interpretazione che, tra i possibili significati del
testo normativo, accolga quello conforme alle disposizioni
di rango costituzionale, ma solo di un’interpretazione che
mira a limitare la rilevanza della questione di legittimità
costituzionale alle richieste di conguaglio successive
all’entrata in vigore della disposizione.
Si è già detto, comunque, che tale interpretazione non è
praticabile, alla luce della formulazione della norma e
dello scopo avuto di mira dal Legislatore.
16. Così ricostruita la genesi e la portata applicativa
della disposizione, per come risulta dalla sua
interpretazione letterale e teleologica, il Collegio dubita
della compatibilità della norma che da essa si ricava con
gli artt. 3, 5, 117, III comma, 119 I, II e IV comma, della
Costituzione.
16.1 Il Legislatore Regionale con l’art. 2, c. 3, L. R.
4/2015, affermando che restano ferme solo le determinazioni
del contributo effettuate in base dell’art. 16, c. 9, D.P.R.
380/2001 contestualmente al rilascio del titolo edilizio -ed escludendo, per tale via, che la pretesa ad ottenere il
pagamento del contributo nella misura minima del 5% previsto
dalla Legge Statale possa farsi valere dai Comuni con una
successiva richiesta di conguaglio- ha esercitato la
propria potestà legislativa in violazione della norma di
principio contenuta nell’art. 16, c. 9, DPR 380/2001, così
violando l’art. 117, III comma, ultimo periodo, che riserva
al Legislatore Statale la determinazione dei principi
fondamentali delle materie di legislazione concorrente.
Il Legislatore regionale, infatti, ha disciplinato i
rapporti ancora pendenti –tra le Amministrazioni comunali e
i cittadini– sorti nel periodo antevigente alla sua entrata
in vigore sottraendo all’applicazione della norma statale
quei rapporti in cui, all’atto del rilascio del titolo,
l’Amministrazione erroneamente avesse omesso di dare
applicazione della norma statale di principio, rifacendosi,
invece, alle tabelle previste dalla Legislazione Regionale
(la tabella A4 della Legge Regionale 27.06.1985, n. 61).
16.2 La natura di norma di principio dell’art. 16, c. 9,
D.P.R. 380/2001, nella parte in cui definisce i limiti minimo
e massimo di incidenza percentuale sul costo di costruzione
della relativa componente del contributo, la sua non
derogabilità dal Legislatore Regionale e l’immediata
applicabilità della stessa da parte dei Comuni, anche in
assenza della normativa regionale di adeguamento, è stata
più volte ribadita dalla giurisprudenza amministrativa di
questo TAR e del Consiglio di Stato.
Nella sentenza del TAR Veneto, Sez. II, 01.02.2011, n.
181, si legge: “La richiamata disposizione, nel disciplinare
le modalità di calcolo del costo di costruzione, prevede che
una quota dello stesso, variabile dal 5% al 20%, sia
determinata dalle Regioni in funzione delle caratteristiche
e delle tipologie delle costruzioni e della loro
destinazione e ubicazione. In applicazione dei criteri ermeneutici letterale e teleologico, ad avviso del Collegio,
la detta disposizione deve essere interpretata nel senso di
disporre l’immediata applicazione della percentuale minima
prevista, corrispondente al 5%, mentre resta nella
discrezionalità delle Regioni determinare in misura
superiore detta percentuale, in relazione ai parametri
individuati dal medesimo comma 9.
3.5. Tale interpretazione, peraltro, risponde anche
all’esigenza di assicurare un’uniformità nella
determinazione del costo di costruzione su tutto il
territorio nazionale, a prescindere dall’esercizio del
potere normativo riconosciuto alle singole Regioni. La
suddetta disposizione, dunque, non reca alcuna disciplina
transitoria, dovendo trovare immediata applicazione.
La disposizione in esame, più specificamente, distingue i
meccanismi di determinazione del costo di costruzione dalle
modalità di adeguamento automatico di detto costo; solo in
relazione a queste ultime, infatti, si prevede
un’applicazione degli indici ISTAT “nei periodi
intercorrenti tra le determinazioni regionali, ovvero in
eventuale assenza di tali determinazioni”. Da ciò si trae,
dunque, ulteriore conferma dell’immediata applicabilità
della richiamata disposizione nella parte riferita alla
percentuale del 5%, ai fini della determinazione del costo
di costruzione in sé considerato.”.
Il Consiglio di Stato, Sez. I, nel parere del 03.12.2014, n. 3819 reso in seno al ricorso straordinario al Capo
dello Stato affare n. 213/2013, ha affermato che, poiché viene
in rilievo una materia di competenza legislativa
concorrente: “le leggi regionali possono essere emanate
nell’ambito dei principi fissati dalle leggi dello Stato”
mentre “è evidente che le Regioni non hanno il potere di
derogare ai minimi stabiliti nell’art. 16 della d.P.R. n.
380/2001 per quanto attiene l’applicazione delle percentuali
da applicare per il calcolo e la definizione dei contributi
afferente al permesso di costruire. Quindi, l’articolo 16
deve essere interpretato nel senso che la percentuale
minima, corrispondente al 5%, deve essere applicata a
partire dall’entrata in vigore delle legge statale, restando
nella discrezionalità delle Regioni determinare in misura
superiore detta percentuale, in relazione ai parametri
individuati dal medesimo comma 9 dell’art. 16.”.
Tali affermazioni sono riprese dalla Sesta Sezione del
Consiglio di Stato nella sentenza del 21.12.2016, n.
5402, che ancora specifica: “per contro e sebbene alle
Regioni spetti la disciplina di dettaglio pure in soggetta
materia, al più la diretta applicazione comunale della norma
statale, che nel fissare direttamente l’aliquota minima di
legge è comunque inderogabile e ineludibile in base al
principio di coordinamento della finanza pubblica ai sensi
dell’art. 119, co. 2, Cost., serve altresì ad evitare gli
effetti nocivi d’ogni inerzia del legislatore regionale,
onde essa vige fintanto che la Regione non intervenga o a
confermarla o a porne una superiore a quella minima, ossia a
quella ritenuta congrua quale livello essenziale di
prestazione imposta, ad evidenti fini perequativi del
prelievo, per tutto il territorio della Repubblica”.
È opinione del Collegio che la ricostruzione operata dalla
giurisprudenza vada confermata, anche alla luce della
giurisprudenza della Corte costituzionale in materia.
16.3 L’art. 16 del DPR 380/2001, nel dettare i criteri di
determinazione del contributo di costruzione contribuisce a
definire il contenuto dell’onere economico gravante sul
soggetto che intenda esercitare lo ius aedificandi, così
concorrendo a determinare l'effettiva portata e la
caratterizzazione positiva del principio di onerosità del
permesso di costruire.
La Corte Costituzionale, a più riprese, ha affermato che
costituiscono principi fondamentali della materia di
competenza concorrente “governo del territorio” (e prima
della riforma del Titolo V della Costituzione, della materia
“urbanistica”) le norme che concernono l’onerosità del
permesso di costruire, nonché le deroghe ed eccezioni al
relativo principio.
Nella sentenza n. 1033 del 1988, la Consulta, chiamata ad
esprimersi sulla compatibilità con le norme di attuazione
dello Statuto della Regione Sicilia (L. cost. 26.02.1948, n. 3), degli artt. 7 e 9 del D.L. 23/01/1982, n. 9
(convertito nella L. 25.03.1982, n. 94), con cui il
legislatore statale aveva previsto talune ipotesi di deroga
all’obbligo del pagamento del contributo di costruzione e
ipotesi di riduzione del contributo, ha evidenziato che
rientrano nell’ambito delle disposizioni di principio non
soltanto quelle che definiscono l’onerosità dell’attività
edilizia, ma anche quelle che, incidendo su tale principio,
“concorrono a determinare l'effettiva portata e la
caratterizzazione positiva del principio medesimo”, in
quanto ad esso “legate da un rapporto di coessenzialità o di
integrazione necessaria”.
Sulla scorta di tali argomentazioni la Corte Costituzionale
ha riconosciuto la natura di norme di principio alle
disposizioni contenenti deroghe o riduzioni dell’importo
ordinariamente previsto del contributo di costruzione.
Le medesime argomentazioni sono state ribadite, più di
recente, nell’attuale quadro costituzionale di riparto della
potestà legislativa, nella sentenza del 03.11.2016, n.
231, con la quale la Corte costituzionale si è pronunciata
sulla questione di legittimità costituzionale dell’art.
dell'art. 6, commi 20 e 21, primo trattino della Legge della
Regione Liguria n. 12 del 2015, con cui si prevedeva
l’esonero dal contributo di costruzione per due categorie di
interventi che, in base alla legge statale, avrebbero dovuto
essere assoggettate a contribuzione.
In tale occasione la Corte, richiamando il precedente del
1988, ha nuovamente affermato che: “L'onerosità del titolo abilitativo «riguarda infatti un principio della disciplina
un tempo urbanistica e oggi ricompresa fra le funzioni
legislative concorrenti sotto la rubrica "governo del
territorio"» (sentenza n. 303 del 2003), e anche le deroghe
al principio (elencate all'art. 17 del TUE), in quanto
legate a quest'ultimo da un rapporto di coessenzialità,
partecipano della stessa natura di principio fondamentale
(sentenze n. 1033 del 1988 e n. 13 del 1980).”.
Anche la disposizione di cui al comma 9 dell’art. 16 DPR
380/2001, nella parte in cui individua i parametri per la
determinazione del contributo, nella sua componente relativa
al costo di costruzione, appare riconducibile a tale
categoria di norme di principio, poiché concorrendo a
definire il contenuto dell’onere economico gravante sul
soggetto che intenda esercitare lo ius aedificandi, ne
integra un aspetto essenziale.
16.4 Sotto altro profilo, l’art. 16, c. 9, DPR 380/2001,
come condivisibilmente ritenuto da Consiglio di Stato, 21.12.2016, n. 5402, costituisce, altresì, “principio di
coordinamento della finanza pubblica ai sensi dell’art. 119, co. 2, Cost.” e dell’art. 117, co. 3, Cost.
La giurisprudenza, sia amministrativa che civile, rinviene
il fondamento causale dell’obbligo al pagamento del
contributo di costruzione nella compartecipazione del
soggetto che assuma l’iniziativa edificatoria ai costi per
la realizzazione delle opere di urbanizzazione in
proporzione all'insieme dei benefici che la nuova
costruzione consegue (Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria,
30.08.2018, n. 12; Cons. Stato Sez. V, 13.05.2002, n.
2575; Cons. Stato, sez. V, 27.02.1998, n. 201; Cass.
sez. I, 27.09.1994, n. 7874).
La definizione di criteri uniformi di determinazione della
prestazione imposta per l’intero territorio nazionale mira,
da un lato, a garantire a tutti i cittadini parità di
condizioni nell’esercizio dello ius aedificandi, dall’altro,
e correlativamente, ai Comuni una quota minima di
compartecipazione ai benefici derivanti dall’esercizio
dell’attività edificatoria.
Il contributo di costruzione costituisce, per la
giurisprudenza maggioritaria, un corrispettivo di diritto
pubblico, avente carattere generale e non tributario (cfr.
da ultimo Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 30.08.2018, n. 12) di cui è titolare il Comune che rilascia il
titolo edilizio. Esso rientra, dunque, nel novero di quelle
“risorse autonome” di cui i Comuni, secondo quanto prevede
l’art. 119, co. 2 Cost., sono titolari.
Con la riforma del Titolo V della Costituzione, infatti, è
stata prevista, in linea di principio, l’equiordinazione di
Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni, sul piano
della “autonomia finanziaria di entrata e di spesa" (primo
comma).
L’art. 119, prevede che i suddetti enti hanno "risorse
autonome" e "stabiliscono e applicano tributi ed entrate
propri, in armonia con la Costituzione e secondo i principi
di coordinamento della finanza pubblica e del sistema
tributario". Inoltre "dispongono di compartecipazioni al
gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio"
(secondo comma).
Le risorse derivanti da tali fonti, e dal fondo perequativo
istituito dalla legge dello Stato, consentono -vale a dire
devono consentire (cfr. Corte costituzionale 26.01.2004, n. 37)- agli enti di "finanziare integralmente le
funzioni pubbliche loro attribuite" (quarto comma), salva la
possibilità per lo Stato di destinare risorse aggiuntive ed
effettuare interventi speciali in favore di determinati
Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni, per gli
scopi di sviluppo e di garanzia enunciati dalla stessa norma
o "per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio"
delle funzioni degli enti autonomi (quinto comma).
Pertanto, alle disposizioni di Legge statale che, ai sensi
dell’art. 23 Cost., definiscono i criteri per la
quantificazione delle prestazioni imposte spettanti ai
Comuni dovrebbe riconoscersi natura di principi di
coordinamento della finanza pubblica, poiché anche da esse
dipende l’autonomia di entrata e di spesa riconosciuta agli
Enti territoriali, nonché la concreta possibilità di
assolvere alle funzioni ad essi attribuite, atteso che il IV
comma dell’art. 119, esclude che essi possano ricevere, in
via ordinaria, ulteriori risorse rispetto a quelle previste
dal medesimo articolo.
16.5 Ad ulteriore conferma che l’art. 16, c. 9, D.P.R.
380/2001 costituisca una norma di principio, si osserva che
i limiti quantitativi, minimo e massimo, da essa individuati
sono i medesimi di quelli che, fin dall’approvazione
dell’art. 6 della L. 10 del 28.01.1977 (che ha sancito
l’onerosità dell’attività edificatoria), il Legislatore
statale aveva stabilito.
Tale criterio è rimasto invariato fino al 25.01.1982,
quando l'art. 9, comma 6, D.L. 23.01.1982, n. 9,
(convertito, con modificazioni, dalla L. 25.03.1982, n.
94) l’ha modificato, eliminando il limite minimo e riducendo
il massimo al 10%. Tuttavia, le percentuali minima e massima
del costo di costruzione, sono state riportate a quelle
originarie con l’entrata in vigore dell'art. 7, comma 2, L.
24.12.1993, n. 537 e riprodotte nel Testo Unico
dell’edilizia.
16.6 L’art. 2, c. 3, L.R. Veneto n. 4/2015 nell’introdurre
una disciplina parzialmente derogatoria rispetto all’art.
16, c. 9, D.P.R. 380/2001 si pone in contrasto anche con gli artt. 117, III comma, 118, comma I e 5 della Costituzione di
cui costituisce diretta applicazione l’art. 2, c. 3, D.P.R.
380/2001.
La norma (“Le disposizioni, anche di dettaglio, del presente
testo unico, attuative dei principi di riordino in esso
contenuti operano direttamente nei riguardi delle regioni a
statuto ordinario, fino a quando esse non si adeguano ai
principi medesimi.”) contiene una disciplina transitoria –destinata a trovare applicazione nelle more dell’adeguamento
della legislazione regionale ai principi contenuti nel Testo
Unico dell’Edilizia- e cedevole, mediante la quale le
disposizioni di dettaglio, attuative di norme di principio
contenute nel D.P.R. 380/2001, trovano immediata
applicazione, fino all’adeguamento da parte delle Regioni.
Il meccanismo di coordinamento tra normativa statale e
regionale nelle materie di competenza concorrente,
costituito dalle “norme cedevoli”, è stato ritenuto dalla
Corte costituzionale attuativo di quelle esigenze unitarie
di regolamentazione uniforme che l’ordinamento
costituzionale continua a riconoscere anche nel differente
sistema di rapporti tra Stato e Regioni delineato dalla
Legge costituzionale n. 1 del 2003 e che rinvengono il
proprio referente normativo nell’art. 118, c. 1 Cost., nella
parte in cui codifica il principio di sussidiarietà.
Nella sentenza n. 303/2003, la Corte costituzionale ha
affermato che benché “l'inversione della tecnica di riparto
delle potestà legislative e l'enumerazione tassativa delle
competenze dello Stato dovrebbe portare ad escludere la
possibilità di dettare norme suppletive statali in materie
di legislazione concorrente, (e) tuttavia una simile lettura
dell'art. 117 svaluterebbe la portata precettiva dell'art.
118, comma primo, che consente l'attrazione allo Stato, per
sussidiarietà e adeguatezza, delle funzioni amministrative e
delle correlative funzioni legislative” e che “la disciplina
statale di dettaglio a carattere suppletivo determina una
temporanea compressione della competenza legislativa
regionale che deve ritenersi non irragionevole, finalizzata
com'è ad assicurare l'immediato svolgersi di funzioni
amministrative che lo Stato ha attratto per soddisfare
esigenze unitarie e che non possono essere esposte al
rischio della ineffettività”.
Le norme statali di dettaglio, espressione di principi
generali, alle quali è attribuita temporanea vigenza nelle
more dell’adeguamento da parte delle Regioni (per questo
dette “cedevoli” rispetto alla legislazione regionale
sopravvenuta), mirano ad evitare che l’inerzia regionale
ponga nel nulla l’individuazione dei principi fondamentali
delle materie di legislazione concorrente, che è “riservata”
al Legislatore statale, così preservando la suddetta riserva
e garantendo, nel contempo l’uniforme disciplina nazionale
in conformità con gli stessi.
A tale esigenza di uniforme disciplina dei criteri di
determinazione del contributo di costruzione è improntata,
per quanto si è esposto nei punti del paragrafo 4, la
disposizione di cui all’art. 16, c. 9, DPR 380/2001, nella
parte in cui definisce la percentuale minima e massima del
costo di costruzione entro cui le Regioni devono individuare
la quota di contributo di costruzione per singole categorie
di edifici.
L’art. 2, c. 3, L.R. 4/2015, introducendo un regime
differenziato di determinazione del contributo di
costruzione rispetto a quello applicabile sull’intero
territorio nazionale per talune fattispecie (quelle per le
quali il contributo fosse stato determinato secondo
parametri diversi da quello minimo previsti dall’art. 16, c.
9, DPR 380/2001), si è posto contro quelle esigenze di uniforme
regolamentazione presidiate dagli artt. 118, c. I e 5 della
Costituzione, rendendo definitiva la violazione della norma
di principio che il mancato tempestivo adeguamento della
legislazione regionale aveva prodotto.
17. Sotto altro profilo, l’art. 2, c. 3, L.R. Veneto n.
4/2015, escludendo che i Comuni possano pretendere con una
richiesta di conguaglio il pagamento del contributo nella
misura minima prevista dalla norma di legge statale, incide
e viola il principio di equiordinazione tra Enti
territoriali, previsto dall’art. 114 Cost., nonché
l’autonomia di entrata e di spesa riconosciuta ai Comuni
dall’art. 119, c. I, II e IV Cost. e il principio di buona
amministrazione, previsto dall’art. 97 Cost.
Il contributo di costruzione, come si è detto, essendo una
prestazione imposta che i Comuni hanno diritto di riscuotere
in conseguenza del rilascio del permesso di costruire, ne
costituisce un’entrata propria, istituita con legge statale.
Ai sensi del IV comma dell’art. 119 Cost., questa entrata
concorre con le altre entrate di natura tributaria e non
tributaria, nonché con le risorse trasferite ai sensi ed
alle condizioni di cui ai commi III e V, al finanziamento
“integrale” delle spese necessarie per l’espletamento delle
proprie funzioni.
La norma regionale, escludendo che i Comuni possano
pretendere con una richiesta di conguaglio il pagamento del
contributo nella misura minima prevista dalla norma di legge
statale, incide su un credito già acquisito al patrimonio
comunale per effetto del rilascio del permesso di costruire
e viola l’autonomia di entrata e di spesa riservata ai
Comuni, in tal modo ledendo anche il principio di
equiordinazione tra gli enti territoriali che compongono la
Repubblica, sancito dall’art. 114 Cost.
Inoltre, la norma si pone in contrasto con il principio di
buon andamento della Pubblica Amministrazione perché
impedisce ai Comuni di far valere e riscuotere nella loro
interezza crediti già acquisiti al patrimonio, in assenza di
alcuna valutazione sulla sostenibilità economica di tale
rinuncia.
18. La norma, inoltre, invade la sfera di potestà
legislativa esclusiva nella disciplina dell’ordinamento
civile riservata al Legislatore statale dall’art. 117, c. II,
lett. l e viola i principi di uguaglianza e ragionevolezza
previsti dall’art. 3 Cost.
Come si è già evidenziato, il Legislatore regionale con la
norma in esame ha dettato una disciplina speciale per gli
atti di determinazione e liquidazione del contributo di
costruzione già emessi, sottraendo ai Comuni il potere di
rideterminare l’importo già liquidato sulla scorta della
disciplina regionale antevigente e di riscuoterlo.
Così facendo si è inserita nel dibattito –all’epoca non
ancora sopito sulla natura, autoritativa o paritetica,
degli atti con cui l’Amministrazione determina e liquida
l’importo del contributo di costruzione e
sull’ammissibilità, e le relative condizioni, della
rideterminazione del suddetto importo.
Prima dell’intervento dell’Adunanza Plenaria del Consiglio
di Stato, con la sentenza del 30.08.2018, n. 12, sulla
questione, si erano contrapposti tre orientamenti
interpretativi.
Secondo una prima impostazione, fatta propria dal Consiglio
di giustizia amministrativa (nelle sentenze nn. 64, 188,
244, 373, 422 e 790 del 2007), la determinazione del
contributo darebbe luogo ad un rapporto paritetico che,
seppur azionabile da ambo le parti nel rispetto del termine
prescrizionale ordinario di dieci anni, si cristallizzerebbe
nel quantum al momento del rilascio del titolo edilizio, nel
senso che lo stesso non sarebbe suscettibile di modifiche
successive (se non nei casi di manifesto errore di calcolo),
in quanto, in applicazione dei principi desumibili dalla
disciplina dei contratti, non darebbe mai luogo ad un errore
riconoscibile (donde l’intangibilità pressoché assoluta
della originaria determinazione amministrativa).
Una seconda tesi, che è stata seguita in alcune sentenze
della sez. IV del Consiglio di Stato (Cons. St., sez. IV, 27.09.2017 n. 4515, Cons. St., sez. IV, 12.06.2017
n. 2821), pur muovendo, come la prima, dalla natura
paritetica del rapporto, trae da tale assunto conseguenze
opposte, affermando che proprio perché si tratta di un
rapporto di debito-credito di natura paritetica, la
rettifica sarebbe sempre possibile, entro il termine
decennale di prescrizione, perché, per un verso, il
procedimento sarebbe svincolato dal rispetto delle
condizioni di esercizio dell’autotutela amministrativa e,
per altro verso, la rideterminazione del contributo dovuto
secondo rigidi parametri regolamentari o tabellari
costituirebbe un atto dovuto.
Terza e più recente impostazione, muove dalla natura
pubblicistica (Cons. St., sez. IV, 21.12.2016, n.
5402) del rapporto nascente dalla determinazione del
contributo, trattandosi di prestazione patrimoniale imposta
di carattere non tributario, per affermare la conseguente
applicabilità, in astratto, delle regole dell’autotutela
amministrativa.
L’Adunanza Plenaria ha risolto il contrasto, affermando che
“L'atto di imposizione e di liquidazione del contributo,
quale corrispettivo di diritto pubblico richiesto per la
compartecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione,
non ha natura autoritativa né costituisce esplicazione di
una potestà pubblicistica, ma si risolve in un mero atto
ricognitivo e contabile, in applicazione di rigidi e
prestabiliti parametri regolamentari e tabellari” e che “la
natura paritetica dell'atto di determinazione consente che
la pubblica amministrazione possa apportarvi modifiche, sia
in favore del privato che in senso contrario, purché ciò
avvenga nei limiti della prescrizione decennale del relativo
diritto di credito (v., inter multas, Cons. St., sez. IV, 28.11.2012, n. 6033, Cons. St., sez. IV, 17.09.2010, n. 6950)”.
L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha, quindi,
ritenuto non condivisibili, sia la tesi dell’assoluta
immodificabilità del contributo, affermata sul presupposto
della non riconoscibilità dell’errore nel quale è incorsa
l’Amministrazione, sia la tesi secondo la quale la
riliquidazione del contributo sarebbe ammessa solo in
presenza dei presupposti previsti per l’autotutela.
Ha, invece, affermato la doverosità della rideterminazione
dell’importo del contributo che, per errore, sia stato
originariamente liquidato in violazione delle norme di legge
che regolano i criteri del relativo calcolo, pena la
violazione del principio di legalità delle prestazioni
imposte sancito dall'art. 23 della Costituzione.
Ha, altresì, stabilito che la natura di prestazione
patrimoniale imposta riconosciuta al contributo in esame non
comporta l’attrazione nella sfera pubblicistica
dell’obbligazione di cui costituisce oggetto. L’obbligazione
nasce ex lege in conseguenza del rilascio del titolo
edilizio ed è imposta nel senso che il privato non può
sottrarsi al vincolo se non rinunciando a richiedere il
titolo, tuttavia, “esclusa pacificamente la sua natura
tributaria”, il pagamento del contributo “non può che
costituire l'oggetto di un ordinario rapporto obbligatorio,
disciplinato dalle norme di diritto privato, come prescrive
l'art. 1, comma 1-bis, della L. n. 241 del 1990, salvo che
la legge disponga diversamente.”.
Discende dalle esposte premesse che gli atti con i quali la
pubblica amministrazione determina e liquida il contributo
di costruzione costituiscono l'esercizio di una facoltà
connessa alla pretesa creditoria riconosciuta dalla legge al
Comune per il rilascio del permesso di costruire,
nell'ambito di un rapporto obbligatorio a carattere
paritetico.
“Si è cioè al cospetto di un rapporto obbligatorio, di
contenuto essenzialmente pecuniario (salva l'ipotesi di
opere a scomputo di cui all'art. 16, comma 1, del D.P.R. n.
380 del 2001), al quale si applicano le disposizioni di
diritto privato, salve le specifiche disposizioni previste
dalla legge (come, ad esempio, i già citati artt. 42 e 43
del D.P.R. n. 380 del 2001) per la peculiare finalità del
credito vantato dall'amministrazione comunale in ordine al
pagamento del contributo (oneri di urbanizzazione e costo di
costruzione).”.
Quanto alle esigenze di tutela dell’affidamento ingenerato
dall’erronea liquidazione del contributo all’atto del
rilascio del titolo, l’Adunanza Plenaria ha affermato che
esse sono sufficientemente garantite nei limiti previsti
dagli artt. 1175 e 1375 c.c..
Pertanto, “la complessità delle operazioni di calcolo o
l'eventuale incertezza nell'applicazione di alcune tabelle o
coefficienti determinativi, dovuti a ragioni di ordine
tecnico, non sono eventi estranei o ignoti alla sfera del
debitore, che invece con l'ordinaria diligenza, richiesta
dagli artt. 1175 e 1375 c.c., può e deve controllarne
l'esattezza sin dal primo atto di loro determinazione”.
Quindi “La tutela del legittimo affidamento e il principio
della buona fede (artt. 1175 e 1375 c.c.), che in via
generale devono essere osservati anche dalla pubblica
amministrazione nell'attuazione del rapporto obbligatorio
(v., sul punto, Cass., sez. L, 07.04.1992, n. 4226),
possono trovare applicazione ad una fattispecie come quella
in esame nella quale, ordinariamente, l'oggettività dei
parametri da applicare al contributo di costruzione rende
vincolato il conteggio da parte della pubblica
amministrazione, consentendone a priori la conoscibilità e
la verificabilità da parte dell'interessato con l'ordinaria
diligenza, solo nella eccezionale ipotesi in cui tali
conoscibilità e verificabilità non siano possibili con il
normale sforzo richiesto al debitore, secondo appunto buona
fede, nell'ottica di una leale collaborazione finalizzata
all'attuazione del rapporto obbligatorio e al
soddisfacimento dell'interesse creditorio.”.
Come si è detto, il Legislatore regionale con l’art. 2, c. 3, L.R. Veneto n. 4/2015 si è inserito nel dibattito,
manifestando una chiara opzione per la tesi che escludeva la
modificabilità della liquidazione del contributo di
costruzione effettuata dal Comune contestualmente al
rilascio del titolo.
I rapporti obbligatori già instaurati alla data della sua
entrata in vigore vengono assoggettati ad una disciplina
peculiare, mediante la quale la pretesa creditoria del
Comune viene ridotta nel quantum rispetto al suo contenuto
legale, ove non esercitata in tale misura fin dal momento
della sua originaria quantificazione, ed è riconosciuta una
tutela dell’affidamento del privato del tutto avulsa dalla
verifica dei profili di conoscibilità della normativa
applicabile.
Ed, infatti, anche ove si ritenesse che la stratificazione
delle disposizioni di fonte statale e regionale abbia potuto
ingenerare una situazione di incertezza tale da incidere
sulla conoscibilità dei criteri di calcolo del contributo,
ciò non potrebbe comunque affermarsi con riguardo alle
determinazioni nelle quali fosse esplicitamente fatta salva
la possibilità di successivi conguagli, o a quelle adottate
dopo le pronunce del TAR Veneto e del Consiglio di Stato con
le quali il dubbio interpretativo sulla normativa
applicabile era stato risolto nel senso della prevalenza
della norma di fonte statale.
Così facendo, il Legislatore regionale ha dettato
disposizioni che incidono sul regime giuridico di “un
rapporto obbligatorio, di contenuto essenzialmente
pecuniario”, in quanto tale soggetto alle “disposizioni di
diritto privato, salve le specifiche disposizioni previste
dalla legge”, invadendo una competenza riservata, dall’art.
117, c. II, Cost. alla potestà legislativa statale.
19. Infine, la norma di legge regionale appare in contrasto
anche con l’art. 3 Cost.
Non può, infatti, ritenersi conforme ai principi di
uguaglianza e di ragionevolezza una norma che disciplina
diversamente rapporti obbligatori di fonte legale,
integralmente definiti, nel loro contenuto, per effetto
della medesima legge, in funzione della circostanza,
meramente casuale, che il Comune abbia o non abbia fatto
corretta applicazione della legge vigente in sede di
rilascio del titolo.
Neppure può addursi a giustificazione di una tale disparità
di trattamento l’affidamento ingenerato dal Comune con
l’erronea determinazione iniziale dell’importo del
contributo, poiché, come ha ritenuto l’Adunanza Plenaria
nella sentenza n. 12/2018, tale affidamento è meritevole di
tutela soltanto ove esso sia incolpevole, ovvero non fosse
evitabile con l’ordinaria diligenza, circostanza da
valutarsi in concreto.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per
il Veneto (Sezione Seconda), dichiara rilevante e non
manifestamente infondata, in relazione agli artt. 3, 5, 97,
114, 117, 118 e 119 della Costituzione, la questione di
legittimità costituzionale dell’art.
2, comma 3, della Legge Regionale 16.03.2015, n. 4.
Sospende il giudizio in corso e dispone, a cura della
segreteria della Sezione, che gli atti dello stesso siano
trasmessi alla Corte Costituzionale per la risoluzione della
prospettata questione, nonché la notifica della presente
ordinanza alle parti in causa ed al Presidente della Giunta
Regionale e la comunicazione della medesima al presidente
del Consiglio Regionale per il Veneto. |
dicembre 2018 |
|
EDILIZIA PRIVATA - PATRIMONIO:
Oneri di urbanizzazione: i vincoli di destinazione finanziaria in vista del
bilancio di previsione 2019/2021.
I proventi dei titoli abilitativi edilizi e delle sanzioni previste dal
D.P.R. n. 380 del 2001 (oneri di urbanizzazione), a partire dall'01.01.2018,
possono essere utilizzati esclusivamente nei limiti dei vincoli stabiliti
per il 2018, e senza vincoli temporali, dall'art. 1, comma 460, L. n. 232
del 2016.
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Il Sindaco del Comune di Ugento (LE) ha formulato una richiesta di parere in
ordine alla modalità di utilizzo della quota parte dell’avanzo destinato ai
sensi del comma 460 dell’art. 1 della legge 232/2016.
In particolare, nella nota sopra richiamata, il Sindaco, premette che con
l’art. 1, comma 460, della legge 232/2016, così come modificato dall’art.
1-bis, comma 1 del Decreto Legge n. 148/2017, è stato previsto che a “decorrere
dal 01.01.2018, i proventi dei titoli abilitativi edilizi e delle sanzioni
previste dal testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica
06.06.2001, n. 380, sono destinati esclusivamente e senza vincoli temporali
alla realizzazione e alla manutenzione ordinaria e straordinaria delle opere
di urbanizzazione primaria e secondaria, al risanamento di complessi edilizi
compresi nei centri storici e nelle periferie degradate, a interventi di
riuso e di rigenerazione, a interventi di demolizione di costruzioni
abusive, all'acquisizione e alla realizzazione di aree verdi destinate a uso
pubblico, a interventi di tutela e riqualificazione dell'ambiente e del
paesaggio, anche ai fini della prevenzione e della mitigazione del rischio
idrogeologico e sismico e della tutela e riqualificazione del patrimonio
rurale pubblico, nonché a interventi volti a favorire l'insediamento di
attività di agricoltura nell'ambito urbano e a spese di progettazione per
opere pubbliche”.
Ciò posto, il Sindaco, evidenzia che tali novità limiterebbero “la
libertà d’azione degli enti che non potranno più decidere di utilizzare gli
oneri per la totalità delle spese di investimento ma solo per quelle
contemplate dal comma 460, fuoriuscendo, quindi dagli interventi
finanziabili gli automezzi e le autovetture, i mobili e gli arredi, le
attrezzature informatiche, per i quali dovranno essere individuate nuove
fonti di finanziamento, non facili da reperire”.
Il Sindaco chiede pertanto:
- senza contravvenire i sopra riportati dispositivi normativi,
se sia possibile “utilizzare la quota parte dell’Avanzo destinato
rinveniente dal rendiconto dell’esercizio precedente regolarmente approvato
e generato dai proventi dei titoli abitativi edilizi e delle sanzioni
previste dal testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica
06.06.2001, n. 380, incassati da questo Ente in costanza di vigenza della
normativa precedente al comma 460 della legge 232/2016, per il finanziamento
della spesa per gli automezzi e le autovetture, i mobili e gli arredi, le
attrezzature informatiche, eccetera, i quali non sarebbero più finanziabili
con i predetti proventi in base alla normativa vigente;
- come sia possibile, per gli Enti di medio piccole dimensioni
ed in costanza della vigente normativa, conciliare le ricorrenti spese per
le manutenzioni degli impianti e attrezzatture degli automezzi del sistema
informativo eccetera, con il carattere di eccezionalità delle residuali
fonti di finanziamento di spesa per investimenti attualmente reperibili”.
...
Nel caso di specie il secondo quesito è con tutta evidenza
inammissibile.
Il primo quesito, invece, relativo all’interpretazione della
disciplina relativa al comma 460 della legge 232/2016, appare oggettivamente
ammissibile.
Preliminarmente, il Collegio ribadisce tuttavia, che l’attività consultiva
non può estendersi, sotto il profilo interpretativo, sino a formulare
suggerimenti risolutivi di questioni che involgono singole fattispecie
concrete e specifiche, tanto più se, come nel caso di specie, l’intervento
della Sezione potrebbe comportare un’ingerenza nell’iter del procedimento
spettante esclusivamente alle valutazioni dell’Amministrazione e, inoltre,
la soluzione del quesito potrebbe generare interferenze con altre funzioni
spettanti a questa Corte.
Il Collegio si soffermerà, quindi, più in generale sui principi di diritto
del quadro normativo di riferimento.
Come è noto, il principio dell’”unità”, compreso tra i principi
contabili generali fissati dal decreto legislativo 23.06.2011, n. 118
(allegato 1) e a cui gli enti locali devono conformare la gestione
finanziaria, dopo avere affermato che “è il complesso unitario delle
entrate che finanzia l’amministrazione pubblica e quindi sostiene così la
totalità delle sue spese durante la gestione” -aggiunge che– “le
entrate in conto capitale sono destinate esclusivamente al finanziamento di
spese di investimento”.
Lo stesso principio stabilisce ancora che “i documenti contabili non possono
essere articolati in maniera tale da destinare alcune fonti di entrata a
copertura solo di determinate e specifiche spese, salvo diversa disposizione
normativa di disciplina delle entrate vincolate”.
I principi generali dell’Ordinamento, quindi, affermano inequivocabilmente
il divieto di finanziare spese correnti con entrate in conto capitale.
L’utilizzazione di entrate in conto capitale per finanziamento di spese
correnti, in deroga al principio sopra richiamato, può essere autorizzata
solo da specifiche disposizioni di legge quali sono state quelle che,
nell’ultimo decennio, hanno riguardato proprio i proventi derivanti dai c.d.
“oneri di urbanizzazione”.
Con la deliberazione n. 38/2016/PAR del 09.02.2016, cui si rinvia, la
Sezione di controllo per la Lombardia ha ricostruito l’evoluzione
legislativa relativa all’utilizzazione dell’entrate in oggetto sino al 2016.
Successivamente, con la deliberazione n. 81/2017/PAR, la stessa Sezione ha
ripercorso le disposizioni in vigore per gli anni 2017 e 2018.
L’art. 1, comma 737, della legge 28.12.2015, n. 108 (legge di stabilità per
il 2016) dispone che “per gli anni 2016 e 2017, i proventi delle
concessioni edilizie e delle sanzioni previste dal testo unico delle
disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, di cui al
decreto del Presidente della Repubblica 06.06.2001, n. 380, fatta eccezione
per le sanzioni di cui all'articolo 31, comma 4-bis, del medesimo testo
unico, possono essere utilizzati per una quota pari al 100 per cento per
spese di manutenzione ordinaria del verde, delle strade e del patrimonio
comunale, nonché per spese di progettazione delle opere pubbliche”.
L’art. 1, comma 460, della legge 11.12.2016, n. 232 (legge di bilancio per
il 2017, così come modificato dall’art. 1-bis, comma 1, del Decreto Legge n.
148/2017), dispone viceversa che “a decorrere dal
01.01.2018, i proventi dei titoli abilitativi edilizi e delle sanzioni
previste dal testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica
06.06.2001, n. 380, sono destinati esclusivamente e senza vincoli temporali
alla realizzazione e alla manutenzione ordinaria e straordinaria delle opere
di urbanizzazione primaria e secondaria, al risanamento di complessi edilizi
compresi nei centri storici e nelle periferie degradate, a interventi di
riuso e di rigenerazione, a interventi di demolizione di costruzioni
abusive, all'acquisizione e alla realizzazione di aree verdi destinate a uso
pubblico, a interventi di tutela e riqualificazione dell'ambiente e del
paesaggio, anche ai fini della prevenzione e della mitigazione del rischio
idrogeologico e sismico e della tutela e riqualificazione del patrimonio
rurale pubblico, nonché a interventi volti a favorire l'insediamento di
attività di agricoltura nell'ambito urbano e a spese di progettazione per
opere pubbliche.”
Nel 2017, quindi, tali proventi potevano essere destinati totalmente al
finanziamento delle spese correnti elencate dalla legge di stabilità per il
2016, in deroga al principio di generica destinazione a spese di
investimento.
A decorrere dal 01.01.2018, viceversa, le entrate derivanti dal rilascio dei
titoli abilitativi edilizi e dalle relative sanzioni devono essere destinate
esclusivamente agli specifici utilizzi, attinenti prevalentemente a spese in
conto capitale, indicati dal comma 460, così come modificato nel 2017 e
quindi, in particolare:
1. alla realizzazione e alla manutenzione ordinaria e straordinaria
delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria;
2. al risanamento di complessi edilizi compresi nei centri storici
e nelle periferie degradate;
3. a interventi di riuso e di rigenerazione;
4. a interventi di demolizione di costruzioni abusive;
5. all'acquisizione e alla realizzazione di aree verdi destinate a
uso pubblico;
6. a interventi di tutela e riqualificazione dell'ambiente e del
paesaggio, anche ai fini della prevenzione e della mitigazione del rischio
idrogeologico e sismico e della tutela e riqualificazione del patrimonio
rurale pubblico;
7. a interventi volti a favorire l'insediamento di attività di
agricoltura nell'ambito urbano;
8. a spese di progettazione per opere pubbliche.
Come è stato chiarito da Arconet in risposta alla FAQ n. 28 del 19.02.2018,
“l’art. 1, comma 460, della legge 11.12.2016 n.
232, per le entrate derivanti dai titoli abilitativi edilizi e delle
sanzioni previste dal testo unico di cui al decreto del Presidente della
Repubblica 06.06.2001, n. 380, individua un insieme di possibili
destinazioni, la cui scelta è rimessa alla discrezionalità dell’ente. Si
ritiene pertanto che tale elenco, previsto dalla legge, non rappresenti un
vincolo di destinazione specifico ma una generica destinazione ad una
categoria di spese”.
Il Legislatore, quindi, differentemente da quanto avvenuto con riferimento e
limitatamente all’utilizzo nel 2016 e nel 2017, ha ritenuto di privilegiare
nel 2018 un utilizzo prevalente per spese in conto capitale delle entrate da
oneri di urbanizzazione. E nel disciplinare tale principio ha specificato
che tale destinazione debba avvenire “senza vincoli temporali”.
In altri termini, come è già stato affermato da questa Corte, quindi,
per effetto della predetta legge dal 2018 “i proventi da “oneri
di urbanizzazione” cessano di essere entrate con destinazione generica a
spese di investimento per divenire entrate vincolate alle determinate
categorie di spese ivi comprese le spese correnti, limitatamente agli
interventi di manutenzione ordinaria sulle opere di urbanizzazione primaria
e secondaria” (Corte Conti,
Sezione Controllo Lombardia, deliberazione n. 81/2017/PAR).
Alla luce delle predette considerazioni è possibile affermare, in risposta
al quesito formulato nella presente richiesta di parere, che
i proventi dei titoli abilitativi edilizi e delle sanzioni previste
dal testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica
06.06.2001, n. 380 (c.d. “oneri di urbanizzazione”), a partire
dall’01.01.2018, possono essere utilizzati esclusivamente nei limiti dei
vincoli stabiliti per il 2018, e senza vincoli temporali, dall’art. 1, comma
460, della legge 11.12.2016, n. 232
(Corte dei Conti, Sez. controllo Puglia,
parere 12.12.2018 n. 163). |
ottobre 2018 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Le controversie attinenti alla determinazione e
liquidazione degli oneri concessori sono riconducibili a
quegli aspetti dell’uso del territorio costituenti
prerogativa della P.A., e per questo riservate alla
giurisdizione esclusiva del G.A., nel rispetto
dell’indirizzo legislativo previsto in origine dall’art. 16
L. 10/1977, confermato poi dall’art. 34 Decr. Leg.vo 80/1998
(come sostituito dalla L. 205/2000), rimodulato in seguito
dall’intervento correttivo della Corte Cost. n. 204/2004, e
da ultimo fissato dall’art. 133, co. 1, lett. f), cpa (alla
stregua del quale sono devolute appunto alla giurisdizione
esclusiva del G.A. “le controversie aventi ad oggetto gli
atti e i provvedimenti delle pubbliche amministrazioni in
materia di urbanistica ed edilizia, concernenti tutti gli
aspetti dell’uso del territorio”.
Sempre alla giurisdizione esclusiva del G.A. risulta,
altresì, ascrivibile la controversia introdotta a mezzo del
ricorso per motivi aggiunti, avente ad oggetto la
restituzione di somme versate a titolo di oneri concessori
connessi ad un P.d.c. poi non utilizzato, ancorché si versi
in ipotesi di indebito oggettivo, a seguito del venire meno
dell’originaria obbligazione legale.
Peraltro, ai sensi dell'art. 133, comma 1, lett. f), cod.
proc. amm., rientra nella giurisdizione esclusiva del
giudice amministrativo anche la controversia avente ad
oggetto la cartella di pagamento emessa da Equitalia Servizi
di Riscossione spa ed avente ad oggetto somme dovute per
oneri concessori, nel corso della quale non vengano dedotte
censure derivanti da atti generali autoritativi relativi
alla determinazione degli oneri presupposti di quello
impugnato; atteso anche che detti oneri non hanno natura
tributaria, bensì costituiscono un corrispettivo di diritto
pubblico avente la funzione di partecipazione ai costi delle
opere di urbanizzazione.
---------------
Le controversie in materia di determinazione e pagamento
degli oneri concessori, investendo l’esistenza o l’entità di
un’obbligazione legale, concernono diritti soggettivi, con
la conseguenza che la relativa domanda non soggiace al
regime di decadenza proprio del processo di impugnazione, ma
può essere proposta nel termine di prescrizione ordinaria ed
indipendentemente dall’impugnazione di eventuali atti.
In particolare, va osservato che gli atti emessi nella
materia degli oneri concessori dal Comune non presentano
carattere autoritativo, e, quindi, attitudine a divenire
incontestabili se non impugnati nel termine decadenziale di
gg. 60 (come accade, invece, per i provvedimenti
amministrativi), tanto più che non ha natura tributaria
l’obbligazione riguardante gli oneri in parola, per cui sul
punto non può neppure parlarsi di atti di accertamento
(suscettibili di far divenire incontestabile la pretesa, se
non impugnati nei termini), ancorché vi sia stata emissione
di ordinanza ingiunzione ex R.D. 14.04.1910 n. 639 (posto
che, comunque, la giurisdizione viene determinata sulla base
della tipologia della pretesa fatta valere con tale mezzo di
riscossione, per cui si applicano in definitiva le regole
del giudice fornito di giurisdizione: ma nella fattispecie
vi è giurisdizione esclusiva e le posizioni sono di
diritto/obbligo, cosicché il termine per impugnare
l’ingiunzione –cui è riconoscibile valore di atto
amministrativo paritetico– è quello decennale di
prescrizione ordinaria.
Quindi, va sottolineato come l’azione volta alla
declaratoria di insussistenza o diversa entità del debito
contributivo per oneri concessori possa essere intentata a
prescindere dalla impugnazione o esistenza dell’atto con il
quale viene richiesto il pagamento, trattandosi di un
giudizio di accertamento di un rapporto obbligatorio
pecuniario proponibile nel termine di prescrizione, e pur
dopo decorsi i termini per opporsi all’ingiunzione ex R.D.
14.04.1910 n. 639, ovvero ad una cartella di pagamento
(essendo questi meri strumenti per procedere ad esecuzione
coattiva).
---------------
Le sanzioni irrogabili per il ritardato pagamento del
contributo di costruzione soggiaciono al termine
prescrizionale di cinque anni.
Sempre in relazione alla somma di cui si discute, sono
dovuti gli interessi di mora maturati nel periodo tra la
scadenza dei singoli ratei e la data del pagamento. E sugli
stessi è applicabile il diverso termine prescrizionale di
dieci anni.
---------------
La presente controversia è incentrata sulle contestazioni
mosse dalla Im.Sa.St. srl alla richiesta del Comune di
Telese Terme di avere la corresponsione di una cospicua
somma di denaro, che gli sarebbe dovuta a titolo di oneri
concessori (contributo di costruzione e oneri di
urbanizzazione), nonché di sanzioni e interessi per
ritardato pagamento di questi, in dipendenza del rilascio,
in tempi diversi, di più permessi di costruire appunto in
favore della odierna ricorrente; richiesta infine
concretatasi nella notifica, in data 16.2.2017, a cura della
Equitalia Servizi di Riscossione spa (quale concessionario
per la riscossione) della cartella n. 07120170016377737,
contenente l’ingiunzione alla società ricorrente a pagare
entro gg. 60 dalla notifica la complessiva somma di euro
185.894,73, in forza del ruolo n. 2017/000863 reso esecutivo
in data 11.11.2016.
...
Ciò posto, va preliminarmente osservato che le controversie
–quale la presente– attinenti alla determinazione e
liquidazione degli oneri concessori sono riconducibili a
quegli aspetti dell’uso del territorio costituenti
prerogativa della P.A., e per questo riservate alla
giurisdizione esclusiva del G.A., nel rispetto
dell’indirizzo legislativo previsto in origine dall’art. 16
L. 10/1977, confermato poi dall’art. 34 Decr. Leg.vo 80/1998
(come sostituito dalla L. 205/2000), rimodulato in seguito
dall’intervento correttivo della Corte Cost. n. 204/2004, e
da ultimo fissato dall’art. 133, co. 1, lett. f), cpa (alla
stregua del quale sono devolute appunto alla giurisdizione
esclusiva del G.A. “le controversie aventi ad oggetto gli
atti e i provvedimenti delle pubbliche amministrazioni in
materia di urbanistica ed edilizia, concernenti tutti gli
aspetti dell’uso del territorio” – cfr. Cons. di Stato
sez. IV, n. 2960 del 10.06.2014; TAR Campania-Napoli n. 2170
del 16.04.2014, TAR Liguria n. 552 del 28.03.2013; TAR
Campania-Salerno n. 1676 del 24.09.2012; TAR Campania-Napoli
n. 2136 del 09.05.2012).
Sempre alla giurisdizione esclusiva del G.A. risulta,
altresì, ascrivibile la controversia introdotta a mezzo del
ricorso per motivi aggiunti, avente ad oggetto la
restituzione di somme versate a titolo di oneri concessori
connessi ad un P.d.c. poi non utilizzato, ancorché si versi
in ipotesi di indebito oggettivo, a seguito del venire meno
dell’originaria obbligazione legale (cfr. Cons. di Stato
sez. V, n. 894 del 12.06.1995; TAR Sicilia-Catania n. 189
del 27.01.2017; TAR Sicilia-Catania n. 159 del 18.01.2013).
Peraltro, ai sensi dell'art. 133, comma 1, lett. f), cod.
proc. amm., rientra nella giurisdizione esclusiva del
giudice amministrativo anche la controversia avente ad
oggetto la cartella di pagamento emessa da Equitalia Servizi
di Riscossione spa ed avente ad oggetto somme dovute per
oneri concessori, nel corso della quale non vengano dedotte
censure derivanti da atti generali autoritativi relativi
alla determinazione degli oneri presupposti di quello
impugnato (così Cons. di Stato sez. IV, n. 4208 del
21.08.2013; nonché Cass. SS.UU. n. 22514 del 20.10.2006; TAR
Sicilia-Catania n. 2531 dell’11.10.2016; TAR Sicilia Palermo
n. 1730 del 12.07.2016; TAR Toscana n. 265 dell’11.02.2011);
atteso anche che detti oneri non hanno natura tributaria,
bensì costituiscono un corrispettivo di diritto pubblico
avente la funzione di partecipazione ai costi delle opere di
urbanizzazione (così Cons. di Stato sez. IV, n. 4208 del
21.08.2013; nonché TAR Campania-Napoli n. 19792 del
18.11.2008).
Ancora, deve osservarsi che le controversie in materia di
determinazione e pagamento degli oneri concessori,
investendo l’esistenza o l’entità di un’obbligazione legale,
concernono diritti soggettivi, con la conseguenza che la
relativa domanda non soggiace al regime di decadenza proprio
del processo di impugnazione, ma può essere proposta nel
termine di prescrizione ordinaria ed indipendentemente
dall’impugnazione di eventuali atti (cfr. Cons. di Stato
sez. IV, n. 4208 del 21.08.2013; TAR Sicilia-Catania n. 189
del 27.01.2017; TAR Sicilia-Palermo n. 2581 del 10.11.2016;
TAR Puglia-Bari n. 1596 del 03.12.2015TAR Puglia-Lecce n.
3114 del 30.10.2015; TAR Sicilia-Catania n. 1881 del
09.07.2015).
In particolare, va osservato che gli atti emessi nella
materia degli oneri concessori dal Comune non presentano
carattere autoritativo, e, quindi, attitudine a divenire
incontestabili se non impugnati nel termine decadenziale di
gg. 60 (come accade, invece, per i provvedimenti
amministrativi), tanto più che –come già detto– non ha
natura tributaria l’obbligazione riguardante gli oneri in
parola, per cui sul punto non può neppure parlarsi di atti
di accertamento (suscettibili di far divenire incontestabile
la pretesa, se non impugnati nei termini), ancorché vi sia
stata emissione di ordinanza ingiunzione ex R.D. 14.04.1910
n. 639 (posto che, comunque, la giurisdizione viene
determinata sulla base della tipologia della pretesa fatta
valere con tale mezzo di riscossione –cfr. Cass. SS.UU. 29
del 05.01.2016; TAR Emilia Romagna, Parma, n. 134 del
18.04.2016; TAR Sicilia, Catania, n. 109 del 15.01.2015-,
per cui si applicano in definitiva le regole del giudice
fornito di giurisdizione: ma nella fattispecie vi è
giurisdizione esclusiva e le posizioni sono di
diritto/obbligo, cosicché il termine per impugnare
l’ingiunzione –cui è riconoscibile valore di atto
amministrativo paritetico; cfr. Cass. Civ. n. 29653 del
12.12.2017– è quello decennale di prescrizione ordinaria; su
quest’ultimo punto cfr. TAR Calabria, Catanzaro, n. 1976 del
10.12.2007).
Quindi, va sottolineato come (cfr. Cons. di Stato sez. V, n.
810 del 04.12.1990; nonché Cons. di Stato sez. IV, n. 4208
del 21.08.2013) l’azione volta alla declaratoria di
insussistenza o diversa entità del debito contributivo per
oneri concessori possa essere intentata a prescindere dalla
impugnazione o esistenza dell’atto con il quale viene
richiesto il pagamento, trattandosi di un giudizio di
accertamento di un rapporto obbligatorio pecuniario
proponibile nel termine di prescrizione, e pur dopo decorsi
i termini per opporsi all’ingiunzione ex R.D. 14.04.1910 n.
639, ovvero ad una cartella di pagamento (essendo questi
meri strumenti per procedere ad esecuzione coattiva).
Pertanto, va disattesa l’eccezione di inammissibilità del
presente gravame, sollevata in limine litis dalla
difesa del Comune di Telese Terme, poiché le ingiunzioni e
le richieste di pagamento (nonché la cartella di pagamento
notificata) cui viene fatto riferimento, possono, in
definitiva, valere nella specie soltanto ad interrompere il
termine prescrizionale decorrente in favore del debitore.
Nel merito, va detto che la prima pretesa creditoria del
Comune di Telese Terme si riferisce all’asserito omesso
versamento di € 22.598,50 dovuti a titolo di oneri di
urbanizzazione (e non di costo di costruzione, come
erroneamente riportato nella cartella di pagamento n.
07120170016377737 – cfr. documentazione in atti) in
relazione all’intervento edilizio assentito con il P.d.C. n.
44/2005 (rilasciato a Pellegrino Raffaele, e poi volturato,
in data 20.10.2005, in favore della Im.Sa.St. srl).
Per tale credito, il Comune di Telese Terme ha emesso
dapprima un invito al pagamento in data 30.10.2008 – prot.
n. 15401 (spedito a mezzo racc. a/r, di cui non è stata però
fornita la prova del recapito, ancorché nella relazione
tecnica a firma dell’arch. Al.Pe. si faccia riferimento
all’a/r di racc. n. 13226606266-9); e comunque,
successivamente, l’ingiunzione di pagamento prot. n. 1210
del 27.1.2009, ricevuta in data 10.2.2009 dai destinatari
(come da a/r di racc. versato in atti).
Sennonché, la società ricorrente sostiene di aver provveduto
al pagamento della somma suddetta nell’anno 2009, ed a
sostegno di tale asserzione ha prodotto una bolletta di
versamento dell’importo in parola, per il tramite della
Banca Popolare di Novara e in favore del Comune Telese
Terme, riportante la seguente causale “saldo costi di
urbanizzazione concessione 44/05 rate 2-3-5-4”.
Dal suo canto, il Comune di Telese Terme ha, tuttavia,
affermato di non aver mai ricevuto il detto pagamento; ma
risolutiva sul punto appare la documentazione acquisita
dall’Im.Sa.St. srl a mezzo di procedura di accesso agli atti
del Comune interessato, e poi prodotta in giudizio in data
30.04.2018, ovvero una certificazione a firma del
responsabile dell’Area Economico/Finanziaria dell’ente, in
cui viene attestato che tra le somme dallo stesso incassate
a seguito di pagamenti effettuati dalla Im.Sa.St. srl (“mediante
bonifici pervenuti sul c/c di Tesoreria Comunale e
introitate con le Reversali di incasso di seguito riportate…”),
figura anche la “Reversale n. 1102/2009 di importo pari
ad € 22.598,50”, evidentemente riferibile al rapporto in
questione, in mancanza di diversa spiegazione: perciò deve
concludersi che la suddetta somma non è più dovuta, in
quanto pagata in data 23.06.2009.
Neppure, poi, risultano dovute le sanzioni irrogabili per il
ritardato pagamento della somma in parola, poiché,
applicandosi nella specie il termine prescrizionale di
cinque anni (cfr. sul punto TAR Campania-Napoli, sez. VIII,
n. 2170 del 16.04.2014), lo stesso risulta ormai decorso
dall’ultimo atto interruttivo, costituito dalla sopra
ricordata ingiunzione di pagamento n. 1210 del 27.01.2009,
notificata il 10.02.2009 (posto che la successiva cartella
di pagamento è stata notificata solo in data 16.02.2017).
Viceversa, sempre in relazione alla somma di cui si discute,
sono dovuti gli interessi di mora maturati nel periodo tra
la scadenza dei singoli ratei e il 23.06.2009, ovvero la
data del pagamento: ciò in quanto per gli interessi è
applicabile il diverso termine prescrizionale di dieci anni
(cfr. sul punto TAR Campania-Salerno, nn. 2599 e 2600 del
30.12.2003), che, per quanto prima evidenziato, non
risultava ancora decorso al momento della notifica della
cartella di pagamento, dopo l’interruzione operata con
l’ingiunzione n. 1210 del 27.01.2009.
Quanto alle somme richieste per oneri concessori in
relazione ai P.d.C. n. 102/2007 e n. 103/2007 (in variante
al P.d.C. n. 93/2006), risultano dovute le sorti capitale
(in mancanza di prova del loro pagamento), mentre sono
prescritte le sanzioni irrogabili per il loro tardivo
pagamento (e sul punto concorda anche il responsabile
dell’Area Tecnica del Comune di Telese Terme, secondo la
ricostruzione nella relazione a sua firma), per essere
maturato il relativo termine quinquennale, ancorché in
proposito fossero stati inoltrati solo nell’anno 2015 gli
avvisi di avvio del procedimento di riscossione coattiva n.
9422/2015 e n. 9421/2015 (dei quali, peraltro, non risulta
provato il recapito a destinazione).
Viceversa, non è maturata la prescrizione decennale (atteso
che il rilascio dei P.d.C. 102/2007 e 103/2007 si è avuto il
03.12.2007) riguardante gli interessi moratori, perciò
dovuti a partire dalle date di scadenza dei vari ratei
eventualmente concordati, fino all’estinzione
dell’obbligazione per compensazione legale, secondo quanto
si dirà più avanti.
E’, infatti, fondata anche la richiesta formulata dalla
ricorrente di restituzione degli importi versati a titolo di
oneri concessori per il rilascio, in data 20.01.2009, del
P.d.C. n. 4/2009; ed ancor prima l’eccezione sollevata sul
punto in via sostanziale, sulla scorta delle argomentazioni
svolte già con il ricorso introduttivo.
Invero, risulta incontestato (e anche ammesso dallo stesso
ente territoriale, sempre nella ricordata relazione a firma
dell’arch. Al.Pe.), che, in riferimento a tale P.d.C., la
società ricorrente ha versato al Comune di Telese Terme
complessivi euro 72.307,76 (di cui, euro 47.322,58, a titolo
di oneri di urbanizzazione; euro 2.324,00, a titolo di
diritti di segreteria; ed euro 22.661,18, a titolo di costo
di costruzione); e che l’intervento così assentito non è poi
stato realizzato, per non essere i lavori iniziati nel
prescritto termine di un anno dal rilascio (con conseguente
decadenza “di diritto” del titolo, ai sensi dell’art.
15 D.P.R. 380/2001): tanto ha determinato una situazione di
indebito oggettivo ex art. 2033 c.c., e perciò il sorgere,
con decorrenza dalla data di decadenza del rilasciato titolo
edilizio, dell’obbligo del Comune di restituire quanto
percepito a titolo di oneri concessori, ancorché con
esclusione dei versati diritti di segreteria (trattandosi di
attribuzione patrimoniale giustificata appunto dall’attività
di segreteria comunque svolta per pervenire al rilascio del
P.d.C., e indipendente dal successivo effettivo utilizzo di
questo).
La contemporanea pendenza, di tale credito della Im.Sa.St.
srl nei confronti del Comune di Telese Terme (comprendente
anche gli interessi compensativi, decorrenti dal giorno
della domanda ripetitiva dell’indebito nella ipotesi di
buona fede del percettore, che deve ritenersi nel caso di
specie ricorrere – cfr. TAR Lazio-Roma n. 2294 del
12.03.2008), e del credito di detto Comune verso l’odierna
ricorrente, ha fatto sì che, sussistendo i presupposti
richiesti dall’art. 1241 c.c., si verificasse la
compensazione legale dei due debiti, fino alla concorrenza
di quello di minore importo (ovvero quello vantato dalla
Im.Sa.St. srl): di tanto va dato atto in questa sede,
cosicché non può farsi luogo alla restituzione chiesta con i
motivi aggiunti.
Pertanto, in definitiva, la domanda complessivamente
proposta in questa sede va accolta nei sensi e nei limiti di
quanto fin qui esposto, e va, altresì, annullata l’impugnata
cartella di pagamento.
Quanto alla posizione della Equitalia Riscossioni spa,
seppure effettivamente deve dirsi estranea al rapporto
intercorrente tra la Im.Sa.St. srl e il Comune di Telese
Terme, tuttavia risulta essere stata correttamente intimata
in questo giudizio, poiché soggetto che aveva emesso la
contestata cartella di pagamento, per cui non può essere
disposta la sua estromissione, come da essa richiesto (cfr.
TAR Sardegna n. 82 dell’8.2.2007; TAR Campania-Salerno n.
766 dell’1.7.2003) (TAR Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 09.10.2018 n. 5835 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: In merito al calcolo del costo di costruzione il Collegio si conforma alla
giurisprudenza di questa Sezione, che condivide quanto affermato dal Consiglio di Stato, in forza delle quali continua a
trovare applicazione, nella Regione Lombardia, il decreto del Ministro per i
lavori pubblici del 10.05.1977, adottato in attuazione dell’art. 6 della
legge 10/1977, per il quale il costo si calcola sulla base della superficie
complessiva (Sc), pari alla somma della superficie utile (Su) e del 60%
della superficie non residenziale per servizi e accessori (Snr), con gli
incrementi previsti dal decreto in relazione alle classi di edifici.
Secondo l’art. 2 del DM 10.05.1977 “Le superfici per
servizi ed accessori riguardano: a) cantinole, soffitte, locali motore
ascensore, cabine idriche, lavatoi comuni, centrali termiche, ed altri
locali a stretto servizio delle residenze; b) autorimesse singole o
collettive; c) androni di ingresso e porticati liberi; d) logge e balconi”.
Per quanto riguarda tali servizi la giurisprudenza ha chiarito che “Dalla superficie non
residenziale devono invece essere escluse le scale che sono una struttura
necessaria (ma non la "scala di servizio non prescritta da leggi o
regolamenti o imposta da necessità di prevenzione di infortuni o di incendi"
di cui al n. 2 dell'art. 7 del d.m. 1977)” ed il Comune di Milano ha, in
conformità a tale interpretazione, modificato la circolare che conteggiava
nella s.n.r. le “scale e pianerottoli” sostituendo a questi “le scale
di servizio, cioè aggiuntive alla principale non prescritte da leggi o
regolamenti o imposte dalla necessità di evitare infortuni o incendi e
locali di distribuzione orizzontale esterni alle unità immobiliari”.
---------------
1. In merito al primo motivo di ricorso, relativo al supposto errore
nel calcolo del costo di costruzione, e la connessa domanda di ricalcolo del
medesimo, occorre rilevare che la domanda di ricalcolo è stata presentata
dopo il provvedimento impugnato ed è stata ritenuta infondata in sede di
memorie difensive del Comune in quanto avrebbe escluso dal conto del costo
di costruzione anche i pianerottoli.
Il motivo è fondato.
In merito al calcolo del costo di costruzione il Collegio si conforma alla
giurisprudenza di questa Sezione (TAR Lombardia (MI), Sez. II, n. 1248, del
13.05.2014) che condivide quanto affermato dal Consiglio di Stato nelle due
pronunce n. 6160 e 6161 del 20.12.2013, in forza delle quali continua a
trovare applicazione, nella Regione Lombardia, il decreto del Ministro per i
lavori pubblici del 10.05.1977, adottato in attuazione dell’art. 6 della
legge 10/1977, per il quale il costo si calcola sulla base della superficie
complessiva (Sc), pari alla somma della superficie utile (Su) e del 60%
della superficie non residenziale per servizi e accessori (Snr), con gli
incrementi previsti dal decreto in relazione alle classi di edifici.
Secondo l’art. 2 del Decreto ministeriale 10.05.1977 “Le superfici per
servizi ed accessori riguardano: a) cantinole, soffitte, locali motore
ascensore, cabine idriche, lavatoi comuni, centrali termiche, ed altri
locali a stretto servizio delle residenze; b) autorimesse singole o
collettive; c) androni di ingresso e porticati liberi; d) logge e balconi”
(in merito Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 28.11.2012 n. 6033).
Per quanto riguarda tali servizi la giurisprudenza (Consiglio di Stato, sez.
IV, 20/12/2013, n. 6161) ha chiarito che “Dalla superficie non
residenziale devono invece essere escluse le scale che sono una struttura
necessaria (ma non la "scala di servizio non prescritta da leggi o
regolamenti o imposta da necessità di prevenzione di infortuni o di incendi"
di cui al n. 2 dell'art. 7 del d.m. 1977)” ed il Comune di Milano ha, in
conformità a tale interpretazione, modificato la circolare che conteggiava
nella s.n.r. le “scale e pianerottoli” sostituendo a questi “le scale
di servizio, cioè aggiuntive alla principale non prescritte da leggi o
regolamenti o imposte dalla necessità di evitare infortuni o incendi e
locali di distribuzione orizzontale esterni alle unità immobiliari”.
Risulta chiaro quindi che, con la modificazione della circolare non solo
sono state espunte dal calcolo le scale che non siano di servizio, cioè
quelle necessarie, secondo l’interpretazione data dalla sentenza sopra
indicata, ma anche i pianerottoli, che prima erano inclusi nella s.n.r. e
poi non lo sono più, probabilmente perché sono stati ritenuti parte delle
scale. Poiché è lo stesso Comune ad aver equiparato, con la prima versione
della circolare, le scale ed i pianerottoli, vi è ragione per ritenere che
tale equiparazione valga anche dopo la modifica in quanto quest’ultima era
volta solo ad individuare solo le scale soggette o meno al conteggio e non
all’individuazione delle sue parti.
Ne deriva che il motivo va accolto con conseguente riconoscimento della non
debenza della somma di € 12.125,50
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 03.10.2018 n. 2198 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La giurisprudenza ha chiarito che l’atto
con il quale l'Amministrazione comunale quantifica i contributi di
costruzione ha carattere puramente ricognitivo e contabile, in quanto l'ammontare
del credito è predeterminato sulla base di rigidi criteri di calcolo
definiti con atto regolamentare.
Anche dopo il rilascio della concessione edilizia, pertanto, il Comune può
provvedere al corretto riconteggio del contributo dovuto, a prescindere da
un'espressa riserva in tal senso, in quanto il credito esiste
indipendentemente dall'atto contabile che lo quantifica: la rettifica è
pertanto consentita ogni qual volta sia ravvisabile un errore, dovuto a
qualsiasi ragione, nella liquidazione o nel calcolo del contributo
concessorio.
Poiché la
rettifica dell’ammontare del contributo è sempre consentita, perché
l’applicazione di una tariffa diversa da quella corretta altro non è che un
errore di calcolo, essa è sottratta alle regole dell’autotutela
amministrativa.
---------------
2. Il secondo motivo di ricorso, incentrato sulla mancata
comunicazione di avvio del procedimento di rettifica del contributo
autoliquidato, è infondato.
Infatti la giurisprudenza a cui si conforma il Collegio ha chiarito che
l’atto con il quale l'Amministrazione comunale quantifica i contributi in
esame ha carattere puramente ricognitivo e contabile, in quanto l'ammontare
del credito è predeterminato sulla base di rigidi criteri di calcolo
definiti con atto regolamentare.
Anche dopo il rilascio della concessione edilizia, pertanto, il Comune può
provvedere al corretto riconteggio del contributo dovuto, a prescindere da
un'espressa riserva in tal senso, in quanto il credito esiste
indipendentemente dall'atto contabile che lo quantifica: la rettifica è
pertanto consentita ogni qual volta sia ravvisabile un errore, dovuto a
qualsiasi ragione, nella liquidazione o nel calcolo del contributo
concessorio (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 16.06.2011 n. 1042). Poiché la
rettifica dell’ammontare del contributo è sempre consentita, perché
l’applicazione di una tariffa diversa da quella corretta altro non è che un
errore di calcolo, essa è sottratta alle regole dell’autotutela
amministrativa (cfr. in particolare, Cons. Stato, sez. IV, 27.09.2017, n.
4515; Cons. Stato, sez. IV, 12.06.2017, n. 2821).
Il motivo va quindi respinto
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 03.10.2018 n. 2198 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
E' consolidato in giurisprudenza il principio secondo cui il
pagamento degli oneri di urbanizzazione è dovuto solo nel caso in cui
l’intervento abbia determinato un aumento del carico urbanistico.
---------------
5. Il quarto motivo, fondato sull’erronea qualificazione
dell’intervento quale modificazione della destinazione d’uso invece che come
nuova costruzione, è infondato in quanto da esso non possono derivarsi
conseguenze ai fini della sottrazione all’individuazione e quantificazione
degli standard edilizi. Lo stesso vale per la discussione relativa alla
destinazione commerciale o industriale del precedente manufatto. Infatti è
consolidato in giurisprudenza il principio secondo cui il pagamento degli
oneri di urbanizzazione è dovuto solo nel caso in cui l’intervento abbia
determinato un aumento del carico urbanistico (TAR Piemonte, sez. I,
26.11.2003 n. 1675 e, da ultimo, TAR Piemonte, sez. II, 16.09.2013 n. 1009;
Cons. Stato, sez. IV, 29.04.2004, n. 2611).
Nel caso di specie la sostituzione edilizia di un edificio di due piani
fuori terra, destinato a parcheggio privato a pagamento e residenza, con due
nuovi edifici di 7 e 5 piani fuori terra, interamente destinati a residenza,
ha sicuramente comportato un aumento del carico urbanistico. A ciò si
aggiunge che, se occorre verificare in concreto l’aumento del carico
urbanistico nel caso di trasformazione dell’esistente, deve ritenersi che la
nuova costruzione comporti sempre un aumento del carico urbanistico. Il
riferimento nell’atto impugnato al mutamento d’uso è quindi riferibile al
carico urbanistico e non al titolo in base al quale è stato effettuato
l’intervento.
Il motivo va quindi respinto
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 03.10.2018 n. 2198 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
agosto 2018 |
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EDILIZIA PRIVATA: Secondo un principio consolidato “il
contributo di concessione va determinato con
riferimento alla disciplina, legislativa e
regolamentare, vigente al momento del
rilascio del titolo edilizio, che segna il
perfezionamento della fattispecie concessoria (o autorizzatoria, a seconda
della tipologia di titolo edilizio)”.
Secondo l’orientamento giurisprudenziale cui
il Collegio aderisce, la misura del
contributo di costruzione può essere
successivamente rideterminata nel caso di
errore di calcolo rispetto al contributo
dovuto in base alla situazione di fatto e
alla disciplina vigente al tempo del
rilascio del titolo.
---------------
Tali considerazioni devono reputarsi
estensibili anche alla c.d. monetizzazione
di standard, in quanto –nonostante la
diversa natura di tale pretesa rispetto a
quella concernente il contributo di
costruzione–
deve ritenersi
che, anche in relazione a tale diritto di
credito, la fonte dell’obbligazione sia
comunque costitutiva dal provvedimento
assentivo dell’intervento, sia esso un atto
espresso del Comune o un atto privato
rispetto al quale l’Amministrazione non
esercita alcun potere inibitorio.
---------------
Nel caso in cui l’intervento sia
legittimato da una denuncia di inizio
attività, il termine per la rideterminazione
degli importi dovuti decorre dalla
presentazione della denuncia, poiché dal
relativo contenuto sono desumibili tutti i
profili dell’intervento rilevanti per la
quantificazione di tali importi.
Alla
medesima data dovrà, inoltre, farsi
riferimento anche per l’individuazione della
disciplina applicabile ai fini della
determinazione delle somme, atteso che “la
d.i.a. non costituisce un provvedimento
amministrativo a formazione tacita, ma un
atto privato, volto a comunicare
l'intenzione di intraprendere un'attività
direttamente ammessa dalla legge, che si
perfeziona con la sua presentazione, per cui
allo stesso non può che applicarsi la
disciplina legislativa vigente al momento
della sua presentazione alla pubblica
amministrazione”.
---------------
La quantificazione degli standard e la
misura del contributo di costruzione devono,
quindi, determinarsi in ragione della
normativa vigente all’epoca della formazione
dell’effettivo titolo che costituisce la
fonte o il presupposto di tale obbligazione.
---------------
2.1. Il ricorso è parzialmente fondato ai
sensi e nei limiti di seguito indicati.
2.2. Gli interventi edilizi realizzati dalla
società ricorrente e ai quali fa riferimento
il provvedimento comunale di determinazione
degli stardard urbanistici e del contributo
di costruzione hanno fondamento giuridico in
una pluralità di titoli, in precedenza
indicati.
Secondo un principio consolidato “il
contributo di concessione va determinato con
riferimento alla disciplina, legislativa e
regolamentare, vigente al momento del
rilascio del titolo edilizio, che segna il
perfezionamento della fattispecie concessoria (o autorizzatoria, a seconda
della tipologia di titolo edilizio)”
(Consiglio di Stato, sez. VI, 07.05.2015,
n. 2294; nello stesso senso, ex plurimis:
Id., Sez. IV, 07.06.2012, n. 3379; Id.,
Sez. IV, 25.06.2010, n. 4109; Id, Sez.
V, 13.06.2003, n. 3332).
Secondo l’orientamento giurisprudenziale cui
il Collegio aderisce, la misura del
contributo di costruzione può essere
successivamente rideterminata nel caso di
errore di calcolo rispetto al contributo
dovuto in base alla situazione di fatto e
alla disciplina vigente al tempo del
rilascio del titolo (cfr. Consiglio di
Stato, Sez. IV, 12.06.2017, n. 2821).
Tali considerazioni devono reputarsi
estensibili anche alla c.d. monetizzazione
di standard, in quanto –nonostante la
diversa natura di tale pretesa rispetto a
quella concernente il contributo di
costruzione (Cons. Stato, Sez. IV, 28.12.2012, nn. 6706, 6707 e 6708; Id.,
16.02.2011, n. 1013; TAR Lombardia,
Milano, Sez. II, 26.07.2016, n. 1507; Id.,
19.07.2016, n. 1447: Id., 01.08.2013, n. 2056; Id., 14.02.2013, n.
451; TAR Campania, Salerno, Sez. I, 15.09.2014, n. 1558)– deve ritenersi
che, anche in relazione a tale diritto di
credito, la fonte dell’obbligazione sia
comunque costitutiva dal provvedimento
assentivo dell’intervento, sia esso un atto
espresso del Comune o un atto privato
rispetto al quale l’Amministrazione non
esercita alcun potere inibitorio.
Infatti, nel caso in cui l’intervento sia
legittimato da una denuncia di inizio
attività, il termine per la rideterminazione
degli importi dovuti decorre dalla
presentazione della denuncia, poiché dal
relativo contenuto sono desumibili tutti i
profili dell’intervento rilevanti per la
quantificazione di tali importi.
Alla
medesima data dovrà, inoltre, farsi
riferimento anche per l’individuazione della
disciplina applicabile ai fini della
determinazione delle somme, atteso che “la
d.i.a. non costituisce un provvedimento
amministrativo a formazione tacita, ma un
atto privato, volto a comunicare
l'intenzione di intraprendere un'attività
direttamente ammessa dalla legge, che si
perfeziona con la sua presentazione, per cui
allo stesso non può che applicarsi la
disciplina legislativa vigente al momento
della sua presentazione alla pubblica
amministrazione” (così Consiglio di
Stato, Adunanza Plenaria, 29.07.2011 n. 15;
Consiglio di Stato, sez. IV, 04.09.2012 n.
4669; Id., sez. IV, 07.07.2016, n. 3014; Tar
per la Lombardia–sede di Milano, sez. II,
16.06.2014, n. 1578; TAR per la
Lombardia–sede di Milano, Sez. I,
30.11.2016, n. 2277).
2.3. La quantificazione degli standard e la
misura del contributo di costruzione devono,
quindi, determinarsi in ragione della
normativa vigente all’epoca della formazione
dell’effettivo titolo che costituisce la
fonte o il presupposto di tale obbligazione.
Nel caso di specie, la D.I.A. del 20.10.2010 è relativa alla demolizione di
fabbricato preesistente a destinazione
autorimessa, sito a Milano in via ... 25, e
alla costruzione di nuovo edificio
residenziale, per una s.l.p. di 2123,21 mq.,
e si perfeziona in ragione del mancato
esercizio di poteri inibitori da parte del
Comune.
La D.I.A. è quindi titolo legittimo
dell’intervento in esame, non sostituito dai
successivi interventi che hanno portata più
limitata e che, comunque, non sostituiscono
il primo titolo. Infatti, la successiva
D.I.A. del 2012 costituisce una variante
ordinaria che limita semplicemente la s.l.p.
a 2122,28 mq.
Il successivo intervento (permesso di
costruire n. 154 del 2014) non comporta la
mera sostituzione del patrimonio edilizio
esistente pur generando un aumento della
s.l.p.. L’ultimo intervento è costituito
dalla segnalazione certificata di inizio
attività del 10.04.2014 con la quale si
realizzano semplicemente opere di
completamento della precedente D.I.A.
2.4. La concreta disamina svolta consente,
quindi, di affermare che gli interventi –pur relativi alla medesima complessiva opera
e aventi delle fisiologiche interferenze–
costituiscono lavori legittimati dai
rispettivi titoli e per questo sottoposti
alla normativa vigente all’epoca di
formazione degli stessi (cfr., Consiglio di
Stato, sez. VI, 24.11.2017, n. 5485).
Di conseguenza, la determinazione degli
standard urbanistici e del contributo di
costruzione non può che avere ad oggetto lo
specifico intervento realizzato con
applicazione della normativa ratione
temporis vigente. In particolare, la prima
D.I.A. del 2010 risulta soggetta alle
prescrizioni dettate dal previgente P.R.G.;
al contrario, sono soggette alla specifiche
regole dettate dal sopraggiunto P.G.T. (in
relazione ai singoli interventi assentiti) i
successivi titoli sin qui esaminati
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 31.08.2018 n. 2039 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L’Adunanza plenaria pronuncia sulla rideterminazione del
contributo di costruzione e sulla tutela del privato con
l’azione di accertamento.
---------------
●
Edilizia – Oneri di costruzione – Determinazione – Termine
di prescrizione decennale.
●
Edilizia – Oneri di costruzione – Rideterminazione – Termine
di prescrizione decennale – Tutela del privato – Azione di
accertamento.
●
Edilizia – Oneri di costruzione – Rideterminazione – Art.
1431 c.c. – Inapplicabilità – Ratio.
●
Edilizia – Oneri di costruzione – Rideterminazione – Buona
fede del privato – Riconoscimento – Limiti.
●
Gli atti con i quali la Pubblica amministrazione determina e
liquida il contributo di costruzione, previsto dall’art. 16,
d.P.R. n. 380 del 2001, non hanno natura autoritativa, non
essendo espressione di una potestà pubblicistica, ma
costituiscono l’esercizio di una facoltà connessa alla
pretesa creditoria riconosciuta dalla legge al Comune per il
rilascio del permesso di costruire, stante la sua onerosità,
nell’ambito di un rapporto obbligatorio a carattere
paritetico e soggetta, in quanto tale, al termine di
prescrizione decennale, sicché ad essi non possono
applicarsi né la disciplina dell’autotutela dettata
dall’art. 21-nonies della l. n. 241 del 1990 né, più in
generale, le disposizioni previste dalla stessa legge per
gli atti provvedimentali manifestazioni di imperio (1).
●
La Pubblica amministrazione, nel corso del rapporto
concessorio, può sempre rideterminare, sia a favore che a
sfavore del privato, l’importo del contributo di
concessione, in principio erroneamente liquidato,
richiedendone o rimborsandone a questi la differenza
nell’ordinario termine di prescrizione decennale (art. 2946
c.c.) decorrente dal rilascio del titolo edilizio, senza
incorrere in alcuna decadenza, mentre per parte sua il
privato non è tenuto ad impugnare gli atti determinativi del
contributo nel termine di decadenza, potendo ricorrere al
giudice amministrativo, munito di giurisdizione esclusiva ai
sensi dell’art. 133, comma 1, lett. f), c.p.a., nel medesimo
termine di dieci anni, anche con un’azione di mero
accertamento (2).
●
L’amministrazione comunale, nel rideterminare l’importo del
contributo di concessione con atti non aventi natura
autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato, ai
sensi dell’art. 1, comma 1-bis, l. n. 241 del 1990, senza
che sia applicabile la disciplina dell’errore riconoscibile
di cui all’art. 1431 c.c., in quanto l’errore nella
liquidazione del contributo, compiuto dalla pubblica
amministrazione, non attiene ad elementi estranei o ignoti
alla sfera del debitore ed è quindi per lui in linea di
principio riconoscibile, in quanto o riguarda l’applicazione
delle tabelle parametriche, che al privato sono o devono
essere ben note, o è determinato da un mero errore di
calcolo, ben percepibile dal privato, errore che dà luogo
alla semplice rettifica (3).
●
La tutela dell’affidamento e il principio della
buona fede, che in via generale devono essere osservati
anche dalla pubblica amministrazione dell’attuazione del
rapporto obbligatorio, possono trovare applicazione in caso
di rideterminazione del contributo di costruzione nella
quale, ordinariamente, la predeterminazione e l’oggettività
dei parametri da applicare al contributo di costruzione, di
cui all’art. 16, d.P.R. n. 380 del 2001, rendono vincolato
il conteggio da parte della pubblica amministrazione,
consentendone a priori la conoscibilità e la verificabilità
da parte dell’interessato con l’ordinaria diligenza, solo
nella eccezionale ipotesi in cui tali conoscibilità e
verificabilità non siano possibili con l’ordinaria diligenza
richiesta al debitore, secondo buona fede (artt. 1175 e 1375
c.c.), nell’ottica di una leale collaborazione volta
all’attuazione del rapporto obbligatorio e al
soddisfacimento dell’interesse creditorio vantato dal
Comune.
---------------
La questione era
stata rimessa all’Adunanza plenaria da
C.g.a. 27.03.2018, n. 175.
(1) Ha chiarito l’Alto Consesso che la peculiare natura del titolo
edilizio –la concessione edilizia della l. n. 10 del 1977 e,
ora, il permesso di costruire del d.P.R. n. 380 del 2001–
induce a ritenere che esso, al di là del suo carattere
sostanzialmente autorizzatorio, sia comunque, direttamente o
indirettamente, attributivo, per il privato, di rilevanti
benefici economici, a fronte dei quali è previsto in termini
di controprestazione il pagamento di una somma di danaro,
appunto il contributo di costruzione (sulla cui natura v.
Cons. St., A.P., 07.12.2016, n. 24), non
altrimenti qualificabile che come corrispettivo di diritto
pubblico.
L’Adunanza plenaria ha quindi affermato che al quesito
inerente alla natura, privatistica o pubblicistica, degli
atti con i quali l’amministrazione comunale determina o
ridetermina il contributo di costruzione, di cui all’art.
16, d.P.R. n. 380 del 2001, debba rispondersi con la
riaffermazione della loro natura privatistica.
Il contributo per gli oneri di urbanizzazione è un
corrispettivo di diritto pubblico, di natura non tributaria,
posto a carico del concessionario a titolo di partecipazione
ai costi delle opere di urbanizzazione e in proporzione
dell’insieme dei benefici che la nuova costruzione acquista,
senza alcun vincolo di scopo in relazione alla zona
interessata alla trasformazione urbanistica e
indipendentemente dalla concreta utilità che il
concessionario può conseguire dal titolo edificatorio e
dall’ammontare delle spese effettivamente occorrenti per la
realizzazione delle opere (Cons.
St., sez. IV, 05.05.2017, n. 2055).
L’obbligazione di corrispondere il contributo nasce nel
momento in cui viene rilasciato il titolo ed è a tale
momento che occorre aver riguardo per la determinazione
dell’entità del contributo (Cons.
St., sez. IV, 30.11.2015, n. 5412; id.,
sez. V, 13.06.2003, n. 3332).
L’atto di imposizione e di liquidazione del contributo,
quale corrispettivo di diritto pubblico richiesto per la
compartecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione,
non ha natura autoritativa né costituisce esplicazione di
una potestà pubblicistica, ma si risolve in un mero atto
ricognitivo e contabile, in applicazione di rigidi e
prestabiliti parametri regolamentari e tabellari. Gli oneri
di urbanizzazione, ai sensi dell’art. 16, comma 3, d.P.R. n.
380 del 2001, sono corrisposti sulla base delle tabelle
parametriche, predisposte dalle Regioni, tabelle che devono
essere recepite dal Comune in una propria deliberazione,
atto amministrativo generale impugnabile solo con il
concreto provvedimento applicativo.
La costante giurisprudenza del Consiglio di Stato ha sempre
ribadito che il contributo per gli oneri di urbanizzazione,
per quanto non abbia natura tributaria, costituisce,
comunque, un corrispettivo di diritto pubblico posto a
carico del costruttore, connesso al rilascio della
concessione edilizia, a titolo di partecipazione del
concessionario ai costi delle opere di urbanizzazione in
proporzione all’insieme dei benefici che la nuova
costruzione ne ritrae, e che «per la determinazione di
esso deve essere fatto necessario ed esclusivo riferimento
alle norme di legge che regolano i relativi criteri di
conteggio, norme che vanno rigorosamente rispettate anche in
osservanza del principio di cui all’art. 23 della
Costituzione , secondo il quale nessuna prestazione
patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge»
(Cons.
St., sez. V, 21.04.2006, n. 2228).
L’affermazione secondo cui il contributo di costruzione
costituisce una prestazione patrimoniale imposta e rientra a
tale titolo nell’ambito dei rapporti di diritto pubblico in
quanto necessariamente legata al rilascio del titolo
edilizio, tuttavia, non comporta ex se che i relativi
atti di determinazione abbiano necessariamente carattere
autoritativo, si colorino, per così dire, di imperatività e
siano espressione di potestà pubblicistica. Il privato che
intende ottenere il permesso di costruire ha avanti a sé la
scelta di corrispondere il contributo di costruzione o di
rinunciare al rilascio del titolo. Effettuata questa scelta,
che comporta la necessaria corresponsione del corrispettivo
di diritto pubblico, il pagamento di questo, esclusa
pacificamente la sua natura tributaria, non può che
costituire l’oggetto di un ordinario rapporto obbligatorio,
disciplinato dalle norme di diritto privato, come prescrive
l’art. 1, comma 1-bis, l. n. 241 del 1990, salvo che la
legge disponga diversamente.
È vero che il credito dell’amministrazione, per la sua
particolare finalità, è assistito da particolari sanzioni e
da speciali procedure coattive di riscossione, come ha pure
ricordato la stessa
Adunanza plenaria nella sentenza n. 24 del 2016
richiamando le disposizioni di cui agli artt. 42 e 43,
d.P.R. n. 380 del 2001, ma ciò non contrasta con la
fondamentale natura del rapporto obbligatorio paritetico
inerente al pagamento del contributo e accessorio al
rilascio del permesso di costruire. Anche la disciplina
degli atti non autoritativi della pubblica amministrazione
può conoscere, infatti, previsioni derogatorie rispetto alla
ordinaria disciplina privatistica, come prevede chiaramente
l’art. 1, comma 1-bis, l. n. 241 del 1990, senza che ciò
comporti lo snaturamento del rapporto paritetico che ne è
alla base, la loro integrale attrazione alla sfera
pubblicistica o, nel caso di specie, l’assimilazione ad una
fattispecie paraimpositiva di stampo tributario.
L’Adunanza plenaria ha quindi escluso che a tali rapporti di
natura meramente obbligatoria e agli atti iure gestionis,
di carattere contabile e aventi finalità liquidatoria,
adottati dal Comune, si applichi la disciplina dell’autotutela
di cui all’art. 21-nonies, l. n. 241 del 1990 o, più in
generale, la disciplina dettata dalla stessa l. n. 241 del
1990 per gli atti provvedimentali espressivi di potestà
pubblicistica.
(2) Ha ricordato l’Adunanza plenaria che la natura paritetica
dell’atto di determinazione consente che la pubblica
amministrazione possa apportarvi modifiche, sia in favore
del privato che in senso contrario, purché ciò avvenga nei
limiti della prescrizione decennale del relativo diritto di
credito (Cons. St., sez. IV, 28.11.2012, n. 6033; id.
17.09.2010, n. 6950). Si tratta, infatti, di una
determinazione che obbedisce a prescrizioni desumibili da
tabelle, in ordine alla quale l’amministrazione comunale si
limita ad applicare dei parametri, aventi per la stessa
natura cogente, laddove è esclusa qualsivoglia
discrezionalità applicativa (Cons. St., sez. IV, 28.11.2012,
n. 6033).
Ha ancora ricordato l’Alto Consesso come la giurisprudenza è
consolidata nell’affermare che la controversia in ordine
alla spettanza e alla liquidazione del contributo per gli
oneri di urbanizzazione, riservata alla giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo a norma dell’art. 16,
l. n. 10 del 1977 e, oggi, dell’art. 133, comma 1, lett. f),
c.p.a., ha ad oggetto l’accertamento di un rapporto di
credito a prescindere dall’esistenza di atti della pubblica
amministrazione e non è soggetta alle regole delle azioni
impugnatorie-annullatorie degli atti amministrativi e ai
rispettivi termini di decadenza.
(3) L’Adunanza plenaria ha escluso che in caso di rideterminazione
del quantum del contributo di costruzione sia applicabile la
disciplina dell’errore riconoscibile, di cui all’art. 1431
c.c.. l’applicazione delle tabelle parametriche da parte
dell’amministrazione comunale, per quanto complessa,
costituisce comunque una operazione contabile che, essendo
al privato ben note dette tabelle, questi può verificare
nella sua esattezza, anzitutto con l’ausilio del progettista
che l’assiste nella presentazione della propria istanza, con
un ordinario sforzo di diligenza, richiedibile secondo il
canone della buona fede al debitore già solo, e anzitutto,
nel suo stesso interesse, per evitare che gli venga
richiesto meno o più del dovuto.
La complessità delle operazioni di calcolo o l’eventuale
incertezza nell’applicazione di alcune tabelle o
coefficienti determinativi, dovuti a ragioni di ordine
tecnico, non sono eventi estranei o ignoti alla sfera del
debitore, che invece con l’ordinaria diligenza, richiesta
dagli artt. 1175 e 1375 c.c., può e deve controllarne
l’esattezza sin dal primo atto di loro determinazione.
Certamente, e a sua volta, il Comune ha l’obbligo di
adoperarsi affinché la liquidazione del contributo di
costruzione venga eseguita nel modo più corretto, sollecito,
scrupoloso e preciso, sin dal principio, ma la
collaborazione tra l’autorità comunale e il privato
richiedente, in una visione del diritto amministrativo
improntata al principio di buon andamento e alla legalità
sostanziale, è imprescindibile in questa materia, già solo
sul piano dell’interlocuzione procedimentale, e non può
certo affermarsi, proprio per questo, una incomunicabilità o
inconoscibilità tra la sfera dell’una e quella dell’altro
che porti all’applicazione dell’art. 1431 c.c., quasi che
l’iniziale errore nell’applicazione delle tabelle o dei
coefficienti, da parte dell’autorità comunale, sia un fatto
“del tutto naturalmente” incomprensibile o
imponderabile dal privato perché puramente interno alla
sfera dell’amministrazione creditrice
(Consiglio
di Stato, A.P.,
sentenza 30.08.2018 n. 12 -
commento tratto da e link a
www.giustizia-amministrativa.it).
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SENTENZA
1. L’Adunanza plenaria ritiene che ai tre quesiti
posti dal Consiglio di giustizia amministrativa per la
Regione Siciliana con l’ordinanza n. 175 del 17.03.2018
debbano darsi le risposte che seguono.
2. Con il primo quesito, come si è accennato
nell’esposizione del fatto (v., supra, §4), il Consiglio
chiede all’Adunanza se la rideterminazione degli oneri
concessori sia estrinsecazione di un potere autoritativo, da
parte della pubblica amministrazione, nell’ambito dell’autotutela
pubblicistica soggetta ai presupposti e ai requisiti
dell’art. 21-nonies della l. n. 241 del 1990 o sia
espressione di una sua legittima facoltà, nell’ambito del
rapporto paritetico di natura creditizia, conseguente al
rilascio del titolo edilizio a carattere oneroso, sottoposto
nelle sue forme di esercizio al termine prescrizionale
ordinario.
2.1. A tale quesito si deve rispondere che la
rideterminazione degli oneri concessori costituisce
l’esercizio di una legittima facoltà nell’ambito di un
rapporto paritetico tra la pubblica amministrazione e il
privato.
2.2. Questa Adunanza non ignora, invero, come non sia
tuttora sopito il dibattito in ordine alla natura giuridica
e al corretto inquadramento del contributo di costruzione,
previsto dal vigente art. 16 del d.P.R. n. 380 del 2001,
dibattito legato, inscindibilmente, anche alla vexata
quaestio dell’inerenza del c.d. ius aedificandi
al diritto di proprietà (su cui v., per tutte, Corte cost.,
30.01.1980, n. 5, Cons. St., sez. V, 19.02.1982, n. 122).
2.3. Non è questa ovviamente la sede per ripercorrere
siffatta questione, ora comunque superata dalla ormai
riconosciuta natura autorizzatoria del permesso di
costruire, ma basti dire, ai fini che qui rilevano, che la
peculiare natura del titolo edilizio –la concessione
edilizia della l. n. 10 del 1977 e, ora, il permesso di
costruire del d.P.R. n. 380 del 2001– induce a ritenere che
esso, al di là del suo carattere sostanzialmente
autorizzatorio, sia comunque, direttamente o
indirirettamente, attributivo, per il privato, di rilevanti
benefici economici, a fronte dei quali è previsto in termini
di controprestazione il pagamento di una somma di danaro,
appunto il contributo di costruzione, non altrimenti
qualificabile che come corrispettivo di diritto pubblico.
2.4. La stessa ordinanza n. 175 del 27.03.2018 ha ricordato,
in modo completo e approfondito, quale sia la consolidata
giurisprudenza amministrativa in questa materia, seppure con
alcune significative divergenze, di cui si dirà oltre, in
ordine alla disciplina civilistica da applicare alla
rideterminazione del contributo di costruzione, previsto
dall’art. 16 del d.P.R. n. 380 del 2001.
3. Occorre qui richiamare in premessa, salvo poi soffermarsi
su di essi con maggiore attenzione nel prosieguo della
trattazione, i principî affermati di recente da questa
Adunanza plenaria nella sentenza n. 24 del 07.12.2016
riguardo alla natura del contributo di costruzione dovuto
dal soggetto che intraprenda un’iniziativa edificatoria.
3.1. Detto contributo, previsto dall’art. 16 del d.P.R. n.
380 del 2001 e articolato nelle due voci inerenti agli oneri
di urbanizzazione e al costo di costruzione (prescindendo
qui dalla singola funzione, e natura, di dette voci),
rappresenta, secondo la qualificazione datane da questa
stessa Adunanza plenaria, una compartecipazione del privato
alla spesa pubblica occorrente alla realizzazione delle
opere di urbanizzazione.
3.2. In altri termini, fin dalla legge che ha introdotto
nell’ordinamento il principio della onerosità del titolo a
costruire (art. 1 della l. n. 10 del 1977), la ragione della
compartecipazione alla spesa pubblica del privato è da
ricollegare sul piano eziologico al surplus di opere
di urbanizzazione che l’amministrazione comunale è tenuta ad
affrontare in relazione al nuovo intervento edificatorio del
richiedente il titolo edilizio.
3.3. Il contributo per il rilascio del permesso di costruire
ha natura di prestazione patrimoniale imposta, di carattere
non tributario, ed ha carattere generale, prescindendo
totalmente delle singole opere di urbanizzazione che devono
in concreto eseguirsi, venendo altresì determinato
indipendentemente sia dall’utilità che il concessionario
ritrae dal titolo edificatorio sia dalle spese
effettivamente occorrenti per realizzare dette opere.
3.4. In sostanza, le opere di urbanizzazione –per la cui
remunerazione il contributo viene imposto– hanno spesso
portata più ampia rispetto a quelle strettamente necessarie
ad urbanizzare il nuovo insediamento edilizio posto in
essere da chi abbia ottenuto il titolo edilizio ed hanno
quindi sovente natura indivisibile, nel senso che non sono
frazionabili in porzioni funzionali al soddisfacimento delle
esigenze dei singoli nuovi insediati.
3.5. In ragione di tanto, per l’esecuzione di dette opere,
da realizzare in conseguenza del fatto edificatorio in sé
considerato, l’amministrazione comunale attinge normalmente
alla fiscalità generale, senza necessariamente attendere il
pagamento del contributo da parte dell’obbligato, e quindi a
prescindere dal suo puntuale adempimento.
3.6. Per tale motivo, quand’anche risultino trasfuse in una
apposita convenzione urbanistica, le prestazioni da
adempiere da parte dell’amministrazione comunale e del
privato intestatario del titolo edilizio non sono tra loro
in posizione sinallagmatica.
3.7. L’amministrazione comunale, infatti, è tenuta ad
eseguire le opere di urbanizzazione e a dotare degli
indispensabili standard il comparto ove viene allocato il
nuovo insediamento edilizio a prescindere dal puntuale
pagamento del contributo di costruzione da parte del
soggetto che abbia ottenuto il titolo edilizio; per parte
sua, questi è tenuto al pagamento del contributo senza poter
pretendere la previa realizzazione delle opere di
urbanizzazione.
3.8. Da ciò discende che il soggetto obbligato sia tenuto a
corrispondere il contributo di costruzione nel rispetto dei
termini convenuti e che l’amministrazione comunale deve
eseguire le opere di urbanizzazione in coerenza, anche sul
piano temporale, allo sviluppo edilizio del territorio.
3.9. Tali, in sintesi, sono i principî che l’Adunanza
plenaria ha affermato in subiecta materia sulla
scorta, peraltro, di un consolidato indirizzo ermeneutico
del giudice amministrativo.
4. Occorre adesso esaminare, proprio alla luce di questi
fondamentali principî, il primo quesito posto
dall’ordinanza di rimessione.
4.1. Questa ricorda che secondo una prima tesi, seguita
dallo stesso Consiglio di giustizia amministrativa (nelle
sentenze nn. 64, 188, 244, 373, 422 e 790 del 2007), la
determinazione del contributo darebbe luogo ad un rapporto
paritetico che, seppur azionabile da ambo le parti nel
rispetto del termine prescrizionale ordinario di dieci anni,
si cristallizzerebbe nel quantum al momento del rilascio del
titolo edilizio, nel senso che lo stesso non sarebbe
suscettibile di modifiche successive (se non nei casi di
manifesto errore di calcolo), in quanto, in applicazione dei
principi desumibili dalla disciplina dei contratti, non
darebbe mai luogo ad un errore riconoscibile (donde
l’intangibilità pressoché assoluta della originaria
determinazione amministrativa).
4.2. In base a tale approccio ermeneutico, come pure ben
rammenta l’ordinanza di rimessione, non vi sarebbe ragione
per l’applicazione dell’istituto dell’autotutela
amministrativa per la eventuale rideterminazione del
contributo, proprio perché il rapporto inter partes è
di natura paritetica, né vi sarebbe spazio per una modifica
successiva per errore perché questo, in quanto maturato
nella sfera riservata della pubblica amministrazione,
sarebbe per definizione non riconoscibile e quindi
irrilevante, con la conseguenza che si dovrebbe sempre
salvaguardare la tutela dell’affidamento della parte
privata.
4.3. Un’altra tesi, fatta propria in alcune sentenze della
sez. IV di questo Consiglio di Stato (cfr., in particolare,
Cons. St., sez. IV, 27.09.2017 n. 4515, Cons. St., sez. IV,
12.06.2017 n. 2821), benché muova da una analoga
impostazione sulla natura paritetica del rapporto, giunge
tuttavia a conclusioni opposte.
4.4. Si è osservato, infatti, che proprio perché si tratta
di un rapporto di debito-credito di natura paritetica,
soggetto a prescrizione decennale, la rettifica sarebbe
sempre possibile sia in bonam che in malam partem,
entro il limite della prescrizione del diritto reciproco
delle parti alla correzione delle esatte somme dovute,
perché per un verso il procedimento sarebbe svincolato dal
rispetto delle condizioni legali di esercizio dell’autotutela
amministrativa (in particolare, di quelle previste all’art.
21-nonies della l. n. 241 del 1990) e, per altro verso, la
rideterminazione del contributo dovuto secondo rigidi
parametri regolamentari o tabellari non soltanto sarebbe
possibile, ma costituirebbe atto dovuto, residuando
altrimenti un indebito oggettivo, inammissibile nei rapporti
di diritto amministrativo.
4.5. Più in particolare, osserva ancora l’ordinanza di
rimessione, nella sentenza n. 2821 del 2017 di questo
Consiglio di Stato si afferma che, in sostanza,
l’applicazione di una tariffa diversa da quella corretta
altro non è che un errore di calcolo della tariffa, sicché
vi sarebbe sempre spazio per la rettifica, purché si tratti
della tariffa vigente all’epoca del rilascio del titolo
edilizio (con esclusione quindi di ogni forma di
applicazione di regimi tariffari in via retroattiva).
4.6. Entrambe le tesi, osserva il Consiglio di giustizia
amministrativa, muoverebbero dal rilievo, ampiamente diffuso
nella giurisprudenza amministrativa, secondo cui le
controversie in tema di determinazione della misura dei
contributi edilizi concernono l’accertamento di diritti
soggettivi che traggono origine direttamente da fonti
normative, sicché sarebbero proponibili, a prescindere
dall’impugnazione di provvedimenti dell’amministrazione, nel
termine di prescrizione (Cons. St., sez. IV, 20.11.2012 n.
6033; Cons. St., sez. V, 04.05.1992, n. 360) e ribadiscono
che si tratta di rapporto creditorio paritetico, ma
pervengono, come detto, a conclusioni assai diversificate
sul piano della tutela da apprestare alla parte privata che,
come nel caso di specie, abbia subito una rideterminazione
in peius.
5. L’ordinanza di rimessione individua, tuttavia, una
posizione diversa e innovativa rispetto ai riferiti
orientamenti giurisprudenziali, quantomeno in ordine alla
impostazione teorica delle questioni, in un’altra sentenza
della quarta sezione del Consiglio di Stato (cfr. Cons. St.,
sez. IV, 21.12.2016, n. 5402).
5.1. Nella vicenda esaminata da detta pronuncia il rapporto
nascente dalla determinazione del contributo (nel caso
esaminato, di costruzione) è attratto nell’orbita del regime
di diritto pubblico, in quanto qualificato prestazione
patrimoniale imposta di carattere non tributario, con la
conseguente applicabilità, in astratto, delle regole dell’autotutela
amministrativa.
5.2. E tuttavia, sul piano della tutela dell’affidamento
della parte privata rispetto ad una delibera di giunta
comunale di rideterminazione del contributo di costruzione
(sia pur di adeguamento alla soglia minima del 5% fissata
dalla legge nazionale all’art. 16, comma 3, del d.P.R. n.
380 del 2001), si afferma che le garanzie partecipative (in
particolare quelle di cui all’art. 10-bis della l. n. 241
del 1990) devono essere pur sempre coordinate con le
previsioni dell’art. 21-octies della l. cit. e con le
esigenze di finalizzazione del procedimento con
l’applicazione della tariffa dovuta.
5.3. Si richiama al proposito la giurisprudenza del
Consiglio di Stato sul recupero di somme indebitamente
corrisposte dalla amministrazione (Cons. St., sez. V,
30.12.2015, n. 5863), fattispecie che viene assimilata a
quella di causa, relativa a somme dovute dal privato e non
riscosse dall’ente comunale.
5.4. Al di là del contenuto negativo delle statuizioni sui
singoli capi di domanda, osserva ancora l’ordinanza di
rimessione, la decisione si segnalerebbe per il «cambio
di passo» rispetto ai precedenti arresti della medesima
sezione in ordine all’inquadramento generale nei sensi
anzidetti dell’istituto del contributo previsto dall’art. 16
del d.P.R. n. 380 del 2001.
5.5. In tale contesto, aggiunge ancora l’ordinanza di
rimessione, non potrebbe non farsi menzione di quanto
affermato dalla Adunanza plenaria del Consiglio di Stato
nella sentenza n. 24 del 2016, di cui si è già detto in
premessa.
5.6. In tale decisione, resa sulla diversa questione della
applicabilità delle sanzioni per ritardo nel pagamento dei
contributi, pur in presenza di una polizza fideiussoria a
garanzia del debito del contributo ammesso a dilazione, si è
tra l’altro affermato –per quel che qui rileva– che il
contributo dovuto dal privato in occasione del ritiro di un
permesso di costruire, quale prestazione patrimoniale
imposta funzionale a remunerare l’esecuzione di opere
pubbliche, si colloca pacificamente nell’alveo dei rapporti
di diritto pubblico.
5.7. Si è in particolare affermato che il contributo di
costruzione dovuto dal soggetto che intraprenda
un’iniziativa edificatoria rappresenta una compartecipazione
del privato alla spesa pubblica occorrente alla
realizzazione delle opere di urbanizzazione e ha natura di
prestazione patrimoniale imposta, di carattere non
tributario.
5.8. Per tale motivo, dunque, le prestazioni da adempiere da
parte dell’amministrazione comunale e del privato
intestatario del titolo edilizio non sono tra loro in
posizione sinallagmatica, con la conseguenza che il soggetto
obbligato è tenuto a corrispondere il contributo di
costruzione nel rispetto dei termini stabiliti.
5.9. Il suo mancato pagamento legittima quindi
l’Amministrazione ad esercitare il suo potere-dovere in
ordine all’applicazione di sanzioni pecuniarie crescenti in
rapporto all’entità del ritardo, ai sensi dell’art. 42 del
d.P.R. n. 380 del 2001, e, in caso di persistenza
dell’inadempimento, alla riscossione del contributo e delle
sanzioni secondo le norme vigenti in materia di riscossione
coattiva delle entrate, ai sensi dell’art. 43 dello stesso
d.P.R. n. 380 del 2001.
6. Le conclusioni raggiunte dall’Adunanza plenaria, secondo
l’ordinanza di rimessione, meriterebbero condivisione,
quantomeno se restano ferme le conclusioni sulla natura di
prestazione patrimoniale imposta del contributo di cui si
controverte e sul suo carattere non sinallagmatico rispetto
agli interventi di urbanizzazione che mettono capo all’ente
pubblico, secondo un livello di programmazione temporale e
qualitativo sul quale il privato non avrebbe titolo per
interferire.
6.1. L’ascrizione all’alveo dei rapporti di diritto pubblico
del contributo in questione imporrebbe quindi, in via
consequenziale, l’applicazione del regime proprio dell’autotutela
amministrativa all’attività di rideterminazione delle somme
dovute a tal titolo dalla parte privata, quantomeno nei casi
in cui non si tratti di por mano ad un semplice errore
materiale di calcolo desumibile dagli atti del procedimento
ovvero non si tratti di rideterminazione imposta
dall’adozione di un nuovo provvedimento abilitativo
edilizio, anche semplicemente per effetto della intervenuta
decadenza temporale del primo (ma qui si resterebbe in ogni
caso fuori dall’ambito dell’autotutela).
6.2. L’ordinanza di rimessione esprime una preferenza
rispetto alle suindicate opzioni ermeneutiche e osserva che
la soluzione da ultimo proposta, oltre a recuperare coerenza
sul piano dogmatico con il sistema giuridico di riferimento,
si rivelerebbe più appropriata anche in ordine al miglior
grado di contemperamento delle esigenze pubblicistiche
sottese alla corretta determinazione del contributo dovuto
(e alla salvaguardia degli interessi erariali), anche in
sede di emenda di precedenti errori di quantificazione, e le
esigenze di tutela della parte privata riguardo
all’affidamento riposto nella originaria determinazione
dell’ente.
6.3. A tale ultimo proposito, infatti, soccorrerebbero gli
istituti posti a presidio delle garanzie partecipative
previsti per l’attività amministrativa di secondo grado,
oltre che naturalmente il rispetto delle stesse condizioni
legali di legittimo esercizio dell’autotutela, avuto
riguardo ai tempi, alle forme ed ai contenuti motivazionali
dell’atto espressivo del c.d. ius poenitendi (cfr.,
in particolare, artt. 21-quinquies, 21-octies e 21-nonies
della l. n. 241 del 1990).
7. L’Adunanza plenaria osserva che al quesito inerente alla
natura, privatistica o pubblicistica, degli atti con i quali
l’amministrazione comunale determina o ridetermina il
contributo di costruzione, di cui all’art. 16 del d.P.R. n.
380 del 2001, debba rispondersi con la riaffermazione della
loro natura privatistica, sin qui ribadita dalla
giurisprudenza di questo Consiglio.
7.1. E in particolare, per quanto attiene alla specifica
vicenda di cui è causa, va qui ribadito, in conformità
all’orientamento sin qui ricordato, che il contributo per
gli oneri di urbanizzazione è un corrispettivo di diritto
pubblico, di natura non tributaria, posto a carico del
concessionario a titolo di partecipazione ai costi delle
opere di urbanizzazione e in proporzione dell’insieme dei
benefici che la nuova costruzione acquista, senza alcun
vincolo di scopo in relazione alla zona interessata alla
trasformazione urbanistica e indipendentemente dalla
concreta utilità che il concessionario può conseguire dal
titolo edificatorio e dall’ammontare delle spese
effettivamente occorrenti per la realizzazione delle opere (Cons.
St., sez. IV, 05.05.2017, n. 2055).
7.2. L’obbligazione di corrispondere il contributo nasce,
come è noto, nel momento in cui viene rilasciato il titolo
ed è a tale momento che occorre aver riguardo per la
determinazione dell’entità del contributo (Cons. St., sez.
IV, 30.11.2015, n. 5412, ma v. anche Cons. St., sez. V,
13.06.2003, n. 3332).
7.3. L’atto di imposizione e di liquidazione del contributo,
quale corrispettivo di diritto pubblico richiesto per la
compartecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione,
non ha natura autoritativa né costituisce esplicazione di
una potestà pubblicistica, ma si risolve in un mero atto
ricognitivo e contabile, in applicazione di rigidi e
prestabiliti parametri regolamentari e tabellari.
7.4. Va ricordato, infatti, che gli oneri di urbanizzazione,
ai sensi dell’art. 16, comma 3, del d.P.R. n. 380 del 2001,
sono corrisposti sulla base delle tabelle parametriche,
predisposte dalle Regioni, tabelle che devono essere
recepite dal Comune in una propria deliberazione, atto
amministrativo generale impugnabile solo con il concreto
provvedimento applicativo.
7.5. La determinazione degli oneri di urbanizzazione si
correla ad una precisa disciplina regolamentare, con la
conseguenza che, per costante orientamento
giurisprudenziale, i provvedimenti applicativi della stessa
non richiedono alcuna puntuale motivazione allorché le
scelte operate dalla pubblica amministrazione si conformino
ai criterî stessi di cui alle tabelle parametriche (Cons. St.,
sez. V, 09.02.2001, n. 584).
7.6. Per l’altrettanto consolidata giurisprudenza del
Consiglio di Stato, la natura paritetica dell’atto di
determinazione consente che la pubblica amministrazione
possa apportarvi modifiche, sia in favore del privato che in
senso contrario, purché ciò avvenga nei limiti della
prescrizione decennale del relativo diritto di credito (v.,
inter multas, Cons. St., sez. IV, 28.11.2012, n.
6033, Cons. St., sez. IV, 17.09.2010, n. 6950).
7.7. Si tratta, infatti, di una determinazione che obbedisce
a prescrizioni desumibili da tabelle, in ordine alla quale
l’amministrazione comunale si limita ad applicare dei
parametri, aventi per la stessa natura cogente, laddove è
esclusa qualsivoglia discrezionalità applicativa (Cons. St.,
sez. IV, 28.11.2012, n. 6033).
7.8. La giurisprudenza è consolidata, per parte sua,
nell’affermare, che la controversia in ordine alla spettanza
e alla liquidazione del contributo per gli oneri di
urbanizzazione, riservata alla giurisdizione esclusiva del
giudice amministrativo a norma dell’art. 16 della l. n. 10
del 1977 e, oggi, dell’art. 133, comma 1, lett. f), c.p.a.,
ha ad oggetto l’accertamento di un rapporto di credito a
prescindere dall’esistenza di atti della pubblica
amministrazione e non è soggetta alle regole delle azioni
impugnatorie-annullatorie degli atti amministrativi e ai
rispettivi termini di decadenza.
7.9. La natura non autoritativa dei relativi atti e
l’assenza di discrezionalità, nell’ambito di un rapporto
paritetico tra la pubblica amministrazione e il privato,
rendono perciò concettualmente inconfigurabile l’esercizio
dell’autotutela pubblicistica, quale potere di secondo grado
che viene incidere, secondo determinati presupposti e
limiti, su un primigenio episodio di esercizio del potere
autoritativo, che qui non sussiste ab origine (cfr.,
sul punto, Cons. St., sez. IV, 12.06.2017, n. 2821; Cons. St.,
sez. IV, 27.09.2017, n. 4515).
8. E del resto, anche in riferimento alla contigua
fattispecie del recupero delle somme indebitamente percepite
dal pubblico dipendente, la giurisprudenza di questo
Consiglio di Stato ha ritenuto non accettabile il richiamo
alla teoria, secondo la quale il recupero di una somma da
parte della pubblica amministrazione presupporrebbe
l’annullamento, in sede di autotutela, del provvedimento
recante la determinazione dell’emolumento in misura maggiore
di quella dovuta.
8.1. Invero, ove pure si prescinda dalla considerazione che
tale teoria si concreta, sovente, in una fictio iuris,
mancando del tutto un provvedimento siffatto, «quest’ultimo,
anche ove esistente, si risolve nella rideterminazione della
somma effettivamente spettante per legge (o per contratto),
in luogo di quella erroneamente corrisposta, onde, una volta
affermata la doverosità della sua adozione, esso non può che
partecipare della stessa natura paritetica dell’atto che va
a rimuovere, concretandosi in null’altro che in un diverso
accertamento dell’entità del debito retributivo della p.a. e
del correlato credito del dipendente» (Cons. St., sez.
VI, 20.04.2004, n. 2203).
9. L’Adunanza plenaria ritiene che, peraltro, al nuovo
indirizzo interpretativo, che sembrerebbe delinearsi nella
sentenza n. 5402 del 21.12.2016 della IV sezione di questo
Consiglio di Stato e nella stessa pronuncia n. 24 del 2016
di questa Adunanza, non possa attribuirsi il significato
sistematico, con tutte le conseguenti ricadute applicative
in termini di disciplina applicabile, che l’ordinanza di
rimessione loro annette.
9.1. Nella sentenza n. 5402 del 21.12.2016 della IV sezione
di questo Consiglio di Stato si fa riferimento, è vero,
all’istituto dell’autotutela pubblicistica per giustificare
ad abundantiam la correttezza della rideterminazione
del contributo relativo al costo di costruzione da parte del
Comune, ma si ribadisce, ancora una volta, il noto principio
(cfr., per tutti, Cons. St., sez. IV, 06.06.2016 n. 2394) «secondo
cui l’azione volta alla declaratoria di insussistenza o di
diversa entità del debito contributivo correlato al rilascio
del permesso di costruire può essere intentata senza onere
d’impugnazione o di esistenza dell’atto con il quale è
richiesto il pagamento (essendo un giudizio d’accertamento
di un rapporto obbligatorio pecuniario paritetico e
bilaterale) ed è proponibile nel termine prescrizionale
avanti a questo Giudice in sede di cognizione esclusiva ex
art. 133, co. 1, lett. f), c.p.a.».
9.2. Parimenti, nella sentenza n. 24 del 07.12.2016 di
questa Adunanza, si afferma, nel § 5.3, che il contributo di
costruzione, quale prestazione patrimoniale imposta
funzionale a remunerare l’esecuzione di opere pubbliche, si
colloca pacificamente «nell’alveo dei rapporti di diritto
pubblico», come sarebbe dimostrato dal fatto che il suo
mancato pagamento legittima l’amministrazione
all’applicazione di sanzioni pecuniarie crescenti in
rapporto all’entità del ritardo (art. 42 d.P.R. n. 380 del
2001) e, in caso di persistenza dell’inadempimento, alla
riscossione del contributo e delle sanzioni secondo le norme
vigenti in materia di riscossione coattiva delle entrate
(art. 43 d.P.R. del d.P.R. n. 380 del 2001).
9.3. Da queste considerazioni, tuttavia, non è possibile
trarre alcuna conclusione sul piano sistematico in ordine
alla natura pubblicistica del rapporto tra l’amministrazione
e il soggetto obbligato.
9.4. Il contributo di costruzione è e rimane, infatti, un
corrispettivo di diritto pubblico, proprio per il
fondamentale principio dell’onerosità del titolo edilizio
introdotto dall’art. 1 della l. n. 10 del 1977 –lo ricorda
la stessa Adunanza plenaria nel § 5.2 della sentenza n. 24
del 2016– e poi recepito dall’art. 16 del d.P.R. n. 380 del
2011, e come tale, benché esso non sia legato da un rigido
vincolo di sinallagmaticità rispetto del rilascio del
permesso di costruire, rientra anche, e coerentemente, nel
novero delle prestazioni patrimoniali imposte di cui
all’art. 23 Cost.
9.5. La costante giurisprudenza di questo Consiglio di Stato
ha sempre ribadito che il contributo per gli oneri di
urbanizzazione, per quanto non abbia natura tributaria,
costituisce, comunque, un corrispettivo di diritto pubblico
posto a carico del costruttore, connesso al rilascio della
concessione edilizia, a titolo di partecipazione del
concessionario ai costi delle opere di urbanizzazione in
proporzione all’insieme dei benefici che la nuova
costruzione ne ritrae, e che «per la determinazione di
esso deve essere fatto necessario ed esclusivo riferimento
alle norme di legge che regolano i relativi criteri di
conteggio, norme che vanno rigorosamente rispettate anche in
osservanza del principio di cui all’art. 23 della
Costituzione , secondo il quale nessuna prestazione
patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge»
(Cons. St., sez. V, 21.04.2006, n. 2228).
10. L’affermazione secondo cui il contributo di costruzione
costituisce una prestazione patrimoniale imposta e rientra a
tale titolo nell’ambito dei rapporti di diritto pubblico in
quanto necessariamente legata al rilascio del titolo
edilizio, tuttavia, non comporta ex se che i relativi
atti di determinazione abbiano necessariamente carattere
autoritativo, si colorino, per così dire, di imperatività e
siano espressione di potestà pubblicistica.
10.1. Il privato che intende ottenere il permesso di
costruire ha avanti a sé la scelta di corrispondere il
contributo di costruzione o di rinunciare al rilascio del
titolo.
10.2. Effettuata questa scelta, che comporta la necessaria
corresponsione del corrispettivo di diritto pubblico, il
pagamento di questo, esclusa pacificamente la sua natura
tributaria, non può che costituire l’oggetto di un ordinario
rapporto obbligatorio, disciplinato dalle norme di diritto
privato, come prescrive l’art. 1, comma 1-bis, della l. n.
241 del 1990, salvo che la legge disponga diversamente.
10.3. È vero che il credito dell’amministrazione, per la sua
particolare finalità, è assistito da particolari sanzioni e
da speciali procedure coattive di riscossione, come ha pure
ricordato questa stessa Adunanza plenaria nella sentenza n.
24 del 2016 richiamando le disposizioni di cui agli artt. 42
e 43 del d.P.R. n. 380 del 2001, ma ciò non contrasta con la
fondamentale natura del rapporto obbligatorio paritetico
inerente al pagamento del contributo e accessorio al
rilascio del permesso di costruire.
10.4. Anche la disciplina degli atti non autoritativi della
pubblica amministrazione può conoscere, infatti, previsioni
derogatorie rispetto alla ordinaria disciplina privatistica,
come prevede chiaramente l’art. 1, comma 1-bis, della l. n.
241 del 1990, senza che ciò comporti lo snaturamento del
rapporto paritetico che ne è alla base, la loro integrale
attrazione alla sfera pubblicistica o, nel caso di specie,
l’assimilazione ad una fattispecie paraimpositiva di stampo
tributario.
11. Deve quindi escludersi che a tali rapporti di natura
meramente obbligatoria e agli atti iure gestionis, di
carattere contabile e aventi finalità liquidatoria, adottati
dal Comune, si applichi la disciplina dell’autotutela di cui
all’art. 21-nonies della l. n. 241 del 1990 o, più in
generale, la disciplina dettata dalla stessa l. n. 241 del
1990 per gli atti provvedimentali espressivi di potestà
pubblicistica.
11.1. Il carattere paritetico del rapporto, va solo qui
aggiunto, non esclude la doverosità della rideterminazione
quante volte la pubblica amministrazione si accorga che
l’iniziale determinazione degli oneri di urbanizzazione sia
dipesa da un’inesatta applicazione delle tabelle o anche da
un semplice errore di calcolo.
11.1. Il Comune è pur sempre, infatti, titolare del
potere-dovere di richiedere il contributo di costruzione
secondo i parametri e nei limiti fissati dalla legge e dalle
disposizioni regolamentari integrative fissate dalle
Regioni, facendone una applicazione vincolata alla
predeterminazione di coefficienti, che il privato deve
conoscere e ben può verificare.
12. Discende da quanto detto che gli atti con i quali la
pubblica amministrazione determina e liquida il contributo
di costruzione, previsto dall’art. 16 del d.P.R. n. 380 del
2001, non hanno natura autoritativa, non essendo espressione
di una potestà pubblicistica, ma costituiscono l’esercizio
di una facoltà connessa alla pretesa creditoria riconosciuta
dalla legge al Comune per il rilascio del permesso di
costruire, stante la sua onerosità, nell’ambito di un
rapporto obbligatorio a carattere paritetico e soggetta, in
quanto tale, al termine di prescrizione decennale, sicché ad
essi non possono applicarsi la disciplina dell’autotutela
dettata dall’art. 21-nonies della l. n. 241 del 1990 né, più
in generale, le disposizioni previste dalla stessa legge per
gli atti provvedimentali manifestazioni di imperio.
12.1. Si è cioè al cospetto di un rapporto obbligatorio, di
contenuto essenzialmente pecuniario (salva l’ipotesi di
opere a scomputo di cui all’art. 16, comma 1, del d.P.R. n.
380 del 2001), al quale si applicano le disposizioni di
diritto privato, salve le specifiche disposizioni previste
dalla legge (come, ad esempio, i già citati artt. 42 e 43
del d.P.R. n. 380 del 2001) per la peculiare finalità del
credito vantato dall’amministrazione comunale in ordine al
pagamento del contributo (oneri di urbanizzazione e costo di
costruzione).
13. Quanto al secondo quesito, posto dall’ordinanza
di rimessione n. 175 del 27.03.2018, la qui riaffermata
natura non autoritativa degli atti con i quali l’autorità
comunale provvede alla determinazione degli oneri, atti non
riconducibili –come detto– all’espressione di una potestà
pubblicistica, comporta che nell’ordinario termine decennale
di prescrizione, decorrente dal rilascio del titolo
edilizio, essa sia sempre possibile, e anzi doverosa, da
parte della pubblica amministrazione, nell’esercizio delle
facoltà connesse alla propria posizione creditoria, la
rideterminazione del contributo, quante volte la pubblica
amministrazione si accorga che l’originaria liquidazione di
questo sia dipesa dall’applicazione inesatta o incoerente di
parametri e coefficienti determinativi, vigenti al momento
in cui il titolo fu rilasciato, o da un semplice errore di
calcolo, con l’ovvia esclusione della possibilità di
applicare retroattivamente coefficienti successivamente
introdotti, non vigenti al momento in cui il titolo fu
rilasciato.
14. L’ordinanza di rimessione pone, infine, un terzo
quesito e intende conoscere se in alternativa, e a
prescindere dall’inquadramento giuridico della fattispecie,
secondo le categorie sopra richiamate, e quale che sia la
categoria giuridica da riconnettere al provvedimento
determinativo degli oneri concessori, se vi sia spazio, e in
quali limiti, perché possa trovare applicazione nella
fattispecie in esame il principio del legittimo affidamento
del privato, da ricostruire vuoi sulla base della disciplina
pubblicistica dell’autotutela, vuoi su quella privatistica
della lealtà e della buona fede nell’esecuzione delle
prestazioni contrattuali, ovvero sulla base dei principî
desumibili dai limiti posti dall’ordinamento civile per
l’annullamento del contratto per errore o per altra causa.
14.1. Al quesito deve rispondersi anzitutto, in conformità
con quanto prevede in via generale il già richiamato art. 1,
comma 1-bis, della l. n. 241 del 1990, inserito dall’art. 1,
comma 1, lett. b), della l. n. 15 del 2005, il quale
stabilisce che la pubblica amministrazione, nell’adozione di
atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di
diritto privato, salvo che la legge disponga diversamente.
14.2. E tuttavia il quesito, di fronte ad un evidente
contrasto interpretativo sussistente tra il Consiglio di
giustizia amministrativa per la Regione Siciliana, con le
pronunce del 2007, e al giurisprudenza di questo Consiglio
di Stato, mira specificamente a comprendere, e ad enucleare,
le regole che siano o meno applicabili al rapporto
obbligatorio di cui si discute.
14.3. Ritiene questa Adunanza plenaria che la disciplina
dell’errore riconoscibile, di cui all’art. 1431 c.c., non
sia applicabile all’atto con il quale la pubblica
amministrazione ridetermini l’importo del contributo.
14.4. Il contrario indirizzo seguito dal Consiglio di
giustizia amministrativa per la Regione Siciliana riposa
sull’assunto secondo il quale, applicandosi la disciplina
dell’art. 1431 c.c., sarebbe lecito dubitare che ricorra la
riconoscibilità dell’errore considerando che la
determinazione del contenuto dell’obbligazione incombe alla
pubblica amministrazione e, in particolare, all’ente
territoriale, che istituzionalmente provvede alla disciplina
dei criterî generali e all’applicazione di questi ai singoli
casi.
14.5. In questa situazione, salvi errori macroscopici di
evidenza ictu oculi, sarebbe «difficile ipotizzare
che l’eventuale errore dell’Amministrazione sia
riconoscibile dal privato che, del tutto naturalmente, viene
indotto a prestare affidamento alla correttezza dell’autoliquidazione
del proprio credito da parte dell’Amministrazione creditrice»
(così, ad esempio, Cons. Giust. Amm. Reg. Sic., 07.09.2007,
n. 790).
14.6. Un simile ragionamento, tuttavia, tralascia di
considerare che l’applicazione delle tabelle parametriche da
parte dell’amministrazione comunale, per quanto complessa,
costituisce comunque una operazione contabile che, essendo
al privato ben note dette tabelle, questi può verificare
nella sua esattezza, anzitutto con l’ausilio del progettista
che l’assiste nella presentazione della propria istanza, con
un ordinario sforzo di diligenza, richiedibile secondo il
canone della buona fede al debitore già solo, e anzitutto,
nel suo stesso interesse, per evitare che gli venga
richiesto meno o più del dovuto.
14.7. La complessità delle operazioni di calcolo o
l’eventuale incertezza nell’applicazione di alcune tabelle o
coefficienti determinativi, dovuti a ragioni di ordine
tecnico, non sono eventi estranei o ignoti alla sfera del
debitore, che invece con l’ordinaria diligenza, richiesta
dagli artt. 1175 e 1375 c.c., può e deve controllarne
l’esattezza sin dal primo atto di loro determinazione.
14.8. Certamente, e a sua volta, il Comune ha l’obbligo di
adoperarsi affinché la liquidazione del contributo di
costruzione venga eseguita nel modo più corretto, sollecito,
scrupoloso e preciso, sin dal principio, ma la
collaborazione tra l’autorità comunale e il privato
richiedente, in una visione del diritto amministrativo
improntata al principio di buon andamento e alla legalità
sostanziale, è imprescindibile in questa materia, già solo
sul piano dell’interlocuzione procedimentale, e non può
certo affermarsi, proprio per questo, una incomunicabilità o
inconoscibilità tra la sfera dell’una e quella dell’altro
che porti all’applicazione dell’art. 1431 c.c., quasi che
l’iniziale errore nell’applicazione delle tabelle o dei
coefficienti, da parte dell’autorità comunale, sia un fatto
“del tutto naturalmente” incomprensibile o
imponderabile dal privato perché puramente interno alla
sfera dell’amministrazione creditrice.
14.9. La tutela del legittimo affidamento e il principio
della buona fede (art. 1175 e 1375 c.c.), che in via
generale devono essere osservati anche dalla pubblica
amministrazione nell’attuazione del rapporto obbligatorio
(v., sul punto, Cass., sez. L, 07.04.1992, n. 4226), possono
trovare applicazione ad una fattispecie come quella in esame
nella quale, ordinariamente, l’oggettività dei parametri da
applicare al contributo di costruzione rende vincolato il
conteggio da parte della pubblica amministrazione,
consentendone a priori la conoscibilità e la verificabilità
da parte dell’interessato con l’ordinaria diligenza, solo
nella eccezionale ipotesi in cui tali conoscibilità e
verificabilità non siano possibili con il normale sforzo
richiesto al debitore, secondo appunto buona fede,
nell’ottica di una leale collaborazione finalizzata
all’attuazione del rapporto obbligatorio e al
soddisfacimento dell’interesse creditorio.
15. In conclusione,
e riassumendo quindi i principî di diritto sin qui
diffusamente enunciati, si può quindi
affermare che:
a) gli atti con i quali la pubblica
amministrazione determina e liquida il contributo di
costruzione, previsto dall’art. 16 del d.P.R. n. 380 del
2001, non hanno natura autoritativa, non essendo espressione
di una potestà pubblicistica, ma costituiscono l’esercizio
di una facoltà connessa alla pretesa creditoria riconosciuta
dalla legge al Comune per il rilascio del permesso di
costruire, stante la sua onerosità, nell’ambito di un
rapporto obbligatorio a carattere paritetico e soggetta, in
quanto tale, al termine di prescrizione decennale, sicché ad
essi non possono applicarsi né la disciplina dell’autotutela
dettata dall’art. 21-nonies della l. n. 241 del 1990 né, più
in generale, le disposizioni previste dalla stessa legge per
gli atti provvedimentali manifestazioni di imperio;
b) la pubblica amministrazione, nel corso di tale
rapporto, può pertanto sempre rideterminare, sia a favore
che a sfavore del privato, l’importo di tale contributo, in
principio erroneamente liquidato, richiedendone o
rimborsandone a questi la differenza nell’ordinario termine
di prescrizione decennale (art. 2946 c.c.) decorrente dal
rilascio del titolo edilizio, senza incorrere in alcuna
decadenza, mentre per parte sua il privato non è tenuto ad
impugnare gli atti determinativi del contributo nel termine
di decadenza, potendo ricorrere al giudice amministrativo,
munito di giurisdizione esclusiva ai sensi dell’art. 133,
comma 1, lett. f), c.p.a., nel medesimo termine di dieci
anni, anche con un’azione di mero accertamento;
c) l’amministrazione comunale, nel richiedere i
detti importi con atti non aventi natura autoritativa,
agisce quindi secondo le norme di diritto privato, ai sensi
dell’art. 1, comma 1-bis, della l. n. 241 del 1990, ma si
deve escludere l’applicabilità dell’art. 1431 c.c. a questa
fattispecie, in quanto l’errore nella liquidazione del
contributo, compiuto dalla pubblica amministrazione, non
attiene ad elementi estranei o ignoti alla sfera del
debitore ed è quindi per lui in linea di principio
riconoscibile, in quanto o riguarda l’applicazione delle
tabelle parametriche, che al privato sono o devono essere
ben note, o è determinato da un mero errore di calcolo, ben
percepibile dal privato, errore che dà luogo alla semplice
rettifica;
d) la tutela dell’affidamento e il principio della
buona fede, che in via generale devono essere osservati
anche dalla pubblica amministrazione dell’attuazione del
rapporto obbligatorio, possono trovare applicazione ad una
fattispecie come quella in esame nella quale,
ordinariamente, la predeterminazione e l’oggettività dei
parametri da applicare al contributo di costruzione, di cui
all’art. 16 del d.P.R. n. 380 del 2001, rendono vincolato il
conteggio da parte della pubblica amministrazione,
consentendone a priori la conoscibilità e la verificabilità
da parte dell’interessato con l’ordinaria diligenza, solo
nella eccezionale ipotesi in cui tali conoscibilità e
verificabilità non siano possibili con l’ordinaria diligenza
richiesta al debitore, secondo buona fede (artt. 1175 e 1375
c.c.), nell’ottica di una leale collaborazione volta
all’attuazione del rapporto obbligatorio e al
soddisfacimento dell’interesse creditorio vantato dal
Comune. |
giugno 2018 |
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EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: Scomputo
del costo di costruzione.
Le previsioni di cui
all’articolo 16 del D.P.R. 380/2001 e
dell’articolo 45 della L.R. Lombardia n.
12/2015, che ammettono la possibilità di
scomputare totalmente o parzialmente il
contributo relativo agli oneri di
urbanizzazione, non possono interpretarsi
come volte a precludere in termini assoluti
la possibilità di scomputo dei costi di
costruzione, se prevista in via
convenzionale
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 18.06.2018 n. 1525 -
commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
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MASSIMA
1. Preliminarmente occorre esaminare
l’eccezione di inammissibilità formulata dal
Comune resistente secondo il quale il
ricorso dovrebbe considerarsi tardivo perché
notificato oltre il termine decadenziale
previsto per l’azione di annullamento.
1.1. A sostegno dell’eccezione il Comune
osserva che l’atto impugnato richiede il
pagamento di una somma a titolo di
monetizzazione dello standard urbanistico e,
come tale, impone l’impugnazione entro il
termine di sessanta giorni previsto –in
generale– dal codice del processo
amministrativo.
1.2. L’eccezione è priva di fondamento per
le considerazioni che si procede ad esporre.
1.3. Il Comune di Milano richiama, a
sostegno dell’eccezione la decisione del
Consiglio di Stato, sez. IV, 28.12.2012, n. 6706. Osserva il Giudice d’Appello
che, “se da un lato è pressoché irrilevante,
ai fini in esame, la qualificazione della monetizzazione come imposizione di tipo
tributario o come corrispettivo di diritto
pubblico, dall’altro lato assume, invece,
significativo rilievo la considerazione che
la prestazione patrimoniale richiesta non
vive in alcun modo della natura e delle
finalità proprie del contributo concessorio
costituito dagli oneri di urbanizzazione e
dal costo di costruzione che accompagna
naturaliter l’autorizzazione a costruire, la
cui debenza o meno, quanto al relativo
accertamento, può essere fatta valere, in
linea generale, nei termini prescrizionali”.
1.3.1. Infatti, prosegue il Consiglio di
Stato, “mentre il pagamento degli oneri di
urbanizzazione si risolve in un contributo
per la realizzazione delle opere stesse,
senza che insorga un vincolo di scopo in
relazione alla zona in cui è inserita l’area
interessata all’imminente trasformazione
edilizia, la monetizzazione sostitutiva
della cessione degli standard afferisce al
reperimento delle aree necessarie alla
realizzazione delle opere di urbanizzazione
secondaria all’interno della specifica zona
di intervento; e ciò vale ad evidenziare la
diversità ontologica della monetizzazione
rispetto al contributo di concessione, di
talché, sotto il versante processuale, non
si può utilizzare lo strumento dell’azione
di accertamento ammesso per contestare la
legittimità del contributo […] o comunque la
insussistenza di tale obbligazione
pecuniaria ancorché già assolta”.
1.3.2. Conclude il Consiglio di Stato
notando che la monetizzazione non
costituisce una duplicazione del contributo
concessorio, venendo in rilievo un obbligo
diverso ed aggiuntivo e che “la prestazione
patrimoniale derivante dalla
“monetizzazione” accede intimamente alla
rilasciata concessione edilizia”, con la
conseguenza che “la pretesa di non
soggiacere a tale obbligo di pagamento deve
essere necessariamente fatta valere in sede
di contestazione della legittimità degli
atti e provvedimenti di imposizione, con
l’impugnazione (quanto meno) della
concessione, in parte qua, nel termine decadenziale previsto dal codice del
processo amministrativo”.
1.4. La decisione richiamata dal Comune e
riportata nel precedente punto non risulta,
tuttavia, sovrapponibile al caso di specie.
1.4.1. Nel caso esaminato dal Consiglio di
Stato la società propone azione di
accertamento “dell’inesistenza dell’obbligo
di pagamento della cd. “monetizzazione”
delle aree per urbanizzazioni secondarie
riconnesse al rilascio delle concessioni
edilizie n. 19/99-662 e n. 127/2001,
quantificato dal Comune di Putignano in
€ 10.039,92 ai sensi dell’art. 52 delle NTA
del PRG comunale, in aggiunta al contributo
di costruzione di cui all’art. 16 del TU
edilizia”, omettendo l’impugnazione dei
titoli.
1.4.2. Nel caso sottoposto all’attenzione
del Collegio il giudizio verte, al
contrario, sulla corretta interpretazione
delle disposizioni contenute nella
Convenzione integrativa del permesso e, in
particolare, sulle modalità attraverso le
quali attuare la prestazione relativa al
costo di costruzione per il primo intervento
realizzato.
Inoltre, diversamente da quanto
verificatosi nella fattispecie definita dal
Consiglio di Stato, la società non avanza
alcuna contestazione che sia mediatamente o
immediatamente incidente sul titolo edilizio
che, al contrario, è, come si vedrà, uno
degli elementi posti a fondamento
dell’interpretazione della convenzione
integrativa fornita dalla società
ricorrente.
1.4.3. In una fattispecie come quella in
esame trova, pertanto, applicazione il
consolidato insegnamento giurisprudenziale a
mente del quale “le controversie in tema di
oneri di urbanizzazione e di costo di
costruzione sono devolute alla giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo” (cfr.
Cons. di Stato, Sez. V, 09.02.2001 n.
584, e Sez. IV, 19.07.2004 n. 5197);
tali controversie introducono, infatti, “un
giudizio su un rapporto, sicché le questioni
concernenti l'esistenza e l'entità del
debito, involgendo posizioni di diritto
soggettivo, sono sottratte agli ordinari
termini decadenziali del giudizio
impugnatorio, pur in presenza di atti
amministrativi da definire pertanto come
paritetici, presentandosi come un giudizio
di accertamento di un rapporto obbligatorio,
attivabile nell’ordinario termine di
prescrizione” (cfr. Cons. Stato, V Sezione,
14.10.2014 n. 5072; C.G.A. n. 462 e n.
466 del 27.05.2008; Tar per la Campania
– sede di Napoli, sez. VI, 08.09.2017,
n. 4322).
2. Passando al merito del ricorso si osserva
che i primi due motivi formulati dalla
società possono trattarsi congiuntamente in
quanto fondati su questione logicamente e
giuridicamente comune, consistente sulla
interpretazione delle previsioni della
Convenzione integrativa al permesso di
costruire n. 85/2006 per la disciplina
dell’esecuzione di opera a scomputo e per la
cessione di strada e, in particolare, sulle
possibilità di scomputo degli importi dovuti
a titolo di costo di costruzione per il
primo degli interventi realizzati dalla
società.
2.1. La disamina della questione indicata al
punto che precede impone di affrontare, in
primo luogo, la deduzione svolta dal Comune
resistente secondo cui la pretesa della
Al. s.p.a. risulterebbe in constato con
la previsione di cui all’articolo 16 del
D.P.R. 380/2001 e dell’articolo 45 della
L.R. Lombardia n. 12/2015.
Replica la
ricorrente osservando che: a) si tratta di
argomentazione esposta per la prima volta in
sede giudiziaria (evocando, in tal modo, il
divieto di integrazione postuma della
motivazione); b) la giurisprudenza
amministrativa ammette forme alternative di
pagamento e/o compensazione con opere
urbanistiche anche in relazione ai costi di
costruzione.
2.2. La tesi del Comune non può essere
condivisa.
2.2.1. La disposizione contenuta all’interno
dell’articolo 16, comma 2, del D.P.R.
380/2001 prevede testualmente: “la quota di
contributo relativa agli oneri di
urbanizzazione è corrisposta al comune
all'atto del rilascio del permesso di
costruire e, su richiesta dell'interessato,
può essere rateizzata. A scomputo totale o
parziale della quota dovuta, il titolare del
permesso può obbligarsi a realizzare
direttamente le opere di urbanizzazione, nel
rispetto dell'articolo 2, comma 5, della
legge 11.02.1994, n. 109, e successive
modificazioni, con le modalità e le garanzie
stabilite dal comune, con conseguente
acquisizione delle opere realizzate al
patrimonio indisponibile del comune”.
2.2.2. In coerenza con il precetto dettato
dalla legislazione statale, la previsione
dell’articolo 45 della L.R. 12/2005 dispone:
“1. A scomputo totale o parziale del
contributo relativo agli oneri di
urbanizzazione, gli interessati possono
essere autorizzati a realizzare direttamente
una o più opere di urbanizzazione primaria o
secondaria, nel rispetto dell'articolo 2,
comma 5, della legge 11.02.1994, n.
109 (Legge quadro in materia di lavori
pubblici). I comuni determinano le modalità
di presentazione dei progetti di valutazione
della loro congruità tecnico-economica e di
prestazione di idonee garanzie finanziarie,
nonché le sanzioni conseguenti in caso di in
ottemperanza. Le opere, collaudate a cura
del comune, sono acquisite alla proprietà
comunale. 2. Non possono essere oggetto di
scomputo le opere espressamente riservate,
nel programma triennale delle opere
pubbliche, alla realizzazione diretta da
parte del comune”.
2.2.3. Le due previsioni riprodotte
ammettono, pertanto, la possibilità di
scomputare totalmente o parzialmente il
contributo relativo agli oneri di
urbanizzazione. Tale previsione non pare,
tuttavia, potersi interpretare come volta a
precludere in termini assoluti la
possibilità di scomputo dei costi di
costruzione, se prevista in via
convenzionale.
2.2.4. Deve, infatti, considerarsi che:
- il contributo afferente al permesso di costruire, commisurato
all'incidenza degli oneri di urbanizzazione
nonché al costo di costruzione, è
determinato e liquidato all'atto del
rilascio del titolo edilizio (cfr. Consiglio
di Stato, sez. IV, 19.03.2015, n. 1504);
- tale contributo è un corrispettivo di diritto pubblico, di natura
non tributaria, posto a carico del
concessionario a titolo di partecipazione ai
costi delle opere di urbanizzazione e in
proporzione all'insieme dei benefici che le
nuove costruzioni inducono nel contesto
urbano, senza alcun vincolo di scopo in
relazione alla zona interessata dalla
trasformazione urbanistica e
indipendentemente dalla concreta utilità che
il concessionario può conseguire dal titolo
edificatorio e dall'ammontare delle spese
effettivamente occorrenti per la
realizzazione delle opere stesse (cfr.
Consiglio di Stato, sez. IV, 29.10.2015, n. 4950; TAR Lombardia-Brescia,
02.03.2012, n. 355; TAR Piemonte, 26.11.2003 n. 1675);
- il contributo di urbanizzazione è, invece, commisurato al costo
delle opere di urbanizzazione da realizzarsi
concretamente nella zona, e differisce dal
contributo da pagare all'atto del rilascio
della concessione di costruzione, che ha
natura contributiva, rappresentando un
corrispettivo delle spese poste a carico
della collettività per il conferimento al
privato del diritto all'edificazione e dei
vantaggi che il concessionario ottiene per
effetto della trasformazione del territorio;
- si tratta, quindi, di istituti diversi, da cui deriva, quale
naturale conseguenza, la determinazione di
oneri altrettanto diversi, l'uno relativo al
costo sostenuto per rendere urbanizzata ed
edificabile la singola area, l'altro
relativo al contributo, di carattere
tributario, preordinato alla realizzazione
del generale assetto urbanistico del
territorio (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV,
15.09.2014, n. 4685);
- la diversità tra i due istituti spiega la ragione per la quale il
legislatore prevede il solo scomputo degli
oneri di urbanizzazione nell’ipotesi in cui
il titolare del permesso di costruire si
obblighi alla realizzazione diretta di tali
opere; in tal caso, infatti, la prestazione
patrimoniale è sostituita dall’esecuzione
delle opere che il pagamento risulta
strumentale a finanziare;
- in altri termini, la previsione dell’articolo 16, comma 2,
contempla i soli oneri di urbanizzazione in
quanto solo questi sono immediatamente
irrelati alle opere di urbanizzazione e,
come tali, sostituibili nel caso di diretta
realizzazione delle stesse;
- ricostruita la ratio della disposizione di cui all’articolo 16,
comma 2, può escludersi che lo stesso funga
da perimetro applicativo dell’istituto dello
scomputo nel diverso caso dei costi di
costruzione che, come spiegato, hanno
diversa natura giuridica;
- la soluzione della questione non può quindi rinvenirsi
all’interno dell’articolo 16, comma 2, ma
necessita, al contrario, di un
approfondimento da condurre alla luce dei
principi regolatori della materia;
- a tal fine, deve, in primo luogo, evidenziarsi che il meccanismo
dello scomputo non elide la doverosità della
prestazione imposta e il carattere
indisponibile della stessa atteso che lo
scomputo agisce più propriamente nella fase
solutoria dell’obbligazione, postulando e
non denegando la prestazione dovuta;
- in altri termini, se la natura tributaria esclude la
disponibilità dell’an e del quantum debeatur,
non elimina, tuttavia, la possibilità di
sostituire il versamento con forme
alternative di pagamento e/o compensazione
con opere urbanistiche stabilite dalle parti
e, in particolare, dall’Ente comunale;
- il carattere indisponibile dell’obbligazione tributaria non si
traduce quindi nella imposizione di una sola
forma solutoria dei costi di costruzione
che, fermo il quantum e la doverosità della
prestazione, non ha alcuna tipizzazione
monetaria inderogabile;
- deve, pertanto, escludersi che l’articolo 16, comma 2, del D.P.R.
380/2001 possa decretare la nullità assoluta
della clausola compensativa convenzionale e
imporre una sostituzione automatica della
stessa con la regola del versamento
pecuniario, che, nel caso di specie, sarebbe
aggiuntivo ed implicherebbe il pagamento, da
parte del Comune, delle opere ulteriori
realizzate dalla società ricorrente (cfr.
TAR per l’Abruzzo – sede di Pescara, 18.10.2010, n. 1142);
- inoltre, deve, altresì, escludersi che la natura tributaria
dell’obbligazione possa, nella fattispecie
in esame, non ammettere un accordo tra le
parti inerente, come spiegato, la sola forma
solutoria dell’adempimento e, come tale,
inidoneo a ledere il principio di
indisponibilità che governa la materia.
3. Esclusa, pertanto, la sussistenza di un
divieto legale all’inserzione di una
clausola di scomputo dei costi di
costruzione, può procedersi a verificare la
concreta disciplina dettata dal rapporto
all’esame del Collegio.
3.1. Simile verifica deve essere preceduta
da una notazione di carattere generale sulla
natura giuridica dell’accordo in esame,
necessaria per la corretta interpretazione
della convenzione.
3.1. Secondo un consolidato orientamento
giurisprudenziale, le convenzioni
urbanistiche –come quella in esame-
rientrano infatti nel novero degli accordi
tra privati e amministrazione, ai sensi
dell’articolo 11 della legge n. 241 del 1990
(ex multis: Cass. civ., Sez. I, 28.01.2015, n. 1615; Cass., SS.UU.,
09.03.2012,
n. 3689; nella giurisprudenza di questa
sezione, cfr. TAR per la Lombardia – sede
di Milano, sez. II, 26.07.2016, n.
1507).
3.2. Tale qualificazione impone che
l’interpretazione della convenzione avvenga
utilizzando i criteri ermeneutici di cui
agli articoli 1362 e seguenti del codice
civile, visto l’esplicito richiamo di cui al
comma 2 dell’art. 11 medesimo e come del
resto confermato dalla giurisprudenza, sia
di questo Tribunale (cfr., ex multis, Tar
per la Lombardia – sede di Milano, sez. II,
05.05.2015, n. 1103, con la
giurisprudenza richiamata e sez. II, 11.05.2015, n. 1137),
sia del Consiglio di
Stato (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 17.12.2014, n. 6164).
3.3. L’operazione ermeneutica deve
necessariamente prendere le mosse dalla
fondamentale disposizione contenuta
all’interno dell’articolo 1362 c.c. a mente
della quale: “1. Nell'interpretare il
contratto si deve indagare quale sia stata
la comune intenzione delle parti e non
limitarsi al senso letterale delle parole.
2. Per determinare la comune intenzione
delle parti, si deve valutare il loro
comportamento complessivo anche posteriore
alla conclusione del contratto”.
3.4. Sul punto, la giurisprudenza della
Corte di Cassazione chiarisce che:
- “ai fini della ricerca della comune intenzione dei contraenti
il primo e principale strumento è
rappresentato dal senso letterale delle
parole e delle espressioni utilizzate”
(cfr., da ultimo, Cassazione civile, sez.
III, 19.03.2018, n. 6675);
- “il rilievo da assegnare alla formulazione letterale va invero
verificato alla luce dell'intero contesto
contrattuale, le singole clausole dovendo
essere considerate in correlazione tra loro
procedendosi al relativo coordinamento ai
sensi dell'art. 1363 c.c., giacché per senso
letterale delle parole va intesa tutta la
formulazione letterale della dichiarazione
negoziale, in ogni sua parte ed in ogni
parola che la compone, e non già in una
parte soltanto, quale una singola clausola
di un contratto composto di più clausole,
dovendo il giudice collegare e raffrontare
tra loro frasi e parole al fine di chiarirne
il significato” (Cfr. Cassazione civile,
sez. III, 16.01.2007, n. 828; Cassazione
civile, sez. I, 22.12.2005, n. 28479).
3.5. Inoltre, la Corte di Cassazione
sottolinea che: “pur assumendo l'elemento
letterale funzione fondamentale nella
ricerca della reale o effettiva volontà
delle parti, il giudice deve invero a tal
fine necessariamente riguardarlo alla
stregua degli ulteriori criteri di
interpretazione, e in particolare di quelli
(quali primari criteri d'interpretazione
soggettiva, e non già oggettiva, del
contratto: v. Cass., 23/10/2014, n. 22513;
Cass., 27/06/2011, n. 14079; Cass.,
23/05/2011, n. 11295; Cass., 19/05/2011, n.
10998; con riferimento agli atti unilaterali
v. Cass., 06/05/2015, n. 9006)
dell'interpretazione funzionale ex art. 1369
c.c. e dell'interpretazione secondo buona
fede o correttezza ex art. 1366 c.c., avendo
riguardo allo scopo pratico perseguito dalle
parti con la stipulazione del contratto e
quindi alla relativa causa concreta (cfr.
Cass., 23/05/2011, n. 11295).
Il primo di tali criteri (art. 1369 c.c.)
consente di accertare il significato
dell'accordo in coerenza appunto con la
relativa ragione pratica o causa concreta.
L'obbligo di buona fede oggettiva o
correttezza ex art. 1366 c.c. quale criterio
d'interpretazione del contratto (fondato
sull'esigenza definita in dottrina di
"solidarietà contrattuale") si specifica in
particolare nel significato di lealtà,
sostanziantesi nel non suscitare falsi
affidamenti e non speculare su di essi, come
pure nel non contestare ragionevoli
affidamenti comunque ingenerati nella
controparte (v. Cass., 06/05/2015, n. 9006;
Cass., 23/10/2014, n. 22513; Cass.,
25/05/2007, n. 12235; Cass., 20/05/2004, n.
9628).
A tale stregua esso non consente di dare
ingresso ad interpretazioni cavillose delle
espressioni letterali contenute nelle
clausole contrattuali, non rispondenti alle
intese raggiunte (v. Cass., 23/05/2011, n.
11295) e deponenti per un significato in
contrasto con la ragione pratica o causa
concreta dell'accordo negoziale (cfr., con
riferimento alla causa concreta del
contratto autonomo di garanzia, Cass., Sez.
Un., 18/02/2010, n. 3947).
Assume dunque fondamentale rilievo che il
contratto venga interpretato avuto riguardo
alla sua ratio, alla sua ragione pratica, in
coerenza con gli interessi che le parti
hanno specificamente inteso tutelare
mediante la stipulazione contrattuale (v. Cass., 22/11/2016, n. 23701),
con
convenzionale determinazione della regola
volta a disciplinare il rapporto
contrattuale (art. 1372 c.c.)” (cfr., da
ultimo, Cassazione civile, sez. III,
19.03.2018, n. 6675).
3.6. Nel declinare le coordinate sopra
tracciate al caso di specie, l’indagine deve
prendere le mosse dal testo della
convenzione il cui articolo 1 prevede: “1)
Il Comune, come sopra rappresentato,
autorizza la Società “Al. S.p.A.” a
realizzare –a scomputo degli importi dovuti
per la costruzione della predetta multisala
a titolo monetizzazione conguaglio standard
(€ 512.991,07…), oneri di urbanizzazione (€
539.670,89 …), quali indicati nelle premesse
che precedono, e per un totale pari ad €
1.052.661,96 (…)– l’opera viabilistica
costituita dal ripristino provvisorio del
sottopasso carrabile di collegamento fra
Largo Boccioni e Via Stephenson, e
parcheggi. Il tutto, come da elaborato
progettuale allegato sub “G” e relativo
computo metrico estimativo verificato dai
competenti Uffici comunali pari ad €
2.326.932,78 …, allegato sub “H”, in
riepilogo. L’intervento verrà assentito con
il predetto permesso di costruire in fase di
rilascio per la realizzazione dell’edificio
multisala, e verrà eseguito secondo le
modalità indicate negli articoli che seguono”.
3.7. In relazione alla clausola in esame, il
Comune resistente sottolinea che:
- lo scomputo è espressamente riferito agli importi dovuti a titolo
di monetizzazione conguaglio standards e di
oneri di urbanizzazione e non menziona il
costo di costruzione;
- la circostanza che l’importo indicato a titolo di oneri di
urbanizzazione, pari a € 539.670,89,
comprenda anche la quota del costo di
costruzione, non è sufficiente a desumere la
volontà delle parti di ammettere lo scomputo
anche del costo di costruzione.
3.8. La tesi del Comune non pare convincente
in quanto fondata su una lettura atomistica
della sola parte della clausola che esclude
lo scomputo dei costi di costruzione, senza,
tuttavia, considerare la diversa indicazione
numerica che non può ridursi ad un mero
errore trattandosi esattamente della somma
risultante dalla sommatoria degli oneri di
urbanizzazione e del costo di costruzione.
3.9. In presenza di una clausola
contrattuale contenenti indicazioni non
univoche, occorre verificare –ai fini di
ricavare l’esatta intenzione delle parti–
se la componente erronea dello stessa
risieda nella indicazione dei soli oneri di
urbanizzazione o, al contrario e come
pretende il Comune, nell’importo complessivo
indicato.
3.10. Nel compiere tale operazione deve
tenersi conto dell’insegnamento della
Suprema Corte secondo cui: “in tema di
interpretazione del contratto, ai fini della
ricerca della comune intenzione dei
contraenti il principale strumento è
rappresentato dal senso letterale delle
parole e delle espressioni utilizzate nel
contratto, il cui rilievo deve essere
verificato alla luce dell'intero contesto
contrattuale, sicché le singole clausole
vanno considerate in correlazione tra loro,
dovendo procedersi al loro coordinamento a
norma dell'art. 1363 c.c., e dovendosi
intendere per "senso letterale delle parole"
tutta la formulazione letterale della
dichiarazione negoziale, in ogni sua parte
ed in ogni parola che la compone, e non già
in una parte soltanto, quale una singola
clausola di un contratto composto di più
clausole, dovendo il giudice collegare e
raffrontare tra loro frasi e parole al fine
di chiarirne il significato" (Cass. nn.
14460/2011; 4670/2009, 18180/2007, 4176/2007 e
28479/2005).
Di qui l'erroneità dell'esegesi
fissata esclusivamente su di una singola
parola o frase, astratta dal resto della
stessa o di altre clausole del contratto,
cui pure deve applicarsi il medesimo canone
interpretativo (Cassazione civile, sez. VI,
03.05.2018, n. 10478).
3.11. Incentrando la disamina sull’intero
contenuto della Convenzione, si osserva che
l’importo complessivo di € 539.670,89
(comprensivo, come detto, dei costi di
costruzioni) risulta riprodotto –come
dedotto dalla società ricorrente– sia nelle
premesse della Convenzione stessa che nelle
previsioni contenute negli articoli 2 e 4,
laddove viene indicato l’importo complessivo
scomputabile salvo conguagli. Invero, anche
in tali passaggi la convenzione indica un
importo che include gli oneri di costruzioni
pur senza farne espresso riferimento.
Tale
circostanza non risulta, tuttavia, decisiva
per escludere lo scomputo degli oneri di
costruzioni. Infatti, ove si accedesse ad
una simile interpretazione si terminerebbe
per disattendere il criterio dettato
dall’articolo 1369 c.c. che, come spiegato
in precedenza, impone di aver riguardo allo
scopo pratico perseguito dalle parti con la
stipulazione del contratto, riducendo tale
indicazione ad un mero lapsus calami:
situazione difficilmente ipotizzabile ove si
consideri la rilevanza dell’importo
economico in esame che, come tale, non pare
potersi ritenere alieno dal concerto
negoziale.
Su quest’ultimo aspetto deve,
inoltre, osservarsi che la tesi comunale si
fonda su un dato meramente letterale senza,
tuttavia, giustificare l’eliminazione di
tale voce dallo scomputo in ragione di un
minor valore delle opere che, del resto, non
rinviene alcuna evidenza nella
documentazione versata in atti. Al
contrario, risulta un maggior costo
dell’opera, rimasto a carico della società
ricorrente ai sensi dell’articolo 2 della
convenzione.
L’interpretazione suggerita dal
Comune finirebbe, quindi, per far gravare
sulla società un ulteriore maggior costo: la
ritenuta prevalenza del nomen iuris
sul dato numerico riportato nella
convenzione si tradurrebbe, quindi,
nell’evidente alterazione dell’equilibrio
delle posizioni della parti e, in fondo,
della stessa causa concreta che in parte
qua, l’operazione negoziale ha inteso
realizzare consentendo al Comune
l’acquisizione delle opere indicate dal
medesimo articolo 1 in ragione dello
scomputo previsto che, ove non comprensivo
dei costi di costruzione, diverrebbe una
mera locupletatio cum aliena iactura
senza chiara giustificazione causale.
3.12. Deve, inoltre, considerarsi che la
tesi comunale risulta difficilmente
armonizzabile con il disposto di cui
all’articolo 1366 c.c. che, come ricordato
nella Relazione al codice civile (n. 622),
costituisce “il punto di sutura” tra i due
momenti dell’interpretazione e “li domina
entrambi”.
Come spiegato in precedenza,
l'obbligo di buona fede oggettiva o
correttezza ex art. 1366 c.c. quale criterio
d'interpretazione del contratto “si
specifica in particolare nel significato di
lealtà, sostanziantesi nel non suscitare
falsi affidamenti e non speculare su di
essi, come pure nel non contestare
ragionevoli affidamenti comunque ingenerati
nella controparte (v. Cass., 06/05/2015, n.
9006; Cass., 23/10/2014, n. 22513; Cass.,
25/05/2007, n. 12235; Cass., 20/05/2004, n.
9628).
A tale stregua esso non consente di
dare ingresso ad interpretazioni cavillose
delle espressioni letterali contenute nelle
clausole contrattuali, non rispondenti alle
intese raggiunte (v. Cass., 23/05/2011, n.
11295) e deponenti per un significato in
contrasto con la ragione pratica o causa
concreta dell'accordo negoziale (cfr., con
riferimento alla causa concreta del
contratto autonomo di garanzia, Cass., Sez.
Un., 18/02/2010, n. 3947)” (cfr., ancora,
Cassazione civile, sez. III, 19.03.2018,
n. 6675).
Infatti, l’interpretazione
suggerita dal Comune finisce per ledere
l’affidamento riposto dalla società
nell’integrale scomputo della somma indicata
in convenzione chiedendo alla stessa una
prestazione patrimoniale ulteriore fondata,
in sostanza, sull’unilaterale rimozione dal
testo della convenzione di parte degli
importi ivi indicati in ragione
dell’asserita prevalenza di una sola
porzione del testo negoziale e senza
corrispondenza con il programma perseguito
con questa parte dell’accordo.
3.13. Le considerazioni sin qui esposte
rinvengono una rilevante conferma nel testo
del permesso di costruire n. 85 del 2006 a
cui accede la convenzione integrativa sin
qui esaminata. Infatti, il titolo
espressamente prevede che “il conguaglio di
cui all’art. 16 – comma del DPR 380/2001, è
determinato in € 539.670,89, salvo
conguaglio, di cui: ○ € 131.826,61 = per
oneri di urbanizzazione primaria e
secondaria; ○ € 407.844,28 = per contributo
costo di costruzione”.
Tale documento non
risulta privo di significato per
l’interpretazione della convenzione che,
come spiegato al precedente paragrafo 3.1.
rientra nel novero degli accordi tra privati
e pubblica Amministrazione. Evidente come
nel caso di accordo integrativo di
provvedimento, quest’ultimo concorre ad
individuare l’intenzione della parte
pubblica attesa l’intima connessione tra i
due atti giuridici. In tal senso, appare
certamente corretto quanto affermato dalla
società ricorrente che osserva come il
permesso di costruire espliciti in modo
inequivocabile che “l’importo di €
539.670,89, passibile di scomputo unitamente
alla monetizzazione degli standard ai sensi
dell’art. 1 (per l’importo di totale di €
1.052.661,96), era riferito sia agli oneri
di urbanizzazione sia al costo di
costruzione”.
3.14. Tale esplicitazione si rinviene anche
in altra parte del permesso considerato che
al foglio 2 del titolo si legge
testualmente: “in luogo del pagamento di
detti contributi e monetizzazione, nel
rispetto di quanto stabilito dalla
Convenzione […], con il presente atto la
Società AL. S.p.a. è autorizzata a
realizzare le seguenti opere pubbliche a
scomputo di detti importi”.
3.15. Deve, in ultimo, considerarsi che,
come ricordato di recente dal Consiglio di
Stato, “nell’interpretazione del contratto e
comunque di strumenti negoziali l’esegesi
letterale deve integrarsi con l’indagine
sulla volontà delle parti, come obiettivizzata nelle clausole, e che
quest’ultima è desumibile anche dal
comportamento complessivo delle parti, anche
successivo alla conclusione del contratto,
ai sensi dell’art. 1362 cod. civ. (cfr. tra
le tante e più recenti Cass. Civ., Sez. I,
07.09.2017, n. 20888, che
precisa come sia “…necessario considerare il
negozio nella sua complessità, raffrontare e
coordinare tra loro parole e frasi, al fine
di ricondurle ad armonica unità e
concordanza, in particolare in presenza di
un collegamento negoziale o di contenuti non
riconducibili ad una unica causa negoziale,
essendo allora necessario ricostruire la
concreta funzione economica dell'intera
operazione negoziale”)” (Consiglio di Stato,
sez. IV, 18.04.2018, n. 2327).
3.16. Osservando il comportamento successivo
delle parti, si nota che:
a) "il verbale di collaudo tecnico–amministrativo evidenzia come
le opere di urbanizzazione a scomputo della monetizzazione e del contributo siano
collaudabili” (v. documento n. 7 di parte
ricorrente, foglio 19);
b) il verbale di presa in consegna dell’opera redatto dal Comune di
Milano in data 17.12.2010 (PG
977873/2010) testualmente sottolinea che “in
data 12/04/2006 è stata stipulata la
Convenzione Integrativa del permesso di
costruire n. 5 del 11/05/06… per la
disciplina dell’esecuzione di opere a
scomputo del contributo di costruzione e
della monetizzazione determinati dal
permesso di costruire medesimo”.
3.17. Pertanto, anche dalla disamina dei due
documenti successivi alla convenzione –e in
particolare nel documento indicato sub 3.16,
lettera b), redatto dal Comune- si conferma
che l’intenzione delle parti è quella di ricomprendere nello scomputo anche i costi
di costruzione.
4. In conclusione, i primi due motivi di
ricorso devono essere accolti con
conseguente declaratoria del diritto della
società di fruire dello scomputo del costo
di costruzione dovuto per la realizzazione
della multisala cinematografica assentita
con il Permesso di Costruire n. 85/2006 cui
accede la citata Convenzione e
dell’insussistenza del diritto di credito
fatto valere dal Comune di Milano con la
nota PG 584840/2016 del 17.11.2016.
5. Passando all’esame della domanda svolta
al paragrafo c) del ricorso introduttivo, si
osserva che l’importo di € 321.205,72,
richiesto dal Comune, corrisponde –per
difetto– alla differenza tra l’importo di €
455.427,38, dovuto a titolo di costo di
costruzione per la multisala e l’importo di
€ 134.661,65 versato in eccedenza da
Al. (€ 455.427,38 - € 134.661,65 =
321.205,72), per smaltimento dei rifiuti.
5.1. La constatazione sopra esposta consente
agevolmente di accertare la sussistenza del
diritto della Al. alla restituzione
dell’importo pari ad € 134.221,65, versato
in eccedenza dalla società a titolo di
contributo per lo smaltimento rifiuti.
5.2. Del resto, lo stesso provvedimento
impugnato indica l’importo dovuto per lo
smaltimento rifiuti come pari ad €
14.250,20. Anche la memoria difensiva
comunale osserva che la domanda di
restituzione si fonda “sull’interpretazione
della convenzione sostenuta dalla ricorrente
[…] che vorrebbe estendere lo scomputo al
costo di costruzione dell’intervento
relativo alla sala cinematografica”,
ritenendo, pertanto l’importo versato a
detrazione di quanto asseritamente ancora
dovuto. Di conseguenza, accertata
l’insussistenza del diritto di credito del
Comune di Milano pari ad € 455.427,38, a
titolo di costo di costruzione per la
multisala, consegue l’obbligo di
restituzione della somma in eccesso versata
dalla società ricorrente.
5.3. La domanda di restituzione
dell’indebito deve essere, pertanto, accolta
con condanna del Comune di Milano a
restituire alla società l’importo pari ad €
134.221,65, oltre interessi legali dal
giorno della domanda giudiziale.
5.4. La limitazione della decorrenza degli
interessi legali dal giorno della domanda
discende dall’espressa riduzione della
domanda da parte della società ricorrente
che nelle conclusioni rassegnate nel ricorso
introduttivo chiede di “condannare il Comune
di Milano a rimborsare ad Al. l’importo
pari a € 134.221,65 con maggiorazione degli
interessi legali dal dì della domanda al
saldo, ovvero quella che sarà ritenuta di
giustizia”.
La formula finale non si
riferisce, infatti, alla decorrenza
dell’interessi ma all’importo della somma
capitale. Lo conferma la proposizione che
chiude il motivo sub c) con la quale la
società afferma: “l’importo versato in
eccedenza, pari ad € 134.221,65, dovrà
essere restituito maggiorato degli interessi
legali dalla data della presente domanda al
dì del saldo, in applicazione di quanto
disposto dall’art. 2033 c.c. (ex multis TAR
Lombardia-Milano, sez. IV, 16.07.2013,
n. 1872; Cons. Stato, sez. IV, 20.05.2011, n. 3027)”.
Pertanto, verificato il
contenuto sostanziale della pretesa, deve
ritenersi che la società abbia limitato la
decorrenza degli interessi dalla data della
domanda giudiziale.
5.5. In ogni caso, si osserva che –pur non
volendo ritenere la domanda limitata in
punto decorrenza degli interessi– non
sussisterebbe il diritto della società di
conseguire gli stessi dalla data del
pagamento tenuto conto che:
- costituisce principio consolidato quello secondo cui, nella
ripetizione dell'indebito oggettivo ex art.
2033 c.c., il debito dell'accipiens, a meno
che egli non sia in mala fede, produce
interessi solo a seguito della proposizione
di un'apposita domanda giudiziale, atteso
che all'indebito si applica la tutela
prevista per il possessore in buona fede in
senso soggettivo dell'art. 1148 c.c., a
norma del quale questi è obbligato a
restituire i frutti soltanto della domanda
giudiziale, secondo il principio per il
quale gli effetti della sentenza
retroagiscono al momento della proposizione
della domanda (cfr. ex multis, Cass. 18.05.2016, n. 10161; 13.05.2016, n.
9934; 30.03.2015, n. 6401; 25.02.2014, n. 4436;
08.05.2013, n. 10815; 15.06.2012, n. 9845; 31.07.2009, n.
17848, la quale precisa che la buona fede
sussiste anche in presenza di dubbio circa
la debenza della somma corrisposta; 02.08.2006, n. 17558; 10.03.2005, n. 5330;
04.03.2005, n. 4745; 14.09.2004, n.
18518; 28.01.2004, n. 1581);
- nell'ipotesi di azione di ripetizione di indebito oggettivo ex
art. 2033 c.c., pertanto, in parziale deroga
rispetto a quanto previsto sia all'art.
1282, che all'art. 1224 c.c., il debito
dell'accipiens, pur avendo ad oggetto una
somma di denaro liquida ed esigibile, non
produce interessi a partire dal momento del
pagamento, a meno che l'accipiens non sia in
mala fede;
- si deve, dunque, avere riguardo all'elemento psicologico
esistente alla data di riscossione della
somma, a meno che il creditore non provi la
mala fede dell'accipiens: con la
precisazione che, anche in questo campo, la
buona fede si presume, ed essa può essere
esclusa soltanto dalla prova della
consapevolezza da parte dell'accipiens della
insussistenza di un suo diritto a ricevere
il pagamento (così Cass. 10.03.2005, n.
5330);
- nel caso di specie, alcuna evidenza in ordine alla mala fede del
Comune è stata fornita in giudizio con
conseguente piena operatività della
presunzione di buona fede. |
maggio 2018 |
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EDILIZIA PRIVATA:
La ricostruzione di edificio accidentalmente crollato, che
non ha modificato né la volumetria né la destinazione d’uso,
non deve scontare il versamento degli oneri di
urbanizzazione.
In giurisprudenza viene pacificamente
individuata quale ratio fondamentale e giustificatrice della
corresponsione degli oneri di urbanizzazione il carico
urbanistico, con connessa esigenza di realizzazione di opere
di urbanizzazione primaria e secondaria.
Se pure suddetta ratio giustificatrice non trasforma l’onere
in una imposta di scopo (non vi è la necessità che gli oneri
di urbanizzazione incassati in una determinata area siano
devoluti alle opere di urbanizzazione ivi realizzate e/o
necessarie) né il rapporto tra carico urbanistico ed oneri
di urbanizzazione è rigoroso al punto da non ammettere la
modulazione degli oneri stessi anche in funzione di diverse
finalità (ad esempio scoraggiare l’espansione in determinate
aree ovvero incentivarla in altre), la giustificazione
sostanziale di tale forma di imposizione resta il carico
urbanistico ingenerato da un nuovo insediamento o da un
mutamento di destinazione d’uso.
Per la fisiologica connessione tra aumento del carico
urbanistico e oneri di urbanizzazione è stato statuito,
invero, che: “riguardo alla differenza tra oneri di
urbanizzazione e costi di costruzione, la giurisprudenza
concordemente ritiene che i primi espletino la
funzione di compensare la collettività per il nuovo
ulteriore carico urbanistico che si riversa sulla zona a
causa della consentita attività edificatoria, mentre i
secondi si configurino quale compartecipazione comunale
all'incremento di valore della proprietà immobiliare del
costruttore”.
---------------
Quanto agli interessi ed alla rivalutazione del contributo
indebitamente versato, è condivisibile la difesa
dell’amministrazione là dove evidenzia che la decorrenza
degli interessi deve essere individuata nel giorno della
domanda e non in quello del pagamento (trattandosi di
percezione di indebito intervenuta in buona fede, che si
presume) e che non può essere riconosciuta la rivalutazione
monetaria, non avendo parte ricorrente dimostrato un maggior
danno che resterebbe non compensato dalla corresponsione
degli interessi.
---------------
L’edificio sito in Torino via ... n. 12 è parzialmente
crollato in seguito a scoppio dovuto ad un fuga di gas; in
data 06.04.2012 il condominio ha presentato domanda di
permesso di costruire per la ricostruzione della struttura.
Con nota in data 28.11.2013 il Comune ha quantificato
l’ammontare degli oneri di urbanizzazione dovuti in €
35.762,54, che il condominio ha versato al solo fine di
ottenere il titolo edilizio.
Lamenta parte ricorrente la violazione dell’art. 16 del
d.p.r. n. 380/2001 e l’eccesso di potere per difetto di
istruttoria ed insufficiente motivazione, oltre che il
travisamento dei fatti; gli oneri di urbanizzazione sono
parametrati al beneficio tratto dall’intervento
dall’esistenza di opere di urbanizzazione con l’obiettivo di
ridistribuire i costi sociali dell’aggravamento del carico
urbanistico; nel caso di specie la ricostruzione è avvenuta
con la stessa volumetria e destinazione d’uso precedenti il
crollo, sicché il versamento di tali oneri non sarebbe
giustificato.
Ha chiesto quindi la condanna del Comune di Torino alla
rifusione di quanto indebitamente versato, oltre interessi e
rivalutazione monetaria dal giorno del pagamento al saldo.
...
Ritiene il collegio che il ricorso debba trovare
accoglimento.
Non vi è contestazione tra le parti sulle circostanze di
fatto; è dunque pacifico che l’edificio oggetto di
ricostruzione è crollato accidentalmente e che la
ricostruzione non ha modificato né la volumetria né la
destinazione d’uso.
L’abile difesa di parte resistente propone una lettura
letterale della normativa applicabile, senza tuttavia
valorizzare quella che in giurisprudenza viene pacificamente
individuata quale ratio fondamentale e
giustificatrice della corresponsione degli oneri di
urbanizzazione, ossia il carico urbanistico, con connessa
esigenza di realizzazione di opere di urbanizzazione
primaria e secondaria.
Se pure suddetta ratio giustificatrice non trasforma
l’onere in una imposta di scopo (non vi è la necessità che
gli oneri di urbanizzazione incassati in una determinata
area siano devoluti alle opere di urbanizzazione ivi
realizzate e/o necessarie) né il rapporto tra carico
urbanistico ed oneri di urbanizzazione è rigoroso al punto
da non ammettere la modulazione degli oneri stessi anche in
funzione di diverse finalità (ad esempio scoraggiare
l’espansione in determinate aree ovvero incentivarla in
altre), la giustificazione sostanziale di tale forma di
imposizione resta il carico urbanistico ingenerato da un
nuovo insediamento o da un mutamento di destinazione d’uso.
Per la fisiologica connessione tra aumento del carico
urbanistico e oneri di urbanizzazione, ex pluribus,
si veda Cons. St., sez. IV, n. 1187/2018; ancora si legge in
Cons. St., sez. IV, n. 2915/2016 che: “riguardo alla
differenza tra oneri di urbanizzazione e costi di
costruzione, la giurisprudenza concordemente ritiene che
i primi espletino la funzione di compensare la
collettività per il nuovo ulteriore carico urbanistico che
si riversa sulla zona a causa della consentita attività
edificatoria, mentre i secondi si configurino quale
compartecipazione comunale all'incremento di valore della
proprietà immobiliare del costruttore”.
Alla luce di tali principi, e considerato che l’intervento
per cui è causa pacificamente non comporta alcun aumento di
carico urbanistico, deve essere accolta la domanda di parte
ricorrente volta alla restituzione degli oneri, in quanto
indebitamente corrisposti.
Quanto agli interessi ed alla rivalutazione, è condivisibile
la difesa dell’amministrazione là dove evidenzia che la
decorrenza degli interessi deve essere individuata nel
giorno della domanda e non in quello del pagamento
(trattandosi di percezione di indebito intervenuta in buona
fede, che si presume) e che non può essere riconosciuta la
rivalutazione monetaria, non avendo parte ricorrente
dimostrato un maggior danno che resterebbe non compensato
dalla corresponsione degli interessi (TAR Piemonte, Sez. II,
sentenza 21.05.2018 n. 630 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: «Rottamazione»
impossibile per gli oneri accessori dei condoni edilizi.
Il Consiglio comunale non può procedere alla definizione agevolata degli
oneri accessori dei condoni edilizi, in considerazione del tasso di
interesse applicato (10%) rispetto a quello legale (dal 01.01.2018 pari
allo 0,3%).
La risposta negativa al quesito di un Comune arriva dalla Corte dei conti
della Campania (parere
09.05.2018 n. 70) e trova fondamento nel fatto che
la richiesta riguarda corrispettivi di diritto pubblico che non
costituiscono tributi, con impossibilità di estenderne i regimi agevolativi
disposti dalle norme tributarie.
La normativa tributaria
La normativa tributaria (articolo 13 della legge 289/2002) lascia ampia
autonomia agli enti locali sui propri tributi, sia in merito alla
possibilità di poter procedere a una riduzione dell'ammontare delle imposte
e tasse dovute, sia sull'esclusione o sulla riduzione degli interessi e
sanzioni nel caso in cui, entro un termine fissato dall'ente (non inferiore
ai sessanta giorni), i contribuenti adempiano a obblighi tributari
precedentemente in tutto o in parte non rispettati.
Sulla base, pertanto, di
quanto indicato dalla legge, è rimessa all'ente la possibilità di poter
disciplinare in autonomia i possibili criteri di definizione agevolata dei
tributi, a condizione che gli stessi siano stati già accertati dall'ente e
il contribuente non abbia adempito al pagamento della propria obbligazione
tributaria.
Le indicazioni del collegio contabile
Per il collegio contabile campano deve essere esclusa la possibilità, da
parte dell'ente locale, di poter procedere nella propria autonomia a
stabilire criteri per una definizione agevolata degli oneri accessori al
condono edilizio, anche se limitata a ricondurre gli interessi, pari al 10%,
a quelli legali, che dal 01.01.2018 sono pari allo 0,3%.
L'esclusione
discende dalla natura giuridica degli oneri (compresi gli accessori quali
interessi e sanzioni) che è non tributaria, con conseguente impossibilità di
estendere la definizione agevolata prevista dal legislatore per i soli
tributi. Stessa sorte tocca anche gli altri corrispettivi di diritto
pubblico, ossia in generale quelli posti a carico del proprietario e
idealmente commisurati ai costi sostenuti dalla collettività e al beneficio
resi.
La differenza, infatti, tra tributi e oneri edilizi è sostanziale, in
quanto questi ultimi hanno il loro presupposto nella volontà costruttiva del
proprietario, mentre il tributo (imposte, tasse, contributi) è una entrata autoritativa o coattiva, la cui obbligatorietà è imposta con un atto
dell'autorità senza che vi concorra la volontà del soggetto obbligato,
destinata a finanziare le pubbliche spese.
In merito al rilascio dei titoli abilitativi edilizi, la legge prevede che
il proprietario costruttore versi due quote, la prima (oneri di
urbanizzazione) è dovuta dalla necessità di dotare l'area delle opere di
urbanizzazione primarie (servizi all'abitazione) e secondarie (servizi agli
abitanti) che ben essere effettuata in via diretta dal proprietario (a
scomputo degli oneri dovuti); la seconda quota è invece commisurata al costo
di costruzione a fronte del corrispettivo aumento di valore di cui
beneficerà l'immobile per effetto delle opere pubbliche che saranno
realizzate.
Nel caso dell'abuso edilizio l'oblazione richiesta dalla normativa
rappresenta già una forma agevolata di pagamento di per se incompatibile con
ulteriori interventi agevolativi, inoltre la natura degli interessi previsti
dal legislatore sono da qualificarsi quali interessi moratori incompatibile
con la funzione stessa dell'interesse legale
(articolo Quotidiano Enti Locali & Pa del 22.05.2018).
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MASSIMA
Gli oneri per titoli edilizi
costituiscono non un “tributo” ma un “corrispettivo di
diritto pubblico” a carico del proprietario, commisurato ai
costi sostenuti dalla collettività e al beneficio reso.
Il
richiedente il titolo edilizio può sottrarsi al pagamento
del contributo, obbligandosi a “realizzare direttamente le
opere di urbanizzazione, nel rispetto [delle norme del
codice dei contratti pubblici], con le modalità e le
garanzie stabilite dal comune, con conseguente acquisizione
delle opere realizzate al patrimonio indisponibile del
comune» (c.d. opere “a scomputo” degli oneri) (art. 16 T.U. edilizia).
Non costituendo, pertanto, l’obbligo di
pagamento per siffatti oneri, “tributi” o “imposte e tasse”,
la Sezione ritiene che non sia applicabile l’art. 13 della L. n. 289/2002, quale forma agevolata di defezione di
rapporti il cui titolo è già sorto, né, pertanto, la
definizione agevolata agli interessi per il ritardato
pagamento dell’oblazione per il condono edilizio.
---------------
Il Sindaco del Comune di Sant’Agnello (NA) ha chiesto alla Sezione un
parere in merito alla possibilità per gli enti locali di applicare l’art. 13
della Legge n. 289 del 27.12.2002 agli oneri previsti dall'art. 39, comma
10, della legge n. 724/1994 in caso di “condono edilizio”.
Segnatamente chiede di sapere se è possibile procedere a definizione
agevolata del quantum dovuto per interessi in caso di ritardato
pagamento dell’oblazione.
L’Ente osserva che in caso di risposta positiva, intenderebbe procedere alla
riduzione del tasso di interesse, stabilito dall'art. 39, comma 10, della
Legge 724/1994 nella misura del 10%, rapportandolo al tasso di interesse
legale attualmente vigente.
«In tal modo si contempererebbero sia le esigenze dell'Amministrazione,
di incassare nel più breve tempo possibile le somme derivanti dalla
definizione dei procedimenti di condono, sia quelle dei cittadini, che in
tal modo potrebbero procedere al pagamento del dovuto più agevolmente».
...
1. Come è noto, l’art.
13 della Legge n. 289/2002, concede a regioni, province e comuni
la facoltà di definire in modo agevolato il rapporto tributario per “tributi
propri”, per mezzo di apposite previsioni normative generali, adottate
secondo l’ordinamento di riferimento e conformi ai criteri di legge fissati
nella stessa disposizione.
Segnatamente: «[…] con riferimento ai tributi propri, le regioni, le
province, ed i comuni possono stabilire, con le forme previste dalla
legislazione vigente per l’adozione dei propri atti destinati a disciplinare
i tributi stessi, la riduzione dell’ammontare delle imposte e tasse loro
dovute, l’esclusione o la riduzione dei relativi interessi e sanzioni, per
le ipotesi in cui, entro un termine appositamente fissato da ciascun ente,
non inferiore a sessanta giorni dalla data di pubblicazione dell’atto, i
contribuenti adempiano a obblighi tributari precedentemente in tutto o in
parte non adempiuti» (enfasi aggiunta).
Lo stesso articolo precisa che:
- restano escluse dalla previsione le addizionali, le
compartecipazioni a tributi erariali e le mere attribuzioni di gettito di
tributi erariali;
- la definizione agevolata riguarda rapporti tributari, già
esistenti per cui si sia registrata una difficoltà di riscossione (“obblighi
tributari precedentemente in tutto o in parte non adempiuti”);
- le agevolazioni potranno essere previste anche per i casi in cui
siano già in corso procedure di accertamento o procedimenti contenziosi in
sede giurisdizionale, le quali potranno quindi riferirsi anche a tributi ora
abrogati.
Tale previsione trova fondamento nell’art. 119 della Costituzione, nel testo
modificato con legge costituzionale n. 3/2001, secondo il quale: «I
Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno autonomia
finanziaria di entrata e di spesa.
I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno risorse
autonome.
Stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri, in armonia con la
Costituzione e secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e
del sistema tributario. Dispongono di compartecipazioni al gettito di
tributi erariali riferibile al loro territorio».
L’applicazione di tale disposizione, dunque, presuppone:
- la natura tributaria delle entrate;
- il previo accertamento dell’entrata e la sua mancata riscossione
nei termini e tempi di legge;
- una disciplina attuativa che stabilisca preventivamente ed in
generale, nelle forme e con le fonti dell’ordinamento proprio di ciascun
ordinamento territoriale, i criteri della definizione agevolata.
2. Il Comune chiede di sapere se tale norma e tali criteri siano applicabili
sulle entrate per “oneri” dovuti in relazione al rilascio di titoli
edilizi in sanatoria, ai sensi dell’art. dell’art. 39 Legge n. 724/1994, in
particolare con riguardo ai previsti interessi del 10% in caso di ritardo
nel versamento dell’oblazione.
2.1. La giurisprudenza tributaria, amministrativa e contabile, nonché della
Suprema Corte di Cassazione (cfr. TAR Campania-Salerno, Sez. II, 05.10.2009
n. 5318; SRC Lombardia n. 144/2017/PAR; SS.UU. sentenza n. 22514 del
20.10.2006) hanno concordemente affermato che gli oneri per
i titoli edilizi non costituiscono un “tributo”, sia pure nella forma
di contributo, ma un “corrispettivo di diritto pubblico”, come tale
obbligatoriamente posto a carico del proprietario, idealmente commisurato ai
costi sostenuti dalla collettività e al beneficio reso.
Si tratta di una prestazione, da un lato, che ha il
suo presupposto nella volontà costruttiva del proprietario, mentre il
tributo (imposte, tasse, contributi) è una entrata autoritativa o coattiva,
la cui obbligatorietà è imposta con un atto dell'autorità senza che vi
concorra la volontà del soggetto obbligato, destinata a finanziare le
pubbliche spese.
Infatti, il richiedente il titolo edilizio può sottrarsi al pagamento del
contributo se, ai sensi dell’art. 16 del T.U. edilizia, si obbliga «a
realizzare direttamente le opere di urbanizzazione, nel rispetto [delle
norme del codice dei contratti pubblici], con le modalità̀ e le garanzie
stabilite dal comune, con conseguente acquisizione delle opere realizzate al
patrimonio indisponibile del comune» (c.d. opere “a scomputo”
degli oneri).
Per altro verso, tale prestazione è commisurata all’utilità diretta
del soggetto destinatario del titolo edilizio. Tale corrispettivo si
articola infatti in due quote.
Una prima quota, relativa agli “oneri di urbanizzazione” propriamente
detti, ha causa nelle spese che l’ente pubblico affronta per dotare un’area
delle opere di urbanizzazione primarie (servizi all’abitazione) e secondarie
(servizi agli abitanti) ed è commisurata al c.d. “peso insediativo”
dell’intervento che il comune dovrà sopportare.
Una seconda quota, commisurata invece al costo di costruzione, è idealmente
giustificata in ragione del corrispettivo aumento di valore di cui
beneficerà l’immobile per effetto delle realizzande opere pubbliche.
2.2. Analoga qualificazione “non tributaria”, per
estensione, è stata sostenuta con riguardo all’oblazione edilizia accertata
e versata ai sensi dell'articolo 35 della Legge n. 47/1985 e dell’art. 39
Legge n. 724/1994 (TAR Campania
Salerno Sez. II, sentenza 21.11.2011, n. 1895; Commissione tributaria
regionale di Roma, sezione 20, sentenza n. 115 del 07.09.2005).
Trattasi di una somma di denaro determinata con riferimento
all'opera abusiva o alla parte abusiva realizzata in relazione al tipo di
abuso, ovvero di una somma determinata sulla base delle superfici abusive
realizzate, oppure, per alcune tipologie, a forfait.
3. Ne consegue che l’obbligo di pagamento per siffatti
oneri, discendente dall’art. 19 del T.U. Edilizia (D.P.R. n. 380/2001), dal
precedente art. 3 della L. n. 10/1977 ed, infine, dalle norme sulla
definizione agevolata degli abusi edilizi (capi IV e V della legge
28.02.1985, n. 47 e art. 39 della Legge 724/1994), non costituiscono “tributi”
o “imposte e tasse”.
Per l’effetto a tale prestazioni non è applicabile l’art. 13 della Legge n.
289/2002, che costituisce una forma agevolata di defezione di rapporti il
cui titolo è già sorto.
Tale inapplicabilità riguarda tanto la sorte che gli accessori.
Del resto:
- da un lato, l’oblazione costituisce già una forma agevolata di
pagamento, pertanto logicamente incompatibile con ulteriori manipolazioni
agevolative;
- gli interessi previsti dal comma 10 dell’art. 39 della L. n.
724/1994, sono interessi “moratori” ex art. 1224 c.c., per cui il
Legislatore ha espressamente contemplato la divergenza dall’interesse
legale, oggi stabilito dall’art. 1284, comma 1, c.c., tramite rinvio ad
appositi decreti annui del Ministro del tesoro;
- le fattispecie di esonero hanno carattere tassativo, costituendo
esse eccezione rispetto alla regola del pagamento obbligatorio (cfr. TAR
Veneto, Sez. II, 18.06.2010 n. 2688; TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
26.04.2006 n. 1062; TAR Lombardia-Brescia 28.01.2002 n. 100). Infatti,
l’unica deroga in materia è quella contenuta nel già citato art. 39 (comma
9) della L. 724/1994, il quale prevede che il contributo non è dovuto se il
costruttore, in proprio od in forme consortili, abbia eseguito od intenda
eseguire parte delle opere di urbanizzazione, secondo le disposizioni
tecniche dettate dagli uffici comunali (c.d. opere a “scomputo degli
oneri”).
Ne consegue che non è possibile applicare la definizione
agevolata di cui all’art. 13 della Legge n. 289/2002 agli interessi per il
ritardato pagamento dell’oblazione per il condono edilizio. |
aprile 2018 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Il contributo concessorio (comprendente
oneri di urbanizzazione e costo di costruzione) è
un’obbligazione giuridica di tipo pubblicistico che sorge
con il rilascio della concessione edilizia ed è
qualificabile come corrispettivo di diritto pubblico, di
natura non tributaria, posto a carico del costruttore a
titolo di partecipazione ai costi delle opere di
urbanizzazione in proporzione all'insieme dei benefici
arrecati al nuovo manufatto.
Le disposizioni che regolano la fattispecie si rinvengono
negli artt. 16 e 17 del DPR 380/2001.
L’art. 16, (rubricato “Contributo per il rilascio del
permesso di costruire”), dispone al comma 1 che “Salvo
quanto disposto dall'articolo 17, comma 3, il rilascio del
permesso di costruire comporta la corresponsione di un
contributo commisurato all'incidenza degli oneri di
urbanizzazione nonché al costo di costruzione, secondo le
modalità indicate nel presente articolo e fatte salve le
disposizioni concernenti gli interventi di trasformazione
urbana complessi di cui al comma 2-bis”.
Ai sensi dell’art. 17, comma 3, lett. b), il contributo di
costruzione non è dovuto “per gli interventi di
ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore
al 20%, di edifici unifamiliari”. Nel caso di specie, è
pacifica la natura dell’intervento, consistente nella
ristrutturazione con incremento realizzato nel rispetto del
limite del 20% (cfr. memoria di costituzione del Comune,
pag. 5).
La norma riprende sostanzialmente il contenuto dell’art. 9,
comma 1, della L. 28/01/1977 n. 10, “in relazione al quale
la giurisprudenza aveva avuto modo di chiarire che il
carattere di unifamiliarità di un fabbricato a destinazione
abitativa è ricavabile dalle caratteristiche architettoniche
dell’edificio, in ragione del volume, della superficie, del
numero e della funzione e caratteristica dei vani, in
rapporto alle esigenze ed alla possibilità di utilizzo da
parte di un unico nucleo familiare”.
E’ stato tuttavia nello specifico osservato che l'esenzione
dal pagamento dei contributi di cui si discute ha la
funzione di agevolare i proprietari di alloggi unifamiliari,
presumendo il legislatore che gli interventi sugli stessi
non abbiano carattere di lucro, ma la sola funzione di
migliorare le condizioni di abitabilità degli edifici
medesimi, indipendentemente dalla loro dimensione.
La disposizione è diretta dunque a promuovere le opere di
adeguamento dei manufatti alle necessità abitative del
singolo nucleo familiare, circoscrivendone l’operatività
agli interventi che non mutino sostanzialmente l’entità
strutturale e la dimensione spaziale dell’immobile e non ne
elevino (in modo apprezzabile) il valore economico.
---------------
In linea generale, la partecipazione del privato al costo
delle opere di urbanizzazione è dovuta allorquando
l’intervento determini un incremento del peso insediativo
con un’oggettiva rivalutazione dell’immobile, sicché
l'onerosità del permesso di costruire è funzionale a
sopportare il carico socio economico che la realizzazione
comporta sotto il profilo urbanistico.
Alla luce di tale considerazione, la giurisprudenza ha
statuito che l’esenzione dal contributo di costruzione per
il caso di interventi di ristrutturazione di edifici
unifamiliari entro il limite di ampliamento del 20%,
costituisce oggetto di una previsione di carattere
eccezionale (applicabile in un ambito di stretta
interpretazione ancorato ai parametri predefiniti dal
legislatore): la ratio è di natura sociale ed è diretta
sostanzialmente ad apprestare uno strumento di tutela e di
salvaguardia alla piccola proprietà immobiliare per gli
interventi funzionali all’adeguamento dell’immobile alle
necessità abitative del nucleo familiare: l’edificio
unifamiliare, nell’accezione socio economica assunta dalla
norma, coincide in altri termini con la piccola proprietà
immobiliare, e soltanto se presenti tali caratteri è
meritevole di un trattamento differenziato.
Il Collegio ritiene di aderire a tale orientamento. Anche
secondo questo TAR, l’esenzione in esame si giustifica come
aiuto alla famiglia che, banalmente, necessiti di ulteriore
spazio per la propria decorosa sistemazione abitativa.
La giurisprudenza recente ha parimenti sostenuto che “la
ratio che ispira la specifica esenzione ha un fondamento
sociale, con l’effetto che la nozione di edificio
unifamiliare non deve avere una accezione strutturale ma
socio-economica, coincidendo con la piccola proprietà
immobiliare, meritevole per gli interventi di
ristrutturazione dell’abitazione di un trattamento
differenziato rispetto alle altre tipologie edilizie …” (e
in quel caso si è stabilito che la suddetta esenzione non
può trovare applicazione in una fattispecie relativa a una
villa di 19 vani con una superficie di 638,41 mq.).
Accedendo a tale approccio interpretativo, anche il TAR
Campania Salerno, sez. I – 22/06/2015 n. 1416 ha desunto
l’estraneità della fattispecie affrontata (si controverteva
dell’intervento su un fabbricato di 13 vani, avente
volumetria complessiva di mc. 1.338,78, distribuiti su tre
livelli) all’alveo applicativo della norma invocata,
“proprio in considerazione delle rilevate caratteristiche
costruttive e dimensionali dell’edificio ancorché
unifamiliare”.
---------------
La Società ricorrente, che ha ottenuto il titolo abilitativo
per i lavori di ristrutturazione e ampliamento di un
edificio unifamiliare, censura la pretesa del Comune di
applicare il contributo sul costo di costruzione.
La controversia ha quindi ad oggetto un giudizio di
accertamento negativo in ordine all’obbligazione pecuniaria
relativa al pagamento del contributo di costruzione,
nell’ambito della giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo, rispetto alla quale gli atti di liquidazione
sono privi di contenuto ed effetti provvedimentali
(Consiglio di Stato, sez. IV – 01/02/2017 n. 425).
Il gravame è infondato e deve essere rigettato.
0. Il Collegio richiama anzitutto i principi
giurisprudenziali elaborati nella materia controversa, per
cui il contributo concessorio (comprendente oneri di
urbanizzazione e costo di costruzione) è un’obbligazione
giuridica di tipo pubblicistico che sorge con il rilascio
della concessione edilizia (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI
– 07/02/2017 n. 728) ed è qualificabile come corrispettivo
di diritto pubblico, di natura non tributaria, posto a
carico del costruttore a titolo di partecipazione ai costi
delle opere di urbanizzazione in proporzione all'insieme dei
benefici arrecati al nuovo manufatto (Consiglio di Stato,
sez. IV – 29/10/2015 n. 4950).
1. Le disposizioni che regolano la fattispecie si rinvengono
negli artt. 16 e 17 del DPR 380/2001.
L’art. 16, (rubricato “Contributo per il rilascio del
permesso di costruire”), dispone al comma 1 che “Salvo
quanto disposto dall'articolo 17, comma 3, il rilascio del
permesso di costruire comporta la corresponsione di un
contributo commisurato all'incidenza degli oneri di
urbanizzazione nonché al costo di costruzione, secondo le
modalità indicate nel presente articolo e fatte salve le
disposizioni concernenti gli interventi di trasformazione
urbana complessi di cui al comma 2-bis”.
Ai sensi dell’art. 17, comma 3, lett. b), il contributo di
costruzione non è dovuto “per gli interventi di
ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore
al 20%, di edifici unifamiliari”. Nel caso di specie, è
pacifica la natura dell’intervento, consistente nella
ristrutturazione con incremento realizzato nel rispetto del
limite del 20% (cfr. memoria di costituzione del Comune,
pag. 5).
2. La norma riprende sostanzialmente il contenuto dell’art.
9, comma 1, della L. 28/01/1977 n. 10, “in relazione al
quale la giurisprudenza (cfr. TAR 07.09.1999 n. 770; TAR
Veneto 30.3.1996 n. 480) aveva avuto modo di chiarire che il
carattere di unifamiliarità di un fabbricato a destinazione
abitativa è ricavabile dalle caratteristiche architettoniche
dell’edificio, in ragione del volume, della superficie, del
numero e della funzione e caratteristica dei vani, in
rapporto alle esigenze ed alla possibilità di utilizzo da
parte di un unico nucleo familiare” (cfr. TAR Brescia,
sez. I – 13/05/2011 n. 713).
3. E’ stato tuttavia nello specifico osservato (cfr.
sentenza Sezione 10/08/2012 n. 1446, che risulta appellata)
che l'esenzione dal pagamento dei contributi di cui si
discute ha la funzione di agevolare i proprietari di alloggi
unifamiliari, presumendo il legislatore che gli interventi
sugli stessi non abbiano carattere di lucro, ma la sola
funzione di migliorare le condizioni di abitabilità degli
edifici medesimi, indipendentemente dalla loro dimensione
(Consiglio di Stato, sez. IV – 11/10/2006 n. 6065).
La disposizione è diretta dunque a promuovere le opere di
adeguamento dei manufatti alle necessità abitative del
singolo nucleo familiare, circoscrivendone l’operatività
agli interventi che non mutino sostanzialmente l’entità
strutturale e la dimensione spaziale dell’immobile e non ne
elevino (in modo apprezzabile) il valore economico.
Sostiene la difesa comunale che la ricorrente ha
ristrutturato un edificio dismesso che ospitava più
famiglie, per favorire l’esercizio di un’attività di
ristorazione (e quindi a fini di lucro), e che solo il
particolare momento congiunturale non ha consentito di
individuare una figura professionale per la gestione
dell’attività, cosicché la proprietà ha scelto di
riconvertire l’immobile a residenza.
Detto ordine di idee merita di essere condiviso.
4. Osserva il Collegio che, in linea generale, la
partecipazione del privato al costo delle opere di
urbanizzazione è dovuta allorquando l’intervento determini
un incremento del peso insediativo con un’oggettiva
rivalutazione dell’immobile, sicché l'onerosità del permesso
di costruire è funzionale a sopportare il carico socio
economico che la realizzazione comporta sotto il profilo
urbanistico.
Alla luce di tale considerazione, la giurisprudenza (cfr.
TAR Campania Napoli, sez. VIII – 09/05/2012 n. 2136) ha
statuito che l’esenzione dal contributo di costruzione per
il caso di interventi di ristrutturazione di edifici
unifamiliari entro il limite di ampliamento del 20%,
costituisce oggetto di una previsione di carattere
eccezionale (applicabile in un ambito di stretta
interpretazione ancorato ai parametri predefiniti dal
legislatore): la ratio è di natura sociale ed è
diretta sostanzialmente ad apprestare uno strumento di
tutela e di salvaguardia alla piccola proprietà immobiliare
per gli interventi funzionali all’adeguamento dell’immobile
alle necessità abitative del nucleo familiare: l’edificio
unifamiliare, nell’accezione socio economica assunta dalla
norma, coincide in altri termini con la piccola proprietà
immobiliare, e soltanto se presenti tali caratteri è
meritevole di un trattamento differenziato (TAR Lombardia
Milano, sez. IV – 02/07/2014 n. 1707).
5. Il Collegio ritiene di aderire a tale orientamento. Anche
secondo questo TAR (cfr. sez. I – 21/11/2014 n. 2180),
l’esenzione in esame si giustifica come aiuto alla famiglia
che, banalmente, necessiti di ulteriore spazio per la
propria decorosa sistemazione abitativa.
La giurisprudenza recente (cfr. TAR Toscana, sez. III –
26/04/2017 n. 616), ha parimenti sostenuto che “la ratio
che ispira la specifica esenzione ha un fondamento sociale,
con l’effetto che la nozione di edificio unifamiliare non
deve avere una accezione strutturale ma socio-economica,
coincidendo con la piccola proprietà immobiliare, meritevole
per gli interventi di ristrutturazione dell’abitazione di un
trattamento differenziato rispetto alle altre tipologie
edilizie …” (e in quel caso si è stabilito che la
suddetta esenzione non può trovare applicazione in una
fattispecie relativa a una villa di 19 vani con una
superficie di 638,41 mq.).
Accedendo a tale approccio interpretativo, anche il TAR
Campania Salerno, sez. I – 22/06/2015 n. 1416 ha desunto
l’estraneità della fattispecie affrontata (si controverteva
dell’intervento su un fabbricato di 13 vani, avente
volumetria complessiva di mc. 1.338,78, distribuiti su tre
livelli) all’alveo applicativo della norma invocata, “proprio
in considerazione delle rilevate caratteristiche costruttive
e dimensionali dell’edificio ancorché unifamiliare”.
6. Alla luce delle suindicate premesse, nella fattispecie
all’esame del Collegio non risultano sussistere i
presupposti delineati dalla norma.
Come ha osservato l’amministrazione (cfr. memoria finale,
pag. 7), senza repliche sul punto della parte ricorrente,
prima dell’ampliamento l’edificio inserito nella corte
agricola era disposto su tre piani, con un piano terra
avente cinque ampie stanze, con bagno e locale sottoscala
(per una superficie complessiva di 181,30 m²), un primo
piano dotato di quattro stanze grandi e due bagni (per
178,55 m²), e un piano secondo mansardato con tre ampie
stanze, per una superficie di 128,75 m².
Con la ristrutturazione, al piano terra sono state
realizzate –in ampliamento– una cucina per 78 m², una
dispensa con cella frigorifera, una cantina e la zona
raccolta e lavaggio del pentolame; un locale ricevimento,
due sale ristorante estese, un locale filtro, due bagni con
antibagno, due spogliatoi con doccia e servizio igienico
oltre a vani tecnici.
Al primo piano, uno spazio conversazione con bar e
guardaroba, tre ampie sale ristorante, un locale filtro, due
percorsi sporco/pulito, servizi clienti con accesso a due
servizi igienici, un vano scala, una terrazza abitabile, una
piattaforma elevatrice; al piano secondo, cinque vani
tecnici, un corridoio, un vano scala, una piattaforma
elevatrice, tre grandi stanze ciascuna con bagno, un vano di
servizio.
Ha puntualizzato la difesa comunale che, con il mutamento di
destinazione d’uso da ristorante ad abitazione, le
planimetrie non sono state incise, salvo il diverso uso dei
locali (dalle sale ristorante alle stanze o soggiorni, dagli
spogliatoi alle lavanderie, dagli spazi per conversazione o
ricevimento ai corridoi, di ben 32 e 39 m²).
7. Lo scopo di lucro perseguito con la ristrutturazione
(connesso alla previsione di numerosi ambienti destinati
alla ristorazione) si rivela concreto e non meramente
potenziale, avendo la proprietà attivamente cercato un
acquirente (si veda l’articolo pubblicato sul giornale
locale il 16/12/2016 –allegato n. 12 del Comune– che dà
conto della volontà di affidare la gestione della villa come
“ristorante o come fastosa residenza per feste,
ricevimenti, convegni, o servizi di catering”).
Dunque, l’immobile è stato posto in vendita per un utilizzo
commerciale successivamente alla conversione (senza opere)
della destinazione in residenziale. In aggiunta a tale
riflessione, si osserva che le ingenti dimensioni
(classificazione A/7 con oltre 18 vani) impediscono di
qualificare il fabbricato come semplice abitazione,
trattandosi di un’unità molto ampia con i tratti
dell’immobile di lusso, e dunque di una realtà strutturale
incompatibile con le caratteristiche delineate dalla
giurisprudenza per il riconoscimento del beneficio
dell’esenzione (si ribadisce: la decorosa sistemazione del
nucleo familiare).
8. In conclusione, la pretesa avanzata è infondata e deve
essere respinta (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 26.04.2018 n. 449 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVAT |
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EDILIZIA PRIVATA:
Il comma 4, lett. d-ter),
dell'art. 16 del d.p.r. n. 380 del 2001 fa riferimento ad
ogni ipotesi di variante urbanistica ossia anche alle
varianti approvate con la procedura dello sportello unico (suap).
---------------
... per l'annullamento:
1) del provvedimento 31.07.2017 con il quale il Dirigente del
Servizio Edilizia Privata Convenzionata dell'Area 2 del
Comune di Mirano ha comunicato che il rilascio del permesso
di costruire per l'ampliamento di un fabbricato industriale
in viale ... 27 era subordinato al pagamento di un
contributo ai sensi dell'art. 16, comma 4, lett. d)-ter, DPR
06.06.2001 n. 380 di Euro 346.828,40;
2) accertamento della non debenza del contributo di cui sub. 1) per
il rilascio del permesso di costruire;
3) risarcimento del danno derivato dal ritardo nel rilascio del
permesso di costruire di cui sub. 1).
...
Parte ricorrente ha impugnato il provvedimento che subordina
il rilascio del permesso di costruire al pagamento
dell’importo del contributo di costruzione determinato in
base al maggior valore dell'immobile derivante dalla
variante urbanistica ai sensi dell'art. 16, comma 4, lett.
d-ter), DPR 06.06.2001 n. 380 di Euro 346.828,40.
Il ricorso è infondato, essendo il contributo richiesto in
relazione ad intervento in variante urbanistica. Il comune
di Mirano ha fatto corretta applicazione del quarto comma,
lettera d-ter, dell'art. 16 del d.p.r. n. 380 del 2001 che
fa riferimento ad ogni ipotesi di variante urbanistica ossia
anche alle varianti approvate con la procedura dello
sportello unico, come nel caso di specie. È stato
correttamente richiesto un contributo straordinario nella
misura del 50 per cento dell'aumento di valore dell'area.
Ne consegue anche l'infondatezza della domanda risarcitoria (TAR
Veneto, Sez. II,
sentenza 11.04.2018 n. 382 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
marzo 2018 |
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EDILIZIA PRIVATA:
All’Adunanza plenaria alcune questioni connesse alla
rideterminazione degli oneri concessori.
---------------
Edilizia – Oneri di costruzione – Rideterminazione –
Espressione di potere autoritativo o facoltà conseguente al
rilascio del titolo edilizio e possibile legittimo
affidamento del privato – Contrasto giurisprudenziale –
Rimessione all’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato.
Stante il contrasto
giurisprudenziale, sono rimesse all’Adunanza plenaria del
Consiglio di Stato le questioni:
a) se la rideterminazione degli oneri concessori in occasione del
rilascio del titolo edilizio ai sensi dell’art. 16, d.P.R.
06.06.2001, n. 380 sia estrinsecazione di potere
autoritativo da parte dell’amministrazione comunale,
nell’ambito dell’autotutela pubblicistica soggetta ai
presupposti e requisiti dell’art. 21-novies, l. 07.08.1990,
n. 241, ovvero sia espressione di una sua legittima facoltà,
nell’ambito del rapporto paritetico di natura creditizia,
conseguente al rilascio del titolo edilizio a carattere
oneroso, sottoposto nelle sue forme di esercizio al termine
prescrizionale ordinario;
b) ove dovesse prevalere la prima opzione interpretativa, se la
rideterminazione dei suddetti oneri sia da ascrivere
all’ambito dei rapporti di diritto pubblico quali che siano
le ragioni che l’abbiano ispirata, ovvero solo nei casi in
cui la stessa dipenda dalla applicazione di parametri o
coefficienti determinativi diversi (originari o
sopravvenuti) da quelli in precedenza applicati, con
esclusione quindi dei casi di errore materiale di calcolo
delle somme dovute sulla base dei medesimi parametri
normativi;
c) in alternativa ed a prescindere dall’inquadramento giuridico
della fattispecie secondo le richiamate categorie, e quale
che sia la natura giuridica da riconnettere al provvedimento
rideterminativo degli oneri concessori, se vi sia spazio, ed
in quali limiti, perché possa trovare applicazione nella
fattispecie in esame il principio del legittimo affidamento
del privato, da ricostruire vuoi sulla base della disciplina
pubblicistica dell’autotutela, vuoi su quella privatistica
della lealtà e della buona fede nell’esecuzione delle
prestazioni contrattuali, ovvero sulla base dei principi
desumibili dai limiti posti dall’ordinamento civile per
l’annullamento del contratto per errore o per altra causa
(1).
---------------
(1)
Ha chiarito il C.g.a. che la questione involge le forme, le
condizioni ed i tempi attraverso cui un’amministrazione
comunale può rideterminare (in malam partem) gli
oneri concessori dovuti dal soggetto beneficiario di un
titolo edilizio dopo che questi abbia già ritirato il
provvedimento assentivo (e magari anche iniziato e
completato i lavori) ed abbia avuto contezza in quella sede
o, ancor prima, degli importi determinati
dall’Amministrazione quale contributo commisurato alla
incidenza delle spese di urbanizzazione nonché al costo di
costruzione ed abbia, in definitiva, sulla base di quei
dati, fatto affidamento su un determinato preventivo di
spesa del programmato intervento edilizio.
Ad avviso del Consiglio di giustizia amministrativa
siciliana è necessario prendere posizione dalla questione di
carattere generale, e cioè se la rideterminazione degli
oneri concessori sia attività sussumibile nell’autotutela
amministrativa ovvero sia inquadrabile nell’ambito di un
normale rapporto paritetico di debito-credito, come tale
astretta alle regole ed ai rimedi di diritto comune.
Su tale questione non si registrano posizioni omogenee nella
giurisprudenza amministrativa.
Ed invero, secondo una prima tesi dello stesso C.g.a. (nn.
64,
188,
244,
373,
422,
790 tutte del 2007) la determinazione del
contributo darebbe luogo ad un rapporto paritetico che,
seppur azionabile da ambo le parti nel rispetto del termine
prescrizionale ordinario di dieci anni, si cristallizzerebbe
nel quantum al momento del rilascio del titolo
edilizio, nel senso che lo stesso non sarebbe suscettibile
di modifiche successive (se non nei casi di manifesto errore
di calcolo) in quanto, in applicazione dei principi
desumibili dalla disciplina dei contratti, non darebbe mai
luogo ad un errore riconoscibile (donde l’intangibilità
pressoché assoluta della originaria determinazione
amministrativa).
Secondo tale approccio ermeneutico, non vi sarebbe ragione
per l’applicazione dell’istituto dell’autotutela
amministrativa per la eventuale rideterminazione del
contributo (proprio perché il rapporto inter partes è
di natura paritetica) né, come si diceva, vi sarebbe spazio
per una modifica successiva per errore perché questo, in
quanto maturato nella sfera riservata dell’amministrazione,
sarebbe per definizione non riconoscibile e quindi
irrilevante, con la conseguenza che si dovrebbe sempre
salvaguardare la tutela dell’affidamento della parte
privata.
Altra tesi, fatta propria in alcune sentenze della quarta
sezione del Consiglio di Stato (27.09.2017,
n. 4515; id.
12.06.2017, n. 2821), pur muovendo da analoga
impostazione sulla natura paritetica del rapporto, giunge
tuttavia a conclusioni opposte. Si è osservato, infatti, che
proprio perché si tratta di un rapporto di debito-credito di
natura paritetica, soggetto a prescrizione decennale, la
rettifica è sempre possibile sia in bonam che in
malam partem, entro il limite della prescrizione del
diritto reciproco delle parti alla correzione delle esatte
somme dovute, perché per un verso il procedimento è
svincolato dal rispetto delle condizioni legali di esercizio
dell’autotutela amministrativa (in particolare, di quelle
previste all’art. 21-novies, l. n. 241 del 1990), per altro
verso la rideterminazione del contributo dovuto secondo
rigidi parametri regolamentari o tabellari non soltanto è
possibile, ma costituisce atto dovuto, residuando altrimenti
un indebito oggettivo, inammissibile nei rapporti di diritto
amministrativo.
Entrambe le tesi muovono dal rilievo, ampiamente diffuso
nella giurisprudenza amministrativa, secondo cui le
controversie in tema di determinazione della misura dei
contributi edilizi concernono l'accertamento di diritti
soggettivi che traggono origine direttamente da fonti
normative, per cui sono proponibili, a prescindere
dall'impugnazione di provvedimenti dell'amministrazione, nel
termine di prescrizione (Cons. St., sez. IV, 20.11.2012, n.
6033; id., sez. V, 04.05.1992, n. 360); ribadiscono che si
tratta di rapporto creditorio paritetico, ma pervengono,
come detto, a conclusioni assai diversificate sul piano
della tutela da apprestare alla parte privata che abbia
subito una rideterminazione in peius.
Una posizione diversa e innovativa rispetto ai riferiti
orientamenti giurisprudenziali, quantomeno in ordine alla
impostazione teorica delle questioni, si rinviene poi in
altra sentenza della quarta sezione del Consiglio di Stato (n.
5402 del 2016). Qui il rapporto nascente dalla
determinazione del contributo (nel caso esaminato, di
costruzione) è attratto nell’orbita del regime di diritto
pubblico, in quanto qualificato prestazione patrimoniale
imposta di carattere non tributario, con conseguente
applicabilità, in astratto, delle regole dell’autotutela
amministrativa.
E tuttavia, sul piano della tutela dell’affidamento della
parte privata rispetto ad una delibera di giunta comunale di
rideterminazione del contributo di costruzione (sia pur di
adeguamento alla soglia minima del 5% fissata dalla legge
nazionale all’art. 16, comma 3, d.P.R. n. 380 del 2001), si
afferma che le garanzie partecipative (in particolare, art.
10-bis, l. n. 241 del 1990) devono essere pur sempre
coordinate con le previsioni dell’art. 21-octies, l. cit. e
con le esigenze di finalizzazione del procedimento con
l’applicazione della tariffa dovuta. Si richiama al
proposito la giurisprudenza del Consiglio di Stato sul
recupero di somme indebitamente corrisposte
dall’amministrazione (Cons.
St., sez. V, n. 5863 del 2015), fattispecie che
viene assimilata a quella di causa, relativa a somme dovute
dal privato e non riscosse dall’ente comunale.
Tale decisione ha segnato un cambio di passo rispetto ai
precedenti arresti della medesima sezione in ordine
all’inquadramento generale nei sensi anzidetti dell’istituto
del contributo previsto dall’art. 16 cit.
Ricordate le diverse tesi emerse sull’argomento, il C.g.a.
ha affermato che l’ascrizione all’alveo dei rapporti di
diritto pubblico del contributo in questione imporrebbe
quindi, in via consequenziale, l’applicazione del regime
proprio dell’autotutela amministrativa all’attività di
rideterminazione delle somme dovute a tal titolo dalla parte
privata, quantomeno nei casi in cui non si tratti di por
mano ad un semplice errore materiale di calcolo desumibile
dagli atti del procedimento ovvero non si tratti di
rideterminazione imposta dall’adozione di un nuovo
provvedimento abilitativo edilizio, anche semplicemente per
effetto della intervenuta decadenza temporale del primo (ma
qui si resterebbe in ogni caso fuori dall’ambito
dell’autotutela) (CGARS,
ordinanza 27.03.2018 n. 175
- commento tratto da e link a
www.giustizia-amministrativa.it).
---------------
MASSIMA
8. Orbene, l’esame della questione nel merito impone uno
sforzo ermeneutico ricostruttivo necessario per la corretta
qualificazione giuridica della fattispecie, dovendosi
stabilire se debba qui farsi applicazione di istituti di
stretta matrice pubblicistica (ed in particolare
dell’autotutela e delle sue modalità di esercizio) ovvero
degli stessi frammisti ad istituti di diritto privato: con
possibili esiti diversificati delle questioni controverse, a
seconda che si ritenga applicabile l’uno o l’altro
strumentario giuridico.
8.1. Più in particolare,
qui si tratta della dibattuta
questione involgente le forme, le condizioni ed i tempi
attraverso cui un’amministrazione comunale può rideterminare
(in malam partem) gli oneri concessori dovuti dal
soggetto beneficiario di un titolo edilizio dopo che questi
abbia già ritirato il provvedimento assentivo (e magari
anche iniziato e completato i lavori) ed abbia avuto
contezza in quella sede o, ancor prima, degli importi
determinati dalla amministrazione quale contributo
commisurato alla incidenza delle spese di urbanizzazione
nonché al costo di costruzione: ed abbia, in definitiva,
sulla base di quei dati, fatto affidamento su un determinato
preventivo di spesa del programmato intervento edilizio.
9. E’ bene subito precisare che i casi qui in esame esulano
dalle ipotesi del mero errore di calcolo degli oneri
concessori desumibile già dall’iniziale atto determinativo
degli importi dovuti.
Qui è accaduto, in entrambe le fattispecie di causa, che il
Comune di Cinisi abbia dapprincipio fissato l’importo dovuto
dal signor Pa. e dalla ditta Di Sa. Fa. s.n.c. a
titolo di oneri di urbanizzazione, nell’ambito
rispettivamente della concessione edilizia n. 3 del 22.10.2002 (e della successiva variante n. 2 del 28.03.2003) nonché della concessione edilizia n. 2 del 22.10.2002 (e della successiva variante n. 1 del 28.03.2003).
Indi, a distanza di oltre quattro anni dalla data di tali
atti, ha provveduto a rideterminare (con le già richiamate
note n. 9004 e 9005 del 07.05.2007) gli importi dovuti a
tal titolo dalle parti qui appellate, incrementandoli in
misura corrispondente a circa quattro volte gli importi
originari (portandoli ad euro 167.223,47 per il Pa. ed
a euro 181.590,54 per la società Di. s.r.l., già Di sa.
Fa. s.n.c.).
A base di tali rideterminazioni il Comune ha addotto
l’erronea determinazione originaria dei rispettivi
contributi, effettuata sulla base della tariffa più bassa
(quella da applicare sulla superficie dell’insediamento e
non dell’intero lotto) e su una superficie minore (quella
occupata dagli edifici, con esclusione degli spazi di
pertinenza esterni). In sostanza, l’errore sarebbe stato
duplice, perché sarebbe stata applicata un’unica tariffa
(quella più bassa) ad una superficie inferiore a quella
effettiva, invece che le previste due tariffe in relazione
ai distinti parametri della superficie lorda dei fabbricati
e della superficie complessiva dell’insediamento.
Si tratta dunque di errore di impostazione dei criteri di
calcolo, e non di mero erroneo svolgimento del calcolo sulla
base di criteri corretti.
10. La difesa del Comune di Cinisi assume che l’errore
sarebbe stato indotto dal tecnico di fiducia delle parti
private, che avrebbe fornito dati fuorvianti sulla cui base
sarebbe maturato l’errore sulla originaria determinazione
dei contributi. Inoltre, il Comune sostiene che la
fattispecie in esame sarebbe ben distinta da quelle oggetto
delle decisioni di questo CGA risalenti al 2007 (v. oltre al
par. 13) di accoglimento dei ricorsi delle parti private, in
ragione del fatto che:
- nelle vicende qui in esame la originaria determinazione
comunale sarebbe avvenuta con la clausola salvo conguaglio,
onde non vi sarebbe un affidamento della parte privata
meritevole di tutela;
- l’errore nel calcolo del contributo sarebbe evidente e
riconoscibile;
- non vi sarebbe stato adempimento integrale
dell’obbligazione di pagamento degli oneri determinati con
il primo calcolo;
- la stessa parte avrebbe richiesto il riesame della
quantificazione ritenendo di essere esente, onde la
situazione giuridica avrebbe dovuto ritenersi in fieri e non
esaurita, sì da far ritenere legittima la rettifica operata
dalla amministrazione comunale nel superiore interesse
pubblico alla corretta contribuzione dei cittadini alle
opere di urbanizzazione.
11. Osserva il Collegio che, al di là di tutti questi
profili e degli altri che le cause pongono e che
indubbiamente dovranno essere affrontati e decisi con il
merito, se del caso anche per i profili quantificatori
vertendo le cause in una materia affidata alla giurisdizione
esclusiva del g.a. (ai sensi dell’art. 133, lett. f), c.p.a.),
per la definizione degli appelli sia tuttavia ancor prima
necessario prendere posizione sulla cennata questione di
carattere generale, e cioè se la rideterminazione degli
oneri concessori sia attività sussumibile nell’autotutela
amministrativa ovvero sia inquadrabile nell’ambito di un
normale rapporto paritetico di debito-credito, come tale
astretta alle regole ed ai rimedi di diritto comune.
12. Ora, poiché su tale questione non si registrano
posizioni omogenee nella giurisprudenza amministrativa, il
Collegio ritiene di deferirla all’Adunanza plenaria del
Consiglio di Stato, ricorrendo l’ipotesi prevista dall’art.
99 c.p.a., atteso che il suindicato punto di diritto ha dato
luogo a contrasti giurisprudenziali che non appare utile
alimentare ulteriormente, ma piuttosto dirimere, affidando
la risoluzione della questione al giudice della nomofilachia.
13. In sintesi, le interpretazioni che sono state sostenute
in giurisprudenza sulla natura del contributo dovuto in
occasione del rilascio del titolo edilizio ai sensi
dell’art. 16 d.P.R. n. 380 del 2001 e sulla possibilità di
rideterminarlo possono essere così ricordate.
13.1. Secondo una prima tesi di questo CGA (cfr. sentenze
CGARS nn. 64, 188, 244, 373, 422, 790 tutte del 2007) la
determinazione del contributo darebbe luogo ad un rapporto
paritetico che, seppur azionabile da ambo le parti nel
rispetto del termine prescrizionale ordinario di dieci anni,
si cristallizzerebbe nel quantum al momento del rilascio del
titolo edilizio, nel senso che lo stesso non sarebbe
suscettibile di modifiche successive (se non nei casi di
manifesto errore di calcolo) in quanto, in applicazione dei
principi desumibili dalla disciplina dei contratti, non
darebbe mai luogo ad un errore riconoscibile (donde
l’intangibilità pressoché assoluta della originaria
determinazione amministrativa).
Secondo tale approccio
ermeneutico, non vi sarebbe ragione per l’applicazione
dell’istituto dell’autotutela amministrativa per la
eventuale rideterminazione del contributo (proprio perché il
rapporto inter partes è di natura paritetica) né, come si
diceva, vi sarebbe spazio per una modifica successiva per
errore perché questo, in quanto maturato nella sfera
riservata dell’amministrazione, sarebbe per definizione non
riconoscibile e quindi irrilevante, con la conseguenza che
si dovrebbe sempre salvaguardare la tutela dell’affidamento
della parte privata.
13.2. Altra tesi fatta propria in alcune sentenze della
quarta sezione del Consiglio di Stato (cfr. in particolare,
Cons. St., IV, 27.09.2017 n. 4515; Cons. St., IV, 12.06.2017
n. 2821), pur muovendo da analoga impostazione sulla natura
paritetica del rapporto, giunge tuttavia a conclusioni
opposte.
Si è osservato, infatti, che proprio perché si tratta di un
rapporto di debito-credito di natura paritetica, soggetto a
prescrizione decennale, la rettifica è sempre possibile sia
in bonam che in malam partem, entro il limite della
prescrizione del diritto reciproco delle parti alla
correzione delle esatte somme dovute, perché per un verso il
procedimento è svincolato dal rispetto delle condizioni
legali di esercizio dell’autotutela amministrativa (in
particolare, di quelle previste all’art. 21-novies l. n. 241
del 1990), per altro verso la rideterminazione del
contributo dovuto secondo rigidi parametri regolamentari o
tabellari non soltanto è possibile, ma costituisce atto
dovuto, residuando altrimenti un indebito oggettivo,
inammissibile nei rapporti di diritto amministrativo.
Più in particolare, nella sentenza n. 2821 del 2017 si
afferma che, in sostanza, l’applicazione di una tariffa
diversa da quella corretta altro non è che un errore di
calcolo della tariffa, sicché vi sarebbe sempre spazio per
la rettifica, purché si tratti della tariffa vigente
all’epoca del rilascio del titolo edilizio (con esclusione
quindi di ogni forma di applicazione di regimi tariffari in
via retroattiva).
13.3. Entrambe le tesi muovono dal rilievo, ampiamente
diffuso nella giurisprudenza amministrativa, secondo cui le
controversie in tema di determinazione della misura dei
contributi edilizi concernono l'accertamento di diritti
soggettivi che traggono origine direttamente da fonti
normative, per cui sono proponibili, a prescindere
dall'impugnazione di provvedimenti dell'amministrazione, nel
termine di prescrizione (Cons. St., sez. IV, 20.11.2012 n. 6033; Id., sez. V,
04.05.1992, n. 360);
ribadiscono che si tratta di rapporto creditorio paritetico,
ma pervengono, come detto, a conclusioni assai diversificate
sul piano della tutela da apprestare alla parte privata che,
come nella specie, abbia subito una rideterminazione in peius.
13.4. Una posizione diversa e innovativa rispetto ai
riferiti orientamenti giurisprudenziali, quantomeno in
ordine alla impostazione teorica delle questioni, si
rinviene poi in altra sentenza della quarta sezione del
Consiglio di Stato (cfr. Cons. St., IV, n. 5402 del 2016).
Qui il rapporto nascente dalla determinazione del contributo
(nel caso esaminato, di costruzione) è attratto nell’orbita
del regime di diritto pubblico, in quanto qualificato
prestazione patrimoniale imposta di carattere non
tributario, con conseguente applicabilità, in astratto,
delle regole dell’autotutela amministrativa.
E tuttavia, sul
piano della tutela dell’affidamento della parte privata
rispetto ad una delibera di giunta comunale di
rideterminazione del contributo di costruzione (sia pur di
adeguamento alla soglia minima del 5% fissata dalla legge
nazionale all’art. 16, comma 3, d.P.R. n. 380 del 2001), si
afferma che le garanzie partecipative (in particolare, art.
10-bis l. 241 del 1990) devono essere pur sempre coordinate
con le previsioni dell’art. 21-octies l. cit. e con le
esigenze di finalizzazione del procedimento con
l’applicazione della tariffa dovuta.
Si richiama al
proposito la giurisprudenza del Consiglio di Stato sul
recupero di somme indebitamente corrisposte dalla
amministrazione (Cons. St., V, n. 5863/2015), fattispecie
che viene assimilata a quella di causa, relativa a somme
dovute dal privato e non riscosse dall’ente comunale.
Al di là del contenuto negativo delle statuizioni sui
singoli capi di domanda, la decisione si segnala per il
cambio di passo rispetto ai precedenti arresti della
medesima sezione in ordine all’inquadramento generale nei
sensi anzidetti dell’istituto del contributo previsto
dall’art. 16 cit.
13.5. In tale contesto, non potrebbe non farsi menzione di
quanto affermato dalla Adunanza plenaria del Consiglio di
Stato nella sentenza n. 24 del 2016. In tale decisione, resa
sulla diversa questione della applicabilità delle sanzioni
per ritardo nel pagamento dei contributi, pur in presenza di
una polizza fideiussoria a garanzia del debito del
contributo ammesso a dilazione, si è tra l’altro affermato –per quel che qui rileva– che il contributo dovuto dal
privato in occasione del ritiro di un permesso di costruire,
quale prestazione patrimoniale imposta funzionale a
remunerare l’esecuzione di opere pubbliche, si colloca
pacificamente nell’alveo dei rapporti di diritto pubblico.
Si è in particolare affermato che il contributo di
costruzione dovuto dal soggetto che intraprenda
un’iniziativa edificatoria rappresenta una compartecipazione
del privato alla spesa pubblica occorrente alla
realizzazione delle opere di urbanizzazione e ha natura di
prestazione patrimoniale imposta, di carattere non
tributario. Per tale motivo, le prestazioni da adempiere da
parte dell’Amministrazione comunale e del privato
intestatario del titolo edilizio non sono tra loro in
posizione sinallagmatica, con la conseguenza che il soggetto
obbligato è tenuto a corrispondere il contributo di
costruzione nel rispetto dei termini stabiliti.
Il suo
mancato pagamento legittima quindi l’Amministrazione ad
esercitare il suo potere-dovere in ordine all’applicazione
di sanzioni pecuniarie crescenti in rapporto all’entità del
ritardo (ai sensi dell’art. 42 d.P.R. n. 380 del 2001) e, in
caso di persistenza dell’inadempimento, alla riscossione del
contributo e delle sanzioni secondo le norme vigenti in
materia di riscossione coattiva delle entrate.
In effetti, le conclusioni della Plenaria meritano
condivisione, quantomeno se restano ferme le conclusioni
sulla natura di prestazione patrimoniale imposta del
contributo di che trattasi e sul suo carattere non
sinallagmatico rispetto agli interventi di urbanizzazione
che mettono capo all’ente pubblico, secondo un livello di
programmazione temporale e qualitativo sul quale il privato
non avrebbe titolo per interferire.
13.6. L’ascrizione all’alveo dei rapporti di diritto
pubblico del contributo in questione imporrebbe quindi, in
via consequenziale, l’applicazione del regime proprio
dell’autotutela amministrativa all’attività di
rideterminazione delle somme dovute a tal titolo dalla parte
privata, quantomeno nei casi in cui non si tratti di por
mano ad un semplice errore materiale di calcolo desumibile
dagli atti del procedimento ovvero non si tratti di
rideterminazione imposta dall’adozione di un nuovo
provvedimento abilitativo edilizio, anche semplicemente per
effetto della intervenuta decadenza temporale del primo (ma
qui si resterebbe in ogni caso fuori dall’ambito
dell’autotutela).
Se il Collegio potesse esprimere una preferenza rispetto
alle suindicate opzioni ermeneutiche, osserverebbe che la
soluzione da ultimo proposta, oltre a recuperare coerenza
sul piano dogmatico con il sistema giuridico di riferimento,
si rivelerebbe più appropriata anche in ordine al miglior
grado di contemperamento delle esigenze pubblicistiche
sottese alla corretta determinazione del contributo dovuto
(e alla salvaguardia degli interessi erariali), anche in
sede di emenda di precedenti errori di quantificazione, e le
esigenze di tutela della parte privata riguardo
all’affidamento riposto nella originaria determinazione
dell’ente.
A tale ultimo proposito, infatti, soccorrerebbero
gli istituti posti a presidio delle garanzie partecipative
previsti per l’attività amministrativa di secondo grado,
oltre che naturalmente il rispetto delle stesse condizioni
legali di legittimo esercizio dell’autotutela, avuto
riguardo ai tempi, alle forme ed ai contenuti motivazionali
dell’atto espressivo dello ius poenitendi (cfr., in
particolare, artt. 21-quinquies, octies e novies della l. n.
241 del 1990).
14. Stante il contrasto giurisprudenziale in atto sulle
suindicate questioni si richiede, ai sensi dell'art. 99, co.
1, c.p.a, l’intervento dell’Adunanza plenaria del Consiglio
di Stato, cui vanno rimessi gli atti di causa, al fine della
definizione delle seguenti questioni di diritto:
a) se la rideterminazione degli oneri concessori sia
estrinsecazione di potere autoritativo da parte della
amministrazione comunale, nell’ambito dell’autotutela
pubblicistica soggetta ai presupposti e requisiti dell’art.
21-novies, l. n. 241/1990, ovvero sia espressione di una sua
legittima facoltà, nell’ambito del rapporto paritetico di
natura creditizia, conseguente al rilascio del titolo
edilizio a carattere oneroso, sottoposto nelle sue forme di
esercizio al termine prescrizionale ordinario;
b) ove dovesse prevalere la prima opzione interpretativa, se
la rideterminazione dei suddetti oneri sia da ascrivere
all’ambito dei rapporti di diritto pubblico quali che siano
le ragioni che l’abbiano ispirata, ovvero solo nei casi in
cui la stessa dipenda dalla applicazione di parametri o
coefficienti determinativi diversi (originari o
sopravvenuti) da quelli in precedenza applicati, con
esclusione quindi dei casi di errore materiale di calcolo
delle somme dovute sulla base dei medesimi parametri
normativi;
c) in alternativa ed a prescindere dall’inquadramento
giuridico della fattispecie secondo le richiamate categorie,
e quale che sia la natura giuridica da riconnettere al
provvedimento rideterminativo degli oneri concessori, se vi
sia spazio, ed in quali limiti, perché possa trovare
applicazione nella fattispecie in esame il principio del
legittimo affidamento del privato, da ricostruire vuoi sulla
base della disciplina pubblicistica dell’autotutela, vuoi su
quella privatistica della lealtà e della buona fede
nell’esecuzione delle prestazioni contrattuali, ovvero sulla
base dei principi desumibili dai limiti posti
dall’ordinamento civile per l’annullamento del contratto per
errore o per altra causa.
15. Tutte le altre questioni che la causa pone e le spese di
lite saranno definite con la sentenza definitiva.
P.Q.M.
Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione
Siciliana, in sede giurisdizionale, non definitivamente
pronunciando sui ricorsi in epigrafe, ne dispone, previa
loro riunione, il deferimento all'adunanza plenaria del
Consiglio di Stato limitatamente al motivo degli appelli
incidentali indicato in motivazione. |
EDILIZIA PRIVATA: Ripetibilità
delle somme versate a titolo di contributo di concessione.
Il TAR Milano richiama l’orientamento
della giurisprudenza secondo il quale il contributo di
costruzione è strettamente correlato all'attività di
trasformazione del territorio e, conseguentemente, ove tale
circostanza non si verifichi, il relativo pagamento risulta
privo della causa dell'originaria obbligazione di dare.
Da ciò l’ulteriore corollario che, allorché si dia luogo
alla rinuncia al permesso di costruire o questo rimanga
inutilizzato, ovvero nelle ipotesi di intervenuta decadenza
del titolo edilizio, sorge in capo alla p.a., anche ai sensi
dell’articolo 2033 c.c. o, comunque, dell’articolo 2041
c.c., l'obbligo di restituzione delle somme corrisposte a
titolo di contributo per oneri di urbanizzazione e costo di
costruzione, e il diritto del privato a pretenderne la
restituzione.
Il diritto alla restituzione del contributo di costruzione
sorge, poi, non solamente nel caso in cui la mancata
realizzazione delle opere sia totale, ma anche ove il
permesso di costruire sia stato utilizzato solo
parzialmente.
Ciò posto, il TAR Milano aggiunge che:
- deve pure tenersi presente che, se ciò vale, in linea di
principio, nelle ipotesi di rilascio di un ordinario
permesso di costruire, tuttavia la situazione dei rapporti
di diritto-obbligo gravanti tra le parti può atteggiarsi
diversamente quando il titolo edilizio sia chiesto e
ottenuto in esecuzione di previsioni contenute in una
convenzione urbanistica;
- laddove i rapporti tra il privato e l’Amministrazione siano
regolati da un’apposita convenzione, occorre verificare
quale sia stato l’effettivo intento delle parti in ordine
alla corresponsione del contributo di costruzione;
- nel caso in cui le modalità di assolvimento dell’obbligazione del
privato siano direttamente funzionalizzate all’attuazione
delle trasformazioni oggetto della convenzione (come nelle
ipotesi di realizzazione di opere di urbanizzazione a
scomputo degli oneri dovuti, o di opere che il privato
accetti di realizzare in aggiunta agli oneri dovuti, o
ancora laddove la convenzione disciplini le opere da
realizzarsi da parte dell’Amministrazione, prevedendo
tuttavia l’accollo del relativo onere economico, con varie
modalità, a carico del privato) le obbligazioni attinenti al
contributo di costruzione (e soprattutto quelle relative
agli oneri di urbanizzazione) trovano la propria
giustificazione causale non solo e non tanto nel carico
urbanistico specificamente riconducibile alla quantità di
edificazione che forma oggetto di ciascun titolo edilizio
rilasciato in esecuzione della convenzione, bensì nel
disegno relativo al complessivo assetto urbanistico
stabilito dalla stessa convenzione quale risultato finale
derivante dalla relativa attuazione.
In questo caso, la mancata esecuzione degli interventi
privati non farà venir meno la causa giustificativa delle
obbligazioni attinenti alla realizzazione di opere
pubbliche, essendo queste obbligazioni stabilite in funzione
dell’attuazione del piano, e non del singolo e specifico
intervento edificatorio assentito con il titolo edilizio;
- al contrario, laddove la convenzione si limiti a disciplinare le
modalità di corresponsione del contributo di costruzione,
senza far emergere la specifica correlazione delle
prestazioni del privato rispetto all’attuazione delle
trasformazioni previste dal piano, l’obbligazione inerente
al contributo rimane correlata soltanto al carico
urbanistico ascrivibile allo specifico intervento oggetto di
ciascun titolo edilizio, secondo i principi sopra
richiamati; in questo caso occorre applicare gli ordinari
principi e, quindi, affermare la ripetibilità delle
eventuali quote di contributo commisurate (esclusivamente)
alle parti di intervento non effettivamente realizzate (commento tratto da https://camerainsubria.blogspot.it).
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MASSIMA
1. Con ricorso portato alla notifica il 09.05.2014 e
depositato il successivo 13 maggio, la società Pe.RE a r.l. ha agito per ottenere la condanna del Comune di
Bernareggio al pagamento in suo favore della somma di euro
189.944,54 o della diversa somma che risultasse dovuta in
corso di causa, maggiorata degli interessi legali dal 19.07.2013 al saldo effettivo; somma pretesa dalla
ricorrente a titolo di parziale rimborso degli oneri di
urbanizzazione secondaria corrisposti in relazione
all’intervento edificatorio oggetto del permesso di
costruire n. 7/2009 e successive varianti, a causa della
mancata realizzazione di parte delle opere assentite.
2. Secondo quanto esposto nel ricorso e risultante dalla
documentazione a esso allegata, il Comune di Bernareggio ha
rilasciato alle società Pa. s.p.a. e Ro. s.r.l. il
permesso di costruire n. 7/2009 del 23.06.2009, avente
ad oggetto la realizzazione di due corpi di fabbrica
nell’ambito di un piano per gli insediamenti produttivi (PIP),
regolato da una convenzione precedentemente prorogata con
deliberazione del Consiglio comunale n. 23 del 22.04.2009.
L’intervento oggetto del permesso di costruire presentava
una superficie lorda di pavimento (SLP) di progetto di
16.685,76 e, a fronte di tale prevista realizzazione, il
Comune aveva quantificato il contributo di costruzione in
complessivi euro 647.240,25, di cui euro 558.138,34 per
oneri di urbanizzazione secondaria ed euro 89.101,90 per
contributo per lo smaltimento dei rifiuti. Non era, invece,
dovuta la corresponsione di alcuna somma a titolo di oneri
di urbanizzazione primaria.
Il permesso di costruire è stato poi volturato in favore
dell’odierna ricorrente Pe.RE ed è stato, quindi, oggetto
di numerose varianti, per cui l’assetto finale
dell’intervento prevedeva la realizzazione non più di due
corpi di fabbrica, bensì di quattro lotti, denominati A, B,
C e D.
Quest’ultimo lotto, tuttavia, non è stato realizzato entro i
termini di efficacia del titolo edilizio.
Con provvedimento del 09.08.2013, emesso in relazione a
un’istanza di permesso di costruire in variante presentata
dalla società, il Comune ha poi affermato –tra l’altro–
l’impossibilità di prorogare il permesso di costruire.
Secondo quanto allegato nel ricorso, la realizzazione
dell’intervento sarebbe stata poi preclusa dalla
sopravvenienza del Piano Territoriale di Coordinamento
Provinciale (PTCP) di Monza e della Brianza, che avrebbe
reso l’area inedificabile.
Va, infine, evidenziato che, con nota inviata mediante posta
elettronica certificata in data 19.07.2013, Pe.RE ha
chiesto al Comune il rimborso della quota degli oneri
versati, al rilascio del titolo edilizio del 2009, con
riferimento alla parte di intervento non realizzata.
3. Non avendo ottenuto il rimborso richiesto, la società ha
proposto il presente giudizio, con il quale ha allegato il
carattere indebito delle somme versate in relazione al
rilascio del permesso di costruire del 2009 e commisurate
alle superfici non realizzate, e ha domandato la condanna
del Comune alla restituzione dei relativi importi.
Più in dettaglio, la ricorrente ha affermato che:
- la SLP prevista dal permesso di costruire del 2009 e in
relazione alla quale sono stati corrisposti a suo tempo gli
oneri di urbanizzazione secondaria e il contributo per lo
smaltimento dei rifiuti era pari, come detto, a 16.685,76
mq;
- a seguito delle varianti al titolo, la superficie in
progetto si è ridotta a 13.420,41 mq, dei quali 1.853,40 mq
imputabili al lotto D, non realizzato;
- la superficie non effettivamente realizzata, rispetto a
quanto previsto dal permesso di costruire originario,
ammonterebbe a mq 4.896,74 (al netto di due atti di cessione
di volumetria agli acquirenti degli immobili effettivamente
realizzati, per complessivi mq 220,00);
- conseguentemente, la società sarebbe creditrice del Comune
per il complessivo importo di euro 189.944,54 derivante
dalla somma dei maggiori oneri di urbanizzazione secondaria
versati per 163.795,95 euro (4.896,74 x 33,45) e della
maggior somma pagata a titolo di contributo per lo
smaltimento dei rifiuti per euro 26.148,59 (4.896,74 x
5,34).
4. In data 24.12.2014 il Comune di Bernareggio si è
costituito in giudizio, con mera memoria formale.
5. L’11.10.2017, in prossimità dell’udienza pubblica
fissata per la trattazione della causa, Pe.Re ha
depositato una memoria corredata da documentazione.
5.1 In particolare –per quanto qui rileva– la ricorrente
ha depositato copia delle reversali di incasso dei pagamenti
effettuati.
5.2 Ha, inoltre, precisato nella suddetta memoria l’importo
del credito vantato nei confronti del Comune in euro
198.555,92. Al riguardo, la parte ha affermato che
l’indicazione di una somma minore nel ricorso (come detto,
euro 189.944,54) fosse stata dovuta allo scomputo delle SLP
che Pe.Re aveva alienato, mediante cessione di
volumetria, agli acquirenti dei fabbricati realizzati.
Tuttavia, la suddetta cessione non sarebbe stata ritenuta
dall’Amministrazione quale modalità idonea ad assolvere gli
oneri dovuti da parte dell’acquirente, per cui i relativi
importi sarebbero stati nuovamente posti a carico della
ricorrente. Da ciò la necessità di rideterminare in aumento
le superfici in relazione alle quali sarebbero stati
corrisposti oneri non dovuti.
5.3 Infine, la ricorrente ha sottolineato la circostanza
che, nella delibera di costituzione in giudizio, il Comune
aveva affermato di non ravvisare l’immediata esigenza di
restituzione degli oneri, perché l’eventuale accoglimento
del ricorso proposto dalla stessa Penta RE contro il PTCP
avrebbe consentito di completare l’intervento edificatorio
progettato.
Tuttavia, la pretesa di trattenere gli oneri
versati in eccesso dalla ricorrente sarebbe stata mantenuta
dall’Amministrazione anche dopo che il Comune e la società –in un momento successivo alla proposizione del ricorso–
hanno acclarato la compatibilità dell’intervento con il PTCP,
avviando quindi la stipulazione di un nuovo piano attuativo
relativo alle sole opere non ancora eseguite.
In altri termini, la parte stigmatizza la circostanza che, a
seguito della stipulazione della nuova convenzione, gli
oneri relativi a tali opere verrebbero ad essere pretesi due
volte dall’Amministrazione (una prima volta per effetto dei
pagamenti effettuati in dipendenza del permesso di costruire
del 2009 e una seconda volta a seguito della stipulazione
della nuova convenzione).
6. La stessa ricorrente ha, poi, depositato una ulteriore
memoria il 31.10.2017.
7. Il 14.11.2017 la difesa comunale ha depositato una
memoria, con la quale:
- ha chiesto il rinvio della causa per la trattazione
congiunta con il ricorso RG 177/2014, avente ad oggetto il
diniego di proroga del permesso di costruire n. 7/2009;
- ha affermato che la ricorrente avrebbe accettato di
espungere dal testo della nuova convenzione urbanistica il
riferimento agli importi già versati in dipendenza del
precedente titolo edilizio, con ciò prestando acquiescenza
alla pretesa comunale di trattenere definitivamente gli
oneri già corrisposti, senza alcun rimborso o alcuna
compensazione in dipendenza del rinnovato accordo inerente
alla realizzazione delle opere non eseguite;
- ha sostenuto che, in ogni caso, gli importi
originariamente versati non potrebbero essere restituiti, in
quanto l’intervento non era legittimato da un titolo
edilizio “semplice”, ma era oggetto di una convezione
urbanistica, nella quale la parte privata aveva assunto
l’obbligazione di pagare gli oneri dipendenti
dall’attuazione del PIP; conseguentemente, il Comune avrebbe
contato sull’incasso degli importi pattuiti ai fini della
realizzazione degli ulteriori interventi resi necessari
dalla realizzazione dell’insediamento produttivo.
8. Con un ulteriore scritto difensivo, depositato il 18.11.2017, la ricorrente ha eccepito l’inammissibilità
della memoria comunale, in quanto esorbitante dai contenuti
tipici assegnati dalla disciplina processuale alle repliche.
In subordine, in caso di ritenuta ammissibilità della
produzione avversaria, la società ha chiesto di reputare
ammissibile anche le proprie ulteriori difese. In questa
prospettiva, Penta RE ha contestato le tesi
dell’Amministrazione e le stesse circostanze da questa
allegate, e ha, inoltre, prodotto ulteriore documentazione,
comprendente –tra l’altro– l’originaria convenzione
urbanistica del 1998, accessoria al PIP.
La ricorrente ha, infine, chiesto la condanna del Comune per
lite temeraria.
...
13. Nel merito il ricorso è fondato e va accolto. E, al
riguardo, deve pure aggiungersi che, in ogni caso, tale
conclusione non è confutata, ma è anzi avvalorata, dalle pur
tardive produzioni della difesa comunale.
Per completezza espositiva tali difese verranno quindi prese
comunque in considerazione nel prosieguo della trattazione,
come pure le conseguenti ulteriori produzioni della
ricorrente, che vanno anch’esse esaminate, a garanzia della
pienezza del contraddittorio, unitamente alle prime. Ciò
ferma restando la valutazione del comportamento processuale
della parte resistente ai fini della decisione sulle spese.
14. La questione oggetto del giudizio attiene
all’accertamento della sussistenza del diritto alla
restituzione delle maggiori somme versate a titolo di oneri
di urbanizzazione secondaria e di contributo per lo
smaltimento dei rifiuti per la parte riferita alle opere non
realizzate nell’ambito di quelle assentite con il permesso
di costruire n. 7/2009, avente ad oggetto la costruzione di
capannoni industriali a seguito di assegnazione di aree
nell’ambito di un PIP.
15. Va preliminarmente escluso che la ricorrente abbia
prestato acquiescenza alla pretesa comunale di trattenere
tali maggiori importi.
L’acquiescenza è infatti configurabile, sul piano logico e
giuridico, soltanto a fronte dell’esercizio di poteri
autoritativi dell’Amministrazione. Laddove, invece, si
faccia questione, come nel caso oggetto del presente
giudizio, di rapporti di diritto-obbligo tra le parti, potrà
–al più– parlarsi di rinuncia al proprio diritto o di
riconoscimento del debito, ma non di accettazione degli
effetti del provvedimento eventualmente illegittimo.
Peraltro, anche tali eventualità non sono riscontrabili nel
caso di specie.
Il nuovo accordo si limita, infatti, a disciplinare le
obbligazioni nascenti dalle previsioni del nuovo piano,
senza nulla dire in ordine ai pregressi rapporti tra le
parti. Le pattuizioni sono, quindi, del tutto neutre sotto
tale profilo. Circostanza, questa, che è del resto
comprensibile, stante la pendenza del contenzioso oggetto
del presente giudizio al tempo della negoziazione della
nuova convenzione e, quindi, l’esistenza di una situazione
non definita tra le parti in relazione ai rapporti
preesistenti.
16. Escluso, pertanto, che la ricorrente abbia comunque
acconsentito alla pretesa comunale, deve ricordarsi che,
secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza, il
contributo di costruzione è strettamente correlato
all'attività di trasformazione del territorio.
Conseguentemente, ove tale circostanza non si verifichi, il
relativo pagamento risulta privo della causa dell'originaria
obbligazione di dare.
Da ciò l’ulteriore corollario che,
allorché si dia luogo alla rinuncia al permesso di costruire
o questo rimanga inutilizzato, ovvero nelle ipotesi di
intervenuta decadenza del titolo edilizio, sorge in capo
alla p.a., anche ai sensi dell’articolo 2033 c.c. o,
comunque, dell’articolo 2041 c.c., l'obbligo di restituzione
delle somme corrisposte a titolo di contributo per oneri di
urbanizzazione e costo di costruzione, e il diritto del
privato a pretenderne la restituzione (Cons. Stato, Sez. V,
23.06.2003 n. 3714; Id., 12.06.1995, n. 894; Id. 02.02.1988, n. 105; TAR Lombardia, Milano, Sez. II,
01.03.2017, n. 496; Id., 07.01.2016, n. 12; Id., 15.12.2015, n. 2642; Id. 22.10.2014, n. 2527; TAR
Lazio, Sez. II-bis, 10.11.2015, n. 12693; TAR Umbria,
27.02.2014, n. 135).
La giurisprudenza ha, poi, avuto modo di chiarire che
il
diritto alla restituzione del contributo di costruzione
sorge non solamente nel caso in cui la mancata realizzazione
delle opere sia totale, ma anche ove il permesso di
costruire sia stato utilizzato solo parzialmente (in questo
senso: TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 496 del 2017,
cit.; Id. n. 12 del 2016, cit.; Id., n. 2642 del 2015, cit.;
Id. 24.03.2010, n. 728; TAR Lazio, n. 12693 del 2015,
cit.; per il diritto al rimborso del contributo in caso di
mancata costruzione di uno dei tre edifici previsti nel
complessivo intervento edilizio: Cons. Stato, Sez. V, 23.06.2003, n. 3714).
17. Ciò posto, deve pure tenersi presente che,
se ciò vale,
in linea di principio, nelle ipotesi di rilascio di un
ordinario permesso di costruire, tuttavia la situazione dei
rapporti di diritto-obbligo gravanti tra le parti può
atteggiarsi diversamente quando il titolo edilizio sia
chiesto e ottenuto in esecuzione di previsioni contenute in
una convenzione urbanistica.
17.1 Laddove, infatti, i rapporti tra il privato e
l’Amministrazione siano regolati da un’apposita convenzione,
occorre verificare attentamente quale sia stato l’effettivo
intento delle parti in ordine alla corresponsione del
contributo di costruzione.
In particolare, occorre chiedersi se le modalità di
assolvimento dell’obbligazione del privato siano
direttamente funzionalizzate all’attuazione delle
trasformazioni oggetto della convenzione, ovvero non
presentino tale correlazione. Esempi del primo caso sono
riscontrabili tipicamente nelle ipotesi di realizzazione di
opere di urbanizzazione a scomputo degli oneri dovuti, o di
opere che il privato accetti di realizzare in aggiunta agli
oneri dovuti, o ancora laddove la convenzione disciplini le
opere da realizzarsi da parte dell’Amministrazione,
prevedendo tuttavia l’accollo del relativo onere economico,
con varie modalità, a carico del privato.
In tutte tali ipotesi, le obbligazioni attinenti al
contributo di costruzione (e soprattutto quelle relative
agli oneri di urbanizzazione) trovano la propria
giustificazione causale non solo e non tanto nel carico
urbanistico specificamente riconducibile alla quantità di
edificazione che forma oggetto di ciascun titolo edilizio
rilasciato in esecuzione della convenzione, bensì nel
disegno relativo al complessivo assetto urbanistico
stabilito dalla stessa convenzione quale risultato finale
derivante dalla relativa attuazione.
Al contrario, laddove la convenzione si limiti a
disciplinare le modalità di corresponsione del contributo di
costruzione, senza far emergere la specifica correlazione
delle prestazioni del privato rispetto all’attuazione delle
trasformazioni previste dal piano, l’obbligazione inerente
al contributo rimane correlata soltanto al carico
urbanistico ascrivibile allo specifico intervento oggetto di
ciascun titolo edilizio, secondo i principi sopra
richiamati.
17.2 Le diverse modalità di atteggiarsi della volontà delle
parti nella strutturazione delle obbligazioni nascenti dalla
convenzione urbanistica non possono che riflettersi sulle
conseguenze dell’eventuale mancata realizzazione, in tutto o
in parte, delle trasformazioni previste dai titoli edilizi
rilasciati in esecuzione dell’accordo.
Ove, infatti, gli impegni assunti dal privato siano
funzionali alla complessiva realizzazione dell’assetto
urbanistico stabilito dal piano attuativo, la mancata
esecuzione degli interventi privati non farà venir meno la
causa giustificativa delle obbligazioni attinenti alla
realizzazione di opere pubbliche, essendo queste
obbligazioni stabilite in funzione dell’attuazione del
piano, e non del singolo e specifico intervento edificatorio
assentito con il titolo edilizio.
Nel caso opposto, ossia laddove (e per la parte in cui) le
obbligazioni previste a carico del privato dalla convenzione
urbanistica non presentino tale correlazione, dovrà
concludersi per l’applicazione degli ordinari principi e,
quindi, per la ripetibilità delle eventuali quote di
contributo commisurate (esclusivamente) alle parti di
intervento non effettivamente realizzate.
18. Nel caso oggetto del presente giudizio, emerge
chiaramente dalla lettura della convenzione urbanistica che,
al momento dell’assegnazione delle aree, il Comune aveva
assunto su di sé la realizzazione delle necessarie opere di
urbanizzazione primaria del contesto produttivo e che il
prezzo dell’assegnazione includeva la quota dovuta dal
privato in dipendenza della realizzazione di tali
infrastrutture.
Quanto, invece, alla quota di contributo commisurata alle
opere di urbanizzazione secondaria e agli oneri connessi
allo smaltimento dei rifiuti, questa era dovuta al rilascio
dei singoli titoli edilizi, in correlazione con le quantità
di edificazione ivi previste, e non era posta in relazione
con la realizzazione di alcuno specifico intervento
funzionale all’insediamento industriale o ad altre finalità
di interesse pubblico comunque indicate
dall’Amministrazione.
19. Dalla lettura della convenzione emerge, perciò, che lo
stretto nesso di correlazione di cui si è detto tra le
obbligazioni del privato e le trasformazioni previste dal
piano e dalla convenzione è riscontrabile soltanto con
riferimento alle quote versate dall’assegnatario a titolo di
contributo per l’urbanizzazione primaria.
Quanto agli oneri commisurati alle opere di urbanizzazione
secondaria e allo smaltimento dei rifiuti, tale nesso non è,
invece, ravvisabile. Conseguentemente, con riguardo a queste
quote di contributo non possono che trovare applicazione gli
ordinari principi, in base ai quali –come detto– la
giustificazione causale dell’obbligazione risiede
nell’attuazione dell’intervento oggetto del permesso di
costruire.
Deve aggiungersi, poi, che questa conclusione non muta in
considerazione della circostanza che, nel caso di specie,
trattandosi di permesso di costruire per interventi da
realizzare su aree oggetto di assegnazione nell’ambito di un
PIP, il privato fosse obbligato a costruire i capannoni
industriali progettati.
Va, infatti, tenuto concettualmente
distinto il profilo attinente all’inadempimento
dell’obbligazione di realizzazione dei capannoni
(inadempimento le cui conseguenze trovano la propria
disciplina in specifiche previsioni della convenzione, oltre
che negli ordinari principi), da quello concernente
l’obbligazione relativa alle quote di contributo sopra
dette; obbligazione che mantiene la propria causa
giustificativa nella circostanza di fatto dell’effettiva
realizzazione dei manufatti industriali.
In altri termini,
l’eventuale possibilità per l’Amministrazione di reagire
all’incompleta realizzazione degli interventi non fa venir
meno il dato di fatto della mancanza di giustificazione
causale del contributo versato dal privato in relazione a
opere non eseguite e, quindi, in difetto del presupposto
dell’incremento del carico urbanistico.
20. Alla luce delle considerazioni sin qui esposte,
deve perciò ritenersi sussistente il diritto del
privato, ai sensi dell’articolo 2033 c.c., alla restituzione
delle somme a suo tempo versate per le opere non
effettivamente realizzate, a titolo di oneri di
urbanizzazione secondaria e di contributo per lo smaltimento
dei rifiuti.
L’Amministrazione va, quindi, condannata al pagamento dei
relativi importi, maggiorato degli interessi legali, dovuti
fino al soddisfo, e decorrenti, in conformità al disposto
dell’articolo 2033 c.c., dalla domanda giudiziale (Cass.
civ., Sez. III, 07.05.2007, n. 10297; Cons. Stato, Sez. IV, 26.05.2006, n. 3189; TAR Lombardia, Sez. II,
07.01.2016, n. 12).
21. L’Amministrazione soccombente va, inoltre, condannata al
pagamento delle spese oggetto del presente giudizio.
Al riguardo, il Collegio non ravvisa i presupposti per
l’applicazione della disciplina sulla lite temeraria,
invocata da Pe.RE.
Le spese vanno, tuttavia, liquidate tenendo conto del
complessivo comportamento processuale delle parti e,
specificamente, dell’aggravio difensivo determinato, a
carico della ricorrente, dalle produzioni tardive del
Comune. In considerazione di quanto precede, il relativo
importo va, perciò, determinato in euro 3.000,00
(tremila/00), oltre IVA, c.p.a., oneri per spese generali
nella misura del quindici per cento e rimborso del
contributo unificato (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 13.03.2018 n. 718 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il contributo per oneri di urbanizzazione e costo
di costruzione per le opere oggetto di una
concessione in variante dev’essere calcolato
sommando le opere dei due titoli edilizi
assentiti (concessione originaria e
variante), scomputando quanto già pagato al
momento del rilascio del titolo originario.
Per la concessione in variante, però, la
quota percentuale della parte del contributo
commisurato al costo di costruzione delle
opere ad essa riferite deve essere calcolata
con riferimento alle norme vigenti al
momento del rilascio della variante stessa
e, come detto, limitatamente alle opere che
ne costituiscono oggetto, escludendo cioè
quelle già considerate (e quantificate) al
momento del rilascio della concessione
originaria.
Con la concessione in variante il Comune
deve quindi determinare, in via di
conguaglio gli oneri e il corrispondente
contributo non in relazione all'intero
complesso in via di realizzazione, ma con
riferimento alle sole opere nuove e
ulteriori volumetrie assentite con la
concessione in variante, da calcolare sulla
base del nuovo parametro vigente al momento
del rilascio del titolo in variante.
Sulla complessiva somma dovuta per oneri, da
quantificarsi come sopra, va poi scorporata
la somma già versata dalla società
ricorrente.
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Con ricorso notificato in data 09.09.2015 e
depositato il successivo 22 settembre, la
Fi.In.In. Società di Gestione del Risparmio
S.p.A. (di seguito SGR) ha chiesto la
condanna del Comune di Campobasso al
pagamento della somma di euro 250.691,86,
oltre interessi e rivalutazione monetaria,
che la società afferma di aver versato al
Comune a titolo di oneri di urbanizzazione e
costo di costruzione, in realtà non dovuti.
La ricorrente premette di gestire un fondo
denominato “AM Sv.Im.” titolare di un
complesso edilizio sito in località Vazzieri
e individuato nel Catasto Fabbricati del
Comune di Campobasso al foglio 60, mappale
1086, edificato su un terreno
originariamente individuato al catasto
terreni particelle 1032-1033-907-908.
Su tale terreno veniva realizzato un
complesso edilizio composto da due edifici
(denominati “fabbricato A” e “Fabbricato
B”) in esecuzione del predetto Piano di
lottizzazione approvato con delibera del
01.04.2003, n. 24 che recepiva la
convenzione con cui la società ricorrente si
impegnava ad eseguire direttamente le opere
di urbanizzazione primaria a scomputo dei
relativi oneri.
Secondo quanto ulteriormente rappresentato,
il Comune rilasciava i relativi permessi di
costruire per i quali veniva corrisposta la
somma di euro 167.903,00 a titolo di oneri
di urbanizzazione secondaria ed euro
286.916,50 a titolo di costo di costruzione,
mentre nulla veniva corrisposto per oneri di
urbanizzazione primaria in quanto le
relative opere venivano realizzate
direttamente dalla società ricorrente a
scomputo della somma dovuta per oneri di
urbanizzazione primaria.
Ciò premesso, parte ricorrente rileva di
aver proposto nel corso della realizzazione
delle opere una serie di varianti e di aver
realizzato opere di urbanizzazione di
portata molto maggiore rispetto a quelle
previste sulla base del progetto originario,
trovandosi poi, su richiesta del Comune, a
dover corrispondere, con riserva di
ripetizione, anche le somme relative ai
costi di urbanizzazione per una somma che
non sarebbe stata dovuta e ammontante ad
euro 250.691,86.
La SGR agisce pertanto con il presente
giudizio per chiedere la restituzione delle
somme asseritamente versate in eccesso sulla
base dei seguenti motivi.
...
Ciò premesso sul piano fattuale può passarsi
allo scrutinio del merito del giudizio che
si incentra sulla determinazione della somma
che la SGR doveva effettivamente versare per
la realizzazione delle opere oggetto di
causa. La SGR ritiene che l’importo da
corrispondere vada calcolato sulla base di
quanto concretamente realizzato e della
destinazione impressa alle aree oggetto di
edificazione.
In particolare la SGR afferma di aver
direttamente realizzato sulla base della
convenzione di lottizzazione approvata con
la delibera del consiglio comunale del
01.04.2003, n. 24 tutte le opere di
urbanizzazione primaria e che pertanto
dall’importo dovuto per gli oneri di
urbanizzazione andasse scomputato il valore
delle opere di urbanizzazione già realizzate
oltre che gli importi versati per costo di
costruzione e oneri di urbanizzazione
secondaria.
Dal proprio canto l’Amministrazione comunale
sostiene quanto alle DIA eseguite in
variante dalla ricorrente ai sensi del Piano
casa che le leggi regionali n. 30/2009 e
25/2008 subordinerebbero la premialità
prevista nel ripetuto Piano casa al
pagamento integrale degli oneri, in quanto
costituenti un quid novi comportante un
carico urbanistico ulteriore, i cui oneri
non possono essere scomputati dalla somma
già versata per la superficie originaria.
Giova rammentare che ai sensi dell’art. 16
del d.P.R. n. 380/2001: <<1. Salvo quanto
disposto all'articolo 17, comma 3, il
rilascio del permesso di costruire comporta
la corresponsione di un contributo
commisurato all’incidenza degli oneri di
urbanizzazione nonché al costo di
costruzione, secondo le modalità indicate
nel presente articolo.
2. La quota di contributo relativa agli
oneri di urbanizzazione va corrisposta al
comune all'atto del rilascio del permesso di
costruire e, su richiesta dell’interessato,
può essere rateizzata. A scomputo totale o
parziale della quota dovuta, il titolare del
permesso può obbligarsi a realizzare
direttamente le opere di urbanizzazione, nel
rispetto dell'articolo 2, comma 5, della
legge 11.02.1994, n. 109, e successive
modificazioni, (ora art. 1, comma 2, lett.
e) e art. 36, commi 3 e 4, d.lgs. n. 50 del
2016) con le modalità e le garanzie
stabilite dal comune, con conseguente
acquisizione delle opere realizzate al
patrimonio indisponibile del comune…4.
L'incidenza degli oneri di urbanizzazione
primaria e secondaria è stabilita con
deliberazione del consiglio comunale in base
alle tabelle parametriche che la regione
definisce per classi di comuni in relazione:
a) all'ampiezza ed all'andamento demografico dei comuni;
b) alle caratteristiche geografiche dei comuni;
c) alle destinazioni di zona previste negli strumenti urbanistici
vigenti;
d) ai limiti e rapporti minimi inderogabili fissati in applicazione
dall'articolo 41-quinquies, penultimo e
ultimo comma, della legge 17.08.1942, n.
1150, e successive modifiche e integrazioni,
nonché delle leggi regionali;
d-bis) alla differenziazione tra gli interventi al fine di
incentivare, in modo particolare nelle aree
a maggiore densità del costruito, quelli di
ristrutturazione edilizia di cui
all'articolo 3, comma 1, lettera d), anziché
quelli di nuova costruzione;
d-ter) alla valutazione del maggior valore generato da interventi
su aree o immobili in variante urbanistica,
in deroga o con cambio di destinazione
d'uso. Tale maggior valore, calcolato
dall'amministrazione comunale, è suddiviso
in misura non inferiore al 50 per cento tra
il comune e la parte privata ed è erogato da
quest'ultima al comune stesso sotto forma di
contributo straordinario, che attesta
l'interesse pubblico, in versamento
finanziario, vincolato a specifico centro di
costo per la realizzazione di opere
pubbliche e servizi da realizzare nel
contesto in cui ricade l'intervento,
cessione di aree o immobili da destinare a
servizi di pubblica utilità, edilizia
residenziale sociale od opere pubbliche>>.
Dall’altra parte l’art. 9, co. 3, della
legge regionale 11.12.2009, n. 30 prevede
che <<È dovuto per intero il contributo
per gli oneri di urbanizzazione per gli
interventi di mutamento di destinazione
d'uso di cui all'articolo 2, commi 9 e 10,
ed all'articolo 3, comma 6>>.
Ora, secondo l’Amministrazione resistente
tale ultima norma implicherebbe che quanto
già versato per gli oneri di urbanizzazione
non debba essere computato e debba, invece,
essere calcolato per intero il costo di
costruzione e gli oneri di urbanizzazione
delle varianti, senza tener conto di quanto
già pagato per il progetto originario; parte
ricorrente ritiene invece che l’importo da
versare non possa prescindere dal conguaglio
con quanto già versato.
Tra le due impostazioni il Tribunale ritiene
che quest’ultima sia quella corretta.
Il Collegio aderisce infatti
all’impostazione giurisprudenziale
preferibile secondo cui <<il contributo
per oneri di urbanizzazione e costo di
costruzione per le opere oggetto di una
concessione in variante dev’essere calcolato
sommando le opere dei due titoli edilizi
assentiti (concessione originaria e
variante), scomputando quanto già pagato al
momento del rilascio del titolo originario.
Per la concessione in variante, però, la
quota percentuale della parte del contributo
commisurato al costo di costruzione delle
opere ad essa riferite deve essere calcolata
con riferimento alle norme vigenti al
momento del rilascio della variante stessa
e, come detto, limitatamente alle opere che
ne costituiscono oggetto, escludendo cioè
quelle già considerate (e quantificate) al
momento del rilascio della concessione
originaria. Con la concessione in variante
il Comune deve quindi determinare, in via di
conguaglio gli oneri e il corrispondente
contributo non in relazione all'intero
complesso in via di realizzazione, ma con
riferimento alle sole opere nuove e
ulteriori volumetrie assentite con la
concessione in variante, da calcolare sulla
base del nuovo parametro vigente al momento
del rilascio del titolo in variante. Sulla
complessiva somma dovuta per oneri, da
quantificarsi come sopra, va poi scorporata
la somma già versata dalla società
ricorrente>> (cfr. TAR Sardegna, sez. II,
28.11.2013, n. 780).
Diversamente argomentando, ritenendo cioè
che per effetto delle varianti richieste ed
ottenute a norma del Piano casa, la SGR
avrebbe dovuto pagare nuovamente e per
intero tutti gli oneri di urbanizzazione ivi
inclusi quelli già corrisposti ovvero quelli
di valore corrispondente alle opere
realizzate, significherebbe riconoscere alla
previsione della legge regionale una portata
sanzionatoria che essa invece obiettivamente
non presenta, come confermato dall’art. 1
della legge della Regione Molise 11.12.2009,
n. 30 a mente del quale: <<La Regione
promuove misure straordinarie per il
sostegno del settore edilizio, attraverso
interventi finalizzati al miglioramento
della qualità abitativa, per preservare,
mantenere, ricostruire e rivitalizzare il
patrimonio edilizio esistente, promuovere
l'edilizia economica per le giovani coppie e
le categorie svantaggiate e meno abbienti e
l'edilizia scolastica nonché per migliorare
le caratteristiche architettoniche,
energetiche, tecnologiche e di sicurezza dei
fabbricati>>.
Le disposizioni premiali di cui alla citata
normativa hanno carattere straordinario e
rispondono alla dichiarata finalità di
riqualificare il patrimonio edilizio e
contrastare la grave crisi economica e di
tutelare i livelli occupazionali attraverso
il rilancio delle attività edilizie, da
attuare sui singoli edifici, in deroga agli
strumenti urbanistici vigenti, in relazione
ad un arco di tempo limitato, con casi di
esclusione ben determinati (cfr. TAR
Campania, sez. II, n. 1502/2013).
Stando così le cose una previsione del tipo
di quella prefigurata dal Comune resistente
che imponesse a chi intenda giovarsi della
premialità prevista dalla legge di pagare
nella sostanza due volte i medesimi oneri di
urbanizzazione, si porrebbe in aperto
contrasto con la finalità agevolativa e non
sanzionatoria sottesa all’intervento
normativo in considerazione.
Ne consegue, in accoglimento di quanto
prospettato da parte ricorrente, che gli
oneri di urbanizzazione corrisposti dalla
ricorrente al resistente Comune o comunque
derivanti dal valore delle opere
direttamente realizzate in virtù della
convenzione di urbanizzazione devono essere
detratti da quanto corrisposto in aumento al
medesimo Comune per effetto delle varianti
apportate.
Pertanto il Collegio, al fine di determinare
in concreto l’eventuale somma da restituire
alla ricorrente, reputa necessario disporre
una verificazione ai sensi dell’art. 66
c.p.a. che, alla luce delle tabelle adottate
dal Comune di Campobasso ai sensi dell’art.
16 del d.P.R. n. 380/2001 e dei titoli
edilizi abilitativi in variante rispetto al
progetto originario:
1) determini la somma effettivamente dovuta da
parte ricorrente al Comune di Campobasso per
oneri di urbanizzazione primaria, secondaria
e per costi di costruzione, tenendo conto
delle varianti introdotte al progetto
originario;
2) scomputi dalla somma così determinata il
valore degli oneri di urbanizzazione
primaria realizzati, e la somma già versata
da parte ricorrente per gli oneri di
urbanizzazione secondaria e per i costi di
costruzione;
3) individui la somma eventualmente in eccesso
corrisposta al Comune di Campobasso da parte
ricorrente sulla base del criterio, più
volte esplicitato nella presente decisione,
per cui gli oneri di urbanizzazione
(primaria e secondaria) e i costi di
costruzione devono essere versati una sola
volta, anche nel caso di varianti introdotte
in forza della normativa premiale del Piano
casa.
Tale incombente è posto a carico del
Direttore del Provveditorato alle Opere
pubbliche per l’Abruzzo, il Lazio e la
Sardegna, con facoltà di delega in favore di
un qualificato funzionario della medesima
Amministrazione, che provveda a redigere una
relazione al quesito sopra prospettato.
Il predetto verificatore, nel
contraddittorio delle parti costituite,
provvederà alla disamina della
documentazione in atti e a redigere una
dettagliata e motivata relazione volta ad
illustrare le conclusioni che riterrà di
rassegnare.
La relazione corredata dagli atti
amministrativi di riferimento, eventuali
prospetti e rilievi (per i quali si potrà,
se del caso, utilizzare anche quelli versati
in atti), dovrà essere depositata, anche in
formato digitale, presso la Segreteria entro
il termine di 60 giorni dalla comunicazione
della presente ordinanza.
Il compenso spettante al verificatore, ai
sensi dell'articolo 66, comma 4, cod. proc.
amm., verrà liquidato dopo l'espletamento
dell'incarico.
Si rinvia pertanto alla sentenza definitiva
la determinazione dell’eventuale somma che
il Comune di Campobasso dovrà corrispondere
in ripetizione alla ricorrente (TAR Molise,
sentenza non definitiva 05.03.2018 n. 114
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
febbraio 2018 |
|
EDILIZIA PRIVATA: Ripetibilità
delle somme versate a titolo di contributo di concessione.
Il TAR Milano, dopo aver ricordato che
il contributo non è dovuto in caso di rinuncia o, comunque,
di mancato utilizzo del permesso di costruire, con
conseguente obbligo della pubblica amministrazione, ai sensi
dell'art. 2033 cod. civ., di restituire le somme
eventualmente incamerate a tale titolo, aveva aggiunto che
questo principio può essere applicato anche in presenza di
una stipulazione di una convenzione urbanistica, stante, nel
caso in esame:
a) l’assoluta mancata realizzazione di ogni opera prevista dalla
convenzione;
b) l’impossibilità per il soggetto attuatore, a seguito
dell’intervenuta scadenza dei termini previsti dalla
convenzione stessa, di realizzare le opere private di suo
interesse;
Secondo il TAR, la convenzione urbanistica non costituisce
autonoma fonte dell’obbligo di versamento del contributo di
costruzione, trovando quest’ultimo la propria fonte
direttamente nella legge, la quale lo pone in stretta
correlazione all’attività di trasformazione del territorio
in assenza della quale esso non è comunque dovuto.
La convenzione svolge dunque il ruolo, non già di fonte
dell’obbligo, ma di fonte di regolazione dello stesso per
quanto concerne il quantum ed il quomodo; sicché una volta
escluso che la trasformazione del territorio possa attuarsi,
il pagamento del contributo di costruzione diviene privo di
causa, quantunque esso sia previsto e disciplinato da una
convenzione urbanistica
(commento tratto da https://camerainsubria.blogspot.it).
---------------
MASSIMA
12. Come noto, in base ad un consolidato orientamento
giurisprudenziale, il contributo di
costruzione è strettamente correlato alla trasformazione
urbanistica ed edilizia del territorio e, dunque, al
concreto esercizio della facoltà di costruire. Pertanto,
secondo la giurisprudenza, il contributo non è dovuto in
caso di rinuncia o, comunque, di mancato utilizzo del
permesso di costruire, con conseguente obbligo della
pubblica amministrazione, ai sensi dell'art. 2033 cod. civ.,
di restituire le somme eventualmente incamerate a tale
titolo (cfr. fra
le tante, TAR Campania Salerno, sez. I, 31.01.2017, n. 179).
13. Ritiene il Collegio che questo principio possa essere
applicato al caso di specie, e ciò nonostante questo sia
caratterizzato dall’intervenuta stipulazione di una
convenzione urbanistica.
14. In proposito va osservato che la Sezione –con sentenze
21.05.2013, n. 1337 e 11.05.2015, n. 1137– ha negato la
possibilità per il soggetto attuatore di sottrarsi
dall’obbligo di corresponsione del contributo di costruzione
mediante atto di rinuncia alla convenzione urbanistica.
15. In particolare, nella sentenza n. 1337 del 2013, si è
rilevato che la rinuncia alla convenzione
urbanistica costituisce in realtà un vero e proprio atto di
recesso dall’accordo contrattuale in violazione dell’art.
1372, primo comma, cod. civ., e dell’art. 21-sexies della
legge n. 241 del 1990. E una volta negata la possibilità di
recesso unilaterale, ed una volta constatata quindi la
perdurante vigenza della convenzione, si è escluso che il
versamento del contributo di costruzione fosse divenuto
privo di causa: il pagamento trovava invero la propria
giustificazione nel fatto che la convenzione era ancora
vigente e che quindi, non era venuta meno la possibilità per
il privato di attuare l’intervento di trasformazione del
territorio che ne costituiva oggetto.
16. L’impossibilità di rinuncia della convenzione
urbanistica è stata poi ribadita nella sentenza n. 1137 del
2015 la quale, peraltro, per negare la possibilità di
sottrarsi all’obbligo di realizzazione delle opere a
scomputo oneri, ha potuto utilizzare un’altra argomentazione
decisiva: l’intervenuta realizzazione delle opere di
interesse privato.
17. Ritiene il Collegio che i principi affermati in queste
sentenze non possano essere utilmente invocati nel caso di
specie il quale si caratterizza per due elementi che lo
diversificano da quelli in precedenza considerati: a)
l’assoluta mancata realizzazione di ogni opera prevista
dalla convenzione; b) l’impossibilità per il soggetto
attuatore, stante l’intervenuta scadenza dei termini
previsti dalla convenzione stessa, di realizzare le opere
private di suo interesse.
18. Ritiene il Collegio che l’assoluta
assenza di attività di trasformazione del territorio e
l’impossibile attuazione futura di questa attività non
possano far altro che rendere privo di causa l’incameramento
del contributo di costruzione.
19. A questo proposito si osserva che, a parere del
Collegio, il contributo di costruzione non
può essere considerato alla stregua di un corrispettivo
sinallagmatico correlato al trasferimento al privato del
diritto di costruire, corrispettivo da ritenersi comunque
dovuto anche se il privato stesso ometta poi di sfruttare il
diritto acquisito: come noto, la Corte costituzionale, a
partire dalla sentenza n. 5 del 1980, ha chiarito che la
possibilità di edificare non è altro che una facoltà che
inerisce al diritto di proprietà; e la giurisprudenza ha dal
canto suo chiarito che la funzione del contributo di
costruzione è quella di far compartecipare colui che ponga
in essere un’attività di trasformazione del territorio
determinante incremento del carico urbanistico alle spese
necessarie alla realizzazione delle opere di urbanizzazione
(cfr., fra le tante, Consiglio di stato, sez. V, 20.04.2008,
2359).
21. La convenzione urbanistica,
pertanto,
non costituisce autonoma fonte dell’obbligo di
versamento del contributo di costruzione, trovando
quest’ultimo la propria fonte direttamente nella legge la
quale, come detto, lo pone in stretta correlazione
all’attività di trasformazione del territorio in assenza
della quale esso non è comunque dovuto.
La convenzione svolge dunque il ruolo, non già di fonte
dell’obbligo, ma di fonte di regolazione dello stesso per
quanto concerne il quantum ed il quomodo;
sicché, come anticipato, una volta escluso che la
trasformazione del territorio possa attuarsi, il pagamento
del contributo di costruzione diviene privo di causa,
quantunque esso sia previsto e disciplinato da una
convenzione urbanistica.
A questo punto preme al Collegio precisare che a conclusioni
diverse non è pervenuta la sentenza della Sezione n. 2172
del 14.11.2017, atteso che nella fattispecie ivi esaminata
la parte privata aveva versato solo una parte del contributo
di costruzione in adempimento di un obbligo che era
correlato dalla convenzione, non solo al contributo di
costruzione appunto, ma anche ad una caparra confirmatoria
ivi prevista: in quel caso quindi –sebbene la convenzione
non fosse più attuabile– la restituzione era impedita dal
fatto che il pagamento fosse avvenuto anche a titolo di
caparra confirmatoria.
22. In questo quadro si deve escludere che, nella
fattispecie in esame, la convenzione stipulata fra la
ricorrente ed il Comune di Novate Milanese possa
giustificare il pagamento del contributo di costruzione
nonostante l’impossibilità di attuare gli interventi di
trasformazione del territorio ivi previsti.
23. Neppure può ritenersi che il Comune di
Novate Milanese possa pretendere di trattenere le somme
versate dalla ricorrente stessa in ragione dell’avvenuto
impiego delle medesime nel finanziamento di attività di
pubblico interesse. Invero, l’art. 2033 cod. civ. non
ammette deroghe all’obbligo di restituzione del pagamento
indebitamente ricevuto, e ciò neanche quando la fonte
dell’obbligazione, in origine esistente, venga meno in un
secondo momento; salvo, per l’accipiens in buona
fede, il beneficio di non dover corrispondere gli interessi
se non a decorrere dal giorno della domanda, e salva la
possibilità, per lo stesso Comune di Novate Milanese, di
ottenere il risarcimento dei danni qualora dimostri che la
parte privata si sia comportata in maniera sleale, ledendo
un suo legittimo affidamento.
24. Da tutto quanto sopra consegue che il pagamento del
contributo di costruzione effettuato dalla ricorrente deve
ritenersi ormai privo di causa e che, pertanto, il Comune
resistente ha l’obbligo di restituire alla ricorrente stessa
la somma di euro 1.222.330,91.
25. Per quanto concerne invece gli interessi, stante la
buona fede dell’Amministrazione, non può accogliersi la
domanda della ricorrente di ottenerne il riconoscimento a
decorrere dal giorno del pagamento. Gli interessi vanno
infatti riconosciuti, per le ragioni anzidette, solo a
decorrere dal giorno della domanda.
26. In conclusione, assorbite le altre censure in ragione
della completa soddisfazione degli interessi della
ricorrente, il ricorso deve essere accolto nei limiti sopra
indicati (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 28.02.2018 n. 596 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il contributo per oneri di urbanizzazione è un
corrispettivo di diritto pubblico, di natura non tributaria,
posto a carico del costruttore a titolo di partecipazione ai
costi delle opere di urbanizzazione in proporzione
all’insieme dei benefici che la nuova costruzione ne ritrae.
Dalla natura di prestazione obbligatoriamente dovuta
discende che il privato non può esimersi dal pagamento del
contributo e che l’amministrazione può riesaminare la
pratica anche dopo il rilascio del titolo che abilita
l’intervento edilizio: le vicende che coinvolgono il
permesso di costruire si sviluppano in autonomia, senza
interferire con le questioni che incidono su “an” e
“quantum” dell’obbligazione pecuniaria.
Più in particolare, “la giurisprudenza amministrativa, ha
già avuto modo di affrontare la questione della
rideterminazione degli oneri concessori da parte
dell’amministrazione, con considerazioni che si intendono
ribadire nella presente sede.
Si è, infatti, affermato:
a) è infondata la tesi secondo la quale “(a pretesa tutela della
buona fede e dell'affidamento riposto dal privato nella più
risalente determinazione degli oneri adottata
dall'amministrazione appellata) sarebbe preclusa la
rideterminazione degli oneri concessori da parte
dell'amministrazione comunale se non nella ipotesi di meri
errori di calcolo ictu oculi percepibili, a tutela
dell'affidamento in buona fede riposto dal privato nella
quantificazione operata in sede di prima determinazione”;
b) “la natura paritetica dell'atto di determinazione consente che
l'Amministrazione possa apportarvi rettifiche (sia in favore
del privato che in senso contrario), purché ciò avvenga nei
limiti della prescrizione del relativo diritto di credito” e
ciò in quanto “il computo degli oneri di urbanizzazione non
è attività autoritativa e la contestazione sulla relativa
corresponsione è proponibile nel termine di prescrizione
decennale a prescindere dall'impugnazione dei provvedimenti
adottati o dal sollecito a provvedere in via di autotutela.
Trattasi infatti, nel caso di specie, di una determinazione
che "obbedisce" a prescrizioni desumibili da tabelle, in
ordine alla quale l'amministrazione comunale si limita ad
applicare i detti parametri, (conseguentemente per la stessa
rivestenti natura cogente) laddove è esclusa qualsivoglia
discrezionalità applicativa”;
c) “la pariteticità dell'atto e l'assenza di discrezionalità ne
legittima o addirittura ne impone la revisione ove affetta
da errore, con il solo limite della maturata prescrizione
del credito). La originaria determinazione, pertanto, può
essere sempre rivisitata, ove la si assuma affetta da errore
(e fermo restando la necessità che detta originaria
erroneità della determinazione iniziale sussista
effettivamente), e ciò sia laddove essa abbia indicato un
importo inferiore al dovuto, che laddove abbia quantificato
un importo superiore e, pertanto, non dovuto”.
L’amministrazione, dunque, qualora rilevi un errore nel
calcolo, può procedere alla rettifica entro il termine di
prescrizione, che nel caso in esame -come visto- non risulta
decorso”.
---------------
Nell’ipotesi in esame la rideterminazione dell’importo
dovuto è avvenuta entro i termini di prescrizione,
nell’ambito di un’attività di verifica di regolare
versamento dei tributi da parte dei contribuenti.
Sicché, il Comune ha comunicato l’avvio del procedimento
relativo “alla determinazione degli oneri concessori sulla
base dei reali costi unitari vigenti al momento del rilascio
del permesso di costruire con l’applicazione di quanto
disposto dall’art. 16, comma 9, secondo periodo del DPR
380/2001”, indicando le modalità di calcolo delle somme
dovute.
In sostanza l’ente locale ha avviato un procedimento volto
alla rettifica della misura del contributo, riportandolo a
quanto effettivamente dovuto sulla base vigenti
disposizioni.
Tale attività, alla luce di quanto innanzi esposto –purché
svolta entro il termine di prescrizione decennale- non solo
è legittima, ma è, anzi, doverosa per la Pubblica
Amministrazione.
L’atto di determinazione del contributo, vincolato e non
suscettibile di scostamenti rispetto alle previsioni
normative, è solo una intermediazione aritmetica per la sua
quantificazione.
Ne consegue che l’atto di nuova determinazione non può dirsi
viziato da eccesso di potere sotto il profilo del difetto di
motivazione e di indicazione degli interessi pubblici
prevalenti. Il diritto del Comune all'ottenimento del
contributo nella misura dovuta, così come il diritto del
titolare del premesso di costruire al rimborso del
contributo versato in eccesso, deriva, infatti, direttamente
dai parametri oggettivi e non dall’atto di determinazione.
---------------
... per l'annullamento del provvedimento emesso dal
responsabile del terzo settore del Comune di Chieuti nella
persona dell’arch. M.Lo. in data 11.09.2013 prot. 4345,
comunicato il 17.09.2013, con il quale a conclusione del
procedimento amministrativo instaurato con la nota del
24.06.2013 prot. n. 3076, sono rideterminati gli importi
dovuti a titolo di oneri di urbanizzazione e costo di
costruzione relativamente al permesso di costruire del
01.10.2008 prot. n. 2509 rilasciato in favore della
cooperativa ricorrente, cui dunque è stato intimato il
pagamento di € 17.679,22;
...
8. - Il ricorso è infondato e deve, pertanto, essere
respinto.
9. – Il contributo per oneri di urbanizzazione è un
corrispettivo di diritto pubblico, di natura non tributaria,
posto a carico del costruttore a titolo di partecipazione ai
costi delle opere di urbanizzazione in proporzione
all’insieme dei benefici che la nuova costruzione ne ritrae
(Cfr. per tutti TAR Puglia Bari, sez. III – 10/02/2011 n.
243).
Dalla natura di prestazione obbligatoriamente dovuta
discende che il privato non può esimersi dal pagamento del
contributo e che l’amministrazione può riesaminare la
pratica anche dopo il rilascio del titolo che abilita
l’intervento edilizio: le vicende che coinvolgono il
permesso di costruire si sviluppano in autonomia, senza
interferire con le questioni che incidono su “an” e “quantum”
dell’obbligazione pecuniaria.
Più in particolare, “la giurisprudenza amministrativa (v.
Cons. Stato, sez. IV, 20.11.2012 n. 6033; sez. V, 17.09.2010
n. 6950), ha già avuto modo di affrontare la questione della
rideterminazione degli oneri concessori da parte
dell’amministrazione, con considerazioni che si intendono
ribadire nella presente sede.
Si è, infatti, affermato:
a) è infondata la tesi secondo la quale “(a pretesa tutela della
buona fede e dell'affidamento riposto dal privato nella più
risalente determinazione degli oneri adottata
dall'amministrazione appellata) sarebbe preclusa la
rideterminazione degli oneri concessori da parte
dell'amministrazione comunale se non nella ipotesi di meri
errori di calcolo ictu oculi percepibili, a tutela
dell'affidamento in buona fede riposto dal privato nella
quantificazione operata in sede di prima determinazione”;
b) “la natura paritetica dell'atto di determinazione consente che
l'Amministrazione possa apportarvi rettifiche (sia in favore
del privato che in senso contrario), purché ciò avvenga nei
limiti della prescrizione del relativo diritto di credito” e
ciò in quanto “il computo degli oneri di urbanizzazione non
è attività autoritativa e la contestazione sulla relativa
corresponsione è proponibile nel termine di prescrizione
decennale a prescindere dall'impugnazione dei provvedimenti
adottati o dal sollecito a provvedere in via di autotutela.
Trattasi infatti, nel caso di specie, di una determinazione
che "obbedisce" a prescrizioni desumibili da tabelle, in
ordine alla quale l'amministrazione comunale si limita ad
applicare i detti parametri, (conseguentemente per la stessa
rivestenti natura cogente) laddove è esclusa qualsivoglia
discrezionalità applicativa”;
c) “la pariteticità dell'atto e l'assenza di discrezionalità ne
legittima o addirittura ne impone la revisione ove affetta
da errore, con il solo limite della maturata prescrizione
del credito). La originaria determinazione, pertanto, può
essere sempre rivisitata, ove la si assuma affetta da errore
(e fermo restando la necessità che detta originaria
erroneità della determinazione iniziale sussista
effettivamente), e ciò sia laddove essa abbia indicato un
importo inferiore al dovuto, che laddove abbia quantificato
un importo superiore e, pertanto, non dovuto”.
L’amministrazione, dunque, qualora rilevi un errore nel
calcolo, può procedere alla rettifica entro il termine di
prescrizione, che nel caso in esame -come visto- non risulta
decorso” (Cons. stato, sez. IV, 27.09.2017 sent. 4515).
10. - Nell’ipotesi in esame la rideterminazione dell’importo
dovuto è avvenuta entro i termini di prescrizione,
nell’ambito di un’attività di verifica di regolare
versamento dei tributi da parte dei contribuenti, come si
evince dalla Delibera dalla Giunta comunale n. 74 del
23.11.2012.
Con la nota del 24.06.2013 il Comune ha comunicato l’avvio
del procedimento relativo “alla determinazione degli
oneri concessori sulla base dei reali costi unitari vigenti
al momento del rilascio del permesso di costruire con
l’applicazione di quanto disposto dall’art. 16, comma 9,
secondo periodo del DPR 380/2001”, indicando le modalità
di calcolo delle somme dovute. In data 11.09.2013 ha
riscontrato le osservazioni della ricorrente.
In sostanza l’ente locale ha avviato un procedimento volto
alla rettifica della misura del contributo, riportandolo a
quanto effettivamente dovuto sulla base vigenti
disposizioni. Tale attività, alla luce di quanto innanzi
esposto –purché svolta entro il termine di prescrizione
decennale- non solo è legittima, ma è, anzi, doverosa per la
Pubblica Amministrazione. L’atto di determinazione del
contributo, vincolato e non suscettibile di scostamenti
rispetto alle previsioni normative, è solo una
intermediazione aritmetica per la sua quantificazione.
Ne consegue che l’atto di nuova determinazione non può dirsi
viziato da eccesso di potere sotto il profilo del difetto di
motivazione e di indicazione degli interessi pubblici
prevalenti. Il diritto del Comune all'ottenimento del
contributo nella misura dovuta, così come il diritto del
titolare del premesso di costruire al rimborso del
contributo versato in eccesso, deriva, infatti, direttamente
dai parametri oggettivi e non dall’atto di determinazione.
...
11. – Per tutto quanto esposto il ricorso deve essere
respinto (TAR Puglia-Bari, Sez. III,
sentenza 21.02.2018 n. 254 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Pagamento degli oneri di urbanizzazione.
---------------
●
Edilizia – Oneri di urbanizzazione – Pagamento – Giorno di
scadenza che cade di sabato – Proroga al lunedì successivo –
Esclusione.
●
Edilizia – Oneri di urbanizzazione – Pagamento tardivo –
Riscossione delle sanzioni - Procedimento di imposizione
coattiva – Obbligo – Esclusione.
●
Edilizia – Oneri di urbanizzazione – Pagamento –
Interruzione della prescrizione – Presupposti –
Individuazione.
●
Edilizia – Oneri di costruzione – Pagamento rateale –
Sanzioni – Omessa escussione garanzia fidejussoria –
Irrilevanza ex se.
●
La disciplina che considera il sabato come festivo al fine
della proroga dei termini di scadenza non può essere
applicata anche ai termini per il pagamento delle somme
dovute per gli oneri di urbanizzazione (1).
●
Per la riscossione delle sanzioni relative al ritardato
pagamento degli oneri di urbanizzazione previsti dall’art.
42, d.P.R. 06.06.2001, n. 380 il Comune non è obbligato a
valersi del procedimento di imposizione coattiva stabilito
dal successivo art. 43, ma può avvalersi delle normali
azioni previste per l’esecuzione delle obbligazioni, tra cui
la procedura di ingiunzione di cui all'art. 118 c.p.a..
●
Affinché un atto abbia efficacia interruttiva della
prescrizione delle somme dovute a titolo di oneri di
urbanizzazione, è necessario che esso contenga
l'esplicitazione di una precisa pretesa e l'intimazione o la
richiesta di adempimento, idonea a manifestare
l'inequivocabile volontà del titolare del credito di far
valere il proprio diritto nei confronti del soggetto
obbligato con l'effetto sostanziale di costituirlo in mora,
senza che sia necessario l'uso di formule solenni o
l'osservanza di particolari adempimenti.
●
Un'amministrazione comunale ha il pieno potere di
applicare, nei confronti dell'intestatario di un titolo
edilizio, la sanzione pecuniaria prescritta dalla legge per
il caso di ritardo ovvero di omesso pagamento degli oneri
relativi al contributo di costruzione anche ove, in caso di
pagamento dilazionato di detto contributo, abbia omesso di
escutere la garanzia fideiussoria in esito alla infruttuosa
scadenza dei singoli ratei di pagamento ovvero abbia
comunque omesso di svolgere attività sollecitatoria del
pagamento presso il debitore principale (2).
---------------
(1)
Il Tar ha chiarito il sabato non è giorno festivo e la norma
dell’art. 155 c.p.c., che ad esso lo equipara a certi
effetti, ha come suo ambito di applicazione gli atti
processuali, così come all’ambito degli atti processuali è
rivolta l’analoga norma dell’art. 52, comma 5, c.p.a. che
anch’essa applica la proroga ai termini che scadono nella
giornata di sabato.
Il Tar ha affermato di non ignorare che la giurisprudenza ha
applicato la medesima norma anche ai termini del
procedimento amministrativo considerando prorogato al giorno
successivo (anzi al lunedì) il termine per il compimento di
un atto procedimentale in scadenza di sabato (Cons.
St., sez. VI, 07.09.2012, n. 4752).
Tuttavia l’equiparazione del sabato a giorno festivo non ha
carattere generale ma è limitata ai suddetti ambiti, come
peraltro si deduce anche da quelle pronunce secondo cui
l'equiparazione del sabato ai giorni festivi opera al solo
fine del compimento degli atti processuali svolti fuori
dell'udienza che scadono di sabato, onde consentire agli
avvocati di procedere il successivo lunedì ai relativi
adempimenti; a tutti gli altri effetti il sabato è
considerato giorno lavorativo, anche per quanto attiene alle
attività di ufficiali giudiziari e di addetti agli uffici
ricorsi, come dispone espressamente l'art. 155 c.p.c.,
applicabile al processo amministrativo ex art. 52, comma 5,
c.p.a..
Tanto è vero che questa regola vale solo per i termini che
si calcolano in avanti, e non anche per i termini che si
calcolano a ritroso; infatti l'art. 52, comma 5, c.p.a.
estende al sabato solo la "proroga di cui al comma 3",
ossia la proroga dei giorni che scadono di giorno festivo, e
dunque non anche il meccanismo di anticipazione di cui al co.
4; ne consegue che se un termine a ritroso scade di sabato,
esso non va anticipato al venerdì, così come se il termine a
ritroso scade di domenica, va anticipato al sabato e non al
venerdì (Cons.
St., sez V, 31.05.2011, n. 3252).
Data la premessa, la conseguenza è che l’equiparazione del
sabato a giorno festivo, ai fini della proroga al giorno
lavorativo successivo, non può applicarsi ai termini di
scadenza dei pagamenti dovuti per le rate inerenti ai costi
di costruzione e agli oneri di urbanizzazione, disciplinati
dalle regole di scadenza delle obbligazioni civili,
ovverosia dagli artt. 1187 e 2963 c.c. che, nel loro
combinato disposto, prevedono la proroga per i soli termini
in scadenza di giorno festivo, senza considerare il sabato a
tale stregua.
(2) Ha affermato il Tar –richiamando
Cons. St., A.P., 07.12.2016, n. 24– che non può
affermarsi l'esistenza di un onere collaborativo gravante
sull’Amministrazione creditrice, desumibile dai principi
generali in tema di correttezza e buona fede nei rapporti
obbligatori di tipo civilistico o dal principio di leale
collaborazione proprio dei rapporti intersoggettivi di
diritto pubblico, consistente in un obbligo di pronta
escussione della garanzia fideiussoria costituita a suo
favore o di sollecitazione del pagamento presso il debitore
principale.
Conseguentemente, nulla osta all'applicazione, nei confronti
dell'intestatario del titolo edilizio, delle sanzioni
pecuniarie previste dalla legge per il caso di ritardato od
omesso pagamento di oneri di costruzione e urbanizzazione (TAR
Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 01.02.2018 n. 710 -
commento tratto da e link a
www.giustizia-amministrativa.it).
---------------
MASSIMA
2) Infondato si presenta il primo motivo di
ricorso, inerente alle somme dovute a titolo di ritardo nel
pagamento e, nello specifico, ai pagamenti della II rata di
costruzione in scadenza il 02.7.2011, della I rata degli
oneri di urbanizzazione in scadenza il 02.01.2010, e della
IV rata degli oneri di urbanizzazione in scadenza il
02.07.2011, risultati essere stati effettuati in ritardo di
due giorni.
Parte ricorrente ha dedotto in proposito l’assenza del
ritardo, in quanto la scadenza di pagamento coincideva con
il sabato e, in quanto tale, sarebbe dovuta intendersi come
prorogata al lunedì (giorno di effettuazione del pagamento).
Al riguardo parte ricorrente ha sostanzialmente dedotto che
l'art. 2963 c.c. prescrive “Se il termine scade in giorno
festivo, è prorogato di diritto al giorno seguente non
festivo”; l'art. 1187 c.c. stabilisce che “il termine
fissato per l'adempimento delle obbligazioni è computato
secondo le disposizioni dell'articolo 2963” e che “La
disposizione relativa alla proroga del termine che scade in
giorno festivo si osserva se non vi sono usi diversi”;
infine l'art. 155 c.p.c. include il sabato tra i giorni
festivi.
La disciplina che considera il sabato come festivo al fine
della proroga dei termini di scadenza andrebbe applicato,
secondo parte ricorrente, anche ai termini per il pagamento
delle somme dovute per gli oneri di urbanizzazione.
Il Collegio rileva come sia indubbiamente corretto che, in
caso di scadenza di un termine in giorno festivo, la sua
proroga al successivo giorno non festivo rappresenti un
principio di carattere generale, disciplinato dalla vigente
legislazione. Infatti, la previsione, d'ordine generale,
della suesposta proroga è contenuta nel secondo e terzo
comma dell'art. 2963 c.c. che stabilisce, con riferimento
alle modalità di computo del termine di prescrizione, che: "non
si computa il giorno nel corso del quale cade il momento
iniziale del termine e la prescrizione si verifica con lo
spirare dell'ultimo istante del giorno finale. Se il termine
scade in un giorno festivo, è prorogato di diritto al giorno
seguente non festivo".
Il principio della posticipazione ipso iure al primo
giorno seguente non festivo è, altresì, evidenziato
dall'art. 1187 c.c., in tema di obbligazioni, che sancisce,
al secondo comma, che "la disposizione relativa alla
proroga del termine che scade in giorno festivo si osserva
se non vi sono usi diversi" e dall'art. 155, commi terzo
e quarto, c.p.c. secondo cui "i giorni festivi si
computano nel termine. Se il giorno di scadenza è festivo,
la scadenza è prorogata di diritto al primo giorno seguente
non festivo" (Cons. Stato Sez. VI, 07.09.2012, n. 4752),
nonché dall’art. 52, comma 3, c.p.a. che prevede la proroga
del giorno di scadenza festivo "al primo giorno seguente
non festivo".
La questione da esaminare è tuttavia la pretesa
equiparazione del sabato a giorno festivo.
Il sabato, difatti, non è giorno festivo e la norma
dell’art. 155 c.p.c. che ad esso lo equipara a certi effetti
ha come suo ambito di applicazione gli atti processuali,
così come all’ambito degli atti processuali è rivolta
l’analoga norma dell’art. 52, comma 5, c.p.a. che anch’essa
applica la proroga ai termini che scadono nella giornata di
sabato. Il Collegio non ignora che la giurisprudenza ha
applicato la medesima norma anche ai termini del
procedimento amministrativo considerando prorogato al giorno
successivo (anzi al lunedì) il termine per il compimento di
un atto procedimentale in scadenza di sabato (Cons. Stato
Sez. VI, 07.09.2012, n. 4752; Cons. Stato Sez. V,
04.03.2008, n. 824).
Tuttavia l’equiparazione del sabato a giorno festivo non ha
carattere generale ma è limitata ai suddetti ambiti, come
peraltro si deduce anche da quelle pronunce secondo cui
l'equiparazione del sabato ai giorni festivi opera al solo
fine del compimento degli atti processuali svolti fuori
dell'udienza che scadono di sabato, onde consentire agli
avvocati di procedere il successivo lunedì ai relativi
adempimenti; a tutti gli altri effetti il sabato è
considerato giorno lavorativo, anche per quanto attiene alle
attività di ufficiali giudiziari e di addetti agli uffici
ricorsi, come dispone espressamente l'art. 155 c.p.c.,
applicabile al processo amministrativo ex art. 52, comma 5,
c.p.a.
Tanto è vero che questa regola vale solo per i termini che
si calcolano in avanti, e non anche per i termini che si
calcolano a ritroso; infatti l'art. 52, co. 5, c.p.a.
estende al sabato solo la "proroga di cui al comma 3",
ossia la proroga dei giorni che scadono di giorno festivo, e
dunque non anche il meccanismo di anticipazione di cui al co.
4; ne consegue che se un termine a ritroso scade di sabato,
esso non va anticipato al venerdì, così come se il termine a
ritroso scade di domenica, va anticipato al sabato e non al
venerdì (Cons. Stato Sez. V, 31.05.2011, n. 3252).
Il Collegio ritiene, quindi, che l’equiparazione del sabato
a giorno festivo, ai fini della proroga al giorno lavorativo
successivo, non possa applicarsi ai termini di scadenza dei
pagamenti in esame dovuti per le rate inerenti ai costi di
costruzione e agli oneri di urbanizzazione, regolati in base
alle regole di scadenza delle obbligazioni civili, ovverosia
dagli artt. 1187 e 2963 c.c. che, nel loro combinato
disposto, prevedono la proroga per i soli termini in
scadenza di giorno festivo, senza considerare il sabato a
tale stregua.
...
5) Con il quarto motivo di ricorso la parte opponente
ha fatto presente la circostanza che era stata rilasciata
una garanzia per l’adempimento del debito in esame e che il
Comune non avrebbe potuto chiedere il pagamento delle
sanzioni non avendo proceduto alla previa escussione
dell’indicata garanzia fideiussoria.
Il motivo è infondato.
Il pagamento degli oneri concessori ha natura di prestazione
patrimoniale imposta, di carattere non tributario. Il
relativo sistema di pagamento è caratterizzato da uno
strumento a sanzioni crescenti sino al limite di importo
individuato dalla lett. c), dell' art. 42 D.P.R. n. 380 del
2001, con chiara funzione di deterrenza dell'inadempimento,
che trova applicazione, in base alla legge, al verificarsi
dell'inadempimento dell'obbligato principale. La sanzione
scatta automaticamente, quale effetto legale automatico
(Cons. Stato, sez. V, n. 5394 del 2011),
se l'importo dovuto
per il contributo di costruzione non è corrisposto alla
scadenza; mentre è sfornita di base normativa ogni opzione
interpretativa che correli il potere sanzionatorio del
Comune al previo esercizio dell'onere di sollecitazione del
pagamento presso il debitore principale, ovvero presso il
fideiussore. Solo eventuale, infatti, può essere la
parallela garanzia prestata per l'adempimento del debito
principale.
In tale sistema,
l'amministrazione comunale, allo scadere
del termine originario di pagamento della rata, ha solo la
facoltà di escutere immediatamente il fideiussore onde
ottenere il soddisfacimento del suo credito; ma ove ciò non
accada, l'amministrazione avrà comunque il dovere/potere di
sanzionare il ritardo nel pagamento con la maggiorazione del
contributo a percentuali crescenti all'aumentare del
ritardo. E, solo alla scadenza di tutti termini fissati al
debitore per l'adempimento (e quindi dopo aver applicato le
massime maggiorazioni di legge), l'amministrazione avrà il
potere di agire nelle forme della riscossione coattiva del
credito nei confronti del debitore principale (art. 43,
D.P.R. n. 380 del 2001).
L'amministrazione, se pure non è impedita dallo svolgere
attività sollecitatoria dei pagamenti in occasione delle
scadenze dei termini intermedi cui sono correlati gli
aumenti percentuali del contributo, è facultata ad attendere
il volontario pagamento da parte del debitore (e
eventualmente del suo fideiussore), salvo in ogni caso
restando il suo potere-dovere di applicare le sanzioni di
legge per il ritardato pagamento.
Il potere di sanzionare il pagamento tardivo, in definitiva,
è incondizionatamente previsto dall' art. 42 D.P.R. n. 380
del 2001 e la lettera della legge è chiara nell'assegnare
all'amministrazione il potere/dovere di applicare le
sanzioni al verificarsi di un unico presupposto fattuale, e
cioè il ritardo nel pagamento da parte dell'intestatario del
titolo edilizio, o di chi gli sia subentrato secundum
legem.
In definitiva, seguendo l’insegnamento dell’Adunanza
Plenaria del Consiglio di Stato (Ad. Plen. 07.12.2016, n.
24)
un'amministrazione comunale ha il pieno potere di
applicare, nei confronti dell'intestatario di un titolo
edilizio, la sanzione pecuniaria prescritta dalla legge per
il caso di ritardo ovvero di omesso pagamento degli oneri
relativi al contributo di costruzione anche ove, in caso di
pagamento dilazionato di detto contributo, abbia omesso di
escutere la garanzia fideiussoria in esito alla infruttuosa
scadenza dei singoli ratei di pagamento ovvero abbia
comunque omesso di svolgere attività sollecitatoria del
pagamento presso il debitore principale.
Non può affermarsi l'esistenza di un onere collaborativo
gravante sulla Amministrazione creditrice, desumibile dai
principi generali in tema di correttezza e buona fede nei
rapporti obbligatori di tipo civilistico o dal principio di
leale collaborazione proprio dei rapporti intersoggettivi di
diritto pubblico, consistente in un obbligo di pronta
escussione della garanzia fideiussoria costituita a suo
favore o di sollecitazione del pagamento presso il debitore
principale. Conseguentemente, nulla osta all'applicazione,
nei confronti dell'intestatario del titolo edilizio, delle
sanzioni pecuniarie previste dalla legge per il caso di
ritardato od omesso pagamento di oneri di costruzione e
urbanizzazione. |
gennaio 2018 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Solo con la volturazione del titolo edilizio,
concordata con l’amministrazione, il precedente titolare del
bene può essere liberato dal pagamento degli oneri
concessori.
Il contributo di costruzione, quale
prestazione patrimoniale imposta funzionale a remunerare
l’esecuzione di opere pubbliche, si colloca pacificamente
nell’alveo dei rapporti di diritto pubblico, anche se ha ad
oggetto un obbligo pecuniario ripartito in due quote,
commisurate rispettivamente all’incidenza delle spese di
urbanizzazione (oneri di urbanizzazione) e al costo di
costruzione dell’edificio assentito.
La norma definisce presupposti legali determinati per
l’esercizio del potere di riscossione, nella fase
fisiologica, e del potere sanzionatorio, nell’ipotesi in cui
il privato non adempia all’obbligo: il mancato pagamento
infatti legittima –ed obbliga secondo il principio di
doverosità cui si conforma l’esercizio del potere quando si
realizzano i presupposti previsti dalla fattispecie-
l’amministrazione all’applicazione di sanzioni pecuniarie
crescenti in rapporto all’entità del ritardo (art. 42 d.P.R.
cit.) e, in caso di persistenza dell’inadempimento, alla
riscossione del contributo e delle sanzioni secondo le norme
vigenti in materia di riscossione coattiva delle entrate
(art. 43 d.P.R. cit.).
---------------
Il permesso di costruire è stato
rilasciato in favore della ricorrente e la norma individua
in capo al “titolare” del permesso il soggetto obbligato
all’adempimento della prestazione pecuniaria.
I trasferimenti della proprietà del bene su cui incide
l’attività edilizia assentita non hanno efficacia nel
rapporto pubblicistico che sorge per effetto del rilascio
del provvedimento di assenso, salvo che non vi sia una
novazione soggettiva, come tale però concordata con
l’amministrazione.
Invero, “L'originario titolare di un permesso di costruire
può liberarsi dagli obblighi connessi al titolo, nel caso in
cui alieni il terreno da edificare —ovvero l'edificio in
costruzione— cedendo il titolo edilizio mediante apposita
volturazione. Con tale atto, il Comune autorizza
l'acquirente a subentrare nella titolarità del permesso di
costruire e nello stesso tempo accetta l'accollo degli oneri
concessori da parte dell'acquirente stesso, con liberazione
del precedente titolare”.
---------------
Il giudizio verte sulla legittimità dell’atto prot. 41783
del 22.09.2010 col quale il Comune di Vibo Valentia ha
ingiunto alla ricorrente il pagamento della somma ivi
indicata, corrispondente al mancato pagamento delle rate
relative ai contributi per oneri di urbanizzazione e per
costi di costruzione, dovuti in forza del permesso di
costruire rilasciato in favore dell’interessata e alla
maggiorazione dovuta per la penale di cui all’art. 42 DPR
380/2001.
La ricorrente deduce l’illegittimità dell’atto per:
a) il difetto di legittimazione passiva della ricorrente, poiché il
terreno su cui si sarebbero dovuti realizzare le opere
oggetto di permesso di costruire sono stati ceduti ad un
terzo, chiedendo al Comune la voltura dell’atto di assenso
(richiesta però mai riscontrata dal Comune);
b) la causa di forza maggiore che ha impedito l’assolvimento degli
obblighi pecuniari, consistente in provvedimenti di
sequestro penale delle aree.
...
Il ricorso è infondato.
Non è in contestazione l’inadempimento delle prestazioni
patrimoniali che la normativa edilizia pone in capo al
beneficiario del permesso di costruire, in ossequio al
principio di onerosità che regge la disciplina
autorizzatoria delle attività comportanti la trasformazione
urbanistico-edilizia del territorio (art. 11, comma 2, del
d.P.R. n. 380 del 2001.
Come anche da ultimo precisato, il contributo di
costruzione, quale prestazione patrimoniale imposta
funzionale a remunerare l’esecuzione di opere pubbliche, si
colloca pacificamente nell’alveo dei rapporti di diritto
pubblico, anche se ha ad oggetto un obbligo pecuniario
ripartito in due quote, commisurate rispettivamente
all’incidenza delle spese di urbanizzazione (oneri di
urbanizzazione) e al costo di costruzione dell’edificio
assentito.
La norma definisce presupposti legali determinati per
l’esercizio del potere di riscossione, nella fase
fisiologica, e del potere sanzionatorio, nell’ipotesi in cui
il privato non adempia all’obbligo: il mancato pagamento
infatti legittima –ed obbliga secondo il principio di
doverosità cui si conforma l’esercizio del potere quando si
realizzano i presupposti previsti dalla fattispecie-
l’amministrazione all’applicazione di sanzioni pecuniarie
crescenti in rapporto all’entità del ritardo (art. 42 d.P.R.
cit.) e, in caso di persistenza dell’inadempimento, alla
riscossione del contributo e delle sanzioni secondo le norme
vigenti in materia di riscossione coattiva delle entrate
(art. 43 d.P.R. cit.).
Alla luce di tale assetto normativo nessuna delle censure
sollevate dal ricorrente è condivisibile.
Il permesso di costruire è stato rilasciato in favore della
ricorrente e la norma individua in capo al “titolare”
del permesso il soggetto obbligato all’adempimento della
prestazione pecuniaria; i trasferimenti della proprietà del
bene su cui incide l’attività edilizia assentita non hanno
efficacia nel rapporto pubblicistico che sorge per effetto
del rilascio del provvedimento di assenso, salvo che non vi
sia una novazione soggettiva, come tale però concordata con
l’amministrazione (TAR Toscana, Sez. III, 12.03.2014 n. 493,
ivi, il TAR Molise, 25.07.2012 n. 27 “L'originario
titolare di un permesso di costruire può liberarsi dagli
obblighi connessi al titolo, nel caso in cui alieni il
terreno da edificare —ovvero l'edificio in costruzione—
cedendo il titolo edilizio mediante apposita volturazione.
Con tale atto, il Comune autorizza l'acquirente a subentrare
nella titolarità del permesso di costruire e nello stesso
tempo accetta l'accollo degli oneri concessori da parte
dell'acquirente stesso, con liberazione del precedente
titolare”).
Nel caso di specie è lo stesso ricorrente ad affermare che
l’istanza di “voltura” del titolo non ha avuto alcun
riscontro positivo da parte dell’amministrazione.
Quanto alla impossibilità di adempimento, essa, trattandosi
di un debito pecuniario, non è configurabile tale causa di
estinzione dell’obbligazione pecuniaria, ravvisata, secondo
la prospettazione del ricorrente, in una mera “difficoltà
finanziaria” o nella limitazione del potere di
disposizione del bene immobile cui si riferisce l’attività
edilizia.
In conclusione il ricorso va pertanto rigettato (TAR
Calabria-Catanzaro, Sez. I,
sentenza 29.01.2018 n. 277
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
dicembre 2017 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Dal 2018, gli “oneri di urbanizzazione”
cesseranno di essere un’entrata genericamente destinata a
investimenti, per tornare a essere un'entrata
vincolata per legge, con tutte le conseguenze del caso.
---------------
Il sindaco della Città di Segrate (MI) ha richiesto alla
Sezione un parere sulla possibilità di utilizzare negli
esercizi 2018 e 2019 quota dei proventi derivanti da “oneri
di urbanizzazione” e “monetizzazione di aree a standards”,
per l’estinzione anticipata di mutui, assunti in precedenza,
esclusivamente, per il finanziamento di spese d’investimento
finalizzate alla realizzazione di opere di urbanizzazione
primaria e secondaria, al fine di sostenere il piano di
riequilibrio (Piano) richiesto dal comune.
A tale scopo ha precisato nella richiesta che, nell’ambito
del Piano il comune intende attuare, nel corso degli
esercizi 2018 e 2019, “una significativa operazione di
riduzione del debito residuo” (mutui in corso di
ammortamento assunti precedentemente con istituti bancari
per la realizzazione di opere pubbliche), per
“l’alleggerimento della rigidità strutturale del bilancio”.
L’ammontare di proventi che si propone di impiegare a tale
fine è di 10 milioni con riferimento agli oneri di
urbanizzazione (2018 e 2019) e 4 milioni in relazione alla
“monetizzazione di aree a standards” (2018). Si esclude
esplicitamente il finanziamento con questi proventi
“dell’indennizzo dovuto all’istituto mutuante a fronte del
recesso anticipato del contratto”.
...
Con specifico riferimento alla richiesta oggetto la presente
pronuncia, non può essere, in pendenza dell’esame del Piano
di riequilibrio, essere considerata ammissibile, pur
presentando profili sostanziali che meritano di essere
considerati.
In tal senso, ferme restando le ragioni dell'inammissibilità
del quesito sotto il profilo oggettivo, a ogni buon conto
questa Sezione ricorda che la questione dell’utilizzazione
dei proventi dei cosiddetti oneri di urbanizzazione e
relative sanzioni è stata ripetutamente scandagliata da
questa Corte (si richiamano in particolare il
parere 09.02.2016 n. 38 ed
il
parere 23.03.2017 n. 81
di questa Sezione), dal cui
esame è possibile ricostruire il complesso quadro normativo.
Il quesito richiama espressamente l’art. 4 della legge 847
del 1964 (urbanizzazione primaria) e l’art. 44 della legge
865 del 1971 (urbanizzazione secondaria).
Come si evince dalla richiesta di parere, di questi mutui,
assunti per eseguire gli investimenti di cui al punto
precedente e in questo momento in fase di ammortamento, il
comune vorrebbe, per un ammontare complessivo pari a 14
milioni di euro, operare un’estinzione anticipata,
utilizzando quota equivalente di proventi derivanti da oneri
di urbanizzazione e da monetizzazione di aree a standard.
Un aspetto rilevante del quesito attiene quindi al grado di
libertà che l’ordinamento vigente consente al comune
nell’impiego di queste risorse.
Il legislatore, come rileva anche il comune nella nota di
richiesta del parere, è intervenuto di recente sul punto,
con l’art. 1, commi 460 e 461, della legge 232 del 2016
(legge di bilancio 2017), che prescrive la destinazione
esclusiva e senza vincoli temporali (dal 01.01.2018) dei
“proventi dei titoli abitativi edilizi e delle sanzioni
previste” a specifiche fattispecie dallo stesso indicate.
Con la legge richiamata (comma 460) è stato ripristinato uno
stringente vincolo di destinazione, dal 2018, per “i
proventi dei titoli abilitativi edilizi e delle sanzioni
previste dal testo unico sull’edilizia” (DPR 380 del 2001),
che “sono destinati esclusivamente e senza vincoli temporali
alla realizzazione e alla manutenzione ordinaria e
straordinaria delle opere di urbanizzazione primaria e
secondaria, al risanamento di complessi edilizi compresi nei
centri storici e nelle periferie degradate, a interventi di
riuso e di rigenerazione, a interventi di demolizione di
costruzioni abusive, all’acquisizione e alla realizzazione
di aree verdi destinate a uso pubblico, a interventi di
tutela e riqualificazione dell’ambiente e del paesaggio,
anche ai fini della prevenzione e della mitigazione del
rischio idrogeologico e sismico e della tutela e
riqualificazione del patrimonio rurale pubblico, nonché a
interventi volti a favorire l’insediamento di attività di
agricoltura nell’ambito urbano”.
Da ultimo, con il decreto legge 148 del 2017 (decreto
fiscale collegato alla manovra di bilancio per il 2018)
il
legislatore è nuovamente intervenuto sul punto, integrando
le fattispecie previste nel comma 460 con le “spese di
progettazione per opere pubbliche".
La richiamata norma inserita nella legge di bilancio per il
2017, indica, dopo la modifica del decreto legge 148 del
2017, otto fattispecie esplicitamente individuate, cui
destinare “esclusivamente e senza vincoli temporali” i
proventi “dei titoli abitativi edilizi e delle sanzioni”.
Si reintroduce quindi, con il richiamato comma 460 della
legge di bilancio per il 2017, un vincolo di destinazione
dell'entrata ritornando, in pratica, alla logica
dell’originaria legge 10 del 1977 (cosiddetta legge Bucalossi).
Dal 2018, gli “oneri di urbanizzazione”
cesseranno di essere un’entrata genericamente destinata a
investimenti, per tornare a essere un'entrata
vincolata per legge, con tutte le conseguenze del caso, come
rilevato nel
parere 23.03.2017 n. 81 di questa sezione.
Se da un lato il vincolo introdotto, esclusivo e permanente,
non sembra consentire impiego diverso, non si possono non
richiamare le molteplici analogie tra le fattispecie
richiamate nel citato comma 460 e l’oggetto stesso dei
mutui, contratti per il finanziamento di spese
d’investimento finalizzate alla realizzazione di opere di
urbanizzazione primaria e secondaria.
Inoltre, sotto un diverso profilo non si può non rilevare
che l’impiego di entrate per la riduzione di spese della
medesima natura, sia per il titolo (entrate in conto
capitale contro spese in conto capitale), sia per la durata
(entrate temporanee contro spese temporanee) contrasta con
la tendenza alla dequalificazione della spesa che la Corte
ha più volte rilevato in senso negativo (v. fra le ultime,
sul punto, le deliberazioni nn. 382/2015/PRSE; 360/2015/PRSE;
160/2015/PRSE; 155/2015/PRSE; 152/2015/PRSE).
Nella stessa direzione si muove il richiamo alla deliberazione n. 317/2011/PAR sezione Lombardia sul rimborso
del recesso anticipato, di cui si esclude, seguendo le
indicazioni della Corte, la contabilizzazione nel titolo III.
Il divieto di utilizzare la riduzione di spese in conto
capitale per alimentare corrispondentemente spese correnti
(e, specularmente, l’utilizzo di entrate in conto capitale
per sostenere spese correnti) trova la sua ratio
nell’esigenza di non peggiorare il risparmio pubblico
(risultato differenziale tra entrate correnti e spese
correnti), mentre, com’è noto, tali spostamenti non
producono effetti sul saldo netto da finanziare (risultato
differenziale tra entrate e spese finali).
Nel senso di evitare la dequalificazione della spesa è anche
il richiamo all’art. 1, comma 443, della legge 228 del 2012
(legge di stabilità per il 2013), che consente, in
applicazione dell’art. 162, comma 6, del TUEL, la
destinazione dei proventi da alienazione di beni
patrimoniali disponibili, alla esclusiva copertura di spese
d’investimento, ovvero, per la parte eccedente, alla
riduzione del debito (la norma è richiamata in correlazione
alla natura di entrata patrimoniale dei proventi da
“monetizzazione di aree a standard”, classificata nel Titolo IV, entrate in conto capitale).
La necessità di sostenere il piano di riequilibrio attivato
con deliberazione del consiglio comunale numero 1 del 13.02.2017, e successivamente approvato con deliberazione
consiliare n. 19 del 12.05.2017 (e rettificato con
successiva deliberazione n. 21 del 19/05/2017), attualmente
in fase di istruttoria (Piano di riequilibrio 2017–2026),
non può non far rilevare come la procedura di riequilibrio
pluriennale si configura come “una terza fattispecie che si
aggiunge” a quelle già previste dal TUEL, relative
rispettivamente agli enti in condizioni strutturalmente
deficitarie e a quelli in situazioni di dissesto
finanziario.
In altre parole la situazione debitoria, cui il Piano deve
fornire “una quantificazione veritiera e attendibile”,
intesa in senso largo, nelle molteplici dimensioni assunte
dallo squilibrio finanziario, diventa il punto cruciale sul
quale focalizzare la governance finanziaria. Tutte le
energie amministrative e contabili devono essere quindi
spese, una volta valutati positivamente i presupposti, nel
tentativo di evitare il dissesto, che diviene un percorso
obbligato al verificarsi delle condizioni previste dall’art.
244 del TUEL.
Si rileva pertanto, in conclusione,
la coesistenza di due
problematiche, indotte, la prima, dalla legge di bilancio
per il 2017, che reintroduce il vincolo di destinazione
sugli “oneri di urbanizzazione”, e, la seconda, dalla
normativa sul riequilibrio pluriennale (art. 243-bis del TUEL), finalizzata al superamento di una situazione di grave
precarietà finanziaria (Corte dei Conti, Sez. controllo
Lombardia,
parere 20.12.2017 n. 372). |
novembre 2017 |
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EDILIZIA PRIVATA:
L’acquirente
dell’immobile che non utilizzi la concessione edilizia, non
ponendo in essere alcuna attività edificatoria, non è tenuto
al pagamento del contributo di costruzione dovuto dal
titolare della concessione.
Il Consiglio di Stato si è da tempo
espresso nel senso che legittimamente un comune richiede
all'intestatario di una concessione edilizia il pagamento
del contributo commisurato al costo di costruzione, a nulla
rilevando che dopo il rilascio del titolo l'immobile sia
stato alienato a terzi. E, analogamente, è stato ritenuto
che ai fini del pagamento dei contributi di urbanizzazione
risponde direttamente e per intero il titolare della
concessione edilizia, essendo i successivi acquirenti
estranei al rapporto che al riguardo si è instaurato col
Comune.
L’indirizzo ha trovato anche ulteriori espressioni.
L'acquirente a titolo particolare di un fabbricato già
realizzato, è stato detto, non è, in difetto di accollo,
obbligato al pagamento degli oneri di urbanizzazione a suo
tempo dovuti al momento del rilascio al venditore della
relativa concessione edilizia, giusta le ordinarie regole
della successione per cui le obbligazioni si trasmettono
all'erede del debitore e non anche al predetto acquirente, e
non essendo quest’ultimo titolare della concessione edilizia.
Invero, gli oneri relativi a
una concessione edilizia vanno determinati, ai sensi
dell'art. 11 l. 28.01.1977 n. 10, al momento del
rilascio della concessione stessa, per cui non può essere
tenuto al pagamento di detti oneri il soggetto che subentri
nella concessione solo successivamente al suo rilascio.
E quando la giurisprudenza ha deciso nel senso opposto del
debito dell’acquirente per gli oneri di urbanizzazione, ciò
è avvenuto sul rilievo che l’obbligo di compiere le relative
opere, originariamente assunto dai lottizzanti, fosse
transitato quale obbligazione propter rem a carico del nuovo
proprietario che chiedeva la singola concessione edilizia.
---------------
La tematica è stata infine recentemente esaminata funditus
in occasione della decisione della stessa Sez. V, 30.11.2011,
n. 6333, con la quale sono state svolte le seguenti
considerazioni:
“L'art. 3 della l. n. 10 del 1977 stabilisce che la
concessione edilizia comporta la corresponsione di un
contributo commisurato all'incidenza delle spese di
urbanizzazione e al costo di costruzione.
La più accreditata dottrina e la giurisprudenza hanno
chiarito che il costo di costruzione è una prestazione
patrimoniale di natura impositiva e trova la sua ratio
nell'incremento patrimoniale che il titolare del permesso di
costruire consegue in dipendenza dell'intervento edilizio.
Essa, pertanto, postula quale condizione di esigibilità la
sussistenza di un titolo abilitativo valido ed efficace e la
concreta fruizione del titolo da parte del concessionario,
ovvero la effettiva attività di edificazione.
La causa giuridica del pagamento è, dunque, nella fruizione
dell'atto abilitativo all'edificazione a mezzo della
effettiva realizzazione dell'intervento assentito.
La suddetta natura trova conferma nella disposizione
dell'art. 11 della l. n. 10 del 1977, applicabile ratione
temporis e del vigente l'art. 16 del T.U. dell'edilizia, che
stabiliscono che la quota di contributo per costo di
costruzione, determinata al momento del rilascio della
concessione, deve essere corrisposta in corso d'opera o
comunque non oltre 60 giorni dall'ultimazione delle opere.
Ne consegue che il Pe., non avendo mai usufruito della
concessione edilizia -dagli atti di causa emerge che non ha
mai nemmeno ritirato il titolo, avendone chiesto la voltura
in favore della società Ri.- non è soggetto obbligato per
legge a pagare il contributo commisurato al costo di
costruzione.
Quanto alla circostanza che il Pe. sia stato il soggetto che
ha avviato, con istanza del 1977, il procedimento volto al
rilascio della concessione edilizia, essa è del tutto
irrilevante, non essendosi verificato in capo allo stesso il
presupposto di esigibilità del suddetto onere, che è la
fruizione del titolo e la materiale esecuzione delle opere,
cui il titolo si riferisce.
D'altra parte, le obbligazioni per oneri di urbanizzazione e
costo di costruzione vanno trattate alla stregua di oneri
reali, ovvero di obbligazioni propter rem che circolano con
il bene cui accedono, sicché nel caso di trasferimento del
bene, esse gravano sull'acquirente.
…Si è già detto che il rilascio e l'effettiva fruizione del
titolo edilizio rappresentano i fatti costitutivi della
fonte dell'obbligazione di pagamento del contributo di
costruzione, sicché chi non ha utilizzato il titolo non
assume la qualifica di soggetto obbligato e, quindi, nemmeno
di soggetto coobbligato.”
---------------
I principi così illustrati, che smentiscono che l’ambulatorietà
dell’obbligazione in questione sia incondizionata e
illimitata (come presupposto invece dal TAR), sono stati
confermati anche dalla Corte di Cassazione.
La Corte, nel configurare l'obbligo del pagamento degli
oneri di urbanizzazione come un’obbligazione propter rem, ha
precisato, infatti, che verso il Comune ha gli stessi
obblighi che gravavano sull’originario concessionarioanche
“colui che realizza opere di trasformazione edilizia ed
urbanistica, valendosi di concessione rilasciata al suo
dante causa”.
---------------
6 Tanto premesso, l’appello in esame merita accoglimento in ragione
della fondatezza del suo assorbente primo motivo.
7 Con tale mezzo la società in epigrafe ripropone l’assunto
che il pagamento dei contributi concessori gravava sulla
precedente proprietaria dell’immobile in qualità di titolare
della concessione stessa, nel mentre essa ricorrente,
acquirente a titolare particolare, nemmeno attraverso l’atto
di trasferimento del bene aveva assunto alcun obbligo circa
i contributi ancora dovuti.
7a Il Tribunale ha disatteso la doglianza osservando, in
sintesi:
- innanzitutto, che la prevalente giurisprudenza, con
riferimento tanto agli oneri di urbanizzazione quanto al
costo di costruzione, ravvisa negli oneri concessori la
natura di obbligazioni c.d. reali o propter rem,
caratterizzate dalla stretta inerenza alla res e destinate a
circolare unitamente ad essa con carattere di ambulatorietà,
onde nel caso di trasferimento del bene le stesse si
trasferiscono sull’acquirente;
- in secondo luogo, che il decreto del Tribunale Civile di
Trapani n. 52/2014 di trasferimento dell’immobile alla
ricorrente puntualizzava che l’acquisto di tale bene sarebbe
avvenuto “nello stato di fatto e di diritto in cui si trova,
con pesi ed oneri non estinti”.
7b A tanto la ricorrente però obietta che secondo la
giurisprudenza, in realtà, l’obbligo di pagare il contributo
di concessione si atteggia come obbligazione propter rem, sì
che l’adempimento possa essere preteso anche nei riguardi
del terzo acquirente, solo allorché questi “valendosi della
concessione edilizia realizza le opere che con essa sono
state assentite”, e non anche quando da parte sua non vi sia
alcuna fruizione dell’atto abilitativo.
L’appellante sostiene, quindi, che l’acquirente
dell’immobile che non utilizzi la concessione, non ponendo
in essere alcuna attività edificatoria (come appunto essa
ricorrente, che aveva acquisito la struttura già ultimata),
non sarebbe tenuto al pagamento del contributo dovuto dal
titolare della concessione.
7c Orbene, quest’ultima impostazione è del tutto corretta e
meritevole d’adesione.
Il Consiglio di Stato si è da tempo espresso nel senso che
legittimamente un comune richiede all'intestatario di una
concessione edilizia il pagamento del contributo commisurato
al costo di costruzione, a nulla rilevando che dopo il
rilascio del titolo l'immobile sia stato alienato a terzi
(C.d.S., Sez. V, 13.12.1993, n. 1280). E,
analogamente, è stato ritenuto che ai fini del pagamento dei
contributi di urbanizzazione risponde direttamente e per
intero il titolare della concessione edilizia, essendo i
successivi acquirenti estranei al rapporto che al riguardo
si è instaurato col Comune (C.d.S., Sez. V, 26.06.1996,
n. 793).
L’indirizzo ha trovato anche ulteriori espressioni.
L'acquirente a titolo particolare di un fabbricato già
realizzato, è stato detto, non è, in difetto di accollo,
obbligato al pagamento degli oneri di urbanizzazione a suo
tempo dovuti al momento del rilascio al venditore della
relativa concessione edilizia, giusta le ordinarie regole
della successione per cui le obbligazioni si trasmettono
all'erede del debitore e non anche al predetto acquirente, e
non essendo quest’ultimo titolare della concessione edilizia
(Sez. V, 26.03.1996, n. 294; cfr. anche la decisione 17.09.2010 n. 6950 nel senso che gli oneri relativi a
una concessione edilizia vanno determinati, ai sensi
dell'art. 11 l. 28.01.1977 n. 10, al momento del
rilascio della concessione stessa, per cui non può essere
tenuto al pagamento di detti oneri il soggetto che subentri
nella concessione solo successivamente al suo rilascio).
E quando la giurisprudenza ha deciso nel senso opposto del
debito dell’acquirente per gli oneri di urbanizzazione, ciò
è avvenuto sul rilievo che l’obbligo di compiere le relative
opere, originariamente assunto dai lottizzanti, fosse
transitato quale obbligazione propter rem a carico del nuovo
proprietario che chiedeva la singola concessione edilizia (C.d.S,
Sez. V, 15.05.2001, n. 2699)
La tematica è stata infine recentemente esaminata funditus
in occasione della decisione della stessa Sez. V, 30.11.2011, n. 6333, con la quale sono state svolte le
seguenti considerazioni.
“L'art. 3 della l. n. 10 del 1977 stabilisce che la
concessione edilizia comporta la corresponsione di un
contributo commisurato all'incidenza delle spese di
urbanizzazione e al costo di costruzione.
La più accreditata dottrina e la giurisprudenza hanno
chiarito che il costo di costruzione è una prestazione
patrimoniale di natura impositiva e trova la sua ratio
nell'incremento patrimoniale che il titolare del permesso di
costruire consegue in dipendenza dell'intervento edilizio.
Essa, pertanto, postula quale condizione di esigibilità la
sussistenza di un titolo abilitativo valido ed efficace e la
concreta fruizione del titolo da parte del concessionario,
ovvero la effettiva attività di edificazione.
La causa giuridica del pagamento è, dunque, nella fruizione
dell'atto abilitativo all'edificazione a mezzo della
effettiva realizzazione dell'intervento assentito (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. IV, 16.01.2009, n. 218).
La suddetta natura trova conferma nella disposizione
dell'art. 11 della l. n. 10 del 1977, applicabile ratione
temporis e del vigente l'art. 16 del T.U. dell'edilizia, che
stabiliscono che la quota di contributo per costo di
costruzione, determinata al momento del rilascio della
concessione, deve essere corrisposta in corso d'opera o
comunque non oltre 60 giorni dall'ultimazione delle opere.
Ne consegue che il Pe., non avendo mai usufruito della
concessione edilizia -dagli atti di causa emerge che non ha
mai nemmeno ritirato il titolo, avendone chiesto la voltura
in favore della società Ri.- non è soggetto obbligato per
legge a pagare il contributo commisurato al costo di
costruzione.
Quanto alla circostanza che il Pe. sia stato il soggetto che
ha avviato, con istanza del 1977, il procedimento volto al
rilascio della concessione edilizia, essa è del tutto
irrilevante, non essendosi verificato in capo allo stesso il
presupposto di esigibilità del suddetto onere, che è la
fruizione del titolo e la materiale esecuzione delle opere,
cui il titolo si riferisce.
D'altra parte, le obbligazioni per oneri di urbanizzazione e
costo di costruzione vanno trattate alla stregua di oneri
reali, ovvero di obbligazioni propter rem che circolano con
il bene cui accedono, sicché nel caso di trasferimento del
bene, esse gravano sull'acquirente.
…Si è già detto che il rilascio e l'effettiva fruizione del
titolo edilizio rappresentano i fatti costitutivi della
fonte dell'obbligazione di pagamento del contributo di
costruzione, sicché chi non ha utilizzato il titolo non
assume la qualifica di soggetto obbligato e, quindi, nemmeno
di soggetto coobbligato.”
I principi così illustrati, che smentiscono che l’ambulatorietà
dell’obbligazione in questione sia incondizionata e
illimitata (come presupposto invece dal TAR), sono stati
confermati anche dalla Corte di Cassazione.
La Corte, nel configurare l'obbligo del pagamento degli
oneri di urbanizzazione come un’obbligazione propter rem, ha
precisato, infatti, che verso il Comune ha gli stessi
obblighi che gravavano sull’originario concessionario anche
“colui che realizza opere di trasformazione edilizia ed
urbanistica, valendosi di concessione rilasciata al suo
dante causa” (così Cass. civ., Sez. III, 17.06.1996, n.
5541; in senso conforme Sez. II, 27.08.2002, n. 12571).
7d Dai principi esposti consegue, dunque, che il Comune di
San Vito Lo Capo non aveva titolo per pretendere il
pagamento dei contributi oggetto di causa dall’attuale
ricorrente.
La s.r.l. SO. & SO. aveva acquistato una struttura
immobiliare già completata (tanto da essere munita sin dal
2006 anche dell’agibilità), e pertanto, non avendo essa
realizzato opere di trasformazione edilizia, non aveva avuto
alcuna effettiva fruizione della concessione.
7e Né giova al Comune opporre la clausola del decreto n.
52/2014 per cui il trasferimento dell’immobile era avvenuto
“nella stato di fatto e di diritto in cui si trova, con pesi
ed oneri non estinti”: astratta clausola di stile che, come
tale, non poteva assurgere a fonte autonoma di obbligazione,
a carico del terzo acquirente, fuori dei casi in cui la
legge ne imponeva la successione nel debito.
Come neppure vale richiamarsi al riconoscimento di debito
che si vorrebbe insito nell’istanza del 22.04.2015 con
la quale la società aveva inizialmente chiesto di poter
versare gli oneri in discorso semestralmente.
L’accertamento, sopra compiuto, dell’insussistenza della
posizione debitoria della ricorrente comporterebbe comunque,
infatti, il superamento della presunzione meramente relativa
contemplata dall’art. 1998 cod.civ..
8 In conclusione, la fondatezza del primo motivo d’appello,
di valenza assorbente, impone senz’altro l’accoglimento
della presente impugnativa (C.G.A.R.S.,
sentenza 03.11.2017 n. 471 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
settembre 2017 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Sulla rettifica (in più) della misura del contributo di
costruzione erroneamente quantificato, quale attività
–purché svolta entro il termine di prescrizione decennale-
non solo legittima ma anzi doverosa per la Pubblica
Amministrazione.
Sul piano normativo, occorre ricordare che le controversie
in tema di determinazione della misura dei contributi
edilizi concernono l'accertamento di diritti soggettivi che
traggono origine direttamente da fonti normative, per cui
sono proponibili, a prescindere dall'impugnazione di
provvedimenti dell'amministrazione, nel termine di
prescrizione.
Più in particolare, la giurisprudenza amministrativa, ha già avuto modo di affrontare la
questione della rideterminazione degli oneri concessori da
parte dell’amministrazione, con considerazioni che si
intendono ribadire nella presente sede.
Si è, infatti, affermato:
a) è infondata la tesi secondo la quale “(a pretesa tutela
della buona fede e dell'affidamento riposto dal privato
nella più risalente determinazione degli oneri adottata
dall'amministrazione appellata) sarebbe preclusa la
rideterminazione degli oneri concessori da parte
dell'amministrazione comunale se non nella ipotesi di meri
errori di calcolo ictu oculi percepibili, a tutela
dell'affidamento in buona fede riposto dal privato nella
quantificazione operata in sede di prima determinazione”;
b) “la natura paritetica dell'atto di determinazione
consente che l'Amministrazione possa apportarvi rettifiche
(sia in favore del privato che in senso contrario), purché
ciò avvenga nei limiti della prescrizione del relativo
diritto di credito” e ciò in quanto “il computo degli oneri
di urbanizzazione non è attività autoritativa e la
contestazione sulla relativa corresponsione è proponibile
nel termine di prescrizione decennale a prescindere
dall'impugnazione dei provvedimenti adottati o dal sollecito
a provvedere in via di autotutela. Trattasi infatti, nel
caso di specie, di una determinazione che "obbedisce" a
prescrizioni desumibili da tabelle, in ordine alla quale
l'amministrazione comunale si limita ad applicare i detti
parametri, (conseguentemente per la stessa rivestenti natura
cogente) laddove è esclusa qualsivoglia discrezionalità
applicativa”;
c) “la pariteticità dell'atto e l'assenza di discrezionalità
ne legittima o addirittura ne impone la revisione ove
affetta da errore, con il solo limite della maturata
prescrizione del credito). La originaria determinazione,
pertanto, può essere sempre rivisitata, ove la si assuma
affetta da errore (e fermo restando la necessità che detta
originaria erroneità della determinazione iniziale sussista
effettivamente), e ciò sia laddove essa abbia indicato un
importo inferiore al dovuto, che laddove abbia quantificato
un importo superiore e, pertanto, non dovuto”.
---------------
Nel caso di specie, il Comune, rilevato di
aver provveduto a calcolare l’importo dovuto quale
contributo per il costo di costruzione per il permesso di
costruire “senza tener conto della
normativa regionale in vigore al momento del rilascio del
titolo abilitativo” ha provveduto a rideterminare
l’importo dovuto, facendo applicazione della normativa
innanzi citata.
Sicché, nella fattispecie non vi è stata alcuna attività di
adeguamento/integrazione del contributo in momento
successivo al rilascio del titolo (il che integrerebbe, ove
fosse, una violazione dell’art. 16 DPR n. 380/2001), ma solo
una rettifica della misura del contributo, riportandolo a
quanto effettivamente dovuto sulla base di già adottate e
vigenti disposizioni regionali.
E tale attività, alla luce di quanto innanzi esposto –purché svolta entro il termine di prescrizione decennale-
non solo è legittima, ma è, anzi, doverosa per la Pubblica
Amministrazione.
---------------
... per la riforma
della
sentenza
01.03.2016 n. 404 del TAR PUGLIA - SEZ. STACCATA DI LECCE:
SEZ. III, resa tra le parti, concernente
rettifica ammontare del contributo a titolo di costo di
costruzione per il rilascio del permesso di costruire.
...
1. Con l’appello in esame, il Comune di Arnesano impugna la
sentenza 01.03.2016 n. 404, con la quale il TAR per la
Puglia, Sez. III della sede di Lecce ha accolto il ricorso
proposto dalla società Me. s.r.l. ed ha annullato la
nota del Responsabile Settore servizi tecnici 23.02.2014 n. 7259, recante la rettifica dell’ammontare del
contributo correlato al costo di costruzione a suo tempo
richiesto per il rilascio del permesso di costruire n.
9/2009 e la conseguente intimazione a pagare la ulteriore
somma di Euro 9948,60.
La sentenza impugnata –rilevato che la società ricorrente
assume (essenzialmente) che il Comune di Arnesano abbia
(illegittimamente) rideterminato retroattivamente l’importo
del contributo correlato al costo di costruzione, a distanza
di oltre cinque anni dal rilascio del permesso di costruire– afferma, in particolare:
- escluso che “si sia di fronte all’esercizio di un potere
di autotutela volto a correggere meri errori di
determinazione o calcolo compiuti all’epoca del rilascio del
permesso di costruire ... l’attività comunale appare
invece orientata ad addossare al privato successivamente al
rilascio del titolo edilizio costi supplementari derivanti
dal meccanismo legale di adeguamento degli oneri concessori
(e, in particolare, della componente costituita dal costo di
costruzione”;
- “i contributi concessori devono essere stabiliti al
momento del rilascio del titolo edilizio; a tale momento
occorre dunque avere riguardo per la determinazione
dell’entità dell’onere facendo applicazione della normativa
vigente al momento del rilascio del titolo edilizio”;
- “i provvedimenti comunali che dispongono l’adeguamento
degli oneri concessori (sia con riferimento alla voce
relativa agli oneri di urbanizzazione, sia in relazione alla
voce inerente al costo di costruzione) possono trovare
applicazione esclusivamente per i permessi rilasciati a far
tempo dall’epoca di adozione dell’atto deliberativo (avente
carattere regolamentare), e non anche per quelli rilasciati
in epoca anteriore”;
- ne consegue che è “illegittima la pretesa
dell’amministrazione comunale di Arnesano di addossare al
titolare di un permesso edilizio rilasciato oltre cinque
anni prima l’ulteriore carico finanziario derivante ...
dal meccanismo di aggiornamento”.
...
2. L’appello è fondato e deve essere, pertanto, accolto, nei
limiti di cui in motivazione, con conseguente parziale
riforma della sentenza impugnata.
2.1. L’art. 16 DPR n. 380/2001 prevede che, salvi i casi di
esenzione di cui all’art. 17, co. 3, “il rilascio del
permesso di costruire comporta la corresponsione di un
contributo commisurato all’incidenza degli oneri di
urbanizzazione nonché al costo di costruzione”.
Quanto a quest’ultimo, il comma 9 prevede:
“Il costo di costruzione per i nuovi edifici è determinato
periodicamente dalle regioni con riferimento ai costi
massimi ammissibili per l'edilizia agevolata, definiti dalle
stesse regioni a norma della lettera g) del primo comma
dell'articolo 4 della legge 05.08.1978, n. 457. Con lo
stesso provvedimento le regioni identificano classi di
edifici con caratteristiche superiori a quelle considerate
nelle vigenti disposizioni di legge per l'edilizia
agevolata, per le quali sono determinate maggiorazioni del
detto costo di costruzione in misura non superiore al 50 per
cento. Nei periodi intercorrenti tra le determinazioni
regionali, ovvero in eventuale assenza di tali
determinazioni, il costo di costruzione è adeguato
annualmente, ed autonomamente, in ragione dell'intervenuta
variazione dei costi di costruzione accertata dall'Istituto
nazionale di statistica (ISTAT). Il contributo afferente al
permesso di costruire comprende una quota di detto costo,
variabile dal 5 per cento al 20 per cento, che viene
determinata dalle regioni in funzione delle caratteristiche
e delle tipologie delle costruzioni e della loro
destinazione ed ubicazione”.
A fronte di ciò, l’art. 2 l.reg. Puglia 01.02. 2007 n.
1, prevede:
“1. Il costo di costruzione per la nuova edificazione viene
confermato, fino a nuovo aggiornamento, in misura pari al
costo base di nuova costruzione stabilito, con riferimento
ai limiti massimi ammissibili per l'edilizia residenziale
agevolata, a norma della lettera g) del primo comma
dell'articolo 4 della legge 05.08.1978, n. 457 (Norme per
l'edilizia residenziale), con Delib. G.R. 04.04.2006, n.
449 (Aggiornamento dei limiti massimi di costo per gli
interventi di Edilizia residenziale sovvenzionata e di
Edilizia residenziale agevolata), ossia pari a euro
594,00/mq.
2. I comuni hanno facoltà di applicare al costo base per
l'edilizia agevolata, come determinato al comma 1, i
"Criteri per il calcolo del contributo relativo al costo di
costruzione" di cui all'allegato A della presente legge,
motivando adeguatamente le eventuali riduzioni o incrementi
sia in relazione alle situazioni di bilancio comunale sia in
relazione ai costi di costruzione effettivamente praticati
in loco.
3. In assenza di apposite deliberazioni della Giunta
regionale che provvedano ad adeguare il costo di
costruzione, il costo medesimo, così come determinato dalla
presente legge, è adeguato annualmente dai comuni in ragione
dell'intervenuta variazione dei costi di costruzione
accertata dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT).
4. Il primo adeguamento annuale si applica ai permessi di
costruire e/o alla Denuncia inizio attività (DIA) la cui
domanda sia pervenuta al comune, completa, in data
successiva al 31.12.2006; analogamente, per gli anni a
seguire, l'adeguamento annuale si applica ai permessi di
costruire e/o alla DIA la cui domanda sia pervenuta al
Comune, completa, in data successiva al 31 dicembre di ogni
anno”.
Dalle disposizioni innanzi riportate si evince che il potere
di determinazione del costo di costruzione per i nuovi
edifici è attribuito alle Regioni e che, qualora queste
ultime non vi provvedano ovvero nei periodi intercorrenti
tra le determinazioni regionali, “il costo di costruzione è
adeguato annualmente, ed autonomamente, in ragione
dell'intervenuta variazione dei costi di costruzione
accertata dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT)”.
Nella Regione Puglia, inoltre, al costo di costruzione,
ragguagliato a quello previsto per l’edilizia residenziale
pubblica, i Comuni “hanno facoltà” di applicare, in aggiunta
al costo base determinato dalla Regione, “eventuali
riduzioni o incrementi sia in relazione alle situazioni di
bilancio comunale sia in relazione ai costi di costruzione
effettivamente praticati in loco”.
Ovviamente, qualora i Comuni non esercitino tale “facoltà”
(e non obbligo) –in data antecedente a quella del rilascio
del titolo edilizio, e senza possibilità di applicazione
retroattiva- il contributo dovuto per costo di costruzione
resta commisurato a quello definito dalla Regione,
eventualmente incrementato, sussistendone i presupposti,
mediante applicazione dell’indicato indice ISTAT.
2.2. Tanto precisato sul piano normativo, occorre ricordare
che le controversie in tema di determinazione della misura
dei contributi edilizi concernono l'accertamento di diritti
soggettivi che traggono origine direttamente da fonti
normative, per cui sono proponibili, a prescindere
dall'impugnazione di provvedimenti dell'amministrazione, nel
termine di prescrizione (Cons. Stato , sez. IV, 20.11.2012 n. 6033; sez. V,
04.05.1992, n. 360).
Più in particolare, la giurisprudenza amministrativa (v.
Cons. Stato, sez. IV, 20.11.2012 n. 6033; sez. V, 17.09.2010 n. 6950), ha già avuto modo di affrontare la
questione della rideterminazione degli oneri concessori da
parte dell’amministrazione, con considerazioni che si
intendono ribadire nella presente sede.
Si è, infatti, affermato:
a) è infondata la tesi secondo la quale “(a pretesa tutela
della buona fede e dell'affidamento riposto dal privato
nella più risalente determinazione degli oneri adottata
dall'amministrazione appellata) sarebbe preclusa la
rideterminazione degli oneri concessori da parte
dell'amministrazione comunale se non nella ipotesi di meri
errori di calcolo ictu oculi percepibili, a tutela
dell'affidamento in buona fede riposto dal privato nella
quantificazione operata in sede di prima determinazione”;
b) “la natura paritetica dell'atto di determinazione
consente che l'Amministrazione possa apportarvi rettifiche
(sia in favore del privato che in senso contrario), purché
ciò avvenga nei limiti della prescrizione del relativo
diritto di credito” e ciò in quanto “il computo degli oneri
di urbanizzazione non è attività autoritativa e la
contestazione sulla relativa corresponsione è proponibile
nel termine di prescrizione decennale a prescindere
dall'impugnazione dei provvedimenti adottati o dal sollecito
a provvedere in via di autotutela. Trattasi infatti, nel
caso di specie, di una determinazione che "obbedisce" a
prescrizioni desumibili da tabelle, in ordine alla quale
l'amministrazione comunale si limita ad applicare i detti
parametri, (conseguentemente per la stessa rivestenti natura
cogente) laddove è esclusa qualsivoglia discrezionalità
applicativa”;
c) “la pariteticità dell'atto e l'assenza di discrezionalità
ne legittima o addirittura ne impone la revisione ove
affetta da errore, con il solo limite della maturata
prescrizione del credito). La originaria determinazione,
pertanto, può essere sempre rivisitata, ove la si assuma
affetta da errore (e fermo restando la necessità che detta
originaria erroneità della determinazione iniziale sussista
effettivamente), e ciò sia laddove essa abbia indicato un
importo inferiore al dovuto, che laddove abbia quantificato
un importo superiore e, pertanto, non dovuto”.
3.1. Nel caso di specie, il Comune di Arnesano, rilevato di
aver provveduto a calcolare l’importo dovuto quale
contributo per il costo di costruzione per il permesso di
costruire 18.04.2009 n. 9 “senza tener conto della
normativa regionale in vigore al momento del rilascio del
titolo abilitativo” –e precisamente le delibere di Giunta
Regionale n. 449/2006, n. 2268/2008 e n. 766/2010, nonché
l’art. 2 l.reg. n. 1/2007– ha provveduto a rideterminare
l’importo dovuto, facendo applicazione della normativa
innanzi citata (ad eccezione della delibera di Giunta
regionale n. 766/2010).
Nel caso di specie, dunque, così come sostenuto dal Comune
appellante non vi è stata alcuna attività di
adeguamento/integrazione del contributo in momento
successivo al rilascio del titolo (il che integrerebbe, ove
fosse, una violazione dell’art. 16 DPR n. 380/2001), ma solo
una rettifica della misura del contributo, riportandolo a
quanto effettivamente dovuto sulla base di già adottate e
vigenti disposizioni regionali.
E tale attività, alla luce di quanto innanzi esposto –purché svolta entro il termine di prescrizione decennale-
non solo è legittima, ma è, anzi, doverosa per la Pubblica
Amministrazione.
Di conseguenza, non può consentirsi con la sentenza
impugnata:
- né laddove essa afferma che “l’attività comunale appare
invece orientata ad addossare al privato successivamente al
rilascio del titolo edilizio costi supplementari derivanti
dal meccanismo legale di adeguamento degli oneri concessori
(e, in particolare, della componente costituita dal costo di
costruzione”, poiché, come si è detto, trattasi di attività
doverosa di rettifica della misura del contributo in base a
delibere regionali già in precedenza emanate;
- né laddove sostiene che “l’attività comunale appare invece
orientata ad addossare al privato successivamente al
rilascio del titolo edilizio costi supplementari derivanti
dal meccanismo legale di adeguamento degli oneri concessori
(e, in particolare, della componente costituita dal costo di
costruzione”, poiché, se l’adozione del nuovo atto da parte
del Comune è certamente successivo al rilascio del permesso
di costruire, non lo sono, invece, le disposizioni regionali
delle quali si fa applicazione in sede di rettifica.
3.2. Tuttavia, proprio alla luce di quanto sin qui esposto,
la rideterminazione del costo di costruzione, operata dal
Comune di Arnesano, non può fare applicazione né della
delibera di Giunta Regionale n. 755/2010 (richiamata nel
preambolo ma poi non citata tra quelle considerate),
né
della delibera 03.11.2009 n. 2081 (pubblicata sul
Bollettino ufficiale della Regione Puglia 17.11.2009
n. 183, che risulta invece considerata), in quanto ambedue
successive alla data di rilascio del permesso di costruire
n. 9 (16.04.2009).
3.3. Per tutte le ragioni esposte, l’appello deve essere
accolto, nei limiti ora precisati, con conseguente parziale
riforma della sentenza impugnata e corrispondente
accoglimento, in parte, del ricorso instaurativo del
giudizio di I grado (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 27.09.2017 n. 4515 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Sulla
debenza del contributo di costruzione parametrato
a quanto previsto per le attività
commerciali, e non alle attività produttive,
relativamente alla costruzione di magazzini
per deposito e commercio, ove non siano
collegati ad altro stabile adibito
all'attività produttiva.
L’art. 19 del DPR
06.06.2001, n. 380, per gli interventi
destinati ad attività industriali o
artigianali dirette alla trasformazione di
beni ed alla prestazione di servizi prevede
la corresponsione di un contributo pari
all’incidenza delle opere di urbanizzazione,
di quelle necessarie al trattamento e allo
smaltimento dei rifiuti e di quelle
necessarie alla sistemazione dei luoghi ove
ne siano alterate le caratteristiche.
Per gli interventi relativi ad attività
commerciali e allo svolgimento di servizi
prevede la corresponsione di un contributo
pari all'incidenza delle opere di
urbanizzazione e una quota non superiore al
10 per cento del costo documentato di
costruzione.
La Società ricorrente esercita l’attività di
commercio al dettaglio di prodotti
alimentari e non nei propri supermercati che
svolgono la propria attività in tutto il
territorio nazionale e l’intervento edilizio
ha ad oggetto un ampliamento per realizzare
un grande magazzino di stoccaggio di
prodotti finiti in entrata e uscita, e
marginalmente di prodotti che vengono
confezionati per la vendita, da distribuire
ai supermercati.
Ciò premesso il Collegio ritiene che
correttamente il Comune ha ritenuto di non
applicare il contributo di costruzione
previsto per le attività produttive, in
quanto l’attività che si svolge nel
complesso edilizio è riconducibile ad un
segmento di quella commerciale.
Infatti, come è stato osservato da questa
stessa Sezione in un caso analogo con
argomentazioni dalle quali non vi è motivo
di discostarsi, è necessario considerare in
primo luogo che l’attività di commercio
svolta dalla ricorrente si estende e
comprende necessariamente anche la fase ad
essa strumentale di deposito e stoccaggio di
tali prodotti all’interno del magazzino che
costituisce a tutti gli effetti una
componente dell’organizzazione dell’impresa
commerciale esercitata, ed in secondo luogo
che “la giurisprudenza, peraltro, rispetto
all'interpretazione dell'art. 10 L. n.
10/1977, ora art. 19 DPR 380/2001,
relativamente all'esonero dal contributo, è
stata sempre restrittiva, ritenendo che la
norma esoneri dalla corresponsione del
contributo solo i fabbricati strettamente
complementari ed asserviti alle esigenze
proprie di un impianto industriale e non già
quegli edifici che non sono di per sé
destinati alla produzione di beni
industriali ovvero opere edilizie comunque
suscettibili di essere utilizzate al
servizio di qualsiasi attività economica”.
Ne consegue che “è pertanto da escludere
l'applicabilità del trattamento contributivo
di favore a magazzini per deposito e
commercio, ove non siano collegati ad altro
stabile adibito all'attività produttiva”.
---------------
... per l’accertamento della non debenza, in
tutto o in parte, delle somme pretese dal
Comune a titolo di contributo commisurato al
costo di costruzione e a titolo di
contributo per oneri di urbanizzazione
primaria quantificate con determinazione
prot. n. 5788 del 18.09.2014, con ogni
conseguente statuizione ivi compresa la
condanna del Comune ex art. 2033 c.c. e alla
restituzione delle somme già versate;
...
La Società ricorrente espone di svolgere
l’attività di distribuzione di generi
alimentari preconfezionati e non
preconfezionati, di prodotti per l’igiene e
la cura della casa e della persona in
numerose strutture di vendita dislocate su
tutto il territorio nazionale.
Nel Comune di Belfiore vicino alla propria
sede amministrativa in zona territoriale
omogenea di tipo D-produttiva, ha
realizzato il proprio Centro di
distribuzione in un’area in cui lo strumento
urbanistico assoggetta l’edificazione alla
previa redazione di un piano attuativo,
nell’ambito del quale devono essere
realizzate le opere di urbanizzazione, il
cui valore per la convenzione deve essere
scomputato dagli oneri di urbanizzazione.
Il Comune con determinazione prot. n. 5788
del 18.09.2014, ha quantificato in
complessivi euro 3.614.440,00 il contributo
concessorio dovuto.
Il primo motivo con il quale la
Società ricorrente sostiene di non dover
pagare il contributo di costruzione
parametrato a quanto previsto per le
attività commerciali, ma alle attività
produttive, è infondato e deve essere
respinto.
L’art. 19 del DPR 06.06.2001, n. 380, per
gli interventi destinati ad attività
industriali o artigianali dirette alla
trasformazione di beni ed alla prestazione
di servizi prevede la corresponsione di un
contributo pari all’incidenza delle opere di
urbanizzazione, di quelle necessarie al
trattamento e allo smaltimento dei rifiuti e
di quelle necessarie alla sistemazione dei
luoghi ove ne siano alterate le
caratteristiche.
Per gli interventi relativi ad attività
commerciali e allo svolgimento di servizi
prevede la corresponsione di un contributo
pari all'incidenza delle opere di
urbanizzazione e una quota non superiore al
10 per cento del costo documentato di
costruzione.
La Società ricorrente esercita l’attività di
commercio al dettaglio di prodotti
alimentari e non nei propri supermercati che
svolgono la propria attività in tutto il
territorio nazionale attraverso le insegne “Famila”,
“Famila Superstore”, D-Più”, “A&O”, CC
Maxigross” e “Cash and Carry” e l’intervento
edilizio ha ad oggetto un ampliamento per
realizzare un grande magazzino di stoccaggio
di prodotti finiti in entrata e uscita, e
marginalmente di prodotti che vengono
confezionati per la vendita, da distribuire
ai supermercati.
Ciò premesso il Collegio ritiene che
correttamente il Comune ha ritenuto di non
applicare il contributo di costruzione
previsto per le attività produttive, in
quanto l’attività che si svolge nel
complesso edilizio è riconducibile ad un
segmento di quella commerciale.
Infatti, come è stato osservato da questa
stessa Sezione in un caso analogo con
argomentazioni dalle quali non vi è motivo
di discostarsi (cfr. Tar Veneto, Sez. II,
18.12.2014, n. 1537), è necessario
considerare in primo luogo che l’attività di
commercio svolta dalla ricorrente si estende
e comprende necessariamente anche la fase ad
essa strumentale di deposito e stoccaggio di
tali prodotti all’interno del magazzino che
costituisce a tutti gli effetti una
componente dell’organizzazione dell’impresa
commerciale esercitata, ed in secondo luogo
che “la giurisprudenza, peraltro,
rispetto all'interpretazione dell'art. 10 L.
n. 10/1977, ora art. 19 DPR 380/2001,
relativamente all'esonero dal contributo, è
stata sempre restrittiva, ritenendo che la
norma esoneri dalla corresponsione del
contributo solo i fabbricati strettamente
complementari ed asserviti alle esigenze
proprie di un impianto industriale e non già
quegli edifici che non sono di per sé
destinati alla produzione di beni
industriali ovvero opere edilizie comunque
suscettibili di essere utilizzate al
servizio di qualsiasi attività economica
(Consiglio Stato, Sez. V, 21.10.1998, n.
1512; cfr. TAR Lombardia, Milano, Sez. II,
11.02.2002, n. 495)”.
Ne consegue che “è pertanto da escludere
l'applicabilità del trattamento contributivo
di favore a magazzini per deposito e
commercio, ove non siano collegati ad altro
stabile adibito all'attività produttiva”
(cfr. Consiglio di Stato, Sez. V,
23.04.2014, n. 2044).
Il primo motivo deve pertanto essere
respinto
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 15.09.2017 n. 825 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
giugno 2017 |
|
EDILIZIA PRIVATA: E'
oneroso l'intervento edilizio di ricostruzione di
una porzione di un edificio condominiale andata
distrutta a seguito di incendio.
L’intervento di ricostruzione,
di una porzione di edificio andata distrutta a
seguito di incendio, è stato qualificato, sia dai
ricorrenti che dal comune, come intervento di
ristrutturazione edilizia.
Ciò premesso, si deve osservare che, ai sensi
dell’art. 43, primo comma, della legge della Regione
Lombardia 11.03.2005, n. 12 (Legge per il governo
del territorio), gli interventi di ristrutturazione
edilizia sono espressamente assoggettati al
pagamento del contributo di costruzione, sia con
riferimento agli oneri di urbanizzazione che con
riferimento al costo di costruzione.
A fronte del chiaro dettato normativo,
all’interprete sembra sottratta la possibilità di
effettuare specifiche valutazioni atte a rilevare se
il singolo intervento di ristrutturazione abbia o
meno comportato un aumento del carico urbanistico o
possa essere considerato alla stregua di un indice
di capacità contributiva.
Né a diverse conclusioni può portare la circostanza
che, nel caso specifico, l’intervento di
ricostruzione è stato reso necessario a causa
dell’incendio che in precedenza aveva distrutto il
bene, atteso che l’art. 17, terzo comma, del d.P.R.
n. 380 del 2001 -nel disciplinare le ipotesi di
esenzione dall’obbligo di versamento del contributo
di costruzione- prende in considerazione, alla lett.
d), anche le cause di forma maggiore, circoscrivendo
tuttavia l’esenzione ai soli casi di interventi
realizzati in attuazione di norme o provvedimenti
emanati a seguito di pubbliche calamità.
In tale quadro, si deve anche escludere che il
Comune di Milano fosse tenuto a fornire una
specifica motivazione, posto che, come visto, nella
fattispecie, l’obbligo di versamento del contributo
di costruzione discende dalla piana applicazione
della vigente normativa.
---------------
1. Con il ricorso in esame, viene impugnato il
permesso di costruire n. 2/2016 del 15.01.2016,
rilasciato dal Comune di Milano ai sigg.ri Ga.Al.,
Lu.Fr.Ce. e An.Pa., nella parte in cui assoggetta
l’intervento assentito al pagamento del contributo
di costruzione, per un ammontare complessivo pari ad
euro 58.514,02.
2. L’intervento oggetto dell’atto impugnato consiste
nella ricostruzione di una porzione di un edificio
condominiale sito in Milano, Via ... n. 6, andata a
distrutta a seguito di un incendio.
3. Si è costituito in giudizio, per resistere al
ricorso, il Comune di Milano.
4. La Sezione, con
ordinanza 18.03.2016 n. 328, ha accolto
l’istanza cautelare.
5. Tenutasi la pubblica udienza in data 30.03.2017,
la causa è stata trattenuta in decisione.
6. Con il primo motivo, i ricorrenti
sostengono che, nel caso di specie, non vi sarebbero
i presupposti necessari per esercitare la pretesa di
pagamento del contributo di costruzione, e ciò in
quanto l’intervento oggetto del permesso di
costruire del 15.01.2016 non comporterebbe alcun
aumento del carico urbanistico (presupposto
necessario per la pretesa degli oneri di
urbanizzazione) né sarebbe indice di incremento
patrimoniale (requisito necessario per la pretesa
del costo di costruzione).
7. Con il secondo motivo, viene dedotta la
violazione dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990,
in quanto, a dire dei ricorrenti, proprio in
considerazione della specificità del caso in esame,
il Comune avrebbe dovuto indicare, nel provvedimento
impugnato, le ragioni per le quali si è ritenuto che
l’intervento che ne costituisce oggetto abbia
determinato un aumento del carico urbanistico.
8. I due motivi sono infondati per le ragioni di
seguito esposto.
9. Come anticipato, l’intervento oggetto del
permesso di costruire impugnato consiste nella
ricostruzione di una porzione di un edificio
condominiale andata distrutta a seguito di incendio.
10. L’intervento è stato qualificato, sia dai
ricorrenti che dal Comune di Milano, come intervento
di ristrutturazione edilizia.
11. Ciò premesso, si deve osservare che, ai sensi
dell’art.
43, primo comma, della legge della Regione Lombardia
11.03.2005, n. 12 (Legge per il governo
del territorio), gli interventi di ristrutturazione
edilizia sono espressamente assoggettati al
pagamento del contributo di costruzione, sia con
riferimento agli oneri di urbanizzazione che con
riferimento al costo di costruzione.
12. A fronte del chiaro dettato normativo,
all’interprete sembra sottratta la possibilità di
effettuare specifiche valutazioni atte a rilevare se
il singolo intervento di ristrutturazione abbia o
meno comportato un aumento del carico urbanistico o
possa essere considerato alla stregua di un indice
di capacità contributiva.
13. Né a diverse conclusioni può portare la
circostanza che, nel caso specifico, l’intervento di
ricostruzione è stato reso necessario a causa
dell’incendio che in precedenza aveva distrutto il
bene, atteso che l’art.
17, terzo comma, del d.P.R. n. 380 del 2001 -nel
disciplinare le ipotesi di esenzione dall’obbligo di
versamento del contributo di costruzione- prende in
considerazione, alla lett. d), anche le cause di
forma maggiore, circoscrivendo tuttavia l’esenzione
ai soli casi di interventi realizzati in attuazione
di norme o provvedimenti emanati a seguito di
pubbliche calamità (cfr., TAR Lombardia Milano, sez.
II, 25.05.2016, n. 1079).
14. In tale quadro, si deve anche escludere che il
Comune di Milano fosse tenuto a fornire una
specifica motivazione, posto che, come visto, nella
fattispecie, l’obbligo di versamento del contributo
di costruzione discende dalla piana applicazione
della vigente normativa.
15. Per tutte queste ragioni, il ricorso deve essere
respinto (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 12.06.2017 n. 1319 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Ai
sensi dell’articolo 23-ter, comma 2, del dpr
n. 380 del 2001, la destinazione d’uso di
un’unità immobiliare è quella prevalente in
termini di superficie utile (nel caso di
specie, non appare contestato che la
superficie prevalente di tale unità
immobiliare abbia destinazione artigianale).
Invero, la giurisprudenza ha già
chiarito che gli uffici, ove “previsti
come accessori all'insediamento industriale
localizzato nello stesso immobile, devono
qualificarsi come costruzioni destinate esse
stesse ad attività industriale, giacché la
diversificazione del regime dei contributi
edilizi riguarda la complessiva ed unitaria
attività imprenditoriale che si svolge in un
medesimo immobile o complesso immobiliare e
non le singole parti dell'immobile in cui si
svolgono le diverse fasi o funzioni nelle
quali si articola una medesima attività”.
---------------
-
Considerato che la ricorrente impugna il
provvedimento comunale di determinazione del
costo di costruzione e degli oneri di
urbanizzazione, relativi al permesso di
costruire per la realizzazione di un
capannone artigianale e annessa area di
deposito, e chiede la condanna del Comune
resistente alla restituzione di quanto già
indebitamente corrisposto a tale titolo.
-
Che nella determinazione della tariffa al mq
applicabile, il Comune ha considerato lo
spazio aperto di detto capannone e il piano
primo della costruzione al suo interno come
area produttiva, mentre ha considerato il
secondo piano della medesima costruzione
come avente destinazione direzionale.
-
Che, con il ricorso introduttivo, la
ricorrente ha dedotto che il costo di
costruzione non sarebbe dovuto ai sensi
dell’articolo 8 della legge regionale n. 89
del 1998, avendo la struttura destinazione
artigianale.
-
Che, sempre nel ricorso introduttivo, la
ricorrente ha evidenziato che, ai sensi
dell’articolo 7, comma 2, della legge
regionale n. 89 del 1998, “Quando in una
medesima costruzione coesistono unità
immobiliare delle quali alcune hanno
destinazione residenziale ed altre
destinazione turistica, commerciale,
direzionale o artigianale, per ciascuna
unità si applica il contributo
corrispondente alla sua specifica
destinazione d'uso”.
-
Che pertanto, a suo avviso, nel caso di
specie, non essendovi unità immobiliari
autonome ma solo parti di un’unica
struttura, non si potrebbero
artificiosamente attribuire a esse
destinazioni distinte, ricadendo tutte sotto
la destinazione prevalente, vale a dire
quella artigianale e non quella direzionale.
-
Che, inoltre, argomentando dagli articoli 40
del dpr 1142 del 1949 e 36, comma 2, del dpr
917 del 1986, un’unità immobiliare autonoma
sarebbe ciascun cespite indipendente, da
intendersi come intere costruzioni o parti
di esse suscettibili di produrre un reddito
autonomo.
-
Che, all’udienza del 21.04.2017, la causa è
passata in decisione.
-
Rilevato che, non appare contestato che il
primo piano della costruzione in questione
non abbia autonomia funzionale e quindi non
possa essere considerato un cespite
autonomo, essendo destinato a uffici e zone
a servizio delle superfici artigianali, e
non suscettibili di utilizzazione autonoma.
-
Che, ai sensi dell’articolo 23-ter, comma 2,
del dpr n. 380 del 2001, la destinazione
d’uso di un’unità immobiliare è quella
prevalente in termini di superficie utile e
che, nel caso di specie, non appare
contestato che la superficie prevalente di
tale unità immobiliare abbia destinazione
artigianale.
-
Che, difatti, la giurisprudenza ha già
chiarito che gli uffici, ove “previsti
come accessori all'insediamento industriale
localizzato nello stesso immobile, devono
qualificarsi come costruzioni destinate esse
stesse ad attività industriale, giacché la
diversificazione del regime dei contributi
edilizi riguarda la complessiva ed unitaria
attività imprenditoriale che si svolge in un
medesimo immobile o complesso immobiliare e
non le singole parti dell'immobile in cui si
svolgono le diverse fasi o funzioni nelle
quali si articola una medesima attività”
(cfr. Tar Milano, sez. II, 11/03/2002, n.
1036).
-
Che, pertanto, l’intero immobile nel caso di
specie deve essere considerato come
destinato ad attività artigianale.
-
Rilevato, altresì, che, nelle more del
giudizio, l’Amministrazione ha annullato la
richiesta di pagamento del costo di
costruzione, adottando invece per il
contributo di urbanizzazione un
provvedimento meramente confermativo, sicché
il ricorso può essere dichiarato in parte
qua improcedibile per cessazione della
materia del contendere.
-
Ritenuto pertanto che il ricorso debba
essere dichiarato in parte improcedibile per
sopravvenuta cessazione della materia del
contendere, e in parte fondato, per le
ragioni indicate (TAR Abruzzo-Pescara,
sentenza 06.06.2017 n. 186 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
maggio 2017 |
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EDILIZIA PRIVATA: Sussiste
l'obbligo di corrispondere il contributo di costruzione per la ricostruzione
di una porzione di fabbricato crollata a seguito di un incendio.
Il
permesso di costruire è provvedimento naturalmente oneroso di modo che le norme di esenzione devono essere interpretate come “eccezioni”
ad una regola generale (e da considerarsi, quindi, di stretta
interpretazione), non essendo consentito alla stessa potestà legislativa
concorrente di ampliare le ipotesi al di là delle indicazioni della
legislazione statale, da ritenersi quali principi fondamentali in tema di
governo del territorio.
---------------
L’art. 17, co. 3, lett. d), DPR n. 380/2001 prevede la esenzione dal
contributo di costruzione “per gli interventi da realizzare in attuazione
di norme o di provvedimenti emanati a seguito di pubbliche calamità”.
Si tratta di due distinte ipotesi, ambedue sorrette dal presupposto della “pubblica
calamità”.
Quest’ultima deve essere intesa come un evento imprevisto e
dannoso che, per caratteristiche, estensione, potenzialità offensiva sia
tale da colpire e/o mettere in pericolo non solo una o più persone o beni
determinati, bensì una intera ed indistinta collettività di persone ed una
pluralità non definibile di beni, pubblici o privati.
Ciò che caratterizza, dunque, il carattere “pubblico” della calamità
e la differenzia da altri eventi dannosi, pur gravi, è la riferibilità
dell’evento (in termini di danno e di pericolo) a una comunità, ovvero ad
una pluralità non definibile di persone e cose, laddove, negli altri casi,
l’evento colpisce (ed è dunque circoscritto) a singoli, specifici soggetti o
beni e, come tale, è affrontabile con ordinarie misure di intervento.
Se, dunque, l’evento deve caratterizzarsi
per straordinarietà, imprevedibilità e una portata tale da essere “anche
solo potenzialmente pericoloso per la collettività”, ciò non è,
tuttavia, sufficiente a qualificarlo quale “calamità pubblica”, posto
che deve comunque trattarsi di un evento non afferente a beni determinati e
non affrontabile e risolvibile con ordinari strumenti di intervento, sia sul
piano concreto che su quello degli atti amministrativi.
In senso riconducibile al concetto ora espresso, gli artt. 2, co. 1, lett.
c) e 5 l. 24.02.1992 n. 225, prevedono il conferimento di poteri
straordinari di ordinanza per il caso di “calamità naturali” (e, come
tali, “pubbliche”), e l’art. 54 DPR 08.08.2000 n. 267, conferisce al
Sindaco, quale Ufficiale di Governo, il potere (delegabile nei limiti
previsti dal medesimo articolo) di emanare ordinanze contingibili ed urgenti
“al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano
l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana”; potere di ordinanza che va
tenuto distinto da quello, di carattere “ordinario” e riferito al
Sindaco quale rappresentante della comunità locale, previsto dall’art. 50
del medesimo Testo Unico degli Enti locali.
In conclusione, perché possa ricorrere l’ipotesi di esenzione di cui
all’art. 17 cit., occorre che gli interventi da realizzare costituiscano
attuazione di norme o di provvedimenti amministrativi che espressamente li
prevedono (e non siano invece effetto di una scelta volontaria del soggetto,
sia pure in conseguenza di provvedimenti emanati), e che siano stati
adottati a seguito di eventi eccezionali, dannosi o pericolosi per la
collettività, tali da richiedere l’esercizio di poteri straordinari.
Nel caso di specie, l’incendio che ha colpito l’immobile della società
ricorrente, se pur grave e tale da poter divenire fonte di pericolo per la
collettività, ove non tempestivamente circoscritto, tuttavia si caratterizza
quale evento che ha colpito beni specifici e che, per dimensioni,
caratteristiche ed intensità, è stato tale da non richiedere particolari
interventi di contrasto o esercizio di poteri straordinari.
Ne consegue, quindi, la inapplicabilità dell’esenzione di cui all’art. 17,
co. 3, lett. d), DPR n. 380/2001.
---------------
... per la riforma della
sentenza
25.05.2016 n. 1079 del TAR LOMBARDIA-MILANO, SEZ. II, resa tra le parti, concernente quantificazione contributo di
costruzione a fronte del rilascio del permesso di costruire.
...
1. Con l’appello in esame, la società Nu.Gu. e Ra. s.r.l. impugna la
sentenza 25.05.2016 n. 1079, con la quale il TAR per la Lombardia, sez. II,
ha respinto il suo ricorso avverso il provvedimento del Responsabile del
Settore governo del territorio del Comune di Monza 11.04.2015, nella parte
in cui con tale provvedimento, oltre a rilasciare il richiesto permesso di
costruire, è stato richiesto il versamento del contributo di costruzione per
un importo di Euro 257.377,54.
La società espone di essere proprietaria di un immobile a destinazione
produttiva, realizzato sulla base di concessione edilizia del 1985 e di aver
dovuto richiedere nuovo titolo edilizio, al fine di ricostruire una porzione
del fabbricato, crollata a seguito di un incendio; tanto anche per
ottemperare ad una ordinanza emessa in data 24.09.2012 dal Comune di Monza,
di ripristino delle condizioni minime di sicurezza delle unità interessate
dall’incendio.
La presente controversia concerne, in sostanza, la sussistenza dell’obbligo
di corrispondere il richiesto contributo di costruzione, in occasione di
interventi edilizi effettuati nelle circostanze come innanzi descritte.
La sentenza impugnata afferma, in particolare:
- non ricorre il motivo di esenzione dal pagamento del contributo
di costruzione, di cui all’art. 17, co. 3, lett. d), DPR n. 380/2001, poiché
il caso verificatosi non può essere annoverato tra le “pubbliche calamità”,
poiché si “è trattato di un episodio grave e dannoso per l’impresa, ma
non certo catastrofico, le cui conseguenze nocive sono risultate arginabili
mediante l’attuazione di normali operazioni di messa in sicurezza, né tanto
meno risultano essere stati adottati piani di emergenza o di evacuazione dei
residenti, a conferma del fatto che non è stata messa ad immediato
repentaglio ... la pubblica incolumità”;
- nel caso di specie, ricorre un’ipotesi di ristrutturazione
edilizia, intervento per il quale la delibera 03.11.2008 n. 43 della Giunta
Comunale di Monza ha previsto che “per gli interventi di ristrutturazione
comportanti demolizione e ricostruzione si applichino gli oneri di
urbanizzazione relativi alle nuove costruzioni”.
...
4. Nel merito, il Collegio ritiene opportuno rilevare –anche al fine di
meglio circoscrivere le ragioni per le quali l’appello deve essere accolto-
che sia il motivo con il quale si censura la sentenza impugnata per non aver
considerato applicabili, nel caso di specie, gli artt. 16, co. 1, e 17, co.
3, DPR n. 380/2001, recante quest’ultimo (lett. d) l’esenzione per la
ricostruzione a seguito di “pubbliche calamità” (motivo sub lett. a)
dell’esposizione in fatto), sia il motivo con il quale si censura la
sentenza per non aver ricondotto le opere alla manutenzione straordinaria,
anziché alla ristrutturazione edilizia (sub lett. b1) dell’esposizione in
fatto), sono infondati e devono essere, pertanto, respinti.
4.1. Quanto al primo, occorre premettere che il permesso di costruire è
provvedimento naturalmente oneroso (da ultimo, Corte Cost., 03.11.2016 n.
231), di modo che le norme di esenzione devono essere interpretate come “eccezioni”
ad una regola generale (e da considerarsi, quindi, di stretta
interpretazione), non essendo consentito alla stessa potestà legislativa
concorrente di ampliare le ipotesi al di là delle indicazioni della
legislazione statale, da ritenersi quali principi fondamentali in tema di
governo del territorio (Corte Cost., n. 231/2016 cit.).
L’art. 17, co. 3, lett. d), DPR n. 380/2001 prevede la esenzione dal
contributo di costruzione “per gli interventi da realizzare in attuazione
di norme o di provvedimenti emanati a seguito di pubbliche calamità”.
Si tratta di due distinte ipotesi, ambedue sorrette dal presupposto della “pubblica
calamità”. Quest’ultima deve essere intesa come un evento imprevisto e
dannoso che, per caratteristiche, estensione, potenzialità offensiva sia
tale da colpire e/o mettere in pericolo non solo una o più persone o beni
determinati, bensì una intera ed indistinta collettività di persone ed una
pluralità non definibile di beni, pubblici o privati.
Ciò che caratterizza, dunque, il carattere “pubblico” della calamità
e la differenzia da altri eventi dannosi, pur gravi, è la riferibilità
dell’evento (in termini di danno e di pericolo) a una comunità, ovvero ad
una pluralità non definibile di persone e cose, laddove, negli altri casi,
l’evento colpisce (ed è dunque circoscritto) a singoli, specifici soggetti o
beni e, come tale, è affrontabile con ordinarie misure di intervento.
Se, dunque –come sostenuto dall’appellante– l’evento deve caratterizzarsi
per straordinarietà, imprevedibilità e una portata tale da essere “anche
solo potenzialmente pericoloso per la collettività”, ciò non è,
tuttavia, sufficiente a qualificarlo quale “calamità pubblica”, posto
che deve comunque trattarsi di un evento non afferente a beni determinati e
non affrontabile e risolvibile con ordinari strumenti di intervento, sia sul
piano concreto che su quello degli atti amministrativi.
In senso riconducibile al concetto ora espresso, gli artt. 2, co. 1, lett.
c) e 5 l. 24.02.1992 n. 225, prevedono il conferimento di poteri
straordinari di ordinanza per il caso di “calamità naturali” (e, come
tali, “pubbliche”), e l’art. 54 DPR 08.08.2000 n. 267, conferisce al
Sindaco, quale Ufficiale di Governo, il potere (delegabile nei limiti
previsti dal medesimo articolo) di emanare ordinanze contingibili ed urgenti
“al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano
l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana”; potere di ordinanza che va
tenuto distinto da quello, di carattere “ordinario” e riferito al
Sindaco quale rappresentante della comunità locale, previsto dall’art. 50
del medesimo Testo Unico degli Enti locali.
In conclusione, perché possa ricorrere l’ipotesi di esenzione di cui
all’art. 17 cit., occorre che gli interventi da realizzare costituiscano
attuazione di norme o di provvedimenti amministrativi che espressamente li
prevedono (e non siano invece effetto di una scelta volontaria del soggetto,
sia pure in conseguenza di provvedimenti emanati), e che siano stati
adottati a seguito di eventi eccezionali, dannosi o pericolosi per la
collettività, tali da richiedere l’esercizio di poteri straordinari.
Nel caso di specie, l’incendio che ha colpito l’immobile della società
ricorrente, se pur grave e tale da poter divenire fonte di pericolo per la
collettività, ove non tempestivamente circoscritto, tuttavia si caratterizza
quale evento che ha colpito beni specifici e che, per dimensioni,
caratteristiche ed intensità, è stato tale da non richiedere particolari
interventi di contrasto o esercizio di poteri straordinari.
Ne consegue, quindi, la inapplicabilità dell’esenzione di cui all’art. 17,
co. 3, lett. d), DPR n. 380/2001
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 30.05.2017 n. 2567 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Perché possa ricorrere l’ipotesi di
esenzione del contributo di costruzione di cui
all’art. 17 DPR 380/2001, occorre che gli
interventi da realizzare costituiscano attuazione di
norme o di provvedimenti amministrativi che
espressamente li prevedono (e non siano invece
effetto di una scelta volontaria del soggetto, sia
pure in conseguenza di provvedimenti emanati), e che
siano stati adottati a seguito di eventi
eccezionali, dannosi o pericolosi per la
collettività, tali da richiedere l’esercizio di
poteri straordinari.
---------------
4. Nel merito, il Collegio ritiene opportuno
rilevare –anche al fine di meglio circoscrivere le
ragioni per le quali l’appello deve essere accolto-
che sia il motivo con il quale si censura la
sentenza impugnata per non aver considerato
applicabili, nel caso di specie, gli artt. 16, co. 1,
e 17, co. 3, DPR n. 380/2001, recante quest’ultimo
(lett. d) l’esenzione per la ricostruzione a seguito
di “pubbliche calamità” (motivo sub lett. a)
dell’esposizione in fatto), sia il motivo con il
quale si censura la sentenza per non aver ricondotto
le opere alla manutenzione straordinaria, anziché
alla ristrutturazione edilizia (sub lett. b1)
dell’esposizione in fatto), sono infondati e devono
essere, pertanto, respinti.
4.1. Quanto al primo, occorre premettere che il
permesso di costruire è provvedimento naturalmente
oneroso (da ultimo, Corte Cost., 03.11.2016 n.
231), di modo che le norme di esenzione devono
essere interpretate come “eccezioni” ad una regola
generale (e da considerarsi, quindi, di stretta
interpretazione), non essendo consentito alla stessa
potestà legislativa concorrente di ampliare le
ipotesi al di là delle indicazioni della
legislazione statale, da ritenersi quali principi
fondamentali in tema di governo del territorio
(Corte Cost., n. 231/2016 cit.).
L’art. 17, co. 3, lett. d), DPR n. 380/2001 prevede
la esenzione dal contributo di costruzione “per gli
interventi da realizzare in attuazione di norme o di
provvedimenti emanati a seguito di pubbliche
calamità”.
Si tratta di due distinte ipotesi, ambedue sorrette
dal presupposto della “pubblica calamità”. Quest’ultima deve essere intesa come un evento
imprevisto e dannoso che, per caratteristiche,
estensione, potenzialità offensiva sia tale da
colpire e/o mettere in pericolo non solo una o più
persone o beni determinati, bensì una intera ed
indistinta collettività di persone ed una pluralità
non definibile di beni, pubblici o privati.
Ciò che caratterizza, dunque, il carattere
“pubblico” della calamità e la differenzia da altri
eventi dannosi, pur gravi, è la riferibilità
dell’evento (in termini di danno e di pericolo) a
una comunità, ovvero ad una pluralità non definibile
di persone e cose, laddove, negli altri casi,
l’evento colpisce (ed è dunque circoscritto) a
singoli, specifici soggetti o beni e, come tale, è
affrontabile con ordinarie misure di intervento.
Se, dunque –come sostenuto dall’appellante–
l’evento deve caratterizzarsi per straordinarietà,
imprevedibilità e una portata tale da essere “anche
solo potenzialmente pericoloso per la collettività”,
ciò non è, tuttavia, sufficiente a qualificarlo
quale “calamità pubblica”, posto che deve comunque
trattarsi di un evento non afferente a beni
determinati e non affrontabile e risolvibile con
ordinari strumenti di intervento, sia sul piano
concreto che su quello degli atti amministrativi.
In senso riconducibile al concetto ora espresso, gli
artt. 2, co. 1, lett. c) e 5 l. 24.02.1992 n.
225, prevedono il conferimento di poteri
straordinari di ordinanza per il caso di “calamità
naturali” (e, come tali, “pubbliche”), e l’art. 54
DPR 08.08.2000 n. 267, conferisce al Sindaco,
quale Ufficiale di Governo, il potere (delegabile
nei limiti previsti dal medesimo articolo) di
emanare ordinanze contingibili ed urgenti “al fine
di prevenire e di eliminare gravi pericoli che
minacciano l’incolumità pubblica e la sicurezza
urbana”; potere di ordinanza che va tenuto distinto
da quello, di carattere “ordinario” e riferito al
Sindaco quale rappresentante della comunità locale,
previsto dall’art. 50 del medesimo Testo Unico degli
Enti locali.
In conclusione, perché possa ricorrere l’ipotesi di
esenzione di cui all’art. 17 cit., occorre che gli
interventi da realizzare costituiscano attuazione di
norme o di provvedimenti amministrativi che
espressamente li prevedono (e non siano invece
effetto di una scelta volontaria del soggetto, sia
pure in conseguenza di provvedimenti emanati), e che
siano stati adottati a seguito di eventi
eccezionali, dannosi o pericolosi per la
collettività, tali da richiedere l’esercizio di
poteri straordinari.
Nel caso di specie, l’incendio che ha colpito
l’immobile della società ricorrente, se pur grave e
tale da poter divenire fonte di pericolo per la
collettività, ove non tempestivamente circoscritto,
tuttavia si caratterizza quale evento che ha colpito
beni specifici e che, per dimensioni,
caratteristiche ed intensità, è stato tale da non
richiedere particolari interventi di contrasto o
esercizio di poteri straordinari.
Ne consegue, quindi, la inapplicabilità
dell’esenzione di cui all’art. 17, co. 3, lett. d),
DPR n. 380/2001 (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 30.05.2017 n. 2567 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L’art. 16 DPR n. 380/2001 prevede che, salvi i casi di esenzione
di cui all’art. 17, co. 3, “il
rilascio del permesso di costruire comporta la corresponsione di un
contributo commisurato all’incidenza degli oneri di urbanizzazione nonché al
costo di costruzione”.
Come appare evidente, la norma collega il pagamento del contributo di
costruzione al rilascio del permesso di costruire; in altre parole, è per
quelle opere per la cui realizzazione la legge prevede tale titolo
autorizzatorio che il contributo di costruzione è dovuto.
Il precedente art. 10 prevede che il permesso di costruire è necessario per
gli “interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio”,
espressamente indicando, tra questi, (comma 1) gli interventi di nuova
costruzione (lett. a), gli interventi di ristrutturazione urbanistica (lett.
b), e gli interventi di ristrutturazione edilizia (lett. c).
Il comma 2 prevede, inoltre, che le Regioni possono stabilire con legge “quali
mutamenti, connessi o non connessi a trasformazioni fisiche, dell’uso di
immobili o di loro parti, sono subordinati a permesso di costruire o a
denuncia di inizio attività”.
In sostanza, il legislatore statale collega la necessità di permesso di
costruire a fenomeni di “trasformazione urbanistica ed edilizia del
territorio” e, in primo luogo, qualifica tali la nuova costruzione, la
ristrutturazione urbanistica e la ristrutturazione edilizia; in secondo
luogo, demanda alle Regioni di individuare quali interventi (diversi da
quelli precedentemente indicati) comportanti trasformazione urbanistica (ma
non necessariamente edilizia), richiedano il permesso di costruire in
ragione della loro natura ed incidenza, in particolare, sul carico
urbanistico.
In ambedue le ipotesi innanzi considerate, appare evidente come il permesso
di costruire si colleghi sempre ad interventi che incidono sul territorio,
trasformandolo sul piano urbanistico–edilizio, o anche su uno solo dei due.
---------------
Più in particolare, per il caso di ristrutturazione edilizia, l’art.
10, co. 1, lett. c) –nel testo vigente al momento del rilascio del titolo
edilizio- prevede la necessità del permesso di costruire non già per tutti i
casi di ristrutturazione edilizia, bensì, più precisamente, per quelli che “portino
ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che
comportino modifiche della volumetria complessiva degli edifici o dei
prospetti, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone
omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d’uso, nonché gli
interventi che comportino modificazioni della sagoma di immobili sottoposti
a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22.01.2004 n. 42 e successive
modificazioni”.
Al contempo, l’art. 3, co. 1, lett. d), del DPR n. 380/2001 “gli
interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme
sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o
in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o
la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio,
l'eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti.
Nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi
anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa
volumetria di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni
necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica nonché quelli volti
al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o
demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne
la preesistente consistenza. Rimane fermo che, con riferimento agli immobili
sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22.01.2004, n. 42 e
successive modificazioni, gli interventi di demolizione e ricostruzione e
gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono
interventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove sia rispettata la
medesima sagoma dell'edificio preesistente”.
Questo Consiglio di Stato ha già avuto modo di chiarire, con considerazioni
che qui si intendono completamente riportate, come, pur nella
successione di modifiche interessanti le norme in tema di ristrutturazione
edilizia, quest’ultima tipologia di intervento edilizio ricomprenda, nel
proprio ambito generale, tipologie differenti, solo per alcune delle quali
il legislatore prevede la necessità del permesso di costruire; da un lato,
dunque, vi è la generale definizione di ristrutturazione edilizia (art. 3, co. 1, lett. d);
dall’altro, le specifiche “species” del genus ristrutturazione edilizia per le quali occorre il permesso di costruire
(art. 10, co. 1, lett. c).
Si è, in particolare, affermato:
“Per effetto della modifica introdotta dall'art. 30, comma 1, lett. a),
D.L. 21.06.2013, n. 69, convertito dalla L. 09.08.2013, n. 98, ... vi sono
ora tre distinte ipotesi di intervento rientranti nella
definizione di “ristrutturazione edilizia”, che possono portare
“ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente”:
- la prima, non comportante demolizione del preesistente
fabbricato e comprendente (dunque, in via non esaustiva) “il ripristino o la
sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, l'eliminazione,
la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti”;
- la seconda, caratterizzata da demolizione e ricostruzione,
per la quale è richiesta “la stessa volumetria di quello preesistente, fatte
salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa
antisismica” (ed in questo caso, rispetto al testo previgente, non è più
richiesta l’identità di sagoma);
- la terza, rappresentata dagli interventi “volti al
ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti,
attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la
preesistente consistenza”".
Inoltre, qualora la seconda e la terza delle ipotesi innanzi indicate
riguardino immobili sottoposti a vincoli di cui al d.lgs. n. 42/2004, potrà
parlarsi di ristrutturazione edilizia solo in presenza, nell’immobile
ricostruito, della identità di sagoma dell’edificio preesistente.
---------------
In definitiva, non tutti gli interventi di ristrutturazione edilizia
necessitano del rilascio del permesso di costruire, ma solo quelli
specificamente indicati dall’art. 10, co. 1, lett. c) e, per quel che
interessa nella presente sede, quelli che “portino ad un organismo
edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino
modifiche della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti”,
posto che le ulteriori due ipotesi contemplate dalla norma (mutamenti di
destinazione d’uso di immobili in zona A, interventi che modificano la
sagoma di immobili sottoposti a vincolo ai sensi del d.Lgs. n. 42/2004), non
interessano il caso di specie.
Occorre, dunque, perché sia necessario il rilascio del permesso di costruire
una modifica (parziale o totale) dell’organismo edilizio preesistente ed un
aumento della volumetria complessiva; solo in questi casi, d’altra parte,
l’intervento si caratterizza (in ossequio alla prescrizione normativa) come
“trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio”.
Nelle ipotesi, invece, di “ristrutturazione ricostruttiva”, a maggior ragione se con invarianza,
oltre che di volume, anche di sagoma e di area di sedime, non vi è necessità
di permesso di costruire e, dunque, ai sensi dell’art. 16 DPR n. 380/2001,
manca il presupposto per la richiesta e corresponsione del contributo di
costruzione.
---------------
Alla luce delle considerazioni esposte, l’appello è fondato poiché, in presenza di interventi che non comportano “trasformazione
urbanistica ed edilizia del territorio”, nei sensi e limiti
normativamente considerati ed innanzi esposti, non è dovuto il contributo di
cui all’art. 16, co. 1, DPR n. 380/2001.
---------------
... per la riforma della
sentenza
25.05.2016 n. 1079 del TAR LOMBARDIA-MILANO, SEZ. II, resa tra le parti, concernente quantificazione contributo di
costruzione a fronte del rilascio del permesso di costruire.
...
1. Con l’appello in esame, la società Nu.Gu. e Ra. s.r.l. impugna la
sentenza 25.05.2016 n. 1079, con la quale il TAR per la Lombardia, sez. II,
ha respinto il suo ricorso avverso il provvedimento del Responsabile del
Settore governo del territorio del Comune di Monza 11.04.2015, nella parte
in cui con tale provvedimento, oltre a rilasciare il richiesto permesso di
costruire, è stato richiesto il versamento del contributo di costruzione per
un importo di Euro 257.377,54.
La società espone di essere proprietaria di un immobile a destinazione
produttiva, realizzato sulla base di concessione edilizia del 1985 e di aver
dovuto richiedere nuovo titolo edilizio, al fine di ricostruire una porzione
del fabbricato, crollata a seguito di un incendio; tanto anche per
ottemperare ad una ordinanza emessa in data 24.09.2012 dal Comune di Monza,
di ripristino delle condizioni minime di sicurezza delle unità interessate
dall’incendio.
La presente controversia concerne, in sostanza, la sussistenza dell’obbligo
di corrispondere il richiesto contributo di costruzione, in occasione di
interventi edilizi effettuati nelle circostanze come innanzi descritte.
La sentenza impugnata afferma, in particolare:
- non ricorre il motivo di esenzione dal pagamento del contributo
di costruzione, di cui all’art. 17, co. 3, lett. d), DPR n. 380/2001, poiché
il caso verificatosi non può essere annoverato tra le “pubbliche calamità”,
poiché si “è trattato di un episodio grave e dannoso per l’impresa, ma
non certo catastrofico, le cui conseguenze nocive sono risultate arginabili
mediante l’attuazione di normali operazioni di messa in sicurezza, né tanto
meno risultano essere stati adottati piani di emergenza o di evacuazione dei
residenti, a conferma del fatto che non è stata messa ad immediato
repentaglio ... la pubblica incolumità”;
- nel caso di specie, ricorre un’ipotesi di ristrutturazione
edilizia, intervento per il quale la delibera 03.11.2008 n. 43 della Giunta
Comunale di Monza ha previsto che “per gli interventi di ristrutturazione
comportanti demolizione e ricostruzione si applichino gli oneri di
urbanizzazione relativi alle nuove costruzioni”.
...
5. L’appello è fondato e deve essere, pertanto, accolto, con riferimento al
primo profilo del secondo motivo ed al terzo motivo di
ricorso (rispettivamente sub lett. b1) e c) dell’esposizione in fatto), per
le ragioni e nei limiti di seguito esposti.
Con il primo motivo ora indicato, la società appellante lamenta che “il
permesso di costruire è stato richiesto per ripristinare quella parte di
fabbricato distrutto dall’incendio accidentalmente occorso; le opere da
realizzare non hanno alcuna incidenza sul territorio, sia sotto il profilo
della trasformazione dell’area oggetto di intervento sia in termini di
aggravio del carico urbanistico della zona” ed inoltre a suo tempo la
società ha già corrisposto gli oneri dovuti per realizzare quella parte del
fabbricato ora da ricostruire a seguito di incendio.
Con il terzo motivo di appello, la società appellante lamenta, in
sostanza, il difetto di motivazione in ordine alle ragioni di fatto e di
diritto che hanno indotto l’amministrazione a determinare il contenuto
dell’atto oggetto di censura, non considerando la “peculiarità della
fattispecie”.
Giova osservare, in punto di fatto, che è pacifico tra le parti che
l’intervento per il quale la società ricorrente ha richiesto il permesso di
costruire non comporta modifica della sagoma, della superficie esistente ed
autorizzata, dei volumi e della destinazione d’uso (v. pagg. 11-12 app.;
pag. 13 memoria Comune di Monza del 11.01.2017).
Inoltre, il permesso di costruire n. 91 del Comune di Monza, oggetto di
(parziale) impugnazione, è stato emesso il 13.01.2015, ed è, dunque, a tale
data che occorre fare riferimento onde individuare la normativa
urbanistico-edilizia concretamente applicabile.
5.1. Tanto precisato, occorre osservare che l’art. 16 DPR n. 380/2001
prevede che, salvi i casi di esenzione di cui all’art. 17, co. 3, “il
rilascio del permesso di costruire comporta la corresponsione di un
contributo commisurato all’incidenza degli oneri di urbanizzazione nonché al
costo di costruzione”.
Come appare evidente, la norma collega il pagamento del contributo di
costruzione al rilascio del permesso di costruire; in altre parole, è per
quelle opere per la cui realizzazione la legge prevede tale titolo
autorizzatorio che il contributo di costruzione è dovuto.
Il precedente art. 10 prevede che il permesso di costruire è necessario per
gli “interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio”,
espressamente indicando, tra questi, (comma 1) gli interventi di nuova
costruzione (lett. a), gli interventi di ristrutturazione urbanistica (lett.
b), e gli interventi di ristrutturazione edilizia (lett. c).
Il comma 2 prevede, inoltre, che le Regioni possono stabilire con legge “quali
mutamenti, connessi o non connessi a trasformazioni fisiche, dell’uso di
immobili o di loro parti, sono subordinati a permesso di costruire o a
denuncia di inizio attività”.
In sostanza, il legislatore statale collega la necessità di permesso di
costruire a fenomeni di “trasformazione urbanistica ed edilizia del
territorio” e, in primo luogo, qualifica tali la nuova costruzione, la
ristrutturazione urbanistica e la ristrutturazione edilizia; in secondo
luogo, demanda alle Regioni di individuare quali interventi (diversi da
quelli precedentemente indicati) comportanti trasformazione urbanistica (ma
non necessariamente edilizia), richiedano il permesso di costruire in
ragione della loro natura ed incidenza, in particolare, sul carico
urbanistico.
In ambedue le ipotesi innanzi considerate, appare evidente come il permesso
di costruire si colleghi sempre ad interventi che incidono sul territorio,
trasformandolo sul piano urbanistico–edilizio, o anche su uno solo dei due.
5.2. Più in particolare, per il caso di ristrutturazione edilizia, l’art.
10, co. 1, lett. c) –nel testo vigente al momento del rilascio del titolo
edilizio- prevede la necessità del permesso di costruire non già per tutti i
casi di ristrutturazione edilizia, bensì, più precisamente, per quelli che “portino
ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che
comportino modifiche della volumetria complessiva degli edifici o dei
prospetti, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone
omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d’uso, nonché gli
interventi che comportino modificazioni della sagoma di immobili sottoposti
a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22.01.2004 n. 42 e successive
modificazioni”.
Al contempo, l’art. 3, co. 1, lett. d), del DPR n. 380/2001 “gli
interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme
sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o
in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o
la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio,
l'eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti.
Nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi
anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa
volumetria di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni
necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica nonché quelli volti
al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o
demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne
la preesistente consistenza. Rimane fermo che, con riferimento agli immobili
sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22.01.2004, n. 42 e
successive modificazioni, gli interventi di demolizione e ricostruzione e
gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono
interventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove sia rispettata la
medesima sagoma dell'edificio preesistente”.
Questo Consiglio di Stato ha già avuto modo di chiarire, con considerazioni
che qui si intendono completamente riportate (v. Cons. Stato, sez. IV,
02.02.2017 n. 443, e giurisprudenza ivi richiamata), come, pur nella
successione di modifiche interessanti le norme in tema di ristrutturazione
edilizia, quest’ultima tipologia di intervento edilizio ricomprenda, nel
proprio ambito generale, tipologie differenti, solo per alcune delle quali
il legislatore prevede la necessità del permesso di costruire; da un lato,
dunque, vi è la generale definizione di ristrutturazione edilizia (art. 3, co. 1, lett. d);
dall’altro, le specifiche “species” del genus ristrutturazione edilizia per le quali occorre il permesso di costruire
(art. 10, co. 1, lett. c).
Si è, in particolare, affermato:
“Per effetto della modifica introdotta dall'art. 30, comma 1, lett. a),
D.L. 21.06.2013, n. 69, convertito dalla L. 09.08.2013, n. 98, ... vi sono
ora tre distinte ipotesi di intervento rientranti nella
definizione di “ristrutturazione edilizia”, che possono portare
“ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente”:
- la prima, non comportante demolizione del preesistente
fabbricato e comprendente (dunque, in via non esaustiva) “il ripristino o la
sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, l'eliminazione,
la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti”;
- la seconda, caratterizzata da demolizione e ricostruzione,
per la quale è richiesta “la stessa volumetria di quello preesistente, fatte
salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa
antisismica” (ed in questo caso, rispetto al testo previgente, non è più
richiesta l’identità di sagoma);
- la terza, rappresentata dagli interventi “volti al
ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti,
attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la
preesistente consistenza”".
Inoltre, qualora la seconda e la terza delle ipotesi innanzi indicate
riguardino immobili sottoposti a vincoli di cui al d.lgs. n. 42/2004, potrà
parlarsi di ristrutturazione edilizia solo in presenza, nell’immobile
ricostruito, della identità di sagoma dell’edificio preesistente.
Per effetto della lett. c) del medesimo articolo, anche l’art. 10, co. 1,
lett. c), del DPR n. 380/2001 è stato modificato, di modo che è necessario
il permesso di costruire per “gli interventi di ristrutturazione edilizia
che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal
precedente e che comportino aumento di unità immobiliari, modifiche del
volume, dei prospetti o delle superfici, ovvero che, limitatamente agli
immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della
destinazione d'uso, nonché gli interventi che comportino modificazioni della
sagoma di immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo
22.01.2004, n. 42 e successive modificazioni”.
Infine, con modifica introdotta dall’art. 17, co. 1, lett. d), d.l.
12.09.2014 n. 133, conv. in l. 11.11.2014 n. 164, alla necessità di permesso
di costruire per i casi in cui il nuovo fabbricato comporti anche “aumento
di unità immobiliari” e “modifica del volume”, si è sostituita la
più limitata ipotesi di “modifiche della volumetria complessiva degli
edifici” (eliminando, dunque, il caso dell’aumento delle unità
immobiliari).
E’ appena il caso di osservare che il legislatore, in sede di elencazione
delle ipotesi di ristrutturazione edilizia con necessità di permesso di
costruire, ha ricompreso anche quella comportante modifiche di sagoma di
edifici vincolati ex d.lgs. n. 42/2004, ipotesi da riferirsi ai soli casi in
cui la ristrutturazione riguardi edifici vincolati, ma senza abbattimento,
poiché, in tale ultima ipotesi, ai sensi del precedente art. 3, co. 1, lett.
d), si fuoriesce dalla definizione di “ristrutturazione edilizia”.
In definitiva, non tutti gli interventi di ristrutturazione edilizia
necessitano del rilascio del permesso di costruire, ma solo quelli
specificamente indicati dall’art. 10, co. 1, lett. c) e, per quel che
interessa nella presente sede, quelli che “portino ad un organismo
edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino
modifiche della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti”,
posto che le ulteriori due ipotesi contemplate dalla norma (mutamenti di
destinazione d’uso di immobili in zona A, interventi che modificano la
sagoma di immobili sottoposti a vincolo ai sensi del d.Lgs. n. 42/2004), non
interessano il caso di specie.
Occorre, dunque, perché sia necessario il rilascio del permesso di costruire
una modifica (parziale o totale) dell’organismo edilizio preesistente ed un
aumento della volumetria complessiva; solo in questi casi, d’altra parte,
l’intervento si caratterizza (in ossequio alla prescrizione normativa) come
“trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio”.
Nelle ipotesi, invece, di “ristrutturazione ricostruttiva” (come
definita dalla giurisprudenza: Cons. Stato, sez. IV, 07.04.2015 n. 1763;
09.05.2014 n. 2384; 06.07.2012 n. 3970), a maggior ragione se con invarianza,
oltre che di volume, anche di sagoma e di area di sedime, non vi è necessità
di permesso di costruire e, dunque, ai sensi dell’art. 16 DPR n. 380/2001,
manca il presupposto per la richiesta e corresponsione del contributo di
costruzione.
Infine, giova osservare che, del tutto coerentemente, il legislatore,
all’art. 22, co. 1, lett. c), DPR n. 380/2001, prevede, tra gli interventi
sottoposti a segnalazione certificata di inizio di attività (SCIA), anche i
casi di ristrutturazione edilizia per i quali non è necessario il permesso
di costruire, fermo restando la possibilità per l’interessato (co. 7) di
richiedere comunque il permesso di costruire “senza obbligo del pagamento
del contributo di costruzione di cui all’art. 16” (con esclusione dei
casi in cui, ai sensi dell’art. 23, la SCIA è sostitutiva del permesso di
costruire).
5.3. Le conclusioni alle quali si è innanzi pervenuti non contrastano con
quanto previsto, per la Regione Lombardia, dall’art. 44 l. reg. 11.03.2005
n. 12, posto che, nel definire le modalità di determinazione degli oneri di
urbanizzazione per gli interventi di ristrutturazione edilizia, tale
disposizione non impone una generalizzata onerosità dell’intervento, come si
evince dall’inciso “se dovuti”, riferito agli oneri e più volte
ripetuto (v. co. 8, 10, 10-bis).
Inoltre –diversamente considerando rispetto alla sentenza impugnata (pag.
10)- è solo nei sensi e limiti innanzi esposti che può trovare applicazione
quanto previsto dalla delibera della Giunta comunale di Monza 03.11.2008 n.
43, laddove la stessa prevede il pagamento di oneri di urbanizzazione per
gli interventi di ristrutturazione comportanti demolizione e ricostruzione,
in misura pari a quelli previsti per le nuove costruzioni.
6. Alla luce delle considerazioni esposte, l’appello è fondato:
- sia in relazione al primo profilo del secondo motivo (sub lett.
b1), poiché, in presenza di interventi che non comportano “trasformazione
urbanistica ed edilizia del territorio”, nei sensi e limiti
normativamente considerati ed innanzi esposti, non è dovuto il contributo di
cui all’art. 16, co. 1, DPR n. 380/2001;
- sia in relazione al terzo motivo di appello (sub lett. c), posto
che l’amministrazione, lungi dal procedere ad una “automatica”
applicazione dell’art. 16, co. 1, cit. ai casi di ristrutturazione edilizia,
avrebbe dovuto congruamente motivare le ragioni per le quali, in presenza
della (affatto particolare) tipologia di intervento oggetto di istanza di
permesso di costruire, riteneva di procedere all’adozione del permesso di
costruire con corrispondente onerosità dell’intervento e, dunque,
imposizione degli oneri a carico del richiedente.
Da quanto esposto consegue, in riforma della sentenza di I grado, ed in
corrispondenza della domanda formulata con il ricorso instaurativo del
giudizio, l’annullamento del permesso di costruire 13.01.2015 n. 91, nella
parte in cui con il medesimo è stato richiesto il versamento del contributo
di costruzione per un importo di Euro 257.377,54.
Resta fermo il potere del Comune di Monza di verificare che il progetto
presentato ed oggetto di istanza, presenti tutte le caratteristiche innanzi
indicate che, ove esistenti, comportano la non corresponsione di oneri ai
sensi dell’art. 16 DPR n. 380/2001
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 30.05.2017 n. 2567 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Oggetto: Parere in merito alla determinazione del
contributo di costruzione per il rilascio di permesso a
costruire per la realizzazione di annessi agricoli - Comune
di Vicovaro (Regione Lazio,
nota 23.05.2017 n. 260672 di prot.). |
EDILIZIA PRIVATA:
Gli oneri relativi al trattamento ed allo smaltimento dei rifiuti solidi,
liquidi e gassosi di cui all'art. 19 T.U. Edilizia devono ascriversi alla
categoria dei "corrispettivi di diritto pubblico".
Ne deriva che essi hanno
natura di entrata di parte capitale ordinariamente utilizzabili solo per
spese di investimento, salvo eccezione di legge.
Eccezione che per gli anni
2016 e 2017 è costituita dalla legge n. 208/2015, in base alla quale i
proventi delle concessioni edilizie possono essere impiegati per una quota
pari al 100% per spese di manutenzione ordinaria del verde, delle strade e
del patrimonio comunale, nonché per spese di progettazione delle opere
pubbliche.
---------------
Il Sindaco del Comune di Landriano (PV) –premesso:
che, a norma dell’art.
43 L. R. n. 12 del 11.03.2005, i titoli abilitativi per interventi di
nuova costruzione, ampliamento di edifici esistenti e ristrutturazione
edilizia sono soggetti alla corresponsione degli oneri di urbanizzazione
primaria e secondaria, nonché del contributo sul costo di costruzione; che
l’art. 19 del T.U. Edilizia prevede, inoltre, che il permesso di costruire
relativo a costruzioni o impianti destinati ad attività industriali o
artigianali dirette alla trasformazione di beni ed alla prestazione di
servizi comporta anche la corresponsione di un contributo pari alla
incidenza delle opere necessarie al trattamento e allo smaltimento dei
rifiuti solidi, liquidi e gassosi;
che il contributo di costruzione è
costituito da due differenti voci e cioè: gli oneri di urbanizzazione
(suddivisi in primari e secondari) e il contributo per il costo di
costruzione;
che quest’ultimo sarebbe sostituito, nel caso degli
insediamenti produttivi, da una ulteriore quota di oneri relativi al
trattamento ed allo smaltimento dei rifiuti solidi, liquidi e gassosi; che
l’art. 1, comma 737, legge 208 del 2015 ha disposto che: “per gli anni 2016
e 2017, i proventi delle concessioni edilizie e delle sanzioni previste dal
testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia
edilizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 06.06.2001,
n. 380, fatta eccezione per le sanzioni di cui all’articolo 31, comma 4-bis,
del medesimo testo unico, possono essere utilizzati per una quota pari al
100 per cento per spese di manutenzione ordinaria del verde, delle strade e
del patrimonio comunale, nonché per spese di progettazione delle opere
pubbliche”;
che codesta Corte, con parere numero 38/2016, reso nella seduta
del 19.01.2016, ha chiarito che: “quanto invece alle entrate connesse
al versamento dei contributi sul costo di costruzione, la natura tributaria
delle stesse le fa invece necessariamente riconfluire, come già rilevato da
questa Sezione nella deliberazione n. 1/pareri/2014, nel totale delle
entrate che, come tali, in virtù del principio di unità di bilancio
finiscono con l’essere destinate al finanziamento del totale delle spese”;–
ha chiesto alla Sezione conferma della possibilità dell’utilizzo delle quote
di oneri relativi al trattamento ed allo smaltimento dei rifiuti solidi,
liquidi e gassosi per il finanziamento delle spese correnti, senza
particolari vincoli di destinazione.
...
In via preliminare, la Sezione precisa che la decisione di procedere ad una
determinata spesa attiene al merito dell’azione amministrativa e rientra,
pertanto, nella piena ed esclusiva discrezionalità e responsabilità
dell’ente; spetta altresì all’ente procedere alle attività amministrative e
giuscontabili conseguenti alla qualificazione della spesa, oggetto del
presente parere.
In generale, si osserva che l’allocazione in bilancio e la conseguente
corretta utilizzazione delle entrate derivanti dai contributi per permesso
di costruire è stata oggetto di ripetute modifiche da parte del legislatore,
nonché di ripetute interpretazioni da parte delle Sezioni regionali di
controllo di questa Corte.
Al riguardo, può rammentarsi che prima dell’attuale “contributo per permesso
di costruire”, i Comuni riscuotevano gli “oneri di urbanizzazione” previsti
dalla legge n. 10 del 1977, che subordinava la concessione edilizia alla
corresponsione di un contributo commisurato all’incidenza delle spese di
urbanizzazione, nonché al costo di costruzione (art. 3).
In tale contesto, i
proventi delle concessioni erano espressamente destinati alla realizzazione
delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria, al risanamento di
complessi edilizi compresi nei centri storici, nonché, nel limite massimo
del 30 per cento, a spese di manutenzione ordinaria del patrimonio comunale
(art. 12, come modificato dall’art. 16-bis del decreto legge n. 318 del
1986, convertito con modificazioni dalla legge n. 488 del 1986).
In seguito, il d.P.R. n. 380 del 2001 (T.U. Edilizia), nel ridisciplinare
interamente la materia, ha al contempo introdotto il contributo per il
rilascio del permesso di costruire, commisurato all’incidenza degli oneri di
urbanizzazione, nonché al costo di costruzione (art. 16, comma 1).
In riferimento a tale novella, si è consolidata la tesi (Sezione regionale
di controllo per la Basilicata,
deliberazione 27.11.2013 n. 123); Sezione
controllo Piemonte,
parere 10.05.2013 n. 168), già condivisa da
questa Sezione (parere
09.02.2016 n. 38), che l’intervento normativo
organico di settore, rappresentato dal testo unico, ha determinato la tacita
abrogazione –in via consequenziale– oltre che del citato disposto della
legge 10/1978, anche dell’art. 49, comma 7, legge n. 449 del 1997, in base
al quale i proventi delle concessioni edilizie e delle sanzioni potevano
essere destinati anche al finanziamento di spese di manutenzione del
patrimonio comunale.
Come già evidenziato da questa sezione (parere
09.02.2016 n. 38), ciò
ha determinato l’ulteriore effetto, in mancanza di una diversa ed espressa
previsione di legge, del venir meno dei relativi vincoli e facoltà,
stabiliti dalle norme abrogate, di destinazione dei proventi riscossi a
titolo di contributi per il rilascio del permesso di costruire.
In conseguenza del venir meno di un’espressa destinazione, s’era in quel
contesto sottolineato che l’entrata derivante dal rilascio dei permessi di
costruire finisse per confluire nel totale delle entrate – ed in
particolare, s’è ritenuto, in quelle di natura tributaria – che
intrinsecamente sono destinate a finanziare il totale delle spese, secondo
il principio dell’unità di bilancio (art. 162, comma 2, T.U.E.L.), con
l’ulteriore conseguenza della riallocazione di queste risorse, in
considerazione del venir meno del predetto vincolo legislativo di
destinazione di cui all’art. 12, legge n. 10 del 1977 e ss.mm.ii., tra
quelle che contribuiscono complessivamente a determinare gli equilibri di
bilancio ex art. 193, comma 3, T.U.E.L. (cfr. ancora questa Sezione,
deliberazione 1/parere/2004; cfr. altresì la circolare della Ragioneria
Generale dello Stato 07.04.2004, n. 39656 ed il Principio contabile n. 2,
par. 20, dei “Principi contabili per gli Enti locali” elaborati nel 2004,
principio che ha ritenuto detta entrata ascrivibile al Titolo I
dell’Entrata, cioè alle entrate tributarie).
Tale approdo, riportato anche dal Comune nella parte motiva della richiesta
di parere, deve tuttavia essere ulteriormente precisato nei termini già
espressi dal
parere 09.02.2016 n. 38.
Invero, se tale allocazione da un lato, in quel medesimo contesto, ha
portato a considerare astrattamente l’entrata come liberamente disponibile
per il finanziamento (anche) di spese correnti, dall’altro, essa non ha
fatto venir meno la natura intrinsecamente aleatoria e irripetibile della
risorsa stessa, natura che trova una conferma nella specifica forma di
accertamento per essa prevista dei Principi contabili del 2004 (accertamento
effettuato sulla base degli introiti effettivi); pertanto, tale risorsa,
anche nel sistema derivante dall’entrata in vigore del d.P.R. n. 380 del
2001, non avrebbe comunque potuto essere destinata a finanziare spese
correnti consolidate e ripetibili, come ripetutamente rilevato anche da
questa Sezione (v. sul punto, le deliberazioni nn. 382/2015/PRSE; 360/2015/PRSE;
160/2015/PRSE; 155/2015/PRSE; 152/2015/PRSE).
In materia, il legislatore è successivamente intervenuto con disposizioni
aventi un’efficacia temporalmente limitata, al fine di introdurre facoltà e
limiti all’utilizzo di proventi delle concessioni edilizie, da ultimo con la
legge 208/2005, di cui si dirà oltre.
In assenza di una normazione specifica, quale quella da ultimo citata,
valgono invece i principi generali innanzi esposti così come ulteriormente
precisati dal
parere 09.02.2016 n. 38, che il Comune ha citato solo
parzialmente e che la Sezione intende confermare.
Quest’ultima delibera, infatti, ha declinato in maniera più analitica il
principio generale innanzi ricordato, a seconda delle diverse componenti in
cui concretamente si articola l’entrata derivante dal rilascio dei permessi
di costruire.
Giova, pertanto, ripercorrere seppur per sommi capi quanto già espresso
nella citata precedente deliberazione, sulla base delle cui conclusioni deve
darsi risposta anche al quesito specifico oggetto del presente parere.
Più precisamente, secondo quanto già affermato da questa Corte (v. Sezione
regionale di controllo per il Veneto,
parere 22.04.2015 n. 219)
–peraltro sulla scorta anche dell’ampia giurisprudenza amministrativa resa
in materia (v. in generale TAR Lombardia, Brescia, sez. I, 03.05.2014,
n. 464; Consiglio di Stato, Sez. IV, 20.12.2013, n. 6160; TAR
Lombardia, Brescia, sez. II, 25.03.2011, n. 469; Consiglio di Stato, sez.
V, 23.01.2006, n. 159)– deve essere sottolineato che il contributo
collegato all’assentimento dell’attività edilizia si compone di due distinti
elementi: uno, di natura contributiva, afferente alle spese per
l’urbanizzazione del territorio, e che costituisce pertanto una modalità di
concorso del privato agli “oneri sociali” derivanti dall’incremento del
carico urbanistico (oneri di urbanizzazione in senso stretto); l’altro, di
natura impositiva, conseguente invece all’aumento della capacità
contributiva del titolare dell’opera, in ragione dell’incremento, in virtù
dell’assentimento dell’attività edilizia, del patrimonio immobiliare
detenuto da tale soggetto (contributo di costruzione).
Quest’ultimo consiste in una prestazione patrimoniale ascrivibile alla
categoria dei tributi locali, in quanto il prelievo non si basa, come nel
caso degli oneri di urbanizzazione, sui costi collettivi derivanti
dall’insediamento di un nuovo edificio, ma sull’incremento di ricchezza
immobiliare determinato dall’intervento edilizio stesso. Gli oneri
propriamente di urbanizzazione sono invece ascrivibili alla categoria dei
“corrispettivi di diritto pubblico” e sono, conseguentemente, dovuti in
ragione dell’obbligo del privato di partecipare ai costi delle opere di
trasformazione del territorio di cui in definitiva si giova.
Tale natura “corrispettiva” emerge con evidenza da più indici normativi, sia
derivanti dalla possibilità di scomputare le opere pubbliche realizzate dal
privato dagli oneri dovuti, sia connessi alla possibilità di escludere
specifiche attività edilizie, in determinate ipotesi, dal versamento dal
contributo sul costo di costruzione, ma non dal versamento degli oneri di
urbanizzazione (v. le ipotesi contemplate dagli artt. 17 e 18, da un lato, e
dall’art. 19, dall’altro, del d.P.R. n. 380 del 2001; cfr. altresì l’art.
43, comma 2-ter, legge della Regione Lombardia n. 12 del 2005).
Pertanto, quanto alla corretta allocazione in bilancio e utilizzazione di
dette risorse, in generale e sul presupposto dell’assenza di specifiche
normative applicabili, non può che muoversi dal riconoscimento di tale
natura duale dell’entrata, peraltro affermata, nell’ambito
dell’armonizzazione, anche dal principio 3.11. dell’Allegato 4/2 al decreto
legislativo n. 118 del 2011, come modificato dal decreto legislativo n. 126
del 2014, il quale correttamente evidenzia che “l’obbligazione per i
permessi di costruire è articolata in due quote”: “la prima (oneri di
urbanizzazione) è immediatamente esigibile, ed è collegata al rilascio del
permesso al soggetto richiedente, salva la possibilità di rateizzazione
(eventualmente garantita da fidejussione), la seconda (costo di costruzione)
è esigibile nel corso dell'opera ed, in ogni caso, entro 60 giorni dalla
conclusione dell'opera medesima”, con le relative conseguenze in tema
d’accertamento ed imputazione.
Alla luce di tale considerazione, si deve conseguentemente rilevare che le
entrate connesse al versamento degli oneri di urbanizzazione hanno
necessariamente natura di entrate di parte capitale, derivando in definitiva
dal “consumo” del suolo, cioè dall’irreversibile (almeno in linea
tendenziale) impiego di un bene pubblico, ed essendo intrinsecamente
destinate alla realizzazione di opere, volte al razionale e salubre impiego
dello stesso, destinate comunque ad incrementare il “patrimonio immobiliare”
dell’ente, sub specie di realizzazione (diretta o indiretta) di beni
rientranti nelle categorie, a seconda delle evenienze, del demanio (ad es.
strade, piazze, acquedotti, v. gli artt. 822, secondo comma, e 824 c.c.), o
del patrimonio indisponibile (v. al riguardo l’art. 826, terzo comma, c.c.).
In tali ipotesi, infatti, si verte nell’ambito di entrate naturalmente
destinate all’incremento dei beni annoverabili nel “patrimonio” latamente
inteso dell’ente e che, come tali, devono essere rappresentate nel bilancio;
in particolare, la naturale allocazione di tali entrate è, dunque, tra le
risorse di parte capitale, ordinariamente utilizzabili solo per spese di
investimento, salvo le eccezioni di legge (art. 162, comma 6, T.U.E.L.; v.
per la nozione d’investimento l’art. 3, comma 18, legge n. 350 del 2003).
Quanto, invece, alle entrate connesse al versamento dei contributi sul costo
di costruzione, la natura tributaria delle stesse le fa invece
necessariamente confluire, come già rilevato da questa Sezione nella
deliberazione n. 1/pareri/2014, nel totale delle entrate che, come tali, in
virtù del principio dell’unità di bilancio (art. 162, comma 2, T.U.E.L.),
finiscono coll’esser destinate a finanziare il totale delle spese.
E’ alla luce delle coordinate ermeneutiche innanzi esposte, che deve trovare
risposta il quesito concretamente posto dal Comune di Landriano relativo
alla possibilità dell’utilizzo delle quote di oneri relativi al trattamento
ed allo smaltimento dei rifiuti solidi, liquidi e gassosi (onere c.d.
ecologico) per il finanziamento delle spese correnti, senza particolari
vincoli di destinazione.
Invero, la soluzione non può che dipendere dalla natura che si intende
riconoscere a detti oneri: tributaria, come parrebbe implicitamente
presupporre il Comune; ovvero di “corrispettivo pubblico” nel senso innanzi
precisato.
Già l’art 10, primo comma, legge 28.01.1977 n. 10 prevedeva che l’onere
contributivo dovuto per il rilascio della concessione edilizia relativa ad
opere o impianti non destinati alla residenza va commisurato, oltre che in
relazione all’incidenza delle opere di urbanizzazione, a quella delle opere
“necessarie al trattamento e allo smaltimento dei rifiuti solidi, liquidi e
gassosi” ed a quelle “necessarie alla sistemazione dei luoghi ove ne siano
alterate le caratteristiche”.
Tale previsione trova oggi confermata nell’art. 19, T.U. 380/2001, rubricato
“Contributo di costruzione per opere o impianti non destinati alla
residenza”.
Se ne deduce che l’onere c.d. ecologico grava solo sugli insediamenti di
tipo industriale per il maggior impatto di tali costruzioni sul territorio
ed è, infatti, rapportato alle opere e ai correlati oneri economici gravanti
sulla collettività, che siano necessari per eliminare l’impatto ambientale
negativo che la realizzazione degli impianti industriali può comportare sul
territorio.
Più precisamente, non vengono in considerazione solo le usuali opere per lo
smaltimento dei rifiuti e delle sostanze inquinanti che altrimenti
graverebbero sull’amministrazione locale, ma anche tutti quegli interventi
che si richiedono per la sistemazione dell’ambiente circostante, le cui
caratteristiche possono risultare alterate in vario modo sia dalle opere
costituenti specificamente lo stabilimento industriale autorizzato, sia
dagli stessi impianti di disinquinamento realizzati.
In altre parole, l’onere di cui si discorre riguarda la partecipazione del
privato agli interventi tesi a mitigare il complessivo impatto ambientale
delle opere autorizzate e va commisurato agli effetti inquinanti che, seppur
mantenuti nei limiti consentiti dalla legge, devono per quanto possibile
essere contrastati con adeguati interventi il cui costo economico
graverebbe, altrimenti, per intero sulla collettività.
La ragione giustificativa di tale onere appare, dunque, immediatamente
assimilabile a quella degli oneri di urbanizzazione in senso stretto,
trattandosi in entrambi i casi di modalità di concorso del privato agli
“oneri sociali” derivanti dalla nuova costruzione.
Tale conclusione è avvalorata dalla lettera del T.U. Ediliza, che nell’art.
19 tratta in modo sostanzialmente unitario il contributo pari alla incidenza
delle opere di urbanizzazione, di quelle necessarie al trattamento e allo
smaltimento dei rifiuti solidi, liquidi e gassosi e di quelle necessarie
alla sistemazione dei luoghi ove ne siano alterate le caratteristiche,
rivelandone così la medesima natura (“Il permesso di costruire relativo a
costruzioni o impianti destinati ad attività industriali o artigianali
dirette alla trasformazione di beni ed alla prestazione di servizi comporta
la corresponsione di un contributo pari alla incidenza delle opere di
urbanizzazione, di quelle necessarie al trattamento e allo smaltimento dei
rifiuti solidi, liquidi e gassosi e di quelle necessarie alla sistemazione
dei luoghi ove ne siano alterate le caratteristiche. La incidenza di tali
opere é stabilita con deliberazione del consiglio comunale in base a
parametri che la regione definisce con i criteri di cui al comma 4, lettere
a) e b), dell'articolo 16, nonché in relazione ai tipi di attività
produttiva”).
Del resto, l’assimilazione del c.d. onere ecologico agli oneri di
urbanizzazione è confermata anche dalla giurisprudenza amministrativa,
secondo la quale: “il contributo commisurato agli oneri di urbanizzazione ha
carattere generale perché prescinde totalmente dall’esistenza o meno delle
singole opere di urbanizzazione, ha natura di prestazione patrimoniale
imposta e viene determinato senza tenere conto né dell’utilità che il
privato ritrae dal titolo edificatorio, né delle spese effettivamente
occorrenti per realizzare le suddette opere. Analoghe caratteristiche vanno
per coerenza riconosciute al contributo commisurato al c.d. “onere
ecologico”, arbitrarie essendo distinzioni che non troverebbero fondamento
né nella lettera della legge, né nella “ratio” dell’istituto” (Consiglio di
Stato 2325/2007; Tar Emilia Romagna 431/2008).
La medesima giurisprudenza ha di conseguenza ritenuto applicabile all’onere
ecologico, in assenza di parametri regionali, la disposizione di cui
all’art. 16, T.U. edilizia (espressamente riferita alla sola fattispecie del
contributo concernete gli oneri di urbanizzazione), laddove prescrive che
nel caso di mancata definizione delle tabelle parametriche da parte della
regione e fino alla definizione delle stesse, i comuni provvedono, in via
provvisoria, con deliberazione del consiglio comunale.
Alla luce delle considerazioni che precedono appare, dunque, corretto
ascrivere alla categoria dei “corrispettivi di diritto pubblico” anche gli
oneri relativi al trattamento ed allo smaltimento dei rifiuti solidi,
liquidi e gassosi.
Ne deriva che essi hanno necessariamente natura di entrate di parte
capitale, derivando in definitiva dall’utilizzo del territorio, cioè
dall’irreversibile (almeno in linea tendenziale) impiego di un bene
pubblico, ed essendo intrinsecamente destinate alla realizzazione di opere
volte al razionale e salubre impiego dello stesso, destinate comunque ad
incrementare il “patrimonio immobiliare” dell’ente.
Anche in tale ipotesi, infatti, si verte nell’ambito di entrate naturalmente
destinate all’incremento dei beni annoverabili nel “patrimonio” latamente
inteso dell’ente e che, come tali, devono essere rappresentate nel bilancio;
in particolare la naturale allocazione di tali entrate è, dunque, tra le
risorse di parte capitale, ordinariamente utilizzabili solo per spese di
investimento, salvo le eccezioni di legge.
Da ultimo, deve osservarsi che tale eccezione, per gli anni 2016 e 2017, è
rappresentata dalla legge n. 208 del 2015, secondo la quale “per gli anni
2016 e 2017, i proventi delle concessioni edilizie e delle sanzioni previste
dal testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia
edilizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001,
n. 380, fatta eccezione per le sanzioni di cui all’articolo 31, comma 4-bis,
del medesimo testo unico possono essere utilizzati per una quota pari al 100
per cento per spese di manutenzione ordinaria del verde, delle strade e del
patrimonio comunale, nonché per spese di progettazione delle opere
pubbliche” (art. 1, comma 737).
Tale disposizione contiene una specifica previsione facoltizzante, circa la
destinazione dell’entrata, di cui l’ente, nella propria autonomia, potrà
dunque avvalersi negli anni 2016 e 2017 e viene a configurare un’espressa
disciplina, parzialmente derogatoria rispetto al regime ordinario
d’imputazione di detti proventi, che tuttavia conferma a contrario, sotto il
profilo concettuale, la tendenziale annoverabilità degli stessi, quantomeno
pro parte, fra quelli di parte capitale (tanto che per destinare
integralmente tali entrate a spese di parte corrente il legislatore ha
ritenuto necessario dettare una disposizione ad hoc).
Spetta al comune di Landriano, sulla base dei principi espressi dalla
giurisprudenza contabile, oltre che da questo stesso parere, valutare la
fattispecie concreta al fine di addivenire, nel caso di specie, al migliore
esercizio possibile del proprio potere di autodeterminazione in riferimento
alla corretta copertura della spesa, nel rispetto del quadro legislativo
ratione temporis di volta in volta applicabile, anche in considerazione
della natura propria dello specifico intervento concretamente realizzato
(Corte dei Conti, Sez. controllo Lombardia,
parere
11.05.2017 n. 144). |
aprile 2017 |
|
EDILIZIA PRIVATA: Come
è noto, il contributo di costruzione costituisce un corrispettivo di diritto
pubblico previsto a titolo di partecipazione ai costi delle opere di
urbanizzazione, ovvero un contributo speciale che ha la propria causa
giuridica nelle maggiori spese che l’amministrazione pubblica deve
accollarsi in dipendenza della costruzione dell’edificio e del connesso
utilizzo, da parte dei detentori del bene, dei servizi e degli spazi
circostanti.
In caso di ristrutturazione edilizia, il pagamento degli oneri di
urbanizzazione è dovuto solo nel caso in cui l’intervento abbia determinato
un aumento del carico urbanistico.
---------------
I ricorrenti hanno presentato denuncia di inizio attività, in data
26.11.2010, per la ristrutturazione del fabbricato unifamiliare residenziale
di loro proprietà in via ... n. 39.
Il progetto ha previsto il rifacimento del solaio del primo piano e del
balcone, modifiche alla tramezzatura interna, il rifacimento degli intonaci
e dei pavimenti, la modifica delle aperture esterne. Non sono stati
realizzati incrementi di volume e superficie utile, né è aumentato il numero
di unità immobiliari.
Con l’atto impugnato, il Comune di Cambiano ha determinato il contributo di
costruzione, ai sensi dell’art. 16 del d.P.R. n. 380 del 2001, in euro
9.749,35.
I ricorrenti rivendicano la gratuità dell’intervento e deducono, in tal
senso, la violazione degli artt. 11, 16, 17 e 22 del d.P.R. n. 380 del 2001
nonché l’eccesso di potere sotto molteplici profili.
Si è costituito il Comune di Cambiano, chiedendo il rigetto del ricorso.
...
Il ricorso è fondato.
Con la d.i.a. n. 2033 del 2010, i ricorrenti hanno effettuato una
ristrutturazione edilizia “leggera” senza demolire e ricostruire
l’edificio, senza aumentare la superficie, il volume ed il numero di unità
immobiliari, senza mutare la destinazione d’uso.
E’ stato realizzato un nuovo bagno al piano primo.
Siccome costruito prima del 1975, l’edificio era già abitabile su entrambi i
piani, sebbene i locali fossero, prima della ristrutturazione, di altezza
interna pari a 2,55 mt. (e perciò inferiore all’altezza minima di 2,70 mt.
prescritta dall’art. 1 del d.m. 05.07.1975).
L’intervento di ristrutturazione ha consentito di ottenere, per tutti i
piani, un’altezza di 2,70 mt. mediante la demolizione e ricostruzione delle
solette interne.
Ma ciò non ha determinato un incremento del carico urbanistico, come
erroneamente ritenuto dal Comune.
Come è noto, il contributo di costruzione costituisce un corrispettivo di
diritto pubblico previsto a titolo di partecipazione ai costi delle opere di
urbanizzazione, ovvero un contributo speciale che ha la propria causa
giuridica nelle maggiori spese che l’amministrazione pubblica deve
accollarsi in dipendenza della costruzione dell’edificio e del connesso
utilizzo, da parte dei detentori del bene, dei servizi e degli spazi
circostanti.
In caso di ristrutturazione edilizia, il pagamento degli oneri di
urbanizzazione è dovuto solo nel caso in cui l’intervento abbia determinato
un aumento del carico urbanistico (cfr., tra molte, TAR Piemonte, sez. I,
13.12.2013 n. 1346).
Nella specie, la d.i.a. presentata dai ricorrenti non era alternativa al
permesso di costruire.
Per il combinato disposto dell’art. 22, terzo comma – lett. a) e quinto
comma, e dell’art. 10, primo comma – lett. c), del d.P.R. n. 380 del 2001,
l’intervento non è soggetto a contributo di costruzione.
Peraltro, come correttamente affermato dai ricorrenti, la gratuità
dell’intervento discende (anche) dalla previsione dell’art. 17, terzo comma
– lett. d), del d.P.R. n. 380 del 2001, relativo alle ristrutturazioni di
edifici unifamiliari.
In conclusione, ed assorbite le ulteriori censure riferite al regolamento
comunale sugli oneri di urbanizzazione ed alla delibera regionale n.
179/CR-4170 del 1977, il ricorso è fondato a va accolto
(TAR Piemonte, Sez. II,
sentenza 21.04.2017 n. 532 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA -
PATRIMONIO - URBANISTICA: Nel
rispetto della disciplina vincolistica di settore anche di
livello regionale, nel corso dell’esercizio 2017, i proventi
connessi agli oneri di urbanizzazione e alla monetizzazione
degli standard qualitativi aggiuntivi possono essere
utilizzati per finanziare una spesa in conto capitale.
Lo standard qualitativo, invero già previsto dalla legge
regionale n. 9/1999, si può considerare, nella sua
declinazione presente nell’ora riportato art. 90 della legge
regionale n. 12/2005, un sovra-standard, ovvero una
prestazione aggiuntiva rispetto alle dotazioni minime
richieste dalla norma in relazione alle funzioni insediate o
da insediare.
L’art. 90, nel prevedere la possibilità di monetizzare tali
dotazioni, sottopone tale possibilità alla dimostrazione, da
parte del comune, che “tale soluzione sia la più
funzionale per l’interesse pubblico”.
L’ultimo comma
dell’articolo in esame prevede, altresì, che “nel caso in
cui il programma integrato di intervento preveda la
monetizzazione ai sensi dell’articolo 46, la convenzione di
cui all’articolo 93 deve contenere l’impegno del comune ad
impiegare tali somme esclusivamente per l’acquisizione di
fabbricati o aree specificamente individuati nel piano dei
servizi e destinati alla realizzazione di attrezzature e
servizi pubblici, ovvero per la realizzazione diretta di
opere previste nel medesimo piano”.
Ne consegue che
l’utilizzo delle risorse relative alla monetizzazione dei
predetti standard qualitativi è subordinata alla verifica
–da parte del Comune istante– a monte che la stessa monetizzazione sia “la più funzionale per l’interesse
pubblico” in concreto perseguito e, a valle, che il bene
oggetto di acquisizione risulti individuato nel piano dei
servizi e destinato all’effettiva realizzazione di
attrezzature e servizi pubblici, ovvero di opere previste
nel medesimo piano.
---------------
Il Sindaco del Comune di Novedrate (CO) -dopo aver
rappresentato che tra gli obiettivi strategici dell’azione
amministrativa rientra l’acquisizione al patrimonio comunale
del fabbricato storico denominato “Villa Casana”,
della Cappella Gentilizia e del parco circostante
attualmente di proprietà privata da conseguire mediante la
permuta di un’area comunale posta all’interno dell’area di
trasformazione afferente all’obiettivo strategico in cui la
complessiva operazione si inscrive e dopo aver, altresì,
ricordato che il Comune risulta tenuto al versamento anche
di una somma pari alla differenza di valore fra i beni
immobili oggetto di permuta– ha rivolto alla Sezione il
seguente quesito:
“se è possibile far fronte alla suddetta differenza di
valore utilizzando all’uopo lo standard qualitativo
aggiuntivo pari ad euro 300.000,00, il fondo per il Centro
storico nella misura del 3% ed i proventi da permessi di
costruire (oneri di urbanizzazione e costo di costruzione)
che il privato dovrà versare nelle casse dell’Ente per la
realizzazione dell’intervento edilizio programmato. Si
precisa, nel contempo, che è intenzione delle parti
sottoscrivere il contratto di permuta entro il corrente anno
stante l’utilizzo per fini tipici degli oneri di
urbanizzazione previsto a decorrere dall'esercizio 2018
dalla Legge n. 232/2016, articolo 1, commi 460-461”.
...
2. Giova preliminarmente evidenziare come la materia oggetto del
quesito in esame è stata, di recente, oggetto, nei suoi
principi generali, di analisi da parte di questa Sezione
nella deliberazione n. 81/2017/PAR. Facendo applicazione dei
principi affermati in tale pronuncia, deve preliminarmente
ricordarsi, sul piano generale, che, nei principi contabili
generali fissati dal decreto legislativo 23.06.2011, n. 118
(allegato 1) si esplicita che:
- “è il complesso unitario delle entrate che finanzia
l’amministrazione pubblica e quindi sostiene così la
totalità delle sue spese durante la gestione”;
- “le entrate in conto capitale sono destinate esclusivamente al
finanziamento di spese di investimento”.
Nei predetti principi, dunque, viene ribadito il divieto di
finanziare spese correnti con entrate in conto capitale che
trova giustificazione anche nell’esigenza di assicurare il
mantenimento degli equilibri di bilancio degli enti locali
espressa dall’art. 162, comma 6, del decreto legislativo 10.08.2000, n. 267 (TUEL).
2.1. Ciò premesso, essendo l’operazione di permuta sopra
richiamata finalizzata all’acquisizione al patrimonio
comunale di un fabbricato storico e di alcune pertinenze,
che sarebbero complessivamente destinate allo svolgimento di
alcune funzioni pubbliche, essa si sostanzierebbe, come
noto, in una spesa in conto capitale. Alla stessa può,
dunque, farsi ancora fronte, nel corrente esercizio, con
l’utilizzo degli oneri di urbanizzazione (per il successivo
esercizio 2018, cfr. commi 460-461 dell’art. 1 della Legge
n. 232/2016, che non contemplano, tra le operazioni
finanziabili con in predetti oneri, l’acquisizione di
immobili).
2.2. Facendo nuovamente applicazione dei principi generali
fissati nella richiamata deliberazione n. 81/2017/PAR, può
passarsi ad affrontare il profilo attinente all’utilizzo dei
proventi relativi allo standard qualitativo aggiuntivo,
tenuto conto del combinato disposto dell’art. 90 e dell’art.
46, comma 1, della legge regionale lombarda 11.03.2005, n.
12. Tali disposizioni prevedono, infatti, che:
Art. 90 - Aree per attrezzature pubbliche e di
interesse pubblico o generale.
1. I programmi integrati di intervento garantiscono, a
supporto delle funzioni insediate, una dotazione globale di
aree o attrezzature pubbliche e di interesse pubblico o
generale, valutata in base all’analisi dei carichi di utenza
che le nuove funzioni inducono sull’insieme delle
attrezzature esistenti nel territorio comunale, in coerenza
con quanto sancito dall’articolo 9, comma 4.
2. In caso di accertata insufficienza o inadeguatezza di
tali attrezzature ed aree, i programmi integrati di
intervento ne individuano le modalità di adeguamento,
quantificandone i costi e assumendone il relativo
fabbisogno, anche con applicazione di quanto previsto
dall’articolo 9, commi 10, 11 e 12.
3. Qualora le attrezzature e le aree risultino idonee a
supportare le funzioni previste, può essere proposta la
realizzazione di nuove attrezzature indicate nel piano dei
servizi di cui all’articolo 9, se vigente, ovvero la
cessione di aree, anche esterne al perimetro del singolo
programma, purché ne sia garantita la loro accessibilità e
fruibilità.
4. È consentita la monetizzazione della dotazione di cui al
comma 1 soltanto nel caso in cui il comune dimostri
specificamente che tale soluzione sia la più funzionale per
l’interesse pubblico. In ogni caso la dotazione di parcheggi
pubblici e di interesse pubblico ritenuta necessaria dal
comune deve essere assicurata in aree interne al perimetro
del programma o comunque prossime a quest’ultimo,
obbligatoriamente laddove siano previste funzioni
commerciali o attività terziarie aperte al pubblico.
5. Nel caso in cui il programma integrato di intervento
preveda la monetizzazione ai sensi dell’articolo 46, la
convenzione di cui all’articolo 93 deve contenere l’impegno
del comune ad impiegare tali somme esclusivamente per
l’acquisizione di fabbricati o aree specificamente
individuati nel piano dei servizi e destinati alla
realizzazione di attrezzature e servizi pubblici, ovvero per
la realizzazione diretta di opere previste nel medesimo
piano.
Art. 46 - Convenzione dei piani attuativi.
1. La convenzione, alla cui stipulazione è subordinato il
rilascio dei permessi di costruire ovvero la presentazione
delle denunce di inizio attività relativamente agli
interventi contemplati dai piani attuativi, oltre a quanto
stabilito ai numeri 3) e 4) dell’articolo 8 della legge
06.08.1967, n. 765 (Modifiche ed integrazioni alla legge
urbanistica 17.08.1942, n. 1150), deve prevedere:
a) la cessione gratuita, entro termini prestabiliti, delle aree
necessarie per le opere di urbanizzazione primaria, nonché
la cessione gratuita delle aree per attrezzature pubbliche e
di interesse pubblico o generale previste dal piano dei
servizi; qualora l’acquisizione di tali aree non risulti
possibile o non sia ritenuta opportuna dal comune in
relazione alla loro estensione, conformazione o
localizzazione, ovvero in relazione ai programmi comunali di
intervento, la convenzione può prevedere, in alternativa
totale o parziale della cessione, che all’atto della
stipulazione i soggetti obbligati corrispondano al comune
una somma commisurata all’utilità economica conseguita per
effetto della mancata cessione e comunque non inferiore al
costo dell’acquisizione di altre aree. I proventi delle
monetizzazioni per la mancata cessione di aree sono
utilizzati per la realizzazione degli interventi previsti
nel piano dei servizi, ivi compresa l’acquisizione di altre
aree a destinazione pubblica;
b) la realizzazione a cura dei proprietari di tutte le opere di
urbanizzazione primaria e di una quota parte delle opere di
urbanizzazione secondaria o di quelle che siano necessarie
per allacciare la zona ai pubblici servizi; le
caratteristiche tecniche di tali opere devono essere
esattamente definite; ove la realizzazione delle opere
comporti oneri inferiori a quelli previsti per la
urbanizzazione primaria e secondaria ai sensi della presente
legge, è corrisposta la differenza; al comune spetta in ogni
caso la possibilità di richiedere, anziché la realizzazione
diretta delle opere, il pagamento di una somma commisurata
al costo effettivo delle opere di urbanizzazione inerenti al
piano attuativo, nonché all’entità ed alle caratteristiche
dell’insediamento e comunque non inferiore agli oneri
previsti dalla relativa deliberazione comunale;
c) altri accordi convenuti tra i contraenti secondo i criteri
approvati dai comuni per l’attuazione degli interventi.
2.
La convenzione di cui al comma 1 può stabilire i tempi di
realizzazione degli interventi contemplati dal piano attuativo, comunque non superiori a dieci anni.
Lo standard qualitativo, invero già previsto dalla legge
regionale n. 9/1999, si può considerare, nella sua
declinazione presente nell’ora riportato art. 90 della legge
regionale n. 12/2005, un sovra-standard, ovvero una
prestazione aggiuntiva rispetto alle dotazioni minime
richieste dalla norma in relazione alle funzioni insediate o
da insediare.
L’art. 90, nel prevedere la possibilità di monetizzare tali
dotazioni, sottopone tale possibilità alla dimostrazione, da
parte del comune, che “tale soluzione sia la più
funzionale per l’interesse pubblico”.
L’ultimo comma
dell’articolo in esame prevede, altresì, che “nel caso in
cui il programma integrato di intervento preveda la
monetizzazione ai sensi dell’articolo 46, la convenzione di
cui all’articolo 93 deve contenere l’impegno del comune ad
impiegare tali somme esclusivamente per l’acquisizione di
fabbricati o aree specificamente individuati nel piano dei
servizi e destinati alla realizzazione di attrezzature e
servizi pubblici, ovvero per la realizzazione diretta di
opere previste nel medesimo piano”.
2.3. Ne consegue, per quanto qui maggiormente interessa, che
l’utilizzo delle risorse relative alla monetizzazione dei
predetti standard qualitativi è subordinata alla verifica
–da parte del Comune istante– a monte che la stessa monetizzazione sia “la più funzionale per l’interesse
pubblico” in concreto perseguito e, a valle, che il bene
oggetto di acquisizione risulti individuato nel piano dei
servizi e destinato all’effettiva realizzazione di
attrezzature e servizi pubblici, ovvero di opere previste
nel medesimo piano (cfr.
parere 15.11.2012 n. 487 di questa Sezione).
2.4. A non diverse conclusioni può pervenirsi in riferimento
all’utilizzo del “fondo per il Centro storico”, sulla cui
natura e funzione non è fornito alcun dettaglio nella
richiesta di parere in esame, ove lo stesso sia costituito
con contributi qualificabili come standard qualitativi
aggiuntivi.
2.5. Resta, comunque, fermo che, come del resto affermato
dallo stesso Ente nella richiesta di parere, la delineata
operazione deve essere posta in essere nel pieno rispetto
del disposto del comma 1-ter dell’art. 12 del D.L. n.
98/2011, non trattandosi di permuta “pura” (cfr.
deliberazione di questa Sezione n. 97/2014/PAR) (Corte dei
Conti, Sez. controllo Lombardia,
parere 13.04.2017 n. 100). |
marzo 2017 |
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EDILIZIA PRIVATA - PATRIMONIO:
- i proventi dei titoli
abilitativi edilizi e delle sanzioni previste dal testo
unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica
06.06.2001, n. 380 (c.d. “oneri di urbanizzazione”)
possono essere destinati anche al finanziamento di spese
correnti nei limiti degli utilizzi stabiliti, per il
2017, dall’art. 1, comma 737, della legge 28.12.2015, n.
208
e per 2018 e gli esercizi seguenti dall’art. 1, comma 460,
della legge 11.12.2016, n. 232;
- i proventi derivanti “dalla monetizzazione di aree a standard”
possono essere destinati solo a spese di investimento
secondo quanto stabilito l’art. 46, comma 1, della legge
regionale 11.03.2005, n. 12;
- i proventi derivanti da alienazione di beni patrimoniali
disponibili possono essere destinati, di regola, solo alla
copertura di spese di investimento o alla
riduzione dell’indebitamento ai sensi dell’art. 1, comma
443, della legge 24.12.2012, n. 228 e dell’art. 56-bis,
comma 11, del decreto-legge 21.06.2013, n. 69 convertito
dalla legge 09.08.2013, n. 98.
Tali entrate possono essere utilizzate anche per il
finanziamento di spese correnti esclusivamente nelle ipotesi
eccezionali previste dall’art. 255, comma 9, del TUEL ove
l’ente versi in situazione di dissesto; dall’art. 243-bis,
comma 8, lett. g), del TUEL ove l’ente abbia fatto ricorso
alla procedura di riequilibrio pluriennale; dall’art. 2,
comma 4, del DM 02.04.2015 per il ripiano del maggior
disavanzo di amministrazione derivante dal passaggio al
nuovo sistema contabile armonizzato
---------------
Con la nota sopra citata il Sindaco del Comune di Sala
Comacina (CO) formula una richiesta di parere
riguardante le entrate destinabili al finanziamento di spese
correnti, ponendo i seguenti quesiti:
1. è possibile utilizzare per l’anno 2017 a finanziamento delle
spese correnti, oltre agli oneri di urbanizzazione, anche i
proventi derivanti da monetizzazione di aree sempre inerenti
il rilascio di permessi a costruire pertanto direttamente
collegati agli oneri di urbanizzazione?
2. è possibile utilizzare tali proventi (oneri di urbanizzazione e
monetizzazione di aree) a finanziamento delle spese correnti
anche nel bilancio pluriennale per gli anni 2018-2019?
3. è possibile utilizzare proventi da alienazione di un terreno di
proprietà comunale, già deliberata nel 2016 in corso di
procedura di gara, per finanziare la spesa corrente nel
bilancio pluriennale 2018-2019?
...
La risposta ai quesiti formulati dal Comune è ricavabile
dalla lettura dei principi generali e delle specifiche
disposizioni di legge che, nel quadro dell’ordinamento
finanziario e contabile degli enti locali, fissano il regime
di utilizzazione e di destinazione delle entrate iscritte a
bilancio.
Il principio dell’”unità”, compreso tra i principi contabili
generali fissati dal decreto legislativo 23.06.2011, n.
118 (allegato 1) e a cui gli enti locali devono conformare
la gestione finanziaria, dopo avere affermato che “è il
complesso unitario delle entrate che finanzia
l’amministrazione pubblica e quindi sostiene così la
totalità delle sue spese durante la gestione” -aggiunge che–
“le entrate in conto capitale sono destinate esclusivamente
al finanziamento di spese di investimento”.
Lo stesso principio stabilisce ancora che “i documenti
contabili non possono essere articolati in maniera tale da
destinare alcune fonti di entrata a copertura solo di
determinate e specifiche spese, salvo diversa disposizione
normativa di disciplina delle entrate vincolate”.
Viene quindi ribadito, in via generale, il divieto di
finanziare spese correnti con entrate in conto capitale che
trova giustificazione anche nell’esigenza di assicurare il
mantenimento degli equilibri di bilancio degli enti locali
espressa dall’art. 162, comma 6, del decreto legislativo 10.08.2000, n. 267 (TUEL).
L’utilizzazione di entrate in conto capitale per
finanziamento di spese correnti, in deroga al principio
sopra richiamato, può essere autorizzata solo da specifiche
disposizioni di legge quali sono state quelle che,
nell’ultimo decennio, hanno riguardato i proventi derivanti
dai c.d. “oneri di urbanizzazione”.
Rinviando al
parere 09.02.2016 n. 38 di questa Sezione per una approfondita analisi
sulla natura di tali entrate e sull’evoluzione legislativa
dell’utilizzazione delle stesse, si richiamano di seguito le
disposizioni in vigore per gli anni 2017 e 2018 e seguenti,
attinenti alla richiesta di parere.
L’art. 1, comma 737, della legge 28.12.2015, n. 108
(legge di stabilità per il 2016) dispone che “per gli anni
2016 e 2017, i proventi delle concessioni edilizie e delle
sanzioni previste dal testo unico delle disposizioni
legislative e regolamentari in materia edilizia, di cui al
decreto del Presidente della Repubblica 06.06.2001, n.
380, fatta eccezione per le sanzioni di cui all'articolo 31,
comma 4-bis, del medesimo testo unico, possono essere
utilizzati per una quota pari al 100 per cento per spese di
manutenzione ordinaria del verde, delle strade e del
patrimonio comunale, nonché per spese di progettazione delle
opere pubbliche”.
L’art. 1, comma 460, della legge 11.12.2016, n. 232
(legge di bilancio per il 2017), dispone viceversa che “a
decorrere dal 01.01.2018, i proventi dei titoli
abilitativi edilizi e delle sanzioni previste dal testo
unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6
giugno 2001, n. 380, sono destinati esclusivamente e senza
vincoli temporali alla realizzazione e alla manutenzione
ordinaria e straordinaria delle opere di urbanizzazione
primaria e secondaria, al risanamento di complessi edilizi
compresi nei centri storici e nelle periferie degradate, a
interventi di riuso e di rigenerazione, a interventi di
demolizione di costruzioni abusive, all'acquisizione e alla
realizzazione di aree verdi destinate a uso pubblico, a
interventi di tutela e riqualificazione dell'ambiente e del
paesaggio, anche ai fini della prevenzione e della
mitigazione del rischio idrogeologico e sismico e della
tutela e riqualificazione del patrimonio rurale pubblico,
nonché a interventi volti a favorire l'insediamento di
attività di agricoltura nell'ambito urbano”.
Ne viene che i proventi in parola, per la componente cui è
da riconoscersi natura di entrata in conto capitale, (cfr.
Sezione regionale di controllo per la Lombardia,
parere 09.02.2016 n. 38, cit.), nel 2017 potranno
essere destinati totalmente al finanziamento delle spese
correnti elencate dalla legge di stabilità per il 2016 in
deroga al principio di generica destinazione a spese di
investimento.
A decorrere dal 01.01.2008, viceversa, le entrate
derivanti dal rilascio dei titoli abilitativi edilizi e
dalle relative sanzioni dovranno essere destinate solo agli
specifici utilizzi, attinenti prevalentemente a spese in
conto capitale, stabiliti dalla legge di bilancio per il
2017.
Per effetto della predetta legge, in altri termini, dal 2018
i proventi da “oneri di urbanizzazione” cesseranno di essere
entrate con destinazione generica a spese di investimento
per divenire entrate vincolate a determinate categorie di
spese ivi comprese le spese correnti, limitatamente agli
interventi di manutenzione ordinaria sulle opere di
urbanizzazione primaria e secondaria.
Del mutato quadro legislativo, nel senso sopra descritto, il
Comune dovrà tenere conto nella predisposizione del bilancio
di previsione 2017-2019.
Diversa è la disciplina degli dei proventi derivanti dalla
c.d. “monetizzazione di aree a standards”, consistente nel
versamento al Comune di un importo alternativo alla cessione
diretta delle aree necessarie alle opere di urbanizzazione,
la cui destinazione è viceversa demandata alla legislazione
regionale.
Per la Lombardia l’art. 46, comma 1, della legge regionale
11.03.2005, n. 12 stabilisce al riguardo che “i proventi
delle monetizzazioni per la mancata cessione di aree sono
utilizzati per la realizzazione degli interventi previsti
nel piano dei servizi, ivi compresa l’acquisizione di altre
aree a destinazione pubblica”.
Il vincolo di destinazione specifica stabilito dalla fonte
regionale sopra richiamata esclude pertanto che tali
proventi, in conformità alla loro natura di entrate in conto
capitale, possano essere destinati al finanziamento di spese
correnti.
Né si può ammettere un’applicazione analogica delle
disposizioni di legge prima citate sull’utilizzazione di
proventi derivanti dagli oneri di urbanizzazione.
Questa Sezione, con il
parere 26.06.2006 n. 6, si è già pronunciata sulla questione nei
termini che si riferiscono di seguito:
“Occorre tuttavia osservare che mentre il contributo di
costruzione risulta un provento connesso al rilascio del
permesso di costruire commisurato, secondo quanto disposto
dall’art. 16 DPR 380/2001, a tariffe determinate dal Consiglio
Comunale i proventi della monetizzazione trovano fondamento
nelle convenzioni che consentono a soggetti privati
obbligati a cedere la proprietà di aree a favore dei Comuni
di corrispondere, in alternativa totale o parziale, una
somma commisurata all’utilità̀ economica conseguita per
effetto della mancata cessione e comunque non superiore al
costo di acquisto di altre aree avente analoghe
caratteristiche.
La monetizzazione costituisce un’obbligazione alternativa
alla cessione da parte dei privati di aree che potrebbero
risultare non utili ai fini dell’interesse pubblico.
Pertanto tale entrata non può che essere classificata, al
titolo IV –Entrate derivanti da alienazioni, da
trasferimenti di capitale e da riscossione di crediti– e,
come tale, essere destinata al finanziamento di spese di
investimento, ed in particolare ai sensi dell’art. 46, comma
1 lett. a) della legge regionale 11.03.2005, n. 12 alla
realizzazione degli interventi previsti nel Piano dei
servizi, ivi compresa l’acquisizione di altre aree a
destinazione pubblica.
Un’eventuale destinazione a spese correnti costituirebbe un
manifesto depauperamento del patrimonio comunale,
configurando un evidente pregiudizio alla sana gestione
finanziaria dell’ente locale”.
Che le entrate in conto capitale siano destinate
esclusivamente al finanziamento di spese di investimento
impedisce poi che, di regola, i proventi derivanti
dall’alienazione di beni patrimoniali possano essere
utilizzati per finanziare spese correnti.
Il principio, è ribadito anche dall'art. 1, comma 443, della
legge 24.12.2012, n. 228 (legge di stabilità per il
2013) che recita: "in applicazione del secondo periodo del
comma 6 dell'art. 162 del decreto legislativo 18.08.2000, n. 267, i proventi da alienazioni di beni patrimoniali
disponibili possono essere destinati esclusivamente alla
copertura di spese di investimento ovvero, in assenza di
queste o per la parte eccedente, per la riduzione del
debito".
Si richiama anche l’art. 56-bis, comma 11, del decreto-legge
21.06.2013, n. 69 convertito dalla legge 09.08.2013,
n. 98 nel testo modificato dall’art. 7, comma 5, del
decreto-legge 19.06.2015, n. 78 ove si stabilisce che
“in considerazione dell'eccezionalità della situazione
economica e tenuto conto delle esigenze prioritarie di
riduzione del debito pubblico, al fine di contribuire alla
stabilizzazione finanziaria e promuovere iniziative volte
allo sviluppo economico e alla coesione sociale, è altresì
destinato al Fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato,
con le modalità di cui al comma 5 dell'articolo 9 del
decreto legislativo 28.05.2010, n. 85, il 10 per cento
delle risorse nette derivanti dall'alienazione
dell'originario patrimonio immobiliare disponibile degli
enti territoriali, salvo che una percentuale uguale o
maggiore non sia destinata per legge alla riduzione del
debito del medesimo ente. Per gli enti territoriali la
predetta quota del 10% è destinata prioritariamente
all'estinzione anticipata dei mutui e per la restante quota
secondo quanto stabilito dal comma 443 dell'articolo 1 della
legge 24.12.2012, n. 228. Per la parte non destinata
al Fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato, resta fermo
quanto disposto dal comma 443 dell'articolo 1 della legge 24.12.2012, n. 228”.
Disposizioni speciali che, in deroga al principio generale
confermato anche dalla disciplina sopra richiamata,
consentano in via eccezionale di utilizzare entrate
derivanti dall’alienazione di beni patrimoniali disponibili
per finanziare spese correnti, sono quelle previste per le
esigenze di risanamento dell’ente locale nelle ipotesi di
dissesto (art. 255, comma 9, del TUEL), di ricorso alla
procedura di riequilibrio pluriennale (art. 243-bis, comma
8, lett. g) o di ripiano dal maggior disavanzo derivante dal
riaccertamento straordinario dei residui nel passaggio al
nuovo sistema contabile armonizzato (art. 2, comma 4, del DM
02.04.2015 “Criteri e modalità di ripiano dell'eventuale
maggiore disavanzo di amministrazione derivante dal riaccertamento straordinario dei residui e dal primo
accantonamento al fondo crediti di dubbia esigibilità, di
cui all'articolo 3, comma 7, del decreto legislativo n. 118
del 2011”).
Alla luce delle predette considerazioni è possibile
affermare, in risposta ai quesiti formulati nella presente
richiesta di parere, che:
- i proventi dei titoli
abilitativi edilizi e delle sanzioni previste dal testo
unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica
06.06.2001, n. 380 (c.d. “oneri di urbanizzazione”)
possono essere destinati anche al finanziamento di spese
correnti nei limiti degli utilizzi stabiliti, per il
2017, dall’art. 1, comma 737, della legge 28.12.2015, n.
208
e per 2018 e gli esercizi seguenti dall’art. 1, comma 460,
della legge 11.12.2016, n. 232;
- i proventi derivanti “dalla monetizzazione di aree a standard”
possono essere destinati solo a spese di investimento
secondo quanto stabilito l’art. 46, comma 1, della legge
regionale 11.03.2005, n. 12;
- i proventi derivanti da alienazione di beni patrimoniali
disponibili possono essere destinati, di regola, solo alla
copertura di spese di investimento o alla
riduzione dell’indebitamento ai sensi dell’art. 1, comma
443, della legge 24.12.2012, n. 228 e dell’art. 56-bis,
comma 11, del decreto-legge 21.06.2013, n. 69 convertito
dalla legge 09.08.2013, n. 98.
Tali entrate possono essere utilizzate anche per il
finanziamento di spese correnti esclusivamente nelle ipotesi
eccezionali previste dall’art. 255, comma 9, del TUEL ove
l’ente versi in situazione di dissesto; dall’art. 243-bis,
comma 8, lett. g), del TUEL ove l’ente abbia fatto ricorso
alla procedura di riequilibrio pluriennale; dall’art. 2,
comma 4, del DM 02.04.2015 per il ripiano del maggior
disavanzo di amministrazione derivante dal passaggio al
nuovo sistema contabile armonizzato
(Corte dei Conti, Sez. controllo Lombardia,
parere 23.03.2017 n. 81). |
gennaio 2017 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Occorre
ben distinguere tra oneri di urbanizzazione e costo di costruzione.
Si afferma, infatti, in sede pretoria che per stabilire in quali
casi sussiste l'obbligo di versamento del contributo di costruzione, occorre
distinguere fra importi dovuti a titolo di oneri di urbanizzazione ed
importi dovuti a titolo di costo di costruzione.
Per quanto riguarda specificamente i primi, si ritiene che,
poiché la loro funzione è quella di far sì che il costruttore partecipi ai
costi delle opere di urbanizzazione in proporzione all'insieme dei benefici
che la costruzione ne ritrae, essi vanno corrisposti solo nel caso in cui
l'intervento determini un aumento del carico urbanistico, e cioè determini
la necessità di dotare l'area di nuove opere di urbanizzazione ovvero
l'esigenza di utilizzare più intensamente quelle già esistenti.
Nel sistema vigente il contributo per oneri di urbanizzazione è
infatti un corrispettivo di diritto pubblico, di natura non tributaria,
posto a carico del concessionario a titolo di partecipazione ai costi delle
opere di urbanizzazione e in proporzione all'insieme dei benefici che la
nuova costruzione ne ritrae, senza alcun vincolo di scopo in relazione alla
zona interessata alla trasformazione urbanistica e indipendentemente dalla
concreta utilità che il concessionario può conseguire dal titolo
edificatorio e dall'ammontare delle spese effettivamente occorrenti per la
realizzazione delle opere stesse; tali oneri sono pertanto dovuti anche al
di là di un nesso di stretta inerenza delle opere di urbanizzazione rispetto
alle singole aree.
Il costo di costruzione, invece, essendo una percentuale
rapportata non ad opere da fare per la collettività ma ai costi di
costruzione per tipologia edilizia, adeguati annualmente, non sono
suscettibili di entrare nel meccanismo dello scomputo, che è appunto
disciplinato da detta norma della convenzione.
---------------
II.2. Con il terzo mezzo, parte ricorrente evidenzia che l’intervento
avrebbe ad oggetto, tra l’altro, la realizzazione di interventi di edilizia
residenziale sociale, con conseguente diritto all’esonero dal contributo
di costruzione a norma dell’art. 17 d.P.R. n. 380/2001, il cui primo
comma prevede che “Nei casi di edilizia abitativa convenzionata, relativa
anche ad edifici esistenti, il contributo afferente al permesso di costruire
è ridotto alla sola quota degli oneri di urbanizzazione qualora il titolare
del permesso si impegni, a mezzo di una convenzione con il comune, ad
applicare prezzi di vendita e canoni di locazione determinati ai sensi della
convenzione-tipo prevista dall'articolo 18”.
Si afferma così in giurisprudenza che “L'unico presupposto richiesto
dall'art. 17, D.P.R. n. 380 citato, invero, è la realizzazione di alloggi e
l'impegno a venderli a prezzi agevolati, previa sottoscrizione di apposita
convenzione con il Comune” (cfr. Cons. Giust. Amm. Sic., 21.12.2015, n.
713).
Parte ricorrente ha fornito dimostrazione del presupposto costitutivo del
diritto, avendo versato in atti la convenzione Rep. n. 3562 del 24.01.2012,
stipulata dalle società Or. 85 S.c.a.r.l. e dalla Società Ga. S.r.l. con il
Comune di Pontecagnano, i cui artt. 2, 3 e 5 prevedono l’impegno della
ricorrente a realizzare intervento di edilizia residenziale sociale per “una
quota non inferiore al 30% dell’edificato residenziale assentito”, pari
a n. 33 alloggi con prezzo di trasferimento che “dovrà essere determinato
nel rispetto della disciplina in tema di edilizia sociale” (cfr. art.
5.5. della citata convenzione).
Occorre ben distinguere tra oneri di urbanizzazione e costo di
costruzione.
Si afferma, infatti, in sede pretoria (TAR Milano-Lombardia, sez. II,
04.08.2016, n. 1561) che per stabilire in quali casi sussiste l'obbligo di
versamento del contributo di costruzione, occorre distinguere fra importi
dovuti a titolo di oneri di urbanizzazione ed importi dovuti a titolo
di costo di costruzione.
Per quanto riguarda specificamente i primi, si ritiene che, poiché la
loro funzione è quella di far sì che il costruttore partecipi ai costi delle
opere di urbanizzazione in proporzione all'insieme dei benefici che la
costruzione ne ritrae, essi vanno corrisposti solo nel caso in cui
l'intervento determini un aumento del carico urbanistico, e cioè determini
la necessità di dotare l'area di nuove opere di urbanizzazione ovvero
l'esigenza di utilizzare più intensamente quelle già esistenti.
Nel sistema vigente il contributo per oneri di urbanizzazione è infatti un
corrispettivo di diritto pubblico, di natura non tributaria, posto a carico
del concessionario a titolo di partecipazione ai costi delle opere di
urbanizzazione e in proporzione all'insieme dei benefici che la nuova
costruzione ne ritrae, senza alcun vincolo di scopo in relazione alla zona
interessata alla trasformazione urbanistica e indipendentemente dalla
concreta utilità che il concessionario può conseguire dal titolo
edificatorio e dall'ammontare delle spese effettivamente occorrenti per la
realizzazione delle opere stesse; tali oneri sono pertanto dovuti anche al
di là di un nesso di stretta inerenza delle opere di urbanizzazione rispetto
alle singole aree.
Il costo di costruzione, invece, essendo una percentuale rapportata non ad opere da
fare per la collettività ma ai costi di costruzione per tipologia edilizia,
adeguati annualmente, non sono suscettibili di entrare nel meccanismo dello
scomputo, che è appunto disciplinato da detta norma della convenzione.
Or dunque, va sottolineato che parte resistente, nelle sue articolazioni
difensive non ha contestato la effettiva realizzazione degli alloggi secondo
quanto previsto in progetto nella percentuale prevista per l’edilizia
residenziale pubblica, circostanza che quindi va reputata processualmente
acquisita e destinata ad integrare, unitamente al visto impegno
convenzionale, il presupposto costituivo del diritto, in questa sede
azionato, all’esenzione dal pagamento del costo di costruzione.
Tanto è sufficiente, risultando recessiva ogni deduzione
afferente all’adeguatezza motivazionale dell’atto impugnato, per
l’accoglimento del motivo in esame (TAR Campania-Salerno, Sez. I,
sentenza 31.01.2017 n. 179 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
dicembre 2016 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Il Sindaco, con particolare riguardo al costo di
costruzione, premette che esso andrebbe adeguato in base
alle determinazioni dell’assemblea legislativa dell’Emilia
Romagna e, nei periodi intercorrenti tra le determinazioni
regionali, in base all’intervenuta variazione dei costi di
costruzione accertati dall’ISTAT.
Soggiunge che il
richiamato costo di costruzione per quanto riguarda il
proprio comune “non è stato adeguato per gli anni
2009-2013”.
Evidenzia che copiosa giurisprudenza
amministrativa ritiene illegittimo il conguaglio del costo
di costruzione in quanto le relative deliberazioni (di
adeguamento) vanno applicate solo a titoli rilasciati dopo
la loro adozione. Sicché, rimette, conclusivamente, al
parere della Sezione valutazioni circa la possibilità per il
Comune di deliberare, a distanza di diversi anni,
l’adeguamento del costo di costruzione ovvero circa la
possibilità che tale determinazione risulti illegittima.
Ebbene, la Corte dei Conti non solo (giustamente) non
risponde ma, nel contempo, dispone che
copia della presente deliberazione sia trasmessa, per le
valutazioni di competenza, alla Procura regionale della
Corte dei conti per la Regione Emilia Romagna in relazione a
quanto rappresentato circa i mancati adeguamenti del costo
di costruzione nel periodo 2009-2013.
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FATTO
Il Sindaco del Comune di Camugnano (Bo) ha inoltrato
a questa Sezione una richiesta di parere riguardante il “contributo
di costruzione”, una locuzione che, in punto di
regolazione dei permessi per costruire, sintetizza l’obbligo
di corresponsione di cifre sia per il cosiddetto “costo
di costruzione” che per gli “oneri di urbanizzazione”,
entrambi disciplinati dall’art. 16 del DPR del 06.06.2001,
n. 380 e dall’art. 31 della Legge Regionale 30.07.2013, nr.
15.
Il richiedente, con particolare riguardo al costo di
costruzione, parafrasando i contenuti della citata
normativa, premette che esso andrebbe adeguato in base
alle determinazioni dell’assemblea legislativa dell’Emilia
Romagna e, nei periodi intercorrenti tra le determinazioni
regionali, in base all’intervenuta variazione dei costi di
costruzione accertati dall’ISTAT; soggiunge che il
richiamato costo di costruzione per quanto riguarda il
Comune di Camugnano “non è stato adeguato per gli anni
2009-2013”; evidenzia che copiosa giurisprudenza
amministrativa ritiene illegittimo il conguaglio del costo
di costruzione in quanto le relative deliberazioni (di
adeguamento) vanno applicate solo a titoli rilasciati dopo
la loro adozione (ex multis Consiglio di Stato n.
1504 del 19.03.2015); rimette, conclusivamente, al
parere della Sezione valutazioni circa la possibilità per il
Comune di deliberare, a distanza di diversi anni,
l’adeguamento del costo di costruzione ovvero circa la
possibilità che tale determinazione risulti illegittima,
alla stregua della giurisprudenza richiamata.
DIRITTO
1. L’articolo 7, comma 8, della legge n. 131 del 2003
-disposizione che costituisce il fondamento normativo della
funzione consultiva intestata alle Sezioni regionali di
controllo della Corte dei conti- attribuisce alle Regioni e,
tramite il Consiglio delle Autonomie locali, se istituito,
anche ai Comuni, Province e Città metropolitane la facoltà
di richiedere alla Corte dei Conti pareri in materia di
contabilità pubblica.
Preliminarmente, la Sezione è chiamata a verificare i
profili di ammissibilità soggettiva (legittimazione
dell’organo richiedente) e oggettiva (attinenza del quesito
alla materia della contabilità pubblica, generalità ed
astrattezza del quesito proposto, mancanza di interferenza
con altre funzioni svolte dalla magistratura contabile o con
giudizi pendenti presso la magistratura civile o
amministrativa).
2. In relazione al primo profilo, si ritiene che la
richiesta di parere sia ammissibile, in quanto proveniente
dall’organo rappresentativo dell’Ente, il Sindaco.
3. Con riferimento alla verifica del profilo oggettivo,
occorre anzitutto evidenziare che la disposizione contenuta
nel comma 8 dell’art. 7 della legge 131 del 2003, deve
essere raccordata con il precedente comma 7, norma che
attribuisce alla Corte dei conti la funzione di verificare
il rispetto degli equilibri di bilancio, il perseguimento
degli obiettivi posti da leggi statali e regionali di
principio e di programma, la sana gestione finanziaria degli
enti locali.
Il raccordo tra le due disposizioni opera nel senso che il
comma 8 prevede forme di collaborazione ulteriori rispetto a
quelle del precedente comma rese esplicite, in particolare,
Sull’esatta individuazione di tale locuzione e, dunque,
sull’ambito di estensione della funzione consultiva
intestata alle Sezioni di regionali di controllo della Corte
dei conti, che non può essere intesa quale una funzione di
carattere generale, sono intervenute sia le Sezioni riunite
sia la Sezione delle autonomie con pronunce di orientamento
generale, rispettivamente, ai sensi dell’articolo 17, comma
31, d.l. n. 78/2009 e dell’articolo 6, comma 4, d.l. n.
174/2012.
Con deliberazione 17.11.2010, n. 54, le Sezioni riunite
hanno chiarito che la nozione di contabilità pubblica
comprende, oltre alle questioni tradizionalmente ad essa
riconducibili (sistema di principi e norme che regolano
l’attività finanziaria e patrimoniale dello Stato e degli
enti pubblici), anche i “quesiti che risultino connessi
alle modalità di utilizzo delle risorse pubbliche nel quadro
di specifici obiettivi di contenimento della spesa sanciti
da principi di coordinamento della finanza pubblica (….),
contenuti nelle leggi finanziarie, in grado di ripercuotersi
direttamente sulla sana gestione finanziaria dell’Ente e sui
pertinenti equilibri di bilancio”.
Di recente, la Sezione delle autonomie, con la deliberazione
n. 3/2014/SEZAUT, ha operato ulteriori ed importanti
precisazioni rilevando come, pur costituendo la materia
della contabilità pubblica una categoria concettuale
estremamente ampia, i criteri utilizzabili per valutare
oggettivamente ammissibile una richiesta di parere possono
essere, oltre “all’eventuale riflesso finanziario di un
atto sul bilancio dell’ente” (criterio in sé riduttivo
ed insufficiente), anche l’attinenza del quesito proposto ad
“una competenza tipica della Corte dei conti in sede di
controllo sulle autonomie territoriali”.
E’ stato, altresì, ribadito come “materie estranee, nel
loro nucleo originario alla contabilità pubblica –in una
visione dinamica dell’accezione che sposta l’angolo visuale
dal tradizionale contesto della gestione del bilancio a
quello inerente ai relativi equilibri– possono ritenersi ad
essa riconducibili, per effetto della particolare
considerazione riservata dal Legislatore, nell’ambito della
funzione di coordinamento della finanza pubblica”: solo
in tale particolare evenienza, una materia comunemente
afferente alla gestione amministrativa può venire in rilievo
sotto il profilo della contabilità pubblica.
Al contrario, la presenza di pronunce di organi
giurisdizionali di diversi ordini, la possibile interferenza
con funzioni requirenti e giurisdizionali delle sezioni
giurisdizionali della Corte dei conti o di altra
magistratura, nonché il rischio di un inserimento nei
processi decisionali degli enti territoriali, che ricorre
quando le istanze consultive non hanno carattere generale e
astratto, precludono alle sezioni regionali di controllo la
possibilità di pronunciarsi nel merito.
Sulla base di quanto appena sopra evidenziato,
la richiesta
di parere dev’essere considerata oggettivamente
inammissibile, per le ragioni di seguito esposte.
A questo punto, preliminarmente, è indispensabile un breve
excursus delle norme in materia edificatoria
riguardanti la specifica questione.
Superando in parte la legge 28.01.1977, n. 10
sull’edificabilità dei suoli, il d.P.R. 06.06.2001, n. 380 –
“Testo unico delle disposizioni legislative e
regolamentari in materia edilizia”, per quel che qui
occupa, all’art. 16 ha raccolto le disposizioni sul
“contributo per il rilascio del permesso di costruire” e
segnatamente:
- “Salvo quanto disposto dall'articolo 17, comma 3, il
rilascio del permesso di costruire comporta la
corresponsione di un contributo commisurato all'incidenza
degli oneri di urbanizzazione nonché al costo di
costruzione, secondo le modalità indicate nel presente
articolo” (comma 1);
- “La quota di contributo relativa al costo di
costruzione, determinata all'atto del rilascio, è
corrisposta in corso d'opera, con le modalità e le garanzie
stabilite dal comune, non oltre sessanta giorni dalla
ultimazione della costruzione” (comma 3);
- “Il costo di costruzione per i nuovi edifici è
determinato periodicamente dalle regioni con riferimento ai
costi massimi ammissibili per l'edilizia agevolata…………..Nei
periodi intercorrenti tra le determinazioni regionali,
ovvero in eventuale assenza di tali determinazioni, il costo
di costruzione è adeguato annualmente, ed autonomamente, in
ragione dell'intervenuta variazione dei costi di costruzione
accertata dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT)"
(comma 9).
Inoltre va osservato che, prima dell’entrata in vigore della
legge regionale Emilia Romagna n. 15 del 30.07.2013 recante
“Semplificazione della disciplina edilizia” rilevava
-ed ai fini di specie continua a rilevare- la precedente
legge regionale, la L. n. 31 del 25.11.2002, n. 31 recante “Disciplina
generale dell’edilizia”.
Questa, all’art. 27 (“Contributo di costruzione”)
disponeva che: “…………il proprietario dell'immobile o colui
che ha titolo per chiedere il rilascio del permesso o per
presentare la denuncia di inizio attività è tenuto a
corrispondere un contributo commisurato all'incidenza degli
oneri di urbanizzazione nonché al costo di costruzione”
(comma 1); “Il contributo di costruzione è quantificato
dal Comune per gli interventi da realizzare attraverso il
permesso di costruire ovvero dall'interessato per quelli da
realizzare con denuncia di inizio attività” (comma 2);
“La quota di contributo relativa al costo di costruzione
è corrisposta in corso d'opera, secondo le modalità e le
garanzie stabilite dal Comune” (comma 4).
Al successivo art. 29, la stessa legge regionale prevedeva
che “Il costo di costruzione per i nuovi edifici è
determinato almeno ogni cinque anni dal Consiglio regionale
con riferimento ai costi parametrici per l'edilizia
agevolata" (comma 1) ... e “Nei periodi intercorrenti
tra le determinazioni regionali, il costo di costruzione è
adeguato annualmente dai Comuni, in ragione dell'intervenuta
variazione dei costi di costruzione accertata dall'Istituto
nazionale di statistica” (comma 3).
Tutto ciò premesso e circostanziato, va rilevato che
nel
caso concretamente sottoposto al parere della Sezione, la
funzione consultiva viene esplicitamente rivolta ad un
quesito in materia di contributo per i costi di costruzione
che, in disparte dal particolare che ricade nella specifica
materia para-tributaria e non direttamente in quella
contabile, implica una anticipata valutazione di legittimità
riguardo futuri comportamenti amministrativi (per il caso
fossero oggetto di successive iniziative legali, anche in
sede di giurisdizione amministrativa) e richiede altresì
soluzioni che potrebbero interferire con successive pronunce
giurisdizionali.
In conclusione il quesito formulato
ipotizza una ben definita attività gestionale
(dunque non pone una questione né generale né astratta)
come risulta quella di assoggettare ora per allora,
cioè retroattivamente ed attraverso conguaglio, i titolari
dei permessi di costruire ad un (tardivo) adeguamento del
costo di costruzione; tale ipotesi, da un lato,
poggia su premesse di diritto dichiaratamente
controvertibili, tali da aver effettivamente suscitato, in
casi analoghi, contenzioso per l’annullamento dei relativi
provvedimenti nel solco di ripetute ed univoche pronunce di
accoglimento dei relativi ricorsi dal Consiglio di Stato
(ad es. sentenze Sez. IV, n. 3009 e 3010 del 12.05.2014)
e, dall’altro, manifesta per tabulas,
quale suo logico presupposto, una precisa fattispecie
caratterizzata da inadempimento, quella del mancato
adeguamento annuale dei costi di costruzione, anch’essa
oggetto di diverse pronunce di responsabilità per danno
erariale da parte della Corte dei Conti
(ad es. Sezione giurisdizionale per la Regione Marche,
sentenza 24.10.2014 n. 101; Sezione giurisdizionale per la
Regione Emilia Romagna, sent. n. 265 del 31.05.2014; Sezione
giurisdizionale per la regione Puglia,
sentenza 29.06.2016 n. 224).
Ne consegue l’impossibilità, per la Sezione, di entrare nel
merito del quesito.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile la richiesta di parere del Comune di
Camugnano (BO).
DISPONE
- che, a cura della Segreteria di questa Sezione regionale
di controllo, copia della presente deliberazione sia
trasmessa -mediante posta elettronica certificata– al
Sindaco di Camugnano e al Presidente del Consiglio delle
autonomie locali della Regione Emilia-Romagna;
- che copia della presente deliberazione
sia trasmessa, per le valutazioni di competenza, alla
Procura regionale della Corte dei conti per la Regione
Emilia Romagna in relazione a quanto rappresentato circa i
mancati adeguamenti del costo di costruzione nel periodo
2009-2013 (Corte
dei Conti, Sez. controllo Emilia Romagna,
parere 19.12.2016 n. 141). |
novembre 2016 |
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EDILIZIA PRIVATA: La
questione concernente la determinazione dell’an e del quantum
del contributo di costruzione comporta l’esplicazione, da
parte dell’Amministrazione, di un’attività priva di profili
di discrezionalità e attinente a posizioni giuridiche di
diritto soggettivo.
Conseguentemente, sono radicalmente inconfigurabili i vizi
di difetto di istruttoria e di motivazione.
E ciò in quanto le operazioni di corretta quantificazione
della misura del contributo “si esauriscono in una mera
operazione materiale che, se errata, può comportare soltanto
la violazione dei criteri fissati dalla normativa ovvero
dall'amministrazione con norme di natura regolamentare e,
quindi, la sussistenza del solo vizio di violazione di
legge, potendo l'interessato, sulla base dei predetti
criteri generali, contestare l'erroneità della
quantificazione operata dall'amministrazione, evidenziando
ad esempio l'erroneità dei calcoli ovvero dei presupposti di
fatto o di diritto”.
---------------
Nell’ordinamento giuridico vige la regola generale
dell’onerosità del permesso di costruire.
Si tratta di un principio introdotto dall’articolo 1 della
legge 28.01.1977, n. 10 –in base al quale “Ogni
attività comportante trasformazione urbanistica ed edilizia
del territorio comunale partecipa agli oneri ad essa
relativi (...)”– e oggi sancito dall’articolo 11, comma 2,
del d.P.R. n. 380 del 2001, ove si conferma l’onerosità del
permesso.
A fronte di tale regime generale, la disciplina primaria
stabilisce una serie di ipotesi, indicate all’articolo 17
del d.P.R. n. 380 del 2001, di riduzione o di esonero dal
contributo di costruzione. Tali ultime previsioni normative
–secondo gli orientamenti espressi dalla giurisprudenza–
sono tuttavia da ritenere “tassative e di stretta
interpretazione”, proprio in quanto “derogatorie rispetto
alla regola della normale onerosità del permesso” e, inoltre, perché
qualificabili come esenzioni tributarie, come tali
costituenti eccezioni al principio costituzionale di
capacità contributiva.
Poste tali considerazioni, deve rilevarsi che –come
sopra detto– l’articolo 17, comma 3, lett. c) del d.P.R. n.
380 del 2001, invocato dalla ricorrente, contempla
anzitutto, quali trasformazioni edificatorie esonerate dal
contributo di costruzione, “gli impianti, le attrezzature,
le opere pubbliche o di interesse generale realizzate dagli
enti istituzionalmente competenti”.
Al riguardo, la giurisprudenza ha chiarito che, per
integrare la fattispecie normativa, è necessario il concorso
di due requisiti, l’uno di carattere oggettivo e l’altro di
carattere soggettivo.
Per effetto del primo, la costruzione deve riguardare opere
pubbliche o di interesse generale; per effetto del secondo,
le opere devono essere eseguite da un ente istituzionalmente
competente.
La ratio della norma è
anzitutto quella di agevolare l'esecuzione di opere
destinate al soddisfacimento di interessi pubblici o dalle
quali la collettività possa comunque trarre una utilità. Il legislatore ha
quindi inteso evitare “l'imposizione degli oneri concessori
al soggetto che interviene per l'istituzionale attuazione
del pubblico interesse”; imposizione che “sarebbe altrimenti
intimamente contraddittoria, poiché verrebbe a gravare, sia
pure indirettamente, sulla stessa comunità che dovrebbe
avvantaggiarsi dal loro pagamento”.
In tale prospettiva, la giurisprudenza ha altresì
chiarito –con riferimento al requisito soggettivo– che per
“enti istituzionalmente competenti” debbano intendersi i
soggetti pubblici, ovvero anche i soggetti privati, purché
l’opera sia realizzata per conto di un ente pubblico.
In particolare, con riferimento a questa seconda ipotesi,
“l’esenzione spetta soltanto qualora (come avviene nella
concessione di opera pubblica e in altre analoghe figure organizzatorie) lo strumento contrattuale utilizzato
consenta formalmente di imputare la realizzazione del bene
direttamente all’ente per conto del quale il privato abbia
operato. In altri termini, l’esenzione spetta solo se il
privato abbia agito quale organo indiretto
dell’amministrazione, come appunto nella concessione o nella
delega”.
E l’esattezza
della soluzione in base alla quale si richiede che l’opera
sia realizzata direttamente da enti pubblici ovvero da
soggetti che agiscono per conto di enti pubblici è
confermata non soltanto “dall'endiadi: "opere pubbliche o di
interesse generale", che rinvia ad una figura soggettiva
pubblica, ma dal fatto che nella sola seconda parte della
proposizione normativa, concernente le opere di
urbanizzazione, la disposizione reca la specifica
indicazione: "eseguite anche da privati". Ne esce quindi
caricata di ulteriore valore semantico la locuzione: "enti
istituzionalmente competenti", che non può riferirsi che ad
enti pubblici o a soggetti che agiscono per conto degli
stessi”.
---------------
E’ indubitabile che l’intervento di ristrutturazione
dell’Istituto di ricovero e cura costituisca un’opera di
interesse generale.
Non può, invece, ritenersi che l’Associazione ricorrente sia qualificabile quale “ente istituzionalmente
competente”.
Si tratta, infatti, di un soggetto che non ha natura
pubblica e che non ha agito per conto di una pubblica
amministrazione. E la mera circostanza che l’Istituto operi
in regime di accreditamento con il servizio sanitario
nazionale non comporta, di per sé, l’esistenza di un
rapporto organizzatorio con la pubblica amministrazione,
tale da determinare la riferibilità dell’opera realizzata a
un ente pubblico.
Sotto altro profilo, il Collegio ritiene altresì non
dirimente, al fine di qualificare l’Associazione come “ente
istituzionalmente competente”, la circostanza che si tratti
di un soggetto privo di finalità lucrative.
L’assenza di scopo di lucro è, infatti, una circostanza che
attiene unicamente alla funzionalità interna della persona
giuridica, la quale non potrà redistribuire gli eventuali
utili derivanti dall’attività svolta. Si tratta, tuttavia,
di un elemento che, in sé considerato, non è sufficiente a
determinare la riferibilità dell’opera a un ente pubblico,
che è quanto richiesto dalla norma al fine di rendere
operativa l’esenzione.
Tale conclusione trova conferma anche nella giurisprudenza
del Consiglio di Stato, la quale ha evidenziato che la
natura di ONLUS del soggetto che realizza l’intervento non
soddisfa il prescritto requisito soggettivo, laddove –come
avviene anche nel caso oggetto del presente giudizio– le
opere sono destinate a rimanere nella disponibilità del
privato, e non sono vincolate neppure a vedere conservata
nel tempo la loro funzione.
---------------
Deve rilevarsi che la disposizione
ex art. 17, comma 3, lett. c), del d.P.R. n. 380/2001 richiede, ai fini dell’esenzione
dal versamento del contributo di costruzione, non soltanto che
si sia in presenza di un’opera di urbanizzazione, ma che
questa sia altresì realizzata in attuazione di strumenti
urbanistici.
Nel caso oggetto del presente giudizio, l’Istituto di
ricovero e cura gestito dalla ricorrente è bensì
astrattamente riconducibile nel novero delle opere di
urbanizzazione secondaria –ai sensi dell’articolo 16, comma
8, del d.P.R. n. 380 del 2001– in quanto rientrante tra le
“attrezzature sanitarie”, ma non è stato realizzato in
attuazione dello strumento urbanistico.
Invero, risulta agli atti del giudizio che
l’opera ricade in Zona F2, destinata a ospitare “Servizi
tecnologici e di interesse generale” e disciplinata
dall’articolo 53 delle NTA del Piano delle Regole; zona ove
sono localizzate “attrezzature pubbliche e/o private con
funzioni di interesse generale”.
Al riguardo, la difesa comunale ha ben evidenziato che gli
spazi per attrezzature pubbliche e collettive prescritti
dall’articolo 9 della legge regionale n. 12 del 2005 sono
classificati dallo strumento urbanistico non quale Zona F2,
ma come “ZONA F1 (aree di servizi di uso pubblico e
interesse comune)”, soggetta alla disciplina dell’articolo
52 delle NTA del Piano delle Regole. Solo tali spazi sono,
quindi, specificamente destinati a standard urbanistici.
Al contrario, le aree classificate come Zona F2 non sono
state prese in considerazione dallo strumento urbanistico al
fine della verifica della dotazione di aree di uso pubblico
a servizio di insediamenti residenziali e non danno luogo a
standard urbanistici. Si tratta, infatti, di aree che
comprendono compendi immobiliari aventi varia destinazione
(«Ambiti per servizi tecnologici», «Complesso
socio-assistenziale, sanitario, ospedaliero “La Nostra
Famiglia”», «Crossodromo Bodrone», «Villa Mira»), tutti
caratterizzati dal soddisfacimento di finalità di interesse
generale, ma non costituenti opere che il Comune ha reputato
necessarie al fine dell’urbanizzazione dell’ambito entro il
quale ricadono, tanto da non averle prese in considerazione
ai fini del calcolo della relativa dotazione di standard.
Si tratta, in altri termini, di compendi immobiliari
rispetto ai quali lo strumento urbanistico ha
sostanzialmente operato una ricognizione, qualificandoli
come attrezzature con funzioni di interesse generale, ma non
quali opere indispensabili per assicurare i servizi
necessari alla comunità insediata.
Da ciò derivano due considerazioni.
Sotto un primo profilo, poiché l’intervento oggetto del
presente giudizio non è posto a servizio dell’urbanizzazione
del territorio comunale, o di una porzione di questo, esso
non dà luogo a un’opera di urbanizzazione, pur rientrando
nelle categorie astrattamente indicate all’articolo 16,
comma 8, del d.P.R. n. 380 del 2001.
E invero, perché un’opera sia qualificabile come opera di
urbanizzazione secondaria è necessario che essa sia
direttamente funzionale a un ben preciso insediamento
urbano. E ciò in considerazione della circostanza che “le
opere di urbanizzazione secondaria hanno tendenzialmente una
dimensione comunale o infra-comunale, in quanto finalizzate
a migliorare il grado di fruibilità di uno specifico e
circoscritto insediamento urbano mediante la creazione da
parte dell’ente locale di determinate strutture di supporto
per servizi fruibili da quella comunità”.
Conseguentemente, un centro ospedaliero contemplato dallo
strumento urbanistico quale attrezzatura con funzioni di
interesse generale, ma non previsto quale dotazione di
standard a servizio di un ambito territoriale, di per sé non
è qualificabile come opera di urbanizzazione secondaria.
Sotto altro, concorrente, profilo, la circostanza che –come detto– il Piano di Governo del Territorio si sia
limitato a riconoscere la presenza sul territorio e
l’interesse generale di una congerie assai diversificata di
opere esistenti, indicandole con una medesima
classificazione, senza però prenderle in considerazione
quali dotazioni di servizi necessarie alla collettività,
implica che tali opere debbano bensì reputarsi conformi allo
strumento urbanistico, ma non attuative delle relative
previsioni. Si tratta infatti di opere che non devono, ma
possono essere presenti sul territorio comunale, per cui,
laddove le attività che in esse si svolgono dovessero essere
dismesse dai privati, non insorgerebbe l’obbligo per
l’Amministrazione di assicurare in altro modo la
soddisfazione delle dotazioni di servizi in favore della
comunità insediata.
La validità della predetta distinzione tra opere meramente
conformi, o specificamente attuative, del piano è stata, del
resto, anche di recente ribadita dalla giurisprudenza, la
quale ha esplicitamente affermato che la semplice
riconduzione all’astratta tipologia di opera di
urbanizzazione secondaria non può considerarsi sufficiente
ai fini dell’esenzione del contributo, essendo necessario
altresì che l’intervento sia attuativo di una specifica
previsione di piano.
E, in questo senso, non può ritenersi pertinente il
richiamo, operato dalla ricorrente, alla sentenza della IV
Sezione del Consiglio di Stato 12.05.2011, n. 2870, al
fine di sostenere che qualunque opera rientrante
astrattamente nel novero delle opere di urbanizzazione, e
realizzata in conformità allo strumento urbanistico, debba
beneficiare dell’esenzione. La fattispecie decisa dal
Consiglio di Stato riguardava, infatti, la costruzione di
un’opera che corrispondeva a una puntuale previsione dello
strumento urbanistico, il quale destinava specificamente
un’area a servizi ospedalieri e sanitari.
Come detto, nel caso oggetto del presente giudizio, l’opera
ricade, invece, in una zona avente una destinazione generica
ad attrezzature con funzioni di interesse generale, in
relazione alla quale il Comune ha operato una ricognizione
di strutture esistenti, pur classificandole come di
interesse generale, assicurando, per questa via, la mera
compatibilità delle stesse con lo strumento urbanistico,
senza però sancirne la necessità in relazione alle esigenze
attinenti alle dotazioni di servizi in favore della comunità
insediata.
---------------
... per l'accertamento della non debenza del contributo di
costruzione per l'esecuzione dell'intervento di
ristrutturazione edilizia oggetto del permesso di costruire
n. 39/2013 e per la conseguente condanna del Comune di
Bosisio Parini alla restituzione delle somme versate a tale
titolo dall’Associazione ricorrente, maggiorate degli
interessi legali maturati dalla data della domanda
giudiziale all'effettiva restituzione;
...
1. La ricorrente Associazione “La nostra famiglia” (di
seguito anche: l’Associazione) è un ente ecclesiastico
civilmente riconosciuto, avente carattere di organizzazione
non lucrativa di utilità sociale (ONLUS), che gestisce, nel
territorio del Comune di Bosisio Parini, l’Istituto di
ricovero e cura a carattere scientifico “Eugenio Medea” e un
centro di riabilitazione, operando, per entrambe tali
strutture, in regime di accreditamento con l’Azienda
sanitaria della Provincia di Lecco.
2. L’Associazione ha chiesto al Comune il rilascio di un
permesso di costruire per la ristrutturazione edilizia di un
padiglione dell’Istituto “Eugenio Medea”.
In data 03.10.2013, l’Amministrazione ha comunicato
l’emanazione del titolo edilizio, chiedendo tuttavia alla
parte istante di produrre il calcolo analitico degli oneri
dovuti per l’intervento, da corrispondersi prima del ritiro
del permesso di costruire.
L’Associazione ha a questo punto prodotto le proprie
controdeduzioni, ritenendo di non essere tenuta al
versamento del contributo di costruzione.
A seguito di interlocuzioni tra le parti, la Giunta
comunale, con deliberazione del 01.04.2015, n. 37, ha
infine ribadito di ritenere dovuta la corresponsione degli
oneri per il rilascio del titolo edilizio. L’Ufficio tecnico
comunale ha quindi emesso la nota del 15.04.2015, con la
quale è stato chiesto all’Associazione il versamento, a
titolo di contributo di costruzione, dell’importo
complessivo di euro 188.329,57; somma di cui la ricorrente
ha chiesto e ottenuto la rateizzazione, riservandosi
tuttavia di agire in giudizio per contestare la sussistenza
dell’obbligazione.
3. L’Associazione ha quindi proposto il presente ricorso,
con il quale ha chiesto a questo Giudice di accertare e
dichiarare che nessun contributo è dovuto per la
realizzazione dell’intervento di ristrutturazione,
condannando conseguentemente il Comune alla restituzione
delle somme già versate dalla ricorrente, maggiorate degli
interessi legali dal giorno della domanda giudiziale, previo
annullamento –occorrendo– degli atti comunali specificati
in epigrafe.
...
7. Il ricorso è infondato, per le ragioni che si espongono
di seguito.
8. L’Associazione sostiene di non essere tenuta al
versamento degli oneri per la realizzazione dell’intervento
di ristrutturazione edilizia, in base alle previsioni
dell’articolo 17, comma 3, lett. c), del decreto del
Presidente della Repubblica 06.06.2011, n. 380;
disposizione, questa, per la quale il contributo di
costruzione non è dovuto “per gli impianti, le attrezzature,
le opere pubbliche o di interesse generale realizzate dagli
enti istituzionalmente competenti nonché per le opere di
urbanizzazione, eseguite anche da privati, in attuazione di
strumenti urbanistici”.
La ricorrente ritiene l’intervento pienamente riconducibile
entro il perimetro applicativo di entrambe fattispecie
contemplate dalla previsione normativa ora richiamata. Le
opere sarebbero, infatti, annoverabili tra “gli impianti, le
attrezzature, le opere pubbliche o di interesse generale
realizzate dagli enti istituzionalmente competenti” (primo
motivo di ricorso) e, comunque, costituirebbero anche “opere
di urbanizzazione, eseguite anche da privati, in attuazione
di strumenti urbanistici” (secondo motivo).
Sotto altro profilo, la parte allega la violazione
dell’articolo 3 della legge n. 241 del 1990, nonché il vizio
di eccesso di potere per carenza di istruttoria, carenza di
motivazione e contraddittorietà, poiché l’Amministrazione
non avrebbe illustrato le ragioni per le quali ha ritenuto
di non aderire alle argomentazioni dell’Associazione in
ordine al ricorrere di un’ipotesi di esonero dal versamento
del contributo di costruzione (terzo motivo di ricorso).
9. Il Collegio ritiene, per ragioni di ordine logico, di
dover prendere le mosse da quest’ultima censura.
9.1 La doglianza non può trovare accoglimento, per la
ragione dirimente che la questione concernente la
determinazione dell’an e del quantum del contributo di
costruzione comporta l’esplicazione, da parte
dell’Amministrazione, di un’attività priva di profili di
discrezionalità (v., tra le ultime: Cons. Stato, Sez. IV, 18.05.2016, n. 2011) e attinente a posizioni giuridiche di
diritto soggettivo (ex multis: Cons. Stato, Sez. IV, 21.08.2013, n. 4208). Conseguentemente, sono radicalmente inconfigurabili i vizi di difetto di istruttoria e di
motivazione (Cons. Stato, Sez. IV, 10.03.2015, n. 1211).
E ciò in quanto le operazioni di corretta quantificazione
della misura del contributo “si esauriscono in una mera
operazione materiale che, se errata, può comportare soltanto
la violazione dei criteri fissati dalla normativa ovvero
dall'amministrazione con norme di natura regolamentare e,
quindi, la sussistenza del solo vizio di violazione di
legge, potendo l'interessato, sulla base dei predetti
criteri generali, contestare l'erroneità della
quantificazione operata dall'amministrazione, evidenziando
ad esempio l'erroneità dei calcoli ovvero dei presupposti di
fatto o di diritto” (Cons. Stato, Sez. V, 29.07. 2000, n.
4217; nello stesso senso: TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 08.09.2011, n. 2189).
9.2 Il terzo motivo di ricorso va quindi respinto.
10. Può passarsi, a questo punto, alla trattazione dei primi
due mezzi, con i quali –come detto– l’Associazione allega
di versare in entrambe le fattispecie contemplate
dall’articolo 17, comma 3, lett. c), del d.P.R. n. 380 del
2001, e di aver pertanto diritto all’esenzione dal
contributo di costruzione.
11. Al riguardo, mette conto anzitutto di ricordare che
nell’ordinamento giuridico vige la regola generale
dell’onerosità del permesso di costruire.
Si tratta di un principio introdotto dall’articolo 1 della
legge 28.01.1977, n. 10 –in base al quale “Ogni
attività comportante trasformazione urbanistica ed edilizia
del territorio comunale partecipa agli oneri ad essa
relativi (...)”– e oggi sancito dall’articolo 11, comma 2,
del d.P.R. n. 380 del 2001, ove si conferma l’onerosità del
permesso.
A fronte di tale regime generale, la disciplina primaria
stabilisce una serie di ipotesi, indicate all’articolo 17
del d.P.R. n. 380 del 2001, di riduzione o di esonero dal
contributo di costruzione. Tali ultime previsioni normative
–secondo gli orientamenti espressi dalla giurisprudenza–
sono tuttavia da ritenere “tassative e di stretta
interpretazione”, proprio in quanto “derogatorie rispetto
alla regola della normale onerosità del permesso” (Cons.
Stato, Sez. IV, 11.02.2016, n. 595) e, inoltre, perché
qualificabili come esenzioni tributarie, come tali
costituenti eccezioni al principio costituzionale di
capacità contributiva (TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, 23.10.2014, n. 1111).
12. Poste tali considerazioni, deve rilevarsi che –come
sopra detto– l’articolo 17, comma 3, lett. c) del d.P.R. n.
380 del 2001, invocato dalla ricorrente, contempla
anzitutto, quali trasformazioni edificatorie esonerate dal
contributo di costruzione, “gli impianti, le attrezzature,
le opere pubbliche o di interesse generale realizzate dagli
enti istituzionalmente competenti”.
12.1 Al riguardo, la giurisprudenza ha chiarito che, per
integrare la fattispecie normativa, è necessario il concorso
di due requisiti, l’uno di carattere oggettivo e l’altro di
carattere soggettivo.
Per effetto del primo, la costruzione deve riguardare opere
pubbliche o di interesse generale; per effetto del secondo,
le opere devono essere eseguite da un ente istituzionalmente
competente (ex multis: Cons. Stato, Sez. V, 11.01.2006,
n. 51; Id. 20.10.2004, n. 6818; Id., 10.07.2000, n.
3860).
La ratio della norma –è stato inoltre rilevato– è
anzitutto quella di agevolare l'esecuzione di opere
destinate al soddisfacimento di interessi pubblici o dalle
quali la collettività possa comunque trarre una utilità
(Cons. Stato, n. 51 del 2006, cit.). Il legislatore ha
quindi inteso evitare “l'imposizione degli oneri concessori
al soggetto che interviene per l'istituzionale attuazione
del pubblico interesse”; imposizione che “sarebbe altrimenti
intimamente contraddittoria, poiché verrebbe a gravare, sia
pure indirettamente, sulla stessa comunità che dovrebbe
avvantaggiarsi dal loro pagamento” (così ancora Cons. Stato,
n. 51 del 2006, cit.).
12.2 In tale prospettiva, la giurisprudenza ha altresì
chiarito –con riferimento al requisito soggettivo– che per
“enti istituzionalmente competenti” debbano intendersi i
soggetti pubblici, ovvero anche i soggetti privati, purché
l’opera sia realizzata per conto di un ente pubblico.
In particolare, con riferimento a questa seconda ipotesi,
“l’esenzione spetta soltanto qualora (come avviene nella
concessione di opera pubblica e in altre analoghe figure organizzatorie) lo strumento contrattuale utilizzato
consenta formalmente di imputare la realizzazione del bene
direttamente all’ente per conto del quale il privato abbia
operato. (cfr. ex multis V Sez. n. 536 del 1999 e n. 1901
del 2000). In altri termini, l’esenzione spetta solo se il
privato abbia agito quale organo indiretto
dell’amministrazione, come appunto nella concessione o nella
delega” (Cons. Stato, n. 595 del 2016, cit.).
E –come pure rilevato dalla giurisprudenza– l’esattezza
della soluzione in base alla quale si richiede che l’opera
sia realizzata direttamente da enti pubblici ovvero da
soggetti che agiscono per conto di enti pubblici è
confermata non soltanto “dall'endiadi: "opere pubbliche o di
interesse generale", che rinvia ad una figura soggettiva
pubblica, ma dal fatto che nella sola seconda parte della
proposizione normativa, concernente le opere di
urbanizzazione, la disposizione reca la specifica
indicazione: "eseguite anche da privati". Ne esce quindi
caricata di ulteriore valore semantico la locuzione: "enti
istituzionalmente competenti", che non può riferirsi che ad
enti pubblici o a soggetti che agiscono per conto degli
stessi” (Cons. Stato, n. 51 del 2006, cit.).
12.3 Poste tali coordinate ermeneutiche, deve ritenersi che,
nel caso oggetto del presente giudizio, sia riscontrabile
soltanto il requisito oggettivo richiesto dalla previsione
normativa, ma non anche il requisito soggettivo.
E’ infatti indubitabile che l’intervento di ristrutturazione
dell’Istituto di ricovero e cura costituisca un’opera di
interesse generale (anche alla luce delle previsioni di
piano, delle quali si tratterà nello scrutinare il secondo
motivo di ricorso).
Non può, invece, ritenersi che l’Associazione “La nostra
famiglia” sia qualificabile quale “ente istituzionalmente
competente”.
Si tratta, infatti, di un soggetto che non ha natura
pubblica e che non ha agito per conto di una pubblica
amministrazione. E la mera circostanza che l’Istituto operi
in regime di accreditamento con il servizio sanitario
nazionale non comporta, di per sé, l’esistenza di un
rapporto organizzatorio con la pubblica amministrazione,
tale da determinare la riferibilità dell’opera realizzata a
un ente pubblico.
Sotto altro profilo, il Collegio ritiene altresì non
dirimente, al fine di qualificare l’Associazione come “ente
istituzionalmente competente”, la circostanza che si tratti
di un soggetto privo di finalità lucrative.
L’assenza di scopo di lucro è, infatti, una circostanza che
attiene unicamente alla funzionalità interna della persona
giuridica, la quale non potrà redistribuire gli eventuali
utili derivanti dall’attività svolta. Si tratta, tuttavia,
di un elemento che, in sé considerato, non è sufficiente a
determinare la riferibilità dell’opera a un ente pubblico,
che è quanto richiesto dalla norma al fine di rendere
operativa l’esenzione.
Tale conclusione trova conferma anche nella giurisprudenza
del Consiglio di Stato, la quale ha evidenziato che la
natura di ONLUS del soggetto che realizza l’intervento non
soddisfa il prescritto requisito soggettivo, laddove –come
avviene anche nel caso oggetto del presente giudizio– le
opere sono destinate a rimanere nella disponibilità del
privato, e non sono vincolate neppure a vedere conservata
nel tempo la loro funzione (Cons. Stato, n. 51 del 2006,
cit.).
12.4 In definitiva, alla luce delle considerazioni sin qui
esposte, il primo motivo di ricorso deve essere respinto.
13. E’ altresì infondato il secondo motivo, con il quale la
ricorrente afferma che l’intervento rientrerebbe comunque
nella seconda fattispecie contemplata dall’articolo 17,
comma 3, lett. c), del d.P.R. n. 380 del 2001, in quanto
annoverabile tra le “opere di urbanizzazione, eseguite anche
da privati, in attuazione di strumenti urbanistici”.
13.1 Al riguardo, deve rilevarsi che la disposizione
normativa richiede, ai fini dell’esenzione, non soltanto che
si sia in presenza di un’opera di urbanizzazione, ma che
questa sia altresì realizzata in attuazione di strumenti
urbanistici.
Nel caso oggetto del presente giudizio, l’Istituto di
ricovero e cura gestito dalla ricorrente è bensì
astrattamente riconducibile nel novero delle opere di
urbanizzazione secondaria –ai sensi dell’articolo 16, comma
8, del d.P.R. n. 380 del 2001– in quanto rientrante tra le
“attrezzature sanitarie”, ma non è stato realizzato in
attuazione dello strumento urbanistico.
13.2 In particolare, risulta agli atti del giudizio che
l’opera ricade in Zona F2, destinata a ospitare “Servizi
tecnologici e di interesse generale” e disciplinata
dall’articolo 53 delle NTA del Piano delle Regole; zona ove
sono localizzate “attrezzature pubbliche e/o private con
funzioni di interesse generale”.
Al riguardo, la difesa comunale ha ben evidenziato che gli
spazi per attrezzature pubbliche e collettive prescritti
dall’articolo 9 della legge regionale n. 12 del 2005 sono
classificati dallo strumento urbanistico non quale Zona F2,
ma come “ZONA F1 (aree di servizi di uso pubblico e
interesse comune)”, soggetta alla disciplina dell’articolo
52 delle NTA del Piano delle Regole. Solo tali spazi sono,
quindi, specificamente destinati a standard urbanistici.
Al contrario, le aree classificate come Zona F2 non sono
state prese in considerazione dallo strumento urbanistico al
fine della verifica della dotazione di aree di uso pubblico
a servizio di insediamenti residenziali e non danno luogo a
standard urbanistici. Si tratta, infatti, di aree che
comprendono compendi immobiliari aventi varia destinazione
(«Ambiti per servizi tecnologici», «Complesso
socio-assistenziale, sanitario, ospedaliero “La Nostra
Famiglia”», «Crossodromo Bodrone», «Villa Mira»), tutti
caratterizzati dal soddisfacimento di finalità di interesse
generale, ma non costituenti opere che il Comune ha reputato
necessarie al fine dell’urbanizzazione dell’ambito entro il
quale ricadono, tanto da non averle prese in considerazione
ai fini del calcolo della relativa dotazione di standard.
Si tratta, in altri termini, di compendi immobiliari
rispetto ai quali lo strumento urbanistico ha
sostanzialmente operato una ricognizione, qualificandoli
come attrezzature con funzioni di interesse generale, ma non
quali opere indispensabili per assicurare i servizi
necessari alla comunità insediata.
Da ciò derivano due considerazioni.
13.3 Sotto un primo profilo, poiché l’intervento oggetto del
presente giudizio non è posto a servizio dell’urbanizzazione
del territorio comunale, o di una porzione di questo, esso
non dà luogo a un’opera di urbanizzazione, pur rientrando
nelle categorie astrattamente indicate all’articolo 16,
comma 8, del d.P.R. n. 380 del 2001.
E invero, perché un’opera sia qualificabile come opera di
urbanizzazione secondaria è necessario che essa sia
direttamente funzionale a un ben preciso insediamento
urbano. E ciò in considerazione della circostanza che “le
opere di urbanizzazione secondaria hanno tendenzialmente una
dimensione comunale o infra-comunale, in quanto finalizzate
a migliorare il grado di fruibilità di uno specifico e
circoscritto insediamento urbano mediante la creazione da
parte dell’ente locale di determinate strutture di supporto
per servizi fruibili da quella comunità” (Cons. Stato, n.
595 del 2016, cit.).
Conseguentemente, un centro ospedaliero contemplato dallo
strumento urbanistico quale attrezzatura con funzioni di
interesse generale, ma non previsto quale dotazione di
standard a servizio di un ambito territoriale, di per sé non
è qualificabile come opera di urbanizzazione secondaria.
13.4 Sotto altro, concorrente, profilo, la circostanza che –come detto– il Piano di Governo del Territorio si sia
limitato a riconoscere la presenza sul territorio e
l’interesse generale di una congerie assai diversificata di
opere esistenti, indicandole con una medesima
classificazione, senza però prenderle in considerazione
quali dotazioni di servizi necessarie alla collettività,
implica che tali opere debbano bensì reputarsi conformi allo
strumento urbanistico, ma non attuative delle relative
previsioni. Si tratta infatti di opere che non devono, ma
possono essere presenti sul territorio comunale, per cui,
laddove le attività che in esse si svolgono dovessero essere
dismesse dai privati, non insorgerebbe l’obbligo per
l’Amministrazione di assicurare in altro modo la
soddisfazione delle dotazioni di servizi in favore della
comunità insediata.
13.5 La validità della predetta distinzione tra opere
meramente conformi, o specificamente attuative, del piano è
stata, del resto, anche di recente ribadita dalla
giurisprudenza, la quale ha esplicitamente affermato che la
semplice riconduzione all’astratta tipologia di opera di
urbanizzazione secondaria non può considerarsi sufficiente
ai fini dell’esenzione del contributo, essendo necessario
altresì che l’intervento sia attuativo di una specifica
previsione di piano (Cons. Stato, Sez. IV, 18.05.2016,
n. 2011; TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, 23.10.2014, n.
1111).
E, in questo senso, non può ritenersi pertinente il
richiamo, operato dalla ricorrente, alla sentenza della IV
Sezione del Consiglio di Stato 12.05.2011, n. 2870, al
fine di sostenere che qualunque opera rientrante
astrattamente nel novero delle opere di urbanizzazione, e
realizzata in conformità allo strumento urbanistico, debba
beneficiare dell’esenzione. La fattispecie decisa dal
Consiglio di Stato riguardava, infatti, la costruzione di
un’opera che corrispondeva a una puntuale previsione dello
strumento urbanistico, il quale destinava specificamente
un’area a servizi ospedalieri e sanitari.
Come detto, nel caso oggetto del presente giudizio, l’opera
ricade, invece, in una zona avente una destinazione generica
ad attrezzature con funzioni di interesse generale, in
relazione alla quale il Comune ha operato una ricognizione
di strutture esistenti, pur classificandole come di
interesse generale, assicurando, per questa via, la mera
compatibilità delle stesse con lo strumento urbanistico,
senza però sancirne la necessità in relazione alle esigenze
attinenti alle dotazioni di servizi in favore della comunità
insediata.
13.6 Alla luce delle considerazioni sin qui esposte, si
conferma quindi il rigetto anche del secondo motivo di
impugnazione.
14. In conclusione, l’intero ricorso deve essere respinto
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 03.11.2016 n. 2011 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L’onerosità del titolo edilizio abilitativo «riguarda
un principio della disciplina un tempo urbanistica e oggi ricompresa
fra le funzioni legislative concorrenti sotto la rubrica “governo del
territorio”», e anche le deroghe al principio
(elencate all’art. 17 del TUE), in quanto legate a quest’ultimo da un
rapporto di coessenzialità, partecipano della stessa natura di principio
fondamentale.
---------------
6.1.‒
La questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, commi 20 e 21, primo
trattino, della legge reg. Liguria n. 12 del 2015 , è fondata.
Con tali disposizioni il legislatore regionale esonera dal contributo di
costruzione due categorie di intervento che secondo la legge statale devono
invece restare soggette a contribuzione, nei termini fissati dal TUE: gli
interventi sul patrimonio edilizio esistente che determinano un aumento
della superficie agibile dell’edificio o delle singole unità immobiliari,
quando l’incremento della superficie agibile all’interno delle unità
immobiliari sia inferiore a 25 metri quadrati, e quando le variazioni di
superficie derivino da mera eliminazione di muri divisori; gli interventi di
frazionamento di unità immobiliari che determinino un numero di unità
immobiliari inferiore al doppio di quelle esistenti, sia pure con aumento di
superficie agibile.
A seconda delle loro concrete caratteristiche costruttive, questi interventi
(qualificati genericamente dal legislatore regionale come «interventi sul
patrimonio edilizio esistente») possono rientrare nella nozione di «manutenzione
straordinaria», come definita agli artt. 3, comma 1, lettera b) e 6,
comma 2, lettera a) del TUE, o in quella di «ristrutturazione edilizia»,
come definita dall’art. 3, comma 1, lettera d) del TUE.
La disciplina statale prevede per la prima (ove ricorrano i presupposti
dell’art. 17, comma 4, del TUE) una riduzione del contributo alla sola parte
corrispondente alla incidenza delle opere di urbanizzazione, e per la
seconda la regola del pagamento del contributo per intero, salvi casi
particolari di esonero, come quello della ristrutturazione di edifici
unifamiliari (art. 17, comma 3, lettera b, del TUE), o di riduzione, come
quello della ristrutturazione di immobili dismessi o in via di dismissione
(art. 17, comma 4-bis, del TUE).
Le fattispecie di esonero introdotte dalle norme regionali impugnate vanno
al di là di queste ipotesi e contrastano, dunque, con i principi
fondamentali della materia.
L’onerosità del titolo abilitativo «riguarda
infatti un principio della disciplina un tempo urbanistica e oggi ricompresa
fra le funzioni legislative concorrenti sotto la rubrica “governo del
territorio”» (sentenza n. 303 del 2003), e anche le deroghe al principio
(elencate all’art. 17 del TUE), in quanto legate a quest’ultimo da un
rapporto di coessenzialità, partecipano della stessa natura di principio
fondamentale (sentenze n. 1033 del 1988 e n. 13 del 1980)
(Corte Costituzionale,
sentenza 03.11.2016 n. 231). |
settembre 2016 |
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EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: Sulla
corretta costituzione del fondo [almeno l’8% delle somme riscosse per
oneri di urbanizzazione secondaria
incrementato di una quota non inferiore all’8 per cento: a) del valore delle opere di urbanizzazione realizzate direttamente
dai soggetti interessati a scomputo totale o parziale del contributo
relativo agli oneri di urbanizzazione secondaria; b) del valore delle aree cedute per la realizzazione delle opere di
urbanizzazione secondaria; c) di ogni altro provento destinato per legge o per atto
amministrativo alla realizzazione di opere di urbanizzazione secondaria]
destinato alla realizzazione delle attrezzature per servizi religiosi.
La questione si pone soltanto quando in seguito a
convenzioni, atti unilaterali d’obbligo o altri accordi comunque denominati,
il soggetto attuatore di interventi edilizi/urbanistici realizza opere di urbanizzazione
secondaria (a scomputo), ovvero ceda aree standards (per realizzare opere di
urbanizzazione secondarie) in luogo della loro monetizzazione, ed il comune
non abbia ulteriori introiti derivante da oneri di urbanizzazione secondaria
ovvero da monetizzazione di aree perché la dotazione del fondo previsto
dalla
legge regionale 12/2005 possa raggiungere almeno l’8 per cento del
valore complessivo degli oneri di urbanizzazione secondaria e delle cessioni
delle aree standars, secondo i parametri di quantificazione dettati dalla
legge regionale (art. 73).
Ebbene, nel suddetto caso il fondo stesso può (anzi
deve) essere incrementato con risorse che il comune avrebbe potuto
utilizzare per realizzare le suddette opere (con l'esclusione di mutui,
dell'avanzo vincolato per legge ed altre risorse comunque vincolate per
determinate spese).
L'incremento del fondo, nel bilancio, dovrà avvenire quando le opere
realizzate dal privato saranno consegnate al comune, ovvero nel caso di
inadempimento del privato, quando saranno incassati gli introiti della
fideiussione che garantisce le obbligazioni della convenzione o dell'atto
unilaterale d'obbligo.
---------------
Il Sindaco del comune di Lallio (BG) ha formulato una richiesta di parere
in ordine alla possibilità di iscrivere nel bilancio di previsione delle
quote relative all’8% degli oneri di urbanizzazione secondaria da destinare
in apposito fondo per la realizzazione di attrezzature di interesse comune
per servizi religiosi anche se gli stessi non siano stati definitivamente
incassati ed accertati.
La richiesta è presentata con riferimento ad una particolare fattispecie,
ovvero a quella in cui la realizzazione di opere di urbanizzazione
secondaria o di standards qualitativi siano realizzati in virtù di accordi
(o atti unilaterali d’obbligo) con l’amministrazione da parte del soggetto
attuatore di un intervento edilizio, ai sensi della legge regionale 12/2005
e successive modificazioni ed integrazioni, e non siano stati versati gli
oneri di urbanizzazione secondaria in quanto scomputati a causa
dell’intervento da realizzare.
Ovviamente la sezione di controllo non si esprime in ordine alla legittimità
o meno degli strumenti di attuazione del PGT così come declinati in concreto
dall’amministrazione comunale nella rappresentazione del caso in esame, ma
si sofferma soltanto sugli aspetti che riguardano la correttezza contabile
delle operazioni che il comune deve compiere per stanziare nel fondo l’8%
del valore delle opere di urbanizzazione secondaria non versate dal privato,
perché il soggetto attuatore ha realizzato interventi a scomputo degli oneri
di urbanizzazione secondaria dovuti.
L’art.
73 della legge regionale 12/2005, infatti, stabilisce non solo
che l’8% degli introiti dovuti per opere di urbanizzazioni secondarie devono
essere destinate al fondo per le attrezzature di interesse comune per i
servizi religiosi ma sancisce anche che il fondo di cui sopra, deve essere
incrementato di una quota non inferire al 8% del valore delle opere di
urbanizzazione realizzate direttamente dal privato a scomputo degli oneri di
urbanizzazione secondaria e del valore delle aree cedute per la
realizzazione delle suddette opere e di ogni altro provento destinato per
legge o atto amministrativo alla realizzazione di opere di urbanizzazione
secondarie.
...
Ritenuto che la richiesta sia soggettivamente ammissibile in quanto
proveniente dal rappresentante legale dell’ente ed oggettivamente
ammissibile in quanto interessa una materia compresa nel perimetro della
contabilità pubblica trattandosi di norma che impone all’amministrazione
l’incremento di un fondo da iscrivere in bilancio e che riguarda il modo il
come ed il quando, l’amministrazione debba finanziare l’incremento stesso,
qualora il soggetto privato realizzi opere a scomputo di oneri
urbanizzazione secondaria ai sensi dell’art. 73 della legge regionale
12/2005 ovvero debba finanziare l’8% del valore delle aree cedute (e quindi
non monetizzate) per la realizzazione di standards relativi ad opere di
urbanizzazione secondaria.
Per comodità espositiva si riporta, per quel che interessa, l’art.
73 della L.R. suddetta: “1. In ciascun comune, almeno l'8 per
cento delle somme riscosse per oneri di urbanizzazione secondaria è ogni
anno accantonato in apposito fondo, risultante in modo specifico nel
bilancio di previsione, destinato alla realizzazione delle attrezzature
indicate all’articolo 71, nonché per interventi manutentivi, di restauro e
ristrutturazione edilizia, ampliamento e dotazione di impianti, ovvero
all'acquisto delle aree necessarie. Tale fondo è determinato con riguardo a
tutti i permessi di costruire rilasciati e alle denunce di inizio attività
presentate nell’anno precedente in relazione a interventi a titolo oneroso
ed è incrementato di una quota non inferiore all’8 per cento:
a) del valore delle opere di urbanizzazione realizzate direttamente
dai soggetti interessati a scomputo totale o parziale del contributo
relativo agli oneri di urbanizzazione secondaria;
b) del valore delle aree cedute per la realizzazione delle opere di
urbanizzazione secondaria;
c) di ogni altro provento destinato per legge o per atto
amministrativo alla realizzazione di opere di urbanizzazione secondaria”.
Esame nel merito
Il quesito assume significato, ovviamente, solo nei limiti e per i motivi
appena indicati, ovvero qualora non sia avvenuto nessun versamento (ovvero
un versamento parziale) di denaro nelle casse del comune, e si è in presenza
di obbligazioni convenzionali dirette alla realizzazione di opere da parte
del soggetto attuatore a scomputo di oneri (di urbanizzazione secondaria,
ovvero alla cessione di aree a standards (non monetizzate) per la
realizzazione di opere di urbanizzazione secondarie.
In breve, la questione si pone soltanto quando in seguito a convenzioni,
atti unilaterali d’obbligo o altri accordi comunque denominati, il soggetto
attuatore di interventi edilizi/urbanistici realizza opere di urbanizzazione
secondaria (a scomputo), ovvero ceda aree standards (per realizzare opere di
urbanizzazione secondarie) in luogo della loro monetizzazione, ed il comune
non abbia ulteriori introiti derivante da oneri di urbanizzazione secondaria
ovvero da monetizzazione di aree perché la dotazione del fondo previsto
dalla
legge regionale 12/2005 possa raggiungere almeno l’8 per cento del
valore complessivo degli oneri di urbanizzazione secondarie e delle cessioni
delle aree standars, secondo i parametri di quantificazione dettati dalla
legge regionale (art. 73).
Nel caso l’ente versi nella situazione appena rappresentata, il fondo stesso
può (anzi deve) essere incrementato con risorse che il comune avrebbe potuto
utilizzare per realizzare le suddette opere (con l’esclusione di mutui,
dell’avanzo vincolato per legge ed altre risorse comunque vincolate per
determinate spese).
L’incremento del fondo, nel bilancio, dovrà avvenire quando le opere
realizzate dal privato saranno consegnate al comune, ovvero nel caso di
inadempimento del privato, quando saranno incassati gli introiti della
fideiussione che garantisce le obbligazioni della convenzione o dell’atto
unilaterale d’obbligo
(Corte dei Conti, Sez. controllo Lombardia,
parere
26.09.2016 n. 256). |
agosto 2016 |
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EDILIZIA PRIVATA: OSSERVATORIO
VIMINALE/ Oneri, palla al consiglio. Competenza frutto di
coerenza sistematica. URBANIZZAZIONE/ L'organo per la
determinazione/adeguamento.
Qual è l'organo competente alla determinazione/adeguamento
degli oneri di urbanizzazione?
L'art. 42 del decreto legislativo n. 267/2000 stabilisce che
il consiglio è l'organo di indirizzo e controllo
politico-amministrativo, a cui sono attribuite una serie di
competenze elencate in dettaglio nella stessa disposizione
normativa.
In particolare, la lettera b) prevede in linea
generale la competenza del consiglio in materia di
programmi, bilanci, piani territoriali ed urbanistici ecc.,
mentre la lett. f) assegna a tale organo competenze in
materia di istituzione e ordinamento dei tributi, con
esclusione della determinazione delle relative aliquote e la
disciplina generale delle tariffe per la fruizione dei beni
e dei servizi.
La giunta comunale, a cui sono assegnate
funzioni di tipo esecutivo–attuativo, in base al successivo
art. 48, comma 2, compie tutti gli atti rientranti ai sensi
dell'articolo 107, commi 1 e 2, nelle funzioni degli organi
di governo, che non siano riservati dalla legge al consiglio
e che non ricadano nelle competenze, previste dalle leggi o
dallo statuto, del sindaco o degli organi di decentramento;
collabora con il sindaco nell'attuazione degli indirizzi
generali del consiglio; riferisce annualmente al consiglio
sulla propria attività e svolge attività propositive e di
impulso nei confronti dello stesso.
Circa il caso di specie,
il dpr 06.06.2001, n. 380, all'art. 16, comma 4, prevede
espressamente che l'incidenza degli oneri di urbanizzazione
primaria e secondaria è stabilita con deliberazione del
consiglio comunale in base alle tabelle parametriche che la
regione definisce per classi di comuni in relazione a una
serie di parametri ivi indicati. Il comma 5 del citato art.
16 stabilisce, altresì, che nel caso di mancata definizione
delle tabelle parametriche da parte della regione e fino
alla definizione delle tabelle stesse, i comuni provvedono,
in via provvisoria, sempre con deliberazione del consiglio
comunale secondo i parametri di cui al comma 4, fermo
restando quanto previsto dal comma 4-bis.
È evidente,
pertanto, che la competenza a determinare gli oneri di
urbanizzazione ricade esclusivamente sul consiglio comunale.
Riguardo agli aggiornamenti degli oneri di urbanizzazione
primaria e secondaria, il comma 6 del medesimo art. 16 del
dpr 06.06.2001, n. 380, si limita a stabilire che i
«comuni» provvedono ogni cinque anni, in conformità alle
relative disposizioni regionali, in relazione ai riscontri e
prevedibili costi delle opere di urbanizzazione primaria,
secondaria e generale.
Il Consiglio di stato, con sentenza
n. 7140/05 del 15/12/2005, ha affermato che il contributo
per il rilascio del permesso di costruire imposto dall'art.
16 del dpr 06.06.2001, n. 380, commisurato agli oneri di
urbanizzazione, ha carattere generale perché prescinde
totalmente dall'esistenza o meno delle singole opere di
urbanizzazione e ha natura di prestazione patrimoniale
imposta. Lo stesso Consesso ha citato altresì, per la natura
tributaria di tale prestazione, la decisione del Consiglio
di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana 05.05.1999, n. 203.
Pertanto, benché la giurisprudenza non
risulti sempre univoca nell'individuare l'organo a cui
compete l'adozione della deliberazione di adeguamento degli
oneri urbanistici, indipendentemente dalla effettiva natura
della prestazione (patrimoniale o tributaria) la competenza
non può che essere ricondotta al consiglio comunale.
Infatti, l'articolo 42 del Tuoel affida al consiglio la
competenza in ordine a tributi e tariffe ed esercita
l'ipotetica discrezionalità, laddove venga riconosciuta
dalla legge, che non può essere demandata a un organo
esecutivo quale la giunta.
Nel caso specifico, la competenza all'aggiornamento degli
oneri di urbanizzazione dovrebbe, comunque, essere
ricondotta al consiglio anche per coerenza sistematica alle
varie disposizioni contenute nell'articolo 16 del dpr n.
380/2001 che al comma 4 e al comma 5 affidano al consiglio
comunale il compito di determinarne l'incidenza
(articolo ItaliaOggi del 19.08.2016). |
giugno 2016 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Oggetto: Parere in merito all'assoggettabilità al
contributo di costruzione degli impianti fotovoltaici
destinati alla produzione di energia elettrica da
commercializzare – Comune di Montalto di Castro (Regione
Lazio,
parere 14.06.2016 n. 312998 di prot.). |
maggio 2016 |
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EDILIZIA PRIVATA: La
ricostruzione di una porzione edificio crollata a seguito di
incendio (quale ristrutturazione edilizia) sconta il
versamento del contributo di costruzione.
L'intervento in discorso è volto
unicamente alla ricostruzione del fabbricato totalmente
crollato a causa dell'incendio accidentale e non comporta
alcuna alterazione di sagoma e di superficie, né la modifica
della destinazione d'uso di cui all'originaria concessione
edilizia (e successive varianti).
Tuttavia, non coglie nel segno il primo motivo, con
cui la ricorrente ha dedotto che l’incendio verificatosi
sarebbe da annoverare tra le “pubbliche calamità”
individuate dalla lett. d) dell’art. 17, comma 3, del DPR
380/2001 come motivo di esenzione dal pagamento del
contributo di costruzione, e ciò in relazione all’ordinanza
emessa dal dirigente del settore edilizia.
Tale provvedimento, all’opposto, è stato adottato alla luce
del fatto che i fabbricati risultavano “ammalorati ed
interessati da dissesto strutturale”: il che ha prospettato
“condizioni che non consentono l’utilizzo in sicurezza delle
unità immobiliari costituenti le porzioni di capannone in
lato nord/ovest ed il lato nord/est, poste in aderenza alla
porzione di capannone all’interno del quale si è sviluppato
l’incendio”.
Si è, pertanto, disposto il “ripristino delle condizioni
minime di sicurezza delle unità immobiliari interessate
dall’incendio mediante eliminazione delle macerie e delle
parti pericolanti, con delimitazione della zona mediante
opportune opere provvisionali atte ad interdire l’accesso
alle zone pericolose”, nonché la “verifica degli impianti
elettrici e di adduzione gas, e di tutte le eventuali
diramazioni interessanti le unità immobiliari”.
Si è, quindi, trattato di un episodio grave e dannoso per
l’impresa, ma non certo catastrofico, le cui conseguenze
nocive sono risultate arginabili mediante l’attuazione di
normali operazioni di messa in sicurezza; né, tantomeno,
risultano essere stati adottati piani di emergenza o
evacuazione dei residenti, a conferma del fatto che non è
stata messa a immediato repentaglio –se non in via del tutto
potenziale– la pubblica incolumità.
Peraltro, l’infondatezza del primo
motivo è, indirettamente, avvalorata dal tenore della
seconda censura proposta, anch’essa infondata, con cui
la ricorrente ha dedotto che l’assentito intervento
integrerebbe (solo) una manutenzione straordinaria.
La Sezione ha più volte ribadito che nell’ambito degli
interventi di ristrutturazione edilizia sono
ricompresi anche quelli consistenti nella “demolizione e
ricostruzione parziale o totale nel rispetto della
volumetria preesistente, fatte salve le sole innovazioni
necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica”, e
ciò ai sensi dell’art. 27, comma 1, della legge regionale
12/2005, ai quali, inoltre, è direttamente correlata, ai
fini del calcolo del costo di costruzione, la disciplina di
cui al successivo art. 44, con eventuali riduzioni in
funzione delle modalità esecutive della ristrutturazione.
---------------
... per l'annullamento del provvedimento emesso in data
11.04.2015 dal responsabile del settore governo del
territorio del Comune di Monza -sportello unico
dell’edilizia– con cui è stato comunicato il rilascio del
permesso di costruire (a seguito di domanda presentata dalla
ricorrente in data 26.11.2014), e ciò nella parte in cui è
stato richiesto il versamento del contributo di costruzione
di importo pari a € 257.377,54; della comunicazione di
conclusione del procedimento del 13.01.2015 e della
deliberazione di Giunta comunale n. 43 del 03.11.2008, con
cui è stato approvato l’aggiornamento degli oneri di
urbanizzazione e del costo base di costruzione.
...
Con ricorso ritualmente proposto la società Nu.Gu. e Ra.
s.r.l. ha impugnato, chiedendone l’annullamento, il
provvedimento emesso in data 11.04.2015 dal responsabile del
settore governo del territorio del Comune di Monza
–sportello unico dell’edilizia– con cui è stato comunicato
il rilascio del permesso di costruire (a seguito di domanda
presentata dalla ricorrente in data 26.11.2014), e ciò nella
parte in cui è stato richiesto il versamento del contributo
di costruzione di importo pari a € 257.377,54, nonché la
comunicazione di conclusione del procedimento del 13.01.2015
e la deliberazione di Giunta comunale n. 43 del 03.11.2008,
con cui è stato approvato l’aggiornamento degli oneri di
urbanizzazione e del costo base di costruzione.
La società ricorrente ha esposto di essere “proprietaria
di una parte dell’edificio sito nel Comune di Monza, in Via
... n. 1-5”, avente “destinazione produttiva
–inserito dall'attuale PGT in Area D1 “Area per insediamenti
produttivi esistenti, di contenimento della capacità
edificatoria”– realizzato in virtù di concessione edilizia
n. 102 del 16/07/1985 rilasciata dall'Amministrazione
comunale sia alla società Nu.Gu. e Ra. s.r.l. sia al signor
Ed.Fo., a cui hanno avuto seguito due concessioni edilizie
in variante” (cfr. pag. 2).
Ha soggiunto che “in data 20/09/2012, proprio presso i
locali dell'edificio produttivo in discorso, è divampato
accidentalmente un incendio che ha comportato il crollo
della porzione di fabbricato”, il che ha reso
necessaria, da parte dell’Amministrazione, l’adozione, in
data 24.09.2012, di un’ordinanza di ripristino delle
condizioni minime di sicurezza delle unità interessate
dall’incendio “per scongiurare pericoli per la pubblica
incolumità, in considerazione della gravità dell'evento che
ha comportato l'assoluta inagibilità dei locali” (cfr.
pag. 3).
Al termine dei lavori di bonifica e rimozione dei rifiuti,
la ricorrente, “conformemente alle disposizioni
dirigenziali, ha presentato in data 26.11.2014, presso lo
Sportello Unico Edilizia del Comune di Monza, istanza di
permesso di costruire per la (ricostruzione di porzione di
fabbricato produttivo esistente della superficie coperta di
mq. 3468,96 oltre una tettoia della superficie di mq 363.68”
(cfr., ancora, pag. 3), cui è seguito il rilascio del
permesso di costruire oggetto di impugnazione nella parte
relativa alla prescritta corresponsione del costo di
costruzione.
La legittimità di tale prescrizione è stata contestata
sull’assunto che “l’intervento in discorso è volto
unicamente alla ricostruzione del fabbricato totalmente
crollato a causa dell'incendio del 20.09.2012 e non comporta
alcuna alterazione di sagoma e di superficie, né la modifica
della destinazione d'uso di cui all'originaria concessione
edilizia (e successive varianti). A ciò si aggiunga che le
realizzazioni in argomento prevedono il mantenimento della
rete fognaria esistente, con il semplice adeguamento della
stessa alla normativa attuale” (cfr. pag. 4).
A fondamento dell’impugnazione sono stati dedotti i seguenti
motivi:
- 1°) violazione degli artt. 16, comma 1 e 17, comma 3 del DPR
380/2001; eccesso di potere per travisamento dei presupposti
di fatto e di diritto, ingiustizia manifesta.
Ad avviso della ricorrente “posto che, secondo la
disciplina generale, il contributo di costruzione è
eventuale e commisurato all'incidenza degli oneri di
urbanizzazione nonché al costo di costruzione, come meglio
si vedrà in seguito, l’art. 17, comma 3, lett. d), del
D.P.R. 380/2001 lo esclude, in ogni caso, per gli interventi
da realizzare in attuazione di norme o provvedimenti emanati
a seguito di pubbliche calamità. Come precisato dalla
disposizione normativa appena richiamata, in conseguenza di
eventi calamitosi (ovverosia di eventi con effetti
disastrosi) che coinvolgono la collettività –quale è, per
l'appunto, l’incendio accidentale verificatosi presso i
locali del fabbricato produttivo, che ha condotto
l'Amministrazione ad adottare immediati provvedimenti a
tutela della sicurezza e della pubblica incolumità– i
successivi interventi effettuati e da effettuare sono, per
legge, esonerati dal carico contributivo” (cfr. pag. 5).
- 2°) violazione degli artt. 44 e 45 della legge regionale 12/2005,
degli artt. 16, 17, comma 3 e 22, comma 7 del DPR 380/2001;
eccesso di potere per travisamento dei presupposti di fatto
e di diritto, difetto d’istruttoria e illogicità manifesta.
La ricorrente ha censurato il fatto che l’Amministrazione
avrebbe chiesto il pagamento di oneri per un intervento di
ripristino di parte dell’edificio crollato, “in relazione
al quale la società proprietaria in passato ha già
provveduto alla relativa corresponsione per la sua
realizzazione” (cfr. pagg. 6–7), ignorando che il “criterio
discretivo (…) per stabilire l’assoggettabilità o meno di
una realizzazione edilizia al pagamento degli oneri di
urbanizzazione è la tipologia di intervento e i riflessi che
lo stesso ha sull’area coinvolta, in termini di
trasformazione o aggravio del carico urbanistico della
stessa” (cfr. pag. 7).
In altri termini, l’ordinamento positivo non prevedrebbe
alcun automatismo nell’applicazione degli oneri concessori,
tale principio trovando conferma negli “incisi “se
dovuti” contenuti nella disposizione di cui all’art. 44
della L.R. Lombardia n. 12/2005” oltre che nell’art. 22
del testo unico dell’edilizia, che al comma 7 ammette
l’esenzione dall’obbligo di pagamento per gli interventi
qualificabili come “manutenzione straordinaria” ai
sensi dell’art. 3 del citato testo unico, come modificato
dal D.L. 133/2014, convertito nella legge 164/2014:
fattispecie che si attaglierebbe al caso di specie (cfr.
pag. 8).
- 3°) violazione dell’art. 3 della legge 241/1990, degli artt. 41 e
43 della Costituzione e dei principi di buona
Amministrazione.
La ricorrente ha, infine, dedotto che l’impugnato
provvedimento “non contiene nemmeno l’espressa
indicazione delle operazioni di calcolo che hanno condotto
all'individuazione di quel determinato ammontare ed in
presenza delle quali la giurisprudenza ritiene adempiuto
l'onere motivazionale” (cfr. pag. 11).
Si è costituito in giudizio il Comune di Monza (01.07.2015),
eccependo, nella memoria del 20.7.2015, l’inammissibilità
del ricorso in riferimento agli ulteriori provvedimenti
impugnati in via presupposta, i quali non sarebbero lesivi
della sfera giuridica della società ricorrente; nel merito
ha opposto che “l’evento definito dal ricorrente come
"calamitoso" non è né tale né, tantomeno, "pubblico" in
quanto, come si evidenzia dagli atti di controparte, non ha
assunto proporzioni tali da coinvolgere una pluralità
indefinita di soggetti, ma è rimasto circoscritto al
capannone della ricorrente ed a quello confinante, ed è
stato fronteggiato con gli ordinari mezzi di intervento dei
VV.FT., Polizia, ecc., senza che fosse necessario far
intervenire, ad esempio, la Protezione Civile la quale,
invece, è sempre chiamata a svolgere la propria funzione
laddove vi siano eventi effettivamente riconducibili alla
pubblica calamità”, e che, comunque, la messa in
sicurezza oggetto dell’ordinanza comunale rientrerebbe
nell’ordinaria amministrazione (cfr. pag. 6); ha, inoltre,
contestato “il tentativo di controparte di qualificare
come manutenzione straordinaria l'intervento per il quale è
stata presentata dalla stessa ricorrente, domanda di
permesso di costruire” (cfr. pag. 10), che, invece,
integrerebbe una ristrutturazione edilizia; che, infine, la
ricorrente sarebbe stata “perfettamente a conoscenza
delle previsioni normative che impongono il versamento del
contributo di costruzione nei casi di rilascio di permesso
di costruire. nonché della deliberazione di Consiglio
Comunale n. 43 del 03/11/2008 di aggiornamento degli oneri
di urbanizzazione e aggiornamento del costo base di
costruzione” (cfr. pag. 14).
Con
ordinanza 27.07.2015 n. 977 la Sezione ha
ritenuto di riservarsi nel merito sulle questioni oggetto
del giudizio, concedendo “la misura cautelare
subordinatamente alla prestazione, da parte della
ricorrente, di una garanzia bancaria o assicurativa con
clausola “a prima richiesta” in favore del Comune di Monza,
per un importo pari a quello indicato nel provvedimento
impugnato”.
...
Nel merito, il ricorso è infondato e va, pertanto, respinto.
Non coglie nel segno il primo motivo, con cui la
ricorrente ha dedotto che l’incendio verificatosi in data
20.09.2012 sarebbe da annoverare tra le “pubbliche
calamità” individuate dalla lett. d) dell’art. 17, comma
3, del DPR 380/2001 come motivo di esenzione dal pagamento
del contributo di costruzione, e ciò in relazione
all’ordinanza emessa in data 24.09.2012 dal dirigente del
settore edilizia.
Tale provvedimento, all’opposto, è stato adottato alla luce
del fatto che i fabbricati risultavano “ammalorati ed
interessati da dissesto strutturale”: il che ha
prospettato “condizioni che non consentono l’utilizzo in
sicurezza delle unità immobiliari costituenti le porzioni di
capannone in lato nord/ovest ed il lato nord/est, poste in
aderenza alla porzione di capannone all’interno del quale si
è sviluppato l’incendio”.
Si è, pertanto, disposto il “ripristino delle condizioni
minime di sicurezza delle unità immobiliari interessate
dall’incendio mediante eliminazione delle macerie e delle
parti pericolanti, con delimitazione della zona mediante
opportune opere provvisionali atte ad interdire l’accesso
alle zone pericolose”, nonché la “verifica degli
impianti elettrici e di adduzione gas, e di tutte le
eventuali diramazioni interessanti le unità immobiliari”.
Si è, quindi, trattato di un episodio grave e dannoso per
l’impresa, ma non certo catastrofico, le cui conseguenze
nocive sono risultate arginabili mediante l’attuazione di
normali operazioni di messa in sicurezza; né, tantomeno,
risultano essere stati adottati piani di emergenza o
evacuazione dei residenti, a conferma del fatto che non è
stata messa a immediato repentaglio –se non in via del tutto
potenziale– la pubblica incolumità.
Peraltro, l’infondatezza del primo motivo è, indirettamente,
avvalorata dal tenore della seconda censura proposta,
anch’essa infondata, con cui la ricorrente ha dedotto che
l’assentito intervento integrerebbe (solo) una manutenzione
straordinaria.
La Sezione ha più volte ribadito (cfr., tra le tante, la
sentenza 18.05.2010, n. 1566) che nell’ambito degli
interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi
anche quelli consistenti nella “demolizione e
ricostruzione parziale o totale nel rispetto della
volumetria preesistente, fatte salve le sole innovazioni
necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica”,
e ciò ai sensi dell’art. 27, comma 1, della legge regionale
12/2005, ai quali, inoltre, è direttamente correlata, ai
fini del calcolo del costo di costruzione, la disciplina di
cui al successivo art. 44, con eventuali riduzioni in
funzione delle modalità esecutive della ristrutturazione.
Nella specie, poi, il Comune di Monza si è dato una puntuale
regolamentazione mediante l’aggiornamento degli oneri di
urbanizzazione e del costo base di costruzione, approvato
con la deliberazione di G.C. n. 43 del 03.11.2008 (impugnata
dalla società ricorrente, ma senza articolare alcuna
specifica censura), la quale ha previsto che per gli
interventi di ristrutturazione comportanti demolizione e
ricostruzione si applichino gli oneri di urbanizzazione
relativi alle nuove costruzioni (dettagliati nell’allegato
B).
Conseguentemente, l’espressione contenuta nella nota del
13.01.2015 (in cui il responsabile dello sportello unico
dell’edilizia ha fatto cenno al “calcolo dell’eventuale
contributo di costruzione”) non può essere enfatizzata
alla luce della piana applicazione della normativa primaria
e secondaria, richiamata dall’Amministrazione nella
motivazione del permesso di costruire (il che determina
l’infondatezza del terzo motivo di ricorso).
In conclusione, il ricorso va respinto (TAR Lombardia-Milano,
Sez. II,
sentenza 25.05.2016 n. 1079 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
aprile 2016 |
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EDILIZIA PRIVATA:
OSSERVATORIO VIMINALE/
Oneri, decide il consiglio. Contributi urbanistici,
assemblea competente. Non conta la
natura effettiva (patrimoniale o tributaria) della
prestazione.
È il consiglio comunale o la giunta l'organo competente alla
determinazione/adeguamento degli oneri di urbanizzazione?
L'art. 42 del decreto legislativo n. 267/2000 stabilisce che
il consiglio è l'organo di indirizzo e controllo
politico-amministrativo, a cui sono attribuite una serie di
competenze elencate in dettaglio nella stessa disposizione
normativa.
In particolare, la lettera b) prevede in linea generale la
competenza del consiglio in materia di programmi, bilanci,
piani territoriali e urbanistici ecc., mentre la lett. f)
assegna a tale organo competenze in materia di istituzione e
ordinamento dei tributi, con esclusione della determinazione
delle relative aliquote e la disciplina generale delle
tariffe per la fruizione dei beni e dei servizi.
La giunta comunale, a cui sono assegnate funzioni di tipo
esecutivo-attuativo, in base al successivo art. 48, comma 2,
compie tutti gli atti rientranti ai sensi dell'articolo 107,
commi 1 e 2, nelle funzioni degli organi di governo, che non
siano riservati dalla legge al consiglio e che non ricadano
nelle competenze, previste dalle leggi o dallo statuto, del
sindaco o degli organi di decentramento; collabora con il
sindaco nell'attuazione degli indirizzi generali del
consiglio; riferisce annualmente al consiglio sulla propria
attività e svolge attività propositive e di impulso nei
confronti dello stesso.
In merito alla fattispecie in esame, il dpr 06.06.2001, n.
380, all'art. 16, comma 4, prevede espressamente che
l'incidenza degli oneri di urbanizzazione primaria e
secondaria è stabilita con deliberazione del consiglio
comunale in base alle tabelle parametriche che la regione
definisce per classi di comuni in relazione a una serie di
parametri ivi indicati.
Il comma 5 del citato art. 16 stabilisce, altresì, che nel
caso di mancata definizione delle tabelle parametriche da
parte della regione e fino alla definizione delle tabelle
stesse, i comuni provvedono, in via provvisoria, sempre con
deliberazione del consiglio comunale secondo i parametri di
cui al comma 4, fermo restando quanto previsto dal comma
4-bis. Appare pacifico, dunque, che la competenza a
determinare gli oneri di urbanizzazione ricada
esclusivamente sul consiglio comunale.
Riguardo agli aggiornamenti degli oneri di urbanizzazione
primaria e secondaria, il comma 6 del medesimo art. 16 del
dpr 06.06.2001, n. 380, si limita a stabilire che i «comuni»
provvedono ogni cinque anni, in conformità alle relative
disposizioni regionali, in relazione ai riscontri e
prevedibili costi delle opere di urbanizzazione primaria,
secondaria e generale. Il Consiglio di Stato con sentenza n.
7140/05 del 15.12.2005 ha affermato che «il contributo
per il rilascio del permesso di costruire imposto dall'art.
16 del dpr 06.06.2001, n. 380 e commisurato agli oneri di
urbanizzazione, ha carattere generale perché prescinde
totalmente dall'esistenza o meno delle singole opere di
urbanizzazione e ha natura di prestazione patrimoniale
imposta». Lo stesso Consesso ha citato altresì, per la
natura tributaria di tale prestazione, la decisione del
Consiglio di giustizia amministrativa per la regione
Siciliana 05.05.1999, n. 203.
Pertanto, benché la giurisprudenza non risulti sempre
univoca nell'individuare l'organo a cui compete l'adozione
della deliberazione di adeguamento degli oneri urbanistici,
indipendentemente dalla effettiva natura della prestazione
(patrimoniale o tributaria) la competenza non può non essere
ricondotta al consiglio comunale. Infatti, l'articolo 42 del
Tuel affida al consiglio la competenza in ordine a tributi e
tariffe ed esercita l'ipotetica discrezionalità, laddove
venga riconosciuta dalla legge, che non può essere demandata
a un organo esecutivo quale la giunta.
Nel caso specifico, la competenza all'aggiornamento degli
oneri di urbanizzazione dovrebbe, comunque, essere
ricondotta al consiglio anche per coerenza sistematica alle
varie disposizioni contenute nell'articolo 16 del dpr n.
380/2001 che al comma 4 e al comma 5 affidano al consiglio
comunale il compito di determinarne l'incidenza
(articolo ItaliaOggi del 22.04.2016). |
EDILIZIA PRIVATA:
Oggetto: Oneri aggiuntivi ex art. 16, comma 4, lett.
d-ter), DPR n. 380/2001 (Regione Lombardia, Direzione
Generale Territorio, Urbanistica e Difesa del Suolo,
risposta e-mail del 14.04.2016). |
EDILIZIA PRIVATA:
L’art. 16 del D.P.R. n. 380/2001 stabilisce, al
primo comma, che il rilascio del permesso di costruire
comporta la corresponsione di un contributo commisurato
all'incidenza degli oneri di urbanizzazione, nonché al costo
di costruzione.
Presupposto per la debenza del costo di costruzione è che
l’intervento rientri nell’ambito di quelli per i quali
l’art. 10 del medesimo del D.P.R. n. 380/2001 prevede il
titolo abilitativo del permesso di costruire.
In tal senso deve essere interpretato anche il comma 10,
dell’art. 16 del D.P.R. n. 380/2001, secondo il quale “nel
caso di interventi su edifici esistenti il costo di
costruzione è determinato in relazione al costo degli
interventi stessi, così come individuati dal comune in base
ai progetti presentati per ottenere il permesso di
costruire. Al fine di incentivare il recupero del patrimonio
edilizio esistente, per gli interventi di ristrutturazione
edilizia di cui all'articolo 3, comma 1, lettera d), i
Comuni hanno comunque la facoltà di deliberare che i costi
di costruzione ad essi relativi siano inferiori ai valori
determinati per le nuove costruzioni”.
Questo comma rileva l’esistenza di interventi di
ristrutturazione edilizia soggetti al pagamento dell’onere,
ma deve essere interpretato nel senso che, in caso di
interventi di ristrutturazione, il costo di costruzione è
dovuto solo qualora le opere medesime richiedano il titolo
abilitativo del permesso di costruire in conformità a
quanto previsto dall’art. 10, comma 1, lett. c) del D.P.R.
n. 380/2001, ovverosia per quelle opere di ristrutturazione
che “che portino ad un organismo edilizio in tutto o in
parte diverso dal precedente e che comportino modifiche
della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti,
ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone
omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d'uso,
nonché gli interventi che comportino modificazioni della
sagoma di immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto
legislativo 22.01.2004, n. 42”; mentre il costo di
costruzione non deve essere corrisposto per gli interventi
di ristrutturazione realizzabili con d.i.a..
Significativi dell’esattezza di tale interpretazione si
rivelano il comma 5 dell’art. 22 del D.P.R. n. 380/2001, che
assoggetta al pagamento del costo di costruzione gli
interventi effettuati con d.i.a. solo nel caso in cui questa
sia sostitutiva del permesso di costruire nelle ipotesi
previste nel comma 3, tra le quali si trova l’ipotesi degli
interventi di ristrutturazione assoggettati al regime del
permesso di costruire ai sensi del già indicato art. 10,
comma 1, lettera c), D.P.R. n. 380/2001.
---------------
La giurisprudenza ha precisato che per le opere di
ristrutturazione edilizia (soggette al regime del permesso
di costruire), il pagamento degli concessori è dovuto solo
nel caso in cui l'intervento abbia determinato un aumento
del carico urbanistico.
E’ stato ancora precisato che, ai fini della corresponsione
o meno degli oneri d'urbanizzazione in caso di intervento su
un fabbricato già autorizzato, l'unico legittimo presupposto
dell’imposizione è costituito dalla sussistenza o meno
dell'eventuale maggiore carico urbanistico, dovendosi
considerare illegittima la richiesta del pagamento di tali
maggiori oneri se non si verifica la variazione del carico
urbanistico.
Il fondamento del contributo di urbanizzazione, invero, non
consiste nel titolo edilizio in sé, ma nella necessità di
ridistribuire i costi sociali delle opere di urbanizzazione,
facendoli gravare su quanti beneficiano delle utilità
derivanti dalla presenza delle medesime, secondo modalità
eque per la comunità.
Anche nel caso di modificazione della destinazione d'uso,
cui si correli un maggiore carico urbanistico, è integrato
il presupposto che giustifica l'imposizione del pagamento
della differenza tra gli oneri di urbanizzazione dovuti per
la destinazione originaria e quelli, se più elevati, dovuti
per la nuova destinazione impressa; il mutamento, pertanto,
è rilevante quando sussiste un passaggio tra due categorie
funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico,
qualificate sotto il profilo della differenza del regime
contributivo in ragione di diversi carichi urbanistici.
---------------
Le modifiche della disposizione interna degli ambienti, il
rifacimento di pavimenti e controsoffitti, così come
l’adeguamento o la realizzazione di impianti
igienico-sanitari privati, idraulici o elettrici, non
comportano la necessità del permesso di costruire, mancando
la configurazione di un organismo edilizio in tutto o in
parte diverso dal precedente con “modifiche della volumetria
complessiva degli edifici o dei prospetti” o “mutamenti
della destinazione d'uso” (peraltro rilevanti solo se
relativi a immobili compresi nelle zone omogenee A) o
“modificazioni della sagoma” (peraltro solo sugli immobili
sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo
22.01.2004, n. 42).
Anzi le opere poste in essere appaiono addirittura rientrare
nell’ambito della manutenzione straordinaria di cui art. 3,
comma 1, lett. b), del D.P.R. n. 380/2001.
Gli interventi effettuati, inoltre, per la loro natura non
hanno comportato alcuna variazione del carico urbanistico,
né tale aspetto è stato sollevato dal Comune, trattandosi di
mere opere di rifacimento interno, senza cambi di
destinazione.
Gli oneri concessori richiesti non risultavano, pertanto
dovuti, per due ragioni, ciascuna delle quali autonomamente
sufficiente; ovverosia perché le opere poste in essere non
rientrano nel regime abilitativo del permesso di costruire e
in quanto le stesse non hanno comportato l’aumento del
carico urbanistico.
---------------
... per l'accertamento del diritto della ricorrente alla
restituzione degli importi versati al Comune di Marcianise a
titolo di costo di costruzione in relazione a taluni
interventi edilizi eseguiti presso il Centro Commerciale
Campania;
...
1) In primo luogo il Collegio intende puntualizzare
di trovarsi in una ipotesi di giurisdizione esclusiva,
vertendosi in materia di diritti soggettivi, in quanto
l'art. 133, lett. f), del c.p.a. devolve al giudice
amministrativo "le controversie aventi ad oggetto gli
atti ed i provvedimenti delle pubbliche amministrazioni in
materia urbanistica ed edilizia".
La qualificazione in termini di diritto soggettivo delle
situazioni giuridiche qui coinvolte, deriva dalla
circostanza che, pur in presenza di contestazione circa la
quantificazione o la debenza degli oneri connessi al
permesso di costruire, ci si limita a censurare la misura
del contributo imposto, non l'esercizio del potere al
rilascio del titolo edilizio (Cons. Stato, Sez. IV,
29.10.2015, n. 4950).
2) In secondo luogo, il Collegio rileva
l’infondatezza dell’eccezione di carenza di legittimazione
attiva sollevata dal Comune, e fondata sull’assunto della
mancata dimostrazione della parte ricorrente di essere
titolare dell’immobile in questione; eccezione, peraltro,
formulata in modo del tutto generico.
La società ricorrente, infatti, seppure non ha versato in
atti formale documentazione attestante la sua proprietà
dell’immobile, ha comprovato (né la circostanza è stata
specificamente contestata) di aver essa presentato le C.I.L.
per l’effettuazione dei lavori in questione; e in virtù di
tale circostanza di essere stata tenuta al pagamento degli
oneri di costruzione: ma è appunto tale situazione ad
essere, allora, sufficiente a radicare la sua legittimazione
attiva all’azione e il suo interesse a ricorrere.
3) Nel merito il ricorso si palesa fondato.
L’art. 16 del D.P.R. n. 380/2001 stabilisce, al primo comma,
che il rilascio del permesso di costruire comporta la
corresponsione di un contributo commisurato all'incidenza
degli oneri di urbanizzazione, nonché al costo di
costruzione.
Presupposto per la debenza del costo di costruzione è che
l’intervento rientri nell’ambito di quelli per i quali
l’art. 10 del medesimo del D.P.R. n. 380/2001 prevede il
titolo abilitativo del permesso di costruire.
In tal senso deve essere interpretato anche il comma 10,
dell’art. 16 del D.P.R. n. 380/2001, secondo il quale “nel
caso di interventi su edifici esistenti il costo di
costruzione è determinato in relazione al costo degli
interventi stessi, così come individuati dal comune in base
ai progetti presentati per ottenere il permesso di
costruire. Al fine di incentivare il recupero del patrimonio
edilizio esistente, per gli interventi di ristrutturazione
edilizia di cui all'articolo 3, comma 1, lettera d), i
Comuni hanno comunque la facoltà di deliberare che i costi
di costruzione ad essi relativi siano inferiori ai valori
determinati per le nuove costruzioni”.
Questo comma rileva l’esistenza di interventi di
ristrutturazione edilizia soggetti al pagamento dell’onere,
ma deve essere interpretato nel senso che, in caso di
interventi di ristrutturazione, il costo di costruzione è
dovuto solo qualora le opere medesime richiedano il titolo
abilitativo del permesso di costruire in conformità a
quanto previsto dall’art. 10, comma 1, lett. c) del D.P.R.
n. 380/2001, ovverosia per quelle opere di ristrutturazione
che “che portino ad un organismo edilizio in tutto o in
parte diverso dal precedente e che comportino modifiche
della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti,
ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone
omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d'uso,
nonché gli interventi che comportino modificazioni della
sagoma di immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto
legislativo 22.01.2004, n. 42”; mentre il costo di
costruzione non deve essere corrisposto per gli interventi
di ristrutturazione realizzabili con d.i.a..
Significativi dell’esattezza di tale interpretazione si
rivelano il comma 5 dell’art. 22 del D.P.R. n. 380/2001, che
assoggetta al pagamento del costo di costruzione gli
interventi effettuati con d.i.a. solo nel caso in cui questa
sia sostitutiva del permesso di costruire nelle ipotesi
previste nel comma 3, tra le quali si trova l’ipotesi degli
interventi di ristrutturazione assoggettati al regime del
permesso di costruire ai sensi del già indicato art. 10,
comma 1, lettera c), D.P.R. n. 380/2001.
3.1) Inoltre, la giurisprudenza ha precisato che per le
opere di ristrutturazione edilizia (soggette al regime del
permesso di costruire), il pagamento degli concessori è
dovuto solo nel caso in cui l'intervento abbia determinato
un aumento del carico urbanistico (Cons. Stato Sez. IV,
29.10.2015, n. 4950; Cons. di Stato, Sez. IV, 29.04.2004, n.
2611).
E’ stato ancora precisato che, ai fini della corresponsione
o meno degli oneri d'urbanizzazione in caso di intervento su
un fabbricato già autorizzato, l'unico legittimo presupposto
dell’imposizione è costituito dalla sussistenza o meno
dell'eventuale maggiore carico urbanistico, dovendosi
considerare illegittima la richiesta del pagamento di tali
maggiori oneri se non si verifica la variazione del carico
urbanistico (Cons. Stato Sez. V, 16.06.2009, n. 3847; Cons.
Stato, Sez. IV 29.04.2004 n. 2611; Cons. Stato, Sez. V,
15.09.1997, n. 959, Cons. Stato, Sez. V, 21.01.1992, n. 61 e
27.01.1990 n. 693).
Il fondamento del contributo di urbanizzazione, invero, non
consiste nel titolo edilizio in sé, ma nella necessità di
ridistribuire i costi sociali delle opere di urbanizzazione,
facendoli gravare su quanti beneficiano delle utilità
derivanti dalla presenza delle medesime, secondo modalità
eque per la comunità.
Anche nel caso di modificazione della destinazione d'uso,
cui si correli un maggiore carico urbanistico, è integrato
il presupposto che giustifica l'imposizione del pagamento
della differenza tra gli oneri di urbanizzazione dovuti per
la destinazione originaria e quelli, se più elevati, dovuti
per la nuova destinazione impressa; il mutamento, pertanto,
è rilevante quando sussiste un passaggio tra due categorie
funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico,
qualificate sotto il profilo della differenza del regime
contributivo in ragione di diversi carichi urbanistici
(Cons. Stato Sez. V, 30.08.2013, n. 4326; Consiglio Stato,
sez. IV, 28.07.2005, n. 4014).
3.2) Nel caso specie, gli interventi di cui si discute,
anche a voler ammettere, come sostiene il Comune, che
potessero rientrare nelle opere di ristrutturazione, non
sarebbero comunque da ricomprendere tra quegli interventi
che, ai sensi dell’art. 10, comma 1, lettera c), D.P.R. n.
380/2001, richiedevano il permesso di costruire o, in
alternativa, la d.i.a. cosiddetta sostitutiva.
Le modifiche della disposizione interna degli ambienti, il
rifacimento di pavimenti e controsoffitti, così come
l’adeguamento o la realizzazione di impianti
igienico-sanitari privati, idraulici o elettrici, non
comportano infatti, come previsto da quest’ultimo articolo,
la necessità del permesso di costruire, mancando la
configurazione di un organismo edilizio in tutto o in parte
diverso dal precedente con “modifiche della volumetria
complessiva degli edifici o dei prospetti” o “mutamenti
della destinazione d'uso” (peraltro rilevanti solo se
relativi a immobili compresi nelle zone omogenee A) o “modificazioni
della sagoma” (peraltro solo sugli immobili sottoposti a
vincoli ai sensi del decreto legislativo 22.01.2004, n. 42).
Anzi le opere poste in essere appaiono addirittura rientrare
nell’ambito della manutenzione straordinaria di cui art. 3,
comma 1, lett. b), del D.P.R. n. 380/2001.
La riprova della circostanza che gli interventi in questione
non necessitassero del permesso di costruire, per essere
invece soggetti al regime delle comunicazioni effettuate
dalla ricorrente, è, per vero, nello stesso comportamento
del Comune, atteso che, in caso contrario, avrebbe dovuto
contestare alla medesima parte ricorrente la necessità del
titolo abilitativo concessorio per la realizzazione degli
interventi e non limitarsi a richiedere gli oneri
concessori.
Gli interventi effettuati, inoltre, per la loro natura non
hanno comportato alcuna variazione del carico urbanistico,
né tale aspetto è stato sollevato dal Comune, trattandosi di
mere opere di rifacimento interno, senza cambi di
destinazione.
Gli oneri concessori richiesti non risultavano, pertanto
dovuti, per due ragioni, ciascuna delle quali autonomamente
sufficiente; ovverosia perché le opere poste in essere non
rientrano nel regime abilitativo del permesso di costruire e
in quanto le stesse non hanno comportato l’aumento del
carico urbanistico.
3.3) Per quanto indicato, quindi, il ricorso va accolto, e,
conformemente alla domanda formulata in giudizio, va
dichiarato che gli oneri in questione non risultano dovuti,
e, pertanto, qualora siano stati effettivamente versati, gli
stessi andranno restituiti dal Comune alla parte ricorrente.
A quest’ultimo riguardo, infatti, pur essendo state allegate
agli atti le disposizioni date agli istituti bancari in
merito al pagamento, non è allegata agli atti la prova
dell’avvenuta successiva effettiva corresponsione, per cui,
a fronte della pur generica contestazione della circostanza
da parte del Comune, il Collegio allo stato, non può
disporne la restituzione.
Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda
sottoposta al Collegio, essendo stati toccati tutti gli
aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza
al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e
pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante,
ex plurimis, per le affermazioni più risalenti,
Cassazione civile, sez. II, 22.03.1995 n. 3260 e, per quelle
più recenti, Cassazione civile, sez. V, 16.05.2012 n. 7663).
Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono
stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della
decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione
di tipo diverso (TAR Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 07.04.2016 n. 1769 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
marzo 2016 |
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EDILIZIA PRIVATA:
E’ evidentemente illegittima la pretesa
dell’Amministrazione Comunale di addossare al
titolare di un permesso edilizio, rilasciato oltre
cinque anni prima, l’ulteriore carico finanziario
derivante (a ben vedere) dal meccanismo di
aggiornamento del contributo di costruzione.
Nella fattispecie, effettivamente, il provvedimento
comunale impugnato -recante in oggetto “Recupero
delle somme non versate a titolo di contributo di
costruzione relativamente al permesso di costruire
n. 09 del 16.04.2009 P.E. 65/2007”- accolla ex post
alla ricorrente, in ragione del titolo edilizio
rilasciato oltre cinque anni prima, ulteriori oneri
concessori.
Il Tribunale ritiene di escludere che si sia di
fronte all’esercizio di un potere di autotutela
volto a correggere meri errori di determinazione o
calcolo compiuti all’epoca del rilascio del permesso
di costruire.
A ben vedere, l’attività comunale appare -invece-
orientata ad addossare al privato successivamente al
rilascio del titolo edilizio costi supplementari
derivanti dal meccanismo legale di adeguamento degli
oneri concessori (e, in particolare, della
componente costituita dal costo di costruzione).
Tale meccanismo consente di aggiornare gli importi
ricorrendo, con riferimento alla voce relativa agli
oneri di urbanizzazione, “ai riscontri e prevedibili
costi delle opere di urbanizzazione primaria,
secondaria e generale” (cfr. art. 16, sesto comma,
D.P.R. 06.06.2001 n. 380) o, in relazione alla voce
relativa al costo di costruzione, facendo
“riferimento ai costi massimi ammissibili per
l'edilizia agevolata” su determinazione regionale, e
in assenza di quest’ultima “in ragione
dell'intervenuta variazione dei costi di costruzione
accertata dall'ISTAT” (cfr. art. 16, nono comma,
D.P.R. 06.06.2001 n. 380).
Il procedimento di revisione mira dunque ad adeguare
l’importo degli oneri concessori a fenomeni di
natura sostanzialmente inflattiva -legati
all’aumento generalizzato dei costi di
urbanizzazione o costruzione- in maniera da far
corrispondere a permessi edilizi rilasciati in
epoche diverse un impegno economico sostanzialmente
uniforme sui singoli istanti.
Secondo l’orientamento consolidato della
giurisprudenza amministrativa, fondato sullo stesso
tenore letterale dell’art. 16 del D.P.R. 06.06.2001
n. 380 (“la quota di contributo relativa agli oneri
di urbanizzazione è corrisposta al Comune all'atto
del rilascio del permesso di costruire” e “la quota
di contributo relativa al costo di costruzione,
determinata all'atto del rilascio”), i contributi
concessori devono essere stabiliti al momento del
rilascio del permesso edilizio; a tale momento
occorre dunque avere riguardo per la determinazione
della entità dell’onere facendo applicazione della
normativa vigente al momento del rilascio del titolo
edilizio.
Da tale affermazione di principio si trae il
corollario della irretroattività delle
determinazioni comunali a carattere regolamentare
con cui vengono stabiliti i criteri generali e le
nuove tariffe e modalità di calcolo per gli oneri
concessori ribadendosi l'integrale applicazione del
principio “tempus regit actum” e, quindi, la
irrilevanza ed ininfluenza di disposizioni
tariffarie sopravvenute rispetto al momento del
rilascio della concessione edilizia.
Di conseguenza, deve ritenersi che i provvedimenti
comunali che dispongono l'adeguamento degli oneri
concessori (sia con riferimento alla voce relativa
agli oneri di urbanizzazione, sia in relazione alla
voce inerente al costo di costruzione) possano
trovare applicazione esclusivamente per i permessi
rilasciati a far tempo dall'epoca di adozione
dell'atto deliberativo (avente carattere
regolamentare), e non anche per quelli rilasciati in
epoca anteriore.
Questo Tribunale ritiene, sulla base del dato
normativo e in conformità dell’orientamento
giurisprudenziale consolidato da cui non vi sono
ragioni di discostarsi, che non solo la
determinazione degli oneri concessori debba avvenire
sulla base delle tariffe vigenti ma che la stessa
non possa essere richiesta che una tantum al momento
del rilascio del permesso edilizio senza possibilità
di esigersi pagamenti per annualità successive al
rilascio del titolo.
---------------
Né può condividersi la tesi del Comune resistente
secondo cui, nel particolare caso di specie, si
tratterebbe della rettifica di un mero errore di
calcolo nella determinazione del quantum della voce
relativa al costo di costruzione compiuto dagli
Uffici comunali al momento della liquidazione, in
quanto non corrispondente alle determinazioni
regionali direttamente vigenti al momento del
rilascio del permesso di costruire n. 9 del
16.04.2009.
E’ agevole, infatti, rilevare in proposito che le
previsioni normative vigenti in “subiecta materia”
(art. 16, sesto e nono comma, del D.P.R. 06.06.2001
n. 380 e 2, secondo comma, della Legge Regionale
Pugliese 01.02.2007 n. 1, statuente che: “I Comuni
hanno facoltà di applicare al costo base per
l’edilizia agevolata, come determinato al comma 1, i
criteri per il calcolo del contributo relativo al
costo di costruzione di cui all’Allegato A della
presente legge, motivando adeguatamente le eventuali
riduzioni o incrementi sia in relazione alle
situazioni di bilancio comunale sia in relazione ai
costi di costruzione effettivamente praticati in
loco”) contemplano espressamente ed
inequivocabilmente il necessario esercizio di un
potere regolamentare/tariffario da parte dell’Ente
Comune (in ordine alla quantificazione della misura
dei contributi concessori, vuoi per la componente
relativa agli oneri di urbanizzazione, vuoi per la
componente inerente il costo di costruzione), che
-con ogni evidenza- non può avere effetto
retroattivo ed impedisce (prima della sua concreta
esplicazione) la diretta applicabilità delle
determinazioni regionali modificative degli importi
del costo di costruzione dovuto per le nuove
edificazioni.
---------------
... per l'annullamento della nota prot. n. 7259 del
23.09.2014 a firma del Responsabile del Settore
Servizi Tecnici, notificata in data 01.10.2014, con
la quale il Comune di Arnesano, in rettifica
dell’ammontare del contributo correlato al costo
costruzione a suo tempo richiesto per il rilascio
del permesso di costruire n. 9 del 16.04.2009, ha
intimato alla Società ricorrente il pagamento della
somma di € 9.948,60;
...
La Società ricorrente impugna la nota prot. n. 7259
del 23.09.2014 a firma del Responsabile del Settore
Servizi Tecnici, notificata in data 01.10.2014, con
la quale il Comune di Arnesano, in rettifica
dell’ammontare del contributo correlato al costo
costruzione a suo tempo richiesto per il rilascio
del permesso di costruire n. 9 del 16.04.2009
(impianto carburanti), le ha intimato il pagamento
(entro il termine di sessanta giorni) della somma di
€ 9.948,60, nonché ogni altro atto presupposto,
connesso e/o consequenziale tra cui in particolare
la nota del Responsabile del Settore Servizi Tecnici
prot. n. 5428 dell’08.07.2014.
Chiede, altresì, l’accertamento e la declaratoria
dell’inesistenza del credito vantato dal Comune di
Arnesano a mezzo degli atti sopra indicati.
...
Il ricorso è fondato nel merito e va accolto.
Con la presente impugnativa la Società ricorrente
assume (essenzialmente) che il Comune di Arnesano
abbia (illegittimamente) rideterminato
retroattivamente l’importo del contributo correlato
al costo di costruzione, a distanza di oltre cinque
anni dal rilascio del permesso di costruire n. 9 del
16.04.2009, ultimata l’opera edilizia e saldati il
pagamento degli oneri richiesti.
La doglianza merita di essere condivisa.
Osserva il Collegio che, effettivamente, il
provvedimento comunale impugnato -recante in oggetto
“Recupero delle somme non versate a titolo di
contributo di costruzione relativamente al permesso
di costruire n. 09 del 16.04.2009 P.E. 65/2007”-
accolla ex post alla ricorrente, in ragione
del titolo edilizio rilasciato oltre cinque anni
prima, ulteriori oneri concessori.
Il Tribunale, in seguito alla lettura del
provvedimento contestato, ritiene di escludere che
si sia di fronte all’esercizio di un potere di
autotutela volto a correggere meri errori di
determinazione o calcolo compiuti all’epoca del
rilascio del permesso di costruire.
A ben vedere, l’attività comunale appare -invece-
orientata ad addossare al privato successivamente al
rilascio del titolo edilizio costi supplementari
derivanti dal meccanismo legale di adeguamento degli
oneri concessori (e, in particolare, della
componente costituita dal costo di costruzione).
Tale meccanismo consente di aggiornare gli importi
ricorrendo, con riferimento alla voce relativa agli
oneri di urbanizzazione, “ai riscontri e
prevedibili costi delle opere di urbanizzazione
primaria, secondaria e generale” (cfr. art. 16,
sesto comma, D.P.R. 06.06.2001 n. 380) o, in
relazione alla voce relativa al costo di
costruzione, facendo “riferimento ai costi
massimi ammissibili per l'edilizia agevolata” su
determinazione regionale, e in assenza di
quest’ultima “in ragione dell'intervenuta
variazione dei costi di costruzione accertata
dall'ISTAT” (cfr. art. 16, nono comma, D.P.R.
06.06.2001 n. 380).
Il procedimento di revisione mira dunque ad adeguare
l’importo degli oneri concessori a fenomeni di
natura sostanzialmente inflattiva -legati
all’aumento generalizzato dei costi di
urbanizzazione o costruzione- in maniera da far
corrispondere a permessi edilizi rilasciati in
epoche diverse un impegno economico sostanzialmente
uniforme sui singoli istanti.
Secondo l’orientamento consolidato della
giurisprudenza amministrativa, fondato sullo stesso
tenore letterale dell’art. 16 del D.P.R. 06.06.2001
n. 380 (“la quota di contributo relativa agli
oneri di urbanizzazione è corrisposta al Comune
all'atto del rilascio del permesso di costruire” e
“la quota di contributo relativa al costo di
costruzione, determinata all'atto del rilascio”),
i contributi concessori devono essere stabiliti al
momento del rilascio del permesso edilizio; a tale
momento occorre dunque avere riguardo per la
determinazione della entità dell’onere facendo
applicazione della normativa vigente al momento del
rilascio del titolo edilizio.
Da tale affermazione di principio si trae il
corollario della irretroattività delle
determinazioni comunali a carattere regolamentare
con cui vengono stabiliti i criteri generali e le
nuove tariffe e modalità di calcolo per gli oneri
concessori ribadendosi l'integrale applicazione del
principio “tempus regit actum” e, quindi, la
irrilevanza ed ininfluenza di disposizioni
tariffarie sopravvenute rispetto al momento del
rilascio della concessione edilizia (Cfr. “ex
multis”: TAR Puglia Lecce, III Sezione,
15.01.2013 n. 49).
Di conseguenza, deve ritenersi che i provvedimenti
comunali che dispongono l'adeguamento degli oneri
concessori (sia con riferimento alla voce relativa
agli oneri di urbanizzazione, sia in relazione alla
voce inerente al costo di costruzione) possano
trovare applicazione esclusivamente per i permessi
rilasciati a far tempo dall'epoca di adozione
dell'atto deliberativo (avente carattere
regolamentare), e non anche per quelli rilasciati in
epoca anteriore.
Questo Tribunale ritiene, sulla base del dato
normativo e in conformità dell’orientamento
giurisprudenziale consolidato da cui non vi sono
ragioni di discostarsi, che non solo la
determinazione degli oneri concessori debba avvenire
sulla base delle tariffe vigenti ma che la stessa
non possa essere richiesta che una tantum al
momento del rilascio del permesso edilizio senza
possibilità di esigersi pagamenti per annualità
successive al rilascio del titolo (Cfr. “ex
multis”: TAR Puglia Lecce, III Sezione,
15.01.2013 n. 49).
E’, pertanto, evidentemente illegittima la pretesa
dell’Amministrazione Comunale di Arnesano di
addossare al titolare di un permesso edilizio
rilasciato oltre cinque anni prima l’ulteriore
carico finanziario derivante (a ben vedere) dal
meccanismo di aggiornamento.
Né può condividersi la tesi del Comune resistente
secondo cui, nel particolare caso di specie, si
tratterebbe della rettifica di un mero errore di
calcolo nella determinazione del quantum
della voce relativa al costo di costruzione compiuto
dagli Uffici comunali al momento della liquidazione,
in quanto non corrispondente alle determinazioni
regionali direttamente vigenti al momento del
rilascio del permesso di costruire n. 9 del
16.04.2009.
E’ agevole, infatti, rilevare in proposito che le
previsioni normative vigenti in “subiecta materia”
(art. 16, sesto e nono comma, del D.P.R. 06.06.2001
n. 380 e 2, secondo comma, della Legge Regionale
Pugliese 01.02.2007 n. 1, statuente che: “I
Comuni hanno facoltà di applicare al costo base per
l’edilizia agevolata, come determinato al comma 1, i
criteri per il calcolo del contributo relativo al
costo di costruzione di cui all’Allegato A della
presente legge, motivando adeguatamente le eventuali
riduzioni o incrementi sia in relazione alle
situazioni di bilancio comunale sia in relazione ai
costi di costruzione effettivamente praticati in
loco”) contemplano espressamente ed
inequivocabilmente il necessario esercizio di un
potere regolamentare/tariffario da parte dell’Ente
Comune (in ordine alla quantificazione della misura
dei contributi concessori, vuoi per la componente
relativa agli oneri di urbanizzazione, vuoi per la
componente inerente il costo di costruzione), che
-con ogni evidenza- non può avere effetto
retroattivo ed impedisce (prima della sua concreta
esplicazione) la diretta applicabilità delle
determinazioni regionali modificative degli importi
del costo di costruzione dovuto per le nuove
edificazioni.
In conclusione, per le ragioni esposte, vista
l’illegittimità del provvedimento impugnato, il
ricorso deve essere accolto (TAR Puglia-Lecce, Sez.
III,
sentenza
01.03.2016 n. 404
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
febbraio 2016 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Non assimilabili tipologie eterogenee.
Oneri di urbanizzazione ai raggi X.
Laddove il comune introduca nell'ambito della zonizzazione
destinazioni particolari, come quella a impianti sportivi,
deve tenere conto della relativa tipologia ai fini della
determinazione dei parametri per la quantificazione degli
oneri di urbanizzazione, non potendo procedere ad assimilare
tipologie edilizie del tutto eterogenee.
Ad affermarlo sono stati i giudici della III Sez. del
TAR Toscana con la
sentenza
29.02.2016 n. 372.
I giudici amministrativi fiorentini erano chiamati
ad esprimersi circa l'annullamento del provvedimento di un
comune nella parte in cui con riferimento a una istanza di
sanatoria edilizia presentata da una srl, richiedeva il
«versamento dell'oblazione di cui [ai sensi di legge]» e il
«versamento degli oneri di cui agli artt. 119-121 della Lrt
1/2005 (...)»; nonché di ogni altro atto amministrativo,
presupposto, inerente, conseguente e/o comunque connesso,
ove lesivo; nonché, per l'annullamento del permesso di
costruire in sanatoria rilasciato dal comune nella parte in
cui determinava l'oblazione e gli oneri di urbanizzazione
dovuti dalla Srl; nonché, per l'annullamento, ove lesiva,
della delibera del consiglio comunale recante approvazione
nuovo regolamento per il pagamento degli oneri di
urbanizzazione e del costo di costruzione, e dunque per
l'accertamento della minore somma dovuta dalla ricorrente in
ordine all'istanza di sanatoria de qua e, conseguentemente,
per l'accertamento del diritto della ricorrente ad ottenere
il rimborso della maggiore somma indebitamente corrisposta
dalla medesima, oltre interessi.
Secondo i giudici toscani,
quanto alla contestazione della somma richiesta a titolo di
oblazione per le opere oggetto di sanatoria questa abbia
rilevanza penale. Trattasi, infatti, di strutture che, in
quanto destinate a soddisfare bisogni non meramente
provvisori e transeunti, non possono ritenersi precarie
(Consiglio di stato, sez. VI, 01/12/2014, n. 5934). E che,
inoltre, nemmeno possono considerarsi come opere accessorie
rispetto ad un bene principale in quanto si tratta di
elementi che nel loro insieme concorrono a costituire
(ciascuno per la propria funzione) il complesso sportivo.
Nella sentenza in commento si sottolineava inoltre, come, ai
sensi dell'art. 16, comma 4, del dpr 380 del 2001, l'incidenza
degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria è
stabilita dal consiglio comunale in relazione, fra l'altro,
alle destinazioni di zona previste dagli strumenti
urbanistici vigenti.
Pertanto, poiché circa la contestazione
relativa alle somme richieste a titolo di contributo di
urbanizzazione, che la destinazione ad impianti sportivi, ai
giudici amministrativi non appariva in alcun modo
assimilabile a quella turistico ricettiva ai fini della
determinazione degli oneri, essendo diverso il carico
urbanistico indotto dalle due tipologie di uso del
territorio
(articolo ItaliaOggi Sette del
04.04.2016). |
EDILIZIA PRIVATA: Contributo di costruzione: deve essere fissato al momento
del rilascio del titolo edilizio.
Se i contributi concessori (per entrambe
le componenti, e, quindi, sia con riferimento alla voce
relativa agli oneri di urbanizzazione che in relazione alla
voce inerente al costo di costruzione) devono essere
determinati e liquidati, secondo la lettera della norma, al
momento del rilascio del permesso di costruire, “a tale
momento occorre dunque avere riguardo per l’entità
dell’onere, facendo applicazione della normativa vigente al
momento del rilascio del titolo edilizio”: pertanto, “la
determinazione del contributo di costruzione deve avvenire
sulla base dei parametri vigenti al momento del rilascio del
permesso di costruire”.
Ciò significa che i provvedimenti
comunali di adeguamento dei contributi concessori (sia oneri
di urbanizzazione che costo di costruzione) possono trovare
applicazione esclusivamente “per i permessi rilasciati a far
tempo dall’epoca di adozione dell’atto deliberativo e non
anche per quelli rilasciati in epoca anteriore”, dovendosi
ritenere, sulla base del dato normativo e in conformità
dell’orientamento giurisprudenziale consolidato (da cui non
vi sono ragioni di discostarsi), che “non solo la
determinazione degli oneri debba avvenire sulla base delle
tariffe vigenti, ma che la stessa non possa essere richiesta
che una tantum al momento del rilascio del permesso
edilizio”, salvo l’ipotesi, da un lato, del (doveroso)
esercizio (entro il termine prescrizionale) del potere di
autotutela volto a correggere eventuali meri errori di
determinazione o calcolo, compiuti all’epoca del rilascio
del permesso di costruire, e, dall’altro, della
“riliquidazione …. quando vi sia rilascio di nuovo titolo
edilizio in relazione alla scadenza dell'efficacia temporale
del precedente e per il completamento con mutamento di
destinazione d'uso delle opere assentite in origine” (così
Consiglio di Stato che ha affermato la legittimità del
“ricalcolo degli oneri già corrisposti per la prima
concessione” -decaduta ai sensi dell’art. 15, comma 3, del
D.P.R. n. 380/2001- “applicando anche ad essi la nuova
disciplina (fermo restando, come è ovvio, lo scomputo delle
somme già corrisposte), ….. nella sola ipotesi in cui le
opere assentite col secondo permesso comportino un mutamento
di destinazione d’uso ovvero una variazione essenziale del
manufatto con passaggio da una categoria urbanistica ad
altra funzionalmente autonoma, in tale caso giustificandosi
col maggior carico urbanistico conseguente il ricalcolo
degli oneri dovuto).
Di conseguenza, una volta che la determinazione degli oneri
concessori sia correttamente avvenuta sulla base delle
tabelle vigenti all’epoca del rilascio del permesso di
costruire, né ricorra la seconda ipotesi (di legittimo
“ricalcolo”) appena illustrata, non può che rivelarsi
illegittima la pretesa dell’Amministrazione di addossare ex
post al titolare del permesso edilizio rilasciato anni prima
l’ulteriore carico finanziario derivante dal meccanismo di
aggiornamento.
D’altro canto, la convenienza a realizzare o meno
l’intervento edilizio non può prescindere da una valutazione
degli oneri concessori quale significativa componente del
costo complessivo dello stesso; per cui, un adeguamento del
contributo ex post si tradurrebbe in un’alea insopportabile
per chi, qualora a conoscenza di una diversa e maggiore
entità del contributo, si sarebbe magari astenuto
dall’iniziativa economica intrapresa.
---------------
1. - Il ricorso è fondato.
Fondato ed assorbente è il primo motivo di gravame, con il
quale i ricorrenti assumono (essenzialmente) che, con le
impugnate note (prot. n. 7287 del 24.09.2014 e prot. n. 8219
del 29.10.2014), il Comune di Arnesano abbia
(illegittimamente) rideterminato retroattivamente l’importo
del contributo correlato al costo di costruzione, a distanza
di ben sette anni dal rilascio dei permessi di costruire n.
19 del 23.04.2007 e n. 58 del 17.10.2007, ad avvenuto saldo
del pagamento degli oneri richiesti, in violazione dell’art.
16 del D.P.R. n. 380/2001 e dell’art. 2 della L.R. n.
1/2007.
1.1 - Osserva il Collegio che l’art. 16 del D.P.R n.
380/2001 stabilisce che “la quota di contributo relativa
agli oneri di urbanizzazione va corrisposta al comune
all’atto del rilascio del permesso di costruire e, su
richiesta dell’interessato, può essere rateizzata”
(comma 2), mentre “la quota di contributo relativa al
costo di costruzione, determinata all’atto del rilascio, è
corrisposta in corso d’opera, con le modalità e le garanzie
stabilite dal comune, non oltre sessanta giorni dalla
ultimazione della costruzione” (comma 3).
Se i contributi concessori (per entrambe le componenti, e,
quindi, sia con riferimento alla voce relativa agli oneri di
urbanizzazione che in relazione alla voce inerente al costo
di costruzione) devono essere determinati e liquidati,
secondo la lettera della norma, al momento del rilascio del
permesso di costruire, “a tale momento occorre dunque
avere riguardo per l’entità dell’onere, facendo applicazione
della normativa vigente al momento del rilascio del titolo
edilizio” (TAR Puglia, Lecce, III, 27.09.2013, n. 2058):
pertanto, “la determinazione del contributo di
costruzione deve avvenire sulla base dei parametri vigenti
al momento del rilascio del permesso di costruire” (TAR
Puglia, Lecce, III, 15.05.2013, n. 1103, in tal senso anche
Consiglio di Stato, IV, 12.06.2014, n. 3010; idem,
19.03.2015, n. 1504).
Ciò significa che i provvedimenti comunali di adeguamento
dei contributi concessori (sia oneri di urbanizzazione che
costo di costruzione) possono trovare applicazione
esclusivamente “per i permessi rilasciati a far tempo
dall’epoca di adozione dell’atto deliberativo e non anche
per quelli rilasciati in epoca anteriore” (TAR Puglia,
Lecce, III, cit., n. 48/2013), dovendosi ritenere, sulla
base del dato normativo e in conformità dell’orientamento
giurisprudenziale consolidato (da cui non vi sono ragioni di
discostarsi), che “non solo la determinazione degli oneri
debba avvenire sulla base delle tariffe vigenti, ma che la
stessa non possa essere richiesta che una tantum al momento
del rilascio del permesso edilizio” (TAR Lecce, III,
cit., n. 1103/2013), salvo l’ipotesi, da un lato, del
(doveroso) esercizio (entro il termine prescrizionale) del
potere di autotutela volto a correggere eventuali meri
errori di determinazione o calcolo, compiuti all’epoca del
rilascio del permesso di costruire, e, dall’altro, della “riliquidazione
…. quando vi sia rilascio di nuovo titolo edilizio in
relazione alla scadenza dell'efficacia temporale del
precedente e per il completamento con mutamento di
destinazione d'uso delle opere assentite in origine”
(così Consiglio di Stato, IV, 19.03.2015, n. 1504, con
relativo richiamo a Consiglio di Stato, IV, 27.04.2012, n.
2471, che ha affermato la legittimità del “ricalcolo
degli oneri già corrisposti per la prima concessione”
-decaduta ai sensi dell’art. 15, comma 3, del D.P.R. n.
380/2001- “applicando anche ad essi la nuova disciplina
(fermo restando, come è ovvio, lo scomputo delle somme già
corrisposte), ….. nella sola ipotesi in cui le opere
assentite col secondo permesso comportino un mutamento di
destinazione d’uso ovvero una variazione essenziale del
manufatto con passaggio da una categoria urbanistica ad
altra funzionalmente autonoma, in tale caso giustificandosi
col maggior carico urbanistico conseguente il ricalcolo
degli oneri dovuto (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 29.04.2004,
nr. 2611; Cons. Stato, sez. V, 25.05.2004, nr. 6289; id.,
23.01.2004, nr. 174; id., 29.01.2004, nr. 295; id.,
24.09.2001, nr. 1427)”).
Di conseguenza, una volta che la determinazione degli oneri
concessori sia correttamente avvenuta sulla base delle
tabelle vigenti all’epoca del rilascio del permesso di
costruire, né ricorra la seconda ipotesi (di legittimo “ricalcolo”)
appena illustrata, non può che rivelarsi illegittima la
pretesa dell’Amministrazione di addossare ex post al
titolare del permesso edilizio rilasciato anni prima
l’ulteriore carico finanziario derivante dal meccanismo di
aggiornamento.
D’altro canto, la convenienza a realizzare o meno
l’intervento edilizio non può prescindere da una valutazione
degli oneri concessori quale significativa componente del
costo complessivo dello stesso; per cui, un adeguamento del
contributo ex post si tradurrebbe in un’alea
insopportabile per chi, qualora a conoscenza di una diversa
e maggiore entità del contributo, si sarebbe magari astenuto
dall’iniziativa economica intrapresa (TAR Puglia-Lecce, Sez. III,
sentenza 17.02.2016 n. 326 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Oneri di urbanizzazione. Destinazione e
qualificazione delle entrate derivanti dai permessi di
costruzione e dalle relative sanzioni.
Un sindaco ha chiesto un parere in merito alla possibilità
di continuare a destinare i proventi da concessioni edilizie
e relative sanzioni al finanziamento delle spese di
manutenzione ordinaria del patrimonio comunale contabilmente
inserite nella spesa corrente.
I magistrati contabili della Lombardia hanno ricordato che
l’allocazione in bilancio e la conseguente corretta
utilizzazione delle entrate derivanti dai contributi per il
rilascio dei permessi di costruire è stata oggetto di
ripetute modifiche da parte del legislatore.
Di recente, la legge n. 208/2015, entrata in vigore il
giorno 01.01.2016, è intervenuta in materia, stabilendo che
“per gli anni 2016 e 2017, i proventi delle
concessioni edilizie e delle sanzioni previste dal testo
unico delle disposizioni legislative e regolamentari in
materia edilizia, di cui al decreto del Presidente della
Repubblica 06.06.2001, n. 380, fatta eccezione per le
sanzioni di cui all’articolo 31, comma 4-bis, del medesimo
testo unico” –le quali, per espressa previsione del
successivo comma 4-ter, spettano al comune e sono destinate
esclusivamente alla demolizione ed alla rimessione in
pristino delle opere abusive, nonché all’acquisizione ed
all’attrezzatura di aree destinate a verde pubblico–, “possono
essere utilizzati per una quota pari al 100 per cento per
spese di manutenzione ordinaria del verde, delle strade e
del patrimonio comunale, nonché per spese di progettazione
delle opere pubbliche” (art. 1, comma 737).
Tale disposizione contiene una specifica previsione
facoltizzante, circa la destinazione dell’entrata, di cui
l’ente, nella propria autonomia, potrà dunque avvalersi
negli anni 2016 e 2017 e viene a configurare un’espressa
disciplina, parzialmente derogatoria rispetto al regime
ordinario d’imputazione di detti proventi, che tuttavia
conferma a contrario, sotto il profilo concettuale, la
tendenziale annoverabilità degli stessi, quantomeno pro
parte, fra quelli di parte capitale (tanto che per destinare
integralmente tali entrate a spese di parte corrente il
legislatore ha ritenuto necessario dettare una disposizione
ad hoc) (commento tratto da www.self-entilocali.it).
---------------
Il Sindaco del Comune di Cernusco sul Naviglio (MI)
–dopo aver ricordato il contenuto precettivo:
a) dell’art.
49, comma 7, della legge n. 449 del 1997
(che ammette la destinazione di alcuni proventi delle
concessioni edilizie e delle relative sanzioni al
finanziamento delle spese di manutenzione del patrimonio
comunale);
b) dell’art.
2, comma 8, della legge n. 244 del 2007 (che ha invece
stabilito, per gli anni 2008, 2009 e 2010, la possibilità di
destinare i proventi delle concessioni edilizie e delle
relative sanzioni, nella misura non superiore al cinquanta
per cento, al finanziamento delle spese correnti e, in
misura non superiore al venticinque per cento,
esclusivamente alle spese di manutenzione ordinaria del
verde, delle strade e del patrimonio comunale);
c) dell’art. 2, comma 41, della legge n. 11 del 2010 (recte:
del decreto legge n. 225 del 2010, convertito con
modificazioni dalla legge n. 11 del 2010); dell’art. 10,
comma 4-ter, del decreto legge n. 35 del 2013, convertito
con modificazioni dalla legge n. 64 del 2013, e dell’art. 1,
comma 536, della legge n. 190 del 2014 (che hanno
progressivamente prorogato la vigenza di tale previsione
sino a tutto il 2015)– ha posto alla Sezione il seguente
quesito:
●
se, in mancanza di analoga previsione per il 2016, in
considerazione della (asseritamente) non abrogata previsione
di cui all’art.
49, comma 7, della legge n. 449 del 1997, sia
possibile per l’ente continuare a destinare i proventi da
concessioni edilizie e relative sanzioni, secondo la
previsione da ultimo riportata, al finanziamento delle spese
di manutenzione ordinaria del patrimonio comunale
contabilmente inserite nella spesa corrente.
...
1.- In via preliminare, la Sezione precisa che la decisione
di procedere ad una determinata spesa attiene al merito
dell’azione amministrativa e rientra, pertanto, nella piena
ed esclusiva discrezionalità e responsabilità dell’ente;
spetta altresì all’ente procedere alle attività
amministrative e giuscontabili conseguenti alla
qualificazione della spesa, oggetto del presente parere.
2.- Ciò posto, si osserva che la richiesta attiene ad un
complesso normativo già ampiamente scandagliato dalle
Sezioni regionali di questa Corte (v., sistematicamente, la
deliberazione 27.11.2013 n. 123
della Sezione regionale di controllo per la
Basilicata e la deliberazione n. 168/2013/PAR
della Sezione
regionale di controllo per il Piemonte). A
fini di chiarezza e coerenza sistematica, è necessario
muovere da quanto affermato nelle richiamate deliberazioni.
In esse, in particolare, s’era già rilevato che
l’allocazione in bilancio e la conseguente corretta
utilizzazione delle entrate derivanti dai contributi per il
rilascio dei permessi di costruire è stata oggetto di
ripetute modifiche da parte del legislatore. Prima
dell’attuale “contributo per permesso di costruire”,
i Comuni riscuotevano infatti gli “oneri di
urbanizzazione” previsti dalla legge n. 10 del 1977, che
subordinava la concessione edilizia alla corresponsione di
un contributo commisurato all'incidenza delle spese di
urbanizzazione, nonché al costo di costruzione (art. 3).
I proventi delle concessioni erano versati in un conto
corrente vincolato presso la tesoreria del comune ed erano
espressamente destinati alla realizzazione delle opere di
urbanizzazione primaria e secondaria, al risanamento di
complessi edilizi compresi nei centri storici,
all'acquisizione delle aree da espropriare per la
realizzazione dei programmi pluriennali di cui all'art. 13,
“nonché, nel limite massimo del 30 per cento, a spese di
manutenzione ordinaria del patrimonio comunale” (art.
12, come modificato dall’art. 16-bis del decreto legge n.
318 del 1986, convertito con modificazioni dalla legge n.
488 del 1986).
L’art. 49, comma 7, della legge n. 449 del 1997, senza
novellare il testo del predetto art. 12, ha stabilito, come
s’è visto, che i proventi delle concessioni edilizie e delle
sanzioni “di cui all'articolo 18 della legge 28.01.1977,
n. 10, e successive modificazioni” (cioè relative ai
lavori assentiti prima dell’entrata in vigore della predetta
legge) e “all'articolo 15 della medesima legge, come
sostituito ai sensi dell'articolo 2 della legge 28.02.1985,
n. 47” (relative cioè, in generale, alle opere soggette
al novellato regime concessorio) potevano essere destinati “anche”
al finanziamento di spese di manutenzione del patrimonio
comunale. Tale previsione non fissava alcun limite
all’impiego e non indicava la natura, ordinaria o
straordinaria, della manutenzione.
In quel contesto si era già chiarito che tale ultima
disposizione, in virtù di un’interpretazione
logico-sistematica (basata sulla locuzione “anche”),
permetteva nella sostanza un superamento delle soglie
d’impiego di cui all’art. 12 della legge n. 10 del 1977 e
quindi veniva ad affiancarsi ad essa (v. ancora quanto
ricordato dalla Sezione regionale di controllo per la
Basilicata nella
deliberazione 27.11.2013 n. 123).
3.- L’art. 136, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001 ha
successivamente abrogato espressamente, nel ridisciplinare
interamente la materia, anche l’art. 12 della legge n. 10
del 1977; l’art. 16, comma 1, ha al contempo introdotto il
contributo per il rilascio del permesso di costruire,
commisurato all’incidenza degli oneri di urbanizzazione,
nonché al costo di costruzione. Tale contributo –come emerge
dall’ermeneusi congiunta dell’art. 12, primo comma, e
dell’art. 16, secondo comma, del medesimo testo unico– mira
in primis a bilanciare il costo derivante all’ente
dal consumo del territorio, sub specie in particolare della
realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria
necessarie ad inserire il realizzando immobile nel tessuto
urbano (fatto sta che è rimessa al privato la facoltà di
realizzare parte di tali opere a scomputo del predetto
contributo).
In definitiva, come questa Sezione ha già avuto modo di
rilevare, la natura del contributo di costruzione è pertanto
assimilabile a quella dei precedenti oneri, poiché il
pagamento di entrambi è motivato dal rilascio della
concessione, ora permesso, ad eseguire interventi di
trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio
(deliberazione n. 1/pareri/2004).
A parere di altre Sezioni regionali di questa Corte e
condivise da questa Sezione l’intervento normativo organico
di settore, rappresentato dal citato testo unico, ha
determinato la tacita abrogazione –in via consequenziale–
anche del citato art. 49, comma 7, della legge n. 449 del
1997, in quanto nel sistema normativo così ridefinito gli
espressi riferimenti normativi contenuti nel predetto comma
7 venivano inevitabilmente a “cadere nel vuoto”; ciò
ha determinato l’ulteriore conseguenza, in mancanza di una
diversa ed espressa previsione di legge, del venir meno
della relativa facoltà, ivi stabilita, di destinazione dei
proventi riscossi a titolo di contributi per il rilascio del
permesso di costruire (v. ancora Sezione regionale di
controllo per la Basilicata,
deliberazione 27.11.2013 n. 123;
Sezione controllo Piemonte, deliberazione n. 168/2013/SRCPIE/PAR).
Tale interpretazione trova altresì conferma nella circolare
07.04.2004, n. 39656, della Ragioneria Generale dello Stato,
la quale ha affermato che, alla luce del novellato quadro
normativo, “i proventi derivanti dalle
concessioni edilizie non sono più soggetti al vincolo di
destinazione per chiara espressione di volontà del
legislatore, che ha voluto attribuire agli enti locali piena
discrezionalità nell'utilizzo di tali risorse,
evidenziandone così la loro natura tributaria”.
Tale constatazione, privando del presupposto interpretativo
l’argomentazione avanzata dall’ente nella formulazione della
richiesta di parere, già di per sé permette di risolvere la
relativa questione di diritto; tuttavia, interpretando in
termini sostanziali detta richiesta, questa Sezione ritiene
di dover prendere posizione circa la destinazione a bilancio
di dette entrate, questione effettivamente oggetto del
dubbio del comune istante; ciò implica la necessità di
esaminare la natura giuridica di tali entrate e la relativa
disciplina giuridica complessiva.
4.– Al riguardo, si deve ricordare che, in conseguenza del
venir meno di un’espressa destinazione, s’era in quel
contesto sottolineato che l’entrata derivante dal rilascio
dei permessi di costruire finisse per confluire nel totale
delle entrate –ed in particolare, s’è ritenuto, in quelle di
natura tributaria– che intrinsecamente sono destinate a
finanziare il totale delle spese, secondo il principio
dell’unità di bilancio (art. 162, comma 2, T.U.E.L.), con
l’ulteriore conseguenza della riallocazione di queste
risorse, in considerazione del venir meno del predetto
vincolo legislativo di destinazione di cui all’art. 12 della
legge n. 10 del 1977 e ss.mm.ii., tra quelle che
contribuiscono complessivamente a determinare gli equilibri
di bilancio ex art. 193, comma 3, del T.U.E.L. (cfr. ancora
questa Sezione, deliberazione 1/parere/2004; cfr. altresì la
predetta circolare della Ragioneria Generale dello Stato ed
il Principio contabile n. 2, par. 20, dei “Principi
contabili per gli Enti locali” elaborati nel 2004,
principio che ha ritenuto detta entrata ascrivibile al
Titolo I dell’Entrata, cioè alle entrate tributarie).
Peraltro, se tale allocazione da un lato, in quel medesimo
contesto, ha portato a considerare astrattamente l’entrata
come liberamente disponibile per il finanziamento (anche) di
spese correnti, dall’altro, essa non ha fatto venir meno la
natura intrinsecamente aleatoria e irripetibile della
risorsa stessa, natura che trova una conferma nella
specifica forma di accertamento per essa prevista dei
Principi contabili del 2004 (accertamento effettuato sulla
base degli introiti effettivi); pertanto tale risorsa, anche
nel sistema derivante dall’entrata in vigore del d.P.R. n.
380 del 2001, non avrebbe comunque potuto essere destinata a
finanziare spese correnti consolidate e ripetibili, come
ripetutamente rilevato anche da questa Sezione (v. fra le
ultime, sul punto, le deliberazioni nn. 382/2015/PRSE;
360/2015/PRSE; 160/2015/PRSE; 155/2015/PRSE; 152/2015/PRSE).
5.– Sul punto il legislatore è successivamente intervenuto
più volte ed ha delineato un complessivo orientamento,
composto dal susseguirsi di disposizioni aventi un’efficacia
temporalmente limitata, che deve essere in questa sede
attentamente valutato:
a) già con l’art. 1, comma 43, della legge n. 311 del 2004, il
legislatore ha infatti ritenuto opportuno reintrodurre
limiti all’utilizzo dei proventi delle concessioni edilizie
per il finanziamento delle spese correnti, stabilendo che “(i)
proventi delle concessioni edilizie e delle sanzioni
previste dal testo unico di cui al decreto del Presidente
della Repubblica 06.06.2001, n. 380, possono essere
destinati al finanziamento delle spese correnti entro il
limite del 75 per cento per l’anno 2005 e del 50 per cento
per il 2006”;
b) con l’art. 1, comma 713, della legge n. 296 del 2006 ha poi
stabilito che dette entrate, per l'anno 2007, potessero
essere utilizzate per una quota non superiore al 50 per
cento per il finanziamento di spese correnti e per una quota
non superiore ad un ulteriore 25 per cento esclusivamente
per spese di manutenzione ordinaria del patrimonio comunale;
c) con l’art.
2, comma 8, della legge n. 244 del 2007
ha infine disposto che detti proventi, per gli anni 2008,
2009 e 2010, potessero essere utilizzati per una quota non
superiore al 50 per cento per il finanziamento di spese
correnti e per una quota non superiore ad un ulteriore 25
per cento esclusivamente per spese di manutenzione ordinaria
del verde, delle strade e del patrimonio comunale;
d) l’efficacia di tale ultima disposizione è stata successivamente
estesa agli anni 2011 e 2012 dal comma 41 dell'art. 2 del
decreto legge n. 225 del 2010, convertito con modificazioni
dalla legge n. 10 del 2011; agli anni 2013 e 2014 dal comma
4-ter dell’art. 10 del decreto legge n. 35 del 2013,
convertito con modificazioni dalla legge n. 64 del 2013, ed
in ultimo a tutto il 2015 dal comma 536 dell'art. 1 della
legge n. 190 del 2014.
Al contempo, il comma 3 dell’art. 4 della legge n. 10 del
2013 –con una previsione entrata in vigore il 16.02.2013 e
tuttavia già abrogata a far data dal 01.01.2015 ad opera
dell’art. 77, comma 1, lett. g), del decreto legislativo n.
118 del 2011, come modificato dal decreto legislativo n. 126
del 2014– ha stabilito, con una disposizione d’indole
generale, che “(l)e
maggiori entrate derivanti dai contributi per il rilascio
dei permessi di costruire e dalle sanzioni previste dal
testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari
in materia edilizia, di cui al decreto del Presidente della
Repubblica 06.06.2001, n. 380, sono destinate alla
realizzazione di opere pubbliche di urbanizzazione, di
recupero urbanistico e di manutenzione del patrimonio
comunale in misura non inferiore al 50 per cento del totale
annuo”.
Tale ultima disposizione, sia pure già espressamente
abrogata ad opera del legislatore, è stata fatta oggetto
d’interpretazione da parte delle Sezioni regionali di
controllo di questa Corte (v. in particolar modo Sezione
controllo Piemonte, deliberazione n. 168/2013/PAR).
In quella sede s’è chiarito che, in assenza
di una proroga delle disposizioni prima richiamate (facoltizzanti
l’impiego di detti proventi per la parziale copertura della
spesa corrente), si sarebbe necessariamente determinata
l’impossibilità di procedure ad un’imputazione siffatta:
infatti l’obbligo di destinare i proventi a sole spese di
investimento sarebbe derivato direttamente dall’art. 162,
comma 6, del T.U.E.L., nel testo all’epoca vigente, e
dall’art. 9, comma 1, lett. b), dalla legge n. 243 del 2012,
il quale stabilisce l’obbligo di perseguire un equilibrio di
bilancio inteso non solo come saldo non negativo, in termini
di competenza e di cassa, tra le entrate finali e le spese
finali, ma anche quale saldo non negativo, sempre in termini
di competenza e di cassa, tra le entrate correnti e le spese
correnti, incluse le quote di capitale delle rate di
ammortamento dei prestiti.
Ne conseguiva che il richiamato comma 3
dell’art. 4 della legge n. 10 del 2013 veniva qualificato in
definitiva come una previsione vincolante una quota dei
proventi in parola a “determinate spese correlate al tipo
di entrata, ma pur sempre nell’ambito di una destinazione
complessiva a spese di investimento”;
in quest’ottica ne conseguiva ulteriormente,
secondo quanto affermato dalla Sezione regionale,
che il riferimento a spese di “manutenzione del
patrimonio comunale”,
in quella previsione contenuto, dovesse
essere comunque interpretato nel senso di riferirsi, per
avere interventi effettivamente così finanziabili, ad opere
“di manutenzione straordinaria del patrimonio”.
Tale ultima interpretazione –successivamente, come s’è
detto, privata di base legale in virtù dell’abrogazione del
richiamato comma 3 dell’art. 4– è comunque indice
–unitamente al predetto orientamento legislativo, letto a
contrario– di un’evoluzione del quadro normativo nel senso
del progressivo riconoscimento, ai proventi collegati
all’assentimento dell’attività edificatoria, della natura di
entrata di parte capitale.
6.- Tuttavia tale complessiva
qualificazione,
valida nel suo significato generale, deve
essere declinata in maniera più analitica,
a parere di questa Sezione, a seconda delle
diverse componenti in cui concretamente si articola
l’entrata derivante dal rilascio dei permessi di costruire,
componenti mantenute distinte, come si vedrà, anche dal
principio 3.11. dell’Allegato 4/2 al decreto legislativo n.
118 del 2011.
In effetti, secondo quanto già affermato da questa Corte (v.
Sezione regionale di controllo per il Veneto, deliberazione
n. 219/2015/PAR) –peraltro sulla scorta anche dell’ampia
giurisprudenza amministrativa resa in materia (v. in
generale TAR Lombardia, Brescia, sez. I, 03.05.2014, n. 464;
Consiglio di Stato, Sez. IV, 20.12.2013, n. 6160; TAR
Lombardia, Brescia, sez. II, 25.03.2011, n. 469; Consiglio
di Stato, sez. V, 23.01.2006, n. 159)– va specificamente
rilevato che il contributo collegato all’assentimento
dell’attività edilizia si compone invero di due distinti
elementi:
●
uno,
di natura contributiva,
afferente alle spese per l’urbanizzazione del territorio, e
che costituisce pertanto una modalità di concorso del
privato agli “oneri sociali” derivanti
dall’incremento del carico urbanistico;
●
l’altro, di natura impositiva,
conseguente invece all’aumento della capacità contributiva
del titolare dell’opera, in ragione dell’incremento, in
virtù dell’assentimento dell’attività edilizia, del
patrimonio immobiliare detenuto da quest’ultimo soggetto;
mentre il contributo sul costo di costruzione consiste in
una prestazione patrimoniale ascrivibile alla categoria dei
tributi locali, in quanto il prelievo non si basa, come nel
caso degli oneri di urbanizzazione, sui costi collettivi
derivanti dall’insediamento di un nuovo edificio, ma
sull’incremento di ricchezza immobiliare determinato
dall’intervento edilizio stesso, gli oneri propriamente di
urbanizzazione sono invece ascrivibili alla categoria dei “corrispettivi
di diritto pubblico” e sono, conseguentemente, dovuti in
ragione dell’obbligo del privato di partecipare ai costi
delle opere di trasformazione del territorio di cui in
definitiva si giova.
Come s’è detto, tale natura “corrispettiva” emerge
con evidenza da più indici normativi, sia derivanti dalla
possibilità di scomputare le opere pubbliche realizzate dal
privato dagli oneri dovuti, sia connessi alla possibilità di
escludere specifiche attività edilizie, in determinate
ipotesi, dal versamento dal contributo sul costo di
costruzione, ma non dal versamento degli oneri di
urbanizzazione (v. le ipotesi contemplate dagli artt. 17 e
18, da un lato, e dall’art. 19, dall’altro, del d.P.R. n.
380 del 2001; cfr. altresì l’art. 43, comma 2-ter, della
legge della Regione Lombardia n. 12 del 2005).
Quanto alla corretta allocazione in
bilancio e utilizzazione delle entrate derivanti dal
rilascio dei permessi di costruire,
in generale e sul presupposto dell’assenza di specifiche
normative applicabili, non può dunque che
muoversi dal riconoscimento di tale natura duale
dell’entrata,
peraltro affermata, nell’àmbito dell’armonizzazione, anche
dal principio 3.11. dell’Allegato 4/2 al decreto legislativo
n. 118 del 2011, come modificato dal decreto legislativo n.
126 del 2014, il quale correttamente evidenzia che “(l)'obbligazione
per i permessi di costruire è articolata in due quote”:
●
“(l)a prima (oneri di
urbanizzazione) è
immediatamente esigibile, ed è collegata al rilascio del
permesso al soggetto richiedente, salva la possibilità di
rateizzazione (eventualmente garantita da fidejussione),
●
la seconda (costo
di costruzione) è
esigibile nel corso dell'opera ed, in ogni caso, entro 60
giorni dalla conclusione dell'opera”
medesima, con le relative conseguenze in tema d’accertamento
ed imputazione (infatti “la prima quota è
accertata e imputata nell'esercizio in cui avviene il
rilascio del permesso, la seconda è accertata a
seguito della comunicazione di avvio lavori e imputata
all'esercizio in cui, in ragione delle modalità stabilite
dall'ente, viene a scadenza la relativa quota”; cfr. al
riguardo anche gli artt. 38, comma 7-bis, e 43 ss. della
legge della Regione Lombardia n. 12 del 2005).
Alla luce di tale considerazione, sempre in generale e sul
presupposto dell’assenza di specifiche normative applicabili
(cioè nell’ottica in cui è stata emessa la richiesta di
parere), si deve conseguentemente rilevare
che le entrate connesse al versamento degli oneri di
urbanizzazione hanno necessariamente natura di entrate
di parte capitale, derivando in definitiva dal “consumo”
del suolo, cioè dall’irreversibile (almeno in linea
tendenziale) impiego di un bene pubblico, ed essendo
intrinsecamente destinate alla realizzazione di opere, volte
al razionale e salubre impiego dello stesso, destinate
comunque ad incrementare il “patrimonio immobiliare”
dell’ente, sub specie di realizzazione (diretta o indiretta)
di beni rientranti nelle categorie, a seconda delle
evenienze, del demanio
(ad es. strade, piazze, acquedotti, v. gli artt. 822,
secondo comma, e 824 c.c.), o del
patrimonio indisponibile
(v. al riguardo l’art. 826, terzo comma, c.c.).
In tali ipotesi infatti si verte nell’ambito di entrate
naturalmente destinate all’incremento dei beni annoverabili
nel “patrimonio” latamente inteso dell’ente e che,
come tali, devono essere rappresentate nel bilancio; in
particolare la naturale allocazione di tali entrate è dunque
tra le risorse di parte capitale, ordinariamente
utilizzabili solo per spese di investimento, salvo le
eccezioni di legge (art. 162, comma 6, del T.U.E.L.; v. per
la nozione d’investimento l’art. 3, comma 18, della legge n.
350 del 2003).
Quanto invece alle entrate connesse al
versamento dei contributi sul costo di costruzione,
la natura tributaria delle stesse le fa invece
necessariamente riconfluire, come già rilevato da questa
Sezione nella deliberazione n. 1/pareri/2014, nel totale
delle entrate che, come tali, in virtù del principio
dell’unità di bilancio
(art. 162, comma 2, del T.U.E.L.),
finiscono coll’esser destinate a finanziare il totale delle
spese, con l’ulteriore conseguenza della riallocazione di
queste risorse tra quelle che contribuiscono
complessivamente a determinare gli equilibri di bilancio ex
art. 193, comma 3, del T.U.E.L.
La diversa modalità d’accertamento e
d’imputazione delle due “quote” dell’entrata
induce a ritenere che non vi sia invero rischio di
commistione fra le stesse
(v. ancora il principio 3.11. dell’Allegato 4/2 al decreto
legislativo n. 118 del 2011, come modificato dal decreto
legislativo n. 126 del 2014).
Discorso analogo –sempre sui medesimi presupposti
prima indicati– deve essere fatto anche per le entrate
connesse alle sanzioni in materia edilizia, stante la
natura intrinsecamente “accessoria” delle stesse
rispetto alla disciplina sostanziale la cui violazione
risulta tramite esse sanzionata
(arg. ex Corte costituzionale, sentenze nn. 350 e 365 del
1991; 307 e 362 del 2003): da un’attenta
ricostruzione del dato normativo s’evince infatti come
alcune di tali sanzioni si ricollegano alla realizzazione di
opere di “straordinaria amministrazione”, di modo che
seguono la propria intrinseca natura di entrate latamente di
parte capitale
(cfr. ad es. gli artt. 31, comma 4-ter, e 33, comma 6, del
d.P.R. n. 380 del 2001), mentre altre
svolgono funzioni diverse, di deterrenza o di oblazione
(v. gli artt. 33, comma 2; 34, comma 2; 36, comma 2; 37,
commi 1, 2, 3, 4 e 5; 38, comma 1 del d.P.R. n. 380 del
2001), che necessariamente le avvicinano a
quel fenomeno impositivo/tributario che genera entrate
destinate a coprire, per il principio dell’unità del
bilancio, la generalità delle spese.
7.- Peraltro, la recente legge n. 208 del 2015, entrata in
vigore il giorno 01.01.2016, è intervenuta in materia,
stabilendo che "(p)er gli anni 2016 e
2017, i proventi delle concessioni edilizie e delle sanzioni
previste dal testo unico delle disposizioni legislative e
regolamentari in materia edilizia, di cui al decreto del
Presidente della Repubblica 06.06.2001, n. 380, fatta
eccezione per le sanzioni di cui all'articolo 31, comma
4-bis, del medesimo testo unico” –le quali, per espressa
previsione del successivo comma 4-ter, spettano al comune e
sono destinate esclusivamente alla demolizione ed alla
rimessione in pristino delle opere abusive, nonché
all'acquisizione ed all'attrezzatura di aree destinate a
verde pubblico–, “possono essere utilizzati per una quota
pari al 100 per cento per spese di manutenzione ordinaria
del verde, delle strade e del patrimonio comunale, nonché
per spese di progettazione delle opere pubbliche”
(art. 1, comma 737).
Tale disposizione contiene una specifica
previsione facoltizzante, circa la destinazione
dell’entrata, di cui l’ente, nella propria autonomia, potrà
dunque avvalersi negli anni 2016 e 2017 e viene a
configurare un’espressa disciplina, parzialmente derogatoria
rispetto al regime ordinario d’imputazione di detti
proventi, che tuttavia conferma a contrario, sotto il
profilo concettuale, la tendenziale annoverabilità degli
stessi, quantomeno pro parte, fra quelli di parte capitale
(tanto che per destinare integralmente tali entrate a spese
di parte corrente il legislatore ha ritenuto necessario
dettare una disposizione ad hoc).
8.- Spetta al Comune di Cernusco sul Naviglio, sulla base
dei principi espressi dalla giurisprudenza contabile, oltre
che da questo stesso parere, valutare la fattispecie
concreta al fine di addivenire, nel caso di specie, al
migliore esercizio possibile del proprio potere di
autodeterminazione in riferimento alla corretta copertura
della spesa, nel rispetto del quadro legislativo ratione
temporis di volta in volta applicabile, anche in
considerazione della natura propria dello specifico
intervento concretamente realizzato (Corte dei Conti, Sez. controllo Lombardia,
parere 09.02.2016 n. 38). |
dicembre 2015 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
OGGETTO: Oneri di urbanizzazione secondaria –
destinazione della quota spettante alle chiese ed altri
edifici per servizi religiosi - Parere (Regione Emilia
Romagna,
parere 04.12.2015 n. 862614 di prot.). |
novembre 2015 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Gli oneri di urbanizzazione sono dovuti dall’intestatario
della concessione o da colui al quale essa è volturata e
relativi eredi, ovvero da chi esegue le opere di
trasformazione urbana, ma non anche dall’acquirente
dell’immobile.
Ai sensi dell'art. 16, d.P.R. 06.06.2001 n. 380, il
contributo afferente al permesso di costruire, commisurato
all'incidenza degli oneri di urbanizzazione nonché al costo
di costruzione, è determinato e liquidato all'atto del
rilascio del titolo edilizio.
Il contributo per oneri di urbanizzazione è, in particolare,
un corrispettivo di diritto pubblico, di natura non
tributaria, posto a carico del concessionario a titolo di
partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione e in
proporzione all'insieme dei benefici che la nuova
costruzione ne ritrae, senza alcun vincolo di scopo in
relazione alla zona interessata alla trasformazione
urbanistica e indipendentemente dalla concreta utilità che
il concessionario può conseguire dal titolo edificatorio e
dall'ammontare delle spese effettivamente occorrenti per la
realizzazione delle opere stesse; fatto costitutivo di detta
obbligazione è il rilascio del permesso di costruire ed è a
tale momento che occorre aver riguardo per la determinazione
dell'entità del contributo.
Il contributo di urbanizzazione è invece commisurato al
costo delle opere di urbanizzazione da realizzarsi
concretamente nella zona, e differisce dal contributo da
pagare all'atto del rilascio della concessione di
costruzione, che ha natura contributiva, rappresentando un
corrispettivo delle spese che la collettività si addossa per
il conferimento al privato della facoltà di edificazione e
dei vantaggi che il concessionario ottiene per effetto della
trasformazione; trattandosi di due istituti diversi ne
derivano oneri diversi, l'uno relativo al costo sostenuto
per rendere urbanizzata ed edificabile la singola area,
l'altro relativo ad un contributo, di carattere tributario,
volto alla realizzazione del generale assetto urbanistico
del territorio comunale.
Secondo una ricostruzione diffusa in sede giurisprudenziale
trattasi, per entrambi gli oneri, di obbligazioni reali,
dotate, in quanto tali, di ambulatorietà passiva. Si
afferma, infatti, che il presupposto di esigibilità
dell'onere relativo al costo di costruzione non risiede solo
nella materiale esecuzione delle opere ma anche nella
concreta fruizione del titolo e comunque le obbligazioni per
oneri di urbanizzazione e costo di costruzione vanno
trattate alla stregua di oneri reali, ovvero di obbligazioni
propter rem che circolano con il bene cui accedono, sicché
nel caso di trasferimento del bene, esse gravano
sull'acquirente.
Tale orientamento è stato propugnato anche in seconde cure,
nel senso quindi che trattasi in sostanza di obbligazioni
connotate dall'inerenza alla cosa, anziché alla persona cui
è rilasciato il permesso di costruire, sicché tutti coloro
che partecipano alla costruzione e la utilizzano sono
solidalmente obbligati verso il Comune al pagamento degli
oneri in questione.
Ritiene il Collegio, tuttavia, di aderire al diverso
orientamento giurisprudenziale, secondo cui è più coerente
con il complessivo assetto della normativa oltre che
intrinsecamente più razionale affermarsi che gli oneri di
urbanizzazione sono dovuti dall’intestatario della
concessione o da colui al quale essa è volturata e relativi
eredi, ovvero da chi esegue le opere di trasformazione
urbana, ma non anche dall’acquirente dell’immobile.
---------------
... per l'annullamento:
1) ordinanza ingiunzione prot. 42850 del 22.06.2015,
dell’importo rispettivamente di € 88.196,08, per omesso e/o
ritardato pagamento del costo di costruzione relativo al
permesso di costruire nr. 07/2007 rilasciato in favore del
sig. Ca.Gi. e poi volturato in favore dei signori Mo.An.Ma.
e Za.Gi. ed il permesso di costruire in sanatoria nr.
139/2009;
...
Con ricorso notificato il 18.09.2015 e ritualmente
depositato il 14 ottobre successivo, la sig.ra Im.Sc. ha
impugnato l’ordinanza, meglio distinta in epigrafe, con la
quale il Comune di Battipaglia le ingiungeva il pagamento di
€ 88.196,08, per omesso e/o ritardato versamento del costo
di costruzione relativo al permesso di costruire nr. 07/2007
rilasciato in favore del sig. Ca.Gi. e poi volturato in
favore dei signori Mo.An.Ma. e Za.Gi. ed il permesso di
costruire in sanatoria nr. 139/2009. Avverso tale atto
l’istante ha dedotto i seguenti vizi:
1) violazione e falsa applicazione artt. 7 e 8 L. n.
241/1990 e dell’art. 16 del T.U. edilizia. Violazione del
principio del contraddittorio;
2) violazione art. 3 L. 07.08.1990 n. 241. Eccesso di potere
per travisamento dei fatti e falso presupposto; per difetto
di istruttoria per carenza assoluta di motivazione.
In particolare, la ricorrente ha rilevato che, essendo
acquirente a titolo particolare mercé rogito notarile del
16/07/2010) di un appartamento posto all’interno del
fabbricato già realizzato, la pretesa del Comune, peraltro
mai precedentemente avanzata nei suoi riguardi, sarebbe
infondata, in quanto non sarebbe soggetto obbligato al
pagamento degli oneri di urbanizzazione dovuti al momento
del rilascio della concessione edilizia.
Il Comune di Battipaglia, ancorché ritualmente intimato, non
si è costituito in giudizio.
All’odierna camera di consiglio del 05.11.2015, il ricorso,
è stato trattenuto in decisione semplificata, rese edotte le
parti, sussistendone i presupposti di legge.
Il ricorso è fondato.
L’impugnato provvedimento postula la responsabilità solidale
della ricorrente, quale attuale proprietaria di uno dei
cespiti realizzati in virtù dei titoli edilizi su
menzionati, al pagamento dei relativi oneri di
urbanizzazione e costo di costruzione.
Occorre premettere che, ai sensi dell'art. 16, d.P.R.
06.06.2001 n. 380, il contributo afferente al permesso di
costruire, commisurato all'incidenza degli oneri di
urbanizzazione nonché al costo di costruzione, è determinato
e liquidato all'atto del rilascio del titolo edilizio
(Consiglio di Stato, sez. IV, 19.03.2015, n. 1504).
Il contributo per oneri di urbanizzazione è, in particolare,
un corrispettivo di diritto pubblico, di natura non
tributaria, posto a carico del concessionario a titolo di
partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione e in
proporzione all'insieme dei benefici che la nuova
costruzione ne ritrae, senza alcun vincolo di scopo in
relazione alla zona interessata alla trasformazione
urbanistica e indipendentemente dalla concreta utilità che
il concessionario può conseguire dal titolo edificatorio e
dall'ammontare delle spese effettivamente occorrenti per la
realizzazione delle opere stesse; fatto costitutivo di detta
obbligazione è il rilascio del permesso di costruire ed è a
tale momento che occorre aver riguardo per la determinazione
dell'entità del contributo (Consiglio di Stato, sez. V,
30.04.2014, n. 2261).
Il contributo di urbanizzazione è invece commisurato al
costo delle opere di urbanizzazione da realizzarsi
concretamente nella zona, e differisce dal contributo da
pagare all'atto del rilascio della concessione di
costruzione, che ha natura contributiva, rappresentando un
corrispettivo delle spese che la collettività si addossa per
il conferimento al privato della facoltà di edificazione e
dei vantaggi che il concessionario ottiene per effetto della
trasformazione; trattandosi di due istituti diversi ne
derivano oneri diversi, l'uno relativo al costo sostenuto
per rendere urbanizzata ed edificabile la singola area,
l'altro relativo ad un contributo, di carattere tributario,
volto alla realizzazione del generale assetto urbanistico
del territorio comunale (Consiglio di Stato, sez. IV,
15.09.2014, n. 4685).
Secondo una ricostruzione diffusa in sede giurisprudenziale
trattasi, per entrambi gli oneri, di obbligazioni reali,
dotate, in quanto tali, di ambulatorietà passiva. Si
afferma, infatti, che il presupposto di esigibilità
dell'onere relativo al costo di costruzione non risiede solo
nella materiale esecuzione delle opere ma anche nella
concreta fruizione del titolo e comunque le obbligazioni per
oneri di urbanizzazione e costo di costruzione vanno
trattate alla stregua di oneri reali, ovvero di obbligazioni
propter rem che circolano con il bene cui accedono,
sicché nel caso di trasferimento del bene, esse gravano
sull'acquirente (TAR Napoli, sez. VIII, 16.04.2014, n.
2170).
Tale orientamento è stato propugnato anche in seconde cure,
nel senso quindi che trattasi in sostanza di obbligazioni
connotate dall'inerenza alla cosa, anziché alla persona cui
è rilasciato il permesso di costruire, sicché tutti coloro
che partecipano alla costruzione e la utilizzano sono
solidalmente obbligati verso il Comune al pagamento degli
oneri in questione (Cons. Stato, sez. V, n. 6333, del
12.07.2011).
Ritiene il Collegio, tuttavia, di aderire al diverso
orientamento giurisprudenziale, secondo cui è più coerente
con il complessivo assetto della normativa oltre che
intrinsecamente più razionale affermarsi che gli oneri di
urbanizzazione sono dovuti dall’intestatario della
concessione o da colui al quale essa è volturata e relativi
eredi, ovvero da chi esegue le opere di trasformazione
urbana, ma non anche dall’acquirente dell’immobile (TAR
Napoli, Sez. III, 12.04.2007/18.07.2007, n. 6793).
Il ricorso va conclusivamente accolto, ritenuta assorbita
ogni altra censura, di guisa che dell’atto impugnato, nei
limiti di interesse, occorre disporre l’annullamento (TAR
Campania-Salerno, Sez. I,
sentenza 19.11.2015 n. 2453 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ottobre 2015 |
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EDILIZIA PRIVATA: Oneri
di urbanizzazione: quando sono dovuti gli oneri da impatto
acustico?
Per il Consiglio di Stato gli oneri da impatto acustico sono
dovuti solo qualora l’intervento assentito non sia
compatibile con la regolamentazione predisposta in materia.
Mentre con
riferimento agli oneri di urbanizzazione “è pacifica la
relazione con l’aggravio del carico urbanistico e con la
necessità di predisporre i servizi utili all’effettivo
utilizzo di un determinato immobile da edificare”, gli
oneri aggiuntivi da impatto acustico “sono dovuti
soltanto nel caso in cui l’intervento assentito non sia
compatibile con la regolamentazione predisposta in materia”.
Lo ha precisato il Consiglio di Stato, IV Sez., con la
sentenza 29.10.2015 n. 4950.
IL CASO.
Nel caso esaminato dal Collegio, all’esito del procedimento
istruttorio inerente alla realizzazione del nuovo edificio,
l’Amministrazione ha chiesto il pagamento dell’importo di
26.620 euro a compensazione delle spese da sostenere per gli
interventi di mitigazione acustica resi necessari dalla
nuova edificazione.
“A ben vedere –osserva Palazzo Spada- non c’è
correlazione con la destinazione finale del fabbricato e,
cioè, con l’aggravio o meno del relativo carico urbanistico:
ciò che interessa è che la titolare del titolo edilizio
corrisponda il quantum necessario al Comune per intervenire
sull’infrastruttura stradale in modo da consentire il
rispetto dei vincoli acustici imposti dalle normative di
settore”.
La corresponsione degli oneri da impatto acustico
costituisce la modalità di reperimento delle risorse
necessarie all’Amministrazione per poter procedere
all’intervento sulla rete viaria (commento tratto da
www.casaeclima.com).
---------------
MASSIMA
...
per la riforma
della sentenza del TAR Piemonte-Torino: Sezione II n.
2033/2014, resa tra le parti, concernente accertamento
della non debenza degli oneri di urbanizzazione
...
4. Con il terzo motivo di appello, il Comune di Torino
ritiene erronea la sentenza del TAR nella parte in cui ha
equiparato gli oneri di urbanizzazione agli oneri aggiuntivi
da impatto acustico, affermandone la non debenza da parte
della sig.ra Cu..
Nello specifico, parte appellante non
considera sussistente, diversamente da quanto affermato dal
giudice di primo grado, il nesso fra l’aggravio del carico
urbanistico e gli oneri relativi all’impatto acustico
dell’intervento: questi ultimi esulerebbero dalla
preesistenza o meno di edifici in un determinato ambito
interessato da un intervento edilizio e, quindi, un maggiore
o minore carico urbanistico non dovrebbe determinare il
versamento o meno degli oneri in questione.
Inoltre, in
seguito al confronto avvenuto con la proprietaria
dell’immobile in sede istruttoria, il Comune aveva
evidenziato che l’unica modalità di riduzione dell’impatto
acustico, al di sotto dei limiti consentiti dalla
regolazione, avrebbe imposto all’Amministrazione di
intervenire sulla rete viaria: dunque, gli oneri aggiuntivi
di cui trattasi avrebbero una differente ratio rispetto agli
oneri di urbanizzazione.
4.1 Il motivo è fondato e va accolto.
Il Collegio ritiene di condividere le prospettazioni di
parte appellante relative al versamento degli oneri da
impatto acustico, in quanto, la loro corresponsione
costituisce la modalità di reperimento delle risorse
necessarie all’Amministrazione per poter procedere
all’intervento sulla rete viaria.
Il giudice di primo grado, in effetti, equiparando gli oneri
di urbanizzazione agli oneri aggiuntivi da impatto acustico,
ha ritenuto che la loro giustificazione si potesse
riscontrare nell’incremento del carico urbanistico.
In realtà, mentre, con riferimento ai primi, è pacifica la
relazione con l’aggravio del carico urbanistico e con la
necessità di predisporre i servizi utili all’effettivo
utilizzo di un determinato immobile da edificare, i secondi
sono dovuti soltanto nel caso in cui l’intervento assentito
non sia compatibile con la regolamentazione predisposta in
materia.
Nel caso di specie, infatti, all’esito del procedimento
istruttorio inerente alla realizzazione del nuovo edificio,
l’Amministrazione, in conformità alle disposizioni contenute
nella l.reg. n. 52 del 2000 e nel regolamento comunale n.
318 del 2006, ha chiesto il pagamento dell’importo di euro
26.620,00 a compensazione delle spese da sostenere per gli
interventi di mitigazione acustica resi necessari dalla
nuova edificazione.
A ben vedere, dunque, non c’è correlazione con la
destinazione finale del fabbricato e, cioè, con l’aggravio o
meno del relativo carico urbanistico: ciò che interessa è
che la titolare del titolo edilizio corrisponda il quantum
necessario al Comune per intervenire sull’infrastruttura
stradale in modo da consentire il rispetto dei vincoli
acustici imposti dalle normative di settore.
5. Alla luce delle suesposte argomentazioni, l’appello,
parzialmente fondato, va accolto in parte e,
conseguentemente, la sentenza impugnata va riformata nei
sensi e nei limiti di cui in motivazione
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 29.10.2015 n. 4950 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Le controversie sulla debenza o meno del contributo per il rilascio di una
concessione edilizia e sul suo ammontare, devolute alla
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo dall’art.
16 l. 28.01.1977 n. 10, riguardando diritti soggettivi,
non sottostanno ai termini decadenziali propri dei giudizi
impugnatori e possono essere attivate nei normali termini di
prescrizione”.
La giurisdizione
esclusiva è stata confermata anche in seguito
all’introduzione del c.p.a. che all’art. 133, lett. f),
devolve al Giudice Amministrativo “le controversie aventi ad
oggetto gli atti ed i provvedimenti delle pubbliche
amministrazioni in materia urbanistica ed edilizia”.
La
qualificazione delle situazioni giuridiche coinvolte in
termini di diritto soggettivo, derivano dalla circostanza
secondo cui, in caso di contestazione circa la
quantificazione o la debenza degli oneri connessi al
permesso di costruire, ci si limita a censurare la misura
del contributo imposto, non l’esercizio del potere al
rilascio del titolo edilizio.
---------------
Il contributo per oneri di urbanizzazione è un
corrispettivo di diritto pubblico, di natura non tributaria,
posto a carico del costruttore a titolo di partecipazione ai
costi delle opere di urbanizzazione in proporzione
all’insieme dei benefici che la nuova costruzione ne
ritrae”.
In effetti, gli oneri di urbanizzazione sono dovuti se ed in
quanto l’intervento edilizio comporti un incremento della
domanda di servizi nella zona coinvolta dalla costruzione:
le opere di urbanizzazione, distinte in primarie e
secondarie, si caratterizzano per essere necessarie,
rispettivamente, all’utilizzo degli edifici e alla vita di
relazione degli abitanti di un territorio.
Ciò posto, se
rispetto ad una zona circoscritta sono già state sostenute
le spese necessarie a fornire i suddetti servizi ai
cittadini ivi residenti, un intervento edilizio che non
implichi un maggior carico urbanistico nella medesima zona,
non può determinare la necessità di una nuova spesa per
fornire i medesimi servizi già predisposti: diversamente
ragionando, si giungerebbe ad affermare la duplicazione di
costi a fronte dell’unicità dei servizi. All’opposto, se
l’intervento edilizio assentito imponesse un incremento del
carico urbanistico nella zona interessata, gli oneri di
urbanizzazione dovrebbero essere versati in vista della
predisposizione degli strumenti idonei a far fronte ad un
incremento di dette esigenze urbanistiche.
In sostanza, gli
oneri di urbanizzazione si caratterizzano per avere natura
compensativa rispetto alle spese di cui l’amministrazione si
fa carico per rendere accessibile e pienamente utilizzabile
un nuovo o rinnovato edificio, purché vi sia una nuova
destinazione, dato che non può essere chiesto due volte il
pagamento per gli stessi interventi di sistemazione e
adeguamento del contesto urbanistico.
Sul punto, il Collegio condivide il costante orientamento
giurisprudenziale secondo cui “in caso di ristrutturazione
edilizia, il pagamento degli oneri di urbanizzazione è
dovuto solo nel caso in cui l’intervento abbia determinato
un aumento del carico urbanistico”.
Da ultimo, il Collegio non ritiene rilevante l’affermazione
di parte appellante circa il mancato versamento degli oneri
di urbanizzazione al momento dell’originaria costruzione
dell’edificio di proprietà della sig.ra Cu.. In effetti,
l’indagine relativa all’incremento del carico urbanistico di
un determinato insediamento non può coinvolgere anche il
regime contributivo riferibile all’edificio originario.
---------------
...
per la riforma
della sentenza del TAR Piemonte-Torino: Sezione II n.
2033/2014, resa tra le parti, concernente accertamento
della non debenza degli oneri di urbanizzazione
...
1. L’oggetto del presente giudizio afferisce alla verifica
circa la sussistenza dell’obbligo di versamento degli oneri
di urbanizzazione, da parte del privato, in presenza di un
intervento di sostituzione edilizia che non determini un
incremento del carico urbanistico preesistente.
2. Preliminarmente va esaminata l’eccezione, respinta in
primo grado e riproposta in sede di impugnazione, con cui
l’Amministrazione appellante afferma l’inammissibilità del
ricorso di primo grado: secondo il Comune, infatti,
l’intervento assentito rientrerebbe nell’ambito della
disciplina prevista dall’art. 3 D.P.R. n. 380/2001 per le
nuove costruzioni e, di conseguenza, sarebbe soggetto alla
normativa sul contributo di urbanizzazione.
Tale premessa
avrebbe dovuto condurre all’individuazione del nesso
sussistente fra la normativa regionale in tema di oneri di
urbanizzazione (D.C.R. n. 179 C.R. 4170 in data 26.05.1977) ed il permesso di costruire rilasciato in favore della
sig.ra Cu., al fine di affermare la necessità di previa
impugnazione, entro i termini, del permesso di costruire, in
presenza di contestazioni relative all’ammontare degli oneri
di urbanizzazione.
Per altro verso, con riferimento all’ammontare degli oneri
aggiuntivi per l’impatto acustico, parte appellante afferma
che è mancata, in primo grado, la pregiudiziale impugnazione
del provvedimento di compatibilità acustica nel quale sono
stati quantificati i relativi oneri.
2.1 Il motivo è infondato e va respinto.
Sul punto, il Collegio ritiene di condividere le
argomentazioni proposte dal giudice di prime cure, che
evidenzia l’illogicità dell’iter processuale ipotizzato
dall’Amministrazione appellante: in effetti non pare
ragionevole sostenere “che parte ricorrente avrebbe dovuto
impugnare provvedimenti a sé favorevoli [...] solo perché
essi hanno costituito la necessaria occasione per la
determinazione degli oneri”. In effetti il contenzioso
introdotto con il ricorso della sig.ra Cu. inerisce all’an
ed al quantum debeatur a titolo di oneri di urbanizzazione
ed oneri aggiuntivi, non, invece, all’ammissibilità del
progetto proposto dall’odierna appellata.
Sul punto, inoltre, la giurisprudenza di questo Consiglio ha
già avuto modo di precisare che “le controversie sulla debenza o meno del contributo per il rilascio di una
concessione edilizia e sul suo ammontare, devolute alla
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo dall’art.
16 l. 28.01.1977 n. 10, riguardando diritti soggettivi,
non sottostanno ai termini decadenziali propri dei giudizi
impugnatori e possono essere attivate nei normali termini di
prescrizione” (cfr. Cons. di Stato, Sez. V,
06.12.1999
n. 2056; id. 15.02.2001, n. 790).
La giurisdizione
esclusiva è stata confermata anche in seguito
all’introduzione del c.p.a. che all’art. 133, lett. f),
devolve al Giudice Amministrativo “le controversie aventi ad
oggetto gli atti ed i provvedimenti delle pubbliche
amministrazioni in materia urbanistica ed edilizia”. La
qualificazione delle situazioni giuridiche coinvolte in
termini di diritto soggettivo, derivano dalla circostanza
secondo cui, in caso di contestazione circa la
quantificazione o la debenza degli oneri connessi al
permesso di costruire, ci si limita a censurare la misura
del contributo imposto, non l’esercizio del potere al
rilascio del titolo edilizio.
Non può affermarsi, dunque, con riferimento al presente
giudizio, il suo carattere impugnatorio e, correlativamente,
non troveranno ingresso le disposizioni processuali inerenti
ai termini di decadenza, poiché la domanda giudiziale è
soggetta al solo termine di prescrizione.
3. Con il secondo motivo di appello l’Amministrazione
comunale afferma l’erroneità della sentenza impugnata nella
parte in cui sostiene l’inammissibilità di oneri di
urbanizzazione in presenza di un intervento edilizio che
diminuisca il carico urbanistico.
In particolare, nel caso di specie, nonostante l’intervento
assentito non determini un incremento di S.L.P. complessiva
e non modifichi la destinazione d’uso preesistente, si
sarebbe in presenza di una creazione di un organismo
edilizio del tutto nuovo per sagoma, numero di piani,
distribuzione interna, posizionamento e realizzazione di
piani interrati.
Inoltre, l’assoggettamento dell’intervento
al rilascio del permesso di costruire e la sua ascrivibilità
nel novero delle “nuove costruzioni”, condurrebbero ad
assoggettare l’immobile agli oneri di urbanizzazione. Per
altro verso, tali oneri non potrebbero dirsi nemmeno già
scontati da quelli sopportati all’origine, stante la vetustà
del fabbricato che esclude ex se l’avvenuto versamento degli
oneri concessori, la cui disciplina risale alla l. n. 10 del
1977.
3.1 Il motivo è infondato e va respinto.
Sul punto il Collegio ritiene di condividere integralmente
le argomentazioni fornite dal giudice di prime cure, secondo
cui “il contributo per oneri di urbanizzazione è un
corrispettivo di diritto pubblico, di natura non tributaria,
posto a carico del costruttore a titolo di partecipazione ai
costi delle opere di urbanizzazione in proporzione
all’insieme dei benefici che la nuova costruzione ne
ritrae”.
In effetti, gli oneri di urbanizzazione sono dovuti se ed in
quanto l’intervento edilizio comporti un incremento della
domanda di servizi nella zona coinvolta dalla costruzione:
le opere di urbanizzazione, distinte in primarie e
secondarie, si caratterizzano per essere necessarie,
rispettivamente, all’utilizzo degli edifici e alla vita di
relazione degli abitanti di un territorio.
Ciò posto, se
rispetto ad una zona circoscritta sono già state sostenute
le spese necessarie a fornire i suddetti servizi ai
cittadini ivi residenti, un intervento edilizio che non
implichi un maggior carico urbanistico nella medesima zona,
non può determinare la necessità di una nuova spesa per
fornire i medesimi servizi già predisposti: diversamente
ragionando, si giungerebbe ad affermare la duplicazione di
costi a fronte dell’unicità dei servizi. All’opposto, se
l’intervento edilizio assentito imponesse un incremento del
carico urbanistico nella zona interessata, gli oneri di
urbanizzazione dovrebbero essere versati in vista della
predisposizione degli strumenti idonei a far fronte ad un
incremento di dette esigenze urbanistiche.
In sostanza, gli
oneri di urbanizzazione si caratterizzano per avere natura
compensativa rispetto alle spese di cui l’amministrazione si
fa carico per rendere accessibile e pienamente utilizzabile
un nuovo o rinnovato edificio, purché vi sia una nuova
destinazione, dato che non può essere chiesto due volte il
pagamento per gli stessi interventi di sistemazione e
adeguamento del contesto urbanistico.
Sul punto, il Collegio condivide il costante orientamento
giurisprudenziale secondo cui “in caso di ristrutturazione
edilizia, il pagamento degli oneri di urbanizzazione è
dovuto solo nel caso in cui l’intervento abbia determinato
un aumento del carico urbanistico” (Cons. di Stato, Sez. IV,
29.04.2004, n. 2611).
Da ultimo, il Collegio non ritiene rilevante l’affermazione
di parte appellante circa il mancato versamento degli oneri
di urbanizzazione al momento dell’originaria costruzione
dell’edificio di proprietà della sig.ra Cu.. In effetti,
l’indagine relativa all’incremento del carico urbanistico di
un determinato insediamento non può coinvolgere anche il
regime contributivo riferibile all’edificio originario.
Gli elementi su indicati consentono, in definitiva, di
condividere gli argomenti del giudice di prime cure e
rigettare le censure sollevate sul punto
dall’Amministrazione appellante
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 29.10.2015 n. 4950 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
settembre 2015 |
|
EDILIZIA PRIVATA: OGGETTO: Determinazione incidenza degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria. Art. 16, comma 4, lett. d-ter), DPR n. 380/2001 [lettera aggiunta dall'art. 17, comma 1, lett. g), legge 11.11.2014 n. 164 di conversione, con modificazioni, del d.l. 11.09.2014 n. 133] (Regione Lombardia - Area Affari Istituzionali - Presidenza,
risposta e-mail del 23.09.2015). |
luglio 2015 |
|
EDILIZIA PRIVATA: OGGETTO: Ristrutturazione edilizia fabbricato artigianale/industriale: modalità di calcolo oneri di urbanizzazione (Regione Lombardia - DC Legale, Controlli, Istituzionale, Prevenzione, Corruzione - Presidenza,
risposta e-mail del 15.07.2015). |
EDILIZIA PRIVATA: Occorre premettere, quanto al riferimento temporale della disciplina
applicabile in materia di an e quantum del contributo concessorio, che
secondo consolidato orientamento di questo Consiglio di Stato il
contributo di concessione va determinato con riferimento alla disciplina,
legislativa e regolamentare, vigente al momento del rilascio del titolo
edilizio, che segna il perfezionamento della fattispecie concessoria (o
autorizzatoria, a seconda della tipologia di titolo edilizio).
L’orientamento, per un verso, è fondato sulle previsioni normative che
correlano la determinazione e, in parte, anche la corresponsione del
contributo di concessione (nelle sue varie componenti), all’atto di rilascio
del titolo edilizio, e, per altro verso, è espressione del principio
generale sancito dall’art. 11 disp. prel. cod. civ., secondo cui ciascun
fatto genetico di effetti giuridici è sottoposto, salva diversa previsione
normativa, alla legge del tempo in cui viene in essere (se, poi, gli effetti
giuridici sono costituiti da un rapporto giuridico di durata, lo ius
superveniens, a seconda delle varie ipotesi, potrà incidere anche sulla
disciplina del rapporto).
---------------
Alla qualificazione delle opere come intervento di
ristrutturazione edilizia
consegue che dal contributo per gli oneri di urbanizzazione deve essere
scomputato l’importo imputabile al carico urbanistico generato dall’edificio
preesistente.
In linea generale, giova al riguardo rimarcare che, mentre la quota del
contributo di costruzione commisurata al costo di costruzione risulta ontologicamente connessa alla tipologia e all’entità (superficie e
volumetria) dell’intervento edilizio e assolve alla funzione di permettere
all’Amministrazione comunale il recupero delle spese sostenute dalla
collettività di riferimento per la trasformazione del territorio consentita
al privato istante (ossia, a compensare la c.d. compartecipazione comunale
all’incremento di valore della proprietà immobiliare del costruttore, a
seguito della nuova edificazione), la quota del contributo di costruzione
commisurata agli oneri di urbanizzazione assolve alla prioritaria funzione
di compensare la collettività per il nuovo ulteriore carico urbanistico che
si riversa sulla zona, con la precisazione che per aumento del carico
urbanistico deve intendersi tanto la necessità di dotare l’area di nuove
opere di urbanizzazione, quanto l’esigenza di utilizzare più intensamente
quelle già esistenti.
È, pertanto, pienamente condivisibile il principio, ripetutamente affermato
dalla giurisprudenza amministrativa, secondo cui, qualora il progetto
riguardi la ristrutturazione di un edificio esistente, il suo impatto è
destinato ad incidere su una zona già urbanizzata, per cui la sua incidenza
sarà data dalla consistenza del nuovo intervento, detratto l’impatto di
quanto già esistente, con conseguente sussistenza del correlativo onere
contributivo in ragione del solo incremento del carico urbanistico.
---------------
6.1. Merita, in particolare, accoglimento il primo motivo di
appello principale, di cui sopra sub § 2.a), con cui si deduce l’erronea
esclusione del diritto allo scomputo del contributo per oneri di
urbanizzazione assolto in relazione all’edificio preesistente (nel caso di
specie, virtualmente, trattandosi di edificio costruito nel 1952), basata
sul rilievo che si verterebbe in fattispecie di costruzione nuova, e non già
di ristrutturazione mediante demolizione e ricostruzione.
Occorre premettere, quanto al riferimento temporale della disciplina
applicabile in materia di an e quantum del contributo concessorio, che
secondo consolidato orientamento di questo Consiglio di Stato (v., ex plurimis, Cons. St., Sez. IV,
07.06.2012, n. 3379; Cons. St., Sez. IV, 25.06.2010, n. 4109; Cons. St., Sez. V, 13.06.2003, n. 3332) il
contributo di concessione va determinato con riferimento alla disciplina,
legislativa e regolamentare, vigente al momento del rilascio del titolo
edilizio, che segna il perfezionamento della fattispecie concessoria (o
autorizzatoria, a seconda della tipologia di titolo edilizio).
L’orientamento, per un verso, è fondato sulle previsioni normative che
correlano la determinazione e, in parte, anche la corresponsione del
contributo di concessione (nelle sue varie componenti), all’atto di rilascio
del titolo edilizio, e, per altro verso, è espressione del principio
generale sancito dall’art. 11 disp. prel. cod. civ., secondo cui ciascun
fatto genetico di effetti giuridici è sottoposto, salva diversa previsione
normativa, alla legge del tempo in cui viene in essere (se, poi, gli effetti
giuridici sono costituiti da un rapporto giuridico di durata, lo ius
superveniens, a seconda delle varie ipotesi, potrà incidere anche sulla
disciplina del rapporto).
Nel caso di specie, ai fini dell’individuazione della disciplina
applicabile, si dovrà, pertanto, aver riguardo a quella vigente al momento
dell’emissione/rilascio della concessione n. 89/2005 (marzo-aprile 2005).
Orbene, l’art. 59 l. urb. prov. –emanato nell’esplicazione della potestà
legislativa primaria della Provincia autonoma di Bolzano in materia
urbanistica, ai sensi dell’art. 8, n. 5) dello Statuto di autonomia–
definisce come interventi di ristrutturazione edilizia «quelli rivolti a
trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere
che possono portare ad un organismo per sagoma, superficie, dimensione e
tipologia in tutto o in parte diverso dal precedente», aggiungendo che «tali
interventi comprendono il ripristino o la sostituzione, la modifica e
l’inserimento di nuovi elementi ed impianti», e sancendo, nel secondo comma,
la prevalenza delle disposizioni dello stesso art. 59 sulle previsioni dei
piani urbanistici comunali e dei regolamenti edilizi (in parte qua,
l’attuale formulazione normativa coincide con quella vigente all’epoca del
rilascio della concessione edilizia de qua).
Il terzo comma del citato art. 59 –come sostituito dall’art. 25 l. prov.
31.03.2003, n. 5, nella formulazione anteriore all’entrata in vigore
dell’art. 14, comma 3, l. prov. 02.07.2007, n. 3– prevede(va), poi, che
«il recupero di edifici siti in zone residenziali non soggette a un piano di
attuazione (quale, pacificamente, la zona di ubicazione dell’edificio in
questione; n.d.e.) può essere effettuato anche tramite interventi di
ristrutturazione edilizia ai sensi del comma 1, lett. d)», nel rispetto
delle distanze, della cubatura (urbanisticamente rilevante) e dell’altezza
dell’edificio preesistente.
La citata previsione normativa, ai fini della qualificazione dell’intervento
edilizio come ristrutturazione mediante demolizione e ricostruzione, a
differenza dalla disciplina statale di cui all’art. 3, comma 1, lett. d), d.P.R. n. 380 del 2001 [olim, art. 31, lett. d), l. n. 347 del 1978], non
postula dunque la fedele ricostruzione con il rispetto anche della sagoma
dell’edificio preesistente, ma sancisce la continuità tra i due manufatti
alla sola condizione del rispetto di distanze, volumetria ed altezza
(peraltro, anche nell’ordinamento statale, con la recente novella apportata
dal d.l. 21.06.2013, n. 69, convertito nella legge 09.08.2013, n.
98, all’art. 3 del d.P.R. n. 380 del 2001 è stata eliminata la condizione
del rispetto della sagoma dell’edificio preesistente).
La previsione provinciale trova la sua ratio giustificatrice nella
circostanza che, a cagione della sua particolare conformazione geomorfologica, solo una parte esigua del territorio provinciale è
suscettibile di utilizzazione edificatoria, e nella conseguente filosofia di
risparmio del territorio che permea la locale legislazione urbanistica,
tesa, per quanto possibile, a concentrare gli interventi edilizi nell’ambito
del territorio già edificato ed a rivalorizzare le volumetrie esistenti (v.,
sulla riportata ricostruzione della disciplina provinciale in materia, la
recente sentenza 07.05.2015, n. 2294, di questa Sezione).
Ne deriva l’inconcludenza dei precedenti giurisprudenziali invocati
dall’appellato Comune, relativi alla –all’epoca– in parte qua diversa
disciplina statale.
Atteso il comprovato rispetto dei parametri della cubatura (urbanisticamente
rilevante) e dell’altezza dell’edificio preesistente (v. la copiosa
documentazione planimetrica in atti, compresi gli allegati alla consulenza
tecnica d’ufficio espletata in primo grado), l’intervento edilizio assentito
con la concessione edilizia n. 89/2005 deve, pertanto, qualificarsi come
ristrutturazione edilizia ai sensi dell’art. 59, comma 1, lett. d), e comma
3, l. urb. prov..
Peraltro, lo stesso rilascio della menzionata concessione edilizia per i
lavori in questione, per un volumetria fuori terra di 56.009 mc (a fronte di
un volume preesistente di 57.741 mc; v. risultanze della c.t.u.) implica per
necessità logica la sussunzione, da parte della stessa Amministrazione
comunale, dell’intervento in questione sub specie di ristrutturazione
edilizia mediante demolizione e ricostruzione, in quanto, diversamente, il
rilascio del titolo edilizio sarebbe rimasto precluso dall’indice di
fabbricabilità di 3,5 mc/mq stabilito dal p.u.c. –indice che, tenuto conto
della superficie del lotto, avrebbe consentito l’edificazione entro il
limite di soli 21.500 mc–, con la conseguenza che la tesi difensiva del
Comune, volta a qualificare l’intervento come nuova costruzione, si risolve
in un’inammissibile protestatio contra factum proprium, lesiva
dell’affidamento riposto dall’originaria ricorrente nella qualificazione
dell’intervento edilizio operata dalla stessa Amministrazione, immanente al
rilascio della concessione edilizia negli esposti termini.
Alla qualificazione delle opere come intervento di ristrutturazione edilizia
consegue che dal contributo per gli oneri di urbanizzazione deve essere
scomputato l’importo imputabile al carico urbanistico generato dall’edificio
preesistente.
In linea generale, giova al riguardo rimarcare che, mentre la quota del
contributo di costruzione commisurata al costo di costruzione risulta ontologicamente connessa alla tipologia e all’entità (superficie e
volumetria) dell’intervento edilizio e assolve alla funzione di permettere
all’Amministrazione comunale il recupero delle spese sostenute dalla
collettività di riferimento per la trasformazione del territorio consentita
al privato istante (ossia, a compensare la c.d. compartecipazione comunale
all’incremento di valore della proprietà immobiliare del costruttore, a
seguito della nuova edificazione), la quota del contributo di costruzione
commisurata agli oneri di urbanizzazione assolve alla prioritaria funzione
di compensare la collettività per il nuovo ulteriore carico urbanistico che
si riversa sulla zona, con la precisazione che per aumento del carico
urbanistico deve intendersi tanto la necessità di dotare l’area di nuove
opere di urbanizzazione, quanto l’esigenza di utilizzare più intensamente
quelle già esistenti.
È, pertanto, pienamente condivisibile il principio, ripetutamente affermato
dalla giurisprudenza amministrativa, secondo cui, qualora il progetto
riguardi la ristrutturazione di un edificio esistente, il suo impatto è
destinato ad incidere su una zona già urbanizzata, per cui la sua incidenza
sarà data dalla consistenza del nuovo intervento, detratto l’impatto di
quanto già esistente, con conseguente sussistenza del correlativo onere
contributivo in ragione del solo incremento del carico urbanistico (v. in
tal senso, ex plurimis, da ultimo, Cons. St., Sez. V, 13.05.2014, n.
2437).
Nell’ordinamento urbanistico provinciale tale principio è, ormai,
espressamente recepito dall’art. 66, comma 4-bis, l. urb. prov., inserito
dall’art. 15, comma 2, l. prov. 02.07.2007, n. 3, che testualmente
recita: «In caso di interventi su edifici esistenti, ivi compresa la loro
demolizione e ricostruzione, sono dovuti gli oneri di urbanizzazione in
ragione dell’incremento del carico urbanistico. I comuni con regolamento di
cui all’art. 73, comma 2, stabiliscono i relativi criteri, tenendo conto
dell’aumento della superficie utile e dei cambiamenti della destinazione
d’uso».
Orbene, risalendo la costruzione dell’originaria costruzione (ex-Hotel
Bristol) al 1952, ossia ad un’epoca in cui non vigeva ancora l’istituto del
contributo concessorio, introdotto nell’ordinamento urbanistico provinciale
di Bolzano con la l. prov. 03.01.1978, n. 1 (mentre la compartecipazione
dei privati alle opere di urbanizzazione aveva trovato una sua prima
definizione nel d.P.G.P. 23.06.1970, n. 20), il relativo onere deve
ritenersi assolto virtualmente, giacché, in difetto di un’imputazione
virtuale del pregresso, alla sopravvenuta disciplina impositiva verrebbe
data un’inammissibile applicazione retroattiva.
Né l’edificio preesistente rientrava in una delle fattispecie esentate dal
contributo –per previsione legislativa o degli strumenti urbanistici–, per
le quali sarebbe escluso il diritto allo scomputo, attesa l’incidenza della
nuova costruzione, a destinazione d’uso non esentata, per intero sul carico
urbanistico.
Ne consegue che nella determinazione del contributo concessorio per la
demo-ricostruzione del preesistente edificio deve detrarsi l’onere
riferibile al carico urbanistico generato dall’edificio preesistente,
sicché, alla luce delle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio, nulla
è dovuto dall’odierna appellante per il volume fuori terra, attesa
l’eccedenza del carico preesistente, virtualmente assolto, rispetto a quello
di cui al progetto assentito (v., in particolare, pp. 13 e 28 della
relazione depositata dal c.t.u. l’11.04.2013).
Ne deriva, altresì, l’illegittimità dell’art. 2, comma 4, del Regolamento
comunale per la determinazione del contributo di urbanizzazione, approvato
con deliberazione del Consiglio comunale n. 83 del 25.11.2004, vigente
all’epoca del rilascio della concessione edilizia –che statuisce
testualmente: «In caso di demolizione e ricostruzione di edifici realizzati
prima dell’entrata in vigore del regolamento comunale di determinazione
degli oneri di urbanizzazione, approvato con deliberazione del Consiglio
comunale n. 148 del 30.07.1975, il contributo di urbanizzazione è
interamente dovuto. Ai fini del presente regolamento per demolizione e
ricostruzione si intende qualunque intervento che comporti la demolizione
totale o parziale dei muri perimetrali dell’edificio esistente, fatta salva
la fedele ricostruzione della struttura»–, ponendosi tale disposizione
regolamentare in contrasto con la sopra ricostruita disciplina legislativa
degli interventi di ricostruzione-demolizione e col principio di
irretroattività sancito dall’art. 11 disp. prel. cod. civ..
In riforma dell’impugnata sentenza, s’impongono dunque le consequenziali
statuizioni di annullamento della citata disposizione regolamentare e di
accertamento dell’insussistenza della pretesa contributiva fatta valere dal
Comune con riguardo alla volumetria fuori terra.
6.2. L’accoglimento del primo motivo d’appello, cui consegue la non debenza
del contributo di urbanizzazione per il volume fuori terra, comporta
l’assorbimento del secondo motivo d’appello sub § 2.b), che censura
il regolamento comunale sotto altri profili, ormai irrilevanti ai fini
decisori
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 02.07.2015 n. 3298 - link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
giugno 2015 |
|
EDILIZIA PRIVATA: Ai
sensi dell’art. 16, comma 1, del T.U. n. 380 del 2001, “il
rilascio del permesso di costruire comporta la
corresponsione di un contributo commisurato all’incidenza
degli oneri di urbanizzazione nonché al costo di
costruzione”.
Questo significa che il pagamento degli oneri contributivi
rappresenta il contenuto di un’obbligazione accessoria,
posta a carico di chi abbia (già) ottenuto un titolo
edilizio. Una volta adempiuto al pagamento, al privato
istante non resta quindi che procedere al ritiro materiale
della medesima (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 13.05.2014 n.
2434, secondo cui l’obbligazione sorge con il rilascio del
titolo ampliativo ed è a tale momento che occorre avere
riguardo per la determinazione dell’entità del contributo).
---------------
A ciò si aggiunga che, com’è noto, a seguito delle
innovazioni apportate dall’art. 5, comma 2, lett. a), n. 3,
del d.l. 13.05.2011 n. 70, convertito in legge 12.07.2011 n.
106, in omaggio alla regola generale di semplificazione
amministrativa codificata nell’art. 20 della legge
07.08.1990 n. 241, è stato espressamente esteso al
procedimento di rilascio del permesso di costruire il regime
del silenzio-assenso, fatte salve le deroghe previste in
ipotesi di vincoli ambientali, paesaggistici e culturali.
Sicché, una volta inutilmente decorso il termine per la
definizione del procedimento di rilascio del titolo
edilizio, pari a 90 o 100 giorni (ossia 60 giorni per la
conclusione dell’istruttoria più 30 o, in caso di preavviso
di rigetto, 40 giorni per la determinazione finale), senza
che sia stato opposto motivato diniego, salvo eventuali
sospensioni dovute a modifiche progettuali od interruzioni
dovute ad integrazioni documentali, sulla domanda di
permesso di costruire deve intendersi formato il titolo
abilitativo tacito, ai sensi dell’art. 20, comma 8, T.U.
06.06.2001 n. 380.
Ed allora, anche a non volersi attribuire alla nota
18.03.2013 n. 12556 (con cui il ricorrente è stato invitato
a pagare gli oneri concessori) valore e significato di
provvedimento di rilascio del titolo in conformità alla
domanda avanzata, è evidente che al 19.11.2014 –data di
adozione del provvedimento di rigetto– era ampiamente
decorso il termine di formazione del silenzio-assenso,
decorrente dal 06.06.2014 –data di presentazione delle
integrazioni progettuali–, non risultando in atti né
l’esistenza di vincoli ambientali, paesaggistici e culturali
sull’area, né l’adozione di una “motivata risoluzione del
responsabile del procedimento” di particolare complessità
dell’affare, ai fini del raddoppio dei termini ex comma 7.
Va pertanto dichiarato illegittimo l’atto con cui il comune
ha negato il rilascio del titolo edilizio dopo la sua
formazione tacita, potendo, in tale ipotesi, essere adottato
soltanto un provvedimento di ritiro in autotutela, ove
sussistano gli altri presupposti richiesti per l’adozione di
atti di secondo grado, da accertarsi con le stesse forme e
con le stesse modalità procedimentali previste per
l’adozione dell’atto da annullare.
... per l'annullamento:
- della nota 16.05.2014 n. 23161, con cui il comune di
Corigliano Calabro ha disposto la sospensione interlocutoria
del procedimento amministrativo volto all’ottenimento di un
permesso di costruire per la realizzazione di un edificio a
destinazione mista, residenziale e commerciale, in contrada
San Francesco
- del provvedimento 19.11.2014 n. 54974, recante il rigetto
della domanda di permesso di costruire;
...
Col ricorso introduttivo del giudizio, la ditta istante
impugna, per violazione di legge ed eccesso di potere, la
nota 16.05.2014 n. 23161, con cui il comune di Corigliano
Calabro, in seguito ad una diffida inoltrata dal
proprietario di una porzione di terreno limitrofa che
lamentava una questione di confini, ha disposto la
sospensione interlocutoria del procedimento amministrativo
volto all’ottenimento di un permesso di costruire per la
realizzazione di un edificio a destinazione mista,
residenziale e commerciale, in contrada San Francesco.
Il comune intimato si è costituito per resistere.
...
Sulla base di tale premesse, parte ricorrente sostiene per
un verso che, al momento del provvedimento di diniego, il
procedimento edilizio si era oramai positivamente concluso
con la comunicazione ed il pagamento degli importi dovuti
per oneri concessori e, per altro verso, che non sussiste
dubbio circa la natura di lotto intercluso del proprio
fondo, avendo ciò costituito oggetto di un parere favorevole
della regione Calabria, reso su precisa richiesta del
comune.
Tanto esposto, occorre precisare che, ai sensi dell’art. 16,
comma 1, del T.U. n. 380 del 2001, “il rilascio del
permesso di costruire comporta la corresponsione di un
contributo commisurato all’incidenza degli oneri di
urbanizzazione nonché al costo di costruzione”.
Questo significa che il pagamento degli oneri contributivi
rappresenta il contenuto di un’obbligazione accessoria,
posta a carico di chi abbia (già) ottenuto un titolo
edilizio. Una volta adempiuto al pagamento, al privato
istante non resta quindi che procedere al ritiro materiale
della medesima (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 13.05.2014 n.
2434, secondo cui l’obbligazione sorge con il rilascio del
titolo ampliativo ed è a tale momento che occorre avere
riguardo per la determinazione dell’entità del contributo).
A ciò si aggiunga che, com’è noto, a seguito delle
innovazioni apportate dall’art. 5, comma 2, lett. a), n. 3,
del d.l. 13.05.2011 n. 70, convertito in legge 12.07.2011 n.
106, in omaggio alla regola generale di semplificazione
amministrativa codificata nell’art. 20 della legge
07.08.1990 n. 241, è stato espressamente esteso al
procedimento di rilascio del permesso di costruire il regime
del silenzio-assenso, fatte salve le deroghe previste in
ipotesi di vincoli ambientali, paesaggistici e culturali.
Sicché, una volta inutilmente decorso il termine per la
definizione del procedimento di rilascio del titolo
edilizio, pari a 90 o 100 giorni (ossia 60 giorni per la
conclusione dell’istruttoria più 30 o, in caso di preavviso
di rigetto, 40 giorni per la determinazione finale), senza
che sia stato opposto motivato diniego, salvo eventuali
sospensioni dovute a modifiche progettuali od interruzioni
dovute ad integrazioni documentali, sulla domanda di
permesso di costruire deve intendersi formato il titolo
abilitativo tacito, ai sensi dell’art. 20, comma 8, T.U.
06.06.2001 n. 380 (cfr. TAR Campania, Napoli, Sez. VIII,
29.05.2014 n. 2972).
Ed allora, anche a non volersi attribuire alla nota
18.03.2013 n. 12556 (con cui il ricorrente è stato invitato
a pagare gli oneri concessori) valore e significato di
provvedimento di rilascio del titolo in conformità alla
domanda avanzata, è evidente che al 19.11.2014 –data di
adozione del provvedimento di rigetto– era ampiamente
decorso il termine di formazione del silenzio-assenso,
decorrente dal 06.06.2014 –data di presentazione delle
integrazioni progettuali–, non risultando in atti né
l’esistenza di vincoli ambientali, paesaggistici e culturali
sull’area, né l’adozione di una “motivata risoluzione del
responsabile del procedimento” di particolare
complessità dell’affare, ai fini del raddoppio dei termini
ex comma 7.
Va pertanto dichiarato illegittimo l’atto con cui il comune
ha negato il rilascio del titolo edilizio dopo la sua
formazione tacita, potendo, in tale ipotesi, essere adottato
soltanto un provvedimento di ritiro in autotutela, ove
sussistano gli altri presupposti richiesti per l’adozione di
atti di secondo grado (cfr. TAR Campania, Napoli, Sez. VIII,
29.05.2014 n. 2972; TAR Sicilia, Catania, 07.04.2005 n.
572), da accertarsi con le stesse forme e con le stesse
modalità procedimentali previste per l’adozione dell’atto da
annullare (cfr. TAR Calabria, Reggio Calabria, 06.04.2000 n.
304)
(TAR Calabria-Catanzaro, Sez. II,
sentenza 17.06.2015 n. 1095 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
maggio 2015 |
|
EDILIZIA PRIVATA: Non
è il solo rilascio del titolo edilizio a determinare
l’obbligo di versamento degli oneri concessori, dato che
rileva anche l’esecuzione dell’attività edilizia assentita,
con la conseguenza che “ove ci sia stata voltura a favore di
terzi del titolo edilizio da parte dell'originario titolare,
unita al mancato avvio da parte di costui di alcuna attività
edificatoria, l'intestatario iniziale della concessione deve
essere ritenuto libero da ogni obbligo pecuniario nei
confronti dell'ente concedente per oneri concessione e per
contributo di costruzione”, in considerazione del rilievo
che l’avvenuta voltura del titolo edilizio accettata dal
Comune, estingue il rapporto con l’originario dante causa,
perché la voltura del titolo edilizio opera “come una
novazione soggettiva liberatoria del debitore originario per
accettazione del Comune”.
... per l'annullamento:
A) quanto al ricorso introduttivo:
- richiesta di accertamento della insussistenza in capo al
Comune di Tezze sul Brenta del credito di € 4.885,41 di cui
il medesimo Comune si è dichiarato titolare nei confronti
della signora T.G. ed ha chiesto il pagamento alla
ricorrente con lettera del 24.05.2012 prot. n. 6321 e
successiva lettera del 30.05.2013 prot. 6774;
- richiesta di accertamento della insussistenza in capo al
Comune di Tezze sul Brenta del credito di € 235,93 di cui il
medesimo Comune si è dichiarato titolare nei confronti della
signora T.G. per interessi maturati sulla somma di €
4.885,41 e di cui ha chiesto il pagamento mediante cartella
di pagamento n. 12420140004298334 emessa da Equitalia Nord
spa e notificata dalla medesima in data 09.06.2014;
- richiesta di annullamento della cartella di pagamento n.
12420140004298334 emessa da Equitalia Nord spa e notificata
dalla medesima Equitalia Nord spa alla signora T.G. in data
09.06.2014;
...
La ricorrente ha ottenuto dal Comune di Tezze sul Brenta il
permesso di costruire n. 7925 del 02.01.2004 per realizzare
un fabbricato residenziale.
Il Comune ha determinato nella somma di € 4.885,41 l’importo
del contributo per costi di costruzione che sono stati
regolarmente versati.
In data 16.02.2004 i terreni sono stati venduti alla ditta
“l’immobiliare Srl” prima che iniziassero i lavori, e
l’11.03.2004, il Comune ha effettuato la voltura del
permesso di costruire.
Con nota del 24.05.2012, il Comune ha chiesto alla
ricorrente il pagamento di ulteriori somme a titolo di
contributo per il costo di costruzione, a causa del
mutamento di orientamento interpretativo consolidatosi in
giurisprudenza circa la necessità di applicare la misura
minima del 5% prevista dall’art. 16 del DPR 06.06.2001, n.
380, in luogo di quella del 2,5% prevista dalla normativa
regionale da ritenersi implicitamente abrogata per effetto
della sopravvenuta norma statale di principio.
La ricorrente ha prodotto memorie al Comune deducendo di non
essere tenuta al pagamento perché il titolo edilizio era
stato volturato a terzi, senza ottenere alcun riscontro.
Con cartella di pagamento n. 12420140004298334 notificata il
09.06.2014, Equitalia ha chiesto la somma di € 5.365,36, di
cui 4.885,41 per mancato pagamento del contributo di
costruzione, ed € 235,93 per interessi e il resto per spese
di esazione.
...
Il ricorso è fondato per la censura, che ha carattere
assorbente, contenuta nel primo motivo del ricorso
introduttivo e dei motivi aggiunti.
Infatti nel caso all’esame l’ulteriore richiesta di
pagamento degli oneri non poteva essere rivolta nei
confronti della ricorrente che ha ceduto i terreni e ha
provveduto a volturare il titolo edilizio in favore di un
soggetto terzo prima dell’inizio dei lavori.
Sul punto è sufficiente richiamare l’orientamento
giurisprudenziale, che il Collegio condivide, secondo cui
non è il solo rilascio del titolo edilizio a determinare
l’obbligo di versamento degli oneri concessori, dato che
rileva anche l’esecuzione dell’attività edilizia assentita,
con la conseguenza che “ove ci sia stata voltura a favore
di terzi del titolo edilizio da parte dell'originario
titolare, unita al mancato avvio da parte di costui di
alcuna attività edificatoria, l'intestatario iniziale della
concessione deve essere ritenuto libero da ogni obbligo
pecuniario nei confronti dell'ente concedente per oneri
concessione e per contributo di costruzione” (cfr. Tar
Sicilia, Catania, Sez. I 12.10.2010, n. 4104; id. 26.03.2009
n. 60; Tar Toscana, Sez. III, 12.06.2012 n. 1126), in
considerazione del rilievo che l’avvenuta voltura del titolo
edilizio accettata dal Comune, estingue il rapporto con
l’originario dante causa, perché la voltura del titolo
edilizio opera “come una novazione soggettiva liberatoria
del debitore originario per accettazione del Comune”
(cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 30.11.2011, n. 6033;
Consiglio Giust. Amm. Sic., 13.10.2011, n. 666; Tar Veneto,
Sez. II, 16.06.2011, n. 1042, punto 5.2 in diritto; Tar
Puglia, Lecce, Sez. II, 14.07.2003, n. 4731; Tar Campania,
Napoli, Sez. V, 12.03.2008, n. 1220).
In definitiva il ricorso deve essere accolto per il primo
dei motivi del ricorso introduttivo e dei motivi aggiunti
che, comportando l’accertamento che la ricorrente non è il
soggetto passivo della pretesa creditoria che il Comune ha
avanzato con le note del 25.05.2012 e del 30.05.2013, e
quindi l’annullamento degli atti impugnati perché rivolti
nei confronti della ricorrente anziché nei confronti della
Società in cui favore è stato volturato il titolo edilizio
ed ha eseguito i lavori, ha carattere assorbente delle
ulteriori censure, con le quali la ricorrente contesta nel
merito la pretesa creditoria del Comune, ed anche della
domanda di risarcimento, formulata espressamente in via
subordinata all’eventuale reiezione di tutte le censure
proposte
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 06.05.2015 n. 485 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
aprile 2015 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Il contributo di costruzione posto a carico del
costruttore trova causa nell’utilità che questi ne ritrae.
Trattandosi di principio di portata generale la deroga alla
onerosità del titolo edilizio non può che ricorrere nelle
sole ipotesi tassativamente previste dalla legge da
intendersi di stretta interpretazione.
Ciò premesso si rileva che il pagamento del contributo di
cui al citato art. 27 della L.R. n. 31/2002, ai sensi del
successivo art. 30, comma 1, lett. a), è escluso unicamente
“per gli interventi, anche residenziali, da realizzare nel
territorio rurale in funzione della conduzione del fondo e
delle esigenze dell'imprenditore agricolo a titolo
principale, ai sensi dell'art. 12 della L. 09.05.1975, n.
153, ancorché in quiescenza”.
Ne deriva che ai fini del rilascio della concessione
gratuita occorre il concomitante concorso di due
requisiti: sul piano soggettivo, la qualità di
imprenditore agricolo a titolo principale secondo la
definizione di cui all’art. 12 della L. n. 153/1975; sul
piano oggettivo, il nesso di preordinazione funzionale delle
opere alla conduzione del fondo.
La ricorrenza di una soltanto di dette condizioni non può,
quindi, ritenersi requisito sufficiente a determinare la
gratuità dell’intervento edilizio.
La pretesa esenzione non può, quindi, trovare applicazione
nei confronti di soggetti differenti dall’imprenditore
agricolo a titolo principale e deve essere debitamente
documentata al momento in cui l’interessato richiede il
titolo abilitativo per l’intervento edilizio.
---------------
In base al prevalente orientamento giurisprudenziale “la
controversia sulla quantificazione del contributo di
costruzione involge l'apprezzamento del diritto soggettivo
alla determinazione dell'obbligazione contributiva. Attività
questa, non autoritativa, vincolata, da eseguirsi secondo
criteri predeterminati o tabelle parametriche in ragione
della natura paratributaria del contributo” con la
conseguenza che “trova campo elettivo d'applicazione, specie
con riguardo alle norme che prevedono l'esonero e la
riduzione del pagamento del contributo, il criterio
interpretativo delle norme c.d. "a fattispecie esclusiva",
proprio delle disposizioni tributarie. Ossia l'interprete,
oltre a doversi attenere alla littera legis, deve
individuare il criterio in base al quale è stata disposto il
beneficio che deroga all'ordinario regime paratributario, al
fine di non estenderne l'applicazione oltre i casi
espressamente preveduti”.
La censura è infondata.
Sul punto occorre precisare che il contributo di costruzione
posto a carico del costruttore trova causa nell’utilità che
questi ne ritrae.
Trattandosi di principio di portata generale la deroga alla
onerosità del titolo edilizio non può che ricorrere nelle
sole ipotesi tassativamente previste dalla legge da
intendersi di stretta interpretazione (Cons. di St., Sez. V,
07.05.2013, n. 2467).
Ciò premesso si rileva che il pagamento del contributo di
cui al citato art. 27 della L.R. n. 31/2002, ai sensi del
successivo art. 30, comma 1, lett. a), è escluso unicamente
“per gli interventi, anche residenziali, da realizzare nel
territorio rurale in funzione della conduzione del fondo e
delle esigenze dell'imprenditore agricolo a titolo
principale, ai sensi dell'art. 12 della L. 09.05.1975, n.
153, ancorché in quiescenza”.
Ne deriva che ai fini del rilascio della concessione
gratuita occorre il concomitante concorso di due requisiti:
sul piano soggettivo, la qualità di imprenditore agricolo a
titolo principale secondo la definizione di cui all’art. 12
della L. n. 153/1975; sul piano oggettivo, il nesso di
preordinazione funzionale delle opere alla conduzione del
fondo.
La ricorrenza di una soltanto di dette condizioni non può,
quindi, ritenersi requisito sufficiente a determinare la
gratuità dell’intervento edilizio (Cons. di St., sez. V, 14.05.2013, n. 2009).
La pretesa esenzione non può, quindi, trovare applicazione
nei confronti di soggetti differenti dall’imprenditore
agricolo a titolo principale e deve essere debitamente
documentata al momento in cui l’interessato richiede il
titolo abilitativo per l’intervento edilizio (TAR Puglia,
Lecce, Sez. III, 18.09.2013, n. 1939).
Nel caso di specie in capo al ricorrente difetta la
prescritta qualifica.
La Comunità Montana Valli del Nure e dell’Arda, infatti, a
richiesta dell’Amministrazione, ha certificato la qualifica
di IAP in capo a E.M. “in qualità di socio
amministratore (persona giuridica) della predetta Società
Agricola E.G. e C. Società Semplice e non in
quanto ditta individuale (persona giuridica) coincidente con
la persona fisica”.
La circostanza che l’intervento edilizio sia relativo ad
opere assentite in forza di titolo richiesto dalla (e
rilasciato alla) persona fisica determina l’insussistenza
del presupposto legittimante l’invocata esclusione dal
pagamento del contributo di costruzione.
L’esenzione in questione è ulteriormente inibita a causa
della natura del fabbricato da realizzarsi atteso che non
possiede il prescritto carattere rurale ma, come sostenuto
dall’Amministrazione, deve classificarsi quale abitazione di
lusso.
L’art. 9, comma 3, lett. e), del D.L. n. 557/1993, infatti,
precisa che “i fabbricati ad uso abitativo, che hanno le
caratteristiche delle unità immobiliari urbane appartenenti
alle categorie A/1 ed A/8, ovvero le caratteristiche di
lusso previste dal decreto del Ministro dei lavori pubblici
02.08.1969, adottato in attuazione dell'articolo 13 della
legge 02.07.1949, n. 408, e pubblicato nella Gazzetta
Ufficiale n. 218 del 27.08.1969, non possono comunque
essere riconosciuti rurali”.
Ai sensi dell’art. 5 del D.M. Lavori Pubblici 02.08.1969,
sono considerate abitazioni di lusso “le case composte di
uno o più piani costituenti unico alloggio padronale aventi
superficie utile complessiva superiore a mq. 200 (esclusi i
balconi, le terrazze, le cantine, le soffitte, le scale e
posto macchine) ed aventi come pertinenza un'area scoperta
della superficie di oltre sei volte l'area coperta”.
L’abitazione in questione è riconducibile a tale tipologia
poiché ha superficie utile pari a mq. 232,11 (oltre mq.
158,40 non residenziali, mq. 56,44 per autorimessa e mq.
198,91 di porticati) e non può, pertanto, beneficare di
alcuna esenzione.
Con il medesimo capo di impugnazione il ricorrente afferma
ulteriormente che la circostanza che l’immobile presenti
caratteristiche tali da essere riconducibile agli immobili
di lusso potrebbe determinare il mancato riconoscimento
della ruralità del fabbricato ai soli fini fiscali senza
ricaduta alcuna sul regime del contributo di costruzione.
La doglianza è infondata in ragione della peculiare natura
del contributo di costruzione.
Deve a tal proposito rilevarsi che in base al prevalente
orientamento giurisprudenziale “la controversia sulla
quantificazione del contributo di costruzione involge
l'apprezzamento del diritto soggettivo alla determinazione
dell'obbligazione contributiva. Attività questa, non autoritativa, vincolata, da eseguirsi secondo criteri
predeterminati o tabelle parametriche in ragione della
natura paratributaria del contributo (cfr., Tar Lombardia,
sez. Brescia, 24.08.2012 n. 1467; Cons. St., sez. V, 14.12.1994 n. 1471)” con la conseguenza che “trova campo
elettivo d'applicazione, specie con riguardo alle norme che
prevedono l'esonero e la riduzione del pagamento del
contributo, il criterio interpretativo delle norme c.d. "a
fattispecie esclusiva", proprio delle disposizioni
tributarie. Ossia l'interprete, oltre a doversi attenere
alla littera legis, deve individuare il criterio in base al
quale è stata disposto il beneficio che deroga all'ordinario
regime paratributario, al fine di non estenderne
l'applicazione oltre i casi espressamente preveduti” (TAR
Liguria, Sez. I, 30.09.2014, n. 1401).
La posizione illustrata, dalla quale la Sezione non ha
motivo di discostarsi, è coerente con il principio di
stretta interpretazione cui devono soggiacere i casi di
esonero dal contributo di concessione (TAR Campania, Napoli,
Sez. II, 29.01.2015, n. 516)
(TAR Emilia Romagna-Parma,
sentenza 30.04.2015 n. 121 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Secondo
l’orientamento consolidato della giurisprudenza, fondato sul
tenore letterale dell’art. 16 del D.P.R. 06.06.2001 n. 380
(“la quota di contributo relativa agli oneri di
urbanizzazione è corrisposta al Comune all'atto del rilascio
del permesso di costruire” e “la quota di contributo
relativa al costo di costruzione, determinata all'atto del
rilascio...”), i contributi concessori devono essere
stabiliti al momento del rilascio del permesso edilizio; a
tale momento occorre dunque avere riguardo per la
determinazione della entità dell’onere facendo applicazione
della normativa vigente al momento del rilascio del titolo
edilizio.
Da tale affermazione di principio si trae il corollario
della irretroattività delle determinazioni comunali a
carattere regolamentare con cui vengono stabiliti i criteri
generali e le nuove tariffe e modalità di calcolo per gli
oneri concessori ribadendosi l'integrale applicazione del
principio “tempus regit actum” e, quindi, la irrilevanza ed
ininfluenza di disposizioni tariffarie sopravvenute rispetto
al momento del rilascio della concessione edilizia.
Di conseguenza, deve ritenersi che le delibere comunali che
dispongono l'adeguamento degli oneri concessori possano
trovare applicazione esclusivamente per i permessi
rilasciati a far tempo dall'epoca di adozione dell'atto
deliberativo e non anche per quelli rilasciati in epoca
anteriore.
---------------
Deve ritenersi, sulla base del dato normativo e in
conformità dell’orientamento giurisprudenziale consolidato
da cui non vi sono ragioni di discostarsi, che non solo la
determinazione degli oneri debba avvenire sulla base delle
tariffe vigenti ma che la stessa non possa essere richiesta
che una tantum al momento del rilascio del permesso edilizio
senza possibilità di esigersi pagamenti per annualità
successive al rilascio del titolo.
E’ pertanto evidentemente illegittima la pretesa
dell’Amministrazione intimata di addossare al titolare di un
permesso edilizio rilasciato anni prima l’ulteriore carico
finanziario derivante dal meccanismo di aggiornamento posto
che la determinazione degli oneri concessori al momento del
rilascio era stata -a quanto risulta dagli atti di causa-
correttamente determinata sulla base delle tabelle vigenti
all’epoca.
---------------
Per ragione di completezza, si precisa che, anche
qualificando come conseguenza del potere di autotutela la
richiesta di integrazione degli oneri, la pretesa
risulterebbe illegittima in quanto esercitata patentemente
in violazione dell’art. 21-nonies Legge 07.08.1990 n. 241 e
ss.mm. posto che:
- non risulta chiaramente il vizio originario da rimuovere,
limitandosi il Comune genericamente a richiamare le norme e
le tabelle succedutesi nel tempo;
- non viene comparato in motivazione l’interesse pubblico
con l’interesse del destinatario, tenendo conto
dell'affidamento ingeneratosi nel privato;
- in particolare non viene data alcuna motivazione in
relazione al tempo trascorso, circa quattro anni, tra la
determinazione originaria e la successiva rideterminazione,
tenendo conto che lo stesso art. 21-nonies della Legge n.
241/1990 prescrive che il potere di ritiro venga esercitato
“entro un ragionevole termine”.
Il ricorso è fondato nel merito e va accolto.
Con la presente impugnativa il ricorrente si duole che il
Comune di Castro abbia rideterminato retroattivamente
l’importo del contributo concessorio, a distanza di (circa)
quattro anni dal rilascio del permesso di costruire n. 24
del 15.06.2009, ultimata l’opera edilizia e saldati il
pagamento degli oneri richiesti.
La doglianza merita di essere condivisa.
Osserva il Collegio che il provvedimento dirigenziale
impugnato (prot. n. 2374 del 16.04.2013) -recante in
oggetto: “Rideterminazione e recupero contributo di
costruzione. Comunicazione e messa in mora”- accolla
ex post al ricorrente, in ragione del titolo edilizio
rilasciato (circa) quattro anni prima, ulteriori oneri
concessori rinviando a quanto stabilito nella deliberazione
30.11.2012 n. 64 del Consiglio Comunale di Castro (e nella
determinazione dirigenziale n. 282 del 31.12.2012).
In tale deliberazione, preso atto che è operante un
meccanismo legislativo (cfr. art. 16 D.P.R. n. 380/2001,
art. 2 L.R. n. 1/2007) di adeguamento automatico del
contributo concessorio, il Consiglio Comunale di Castro ha
invitato l’Ufficio competente a porre in essere tutte le
necessarie attività tecnico-amministrative finalizzate al
recupero della differenza tra il contributo concessorio
riscosso e quello dovuto in relazione alle pratiche edilizie
pervenute a far data del 01.01.2007.
In base a tale direttiva, il Responsabile del Settore
Tecnico del Comune di Castro ha dunque richiesto il “conguaglio”
(a seguito della rideterminazione in base a nuovi parametri
stabiliti ex post) degli oneri concessori versati dal
ricorrente in relazione al permesso di costruire n. 24 del
15.06.2009, in misura pari ad € 4.293,03 per l’aggiornamento
del contributo di costruzione.
Il Tribunale, in seguito alla lettura dei provvedimenti
contestati, ritiene di escludere che si sia di fronte
all’esercizio di un potere di autotutela volto a correggere
eventuali errori di determinazione o calcolo, peraltro
nemmeno chiaramente evidenziati in atti, compiuti all’epoca
del rilascio del permesso di costruire.
L’attività comunale appare invece orientata ad addossare al
privato successivamente al rilascio del titolo edilizio
costi supplementari derivanti dal meccanismo legale di
adeguamento degli oneri concessori.
Tale meccanismo consente di aggiornare gli importi
ricorrendo, con riferimento alla voce relativa agli oneri di
urbanizzazione, “ai riscontri e prevedibili costi delle
opere di urbanizzazione primaria, secondaria e generale”
(cfr. art. 16, sesto comma, D.P.R. 06.06.2001 n. 380) o, in
relazione alla voce relativa al costo di costruzione,
facendo “riferimento ai costi massimi ammissibili per
l'edilizia agevolata” su determinazione regionale, e in
assenza di quest’ultima “in ragione dell'intervenuta
variazione dei costi di costruzione accertata dall'ISTAT”
(Cfr.: art. 16, nono comma, D.P.R. 06.06.2001 n. 380).
Il procedimento di revisione mira dunque ad adeguare
l’importo degli oneri concessori a fenomeni di natura
sostanzialmente inflattiva -legati all’aumento generalizzato
dei costi di urbanizzazione o di costruzione- in maniera da
far corrispondere a permessi edilizi rilasciati in epoche
diverse un impegno economico sostanzialmente uniforme sui
singoli istanti.
Secondo l’orientamento consolidato della giurisprudenza,
fondato sullo stesso tenore letterale dell’art. 16 del
D.P.R. 06.06.2001 n. 380 (“la quota di contributo
relativa agli oneri di urbanizzazione è corrisposta al
Comune all'atto del rilascio del permesso di costruire”
e “la quota di contributo relativa al costo di
costruzione, determinata all'atto del rilascio...”), i
contributi concessori devono essere stabiliti al momento del
rilascio del permesso edilizio; a tale momento occorre
dunque avere riguardo per la determinazione della entità
dell’onere facendo applicazione della normativa vigente al
momento del rilascio del titolo edilizio.
Da tale affermazione di principio si trae il corollario
della irretroattività delle determinazioni comunali a
carattere regolamentare con cui vengono stabiliti i criteri
generali e le nuove tariffe e modalità di calcolo per gli
oneri concessori ribadendosi l'integrale applicazione del
principio “tempus regit actum” e, quindi, la
irrilevanza ed ininfluenza di disposizioni tariffarie
sopravvenute rispetto al momento del rilascio della
concessione edilizia (Cfr. ex multis: TAR Puglia
Lecce, III Sezione, 15.01.2013 n. 49).
Di conseguenza, deve ritenersi che le delibere comunali che
dispongono l'adeguamento degli oneri concessori possano
trovare applicazione esclusivamente per i permessi
rilasciati a far tempo dall'epoca di adozione dell'atto
deliberativo e non anche per quelli rilasciati in epoca
anteriore.
Nel caso di specie, si deve poi osservare che la
determinazione degli oneri non solo avviene sulla base di
parametri posteriori al titolo edilizio -e quindi in via
retroattiva- ma che altresì la stessa pretesa comunale
appare fondata sulla convinzione errata che sia possibile
esigere periodicamente la richiesta di integrazione del
pagamento ogni volta che l’importo tariffario venga
modificato, posto che tale rideterminazione appare nella
specie ancorata alle tabelle approvate anche per gli anni
successivi a quello di rilascio del titolo edilizio.
Deve invece ritenersi, sulla base del dato normativo e in
conformità dell’orientamento giurisprudenziale consolidato
da cui non vi sono ragioni di discostarsi, che non solo la
determinazione degli oneri debba avvenire sulla base delle
tariffe vigenti ma che la stessa non possa essere richiesta
che una tantum al momento del rilascio del permesso
edilizio senza possibilità di esigersi pagamenti per
annualità successive al rilascio del titolo (Cfr. ex
multis: TAR Puglia Lecce, III Sezione, 15.01.2013 n.
49).
E’ pertanto evidentemente illegittima la pretesa
dell’Amministrazione intimata di addossare al titolare di un
permesso edilizio rilasciato anni prima l’ulteriore carico
finanziario derivante dal meccanismo di aggiornamento posto
che la determinazione degli oneri concessori al momento del
rilascio era stata -a quanto risulta dagli atti di causa-
correttamente determinata sulla base delle tabelle vigenti
all’epoca.
Per ragione di completezza, si precisa che, anche
qualificando come conseguenza del potere di autotutela la
richiesta di integrazione degli oneri, la pretesa
risulterebbe illegittima in quanto esercitata patentemente
in violazione dell’art. 21-nonies Legge 07.08.1990 n. 241 e
ss.mm. posto che:
- non risulta chiaramente il vizio originario da rimuovere,
limitandosi il Comune genericamente a richiamare le norme e
le tabelle succedutesi nel tempo;
- non viene comparato in motivazione l’interesse pubblico
con l’interesse del destinatario, tenendo conto
dell'affidamento ingeneratosi nel privato;
- in particolare non viene data alcuna motivazione in
relazione al tempo trascorso, circa quattro anni, tra la
determinazione originaria e la successiva rideterminazione,
tenendo conto che lo stesso art. 21-nonies della Legge n.
241/1990 prescrive che il potere di ritiro venga esercitato
“entro un ragionevole termine”.
In conclusione, per le ragioni esposte, vista
l’illegittimità dei provvedimenti impugnati, il ricorso deve
essere accolto
(TAR Puglia-Lecce, Sez. III,
sentenza 21.04.2015 n. 1302 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
marzo 2015 |
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EDILIZIA PRIVATA:
I commi da 8 a 10 dell’articolo 44 della l.r.
11.03.2005, n. 12 hanno previsto speciali criteri di calcolo
degli oneri di urbanizzazione solo con riferimento alle
ristrutturazioni edilizie “non comportanti
demolizione e ricostruzione”.
Ne deriva, a contrario, che gli
interventi di ricostruzione preceduti da demolizione totale
o parziale siano assoggettati al contributo concessorio
previsto per le nuove costruzioni.
Tale conclusione è, oggi, ulteriormente avvalorata dal nuovo
comma 10-bis dell’articolo 44 della l.r. n. 12/2005 –introdotto dall’articolo 17, comma 3, della l.r. 18.04.2012, n. 7– il quale prevede che “I
comuni, nei casi di ristrutturazione comportante demolizione
e ricostruzione ed in quelli di integrale sostituzione
edilizia possono ridurre, in misura non inferiore al
cinquanta percento, ove dovuti, i contributi per gli oneri
di urbanizzazione primaria e secondaria”.
La disposizione si fonda infatti sull’evidente
presupposto che gli interventi in questione siano, in linea
di principio, soggetti all’integrale assolvimento della
quota di contributo di costruzione commisurata agli oneri di
urbanizzazione, e prevede, per il futuro, la possibilità per
i comuni di ridurre la misura della relativa quota di
contributo di costruzione.
Essa, quindi, comprova ulteriormente la soggezione degli
interventi di ricostruzione previa demolizione
dell’esistente, realizzati anteriormente alla novella,
all’integrale corresponsione degli oneri di urbanizzazione.
---------------
6.2 Ciò posto, quanto alla determinazione dell’entità
dell’intervento, deve condividersi quanto rappresentato
dalla difesa comunale, la quale correttamente evidenzia come
i commi da 8 a 10 dell’articolo 44 della legge regionale
11.03.2005, n. 11 abbiano previsto speciali criteri di
calcolo degli oneri di urbanizzazione solo con riferimento
alle ristrutturazioni edilizie “non comportanti
demolizione e ricostruzione”.
Ne deriva, a contrario, che –come già chiarito dalla
giurisprudenza formatasi sulle disposizioni richiamate– gli
interventi di ricostruzione preceduti da demolizione totale
o parziale siano assoggettati al contributo concessorio
previsto per le nuove costruzioni (v. Cons. Stato, Sez. IV,
22.05.2012, n. 2969, che conferma la sentenza di questa
Sezione del 18.05.2010, n. 1566).
Tale conclusione è, oggi, ulteriormente avvalorata dal nuovo
comma 10-bis dell’articolo 44 della legge regionale n. 12
del 2005 –introdotto dall’articolo 17, comma 3, della legge
regionale 18.04.2012, n. 7– il quale prevede che “I
comuni, nei casi di ristrutturazione comportante demolizione
e ricostruzione ed in quelli di integrale sostituzione
edilizia possono ridurre, in misura non inferiore al
cinquanta percento, ove dovuti, i contributi per gli oneri
di urbanizzazione primaria e secondaria”.
La disposizione –introdotta successivamente alla d.i.a.
oggetto del presente giudizio, e dunque non applicabile in
ogni caso in questa sede– si fonda infatti sull’evidente
presupposto che gli interventi in questione siano, in linea
di principio, soggetti all’integrale assolvimento della
quota di contributo di costruzione commisurata agli oneri di
urbanizzazione, e prevede, per il futuro, la possibilità per
i comuni di ridurre la misura della relativa quota di
contributo di costruzione.
Essa, quindi, comprova ulteriormente la soggezione degli
interventi di ricostruzione previa demolizione
dell’esistente, realizzati anteriormente alla novella,
all’integrale corresponsione degli oneri di urbanizzazione
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 23.03.2015 n. 780 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il contributo di costruzione costituisce un
corrispettivo di diritto pubblico previsto dal Legislatore a
titolo di partecipazione ai costi delle opere di
urbanizzazione, ovvero un contributo speciale che ha la
propria causa giuridica nelle maggiori spese che
l’Amministrazione pubblica deve accollarsi in dipendenza
della costruzione dell’edificio e del connesso utilizzo, da
parte dei detentori del bene, dei servizi e degli spazi
circostanti.
---------------
E' pacifico
in giurisprudenza che il pagamento degli oneri di
urbanizzazione è dovuto solo nel caso in cui l’intervento
abbia determinato un aumento del carico urbanistico,
dovendosi perciò ritenere illegittima la richiesta del
pagamento di tali maggiori oneri se non si verifica la
variazione del carico urbanistico.
---------------
Espone in fatto parte ricorrente di aver presentato SCIA al
Comune di Brusciano il 10/7/2013 n. 13740 per manutenzione
straordinaria e cambio d’uso del complesso produttivo in
Brusciano alla Via ... n. 102 su terreno di cui al fl.3
p.lla 53 di mq. 30.900. Con nota n. 15247 del 12/08/2013
veniva comunicato l’avvio del procedimento di rigetto ma
veniva chiarito che la destinazione d’uso di assemblaggio ed
esposizione di macchine per agricoltura e movimentazione era
compatibile con la destinazione D1 aree industriali,
artigianali e commerciali. Con la nota impugnata sono state
accolte le deduzioni ed è stato richiesto il pagamento di €
168.802,65 quale contributo di costruzione in ragione del
cambio di destinazione d’uso per volume edificato in zona
agricola.
Il Comune di Brusciano si è costituito in giudizio per
dedurre circa la legittimità della richiesta di pagamento
per avvenuto cambio di destinazione d’uso in quanto il lotto
non avrebbe sempre avuto la destinazione D1.
Con ordinanza resa in fase cautelare il Tribunale sospendeva
il provvedimento impugnato; parte ricorrente ha
successivamente depositato copia della comunicazione inviata
al Comune di inizio dei lavori di manutenzione
straordinaria.
...
1. Con il ricorso in esame parte ricorrente richiede
l’annullamento in parte qua della nota impugnata
quanto alla richiesta del contributo di costruzione
lamentando la violazione dell’art. 3 della Legge n. 241/1990
e degli artt. 16 e ss. del DPR n. 380/2001, nonché l’eccesso
di potere.
2. Con riguardo alla vicenda in oggetto la Sezione è
dell’avviso di dover preliminarmente chiarire in punto di
fatto che, con riguardo al complesso produttivo per il quale
sono stati richiesti € 168.082,65 quali “oneri di
urbanizzazione/contributo di costruzione” a seguito
della SCIA del 10/7/2013, già in data 26/07/2012 era stato
rilasciato Permesso di costruire in sanatoria n. 39/2012 con
pagamento di € 25.405,90 quali contributo di costruzione.
E’ poi il caso di rammentare che detto contributo
costituisce un corrispettivo di diritto pubblico previsto
dal Legislatore a titolo di partecipazione ai costi delle
opere di urbanizzazione, ovvero un contributo speciale che
ha la propria causa giuridica nelle maggiori spese che
l’Amministrazione pubblica deve accollarsi in dipendenza
della costruzione dell’edificio e del connesso utilizzo, da
parte dei detentori del bene, dei servizi e degli spazi
circostanti.
3. Ora, avuto riguardo alla censura della presunta
illegittimità della richiesta di pagamento degli oneri, si
ritiene che il ricorso risulti fondato quanto meno con
riguardo alle aree esterne che non risultano essere state
interessate da opere edilizie e che, in base alla SCIA
citata, sono state al più oggetto di lavori di manutenzione
straordinaria di limitata consistenza rimanendo zona di
parcheggio delle macchine finite.
Peraltro è pacifico in giurisprudenza (cfr. TAR Campania,
Salerno, II, 10.03.2014, n. 552; TAR Piemonte, I,
13.12.2013, n. 1346; II, 16.09.2013, n. 1009; Cons. Stato,
IV, 29.04.2004, n. 2611) che il pagamento degli oneri di
urbanizzazione è dovuto solo nel caso in cui l’intervento
abbia determinato un aumento del carico urbanistico,
dovendosi perciò ritenere illegittima la richiesta del
pagamento di tali maggiori oneri se non si verifica la
variazione del carico urbanistico; questa non risulta essere
avvenuta nel caso di specie, non risultando né la quantità
né la qualità delle infrastrutture necessarie a supportare
il nuovo insediamento.
3.1 Il provvedimento impugnato merita dunque di essere
annullato “in parte qua” nella misura in cui la
richiesta di pagamento per le aree esterne non è stata
giustificata dalla sussistenza di opere di urbanizzazione
primaria ex novo; la stessa relazione depositata agli
atti dall’Amministrazione resistente e datata 03/02/2015 ha
riguardo a fatti antecedenti al citato Permesso di costruire
n. 39 del 2012 per il quale era stato corrisposto il
contributo di costruzione, ma –ed è quel che più conta– non
prova che vi è stato aumento di volumetria e che si è
determinata una modifica della destinazione produttiva, in
altri termini non si riscontra in atti che vi sia stata
modifica dei parametri e del carico urbanistico.
4. Ciò premesso, il Collegio ritiene che il ricorso vada
accolto con conseguente annullamento in parte qua del
provvedimento oggetto di impugnazione (TAR Campania-Napoli,
Sez. II,
sentenza 12.03.2015 n. 1531 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
novembre 2014 |
|
EDILIZIA PRIVATA: 1.
Sulla natura delle controversie in materia di oneri di
urbanizzazione.
Le controversie in tema di oneri di
urbanizzazione e di costo di costruzione introducono un
giudizio su un rapporto involgente posizioni di diritto
soggettivo, che, come tale, sfugge ai termini decadenziali
del giudizio impugnatorio ed è attivabile nell’ordinario
termine di prescrizione.
2. Sulle condizioni di operatività dell'esonero dal
contributo per le opere da realizzare in zona agricola in
funzione della conduzione del fondo e delle esigenze
dell'imprenditore agricolo ex art. 9, co. 1, lett. a), legge
n. 10/1977.
L’esonero dal contributo per il rilascio
della concessione edilizia relativamente alle opere da
realizzare nelle zone agricole in funzione della conduzione
del fondo e delle esigenze dell'imprenditore agricolo a
titolo principale previsto dall’art. 9, co. 1, lett. a),
della legge n. 10/1977, subordinava la gratuità della
concessione a due condizioni: la destinazione dell’opera
alla conduzione del fondo la titolarità della qualifica di
imprenditore agricolo a titolo principale, per tale
dovendosi intendere “l'imprenditore che dedichi alla
attività agricola almeno due terzi del proprio tempo di
lavoro complessivo e che ricavi dall'attività medesima
almeno due terzi del proprio reddito globale da lavoro
risultante dalla propria posizione fiscale”, la cui
sussistenza è onere del ricorrente dimostrare.
3. Rilevanza anche dei volumi interrati ai fini del computo
degli oneri di urbanizzazione.
Ove non si tratti di opere di modeste
dimensioni e con destinazione delle stesse ad usi episodici
o meramente complementari, o comunque escluse dagli
strumenti urbanistici, anche i locali interrati producono
carico urbanistico e rilevano ai fini del computo degli
oneri di urbanizzazione.
3.1. Le censure, che saranno esaminate congiuntamente, sono
infondate.
3.1.1. L’art. 9, co. 1, lett. a), della legge n. 10/1977,
applicabile ratione temporis, prevedeva l’esonero dal
contributo per il rilascio della concessione edilizia
relativamente alle opere da realizzare nelle zone agricole
in funzione della conduzione del fondo e delle esigenze
dell'imprenditore agricolo a titolo principale, ai sensi
dell'art. 12 della legge n. 153/1975.
Come si vede, la norma subordinava la gratuità della
concessione a due condizioni, una oggettiva, ovvero la
destinazione dell’opera alla conduzione del fondo, e l’altra
soggettiva, ovvero la titolarità della qualifica di
imprenditore agricolo a titolo principale, per tale
dovendosi intendere “l'imprenditore che dedichi alla
attività agricola almeno due terzi del proprio tempo di
lavoro complessivo e che ricavi dall'attività medesima
almeno due terzi del proprio reddito globale da lavoro
risultante dalla propria posizione fiscale”, secondo la
definizione dettata dall’art. 12 l. n. 153/1975 cit.; ed
anche a voler ammettere che lo scantinato abusivo per cui è
causa debba presumersi destinato a contribuire alla
conduzione del fondo di proprietà del ricorrente, nella
specie è proprio il requisito soggettivo a fare difetto: non
solo, infatti, il ricorrente medesimo non ne ha dimostrato
la sussistenza, come sarebbe stato suo onere (cfr. da ultimo
Cons. Stato, sez. V, 09.04.2013, n. 1935), ma la
documentazione in atti attesta il contrario (basti esaminare
la nota di trascrizione dell’atto d’obbligo del 12.04.1991,
ove il ricorrente è qualificato come “infermiere
professionale”, circostanza palesemente incompatibile
con il contestuale possesso della qualità di imprenditore
agricolo a titolo principale.
Del pari, gli altri soggetti menzionati nella nota vi sono
qualificati, rispettivamente come “bidella” la
signora D.V., moglie del ricorrente, e “pensionato”
il signor F.G.).
3.1.2. Quanto alla debenza o meno del contributo di
concessione per la realizzazione di locali interrati, ai
sensi dell’art. 18 delle N.T.A. del P.R.G. di San Giuliano
Terme, non può dubitarsi del fatto che la disposizione
dianzi citata, nell’indicare al punto 5 i volumi rilevanti
ai fini della individuazione delle caratteristiche
quantitative delle opere realizzabili nel territorio
comunale, vi comprenda anche i volumi interrati, di modo che
il successivo rinvio alle “superfici utili” indicate
al precedente punto 4 non può essere inteso ai soli piani
fuori terra, come pretenderebbe il ricorrente in virtù di
una interpretazione rigidamente letterale, ma a tutte le
superfici utili di calpestio, ivi incluse quelle interrate e
con la sola eccezione prevista dallo strumento urbanistico
per le superfici –fuori terra o interrate– aventi specifiche
destinazioni pertinenziali (autorimesse e locali tecnici, le
cui caratteristiche non ha il manufatto realizzato dal
ricorrente, oltretutto di dimensioni oggettivamente non
esigue).
Diversamente, la menzione dei volumi interrati al punto 5
resterebbe priva di effetti, in aperto contrasto, peraltro,
con il principio invalso secondo cui, ove non si tratti di
opere di modeste dimensioni e con destinazione delle stesse
ad usi episodici o meramente complementari, o comunque
escluse dagli strumenti urbanistici, anche i locali
interrati producono carico urbanistico e rilevano ai fini
del computo degli oneri di urbanizzazione (fra le altre,
cfr. Cons. Stato, sez. V, 15.02.2001, n. 790; id., sez. IV,
03.05.2000, n. 2614).
Conferma ne sia che lo stesso ricorrente, nell’istanza di
condono, definisce “superficie utile” di 50,04 mq
quella del manufatto in questione, salvo invocare le
agevolazioni di legge previste per la destinazione
all’attività agricola
(massima tratta da www.ricerca-amministrativa.it -
TAR Toscana, Sez. III,
sentenza 21.11.2014 n. 1826
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La società titolare di
concessione per lo sfruttamento delle sorgenti di acqua
minerale laddove chiede al comune il rilascio di concessioni
edilizie per la realizzazione di un nuovo padiglione dello
stabilimento termale deve versare il contributo di
costruzione.
Con il ricorso introduttivo del giudizio la società <Terme
di Montepulciano s.p.a.>, titolare di concessione per lo
sfruttamento delle sorgenti di acqua minerale in località S.
Albino, espone di aver ottenuto dal Comune di Montepulciano
il rilascio di concessioni edilizie per la realizzazione di
un nuovo padiglione dello stabilimento termale (n. 234 del
1994, n. 21 del 1995, n. 213 del 1995).
La società ricorrente riferisce altresì di aver chiesto e
ottenuto dall’Amministrazione comunale la sospensione del
pagamento degli oneri concessori, nell’attesa dell’esito del
contenzioso relativo alla loro debenza, garantendo la
sospensione stessa dal rilascio di polizze fideiussorie.
Con la presenta azione la società ricorrente chiede
l’accertamento della non debenza degli oneri concessori
relativi alle opere edili autorizzate, ciò ai sensi
dell’art. 9, comma 1, lett. f), della legge n. 10 del 1977,
nonché dell’obbligo dell’Amministrazione di restituire le
somme versate in acconto e di svincolare le garanzie
fideiussorie.
Il Comune di Montepulciano non si è costituito in giudizio.
...
Il ricorso non può essere
accolto.
L’art. 9, comma 1, lett. f), della legge n. 10 del 1977
richiede, affinché un certo intervento edilizio risulti
gratuito (cfr., da ultimo, la sentenza della Sezione n. 1596
del 2014), la ricorrenza di due requisiti, da un lato
il <requisito oggettivo> (deve trattarsi della
edificazione di opera pubblica o di interesse generale) e
dall’altro il <requisito soggettivo> (essere
opere realizzate da “enti istituzionalmente competenti”).
Nella specie i suddetti requisiti non paiono sussistere.
In particolare deve evidenziarsi che il soggetto richiedente
è una società per azioni, che ha un oggetto sociale
commerciale (mirando al “commercio sotto qualsiasi forma
delle acque delle fonti e dei fanghi”: cfr. statuto
societario sub doc. 1 di parte ricorrente) e che quindi non
può rientrare nel concetto normativo di “enti
istituzionalmente competenti”; è vero che la
giurisprudenza estende l’applicazione dell’invocato art. 9,
comma 1, lett. f), della legge n. 10 del 1977 anche oltre i
confini soggettivi dell’ente pubblico, ma richiedendo che il
soggetto privato non agisca per fini di lucro e abbia un “legame
istituzionale con l’azione amministrativa volta alla cura di
interessi pubblici” (Cons. Stato, sez. 4^, 28.10.2011,
n. 5799; id. 08.11.2011, n. 5903), elementi assenti nella
fattispecie.
Qui si è in presenza di una società lucrativa che vuole “realizzare
un nuovo padiglione” nel proprio stabilimento termale,
attività edificatoria che non può dirsi sottratta al
pagamento degli oneri concessori
(TAR Toscana, Sez.
III,
sentenza 11.11.2014 n. 1758 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ottobre 2014 |
|
EDILIZIA
PRIVATA:
Nel caso di mutamento di destinazione d'uso,
anche senza opere, da artigianale a commerciale, trattandosi
di un cambiamento implicante il passaggio ad una categoria
funzionale autonoma, avente diverso carico urbanistico va
rilevato che ai sensi dell'art. 19, d.P.R. n. 380 del 2001,
il sopravvenuto mutamento della destinazione d'uso, anche in
assenza di interventi, comporta comunque l'insorgenza del
presupposto imponibile per la debenza del contributo dovuto,
compreso quello relativo al costo di costruzione.
Ciò a maggior ragione se, come nel caso in esame, il cambio
di destinazione è avvenuto con opere. E’ noto come il
contributo relativo al costo di costruzione sia il
corrispettivo dovuto in presenza di una trasformazione
edilizia che, indipendentemente dall'esecuzione fisica di
opere, si riveli produttiva di vantaggi economici per il suo
autore; situazione, questa, che si verifica anche nel caso
di mutamento d'uso, intendendo per tale ogni variazione
anche di semplice uso che comporti un passaggio tra due
categorie funzionalmente autonome dal punto di vista
urbanistico e che determini comunque un aumento del c.d.
carico urbanistico.
---------------
In caso di cambio di destinazione d'uso l'obbligo di
corrispondere il contributo concessorio è un principio
enucleabile dall'art. 10, ultimo comma, della legge n.
10/1977, ribadito dall'art. 25, ultimo comma, della legge n.
47/1985, la cui "ratio", come chiarito dalla giurisprudenza,
è da ricercare nell'esigenza "di evitare che, quando la
nuova tipologia assegnata all'immobile avrebbe comportato
all'origine un più oneroso regime contributivo urbanistico,
attraverso la modifica della destinazione il contributo
possa essere evaso in tutto o in parte a vantaggio del
richiedente".
---------------
Nella specie, il mutamento di destinazione d'uso attuato dal
ricorrente ha comportato il passaggio della tipologia di
intervento da una classe contributiva originaria e meno
"pesante" (artigianale) ad un'altra tipologia (commerciale),
non solo diversa ma anche più gravosa in termini di carico
urbanistico.
Si è trattato, cioè, di un cambio di destinazione d'uso
intervenuto tra categorie autonome, quella artigianale e
quella commerciale, che ha comportato un aumento del carico
urbanistico con conseguente mutamento degli "standard".
Presupposto, questo, sufficiente a giustificare la richiesta
di contributo per oneri di urbanizzazione.
---------------
I provvedimenti relativi alla determinazione degli oneri
concessori e dell'oblazione non necessitano di motivazione
in ordine alla somma indicata, in quanto risultano da un
mero calcolo materiale da effettuarsi sulla base di puntuali
indicazioni normative, senza che in proposito residui un
margine di discrezionalità.
Non è pertanto configurabile, a carico dell'Amministrazione,
un onere di specificare le ragioni della decisione adottata,
sicché l'interessato può solo contestare l'erroneità dei
conteggi effettuati dall'ente.
1.2 Con riguardo alla qualificazione delle modifiche oggetto
dell’istanza come mero cambio di destinazione d’uso con
opere, la tesi di parte ricorrente non può essere condivisa.
Difatti, nel caso di mutamento di destinazione d'uso, anche
senza opere, da artigianale a commerciale, trattandosi di un
cambiamento implicante il passaggio ad una categoria
funzionale autonoma, avente diverso carico urbanistico va
rilevato che ai sensi dell'art. 19, d.P.R. n. 380 del 2001,
il sopravvenuto mutamento della destinazione d'uso, anche in
assenza di interventi, comporta comunque l'insorgenza del
presupposto imponibile per la debenza del contributo dovuto,
compreso quello relativo al costo di costruzione (Tar Veneto
26.11.2012 1445).
Ciò a maggior ragione se, come nel caso in esame, il cambio
di destinazione è avvenuto con opere. E’ noto come il
contributo relativo al costo di costruzione sia il
corrispettivo dovuto in presenza di una trasformazione
edilizia che, indipendentemente dall'esecuzione fisica di
opere, si riveli produttiva di vantaggi economici per il suo
autore; situazione, questa, che si verifica anche nel caso
di mutamento d'uso, intendendo per tale ogni variazione
anche di semplice uso che comporti un passaggio tra due
categorie funzionalmente autonome dal punto di vista
urbanistico e che determini comunque un aumento del c.d.
carico urbanistico (CdS Sez. IV 14.10.2011 n. 5539).
1.3 Riguardo l’affermazione di parte ricorrente per cui gli
oneri avrebbero dovuto essere rapportati al cambio di
destinazione d’uso e non alla nuova costruzione, il Collegio
osserva come, in caso di cambio di destinazione d'uso
l'obbligo di corrispondere il contributo concessorio sia un
principio enucleabile dall'art. 10, ultimo comma, della
legge n. 10/1977, ribadito dall'art. 25, ultimo comma, della
legge n. 47/1985, la cui "ratio", come chiarito dalla
giurisprudenza, è da ricercare nell'esigenza "di evitare
che, quando la nuova tipologia assegnata all'immobile
avrebbe comportato all'origine un più oneroso regime
contributivo urbanistico, attraverso la modifica della
destinazione il contributo possa essere evaso in tutto o in
parte a vantaggio del richiedente" (CdS sez. V, 07.12.2010, n.
8620, 30.08.2013 n. 426).
Né la delibera di Consiglio
Comunale n. 177 del 28.05.1979, citata dal ricorrente e
allegata al ricorso, può essere interpretata nel senso di
superare tale fondamentale principio, nella parte in cui
prescrive l’abbattimento del costo di costruzione del 50% in
caso di ristrutturazione con cambio di destinazione d’uso e
senza modifica di strutture portanti.
Ancora, non possono
essere applicati gli oneri di urbanizzazione previsti nella
delibera di Giunta Comunale n. 2449 del 29.11.1994 per il
caso di ristrutturazione edilizia con cambio di
destinazione. Difatti, la presenza di un cambio di
destinazione d’uso da artigianale a commerciale, con il
corredato aumento di carico urbanistico che caratterizza
quest’ultima destinazione, indubbiamente lascia la
possibilità all’Amministrazione di valutare se, ai fini
della determinazione degli oneri, risulti prevalente il
cambio di destinazione o il tipo di intervento (si veda in
materia il condivisibile ragionamento in Tar Piemonte
27.03.2013 n. 381).
Come nota il Comune, in caso contrario si
creerebbe un cortocircuito logico che renderebbe i cambi di
destinazione senza opere, in presenza di aumento di carico
urbanistico, più costosi di quelli con opere, qualora
quest’ultimi fossero riconducibili allo sconto previsto per
le ristrutturazioni dalla citata delibera 177/1979.
Correttamente, il Comune ha quindi qualificato il cambio di
destinazione da artigianale a commerciale come “nuova
costruzione”, anche tenuto che la precedente costruzione,
con destinazione artigianale non era tenuta al pagamento del
costo di costruzione, con conseguente pagamento degli oneri
“per differenza” ai sensi dell’art. 2 lett. f) del
Regolamento Comunale.
1.4 Nella specie, il mutamento di destinazione d'uso attuato
dal ricorrente ha comportato il passaggio della tipologia di
intervento da una classe contributiva originaria e meno
"pesante" (artigianale) ad un'altra tipologia (commerciale),
non solo diversa ma anche più gravosa in termini di carico
urbanistico. Si è trattato, cioè, di un cambio di
destinazione d'uso intervenuto tra categorie autonome,
quella artigianale e quella commerciale, che ha comportato
un aumento del carico urbanistico con conseguente mutamento
degli "standard". Presupposto, questo, sufficiente a
giustificare la richiesta di contributo per oneri di
urbanizzazione.
2 Ancora, con riguardo all’affermato calcolo errato
dell’oblazione per avere computato metri cubi in eccesso, va
specificato che i provvedimenti relativi alla determinazione
degli oneri concessori e dell'oblazione non necessitano di
motivazione in ordine alla somma indicata, in quanto
risultano da un mero calcolo materiale da effettuarsi sulla
base di puntuali indicazioni normative, senza che in
proposito residui un margine di discrezionalità. Non è
pertanto configurabile, a carico dell'Amministrazione, un
onere di specificare le ragioni della decisione adottata,
sicché l'interessato può solo contestare l'erroneità dei
conteggi effettuati dall'ente (da ultimo Tar Lazio Roma
18.02.2014 n. 2015).
Nel caso in esame, i calcoli effettuati
dal Comune sono contestati con calcoli di parte (depositati
unitamente al ricorso) che risultano generici, dato che il
Comune medesimo ha depositato la documentazione fornita dal
ricorrente per la sanatoria, ove i vani dei quali il
ricorrente chiede lo scorporo in quanto ingressi comuni ad
altre parti di edificio non sono stati indicati e scorporati
(tavole 7 e 9). Il calcolo è stato quindi correttamente
effettuato sulla base della documentazione presentata dal
ricorrente medesimo, in allegato all’istanza di sanatoria
(TAR Marche,
sentenza 06.10.2014 n. 816 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
luglio 2014 |
|
EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: Mentre
il pagamento degli oneri di urbanizzazione si risolve in un
contributo per la realizzazione delle opere stesse, senza
che insorga un vincolo di scopo in relazione alla zona in
cui è inserita l’area interessata all’imminente
trasformazione edilizia, la monetizzazione sostitutiva della
cessione degli standard afferisce al reperimento delle aree
necessarie alla realizzazione delle opere di urbanizzazione
secondaria all’interno della specifica zona di intervento.
E ciò vale ad evidenziare la diversità ontologica della
monetizzazione rispetto al contributo di concessione di
talché, sotto il versante processuale, non si può utilizzare
lo strumento dell’azione di accertamento per determinare
l’importo di tale obbligazione pecuniaria.
---------------
La norma regionale impone al richiedente il titolo edilizio
di reperire gli standard necessari per l’ampliamento
aggiuntivo richiesto. In via alternativa, lo stesso
richiedente può provvedere alla monetizzazione degli
standard mediante pagamento “di una somma commisurata al
costo di acquisizione di altre aree equivalenti per
estensione e comparabili per ubicazione e destinazione a
quelle per le quali sussiste l’obbligo di cessione”.
In estrema sintesi, in base alla norma in questione il
richiedente il titolo edilizio o trasferisce al Comune le
aree necessarie per il soddisfacimento degli standard o
consegna una somma di danaro idonea per acquisire tali aree:
tale monetizzazione va, cioè, necessariamente quantificata
con riferimento “al costo di acquisizione” di aree
equivalenti.
Nella determinazione delle somme da corrispondere per tale
monetizzazione, cioè, il Comune deve fare specifico
riferimento alle somme occorrenti per “acquisire” le aree
necessarie per realizzare gli standard, cioè deve effettuare
un calcolo puntuale ed articolato di quanto dovrebbe in
concreto spendere per acquisire al suo patrimonio le aree
necessarie, comprensive, ad esempio, di tutte le spese (cioè
sia delle spese vive, che dell’attività lavorativa del
personale del Comune) per acquisire sul libero mercato delle
aree “equivalenti per estensione e comparabili per
ubicazione e destinazione a quelle per le quali sussiste
l’obbligo di cessione”.
In definiva, nella quantificazione di tale monetizzazione il
Comune deve effettuare in concreto (e non in astratto come
sembra abbia fatto nel caso in esame) un calcolo preciso di
tutte le spese che dovrebbe sopportare per acquisire sul
libero mercato delle aree “equivalenti”, in modo tale da
rendere nella sostanza equivalente per il soggetto
interessato la scelta tra il procedere alla diretta
acquisizione delle aree ed la loro cessione al Comune o il
procedere al pagamento della relativa “monetizzazione”, dato
che eventuali costi aggiuntivi non debbono e non possono in
alcun modo gravare sulla collettività, ma debbono essere
posti necessariamente a carico del soggetto che altera il
corretto rispetto degli standard.
Mentre non può di certo ritenersi ammissibile al riguardo la
possibilità per il Comune di quantificare tali costi
ipotizzando il ricorso per l’acquisizione di tale aree allo
strumento espropriativo, dato che i soggetti proprietari di
tali aree, eventualmente da espropriare, non possono in
alcun modo subire una lesione dei loro intessi in relazione
ad un’attività costruttiva realizzata da soggetti terzi per
soddisfare interessi privati e non pubblici. Non può quindi
ritenersi che, in via alternativa, il Comune possa
considerare le spese necessarie per acquisire le aree
necessarie non sul libero mercato, ma attraverso lo
strumento pubblicistico dell’esproprio.
Ciò detto, sembra evidente l’erroneità del procedimento
logico seguito nel caso di specie dal Comune e denunciato
con il gravame, dato che l’Amministrazione ha determinato
“in astratto” il valore delle aree (quantificandole in una
somma di poco superiore alle € 100 al mq., senza previamente
accertare i valori di mercato nella zona), maggiorandola di
somme (costo dell’infrastruttura da realizzare e costo della
progettazione dell’opera pubblica) non previste dalla
normativa sopra richiamata.
Con il ricorso in esame -come sopra esposto- sono state
nella sostanza contestate la modalità di determinazione da
parte del Comune di Montesilvano della monetizzazione degli
standard.
...
Con la deliberazione impugnata il Consiglio comunale di
Montesilvano ha nella sostanza determinato in via generale i
criteri per la monetizzazione degli standard, integrando e
modificando la precedente propria deliberazione consiliare
n. 3 del 29.01.2013, nei termini seguenti: ha ritenuto
che tale monetizzazione avrebbe dovuto essere determinata
aggiungendo al costo per l’acquisizione delle aree
(determinato in € 109/mq) -da moltiplicarsi per un
coefficiente correttivo rapportato all’indice di
fabbricabilità territoriale- anche i seguenti costi:
a) il costo dell’infrastruttura da realizzare (pari a €
96,90/mq);
b) il costo della progettazione dell’opera pubblica (pari a
€ 7,90/mq).
Con i primi due motivi di ricorso -che possono esaminarsi
congiuntamente- la società ricorrente ha dedotto che con la
previsione di tali due voci aggiuntive per un verso si era
violata L.R. Abruzzo 15.10.2012, n. 49, in quanto tale
normativa concede ai soggetti l’alternativa tra la cessione
delle aree e l’equivalente valore monetario, e per altro
verso si era violato l’art. 23 della Costituzione, dato che
era stato imposto un ulteriore contributo di urbanizzazione
non previsto da alcuna norma di legge.
Tali doglianze, aventi carattere pregiudiziale ed
assorbente, sono fondate.
Va al riguardo premesso che relativamente all’impugnativa di
tale atto generale, avente natura discrezionale, sussiste di
certo la giurisdizione di questo Tribunale, dal momento che
la posizione giuridica soggettiva del privato ha l’indubbia
consistenza dell’interesse legittimo.
Mentre -come è già stato autorevolmente precisato (Cons.
St., sez. IV, 23.12.2013 n. 6211)- non si può
utilizzare in questa sede lo strumento dell’azione di
accertamento per la monetizzazione sostitutiva della
cessione degli standard, ammessa al contrario solo per
contestare la legittimità del contributo concessorio di cui
all'art. 3 della L. 28.01.1977, n. 10. Si è, invero, al
riguardo già chiarito che “mentre il pagamento degli oneri
di urbanizzazione si risolve in un contributo per la
realizzazione delle opere stesse, senza che insorga un
vincolo di scopo in relazione alla zona in cui è inserita
l’area interessata all’imminente trasformazione edilizia, la
monetizzazione sostitutiva della cessione degli standard
afferisce al reperimento delle aree necessarie alla
realizzazione delle opere di urbanizzazione secondaria
all’interno della specifica zona di intervento; e ciò vale
ad evidenziare la diversità ontologica della monetizzazione
rispetto al contributo di concessione di talché, sotto il
versante processuale, non si può utilizzare lo strumento
dell’azione di accertamento per determinare l’importo di
tale obbligazione pecuniaria".
Ciò chiarito, va evidenziato che la norma regionale sopra
ricordata impone al richiedente il titolo edilizio di
reperire gli standard necessari per l’ampliamento aggiuntivo
richiesto. In via alternativa, lo stesso richiedente può
provvedere alla monetizzazione degli standard mediante
pagamento “di una somma commisurata al costo di acquisizione
di altre aree equivalenti per estensione e comparabili per
ubicazione e destinazione a quelle per le quali sussiste
l’obbligo di cessione”.
In estrema sintesi, in base alla norma in questione il
richiedente il titolo edilizio o trasferisce al Comune le
aree necessarie per il soddisfacimento degli standard o
consegna una somma di danaro idonea per acquisire tali aree:
tale monetizzazione va, cioè, necessariamente quantificata
con riferimento “al costo di acquisizione” di aree
equivalenti.
Nella determinazione delle somme da corrispondere per tale
monetizzazione, cioè, il Comune deve fare specifico
riferimento alle somme occorrenti per “acquisire” le aree
necessarie per realizzare gli standard, cioè deve effettuare
un calcolo puntuale ed articolato di quanto dovrebbe in
concreto spendere per acquisire al suo patrimonio le aree
necessarie, comprensive, ad esempio, di tutte le spese (cioè
sia delle spese vive, che dell’attività lavorativa del
personale del Comune) per acquisire sul libero mercato delle
aree “equivalenti per estensione e comparabili per
ubicazione e destinazione a quelle per le quali sussiste
l’obbligo di cessione”.
In definiva, nella quantificazione di tale monetizzazione il
Comune deve effettuare in concreto (e non in astratto come
sembra abbia fatto nel caso in esame) un calcolo preciso di
tutte le spese che dovrebbe sopportare per acquisire sul
libero mercato delle aree “equivalenti”, in modo tale da
rendere nella sostanza equivalente per il soggetto
interessato la scelta tra il procedere alla diretta
acquisizione delle aree ed la loro cessione al Comune o il
procedere al pagamento della relativa “monetizzazione”, dato
che eventuali costi aggiuntivi non debbono e non possono in
alcun modo gravare sulla collettività, ma debbono essere
posti necessariamente a carico del soggetto che altera il
corretto rispetto degli standard.
Mentre non può di certo ritenersi ammissibile al riguardo la
possibilità per il Comune di quantificare tali costi
ipotizzando il ricorso per l’acquisizione di tale aree allo
strumento espropriativo, dato che i soggetti proprietari di
tali aree, eventualmente da espropriare, non possono in
alcun modo subire una lesione dei loro intessi in relazione
ad un’attività costruttiva realizzata da soggetti terzi per
soddisfare interessi privati e non pubblici. Non può quindi
ritenersi che, in via alternativa, il Comune possa
considerare le spese necessarie per acquisire le aree
necessarie non sul libero mercato, ma attraverso lo
strumento pubblicistico dell’esproprio.
Ciò detto, sembra evidente l’erroneità del procedimento
logico seguito nel caso di specie dal Comune e denunciato
con il gravame, dato che l’Amministrazione ha determinato
“in astratto” il valore delle aree (quantificandole in una
somma di poco superiore alle € 100 al mq., senza previamente
accertare i valori di mercato nella zona), maggiorandola di
somme (costo dell’infrastruttura da realizzare e costo della
progettazione dell’opera pubblica) non previste dalla
normativa sopra richiamata.
Alla luce delle suesposte considerazioni il ricorso in esame
deve, conseguentemente, essere accolto e, per l’effetto,
deve essere annullato nella sua totalità l’atto impugnato,
data l’erroneità dell’intero procedimento logico seguito dal
Comune per procedere alla monetizzazione in parola. Mentre
restano al riguardo ovviamente salvi gli ulteriori
provvedimenti che l’Amministrazione andrà ad adottare in
merito, attenendosi ai criteri sopra indicati.
Con riferimento a quanto sopra esposto ed a quanto al
riguardo chiarito dal Giudice di appello (Cons. St., sez. IV,
23.12.2013 n. 6211), vanno infine dichiarate
inammissibili le richieste di rideterminazione da parte di
questo Tribunale del corrispettivo dovuto per la mancata
cessione delle aree di standard e l’accertamento del diritto
della ricorrente alla restituzione delle somme non dovute
indebitamente versate a titolo di monetizzazione; mentre
resta assorbita l’ultima della doglianze dedotte, che
presuppone la legittimità dell’atto deliberativo in
questione (TAR Abruzzo-Pescara,
sentenza 15.07.2014 n. 346 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La Corte costituzionale ha affermato "che,
invero, gli oneri di concessione potrebbero, in teoria,
essere ancorati alle tariffe vigenti, alternativamente, al
momento in cui l'abuso è iniziato, al momento in cui
l'immobile abusivo è completato, al momento dell'entrata in
vigore della normativa statale sul condono, al momento
dell'entrata in vigore della normativa regionale sul
condono, al momento in cui è stata effettuata la richiesta
di condono o, infine, al momento del perfezionamento del
procedimento di sanatoria” e “che, in tale contesto di
pluralità di soluzioni, la scelta del legislatore regionale
di privilegiare l'interesse pubblico all'adeguatezza della
contribuzione ai costi reali da sostenere rispetto a quello,
ad esso antitetico, del cittadino alla sua piena previsione
dei costi al momento della formazione del consenso
-ugualmente meritevole di protezione- sembra essere il
frutto di una scelta discrezionale implicante un
bilanciamento di interessi che può solo essere effettuato
dal legislatore”.
Sulla scorta di tali parametri, è quindi del tutto coerente
il richiamo a una giurisprudenza amministrativa che afferma
che l’obbligazione di pagamento degli oneri concessori sorge
con il rilascio della concessione edilizia e la
giurisprudenza è concorde nel ritenere che la determinazione
del contributo dovuto per gli oneri in questione debba
essere riferita al momento in cui sorge l’obbligazione, dove
si prosegue affermando che “in tale contesto, il
considerevole lasso di tempo decorso tra la presentazione
della domanda di sanatoria ed il rilascio della concessione
non può essere utilmente valorizzato nell’ottica della
individuazione di decorrenze del termine per la formazione
del silenzio-assenso (e, così, del decorso della
prescrizione) diverse da quelle normativamente indicate né
per sollecitare una non meglio specificata ‘giusta
mediazione’ che tenga conto delle tariffe eventualmente più
favorevoli esistenti all’epoca della presentazione della
domanda di sanatoria (quanto a quelle vigenti al momento di
realizzazione dell’opera abusiva, lo stesso ricorrente
riconosce che sarebbe ingiusto agevolare il responsabile)”.
Occorre peraltro evidenziare come appaia ardua
l’omologazione tra l’obbligazione nascente dal rilascio del
titolo abilitativo in via ordinaria e quella derivante dalla
sua adozione in sanatoria, come espressamente notato dalla
giurisprudenza.
Si è così affermato che “I contributi di cui all’articolo 11
della L. 10/1977, ed all’art. 1 della L.R. 71/1978, a
differenza di altre fattispecie normative, non vengono
determinati in via dichiaratamente provvisoria al momento
della domanda dell’interessato e quindi non sono
necessariamente richiesti salvo conguaglio, come ad esempio
nella fattispecie della domanda di concessione in sanatoria
(art. 35 L. 47/1995).
La determinazione dei contributi de quibus è stato infatti
collocato temporalmente dal legislatore al termine di un
lungo e complesso procedimento che ha alla base una espressa
dettagliata e circostanziale domanda del privato, cui fa
seguito una complessa istruttoria da parte
dell’Amministrazione nel corso della quale l’Amministrazione
stessa può chiedere all’interessato tutti i chiarimenti e
gli ulteriori elementi di cui abbia bisogno.
Il momento del rilascio della concessione non è quindi
equiparabile sotto nessun profilo al momento della domanda
di concessione in sanatoria.
In quest’ultimo caso l’Amministrazione si trova di fronte ad
una attività già posta in essere dal richiedente e ad una
richiesta di legittimazione a posteriori di tale attività e
non può quindi che riservarsi ad un momento futuro il
controllo sulla corrispondenza tra il fatto compiuto e la
domanda.
Del tutto diversa è la situazione della concessione in via
ordinaria in cui si tratta di legittimare una attività allo
stato ancora inesistente ed in cui l’Amministrazione, prima
di rimuovere l’ostacolo a tale attività, ha il potere ed il
dovere di verifica e di accertamento sotto ogni profilo
della legittimità della richiesta del privato.”
Sulla scorta di tale ontologica differenza, la posizione più
recente della Sezione è andata nel senso di escludere un
automatismo nell’adeguamento temporale alle tariffe
successive. Si è allora detto che la determinazione del
contributo di concessione in sanatoria, in adesione al
consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui “ai
sensi dell'art. 37 l. 28.02.1985 n. 47 e dell'art. 3 l.
28.01.1977 n. 10, la determinazione del contributo di
concessione in sanatoria deve effettuarsi con riferimento
alle tariffe vigenti al momento della domanda, risultando
irrilevante la verifica della regolare formazione del
silenzio–assenso sulla relativa domanda.”
A tale impostazione si è attenuto il primo giudice,
espressamente evidenziando come “nel caso di condono
edilizio, gli oneri di concessione vanno rapportati al
momento di ultimazione dell’opera e della presentazione
della domanda di sanatoria, e non al momento del rilascio
del titolo concessorio”.
Le ragioni così espresse vanno anche in questa sede
valorizzate, in quanto coerenti con le differenti funzioni
delle obbligazioni collegate al rilascio, in via ordinaria o
di sanatoria, del titolo abilitativo e legate alla posizione
rispettiva delle parti, anche per valorizzare la
prevedibilità degli oneri connessi all’edificazione.
Con un unico motivo di diritto,
il Comune appellante lamenta violazione o falsa applicazione
dell’art. 37 della legge n. 47 del 1985 e del principio di
corrispondenza tra oneri di urbanizzazione e carico
urbanistico indotto dall’edificazione.
Premesso che la giurisprudenza amministrativa ha avuto modo
di evidenziare che sulla questione della definizione del
momento cui ancorare la determinazione degli oneri di
concessione non è ravvisabile un orientamento interpretativo
consolidato da cui possa ricavarsi un principio fondamentale
della legislazione statale secondo cui gli oneri stessi
debbano essere determinati con riferimento alle tariffe
vigenti alla data di entrata in vigore della legge di
sanatoria, il Comune evidenzia come rispetto alla pluralità
di soluzioni possibili non può non tenersi in considerazione
l'interesse pubblico all'adeguatezza della contribuzione ai
costi reali da sostenere rispetto a quello, a esso
antitetico, del cittadino alla sua piena previsione dei
costi al momento della formazione del consenso alla
realizzazione dell’opera, facendo quindi prevalere la
disciplina esistente in tale momento.
La censura non può essere accolta.
La posizione teorica espressa dal Comune ha sicuramente un
suo fondamento, anche in relazione alla valutazione operata
dal giudice delle leggi sulla situazione in esame. Infatti,
la Corte costituzionale ha affermato (sentenza 17.03.2010 n.
105) “che, invero, gli oneri di concessione potrebbero,
in teoria, essere ancorati alle tariffe vigenti,
alternativamente, al momento in cui l'abuso è iniziato, al
momento in cui l'immobile abusivo è completato, al momento
dell'entrata in vigore della normativa statale sul condono,
al momento dell'entrata in vigore della normativa regionale
sul condono, al momento in cui è stata effettuata la
richiesta di condono o, infine, al momento del
perfezionamento del procedimento di sanatoria” e “che,
in tale contesto di pluralità di soluzioni, la scelta del
legislatore regionale di privilegiare l'interesse pubblico
all'adeguatezza della contribuzione ai costi reali da
sostenere rispetto a quello, ad esso antitetico, del
cittadino alla sua piena previsione dei costi al momento
della formazione del consenso -ugualmente meritevole di
protezione- sembra essere il frutto di una scelta
discrezionale implicante un bilanciamento di interessi che
può solo essere effettuato dal legislatore”.
Sulla scorta di tali parametri, è quindi del tutto coerente
il richiamo a una giurisprudenza amministrativa che afferma
(Consiglio di Stato, Sez. IV, 24.05.2011, n. 3116) che
l’obbligazione di pagamento degli oneri concessori sorge con
il rilascio della concessione edilizia e la giurisprudenza è
concorde nel ritenere che la determinazione del contributo
dovuto per gli oneri in questione debba essere riferita al
momento in cui sorge l’obbligazione, dove si prosegue
affermando che “in tale contesto, il considerevole lasso di
tempo decorso tra la presentazione della domanda di
sanatoria ed il rilascio della concessione non può essere
utilmente valorizzato nell’ottica della individuazione di
decorrenze del termine per la formazione del
silenzio-assenso (e, così, del decorso della prescrizione)
diverse da quelle normativamente indicate né per sollecitare
una non meglio specificata ‘giusta mediazione’ che tenga
conto delle tariffe eventualmente più favorevoli esistenti
all’epoca della presentazione della domanda di sanatoria
(quanto a quelle vigenti al momento di realizzazione
dell’opera abusiva, lo stesso ricorrente riconosce che
sarebbe ingiusto agevolare il responsabile)”.
Occorre peraltro evidenziare come appaia ardua
l’omologazione tra l’obbligazione nascente dal rilascio del
titolo abilitativo in via ordinaria e quella derivante dalla
sua adozione in sanatoria, come espressamente notato dalla
giurisprudenza. Si è così affermato (da ultimo, CGARS, 27.05.2008 n. 466) che “I contributi di cui all’articolo 11
della L. 10/1977, ed all’art. 1 della L.R. 71/1978, a
differenza di altre fattispecie normative, non vengono
determinati in via dichiaratamente provvisoria al momento
della domanda dell’interessato e quindi non sono
necessariamente richiesti salvo conguaglio, come ad esempio
nella fattispecie della domanda di concessione in sanatoria
(art. 35 L. 47/1995).
La determinazione dei contributi de quibus è stato
infatti collocato temporalmente dal legislatore al termine
di un lungo e complesso procedimento che ha alla base una
espressa dettagliata e circostanziale domanda del privato,
cui fa seguito una complessa istruttoria da parte
dell’Amministrazione nel corso della quale l’Amministrazione
stessa può chiedere all’interessato tutti i chiarimenti e
gli ulteriori elementi di cui abbia bisogno.
Il momento del rilascio della concessione non è quindi
equiparabile sotto nessun profilo al momento della domanda
di concessione in sanatoria.
In quest’ultimo caso l’Amministrazione si trova di fronte
ad una attività già posta in essere dal richiedente e ad una
richiesta di legittimazione a posteriori di tale attività e
non può quindi che riservarsi ad un momento futuro il
controllo sulla corrispondenza tra il fatto compiuto e la
domanda.
Del tutto diversa è la situazione della concessione in via
ordinaria in cui si tratta di legittimare una attività allo
stato ancora inesistente ed in cui l’Amministrazione, prima
di rimuovere l’ostacolo a tale attività, ha il potere ed il
dovere di verifica e di accertamento sotto ogni profilo
della legittimità della richiesta del privato.”
Sulla scorta di tale ontologica differenza, la posizione più
recente della Sezione è andata nel senso di escludere un
automatismo nell’adeguamento temporale alle tariffe
successive. Si è allora detto (Consiglio di Stato, sez. IV,
03.10.2012 n. 5201) che la determinazione del contributo
di concessione in sanatoria, in adesione al consolidato
orientamento giurisprudenziale secondo cui “ai sensi
dell'art. 37 l. 28.02.1985 n. 47 e dell'art. 3 l. 28.01.1977 n. 10, la determinazione del contributo di
concessione in sanatoria deve effettuarsi con riferimento
alle tariffe vigenti al momento della domanda, risultando
irrilevante la verifica della regolare formazione del
silenzio–assenso sulla relativa domanda.”
A tale impostazione si è attenuto il primo giudice,
espressamente evidenziando come “nel caso di condono
edilizio, gli oneri di concessione vanno rapportati al
momento di ultimazione dell’opera e della presentazione
della domanda di sanatoria, e non al momento del rilascio
del titolo concessorio”.
Le ragioni così espresse vanno anche in questa sede
valorizzate, in quanto coerenti con le differenti funzioni
delle obbligazioni collegate al rilascio, in via ordinaria o
di sanatoria, del titolo abilitativo e legate alla posizione
rispettiva delle parti, anche per valorizzare la
prevedibilità degli oneri connessi all’edificazione
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 07.07.2014 n. 3425 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
giugno 2014 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Maggiorazione costo di costruzione di cui all’art. 16,
comma 3, del D.P.R. n. 380/2001 a’ sensi dell’art.
5, comma 10, della L.R. 28.11.2014 n. 31.
---------------
Per quei comuni che non avessero ancora provveduto a
deliberare, ecco un
fac-simile di testo liberamente modificabile. |
maggio 2014 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Se è vero che l’obbligo giuridico del titolare di
una concessione edilizia di corrispondere il contributo ai
sensi della l. n. 10/1977 è rappresentato dal rilascio della
concessione edilizia medesima, sicché a tale momento occorre
avere riguardo per la determinazione dell’entità del
contributo, è anche vero che laddove il rilascio del titolo
sia artatamente differito nel tempo senza alcuna
motivazione, al solo fine di far ricadere l’atto nella più
onerosa regolamentazione del contributo di concessione
-medio termine intervenuta ad opera dello stesso ente tenuto
al rilascio del titolo- principi di correttezza, trasparenza
ed imparzialità impongono che di tale disciplina
sopravvenuta non si debba tenere conto.
Invero, in presenza di un affidamento giuridicamente
tutelabile correlato alla comunicazione del provvedimento
recante la liquidazione dell’importo definitivo degli oneri
stessi, senza nemmeno una previsione di provvisorietà, il
rapporto tra le parti deve ritenersi definito, restando puro
atto formale il rilascio materiale del titolo (concessione
edilizia).
Dirimente è la mancanza del generale richiamo nella
quantificazione degli oneri di una previsione espressa di
provvisorietà, che consente, in applicazione dei canoni
ermeneutici, di ritenere definitivo l’impegno delle parti
riferito alla somma dovuta per gli oneri di urbanizzazione,
inizialmente fissata.
Ne consegue che nella situazione di cui si discute,
caratterizzata da un procedimento protrattosi nel tempo per
meri ritardi dell’amministrazione, conclusosi a distanza di
circa cinque anni dalla presentazione della domanda, ove il
rilascio della concessione venga ancor più ritardata e senza
alcuna valida ragione al solo scopo di consentire la
richiesta di un ben più elevato contributo di concessione,
non può ritenersi legittima la richiesta del maggiore
importo per effetto dell’applicazione retroattiva di una
disposizione innovativa del sistema previgente.
E’, infatti, indubbio che, nel caso in esame, la nuova
disciplina è intervenuta allorquando il procedimento era
concluso in tutti i suoi aspetti, sia per quanto riguarda
l’aspetto tecnico-urbanistico della pratica, sia per quanto
concerne la determinazione degli oneri e il relativo
pagamento.
L’appello è fondato e deve essere accolto.
La fattispecie all’esame presenta delle peculiarità che
consentono di ritenere il ricorso fondato sul primo
assorbente motivo.
Se è vero, infatti, come affermato nell’impugnata sentenza,
che l’obbligo giuridico del titolare di una concessione
edilizia di corrispondere il contributo ai sensi della l. n.
10/1977 è rappresentato dal rilascio della concessione
edilizia medesima, sicché a tale momento occorre avere
riguardo per la determinazione dell’entità del contributo, è
anche vero che laddove il rilascio del titolo sia
artatamente differito nel tempo senza alcuna motivazione, al
solo fine di far ricadere l’atto nella più onerosa
regolamentazione del contributo di concessione -medio
termine intervenuta ad opera dello stesso ente tenuto al
rilascio del titolo- principi di correttezza, trasparenza ed
imparzialità impongono che di tale disciplina sopravvenuta
non si debba tenere conto.
Invero, in presenza di un affidamento giuridicamente
tutelabile correlato alla comunicazione del provvedimento
recante la liquidazione dell’importo definitivo degli oneri
stessi, senza nemmeno una previsione di provvisorietà, il
rapporto tra le parti deve ritenersi definito, restando puro
atto formale il rilascio materiale del titolo (concessione
edilizia).
Dirimente è la mancanza del generale richiamo nella
quantificazione degli oneri di una previsione espressa di
provvisorietà, che consente, in applicazione dei canoni
ermeneutici, di ritenere definitivo l’impegno delle parti
riferito alla somma dovuta per gli oneri di urbanizzazione,
inizialmente fissata.
Ne consegue che nella situazione di cui si discute,
caratterizzata da un procedimento protrattosi nel tempo per
meri ritardi dell’amministrazione, conclusosi a distanza di
circa cinque anni dalla presentazione della domanda, ove il
rilascio della concessione venga ancor più ritardata e senza
alcuna valida ragione al solo scopo di consentire la
richiesta di un ben più elevato contributo di concessione,
non può ritenersi legittima la richiesta del maggiore
importo per effetto dell’applicazione retroattiva di una
disposizione innovativa del sistema previgente.
E’, infatti, indubbio che, nel caso in esame, la nuova
disciplina è intervenuta allorquando il procedimento era
concluso in tutti i suoi aspetti, sia per quanto riguarda
l’aspetto tecnico-urbanistico della pratica, sia per quanto
concerne la determinazione degli oneri e il relativo
pagamento.
Quanto alla circostanza evidenziata in sentenza che il
Comune può sempre intervenire modificando gli oneri e
chiedendo integrazioni, non è significativa nella presente
controversia, in cui non vi sono stati errori nei conteggi o
errori nella iniziale fissazione degli importi per oneri di
urbanizzazione, ma si controverte della applicazione
retroattiva della nuova determinazione degli oneri, malgrado
il procedimento di rilascio della concessione edilizia si
fosse già perfezionato in vigenza della precedente
disciplina (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 13.05.2014 n. 2434 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Differenza tra costo di costruzione e oneri di
urbanizzazione.
In merito al costo di costruzione, preme rammentare che,
secondo l’attuale sistema normativo (art. 16 del DPR
380/2001 che ricalca l’art. 6 della legge 10/1977, il costo
di costruzione costituisce una prestazione patrimoniale di
natura sostanzialmente paratributaria, essendo volta a
colpire l’incremento di ricchezza derivante dall’attività
edilizia svolta, a differenza degli oneri di urbanizzazione,
che attengono invece all’incremento del carico urbanistico.
In merito al costo di costruzione, preme rammentare che,
secondo l’attuale sistema normativo (art. 16 del DPR
380/2001 che ricalca l’art. 6 della legge 10/1977 e l’art.
48 della legge regionale della Lombardia n. 12/2005), il
costo di costruzione costituisce una prestazione
patrimoniale di natura sostanzialmente paratributaria,
essendo volta a colpire l’incremento di ricchezza derivante
dall’attività edilizia svolta, a differenza degli oneri di
urbanizzazione, che attengono invece all’incremento del
carico urbanistico (così, fra le tante, le sentenze del
Consiglio di Stato, sez. IV, n. 6160 e 6161 del 2013, docc.
16 e 17 della ricorrente, di cui si tratterà più
diffusamente nel prosieguo, oltre a TAR Sicilia, Catania,
sez. I, 19.09.2013, n. 2249).
In altri termini, come del resto indicato espressamente
nelle citate decisioni del giudice amministrativo d’appello,
il costo di costruzione è dovuto in relazione ai “vantaggi
economici”, connessi alla trasformazione edilizia (massima tratta da
www.lexambiente.it -
TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 13.05.2014 n. 1248 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La rideterminazione del contributo sul costo di
costruzione effettuata dal Comune il 17.10.2013, a oltre
quattro anni dal rilascio del permesso di costruire
(13.07.2009), corrisponde al ristabilimento dell’esatto
contenuto di un’obbligazione di diritto pubblico. L’esigenza
di rimediare a un precedente errore di diritto (applicazione
della normativa regolamentare non più in vigore) giustifica
l’intervento in autotutela.
Le ragioni di interesse pubblico sono implicite nel recupero
di un importo dovuto ex lege, a maggior ragione nel caso del
contributo sul costo di costruzione, che può essere
assimilato a un tributo locale e fuoriesce, come si è visto
sopra, da logiche di compensazione.
Poiché ai contributi concessori si applica l’ordinario
termine di prescrizione decennale, decorrente in mancanza di
altri elementi dalla data di rilascio del titolo edilizio,
la richiesta di conguaglio risulta legittima.
L’affidamento del privato può trovare tutela solo in via
gradata, nella forma della rateizzazione del debito, qualora
l’esborso immediato dell’intero non sia economicamente
sostenibile.
(i) la rideterminazione del contributo sul costo di
costruzione effettuata dal Comune il 17.10.2013, a
oltre quattro anni dal rilascio del permesso di costruire
(13.07.2009), corrisponde al ristabilimento dell’esatto
contenuto di un’obbligazione di diritto pubblico. L’esigenza
di rimediare a un precedente errore di diritto (applicazione
della normativa regolamentare non più in vigore) giustifica
l’intervento in autotutela.
Le ragioni di interesse pubblico
sono implicite nel recupero di un importo dovuto ex lege, a
maggior ragione nel caso del contributo sul costo di
costruzione, che può essere assimilato a un tributo locale e
fuoriesce, come si è visto sopra, da logiche di
compensazione.
Poiché ai contributi concessori si applica
l’ordinario termine di prescrizione decennale, decorrente in
mancanza di altri elementi dalla data di rilascio del titolo
edilizio (v. CS Sez. VI 31.05.2013 n. 2996), la
richiesta di conguaglio risulta legittima. L’affidamento del
privato può trovare tutela solo in via gradata, nella forma
della rateizzazione del debito, qualora l’esborso immediato
dell’intero non sia economicamente sostenibile
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 03.05.2014 n. 464 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
aprile 2014 |
|
EDILIZIA
PRIVATA:
Le controversie in tema di determinazione e
quantificazione degli oneri concessori sono relative ad atti
paritetici adottati dalla Pubblica amministrazione ed
ineriscono diritti soggettivi di natura patrimoniale, per
cui alcuna decadenza può ritenersi maturata per effetto
della mancata contestazione dell’atto con cui a suo tempo
gli oneri sono stati indicati come dovuti.
Inoltre deve escludersi che l’intervenuto pagamento dei
contributi connessi al rilascio di un permesso di costruire
possa costituire in qualche modo acquiescenza sulla debenza
delle relative somme, precludendone la tutela
giurisdizionale contro gli atti relativi.
Va difatti osservato al riguardo che il pagamento delle
predette somme non denota l’univoca intenzione di rinunciare
a contestare la loro liquidazione, né a richiederne il
rimborso, in tutto o in parte, dovendo esso piuttosto essere
considerato quale espressione della connaturale esigenza
dell’attività imprenditoriale edilizia di dare avvio, senza
indugi, alla realizzazione dell’opera progettata. Oltretutto
è da considerare che il pagamento senza riserva del
contributo urbanistico non può comportare acquiescenza
rispetto all’atto di liquidazione, dal momento che il
permesso di costruire non può essere rilasciato ove non ne
sia stato effettuato il versamento.
Con l’ordinanza
ingiunzione n. 11 del 2.01.2006 oggetto di contestazione il
Comune di Telese, ha ingiunto alla ricorrente, per il
rilascio in suo favore della concessione edilizia n. 32
dell’11.04.1995, il pagamento della complessiva somma di
euro 97.893,05 cosi determinata: euro 39.698,32 quale
importo dovuto a titolo di “oneri di costruzione”, euro
39.698,32 quale maggiorazione per sanzioni, euro 18.486,91
per interessi di mora, ed euro 9,50 per spese postali.
E’ da precisare che la Concessione edilizia n. 32 citata
quantificava il contributo dovuto per oneri di
urbanizzazione nella misura di lire 50.897.870, dando atto
dell’intervenuto versamento della prima rata di lire
5.897.870, e si riservava di applicare il contributo
relativo agli oneri di costruzione di cui all’art 6 della
legge n. 10/1977.
Preliminarmente non può accedersi all’eccezione
sollevata dal Comune secondo cui la società ricorrente,
avendo ottemperato al versamento della prima rata degli
oneri di urbanizzazione, avrebbe riconosciuto di essere
obbligata agli esborsi per cui è causa e per tale ragione
sarebbe privata della legittimazione a contestarne la
debenza.
Si è innanzi chiarito che le controversie in tema di
determinazione e quantificazione degli oneri concessori sono
relative ad atti paritetici adottati dalla Pubblica
amministrazione ed ineriscono diritti soggettivi di natura
patrimoniale, per cui alcuna decadenza può ritenersi
maturata per effetto della mancata contestazione dell’atto
con cui a suo tempo gli oneri sono stati indicati come
dovuti.
Inoltre deve escludersi che l’intervenuto pagamento dei
contributi connessi al rilascio di un permesso di costruire
possa costituire in qualche modo acquiescenza sulla debenza
delle relative somme, precludendone la tutela
giurisdizionale contro gli atti relativi.
Va difatti
osservato al riguardo che il pagamento delle predette somme
non denota l’univoca intenzione di rinunciare a contestare
la loro liquidazione, né a richiederne il rimborso, in tutto
o in parte, dovendo esso piuttosto essere considerato quale
espressione della connaturale esigenza dell’attività
imprenditoriale edilizia di dare avvio, senza indugi, alla
realizzazione dell’opera progettata. Oltretutto è da
considerare che il pagamento senza riserva del contributo
urbanistico non può comportare acquiescenza rispetto
all’atto di liquidazione, dal momento che il permesso di
costruire non può essere rilasciato ove non ne sia stato
effettuato il versamento (Tar Lazio Roma sez. II 17.05.2005
n. 3488; Cons. St. sez. V 26.03.1996 n. 296; Cons. St. sez.
V 26.03.1996 n. 296)
(TAR
Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza
16.04.2014 n. 2170 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Per il credito circa la quota afferente il costo di
costruzione vige il termine
ordinario di prescrizione decennale di cui all’art. 2946
c.c., che, ai sensi dell’art. 2936 c.c. comincia a decorrere
dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere.
Quanto al dies a quo di decorrenza del termine
prescrizionale in esame si osserva che una parte della
giurisprudenza di merito sostiene che il diritto alla
corresponsione della quota parte degli oneri relativi al
contributo di costruzione può essere fatto valere dal
Comune, in caso di inadempimento, una volta che siano
decorsi sessanta giorni dalla data di ultimazione dei
lavori. Ciò in quanto l’art. 16, comma 3, stabilisce che la
quota di contributo relativa al costo si costruzione è
corrisposta in corso d’opera e comunque non oltre sessanta
giorni dall’ultimazione della costruzione.
Sicché si sostiene che è da questa data, o da quella
successiva in cui l’opera è stata effettivamente ultimata, e
non prima, che il diritto di credito diventa esigibile ed il
Comune può farlo valere ed azionarlo legittimamente nei
confronti del soggetto obbligato.
D’altra parte si è affermato che, poiché in base all'art.
11, l. 28.01.1977 n. 10 la quota del contributo
relativo al costo di costruzione deve essere determinata
all'atto del rilascio della concessione edilizia, il
rilascio della concessione coincide con il momento in cui
sorge l'obbligazione contributiva. Ed infatti, la
disposizione dell'art. 11 della legge n. 10 del 1977, in
tema di "Versamento del contributo afferente alla
concessione", stabilisce che: "La quota di contributo di
cui al precedente articolo 6 è determinata all'atto del
rilascio della concessione ed è corrisposta in corso d'opera
con le modalità e le garanzie stabilite dal comune e,
comunque, non oltre sessanta giorni dalla ultimazione delle
opere".
Da tale norma si desume, invero, che il fatto
costitutivo dell'obbligo giuridico del titolare della
concessione edilizia, di versare il contributo previsto, è
rappresentato dal rilascio della concessione medesima, ed è
a tale momento, quindi, che occorre aver riguardo per la
determinazione dell'entità del contributo, divenendo il
relativo credito certo, liquido o agevolmente liquidabile ed
esigibile.
Sulla base di tale orientamento
alcun rilievo può assumere la circostanza che il Comune sia
sia espressamente riservato la facoltà di stabilire modalità
e garanzie per il pagamento del contributo, atteso che
l'atto di imposizione non ha carattere autoritativo ma si
risolve in un mero atto ricognitivo e contabile, applicativo
di precedenti provvedimenti di carattere generale, e la sua
mancata tempestiva adozione non implica alcun potere
dell'Amministrazione di differire il suo diritto di credito,
configurandosi piuttosto come mancato esercizio del diritto
stesso, idoneo a far decorrere il periodo di prescrizione.
A diverse conclusioni
deve pervenirsi quanto all’eccezione di prescrizione
ordinaria del credito azionato dall’amministrazione con
l’ordinanza ingiunzione in questione avente ad oggetto la
corresponsione del contributo di costruzione.
Si è innanzi anticipato che, nella determinazione delle
somme dovute a titolo di oneri concessori, l’amministrazione
non esercita poteri autoritativi discrezionali ma compie
attività di mero accertamento della fattispecie in base ai
parametri fissati da leggi e da regolamenti, per cui le
relative controversie rientrano nella categoria di quelle
aventi ad oggetto atti paritetici, inerenti diritti
soggettivi (Cons. St. Sez., sez. V, 17.10.2002, n.
5678).
Per il credito in questione vige pertanto il termine
ordinario di prescrizione decennale di cui all’art. 2946
c.c., che, ai sensi dell’art. 2936 c.c. comincia a decorrere
dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere.
Quanto al dies a quo di decorrenza del termine
prescrizionale in esame si osserva che una parte della
giurisprudenza di merito sostiene che il diritto alla
corresponsione della quota parte degli oneri relativi al
contributo di costruzione può essere fatto valere dal
Comune, in caso di inadempimento, una volta che siano
decorsi sessanta giorni dalla data di ultimazione dei
lavori. Ciò in quanto l’art. 16, comma 3, stabilisce che la
quota di contributo relativa al costo si costruzione è
corrisposta in corso d’opera e comunque non oltre sessanta
giorni dall’ultimazione della costruzione.
Sicché si
sostiene che è da questa data, o da quella successiva in cui
l’opera è stata effettivamente ultimata, e non prima, che il
diritto di credito diventa esigibile ed il Comune può farlo
valere ed azionarlo legittimamente nei confronti del
soggetto obbligato (TAR Potenza Basilicata sez. I, 08.03.2013 n. 126; TAR Catanzaro Calabria sez. I 14.04.2011 n. 522; TAR Cagliari Sardegna sez. II 14.01.2008
n. 9; Tar Napoli Campania sez. II 11.07.2006 n. 7392; Tar Perugia Umbria 23.06.2003 n. 512).
D’altra parte si è affermato che, poiché in base all'art.
11, l. 28.01.1977 n. 10 la quota del contributo
relativo al
costo di costruzione
deve essere determinata
all'atto del rilascio della concessione edilizia, il
rilascio della concessione coincide con il momento in cui
sorge l'obbligazione contributiva. Ed infatti, la
disposizione dell'art. 11 della legge n. 10 del 1977, in
tema di "Versamento del contributo afferente alla
concessione", stabilisce che: "La quota di contributo di
cui al precedente articolo 6 è determinata all'atto del
rilascio della concessione ed è corrisposta in corso d'opera
con le modalità e le garanzie stabilite dal comune e,
comunque, non oltre sessanta giorni dalla ultimazione delle
opere".
Da tale norma si desume, invero, che il fatto
costitutivo dell'obbligo giuridico del titolare della
concessione edilizia, di versare il contributo previsto, è
rappresentato dal rilascio della concessione medesima, ed è
a tale momento, quindi, che occorre aver riguardo per la
determinazione dell'entità del contributo, divenendo il
relativo credito certo, liquido o agevolmente liquidabile ed
esigibile (cfr. Cons. St. Sez. IV 06.06.2008, n. 2686
Consiglio Stato sez. V 13.06.2003 n. 3332; Consiglio
Stato sez. IV 16.01.2009; TAR Catania Sicilia sez. I
02.10.2003 n. 1502).
Sulla base di tale orientamento
alcun rilievo può assumere la circostanza che il Comune sia
sia espressamente riservato la facoltà di stabilire modalità
e garanzie per il pagamento del contributo, atteso che
l'atto di imposizione non ha carattere autoritativo ma si
risolve in un mero atto ricognitivo e contabile, applicativo
di precedenti provvedimenti di carattere generale, e la sua
mancata tempestiva adozione non implica alcun potere
dell'Amministrazione di differire il suo diritto di credito,
configurandosi piuttosto come mancato esercizio del diritto
stesso, idoneo a far decorrere il periodo di prescrizione
(TAR
Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza
16.04.2014 n. 2170 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Quanto alla natura degli oneri concessori, la prevalente
giurisprudenza, condivisa da questo Collegio, in un primo
momento solo con riguardo agli oneri di urbanizzazione, e più di recente anche con
riferimento al costo di costruzione, ne ha affermato la natura di
obbligazioni c.d. “reali” o propter rem caratterizzate
pertanto dalla stretta inerenza alla res e destinate a
circolare unitamente ad essa per il carattere dell’ambulatorietà
che le contraddistingue.
Sulla base di tali argomentazioni la Cassazione ha difatti
affermato che l'obbligazione del pagamento degli oneri di
urbanizzazione è un’obbligazione propter rem, e che colui
che realizza opere di trasformazione edilizia ed
urbanistica, valendosi di concessione rilasciata al suo
dante causa, ha verso il Comune gli stessi obblighi che
gravano sull'originario concessionario ed è con lui
solidalmente obbligato per il pagamento degli oneri di
urbanizzazione.
Anche il giudice amministrativo, in relazione all’obbligazione assunta di provvedere alla realizzazione delle
opere di urbanizzazione, ha chiarito che essa deve
qualificarsi "propter rem" nel senso che essa va adempiuta
non solo da colui che ha stipulato la convenzione edilizia,
ma anche da colui, se soggetto diverso, che richiede la
concessione edilizia e da colui che realizza opere di
trasformazione edilizia ed urbanistica, valendosi della
concessione edilizia rilasciata al suo dante causa.
L’obbligazione in solido per il pagamento degli oneri di
urbanizzazione e la natura reale dell'obbligazione in esame
riguarda dunque i soggetti che stipulano la convenzione,
quelli che richiedono la concessione, e quelli che
realizzano l'edificazione, ed i loro aventi causa.
Le argomentazioni addotte a sostegno della qualificazione
come obbligazioni propter rem degli oneri di urbanizzazione
sono state poi estese anche agli oneri relativi al costo di
costruzione nel senso che: “nulla vieta dal punto di vista
logico prima che giuridico che alle identiche conclusioni
debba pervenirsi in ordine alla parte del contributo
commisurato al costo di costruzione; questo, infatti, in uno
con gli oneri di urbanizzazione costituisce “il contributo”
per il rilascio per permesso di costruire (già c.e.) con
conseguente e doverosa disciplina unitaria ai fini che qui
interessano delle due voci in cui si viene a scomporre".
Tale orientamento, che trova
condivisione da parte di questo Collegio, ha trovato
riscontro da ultimo in una più recente decisione del
Consiglio di Stato secondo cui il presupposto di esigibilità
dell’onere relativo al costo di costruzione non risiede solo
nella materiale esecuzione delle opere ma anche nella
concreta fruizione del titolo e comunque: “le obbligazioni
per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione vanno
trattate alla stregua di oneri reali, ovvero di obbligazioni propter rem che circolano con il bene cui accedono, sicché
nel caso di trasferimento del bene, esse gravano
sull’acquirente”.
Trattasi in sostanza di obbligazioni connotate dall’inerenza
alla cosa, anziché alla persona cui è rilasciato il permesso
di costruire, sicché tutti coloro che partecipano alla
costruzione e la utilizzano sono solidalmente obbligati
verso il Comune al pagamento degli oneri in questione.
Sotto altro profilo nemmeno fondata può dirsi
l’eccezione di carenza di legittimazione passiva sollevata
dalla società ricorrente, argomentata sul presupposto che
gli oneri sarebbero stati già assolti dalla società titolare
della concessione edilizia originaria che aveva realizzato
il fabbricato senza tuttavia portarlo a ultimazione, e che,
a suo dire, sarebbe per questo l’unico soggetto legittimato
passivo nei confronti dell’amministrazione intimata.
Al riguardo è da rilevare che la circostanza secondo cui gli
oneri di costruzione in oggetto sarebbero stati assolti
dalla società titolare della originaria concessione
edilizia, è stata decisamente contestata in atti dal Comune,
ed è restata così a livello di mera asserzione del tutto
sfornita di prova.
A ciò deve aggiungersi che, quanto alla natura degli
oneri concessori, la prevalente giurisprudenza, condivisa da
questo Collegio, in un primo momento solo con riguardo agli
oneri di urbanizzazione (Cassazione civile, sez. III, 17.06.1996, n. 5541), e più di recente anche con
riferimento al costo di costruzione (TAR Bari Puglia,
11/09/2008, n. 2078, sez. III), ne ha affermato la natura di
obbligazioni c.d. “reali” o propter rem caratterizzate
pertanto dalla stretta inerenza alla res e destinate a
circolare unitamente ad essa per il carattere dell’ambulatorietà
che le contraddistingue.
Sulla base di tali argomentazioni la Cassazione ha difatti
affermato che l'obbligazione del pagamento degli oneri di
urbanizzazione è un’obbligazione propter rem, e che colui
che realizza opere di trasformazione edilizia ed
urbanistica, valendosi di concessione rilasciata al suo
dante causa, ha verso il Comune gli stessi obblighi che
gravano sull'originario concessionario ed è con lui
solidalmente obbligato per il pagamento degli oneri di
urbanizzazione (Cass. Civile Sez. III, 17.06.1996, n.
5541; Sez. II 27.08.2002, n. 12571).
Anche il giudice amministrativo, in relazione all’obbligazione assunta di provvedere alla realizzazione delle
opere di urbanizzazione, ha chiarito che essa deve
qualificarsi "propter rem" nel senso che essa va adempiuta
non solo da colui che ha stipulato la convenzione edilizia,
ma anche da colui, se soggetto diverso, che richiede la
concessione edilizia e da colui che realizza opere di
trasformazione edilizia ed urbanistica, valendosi della
concessione edilizia rilasciata al suo dante causa.
L’obbligazione in solido per il pagamento degli oneri di
urbanizzazione e la natura reale dell'obbligazione in esame
riguarda dunque i soggetti che stipulano la convenzione,
quelli che richiedono la concessione, e quelli che
realizzano l'edificazione, ed i loro aventi causa (TAR
Sicilia Catania, sez. I, 29.10.2004, n. 3011).
Le argomentazioni addotte a sostegno della qualificazione
come obbligazioni propter rem degli oneri di urbanizzazione
sono state poi estese anche agli oneri relativi al costo di
costruzione nel senso che: “nulla vieta dal punto di vista
logico prima che giuridico che alle identiche conclusioni
debba pervenirsi in ordine alla parte del contributo
commisurato al costo di costruzione; questo, infatti, in uno
con gli oneri di urbanizzazione costituisce “il contributo”
per il rilascio per permesso di costruire (già c.e.) con
conseguente e doverosa disciplina unitaria ai fini che qui
interessano delle due voci in cui si viene a scomporre" (CGA
18.05. 2007, n. 395; cfr. Tar Puglia Bari sez. III n. 2078
dell’11.09.2008; nello stesso senso Tar Abruzzo L’Aquila
n. 879 del 23.10.2003).
Tale orientamento, che trova
condivisione da parte di questo Collegio, ha trovato
riscontro da ultimo in una più recente decisione del
Consiglio di Stato secondo cui il presupposto di esigibilità
dell’onere relativo al costo di costruzione non risiede solo
nella materiale esecuzione delle opere ma anche nella
concreta fruizione del titolo e comunque: “le obbligazioni
per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione vanno
trattate alla stregua di oneri reali, ovvero di obbligazioni propter rem che circolano con il bene cui accedono, sicché
nel caso di trasferimento del bene, esse gravano
sull’acquirente” (cfr. Cons. Stato sez.V, n. 6333 del
12.07.2011).
Trattasi in sostanza di obbligazioni connotate dall’inerenza
alla cosa, anziché alla persona cui è rilasciato il permesso
di costruire, sicché tutti coloro che partecipano alla
costruzione e la utilizzano sono solidalmente obbligati
verso il Comune al pagamento degli oneri in questione
(TAR
Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza
16.04.2014 n. 2170 -
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marzo 2014 |
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COMPETENZE
GESTIONALI - EDILIZIA
PRIVATA: Sebbene in giurisprudenza sia stata, anche di
recente, affermata la competenza della Giunta in materia di
adeguamento degli oneri di urbanizzazione e del costo di
costruzione, reputa il
collegio di aderire all’opposto orientamento che ritiene
sussistente la competenza del Consiglio comunale.
In tal senso depone il tenore letterale dell’art. 16, comma
4, del D.P.R. n. 380/2001 che riconosce espressamente la
competenza del Consiglio comunale in materia, affermando
che: “L’incidenza degli oneri di urbanizzazione primaria e
secondaria è stabilita con deliberazione del consiglio
comunale in base alle tabelle parametriche che la regione
definisce per classi di comuni…”. La suddetta competenza è
ribadita dal successivo comma 5 per il caso in cui la
regione non provveda alla definizione della tabelle
parametriche e dal successivo art. 19 recante la disciplina
del contributo di costruzione per opere o impianti non
destinati alla residenza, alle quali è ascrivibile
l’intervento assentito in favore della esponente.
Deve ancora osservarsi che le menzionate disposizioni
contenute nel D.P.R. n. 380/2001 non rivestono portata
derogatoria bensì confermativa della disciplina sulle
attribuzioni del Consiglio comunale come normate all’art. 42
del d.lgs. n. 267/2000 atteso che, ai sensi della lettera
f), comma 2, del disposto normativo in esame, il Consiglio ha
competenza anche in materia di “istituzione e ordinamento
dei tributi, con esclusione della determinazione delle
relative aliquote; disciplina generale delle tariffe per la
fruizione dei beni e dei servizi”, e non v’è dubbio che,
anche a prescindere dalla controversa natura giuridica degli
oneri in questione, si tratti di prestazioni patrimoniali
imposte la cui disciplina, secondo un risalente principio
giuridico, spetta all’organo elettivo della comunità di
riferimento, nella specie rappresentato dal Consiglio
comunale.
Né per sostenere la tesi della competenza della Giunta
comunale vale opporre che nel caso di specie si tratterebbe
di un mero adeguamento degli importi degli oneri dovuti
poiché, in senso contrario, deve osservarsi che l’art. 16
del DPR n. 380/2001 non distingue tra determinazione degli
oneri e loro aggiornamento, limitandosi ad indicare nel
consiglio l’organo competente a provvedere in materia, in
linea con la previsione generale di cui all’art. 42, comma
2, lett. f), del d.lgs. n. 267/2000.
Al contempo la tesi della competenza della Giunta non può
fondatamente essere sostenuta facendo valere il carattere
sostanzialmente vincolato del procedimento di adeguamento
periodico degli oneri di urbanizzazione e del costo di
costruzione, atteso che, in realtà, si tratta di decisioni
comunque caratterizzate dall’esercizio di poteri
discrezionali che, per l’ampia latitudine delle valutazioni
di merito implicate e per le ricadute dirette sui diritti
dominicali degli appartenenti alle comunità di riferimento,
non possono non essere esercitati dal Consiglio in quanto
unico organo competente in materia di istituzione ed
ordinamento di tributi e di disciplina delle tariffe per la
fruizione dei servizi.
Che si tratti di esercizio di poteri discrezionali è
confermato sia dal tenore delle disposizioni normative
pertinenti che dal contenuto delle delibere in concreto
assunte dalla Giunta e contestate dalla ricorrente.
Ed infatti, ai sensi dell’art. 16, comma 6, del DPR. n.
380/2001 “Ogni cinque anni i comuni provvedono ad aggiornare
gli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria, in
conformità alle relative disposizioni regionali, in
relazione ai riscontri e prevedibili costi delle opere di
urbanizzazione primaria, secondaria e generale”; nella
specie non risulta che la regione Molise abbia assunto
alcuna decisione in materia di adeguamento degli oneri di
urbanizzazione sicché l’attività posta in essere dalla
Giunta non si rivela come meramente attuativa degli
indirizzi regionali in materia.
Inoltre la norma prevede che l’aggiornamento debba essere
eseguito “in relazione ai riscontri e prevedibili costi
delle opere di urbanizzazione primaria, secondaria e
generale”, secondo cioè parametri tutt’altro che oggettivi
ed univoci, implicando stime di carattere presuntivo e
probabilistico certamente opinabili, tant’è che, nel caso di
specie, la Giunta nell’esercizio di un potere ampiamente
discrezionale, ha ritenuto di ancorare l’aggiornamento al
parametro della rivalutazione in ragione della variazione
intervenuta nei costi delle summenzionate opere di
urbanizzazione, peraltro pervenendo in tal modo ad un
incremento di ben il 348 per cento degli oneri di
urbanizzazione.
Ora è evidente che la scelta di un criterio, non imposto
dalla legge e neppure dagli indirizzi regionali, nella
specie non adottati, e quindi espressione di una valutazione
discrezionale e che comporta, al contempo, un incremento
degli oneri di urbanizzazione di oltre il 300%, non può
ragionevolmente essere sottratto alla competenza del
Consiglio in quanto organo responsabile della istituzione
dei tributi e della disciplina generale delle tariffe per la
fruizione dei servizi, qual è l’attività di realizzazione
delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria.
---------------
... per l'annullamento
- del provvedimento del 1/10/2012, prot. n. 6811, a firma del
Responsabile dell’Area G.S.T. con il quale
si comunica l’accoglimento dell’istanza
presentata dalla ricorrente in data
25/01/20012 con prot. n. 663 e volta ad
ottenere il rilascio del permesso di
costruire, subordinandone il rilascio alla
consegna della ricevuta di versamento dei
diritti di segreteria pari ad Euro 6.990,00,
del contributo corrispondente alla incidenza
degli oneri di urbanizzazione pari ad Euro
21.018,57 e del costo di costruzione pari ad
Euro 28.469,61 nonché della marca da bollo
da Euro 14,62, nonché
- della delibera di Giunta n. 69 del 18/06/2012 avente ad oggetto “Adeguamento
costo oneri di urbanizzazione”, della
delibera di Giunta n. 70 del 18/06/2012
avente ad oggetto “Adeguamento tariffe
costo di costruzione” e della delibera
di Giunta n. 72 del 18/06/2012 avente ad
oggetto “Aggiornamento ed istituzione
nuovi diritti di segreteria. Provvedimenti”
e di ogni atto successivo, consequenziale e,
comunque, connesso.
...
La società ricorrente riferisce di avere
presentato in data 25.01.2012 istanza per il
rilascio di un permesso di costruire avente
ad oggetto la realizzazione di un capannone
artigianale in zona P.I.P. previamente
acquistata dal Comune di Santa Croce di
Magliano e che, nelle more dell’istruttoria,
la Giunta Comunale con delibere nn. 69, 70,
72 adottate il 18.06.2012 ha provveduto ad
adeguare il costo degli oneri di
urbanizzazione, le tariffe relative al costo
di costruzione ed ad aggiornare ed istituire
nuovi diritti di segreteria.
L’accoglimento dell’istanza di rilascio del
permesso di costruire è stato così
condizionato al pagamento di un importo
complessivo di euro 56.467,18 che
l’esponente assume sproporzionato e comunque
determinato in forza di delibere adottate da
organo incompetente essendo la materia
riservata alla competenza del Consiglio
Comunale ai sensi del combinato disposto di
cui agli art. 16, comma 4, del DPR n.
380/2001 e 42, comma 2, lett. f), del d.lgs.
n. 267/2000.
Lamenta, al contempo, che i provvedimenti
impugnati sarebbero affetti da violazione di
legge in tema di aggiornamento degli oneri
urbanistici; violazione dell’art. 3 della
legge n. 241 del 1990; eccesso di potere per
difetto ed erronea motivazione; erroneità di
istruttoria; travisamento dei fatti; erronea
valutazione dei presupposti; manifesta
ingiustizia; eccesso di potere.
...
Il ricorso è fondato.
Con ordinanza n. 7/2013 il collegio ha accolto la domanda
cautelare ritenendo fondata la dedotta censura di difetto di
competenza della Giunta nella determinazione del contributo
relativo agli oneri di urbanizzazione, al costo di
costruzione ed ai diritti di segreteria.
La successiva fase di merito del giudizio non ha introdotto
elementi in fatto o in diritto nuovi sicché l’orientamento
espresso dal collegio in sede cautelare deve, in questa
sede, essere confermato.
Sebbene, infatti, in giurisprudenza sia stata, anche di
recente, affermata la competenza della Giunta in materia di
adeguamento degli oneri di urbanizzazione e del costo di
costruzione (cfr. TAR Campania, II, n. 4206/2013), reputa il
collegio di aderire all’opposto orientamento che ritiene
sussistente la competenza del Consiglio comunale (TAR Lecce,
III, n. 2765/2010).
In tal senso depone il tenore letterale dell’art. 16, comma
4, del D.P.R. n. 380/2001 che riconosce espressamente la
competenza del Consiglio comunale in materia, affermando
che: “L’incidenza degli oneri di urbanizzazione primaria e
secondaria è stabilita con deliberazione del consiglio
comunale in base alle tabelle parametriche che la regione
definisce per classi di comuni…”. La suddetta competenza è
ribadita dal successivo comma 5 per il caso in cui la
regione non provveda alla definizione della tabelle
parametriche e dal successivo art. 19 recante la disciplina
del contributo di costruzione per opere o impianti non
destinati alla residenza, alle quali è ascrivibile
l’intervento assentito in favore della esponente.
Deve ancora osservarsi che le menzionate disposizioni
contenute nel D.P.R. n. 380/2001 non rivestono portata
derogatoria bensì confermativa della disciplina sulle
attribuzioni del Consiglio comunale come normate all’art. 42
del d.lgs. n. 267/2000 atteso che, ai sensi della lettera
f), comma 2, del disposto normativo in esame, il Consiglio ha
competenza anche in materia di “istituzione e ordinamento
dei tributi, con esclusione della determinazione delle
relative aliquote; disciplina generale delle tariffe per la
fruizione dei beni e dei servizi”, e non v’è dubbio che,
anche a prescindere dalla controversa natura giuridica degli
oneri in questione, si tratti di prestazioni patrimoniali
imposte la cui disciplina, secondo un risalente principio
giuridico, spetta all’organo elettivo della comunità di
riferimento, nella specie rappresentato dal Consiglio
comunale.
Né per sostenere la tesi della competenza della Giunta
comunale vale opporre che nel caso di specie si tratterebbe
di un mero adeguamento degli importi degli oneri dovuti
poiché, in senso contrario, deve osservarsi che l’art. 16
del DPR n. 380/2001 non distingue tra determinazione degli
oneri e loro aggiornamento, limitandosi ad indicare nel
consiglio l’organo competente a provvedere in materia, in
linea con la previsione generale di cui all’art. 42, comma
2, lett. f), del d.lgs. n. 267/2000.
Al contempo la tesi della competenza della Giunta non può
fondatamente essere sostenuta facendo valere il carattere
sostanzialmente vincolato del procedimento di adeguamento
periodico degli oneri di urbanizzazione e del costo di
costruzione, atteso che, in realtà, si tratta di decisioni
comunque caratterizzate dall’esercizio di poteri
discrezionali che, per l’ampia latitudine delle valutazioni
di merito implicate e per le ricadute dirette sui diritti
dominicali degli appartenenti alle comunità di riferimento,
non possono non essere esercitati dal Consiglio in quanto
unico organo competente in materia di istituzione ed
ordinamento di tributi e di disciplina delle tariffe per la
fruizione dei servizi.
Che si tratti di esercizio di poteri discrezionali è
confermato sia dal tenore delle disposizioni normative
pertinenti che dal contenuto delle delibere in concreto
assunte dalla Giunta e contestate dalla ricorrente.
Ed infatti, ai sensi dell’art. 16, comma 6, del DPR. n.
380/2001 “Ogni cinque anni i comuni provvedono ad aggiornare
gli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria, in
conformità alle relative disposizioni regionali, in
relazione ai riscontri e prevedibili costi delle opere di
urbanizzazione primaria, secondaria e generale”; nella
specie non risulta che la regione Molise abbia assunto
alcuna decisione in materia di adeguamento degli oneri di
urbanizzazione sicché l’attività posta in essere dalla
Giunta non si rivela come meramente attuativa degli
indirizzi regionali in materia.
Inoltre la norma prevede che l’aggiornamento debba essere
eseguito “in relazione ai riscontri e prevedibili costi
delle opere di urbanizzazione primaria, secondaria e
generale”, secondo cioè parametri tutt’altro che oggettivi
ed univoci, implicando stime di carattere presuntivo e
probabilistico certamente opinabili, tant’è che, nel caso di
specie, la Giunta nell’esercizio di un potere ampiamente
discrezionale, ha ritenuto di ancorare l’aggiornamento al
parametro della rivalutazione in ragione della variazione
intervenuta nei costi delle summenzionate opere di
urbanizzazione, peraltro pervenendo in tal modo ad un
incremento di ben il 348 per cento degli oneri di
urbanizzazione.
Ora è evidente che la scelta di un criterio, non imposto
dalla legge e neppure dagli indirizzi regionali, nella
specie non adottati, e quindi espressione di una valutazione
discrezionale e che comporta, al contempo, un incremento
degli oneri di urbanizzazione di oltre il 300%, non può
ragionevolmente essere sottratto alla competenza del
Consiglio in quanto organo responsabile della istituzione
dei tributi e della disciplina generale delle tariffe per la
fruizione dei servizi, qual è l’attività di realizzazione
delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria.
Analoghe considerazioni valgono per la
variazione del costo di costruzione.
Deve premettersi che l’art. 16, comma 9, del
D.P.R. n. 380/2001 se, da un lato,
afferma che “Nei periodi intercorrenti
tra le determinazioni regionali, ovvero in
eventuale assenza di tali determinazioni, il
costo di costruzione è adeguato annualmente,
ed autonomamente, in ragione
dell’intervenuta variazione dei costi di
costruzione accertata dall’Istituto
nazionale di statistica (ISTAT)”,
dall’altro, la medesima disposizione
prosegue precisando che “Il contributo
afferente al permesso di costruire comprende
una quota di detto costo variabile dal 5 per
cento al 20 per cento, che viene determinata
dalle regioni in funzione delle
caratteristiche e delle tipologie delle
costruzioni e della loro destinazione ed
ubicazione”.
Anche in questo caso, come si evince dalla
parte motiva della delibera di Giunta n.
70/2012, la Regione Molise non ha più
provveduto ad aggiornare il costo di
costruzione a partire dalla delibera di
Giunta n. 4724 del 27.11.1995, ed ha inoltre
stabilito con delibera di Giunta n. 5548 del
05.12.1994 che la quota relativa al costo di
costruzione compresa nel contributo per la
concessione, variabile tra un minimo del 5
per cento ed un massimo del 20 per cento,
venga definito autonomamente dalle
amministrazioni comunali.
Nella specie la Giunta comunale con la
delibera n. 70/2012 ha deciso di fissare
tale quota nel 5 per cento del costo di
costruzione risultante dal predetto
adeguamento.
Così facendo, tuttavia, se ha da un lato
applicato un parametro vincolato
nell’aggiornamento del costo di costruzione,
ancorandolo alla variazione accertata
dall’ISTAT, dall’altra ha operato una scelta
di merito in ordine alla determinazione
della percentuale del costo di costruzione,
rilevante ai fini della determinazione del
contributo afferente il permesso di
costruire, fissandola nel 5 per cento,
decisione che, in quanto ampiamente
discrezionale, non poteva non essere rimessa
alla decisione del Consiglio comunale.
Analoghe considerazioni valgono, infine, per
la delibera di Giunta n. 72 del 2012 avente
ad oggetto “Aggiornamento ed istituzione
nuovi diritti di segreteria. Provvedimenti”,
atteso che nell’ambito della disciplina
generale delle tariffe per la fruizione dei
servizi di cui all’art. 42, comma 2, lett.
f), del d.lgs. n. 267/2000, non può non
essere rimessa al Consiglio comunale la
decisione in ordine alla istituzione di
nuovi diritti di segreteria “alla luce
dell’evolversi del quadro normativo in
materia di edilizia”, sicché anche tale
delibera deve ritenersi affetta da
illegittimità per vizio di incompetenza con
la conseguenza che, al pari delle prime due,
merita di essere annullata.
Da tali considerazioni discende che
l’esercizio del potere di adeguamento dei
costi di urbanizzazione costituisce un
potere discrezionale e come tale è
attribuito, anche in applicazione dell’art.
42, comma 2, lett. f), del d.lgs. 267/2000,
alla competenza dei consigli comunali,
soprattutto nelle fattispecie in cui la
Regione abbia omesso, come nel caso di
specie, di adottare gli specifici atti di
indirizzo previsti dall’art. 16, commi 6 e
9, del DPR n. 380/2001.
In conclusione il ricorso dev’essere accolto
con riferimento al dedotto motivo di
incompetenza della Giunta comunale, con
conseguente annullamento delle delibere
impugnate e della nota 01.10.2012 prot. n.
6811 nella parte in cui vengono determinati
gli oneri di urbanizzazione, il costo di
costruzione ed i diritti di segreteria, con
obbligo del Comune di rideterminarsi sul
punto nel rispetto delle regole di
competenza
(TAR Molise,
sentenza 31.03.2014 n. 210 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
La novazione soggettiva nei rapporti inerenti il
titolo edilizio avviene con la voltura non essendo, invece,
sufficiente, a realizzare tale effetto il mero acquisito
dell’immobile. Tant’è che, secondo la giurisprudenza, del
pagamento dei contributi di urbanizzazione risponde
direttamente e per intero il titolare della concessione
edilizia, essendo i successivi acquirenti estranei al
rapporto che al riguardo si è instaurato col Comune.
Peraltro, la titolarità del permesso edilizio incide solo
sul profilo passivo della obbligazione relativa al pagamento
del contributo ma nulla, invece, ha a che vedere con
l’azione di ripetizione dell’indebito.
Questa, infatti, trae fonte dal pagamento di un debito non
dovuto ed inerisce esclusivamente al rapporto fra chi lo ha
effettuato e chi lo ha ricevuto. Legittimato ad esigere la
restituzione è, quindi, il soggetto che ha effettuato (a
nome proprio) il pagamento rivelatosi privo di causa.
Nessuna rilevanza assume ai fini della legittimazione ad
esercitare l’azione in discorso il fatto che l’onere
economico del pagamento indebito sia poi stato trasferito da
parte del solvens su un soggetto terzo. Infatti, il
presupposto della azione di ripetizione, è esclusivamente
quello del pagamento di un debito non dovuto e non quello
dell’”arricchimento ai danni di altra persona” che è,
invece, proprio della diversa azione di arricchimento senza
causa.
... per l'annullamento del provvedimento prot. 61108 del
14.10.2010, notificato al difensore della ricorrente in data
18.10.2010, con il quale il Dirigente del Servizio
Urbanistica del Comune di Pistoia ha respinto l’istanza
presentata dalla ricorrente per il rimborso degli oneri di
urbanizzazione pagati nell’intervento di ristrutturazione
p.e. n. 2003/2008 in Pistoia, Viale ..., piano primo
(v. DOC.1);
...
La Sig.ra Giuliana Vitale ha acquistato nel 2009 una
porzione di fabbricato destinato a civile abitazione nel
comune di Pistoia.
La sua dante causa, Sig.ra Vettori Antonella, prima della
vendita aveva già presentato al predetto comune una d.i.a.
per l’esecuzione di lavori di ristrutturazione e pagato i
relativi oneri di urbanizzazione.
I predetti oneri, in forza di apposito patto contrattuale,
sono stati poi posti a carico dell’acquirente che ha poi
portato a termine i lavori.
La Sig.ra Vitale si è, tuttavia, avveduta che l’ammontare
degli oneri di urbanizzazione richiesti dal Comune di
Pistoia superava la somma effettivamente dovuta.
In particolare, il predetto ente, in applicazione della
delibera consiliare n. 225 del 21/12/2007, aveva calcolato
gli oneri sulla base della superficie lorda dell’intero
fabbricato anziché prendere a riferimento la sola unità
immobiliare interessata dal progetto di ristrutturazione.
Ritenendo, anche sulla scorta di precedenti pronunce di
questo Tribunale Amministrativo, tale sistema di calcolo
palesemente illegittimo, la Sig.ra Vitale ha intentato
azione di ripetizione dell’indebito contro il Comune di
Pistoia per ottenere la ripetizione delle somme pagate in
eccesso a titolo di oneri di urbanizzazione.
Nel costituirsi in giudizio il Comune di Pistoia ha
preliminarmente eccepito la carenza di legittimazione attiva
della ricorrente osservando che l’azione di ripetizione
potrebbe essere esercitata solo da chi ha eseguito il
pagamento non dovuto e, quindi, nella specie, dalla Sig.ra
Vettori che ha versato alla tesoreria comunale le somme
richieste a titolo di oneri di urbanizzazione.
Al riguardo la ricorrente ha replicato di essere subentrata,
per effetto dell’acquisto dell’immobile, in tutti i rapporti
attivi e passivi facenti capo al titolo edilizio. Sicché,
così come l’obbligo di pagare gli oneri concessori (qualora
questi fossero ancora insoluti) si sarebbe trasferito su di
lei, allo stesso modo, essa sarebbe divenuta titolare
dell’azione di ripetizione di quanto indebitamente
corrisposto a tale titolo dalla sua dante causa.
Gli argomenti dedotti dalla ricorrente per contrastare
l’eccezione formulata dal Comune non appaiono, tuttavia,
convincenti.
Occorre in primo luogo osservare che la novazione soggettiva
nei rapporti inerenti il titolo edilizio avviene con la
voltura non essendo, invece, sufficiente, a realizzare tale
effetto il mero acquisito dell’immobile. Tant’è che, secondo
la giurisprudenza, del pagamento dei contributi di
urbanizzazione risponde direttamente e per intero il
titolare della concessione edilizia, essendo i successivi
acquirenti estranei al rapporto che al riguardo si è
instaurato col Comune (Cons. Stato, V, 26/06/1996 n. 793).
Peraltro, la titolarità del permesso edilizio incide solo
sul profilo passivo della obbligazione relativa al pagamento
del contributo ma nulla, invece, ha a che vedere con
l’azione di ripetizione dell’indebito.
Questa, infatti, trae fonte dal pagamento di un debito non
dovuto ed inerisce esclusivamente al rapporto fra chi lo ha
effettuato e chi lo ha ricevuto. Legittimato ad esigere la
restituzione è, quindi, il soggetto che ha effettuato (a
nome proprio) il pagamento rivelatosi privo di causa
(Cassazione civile sez. III, 01.12.2009 n. 25276;
TAR Napoli Campania sez. V, 05.04.2011 n. 1916).
Nessuna rilevanza assume ai fini della legittimazione ad
esercitare l’azione in discorso il fatto che l’onere
economico del pagamento indebito sia poi stato trasferito da
parte del solvens su un soggetto terzo. Infatti, il
presupposto della azione di ripetizione, è esclusivamente
quello del pagamento di un debito non dovuto e non quello
dell’”arricchimento ai danni di altra persona” che è,
invece, proprio della diversa azione di arricchimento senza
causa.
Il ricorso deve essere, quindi, dichiarato inammissibile per
difetto di legittimazione attiva
(TAR Toscana, Sez. III,
sentenza 12.03.2014 n. 493 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
febbraio 2014 |
|
EDILIZIA PRIVATA: Il
“contributo per il rilascio del permesso di costruire”,
disciplinato dall’art. 16 del DPR n. 380 del 2001, è inteso
dalla giurisprudenza, anche di questa Sezione, come
“corrispettivo di diritto pubblico”, che rappresenta una
“forma di partecipazione alle spese pubbliche con caratteri
atipici, ma sempre collegata all’attività di trasformazione
del territorio”; proprio questa sua funzione giustifica la
ripetizione del contributo nel caso di mancato utilizzo del
permesso di costruire, giacché in questa ipotesi non vi è
stata alcuna attività di trasformazione del territorio e
quindi non è dovuta alcuna partecipazione alla spesa
pubblica correlata.
Può tuttavia accadere, come nella specie, che pur non
essendo state realizzate le opere di cui al permesso di
costruire, siano stati tuttavia posti in essere
significativi interventi modificativi del territorio, come
sbancamenti e ingenti movimenti terra, propedeutici alle
edificazioni poi non realizzate. In ipotesi siffatte,
venendo meno attraverso la rinuncia e/o la decadenza del
titolo edilizio, la ragione giustificativa che da un punto
di vista giuridico sorreggeva la trasformazione
territoriale, l’Amministrazione comunale può ben vantare una
pretesa alla rimessione in pristino, cioè alla eliminazione
delle trasformazioni territoriali realizzate e non più
sorrette dal permesso di costruire.
Si tratta di effetti giuridici che conseguono congiuntamente
dalla perdita di efficacia del permesso di costruire: da un
lato il diritto alla ripetizione degli oneri concessori
correlati ad opere che non si edificheranno più, dall’altro
l’obbligo di ripristino della situazione di fatto anteriore
rispetto all’avvio delle opere attuative del titolo
edilizio.
Proprio la congiunta scaturigine giustifica il collegamento
tra le due fattispecie, a garanzia del congiunto
adempimento, e cioè giustifica che il Comune trattenga gli
oneri riscossi fino alla rimessione in pristino stato o
comunque alla determinazione degli oneri conseguenti alla
rimessione in pristino medesima. Così che solo una volta
azzerata l’incidenza sul territorio delle trasformazioni
conseguenti all’esecuzione del titolo edilizio sarà
possibile procedere alla ripetizione degli oneri versati.
Con il sesto mezzo di cui ai motivi
aggiunti parte ricorrente rileva che il condizionamento,
effettuato dall’Amministrazione, della restituzione degli
oneri concessori di cui al permesso di costruire n. 7567
alla rimessione in pristino, con eliminazione delle
trasformazioni effettuate in attuazione dello stesso
permesso n. 7567, sarebbe illegittimo perché privo di
fondamento normativo e comunque sproporzionato.
La censura è infondata.
Il “contributo per il rilascio del permesso di costruire”,
disciplinato dall’art. 16 del DPR n. 380 del 2001, è inteso
dalla giurisprudenza, anche di questa Sezione, come “corrispettivo
di diritto pubblico”, che rappresenta una “forma di
partecipazione alle spese pubbliche con caratteri atipici,
ma sempre collegata all’attività di trasformazione del
territorio” (TAR Toscana, sez. 3^, 11.08.2004, n. 3181);
proprio questa sua funzione giustifica la ripetizione del
contributo nel caso di mancato utilizzo del permesso di
costruire, giacché in questa ipotesi non vi è stata alcuna
attività di trasformazione del territorio e quindi non è
dovuta alcuna partecipazione alla spesa pubblica correlata.
Può tuttavia accadere, come nella specie, che pur non
essendo state realizzate le opere di cui al permesso di
costruire, siano stati tuttavia posti in essere
significativi interventi modificativi del territorio, come
sbancamenti e ingenti movimenti terra, propedeutici alle
edificazioni poi non realizzate. In ipotesi siffatte,
venendo meno attraverso la rinuncia e/o la decadenza del
titolo edilizio, la ragione giustificativa che da un punto
di vista giuridico sorreggeva la trasformazione
territoriale, l’Amministrazione comunale può ben vantare una
pretesa alla rimessione in pristino, cioè alla eliminazione
delle trasformazioni territoriali realizzate e non più
sorrette dal permesso di costruire.
Si tratta di effetti giuridici che conseguono congiuntamente
dalla perdita di efficacia del permesso di costruire: da un
lato il diritto alla ripetizione degli oneri concessori
correlati ad opere che non si edificheranno più, dall’altro
l’obbligo di ripristino della situazione di fatto anteriore
rispetto all’avvio delle opere attuative del titolo
edilizio. Proprio la congiunta scaturigine giustifica il
collegamento tra le due fattispecie, a garanzia del
congiunto adempimento, e cioè giustifica che il Comune
trattenga gli oneri riscossi fino alla rimessione in
pristino stato o comunque alla determinazione degli oneri
conseguenti alla rimessione in pristino medesima. Così che
solo una volta azzerata l’incidenza sul territorio delle
trasformazioni conseguenti all’esecuzione del titolo
edilizio sarà possibile procedere alla ripetizione degli
oneri versati.
Nella specie non risulta che parte ricorrente abbia inteso
farsi carico della rimessione in pristino e neppure che
abbia avviato con l’Amministrazione un dialogo per stabilire
l’ammontare dei costi dell’attività di ripristino, dialogo
necessario proprio per determinare in misura corretta gli
oneri ripristinatori e scongiurare le sproporzioni che parte
ricorrente paventa
(TAR Toscana, Sez. III,
sentenza 11.02.2014 n. 288 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
In materia di contributi
derivanti dal rilascio di concessione edilizia sussiste la
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e tale
giurisdizione sussiste anche quando attiene alla richiesta,
mediante cartella esattoriale, di pagamento del contributo
per gli oneri di urbanizzazione e conseguenti sanzioni;
sebbene, infatti, l'art. 16 della l. 28.01.1977 n. 10 sia
stato abrogato dall'art. 136, comma 2, d.P.R. 06.06.2001, n.
380, a decorrere dal 30.06.2003, ai sensi dell'art. 3, d.l.
20.06.2002, n. 122, conv., con modificazioni, in l.
01.08.2002, n. 185, le controversie in materia di oneri di
urbanizzazione devono ritenersi tuttora attribuite alla
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in
materia di urbanistica e di edilizia ai sensi dell'art. 34
d.lgs. n. 80 del 1998, non avendo tra l'altro detti oneri
natura tributaria, bensì natura di corrispettivo di diritto
pubblico avente la funzione di partecipazione ai costi delle
opere di urbanizzazione.
Invero, atteso che le controversie che hanno ad oggetto la
legittimità o meno del contributo relativo a concessione
edilizia vertono sull'esistenza o sulla misura di una
obbligazione direttamente stabilita dalla legge, l'atto con
cui l'Amministrazione comunale provvede in merito alla
determinazione del contributo concessorio non ha natura
autoritativa e la posizione del soggetto nei cui confronti è
richiesto il pagamento, è di diritto soggettivo e non di
interesse legittimo;ì.
Conseguentemente la giurisdizione del giudice amministrativo
in materia ha per oggetto tutte le controversie inerenti
all'an e al quantum della pretesa contributiva del comune,
(mentre la competenza dell'a.g.o. è limitata alle sole
questioni inerenti all'esperibilità del recupero in
executivis del credito contributivo); con l'ulteriore
precisazione che oggi, dopo l'entrata in vigore dell'art. 7
della L. 21.07.2000, n. 207, tale giurisdizione esclusiva
del giudice amministrativo comprende anche i giudizi avverso
l'ordinanza-ingiunzione emessa dal Comune ai sensi dell'art.
2 del r.d. 14.04.1910, n. 639.
---------------
L'Amministrazione non ha l'obbligo, a fronte del ritardato
pagamento degli oneri concessori, di escutere la
fideiussione, evitando in tal modo di applicare la sanzione.
Infatti la fideiussione che accompagna la rateizzazione del
pagamento degli oneri di urbanizzazione non ha la finalità
di agevolare l'adempimento del soggetto obbligato al
pagamento, bensì costituisce una garanzia personale prestata
unicamente nell'interesse dell'amministrazione, sulla quale
non incombe alcun obbligo di preventiva escussione del
fideiussore.
Invero, la garanzia sussidiaria serve a scongiurare che il
Comune possa irrimediabilmente perdere una entrata di
diritto pubblico, ma non alleggerisce affatto la posizione
del soggetto tenuto al pagamento, né attenua i doveri di
diligenza sullo stesso incombenti, né estingue di per sé
l'obbligazione principale.
L’eccezione è infondata.
Va chiarito che in materia di contributi derivanti dal
rilascio di concessione edilizia sussiste la giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo e tale giurisdizione
sussiste anche quando attiene alla richiesta, mediante
cartella esattoriale, di pagamento del contributo per gli
oneri di urbanizzazione e conseguenti sanzioni; sebbene,
infatti, l'art. 16 della l. 28.01.1977 n. 10 sia stato
abrogato dall'art. 136, comma 2, d.P.R. 06.06.2001, n.
380, a decorrere dal 30.06.2003, ai sensi dell'art. 3,
d.l. 20.06.2002, n. 122, conv., con modificazioni, in l.
01.08.2002, n. 185, le controversie in materia di oneri
di urbanizzazione devono ritenersi tuttora attribuite alla
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in
materia di urbanistica e di edilizia ai sensi dell'art. 34 d.lgs. n. 80 del 1998, non avendo tra l'altro detti oneri
natura tributaria, bensì natura di corrispettivo di diritto
pubblico avente la funzione di partecipazione ai costi delle
opere di urbanizzazione; invero, atteso che le controversie
che hanno ad oggetto la legittimità o meno del contributo
relativo a concessione edilizia vertono sull'esistenza o
sulla misura di una obbligazione direttamente stabilita
dalla legge, l'atto con cui l'Amministrazione comunale
provvede in merito alla determinazione del contributo
concessorio non ha natura autoritativa e la posizione del
soggetto nei cui confronti è richiesto il pagamento, è di
diritto soggettivo e non di interesse legittimo;
conseguentemente la giurisdizione del giudice amministrativo
in materia ha per oggetto tutte le controversie inerenti
all'an e al quantum della pretesa contributiva del comune,
(mentre la competenza dell'a.g.o. è limitata alle sole
questioni inerenti all'esperibilità del recupero in executivis del credito contributivo); con l'ulteriore
precisazione che oggi, dopo l'entrata in vigore dell'art. 7
della L. 21.07.2000, n. 207, tale giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo comprende anche i
giudizi avverso l'ordinanza-ingiunzione emessa dal Comune ai
sensi dell'art. 2 del r.d. 14.04.1910, n. 639 (cfr.,
TAR Napoli (Campania) sez. II, 18/11/2008, 19792).
Il presente giudizio ha, quindi, ad oggetto anche diritti
soggettivi e si traduce nell’accertamento in concreto della
doverosità della corresponsione dei contributi concessori e
dell’esatta quantificazione degli stessi.
Ne deriva che non ha alcuna incidenza su tale aspetto
l’omessa impugnazione del decreto di ingiunzione di
pagamento.
---------------
Il Collegio
ritiene che il ricorso sia infondato.
La L. 108/1996 non ha, infatti, abrogato l’art. 3 L.
47/1985, ma si è limitata a definire gli interessi abnormi
risultanti da liberi accordi o convenzioni tra privati, non
anche quelli definiti dalla legge, come è avvenuto nel caso
di specie. Nessuna violazione della norma in parola emerge,
anche perché l’amministrazione si è limitata, nella
determinazione degli interessi applicati in sede di
determinazione delle rate di pagamento, ad applicare gli
interessi al tasso legale in vigore al momento del rilascio
della concessione edilizia.
Le somme dovute poi ai sensi dell’art. 3 L. 47/1985 non
costituiscono, peraltro, interessi, ma sono qualificati
espressamente come sanzioni, corrispondenti a percentuali di
aumento del contributo concessorio, in relazione ai giorni
di ritardo.
La società ricorrente ha, peraltro, dedotto che
l’amministrazione, in omaggio ai principi di buona fede e
correttezza, avrebbe dovuto prima escutere la polizza
fideiussoria e poi emettere il provvedimento sanzionatorio.
L’assunto è infondato, in quanto questo Tar ha già chiarito
che l'Amministrazione non ha l'obbligo, a fronte del
ritardato pagamento degli oneri concessori, di escutere la
fideiussione, evitando in tal modo di applicare la sanzione.
Infatti la fideiussione che accompagna la rateizzazione del
pagamento degli oneri di urbanizzazione non ha la finalità
di agevolare l'adempimento del soggetto obbligato al
pagamento, bensì costituisce una garanzia personale prestata
unicamente nell'interesse dell'amministrazione, sulla quale
non incombe alcun obbligo di preventiva escussione del
fideiussore; invero, la garanzia sussidiaria serve a
scongiurare che il Comune possa irrimediabilmente perdere
una entrata di diritto pubblico, ma non alleggerisce affatto
la posizione del soggetto tenuto al pagamento, né attenua i
doveri di diligenza sullo stesso incombenti, né estingue di
per sé l'obbligazione principale (cfr., TAR Milano
(Lombardia) sez. II, 21/07/2009, n. 4405) (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 06.02.2014 n. 389 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
gennaio 2014 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Parere in merito al ricalcolo del contributo di
costruzione nel caso di realizzazione di opere autorizzate
con precedente permesso di costruire e non eseguite. Art.
15, comma 3, DPR 380/2001 - Comune di Oriolo Romano
(Regione Lazio,
parere 21.01.2014 n.
33492 di prot.). |
EDILIZIA PRIVATA: La
concessione edilizia comporta la corresponsione di un
contributo commisurato all'incidenza delle spese di
urbanizzazione, nonché al costo di costruzione, in quanto
ogni attività di trasformazione urbanistica ed edilizia del
territorio partecipa agli oneri ad essa relativi. Esso ha
natura, quindi, di corrispettivo di diritto pubblico.
La quantificazione dei contributi dovuti dal soggetto in cui
favore è rilasciata la concessione è ordinariamente
effettuata all'atto del rilascio della concessione medesima,
ma il Comune, anche in seguito, ben può effettuare la
rideterminazione dell'ammontare del contributo dovuto dal
concessionario, in quanto il potere è espressione del
generale principio di autotutela che può essere
legittimamente esercitato ogni qual volta l'amministrazione
si renda conto di essere incorsa, per qualsiasi ragione, in
errore nella liquidazione o nel calcolo del contributo.
Ed invero, è stato inoltre ritenuto che, poiché l'eventuale
errore nella determinazione dei costi di costruzione e degli
oneri di urbanizzazione configura un indebito oggettivo da
parte dell'intestatario della concessione, la sola
preclusione alla azionabilità del credito effettivamente
dovuto è la prescrizione del diritto alla percezione degli
oneri nel loro integrale ammontare.
La concessione edilizia comporta la corresponsione di un
contributo commisurato all'incidenza delle spese di
urbanizzazione, nonché al costo di costruzione, in quanto
ogni attività di trasformazione urbanistica ed edilizia del
territorio partecipa agli oneri ad essa relativi (cfr.,
Cons. St., sez. V, 06.05.1997, n. 462). Esso ha natura,
quindi, di corrispettivo di diritto pubblico.
La quantificazione dei contributi dovuti dal soggetto in cui
favore è rilasciata la concessione è ordinariamente
effettuata all'atto del rilascio della concessione medesima,
ma il Comune, anche in seguito, ben può effettuare la
rideterminazione dell'ammontare del contributo dovuto dal
concessionario, in quanto il potere è espressione del
generale principio di autotutela (cfr. TAR Veneto, II,
01.02.2011, nn. 181 e 189; Cons. St.,V, 30.09.1998, n. 1144)
che può essere legittimamente esercitato ogni qual volta
l'amministrazione si renda conto di essere incorsa, per
qualsiasi ragione, in errore nella liquidazione o nel
calcolo del contributo.
Ed invero, è stato inoltre ritenuto che, poiché l'eventuale
errore nella determinazione dei costi di costruzione e degli
oneri di urbanizzazione configura un indebito oggettivo da
parte dell'intestatario della concessione, la sola
preclusione alla azionabilità del credito effettivamente
dovuto è la prescrizione del diritto alla percezione degli
oneri nel loro integrale ammontare (TAR Lombardia, Milano,
sez. II, 06.11.2002, n. 4267)
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 17.01.2014 n. 50 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
dicembre 2013 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Ai sensi del comma 6-ter dell'art. 19 della legge
07.08.1990, n. 241 "Nuove norme in materia di procedimento
amministrativo e di diritto di accesso ai documenti
amministrativi" le denuncie di inizio attività "non
costituiscono provvedimenti taciti".
Il legislatore ha fatto dunque proprio l’avviso
dell'Adunanza plenaria 29.07.2011 n. 15 per cui "la denuncia
di inizio attività non è un provvedimento amministrativo a
formazione tacita e non dà luogo in ogni caso ad un titolo
costitutivo, ma costituisce un atto privato volto a
comunicare l'intenzione di intraprendere un'attività
direttamente ammessa dalla legge".
---------------
L'obbligo di corrispondere gli oneri di urbanizzazione ed il
costo di costruzione deve essere agganciato non al tempo
della presentazione della denuncia di inizio attività, ma al
sorgere della giuridica possibilità di realizzare
legittimamente l’intervento e quindi al momento
dell’intervenuta efficacia della d.i.a. per decorso del
termine o intervenuto accertamento della conformità alla
disciplina urbanistica vigente.
La determinazione dell'importo dei contributi dovuti per le
opere da realizzarsi è dunque connessa all'effettiva
possibilità di effettuare l'intervento edilizio. Ciò, onde
evitare l’insorgenza di un obbligo di pagamento anche nel
caso in cui, nel termine di trenta giorni l'amministrazione
intervenga con l'ordine motivato di blocco dei lavori, è
dunque evidente che la determina dei contributi urbanistici
deve essere effettuata tenendo conto dei parametri di
calcolo in vigore al momento dell’operatività della detta
denuncia.
---------------
Quando il privato ha parcellizzato l’intervento attraverso
uno stillicidio di molteplici DIA (nel caso ben cinque)
tutte concernenti i medesimi spazi, è evidente che il
contributo cui dovrà soggiacere non potrà che essere quello
corrispondente all’assetto finale dell’immobile, onde
evitare che una sapiente regia nella segmentazione dei
lavori finisca per risolversi in un abuso del diritto in
danno dell’Amministrazione.
Come la
Sezione ha più volte avuto modo di ricordare, ai sensi del
comma 6-ter dell'art. 19 della legge 07.08.1990, n. 241
"Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di
diritto di accesso ai documenti amministrativi" (introdotto
con l'articolo 6, co. 1°, lettera c), del D.L. 13.08.2011, n. 138) le denuncie di inizio attività "non
costituiscono provvedimenti taciti". Il legislatore ha
fatto dunque proprio l’avviso dell'Adunanza plenaria 29.07.2011 n. 15 per cui "la denuncia di inizio attività
non è un provvedimento amministrativo a formazione tacita e
non dà luogo in ogni caso ad un titolo costitutivo, ma
costituisce un atto privato volto a comunicare l'intenzione
di intraprendere un'attività direttamente ammessa dalla
legge".
In linea generale, l'efficacia abilitativa alla
realizzazione dell'intervento edilizio non era conseguente
all'iniziativa del privato ma alla giuridica possibilità di
realizzare le opere.
Pertanto l'obbligo di corrispondere gli oneri di
urbanizzazione ed il costo di costruzione deve essere
agganciato non al tempo della presentazione della denuncia
di inizio attività, ma al sorgere della giuridica
possibilità di realizzare legittimamente l’intervento e
quindi al momento dell’intervenuta efficacia della d.i.a.
per decorso del termine o intervenuto accertamento della
conformità alla disciplina urbanistica vigente.
La determinazione dell'importo dei contributi dovuti per le
opere da realizzarsi è dunque connessa all'effettiva
possibilità di effettuare l'intervento edilizio. Ciò, onde
evitare l’insorgenza di un obbligo di pagamento anche nel
caso in cui, nel termine di trenta giorni l'amministrazione
intervenga con l'ordine motivato di blocco dei lavori, è
dunque evidente che la determina dei contributi urbanistici
deve essere effettuata tenendo conto dei parametri di
calcolo in vigore al momento dell’operatività della detta
denuncia (cfr. Cons. Stato Sez. IV 13.05.2010 n. 2922).
Fino al momento dell'attribuzione di efficacia, secondo
momento di realizzazione della fattispecie precettiva, la
vicenda procedimentale non è ancora conclusa, ed è quindi
ancora possibile, ed anzi doveroso, dare risalto agli eventi
esterni sopravvenuti, quale è il mutamento dei parametri di
calcolo (come nel caso di specie), o anche il sopraggiungere
di una nuova disciplina urbanistica).
In conseguenza del principio che precede, quando poi, come
nel caso particolare, il privato abbia parcellizzato
l’intervento attraverso uno stillicidio di molteplici DIA
(nel caso ben cinque) tutte concernenti i medesimi spazi, è
evidente che il contributo cui dovrà soggiacere non potrà
che essere quello corrispondente all’assetto finale
dell’immobile, onde evitare che una sapiente regia nella
segmentazione dei lavori finisca per risolversi in un abuso
del diritto in danno dell’Amministrazione (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 20.12.2013 n. 6161 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La quota di contributo commisurata al costo di
costruzione costituisce una prestazione di natura tributaria
e paratributaria, collegata alla produzione di ricchezza dei
singoli che è generata dallo sfruttamento del territorio.
---------------
Il contributo relativo al costo di
costruzione è dovuto anche in presenza di una trasformazione
edilizia che, indipendentemente dall'esecuzione fisica di
opere, si rivela produttiva di vantaggi economici ad essa
connessi, situazione che si verifica per il mutamento di
destinazione o comunque per ogni variazione anche di
semplice uso che comporti un passaggio tra due categorie
funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico.
---------------
Il settimo comma,
primo periodo, dell'art. 64 della L.R. Lombardia 11.03.2005 n. 12
prevede che: “La realizzazione degli interventi di recupero
di cui al presente capo comporta la corresponsione …. del
contributo commisurato al costo di costruzione, calcolati
sulla volumetria o sulla superficie lorda di pavimento resa
abitativa secondo le tariffe approvate e vigenti in ciascun
comune per le opere di nuova costruzione”.
In sostanza, la quantificazione degli oneri di
urbanizzazione e del contributo riferito al costo di
costruzione per il recupero dei sottotetti è agganciata da
un lato alla “superficie lorda di pavimento resa abitativa”, e dall’altro alle “tariffe approvate e vigenti” per le
opere di nuova costruzione.
In tal senso il TAR ha ragione quanto ha escluso la
legittimità di un conteggio che tenga conto della
“superficie complessiva”, cioè la superficie utile più
quella non residenziale di cui all’art. 2 del D.M. 10.05.1977
n. 10.
Infatti, in applicazione del principio ermeneutico generale
della prevalenza della norma speciale sulla norma generale è
esatto l’assunto per cui in materia di oneri di
urbanizzazione relativi al recupero dei sottotetti, deve
farsi esclusivo riferimento al più ristretto ambito spaziale
individuato al settimo comma dell'art. 64 della L.R..
Pertanto, in base al vecchio brocardo “ubi lex voluit
dixit”, se il legislatore regionale ha prescritto che gli
oneri di urbanizzazione ed il costo di costruzione debbono
essere computati con riferimento alla “volumetria o sulla
superficie lorda di pavimento resa abitativa”, ha
intenzionalmente inteso porre una fattispecie peculiare
derogatoria del regime generale di cui agli artt. 44 e 48
della L.R. n. 12/2005.
Tuttavia, al fine del calcolo del costo di costruzione per
gli interventi in questione deve dunque escludersi che
possano essere conteggiate come fattori di moltiplicazione
le superfici non destinate anche indirettamente ai fini
residenziali quali i locali di pertinenza del fabbricato ad
uso comune quali androni, deposito biciclette e carrozzine,
deposito rifiuti, corridoi e disimpegni dei solai delle
cantine ed ecc..
Tuttavia il richiamo alle “tariffe vigenti” di cui all’art.
64, co. 7, della detta L.R. implica che per la
determinazione del costo di costruzione per le nuove
costruzioni -sia pure con riferimento alle sole superfici
lorde di pavimento rese abitative- debba farsi diretto
rinvio all’art. 48 della L.R. n. 12/2005, ed al d.m.
10.05.1977.
In altre parole, l'interpretazione della preposizione
"calcolati sulla volumetria o sulla superficie lorda di
pavimento resa abitativa secondo le tariffe approvate
vigenti per ciascun Comune per le opere di nuova
costruzione" deve essere coerente con il precedente art. 48
ed implica che il calcolo del costo di costruzione dei
recuperi edilizi dei sottotetti deve essere computato
utilizzando da un lato la volumetria o la superficie s.l.p.
resa abitativa e dall’altro le tabelle comunali per le nuove
costruzioni di cui all'art. 48 della L.R. n. 12/2005.
Esattamente
l’Amministrazione appellante ricorda, in linea di principio,
che la quota di contributo commisurata al costo di
costruzione costituisce una prestazione di natura tributaria
e paratributaria, collegata alla produzione di ricchezza dei
singoli che è generata dallo sfruttamento del territorio
(cfr. Cons. Stato, sez. V, 21.04.2006 n. 2258; Cons.
Stato Sez. V 06.05.1997 n. 462; Cons. Stato Sez. VI 18.01.2012 n. 177). Infatti il contributo relativo al
costo di costruzione è dovuto anche in presenza di una
trasformazione edilizia che, indipendentemente
dall'esecuzione fisica di opere, si rivela produttiva di
vantaggi economici ad essa connessi, situazione che si
verifica per il mutamento di destinazione o comunque per
ogni variazione anche di semplice uso che comporti un
passaggio tra due categorie funzionalmente autonome dal
punto di vista urbanistico (cfr. Consiglio di Stato Sez. IV
14/10/2011 n. 5539).
Nello specifico però, il settimo comma, primo periodo,
dell'art. 64 della L.R. Lombardia 11.03.2005 n. 12
prevede che: “La realizzazione degli interventi di recupero
di cui al presente capo comporta la corresponsione …. del
contributo commisurato al costo di costruzione, calcolati
sulla volumetria o sulla superficie lorda di pavimento resa
abitativa secondo le tariffe approvate e vigenti in ciascun
comune per le opere di nuova costruzione”.
In sostanza, la quantificazione degli oneri di
urbanizzazione e del contributo riferito al costo di
costruzione per il recupero dei sottotetti è agganciata da
un lato alla “superficie lorda di pavimento resa abitativa”, e dall’altro alle “tariffe approvate e vigenti” per le
opere di nuova costruzione.
In tal senso il TAR ha ragione quanto ha escluso la
legittimità di un conteggio che tenga conto della
“superficie complessiva”, cioè la superficie utile più
quella non residenziale di cui all’art. 2 del D.M. 10.05.1977
n. 10.
Infatti, in applicazione del principio ermeneutico generale
della prevalenza della norma speciale sulla norma generale è
esatto l’assunto per cui in materia di oneri di
urbanizzazione relativi al recupero dei sottotetti, deve
farsi esclusivo riferimento al più ristretto ambito spaziale
individuato al settimo comma dell'art. 64 della L.R..
Pertanto, in base al vecchio brocardo “ubi lex voluit
dixit”, se il legislatore regionale ha prescritto che gli
oneri di urbanizzazione ed il costo di costruzione debbono
essere computati con riferimento alla “volumetria o sulla
superficie lorda di pavimento resa abitativa”, ha
intenzionalmente inteso porre una fattispecie peculiare
derogatoria del regime generale di cui agli artt. 44 e 48
della L.R. n. 12/2005.
La Società, nella memoria del 03.10.2013, esattamente ricorda
come tale individuazione è del tutto coerente sia con le
finalità generali di recupero di patrimonio edilizio ai fini
abitativi, sia con riferimento al fatto che non possano
computarsi tutte le superfici non residenziali che spesso
non appartengono nemmeno all’esecutore dell’intervento.
Al riguardo, al fine del calcolo del costo di costruzione
per gli interventi in questione deve dunque escludersi che
possano essere conteggiate come fattori di moltiplicazione
le superfici non destinate anche indirettamente ai fini
residenziali quali i locali di pertinenza del fabbricato ad
uso comune quali androni, deposito biciclette e carrozzine,
deposito rifiuti, corridoi e disimpegni dei solai delle
cantine ed ecc. (ma al riguardo vedi anche infra).
Tuttavia il richiamo alle “tariffe vigenti” di cui all’art.
64, co. 7, della detta L.R. implica che per la
determinazione del costo di costruzione per le nuove
costruzioni -sia pure con riferimento alle sole superfici
lorde di pavimento rese abitative- debba farsi diretto
rinvio all’art. 48 della L.R. n. 12/2005, ed al d.m. 10.05.1977.
In altre parole, l'interpretazione della preposizione
"calcolati sulla volumetria o sulla superficie lorda di
pavimento resa abitativa secondo le tariffe approvate
vigenti per ciascun Comune per le opere di nuova
costruzione" deve essere coerente con il precedente art. 48
ed implica che il calcolo del costo di costruzione dei
recuperi edilizi dei sottotetti deve essere computato
utilizzando da un lato la volumetria o la superficie s.l.p.
resa abitativa e dall’altro le tabelle comunali per le nuove
costruzioni di cui all'art. 48 della L.R. n. 12/2005.
Solo in relazione a quest’ultimo limitato profilo il primo
motivo del Comune può, per tale parte, essere accolto
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 20.12.2013 n. 6160 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
contributo per oneri di urbanizzazione costituisce un corrispettivo di
diritto pubblico previsto dal legislatore a titolo di partecipazione ai
costi delle opere di urbanizzazione, ovvero un contributo speciale che ha la
propria causa giuridica nelle maggiori spese che l’amministrazione pubblica
deve accollarsi in dipendenza della costruzione dell’edificio e del connesso
utilizzo, da parte dei detentori del bene, dei servizi e degli spazi
circostanti.
Pertanto, è consolidato in giurisprudenza il principio secondo cui, in caso
di ristrutturazione edilizia, il pagamento degli oneri di urbanizzazione è
dovuto solo nel caso in cui l’intervento abbia determinato un aumento del
carico urbanistico.
---------------
L’intervento assentito dal Comune prevede la demolizione di un fabbricato di
civile abitazione unifamiliare di quattro piani fuori terra e la successiva
edificazione di un nuovo fabbricato sempre di civile abitazione unifamiliare
di pari volumetria, composto da due piani fuori terra oltre seminterrato.
L’edificio risultante dalla ristrutturazione conserva la stessa volumetria e
la stessa destinazione d’uso dell’edificio precedente, non determinando,
quindi, alcuna modifica dei parametri e del carico urbanistico. Inconferente,
ai fini del carico urbanistico, è la modifica di sagoma e prospetti.
Ne consegue che non sono dovuti gli oneri di urbanizzazione.
... per l'annullamento del provvedimento di determinazione degli oneri di
urbanizzazione primaria/secondaria e di costruzione, emanato dal Comune di
Meina, nella persona del responsabile del servizio tecnico, in data
11.02.2000 e in pari data notificato al ricorrente (rif. pratica edilizia n.
11/1999);
...
Il ricorso è fondato.
Il contributo per oneri di urbanizzazione costituisce un corrispettivo di
diritto pubblico previsto dal legislatore a titolo di partecipazione ai
costi delle opere di urbanizzazione, ovvero un contributo speciale che ha la
propria causa giuridica nelle maggiori spese che l’amministrazione pubblica
deve accollarsi in dipendenza della costruzione dell’edificio e del connesso
utilizzo, da parte dei detentori del bene, dei servizi e degli spazi
circostanti.
Pertanto, è consolidato in giurisprudenza il principio secondo cui, in caso
di ristrutturazione edilizia, il pagamento degli oneri di urbanizzazione è
dovuto solo nel caso in cui l’intervento abbia determinato un aumento del
carico urbanistico (TAR Piemonte, sez. I, 26.11.2003 n. 1675 e, da ultimo,
TAR Piemonte, sez. II, 16.09.2013 n. 1009; Cons. Stato, sez. IV, 29.04.2004,
n. 2611).
Nel caso di specie, la documentazione versata in atti dal ricorrente sembra
obbiettivamente escludere che l’intervento edilizio abbia comportato un
aumento del carico urbanistico.
L’intervento assentito dal Comune prevede la demolizione di un fabbricato di
civile abitazione unifamiliare di quattro piani fuori terra e la successiva
edificazione di un nuovo fabbricato sempre di civile abitazione unifamiliare
di pari volumetria, composto da due piani fuori terra oltre seminterrato (cfr.
relazione tecnica sub doc. 1 di parte ricorrente).
L’edificio risultante dalla ristrutturazione conserva la stessa volumetria e
la stessa destinazione d’uso dell’edificio precedente, non determinando,
quindi, alcuna modifica dei parametri e del carico urbanistico.
Inconferente, ai fini del carico urbanistico, è la modifica di sagoma e
prospetti.
Ne consegue che non sono dovuti gli oneri di urbanizzazione.
Il ricorso è quindi fondato e va accolto. Per l’effetto, va disposto
l’annullamento dell’atto impugnato nella parte relativa all’indicazione e
alla quantificazione degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria, e
va inoltre condannata l’amministrazione comunale a restituire al ricorrente
l’importo degli oneri da questi indebitamente versato, in misura pari
all’equivalente in Euro dell’importo di Lire 23.118.503, con gli interessi
legali dalla data della domanda (07.04.2000) fino al saldo (TAR Piemonte,
Sez. I,
sentenza 13.12.2013 n. 1346 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
novembre 2013 |
|
APPALTI FORNITURE E SERVIZI -
EDILIZIA PRIVATA: 1)–
Non può escludersi la generale ammissibilità di mezzi di
adempimento diversi dal pagamento nel caso di transazioni
commerciali tra ente locale e privati, originate da
contratti di servizi e forniture, ai sensi dell’art. 2,
comma 4, del “Codice degli appalti pubblici” (D.Lgs.vo n.
163/2006). (In questo senso, è stato ritenuto che la
disposizione ex art. 35, comma 3-bis, del D.L. n. 1/2012,
sia applicabile anche agli EE.LL.).
La compensazione dei crediti commerciali non prescritti,
certi, liquidi ed esigibili, con debiti tributari, trova le
limitazioni contenute nelle specifiche norme in materia, non
derogabili, che la ammettono su istanza del creditore o su
sua specifica richiesta.
---------------
2)- Nel caso della procedura di riequilibrio pluriennale non
si rinvengono indicazioni specifiche, quali quelle
prescritte per la procedura di dissesto, che impongano una
particolare procedura di pagamento dei debiti, che possano
essere ricondotte al principio della “par condicio
creditorum”. (Nel parere si segnala, comunque, la
disposizione contenuta all’art. 6 del D.L. n. 35/2013, che
può fornire indicazioni di carattere generale e, dunque, non
circoscritto alle sola ipotesi del riequilibrio pluriennale,
sul corretto criterio di pagamento dei debiti delle
pubbliche amministrazioni).
---------------
3)- Allo stato attuale della legislazione e fino a tutto il
2014, l’utilizzo delle risorse rivenienti dalle concessioni
edilizie e dalle sanzioni previste dal DPR n. 380/2001,
fermo il presupposto che le spese non siano consolidate e
ripetitive e che l’entrata sia accertata sulla base degli
introiti effettivi, nel rispetto dei principi di sana
gestione, continua a essere disciplinato nel modo previsto
dalla legge n. 244/2007, ancora non trovando applicazione il
nuovo vincolo di destinazione impresso dall’art. 4 comma 3,
della legge n. 228 del 24/12/2012.
Permane pertanto la possibilità di utilizzare, per la quota
del 50%, le entrate rivenienti nei contributi per permesso
di costruzione per la pulizia delle strade e per
fronteggiare il debito fuori bilancio dell’Ente nei
confronti di creditori che abbiano effettuato interventi per
l’emergenza neve e per la manutenzione delle strade
comunali.
---------------
Con la nota in epigrafe il Commissario Straordinario del
Comune di San Fele, dopo aver premesso che l’Ente ha
adottato un piano di riequilibrio finanziario pluriennale,
pone i seguenti quesiti:
I-
con riferimento alle norme in materia di compensazione di
crediti non prescritti, certi, liquidi ed esigibili,
maturati al 31.12.2012 nei confronti dei Comuni, si chiede
se anche l’Ente possa legittimamente avvalersi di tale
facoltà nei rapporti con i privati, anche allo scopo di
prevenire danni da ritardo nei pagamenti ai propri creditori;
I.1-
se, nel caso di risposta affermativa, sia corretto
approvare preventivamente un atto di indirizzo/direttiva di
Giunta per i responsabili dei settori e degli uffici;
II-
se vi sono, e quali sono, le corrette azioni da
intraprendere per non violare il principio della par
condicio creditorum nell’attuazione della procedura di
riequilibrio finanziario pluriennale;
III-
se le entrate derivanti dai contributi per permesso di
costruzione possano legittimamente essere destinate a
fronteggiare il debito dell’Ente nei confronti di creditori
che abbiano effettuato interventi per l’emergenza neve e per
la manutenzione delle strade comunali (prestazioni di
servizi).
...
(... segue) (Corte dei Conti, Sez. controllo Basilicata,
deliberazione 27.11.2013 n. 123). |
EDILIZIA PRIVATA:
Le controversie sull'ammontare dei contributi di
concessione edilizia involgono diritti soggettivi; per cui
il relativo pagamento non comporta acquiescenza alla
liquidazione dei contributi medesimi e non preclude la
tutela giurisdizionale contro gli atti relativi, dovendo
piuttosto essere considerato quale espressione della
connaturale esigenza dell'attività imprenditoriale edilizia
di dare avvio, senza indugi, alla realizzazione dell'opera
progettata.
In via preliminare, va disattesa
l’eccezione di irricevibilità e/o inammissibilità del
ricorso, sollevata dal resistente Comune di Agrigento, in
quanto è noto che le relative controversie sono soggette
all’ordinario termine di prescrizione e non a quello
decadenziale (cfr., da ultimo, TAR Sicilia–Catania sez.
I - 26.09.2013, n. 2287).
Peraltro, le controversie sull'ammontare dei contributi di
concessione edilizia involgono diritti soggettivi; per cui
il relativo pagamento non comporta acquiescenza alla
liquidazione dei contributi medesimi e non preclude la
tutela giurisdizionale contro gli atti relativi, dovendo
piuttosto essere considerato quale espressione della
connaturale esigenza dell'attività imprenditoriale edilizia
di dare avvio, senza indugi, alla realizzazione dell'opera
progettata (in tal senso, Cons. Stato, sez. V, 12.10.1990,
n. 716; TAR Sicilia–Palermo – sez. I, 30.09.2002, n. 2715)
(TAR Sicilia-Palermo, Sez. III,
sentenza 08.11.2013 n.
2066 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ottobre 2013 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
La qualificazione di un
intervento edilizio assentito non dipende dal nomen juris
impiegato dall’Autorità comunale, ma deve essere compiuta in
base a criteri essenziali.
---------------
A proposito della “ristrutturazione” e del “restauro e
risanamento conservativo”, la giurisprudenza individua il
tratto differenziale tra le due tipologie di interventi
nella presenza o meno di modifiche strutturali incidenti
sulla sagoma e sul volume dell’edificio, ovvero nella
presenza o meno di un incremento del complessivo carico
urbanistico derivante dall’edificio, sicché l’elemento
decisivo, ai fini della qualificazione di un intervento come
ristrutturazione edilizia, è costituito non tanto dal dato
formale del coinvolgimento delle strutture portanti o delle
pareti perimetrali dell’immobile, quanto da quello
sostanziale del conseguimento di un maggiore “peso”
urbanistico sul territorio, a causa di aumenti di volume, di
modifiche di sagoma o di incrementi del complessivo carico
urbanistico rispetto al preesistente.
---------------
In relazione agli interventi che danno titolo al rilascio
della concessione edilizia a titolo gratuito, l’elemento di
discriminazione tra la concessione onerosa e la concessione
gratuita, o tra interventi assoggettati al regime di
concessione e opere soggette a mera autorizzazione, deve
essere individuato nella modifica o meno del carico
urbanistico, che costituisce il limite della differenza di
regime giuridico.
Quanto, innanzi tutto, al carattere oneroso o
gratuito dell’intervento edilizio in questione, il Collegio
ritiene che non si possa prescindere dal preliminare
accertamento della reale portata dell’intervento medesimo,
alla luce dell’orientamento che vuole che la qualificazione
di un intervento edilizio assentito non dipende dal nomen
juris impiegato dall’Autorità comunale, ma deve essere
compiuta in base a criteri essenziali (v. Cons. Stato, Sez.
V, 05.06.1991 n. 883).
Orbene, a proposito della
“ristrutturazione” e del “restauro e risanamento
conservativo”, la giurisprudenza individua il tratto
differenziale tra le due tipologie di interventi nella
presenza o meno di modifiche strutturali incidenti sulla
sagoma e sul volume dell’edificio, ovvero nella presenza o
meno di un incremento del complessivo carico urbanistico
derivante dall’edificio, sicché l’elemento decisivo, ai fini
della qualificazione di un intervento come ristrutturazione
edilizia, è costituito non tanto dal dato formale del
coinvolgimento delle strutture portanti o delle pareti
perimetrali dell’immobile, quanto da quello sostanziale del
conseguimento di un maggiore “peso” urbanistico sul
territorio, a causa di aumenti di volume, di modifiche di
sagoma o di incrementi del complessivo carico urbanistico
rispetto al preesistente (v. Cons. Stato, Sez. IV, 19.11.2012 n. 5818).
Nella fattispecie, in particolare,
l’aggravio di carico urbanistico viene fatto discendere
dall’Amministrazione comunale dall’incremento di alloggi che
l’intervento determina, aggravio la cui sussistenza la
ricorrente invero non contesta, senza tener conto però della
circostanza che, in relazione agli interventi che danno
titolo al rilascio della concessione edilizia a titolo
gratuito, l’elemento di discriminazione tra la concessione
onerosa e la concessione gratuita, o tra interventi
assoggettati al regime di concessione e opere soggette a
mera autorizzazione, deve essere individuato nella modifica
o meno del carico urbanistico, che costituisce il limite
della differenza di regime giuridico (v., tra le altre, TAR
Marche 12.02.1998 n. 250).
Ne consegue che, dovendosi
ascrivere l’intervento edilizio in questione alla categoria
della “ristrutturazione” –nonostante il diverso nomen iuris
utilizzato–, correttamente l’Amministrazione ha preteso la
corresponsione del contributo ex art. 3 della legge n. 10
del 1977
(TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. I,
sentenza 23.10.2013 n. 649 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Per costante
giurisprudenza, mentre hanno natura regolamentare i
provvedimenti previsti dagli artt. 5 e 6 della legge n. 10
del 1977, con i quali le regioni e i consigli comunali
stabiliscono i criteri generali per la determinazione del
contributo, hanno invece natura di atti paritetici tutti i
restanti atti con i quali, in applicazione dei criteri
legislativi e regolamentari stabiliti, l’ente locale
quantifica le somme dovute e le pone a carico del titolare
della concessione, con la conseguenza che, ove si eccettuino
le impugnative degli atti regolamentari recanti i criteri
generali suindicati, tutte le altre controversie relative
all’an e al quantum del contributo riguardano diritti
soggettivi delle parti in relazione ai quali
l’Amministrazione è sfornita di potestà autoritativa,
dovendo compiere un’attività di mero accertamento in base ai
parametri normativi prefissati, e allora, vertendosi in tema
di diritti soggettivi e non di interessi legittimi, la
censura della concreta quantificazione degli oneri soggiace
solo e soltanto al vizio di violazione di legge, non
certamente ad un vizio sintomatico dell’eccesso di potere
quale quello del difetto di motivazione.
---------------
La giurisprudenza ha chiarito che il contributo diviene
certo, liquido (o agevolmente liquidabile) ed esigibile fin
dal momento della formazione del titolo edilizio, con la
conseguenza che è da allora che inizia a maturare il credito
accessorio per interessi ai sensi dell’art. 1282 cod.civ.;
non trattandosi, dunque, di interessi moratori, quanto
piuttosto di interessi corrispettivi, legittimamente
l’Amministrazione resistente ha a suo tempo preteso il
pagamento di simili accessori secondo le modalità contestate
dalla ricorrente.
Si tratta, del resto, di conclusione coerente con
quell’indirizzo giurisprudenziale che dalla disciplina della
legge n. 10 del 1977 fa scaturire che il fatto costitutivo
dell’obbligo giuridico del titolare della concessione
edilizia di versare il dovuto é rappresentato dal rilascio
della concessione stessa, sicché è a quel momento che
occorre avere riguardo non solo per la determinazione del
contributo, ma anche per l’individuazione della decorrenza
del termine di prescrizione, divenendo il relativo credito
–a tale data– certo, liquido (o agevolmente liquidabile) ed
esigibile, e ciò anche perché, pur in presenza del potere
del Comune di stabilire modalità e garanzie per il pagamento
del contributo, l’atto di imposizione non ha carattere
autoritativo, ma si risolve in un mero atto ricognitivo e
contabile, applicativo di precedenti provvedimenti di
carattere generale, per cui la mancata tempestiva adozione
dello stesso non implica alcuna facoltà dell’Amministrazione
di differire la riscossione del suo diritto di credito,
configurandosi piuttosto come mancato esercizio del diritto
stesso, idoneo a far decorrere il termine di prescrizione.
---------------
Il ricorrente lamenta che
l’ingiunzione di pagamento ex art. 2 del r.d. n.
639 del 1910 non è stata vidimata e resa esecutiva dal
pretore –ora giudice unico–, così come prescriverebbe detta
disposizione.
La censura, però, non tiene conto della previsione dell’art.
229 del d.lgs. n. 51 del 1998 (“Il potere del pretore di
rendere esecutivi atti emanati da autorità amministrative è
soppresso e gli atti sono esecutivi di diritto”) e, quindi,
del sopraggiunto venir meno di una simile formalità.
E’ infondata anche la questione incentrata, sotto più
profili, sulla carente motivazione degli atti censurati.
Occorre ricordare infatti che, per costante giurisprudenza
(v., tra le altre, Cons. Stato, Sez. V, 29.07.2000 n.
4217), mentre hanno natura regolamentare i provvedimenti
previsti dagli artt. 5 e 6 della legge n. 10 del 1977, con i
quali le regioni e i consigli comunali stabiliscono i
criteri generali per la determinazione del contributo, hanno
invece natura di atti paritetici tutti i restanti atti con i
quali, in applicazione dei criteri legislativi e
regolamentari stabiliti, l’ente locale quantifica le somme
dovute e le pone a carico del titolare della concessione,
con la conseguenza che, ove si eccettuino le impugnative
degli atti regolamentari recanti i criteri generali
suindicati, tutte le altre controversie relative all’an e al
quantum del contributo riguardano diritti soggettivi delle
parti in relazione ai quali l’Amministrazione è sfornita di
potestà autoritativa, dovendo compiere un’attività di mero
accertamento in base ai parametri normativi prefissati, e
allora, vertendosi in tema di diritti soggettivi e non di
interessi legittimi, la censura della concreta
quantificazione degli oneri soggiace solo e soltanto al
vizio di violazione di legge, non certamente ad un vizio
sintomatico dell’eccesso di potere quale quello del difetto
di motivazione.
Quanto, poi, agli interessi legali pretesi
dall’Amministrazione comunale, la ricorrente lamenta che li
si sia fatti decorrere dal 26.05.1997, benché la
comunicazione della debenza del contributo fosse avvenuta
solo nell’ottobre 1999 e la prima quantificazione del
relativo importo fosse stata operata solo nel marzo 2000,
sicché difetterebbero i presupposti legali per
l’applicazione di interessi di mora ad una somma il cui
ritardato versamento si assume imputabile esclusivamente al
creditore.
In realtà –osserva il Collegio– la
giurisprudenza ha chiarito (v. TAR Campania, Napoli, Sez. II,
18.07.2011 n. 3889) che il contributo diviene certo,
liquido (o agevolmente liquidabile) ed esigibile fin dal
momento della formazione del titolo edilizio, con la
conseguenza che è da allora che inizia a maturare il credito
accessorio per interessi ai sensi dell’art. 1282 cod.civ.;
non trattandosi, dunque, di interessi moratori, quanto
piuttosto di interessi corrispettivi, legittimamente
l’Amministrazione resistente ha a suo tempo preteso il
pagamento di simili accessori secondo le modalità contestate
dalla ricorrente.
Si tratta, del resto, di conclusione
coerente con quell’indirizzo giurisprudenziale che dalla
disciplina della legge n. 10 del 1977 fa scaturire che il
fatto costitutivo dell’obbligo giuridico del titolare della
concessione edilizia di versare il dovuto é rappresentato
dal rilascio della concessione stessa, sicché è a quel
momento che occorre avere riguardo non solo per la
determinazione del contributo, ma anche per l’individuazione
della decorrenza del termine di prescrizione, divenendo il
relativo credito –a tale data– certo, liquido (o
agevolmente liquidabile) ed esigibile, e ciò anche perché,
pur in presenza del potere del Comune di stabilire modalità
e garanzie per il pagamento del contributo, l’atto di
imposizione non ha carattere autoritativo, ma si risolve in
un mero atto ricognitivo e contabile, applicativo di
precedenti provvedimenti di carattere generale, per cui la
mancata tempestiva adozione dello stesso non implica alcuna
facoltà dell’Amministrazione di differire la riscossione del
suo diritto di credito, configurandosi piuttosto come
mancato esercizio del diritto stesso, idoneo a far decorrere
il termine di prescrizione (v., in questi termini, Cons.
Stato, Sez. IV, 29.09.2011 n. 5413).
Un’ultima ragione di doglianza è legata alla circostanza che
l’ingiunzione di pagamento ex art. 2 del r.d. n. 639 del
1910 non è stata vidimata e resa esecutiva dal pretore –ora
giudice unico–, così come prescriverebbe detta disposizione.
La censura, però, non tiene conto della previsione dell’art.
229 del d.lgs. n. 51 del 1998 (“Il potere del pretore di
rendere esecutivi atti emanati da autorità amministrative è
soppresso e gli atti sono esecutivi di diritto”) e,
quindi, del sopraggiunto venir meno di una simile formalità
(TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. I,
sentenza 23.10.2013 n. 649 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Indipendentemente
dall’esecuzione di opere edilizie, la richiesta di pagamento
degli oneri di urbanizzazione deve ritenersi legittima ogni
qual volta si verifichi una variazione, in aumento, del
carico urbanistico (cioè la richiesta di una maggiore
dotazione di servizi, quali, ad es. rete viaria, parcheggi,
verde, fognature, ecc.), giacché in tale evenienza sussiste
il presupposto che giustifica la corresponsione, quanto
meno, della differenza tra gli oneri di urbanizzazione
dovuti per la destinazione originaria e quelli, se maggiori,
dovuti per la nuova destinazione impressa all'immobile.
Al riguardo la giurisprudenza
amministrativa ha ripetutamente affermato che,
indipendentemente dall’esecuzione di opere edilizie, la
richiesta di pagamento degli oneri di urbanizzazione deve
ritenersi legittima ogni qual volta si verifichi una
variazione, in aumento, del carico urbanistico (cioè la
richiesta di una maggiore dotazione di servizi, quali, ad
es. rete viaria, parcheggi, verde, fognature, ecc.), giacché
in tale evenienza sussiste il presupposto che giustifica la
corresponsione, quanto meno, della differenza tra gli oneri
di urbanizzazione dovuti per la destinazione originaria e
quelli, se maggiori, dovuti per la nuova destinazione
impressa all'immobile (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 29.04.2004
n. 2611; id. Sez. V, 15.09.1997 n. 959; TAR Roma, Sez. II-ter,
17.03.2012 n. 2604; TAR Bari, Sez. III, 22.02.2006, n. 571;
TAR Milano, Sez. II, 02.10.2003 n. 4502; TAR Bologna, Sez. II,
19.02.2001 n. 157 e 07.05.1999, n. 259)
(TAR Marche,
sentenza
15.10.2013 n. 699 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Costruzioni. Pagamento richiesto in base al carico
urbanistico.
Oneri e contributo, gratuiti soltanto i lavori edilizi
minori.
Sempre esonerata la manutenzione.
Gli interventi edilizi minori sono gratuiti. Per la
manutenzione ordinaria e straordinaria degli immobili non
viene richiesto il contributo di costruzione. Mentre la
nuova costruzione produce, sempre, un incremento del carico
urbanistico sull'area di intervento ed è quindi un
intervento oneroso.
Ma non è il solo titolo edilizio a distinguere i lavori
soggetti al contributo da quelli esenti. Di recente,
infatti, sono stati considerati onerosi anche gli interventi
che comportano un aumento delle superfici utili di calpestio
(Corte di giustizia amministrativa sentenza 05.09.2013, n. 741) pur in assenza di aumento di cubatura
(Consiglio di Stato, Sez. V, n. 999/1999).
L'articolo 16 del Testo unico dell'edilizia (Dpr 380/2001)
precisa che per il rilascio del permesso di costruire
l'interessato è tenuto a versare all'amministrazione
comunale un contributo di costruzione che si compone di due
voci, l'incidenza degli oneri di urbanizzazione e il costo
di costruzione. Attraverso la quota degli oneri di
urbanizzazione del contributo di costruzione, il titolare
del permesso di costruire è chiamato a partecipare ai costi
sociali delle opere di urbanizzazione, le quali, quindi, si
ridistribuiscono e gravano su coloro che beneficeranno delle
utilità del nuovo intervento. La quota per costo di
costruzione si giustifica per l'aumentata capacità
contributiva del titolare.
Gli interventi a pagamento
L'onerosità del titolo abilitativo va ravvisata
ogniqualvolta un nuovo intervento edilizio produca un
aggravio del carico urbanistico sul territorio. È quindi il
caso delle ristrutturazioni mediante demolizione e
ricostruzione: questi interventi, portando alla definizione
di un bene nella sostanza nuovo, producono di regola un
incremento del carico urbanistico pari a quello delle nuove
costruzioni (Tar Lombardia, Sezione II, n. 4455/2009). Il
tipo di permesso necessario per l'esecuzione degli
interventi di ristrutturazione non incide
sull'obbligatorietà del contributo: esso dovrà, quindi,
essere corrisposto anche se la ristrutturazione è soggetta a
semplice Scia.
I lavori gratuiti
Sono gratuiti gli interventi minori, quali le opere di
manutenzione ordinaria, straordinaria e di risanamento
conservativo. Le modifiche interne ad unità abitative, come
apertura di porte interne o spostamento di pareti, sono in
particolare gratuite sempre che non comportino la modifica
dei parametri urbanistici quali la superficie utile.
Inoltre, secondo il Testo unico il contributo di costruzione
non è dovuto per gli interventi da realizzare in zona
agricola, funzionali alla conduzione del fondo e alle
esigenze dell'imprenditore agricolo.
Tra le fattispecie gratuite, poi, l'articolo 17 annovera gli
interventi di ristrutturazione e di ampliamento di edifici
unifamiliari, in misura non superiore al 20%. Sul punto
l'interpretazione giurisprudenziale è fortemente
restrittiva: sono stati considerati onerosi, infatti, gli
interventi su immobili familiari destinati allo svolgimento
di attività produttive o con destinazione mista abitativa e
produttiva, come i bed & breakfast: in questi casi, la
giurisprudenza vi ha scorto un fine di lucro incompatibile
con lo scopo della norma che tende -tramite la gratuità- a
favorire il miglioramento delle esigenze abitative dei
nuclei familiari (Tar Marche, sezione I, sentenza 10.05.2012, n. 310; Tar Campania sezione I, sentenza
08.01.2013, n. 25).
Sono gratuite, poi, le opere pubbliche o di interesse
generale realizzate dagli enti istituzionalmente competenti
nonché per le opere di urbanizzazione, eseguite anche da
privati, in attuazione di strumenti urbanistici. Nell'ambito
delle opere di urbanizzazione, la Legge Tognoli (legge
122/1989) fa rientrare i parcheggi che, pertanto, non sono
soggetti a contributo concessorio (Tar Campania, Sezione II,
sentenza 24.05.2013, n. 2745).
Sono gratuiti anche gli interventi da realizzare in
attuazione di norme speciali a seguito di pubbliche calamità
nonché gli impianti di produzione di energia da fonti
rinnovabili o comunque volti alla conservazione, al
risparmio e all'uso razionale dell'energia.
Sempre l'articolo 17 del Dpr 380 prevede, poi, due ipotesi
di riduzione del contributo di costruzione:
- edilizia abitativa convenzionata;
- realizzazione della prima abitazione.
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La mappa
LE ECCEZIONI - I casi di esenzione o riduzione parziale dal
contributo di costruzione
CONTRIBUTO RIDOTTO
01 | EDILIZIA CONVENZIONATA
Contributo limitato alla sola quota degli oneri di
urbanizzazione per affitti calmierati
02 | PRIMA CASA
Contributo equivalente a quanto previsto per l'edilizia
residenziale pubblica
ESENTI DA CONTRIBUTO DI COSTRUZIONE
01 | INTERVENTI IN ZONA AGRICOLA
Il contributo non è dovuto solo se gli interventi sono
funzionali:
- alla conduzione del fondo, e
- alle esigenze dell'imprenditore agricolo
02 | RISTRUTTURAZIONE E AMPLIAMENTO DI EDIFICI UNIFAMILIARI
Il contributo non è dovuto per gli ampliamenti in misura
inferiore al 20% dell'edificio
03 | OPERE PUBBLICHE
Realizzate da enti istituzionalmente competenti
04 | OPERE DI URBANIZZAZIONE
Niente contributo per le opere eseguite, anche da privati,
in attuazione di strumenti urbanistici
05 | FONTI RINNOVABILI
«Gratuita» anche l'installazione di strumenti volti alla
produzione di energia o all'uso razionale dell'energia
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La determinazione. Per Dia e Scia autoliquidazione del
privato.
Dieci anni di tempo per opporsi ai conteggi.
LA RINUNCIA/ Si ha diritto alla restituzione delle somme
versate quando si cambia idea e il progetto autorizzato
resta sulla carta.
Il contributo di costruzione viene calcolato dal Comune
prima di rilasciare il permesso di costruire. Sono i Comuni
a determinare l'ammontare della quota di oneri di
urbanizzazione (sulla base delle tabelle parametriche
definite dalla Regione) mentre la quota di costo di
costruzione è fissata dalle Regioni.
Per gli interventi edilizi autorizzabili tramite titoli
autocertificati (Scia e Dia) il contributo è calcolato dal
soggetto che richiede il titolo, il quale tramite modelli di
calcolo predisposti dal Comune, si autoliquida gli oneri
dovuti. Resta fermo, poi, il potere del Comune di valutare
la congruità dell'autoliquidazione effettuata dal privato e,
eventualmente, richiedere integrazioni.
La determinazione degli oneri dovuti per il singolo
intervento può essere contestata da parte del privato. Il
soggetto si può opporre ai calcoli aritmetici eseguiti
dall'amministrazione: il ricorso, in tal caso, riguarda il
diritto soggettivo alla corretta quantificazione degli oneri
dovuti e può essere proposto nel termine di prescrizione
decennale (Consiglio di Stato, Sezione IV, sentenza 24.09.2012, n. 5080).
Viceversa, se si contesta la ragione del credito il termine
di decadenza torna ad essere quello ordinario di 60 giorni.
Se ad esempio è in discussione la legittimità di una tabella
parametrica di un Comune che assoggetta al pagamento degli
oneri gli spostamenti interni di pareti, il rapporto tra le
parti non può essere considerato paritetico (ci si oppone,
infatti, l'esercizio di un potere) con la conseguenza che il
ricorso contro la determinazione dell'onere dovrà essere
proposto nell'ordinario termine decadenziale di 60 giorni.
Cosa succede se, dopo aver versato il contributo, il privato
non realizzi più (o realizzi solo parzialmente) l'opera
assentita? Ciò può accadere sia per mutamento di decisione
da parte del titolare del permesso sia per intervenuto
decorso dei termini di inizio o fine lavori, sia infine per
il sopravvenire di previsioni urbanistiche contrastanti con
le opere autorizzate e non ancora realizzate. In tal caso,
sorge in capo all'interessato il diritto alla restituzione
di quanto versato all'amministrazione. Il contributo,
infatti, è connesso all'incremento del carico urbanistico
nell'area: se l'intervento non viene realizzato non si
realizza il presupposto del contributo, con la conseguenza
che quanto versato è stato indebitamente percepito
dall'amministrazione comunale e di tale somma il privato può
richiederne la restituzione (Tar Lombardia - Brescia,
Sezione I, 30.01.2011, n. 188).
L'obbligo giuridico di corrispondere il contributo sorge,
infatti, con il rilascio della concessione edilizia, non
venendo in rilievo né la già intervenuta realizzazione di
opere di urbanizzazione (Consiglio di Stato, sezione V,
sentenza 22.02.2011, n. 1108), né la mancata
realizzazione delle opere assentite(Consiglio di Stato,
sezione IV, sentenza 30.07.2012 n. 4320).
Il termine di prescrizione del diritto alla restituzione
inizia a decorrere dal momento in cui il privato comunica la
propria intenzione di non procedere con l'edificazione (Tar
Lombardia, Sezione II, 24.03.2010, n. 728) o a partire
dalla data in cui sia intervenuta la decadenza della
concessione per la mancata realizzazione delle opere (Tar Campania-Salerno, Sezione II, sentenza
05.05.2013, n.
513).
Parimenti, anche il diritto dell'amministrazione a
sollecitare il pagamento non versato o a richiedere
eventuali maggiorazioni degli importi dovuti, soggiace allo
stesso termine decennale di impugnazione, decorso il quale
scatta la prescrizione (Tar Campania, Sezione IV, sentenza
22.05.2013, n. 2634).
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Senza opere. A decidere sono i piani comunali.
Il cambio d'uso può far scattare il pagamento.
Il mutamento di destinazione d'uso di un immobile può
risultare oneroso. La quantificazione dipende da una serie
di fattori di natura urbanistica.
La disciplina del mutamento d'uso, a livello nazionale, è
principalmente contenuta nell'articolo 10 del Dpr 380/2001
(Testo unico edilizia), che tuttavia affida alle Regioni il
compito di stabilire quali mutamenti d'uso, connessi o non
connessi a trasformazioni fisiche dei fabbricati, sono
subordinati a permesso di costruire o a denuncia di inizio
attività. Le Regioni, a loro volta, normalmente demandano
l'identificazione delle specifiche ricadute delle singole
tipologie di mutamento d'uso agli strumenti urbanistici
comunali.
In materia, interviene, anche, l'articolo 19 dello stesso
Dpr che, con riguardo alle opere non destinate alla
residenza, specifica che, qualora la loro destinazione d'uso
venga modificata nei dieci anni successivi alla fine dei
lavori, il contributo di costruzione è dovuto nella misura
massima corrispondente alla nuova destinazione, calcolata al
momento della variazione.
La materia non ha, dunque, una disciplina unitaria
sull'intero territorio nazionale. Comunque,l'evoluzione
giurisprudenziale consente di individuare alcuni principi
consolidati.
Innanzitutto, il mutamento d'uso di un fabbricato in favore
di una determinata destinazione è ammesso solo se questa
rientra in quelle consentite per l'area dallo strumento
urbanistico generale: prima di procedere ad un cambio d'uso
occorre, quindi, verificare la compatibilità della funzione
rispetto alla regolamentazione comunale.
Per quanto attiene al profilo economico, il mutamento sarà
oneroso se c'è passaggio tra categorie urbanistiche
funzionalmente autonome, sia che si tratti di mutamenti
d'uso con opere, sia che si tratti di mutamenti senza opere.
Come recentemente ribadito dalla giurisprudenza, infatti, il
fondamento del contributo di urbanizzazione non consiste nel
titolo edilizio in sé, ma nella necessità di ridistribuire i
costi sociali delle opere di urbanizzazione su quanti ne
beneficiano, con la conseguenza che, nel caso di
modificazione della destinazione d'uso cui si correli un
maggiore carico urbanistico, è integrato il presupposto per
il pagamento della differenza tra gli oneri dovuti per la
destinazione originaria e quelli, se più elevati, dovuti per
la nuova destinazione (Consiglio di Stato, sentenza 30.08.2013, n. 4326).
Alla luce di questo principio, un cambio d'uso, ancorché
senza opere, che determina un maggior carico urbanistico,
può configurare il presupposto per il pagamento del
contributo con conseguente necessità di pagare la differenza
tra gli oneri di urbanizzazione già corrisposti e quelli, se
più elevati, dovuti per la nuova destinazione.
Il mutamento d'uso può, inoltre, implicare l'adeguamento
della dotazione di aree a standard. La giurisprudenza ha
ritenuto legittima la disposizione di uno strumento
urbanistico che condiziona i cambi d'uso con opere alla
cessione o alla monetizzazione delle aree a standard
aggiuntive (Tar Lombardia, sentenza 22.07.2010, n. 3256) (articolo Il Sole 24 Ore del 14.10.2013). |
EDILIZIA PRIVATA:
L'obbligazione di corrispondere gli oneri di
urbanizzazione ha per oggetto una prestazione pecuniaria, da
eseguire al domicilio del creditore, senza che su
quest’ultimo gravi alcun onere di preventiva sollecitazione
o avvertenza.
In assenza di inadempimenti imputabili all’Amministrazione
idonei a configurare a suo carico una responsabilità "da
contatto" oppure di natura precontrattuale, non può farsi
riferimento all’art. 1227 c.c. essendo tale disposizione
riferibile solo alle obbligazioni di carattere risarcitorio
e non a quelle (anche di contenuto pecuniario) di natura
sanzionatoria, come nel caso in esame.
---------------
L'applicazione della sanzione pecuniaria non deve essere
preceduta dalla comunicazione di avvio del relativo
procedimento, trattandosi dell’applicazione ex lege di una
sanzione pecuniaria connessa al ritardato pagamento del
contributo dovuto per il rilascio della concessione
edilizia.
L’appello è infondato e va rigettato.
Con l’appello in esame la società ricorrente ha chiesto la
riforma della sentenza del Tar Abruzzo che ha respinto il
ricorso proposto avverso il provvedimento con cui il comune
di L’Aquila ha applicato nei suoi confronti la sanzione
prevista dall'art. 3 della L. n. 47/1985, per il ritardato
pagamento degli oneri relativi al rilascio di una
concessione edilizia.
I dedotti motivi d’appello vanno respinti, alla stregua
dell’ormai consolidato orientamento della sezione.
Con decisioni C.S. n. 1250/2005, n. 6345/2005, n. 4025/2007
e n. 5395/2011 è stato, infatti, precisato che:
- l’obbligazione di corrispondere gli oneri di
urbanizzazione ha per oggetto una prestazione pecuniaria, da
eseguire al domicilio del creditore, senza che su
quest’ultimo gravi alcun onere di preventiva sollecitazione
o avvertenza;
- in assenza di inadempimenti imputabili all’Amministrazione
idonei a configurare a suo carico una responsabilità "da
contatto" oppure di natura precontrattuale, non può farsi
riferimento all’art. 1227 c.c. essendo tale disposizione
riferibile solo alle obbligazioni di carattere risarcitorio
e non a quelle (anche di contenuto pecuniario) di natura
sanzionatoria, come nel caso in esame.
L'applicazione della sanzione pecuniaria poi non doveva
essere preceduta dalla comunicazione di avvio del relativo
procedimento, trattandosi dell’applicazione ex lege di una
sanzione pecuniaria connessa al ritardato pagamento del
contributo dovuto per il rilascio della concessione
edilizia.
Per il principio tempus regit actum, va disattesa la istanza
dell’appellante in ordine all’applicazione dell’art. 27,
comma 17, della legge 448/2001 che prevede una riduzione
della sanzione irrogata dal Comune ai sensi dell’art. 3
della legge 47/1985.
Per quanto considerato, l'appello deve essere respinto,
perché infondato (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 09.10.2013 n. 4966 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
settembre 2013 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Complesso multisala cinematografiche, diniego esclusione dal
contributo di concessione spazi promiscui e parcheggi.
In funzione dell'inesistenza di un
vincolo di pertinenzialità esclusiva con l'attività di
pubblico spettacolo cinematografico non possono escludersi
dal computo della volumetria i c.d. spazi "promiscui", ossia
ingressi, uscite, atrii, servizi igienici, salvo che non ne
sia possibile una delimitazione fisica e strutturale tale da
renderli funzionali ai soli spettatori delle proiezioni
cinematografiche.
Inoltre, poiché non sussiste, né è stato comprovato, un
vincolo d'asservimento esclusivo degli spazi a parcheggio
alla sola attività di spettacolo cinematografico, non può
invocarsi una relazione di pertinenzialità tra i parcheggi e
le sale cinematografiche, quindi, non possono essere esclusi
dal calcolo della volumetria gli spazi adibiti a parcheggio
(massima tratta da www.lexambiente.it - Consiglio di Stato,
Sez. IV,
sentenza 30.09.2013 n. 4859 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Ai
fini del rilascio delle concessioni edilizie, la volumetria
necessaria per la realizzazione di sale cinematografiche non
concorre alla determinazione della volumetria complessiva in
base alla quale sono calcolati gli oneri di concessione.
E "per sala cinematografica si intende qualunque spazio, al
chiuso o all'aperto, adibito a pubblico spettacolo
cinematografico".
Poi, l'art. 22 d.lgs. 28/2004 ha demandato alle Regioni
l'onere di disciplinare "...le modalità di autorizzazione
alla realizzazione, trasformazione ed adattamento di
immobili da destinare a sale ed arene cinematografiche,
nonché alla ristrutturazione o all'ampliamento di sale e
arene già in attività, anche al fine di razionalizzare la
distribuzione sul territorio delle diverse tipologie di
strutture cinematografiche...", ed il comma 2 ha dettagliato
la descrizione tipologica delle aree destinate a pubblici
spettacoli cinematografici, tra le quali, per quanto qui
interessa, alla lettera c) ha incluso anche le "...
multisala, (ossia) l'insieme di due o più sale
cinematografiche adibite a programmazioni multiple accorpate
in uno stesso immobile sotto il profilo strutturale, e tra
loro comunicanti".
L'art. 20 del d.l. 14.01.1994,
n. 26, convertito con modificazioni nella legge 01.03.1994, n. 153 (recante "Interventi urgenti in favore del
cinema") -nel quadro di disposizioni tese ad agevolare
"...la trasformazione, la ristrutturazione e l'adeguamento
strutturale e tecnologico delle sale esistenti anche ai fini
del rispetto della normativa sulla sicurezza dei locali di
pubblico spettacolo e di quella sull'abolizione delle
barriere architettoniche, nonché per l'installazione e la
ristrutturazione di impianti e di servizi accessori alle
sale, per l'installazione di casse automatiche
computerizzate, per la realizzazione di nuove sale, per il
ripristino di sale non più in attività e per l'acquisto dei
locali per l'esercizio cinematografico e per i servizi
connessi..." (comma 1)-, ha previsto, al comma 7, che:
"Ai fini del rilascio delle concessioni edilizie, la
volumetria necessaria per la realizzazione di sale
cinematografiche non concorre alla determinazione della
volumetria complessiva in base alla quale sono calcolati gli
oneri di concessione".
L'ambito della fattispecie agevolativa deve essere,
pertanto, raccordato all'identificazione tipologica del suo
oggetto, come enucleabile anzitutto dall'art. 2, comma 8, del
d.lgs. 22.01.2004 n. 28 (recante "Riforma della
disciplina in materia di attività cinematografiche, a norma
dell'articolo 10 della legge 06.07.2002, n. 137"), a
tenore del quale:
"Per sala cinematografica si intende qualunque spazio, al
chiuso o all'aperto, adibito a pubblico spettacolo
cinematografico".
Peraltro, il successivo art. 22, nel demandare alle Regioni
di disciplinare "...le modalità di autorizzazione alla
realizzazione, trasformazione ed adattamento di immobili da
destinare a sale ed arene cinematografiche, nonché alla
ristrutturazione o all'ampliamento di sale e arene già in
attività, anche al fine di razionalizzare la distribuzione
sul territorio delle diverse tipologie di strutture
cinematografiche...", al comma 2 ha dettagliato la
descrizione tipologica delle aree destinate a pubblici
spettacoli cinematografici, tra le quali, per quanto qui
interessa, alla lettera c) ha incluso anche le "...
multisala, (ossia) l'insieme di due o più sale
cinematografiche adibite a programmazioni multiple accorpate
in uno stesso immobile sotto il profilo strutturale, e tra
loro comunicanti"
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 30.09.2013 n. 4859 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
M. Grisanti,
Il "malloppo" degli oneri di urbanizzazione deve essere
restituito ai cittadini (19.09.2013 - link
a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La deliberazione del
Consiglio Comunale che fissa gli oneri concessori (ai sensi
dell’art. 16 del DPR 380/2001) è un atto autoritativo, da
impugnarsi nell’ordinario termine di decadenza di sessanta
giorni, stante la previsione degli articoli 29 e 41 del
D.Lgs. 104/2010 (“Codice del processo amministrativo”).
Tale termine decorre, nel caso di atti a contenuto generale
quali le delibere consiliari di aggiornamento degli oneri di
urbanizzazione, dalla scadenza del termine di pubblicazione
della delibera, ai sensi del già citato art. 41, comma 2°,
del D.Lgs. 104/2010.
Al riguardo, il Collegio, ad un più
approfondito esame rispetto a quanto rilevato in sede di
cognizione sommaria, non può che condividere la tesi fatta
propria da parte resistente.
In effetti, è indubbio che i due motivi articolati con
l’odierno ricorso si appuntino proprio sulla delibera
n. 23/2002, per la quale (come già evidenziato nella sentenza
n. 2080/2012, pronunciata dalla Sezione in un caso analogo a
quello all’odierno esame), deve trovare applicazione
l’indirizzo giurisprudenziale, ribadito anche di recente dal
Supremo giudice amministrativo (cfr. Consiglio di Stato,
sez. V, 28.05.2012, n. 3122 e 03.05.2006, n. 2463), secondo cui
la deliberazione del Consiglio Comunale che fissa gli oneri
concessori (ai sensi dell’art. 16 del DPR 380/2001) è un
atto autoritativo, da impugnarsi nell’ordinario termine di
decadenza di sessanta giorni, stante la previsione degli
articoli 29 e 41 del D.Lgs. 104/2010 (“Codice del processo
amministrativo”).
Tale termine decorre, nel caso di atti a contenuto generale
quali le delibere consiliari di aggiornamento degli oneri di
urbanizzazione, dalla scadenza del termine di pubblicazione
della delibera, ai sensi del già citato art. 41, comma 2°,
del D.Lgs. 104/2010
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 18.09.2013 n. 2174 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Quando è dovuto il contributo per lavori di
riqualificazione?
Il contributo di urbanizzazione non è dovuto per la
realizzazione di lavori di “riqualificazione immobile
industriale” qualora questi non comportino un aumento del
carico urbanistico. In presenza di un insediamento già in
possesso di analoghe caratteristiche funzionali (l’immobile
era già adibito a usi industriali) l’Amministrazione, per
poter legittimamente esigere il contributo per gli oneri di
urbanizzazione, deve dare contezza degli indici o, comunque,
delle condizioni da cui si evince il maggior carico
urbanistico derivante dagli interventi.
Nel giudizio in esame una società utilizzatrice di un
complesso industriale, già sede di una fabbrica di
ceramiche, ha contestato la pretesa del Comune di ottenere
il pagamento, in sede di rilascio del permesso di costruire,
di oneri di urbanizzazione per la realizzazione dei lavori
di riqualificazione dell’immobile, consistenti in semplici
opere di manutenzione straordinaria, senza alterazione delle
superfici e della volumetria dell’unità immobiliare.
Il TAR Torinese accoglie il ricorso, ritenendo non dovuti il
contributo, in quanto le opere in questione non comportano
un incremento del carico urbanistico, già considerato al
momento del rilascio dei titoli edilizi per la costruzione e
l’ampliamento dell’impianto industriale.
Osserva in proposito che il contributo per oneri di
urbanizzazione è un corrispettivo di diritto pubblico, di
natura non tributaria, posto a carico del costruttore a
titolo di partecipazione ai costi delle opere di
urbanizzazione in proporzione all’insieme dei benefici che
la nuova costruzione ne ritrae.
Il presupposto imponibile per il pagamento dei contributi di
urbanizzazione va ravvisato nella domanda di una maggiore
dotazione di servizi (rete viaria, fognature, ecc.)
nell’area di riferimento, che sia indotta dalla destinazione
d’uso concretamente impressa all’immobile.
L’entità degli oneri di urbanizzazione è in buona sostanza
legata alla concreta esistenza di una variazione del carico
urbanistico.
E’ quindi possibile che un intervento di ristrutturazione e
mutamento di destinazione d’uso possa non comportare aggravi
di carico urbanistico e pertanto non siano dovuti oneri di
urbanizzazione, come al contrario è altrettanto possibile
che al mutamento di destinazione di uso nell’ambito della
stessa categoria urbanistica, faccia seguito un maggior
carico urbanistico indotto dalla realizzazione di quanto
assentito e correlativamente siano dovuti gli oneri
concessori.
Nel caso di specie il Collegio ha ritenuto che il
rifacimento dei servizi (bagni, spogliatoi) e la
realizzazione di nuovi impianti tecnici (centrale termica,
centrale frigorifera, impianto di scarico acque bianche,
impianto di scarico acque nere, impianto antincendio) non
abbia comportato un incremento del carico urbanistico,
tenendo anche conto che le opere di “riqualificazione”
interessano un immobile avente già in precedenza
destinazione industriale.
Dal punto di vista della motivazione poi, essendo in
presenza di un immobile già adibito ad usi industriali,
l’Amministrazione, al fine di per poter legittimamente
esigere il contributo per gli oneri di urbanizzazione,
avrebbe dovuto dare contezza degli indici o, comunque, delle
condizioni da cui si evince il maggior carico urbanistico
derivante dagli interventi.
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Esito
Accoglie il ricorso
Precedenti conformi sulla natura degli
oneri di urbanizzazione e sulla proporzionalità rispetto ai
benefici della nuova costruzione
TAR Piemonte Torino Sez. II, 27.03.2013, n. 381; TAR
Piemonte Torino Sez. II, 14.02.2013, n. 214 TAR Puglia Bari,
sez. III, 10.02.2011 n. 243.
Precedenti conformi sulla natura degli
oneri di urbanizzazione
Cons. Stato Sez. IV, 21.08.2013, n. 4208; TAR Campania
Napoli Sez. VIII, 12.01.2012, n. 108; TAR Campania Salerno
Sez. II, 21.11.2011, n. 1895.
Precedenti conformi sul possibile aumento
di carico urbanistico per opere di ristrutturazione e cambio
di destinazione d’uso
TAR Lazio Roma, sez. II, 14.11.2007, n. 11213
Precedenti conformi sull’onere
motivazionale in capo all’amministrazione
TAR Piemonte, Sez. II, 02.03.2012, n. 355; TAR Piemonte,
Sez. II, 24.08.2012, n. 1467; TAR Lombardia Milano, sez. IV,
04.05.2009 n. 3604 (commento tratto da www.ipsoa.it - TAR
Piemonte, Sez. II,
sentenza 16.09.2013 n. 1009 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il contributo per oneri
di urbanizzazione è un corrispettivo di diritto pubblico, di
natura non tributaria, posto a carico del costruttore a
titolo di partecipazione ai costi delle opere di
urbanizzazione in proporzione all’insieme dei benefici che
la nuova costruzione ne ritrae.
Il presupposto imponibile per il pagamento dei contributi di
urbanizzazione va ravvisato nella domanda di una maggiore
dotazione di servizi (rete viaria, fognature, ecc.)
nell’area di riferimento, che sia indotta dalla destinazione
d’uso concretamente impressa all’immobile: poiché l’entità
degli oneri di urbanizzazione è in buona sostanza correlata
alla variazione del carico urbanistico, è ben possibile che
un intervento di ristrutturazione e mutamento di
destinazione d’uso possa non comportare aggravi di carico
urbanistico e, quindi, l’obbligo della relativa
corresponsione degli oneri; al contrario è altrettanto
possibile che in caso di mutamento di destinazione di uso
nell’ambito della stessa categoria urbanistica, faccia
seguito un maggior carico urbanistico indotto dalla
realizzazione di quanto assentito e correlativamente siano
dovuti gli oneri concessori.
---------------
In presenza di un insediamento già in possesso di analoghe
caratteristiche funzionali (l’immobile era, come detto, già
sede di una fabbrica di ceramiche) l’Amministrazione –per
poter legittimamente esigere il contributo per gli oneri di
urbanizzazione– deve dare contezza degli indici o, comunque,
delle condizioni da cui si evince il maggior carico
urbanistico addebitabile alla predetta destinazione.
---------------
L'Amministrazione comunale ha evidenziato, solo nelle
memorie difensive, che la debenza ex novo degli oneri di
urbanizzazione sarebbe stata cagionata dallo stato di
abbandono che avrebbe caratterizzato lo stabilimento
industriale (inattivo da circa 20 anni) “azzerando” il
precedente “carico urbanistico derivante dal suo uso”.
Tali argomentazioni, soprattutto in mancanza di precisi
elementi esposti al riguardo nel provvedimento impugnato,
non possono essere condivise.
Con il ricorso in epigrafe la società ricorrente,
utilizzatrice, in virtù di contratto di locazione
finanziaria immobiliare, di un complesso industriale già
sede di una fabbrica di ceramiche, ha lamentato
l’illegittimità dell’imposizione da parte del Comune di Bene
Vagienna, in sede di rilascio del permesso di costruire, del
pagamento di oneri di urbanizzazione per la realizzazione
dei lavori di riqualificazione dell’immobile che,
consistendo in semplici opere di manutenzione straordinaria
e mantenendo inalterate superfici e volumetria dell’unità
immobiliare, non avrebbero comportato, a suo parere, a
differenza di quanto ritenuto dall’Amministrazione, un
incremento del carico urbanistico, già considerato al
momento del rilascio dei titoli edilizi per la costruzione e
l’ampliamento dell’impianto industriale nel 1973 e nel 1980.
Tale censura è fondata e meritevole di accoglimento.
Va ribadito sul tema che il contributo per oneri di
urbanizzazione è un corrispettivo di diritto pubblico, di
natura non tributaria, posto a carico del costruttore a
titolo di partecipazione ai costi delle opere di
urbanizzazione in proporzione all’insieme dei benefici che
la nuova costruzione ne ritrae (cfr. per tutti TAR Puglia
Bari, sez. III, 10.02.2011 n. 243).
Il presupposto imponibile per il pagamento dei contributi di
urbanizzazione va ravvisato nella domanda di una maggiore
dotazione di servizi (rete viaria, fognature, ecc.)
nell’area di riferimento, che sia indotta dalla destinazione
d’uso concretamente impressa all’immobile: poiché l’entità
degli oneri di urbanizzazione è in buona sostanza correlata
alla variazione del carico urbanistico, è ben possibile che
un intervento di ristrutturazione e mutamento di
destinazione d’uso possa non comportare aggravi di carico
urbanistico e, quindi, l’obbligo della relativa
corresponsione degli oneri; al contrario è altrettanto
possibile che in caso di mutamento di destinazione di uso
nell’ambito della stessa categoria urbanistica, faccia
seguito un maggior carico urbanistico indotto dalla
realizzazione di quanto assentito e correlativamente siano
dovuti gli oneri concessori (TAR Lazio Roma, sez. II,
14.11.2007, n. 11213).
Nella fattispecie non affiorano elementi utili a comprovare
che il rifacimento dei servizi (bagni, spogliatoi) e la
realizzazione di nuovi impianti tecnici (centrale termica,
centrale frigorifera, impianto di scarico acque bianche,
impianto di scarico acque nere, impianto antincendio) sia
stata accompagnata da un’alterazione del carico urbanistico,
tenendo conto che la “riqualificazione” de qua
interessa un immobile avente già in precedenza destinazione
industriale.
In ogni caso, come affermato di recente (cfr. sentenze di
questa Sezione 02/03/2012 n. 355; 24/08/2012 n. 1467) in
presenza di un insediamento già in possesso di analoghe
caratteristiche funzionali (l’immobile era, come detto, già
sede di una fabbrica di ceramiche) l’Amministrazione –per
poter legittimamente esigere il contributo per gli oneri di
urbanizzazione– avrebbe dovuto dare contezza degli indici o,
comunque, delle condizioni da cui si evinceva il maggior
carico urbanistico addebitabile alla predetta destinazione
(cfr. TAR Lombardia Milano, sez. IV – 04/05/2009 n. 3604).
Nel caso concreto l’Amministrazione ha evidenziato, invece,
solo nelle memorie difensive che la debenza ex novo
degli oneri di urbanizzazione sarebbe stata cagionata dallo
stato di abbandono che avrebbe caratterizzato lo
stabilimento industriale (inattivo da circa 20 anni) “azzerando”
il precedente “carico urbanistico derivante dal suo uso”.
Tali argomentazioni, soprattutto in mancanza di precisi
elementi esposti al riguardo nel provvedimento impugnato,
non possono essere condivise.
Alla luce delle argomentazioni che precedono il ricorso deve
essere, dunque, accolto, con conseguente annullamento
dell’atto impugnato nella parte relativa alla richiesta da
parte del Comune degli oneri di urbanizzazione, accertamento
della non spettanza dei detti oneri per l’intervento di “riqualificazione”
di cui è causa ed assorbimento di ogni altra doglianza
(TAR Piemonte, Sez. II,
sentenza 16.09.2013 n. 1009 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
COMPETENZE GESTIONALI -
EDILIZIA PRIVATA: Ai
sensi dell’art. 11, comma secondo, L. n. 10/1977 (il cui
contenuto risulta trasfuso nell’articolo 16, comma secondo,
D.P.R. n. 380/2001), infatti, <<la quota di contributo di
cui al precedente articolo 6 è determinata all'atto del
rilascio della concessione>>.
Alla luce di tale inequivoca disposizione, pertanto, la
disciplina normativa applicabile per la determinazione degli
oneri di urbanizzazione non può essere quella vigente
all’epoca di realizzazione dell’abuso edilizio, ma quella
vigente alla data di rilascio della concessione in
sanatoria.
---------------
Non sussiste la dedotta censura di incompetenza, né che si faccia
riferimento alla disciplina generale di cui all’articolo 32
della legge n. 142/1990, né a quella particolare in materia
di determinazione degli oneri concessori (di cui all’art. 7
della legge n. 537/1993).
In relazione alla prima norma, si deve infatti evidenziare
che la stessa attribuisce alla competenza del consiglio
comunale una serie di atti fondamentali, riservando alla
competenza residuale della giunta municipale tutti quelli
non espressamente attribuiti al primo.
Orbene, a prescindere da ogni questione sulla natura
tributaria o meno degli oneri di urbanizzazione (che
peraltro non è assolutamente pacifica né in dottrina, né
giurisprudenza, laddove gli stessi vengono configurati come
<<corrispettivi di diritto pubblico, di natura non
tributaria>>, si deve osservare che comunque, ai sensi
dell’articolo 32, comma secondo, lett. g), L. n. 142/1990,
il semplice aggiornamento tariffario non rientra tra le
competenze del consiglio comunale, per cui deve ritenersi
attribuito alla competenza della giunta municipale.
In relazione alla seconda norma (riguardante specificamente
la materia dell’aggiornamento ed adeguamento dei contributi
concessori), si deve parimenti rilevare che la stessa non
riproduce la previsione di cui all’art. 10, comma primo, L.
n. 10/1977 (che attribuisce alla competenza del consiglio
comunale la determinazione di tali oneri, in base a
parametri stabiliti dalla Regione), ma si limita ad
affermare che gli oneri di urbanizzazione <<sono aggiornati
ogni quinquennio dai comuni ….>>, senza alcuna ulteriore
specificazione circa l’organo comunale competente, per cui
si deve ritenere che (coerentemente con la previsione di
carattere generale di cui all’art. 32 L. n. 142/1990), tale
funzione spetti alla competenza (residuale) della giunta
municipale.
1. Il ricorso, come già ritenuto da questo
Tribunale in sede cautelare, è fondato nei soli limiti in
cui è diretto a contestare la legittimità della richiesta,
contenuta nei provvedimenti impugnati, di pagamento del
costo di costruzione, per la somma di lire 2.899.000.
È invece infondato, e deve essere respinto, nella residua
parte (concernente gli oneri di urbanizzazione nell’importo
richiesto di lire 4.412.000).
In relazione alla illegittimità della richiesta di
pagamento del costo di costruzione, si deve infatti
osservare che, nella specie, si tratta pacificamente di
manufatto avente destinazione industriale, per il quale sono
quindi dovuti i soli oneri di urbanizzazione.
Al riguardo, non può sussistere alcun dubbio, alla luce del
chiaro tenore testuale dell’invocata disposizione normativa
di cui all’articolo 10, comma primo, L. n. 10/1977 (il cui
contenuto risulta ora trasfuso nell’articolo 19, comma
primo, D.P.R. n. 380/2001), secondo cui <<La concessione
relativa a costruzioni o impianti destinati ad attività
industriali o artigianali dirette alla trasformazione di
beni ed alla presentazione di servizi comporta la
corresponsione di un contributo pari alla incidenza delle
opere di urbanizzazione, di quelle necessarie al trattamento
e allo smaltimento dei rifiuti solidi, liquidi e gassosi e
di quelle necessarie alla sistemazione dei luoghi ove ne
siano alterate le caratteristiche. …>>.
In tal senso, del resto, depone il convergente orientamento
della giurisprudenza di questa Sezione (cfr. TAR
Campania, Napoli, Sez. II, 07/01/2010, n. 9), nonché del
Supremo Consesso della giustizia amministrativa (cfr.
C.d.S., Sez. V, 19/06/2012, n. 3561).
Per quanto riguarda invece il pagamento degli oneri di
urbanizzazione, si deve osservare che l’intimata
amministrazione comunale, contrariamente a quanto ritenuto
dalla parte ricorrente, ha fatto correttamente riferimento
alle applicate delibere di aggiornamento del Commissario
Prefettizio e della Giunta Municipale (rispettivamente, n.
7/94 e n. 91/95) e non alla deliberazione del Consiglio
Regionale n. 119/1 del 28.07.1977.
Ai sensi dell’art. 11, comma secondo, L. n. 10/1977 (il cui
contenuto risulta trasfuso nell’articolo 16, comma secondo,
D.P.R. n. 380/2001), infatti, <<la quota di contributo di
cui al precedente articolo 6 è determinata all'atto del
rilascio della concessione>>.
Alla luce di tale inequivoca disposizione, pertanto, la
disciplina normativa applicabile per la determinazione degli
oneri di urbanizzazione non può essere quella vigente
all’epoca di realizzazione dell’abuso edilizio, ma quella
vigente alla data di rilascio della concessione in sanatoria
(cfr., in tali sensi, C.G.A.R.S., 21.03.2007, n. 244,
secondo cui <<Il contributo di urbanizzazione ex art. 11,
comma 2, l. 28.01.1977 n. 10, deve essere determinato
al momento del rilascio della concessione ed è quindi a tale
momento che occorre avere riguardo per la determinazione
dell'entità del contributo facendo perciò applicazione della
normativa vigente al momento del rilascio del provvedimento concessorio>>).
Correttamente, pertanto, il Comune di Brusciano ha fatto
riferimento alla normativa vigente alla data della richiesta
di pagamento degli oneri di urbanizzazione di cui alla nota
sindacale n. 9318 del 30.06.1998 (vale a dire, per
l’appunto, alla delibera del commissario prefettizio n. 7/94
ed alla delibera della giunta municipale n. 91/95).
Tali delibere non sono state dunque applicate
retroattivamente ad una fattispecie pregressa (come dedotto
con la terza e la quarta censura), ma ad una situazione
determinatasi successivamente alla loro adozione, per cui
non vi è alcuna violazione del principio di irretroattività
degli atti amministrativi.
Inoltre, contrariamente a quanto denunciato con la seconda
censura, l’amministrazione ha esplicitato i parametri
utilizzati per la quantificazione degli oneri concessori,
individuandoli nelle tabelle parametriche regionali ed in
quelli indicati dalla delibera di Giunta Comunale n. 91/95
(cfr. nota prot. n. 14343 del 07/10/1998, in atti), ed ha
altresì chiarito che si è tenuto conto degli acconti
eventualmente versati (laddove la richiesta di pagamento
risulta effettuata <<a saldo>> degli oneri dovuti, come
espressamente indicato nell’impugnata nota sindacale n. 9318
del 30.06.1998).
Non sussiste, infine, la dedotta censura di incompetenza (di
cui al quinto ed ultimo motivo di ricorso), né che si faccia
riferimento alla disciplina generale di cui all’articolo 32
della legge n. 142/1990, né a quella particolare in materia
di determinazione degli oneri concessori (di cui all’art. 7
della legge n. 537/1993).
In relazione alla prima norma, si deve infatti evidenziare
che la stessa attribuisce alla competenza del consiglio
comunale una serie di atti fondamentali, riservando alla
competenza residuale della giunta municipale tutti quelli
non espressamente attribuiti al primo.
Orbene, a prescindere da ogni questione sulla natura
tributaria o meno degli oneri di urbanizzazione (che
peraltro non è assolutamente pacifica né in dottrina, né
giurisprudenza, laddove gli stessi vengono configurati come
<<corrispettivi di diritto pubblico, di natura non
tributaria>>: cfr. TAR Lombardia, Brescia, Sez. II,
02.03.2012, n. 355; TAR Campania, Salerno, Sez. II, n.
700/2011; TAR Puglia, Bari, sez. III, 10.02.2011,
n. 243), si deve osservare che comunque, ai sensi
dell’articolo 32, comma secondo, lett. g), L. n. 142/1990,
il semplice aggiornamento tariffario non rientra tra le
competenze del consiglio comunale, per cui deve ritenersi
attribuito alla competenza della giunta municipale (cfr.
C.d.S., sez. V, 13.03.2002, n. 1491).
In relazione alla seconda norma (riguardante specificamente
la materia dell’aggiornamento ed adeguamento dei contributi
concessori), si deve parimenti rilevare che la stessa non
riproduce la previsione di cui all’art. 10, comma primo, L.
n. 10/1977 (che attribuisce alla competenza del consiglio
comunale la determinazione di tali oneri, in base a
parametri stabiliti dalla Regione), ma si limita ad
affermare che gli oneri di urbanizzazione <<sono aggiornati
ogni quinquennio dai comuni ….>>, senza alcuna ulteriore
specificazione circa l’organo comunale competente, per cui
si deve ritenere che (coerentemente con la previsione di
carattere generale di cui all’art. 32 L. n. 142/1990), tale
funzione spetti alla competenza (residuale) della giunta
municipale.
In conclusione, il ricorso in esame è fondato nei soli
suindicati limiti (concernenti la richiesta di pagamento del
costo di costruzione per la somma di lire 2.899.000) ed
entro tali limiti deve essere accolto, con conseguente
annullamento, in parte qua, dell’impugnata nota sindacale prot.
n. 9318 del 30.06.1998
(TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 06.09.2013 n. 4206 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Concessioni, storia a sé.
Controversie, termini decadenziali a 10 anni.
Sentenza del Tar Emilia sul pagamento dei
contributi di rilascio.
Le controversie relative al pagamento di contributi per il
rilascio delle concessioni edilizie non sottostanno ai
termini decadenziali propri dei giudizi impugnatori e
possono essere attivate nei normali termini di prescrizione,
poiché riguardano diritti soggettivi concernenti un rapporto
obbligatorio pecuniario e non interessi legittimi.
Lo ha stabilito prima sezione del TAR Emilia Romagna-Bologna,
Sez. I,
con
sentenza
06.09.2013 n. 601.
Pertanto, nel caso di contributi di concessione i termini
decadenziali risultano essere decennali.
I giudici bolognesi hanno, poi, osservato, in ossequio anche
alla più recente giurisprudenza amministrativa, che è
perfettamente ammissibile l'utilizzo dello strumento
processuale dell'azione di accertamento (cfr. Tar Potenza
Basilicata, sez. I, 08.03.2013, n. 126) e della
conseguente condanna alla restituzione degli importi
eventualmente dovuti perché indebitamente pagati.
È stato inoltre osservato che, per costante giurisprudenza
(si veda Tar Lombardia, Milano, Sez. IV, 10.06.2010 n.
1787; Tar Lombardia, Brescia, 07.11.2005 n. 1115), il
fondamento del contributo di urbanizzazione non consiste nel
titolo edilizio in sé, ma nella necessità di redistribuire i
costi sociali delle opere di urbanizzazione, facendoli
gravare su quanti beneficiano delle utilità derivanti dalla
presenza delle medesime –secondo modalità eque per la
comunità– con la conseguenza che anche nel caso di
modificazione della destinazione d'uso cui si correli un
maggiore carico urbanistico è integrato il presupposto che
giustifica l'imposizione del pagamento della differenza tra
gli oneri di urbanizzazione dovuti per la destinazione
originaria e quelli, se più elevati, dovuti per la nuova
destinazione impressa; il mutamento, pertanto, è rilevante
allorquando sussiste un passaggio tra due categorie
funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico,
qualificate sotto il profilo della differenza del regime
contributivo in ragione di diversi carichi urbanistici.
Al contrario qualora il mutamento di destinazione d'uso non
determina l'incremento del carico urbanistico il pagamento
dei relativi oneri non è dovuto, essendo privo di causa
(articolo ItaliaOggi Sette del
23.09.2013). |
EDILIZIA PRIVATA: Le
controversie relative al pagamento di contributi per il
rilascio delle concessioni edilizie riguardano diritti
soggettivi concernenti un rapporto obbligatorio pecuniario e
non interessi legittimi: esse non sottostanno, pertanto, ai
termini decadenziali propri dei giudizi impugnatori e
possono essere attivate nei normali termini di prescrizione
che, nel caso di contributi di concessione, risultano essere
decennali.
---------------
Il fondamento del contributo di urbanizzazione non consiste
nel titolo edilizio in sé ma nella necessità di
redistribuire i costi sociali delle opere di urbanizzazione,
facendoli gravare su quanti beneficiano delle utilità
derivanti dalla presenza delle medesime –secondo modalità
eque per la comunità–, con la conseguenza che anche nel caso
di modificazione della destinazione d’uso cui si correli un
maggiore carico urbanistico è integrato il presupposto che
giustifica l’imposizione del pagamento della differenza tra
gli oneri di urbanizzazione dovuti per la destinazione
originaria e quelli, se più elevati, dovuti per la nuova
destinazione impressa; il mutamento, pertanto, è rilevante
allorquando sussiste un passaggio tra due categorie
funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico,
qualificate sotto il profilo della differenza del regime
contributivo in ragione di diversi carichi urbanistici.
Al contrario qualora il mutamento di destinazione d’uso non
determina l’incremento del carico urbanistico il pagamento
dei relativi oneri non è dovuto, essendo privo di causa.
... per l'accertamento del diritto delle Società ricorrenti
alla restituzione degli importi dalle stesse corrisposti al
Comune di Cattolica per oneri di urbanizzazione e
monetizzazione di due posti auto per il rilascio del
permesso di costruire per il cambio di destinazione d'uso da
"commercio al dettaglio" - B 2.1- ad “artigianato dei
servizi alla persona" B3.1 di n. 2 unità immobiliari ubicate
in Cattolica;
...
Le società ricorrenti, rispettivamente proprietaria del
fabbricato e conduttrice dell’immobile, presentavano una
richiesta di rilascio di permesso di costruzione per
ottenere il cambio di destinazione d’uso da “negozio” a
“centro benessere-solarium”.
Su richiesta del Comune provvedevano al pagamento della
somma quantificata dallo stesso per “monetizzazione” di
numero due posti auto “P3”.
Ritenendo non dovuto il pagamento dei suddetti oneri con il
presente ricorso hanno chiesto la restituzione delle somme
pagate, oltre agli interessi legali.
Si è costituito in giudizio il Comune intimato che ha controdedotto alle avverse doglianze, ed ha eccepito
l’inammissibilità del ricorso sotto vari profili e,
comunque, concluso per il rigetto dello stesso.
La causa è stata trattenuta in decisione all’odierna
udienza.
Va, preliminarmente, respinta l’eccezione di difetto di
legittimazione passiva, sulla quale insiste il comune con la
memoria di costituzione in quanto il pagamento non sarebbe
stato effettuato dagli attuali ricorrenti.
Va, infatti, rilevato che la richiesta del permesso di
costruzione è stata avanzata dall’attuale ricorrente così
come il titolo edilizio è stato alla stessa rilasciato.
Anche il pagamento degli oneri quantificati dal Comune,
quale condizione per il rilascio del titolo edilizio, è
stato richiesto all’attuale ricorrente.
La circostanza che il pagamento sia avvenuto, su incarico
dei ricorrenti e, quindi, quale pagamento riferibile alle
società ricorrenti (quindi in nome e per conto), accettato
dal Comune, da parte di una terza società (che le ricorrenti
indicano quale conduttrice) non significa che il pagamento
non sia riferibile, quale pagamento rappresentativo, ai
titolare del permesso di costruzione ai quali, quindi,
spetta l’azione per la restituzione di quanto eventualmente
indebitamente corrisposto.
Va, altresì, respinta l’eccezione di tardività dell’azione
proposta. Infatti, le controversie relative al pagamento di
contributi per il rilascio delle concessioni edilizie
riguardano diritti soggettivi concernenti un rapporto
obbligatorio pecuniario (TAR Potenza Basilicata, sez. I,
08.03.2013, n. 126) e non interessi legittimi: esse non
sottostanno, pertanto, ai termini decadenziali propri dei
giudizi impugnatori e possono essere attivate nei normali
termini di prescrizione (Cons. di Stato, Sez. IV, 04.11.2011, n. 5852 e Sez. V,
06.12.1999, n. 2056) che, nel
caso di contributi di concessione, risultano essere
decennali (Consiglio di Stato, sez. VI, 31.05.2013, n.
2996).
A tal fine, pertanto, è perfettamente ammissibile l’utilizzo
dello strumento processuale dell’azione di accertamento
(TAR Potenza Basilicata, sez. I, 08.03.2013, n. 126) e
della conseguente condanna la restituzione degli importi
eventualmente dovuti perché indebitamente pagati.
Nel merito in linea di diritto va osservato che, per
costante giurisprudenza (v. TAR Lombardia, Milano, Sez. IV,
10.06.2010 n. 1787; TAR Lombardia, Brescia, 07.11.2005 n. 1115), il fondamento del contributo di
urbanizzazione non consiste nel titolo edilizio in sé ma
nella necessità di redistribuire i costi sociali delle opere
di urbanizzazione, facendoli gravare su quanti beneficiano
delle utilità derivanti dalla presenza delle medesime –secondo modalità eque per la comunità–, con la conseguenza
che anche nel caso di modificazione della destinazione d’uso
cui si correli un maggiore carico urbanistico è integrato il
presupposto che giustifica l’imposizione del pagamento della
differenza tra gli oneri di urbanizzazione dovuti per la
destinazione originaria e quelli, se più elevati, dovuti per
la nuova destinazione impressa; il mutamento, pertanto, è
rilevante allorquando sussiste un passaggio tra due
categorie funzionalmente autonome dal punto di vista
urbanistico, qualificate sotto il profilo della differenza
del regime contributivo in ragione di diversi carichi
urbanistici.
Al contrario qualora il mutamento di destinazione d’uso non
determina l’incremento del carico urbanistico il pagamento
dei relativi oneri non è dovuto, essendo privo di causa.
Nel caso concreto, come previsto nel titolo edilizio, il
cambio di destinazione è avvenuto dalla categoria B2.1.
“Commercio al dettaglio”, alla categoria B3.1. “Artigianato
dei servizi alla persona” per i quali è prevista la
dotazione di parcheggi pertinenziali (P2 e P3).
L’articolo 3.3. delle Norme di Attuazione del PRG,
prodotte in giudizio dal Comune, per quanto concerne la
tabella di parcheggi pertinenziali, oggetto del presente
giudizio, non prevede alcun incremento del carico
urbanistico essendo previsto “1 p.a. ogni 40 mq. Di SC,
tutti di tipo P3” per entrambi gli usi.
E’, infatti, lo stesso titolo edilizio che richiede la
monetizzazione di due posti auto P3 per il cambio di
destinazione d’uso in parola.
Come rilevato dalla giurisprudenza (TAR Bologna, sez.
I, 239/2012), al cambio di destinazione d’uso segue la
corresponsione di un contributo di urbanizzazione pari alla
differenza tra gli oneri dovuti per la destinazione
originaria e quelli eventualmente più elevati della nuova
destinazione d’uso, risolvendosi altrimenti la riscossione
di una somma maggiore in un pagamento privo di causa.
Poiché nel caso in esame tale presupposto non ricorre,
non essendo previsti per i parcheggi P3, per il cambio di
destinazione in parola, alcun incremento di carico
urbanistico, sussiste l’obbligo di restituzione ai
ricorrenti di quanto versato a tale titolo.
Detta somma andrà, poi, incrementata degli interessi
legali dalla data di proposizione della domanda giudiziale
fino al soddisfo (v. TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 12.12.2006
n. 2901)
(TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. I,
sentenza 06.09.2013 n. 601 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L’attività
di autonoleggio va ascritta a quelle attività di produzione
di servizi per la mobilità privata: la quale, come accade
per la società appellante, operante sull’intero territorio
nazionale, si realizza attraverso una complessa
organizzazione imprenditoriale di mezzi e di personale con
la quale si consente agli utenti di disporre di mezzi di
trasporto, con o senza conducente, sulla base di un
articolato tariffario giornaliero e/o chilometrico.
Circa la natura dell’attività esercitata, l’attività di
autonoleggio, così come riconosciuto da condivisa
giurisprudenza, va ascritta a quelle attività di produzione
di servizi per la mobilità privata: la quale, come accade
per la società appellante, operante sull’intero territorio
nazionale, si realizza attraverso una complessa
organizzazione imprenditoriale di mezzi e di personale con
la quale si consente agli utenti di disporre di mezzi di
trasporto, con o senza conducente, sulla base di un
articolato tariffario giornaliero e/o chilometrico.
Diversamente dall’attività c.d. commerciale, dunque, la
posizione dell’organizzazione imprenditoriale de qua rileva
non per agevolare esclusivamente o prevalentemente la
semplice circolazione e/o distribuzione di beni già
individuati quanto a tipologia merceologica, ma determina la
produzione di un nuovo bene, risultante dalla specificazione
del complesso di attività materiali ed immateriali
organizzate dall’impresa per la sua elaborazione, che
l’utente acquista e può utilizzare al “servizio” del proprio
bisogno di trasporto (personale, di rappresentanza, ecc.),
unitamente con il complesso di utilità che solitamente fanno
da corredo alla messa a disposizione dell’autoveicolo
(conducente, tipologia di vettura, possibilità di
sostituzione in caso di incidente, ecc.), senza che abbia
rilievo, come sembra credere il primo Giudice, che la stessa
impresa possa procedere periodicamente alla cessione
(vendita, permuta, o altra formula di dismissione), dei
veicoli ritenuti ormai non più adatti allo svolgimento
ottimale dei servizi di trasporto per i quali sono stati
acquisiti: sicché, senza prova alcuna che trattasi di
attività prevalente, diversamente da quanto sembra opinare
il primo Giudice, anche l’attività di dismissione così
esercitata finisce per corroborare i tratti fisionomici
dell’attività esercitata dalla Sicily by Car s.p.a. come
attività industriale produttrice di servizi: in linea, così,
con la definizione tipologica fornita dall’art. 2195 c.c.,
nonché correttamente rappresentato nello statuto della
società e dal certificato rilasciato dall’Associa-zione
industriali.
Dai superiori rilievi consegue, allora, che l’edificio
autorizzato con la concessione edilizia n. 20/2007, per il
fatto di essere destinato ad “uffici della Sicily by Car
s.p.a.”, secondo la richiesta avanzata dalla stessa impresa,
in considerazione della tipologia di attività esercitata
doveva essere correttamente incluso, ai fini
dell’applicazione dell’aliquota per il calcolo del
contributo dovuto, nella categoria degli “insediamenti
industriali” prevista dall’art. 45 della legge reg. n.
71/1978, e non già in quello delle attività commerciali,
come erroneamente ritenuto dal primo Giudice: il quale, per
il calcolo degli oneri di urbanizzazione sembra aver
considerato -impregiudicata ogni altra considerazione sulla
effettiva corrispondenza con quanto stabilito per le aree “C
4” dallo stesso PRG del Comune di Carini- piuttosto la
destinazione dell’area, e non già, come avrebbe dovuto, la
destinazione dell’edificio, così come determinata dalla
tipologia industriale dell’attività esercitata dall’impresa
(CGARS,
sentenza 05.09.2013 n. 741 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
agosto 2013 |
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EDILIZIA PRIVATA: Il
fondamento del contributo di urbanizzazione non consiste nel
titolo edilizio in sé, ma nella necessità di ridistribuire i
costi sociali delle opere di urbanizzazione, facendoli
gravare su quanti beneficiano delle utilità derivanti dalla
presenza delle medesime secondo modalità eque per la
comunità con la conseguenza che, anche nel caso di
modificazione della destinazione d'uso, cui si correli un
maggiore carico urbanistico, è integrato il presupposto che
giustifica l'imposizione del pagamento della differenza tra
gli oneri di urbanizzazione dovuti per la destinazione
originaria e quelli, se più elevati, dovuti per la nuova
destinazione impressa; il mutamento, pertanto, è rilevante
quando sussiste un passaggio tra due categorie
funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico,
qualificate sotto il profilo della differenza del regime
contributivo in ragione di diversi carichi urbanistici.
Ai fini dell'insorgenza dell'obbligo di corresponsione degli
oneri concessori, è rilevante il verificarsi di un maggior
carico urbanistico quale effetto dell'intervento edilizio,
sicché non è neanche necessario che la ristrutturazione
interessi globalmente l'edificio -con variazioni riguardanti
nella loro interezza le parti esterne ed interne del
fabbricato- ma è soltanto sufficiente che ne risulti
comunque mutata la realtà strutturale e la fruibilità
urbanistica, con oneri conseguentemente riferiti
all'oggettiva rivalutazione dell'immobile e funzionali a
sopportare l'aggiuntivo carico "socio-economico" che
l'attività edilizia comporta, anche quando l'incremento
dell'impatto sul territorio consegua solo a marginali
lavori.
Osserva la Sezione che il fondamento del
contributo di urbanizzazione non consiste nel titolo
edilizio in sé, ma nella necessità di ridistribuire i costi
sociali delle opere di urbanizzazione, facendoli gravare su
quanti beneficiano delle utilità derivanti dalla presenza
delle medesime secondo modalità eque per la comunità con la
conseguenza che, anche nel caso di modificazione della
destinazione d'uso, cui si correli un maggiore carico
urbanistico, è integrato il presupposto che giustifica
l'imposizione del pagamento della differenza tra gli oneri
di urbanizzazione dovuti per la destinazione originaria e
quelli, se più elevati, dovuti per la nuova destinazione
impressa; il mutamento, pertanto, è rilevante quando
sussiste un passaggio tra due categorie funzionalmente
autonome dal punto di vista urbanistico, qualificate sotto
il profilo della differenza del regime contributivo in
ragione di diversi carichi urbanistici (Consiglio Stato,
sez. IV, 28.07.2005, n. 4014).
Ai fini dell'insorgenza dell'obbligo di corresponsione degli
oneri concessori, è rilevante il verificarsi di un maggior
carico urbanistico quale effetto dell'intervento edilizio,
sicché non è neanche necessario che la ristrutturazione
interessi globalmente l'edificio -con variazioni
riguardanti nella loro interezza le parti esterne ed interne
del fabbricato- ma è soltanto sufficiente che ne risulti
comunque mutata la realtà strutturale e la fruibilità
urbanistica, con oneri conseguentemente riferiti
all'oggettiva rivalutazione dell'immobile e funzionali a
sopportare l'aggiuntivo carico "socio-economico" che
l'attività edilizia comporta, anche quando l'incremento
dell'impatto sul territorio consegua solo a marginali
lavori.
Rileva ancora il Collegio che l'art. 10 della l. n.
10/1977, sotto la rubrica "concessione relativa ad opere od
impianti non destinati alla residenza" prescriveva, al comma
1, ai fini della determinazione del contributo per gli oneri
di urbanizzazione, che “La concessione relativa a
costruzioni o impianti destinati ad attività industriali o
artigianali dirette alla trasformazione di beni ed alla
presentazione di servizi comporta la corresponsione di un
contributo pari alla incidenza delle opere di
urbanizzazione, di quelle necessarie al trattamento e allo
smaltimento dei rifiuti solidi, liquidi e gassosi e di
quelle necessarie alla sistemazione dei luoghi ove ne siano
alterate le caratteristiche. La incidenza di tali opere è
stabilita con deliberazione del consiglio comunale in base a
parametri che la regione definisce con i criteri di cui alle
lettere a) e b) del precedente art. 5, nonché in relazione
ai tipi di attività produttiva” e, al comma 3, che “Qualora
la destinazione d'uso delle opere indicate nei commi
precedenti, nonché di quelle nelle zone agricole previste
dal precedente articolo 9, venga comunque modificata nei
dieci anni successivi all'ultimazione dei lavori, il
contributo per la concessione è dovuto nella misura massima
corrispondente alla nuova destinazione, determinata con
riferimento al momento della intervenuta variazione”
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 30.08.2013 n. 4326 - link a www.giustizia-amministrativa). |
EDILIZIA PRIVATA: In
caso di cambio di destinazione d'uso l'obbligo di
corrispondere il contributo concessorio è principio
enucleabile dall'art. 10, ultimo comma, della legge n.
10/1977, ribadito dall'art. 25, ultimo comma, della legge n.
47/1985, la cui “ratio”, come chiarito dalla giurisprudenza,
è da ricercare nell'esigenza "di evitare che, quando la
nuova tipologia assegnata all'immobile avrebbe comportato
all'origine un più oneroso regime contributivo urbanistico,
attraverso la modifica della destinazione il contributo
possa essere evaso in tutto o in parte a vantaggio del
richiedente".
---------------
Qualora la concessione edilizia sia stata rilasciata senza
l'onere di contributi di urbanizzazione ex art. 18, u.c., l.
28.01.1977 n. 10 è poi legittima la richiesta del Comune di
quei contributi per il rilascio di concessione edilizia in
sanatoria relativa a interventi in variante rispetto al
progetto originario essendo stato determinato un incremento
del peso urbanistico.
Osserva la
Sezione che, in caso di cambio di destinazione d'uso
l'obbligo di corrispondere il contributo concessorio è
principio enucleabile dall'art. 10, ultimo comma, della
legge n. 10/1977, ribadito dall'art. 25, ultimo comma, della
legge n. 47/1985, la cui “ratio”, come chiarito dalla
giurisprudenza, è da ricercare nell'esigenza "di evitare
che, quando la nuova tipologia assegnata all'immobile
avrebbe comportato all'origine un più oneroso regime
contributivo urbanistico, attraverso la modifica della
destinazione il contributo possa essere evaso in tutto o in
parte a vantaggio del richiedente" (Cons. di Stato, sez. V,
07.12.2010, n. 8620).
E, nella specie, il mutamento di destinazione d'uso attuato
dalla ricorrente ha comportato il passaggio della tipologia
di intervento da una classe contributiva originaria e meno
"pesante" (industriale, appunto) ad un'altra tipologia
(commerciale), non solo diversa ma anche più gravosa in
termini di carico urbanistico. Si è trattato, cioè, di un
cambio di destinazione d'uso intervenuto tra categorie
autonome, quella industriale e quella commerciale, che ha
comportato un aumento del carico urbanistico con conseguente
mutamento degli “standard”. Presupposto, questo,
sufficiente, per giurisprudenza unanime, a giustificare la
richiesta di contributo per oneri di urbanizzazione.
Trattandosi in ogni caso di un supplemento di contributo
urbanistico, l'importo dovuto dalla società ricorrente
doveva in ogni caso essere pari alla differenza tra il
contributo previsto per la nuova destinazione direzionale
ricreativa e quello relativo alla precedente destinazione
industriale, ove integralmente versato.
Ma nel caso che occupa, essendo la prima licenza per lavori
edilizi anteriore alla entrata in vigore della l. n.
10/1977, non era dovuta la corresponsione di oneri, anche ai
sensi dell’art. 18 della legge stessa, e non era
scomputabile alcuna somma in precedenza pagata a tale titolo
da quanto dovuto a seguito dell’effettuato mutamento di
destinazione d’uso.
Prima della entrata in vigore di detta legge non era infatti
previsto il pagamento di alcun onere di urbanizzazione o per
costo di costruzione, introdotti con gli artt. 5 e 6 della
legge suddetta, ed essi non potevano essere stati
virtualmente scontati.
Del resto la giurisprudenza è da tempo orientata nel senso
che qualora la concessione edilizia sia stata rilasciata
senza l'onere di contributi di urbanizzazione ex art. 18,
u.c., l. 28.01.1977 n. 10 è poi legittima la richiesta del
Comune di quei contributi per il rilascio di concessione
edilizia in sanatoria relativa a interventi in variante
rispetto al progetto originario (Consiglio Stato, sez. V,
04.09.2000, n. 4662) essendo stato determinato un incremento
del peso urbanistico
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 30.08.2013 n. 4326 - link a www.giustizia-amministrativa). |
EDILIZIA
PRIVATA:
L’obbligo di versamento
degli importi dovuti a titolo di oneri di urbanizzazione è
correlato all’aggravamento del carico urbanistico
determinato dalla realizzazione di interventi edilizi sul
territorio; quindi, la realizzazione di opere aventi
superficie e volumetria minore rispetto a quelle già
assentite, determinando esse un carico urbanistico minore,
non costituisce titolo per richiedere un supplemento degli
importi già versati dalla parte.
In questo senso depone anche quella giurisprudenza che
ritiene parzialmente ripetibili le somme versate
dall’operatore a titolo di contributo di costruzione qualora
le opere realizzate abbiano consistenza volumetrica
inferiore rispetto a quella assentita.
Ritiene il Collegio che il ricorso sia fondato.
Va invero osservato, in punto di fatto, che la domanda di
accertamento di conformità che ha dato origine ai fatti di
causa riguarda opere (un capannone industriale ed una
abitazione) realizzate in difformità da concessione
edilizia; e che tale difformità consiste nella realizzazione
di superficie e volume inferiori rispetto a quelli
originariamente assentiti.
Si tratta pertanto di interventi che, nella loro consistenza
reale, hanno determinato la produzione di un carico
urbanistico inferiore rispetto a quello che sarebbe
conseguito dalle opere previste dal titolo rilasciato; per
le quali peraltro erano stati regolarmente versati
dall’interessata gli importi dovuti a titolo di oneri
urbanizzazione primaria e secondaria e smaltimento rifiuti.
Ciò precisato, va rilevata, in punto di diritto,
l’illegittimità della richiesta formulata dal Comune di
versamento di ulteriori importi, sempre a titolo di oneri di
urbanizzazione primaria e secondaria e smaltimento rifiuti,
in sede di rilascio della concessione edilizia in sanatoria
ai sensi dell’art. 13 della legge n. 47/1985.
Va invero osservato che l’obbligo di versamento degli
importi dovuti a titolo di oneri di urbanizzazione è
correlato all’aggravamento del carico urbanistico
determinato dalla realizzazione di interventi edilizi sul
territorio (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 16.06.2009 n.
3847); e che quindi la realizzazione di opere aventi
superficie e volumetria minore rispetto a quelle già
assentite, determinando esse un carico urbanistico minore,
non costituisce titolo per richiedere un supplemento degli
importi già versati dalla parte .
In questo senso depone anche quella giurisprudenza che
ritiene parzialmente ripetibili le somme versate
dall’operatore a titolo di contributo di costruzione qualora
le opere realizzate abbiano consistenza volumetrica
inferiore rispetto a quella assentita (cfr. TAR Lombardia
Brescia, sez. I, 13.01.2011 n. 188; TAR Lombardia Milano,
sez. II, 24.04.2010 n. 728).
Per queste ragioni, la domanda della ricorrente deve essere
accolta e per l’effetto il Comune di Castano Primo va
condannato alla restituzione della somma indebitamente
percepita, pari ad € 9.991,67 alla quale vanno aggiunti, ai
sensi dell’art. 2033 c.c., gli interessi legali da
calcolarsi a decorrere dal giorno di versamento (il Comune
deve invero considerarsi in mala fede, avendo la ricorrente
adeguatamente esposto, prima del pagamento, le ragioni per
le quali la richiesta di supplemento doveva considerarsi
infondata) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 30.08.2013 n. 2092 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Nessuna
norma preclude all’imprenditore del settore sanitario di
perseguire il profitto, né può influire al riguardo la
presenza di incisivi controlli pubblici sull’attività
esercitata.
E’ corretto, pertanto, affermare che l’attività sanitaria,
se svolta da soggetto non istituzionalmente dovuto, presenta
i caratteri oggettivi dell’industrialità e, quindi, deve
essere assoggettata al relativo trattamento più favorevole.
Invero, alla concessione edilizia relativa ad un immobile
destinato a casa di cura privata spetta la parziale
esenzione dal contributo urbanistico, prevista dall’articolo
10 della legge 28.01.1977 n. 10, per le concessioni relative
a costruzioni o impianti destinati ad attività industriali o
artigianali dirette alla trasformazione di beni ed alla
prestazione di servizi.
Tanto dal momento che “l’attività imprenditoriale diretta
alla prestazione di servizi sanitari è a pieno titolo
un’attività industriale, giusta la definizione di attività
industriale che si ricava dall’art. 2195 cod. civ.”.
L’appellante lamenta, quindi, violazione dell’art. 37 della
legge n. 45/1985, in relazione agli artt. 3 e 10 della legge
n. 10/1977, laddove la norma prevede che “il versamento
dell’oblazione non esime i soggetti di cui all’art. 31,
primo e terzo comma, dalla corresponsione al Comune, ai fini
del rilascio della concessione, del contributo previsto
dall’art. 3 della legge n. 10/1977…”.
L’appellante assume che, ai sensi della richiamata
normativa, l’autore di un abuso edilizio sarebbe obbligato a
versare il contributo di costruzione nella sua totalità e
insiste nel sostenere che chiunque gestisca attività
imprenditoriali in materia sanitaria o, comunque, in un
settore in cui entri in campo, in modo diretto o indiretto,
la salute del cittadino, solo per questo egli non debba
essere ascritto alla categoria degli imprenditori, e
assumerne i relativi diritti, oneri e doveri.
La tesi risulta non condivisibile e, come già evidenziato,
alquanto originale nella ritenuta applicabilità per le case
di cura private.
L’art. 10 della legge 28.01.1977 n. 10 presenta, invero, un
dettato chiaro e la sua applicabilità alle case di cura
private non richiede esegesi particolari né interpretazioni
analogiche, essendo sufficiente soffermarsi sul dettato
letterale, nella considerazione che nessuna norma preclude
all’imprenditore del settore sanitario di perseguire il
profitto, né può influire al riguardo la presenza di
incisivi controlli pubblici sull’attività esercitata.
E’ corretto, pertanto, affermare che l’attività sanitaria,
se svolta da soggetto non istituzionalmente dovuto, presenta
i caratteri oggettivi dell’industrialità e, quindi, deve
essere assoggettata al relativo trattamento più favorevole.
Al riguardo, è utile anche richiamare l’orientamento di
questa Sezione, secondo cui alla concessione edilizia
relativa ad un immobile destinato a casa di cura privata
spetta la parziale esenzione dal contributo urbanistico,
prevista dall’articolo 10 della legge 28.01.1977 n. 10, per
le concessioni relative a costruzioni o impianti destinati
ad attività industriali o artigianali dirette alla
trasformazione di beni ed alla prestazione di servizi.
Tanto dal momento che “l’attività imprenditoriale diretta
alla prestazione di servizi sanitari è a pieno titolo
un’attività industriale, giusta la definizione di attività
industriale che si ricava dall’art. 2195 cod. civ.”
(Consiglio di Stato, Sez. V, 16.01.1992, n. 46 e 12.06.2007,
n. 6328)
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 26.08.2013 n. 4267 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Le controversie inerenti la contestazione degli
oneri di urbanizzazione, nel corso delle quali non vengano
dedotte censure derivanti da atti generali autoritativi
relativi alla determinazione degli oneri presupposti di
quello impugnato, attengono a posizioni di diritto
soggettivo, azionabili nel termine di prescrizione, innanzi
al giudice amministrativo in sede di giurisdizione
esclusiva.
Detti oneri non hanno, infatti, natura tributaria, bensì
costituiscono un corrispettivo di diritto pubblico avente la
funzione di partecipazione ai costi delle opere di
urbanizzazione, atteso che le controversie che hanno ad
oggetto la legittimità o meno del contributo relativo a
concessione edilizia vertono sull'esistenza o sulla misura
di un’obbligazione direttamente stabilita dalla legge.
La determinazione dell'"an" e del "quantum" dell'oblazione e
del contributo per oneri di urbanizzazione e per costo di
costruzione ha natura paritetica, giacché si tratta di un
mero accertamento dell'obbligazione contributiva, effettuato
dalla p.a. in base a rigidi parametri prefissati dalla legge
e dai regolamenti in tema di criteri impositivi, nei cui
riguardi essa è sfornita di potestà autoritativa.
Per questo le relative controversie, proprio in quanto
concernono i diritti soggettivi delle parti di detta
obbligazione, sono devolute alla giurisdizione esclusiva del
g.a. di cui all’art. 133, primo co., lett. f).
L'accertamento di un rapporto di credito prescinde
dall'esistenza di atti della p.a. e non è soggetta alle
regole delle impugnazioni e dei termini di decadenza propri
degli atti amministrativi; in applicazione di tale
principio, va quindi esclusa la configurabilità
dell'istituto dell'acquiescenza rispetto alla liquidazione
del contributo.
Del resto, in tal senso si è pronunciato il Giudice della
giurisdizione, per il quale la giurisdizione del giudice
amministrativo in materia ha per oggetto tutte le
controversie inerenti la pretesa contributiva del Comune in
tale ambito.
... per l'annullamento della sentenza breve del TAR FRIULI
VENEZIA GIULIA-TRIESTE: SEZIONE I n. 00486/2012, resa tra le
parti, concernente appello avverso sentenza con cui il
giudice amministrativo ha dichiarato il difetto di
giurisdizione - emissione da parte di Equitalia di una
cartella di pagamento relativa ad oneri di urbanizzazione
primaria.
...
L’appello è fondato.
Le controversie inerenti la contestazione degli oneri di
urbanizzazione, nel corso delle quali non vengano dedotte
censure derivanti da atti generali autoritativi relativi
alla determinazione degli oneri presupposti di quello
impugnato, attengono, infatti, a posizioni di diritto
soggettivo, azionabili nel termine di prescrizione, innanzi
al giudice amministrativo in sede di giurisdizione
esclusiva.
Detti oneri non hanno, infatti, natura tributaria, bensì
costituiscono un corrispettivo di diritto pubblico avente la
funzione di partecipazione ai costi delle opere di
urbanizzazione, atteso che le controversie che hanno ad
oggetto la legittimità o meno del contributo relativo a
concessione edilizia vertono sull'esistenza o sulla misura
di un’obbligazione direttamente stabilita dalla legge.
La determinazione dell'"an" e del "quantum"
dell'oblazione e del contributo per oneri di urbanizzazione
e per costo di costruzione ha natura paritetica, giacché si
tratta di un mero accertamento dell'obbligazione
contributiva, effettuato dalla p.a. in base a rigidi
parametri prefissati dalla legge e dai regolamenti in tema
di criteri impositivi, nei cui riguardi essa è sfornita di
potestà autoritativa.
Per questo le relative controversie, proprio in quanto
concernono i diritti soggettivi delle parti di detta
obbligazione, sono devolute alla giurisdizione esclusiva del
g.a. di cui all’art. 133, primo co., lett. f).
L'accertamento di un rapporto di credito prescinde
dall'esistenza di atti della p.a. e non è soggetta alle
regole delle impugnazioni e dei termini di decadenza propri
degli atti amministrativi; in applicazione di tale
principio, va quindi esclusa la configurabilità
dell'istituto dell'acquiescenza rispetto alla liquidazione
del contributo (cfr. Consiglio di Stato sez. V 28.05.2012 n.
3122; Consiglio di Stato sez. IV 10.03.2011 n. 1565;
Consiglio Stato sez. V 13.10.2010 n. 7466).
Del resto, in tal senso si è pronunciato il Giudice della
giurisdizione, per il quale la giurisdizione del giudice
amministrativo in materia ha per oggetto tutte le
controversie inerenti la pretesa contributiva del Comune in
tale ambito (cfr. Cass., sez. un., 13.12.2002 n. 1791;
Cassazione civile, sez. un., 20.10.2006 n. 22514) (Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza 21.08.2013
n. 4208 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La regola, posta dalla L.
10/1977 in linea con la Legge Urbanistica, della onerosità
della concessione edilizia, comporta che il concessionario è
tenuto al pagamento di un contributo commisurato
all’incidenza delle spese di urbanizzazione nonché al costo
di costruzione. Il proprietario, infatti, deve assumere gli
oneri relativi alle opere di urbanizzazione primaria e di
una quota parte delle opere di urbanizzazione secondaria
relativa alla lottizzazione o di quelle opere che siano
necessarie per allacciare la zona ai pubblici servizi, in
proporzione all’entità e alle caratteristiche degli
insediamenti delle lottizzazioni.
---------------
Il contributo per il rilascio del permesso di costruire ha
natura di prestazione patrimoniale imposta, di carattere non
tributario, ed ha carattere generale, prescindendo
totalmente o meno delle singole opere di urbanizzazione,
venendo altresì determinato indipendentemente sia
dall'utilità che il concessionario ritrae dal titolo
edificatorio, sia dalle spese effettivamente occorrenti per
realizzare dette opere.
Vanno quindi
esaminate le censure riguardanti il contributo richiesto a
titolo di “oneri di trasformazione territoriale”.
Al riguardo va premesso che la regola, posta dalla L.
10/1977 in linea con la Legge Urbanistica, della onerosità
della concessione edilizia, comporta che il concessionario è
tenuto al pagamento di un contributo commisurato
all’incidenza delle spese di urbanizzazione nonché al costo
di costruzione. Il proprietario, infatti, deve assumere gli
oneri relativi alle opere di urbanizzazione primaria e di
una quota parte delle opere di urbanizzazione secondaria
relativa alla lottizzazione o di quelle opere che siano
necessarie per allacciare la zona ai pubblici servizi, in
proporzione all’entità e alle caratteristiche degli
insediamenti delle lottizzazioni (Cons. Stato, Sez. IV,
06.07.2009, n. 4330; Sez. V, 30.09.1998, n. 1348; Sez. V,
10.06.1998, n. 807).
Analoga disciplina prevede l’art. 19 D.P.R. 380/2001 per le
opere o impianti destinati ad attività industriali o
artigianali dirette alla trasformazione di beni ed alla
prestazione di servizi, per le quali la norma impone “la
corresponsione di un contributo pari alla incidenza delle
opere di urbanizzazione, di quelle necessarie al trattamento
e allo smaltimento dei rifiuti solidi, liquidi e gassosi e
di quelle necessarie alla sistemazione dei luoghi ove ne
siano alterate le caratteristiche. La incidenza di tali
opere è stabilita con deliberazione del consiglio comunale
in base a parametri che la regione definisce con i criteri
di cui al comma 4, lettere a) e b) dell'articolo 16, nonché
in relazione ai tipi di attività produttiva”.
Secondo l’art. 30 della L.R. 6/1979 “Per determinare
l'incidenza delle opere di urbanizzazione inerenti gli
insediamenti industriali ed artigianali, il Comune assume il
costo-base di urbanizzazione stabilito nella tabella H) e
riferito a metro quadro di superficie utile calcolato al
piano (…). Il costo-base di urbanizzazione dedotto dalla
suddetta tabella H) viene successivamente moltiplicato per i
coefficienti stabiliti nella tabella D) e per quelli della
tabella I) relativa al tipo di intervento ed al tipo di
attività produttiva”.
Gli enti locali devono quantificare il costo di
urbanizzazione secondo i principi posti dalla normativa
statale e regionale, nell’ambito delle rispettive
competenze, vigendo in materia la riserva di legge posta
dall’art. 23 Cost. con riferimento alle prestazioni
patrimoniali imposte, quale quelle in esame.
Per pacifica giurisprudenza, infatti, il contributo per il
rilascio del permesso di costruire ha natura di prestazione
patrimoniale imposta, di carattere non tributario, ed ha
carattere generale, prescindendo totalmente o meno delle
singole opere di urbanizzazione, venendo altresì determinato
indipendentemente sia dall'utilità che il concessionario
ritrae dal titolo edificatorio, sia dalle spese
effettivamente occorrenti per realizzare dette opere (cfr.
Cons. Stato, sez. V, 15.12.2005, nr. 7140; id., 06.05.1997,
nr. 462)
(TAR Puglia-Bari, Sez. I,
sentenza 08.08.2013 n. 1237 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L’obbligazione di
pagamento degli oneri di urbanizzazione ha, infatti, natura
causale, essendo strettamente connessa all’attività di
trasformazione del territorio ed alle spese che gravano
sulla comunità per la realizzazione delle infrastrutture e
dei servizi resi necessari da tale attività, al punto che
l’Amministrazione comunale è tenuta alla restituzione delle
somme percepite a tale titolo nel caso di rinuncia o di
inutilizzazione della concessione edilizia e che gli impegni
di pagamento si concretizzano proprio nel momento in cui il
permesso di costruire viene rilasciato.
Come riconosciuto dalla giurisprudenza amministrativa
maggioritaria, l’obbligazione di pagamento degli oneri di
urbanizzazione ha, infatti, natura causale, essendo
strettamente connessa all’attività di trasformazione del
territorio ed alle spese che gravano sulla comunità per la
realizzazione delle infrastrutture e dei servizi resi
necessari da tale attività (cfr. TAR Campania, Napoli, Sez.
VIII, 12.01.2012, n. 108; TAR Piemonte, Sez. I, 01.02.2006
n. 711), al punto che l’Amministrazione comunale è tenuta
alla restituzione delle somme percepite a tale titolo nel
caso di rinuncia o di inutilizzazione della concessione
edilizia (cfr. Cons. St., Sez. V, 23.06.2003 n. 3714) e che
gli impegni di pagamento si concretizzano proprio nel
momento in cui il permesso di costruire viene rilasciato
(cfr. TAR Puglia, Bari, Sez. III, 28.03.2012 n. 617) (TAR Piemonte, Sez. II,
sentenza 06.08.2013 n. 980 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
luglio 2013 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Il computo degli oneri di urbanizzazione non è
attività autoritativa e la contestazione sulla relativa
corresponsione è proponibile nel termine di prescrizione
decennale a prescindere dall'impugnazione dei provvedimenti
adottati o dal sollecito a provvedere in via di autotutela.
Trattasi infatti di determinazione che obbedisce a
prescrizioni desumibili da tabelle, in ordine alla quale
l'Amministrazione comunale si limita ad applicare i detti
parametri, aventi anche per essa natura cogente, con
conseguente esclusione di qualsivoglia discrezionalità.
---------------
Per reperire una definizione di ristrutturazione edilizia è
necessario richiamare l'art. 3, d.P.R. 06.06.2001 n. 380 che
definisce ristrutturazione gli interventi di trasformazione
di organismi edilizi preesistenti in misura tale anche da
condurre alla realizzazione di un organismo edilizio in
tutto diverso dal precedente, mentre considera come “nuova
costruzione” tutti gli interventi di trasformazione del
territorio non rientranti nelle categorie precedentemente
descritte dalla medesima disposizione.
L'elemento discretivo tra le due categorie, ai sensi
dell'art. 3 citato, risiede, dunque, nel fatto che nei casi
di ristrutturazione vi è preesistenza di un manufatto,
elemento invece non richiesto nei casi di nuova costrizione
in cui la trasformazione concerne più propriamente il "solo"
territorio.
Per quanto attiene al soppalco, lo stesso, se non di modeste
dimensioni, per la sua struttura e funzione, comporta un
aumento della superficie utile e rientra nelle ipotesi di
ristrutturazione edilizia.
Nel caso di specie, è emerso nitidamente che è stata mutata
la destinazione d’uso di un sottotetto al primo piano da
uffici ad abitazione del custode con ampliamento della
volumetria dello stesso e sono stati realizzati due
soppalchi di non modeste dimensioni.
Ne deriva che gli interventi edilizi realizzati rientrano
nelle ipotesi di ristrutturazione edilizia, richiamate
dall’art. 5, co. 1, lett. a), della legge regionale.
Ne deriva che erroneamente l’amministrazione ha calcolato
gli oneri concessori applicando il comma 2 della legge
regionale, che, invece, si riferisce alle nuove costruzioni,
mentre avrebbe dovuto tener conto della superficie virtuale
ottenuta dividendo il costo complessivo delle opere oggetto
di concessione per il costo unitario stabilito annualmente
con il decreto ministeriale previsto dall'articolo 6 della
legge 28.01.1977, n. 10.
In via preliminare, il Collegio ritiene di
aderire all’orientamento di quella parte della
giurisprudenza amministrativa, la quale ha precisato che il
computo degli oneri di urbanizzazione non è attività autoritativa e la contestazione sulla relativa
corresponsione è proponibile nel termine di prescrizione
decennale a prescindere dall'impugnazione dei provvedimenti
adottati o dal sollecito a provvedere in via di autotutela;
trattasi infatti di determinazione che obbedisce a
prescrizioni desumibili da tabelle, in ordine alla quale
l'Amministrazione comunale si limita ad applicare i detti
parametri, aventi anche per essa natura cogente, con
conseguente esclusione di qualsivoglia discrezionalità
(cfr., Consiglio di Stato sez. IV, 28.11.2012, n.
6033).
Ciò premesso, in relazione al calcolo dei contributi
concessori la legge della Regione Lombardia 60/1977 e
successive modifiche, prevede espressamente che per le
costruzioni o gli impianti destinati alle attività
industriali o artigianali nonché alle attività turistiche,
commerciali e direzionali, gli oneri sono calcolati al metro
quadrato di superficie lorda complessiva di pavimento,
compresi i piani seminterrati e interrati la cui
destinazione d'uso comporti una permanenza anche temporanea
di persone.
Per gli interventi di restauro, risanamento conservativo e
ristrutturazione, gli oneri di urbanizzazione, se dovuti,
sono riferiti alla superficie virtuale ottenuta dividendo il
costo complessivo delle opere oggetto di concessione per il
costo unitario stabilito annualmente con il decreto
ministeriale previsto dall'articolo 6 della legge 28.01.1977, n. 10, quando si tratta di edifici con destinazione
diversa da quella residenziale.
Tanto premesso in punto di fatto, per vagliare la fondatezza
del ricorso, occorre, quindi, verificare se gli interventi
edilizi realizzati dalla società ricorrente, su edificio con
destinazione diversa da quella residenziale, siano da
qualificare come nuova superficie (secondo l’assunto
dell’amministrazione) ovvero come ristrutturazione o
risanamento conservativo (secondo la ricostruzione della
società ricorrente).
E’ emerso in maniera incontestata che la società ricorrente
ha realizzato un mutamento di destinazione d’uso di un
sottotetto al primo piano da uffici ad abitazione del
custode per ampliamento della stessa, ha installato due
soppalchi metallici, uno di superficie pari a mq. 70 e
l’altro di estensione pari ad una preesistente soletta in
cemento armato.
A parer della società ricorrente, tali interventi edilizi
rappresenterebbero una ristrutturazione o un’ipotesi di
risanamento conservativo, in quanto le presunte maggiori
superfici utili realizzate non sarebbero destinate ad
attività commerciali, ma solo al deposito di merci.
Per reperire una definizione di ristrutturazione edilizia è
necessario richiamare l'art. 3, d.P.R. 06.06.2001 n. 380
che definisce ristrutturazione gli interventi di
trasformazione di organismi edilizi preesistenti in misura
tale anche da condurre alla realizzazione di un organismo
edilizio in tutto diverso dal precedente, mentre considera
come “nuova costruzione” tutti gli interventi di
trasformazione del territorio non rientranti nelle categorie
precedentemente descritte dalla medesima disposizione.
L'elemento discretivo tra le due categorie, ai sensi
dell'art. 3 citato, risiede, dunque, nel fatto che nei casi
di ristrutturazione vi è preesistenza di un manufatto,
elemento invece non richiesto nei casi di nuova costrizione
in cui la trasformazione concerne più propriamente il "solo"
territorio (si veda sul punto anche, TAR Napoli Campania
sez. VIII, 19.04.2012, n. 1827).
Per quanto attiene al soppalco, lo stesso, se non di modeste
dimensioni, per la sua struttura e funzione, comporta un
aumento della superficie utile e rientra nelle ipotesi di
ristrutturazione edilizia (cfr., Consiglio di Stato sez. VI,
08.02.2013, n. 720).
Nel caso di specie, è emerso nitidamente che è stata mutata
la destinazione d’uso di un sottotetto al primo piano da
uffici ad abitazione del custode con ampliamento della
volumetria dello stesso e sono stati realizzati due
soppalchi di non modeste dimensioni.
Ne deriva che gli interventi edilizi realizzati rientrano
nelle ipotesi di ristrutturazione edilizia, richiamate
dall’art. 5, co. 1, lett. a), della legge regionale.
Ne deriva che erroneamente l’amministrazione ha calcolato
gli oneri concessori applicando il comma 2 della legge
regionale, che, invece, si riferisce alle nuove costruzioni,
mentre avrebbe dovuto tener conto della superficie virtuale
ottenuta dividendo il costo complessivo delle opere oggetto
di concessione per il costo unitario stabilito annualmente
con il decreto ministeriale previsto dall'articolo 6 della
legge 28.01.1977, n. 10 (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 26.07.2013 n. 2008 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Sussiste
l'inconfigurabilità di vizi di
difetto di motivazione con riferimento alla determinazione
della somma degli oneri di urbanizzazione, in quanto essa
risulta da un mero calcolo materiale da effettuarsi sulla
base di puntuali indicazioni normative, senza che in
proposito residui un margine di discrezionalità.
Non è pertanto configurabile a carico dell’amministrazione,
nella redazione di tali atti aventi natura paritetica, un
onere di specificare le ragioni della decisione adottata,
sicché l'interessato può solo contestare l'erroneità dei
conteggi effettuati dall'ente.
Orbene, sul punto deve richiamarsi la consolidata
giurisprudenza amministrativa in ordine alla
inconfigurabilità di vizi di difetto di motivazione con
riferimento alla determinazione della somma degli oneri di
urbanizzazione, in quanto essa risulta “da un mero
calcolo materiale da effettuarsi sulla base di puntuali
indicazioni normative, senza che in proposito residui un
margine di discrezionalità. Non è pertanto configurabile a
carico dell’amministrazione, nella redazione di tali atti
aventi natura paritetica, un onere di specificare le ragioni
della decisione adottata, sicché l'interessato può solo
contestare l'erroneità dei conteggi effettuati dall'ente”
(in tal senso, Tar Toscana, sez. III, 18.12.2001, n. 2037;
Tar Campania, Salerno, 21.07.2005, n. 1319; TAR Lazio, Sez.
II, 18.02.2005, n. 1410; TAR Lombardia, Milano, Sez. II,
05.05.2004, n. 1620; TAR Puglia, Lecce, Sez. I, 29.03.2000
n. 1911; TAR Puglia Bari, sez. III, 03.06.2009, n. 1376; TAR
Campania Napoli, sez. VIII, 17.09.2009, n. 4983)
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-bis,
sentenza 18.07.2013 n. 7228 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
maggio 2013 |
|
EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA:
Oggetto: applicazione art. 43, comma 2-bis e seguenti
della l.r. 12/2005 (Regione Lombardia - Direzione
Generale Agricoltura - Sviluppo di Sistemi Forestali,
Agricoltura di Montagna, Uso e Tutela del Suolo Agricolo,
nota 16.05.2013 n. 34319 di prot.).
---------------
... con la presente si forniscono chiarimenti
interpretativi in ordine all’applicazione della
maggiorazione del contributo di costruzione nel caso di
rilascio di titoli abilitativi relativi all’attuazione di
piani di lottizzazioni, piani di intervento integrato o
altre iniziative comunali, alla base dei quali vi sia una
convenzione con l’operatore privato approvata
dall’amministrazione comunale in data antecedente il
12.04.2009 (data di entrata in vigore della norma, ovvero
tre mesi dal 12/01/2009 data di pubblicazione sul B.U.R.L.
della d.g.r. n. 8757/2008). (... continua). |
EDILIZIA PRIVATA:
Oneri di edificazione in area agricola.
Per interventi di nuova edificazione, a destinazione
turistico-residenziale, ancorché realizzati in via
eccezionale e derogatoria in zona agricola o a prevalente
vocazione rurale, l’incidenza degli oneri di urbanizzazione,
proprio in funzione della più marcata ed evidente incidenza
dei suddetti interventi sul territorio e in vista della
necessaria maggiore infrastrutturazione, non possono
comportare scostamenti dai coefficienti relativi ad altri
usi di natura residenziale.
D’altro canto è di intuitiva evidenza che per interventi di
nuova edificazione, a destinazione turistico-residenziale,
ancorché realizzati in via eccezionale e derogatoria in zona
agricola o a prevalente vocazione rurale, l’incidenza degli
oneri di urbanizzazione, proprio in funzione della più
marcata ed evidente incidenza dei suddetti interventi sul
territorio e in vista della necessaria maggiore
infrastrutturazione, non possono comportare scostamenti dai
coefficienti relativi ad altri usi di natura residenziale
(massima tratta da www.lexambiente.it -
Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 16.05.2013 n. 2673 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: I
contributi concessori devono essere stabiliti al momento del
rilascio del permesso edilizio; a tale momento occorre
dunque avere riguardo per la determinazione della entità
dell’onere facendo applicazione della normativa vigente al
momento del rilascio del titolo edilizio.
Da tale affermazione di principio si trae il corollario
della irretroattività delle determinazioni comunali a
carattere regolamentare con cui vengono stabiliti i criteri
generali, le nuove tariffe e le modalità di calcolo per gli
oneri di urbanizzazione ribadendosi l'integrale applicazione
del principio tempus regit actum e quindi la irrilevanza ed
ininfluenza di disposizioni tariffarie sopravvenute rispetto
al momento del rilascio della concessione edilizia.
Di conseguenza deve ritenersi che le delibere comunali che
dispongono l'adeguamento degli oneri di urbanizzazione
possano trovare applicazione esclusivamente per i permessi
rilasciati a far tempo dall'epoca di adozione dell'atto
deliberativo e non anche per quelli rilasciati in epoca
anteriore.
Secondo l’orientamento consolidato della giurisprudenza,
fondato sullo stesso tenore letterale dell’art. 16 DPR
380/2001 (“la quota di contributo relativa agli oneri di
urbanizzazione è corrisposta al Comune all'atto del rilascio
del permesso di costruire” e “la quota di contributo
relativa al costo di costruzione, determinata all'atto del
rilascio...”) i contributi concessori devono essere stabiliti
al momento del rilascio del permesso edilizio; a tale
momento occorre dunque avere riguardo per la determinazione
della entità dell’onere facendo applicazione della normativa
vigente al momento del rilascio del titolo edilizio.
Da tale affermazione di principio si trae il corollario
della irretroattività delle determinazioni comunali a
carattere regolamentare con cui vengono stabiliti i criteri
generali, le nuove tariffe e le modalità di calcolo per gli
oneri di urbanizzazione ribadendosi l'integrale applicazione
del principio tempus regit actum e quindi la irrilevanza ed
ininfluenza di disposizioni tariffarie sopravvenute rispetto
al momento del rilascio della concessione edilizia.
Di conseguenza deve ritenersi che le delibere comunali che
dispongono l'adeguamento degli oneri di urbanizzazione
possano trovare applicazione esclusivamente per i permessi
rilasciati a far tempo dall'epoca di adozione dell'atto
deliberativo e non anche per quelli rilasciati in epoca
anteriore
(TAR Puglia-Lecce, Sez. III,
sentenza 15.05.2013 n. 1103 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
In ordine alla gratuità degli interventi in zona
agricola, l’art. 9, comma 1, lett. a), della l. n. 10 del
1977 (oggi art. 17, co. 3, lett. a), t.u. edilizia) prevede
una duplice condizione:
a) che la zona di intervento abbia nello strumento
urbanistico destinazione agricola;
b) che l’intervento sia funzionale allo sfruttamento
agricolo del fondo.
Non è sufficiente quindi la destinazione agricola dell’area
interessata dalla costruzione, essendo, invece, necessaria
la concorrenza della destinazione della costruzione allo
sfruttamento del fondo che presuppone la qualità soggettiva
del richiedente, di imprenditore agricolo a titolo
principale.
In ordine al requisito soggettivo, poi, la giurisprudenza è
univoca nell’interpretazione restrittiva della norma, sì da
delimitarne l’ambito esclusivamente all’imprenditore
agricolo a titolo principale ai sensi dell’art. 12, l.
09.05.1975, n. 153.
La gratuità della concessione edilizia è, dunque, prevista
ove concorrano qualità soggettive del richiedente,
che deve essere imprenditore agricolo a titolo principale, e
qualità oggettive del fabbricato da erigersi.
In ordine alla gratuità degli interventi in zona agricola, l’art. 9,
comma 1, lett. a), della l. n. 10 del 1977 (oggi art. 17, co.
3, lett. a), t.u. edilizia), rinviando all’art. 12 della l.
09.05.1975, n. 153 (successivamente abrogato dall’art. 1
del d.lgs. 29.03.2004 n. 99 a sua volta modificato
dall’art. 1 d.lgs. 27.05.2005, n. 101), prevede una
duplice condizione:
a) che la zona di intervento abbia nello strumento
urbanistico destinazione agricola;
b) che l’intervento sia funzionale allo sfruttamento
agricolo del fondo.
Non è sufficiente quindi la destinazione agricola dell’area
interessata dalla costruzione, essendo, invece, necessaria
la concorrenza della destinazione della costruzione allo
sfruttamento del fondo che presuppone la qualità soggettiva
del richiedente, di imprenditore agricolo a titolo
principale.
In ordine al requisito soggettivo, poi, la giurisprudenza è
univoca nell’interpretazione restrittiva della norma, sì da
delimitarne l’ambito esclusivamente all’imprenditore
agricolo a titolo principale ai sensi dell’art. 12, l. 09.05.1975, n. 153 (cfr. Cons. Stato, sez. V,
02.09.1990, n. 682; TAR Sicilia, Catania, sez. I, 03.10.2005,
n. 1533; Palermo, sez. I, 15.07.2004, n. 1554).
La gratuità della concessione edilizia è, dunque, prevista
ove concorrano qualità soggettive del richiedente, che deve
essere imprenditore agricolo a titolo principale, e qualità
oggettive del fabbricato da erigersi.
Nel caso non sussistevano tali requisiti soggettivi, in
disparte ogni considerazione sul tipo di costruzione,
consistente nell’ampliamento di una villa residenziale
destinata ad abitazione permanente, che per struttura è ben
lontana da potersi ritenere destinata a scopi agricoli.
Quanto all’asserita applicabilità della esenzione al
fabbricato da destinare ad abitazione dell’imprenditore
agricolo, in disparte la questione di principio
sull’ammissibilità della interpretazione estensiva di una
norma derogatoria, nel caso non poteva trovare ingresso
l’esenzione non avendo mai la ricorrente provato la qualità
di imprenditore agricolo ai sensi della richiamata l. n. 153
del 1975, che deve coesistere con la destinazione
dell’intervento alla destinazione agricola.
In conclusione, il Sindaco legittimamente ha richiesto il
pagamento degli oneri contemplati dall’art. 3 della l.
28.01.1977, n. 10 per il rilascio della concessione edilizia
in questione, in mancanza di allegazione da parte
dell’istante della documentazione attestante il possesso dei
requisiti per beneficiare di siffatta esenzione (in termini,
Cons. Stato, sez. V, 02.09.1990, n. 682) (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 14.05.2013 n. 2609 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: RISTRUTTURAZIONI/ Dia salva dai rincari.
L'urbanizzazione alla data dell'istanza.
Se il Comune aumenta gli oneri di urbanizzazione per gli
interventi edilizi, non può farne le spese chi ha già
presentato la Dia per ristrutturare l'immobile.
È quanto
emerge dalla
sentenza
13.05.2013 n. 2593, pubblicata dalla IV Sez. del Consiglio di
Stato, che rovescia la sentenza del
Tar Lombardia.
Tempus regit actum
L'amministrazione deve restituire la somma cautelativamente
versata dall'azienda «a seguito di illegittima richiesta»,
ma evita il risarcimento del danno grazie alla buona fede:
l'ente locale ha aderito all'orientamento interpretativo
prevalente al momento in cui il consiglio comunale ha
deliberato il rincaro.
Il punto è che la Dia costituisce in
pratica un'autocertificazione con cui il privato attesta che
al momento della dichiarazione sussistono le condizioni
stabilite dalla legge per la realizzazione dell'intervento:
sulla denuncia la pubblica amministrazione svolge poi
un'eventuale attività di controllo; si può allora ben
comprendere come l'attività di verifica dell'ente debba
avere come esclusivo riferimento la normativa vigente al
momento della presentazione dell'istanza e non la normativa
sopravvenuta. Che dunque diventa irrilevante, compreso il
caso del rincaro degli oneri.
Legittimo affidamento
Va detto poi che deve essere tutelato il legittimo
affidamento del privato che deve poter programmare la sua
attività economica con un minimo di certezza: passa dunque
la tesi dell'azienda che fa i lavori all'immobile laddove
sostiene che la determinazione dei contributi urbanistici da
parte dell'amministrazione costituisce un'attività di tipo
«paritetico e non autoritativo»; insomma: è evidente
che in caso di rideterminazione o modifica unilaterale
dell'onere dovuto la pubblica amministrazione non può
limitarsi ad emettere un atto sostitutivo.
L'amministrazione può avere titolo a rideterminare l'importo
soltanto se il precedente conteggio è stato frutto di un
errore essenziale e riconoscibile ai sensi dell'articolo
1427 cc e seguenti. Pesa a favore dell'impresa il principio
generale di tutela dell'affidamento dei privati, che è
considerato un canone incluso nell'ordinamento giuridico
comunitario. Spese compensate dei due gradi di giudizio a
causa della giurisprudenza oscillante (articolo
ItaliaOggi Sette del 26.08.2013). |
EDILIZIA PRIVATA:
Afferma il Collegio che la misura degli oneri di
urbanizzazione deve essere definita sulla base dell’impatto
urbanistico del progetto, secondo la tabella in vigore nel
comune interessato.
Qualora il progetto riguardi la ristrutturazione di un
edificio esistente il suo impatto è destinato ad incidere su
una zona già urbanizzata per cui la sua incidenza sarà data
dalla consistenza del nuovo intervento detratto l’impatto di
quanto già esistente (sostanzialmente in termini C. di S.,
V, 21.04.2006, n. 2258: “la determinazione dell’onere dovuto
per il rilascio della concessione costituisce, dunque, il
risultato di un calcolo materiale, essendo la misura
concreta direttamente collegata dalla legge al carico
urbanistico accertato secondo parametri rigorosamente
stabiliti”).
Da tale affermazione consegue che qualora il comune ometta,
come l’odierno appellato, di determinare specificamente la
misura del contributo da corrispondere per interventi di
ristrutturazione edilizia, quest’ultimo dovrà essere
determinato secondo il principio appena esposto.
Non giova, evidentemente, invocare una consuetudine alla
quale non può essere attribuita efficacia normativa e
nemmeno può essere data rilevanza a considerazioni attinenti
la particolare fruttuosità economica dell’operazione che il
Comune deve, se del caso, tenere presenti in sede di
determinazione delle tabelle.
Rimane da decidere l’ultima censura.
L’appellante sottolinea, condivisibilmente, che la sua
argomentazione non è stata rettamente intesa dal primo
giudice il quale ha argomentato la pronuncia di rigetto
sulla base di una divergenza, fra l’appellante e
l’Amministrazione, in ordine alla determinazione della
superficie sulla cui base calcolare il contributo, mentre la
divergenza riguarda il sistema di calcolo seguito
dall’Amministrazione.
L’appellante ribadisce quindi che illegittimamente le
delibere comunali impugnate hanno determinato nella stessa
misura il contributo per opere di urbanizzazione dovuto in
caso di nuova edificazione ed in caso di ristrutturazione
dell’esistente osservando inoltre che anche a prescindere da
tale argomentazione il Comune appellato avrebbe male
determinato, in concreto, il contributo, avendo omesso di
detrarre dal computo definitivo la somma corrispondente agli
oneri relativi al manufatto già edificato, interessato dal
progetto di ristrutturazione.
Osserva il Collegio che la doglianza può essere affrontata
sotto quest’ultimo profilo, che meglio descrive
l’illegittimità nella quale sarebbe incorsa
l’Amministrazione.
Infatti, assumere l’obbligo, per l’Amministrazione, di
tenere conto del già costruito all’atto della determinazione
del contributo dovuto per un intervento di ristrutturazione
delinea la compiuta disciplina della materia, stabilendo il
discrimine fra intervento di nuova costruzione ed intervento
di ristrutturazione.
In sostanza, la stessa appellante afferma che in caso di
ristrutturazione il contributo dovuto è pari a quello
previsto per la nuova edificazione, detratto quanto
corrispondente al maggior onere urbanistico provocato
dall’edificio preesistente.
Tale argomentazione è condivisa dal Collegio.
Deve essere rilevato come in realtà l’esattezza della tesi
non sia contestata dal Comune appellato il quale nella
relazione depositata in esecuzione della sentenza parziale
di cui in narrativa ha espressamente ammesso che
“l’applicazione del contributo venne all’epoca effettuata
senza conguaglio, ritenendo che questo dovesse essere in
effetti calcolato in base alla quota percentuale fissata dal
Comune per gli interventi di nuova costruzione e non di
ristrutturazione in base alla considerazione che la
struttura fu interessata da importanti interventi di
ristrutturazione inoltre gli oneri allora vigenti non
prevedevano un diverso importo per i casi di
ristrutturazione bensì una sola tariffa.”
Prosegue la relazione affermando che “resta inteso che tale
modalità operativa era una consuetudine ed una facoltà
ammessa per legge pertanto gli importi degli oneri dovuti
non furono calcolati a conguaglio proprio in ragione del
fatto che la variazione della destinazione era anche
finalizzata a stipulare contratti locativi che avrebbero
garantito una forte redditività immobiliare al gruppo
bancario”.
Lo stesso Comune quindi ammette che la decisione di non
considerare, nella determinazione del contributo, il già
costruito era stata basata su una consuetudine, legittimata
dall’evidente convenienza economica dell’operazione
immobiliare in progetto.
E’ evidente che tali considerazioni non possono avere
rilievo.
Afferma il Collegio che la misura degli oneri di cui si
tratta deve essere definita sulla base dell’impatto
urbanistico del progetto, secondo la tabella in vigore nel
comune interessato.
Qualora il progetto riguardi la ristrutturazione di un
edificio esistente il suo impatto è destinato ad incidere su
una zona già urbanizzata per cui la sua incidenza sarà data
dalla consistenza del nuovo intervento detratto l’impatto di
quanto già esistente (sostanzialmente in termini C. di S.,
V, 21.04.2006, n. 2258: “la determinazione dell’onere
dovuto per il rilascio della concessione costituisce,
dunque, il risultato di un calcolo materiale, essendo la
misura concreta direttamente collegata dalla legge al carico
urbanistico accertato secondo parametri rigorosamente
stabiliti”).
Da tale affermazione consegue che qualora il comune ometta,
come l’odierno appellato, di determinare specificamente la
misura del contributo da corrispondere per interventi di
ristrutturazione edilizia, quest’ultimo dovrà essere
determinato secondo il principio appena esposto.
Non giova, evidentemente, invocare una consuetudine alla
quale non può essere attribuita efficacia normativa e
nemmeno può essere data rilevanza a considerazioni attinenti
la particolare fruttuosità economica dell’operazione che il
Comune deve, se del caso, tenere presenti in sede di
determinazione delle tabelle (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 13.05.2014 n. 2437 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Premesso che il contributo di costruzione è posto
a carico del costruttore a titolo di partecipazione del
concessionario ai costi delle opere di urbanizzazione in
proporzione all'insieme dei benefici che la nuova
costruzione ne ritrae, la deroga alla onerosità della
concessione ricorre nelle ipotesi tassativamente previste
dalla legge e, per quanto attiene in particolare la lettera
f) dell’art. 9, l. citata, se ricorrano due requisiti
che devono entrambi concorrere per fondare lo speciale
regime di gratuità della concessione, l'uno di tipo
soggettivo, per effetto del quale le opere devono essere
eseguite da un ente istituzionalmente competente e
l'altro di carattere oggettivo per effetto del quale la
costruzione deve riguardare opere pubbliche o di interesse
generale.
Nella fattispecie difettano entrambi i requisiti. Invero, il
titolare della concessione edilizia non riveste lo status di
soggetto pubblico o equiparato, essendo invece una società
privata che svolge un’attività commerciale, e l'intervento
realizzato non costituisce espletamento di un'attività
istituzionale o di interesse pubblico, essendo le opere
edilizie in questione (un complesso ricettivo per anziani)
palesemente finalizzate ad assecondare le finalità di lucro
proprie del soggetto di diritto privato.
-----------------
Deve escludersi la configurazione dell’intervento edilizio
quale attrezzatura socio–sanitaria e, quindi, quale opera di
urbanizzazione secondaria.
Infatti, trattasi di un complesso immobiliare di circa
16.000 metri cubi da destinare a “residenze e servizi per
anziani”, della superficie di metri quadrati 22.710,
articolata in 36 mono-alloggi e 36 camere multiple dotate di
bagni e servizio autonomo di cucina.
Dal punto di vista strutturale va, quindi, evidenziata una
prevalente configurazione di tipo ricettivo o residenziale,
piuttosto che quella di una struttura sanitaria, essendo
quest’ultima caratterizzata dalla prevalenza di spazi
destinati alla prestazione di servizi propriamente sanitari,
mentre, nel caso i servizi ambulatoriali raggiungono
complessivamente i 300 metri quadri, a fronte dei servizi
residenziali che coprono in tutto una superficie pari a
6.700 metri quadrati.
Non sussistono, quindi, le caratteristiche che consentano di
annoverare la struttura tra quelle sanitarie in senso
proprio, mancando la prevalenza di spazi destinati alla
prestazione di servizi propriamente sanitari.
Ne consegue che l’intervento edilizio non è assolutamente
assimilabile ad una struttura sanitaria e non costituisce di
conseguenza opera di urbanizzazione.
Peraltro, le opere di urbanizzazione secondaria sono
caratterizzate dalla destinazione prioritaria all’uso della
generalità degli utenti o, comunque, ad essere messe a
disposizione dell'intera collettività, anche se dietro
pagamento di un corrispettivo fissato dal Comune in misura
tale che consenta il godimento da parte della collettività
indifferenziata degli utenti.
---------------
L'art. 10 della legge 28.01.1977 n. 10 distingue, ai fini
della determinazione del contributo del costo di
costruzione, gli edifici o gli impianti destinati ad
attività industriale e artigianale dirette alla
trasformazione dei beni e alla prestazione di servizi, dalle
costruzioni od impianti destinati ad attività turistiche,
commerciali o direzionali, prevedendo per i primi manufatti
le agevolazioni contributive ed escludendole per i secondi.
La concessione edilizia qui in questione non rientra tra gli
impianti destinati ad attività produttive.
Ad escludere la configurazione di un complesso alberghiero
come un'attività produttiva è proprio il dettato normativo
sopra indicato che menziona espressamente gli impianti
turistici tra i manufatti per i quali il legislatore in base
ad una scelta insindacabile ha ritenuto non possa farsi
luogo alla concessione del beneficio de quo e non v'è dubbio
che l'esistenza di un siffatto dato normativo è di per sé
preclusivo di quale che sia interpretazione estensiva.
E questo a prescindere dall'utilizzo dei normali canoni
ermeneutici per cui riesce veramente difficile equiparare un
complesso di immobili destinati ad un'attività ricettizia ad
un'attività industriale di produzione di beni e servizi.
Il Comune di Firenze rilasciava alla società “La
Fontenuova s.r.l.” concessione edilizia per la
realizzazione di un complesso immobiliare da destinare a “residenza
e servizi per anziani” (concessione edilizia n. 163 del
2000), determinando gli oneri ed i contributi di cui alla l.
28.01.1977, n. 10 in lire 517.886.416 per urbanizzazioni
primarie; lire 222.628.002 per urbanizzazioni secondarie;
lire 1.156.335.850 per contributo sul costo di costruzione.
La società Fontenuova con ricorso al TAR Toscana gravava la
suddetta concessione edilizia, assumendone la gratuità ai
sensi dell’art. 9, lett. f), della l. n. 10 del 1977 e, in
subordine, la parziale gratuità, con esenzione dal solo
costo di costruzione ai sensi dell’art. 10, della medesima
legge n. 10 del 1977.
Con sentenza n. 1819 del 06.12.2001, il Tribunale
Amministrativo Regionale per la Toscana respingeva il
ricorso, non ravvisando nella concessione edilizia di cui
trattasi le caratteristiche previste dalla legge per le
ipotesi di gratuità totale o parziale.
La società La Fontenuova ha proposto appello avverso la
suddetta sentenza di cui chiede l’annullamento o la riforma
perché erronea alla stregua dei seguenti motivi:
- violazione dell’articolo 9, lettera f), della l. n. 10 del
1977, che prevede l’esenzione del contributo per le
concessioni rilasciate per la realizzazione di opere
pubbliche o di interesse generale da parte degli enti
istituzionalmente competenti, ovvero nel caso di opere di
urbanizzazioni eseguite anche da privati in attuazione di
strumenti urbanistici generali;
- violazione dell’art. 10, comma 1, della l. n. 10 del 1977,
che esenta dal pagamento del costo di costruzione le
concessioni edilizie volte alla realizzazione di strutture
destinate ad un’attività di tipo industriale.
...
L’art. 9, lettera f), della l. 28.01.1977, n. 10 -richiamata
dalla società appellante a sostegno del gravame- stabilisce
che “Il contributo di cui al precedente articolo 3 non è
dovuto (…) f) per gli impianti, le attrezzature, le opere
pubbliche o di interesse generale realizzate dagli enti
istituzionalmente competenti nonché per le opere di
urbanizzazione, eseguite anche da privati, in attuazione di
strumenti urbanistici”.
Premesso che il contributo di costruzione è posto a carico
del costruttore a titolo di partecipazione del
concessionario ai costi delle opere di urbanizzazione in
proporzione all'insieme dei benefici che la nuova
costruzione ne ritrae (cfr., Cons. Stato Sez. V, 21.04.2006
n. 2258), la deroga alla onerosità della concessione ricorre
nelle ipotesi tassativamente previste dalla legge e, per
quanto attiene in particolare la lettera f) dell’art. 9, l.
citata, se ricorrano due requisiti che devono
entrambi concorrere per fondare lo speciale regime di
gratuità della concessione, l'uno di tipo soggettivo,
per effetto del quale le opere devono essere eseguite da un
ente istituzionalmente competente e l'altro di
carattere oggettivo per effetto del quale la costruzione
deve riguardare opere pubbliche o di interesse generale
(cfr. Sez. V, 20.10.2004 n. 6818; Sez. VI, 05.06.2007
n.2981; Cons. Stato Sez. IV, 02.03.2011, n. 1332).
Nella fattispecie difettano entrambi i requisiti.
Il titolare della concessione edilizia non riveste lo
status di soggetto pubblico o equiparato, essendo invece
una società privata che svolge un’attività commerciale, e
l'intervento realizzato non costituisce espletamento di
un'attività istituzionale o di interesse pubblico, essendo
le opere edilizie in questione (un complesso ricettivo per
anziani) palesemente finalizzate ad assecondare le finalità
di lucro proprie del soggetto di diritto privato.
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Sotto altro profilo deve escludersi la configurazione
dell’intervento quale attrezzatura socio–sanitaria e,
quindi, quale opera di urbanizzazione secondaria.
L’intervento edilizio di cui trattasi consiste, infatti, in
un complesso immobiliare di circa 16.000 metri cubi da
destinare a “residenze e servizi per anziani”
realizzato su un’area di particolare pregio paesaggistico
sita in Firenze, della superficie di metri quadrati 22.710,
articolata in 36 mono-alloggi e 36 camere multiple dotate di
bagni e servizio autonomo di cucina.
Dal punto di vista strutturale va, quindi, evidenziata una
prevalente configurazione di tipo ricettivo o residenziale,
piuttosto che quella di una struttura sanitaria, essendo
quest’ultima caratterizzata dalla prevalenza di spazi
destinati alla prestazione di servizi propriamente sanitari,
mentre, nel caso i servizi ambulatoriali raggiungono
complessivamente i 300 metri quadri, a fronte dei servizi
residenziali che coprono in tutto una superficie pari a
6.700 metri quadrati.
Non sussistono, quindi, le caratteristiche che consentano di
annoverare la struttura tra quelle sanitarie in senso
proprio, mancando la prevalenza di spazi destinati alla
prestazione di servizi propriamente sanitari.
Ne consegue che l’intervento edilizio non è assolutamente
assimilabile ad una struttura sanitaria e non costituisce di
conseguenza opera di urbanizzazione.
Peraltro, le opere di urbanizzazione secondaria sono
caratterizzate dalla destinazione prioritaria all’uso della
generalità degli utenti o, comunque, ad essere messe a
disposizione dell'intera collettività, anche se dietro
pagamento di un corrispettivo fissato dal Comune in misura
tale che consenta il godimento da parte della collettività
indifferenziata degli utenti.
Caratteristiche che non ricorrono nel caso della struttura
realizzata dalla società appellante.
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L'art. 10 della legge 28.01.1977 n. 10 distingue, ai fini
della determinazione del contributo del costo di
costruzione, gli edifici o gli impianti destinati ad
attività industriale e artigianale dirette alla
trasformazione dei beni e alla prestazione di servizi, dalle
costruzioni od impianti destinati ad attività turistiche,
commerciali o direzionali, prevedendo per i primi manufatti
le agevolazioni contributive ed escludendole per i secondi.
La concessione edilizia qui in questione non rientra tra gli
impianti destinati ad attività produttive.
Ad escludere la configurazione di un complesso alberghiero
come un'attività produttiva è proprio il dettato normativo
sopra indicato che menziona espressamente gli impianti
turistici tra i manufatti per i quali il legislatore in base
ad una scelta insindacabile ha ritenuto non possa farsi
luogo alla concessione del beneficio de quo e non v'è
dubbio che l'esistenza di un siffatto dato normativo è di
per sé preclusivo di quale che sia interpretazione
estensiva.
E questo a prescindere dall'utilizzo dei normali canoni
ermeneutici per cui riesce veramente difficile equiparare un
complesso di immobili destinati ad un'attività ricettizia ad
un'attività industriale di produzione di beni e servizi
(cfr., Cons. Stato, sez. IV, n. 4488 del 12.07.2010)
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 07.05.2013 n. 2467 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L'obbligazione di corrispondere il contributo per
il rilascio della concessione edilizia ha origine legale e
rinviene il suo fatto costitutivo nell'attribuzione al
richiedente, mediante il titolo concessorio, dello ius
aedificandi avente ad oggetto il progetto assentito
dall'Amministrazione.
Sicché, la disciplina regolatrice della suddetta
obbligazione, anche nei suoi aspetti quantitativi, non può
che essere individuata sulla scorta del principio di diritto
intertemporale in base al quale tempus regit actum, ovvero
con riferimento alle norme ed ai criteri di computo vigenti
alla data di rilascio della concessione.
A tale conclusione interpretativa è del resto pervenuta la
stessa pregressa giurisprudenza, avendo essa affermato che
"ai sensi dell'art. 1 della legge 28.01.1977 n. 10, il
rilascio della concessione edilizia si configura come fatto
costitutivo dell'obbligo giuridico del concessionario di
corrispondere il contributo ed è a tale momento che occorre
riferirsi per la determinazione dell'entità del contributo
stesso in base ai parametri normativi allora vigenti".
Come è noto, l'obbligazione di
corrispondere il contributo per il rilascio della
concessione edilizia ha origine legale e rinviene il suo
fatto costitutivo nell'attribuzione al richiedente, mediante
il titolo concessorio, dello ius aedificandi avente ad
oggetto il progetto assentito dall'Amministrazione.
Consegue immediatamente, da tale rilievo, che la disciplina
regolatrice della suddetta obbligazione, anche nei suoi
aspetti quantitativi, non può che essere individuata sulla
scorta del principio di diritto intertemporale in base al
quale tempus regit actum, ovvero con riferimento alle norme
ed ai criteri di computo vigenti alla data di rilascio della
concessione.
A tale conclusione interpretativa è del resto pervenuta la
stessa pregressa giurisprudenza, avendo essa affermato che
"ai sensi dell'art. 1 della legge 28.01.1977 n. 10, il
rilascio della concessione edilizia si configura come fatto
costitutivo dell'obbligo giuridico del concessionario di
corrispondere il contributo ed è a tale momento che occorre
riferirsi per la determinazione dell'entità del contributo
stesso in base ai parametri normativi allora vigenti" (cfr.
Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 1071 del 25.10.1993)
(TAR Campania-Salerno, Sez. I,
sentenza 02.05.2013 n. 1026 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
aprile 2013 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Elettrosmog. Legittimità contributo per il costo di
costruzione di una stazione radio base.
E' legittima la richiesta del contributo per il costo di
costruzione di una stazione radio base, in applicazione del
regolamento comunale.
L’installazione di stazioni radio
base, seppur sottoposta al procedimento autorizzatorio
semplificato previsto dal codice delle
comunicazioni, costituisce comunque un’attività
edilizia che, qualora il codice stesso non
prevedesse alcunché, richiederebbe il rilascio del
permesso di costruire, con obbligo di pagamento del
connesso contributo.
In altri termini, la semplificazione introdotta dal
d.lgs. n. 259/2003 opera esclusivamente sul piano
procedimentale, ma non comporta che l’installazione
delle stazioni radio base sia esclusa dal contributo
previsto dal legislatore per tutte le attività
edilizie assoggettate a permesso di costruire.
Non è corretto il riferimento all’art. 93 del d.lgs.
n. 259/2003, il quale, laddove introduce il divieto
per le Pubbliche Amministrazioni di imporre oneri o
canoni che non siano stabiliti per legge, si limita
a prevedere una riserva di legge per l’imposizione
di nuovi oneri o canoni, ferme restando le leggi in
materia edilizia (art. 16 del d.p.r. n. 380/2001),
quest’ultime, dunque, subordinano le attività
soggette a permesso di costruire al pagamento del
contributo relativo al costo di costruzione.
Non depone in senso contrario l’art. 17, comma 3,
del d.p.r. n. 380/2001, il quale esonera dal
predetto contributo le opere di interesse generale e
le opere di urbanizzazione, sempre che le stesse
siano espressamente previste negli strumenti
urbanistici. Invero tale norma non dispone
un’esenzione generalizzata, ma subordinata alla
specifica previsione dell’opera nello strumento
urbanistico.
---------------
Il contributo relativo al costo di costruzione trova
fondamento in specifiche norme sull’attività
edilizia, comprendente le modifiche dell’assetto del
territorio prodotte, come nel caso di specie,
dall’installazione di stazioni radio base.
Su tale aspetto, oggetto della disciplina di cui al
d.p.r. n. 380/2001, non interferiscono le suddette
direttive, riguardanti questioni procedimentali che
non escludono la potestà del Comune di esigere i
contributi economici connessi alla trasformazione
del territorio.
---------------
E' legittima la previsione regolamentare che
quantifica nella misura di euro 380.000,00 il costo
medio di realizzazione di un impianto di telefonia
sul quale viene applicata la percentuale del costo
di costruzione pari al 10%.
Invero, qualora il costo di realizzazione della
stazione radio base della ricorrente fosse superiore
a quello indicato dall’art. 14 del regolamento, la
stessa non riceverebbe alcun pregiudizio
dall’applicazione della norma, in quanto l’auspicato
riferimento dell’Amministrazione al costo effettivo
esporrebbe la società istante ad un più elevato
onere economico.
Né appare sproporzionata la percentuale applicata
dal Comune di Carrara (10%), a fronte dell’art. 16
del d.p.r. n. 380/2001 e dell’art. 121 della L.R. n.
1/2005, i quali demandano all’Ente la determinazione
discrezionale di una quota variabile dal 5% al 20%
del costo di costruzione.
Con la prima censura la ricorrente sostiene
che il manufatto in questione, essendo assimilabile
alle opere di urbanizzazione primaria e rivestendo
interesse generale, è esonerato, per effetto
dell’art. 17 del d.p.r. n. 380/2001 e dell’art. 124
della L.R. n. 1/2005, dal pagamento del costo di
costruzione, come è confermato dall’art. 93 del
d.lgs. n. 259/2003, che vieta l’imposizione di oneri
o canoni per l’impianto di reti o per l’esercizio
dei servizi di comunicazione elettronica.
Il rilievo è infondato.
L’installazione di stazioni radio base, seppur
sottoposta al procedimento autorizzatorio
semplificato previsto dal codice delle
comunicazioni, costituisce comunque un’attività
edilizia che, qualora il codice stesso non
prevedesse alcunché, richiederebbe il rilascio del
permesso di costruire, con obbligo di pagamento del
connesso contributo. In altri termini, la
semplificazione introdotta dal d.lgs. n. 259/2003
opera esclusivamente sul piano procedimentale, ma
non comporta che l’installazione delle stazioni
radio base sia esclusa dal contributo previsto dal
legislatore per tutte le attività edilizie
assoggettate a permesso di costruire.
Pertanto emerge l’infondatezza del riferimento, da
parte della deducente, all’art. 93 del d.lgs. n.
259/2003, il quale, laddove introduce il divieto per
le Pubbliche Amministrazioni di imporre oneri o
canoni che non siano stabiliti per legge, si limita
a prevedere una riserva di legge per l’imposizione
di nuovi oneri o canoni, ferme restando le leggi in
materia edilizia (art. 16 del d.p.r. n. 380/2001 e
art. 119 della L.R. n. 1/2005); quest’ultime
subordinano le attività soggette a permesso di
costruire al pagamento del contributo relativo al
costo di costruzione e legittimano quindi gli atti
impugnati (TAR Toscana, I, 11.09.2008, n. 1950).
Non depone in senso contrario l’art. 17, comma 3,
del d.p.r. n. 380/2001, il quale esonera dal
predetto contributo le opere di interesse generale e
le opere di urbanizzazione, sempre che le stesse
siano espressamente previste negli strumenti
urbanistici. Invero tale norma non dispone
un’esenzione generalizzata, ma subordinata alla
specifica previsione dell’opera nello strumento
urbanistico; previsione che, nel caso in esame, non
sussiste.
Ad analoghe conclusioni si presta l’art. 124 della
L.R. n. 1/2005, il quale esonera dall’obbligo del
pagamento del contributo gli impianti, le opere di
interesse pubblico e le opere di urbanizzazione,
ancorché eseguite da privati, alla condizione che vi
sia una convenzione tra gli stessi ed il Comune.
Tuttavia, non è stata sottoscritta alcuna
convenzione dalla ricorrente e dal Comune di
Carrara, con la conseguenza che non sussistono i
presupposti di applicazione nemmeno della norma
regionale.
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La terza
doglianza è incentrata sulla violazione delle
direttive 2002/19/CE, 2002/20/CE e 2002/22/CE, le
quali, ispirate ai principi di semplificazione,
trasparenza e celerità dei procedimenti
autorizzatori, non contemplano oneri a carico dei
gestori.
Il rilievo non ha pregio.
Il contributo relativo al costo di costruzione trova
fondamento in specifiche norme sull’attività
edilizia, comprendente le modifiche dell’assetto del
territorio prodotte, come nel caso di specie,
dall’installazione di stazioni radio base. Su tale
aspetto, oggetto della disciplina di cui al d.p.r.
n. 380/2001, non interferiscono le suddette
direttive, riguardanti questioni procedimentali che
non escludono la potestà del Comune di esigere i
contributi economici connessi alla trasformazione
del territorio.
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Con il quarto motivo l’esponente deduce che
l’art. 14 del contestato regolamento comunale
quantifica arbitrariamente, senza approfondimenti
istruttori e in modo indifferenziato, astratto e
aprioristico, nella misura di euro 380.000, il costo
medio di realizzazione di un impianto di telefonia
sul quale viene applicata la percentuale del costo
di costruzione pari al 10%.
La censura è inammissibile.
La ricorrente non ha specificato in alcun modo il
costo di realizzazione del proprio impianto,
omettendo così di fornire prova circa la natura
concretamente lesiva, nei suoi confronti, della
contestata quantificazione del contributo.
Invero, qualora il costo di realizzazione della
stazione radio base della ricorrente fosse superiore
a quello indicato dall’art. 14 del regolamento, la
stessa non riceverebbe alcun pregiudizio
dall’applicazione della norma, in quanto l’auspicato
riferimento dell’Amministrazione al costo effettivo
esporrebbe la società istante ad un più elevato
onere economico.
Né appare sproporzionata la percentuale applicata
dal Comune di Carrara (10%), a fronte dell’art. 16
del d.p.r. n. 380/2001 e dell’art. 121 della L.R. n.
1/2005, i quali demandano all’Ente la determinazione
discrezionale di una quota variabile dal 5% al 20%
del costo di costruzione (TAR
Toscana, Sez. I,
sentenza 11.04.2013 n. 539 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L’importo degli oneri di urbanizzazione per
interventi su edifici preesistenti non deve essere
necessariamente inferiore a quello previsto per le nuove
costruzioni, poiché gli oneri sono correlati alla carico
urbanistico derivante dalla trasformazione che interviene
sulle preesistenze; tali conseguenze possono comportare
anche variazione degli standard ed in determinati casi
causano addirittura impatti superiori a quelli derivanti da
nuove costruzioni, ciò soprattutto ove la nuova destinazione
abbia un rilievo quantitativamente e qualitativamente del
tutto differente.
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La gratuità della concessione, ora contenuta negli artt. 6 e
17 d.P.R. n. 380/2001, è connessa all’interesse generale
perseguito ed è evidente che una scuola per disabili
inserita in zona destinata ad attrezzature pubbliche e
sociali doveva beneficiare di quella esenzione dal
contributo costo di costruzione e dagli oneri di
urbanizzazione, ove poi fosse la stessa mano pubblica
chiamata a realizzare l’opera, ponendo così a carico della
fiscalità generale le spese per l’effettuazione di quelle
opere di urbanizzazione accessorie alla nuova costruzione.
Come rilevato dallo stesso appellante, l’importo degli oneri
di urbanizzazione per interventi su edifici preesistenti non
deve essere necessariamente inferiore a quello previsto per
le nuove costruzioni, poiché gli oneri sono correlati alla
carico urbanistico derivante dalla trasformazione che
interviene sulle preesistenze; tali conseguenze possono
comportare anche variazione degli standard ed in determinati
casi causano addirittura impatti superiori a quelli
derivanti da nuove costruzioni, ciò soprattutto ove la nuova
destinazione abbia un rilievo quantitativamente e
qualitativamente del tutto differente, come nel caso di
specie.
Infatti si è passati da un edificio destinato a scopi di
istruzione per persone diversamente abili con una frequenza
pari a poche decine di alunni, ad un immobile sede di uno
dei tour operators tra i maggiori in Italia, con un numero
di addetti che non può essere paragonato al numero di
insegnanti e di scolari del passato -senza smentite si è
insinuato un dato di alcune centinaia di unità- con la
conseguente necessità della creazione di un parcheggio,
elemento questo sufficientemente descrittivo delle
modificazioni di carico urbanistico della zona adiacente.
Ma deve essere ancora aggiunto che per la scuola si era
fatta applicazione del disposto di cui all’art. 9, lett. f),
L. 10/1977, ossia dell’esenzione dai contributi concessori
previsti per impianti, attrezzature ed opere pubbliche e di
interesse generale realizzate dagli enti istituzionalmente
competenti; la gratuità della concessione, ora contenuta
negli artt. 6 e 17 d.P.R. n. 380/2001, è connessa
all’interesse generale perseguito ed è evidente che una
scuola per disabili inserita in zona destinata ad
attrezzature pubbliche e sociali doveva beneficiare di
quella esenzione dal contributo costo di costruzione e dagli
oneri di urbanizzazione, ove poi fosse la stessa mano
pubblica chiamata a realizzare l’opera, ponendo così a
carico della fiscalità generale le spese per l’effettuazione
di quelle opere di urbanizzazione accessorie alla nuova
costruzione (Cons. Stato, V, 29.09.1997 n. 1067; id.,
20.11.1989 n. 752).
L’attuale destinazione dell’edificio è invece volta a fini
tipicamente imprenditoriali ed appare allora del tutto
corretto che Alpitour Italia non possa ora giovarsi della
gratuità di una concessione edilizia al tempo rilasciata per
fini essenzialmente pubblici; è evidente che un
abbattimento, sia pure parziale, degli oneri di
urbanizzazione verrebbe a costituire una sorta di
socializzazione indiretta dei costi derivanti da
investimenti privati, la quale non trova copertura alcuna
nella normativa urbanistica, sia vigente, sia abrogata (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 09.04.2013 n. 1918 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
marzo 2013 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Un Ente ecclesiastico (che
ha tra gli scopi statutari l’attività d’istruzione
scolastica, è un ente senza fini di lucro ed ha ottenuto il
riconoscimento di scuola paritaria) nel costruire una nuova
scuola deve versare il contributo di costruzione.
L’azione di
ripetizione degli oneri rientra nell’ambito del diritto
soggettivo all’esatta quantificazione del contributo
concessorio, e la controversia appartiene per legge alla
giurisdizione del GA ed è soggetta a termini di prescrizione
decennale.
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Il contributo di costruzione rappresenta una
compartecipazione comunale all'incremento di valore della
proprietà immobiliare del costruttore a seguito della nuova
edificazione.
Mentre il contributo per gli oneri di urbanizzazione
ha funzione recuperatoria delle spese sostenute dalla
collettività comunale riguardo alla trasformazione del
territorio assentita al singolo, il contributo per costo
di costruzione, che è rapportato alle caratteristiche e
alla tipologia delle costruzioni e non è alternativo ad
altro valore di genere diverso, afferisce alla mera attività
costruttiva in sé valutata.
L'obbligazione contributiva per costo di costruzione,
dunque, è fondata sulla produzione di ricchezza connessa
all'utilizzazione edificatoria del territorio ed alle
potenzialità economiche che ne derivano e, pertanto, ha
natura essenzialmente paratributaria.
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L'art. 9, lettera f), della legge n. 10/1977 subordina la
gratuità della concessione ad un requisito oggettivo
ed uno soggettivo: deve trattarsi di opere pubbliche
o di interesse pubblico da cui la collettività possa trarre
un utile ovvero la cui fruizione in via diretta o indiretta
soddisfi interessi generali.
I destinatari del beneficio sono dunque certamente in prima
battuta gli enti pubblici, per loro natura
"istituzionalmente competenti", alla cura dell’interesse
generale loro affidato, ma accanto a questi si rinvengono
nell’ordinamento anche altri soggetti che agiscono per la
cura dello stesso interesse generale.
Sul piano oggettivo è pacifico che l’opera in costruzione
abbia la destinazione a scuola paritaria (doc. 6 ricorso) e
che la legge n. 62/2000 ai sensi dell’art. 1, comma 3,
afferma che “le scuole paritarie svolgono un servizio
pubblico”.
Ulteriore elemento che corrobora l’elemento oggettivo è
costituito dalla delibera comunale (doc. 2) che dichiara
espressamente che l’opera in questione rientra nel nuovo
Polo educativo per Albenga, accertando così definitivamente
la destinazione a scuola dell’immobile.
Tuttavia, per riconoscere l’esonero dal contributo ai
sensi della disciplina sul pagamento degli oneri di
concessione occorre la contemporanea presenza anche del
requisito soggettivo, cioè deve trattarsi di opera eseguita
da un ente istituzionalmente competente.
La giurisprudenza è sempre stata molto attenta a distinguere
le ipotesi in cui l’attività attuata portasse ad un'utilità
pubblica alla collettività, da iniziative private che
avessero invece un più o meno diretto scopo di lucro, talora
mascherato da interesse generale.
Qualora, come nel caso di specie, la realizzazione
dell’opera d’interesse pubblico non avvenga da parte degli
enti istituzionalmente competenti, cioè da parte di soggetti
cui sia demandata in via istituzionale la realizzazione di
opere d’interesse generale, ma da parte di privati si è
distinta in giurisprudenza l’ipotesi dei concessionari
dell'ente pubblico, purché le opere fossero inerenti
all'esercizio del rapporto concessorio.
Nel caso di realizzazione da parte di privati, deve dunque
sussistere un ben preciso vincolo relazionale tra il
soggetto abilitato a operare nell'interesse pubblico e il
materiale esecutore della costruzione, e tale vincolo deve
contrassegnare fin dall'inizio (cioè, fin dalla richiesta
del titolo edilizio) la realizzazione dell'assentito
intervento edificatorio, al fine di ottenere l'esenzione dal
contributo di costruzione.
La correlazione indicata dalla norma tra gli elementi
dell'"ente istituzionalmente competente" e della
"realizzazione" dell’opera d’interesse generale non può
essere infatti dilatata al punto da esporre
l'amministrazione comunale a richieste di sgravio
contributivo, in conformità a utilizzazioni intervenute e
concordate in un secondo momento, frutto dell'attività
imprenditoriale o commerciale dell'impresa costruttrice e
comunque del tutto esulanti dagli specifici intenti
realizzativi iniziali, e questo seppur l'intervento edilizio
riguardi zone tendenzialmente destinate ad interventi
edificatori di interesse generale. Non si può, in
definitiva, recuperare ex post il legame tra soggetti
realizzatori e finalità pubbliche che, seppur con moduli
organizzatori non del tutto tipizzati, deve
contraddistinguere l'intervento edilizio ab initio.
Nel caso di specie tuttavia siamo di fronte ad un Ente
ecclesiastico che ha tra gli scopi statutari l’attività
d’istruzione scolastica; è un ente senza fini di lucro ed ha
ottenuto il riconoscimento di scuola paritaria.
Resta la vexata quaestio esistente tra scuola pubblica e
privata nell’ambito del perimetro circoscritto dall’art. 33
della Costituzione.
Se infatti è pacifico il diritto di istituzione di scuole ed
istituti d’istruzione privati, ciò deve avvenire senza oneri
a carico dello Stato, laddove l’esenzione dei contributi di
concessione costituirebbe un onere improprio per la
collettività che non beneficerebbe delle somme così non
incassate dal comune.
Inoltre la scuola privata, imponendo il pagamento di rette
per la frequenza non sarebbe accessibile a tutti e, quindi,
diversamente dalla scuola pubblica, avrebbe uno scopo di
lucro che impedirebbe di beneficiare dell’esonero dai
contributi, anche qualora, come nel caso di specie la
ricorrente dimostri la mancanza di un fine speculativo o
lucrativo nell’attività esercitata.
Secondo la giurisprudenza è indubbio che la disposizione
invocata (art. 9 L. 10/1977) deve ritenersi di stretta
interpretazione, in quanto introduce talune ipotesi di
deroga alla previsione generale la quale assoggetta a
contributo tutte le opere che comportino trasformazione del
territorio.
Secondo il TAR Veneto, l'opera, per conseguire il beneficio,
deve essere necessariamente realizzata da un Ente pubblico,
non spettando lo stesso per le opere eseguite da soggetti
privati, quale che sia la rilevanza sociale dell'attività
esercitata nella o con l'opera edilizia alla quale la
concessione si riferisce.
In ogni caso, ammettendo l'iniziativa di un privato, questo
deve agire per conto di un Ente pubblico, come nell'istituto
della concessione di opera pubblica o in altre analoghe
figure organizzatorie ove l'intervento è realizzato da
soggetti non animati dallo scopo di lucro o che accompagnano
tale obiettivo con un legame istituzionale con l'azione
dell'amministrazione per la cura degli interessi della
collettività.
---------------
Per enti istituzionalmente competenti alla realizzazione di
opere pubbliche o di interesse pubblico debbano intendersi
enti pubblici ovvero altri soggetti che realizzino l'opera
per conto di un ente pubblico come nel caso di
concessionario di opera pubblica o altre analoghe figure
organizzatorie (cfr. ad es. Cons. Stato sez. IV, 10.05.2005,
n. 2226; ed sez. V, 12.07.2005, n. 3774; e, casi questi, in
cui è stato escluso il diritto all'esenzione, anche sulla
base del rilievo che l'opera non era rivolta alla
collettività in senso generale, ma tendeva al
soddisfacimento di interessi privatistici o comunque alle
esigenze di un numero limitato di persone - v. sent. CdS V
n. 3774/2005 ovvero che l'opera era destinata a rimanere
nella piena disponibilità del privato esecutore, senza alcun
vincolo atto a preservare la funzione nel tempo).
... per l'annullamento del provvedimento di richiesta
pagamento contributi concessori per il ritiro del permesso
di costruire.
...
Il ricorso non è fondato.
Preliminarmente va confermato che l’azione di ripetizione
degli oneri rientra nell’ambito del diritto soggettivo
all’esatta quantificazione del contributo concessorio, e la
controversia appartiene per legge alla giurisdizione del GA
(Tar Campania Na II n. 4356/2011) ed è soggetta a termini di
prescrizione decennale (Tar Sicilia Pa II n. 1554/2011).
Nel caso di specie, comunque, il ricorso è tempestivo anche
relativamente ai termini di decadenza decorrenti dal
rilascio del titolo edilizio avvenuto il 07.04.2009.
La richiesta avanzata dalla parte riguarda l’esonero dal
pagamento richiesto e in parte già incassato dal comune del
contributo di costruzione, che rappresenta una
compartecipazione comunale all'incremento di valore della
proprietà immobiliare del costruttore a seguito della nuova
edificazione (cfr. TAR Abruzzo Pescara - 18/10/2010 n.
1142).
Mentre il contributo per gli oneri di urbanizzazione
ha funzione recuperatoria delle spese sostenute dalla
collettività comunale riguardo alla trasformazione del
territorio assentita al singolo, il contributo per costo
di costruzione, unica voce qui in discussione, che è
rapportato alle caratteristiche e alla tipologia delle
costruzioni e non è alternativo ad altro valore di genere
diverso, afferisce alla mera attività costruttiva in sé
valutata.
L'obbligazione contributiva per costo di costruzione,
dunque, è fondata sulla produzione di ricchezza connessa
all'utilizzazione edificatoria del territorio ed alle
potenzialità economiche che ne derivano e, pertanto, ha
natura essenzialmente paratributaria (TAR Campania Salerno,
sez. II - 11/06/2002 n. 459).
Tornando al merito della controversia, il Collegio è a
conoscenza della giurisprudenza che si è formata
sull'applicabilità in concreto della previsione di cui
all'art. 9 , lettera f) richiamato.
Ma proprio la necessità di verificare, di volta in volta,
l’esistenza delle condizioni stabilite dalla legge per
consentire l’esonero dal pagamento degli oneri convince il
Collegio della non fondatezza del ricorso nel caso di
specie.
L'art. 9, lettera f), della legge n. 10/1977 subordina
infatti la gratuità della concessione ad un requisito
oggettivo ed uno soggettivo: deve trattarsi di
opere pubbliche o di interesse pubblico da cui la
collettività possa trarre un utile ovvero la cui fruizione
in via diretta o indiretta soddisfi interessi generali.
I destinatari del beneficio sono dunque certamente in prima
battuta gli enti pubblici, per loro natura "istituzionalmente
competenti", alla cura dell’interesse generale loro
affidato, ma accanto a questi si rinvengono nell’ordinamento
anche altri soggetti che agiscono per la cura dello stesso
interesse generale.
Sul piano oggettivo è pacifico che l’opera in costruzione
abbia la destinazione a scuola paritaria (doc. 6 ricorso) e
che la legge n. 62/2000 ai sensi dell’art. 1, comma 3,
afferma che “le scuole paritarie svolgono un servizio
pubblico”.
Ulteriore elemento che corrobora l’elemento oggettivo è
costituito dalla delibera comunale (doc. 2) che dichiara
espressamente che l’opera in questione rientra nel nuovo
Polo educativo per Albenga, accertando così definitivamente
la destinazione a scuola dell’immobile.
Tuttavia, per riconoscere l’esonero dal contributo ai sensi
della disciplina sul pagamento degli oneri di concessione
occorre la contemporanea presenza anche del requisito
soggettivo, cioè deve trattarsi di opera eseguita da un ente
istituzionalmente competente.
La giurisprudenza, anche di questo Tribunale (Tar Liguria, I
sez. n. 3565 del 09.12.2009) è sempre stata molto attenta a
distinguere le ipotesi in cui l’attività attuata portasse ad
un'utilità pubblica alla collettività, da iniziative private
che avessero invece un più o meno diretto scopo di lucro,
talora mascherato da interesse generale.
Qualora, come nel caso di specie, la realizzazione
dell’opera d’interesse pubblico non avvenga da parte degli
enti istituzionalmente competenti, cioè da parte di soggetti
cui sia demandata in via istituzionale la realizzazione di
opere d’interesse generale, ma da parte di privati si è
distinta in giurisprudenza l’ipotesi dei concessionari
dell'ente pubblico, purché le opere fossero inerenti
all'esercizio del rapporto concessorio.
Nel caso di realizzazione da parte di privati, deve dunque
sussistere un ben preciso vincolo relazionale tra il
soggetto abilitato a operare nell'interesse pubblico e il
materiale esecutore della costruzione, e tale vincolo deve
contrassegnare fin dall'inizio (cioè, fin dalla richiesta
del titolo edilizio) la realizzazione dell'assentito
intervento edificatorio, al fine di ottenere l'esenzione dal
contributo di costruzione.
La correlazione indicata dalla norma tra gli elementi dell'"ente
istituzionalmente competente" e della "realizzazione"
dell’opera d’interesse generale non può essere infatti
dilatata al punto da esporre l'amministrazione comunale a
richieste di sgravio contributivo, in conformità a
utilizzazioni intervenute e concordate in un secondo
momento, frutto dell'attività imprenditoriale o commerciale
dell'impresa costruttrice e comunque del tutto esulanti
dagli specifici intenti realizzativi iniziali, e questo
seppur l'intervento edilizio riguardi zone tendenzialmente
destinate ad interventi edificatori di interesse generale.
Non si può, in definitiva, recuperare ex post il
legame tra soggetti realizzatori e finalità pubbliche che,
seppur con moduli organizzatori non del tutto tipizzati,
deve contraddistinguere l'intervento edilizio ab initio
(così Cons. di St., V, 02.12.2002, n. 6618).
Nel caso di specie tuttavia siamo di fronte ad un Ente
ecclesiastico che ha tra gli scopi statutari l’attività
d’istruzione scolastica; è un ente senza fini di lucro ed ha
ottenuto il riconoscimento di scuola paritaria.
Resta la vexata quaestio esistente tra scuola
pubblica e privata nell’ambito del perimetro circoscritto
dall’art. 33 della Costituzione.
Se infatti è pacifico il diritto di istituzione di scuole ed
istituti d’istruzione privati, ciò deve avvenire senza oneri
a carico dello Stato, laddove l’esenzione dei contributi di
concessione costituirebbe un onere improprio per la
collettività che non beneficerebbe delle somme così non
incassate dal comune.
Inoltre la scuola privata, imponendo il pagamento di rette
per la frequenza non sarebbe accessibile a tutti e, quindi,
diversamente dalla scuola pubblica, avrebbe uno scopo di
lucro che impedirebbe di beneficiare dell’esonero dai
contributi (Tar Piemonte I 10.03.2007 n. 1164), anche
qualora, come nel caso di specie la ricorrente dimostri la
mancanza di un fine speculativo o lucrativo nell’attività
esercitata.
Secondo la giurisprudenza è indubbio che la disposizione
invocata (art. 9 L. 10/1977) deve ritenersi di stretta
interpretazione, in quanto introduce talune ipotesi di
deroga alla previsione generale la quale assoggetta a
contributo tutte le opere che comportino trasformazione del
territorio (cfr. TAR Puglia Bari, sez. III - 11/06/2010 n.
2420).
Secondo il TAR Veneto, (sez. II - 16/06/2011 n. 1047),
l'opera, per conseguire il beneficio, deve essere
necessariamente realizzata da un Ente pubblico, non
spettando lo stesso per le opere eseguite da soggetti
privati, quale che sia la rilevanza sociale dell'attività
esercitata nella o con l'opera edilizia alla quale la
concessione si riferisce (Consiglio di Stato, sez. V -
15/12/2005 n. 7140; TAR Lombardia Milano, sez. II -
17.09.2009 n. 4672).
In ogni caso, ammettendo l'iniziativa di un privato, questo
deve agire per conto di un Ente pubblico, come nell'istituto
della concessione di opera pubblica o in altre analoghe
figure organizzatorie ove l'intervento è realizzato da
soggetti non animati dallo scopo di lucro o che accompagnano
tale obiettivo con un legame istituzionale con l'azione
dell'amministrazione per la cura degli interessi della
collettività (Consiglio di Stato, sez. IV - 10/05/2005 n.
2226).
Così circoscritta la vicenda, il Collegio è dell’avviso che
il contributo debba essere pagato dall’ente ricorrente.
La giurisprudenza -espressasi con riferimento all'art. 9, l.
n. 10/1977- ha affermato che per enti istituzionalmente
competenti alla realizzazione di opere pubbliche o di
interesse pubblico debbano intendersi enti pubblici ovvero
altri soggetti che realizzino l'opera per conto di un ente
pubblico come nel caso di concessionario di opera pubblica o
altre analoghe figure organizzatorie (cfr. ad es. Cons.
Stato sez. IV, 10.05.2005, n. 2226; ed sez. V, 12.07.2005,
n. 3774; e, casi questi, in cui è stato escluso il diritto
all'esenzione, anche sulla base del rilievo che l'opera non
era rivolta alla collettività in senso generale, ma tendeva
al soddisfacimento di interessi privatistici o comunque alle
esigenze di un numero limitato di persone - v. sent. CdS V
n. 3774/2005 ovvero che l'opera era destinata a rimanere
nella piena disponibilità del privato esecutore, senza alcun
vincolo atto a preservare la funzione nel tempo (CdS IV
11.01.2006, n. 51)
(TAR Liguria, Sez. I,
sentenza 28.03.2013 n. 552 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Gli
oneri di urbanizzazione sono considerati un corrispettivo di
diritto pubblico, di natura non tributaria, posto a carico
del costruttore a titolo di partecipazione ai costi delle
opere di urbanizzazione in proporzione ai benefici che la
nuova costruzione ne ritrae, cosicché il tipo di uso offre
la giustificazione giuridica all’an debeatur, mentre le
modalità concrete dell’uso danno la ragione del quantum.
Ne deriva che il fatto da cui in concreto nasce l’obbligo di
corrispondere gli “oneri“ anzidetti è l’aumento del carico
urbanistico, derivi esso dalla realizzazione di interventi
edilizi o da mutamenti di destinazione d’uso (anche in
assenza di opere). La quota per oneri di urbanizzazione
compensa, in altri termini, l’aggravamento del carico
urbanistico della zona, indotto dal nuovo insediamento.
L’incremento del peso insediativo non consegue, infatti,
soltanto agli interventi di ristrutturazione generale e
globale di un edificio, ma anche alle ristrutturazioni meno
marcate, che comunque trasformino la realtà strutturale e la
fruibilità urbanistica dell’immobile. In tal caso la
necessità di sottoporre la concessione al pagamento dei
contributi è riferita all’oggettiva rivalutazione
dell’immobile ed è funzionale a sopportare il carico
socio-economico che la realizzazione comporta sotto il
profilo urbanistico.
---------------
L’intervento in concreto realizzato, che ha consentito di
trasformare un fienile in un unità abitativa composta da
soggiorno con angolo cottura, due camere da letto, servizio
igienico e relativo disimpegno, al quale è possibile
accedere con una rampa scale esterna, comporta, invero,
aggravi di carico urbanistico identici a quelli derivanti da
nuove costruzioni.
... per l'annullamento della non debenza da parte del sig.
Battaglia delle somme (pari ad euro 11.774,78) che il Comune
di Avigliana ha richiesto con lettera prot. 7847/2005 del 01/04/2005 a titolo di integrazione del contributo di
urbanizzazione per il condono edilizio per cambio di
destinazione d'uso di parte di un immobile da fienile a
civile abitazione;
...
In via generale, osserva, invero, il Collegio che,
secondo la posizione interpretativa maggiormente affermata
in giurisprudenza, da cui non v’è motivo di discostarsi, gli
oneri di urbanizzazione sono considerati un corrispettivo di
diritto pubblico, di natura non tributaria, posto a carico
del costruttore a titolo di partecipazione ai costi delle
opere di urbanizzazione in proporzione ai benefici che la
nuova costruzione ne ritrae, cosicché il tipo di uso offre
la giustificazione giuridica all’an debeatur, mentre le
modalità concrete dell’uso danno la ragione del quantum
(cfr. C.d.S., V, 21.04.2006, n. 2258; idem 27.02.1998, n. 201; idem 23.05.1997, n. 529).
Ne deriva che il fatto da cui in concreto nasce
l’obbligo di corrispondere gli “oneri“ anzidetti è l’aumento
del carico urbanistico, derivi esso dalla realizzazione di
interventi edilizi o da mutamenti di destinazione d’uso
(anche in assenza di opere). La quota per oneri di
urbanizzazione compensa, in altri termini, l’aggravamento
del carico urbanistico della zona, indotto dal nuovo
insediamento.
L’incremento del peso insediativo non consegue,
infatti, soltanto agli interventi di ristrutturazione
generale e globale di un edificio, ma anche alle
ristrutturazioni meno marcate, che comunque trasformino la
realtà strutturale e la fruibilità urbanistica dell’immobile
(cfr. TAR Emilia Romagna, Parma, 19.02.2008, n. 100). In tal
caso la necessità di sottoporre la concessione al pagamento
dei contributi è riferita all’oggettiva rivalutazione
dell’immobile ed è funzionale a sopportare il carico
socio-economico che la realizzazione comporta sotto il
profilo urbanistico (cfr. C.d.S., V, 03.03.2002, n. 1180).
Orbene, ciò precisato, non v’è dubbio che la
ristrutturazione in questione, seppur realizzata mediante
limitati interventi di carattere edilizio, abbia comportato
un effettivo aumento del carico urbanistico.
A tal proposito il Collegio non può, peraltro, che
condividere l’inquadramento operato dall’ente civico ai fini
della corresponsione degli oneri di urbanizzazione, dato che
l’intervento condonato, avendo portato alla creazione di un
organismo radicalmente diverso, dal punto di vista del
carico urbanistico, da quello preesistente e avendo, anzi,
dato origine ad un’unità immobiliare autonoma, pare
ragionevolmente riconducibile alla categoria n. 1 degli
interventi a carattere “residenziale” di cui alla D.G.C. n.
231/2004.
L’intervento in concreto realizzato, che ha consentito di
trasformare un fienile in un unità abitativa composta da
soggiorno con angolo cottura, due camere da letto, servizio
igienico e relativo disimpegno, al quale è possibile
accedere con una rampa scale esterna, comporta, invero,
aggravi di carico urbanistico identici a quelli derivanti da
nuove costruzioni (per un’ipotesi similare dal punto di
vista del “risultato” edilizio ottenuto vedasi TAR
Lombardia Brescia, 21.07.2009, n. 4455).
A nulla rileva, peraltro, che, ai fini del condono, le
opere realizzate siano state ascritte alla tipologia 3
(“Opere di ristrutturazione edilizia come definite
dall'articolo 3, comma 1, lettera d, del d.P.R. 06.06.2001, n. 380 realizzate in assenza o in difformità dal
titolo abilitativo edilizio”) dell’allegato 1 del d.l. 30.09.2003, n. 269, dato che da un’attenta lettura delle
disposizioni di tale decreto si evince che il legislatore
non ha assolutamente inteso prevedere una corrispondenza
diretta tra tipologia d’illecito commesso e misura degli
oneri di concessione, ma ha stabilito un criterio diverso,
che non può che essere applicato tenendo conto della
funzione tipica assolta dagli oneri di urbanizzazione.
La tabella D avente ad oggetto la “Misura
dell’anticipazione degli oneri di concessione” individua,
infatti, solo due categorie di interventi edilizi ovvero le
“Nuove costruzioni e ampliamenti” e le “Ristrutturazioni e
modifiche della destinazione d’uso”, diversamente da quanto
stabilisce, invece, la tabella C per la “misura
dell’oblazione”, che tiene conto della tipologia d’illecito
concretamente commesso.
Ad avviso del Collegio, è da ritenersi, dunque, rimessa
al prudente apprezzamento tecnico-discrezionale delle
singole Amministrazioni la valutazione in ordine alla
riconducibilità dell’intervento realizzato all’una o
all’altra delle due macro-categorie dianzi indicate ai fini
della corresponsione degli oneri di urbanizzazione, in
ragione dell’effettiva incidenza sul carico antropico
provocata dalle opere per cui è stato chiesto il condono.
La deliberazione giuntale n. 231/2004, con cui vengono
determinati gli importi degli oneri di urbanizzazione per le
opere del condono in questione, laddove fa riferimento al
concetto di unità immobiliare autonoma o potenzialmente
tale, pare, peraltro, pienamente rispondente alla
definizione di “nuova costruzione” fornita dall’art. 2 legge
regionale n. 33/2004 recante disposizioni regionali per
l’attuazione della sanatoria edilizia ove si legge, per
l’appunto, che “ai fini della presente legge si intende per
nuova costruzione il manufatto che risulti realizzato in
forma autonoma non connesso o pertinente ad altro manufatto
esistente”.
Contrariamente a quanto ritenuto dal ricorrente, essa
non introduce alcuna nuova fattispecie di opere edilizie
rispetto a quelle ordinarie, con buona pace, dunque, del
rispetto di quanto al riguardo stabilito dall’art. 32, comma
10, del d.l. n. 269 del 2003 e dell’art. 5 della l.r. dianzi
citata e delle fattispecie residenziali ordinarie
contemplate dalla D.G.C. n. 59 dell’08.06.1995, laddove
la linea di discrimine viene, invero, individuata tra
interventi di nuova costruzione e interventi di
ristrutturazione ovvero attuati su volumi preesistenti.
Ne deriva che, tenuto conto del risultato complessivo
dell’intervento condonato (diversa strutturazione e
fruibilità dell’immobile) e del correlato aumento del peso
insediativo, l’Amministrazione ha legittimamente provveduto
a calcolare il quantum dovuto dal signor Battaglia
applicando la misura degli oneri stabilita per gli
interventi di nuova costruzione, nel cui ambito rientrano
quelli che, come quello realizzato, generano unità
immobiliari autonome
(TAR Piemonte, Sez. II,
sentenza 27.03.2013 n. 381 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Le
somme pagate a titolo di contributi per oneri di
urbanizzazione relativamente ad una concessione edilizia
sono ripetibili se la concessione non sia stata utilizzata.
L’obbligo di restituzione sorge nella data in cui sia
intervenuta la decadenza della concessione per la mancata
realizzazione delle opere di cui al progetto approvato.
Spettano gli interessi legali. Al contrario, trattandosi di
un debito di valuta, indebito oggettivo, e non di valore, la
rivalutazione non spetta.
Come affermato dalla giurisprudenza, le somme
pagate a titolo di contributi per oneri di urbanizzazione
relativamente ad una concessione edilizia sono ripetibili se
la concessione non sia stata utilizzata.
L’obbligo di restituzione sorge nella data in cui sia
intervenuta la decadenza della concessione per la mancata
realizzazione delle opere di cui al progetto approvato (cfr.
Cons. Stato sezione V 22.02.1998 n. 1145, Cons. St., sez. V, 22.02.1988, n. 105, ma vedi anche Tar Lazio II-bis
2294/2008).
Il Comune non si è costituito e, pertanto, le allegazioni di
parte ricorrente non trovano smentita in merito alla mancata
realizzazione dell’opera.
Quanto alla somma versata, di cui si chiede la restituzione
con interessi e rivalutazioni, la ricorrente allega copie
dei bonifici eseguiti a mezzo istituto bancario dai quali si
evince l’esatto importo di cui chiede la restituzione.
Ciò premesso il Collegio, in accoglimento del ricorso,
dichiara il diritto della ricorrente alla restituzione dei
contributi concessori versati a far data dal giorno della
intervenuta archiviazione del titolo edilizio per mancata
realizzazione dell’opera in progetto.
Condanna, pertanto, l’amministrazione comunale al pagamento
della somma di euro 4.994,00, oltre interessi legali, da
calcolarsi dalla data della domanda di restituzione
proposta, ovvero dal 20.01.2012, come risulta dal
timbro del protocollo sulla istanza presentata al Comune e
fino all’effettivo soddisfo (cfr. Tar Lazio, II-bis,
2294/2008).
Trattandosi di un debito di valuta, indebito oggettivo, e
non di valore, la richiesta rivalutazione non spetta (cfr.
Consiglio di Stato, sez. IV, 20.05.2011, n. 3027)
(TAR Campania-Salerno, Sez. II,
sentenza 05.03.2013 n. 513 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
febbraio 2013 |
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EDILIZIA
PRIVATA:
Ai fini della
riliquidazione o meno degli oneri di urbanizzazione, l’unico
legittimo presupposto imponibile è costituito dalla
sussistenza o meno dell’eventuale maggiore carico
urbanistico provocato dalla variante, introdotta in un
fabbricato già autorizzato, sicché è illegittima la
richiesta di pagamento solo se non si verifica la variazione
del carico urbanistico, che invece nella specie è pienamente
riscontrabile poiché muta la destinazione dell’intero
fabbricato.
In diritto costituisce giurisprudenza pacifica (così Cons. Stato, V, 20.06.2001, n. 3251) che ai fini della riliquidazione o meno
degli oneri di urbanizzazione, l’unico legittimo presupposto
imponibile è costituito dalla sussistenza o meno
dell’eventuale maggiore carico urbanistico provocato dalla
variante, introdotta in un fabbricato già autorizzato, sicché
è illegittima la richiesta di pagamento solo se non si
verifica la variazione del carico urbanistico, che invece
nella specie è pienamente riscontrabile poiché muta la
destinazione dell’intero fabbricato (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 15.02.2013 n. 918 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
gennaio 2013 |
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EDILIZIA
PRIVATA:
Il termine di 36 mesi ex
art. 35, comma 18, della l. n. 47/1985, trascorso il quale
si prescrive l'eventuale diritto al conguaglio delle somme
dovute a titolo di oblazione, decorre dalla presentazione
della domanda di concessione edilizia in sanatoria, ma,
ovviamente, solo se questa sia corredata da tutti i
documenti richiesti dalla legge per la sua definizione;
altrimenti, il termine in parola deve intendersi decorrente
dalla data di integrazione della documentazione da allegare
alla domanda.
Posto, invero, che per gli oneri di urbanizzazione e costo
di costruzione il dies a quo decorre dal rilascio della
concessione edilizia, e, quindi, da un momento in cui sono
esattamente noti tutti gli elementi utili alla
determinazione dell'entità del contributo, relativamente al
conguaglio dell'oblazione dovuta in caso di condono
edilizio, il dies a quo non può, cioè, coincidere con la
presentazione della domanda che risulti sfornita della
documentazione all'uopo richiesta e necessaria ai fini della
corretta e definitiva determinazione dell'entità
dell'oblazione; cosicché la decorrenza del termine di
prescrizione presuppone -tanto in favore
dell'amministrazione per l'eventuale conguaglio, quanto in
favore del privato per l'eventuale rimborso- che la pratica
di sanatoria edilizia sia definita in tutti i suoi aspetti e
siano, per l'effetto, precisamente determinabili, alla
stregua dei parametri stabiliti dalla legge, l'an e il
quantum dell'obbligazione gravante sul privato; ciò che
riflette puntualmente la ratio sottesa all'art. 2935 cod.
civ., secondo il quale, in generale, la prescrizione non può
decorrere se non dal giorno in cui il diritto può essere
fatto valere.
---------------
Quanto alle somme dovute a titolo di contributo per oneri di
urbanizzazione e costo di costruzione, deve osservarsi che
il termine per far valere il diritto al relativo conguaglio,
disciplinato dall'art. 37 della l. n. 47/1985, soggiace,
come esattamente argomentato anche da parte ricorrente, al
termine ordinario di prescrizione decennale, atteso che il
termine speciale di 36 mesi, fissato dal precedente art. 35,
comma 18, concerne esclusivamente l'oblazione.
Tale prescrizione decennale decorre, poi, dal momento in cui
il diritto può essere fatto valere (ex art. 2935 cod. civ.),
ossia dall'emanazione della concessione edilizia in
sanatoria o, in alternativa, dalla scadenza del termine
perentorio di 24 mesi dalla presentazione della domanda,
spirato il quale "quest'ultima si intende accolta ove
l'interessato provveda al pagamento di tutte le somme
eventualmente dovute a conguaglio".
Vale anzitutto premettere, in punto di diritto,
che il termine di 36 mesi ex art. 35, comma 18, della l. n.
47/1985, trascorso il quale si prescrive l'eventuale diritto
al conguaglio delle somme dovute a titolo di oblazione,
decorre, bensì, dalla presentazione della domanda di
concessione edilizia in sanatoria, ma, ovviamente, solo se
questa sia corredata da tutti i documenti richiesti dalla
legge per la sua definizione; altrimenti, il termine in
parola deve intendersi decorrente dalla data di integrazione
della documentazione da allegare alla domanda (cfr. TAR
Campania, Napoli, sez. VIII, 09.02.2012, n. 695; TAR
Puglia, Lecce, sez. I, 05.03.2008, n. 735; TAR Campania,
Salerno, sez. II, 18.03.2008, n. 306; 17.06.2008, n.
1962; 26.11.2008, n. 3912; 26.01.2009, n. 165;
TAR Sicilia, Palermo, sez. I, 18.12.2008, n. 1752; TAR
Lazio, Roma, sez. II, 15.04.2009, n. 6852; Latina, 03.03.2010, n. 204).
Posto, invero, che per gli oneri di urbanizzazione e costo
di costruzione il dies a quo decorre dal rilascio della
concessione edilizia, e, quindi, da un momento in cui sono
esattamente noti tutti gli elementi utili alla
determinazione dell'entità del contributo, relativamente al
conguaglio dell'oblazione dovuta in caso di condono
edilizio, il dies a quo non può, cioè, coincidere con la
presentazione della domanda che risulti sfornita della
documentazione all'uopo richiesta e necessaria ai fini della
corretta e definitiva determinazione dell'entità
dell'oblazione; cosicché la decorrenza del termine di
prescrizione presuppone -tanto in favore
dell'amministrazione per l'eventuale conguaglio, quanto in
favore del privato per l'eventuale rimborso- che la pratica
di sanatoria edilizia sia definita in tutti i suoi aspetti e
siano, per l'effetto, precisamente determinabili, alla
stregua dei parametri stabiliti dalla legge, l'an e il
quantum dell'obbligazione gravante sul privato; ciò che
riflette puntualmente la ratio sottesa all'art. 2935 cod.
civ., secondo il quale, in generale, la prescrizione non può
decorrere se non dal giorno in cui il diritto può essere
fatto valere (cfr. TAR Campania, Salerno, sez. II, 02.03.2010, n. 1552;
03.06.2010, n. 8224; TAR Sardegna,
Cagliari, sez. II, 17.11.2010, n. 2600).
---------------
Quanto, poi, alle somme
dovute a titolo di contributo per oneri di urbanizzazione e
costo di costruzione, deve osservarsi che il termine per far
valere il diritto al relativo conguaglio, disciplinato
dall'art. 37 della l. n. 47/1985, soggiace, come esattamente
argomentato anche da parte ricorrente, al termine ordinario
di prescrizione decennale, atteso che il termine speciale di
36 mesi, fissato dal precedente art. 35, comma 18, concerne
esclusivamente l'oblazione (cfr. TAR Campania, Salerno, sez. II,
08.10.2004, n. 1896; TAR Lombardia, Milano, sez. II,
20.03.2007, n. 458; TAR Trentino Alto Adige, Trento, 09.12.2010, n. 234).
Tale prescrizione decennale decorre, poi, dal momento in cui
il diritto può essere fatto valere (ex art. 2935 cod. civ.),
ossia dall'emanazione della concessione edilizia in
sanatoria o, in alternativa, dalla scadenza del termine
perentorio di 24 mesi dalla presentazione della domanda,
spirato il quale "quest'ultima si intende accolta ove
l'interessato provveda al pagamento di tutte le somme
eventualmente dovute a conguaglio"
(TAR Campania-Salerno, Sez. I,
sentenza 31.01.2013 n. 302 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L'adeguamento
degli oneri di urbanizzazione non comporta che i Comuni
possono ritenersi autorizzati ad applicare gli stessi
retroattivamente alle concessioni edilizie già rilasciate ed
assoggettate agli oneri a quel tempo vigenti, fatti salvi i
casi di espresse riserve al riguardo.
Le delibere comunali che dispongono l'adeguamento degli
oneri di urbanizzazione, cioè, possono trovare applicazione
esclusivamente per le concessioni rilasciate a far tempo
dalla loro adozione, e non anche per quelle rilasciate in
epoca anteriore.
In applicazione di siffatto principio l'aggiornamento degli
oneri di urbanizzazione disposto con atto successivo e con
effetto retroattivo sarebbe legittimo solo nelle fattispecie
nelle quali nella concessione edilizia fosse stata inserita
una espressa clausola "salvo conguaglio".
La ricorrente si
duole anche del fatto che la modifica delle tabelle
parametriche sia stata applicata anche in relazione a
concessioni edilizie rilasciate prima della sua
approvazione, con violazione del principio della
irretroattività degli effetti degli atti amministrativi.
In realtà, come giustamente rileva la difesa
dell’amministrazione, la giurisprudenza amministrativa ha
più volte affermato che l'adeguamento degli oneri di
urbanizzazione non comporta che i Comuni possono ritenersi
autorizzati ad applicare gli stessi retroattivamente alle
concessioni edilizie già rilasciate ed assoggettate agli
oneri a quel tempo vigenti, fatti salvi i casi di espresse
riserve al riguardo (cfr: C.G.A., sez. giurisdizionale, n.
186 del 21.03.2007).
Le delibere comunali che dispongono l'adeguamento degli
oneri di urbanizzazione, cioè, possono trovare applicazione
esclusivamente per le concessioni rilasciate a far tempo
dalla loro adozione, e non anche per quelle rilasciate in
epoca anteriore (TAR Sicilia, Palermo, Sez. II, 17.11.2009
n. 1798).
In applicazione di siffatto principio –al quale il Collegio
ritiene di dovere aderire- l'aggiornamento degli oneri di
urbanizzazione disposto con atto successivo e con effetto
retroattivo sarebbe legittimo solo nelle fattispecie nelle
quali nella concessione edilizia fosse stata inserita una
espressa clausola "salvo conguaglio"
(TAR
Sardegna, Sez. II,
sentenza 30.01.2013 n. 75 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Gli oneri di urbanizzazione.
DOMANDA:
Dall’esercizio 2013 cessa (non risulta alcuna proroga) la
deroga concessa dall’art. 2, comma 8, della legge 244/2007
(legge finanziaria) per l’utilizzo per spese correnti
(massimo 50%) e manutenzioni del patrimonio comunale
(massimo 25%).
Si chiede se il gettito degli oneri di urbanizzazione del
2013 dovrà essere destinato esclusivamente a opere di
urbanizzazione primarie e secondarie oppure è consentito
anche un utilizzo per spese in conto capitale diverse (ad.
Esempio acquisto mobili, attrezzature, ecc.)
RISPOSTA:
Facendo riferimento alla questione posta, si fa presente
quanto segue. Dal 2013 le entrate derivanti da oneri di
urbanizzazione dovranno essere destinate, per intero, solo
al finanziamento di investimenti, cioè di spese impegnabili
al titolo II.
Non esiste un vincolo di destinare queste risorse
all’esclusivo finanziamento di opere di urbanizzazione
primarie o secondarie (21.01.2013 - tratto da
www.ancirisponde.ancitel.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Art. 1, c. 3 d.P.R. n. 380/2001 – Esonero dal
contributo di costruzione – Immobile destinato ad attività
produttiva – Applicabilità – Esclusione.
L’art. 17 d.P.R. 380/2001 prescrive, al comma 3, che “il
contributo di costruzione non è dovuto: (…) b) per gli
interventi di ristrutturazione e di ampliamento, in misura
non superiore al 20%, di edifici unifamiliari”:
nell’ipotesi di immobile destinato allo svolgimento di
attività produttive, non ricorre tuttavia la ratio
per l'esonero dal relativo pagamento (cfr. TAR Marche, Sez.
I, 10.05.2012, n. 310); tale beneficio è rivolto infatti
solo a quelle situazioni in cui l'intervento edilizio non è
destinato a fini di lucro, ma esclusivamente a migliorare la
funzionalità e l'usabilità dell'immobile ad esclusivo
vantaggio della famiglia che ci vive e delle relative
esigenze abitative.
Contributo di costruzione – Doverosità
in astratto – Amministrazione – Obbligo di verificare, in
concreto, la sussistenza dei presupposti per l'esigibilità –
Interventi di ristrutturazione senza incrementi di volumi e
superfici e senza cambiamenti della originaria destinazione
d'uso – Verifica dell'incidenza incrementativa sul carico
urbanistico.
La doverosità in astratto del contributo di costruzione non
vale ad esimere l'Amministrazione dall'obbligo di
verificare, nel caso concreto, la sussistenza dei
presupposti per poter esigere il contributo di costruzione,
avuto riguardo alla natura e alla funzione tipica assolta da
ciascuna delle sue due componenti.
Per quanto concerne in particolare gli oneri di
urbanizzazione, la relativa quota costituisce un
corrispettivo di diritto pubblico, di natura non tributaria,
posto a carico del costruttore a titolo di partecipazione ai
costi delle opere di urbanizzazione in proporzione ai
benefici che la nuova costruzione ne ritrae, sicché, il
fatto da cui in concreto nasce l'obbligo di corrispondere
gli "oneri" anzidetti è l'aumento del carico
urbanistico.
Tale incremento può conseguire anche ad interventi di
ristrutturazione senza incrementi di volumi e di superficie
e senza cambiamenti della originaria destinazione d’uso; è
compito dell’Amministrazione tuttavia, quale presupposto per
l’esigibilità del contributo, verificare attentamente
l’incidenza incrementativa delle suddette opere sul carico
urbanistico preesistente e dare congrua giustificazione
delle conclusioni raggiunte (TAR Campania-Salerno, Sez. I,
sentenza 08.01.2013 n. 25 - link a
www.ambientediritto.it). |
anno 2012 |
|
EDILIZIA
PRIVATA:
Mentre il pagamento degli
oneri di urbanizzazione si risolve in un contributo per la
realizzazione delle opere stesse, senza che insorga un
vincolo di scopo in relazione alla zona in cui è inserita
l’area interessata all’imminente trasformazione edilizia, la
monetizzazione sostitutiva della cessione degli standard
afferisce al reperimento delle aree necessarie alla
realizzazione delle opere di urbanizzazione secondaria
all’interno della specifica zona di intervento.
Invero, mentre il pagamento degli oneri di urbanizzazione si
risolve in un contributo per la realizzazione delle opere
stesse, senza che insorga un vincolo di scopo in relazione
alla zona in cui è inserita l’area interessata all’imminente
trasformazione edilizia, la monetizzazione sostitutiva della
cessione degli standard afferisce al reperimento delle aree
necessarie alla realizzazione delle opere di urbanizzazione
secondaria all’interno della specifica zona di intervento; e
ciò vale ad evidenziare la diversità ontologica della
monetizzazione rispetto al contributo di concessione, di
talché, sotto il versante processuale, non si può utilizzare
lo strumento dell’azione di accertamento ammesso per
contestare la legittimità del contributo ex art. 3 o comunque
la insussistenza di tale obbligazione pecuniaria ancorché
già assolta (cfr. Sez. IV, 16/02/2011, n. 1013) (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 28.12.2012 n. 6706 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: La
natura paritetica dell’atto di determinazione del contributo
di costruzione consente che l’Amministrazione possa
apportarvi rettifiche (sia in favore del privato che in
senso contrario), purché ciò avvenga nei limiti della
prescrizione del relativo diritto di credito.
Trattasi infatti, nel caso di specie, di una determinazione
che “obbedisce” a prescrizioni desumibili da tabelle, in
ordine alla quale l’amministrazione comunale si limita ad
applicare i detti parametri, (conseguentemente per la stessa
rivestenti natura cogente) laddove è esclusa qualsivoglia
discrezionalità applicativa (è appena il caso di rilevare
che ad analoghi approdi perviene la giurisprudenza
amministrativa in ogni ipotesi di impugnazione di atti
paritetici - ivi compresa la indebita corresponsione di una
retribuzione non dovuta al pubblico dipendente- il che
dimostra la coerenza della impostazione sistematica secondo
la quale la pariteticità dell’atto e l’assenza di
discrezionalità ne legittima o addirittura ne impone la
revisione ove affetta da errore, con il solo limite della
maturata prescrizione del credito).
La originaria determinazione, pertanto, può essere sempre
rivisitata, ove la si assuma affetta da errore (e fermo
restando la necessità che detta originaria erroneità della
determinazione iniziale sussista effettivamente), e ciò sia
laddove essa abbia indicato un importo inferiore al dovuto,
che laddove abbia quantificato un importo superiore e,
pertanto, non dovuto.
Si rammenta in particolare la giurisprudenza di questo
Consiglio di Stato secondo cui “le controversie relative
alla determinazione dei contributi urbanistici involgono
l'accertamento di diritti soggettivi che traggono origine
direttamente da fonti normative, per cui sono proponibili, a
prescindere dall'impugnazione di provvedimenti
dell'amministrazione, nel termine di prescrizione“.
A tale proposito va affermato che è certamente
infondata la tesi –contenuta nel primo motivo di gravame-
secondo cui (a pretesa tutela della buona fede e
dell’affidamento riposto dal privato nella più risalente
determinazione degli oneri adottata dall’amministrazione
appellata) sarebbe preclusa la rideterminazione degli oneri
concessori da parte dell’amministrazione comunale se non
nella ipotesi di meri errori di calcolo ictu oculi
percepibili, a tutela dell’affidamento in buona fede riposto
dal privato nella quantificazione operata in sede di prima
determinazione.
Al contrario di quanto affermato dall’appellante, infatti,
rileva la più attenta giurisprudenza (ex multis: Consiglio
di Stato sez. V 17.09.2010 n. 6950) che, la natura
paritetica dell’atto di determinazione consente che
l’Amministrazione possa apportarvi rettifiche (sia in favore
del privato che in senso contrario), purché ciò avvenga nei
limiti della prescrizione del relativo diritto di credito
(tra le tante, TAR Torino Piemonte sez. I 01.03.2010
n. 1302: il computo degli oneri di urbanizzazione non è
attività autoritativa e la contestazione sulla relativa
corresponsione è proponibile nel termine di prescrizione
decennale a prescindere dall'impugnazione dei provvedimenti
adottati o dal sollecito a provvedere in via di autotutela).
Trattasi infatti, nel caso di specie, di una determinazione
che “obbedisce” a prescrizioni desumibili da tabelle, in
ordine alla quale l’amministrazione comunale si limita ad
applicare i detti parametri, (conseguentemente per la stessa
rivestenti natura cogente) laddove è esclusa qualsivoglia
discrezionalità applicativa (è appena il caso di rilevare
che ad analoghi approdi perviene la giurisprudenza
amministrativa in ogni ipotesi di impugnazione di atti
paritetici - ivi compresa la indebita corresponsione di una
retribuzione non dovuta al pubblico dipendente- il che
dimostra la coerenza della impostazione sistematica secondo
la quale la pariteticità dell’atto e l’assenza di
discrezionalità ne legittima o addirittura ne impone la
revisione ove affetta da errore, con il solo limite della
maturata prescrizione del credito).
La originaria determinazione, pertanto, può essere sempre
rivisitata, ove la si assuma affetta da errore (e fermo
restando la necessità che detta originaria erroneità della
determinazione iniziale sussista effettivamente), e ciò sia
laddove essa abbia indicato un importo inferiore al dovuto,
che laddove abbia quantificato un importo superiore e,
pertanto, non dovuto.
Si rammenta in particolare la giurisprudenza di questo
Consiglio di Stato secondo cui “le controversie relative
alla determinazione dei contributi urbanistici involgono
l'accertamento di diritti soggettivi che traggono origine
direttamente da fonti normative, per cui sono proponibili, a
prescindere dall'impugnazione di provvedimenti
dell'amministrazione, nel termine di prescrizione“ (Consiglio Stato, sez. V, 04.05.1992, n. 360).
Non si rinviene nel caso di specie una posizione del privato
tutelabile nei termini prospettati nell’atto di appello (né
sono applicabili alla fattispecie i principi predicabili in
ipotesi di esercizio del potere di autotutela, che non può
ricorrere laddove, come nel caso in esame, ci si trovi al
cospetto di atti paritetici).
In via teorica peraltro, come chiarito dallo stesso primo
giudice, le ragioni del privato restano tutelate in ipotesi
di tardiva rideterminazione “in peius” in quanto questi
potrebbe prospettare una lesione alla propria buona fede ed
all’affidamento riposto nella “originaria determinazione”
successivamente rettificata ascrivibile ad una
responsabilità colposa dell’Amministrazione (il che,
comunque, non è avvenuto nel presente giudizio).
Il primo motivo di censura deve pertanto essere respinto, e
può affermarsi che ben legittimamente poteva il Comune
procedere alla avversata rideterminazione e
riquantificazione (il che, come meglio si chiarirà
immediatamente di seguito, non esclude che la stessa sia
immune da vizi)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 28.11.2012 n. 6033 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Ai
sensi dell'art. 2 d.m. 10.05.1977, recante norme per la
determinazione del costo di costruzione di nuovi edifici,
concorrono a determinare il costo di costruzione il 60% del
totale delle superfici non residenziali destinate a servizi
e accessori.
Pertanto legittimamente nel calcolo del contributo vengono
inclusi, in detta superficie, spazi seminterrati adibiti a
manovra delle auto ed accesso ai box essendo riconducibili,
stante la loro caratteristica di volumi seminterrati nella
categoria dei locali indicati nell'art. 2, lett. c), del
predetto decreto avuto riguardo alla funzione consimile
degli androni, in tale disposizione previsti, e dei citati
spazi di manovra e di accesso, consistenti nel rendere
possibile la comunicazione tra la strada e altri locali.
Quanto infatti al profilo
della impugnazione investente il “merito” della
rideterminazione ritiene il Collegio di doverne affermare la
parziale fondatezza.
Il secondo caposaldo della impugnazione, infatti, poggia su
un duplice presupposto: la non condivisibilità della
rideterminazione del costo di costruzione tenendo conto
delle superfici dei corselli di manovra per l’accesso alle
autorimesse (mq. 625,35) e la porzione dell’atto gravato
relativo alla originaria –asseritamente errata- omessa
considerazione di “altre superfici non residenziali pari a
mq 579,19”.
Come è agevole riscontrare, la doglianza in realtà
introduce due distinte tematiche, che dovranno essere
affrontate separatamente.
Quanto alla prima di esse (id est: doverosa ricomprensione dei tornelli di accesso alle autorimesse), il
Collegio concorda con la statuizione del primo giudice e
ritiene che -per quanto di interesse avuto riguardo ai
successivi capi della presente decisione- il gravame sia
infondato (non potendo ovviamente incidere sulla questione
la deliberazione del Consiglio Regionale dell’Emilia Romagna
del 04.02.2010 in quanto non afferente alla detta
problematica -ma concernente più in generale la inquadrabilità dei parcheggi pertinenziali tra le opere di
urbanizzazione sulla quale di seguito pure ci si soffermerà
partitamente- ed in ogni caso non avente portata
retroattiva).
La questione si fonda sulla interpretazione del disposto di
cui all’art. 2 del Decreto ministeriale 10.05.1977, n.
312400 (“La superficie complessiva, alla quale, ai fini
della determinazione del costo di costruzione dell'edificio,
si applica il costo unitario a metro quadrato, è costituita
dalla somma della superficie utile abitabile di cui al
successivo art. 3 e dal 60% del totale delle superfici non
residenziali destinate a servizi ed accessori (Snr),
misurate al netto di murature, pilastri, tramezzi, sguinci e
vani di porte e finestre (Sc = Su + 60% Snr).
Le superfici per servizi ed accessori riguardano:
a) cantinole, soffitte, locali motore ascensore, cabine
idriche, lavatoi comuni, centrali termiche, ed altri locali
a stretto servizio delle residenze;
b) autorimesse singole o collettive;
c) androni di ingresso e porticati liberi;
d) logge e balconi.
I porticati di cui al punto c) sono esclusi dal computo
della superficie complessiva qualora gli strumenti
urbanistici ne prescrivano l'uso pubblico.”)
Il Collegio non ravvisa ragione di discostarsi dal
consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui
(Consiglio Stato sez. V 25.10.1989 n. 679) “ai sensi
dell'art. 2 d.m. 10.05.1977, recante norme per la
determinazione del costo di costruzione di nuovi edifici,
concorrono a determinare il costo di costruzione il 60% del
totale delle superfici non residenziali destinate a servizi
e accessori. Pertanto legittimamente nel calcolo del
contributo vengono inclusi, in detta superficie, spazi
seminterrati adibiti a manovra delle auto ed accesso ai box
essendo riconducibili, stante la loro caratteristica di
volumi seminterrati nella categoria dei locali indicati
nell'art. 2, lett. c), del predetto decreto avuto riguardo
alla funzione consimile degli androni, in tale disposizione
previsti, e dei citati spazi di manovra e di accesso,
consistenti nel rendere possibile la comunicazione tra la
strada e altri locali.”.
E ciò secondo una ineccepibile interpretazione logica della
detta disposizione, che non collide con la tesi secondo cui
(Consiglio Stato, sez. V, 18.10.1981 n. 445) “ai fini
della individuazione delle superfici non residenziali per
servizi e accessori, computabili per la determinazione del
costo di costruzione, l'art. 2, comma 2, d.m. 10.05.1977
(richiamato integralmente dal d.m. 09.05.1978) ha una
struttura chiaramente esaustiva, quanto meno delle
tipologie, che debbono ritenersi incluse nel predetto
computo, -nelle quali non è dato far rientrare anche le
scale-.”.
La affermata esaustività della indicazione ivi contenuta,
infatti, non contrasta con la logica ricomprensione
“categoriale” di superfici indispensabili alla utilizzazione
di quelle espressamente menzionate nel d.M..
Alla stregua di tale condivisibile ed armonica
interpretazione ritiene il Collegio che sia infondata la
doglianza incentrata sulla tassatività della prescrizione
contenuta nella citata norma, che, per le già chiarite
ragioni deve essere intesa secondo un criterio “categoriale”
e fondata su “tipologie” (e le autorimesse sono ivi
espressamente contemplate, ragion per cui la indicazione
deve essere estesa anche ai corselli di manovra di accesso
ai garage interrati) (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 28.11.2012 n. 6033 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Il diritto di scomputo dalla somma dovuta a
titolo di oneri concessori non può configurarsi in assenza
quantomeno di una anche informale accettazione dell'opera di
urbanizzazione realizzata o promossa dal costruttore, con la
ineluttabile conseguenza che, in assenza di qualsivoglia
partecipazione consensuale dell'Ente, anche solo ex post,
gli oneri contributivi, così come determinati, devono essere
integralmente corrisposti.
---------------
● l'art. 16 d.P.R. n. 380/2001 prevede la corresponsione di
un contributo composto da due quote distinte: gli oneri di
urbanizzazione, che non sono dovuti se il titolare del
permesso si obbliga a realizzare direttamente tali opere, ed
il costo di costruzione, che, invece, essendo una
percentuale rapportata non ad opere da fare per la
collettività, ma ai costi di costruzione per tipologia
edilizia, adeguati annualmente, non sono suscettibili di
entrare nel meccanismo dello scomputo, ma non per questo è
possibile ricavare la regola fiscale di un pagamento
pecuniario; l'indisponibilità dei costi di costruzione è nel
senso che essi sono previsti e quantificati per legge, ma la
forma del pagamento, con compensazione o meno, è rimessa
all'accordo tra le parti;
● ai sensi dell'art. 11, comma 2, d.P.R. n. 380 del 2001, a
scomputo totale o parziale della quota dovuta per oneri di
urbanizzazione, il titolare del permesso di costruire può
obbligarsi a realizzare direttamente le opere di
urbanizzazione, con le modalità e le garanzie stabilite dal
Comune. Dall'inequivoco tenore letterale della norma si
desume che il titolare del permesso non può realizzare le
opere di sua iniziativa, ovvero limitandosi ad inviare una
richiesta di autorizzazione, mai riscontrata al Comune,
essendo invece necessario che l'Amministrazione disciplini
espressamente le modalità di esecuzione delle opere e le
necessarie garanzie;
● l'autorizzazione all'esecuzione diretta di opere di
urbanizzazione a scomputo dei relativi oneri normalmente
viene rilasciata attraverso la concessione edilizia
-attualmente art. 45 della l.reg. Lombardia 11.03.2005 n.
12- ma di per sé potrebbe intervenire anche successivamente,
in base alle valutazioni degli uffici comunali che vigilano
sull'attività edilizia.
Quanto all’ultima censura
di merito formulata –in ordine alla quale non colgono nel
segno le obiezioni di parte appellata con le quali se ne
sostiene la inammissibilità per genericità e tardività,
avendo l’appellante introdotto il petitum già nel mezzo di
primo grado- essa pare al Collegio senz’altro accoglibile.
Invero l’appellante ha chiesto che venga affermato il
diritto della stessa ad ottenere lo scomputo dagli oneri di
urbanizzazione secondaria determinati ex lege e quantificati
dal Comune (e concorrenti a determinare il contributo di
costruzione), dell’onere direttamente sostenuto per eseguire
le corrispondenti opere (id est: i parcheggi ed il verde
attrezzato).
Escluso che la stessa si riferisse al costo di costruzione,
e preso atto della incontestata affermazione che la omessa
quantificazione di tali oneri direttamente sopportati
discenda dalla circostanza che ad una compiuta
determinazione degli stessi potrebbe procedersi soltanto a
seguito del collaudo dell’opera da parte del Comune (ex multis: “Il diritto di scomputo dalla somma dovuta a titolo
di oneri concessori non può configurarsi in assenza
quantomeno di una anche informale accettazione dell'opera di
urbanizzazione realizzata o promossa dal costruttore, con la
ineluttabile conseguenza che, in assenza di qualsivoglia
partecipazione consensuale dell'Ente, anche solo ex post,
gli oneri contributivi, così come determinati, devono essere
integralmente corrisposti” -TAR Campania Napoli, sez.
VIII, 17.09.2009, n. 4983-) cadono le eccezioni di
genericità ed indeterminatezza prospettate dall’appellata
amministrazione comunale.
Nel merito, pare al Collegio che la richiesta di parte
appellante, oltre a rientrare pacificamente nella
giurisdizione di questo Collegio, sia strettamente aderente
alla previsione normativa contenuta nell’art. 16, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001, (“la quota di contributo relativa
agli oneri di urbanizzazione è corrisposta al comune
all'atto del rilascio del permesso di costruire e, su
richiesta dell'interessato, può essere rateizzata. A
scomputo totale o parziale della quota dovuta, il titolare
del permesso può obbligarsi a realizzare direttamente le
opere di urbanizzazione, nel rispetto dell'articolo 2, comma
5, della legge 11.02.1994, n. 109, e successive
modificazioni, con le modalità e le garanzie stabilite dal
comune, con conseguente acquisizione delle opere realizzate
al patrimonio indisponibile del comune”): ovviamente, nei
limiti in cui siano state seguite le procedure che
consentono la operatività di tale meccanismo compensativo
(ex multis si vedano:
● ”l'art. 16 d.P.R. n. 380/2001 prevede la corresponsione
di un contributo composto da due quote distinte: gli oneri
di urbanizzazione, che non sono dovuti se il titolare del
permesso si obbliga a realizzare direttamente tali opere, ed
il costo di costruzione, che, invece, essendo una
percentuale rapportata non ad opere da fare per la
collettività, ma ai costi di costruzione per tipologia
edilizia, adeguati annualmente, non sono suscettibili di
entrare nel meccanismo dello scomputo, ma non per questo è
possibile ricavare la regola fiscale di un pagamento
pecuniario; l'indisponibilità dei costi di costruzione è nel
senso che essi sono previsti e quantificati per legge, ma la
forma del pagamento, con compensazione o meno, è rimessa
all'accordo tra le parti” -TAR Abruzzo Pescara, sez. I,
18.10.2010, n. 1142-;
● ”ai sensi dell'art. 11, comma 2, d.P.R. n. 380 del 2001, a
scomputo totale o parziale della quota dovuta per oneri di
urbanizzazione, il titolare del permesso di costruire può
obbligarsi a realizzare direttamente le opere di
urbanizzazione, con le modalità e le garanzie stabilite dal
Comune. Dall'inequivoco tenore letterale della norma si
desume che il titolare del permesso non può realizzare le
opere di sua iniziativa, ovvero limitandosi ad inviare una
richiesta di autorizzazione, mai riscontrata al Comune,
essendo invece necessario che l'Amministrazione disciplini
espressamente le modalità di esecuzione delle opere e le
necessarie garanzie (il che non è accaduto nel caso di
specie)” -TAR Calabria Catanzaro, sez. II, 08.04.2011, n. 501-;
● “l'autorizzazione all'esecuzione diretta di opere di
urbanizzazione a scomputo dei relativi oneri normalmente
viene rilasciata attraverso la concessione edilizia
-attualmente art. 45 della l. reg. Lombardia 11.03.2005
n. 12- ma di per sé potrebbe intervenire anche
successivamente, in base alle valutazioni degli uffici
comunali che vigilano sull'attività edilizia” -TAR
Lombardia Brescia, sez. I, 12.07.2010, n. 2481-).
Entro tali limiti, il motivo di appello è fondato e va
accolto, potendosi affermare il diritto dell’appellante allo
scomputo richiesto dal contributo di urbanizzazione (con
esclusione, ovviamente, del costo di costruzione) degli
oneri relativi alla esecuzione delle opere di urbanizzazione
secondaria
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 28.11.2012 n. 6033 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Pur dovendosi normalmente commisurare gli oneri
concessori al momento in cui il titolo abilitativo viene
rilasciato, giusta la giurisprudenza citata dalla difesa del
Comune, nella specie detta regola deve trovare di necessità
un contemperamento, attesa l’operatività del principio
generale, immanente al sistema processuale, non solo
amministrativo, secondo il quale il tempo necessario per
pervenire ad una decisione nel merito non può andare a
detrimento di chi ha ragione.
Pur dovendosi normalmente commisurare gli
oneri concessori al momento in cui il titolo abilitativo
viene rilasciato, giusta la giurisprudenza citata dalla
difesa del Comune, nella specie detta regola deve trovare di
necessità un contemperamento, attesa l’operatività del
principio generale, immanente al sistema processuale, non
solo amministrativo, secondo il quale il tempo necessario
per pervenire ad una decisione nel merito non può andare a
detrimento di chi ha ragione.
Nella specie, alcuni dati risaltano incontrovertibili: che
il ricorrente ha chiesto il rilascio della concessione
edilizia nel 2000; che ha integrato detta richiesta nel
2001; che il nulla osta sindacale è stato rilasciato nello
stesso 2001; che non è seguito il rilascio della concessione
edilizia, perché detto nulla osta è stato annullato
dall’organo tutorio statale; che detto annullamento,
ritualmente impugnato dinanzi agli organi della giustizia
amministrativa, è stato infine dichiarato illegittimo e, a
sua volta, annullato dal Consiglio di Stato nel 2009; che,
dopo detta sentenza, il ricorrente, all’uopo interpellato
dal Comune, ha chiesto di poter proseguire proprio il
procedimento, scaturito dall’istanza del 2000, arrestatosi
per effetto dell’intervento della Soprintendenza, reputato
illegittimo dal Consiglio di Stato.
Orbene, la pretesa del Comune di Battipaglia, d’applicare
alla determinazione degli oneri concessori la disciplina,
fissata con deliberazione consiliare dell’ottobre 2010,
significherebbe svuotare di significato il principio
generale di cui sopra, il cui scopo consiste nell’impedire
che il decorso del tempo necessario all’emissione della
decisione possa vanificare la satisfattività, sotto ogni
aspetto, della pronuncia.
Di tale principio, del resto, ha implicitamente ma
sicuramente fatto applicazione la sentenza della Terza
Sezione del TAR Puglia–Bari (n. 1139/2011),
richiamata a supporto delle argomentazioni spiegate in
ricorso, allorquando in parte motiva i Giudici hanno
osservato: “Non è quindi revocabile in dubbio che
l’amministrazione potesse provvedere in modo favorevole ai
richiedenti già alla data del primo diniego poi annullato”,
dovendo quindi l’Amministrazione quantificare gli oneri
dovuti, secondo il regime vigente a tale data.
Analogamente, nella specie, gli oneri concessori andranno
quantificati dal Comune, secondo il regime vigente al
momento della proposizione del ricorso al TAR, avverso
il provvedimento della Soprintendenza, di annullamento del
nulla osta sindacale del 25.07.2001, dovendo appunto gli
effetti favorevoli della sentenza del C. di S. retroagire
alla data di esercizio dell’azione, a tutela degli effetti
conformativi del giudicato di annullamento del provvedimento
della Soprintendenza, che aveva determinato l’illegittimo
arresto del procedimento volto al rilascio del titolo
abilitativo in materia edilizia.
L’argomento è dirimente, e vale a superare anche la, pur
pertinente, osservazione di parte ricorrente, secondo cui il
Comune ben avrebbe potuto, in ogni caso, concludere il
procedimento in questione, nel tempo intercorrente tra la
domanda dello stesso ricorrente (dell’11–14.06.2010),
di voler coltivare l’originaria istanza e la successiva
emanazione della delibera consiliare, di rideterminazione
degli oneri concessori (del 06.10.2010), in tal modo
impedendo che lo stesso ricorrente dovesse corrispondere un
importo maggiorato, a titolo di pagamento degli oneri in
questione.
L’accoglimento della domanda principale, di annullamento, in
parte qua, degli atti impugnati, assorbe quella subordinata,
di risarcimento del danno, la quale va quindi dichiarata improcedibile,
per sopravvenuta carenza d’interesse (TAR Campania-Salerno, Sez. I,
sentenza 21.11.2012 n. 2097 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Il contributo per oneri
di urbanizzazione è un corrispettivo di diritto pubblico, di
natura non tributaria, posto a carico del costruttore a
titolo di partecipazione ai costi delle opere di
urbanizzazione in proporzione all’insieme dei benefici che
la nuova costruzione ne ritrae.
Il presupposto imponibile per il pagamento dei contributi di
urbanizzazione va ravvisato nella domanda di una maggiore
dotazione di servizi (rete viaria, fognature, ecc.)
nell’area di riferimento, che sia indotta dalla destinazione
d’uso concretamente impressa all’alloggio: poiché l’entità
degli oneri di urbanizzazione è in buona sostanza correlata
alla variazione del carico urbanistico, è ben possibile che
un intervento di ristrutturazione e mutamento di
destinazione d’uso possa non comportare aggravi di carico
urbanistico e quindi l’obbligo della relativa corresponsione
degli oneri; al contrario è altrettanto possibile che in
caso di mutamento di destinazione di uso nell’ambito della
stessa categoria urbanistica, faccia seguito un maggior
carico urbanistico indotto dalla realizzazione di quanto
assentito e correlativamente siano dovuti gli oneri
concessori.
---------------
Nella fattispecie non affiorano elementi utili a comprovare
che la nuova modalità di utilizzo dei locali sia stata
accompagnata da un’alterazione del carico urbanistico,
tenendo conto che l’aggregazione di cui si discute ha
interessato due appartamenti aventi già in precedenza
destinazione direzionale.
In ogni caso, in presenza di un insediamento già in possesso
di analoghe caratteristiche funzionali (nella fattispecie, i
locali incorporati erano adibiti ad ufficio)
l’amministrazione –per poter legittimamente esigere il
contributo per gli oneri di urbanizzazione– deve dare
contezza degli indici o, comunque, delle condizioni da cui
si evinca il maggior carico urbanistico addebitabile alla
nuova destinazione.
---------------
La giurisprudenza è dell’avviso che gli interventi edilizi
che alterino, anche sotto il profilo della distribuzione
interna, l’originaria consistenza fisica di un immobile e
comportino l’inserimento di nuovi impianti e la modifica e
ridistribuzione dei volumi, non si configurano né come
manutenzione straordinaria, né come restauro o risanamento
conservativo, ma rientrano nell’ambito della
ristrutturazione edilizia.
In altre parole, affinché sia ravvisabile un intervento di
ristrutturazione edilizia è sufficiente che risultino
modificati la distribuzione della superficie interna e dei
volumi, ovvero l’ordine in cui risultavano disposte le
diverse porzioni dell'edificio, per il solo fine di rendere
più agevole la destinazione d’uso esistente: anche in questi
casi si configurano il rinnovo degli elementi costitutivi
dell’edificio ed un’alterazione dell’originaria fisionomia e
consistenza fisica dell'immobile, incompatibili con i
concetti di manutenzione straordinaria e di risanamento
conservativo che presuppongono la realizzazione di opere che
lascino inalterata la struttura dell'edificio e la
distribuzione interna della sua superficie.
Nella fattispecie le modifiche effettuate inducono ad
ascrivere l’intervento edilizio nel genus della
ristrutturazione, poiché si assiste alla riallocazione e al
rinnovato dimensionamento di alcuni vani esistenti (taluni
dei quali adibiti a nuove funzioni come “sterilizzazione” e
“deposito”) nonché al rifacimento degli impianti tecnologici
e dei servizi igienici. Sono quindi ravvisabili i tratti
distintivi della ristrutturazione, per il duplice elemento
del recupero dello spazio e della diversità e “non alterità”
dell’organismo che si viene a realizzare rispetto a quello
originario, dato che gli ambienti mantengono una sostanziale
omogeneità rispetto ai precedenti quanto ai loro principali
caratteri identificativi (collocazione, sagoma, altezza,
volumetria): in buona sostanza si compie una modifica totale
o parziale dell’edificio, che in positivo è rappresentata
dalla creazione di un organismo “diverso” dal precedente, ed
in negativo dal fatto che per effetto delle opere non
vengono sensibilmente alterati i volumi, le superfici, le
dimensioni o la tipologia del fabbricato.
---------------
L’obbligazione contributiva per costo di costruzione è
a-causale e si correla alla produzione di ricchezza connessa
all’utilizzazione edificatoria del territorio ed alle
potenzialità economiche che ne derivano e, pertanto, ha
natura essenzialmente paratributaria.
Il contributo afferente al costo di costruzione, a norma
dell’art. 6 della L. 10/1977, è determinato in rapporto alle
caratteristiche, alle tipologie delle costruzioni e delle
loro destinazioni ed ubicazioni (oggi occorre fare
riferimento all’art. 16 del D.P.R. 380/2001).
Ne deriva, quindi, che nell’ipotesi di rinnovo degli
elementi costitutivi di un immobile mediante la
realizzazione di opere, sussiste il presupposto per il
pagamento della parte di contributo afferente al costo di
costruzione, da riferire al dato oggettivo della
ristrutturazione dell’edificio.
I ricorrenti lamentano l’erronea determinazione del
contributo di urbanizzazione da parte dell’amministrazione
in sede di rilascio del titolo abilitativo.
Nell’ambito di un tipico giudizio di accertamento, è
opportuno esaminare separatamente i presupposti per
l’applicazione degli oneri di urbanizzazione e del costo di
costruzione.
Sottolinea anzitutto il Collegio che –contrariamente a
quanto affermato dal Comune resistente– parte ricorrente ha
lamentato (classificando il proprio intervento come restauro
e risanamento conservativo - pag. 4 del gravame
introduttivo) l’assenza di un maggiore carico urbanistico a
seguito dell’ampliamento dello studio dentistico originario.
Va ribadito sul tema che il contributo per oneri di
urbanizzazione è un corrispettivo di diritto pubblico, di
natura non tributaria, posto a carico del costruttore a
titolo di partecipazione ai costi delle opere di
urbanizzazione in proporzione all’insieme dei benefici che
la nuova costruzione ne ritrae (cfr. per tutti TAR Puglia
Bari, sez. III – 10/02/2011 n. 243). Il presupposto
imponibile per il pagamento dei contributi di urbanizzazione
va ravvisato nella domanda di una maggiore dotazione di
servizi (rete viaria, fognature, ecc.) nell’area di
riferimento, che sia indotta dalla destinazione d’uso
concretamente impressa all’alloggio: poiché l’entità degli
oneri di urbanizzazione è in buona sostanza correlata alla
variazione del carico urbanistico, è ben possibile che un
intervento di ristrutturazione e mutamento di destinazione
d’uso possa non comportare aggravi di carico urbanistico e
quindi l’obbligo della relativa corresponsione degli oneri;
al contrario è altrettanto possibile che in caso di
mutamento di destinazione di uso nell’ambito della stessa
categoria urbanistica, faccia seguito un maggior carico
urbanistico indotto dalla realizzazione di quanto assentito
e correlativamente siano dovuti gli oneri concessori (TAR
Lazio Roma, sez. II – 14/11/2007 n. 11213).
Nella fattispecie non affiorano elementi utili a comprovare
che la nuova modalità di utilizzo dei locali sia stata
accompagnata da un’alterazione del carico urbanistico,
tenendo conto che l’aggregazione di cui si discute ha
interessato due appartamenti aventi già in precedenza
destinazione direzionale. In ogni caso, come sostenuto di
recente (cfr. sentenze Sezione 02/03/2012 n. 355; 24/08/2012
n. 1467) in presenza di un insediamento già in possesso di
analoghe caratteristiche funzionali (i locali incorporati
erano adibiti ad ufficio) l’amministrazione –per poter
legittimamente esigere il contributo per gli oneri di
urbanizzazione– avrebbe dovuto dare contezza degli indici o,
comunque, delle condizioni da cui si evinceva il maggior
carico urbanistico addebitabile alla nuova destinazione
(cfr. TAR Lombardia Milano, sez. IV – 04/05/2009 n. 3604).
Nel caso concreto la difesa dell’amministrazione ha
evidenziato –nella memoria finale– che il raddoppio delle
sale dedicate a gabinetto dentistico provoca una maggiore
domanda di servizi, senza tuttavia raffrontare la situazione
attuale (studio dentistico ampliato) con quella
concretamente preesistente. Al riguardo non è sufficiente il
paragone con una media struttura di vendita (la quale
avrebbe maggiore capacità di attrazione di clientela di due
esercizi di vicinato sommati tra loro): si tratta infatti di
una struttura del settore commerciale (soggetta ad una
disciplina specifica sugli standard necessari)
caratterizzata da una superficie ben maggiore (oltre 250
mq.).
Deve in conclusione ritenersi indebitamente preteso
l’importo di € 15.312,81, da restituire alla parte
ricorrente.
A differenti conclusioni deve pervenirsi con riguardo al
costo di costruzione.
Come ha già sottolineato questo Tribunale (cfr. sentenza
sez. I – 19/04/2011 n. 582) la giurisprudenza è dell’avviso
che gli interventi edilizi che alterino, anche sotto il
profilo della distribuzione interna, l’originaria
consistenza fisica di un immobile e comportino l’inserimento
di nuovi impianti e la modifica e ridistribuzione dei
volumi, non si configurano né come manutenzione
straordinaria, né come restauro o risanamento conservativo,
ma rientrano nell’ambito della ristrutturazione edilizia
(cfr. TAR Molise – 27/03/2009 n. 99; Consiglio di Stato,
sez. V – 17/12/1996 n. 1551).
In altre parole, affinché sia ravvisabile un intervento di
ristrutturazione edilizia è sufficiente che risultino
modificati la distribuzione della superficie interna e dei
volumi, ovvero l’ordine in cui risultavano disposte le
diverse porzioni dell'edificio, per il solo fine di rendere
più agevole la destinazione d’uso esistente: anche in questi
casi si configurano il rinnovo degli elementi costitutivi
dell’edificio ed un’alterazione dell’originaria fisionomia e
consistenza fisica dell'immobile, incompatibili con i
concetti di manutenzione straordinaria e di risanamento
conservativo che presuppongono la realizzazione di opere che
lascino inalterata la struttura dell'edificio e la
distribuzione interna della sua superficie (cfr. Consiglio
di Stato, Sez. V – 18/10/2002 n. 5775; Consiglio di Stato,
sez. V – 23/05/2000 n. 2988).
Nella fattispecie le modifiche effettuate inducono ad
ascrivere l’intervento edilizio nel genus della
ristrutturazione, poiché (dall’analisi della planimetria in
atti) si assiste alla riallocazione e al rinnovato
dimensionamento di alcuni vani esistenti (taluni dei quali
adibiti a nuove funzioni come “sterilizzazione” e “deposito”)
nonché al rifacimento degli impianti tecnologici e dei
servizi igienici. Sono quindi ravvisabili i tratti
distintivi della ristrutturazione, per il duplice elemento
del recupero dello spazio e della diversità e “non
alterità” dell’organismo che si viene a realizzare
rispetto a quello originario, dato che gli ambienti
mantengono una sostanziale omogeneità rispetto ai precedenti
quanto ai loro principali caratteri identificativi
(collocazione, sagoma, altezza, volumetria): in buona
sostanza si compie una modifica totale o parziale
dell’edificio, che in positivo è rappresentata dalla
creazione di un organismo “diverso” dal precedente,
ed in negativo dal fatto che per effetto delle opere non
vengono sensibilmente alterati i volumi, le superfici, le
dimensioni o la tipologia del fabbricato (sentenza TAR
Brescia – 11/06/2004 n. 646).
Posta questa premessa, osserva il Collegio che
l’obbligazione contributiva per costo di costruzione è
a-causale e si correla alla produzione di ricchezza connessa
all’utilizzazione edificatoria del territorio ed alle
potenzialità economiche che ne derivano e, pertanto, ha
natura essenzialmente paratributaria (TAR Campania Salerno,
sez. II – 11/06/2002 n. 459). Il contributo afferente al
costo di costruzione, a norma dell’art. 6 della L. 10/1977,
è determinato in rapporto alle caratteristiche, alle
tipologie delle costruzioni e delle loro destinazioni ed
ubicazioni (oggi occorre fare riferimento all’art. 16 del
D.P.R. 380/2001). Ne deriva, quindi, che nell’ipotesi di
rinnovo degli elementi costitutivi di un immobile mediante
la realizzazione di opere, sussiste il presupposto per il
pagamento della parte di contributo afferente al costo di
costruzione, da riferire al dato oggettivo della
ristrutturazione dell’edificio (sentenza Sezione 02/03/2012
n. 355): pertanto l’esazione è stata correttamente pretesa
dal Comune.
In conclusione il ricorso è parzialmente fondato e deve
essere accolto nella parte in cui il Comune ha erroneamente
richiesto la quota di oneri di urbanizzazione (€ 15.312,81),
che devono essere restituiti. Sulla somma vanno calcolati
gli interessi i quali decorrono –trattandosi di azione di
ripetizione di indebito– dalla data di proposizione della
domanda giudiziale, dovendosi presumere la buona fede
dell’amministrazione resistente in assenza di dimostrazione
contraria, mentre non spetta la rivalutazione monetaria
trattandosi di indebito oggettivo il quale genera solo
l’obbligazione di restituzione degli interessi a norma
dell’art. 2033 del c.c. (cfr. TAR Lombardia Milano, sez. II
– 05/05/2004 n. 1620; TAR Lazio Roma, sez. I – 19/01/1999 n.
99; Consiglio di Stato, sez. V – 30/10/1997 n. 1207). Non
spetta alcuna altra somma a titolo risarcitorio, in difetto
della dimostrazione di danni ulteriori e diversi
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 20.11.2012 n. 1818 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
La determinazione degli
oneri concessori costituisce il risultato di un calcolo
materiale, operato sulla base di parametri rigorosamente
stabiliti dalla legge, dalla disciplina regolamentare e
dalle disposizioni applicative degli enti territoriali
competenti, senza che in proposito residui alcun margine di
discrezionalità in capo alla p.a., a carico della quale
pertanto non è configurabile alcuno specifico onere
motivazionale.
Con l’ultimo mezzo, viene
reiterata la censura relativa alla carenza di motivazione a
base del calcolo dei costi di costruzione pretesi dal Comune
per le varianti in corso d’opera.
Secondo la appellante, insufficiente sarebbe il richiamo del
primo giudice al carattere non autoritativo e in qualche
modo automatico del calcolo dei contributi concessori, ben
diversi potendo essere gli effetti a seconda di quali siano
la modalità e i criteri di calcolo applicati
dall’Amministrazione comunale: donde il dovere di
quest’ultima di esplicitare con congrua motivazione i
parametri e criteri di calcolo applicati.
La doglianza è infondata, dovendosi ribadire il consolidato
orientamento secondo cui la determinazione degli oneri
concessori costituisce il risultato di un calcolo materiale,
operato sulla base di parametri rigorosamente stabiliti
dalla legge, dalla disciplina regolamentare e dalle
disposizioni applicative degli enti territoriali competenti,
senza che in proposito residui alcun margine di
discrezionalità in capo alla p.a., a carico della quale
pertanto non è configurabile alcuno specifico onere
motivazionale (cfr. ex plurimis Cons. Stato, sez. V,
09.02.2001, nr. 584).
Ne discende che, ove non persuasa della correttezza del
calcolo operato dal Comune, sarebbe spettato alla società
appellante indicare come e perché l’applicazione dei
parametri suindicati portava a un risultato diverso da
quello ritenuto dall’Amministrazione (ciò che, per vero, la
stessa società ha fatto –e con parziale successo– con
riguardo agli oneri di urbanizzazione), non potendo invece
limitarsi a lamentare genericamente un difetto di
motivazione sul punto (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 19.11.2012 n. 5818 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Il contributo relativo al
costo di costruzione (art. 6, legge n. 10/1977), definibile
acausale, è riconducibile all'attività costruttiva ex se
considerata e, correlandosi direttamente all'uso
edificatorio del suolo ed ai potenziali vantaggi economici
che ne discendono, è sostanzialmente configurabile alla
stregua dei prelievi di natura paratributaria ed è sempre
dovuto in presenza di una trasformazione edilizia del
territorio ed in conseguenza della produzione di ricchezza
connessa alla sua utilizzazione.
Al contrario l'imposizione del contributo di urbanizzazione
(art. 5, L. n. 10/1977) -il quale non ha natura di
controprestazione in rapporto sinallagmatico, rispetto al
rilascio della concessione edilizia, ma è assimilabile ai
corrispettivi di diritto pubblico di natura non tributaria,
che svolgono funzione recuperatoria non commisurata né
all'utile dell'operazione né al vantaggio del
concessionario– presenta natura causale e risponde ad una
diversa ratio, che va individuata nella necessità di
ridistribuire i costi sociali delle opere di urbanizzazione,
facendoli gravare sugli interessati che beneficiano delle
utilità derivanti dalla presenza delle opere medesime, in
modo più equo per la comunità.
---------------
Da quanto sopra discende che, nell'ipotesi di variazione di
destinazione d'uso di un immobile senza la realizzazione di
opere, mentre non sussiste il presupposto per il pagamento
della parte di contributo afferente al costo di costruzione,
da riferire al dato oggettivo della realizzazione
dell'edificio, per la parte, invece, che attiene agli oneri
di urbanizzazione, può sussistere il presupposto del
pagamento, occorrendo avere riguardo all'eventuale aumento
del carico urbanistico indotto dalla nuova destinazione
d'uso del manufatto, dovendosi ritenere, per contro, che
tali oneri non siano dovuti ove non sia riscontrabile alcuna
variazione in aumento del carico urbanistico.
---------------
Il cambio di destinazione d'uso, da locale a uso industriale
a locale ad uso commerciale, ha certamente conferito
all'immobile di proprietà della società ricorrente
un'utilizzazione autonoma e produttiva, in relazione alla
quale si giustifica il pagamento delle spese di
urbanizzazione derivanti dal maggior carico urbanistico che
esso comporta per effetto della nuova destinazione.
Invero, la giurisprudenza ha più volte affermato che la
richiesta di pagamento degli oneri di urbanizzazione, in
sede di rilascio della concessione edilizia, deve ritenersi
illegittima ogni volta che non sia ravvisabile un aumento
del carico urbanistico a seguito del realizzato intervento
edilizio; e, correlativamente, legittima nel caso in cui si
sia verificata una variazione in aumento del carico
medesimo, giacché in tale evenienza sussiste il presupposto
che giustifica l'imposizione al titolare del pagamento della
differenza tra gli oneri di urbanizzazione dovuti per la
destinazione originaria e quelli, se maggiori, dovuti per la
nuova destinazione impressa all'immobile.
Con riferimento alle
ulteriori censure va premesso che a fronte della
modificazione della destinazione d'uso di un manufatto
edilizio, la possibilità dello stesso di essere assoggettato
a sanatoria (o condono edilizio) è subordinata al pagamento
degli oneri concessori, vale a dire alla corresponsione di
un contributo commisurato sia all'incidenza delle spese di
urbanizzazione, sia al costo di costruzione.
In proposito, la giurisprudenza ha chiarito che il
contributo relativo al costo di costruzione (art. 6, legge
n. 10/1977), definibile acausale, è riconducibile all'attività
costruttiva ex se considerata e, correlandosi direttamente
all'uso edificatorio del suolo ed ai potenziali vantaggi
economici che ne discendono, è sostanzialmente configurabile
alla stregua dei prelievi di natura paratributaria ed è
sempre dovuto in presenza di una trasformazione edilizia del
territorio ed in conseguenza della produzione di ricchezza
connessa alla sua utilizzazione; al contrario l'imposizione
del contributo di urbanizzazione (art. 5, L. n. 10/1977) -il
quale non ha natura di controprestazione in rapporto
sinallagmatico, rispetto al rilascio della concessione
edilizia, ma è assimilabile ai corrispettivi di diritto
pubblico di natura non tributaria, che svolgono funzione recuperatoria non commisurata né all'utile dell'operazione
né al vantaggio del concessionario (cfr. Cass. Civ., Sez. I,
27.09.1994, n. 7874)– presenta natura causale e
risponde ad una diversa ratio, che va individuata nella
necessità di ridistribuire i costi sociali delle opere di
urbanizzazione, facendoli gravare sugli interessati che
beneficiano delle utilità derivanti dalla presenza delle
opere medesime, in modo più equo per la comunità (cfr.
TAR Veneto, 17.06.2002, n. 2877; id., Sez. II, 12.05.1994, n. 394; TAR Salerno, Sez. II, 23.05.2003, n. 548; TAR Toscana, Sez. III, 11.08.2004, n.
3181).
Da quanto sopra discende che, nell'ipotesi di variazione di
destinazione d'uso di un immobile senza la realizzazione di
opere, mentre non sussiste il presupposto per il pagamento
della parte di contributo afferente al costo di costruzione,
da riferire al dato oggettivo della realizzazione
dell'edificio, per la parte, invece, che attiene agli oneri
di urbanizzazione, può sussistere il presupposto del
pagamento, occorrendo avere riguardo all'eventuale aumento
del carico urbanistico indotto dalla nuova destinazione
d'uso del manufatto, dovendosi ritenere, per contro, che
tali oneri non siano dovuti ove non sia riscontrabile alcuna
variazione in aumento del carico urbanistico (cfr. TAR
Veneto, Sez. II, 13.11.2001, n. 3699).
Con riferimento al caso specifico va rilevato che il
cambio di destinazione d'uso, da locale a uso industriale a
locale ad uso commerciale, ha certamente conferito
all'immobile di proprietà della società ricorrente
un'utilizzazione autonoma e produttiva, in relazione alla
quale si giustifica il pagamento delle spese di
urbanizzazione derivanti dal maggior carico urbanistico che
esso comporta per effetto della nuova destinazione (cfr.
TAR Veneto Sez. II Sent., 12.07.2007, n. 2438; TAR
Lazio sez. II 17.05.2005, n. 3844).
Invero, la giurisprudenza ha più volte affermato che la
richiesta di pagamento degli oneri di urbanizzazione, in
sede di rilascio della concessione edilizia, deve ritenersi
illegittima ogni volta che non sia ravvisabile un aumento
del carico urbanistico a seguito del realizzato intervento
edilizio; e, correlativamente, legittima nel caso in cui si
sia verificata una variazione in aumento del carico
medesimo, giacché in tale evenienza sussiste il presupposto
che giustifica l'imposizione al titolare del pagamento della
differenza tra gli oneri di urbanizzazione dovuti per la
destinazione originaria e quelli, se maggiori, dovuti per la
nuova destinazione impressa all'immobile (confr. Cons.
Stato, Sez. IV, 29.04.2004, n. 2611; id., Sez. V, 15.09.1997, n. 959; TAR Milano, Sez. II,
02.10.2003, n. 4502; TAR Bologna, Sez. II, 19.02.2001,
n. 157 e 07.05.1999, n. 259; TAR Veneto, n. 2877/2002,
cit.).
Nel caso di specie, l’incremento del carico urbanistico
costituisce dato pacifico, al pari della sussistenza
dell’obbligo di pagamento degli oneri di urbanizzazione,
risultando controverso unicamente il metodo di liquidazione
degli stessi
(TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 14.11.2012 n. 1221 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Secondo il combinato disposto degli articoli 11 e
12 della legge 28.10.1977, n. 10, gli oneri di
urbanizzazione devono essere corrisposti al Comune “all’atto
del rilascio della concessione” e sono destinati, tra
l’altro, “alla realizzazione delle opere di urbanizzazione
primaria e secondaria”.
Sul punto, la giurisprudenza amministrativa ha avuto modo di
chiarire che gli oneri di urbanizzazione hanno natura di
corrispettivo di diritto pubblico in funzione della
partecipazione dei privati ai costi delle opere di
urbanizzazione e sono dovuti anche al di là di un nesso di
stretta inerenza delle opere di urbanizzazione rispetto alle
singole aree.
Il pagamento di tali contributi non comporta la nascita, in
capo al titolare del concessione edilizia, di un diritto,
azionabile nei confronti della pubblica amministrazione,
alla realizzazione e completamento delle opere di
urbanizzazione che maggiormente interessano la sua
costruzione, posto che il Comune può discrezionalmente
utilizzare i predetti introiti per il completamento o la
manutenzione delle opere di urbanizzazione di qualsiasi
parte del territorio.
---------------
La pretesa della ricorrente di ottenere l’ultimazione dei
lavori sulla strada che conduce alla sua proprietà, nella
specie consistenti nella bitumatura e nella realizzazione
del marciapiede, non corrisponde ad un interesse legittimo
differenziato e qualificato ad un bene della vita, con la
conseguente carenza di legittimazione attiva a proporre il
ricorso in epigrafe.
Tale soluzione è pacifica nella giurisprudenza
amministrativa in tema di manutenzione e completamento delle
strade. In proposito, il Consiglio di Stato ha avuto modo di
chiarire che “l’interesse di ogni cittadino a che
l'amministrazione comunale provveda alla diligente
manutenzione e custodia di tutti i beni pubblici (e, tra
essi, le strade), non è tutelabile in via amministrativa né
giurisdizionale (fatti salvi i casi di azioni popolari),
fronteggiando esso un mero dovere imposto in capo alla p.a.
per il vantaggio della collettività non soggettivizzata,
sicché non si è in presenza di un interesse legittimo
differenziabile, ma al cospetto di interesse semplice e di
fatto, rientrante come tale nell'area del giuridicamente
irrilevante”.
Con specifico riguardo al completamento delle opere di
urbanizzazione, di recente, il TAR Lazio ha affermato che a
fronte della domanda del privato volta ad ottenere il
completamento delle opere di urbanizzazione, non corrisponde
un obbligo per l’amministrazione di adottare, ai sensi
dell’art. 2 della legge 07.08.1990 n. 241, un provvedimento
espresso in relazione a tale pretesa, non essendo il
richiedente titolare di alcun interesse legittimo pretensivo
differenziato e qualificato, non differenziandosi la sua
posizione da quella di tutti gli altri cittadini e soggetti
dell’ordinamento alla corretta e tempestiva esecuzione delle
opere di urbanizzazione.
Il ricorso è palesemente inammissibile.
Ad avviso della ricorrente, l’illegittimità della condotta
del Comune deriverebbe dal notevole ritardo nell’esecuzione
dei lavori di completamento della strada su cui si affaccia
la propria casa di abitazione, in violazione dei principi
costituzionali di buon andamento ed imparzialità dell’azione
amministrativa nonché delle disposizioni della L. 10/1977.
In particolare, secondo la tesi della ricorrente, le norme
dettate dalla l. 10/1977 non consentirebbero “l’arbitrario
rinvio della realizzazione delle opere da parte del Comune”
e, posto che l’articolo 12 stabilisce che i proventi delle
concessioni sono destinati alle opere di urbanizzazione,
quest’ultimo sarebbe obbligato “non solo a realizzare
dette opere ma anche a procedervi in un lasso di tempo
ragionevole”.
Ad avviso del Collegio, gli assunti non sono condivisibili.
In via preliminare, occorre osservare che il lotto di
proprietà della ricorrente ricade, sin dal tempo del
rilascio della concessione edilizia, nella zona B di
completamento residenziale. Per l’effetto, è da ritenere che
l’area in questione fosse, fin dagli inizi della vicenda,
servita dalle opere di urbanizzazione primaria, ivi comprese
adeguate ed efficienti strade residenziali.
Ove le opere di urbanizzazione non fossero state completate,
secondo l’assunto della ricorrente, sarebbe stato
illegittimo l’inserimento in zona B del lotto della
medesima, con conseguente illegittimità della concessione
edilizia alla stessa rilasciata per la costruzione della
propria casa di abitazione.
Nella specie le opere di urbanizzazione, e segnatamente la
strada pubblica, erano state realizzate ed erano funzionali
(come risulta dalla documentazione fotografica depositata
dalla stessa ricorrente) ancorché non fossero stati eseguiti
i lavori di sistemazione definitiva che pretende la
ricorrente: bitumatura della strada e realizzazione dei
marciapiedi.
La decisione sulla realizzazione di queste opere di
completamento e finitura di una strada pienamente agibile e
funzionale, al pari della realizzazione degli interventi di
manutenzione ordinaria e straordinaria di qualsiasi immobile
o bene pubblico, rientra nella discrezionalità del
competente organo comunale che la esercita, alla luce delle
disponibilità di bilancio ed alla luce della scala di
priorità degli interventi, con valutazioni non sindacabili
in sede di legittimità.
Secondo il combinato disposto degli articoli 11 e 12 della
legge 28.10.1977, n. 10, gli oneri di urbanizzazione devono
essere corrisposti al Comune “all’atto del rilascio della
concessione” e sono destinati, tra l’altro, “alla
realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria e
secondaria”.
Sul punto, la giurisprudenza amministrativa ha avuto modo di
chiarire che gli oneri di urbanizzazione hanno natura di
corrispettivo di diritto pubblico in funzione della
partecipazione dei privati ai costi delle opere di
urbanizzazione e sono dovuti anche al di là di un nesso di
stretta inerenza delle opere di urbanizzazione rispetto alle
singole aree ( v. Cons. Stato, sez. V, del 20.04.2009, n.
2359).
Il pagamento di tali contributi non comporta la nascita, in
capo al titolare del concessione edilizia, di un diritto,
azionabile nei confronti della pubblica amministrazione,
alla realizzazione e completamento delle opere di
urbanizzazione che maggiormente interessano la sua
costruzione, posto che il Comune può discrezionalmente
utilizzare i predetti introiti per il completamento o la
manutenzione delle opere di urbanizzazione di qualsiasi
parte del territorio.
Pertanto è priva di rilievo l’affermazione della ricorrente
in ordine all’improcrastinabilità della realizzazione delle
finiture della strada che serve il suo lotto.
Come innanzi rilevato la pretesa della ricorrente di
ottenere l’ultimazione dei lavori sulla strada che conduce
alla sua proprietà, nella specie consistenti nella
bitumatura e nella realizzazione del marciapiede, non
corrisponde ad un interesse legittimo differenziato e
qualificato ad un bene della vita, con la conseguente
carenza di legittimazione attiva a proporre il ricorso in
epigrafe.
Tale soluzione è pacifica nella giurisprudenza
amministrativa in tema di manutenzione e completamento delle
strade. In proposito, il Consiglio di Stato, sezione V, con
la sentenza del 29.11.2004, n. 7773, ha avuto modo di
chiarire che “l’interesse di ogni cittadino a che
l'amministrazione comunale provveda alla diligente
manutenzione e custodia di tutti i beni pubblici (e, tra
essi, le strade), non è tutelabile in via amministrativa né
giurisdizionale (fatti salvi i casi di azioni popolari),
fronteggiando esso un mero dovere imposto in capo alla p.a.
per il vantaggio della collettività non soggettivizzata,
sicché non si è in presenza di un interesse legittimo
differenziabile, ma al cospetto di interesse semplice e di
fatto, rientrante come tale nell'area del giuridicamente
irrilevante”.
Con specifico riguardo al completamento delle opere di
urbanizzazione, di recente, il TAR Lazio, sez. II, con la
sentenza del 04.05.2011, n. 3838, ha affermato che a fronte
della domanda del privato volta ad ottenere il completamento
delle opere di urbanizzazione, non corrisponde un obbligo
per l’amministrazione di adottare, ai sensi dell’art. 2
della legge 07.08.1990 n. 241, un provvedimento espresso in
relazione a tale pretesa, non essendo il richiedente
titolare di alcun interesse legittimo pretensivo
differenziato e qualificato, non differenziandosi la sua
posizione da quella di tutti gli altri cittadini e soggetti
dell’ordinamento alla corretta e tempestiva esecuzione delle
opere di urbanizzazione (TAR Sardegna, Sez. II,
sentenza 08.11.2012 n. 925 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Per
un verso, come tale, la determinazione dell'an e del
quantum del contributo concessorio non ha natura
autoritativa, giacché si tratta di un mero accertamento
dell'obbligazione contributiva, effettuato dalla p.a. in
base a rigidi parametri prefissati dalla legge e dai
regolamenti in tema di criteri impositivi, nei cui riguardi
essa è sfornita di potestà autoritative; conseguentemente,
la posizione del soggetto nei cui confronti è richiesto il
pagamento è di diritto soggettivo, non di interesse
legittimo e l'impugnazione del provvedimento del Comune è
soggetta all'ordinario termine di prescrizione.
Per un altro verso, ai sensi dell'art. 28, l.
24.11.1981 n. 689, applicabile ex art. 12 della stessa legge
a tutte le sanzioni amministrative di tipo affittivo, il
termine di prescrizione della sanzione irrogata per
ritardato pagamento del contributo dovuto per gli oneri di
urbanizzazione e per il costo di costruzione è di cinque
anni, e decorre dal giorno in cui è stata commessa la
violazione.
Preliminarmente, a superamento delle infondate eccezioni di
inammissibilità formulate dalla difesa comunale, va ribadito
che le controversie in materia di oneri d'urbanizzazione,
costo di costruzione e relative sanzioni per l'eventuale
ritardato pagamento, comprese quelle attinenti a domanda di
condono e relativa oblazione, sono attribuite alla
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e vertono
sull'esistenza o sulla misura di un'obbligazione
direttamente stabilita dalla legge.
In tale contesto per un verso, come tale, la
determinazione dell'an e del quantum del
contributo concessorio non ha natura autoritativa, giacché
si tratta di un mero accertamento dell'obbligazione
contributiva, effettuato dalla p.a. in base a rigidi
parametri prefissati dalla legge e dai regolamenti in tema
di criteri impositivi, nei cui riguardi essa è sfornita di
potestà autoritative; conseguentemente, la posizione del
soggetto nei cui confronti è richiesto il pagamento è di
diritto soggettivo, non di interesse legittimo e
l'impugnazione del provvedimento del Comune è soggetta
all'ordinario termine di prescrizione.
Per un altro verso, ai sensi dell'art. 28, l.
24.11.1981 n. 689, applicabile ex art. 12 della stessa legge
a tutte le sanzioni amministrative di tipo affittivo, il
termine di prescrizione della sanzione irrogata per
ritardato pagamento del contributo dovuto per gli oneri di
urbanizzazione e per il costo di costruzione è di cinque
anni, e decorre dal giorno in cui è stata commessa la
violazione (cfr., tra le altre, TAR Basilicata, 39/04/2008
n. 141; TAR Campania, Salerno, Sez, II, 22.04.2005 n. 647;
TAR Calabria, Catanzaro, Sez. II, 08.10.2001 n. 1514; TAR
Sicilia, Catania, Sez. I, 08.05.2006 n. 701 e 08.03.2012, n.
600)
(TAR Calabria-Reggio Calabria,
sentenza 26.10.2012 n. 641 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: L’art.
34 del D.Lgs. 31.03.1998 n. 80 (come sostituito dalla L.
21.07.2000 n. 205 ed in seguito alla sentenza della Corte
Costituzionale 06.07.2004 n. 204), nel devolvere alla
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le
controversie aventi per oggetto atti e provvedimenti
dell’Amministrazione in materia urbanistica ed edilizia,
comprende la totalità degli aspetti dell’uso del territorio,
nessuno escluso: sicché, come già previsto dall’art. 16
della L. 28.01.1977 n. 10, devono ritenersi rientranti in
tale giurisdizione anche le controversie relative alla
determinazione, liquidazione e corresponsione degli oneri
concessori che involgono diritti soggettivi delle parti,
considerato anche che il contributo per oneri di
urbanizzazione costituisce un corrispettivo posto a carico
del costruttore a titolo di partecipazione del
concessionario ai costi delle opere di urbanizzazione (in
proporzione all’insieme dei benefici che la nuova
costruzione ne ritrae) connesso al rilascio della
concessione edilizia e pertanto discendente dall’adozione di
un provvedimento amministrativo.
In altri termini, la giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo sulle controversie attinenti alla
corresponsione dei suddetti oneri concessori discende dallo
stretto collegamento funzionale tra il rilascio delle
suddette concessioni edilizie ed i contributi conseguenti a
carico del privato, trattandosi appunto di pretesa del
Comune fondata su provvedimenti amministrativi non gravati e
divenuti inoppugnabili.
Tali argomentazioni sono state svolte anche dalla Corte di
Cassazione, secondo cui “la giurisdizione esclusiva del
giudice amministrativo sussiste anche a prescindere
dall'instaurazione di una controversia in via di
impugnazione diretta del provvedimento amministrativo, di
concessione o di determinazione del contributo, purché fra
la controversia ed il provvedimento vi sia uno stretto
collegamento funzionale”, aggiungendo inoltre che “rientrano
quindi nell'ambito della giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo le controversie in genere aventi ad oggetto
l'inadempimento di obblighi nascenti da una concessione. Né
rileva che il rapporto concessorio si sia esaurito per
decorrenza del termine di durata di esso, poiché la riserva
di giurisdizione operata dalla norma a favore del giudice
amministrativo riguarda il rapporto di concessione
indipendentemente dal fatto che esso sia ancora in vita o
sia cessato, purché la controversia ponga in discussione il
rapporto nel suo momento genetico o funzionale”.
Invero il Collegio ritiene che non
sussistano ragioni valide per discostarsi dal prevalente
orientamento giurisprudenziale (già ritenuta da questo
Tribunale in fattispecie analoghe: cfr. TAR Salerno, sez. II,
nn. 580, 581, 582, 583, e 594/2011) secondo cui l’art. 34
del D.Lgs. 31.03.1998 n. 80 (come sostituito dalla L. 21.07.2000 n. 205 ed in seguito alla sentenza della Corte
Costituzionale 06.07.2004 n. 204), nel devolvere alla
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le
controversie aventi per oggetto atti e provvedimenti
dell’Amministrazione in materia urbanistica ed edilizia,
comprende la totalità degli aspetti dell’uso del territorio,
nessuno escluso (TAR Campania, Napoli, Sez. I, 26.06.2008 n. 6283, TAR Campania, Salerno,
04.04.2008 n.
475, TAR Piemonte, 17.07.2008 n. 1646): sicché, come
già previsto dall’art. 16 della L. 28.01.1977 n. 10,
devono ritenersi rientranti in tale giurisdizione anche le
controversie relative alla determinazione, liquidazione e
corresponsione degli oneri concessori che involgono diritti
soggettivi delle parti, considerato anche che il contributo
per oneri di urbanizzazione costituisce un corrispettivo
posto a carico del costruttore a titolo di partecipazione
del concessionario ai costi delle opere di urbanizzazione
(in proporzione all’insieme dei benefici che la nuova
costruzione ne ritrae) connesso al rilascio della
concessione edilizia e pertanto discendente dall’adozione di
un provvedimento amministrativo (Consiglio di Stato, Sez. V,
21.04.2006 n. 2258).
In altri termini, la giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo sulle controversie attinenti alla
corresponsione dei suddetti oneri concessori discende dallo
stretto collegamento funzionale tra il rilascio delle
suddette concessioni edilizie ed i contributi conseguenti a
carico del privato, trattandosi appunto di pretesa del
Comune fondata su provvedimenti amministrativi non gravati e
divenuti inoppugnabili.
Tali argomentazioni sono state svolte anche dalla Corte di
Cassazione, secondo cui “la giurisdizione esclusiva del
giudice amministrativo sussiste anche a prescindere
dall'instaurazione di una controversia in via di
impugnazione diretta del provvedimento amministrativo, di
concessione o di determinazione del contributo, purché fra
la controversia ed il provvedimento vi sia uno stretto
collegamento funzionale”, aggiungendo inoltre che “rientrano
quindi nell'ambito della giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo le controversie in genere aventi ad oggetto
l'inadempimento di obblighi nascenti da una concessione. Né
rileva che il rapporto concessorio si sia esaurito per
decorrenza del termine di durata di esso, poiché la riserva
di giurisdizione operata dalla norma a favore del giudice
amministrativo riguarda il rapporto di concessione
indipendentemente dal fatto che esso sia ancora in vita o
sia cessato, purché la controversia ponga in discussione il
rapporto nel suo momento genetico o funzionale” (Cassazione
civile, Sezioni Unite, 20.11.2007 n. 24009).
Il Collegio ritiene inoltre che le conclusioni esposte in
ordine alla sussistenza della giurisdizione esclusiva del
giudice amministrativo sulle controversie relative ad oneri
concessori non mutano a seconda della natura giuridica
pubblica o privata del ricorrente, con la conseguenza che
appare del tutto indifferente la circostanza che nel
presente giudizio a ricorrere sia il Comune di Salerno e non
un privato
(TAR Campania-Salerno, Sez. I,
sentenza 24.09.2012 n. 1676 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Nelle controversie aventi a oggetto gli obblighi
di pagamento dei contributi afferenti alle concessioni ed ai
permessi edilizi, il giudizio non ha carattere impugnatorio,
ancorché esso sia proposto, formalmente, come contestazione
di una determinazione amministrativa, in quanto mira ad
accertare la sussistenza o la misura del credito vantato dal
Comune.
Ne deriva che il ricorso può essere correttamente proposto
nel termine di prescrizione del diritto e, dunque, anche
dopo che siano trascorsi più di sessanta giorni dalla
conoscenza, da parte dell’interessato, dell’atto con cui
l’amministrazione ha quantificato i contestati contributi,
richiedendone il pagamento.
Costituisce indirizzo consolidato, dal quale la Sezione non
ravvisa ragione per discostarsi, che, nelle controversie
aventi a oggetto gli obblighi di pagamento dei contributi
afferenti alle concessioni ed ai permessi edilizi, il
giudizio non ha carattere impugnatorio, ancorché esso sia
proposto, formalmente, come contestazione di una
determinazione amministrativa, in quanto mira ad accertare
la sussistenza o la misura del credito vantato dal Comune.
Ne deriva che il ricorso può essere correttamente proposto
nel termine di prescrizione del diritto e, dunque, anche
dopo che siano trascorsi più di sessanta giorni dalla
conoscenza, da parte dell’interessato, dell’atto con cui
l’amministrazione ha quantificato i contestati contributi,
richiedendone il pagamento (cfr. C.d.S., sez. IV,
04.11.2011, n. 585, e 02.03.2011, n. 1365; C.d.S., sez. V,
06.11.2007, n. 623; 21.04.2006, n. 2258; 10.07.2003, n.
4102)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 24.09.2012 n. 5080 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
La procedura. Decisivo il peso dell'insediamento.
Soggette al versamento anche le aree scoperte.
INDUSTRIA E COMMERCIO/
Il Tar Emilia Romagna: per i depositi all'aria aperta
occorre fare riferimento all'attività commerciale svolta in
prevalenza.
Anche il semplice utilizzo di un'area scoperta può
comportare il pagamento di oneri urbanizzatori.
È quanto
precisato di recente dal TAR Emilia-Romagna-Bologna,
Sez. II,
sentenza 12.09.2012 n. 557,
con
riferimento a un permesso di costruire per una struttura
destinata da un concessionario di autovetture a deposito a
cielo aperto e vendita di veicoli nuovi e usati.
Il titolare della concessionaria aveva impugnato il
provvedimento comunale di determinazione della quota di
contributo afferente al costo di costruzione e di revisione
in aumento della quota relativa agli oneri di urbanizzazione
secondaria, nonché l'ingiunzione di pagamento. Il ricorrente
denunciava la violazione delle tabelle comunali per il
calcolo degli oneri urbanistici, perché effettuata con
riferimento a quelle (più onerose) per le "attività
commerciali" e non a quelle (inferiori) per i "depositi a
cielo aperto", così come previsto per la zona interessata
dalle norme di attuazione del Prg (piano regolatore
generale). Inoltre il titolare contestava anche la mancata
comunicazione di avvio del procedimento (articoli 7 e 8
della legge n. 241/1990).
I giudici hanno innanzitutto disatteso quest'ultima censura,
perché hanno classificato l'atto di determinazione del
contributo non come un provvedimento in autotutela
dell'amministrazione, ma come un atto con il quale il Comune
determina (e in questo caso rettifica) i contributi
urbanistici, che chiunque richieda un titolo edilizio è
tenuto a pagare prima del rilascio del permesso di
costruire. Si tratta di atti che non rivestono natura
provvedimentale, incidendo su posizioni di diritto
soggettivo, ed hanno carattere vincolato, rendendo inutile
la partecipazione del soggetto coinvolto.
Il Tar ha considerato infondato anche il motivo con cui la
società ricorrente ha ritenuto illegittima la
rideterminazione degli oneri concessori in base ai valori
per le attività commerciali, piuttosto che a quelli dei
depositi a cielo aperto. La sentenza osserva come
l'intervento non consista nella realizzazione di un edificio
strumentale ad una attività produttiva inerente il deposito
a cielo aperto di autoveicoli, bensì nella realizzazione di
un complesso funzionale all'attività commerciale di vendita
di autoveicoli che vede, quale ulteriore attività
collaterale a quella principale di concessionaria della casa
automobilistica, anche l'utilizzo di parte dell'area quale
deposito a cielo aperto di vetture.
Quindi è del tutto
legittimo che l'amministrazione comunale, in sede di
corretta determinazione dei contributi urbanistici, debba
necessariamente individuare e calcolare l'importo sulla base
di quanto prevedono le relative tabelle in relazione
all'esatta qualificazione del complessivo intervento
assentito e, quindi, anche in modo corrispondente
all'effettiva qualificazione dell'attività svolta dal
ricorrente nel nuovo edificio oggetto di concessione
edilizia.
Poiché l'attività svolta è quella della vendita di
autoveicoli nuovi e usati, i contributi devono essere
calcolati secondo le tabelle proprie di ciascuna categoria
di uso presente nell'intervento realizzato.
Nella specie, pertanto, in riferimento all'edificio
assentito, è dovuto sia il contributo per oneri di
costruzione (essendo esenti, secondo la normativa
urbanistica locale, solo gli interventi destinati ad usi
produttivi), sia il contributo per oneri di urbanizzazione,
commisurato, alla attività commerciale effettivamente svolta
nell'edificio (articolo
Il Sole 24 Ore del 26.11.2012). |
ATTI AMMINISTRATIVI -
EDILIZIA PRIVATA:
La proroga della scadenza di un termine che cade
in un giorno festivo al successivo giorno non festivo
rappresenta un principio di carattere generale, disciplinato
dalla vigente legislazione.
Infatti, la previsione, d’ordine generale, della suesposta
proroga è contenuta nel secondo e terzo comma dell’art. 2963
del codice civile che stabilisce, con riferimento alle
modalità di computo del termine di prescrizione, che: “non
si computa il giorno nel corso del quale cade il momento
iniziale del termine e la prescrizione si verifica con lo
spirare dell’ultimo istante del giorno finale. Se il termine
scade in un giorno festivo, è prorogato di diritto al giorno
seguente non festivo”.
Il principio della posticipazione ipso iure al primo giorno
seguente non festivo è, altresì, evidenziato dall’art. 1187
del codice civile, in tema di obbligazioni, che sancisce, al
secondo comma, che “la disposizione relativa alla proroga
del termine che scade in giorno festivo si osserva se non vi
sono usi diversi” e dall’art. 155, commi terzo e quarto,
del c.p.c. secondo cui “i giorni festivi si computano nel
termine. Se il giorno di scadenza è festivo, la scadenza è
prorogata di diritto al primo giorno seguente non festivo”.
La vigente normativa, infine, disciplina anche le eccezioni
al suddetto principio: l’articolo 2964 del codice civile,
infatti, stabilisce i casi in cui la regola generale sopra
riportata non si applica e cioè i casi di norme aventi ad
oggetto l’interruzione e la sospensione della prescrizione.
Quanto sopra risulta anche confermato da consolidati
orientamenti giurisprudenziali secondo cui “il principio
fissato dall’art. 2963, terzo comma, del codice civile,
secondo il quale se il termine scade in un giorno festivo, è
prorogato di diritto al giorno seguente non festivo,
configura un principio generale, applicabile, in assenza di
diversa previsione anche in materia di decadenza, atteso che
l’art. 2964 dichiara inapplicabili alla decadenza soltanto
le norme relative alla interruzione e alla sospensione della
prescrizione”.
In conclusione, in relazione a quanto sin qui detto non
sembra esservi dubbio che il principio della posticipazione
ipso iure al primo giorno non festivo del termine che cade
in un giorno festivo sia applicabile anche alla fattispecie
de qua, atteso che il disposto dell’art. 155, comma 4, del c.p.c. e dell’art. 2963 del c.c. trovano applicazione anche
nel procedimento di controllo, essendo espressione di un
principio di carattere generale e che l’esercizio del potere di controllo di
legittimità sulle autorizzazioni paesaggistiche attribuito
all’Amministrazione statale, ai sensi dell’art. 159 del D.Lgs. n. 42 del 2004, è sottoposto al termine decadenziale
di sessanta giorni decorrente dalla ricezione della
documentazione completa.
---------------
6. Nel merito il Collegio osserva che, contrariamente a
quanto sostenuto dal giudice di primo grado, la proroga
della scadenza di un termine che cade in un giorno festivo
al successivo giorno non festivo rappresenta un principio di
carattere generale, disciplinato dalla vigente legislazione.
Infatti, la previsione, d’ordine generale, della suesposta
proroga è contenuta nel secondo e terzo comma dell’art. 2963
del codice civile che stabilisce, con riferimento alle
modalità di computo del termine di prescrizione, che: “non
si computa il giorno nel corso del quale cade il momento
iniziale del termine e la prescrizione si verifica con lo
spirare dell’ultimo istante del giorno finale. Se il termine
scade in un giorno festivo, è prorogato di diritto al giorno
seguente non festivo”.
Il principio della posticipazione ipso iure al primo giorno
seguente non festivo è, altresì, evidenziato dall’art. 1187
del codice civile, in tema di obbligazioni, che sancisce, al
secondo comma, che “la disposizione relativa alla proroga
del termine che scade in giorno festivo si osserva se non vi
sono usi diversi” e dall’art. 155, commi terzo e quarto,
del c.p.c. secondo cui “i giorni festivi si computano nel
termine. Se il giorno di scadenza è festivo, la scadenza è
prorogata di diritto al primo giorno seguente non festivo”.
La vigente normativa, infine, disciplina anche le eccezioni
al suddetto principio: l’articolo 2964 del codice civile,
infatti, stabilisce i casi in cui la regola generale sopra
riportata non si applica e cioè i casi di norme aventi ad
oggetto l’interruzione e la sospensione della prescrizione.
Quanto sopra risulta anche confermato da consolidati
orientamenti giurisprudenziali secondo cui “il principio
fissato dall’art. 2963, terzo comma, del codice civile,
secondo il quale se il termine scade in un giorno festivo, è
prorogato di diritto al giorno seguente non festivo,
configura un principio generale, applicabile, in assenza di
diversa previsione anche in materia di decadenza, atteso che
l’art. 2964 dichiara inapplicabili alla decadenza soltanto
le norme relative alla interruzione e alla sospensione della
prescrizione” (Cassazione Civile, Sez. V, sent. n. 15832
del 13.08.2004).
In conclusione, in relazione a quanto sin qui detto non
sembra esservi dubbio che il principio della posticipazione
ipso iure al primo giorno non festivo del termine che cade
in un giorno festivo sia applicabile anche alla fattispecie
de qua, atteso che il disposto dell’art. 155, comma 4, del c.p.c. e dell’art. 2963 del c.c. trovano applicazione anche
nel procedimento di controllo, essendo espressione di un
principio di carattere generale (Cons. di Stato, Sez. VI,
18.03.2011, n. 1661; Cass. Civ., Sez. II, 01.12.2010, n.
24375) e che l’esercizio del potere di controllo di
legittimità sulle autorizzazioni paesaggistiche attribuito
all’Amministrazione statale, ai sensi dell’art. 159 del
D.Lgs. n. 42 del 2004, è sottoposto al termine decadenziale
di sessanta giorni decorrente dalla ricezione della
documentazione completa.
7. Per quanto sin qui esposto l’appello è da ritenersi
fondato e va, pertanto, accolto e, per l’effetto, in riforma
della sentenza di primo grado va respinto il ricorso di
primo grado (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 07.09.2012 n. 4752)
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
I contributi di costruzione. I chiarimenti che arrivano dal
Consiglio di Stato.
La data di Scia e Dia fissa il prezzo degli oneri.
Niente aumenti dopo la presentazione dell'istanza.
GLI INTERVENTI MAGGIORI/ Solo per il permesso
di costruire i conteggi vengono differiti fino
all'approvazione del progetto.
L'obbligo di pagare gli oneri di urbanizzazione per gli
interventi edilizi non dipende solo dal rilascio del
provvedimento autorizzatorio, ma sorge anche in caso di
presentazione di una denuncia di inizio di attività edilizia
o di una Scia (segnalazione certificata di inizio attività),
insieme all'inoltro della segnalazione o alla presentazione
della denuncia. L'obbligo, infatti, è correlato all'aumento
del carico urbanistico, quindi all'attività di
trasformazione del territorio. È alla disciplina vigente al
momento di presentazione della Scia o della denuncia che
l'amministrazione dovrà fare riferimento per calcolare gli
oneri dovuti, senza considerare mutamenti tariffari
successivamente intervenuti o richiedere conguagli.
Un
principio, quest'ultimo, affermato dal Consiglio di Stato,
Sez. IV, con la
sentenza
04.09.2012 n. 4669.
In caso di rilascio del permesso di costruire, invece,
l'obbligo di pagamento sorge con l'approvazione del
progetto, anche se questo passaggio avviene a distanza di
anni dalla domanda, e si dovrà fare riferimento alle tariffe
vigenti in questo momento e non a quelle, eventualmente più
favorevoli, in vigore alla data di presentazione della
domanda (Consiglio di Stato, sezione IV, pronunce n. 3116 e
n. 1752 del 2011).
Le origini
Il principio di onerosità della concessione edilizia è stato
introdotto dalla legge Bucalossi (la n. 10/1977) e poi
trasfuso nell'articolo 16 del testo unico dell'edilizia (il
Dpr 380/2001); norma della quale la giurisprudenza ha
progressivamente definito i contenuti e la portata,
chiarendone gli aspetti più problematici.
Per orientamento ormai consolidato (da ultimo Consiglio di
Stato, sezione IV, sentenza 30.07.2012, n. 4320) il
contributo per il rilascio del permesso di costruire ha
natura di prestazione patrimoniale pubblicistica ed
obbligatoria, di tipo non tributario (Consiglio di Stato,
sezione V, sentenza 20.04.2009, n. 2359). Si tratta di
una prestazione a carattere generale, non disponibile dalle
parti, poiché prescinde dalla effettiva realizzazione
dell'intervento urbanizzatorio (Consiglio di Stato, sezione
V, 22.02.2011, n. 1108). Ad esempio, è stato escluso
che potesse omettersi il pagamento degli oneri concessori a
fronte di un asserito inadempimento del Comune della
"controprestazione" pattuita, che nel caso specifico
consisteva nella costruzione di una strada indispensabile
per assicurare l'accesso al suolo interessato dal permesso
di costruire (Consiglio di Stato, sezione V, pronuncia 15.12.2005, n. 7140).
Il presupposto del contributo viene individuato
nell'incremento del "carico urbanistico", quello, cioè, che
viene prodotto da un nuovo insediamento o dall'ampliamento
di uno preesistente, per l'aumento delle persone insediate e
la correlata domanda di ulteriori strutture ed opere
collettive (strade, fognature, eccetera) in una determinata
area.
La quantificazione del contributo è del tutto indipendente
sia dalle spese effettivamente occorrenti
all'amministrazione per realizzare le opere di
urbanizzazione, sia dall'immediata utilità che il
proprietario dell'area riceve in conseguenza di un formale
titolo edificatorio, ovvero dalla possibilità di eseguire
l'intervento costruttivo in forza di Dia o Scia.
L'aggiornamento
Gli oneri di urbanizzazione devono essere aggiornati ogni
cinque anni dai Comuni, in conformità alle relative
disposizioni regionali e in relazione ai riscontri dei
prevedibili costi delle opere di urbanizzazione primaria,
secondaria e generale. Quindi, una volta intervenuta la
delibera comunale di aggiornamento, ogni trasformazione
edilizia può essere assoggettata solo al pagamento degli
oneri di urbanizzazione tabellari previsti dal provvedimento
comunale vigente e applicati in relazione alla tipologia e
localizzazione del manufatto, oppure all'entità della
trasformazione urbanistica (Consiglio di Stato, sezione IV,
sentenza 24.12.2009, n. 8757).
La delibera del Consiglio comunale con la quale vengono
determinati gli oneri di urbanizzazione è considerata dalla
giurisprudenza un atto autoritativo e, come tale, è soggetta
all'ordinario termine di decadenza ai fini della sua
impugnazione (60 giorni). Viceversa, nel caso in cui non
vengano dedotte censure nei confronti della delibera, ma ci
si limiti a contestare la concreta quantificazione del
contributo di urbanizzazione e il suo ammontare, le
controversie riguardano posizioni di diritto soggettivo e
sono azionabili nel termine di prescrizione di cinque anni
innanzi al giudice amministrativo in sede di giurisdizione
esclusiva (Consiglio di Stato, sezione V, 28.05.2012,
n. 3122; sezione IV, 10.03.2011, n. 1565).
---------------
I punti fermi della giurisprudenza
01 | L'OBBLIGO DI PAGARE SCATTA
CON LA CONCESSIONE
Il rilascio della
concessione edilizia si configura come fatto costitutivo
dell'obbligo del concessionario di pagare il contributo per
oneri di urbanizzazione. Il privato deve contribuisce così
alle spese affrontate dal Comune per le opere indispensabili
affinché l'area diventi idonea all'insediamento autorizzato
e grazie alle quali l'area acquista un beneficio
economicamente rilevante. Il contributo va calcolato secondo
i parametri vigenti al momento del rilascio della
concessione -
Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 30.07.2012, n.
4320
02 | CON LA DIA IL PAGAMENTO
È IMMEDIATO
Nel caso di
presentazione di una denuncia di inizio di attività edilizia
(Dia), l'obbligo di pagare gli oneri di urbanizzazione e il
costo di costruzione sussiste all'atto della presentazione
della Dia stessa. L'importo è in relazione alla situazione
esistente al momento della presentazione della domanda -
Consiglio di Stato, sezione V, sentenza 28.05.2012
n. 3122
03 | AL TAR I RICORSI CONTRO
IL CALCOLO DEI VERSAMENTI
La delibera del Consiglio comunale con la quale vengono
determinati i contributi concessori per gli interventi
edilizi è da considerarsi un atto autoritativo e, come tale,
è soggetta all'ordinario termine di decadenza ai fini della
sua impugnazione. Al contrario, le controversie sulla
contestazione degli oneri di urbanizzazione attengono a
posizioni di diritto soggettivo azionabili davanti al
giudice
amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva nel
termine di prescrizione -
Consiglio di Stato, sezione V, sentenza 28.05.2012
n. 3122
04 | PER STABILIRE GLI IMPORTI
NON SERVE LA MOTIVAZIONE
La determinazione del contributo e degli oneri di
urbanizzazione costituisce atto vincolato, che va effettuato
sulla base di parametri prestabiliti e pertanto non richiede
una specifica motivazione sulla determinazione delle somme
Consiglio di Stato, sezione V, sentenza 01.09.2011,
n. 4906
05 | VALORI DA INDIVIDUARE IN BASE ALL'ATTIVITÀ SVOLTA
L'ente locale deve necessariamente individuare e calcolare
il quantum contributivo sulla base di quanto prevedono le
tabelle e in relazione all'esatta qualificazione del
complessivo intervento assentito. Il calcolo va quindi
effettuato anche in modo corrispondente all'effettiva
qualificazione dell'attività svolta nel nuovo edificio
oggetto di concessione edilizia e di contribuzione
urbanistica -
Tar Emilia-Romagna, Bologna, sezione II, sentenza 12.09.2012, n. 557
06 | TERRAZZI, SOFFITTE E CANTINE ESCLUSI DAI CONTEGGI
Il calcolo degli oneri di urbanizzazione va effettuato
tenendo conto anche delle "superfici di calpestio",
ma per esse devono intendersi solo quelle utili, costituite
dalla somma delle aree di pavimento dei singoli vani
utilizzati per le attività e destinazioni d'uso. Vanno
escluse dal conteggio le aree destinate ai porticati, ai
pilotis, alle logge, ai balconi, ai terrazzi, ai locali
cantina, soffitte e ai locali sottotetto non agibili.
Queste esclusioni sono coerenti con il presupposto per
l'insorgenza dell'obbligo di versare gli oneri di
urbanizzazione, e cioè che vi sia un effettivo aggravio del
carico urbanistico dovuto alla incidenza dell'intervento
edilizio, che deve essere ragionevolmente considerato non
nell'insieme delle superfici "di calpestio", ma di
quelle utili, le sole in grado di comportare un maggior
incremento del carico urbanistico -
Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 15.07.2009, n.
4439
07 | ININFLUENTE LO SVILUPPO URBANISTICO DELL'AREA
Gli oneri di urbanizzazione stabiliti in via generale sono
dovuti a prescindere dalla situazione urbanizzativa delle
zone in cui ricadono i singoli interventi, in quanto essi
adempieno all'esigenza di una partecipazione patrimoniale da
parte dei privati al pregiudizio economico gravante sulla
collettività comunale per effetto della trasformazione del
territorio -
Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 24.12.2009,
n. 8757
08 | SI PAGA SOLO SULLA BASE
DEL PROGETTO PRESENTATO
L'imponibile per la liquidazione degli oneri
d'urbanizzazione deve essere valutato sulla base delle
tariffe esistenti al momento della domanda del permesso di
costruire e con esclusivo riguardo all'immobile così come
definito e autorizzato, risultando irrilevanti le istanze
edilizie quando ad esse non abbia fatto seguito il titolo
abilitativo -
Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza
22.03.2011, n. 1752
09 | IMPORTI CONTESTABILI ANCHE SENZA IMPUGNARE L'ATTO
L'azione giudiziaria, volta alla declaratoria
dell'insussistenza o di una diversa entità del debito
contributivo per oneri di urbanizzazione, è esperibile a
prescindere dall'impugnazione o dall'esistenza dell'atto con
cui è preteso il pagamento del contributo, trattandosi di un
giudizio d'accertamento di un rapporto obbligatorio
pecuniario, proponibile nel termine di prescrizione -
Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 22.03.2011,
n. 1752 (articolo
Il Sole 24 Ore del 26.11.2012). |
EDILIZIA
PRIVATA: Gli
oneri urbanizzativi devono essere determinati con riguardo
alla disciplina vigente al momento della presentazione della
d.i.a..
La denuncia di inizio attività non è un
provvedimento amministrativo a formazione tacita e non dà
luogo in ogni caso ad un titolo costitutivo, ma costituisce
un atto privato volto a comunicare l'intenzione di
intraprendere un'attività direttamente ammessa dalla legge.
Tale lettura, in senso non provvedimentale, è stata peraltro
immediatamente fatta propria dal legislatore il quale,
introducendo il comma 6-ter dell’art. 19 della legge
07.08.1990, n. 241 “Nuove norme in materia di procedimento
amministrativo e di diritto di accesso ai documenti
amministrativi” tramite l'articolo 6, comma 1, lettera c),
del D.L. 13.08.2011, n. 138, ha espressamente qualificato
tali atti come “non costituiscono provvedimenti taciti
direttamente impugnabili”.
In questo senso, appare consequenziale e condivisibile la
ricostruzione della natura del silenzio tenuto
dall’amministrazione (sempre come ritenuto dalla citata
Consiglio di Stato ad. plen. 29.07.2011 n. 15), per cui “il
passaggio del tempo non produce un titolo costitutivo avente
valore di assenso ma impedisce l'inibizione di un'attività
già intrapresa in un momento anteriore”.
In tal modo, appare chiaro che l’efficacia del titolo
formatosi in base all’atto del privato (rectius, la modalità
abilitativa alla realizzazione dell’intervento edilizio) si
determina indipendentemente dal mancato esercizio del potere
di interdizione da parte della pubblica amministrazione,
trattandosi di fattispecie che operano su piani giuridici
diversi.
---------------
Sussiste l’immediato sorgere dell’obbligo di corrispondere
gli oneri di urbanizzazione ed il costo di costruzione in
relazione alla situazione esistente al momento della
presentazione della d.i.a..
Tra l'altro, la vicenda deve ritenersi confermata anche
dalla particolare disciplina della d.i.a. contenuta nella
l.r. 12/2005 (art. 42, commi 2 e 3) che prevede, da un lato,
che il calcolo dei dovuti oneri di urbanizzazione e costo di
costruzione sia allegato già al momento della presentazione
della denuncia di inizio attività e, in secondo luogo,
disponendo che il pagamento sia effettuato con le modalità
previste dalla vigente normativa che, per gli oneri di
urbanizzazione, impone l’adempimento entro trenta giorni
successivi alla presentazione della denuncia di inizio
attività, rendendo quindi impermeabile la disciplina ai
mutamenti disciplinari successivi.
Con ricorso iscritto al n. 2569 del 2010, Nova Domus Italia
s.r.l. propone appello avverso la sentenza del Tribunale
amministrativo regionale per la Lombardia, sezione seconda,
n. 13 del giorno 11 gennaio 2010 con la quale è stato
respinto il ricorso proposto contro il Comune di Milano per
l'annullamento della nota pg. 90611/2008 del Comune di
Milano, Sportello Unico dell’Edilizia, in data 30.01.2008,
avente ad oggetto: “Denuncia di inizio attività per
ristrutturazione edilizia con demolizione e ricostruzione in
via Carbonera Azzo n. 1, pratica n. 10740/2007, P.G.
1111435000/2007 – Integrazione del contributo di costruzione”.
Dinanzi al giudice di prime cure, la Nuova Domus Italia
s.r.l. aveva impugnato il provvedimento con il quale il
Comune aveva disposto il conguaglio del contributo di
costruzione relativo alla d.i.a., presentata in data
30.01.2008, relativa ad un intervento via Carbonera Azzo n.
1, in esecuzione della deliberazione del consiglio comunale
n. 73/2007, divenuta esecutiva in data 08.01.2008, che aveva
aggiornato in aumento gli oneri di urbanizzazione dovuti per
gli interventi edilizi.
La ricorrente riteneva che l’integrazione richiesta fosse
illegittima per violazione degli artt. 42, 44 e 48 della
L.R. 12/2005 e degli artt. 16 e 23 del D.P.R. 380/01 ed
eccesso di potere in quanto gli oneri urbanizzativi
dovrebbero essere determinati con riguardo alla disciplina
vigente al momento della presentazione della domanda.
Chiedeva quindi il risarcimento dei danni per la
stipulazione della fideiussione richiesta dal Tribunale in
sede cautelare.
La difesa comunale ha invece sostenuto la legittimità del
provvedimento comunale in quanto, dovendo ritenersi che la
d.i.a. produca effetti decorsi trenta giorni dalla sua
presentazione al Comune, tutte le sopravveninenze normative
intercorse tra la presentazione e l’efficacia debbono essere
applicate al procedimento.
Il ricorso veniva deciso con la sentenza appellata. In essa,
il TAR riteneva infondate le censure proposte, considerando
la DIA, indifferentemente alla considerazione della sua
natura come atto di autorizzazione implicita o come atto
privato, fosse comunque soggetta alle modifiche normative
fino al momento della compiuta efficacia, ossia fino alla
data di possibile esercizio del potere interdittivo
dell’amministrazione.
...
Il giudice di prime cure ha affrontato il tema delle
sopravvenienze normative intercorse tra la presentazione
della DIA e la sua efficacia evidenziando come “la DIA,
indipendentemente dalla qualifica giuridica assegnata –punto
su cui come noto si contrappongono due differenti
orientamenti che sostengono rispettivamente la natura di
autorizzazione implicita (Cons. Stato sez IV 5811/2008) e di
atto privato (Cons. Stato sez. VI 717/2009)– produce effetti
al trentesimo giorno dalla sua presentazione, purché, come
già affermato da questa Sezione, sia completa di tutti gli
elementi richiesti dalla legge (sentenza n. 5737/2008).
Nello spatium deliberandi dei trenta giorni dalla
presentazione della denuncia, periodo durante il quale
l’Amministrazione ha un compito di controllo, a conclusione
del quale può esercitare poteri inibitori dei lavori non
ancora avviati, le eventuali modifiche normative devono
trovare applicazione, in quanto il procedimento non è ancora
perfezionato e la DIA non può produrre effetti: vige allora
il principio del tempus regit actum, per cui
l'Amministrazione è tenuta ad applicare la normativa in
vigore al momento dell'adozione del provvedimento
definitivo, quand'anche sopravvenuta, e non già, salvo che
espresse norme statuiscano diversamente, quella in vigore al
momento dell'avvio del procedimento.
Tale posizione è stata ampiamente espressa da questa Sezione
nella sentenza richiamata dalla difesa comunale (n.
588/2006), in cui si è affermato il principio secondo cui
“le innovazioni normative introdotte medio tempore non sono
irrilevanti, giacché un intervento edilizio, ancorché
conforme alla normativa vigente al tempo della denuncia, ben
può essere interdetto ove non sia più in linea con la
normativa sopravvenuta, entrata in vigore (o destinata a
entrare in vigore) prima del compimento del trentesimo
giorno dalla presentazione della denuncia stessa.”
E il principio della “sensibilità” della DIA alle modifiche
legislative nei trenta giorni tra la presentazione e
l’inizio dell’efficacia, deve trovare applicazione anche
rispetto ad eventuali variazioni delle disposizioni
regolamentari, tra cui la disciplina pianificatoria e le
tariffe degli oneri. Pare quindi corretta la posizione
dell’Amministrazione Comunale laddove ritiene che la nuova
disciplina introdotta con un atto deliberativo che produce
effetti dall'08.01.2008 vada applicato anche alle DIA per le
quali non è decorso il termine di trenta giorni”.
L’impostazione seguita dal giudice di prime cure non appare
però in linea con i più recenti arresti giurisprudenziali e
con le disposizioni legislative successive che, sebbene non
applicabili ratione temporis, servono a meglio
illuminare il tema della disciplina applicabile alla
fattispecie.
Occorre, infatti, rilevare come questo Consiglio abbia posto
fine al dibattito sulla natura dei titoli abilitativi non
provvedimentali in edilizia con la sentenza dell’Adunanza
plenaria 29.07.2011 n. 15 dove, a seguito di un’attenta
ricostruzione delle diverse posizioni sostenute, raffrontate
al quadro normativo in evoluzione, si è affermato che “la
denuncia di inizio attività non è un provvedimento
amministrativo a formazione tacita e non dà luogo in ogni
caso ad un titolo costitutivo, ma costituisce un atto
privato volto a comunicare l'intenzione di intraprendere
un'attività direttamente ammessa dalla legge”.
Tale lettura, in senso non provvedimentale, è stata peraltro
immediatamente fatta propria dal legislatore il quale,
introducendo il comma 6-ter dell’art. 19 della legge
07.08.1990, n. 241 “Nuove norme in materia di
procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai
documenti amministrativi” tramite l'articolo 6, comma 1,
lettera c), del D.L. 13.08.2011, n. 138, ha espressamente
qualificato tali atti come “non costituiscono
provvedimenti taciti direttamente impugnabili”.
In questo senso, appare consequenziale e condivisibile la
ricostruzione della natura del silenzio tenuto
dall’amministrazione (sempre come ritenuto dalla citata
Consiglio di Stato ad. plen. 29.07.2011 n. 15), per cui “il
passaggio del tempo non produce un titolo costitutivo avente
valore di assenso ma impedisce l'inibizione di un'attività
già intrapresa in un momento anteriore”. In tal modo,
appare chiaro che l’efficacia del titolo formatosi in base
all’atto del privato (rectius, la modalità
abilitativa alla realizzazione dell’intervento edilizio) si
determina indipendentemente dal mancato esercizio del potere
di interdizione da parte della pubblica amministrazione,
trattandosi di fattispecie che operano su piani giuridici
diversi.
Deve quindi convenirsi con l’appellante in merito
all’immediato sorgere dell’obbligo di corrispondere gli
oneri di urbanizzazione ed il costo di costruzione in
relazione alla situazione esistente al momento della
presentazione della domanda, vicenda che deve ritenersi
confermata anche dalla particolare disciplina della denuncia
di inizio attività contenuta nella legge regionale (art. 42,
commi 2 e 3, della legge regionale Lombardia n. 12 del
giorno 11.03.2005 “Legge per il governo del territorio”)
che prevede, da un lato, che il calcolo dei dovuti oneri di
urbanizzazione e costo di costruzione sia allegato già al
momento della presentazione della denuncia di inizio
attività e, in secondo luogo, disponendo che il pagamento
sia effettuato con le modalità previste dalla vigente
normativa che, per gli oneri di urbanizzazione, impone
l’adempimento entro trenta giorni successivi alla
presentazione della denuncia di inizio attività, rendendo
quindi impermeabile la disciplina ai mutamenti disciplinari
successivi
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 04.09.2012 n. 4669 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Sia
nella precedente che nell’attuale normativa
in effetti (articoli 3, 5, 6 della L.
10/1977 e 16 del D.P.R. 380/2001) alle nuove
edificazioni e agli altri interventi
–comunque soggetti a titolo abilitativo–
corrisponde il pagamento di un contributo
commisurato all’incidenza degli oneri di
urbanizzazione, nonché al costo di
costruzione. La natura giuridica del
predetto contributo è quella di prestazione
patrimoniale imposta, anche
indipendentemente dall'utilità specifica del
singolo concessionario, comunque tenuto a
concorrere alla spesa pubblica per le
infrastrutture che debbono accompagnare ogni
nuovo insediamento edificatorio.
In particolare il contributo per oneri di
urbanizzazione è un corrispettivo di diritto
pubblico, di natura non tributaria, posto a
carico del costruttore a titolo di
partecipazione ai costi delle opere di
urbanizzazione in proporzione all’insieme
dei benefici che la nuova costruzione ne
ritrae. Il presupposto imponibile per il
pagamento dei contributi di urbanizzazione
va ravvisato nella domanda di una maggiore
dotazione di servizi (rete viaria,
fognature, ecc.) nell’area di riferimento,
che sia indotta dalla destinazione d’uso
concretamente impressa all’alloggio, in
quanto una diversa utilizzazione rispetto a
quella stabilita nell’originario titolo
abilitativo può determinare una variazione
quantitativa e qualitativa del carico
urbanistico.
In termini generali, il fondamento del
contributo di urbanizzazione –da versare al
momento del rilascio di una concessione
edilizia– non consiste nell'atto
amministrativo in sé bensì nella necessità
di ridistribuire i costi sociali delle opere
di urbanizzazione, facendoli gravare sugli
interessati che beneficiano delle utilità
derivanti dalla presenza delle medesime,
secondo modalità eque per la comunità.
L'entità degli oneri di urbanizzazione è in
buona sostanza correlata alla variazione del
carico urbanistico, sicché è ben possibile
che un intervento di ristrutturazione e
mutamento di destinazione d'uso possa non
comportare aggravi di carico urbanistico e
quindi l'obbligo della relativa
corresponsione degli oneri; al contrario è
altrettanto possibile che in caso di
mutamento di destinazione di uso nell'ambito
della stessa categoria urbanistica, faccia
seguito un maggior carico urbanistico
indotto dalla realizzazione di quanto
assentito e correlativamente siano dovuti
gli oneri concessori.
---------------
In presenza di un insediamento già capace di
rispondere a bisogni collettivi (come la
struttura preesistente adibita ad
orfanatrofio) l’amministrazione –per poter
legittimamente esigere il contributo per gli
oneri di urbanizzazione– deve dare contezza
degli indici o, comunque, delle condizioni
da cui si evince il maggior carico
urbanistico addebitabile al richiesto
mutamento di destinazione.
---------------
Pacifica è la diversa natura degli oneri di
urbanizzazione rispetto ai costi di
costruzione, i quali rappresentano una
compartecipazione comunale all’incremento di
valore della proprietà immobiliare del
costruttore a seguito della nuova
edificazione.
Mentre il contributo per gli oneri di
urbanizzazione ha funzione recuperatoria
delle spese sostenute dalla collettività
comunale in relazione alla trasformazione
del territorio assentita al singolo, il
contributo per costo di costruzione, che è
rapportato alle caratteristiche ed alla
tipologia delle costruzioni e non è
alternativo ad altro valore di genere
diverso, afferisce alla mera attività
costruttiva in sé valutata: l’obbligazione
contributiva per costo di costruzione,
dunque, è a-causale ed appare soffermarsi
sulla produzione di ricchezza connessa
all’utilizzazione edificatoria del
territorio ed alle potenzialità economiche
che ne derivano e, pertanto, ha natura
essenzialmente paratributaria. Il contributo
afferente al costo di costruzione, a norma
dell’art. 6 della L. 10/1977, è determinato
in rapporto alle caratteristiche, alle
tipologie delle costruzioni e delle loro
destinazioni ed ubicazioni (oggi occorre
fare riferimento all’art. 16 del D.P.R.
380/2001).
Ne deriva, quindi, che nell’ipotesi di
variazione di destinazione d’uso di un
immobile accompagnata dalla realizzazione di
opere, sussiste il presupposto per il
pagamento della parte di contributo
afferente al costo di costruzione, da
riferire al dato oggettivo della
risistemazione dell’edificio.
Passando all’esame della prospettazione
principale, parte ricorrente sostiene che la
trasformazione di un orfanatrofio in scuola
dell’obbligo non determina un mutamento di
destinazione d’uso rilevante ai fini
urbanistici edilizi, dato che si tratta di
servizi assimilabili, collocati all’interno
della stessa categoria funzionale; aggiunge
che le opere realizzate non determinano uno
stravolgimento dell’organismo edilizio
esistente, bensì il consolidamento,
ripristino e rinnovo di alcuni elementi
costitutivi (pavimenti e solai) e
l’inserimento di accessori (ascensore, servo
scala, servizi igienici, etc.): l’intervento
è ascrivibile nella categoria del restauro e
risanamento conservativo, non soggetto al
pagamento di contributi.
La tesi è parzialmente fondata.
Deve essere vagliata preliminarmente la
deduzione di parte ricorrente tesa a mettere
in luce l’assenza di un maggiore carico
urbanistico a seguito della realizzazione
della nuova struttura.
Sia nella precedente che nell’attuale
normativa in effetti (articoli 3, 5, 6 della
L. 10/1977 e 16 del D.P.R. 380/2001) alle
nuove edificazioni e agli altri interventi –comunque soggetti a titolo abilitativo–
corrisponde il pagamento di un contributo
commisurato all’incidenza degli oneri di
urbanizzazione, nonché al costo di
costruzione. La natura giuridica del
predetto contributo è quella di prestazione
patrimoniale imposta, anche
indipendentemente dall'utilità specifica del
singolo concessionario, comunque tenuto a
concorrere alla spesa pubblica per le
infrastrutture che debbono accompagnare ogni
nuovo insediamento edificatorio (Consiglio
di Stato, sez. VI – 25/08/2009 n. 5059).
In particolare il contributo per oneri
di urbanizzazione è un corrispettivo di
diritto pubblico, di natura non tributaria,
posto a carico del costruttore a titolo di
partecipazione ai costi delle opere di
urbanizzazione in proporzione all’insieme
dei benefici che la nuova costruzione ne
ritrae (cfr. per tutti TAR Puglia Bari,
sez. III – 10/02/2011 n. 243). Il presupposto
imponibile per il pagamento dei contributi
di urbanizzazione va ravvisato nella domanda
di una maggiore dotazione di servizi (rete
viaria, fognature, ecc.) nell’area di
riferimento, che sia indotta dalla
destinazione d’uso concretamente impressa
all’alloggio, in quanto una diversa
utilizzazione rispetto a quella stabilita
nell’originario titolo abilitativo può
determinare una variazione quantitativa e
qualitativa del carico urbanistico (Sentenza
Sezione 11/06/2004 n. 646; TAR Lombardia
Milano, sez. II – 02/10/2003 n. 4502;
Consiglio Stato, sez. V – 25/05/1995 n. 822).
In termini generali, il fondamento del
contributo di urbanizzazione –da versare al
momento del rilascio di una concessione
edilizia– non consiste nell'atto
amministrativo in sé bensì nella necessità
di ridistribuire i costi sociali delle opere
di urbanizzazione, facendoli gravare sugli
interessati che beneficiano delle utilità
derivanti dalla presenza delle medesime,
secondo modalità eque per la comunità.
L'entità degli oneri di urbanizzazione è in
buona sostanza correlata alla variazione del
carico urbanistico, sicché è ben possibile
che un intervento di ristrutturazione e
mutamento di destinazione d'uso possa non
comportare aggravi di carico urbanistico e
quindi l'obbligo della relativa
corresponsione degli oneri; al contrario è
altrettanto possibile che in caso di
mutamento di destinazione di uso nell'ambito
della stessa categoria urbanistica, faccia
seguito un maggior carico urbanistico
indotto dalla realizzazione di quanto
assentito e correlativamente siano dovuti
gli oneri concessori (TAR Lazio Roma,
sez. II – 14/11/2007 n. 11213).
Nella fattispecie non affiorano elementi
utili a comprovare che il mutamento di
destinazione d'uso sia stato accompagnato da
un’alterazione del carico urbanistico. Al
contrario la stessa amministrazione comunale
afferma di aver concesso una riduzione
dell’80% rispetto a quanto dovuto in
applicazione della tabella C.3 allegata alla
L.r. 60-61/1977 (seppur motivato dalla natura
di interesse generale dell’opera).
In ogni
caso, come sostenuto di recente (cfr.
sentenza Sezione 02/03/2012 n. 355) in
presenza di un insediamento già capace di
rispondere a bisogni collettivi (come la
struttura preesistente adibita ad
orfanatrofio) l’amministrazione –per poter
legittimamente esigere il contributo per gli
oneri di urbanizzazione– avrebbe dovuto
dare contezza degli indici o, comunque,
delle condizioni da cui si evinceva il
maggior carico urbanistico addebitabile al
richiesto mutamento di destinazione (cfr.
TAR Lombardia Milano, sez. IV – 04/05/2009
n. 3604).
Non avendo evidenziato la
ricorrenza, nel caso concreto (mediante
raffronto tra la destinazione originaria e
quella attuale) del presupposto del
pagamento richiesto –ossia della variazione
in aumento della domanda di servizi– deve
ritenersi indebitamente preteso l’importo di
€ 39.280,38, da restituire alla parte
ricorrente.
Pacifica è la diversa natura degli oneri
di urbanizzazione rispetto ai costi di
costruzione, i quali rappresentano una
compartecipazione comunale all’incremento di
valore della proprietà immobiliare del
costruttore a seguito della nuova
edificazione (cfr. TAR Abruzzo Pescara –
18/10/2010 n. 1142).
Mentre il contributo per gli oneri di
urbanizzazione ha funzione recuperatoria
delle spese sostenute dalla collettività
comunale in relazione alla trasformazione
del territorio assentita al singolo, il
contributo per costo di costruzione, che è
rapportato alle caratteristiche ed alla
tipologia delle costruzioni e non è
alternativo ad altro valore di genere
diverso, afferisce alla mera attività
costruttiva in sé valutata: l’obbligazione
contributiva per costo di costruzione,
dunque, è a-causale ed appare soffermarsi
sulla produzione di ricchezza connessa
all’utilizzazione edificatoria del
territorio ed alle potenzialità economiche
che ne derivano e, pertanto, ha natura
essenzialmente paratributaria (TAR
Campania Salerno, sez. II – 11/06/2002 n.
459). Il contributo afferente al costo di
costruzione, a norma dell’art. 6 della L.
10/1977, è determinato in rapporto alle
caratteristiche, alle tipologie delle
costruzioni e delle loro destinazioni ed
ubicazioni (oggi occorre fare riferimento
all’art. 16 del D.P.R. 380/2001).
Ne deriva, quindi, che nell’ipotesi di
variazione di destinazione d’uso di un
immobile accompagnata dalla realizzazione di
opere, sussiste il presupposto per il
pagamento della parte di contributo
afferente al costo di costruzione, da
riferire al dato oggettivo della
risistemazione dell’edificio. Deve dunque
essere assoggettato ad imposizione il
complessivo valore aggiunto del fabbricato
destinato a nuova struttura ricettiva, e la
base di calcolo è stata correttamente
individuata in € 49.280,30 €.
In conclusione il ricorso è parzialmente
fondato e deve essere accolto nella parte in
cui il Comune ha erroneamente preteso la
quota di oneri di urbanizzazione (€
39.280,38), che devono essere restituiti.
Sulla somma vanno calcolati gli interessi i
quali decorrono –trattandosi di azione di
ripetizione di indebito– dalla data di
proposizione della domanda giudiziale,
dovendosi presumere la buona fede
dell’amministrazione resistente in assenza
di dimostrazione contraria, mentre non
spetta la rivalutazione monetaria
trattandosi di indebito oggettivo il quale
genera solo l’obbligazione di restituzione
degli interessi a norma dell’art. 2033 del
c.c. (cfr. TAR Lombardia Milano, sez. II –
05/05/2004 n. 1620; TAR Lazio Roma, sez. I –
19/01/1999 n. 99; Consiglio di Stato, sez. V
– 30/10/1997 n. 1207)
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 24.08.2012 n. 1467 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Alle
nuove edificazioni e agli altri interventi –comunque soggetti a titolo
abilitativo– corrisponde il pagamento di un
contributo commisurato all’incidenza degli
oneri di urbanizzazione, nonché al costo di
costruzione. La natura giuridica del
predetto contributo è quella di prestazione
patrimoniale imposta, anche
indipendentemente dall’utilità specifica del
singolo concessionario, comunque tenuto a
concorrere alla spesa pubblica per le
infrastrutture che debbono accompagnare ogni
nuovo insediamento edificatorio.
Il contributo per oneri di urbanizzazione è
un corrispettivo di diritto pubblico, di
natura non tributaria, posto a carico del
costruttore a titolo di partecipazione ai
costi delle opere di urbanizzazione in
proporzione all’insieme dei benefici che la
nuova costruzione ne ritrae.
Dalla natura di prestazione
obbligatoriamente dovuta discende che il
privato non può esimersi dal pagamento del
contributo, e che l’amministrazione può
riesaminare la pratica anche dopo il
rilascio del titolo che abilita l’intervento
edilizio: le vicende che coinvolgono il
permesso di costruire si sviluppano in
autonomia, senza interferire con le
questioni che incidono su “an” e “quantum”
dell’obbligazione pecuniaria. Per tale
ragione l’amministrazione ha legittimamente
fatto ricorso “ex post” al potere di
autotutela, pochi mesi dopo l’emissione del
titolo autorizzatorio e con largo anticipo
rispetto al compimento del termine
prescrizionale (di 10 anni).
Sia nell’attuale normativa che in quella pregressa (art. 16 del
D.P.R. 380/2001 e artt. 3, 5, 6 della L.
10/1977) alle nuove edificazioni e agli altri
interventi –comunque soggetti a titolo
abilitativo– corrisponde il pagamento di un
contributo commisurato all’incidenza degli
oneri di urbanizzazione, nonché al costo di
costruzione. La natura giuridica del
predetto contributo è quella di prestazione
patrimoniale imposta, anche
indipendentemente dall’utilità specifica del
singolo concessionario, comunque tenuto a
concorrere alla spesa pubblica per le
infrastrutture che debbono accompagnare ogni
nuovo insediamento edificatorio (Consiglio
di Stato, sez. VI – 25/08/2009 n. 5059).
Il contributo per oneri di
urbanizzazione è un corrispettivo di diritto
pubblico, di natura non tributaria, posto a
carico del costruttore a titolo di
partecipazione ai costi delle opere di
urbanizzazione in proporzione all’insieme
dei benefici che la nuova costruzione ne
ritrae (cfr. per tutti TAR Puglia Bari,
sez. III – 10/02/2011 n. 243).
Dalla natura di prestazione
obbligatoriamente dovuta discende che il
privato non può esimersi dal pagamento del
contributo, e che l’amministrazione può
riesaminare la pratica anche dopo il
rilascio del titolo che abilita l’intervento
edilizio: le vicende che coinvolgono il
permesso di costruire si sviluppano in
autonomia, senza interferire con le
questioni che incidono su “an” e “quantum”
dell’obbligazione pecuniaria. Per tale
ragione l’amministrazione ha legittimamente
fatto ricorso “ex post” al potere di
autotutela, pochi mesi dopo l’emissione del
titolo autorizzatorio e con largo anticipo
rispetto al compimento del termine
prescrizionale (di 10 anni) (TAR Marche –
31/01/2007 n. 8)
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 10.08.2012 n. 1446 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L’art.
9 della L. 10/1977 rubricato “Cessione
gratuita” statuisce al comma 1 che il
contributo di cui al precedente articolo 3
non è dovuto tra l’altro “per gli interventi
di restauro, di risanamento conservativo, di
ristrutturazione e di ampliamento, in misura
non superiore al 20 per cento, di edifici
unifamiliari” (lett. d).
Come appare evidente, l'esenzione dal
pagamento dei contributi di cui si discute
ha la funzione di agevolare i proprietari di
alloggi unifamiliari, presumendo il
legislatore che gli interventi sugli stessi
non abbiano carattere di lucro, ma la sola
funzione di migliorare le condizioni di
abitabilità degli edifici medesimi,
indipendentemente dalla loro dimensione.
La disposizione è diretta dunque a
promuovere le opere di adeguamento dei
manufatti alle necessità abitative del
singolo nucleo familiare, circoscrivendone
l’operatività agli interventi che non mutino
sostanzialmente l’entità strutturale e la
dimensione spaziale dell’immobile e non ne
elevino (in modo apprezzabile) il valore
economico.
---------------
L’esenzione dal contributo di costruzione
per il caso di interventi di
ristrutturazione di edifici unifamiliari
entro il limite di ampliamento del 20%,
costituisce oggetto di una previsione di
carattere eccezionale (applicabile in un
ambito di stretta interpretazione ancorato
ai parametri predefiniti dal legislatore):
la ratio è di natura sociale ed è diretta
sostanzialmente ad apprestare uno strumento
di tutela e di salvaguardia alla piccola
proprietà immobiliare per gli interventi
funzionali all’adeguamento dell’immobile
alle necessità abitative del nucleo
familiare.
---------------
Per edifici "unifamiliari" in mancanza di
ulteriori specificazioni, sono da intendere
quelli strutturalmente destinati all'uso
"abitativo" di un "solo" nucleo familiare,
indipendentemente dalle dimensioni
dell’edificio stesso.
Con il motivo principale i ricorrenti si
dolgono della violazione dell’art. 9, lett.
f), della L. 10/1977, che esonera dal
versamento del contributo gli interventi di
ristrutturazione ed ampliamento degli
edifici unifamiliari nella misura del 20%; a
loro avviso infatti:
• la norma invocata, nell’indicare la
percentuale di ampliamento, non fa
riferimento né al volume né alle superfici;
• la relazione tecnica dell’Arch. Comencini
dà conto dell’incremento volumetrico di
151,01 mc., inferiore al 20% dell’esistente;
• anche se si utilizza come parametro la
superficie utile di calpestio ex art. 2 del
DM 801/1977 l’intervento provoca un
ampliamento del 19,1%;
• è stato inopinatamente creato un nuovo
criterio ibrido che non trova alcun supporto
normativo, facendosi riferimento alla
superficie dei vani principali (con
esclusione degli accessori) esistenti e di
risultanza;
• non si registra alcuna variazione di
destinazione d’uso all’interno di una stessa
categoria.
La doglianza è priva di pregio.
L’art. 9 della L. 10/1977 rubricato
“Cessione gratuita” statuisce al comma 1 che
il contributo di cui al precedente articolo
3 non è dovuto tra l’altro “per gli
interventi di restauro, di risanamento
conservativo, di ristrutturazione e di
ampliamento, in misura non superiore al 20
per cento, di edifici unifamiliari” (lett.
d). Come appare evidente, l'esenzione dal
pagamento dei contributi di cui si discute
ha la funzione di agevolare i proprietari di
alloggi unifamiliari, presumendo il
legislatore che gli interventi sugli stessi
non abbiano carattere di lucro, ma la sola
funzione di migliorare le condizioni di
abitabilità degli edifici medesimi,
indipendentemente dalla loro dimensione
(Consiglio di Stato, sez. IV – 11/10/2006 n.
6065). La disposizione è diretta dunque a
promuovere le opere di adeguamento dei
manufatti alle necessità abitative del
singolo nucleo familiare, circoscrivendone
l’operatività agli interventi che non mutino
sostanzialmente l’entità strutturale e la
dimensione spaziale dell’immobile e non ne
elevino (in modo apprezzabile) il valore
economico.
In linea generale, come già accennato al
par. 1.2, la partecipazione del privato al
costo delle opere di urbanizzazione è dovuta
allorquando l’intervento determini un
incremento del peso insediativo con
un’oggettiva rivalutazione dell’immobile,
sicché l'onerosità del permesso di costruire
è funzionale a sopportare il carico socio
economico che la realizzazione comporta
sotto il profilo urbanistico. Alla luce di
tale considerazione la giurisprudenza (cfr.
TAR Campania Napoli, sez. VIII – 09/05/2012
n. 2136) ha statuito che l’esenzione dal
contributo di costruzione per il caso di
interventi di ristrutturazione di edifici
unifamiliari entro il limite di ampliamento
del 20%, costituisce oggetto di una
previsione di carattere eccezionale
(applicabile in un ambito di stretta
interpretazione ancorato ai parametri
predefiniti dal legislatore): la ratio è di
natura sociale ed è diretta sostanzialmente
ad apprestare uno strumento di tutela e di
salvaguardia alla piccola proprietà
immobiliare per gli interventi funzionali
all’adeguamento dell’immobile alle necessità
abitative del nucleo familiare.
I delineati presupposti non risultano
sussistere nella fattispecie all’esame del
Collegio. Dal raffronto tra stato di fatto e
di progetto (cfr. doc. 6 Comune) emerge come
la porzione di fabbricato effettivamente
abitata sia interessata da un significativo
incremento di volume (da 468,60 mc. a
747,90) e di superficie (da 111,69 mq. a
206,87), con l’intera soffitta che viene
recuperata in piano abitabile con accesso
autonomo dotato di 4 locali (2 camere da
letto, 1 bagno e 1 guardaroba). Non è
condivisibile l’impostazione dei ricorrenti
laddove (per dimostrare la conformità al
parametro normativo) prendono in esame il
volume e la superficie dell’intero edificio,
poiché lo spirito della norma (già
descritto) è quello di incentivare i modesti
interventi posti in essere dai nuclei
unifamiliari: il carattere “unifamiliare”
deve essere quindi mantenuto dopo
l’ampliamento/ristrutturazione, mentre nella
fattispecie è stata creata (come si evince
anche dalla previsione di un accesso ad hoc)
un’ulteriore autonoma unità abitativa, con
conseguente mutamento della realtà
strutturale e della fruibilità urbanistica
dell’organismo edilizio oggetto di
trasformazione.
In definitiva la disposizione invocata
opera soltanto per gli edifici
"unifamiliari" e, in mancanza di ulteriori
specificazioni, tali sono quelli
strutturalmente destinati all'uso
"abitativo" di un "solo" nucleo familiare,
indipendentemente dalle dimensioni
dell’edificio stesso (TAR Marche –
31/01/2007 n. 8)
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 10.08.2012 n. 1446 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
questione dell'adeguatezza o meno della
motivazione con cui il Comune ha esplicitato
i criteri di calcolo applicati è destinata a
risultare recessiva rispetto a quella della
correttezza o meno di tali criteri: al
riguardo, infatti, va richiamato il
consolidato indirizzo giurisprudenziale
secondo cui la determinazione degli oneri di
urbanizzazione si correla a una precisa
disciplina normativa, di modo che i
provvedimenti applicativi di essa non
richiedono di per sé alcuna puntuale
motivazione allorché le scelte
dell'Amministrazione si conformino a detti
criteri.
La società ricorrente impugna la suddetta
nota n. 1617 del 02.02.1993, deducendo ,
sotto un primo profilo, che la
rideterminazione assunta dal Comune
risulterebbe del tutto carente di
motivazione circa la rinnovata
qualificazione dell’intervento, essendosi
l’amministrazione limitata ad asserire: “un
supplemento di istruttoria ha dimostrato che
la riduzione sugli oneri di urbanizzazione
primaria e secondaria era stata applicata
erroneamente”.
Sul punto, è opportuno sottolineare come la
questione dell'adeguatezza o meno della
motivazione con cui il Comune ha esplicitato
i criteri di calcolo applicati è destinata a
risultare recessiva rispetto a quella della
correttezza o meno di tali criteri: al
riguardo, infatti, va richiamato il
consolidato indirizzo giurisprudenziale
secondo cui la determinazione degli oneri di
urbanizzazione si correla a una precisa
disciplina normativa, di modo che i
provvedimenti applicativi di essa non
richiedono di per sé alcuna puntuale
motivazione allorché le scelte
dell'Amministrazione si conformino a detti
criteri (cfr. Cons. St., Sez. IV,
27.04.2012, n. 2471; Sez. V, 09.02.2001, nr.
584).
Nel caso che qui occupa, inoltre, il Comune
ha esplicitato in corso di giudizio le
ragioni che lo hanno indotto alla
riqualificazione dell’intervento,
sottolineando –senza incontrare in proposito
specifica contestazione– che l’intervento ha
comportato un diverso carico urbanistico,
non solo quantitativo ma anche qualitativo,
per la destinazione commerciale di parte
dell’immobile. Ha quindi tratto da tale
elemento un argomento decisivo per escludere
la modesta entità e frammentarietà
dell’intervento.
La delibera C. C. n. 75 del 14.07.1977 norme
generali punto 2) prevede che “agli
interventi caratterizzati da modesta entità
o da frammentarietà come ad esempio gli
ampliamenti, i completamenti, i restauri e
le ristrutturazioni che non comportano
carico aggiuntivo di popolazione, oltreché
gli interventi singoli in zone (già dotate
in tutto o in parte di urbanizzazione) si
applica, per le opere di urbanizzazione
primaria e secondaria, un contributo
forfetario di un terzo del valore stimato in
modo sintetico per le zone di espansione”.
Orbene, le deduzioni svolte
dall’amministrazione consentono di escludere
la sussistenza del requisito che giustifica
l’applicazione del contributo in misura
contingentata, ovvero l’invarianza del
carico urbanistico.
Che tale fattore non sia rimasto immutato è
circostanza riconosciuta anche dalla parte
ricorrente (cfr. pag. 10 ricorso
introduttivo).
D’altra parte, avendo ad oggetto il giudizio
in corso l’accertamento negativo del diritto
di credito azionato dal comune, incombe
sull'attore l'onere di provare, ai sensi
dell'art. 2697 c.c., i fatti costituenti il
fondamento della pretesa azionata (cfr. TAR
Latina Lazio sez. I, 04.07.2007, n. 477).
Nell'ambito di siffatto giudizio di
accertamento, in cui le posizioni possedute
ed azionate hanno consistenza di diritto
soggettivo, il giudice dispone di soli
poteri acquisitivi e non dispositivi;
sicché, egli non può sostituirsi alle parti
ricercando e/o allegando lui le prove dei
fatti su cui è stato fondato il diritto
azionato. Grava sull'interessato l'onere di
comprovare le ragioni fondanti i fatti da
lui allegati; il giudice, dal suo canto,
potrà solo avvalersi di mezzi ausiliari (c.t.u.,
verificazioni) utili al fine della
valutazione di elementi probatori già
acquisiti o della soluzione di questioni che
comportino specifiche conoscenze tecniche
che vanno oltre il senso comune.
Alla luce dei principi enunciati, non
essendo stato allegato nessun elemento di
prova dei presupposti della riduzione degli
oneri, in conseguenza del carattere modesto
dell’intervento edilizio, la determinazione
assunta dal Comune sul punto non appare
censurabile.
Sotto questo primo profilo, il ricorso non
può trovare accoglimento
(TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 03.08.2012 n. 971 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Devesi
ritenere legittima la condotta
dell'amministrazione che, valutando la
tipologia di lavori edilizi posti in essere,
ritenga di qualificare ed istruire come
istanza di concessione in sanatoria (art. 13
l. 28.02.1985 n. 47) la domanda formalmente
presentata come concessione in variante ai
sensi dell'art. 15 l. n. 47/1985.
---------------
L'entità del contributo per oneri di
urbanizzazione deve essere individuata con
riferimento al momento in cui viene
rilasciata la concessione edilizia in
sanatoria e in cui, quindi, sorge
l'obbligazione.
La ricorrente contesta l’atto impugnato
anche con riguardo alla determinazione degli
oneri dovuti in relazione alla variante del
22.11.1988.
La censura si fonda sull’asserita
irrazionalità della determinazione –che
quantifica l’oblazione prevista dall’art. 13
L. 47/1985- in quanto afferente a vicenda
non ancora conclusa, per non essere stato
presentato il progetto di sanatoria e per
non essere stati acquisiti tutti gli
elementi necessari ad una completa
rappresentazione delle opere realizzate.
La stessa nota n. 1617 del 02.02.1993
contiene l’espressa riserva di “rideterminare
gli oneri stessi in base al progetto di
sanatoria che dovrà essere presentato”.
Sussisterebbe, pertanto, assoluta incertezza
circa l’entità effettiva dell’oblazione e il
titolo della richiesta avanzata in tal senso
dal Comune.
Dalle difese della parte resistente si
ricava che il Comune, sul presupposto -non
contestato- che le opere eseguite in
variante sono abusive, perché prive di
concessione, ha inteso valutare ed esaminare
la domanda di variante “a titolo di
sanatoria”.
Della menzionata riqualificazione la
ricorrente non ha interesse a dolersi. Si
tratta, peraltro, di procedura ammissibile,
dovendosi ritenere legittima la condotta
dell'amministrazione che, valutando la
tipologia di lavori edilizi posti in essere,
ritenga di qualificare ed istruire come
istanza di concessione in sanatoria (art. 13
l. 28.02.1985 n. 47) la domanda formalmente
presentata come concessione in variante ai
sensi dell'art. 15 l. n. 47/1985 (cfr. TAR
Toscana Sez. III, 07-11-1998, n. 374).
Nondimeno, il contenuto dell’atto impugnato
appare sul punto non adeguatamente motivato,
in quanto recante conteggi non supportati da
alcun dato oggettivo di riferimento e da
alcuna tavola progettuale, alla cui
successiva acquisizione si riserva la
rideterminazione degli oneri stessi: nella
nota è infatti precisato che: “le somme
riferite alla variante potranno essere
rideterminate in base al progetto di
sanatoria che dovrà essere presentato dalla
società AL.E.RO.”.
L’iter seguito dal Comune, poi, non appare
in linea con le disposizioni normative
vigenti in materia, stando alle quali
l’intervento del Comune, ai fini della
determinazione in via definitiva del
relativo importo, fa seguito alla disamina
della domanda di concessione o di
autorizzazione e ai necessari correlati
accertamenti. Solo all’esito degli stessi,
il sindaco “determina in via definitiva
l'importo dell'oblazione e rilascia, salvo
in ogni caso il disposto dell'articolo 37,
la concessione o l'autorizzazione in
sanatoria” (art. 35 L. 47/1985).
Analogo principio è sinteticamente espresso
dall’art. 13, comma 3, L. 47/1985, ove si
dispone che “il rilascio della
concessione in sanatoria è subordinato al
pagamento, a titolo di oblazione, del
contributo di concessione in misura
doppia...”.
L’interpretazione che la giurisprudenza
fornisce di tali disposizioni è nel senso
che l'entità del contributo per oneri di
urbanizzazione deve essere individuata con
riferimento al momento in cui viene
rilasciata la concessione edilizia in
sanatoria e in cui, quindi, sorge
l'obbligazione (TAR Lazio sez. II,
04.05.2011, n. 3854; Tar Lazio, sez. II-ter,
n. 1059 del 2009; Cons. Stato, Sez. V,
26.03.2003, n. 1564).
L’amministrazione è quindi tenuta ad
effettuare adeguati accertamenti istruttori
sulla pratica di sanatoria, a determinarsi
sulla stessa e a riformulare, alla luce del
relativo esito, il conteggio degli oneri
dovuti ai sensi dell’art. 13 L. 47/1985
(TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 03.08.2012 n. 971 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il rilascio della concessione
edilizia si configura come fatto costitutivo
dell’obbligo giuridico del concessionario di
corrispondere il relativo contributo per
oneri di urbanizzazione, ossia per gli oneri
affrontati dall’ente locale per le opere
indispensabili affinché l’area acquisti
attitudine al recepimento dell’insediamento
del tipo assentito e per le quali l’area
acquista un beneficio economicamente
rilevante, da calcolarsi secondo i parametri
vigenti a tale momento; il contributo per
oneri di urbanizzazione è quindi dovuto per
il solo rilascio della concessione, senza
che neanche rilevi, ad esclusione
dell’obbligo, la già intervenuta
realizzazione di opere di urbanizzazione.
Il contributo per il rilascio del permesso
di costruire ha natura di prestazione
patrimoniale imposta, di carattere non
tributario, ed ha carattere generale,
prescindendo totalmente o meno delle singole
opere di urbanizzazione, venendo altresì
determinato indipendentemente sia
dall’utilità che il concessionario ritrae
dal titolo edificatorio, sia dalle spese
effettivamente occorrenti per realizzare
dette opere.
Ne discende che, attesa la natura non
sinallagmatica e il regime interamente
pubblicistico che connota il contributo de
quo, la sua disciplina vincola anche il
giudice, al quale è impedito di configurare
autonomamente ipotesi di non debenza della
specifica prestazione patrimoniale diverse
da quelle autoritativamente individuate dal
legislatore.
Ed invero, ai sensi dell’art. 1 della legge
28.01.1977, nr. 10 (e, oggi, dell’art. 16
del d.P.R. 06.06.2001, nr. 380), il rilascio
della concessione edilizia si configura come
fatto costitutivo dell’obbligo giuridico del
concessionario di corrispondere il relativo
contributo per oneri di urbanizzazione,
ossia per gli oneri affrontati dall’ente
locale per le opere indispensabili affinché
l’area acquisti attitudine al recepimento
dell’insediamento del tipo assentito e per
le quali l’area acquista un beneficio
economicamente rilevante, da calcolarsi
secondo i parametri vigenti a tale momento;
il contributo per oneri di urbanizzazione è
quindi dovuto per il solo rilascio della
concessione, senza che neanche rilevi, ad
esclusione dell’obbligo, la già intervenuta
realizzazione di opere di urbanizzazione
(cfr. Cons. Stato, sez. V, 22.02.2011, nr.
1108; Cons. Stato, sez. IV, 24.12.2009, nr.
8757).
Per altrettanto pacifica giurisprudenza, il
contributo per il rilascio del permesso di
costruire ha natura di prestazione
patrimoniale imposta, di carattere non
tributario, ed ha carattere generale,
prescindendo totalmente o meno delle singole
opere di urbanizzazione, venendo altresì
determinato indipendentemente sia
dall’utilità che il concessionario ritrae
dal titolo edificatorio, sia dalle spese
effettivamente occorrenti per realizzare
dette opere (cfr. Cons. Stato, sez. V,
15.12.2005, nr. 7140; id., 06.05.1997, nr.
462).
Ne discende che, attesa la natura non
sinallagmatica e il regime interamente
pubblicistico che connota il contributo
de quo, la sua disciplina vincola anche
il giudice, al quale è impedito di
configurare autonomamente ipotesi di non
debenza della specifica prestazione
patrimoniale diverse da quelle
autoritativamente individuate dal
legislatore (cfr. Cons. Stato, sez. V,
20.04.2009, nr. 2359) (Consiglio di Stato,
Sez. IV,
sentenza 30.07.2012 n. 4320 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L’art.
17, co. 3, lett. b), del d.P.R. 380/2001 stabilisce che il contributo di
costruzione non è dovuto "per gli interventi
di ristrutturazione e di ampliamento, in
misura non superiore al 20%, di edifici
unifamiliari”.
La norma in questione non stabilisce le
caratteristiche dell’edificio unifamiliare,
per cui la giurisprudenza è unanime
nell'affermare che la ratio di tale
disposizione è quella di favorire l'edificio
unifamiliare in quanto tale ossia come
immobile destinato ad un solo nucleo
familiare, situazione ritenuta dal
legislatore meritevole, per gli interventi
di ristrutturazione, di un trattamento
economico differenziato rispetto alle altre
tipologie edilizie.
Pertanto, per fruire dell'esenzione, stando
alla lettera della norma l'immobile deve
essere in toto destinato ad esclusiva
residenza abitativa di un unico nucleo
familiare.
La giurisprudenza ha anche precisato che, ai
fini dell'esonero dall'obbligo contributivo,
la destinazione ad esclusiva residenza
abitativa di un solo nucleo familiare deve
preesistere rispetto all'intervento di
ristrutturazione, e deve permanere anche
dopo tale intervento: il manufatto oggetto
dell'intervento deve essere, inoltre, ante
opera, unifamiliare.
La circostanza che l’immobile sia stato reso
unifamiliare pressoché coevamente alla
richiesta di ampliamento e ristrutturazione,
e che il Comune ritiene operazione in frode
alla legge, non è tale per il Collegio, in
quanto ciò che rileva ai fini
dell’applicazione della norma in questione
non è, come ritiene il Comune intimato, che
l’immobile sia nato come edificio
unifamiliare quanto che lo sia al momento in
cui viene richiesto il beneficio previsto
dalla norma che esenta dal pagamento degli
oneri concessori.
Il ricorso, come chiarito
in fatto, verte sull’applicazione dell’art.
17, co. 3, lett. b), del d.P.R. 380/2001, norma
che stabilisce che il contributo di
costruzione non è dovuto "per gli interventi
di ristrutturazione e di ampliamento, in
misura non superiore al 20%, di edifici
unifamiliari”.
La ricorrente, che si è assoggetta al
pagamento degli oneri con riserva di
ripetizione, assume, infatti, di trovarsi
nella condizione di fatto e di diritto per
beneficiare di detta norma, mentre
l’amministrazione nega tale diritto
ritenendo che nella specie difetterebbe il
requisito /presupposto della unifamiliarità
dell’edificio, posto che per tali devono
intendersi gli edifici non solo
funzionalmente ma anche strutturalmente
unifamiliari, ossia tali ab origine e non
per effetto dell’intervento programmato.
Intervento nella specie identificabile con
l’operazione complessa costituita, secondo
l’amministrazione, dall’artificiosa
scissione di un unico titolo in due distinti
e pressoché contestuali titoli edilizi.
L’edificio in questione, infatti, in origine
composto da due unità abitative è stato reso
dapprima unifamiliare e poi, senza soluzione
di continuità, ampliato e ristrutturato, al
fine di eludere la norma che regola
l’onerosità del titolo edilizio.
Il Collegio non ritiene tuttavia che la tesi
del Comune meriti di essere condivisa, per
le ragioni che seguono.
La norma in questione, innanzitutto, non
stabilisce le caratteristiche dell’edificio
unifamiliare, per cui la giurisprudenza è
unanime nell'affermare che la ratio di tale
disposizione è quella di favorire l'edificio
unifamiliare in quanto tale ossia come
immobile destinato ad un solo nucleo
familiare, situazione ritenuta dal
legislatore meritevole, per gli interventi
di ristrutturazione, di un trattamento
economico differenziato rispetto alle altre
tipologie edilizie (Tar Lombardia, sez. II,
10.10.1996 n. 1480).
Pertanto, per fruire dell'esenzione, stando
alla lettera della norma l'immobile deve
essere in toto destinato ad esclusiva
residenza abitativa di un unico nucleo
familiare (Tar Lombardia, Brescia, 27.08.2004
n. 939).
La giurisprudenza ha anche precisato che, ai
fini dell'esonero dall'obbligo contributivo,
la destinazione ad esclusiva residenza
abitativa di un solo nucleo familiare deve
preesistere rispetto all'intervento di
ristrutturazione, e deve permanere anche
dopo tale intervento: il manufatto oggetto
dell'intervento deve essere, inoltre, ante
opera, unifamiliare (Tar Marche, 12.02.1998
n. 250).
Ebbene, nel caso di specie tali presupposti
ricorrevano tutti in favore della
richiedente, poiché prima dell’intervento di
ampliamento e ristrutturazione l’immobile
era stato reso unifamiliare in forza della
d.i.a. del 22.01.2008, con cui era
stata attuata l’aggregazione delle due
preesistenti unità immobiliari e creato
l’edificio unifamiliare destinato alla
residenza della ricorrente, che all’uopo ha
provveduto alle necessarie variazioni
catastali e, come sopra rilevato, al
contestuale trasferimento della propria
residenza.
L’assunto del Comune, che tale intervento,
in quanto realizzato attraverso l’artificio
della scissione, pressoché contestuale,
dell’unica autorizzazione edilizia in due
distinti titoli edilizi, deve ritenersi
elusivo della legge (nella specie dell’art.
17, comma 3, lett. b), del d.P.R. 380/2001) e
quindi inidoneo ad avvalersi del relativo
beneficio è destituito di giuridico
fondamento.
La tesi del comune di Casciago sarebbe,
infatti condivisibile se il legislatore
avesse dato una definizione di edificio
unifamiliare basata su elementi oggettivi
(limite di superficie o di volume o di vani
o di quant’altro possa definire
oggettivamente il concetto di piccola
proprietà, escludendo tipologie di lusso o
comunque immobili di grandi dimensioni) e
tale non fosse, perché eccedente detti
limiti, l’immobile della ricorrente, posto
che altrimenti per unifamiliare deve
intendersi l’immobile catastalmente
allibrato come unica unità immobiliare
destinata alla residenza di un solo nucleo
familiare.
Ogni altra distinzione, compresa quella
della destinazione “strutturale” che il
Comune intimato pretende di applicare alla
fattispecie, senza spiegare quali concreti
elementi l’immobile debba possedere per
appartenere a tale categoria, è, infatti,
non solo arbitraria ma, proprio perché
indefinita nei suoi elementi
costitutivi, inapplicabile a fattispecie
concrete.
La circostanza che l’immobile sia stato reso
unifamiliare pressoché coevamente alla
richiesta di ampliamento e ristrutturazione,
e che il Comune ritiene operazione in frode
alla legge, non è tale per il Collegio, in
quanto ciò che rileva ai fini
dell’applicazione della norma in questione
non è, come ritiene il Comune intimato, che
l’immobile sia nato come edificio
unifamiliare quanto che lo sia al momento in
cui viene richiesto il beneficio previsto
dalla norma che esenta dal pagamento degli
oneri concessori.
E questa situazione di fatto e di diritto
sussisteva, nella specie, proprio sulla base
di un intervento non solo edilizio ma anche
catastale e di modifica della residenza che
la ricorrente aveva posto in essere prima di
avviare l’intervento di cui alla d.i.a. del
22.01.2008
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza
24.07.2012 n.
2070 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Oneri di urbanizzazione.
Il beneficio
dell’esonero dalla corresponsione del
contributo concessorio afferente ai costi di
costruzione ed urbanizzazione, previsto per
gli immobili nei quali si svolge attività
industriale dall’art. 10, comma 1, della
Legge n. 10/1977, concerne strettamente i
fabbricati complementari ed asserviti alle
esigenze proprie di un impianto industriale
e non già quegli edifici che non sono di per
sé destinati alla produzione di beni
industriali, ovvero quelle opere edilizie
comunque suscettibili di essere utilizzate
al servizio di qualsiasi attività economica.
È, pertanto, da escludere l’applicabilità
del trattamento contributivo di favore a
magazzini per deposito e commercio ove non
siano “collegati ad altro stabile adibito
alla attività produttiva”.
Conclusivamente, il beneficio dell’esonero
dalla corresponsione del contributo così
come previsto dall’art. 10, comma 1, della
Legge n. 10/1977 per gli immobili nei quali
si svolge attività industriale, concerne
solo e soltanto i fabbricati complementari
e/o asserviti alle esigenze proprie di un
impianto industriale o artigianale e non
quegli edifici privi di tale nesso
sostanziale e suscettibili di essere
utilizzati al servizio di qualsiasi attività
economica.
Comunque, grava esclusivamente
sull’interessato l’onere della dimostrazione
dell’esistenza del nesso di complementarietà
delle opere da costruire con le esigenze
proprie di un impianto industriale.
Invero, l’art. 10, comma 1, della Legge n.
10/1977 (ora art. 19 del T.U. dell’edilizia)
dispone espressamente al primo comma che: “Il
permesso di costruire relativo a costruzioni
o impianti destinati ad attività industriali
o artigianali dirette alla trasformazione di
beni ed alla prestazione di servizi comporta
la corresponsione di un contributo pari alla
incidenza delle opere di urbanizzazione (…)”.
La predetta disposizione pone oggettivamente
il problema della corretta individuazione
degli impianti o costruzioni riconducibili
alla attività industriale o artigianale, in
quanto la terminologia utilizzata dal
legislatore richiama espressamente la
prestazione di servizi e non solo la
trasformazione di beni, quest’ultima
tipicamente caratterizzante il settore
produttivo.
Così, potrebbe ipotizzarsi che un’attività
volta esclusivamente ad una prestazione di
servizi a terzi, pur scollegata da
qualsivoglia attività industriale o
artigianale diretta alla trasformazione di
beni, rientri nel trattamento contributivo
di maggior favore previsto dalla richiamata
norma, come prospettato dall’appellante.
Ritiene il Collegio che una siffatta opzione
ermeneutica non sia sostenibile.
La norma, infatti, appare oggettivamente
orientata a distinguere i due trattamenti
contributivi in ragione delle attività
svolte.
Ed in questo senso vengono espressamente
individuate e distinte le attività
industriali o artigianali da quelle
turistiche, commerciali e direzionali.
Ne consegue che l’elemento discriminante tra
i due regimi contributivi è direttamente
incentrato, in principalità, sulla tipologia
di attività economica svolta, da cui non può
comunque prescindersi ai fini
dell’applicazione della norma.
Pertanto, l’applicazione del regime
contributivo di maggior favore deve essere
necessariamente riconosciuta solo in
presenza di un’ attività industriale o
artigianale, ovvero di un’ attività ad essa
comunque collegata da un nesso di stretta
funzionalità o complementarietà.
In questo senso, del resto, si è già
espressa più volte la giurisprudenza della
Sezione, precisando che il beneficio
dell’esonero dalla corresponsione del
contributo concessorio afferente ai costi di
costruzione ed urbanizzazione, previsto per
gli immobili nei quali si svolge attività
industriale dall’art. 10, comma 1, della
Legge n. 10/1977, concerne strettamente i
fabbricati complementari ed asserviti alle
esigenze proprie di un impianto industriale
e non già quegli edifici che non sono di per
sé destinati alla produzione di beni
industriali, ovvero quelle opere edilizie
comunque suscettibili di essere utilizzate
al servizio di qualsiasi attività economica
(cfr. decisioni 21.10.1998, n. 1512;
05.09.1995, n. 1266; 13.07.1994, n. 752).
È, pertanto, da escludere l’applicabilità
del trattamento contributivo di favore a
magazzini per deposito e commercio ove non
siano “collegati ad altro stabile adibito
alla attività produttiva” (cfr. Cons.
Stato, sez. V, 13.07.1994, n. 752).
Conclusivamente, il beneficio dell’esonero
dalla corresponsione del contributo così
come previsto dall’art. 10, comma 1, della
Legge n. 10/1977 per gli immobili nei quali
si svolge attività industriale, concerne
solo e soltanto i fabbricati complementari
e/o asserviti alle esigenze proprie di un
impianto industriale o artigianale e non
quegli edifici privi di tale nesso
sostanziale e suscettibili di essere
utilizzati al servizio di qualsiasi attività
economica.
Tanto premesso in via di principio, osserva
il Collegio come nel caso di specie
l’immobile considerato non sia affatto
complementare o comunque strettamente
connesso ad uno stabilimento industriale o
artigianale. Invero, l’attività economica
svolta nel deposito per cui è causa,
consistente nell’immagazzinamento,
conservazione, movimentazione e deposito di
merci e materiali a favore di terzi, non
risulta oggettivamente complementare ad un
ciclo produttivo di uno specifico impianto
industriale o artigianale.
Riprova ne è il fatto che l’appellante, non
solo non dimostra minimamente un qualsiasi
collegamento tra il deposito per cui è causa
ed un’attività industriale o artigianale, ma
addirittura riconosce che la società “non
svolge alcuna attività complementare”,
bensì “un'unica attività corrispondente
al suo precipuo ed esclusivo oggetto sociale”
che, come emerge dalla visura depositata in
giudizio, consiste nel deposito,
conservazione, preparazione, movimentazione
fisica, distribuzione e trasporto di merci.
E sul punto, la giurisprudenza della Sezione
ha già avuto modo di precisare che grava
esclusivamente sull’interessato l’onere
della dimostrazione dell’esistenza del nesso
di complementarietà delle opere da costruire
con le esigenze proprie di un impianto
industriale (cfr. decisione n. 1266 del
05.09.1995).
Ne consegue che l’immobile per cui è causa
non può essere soggetto al regime
contributivo agevolato previsto dall’art.
10, comma 1, della L. n. 10/1977, come
correttamente ritenuto dall’Amministrazione
comunale resistente (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 19.06.2012 n. 3561
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
Collegio ritiene di aderire all’orientamento
giurisprudenziale secondo il quale sia gli oneri di
urbanizzazione che il costo di costruzione gravanti sul
titolare di una concessione edilizia abbiano natura
giuridica di corrispettivi di diritto pubblico, e vadano,
quindi, inquadrati nell’ambito delle prestazioni
patrimoniali imposte, con la conseguenza che non può
prescindersi da un’espressa previsione di legge.
Ciò comporta che, “non offrendo la legge, che ne disciplina
il regime, alcun indicatore normativo speciale che faccia
ritenere comunque applicabile la disciplina civilistica
della solidarietà derivante dalla fattispecie dell’accollo,
la parte cedente che non ha iniziato l’edificazione e quindi
non abbia realizzato, neppure in minima parte, la
costruzione degli edifici, viene a trovarsi liberata, in
virtù della voltura del titolo edilizio, dall’obbligo di
corrispondere gli oneri di concessione ed il contributo di
costruzione di cui alla L. n. 10 del 1977, non essendosi
verificato il presupposto di esigibilità del credito
pubblico, ovvero la materiale trasformazione urbanistica del
territorio”.
Laddove, invece, il presupposto di esigibilità del credito,
ossia l’edificazione, abbia avuto consistenza in capo al
dante causa ed al cessionario, sia il dante causa che il
cessionario sono solidarmente tenuti nei confronti
dell’amministrazione al pagamento degli oneri concessori, in
quanto, in tal caso, l’identico fenomeno urbanistico ed
edilizio ha tratto origine da due coautori.
... va rilevato che il problema da affrontare è se la
voltura dell’originario permesso di costruire implichi che
il dante causa del titolo edificatorio non sia più tenuto al
pagamento degli oneri concessori.
Sull’argomento, la giurisprudenza è divisa e non sussiste un
univoco orientamento.
Il Collegio ritiene di aderire all’orientamento
giurisprudenziale secondo il quale sia gli oneri di
urbanizzazione che il costo di costruzione gravanti sul
titolare di una concessione edilizia abbiano natura
giuridica di corrispettivi di diritto pubblico, e vadano,
quindi, inquadrati nell’ambito delle prestazioni
patrimoniali imposte, con la conseguenza che non può
prescindersi da un’espressa previsione di legge.
Ciò comporta che, “non offrendo la legge, che ne
disciplina il regime, alcun indicatore normativo speciale
che faccia ritenere comunque applicabile la disciplina
civilistica della solidarietà derivante dalla fattispecie
dell’accollo, la parte cedente che non ha iniziato
l’edificazione e quindi non abbia realizzato, neppure in
minima parte, la costruzione degli edifici, viene a trovarsi
liberata, in virtù della voltura del titolo edilizio,
dall’obbligo di corrispondere gli oneri di concessione ed il
contributo di costruzione di cui alla L. n. 10 del 1977, non
essendosi verificato il presupposto di esigibilità del
credito pubblico, ovvero la materiale trasformazione
urbanistica del territorio” (Cons. Giust. Amm. Sic.,
13.10.2011, n. 666).
Laddove, invece, il presupposto di esigibilità del credito,
ossia l’edificazione, abbia avuto consistenza in capo al
dante causa ed al cessionario, sia il dante causa che il
cessionario sono solidarmente tenuti nei confronti
dell’amministrazione al pagamento degli oneri concessori, in
quanto, in tal caso, l’identico fenomeno urbanistico ed
edilizio ha tratto origine da due coautori (cfr., TAR
Sicilia, Catania, sez. I, 26.03.2009, n. 602)
(TAR Toscana, Sez. III,
sentenza 12.06.2012 n. 1126 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il fatto costitutivo dell'obbligo
giuridico del titolare della concessione
edilizia di versare il contributo previsto è
rappresentato dal rilascio della concessione
medesima ed è a tale momento, quindi, che
occorre aver riguardo per la determinazione
dell'entità del contributo, risultando
irrilevante, a tal fine, la precedente
espressione del parere della commissione
edilizia.
La vicenda contenziosa concerne la determinazione degli oneri concessori
a fronte di un sensibile ritardo
dell’amministrazione nel rilascio della
concessione edilizia.
La domanda di tutela è stata introdotta
molto tempo prima delle note vicende -prima
giurisprudenziali, e poi normative- che
hanno condotto alla risarcibilità degli
interessi legittimi, e sì è concretizzata in
una domanda di annullamento (parziale) e di
condanna dell’amministrazione alla
restituzione di somme indebitamente
corrisposte, in forza del principio –affermato nella domanda– che gli oneri
concessori debbano calcolarsi al momento del
favorevole esame del progetto da parte della
Commissione edilizia e non a quello del
(tardivo) rilascio della concessione, vieppiù ove di rilevi un comportamento
dell’amministrazione scientemente
preordinato a lucrare l’esponenziale
incremento nel tempo degli oneri concessori.
In tali termini inquadrata, il giudice di
prime cure, correttamente, ha respinto la
domanda.
La Sezione ha già avuto modo di chiarire,
alla luce del disposto normativo di cui
all’art. 11 della legge 10/1977, che il fatto
costitutivo dell'obbligo giuridico del
titolare della concessione edilizia di
versare il contributo previsto è
rappresentato dal rilascio della concessione
medesima ed è a tale momento, quindi, che
occorre aver riguardo per la determinazione
dell'entità del contributo, risultando
irrilevante, a tal fine, la precedente
espressione del parere della commissione
edilizia (Cfr. sez. IV, 25/06/2010, n.
4109).
Ciò è di per se sufficiente ad escludere
l’illegittimità dell’azione amministrativa,
finanche ove sia provata la sussistenza di
un colposo ritardo nell’emanazione della
concessione.
Altra cosa è la liceità dell’inerzia
procedimentale che si assume serbata
dall’amministrazione. E’ ben possibile che
episodi di ingiustificata lentezza, di
aggravio procedimentale o di inefficienza
abbiano dilatato oltre modo i tempi di
rilascio della concessione, determinando
l’esponenziale crescita degli oneri gravanti
sull’istante, ma tale comportamento, ove
sussistente, può essere vagliato dal giudice
amministrativo solo a fronte
dell’esperimento di un’azione risarcitoria,
nel rispetto dei termini e delle modalità
che per la sua introduzione l’ordinamento
pretende.
Nel caso di specie, come condivisibilmente
sottolineato dal giudice di prime cure,
un’azione risarcitoria non è stata proposta,
neanche a seguito delle sopravvenienze
normative che ne hanno cristallizzato l’esperibilità.
Né può procedersi alla valutazione dei
profili colposi della condotta della P.A. ai
fini di una eventuale e futura azione
risarcitoria –come pure sollecitato
dall’appellante– poiché si tratterebbe in
ogni caso di un accertamento che esula dalle
domande ritualmente poste nel giudizio, tese
invece a stigmatizzare l’illegittimità della
quantificazione ai fini della ripetizione
dell’indebito (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 07.06.2012 n. 3379 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Le controversie inerenti la
contestazione degli oneri di urbanizzazione,
solo qualora non vengano dedotte censure
derivanti da atti generali autoritativi di
determinazione degli oneri presupposti di
quello impugnato, attengono a posizioni di
diritto soggettivo azionabili innanzi al
G.A. in sede di giurisdizione esclusiva nel
termine di prescrizione.
Pertanto, quando si intenda contestare
l’applicazione del contributo per vizi
derivanti da atti autoritativi generali,
presupposti di quello impugnato, in
relazione ai quali la posizione
dell’interessato è qualificabile di
interesse legittimo, perché il motivo
dedotto è l’illegittimità
dell’assoggettamento, anche nel quantum,
all’onere di urbanizzazione di una
concessione edilizia, il ricorso deve essere
proposto entro il termine di decadenza.
Come correttamente ritenuto dai giudici di
prime cure, la deliberazione n. 58/1992 del
Consiglio comunale di Sarzana è da
considerarsi un atto autoritativo e, come
tale, soggetto all’ordinario termine di
decadenza ai fini della sua impugnazione.
Le controversie inerenti la contestazione
degli oneri di urbanizzazione, solo qualora
non vengano dedotte censure derivanti da
atti generali autoritativi di determinazione
degli oneri presupposti di quello impugnato,
attengono a posizioni di diritto soggettivo
azionabili innanzi al G.A. in sede di
giurisdizione esclusiva nel termine di
prescrizione.
Pertanto, quando si intenda contestare
l’applicazione del contributo per vizi
derivanti da atti autoritativi generali,
presupposti di quello impugnato, in
relazione ai quali la posizione
dell’interessato è qualificabile di
interesse legittimo, perché il motivo
dedotto è l’illegittimità
dell’assoggettamento, anche nel quantum,
all’onere di urbanizzazione di una
concessione edilizia, il ricorso deve essere
proposto entro il termine di decadenza.
Nella specie l’impugnativa, laddove è stata
proposta in relazione al fatto che la
determinazione degli oneri concessori
avrebbe fatto seguito alla illegittimità
della deliberazione comunale, recante i
criteri di definizione degli oneri stessi,
avrebbe dovuto essere proposta nel
prescritto termine decadenziale (Consiglio
di Stato, Sez. V, 03.05.2006, n. 2463)
E altresì da considerare che l’eventuale
disapplicazione della delibera comunale
avrebbe comportato una violazione di
principi di rango costituzionale, in quanto
avrebbe minato “la certezza dell’azione
amministrativa, esponendola per un lasso di
tempo decennale alla impugnazione di atti
autoritativi e creando disparità di
trattamento in situazioni identiche”
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 28.05.2012 n. 3122 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La mancata quantificazione del
contributo di urbanizzazione non costituisce
un requisito di legittimità del titolo
edilizio, in quanto il procedimento di
determinazione del contributo di
urbanizzazione è diverso e autonomo rispetto
al procedimento di rilascio del titolo
edilizio, sia perché persegue finalità sue
proprie, sia perché si conclude con un
provvedimento diverso da quello concessivo
del titolo a costruire, che è autonomamente
impugnabile e suscettivo di annullamento
senza ripercussioni sulla concessione.
Secondo
condivisibile indirizzo pretorio, la mancata
quantificazione del contributo di
urbanizzazione non costituisce un requisito
di legittimità del titolo edilizio, in
quanto il procedimento di determinazione del
contributo di urbanizzazione è diverso e
autonomo rispetto al procedimento di
rilascio del titolo edilizio, sia perché
persegue finalità sue proprie, sia perché si
conclude con un provvedimento diverso da
quello concessivo del titolo a costruire,
che è autonomamente impugnabile e suscettivo
di annullamento senza ripercussioni sulla
concessione (Consiglio di Stato, Sez. IV,
21.04.2009 n. 2438 e 31.01.1995 n. 37)
(TAR Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 23.05.2012 n. 2400 - link a
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EDILIZIA PRIVATA: Il
generale principio di correlare gli oneri di
urbanizzazione al carico urbanistico, la
ristrutturazione edilizia comporta tale
dovere allorché sussista tale carico, che va
riscontrato anche in caso di divisione e
frazionamento di immobile che da uno si
trasforma in due unità, con distinti
ingressi e servizi.
Anche in tale ipotesi, consistente nella
divisione e frazionamento di una unità
immobiliare in due o più unità, stante
l’autonoma utilizzabilità delle stesse, si
realizza un aumento dell’impatto sul
territorio e sono dovuti i relativi oneri.
---------------
Ai fini dell'insorgenza dell'obbligo di
corresponsione degli oneri concessori, è
rilevante il verificarsi di un maggior
carico urbanistico quale effetto
dell'intervento edilizio, sicché non è
neanche necessario che la ristrutturazione
interessi globalmente l'edificio -con
variazioni riguardanti nella loro interezza
le parti esterne ed interne del fabbricato-
ma è soltanto sufficiente che ne risulti
comunque mutata la realtà strutturale e la
fruibilità urbanistica, con oneri
conseguentemente riferiti all'oggettiva
rivalutazione dell'immobile e funzionali a
sopportare l'aggiuntivo carico
«socio-economico» che l'attività edilizia
comporta, anche quando l'incremento
dell'impatto sul territorio consegua solo a
marginali lavori dovuti ad una divisione o
frazionamento dell'immobile in due unità o
fra due o più proprietari
La giurisprudenza di questo
Consesso ha già chiarito che il generale
principio di correlare gli oneri di
urbanizzazione al carico urbanistico, la
ristrutturazione edilizia comporta tale
dovere allorché sussista tale carico, che va
riscontrato anche in caso di divisione e
frazionamento di immobile che da uno si
trasforma in due unità, con distinti
ingressi e servizi (così Consiglio di Stato,
IV, 29.04.2004, n. 2611; per esempio, nel
senso che in caso di mutamento di
destinazione d'uso siano dovuti gli oneri
concessori, Consiglio Stato, sez. IV, 28.07.2005, n. 4014).
Anche in tale ipotesi, consistente nella
divisione e frazionamento di una unità
immobiliare in due o più unità, stante
l’autonoma utilizzabilità delle stesse, si
realizza un aumento dell’impatto sul
territorio e sono dovuti i relativi oneri.
D’altronde, che i lavori realizzati abbiano
prodotto due distinte e, come tali,
fruibili, unità immobiliari costituisce
ammissione della stessa parte appellante.
Ai fini dell'insorgenza dell'obbligo di
corresponsione degli oneri concessori, è
rilevante il verificarsi di un maggior
carico urbanistico quale effetto
dell'intervento edilizio, sicché non è
neanche necessario che la ristrutturazione
interessi globalmente l'edificio -con
variazioni riguardanti nella loro interezza
le parti esterne ed interne del fabbricato-
ma è soltanto sufficiente che ne risulti
comunque mutata la realtà strutturale e la
fruibilità urbanistica, con oneri
conseguentemente riferiti all'oggettiva
rivalutazione dell'immobile e funzionali a
sopportare l'aggiuntivo carico «socio-economico»
che l'attività edilizia comporta, anche
quando l'incremento dell'impatto sul
territorio consegua solo a marginali lavori
dovuti ad una divisione o frazionamento
dell'immobile in due unità o fra due o più
proprietari
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 17.05.2012 n. 2838 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Le
controversie in tema di oneri di urbanizzazione e di costo
di costruzione introducono un giudizio su un rapporto
prescindendo dalla impugnazione di atti. Ed infatti tutte le
controversie, concernenti l’an e il quantum delle somme
dovute a titolo di contributo in dipendenza di norme di
legge e regolamentari, attengono a diritti soggettivi
azionabili nei termini di prescrizione; pertanto alcuna
acquiescenza può opporsi in materia di diritti soggettivi
patrimoniali, il cui versamento, ove non dovuto, è
suscettibile in ogni caso di legittimare un’azione di
ripetizione dell’indebito oggettivo ai sensi dell’art. 2041
cod. civ..
L’amministrazione, nella determinazione delle somme dovute a
titolo di contributo non esercita poteri autoritativi
discrezionali ma compie attività di mero accertamento della
fattispecie in base ai parametri fissati da leggi e da
regolamenti. Le relative controversie, dunque, rientrano
nella categoria di quelle aventi ad oggetto atti paritetici,
inerenti diritti soggettivi e non sono sottoposte ai termini
decadenziali propri dei giudizi impugnatori.
Inoltre, le controversie concernenti la determinazione,
liquidazione e corresponsione degli oneri concessori già
devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo ai sensi dell'art. 16 l. 28.01.1977 n. 10,
abrogato a seguito dell’entrata in vigore del D.Lgs.
104/2010, rientrano oggi nella previsione dell’art. 133,
lett. f), del codice del processo amministrativo secondo cui
sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo, tra l'altro: "le controversie aventi ad
oggetto gli atti e i provvedimenti delle pubbliche
amministrazioni in materia urbanistica e edilizia,
concernente tutti gli aspetti dell'uso del territorio".
---------------
La partecipazione del privato al costo delle opere di
urbanizzazione è dovuta allorquando l’intervento determini
un incremento del peso insediativo con un’oggettiva
rivalutazione dell’immobile, sicché l’onerosità del permesso
di costruire è funzionale a sopportare il carico socio
economico che la realizzazione comporta sotto il profilo
urbanistico.
Tale principio opera ed è valevole anche per gli interventi
di ristrutturazione che comportino un aumento del carico
urbanistico di zona, sicché la giurisprudenza ha ravvisato
l’onerosità del titolo in caso di interventi comportanti un
incremento di unità abitative, oppure un incremento della
superficie utile pur in assenza di aumento della cubatura,
nonché per il caso di alterazione dei parametri edilizi e
per quelle ristrutturazioni che mutino la realtà strutturale
e la fruibilità urbanistica dell’organismo edilizio oggetto
di trasformazione.
---------------
L’esenzione dal contributo di costruzione di cui all’art.
17, comma 3, lett. b, del d.p.r. n. 380/2001 per il caso di
interventi di ristrutturazione di edifici unifamiliari entro
il limite di ampliamento del 20%, costituisce oggetto di una
previsione di carattere eccezionale, la cui ratio è di
natura sociale ed è diretta sostanzialmente ad apprestare
uno strumento di tutela e di salvaguardia della piccola
proprietà immobiliare per gli interventi funzionali
all’adeguamento dell’immobile alle necessità abitative del
nucleo familiare. In tal caso rileva innanzitutto la
destinazione unifamiliare del fabbricato nonché la natura
dell’intervento edilizio quale di “ristrutturazione e di
ampliamento non superiore al 20%” quale limite entro il
quale è ammessa l’operatività dell’esonero in parola.
La disposizione intende evidentemente incentivare le opere
atte ad adeguare le case unifamiliari alle necessità
abitative del nucleo familiare, circoscrivendone
l’operatività agli interventi che non mutino l’entità
strutturale e la dimensione spaziale dell’immobile e non ne
trasformino il valore economico.
Trattandosi di una norma di natura eccezionale,
l’applicazione della fattispecie va circoscritta in un
ambito di stretta interpretazione ancorato ai parametri
predefiniti dal legislatore per cui deve escludersi che la
disposizione in esame possa trovare applicazione in ogni
ipotesi di ristrutturazione con demolizione e ricostruzione
a parità di volume, entro il limite di ampliamento fissato
dal legislatore.
---------------
La Corte Costituzionale ha osservato che, ai fini del
riconoscimento dell’esonero dal versamento del contributo di
costruzione, il concetto di ristrutturazione mal si presta a
comprendere la fattispecie della demolizione accompagnata
dalla ricostruzione dell'edificio sullo stesso suolo
“essendo caratterizzata da elementi (territoriali e
costruttivi) e da risultato che le conferiscono fisionomia
autonoma e differenziata” ed ha ritenuto quindi pienamente
giustificata la previsione dell'esonero limitatamente alle
ipotesi di ristrutturazioni ed ampliamenti e non anche alle
ipotesi di integrale ricostruzione.
Tale accezione interpretativa è stata altresì ribadita più
di recente dalla giurisprudenza amministrativa che ha
chiarito che la gratuità va limitata agli interventi edilizi
su edifici aventi destinazione residenziale e non anche su
quelli con destinazione agricola, sicché deve escludersi che
la esenzione in argomento possa trovare spazio nella
fattispecie in esame relativa ad un intervento di
demolizione e di utilizzazione ad uso abitativo per un’unica
unità immobiliare della rispettiva volumetria di due
preesistenti fabbricati rurali.
Per consolidata giurisprudenza le controversie in tema di
oneri di urbanizzazione e di costo di costruzione
introducono un giudizio su un rapporto prescindendo dalla
impugnazione di atti. Ed infatti tutte le controversie,
concernenti l’an e il quantum delle somme dovute a titolo di
contributo in dipendenza di norme di legge e regolamentari,
attengono a diritti soggettivi azionabili nei termini di
prescrizione; pertanto alcuna acquiescenza può opporsi in
materia di diritti soggettivi patrimoniali, il cui
versamento, ove non dovuto, è suscettibile in ogni caso di
legittimare un’azione di ripetizione dell’indebito oggettivo
ai sensi dell’art. 2041 cod. civ..
L’amministrazione, nella
determinazione delle somme dovute a titolo di contributo non
esercita poteri autoritativi discrezionali ma compie
attività di mero accertamento della fattispecie in base ai
parametri fissati da leggi e da regolamenti. Le relative
controversie, dunque, rientrano nella categoria di quelle
aventi ad oggetto atti paritetici, inerenti diritti
soggettivi e non sono sottoposte ai termini decadenziali
propri dei giudizi impugnatori (Cons. St. Sez. , sez. V, 17.10.2002, n. 5678).
Inoltre, le controversie
concernenti la determinazione, liquidazione e corresponsione
degli oneri concessori già devolute alla giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo ai sensi dell'art. 16
l. 28.01.1977 n. 10, abrogato a seguito dell’entrata in
vigore del D.Lgs. 104/2010, rientrano oggi nella previsione
dell’art. 133, lett. f), del codice del processo
amministrativo secondo cui sono devolute alla giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo, tra l'altro: "le
controversie aventi ad oggetto gli atti e i provvedimenti
delle pubbliche amministrazioni in materia urbanistica e
edilizia, concernente tutti gli aspetti dell'uso del
territorio" (Cons. St., Sez. V, 10.07.2003 n. 4102; Cons.
St., Sez. V, 19.07.2004 n. 5197).
Ciò premesso, nel presente giudizio si discute circa
l’applicabilità nella fattispecie del beneficio di cui
all’art. 17, comma 3, lett. b, del d.p.r. n. 380/2001 a tenore
del quale il contributo di costruzione non è dovuto per gli
interventi di ristrutturazione e di ampliamento, in misura
non superiore al 20%, di edifici unifamiliari.
Come noto, la partecipazione del privato al costo delle
opere di urbanizzazione è dovuta allorquando l’intervento
determini un incremento del peso insediativo con
un’oggettiva rivalutazione dell’immobile, sicché l’onerosità
del permesso di costruire è funzionale a sopportare il
carico socio economico che la realizzazione comporta sotto
il profilo urbanistico (cfr. C.d. S. sez. V, 03.03.2002 n.
1180; C.d.S. sez. V. 29.04.2004 n. 2611).
Tale principio opera ed è valevole anche per gli interventi
di ristrutturazione che comportino un aumento del carico
urbanistico di zona, sicché la giurisprudenza ha ravvisato
l’onerosità del titolo in caso di interventi comportanti un
incremento di unità abitative (cfr. Tar Lombardia, Milano
21.07.2009 n. 4455), oppure un incremento della superficie
utile pur in assenza di aumento della cubatura (cfr. C.d.S,
sez. V, 27.08.1999 n. 999), nonché per il caso di
alterazione dei parametri edilizi (cfr. Tar Piemonte, sez.
I, 04.12.1997 n. 821) e per quelle ristrutturazioni che
mutino la realtà strutturale e la fruibilità urbanistica
dell’organismo edilizio oggetto di trasformazione (cfr.
Tar Emilia, Parma 19.02.2008 n. 100).
Tanto premesso occorre considerare che l’esenzione dal
contributo di costruzione di cui all’art. 17, comma 3, lett. b,
del d.p.r. n. 380/2001 per il caso di interventi di
ristrutturazione di edifici unifamiliari entro il limite di
ampliamento del 20%, costituisce oggetto di una previsione
di carattere eccezionale, la cui ratio è di natura sociale
ed è diretta sostanzialmente ad apprestare uno strumento di
tutela e di salvaguardia della piccola proprietà immobiliare
per gli interventi funzionali all’adeguamento dell’immobile
alle necessità abitative del nucleo familiare. In tal caso
rileva innanzitutto la destinazione unifamiliare del
fabbricato nonché la natura dell’intervento edilizio quale
di “ristrutturazione e di ampliamento non superiore al 20%”
quale limite entro il quale è ammessa l’operatività
dell’esonero in parola.
La disposizione intende evidentemente incentivare le opere
atte ad adeguare le case unifamiliari alle necessità
abitative del nucleo familiare, circoscrivendone
l’operatività agli interventi che non mutino l’entità
strutturale e la dimensione spaziale dell’immobile e non ne
trasformino il valore economico.
Trattandosi di una norma di natura eccezionale,
l’applicazione della fattispecie va circoscritta in un
ambito di stretta interpretazione ancorato ai parametri
predefiniti dal legislatore per cui deve escludersi che la
disposizione in esame possa trovare applicazione in ogni
ipotesi di ristrutturazione con demolizione e ricostruzione
a parità di volume, entro il limite di ampliamento fissato
dal legislatore.
Nel caso in esame il permesso di costruire n. 328/2006
che si intende assoggettare a gratuità ai sensi dell’art. 17,
comma 3, lett. b cit., è stato rilasciato al ricorrente M.G. dal Comune di Castelvolturno per un
intervento di ristrutturazione edilizia consistente nella
demolizione di due preesistenti fabbricati rurali e nella
realizzazione di un unico immobile con destinazione
abitativa.
Il Comune, nella memoria del 15.03.2012, ha escluso che un
siffatto intervento possa rientrare nella ipotesi di
gratuità invocata dal ricorrente e riferibile alle sole
ristrutturazioni edilizie c.d. “leggere” ossia miranti a
conservare il patrimonio edilizio esistente.
Il Comune ha infatti precisato che, come evincesi dai
grafici e dalle riproduzioni fotografiche allegate in atti
quali gli elaborati prodotti a sostegno della richiesta di
rilascio del permesso di costruire, l’intervento è
consistito in una ristrutturazione edilizia c.d. “pesante”
per aver comportato la realizzazione di un organismo in
tutto diverso dal precedente con conseguente incremento del
carico urbanistico di zona rapportato alla sostituzione di
fabbricati rurali diruti ed inutilizzati con un'unica unità
immobiliare tipo “villetta” composta da piano terra e primo
piano.
Ciò premesso rileva il Collegio che la disciplina
invocata a sostegno del ricorso non è applicabile agli
interventi di demolizione e ricostruzione di un fabbricato
preesistente. In tal senso si è espressa chiaramente la
Corte Costituzionale nella sentenza 26.06.1991 n. 296
pronunciata rispetto alla analoga previgente previsione di
cui all'art. 9, lett. d), della legge 28.01.1977 n. 10 -di
cui l’art. 17 d.p.r., comma 3, lett. b), costituisce analoga
riproduzione- che esonerava dal contributo "gli interventi
di restauro, di risanamento conservativo, di
ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore
al venti per cento, di edifici unifamiliari".
Ivi la Corte Costituzionale con una sentenza interpretativa di rigetto ha
escluso l’illegittimità della norma, prospettata dal Tar
Friuli Venezia Giulia rispetto all’art. 9 cit., nella parte
in cui non comprendeva nella previsione di esenzione dal
contributo per il rilascio della concessione, accanto
all'ipotesi di ristrutturazione ed ampliamento nei limiti
del venti per cento, anche quella della “integrale
ricostruzione del fabbricato demolito”.
La Corte ha al
riguardo osservato che, ai fini del riconoscimento
dell’esonero in questione, il concetto di ristrutturazione
mal si presta a comprendere la fattispecie della demolizione
accompagnata dalla ricostruzione dell'edificio sullo stesso
suolo “essendo caratterizzata da elementi (territoriali e
costruttivi) e da risultato che le conferiscono fisionomia
autonoma e differenziata” ed ha ritenuto quindi pienamente
giustificata la previsione dell'esonero limitatamente alle
ipotesi di ristrutturazioni ed ampliamenti e non anche alle
ipotesi di integrale ricostruzione.
Tale accezione
interpretativa è stata altresì ribadita più di recente dalla
giurisprudenza amministrativa che ha chiarito che la
gratuità va limitata agli interventi edilizi su edifici
aventi destinazione residenziale e non anche su quelli con
destinazione agricola (cfr C.d.S. 6290/2004), sicché deve
escludersi che la esenzione in argomento possa trovare
spazio nella fattispecie in esame relativa ad un intervento
di demolizione e di utilizzazione ad uso abitativo per
un’unica unità immobiliare della rispettiva volumetria di
due preesistenti fabbricati rurali
(TAR Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 08.05.2012 n. 2136 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il
termine di prescrizione (decennale) per la
riscossione del contributo di concessione
dovuto decorre dall'emanazione della
concessione edilizia.
Tali arresti giurisprudenziali
costituiscono, peraltro, puntuale
applicazione del principio di cui all’art.
2935 c.c., secondo cui la prescrizione
decorre dal giorno in cui il diritto può
essere fatto valere. L'obbligazione di
pagamento degli oneri concessori sorge,
infatti, con il rilascio della concessione
edilizia e la giurisprudenza è concorde nel
ritenere che la determinazione del
contributo dovuto per gli oneri in questione
debba essere riferita al momento in cui
sorge l'obbligazione.
Il collegio ritiene che il ricorso sia
fondato per l’assorbente censura relativa
all’insussistenza, conseguente al decorso
del termine decennale di prescrizione, del
potere esercitato dal comune nel disporre la
rideterminazione del contributo e nel
richiedere il conguaglio.
Per giurisprudenza costante, infatti, il
termine di prescrizione (decennale) per la
riscossione del contributo di concessione
dovuto decorre dall'emanazione della
concessione edilizia (Cons. Stato, sez. IV,
16.01.2009, n. 216; 06.06.2008, n. 2686;
sez. V, 13.06.2003, n. 3332).
Tali arresti giurisprudenziali
costituiscono, peraltro, puntuale
applicazione del principio di cui all’art.
2935 c.c., secondo cui la prescrizione
decorre dal giorno in cui il diritto può
essere fatto valere. L'obbligazione di
pagamento degli oneri concessori sorge,
infatti, con il rilascio della concessione
edilizia e la giurisprudenza è concorde nel
ritenere che la determinazione del
contributo dovuto per gli oneri in questione
debba essere riferita al momento in cui
sorge l'obbligazione.
Essendo, dunque, trascorsi oltre tredici
anni dal rilascio della concessione edilizia
(avvenuto il 07.08.1986) ed oltre dodici
anni dalla notificazione della stessa
(dell’11.05.1987), alla data dell’emanazione
del provvedimento impugnato (26.10.1999) il
credito doveva in ogni caso ritenersi
estinto per prescrizione, ai sensi del
combinato disposto degli artt. 2934, 2935 e
2946 c.c., non essendo intervenuto alcun
atto interruttivo della prescrizione
decennale e non potendo, quindi, il comune
intimato richiederne il pagamento
(TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 07.05.2012 n. 1274 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
determinazione degli oneri di urbanizzazione
si correla a una precisa disciplina
normativa, di modo che i provvedimenti
applicativi di essa non richiedono di per sé
alcuna puntuale motivazione allorché le
scelte dell’Amministrazione si conformino a
detti criteri.
Per ciascun titolo concessorio gli oneri
dovuti sono calcolati applicando la
normativa e i parametri vigenti al momento
in cui esso è rilasciato, esclusa quindi
ogni ultrattività della disciplina in vigore
all’epoca del rilascio del titolo
originario.
La tesi del Comune, che ha operato un
ricalcolo degli oneri già corrisposti per la
prima concessione applicando anche ad essi
la nuova disciplina (fermo restando, come è
ovvio, lo scomputo delle somme già
corrisposte), trova un aggancio nella
pregressa giurisprudenza in materia, secondo
cui un tale ricalcolo è legittimo nella sola
ipotesi in cui le opere assentite col
secondo permesso comportino un mutamento di
destinazione d’uso ovvero una variazione
essenziale del manufatto con passaggio da
una categoria urbanistica ad altra
funzionalmente autonoma, in tale caso
giustificandosi col maggior carico
urbanistico conseguente il ricalcolo degli
oneri dovuto.
Innanzi tutto, è opportuno sottolineare come
la questione dell’adeguatezza o meno della
motivazione con cui il Comune ha esplicitato
i criteri di calcolo applicati è destinata a
restare recessiva rispetto a quella della
correttezza o meno di tali criteri: al
riguardo, infatti, va richiamato il
consolidato indirizzo giurisprudenziale
secondo cui la determinazione degli oneri di
urbanizzazione si correla a una precisa
disciplina normativa, di modo che i
provvedimenti applicativi di essa non
richiedono di per sé alcuna puntuale
motivazione allorché le scelte
dell’Amministrazione si conformino a detti
criteri (cfr. Cons. Stato, sez. V, 09.02.2001, nr. 584).
Nel caso che qui occupa, non è dubbio che il
Comune odierno appellante abbia fin dal
primo grado depositato documentazione
illustrativa dei criteri applicati per la
commisurazione degli oneri richiesti per la
concessione edilizia rilasciata nel 2003; di
modo che, a prescindere da ogni
approfondimento circa la conoscenza o
conoscibilità di tali criteri da parte della
società destinataria, l’eventuale
correttezza degli stessi rileverebbe nel
senso dell’irrilevanza del vizio ex art. 21-octies della legge
07.08.1990, nr. 241,
in considerazione della natura vincolata
dell’atto.
Di conseguenza, la questione centrale del
presente giudizio attiene alle modalità con
cui deve avvenire il calcolo degli oneri di
urbanizzazione in sede di rilascio di un
nuovo permesso di costruire dopo che quello
originario è decaduto ai sensi dell’art. 15,
comma 3, del d.P.R. 06.06.2001, nr. 380
(e, prima, dell’art. 4 della legge 28.01.1977, nr. 10).
Più specificamente, l’ipotesi che qui
interessa è quella in cui una parte del
manufatto assentito col primo titolo
concessorio sia stato effettivamente
realizzato, e gli oneri relativi siano stati
integralmente pagati, di modo che il nuovo
provvedimento abilitativo ha a oggetto solo
il completamento dell’opera.
In un caso del genere, sembra pacifico (e
sul punto le parti convengono) che non possa
addivenirsi ad alcuna duplicazione, non
essendo possibile accollare all’istante per
due volte gli oneri relativi alle medesime
opere.
Al di là di ciò, alla Sezione non paiono
altrettanto scontati gli ulteriori due
assunti su cui si regge la prospettazione
del ricorso introduttivo (condivisa dal
primo giudice): e cioè che, in occasione del
rilascio del secondo permesso, non sia
possibile calcolare gli oneri dovuti in base
alla disciplina eventualmente innovativa che
sia sopravvenuta dopo il rilascio del primo
titolo ad aedificandum, e che in ogni caso
detti oneri debbano sempre essere limitati a
quelli inerenti la parte di opere non
realizzata nei termini e oggetto del secondo
permesso, escluso ogni “ricalcolo” degli
oneri già corrisposti.
Quanto al primo profilo, il Collegio reputa
del tutto ragionevole –anche in
applicazione del principio tempus regit
actum– che per ciascun titolo concessorio
gli oneri dovuti siano calcolati applicando
la normativa e i parametri vigenti al
momento in cui esso è rilasciato, esclusa
quindi ogni ultrattività della disciplina in
vigore all’epoca del rilascio del titolo
originario (poi decaduto).
Per quanto concerne il secondo aspetto, una
rigorosa accettazione della tesi
dell’odierna appellata porterebbe, nella
specie, a un sostanziale azzeramento degli
oneri dovuti, dal momento che –come già
accennato– la nuova concessione edilizia
rilasciata nel 2003 concerne unicamente
opere interne e di finitura, essendo stato
già illo tempore l’immobile interamente
realizzato nella sua struttura.
La tesi del Comune, che invece ha operato un
ricalcolo degli oneri già corrisposti per la
prima concessione applicando anche ad essi
la nuova disciplina (fermo restando, come è
ovvio, lo scomputo delle somme già
corrisposte), trova un aggancio nella
pregressa giurisprudenza in materia, secondo
cui un tale ricalcolo è legittimo nella sola
ipotesi in cui le opere assentite col
secondo permesso comportino un mutamento di
destinazione d’uso ovvero una variazione
essenziale del manufatto con passaggio da
una categoria urbanistica ad altra
funzionalmente autonoma, in tale caso
giustificandosi col maggior carico
urbanistico conseguente il ricalcolo degli
oneri dovuto (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 29.04.2004, nr. 2611; Cons. Stato, sez. V,
25.05.2004, nr. 6289; id., 23.01.2004, nr. 174; id., 29.01.2004, nr.
295; id., 24.09.2001, nr. 1427).
Orbene, non risulta specificamente
contestato dalla parte privata l’assunto
dell’Amministrazione appellante secondo cui
la nuova richiesta di permesso di costruire
comportava, oltre che la realizzazione di
opere interne, anche un rilevante mutamento
di destinazione d’uso dell’immobile rispetto
al progetto originario (tale essendo, nella
prospettazione del Comune, la ragione del
ricalcolo degli oneri dovuti); e, anzi, la
circostanza trova conferma nella stessa
documentazione depositata in primo grado,
dalla quale è dato evincere che
effettivamente la diversa distribuzione
degli spazi interni comportava anche una
diversa ripartizione tra i locali a
destinazione residenziale e quelli a
destinazione direzionale, con conseguente
variazione del carico urbanistico rispetto a
quello originario.
Dal che consegue l’infondatezza delle
censure articolate nel ricorso introduttivo,
con riguardo sia all’indebita duplicazione
degli oneri percepiti sia all’assenza di
ogni giustificazione a sostegno del
ricalcolo delle somme già corrisposte (fermo
restando che esula dalla presente sede la
verifica della correttezza del calcolo in
concreto compiuto dall’Amministrazione, non
risultando formulata alcuna specifica
censura sul punto)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza
27.04.2012 n. 2471 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Sulla
prescrizione -o meno- di ogni diritto
dell’amministrazione a richiedere somme
integrative a distanza di oltre vent’anni
dall’inoltro della domanda di sanatoria e
dal pagamento dell’oblazione autoliquidata.
Il Collegio ritiene fondato il ricorso in base all’assorbente
censura con la quale si deduce l’intervenuta
prescrizione di ogni diritto
dell’amministrazione a richiedere somme
integrative a distanza di oltre vent’anni
dall’inoltro della domanda di sanatoria e
dal pagamento dell’oblazione autoliquidata.
In proposito, vanno in questa sede
richiamate sinteticamente le disposizioni di
legge che disciplinano la prescrizione delle
pretese creditorie dei Comuni in tema di
sanatoria edilizia: da un lato, è stato
stabilito dall’art. 35, co. 12, della L.
47/1985 in trentasei mesi il termine di
prescrizione “breve” per richiedere
integrazioni o conguagli dell’oblazione;
mentre, dall’altra parte, soggiace
all’ordinario termine di prescrizione
decennale il diritto dell’ente pubblico a
richiedere eventuali maggiorazioni degli
oneri concessori. Si richiama, sul punto, la
seguente giurisprudenza, anche di questa
Sezione: Tar Catania, I, 1633/2007,
1987/2007, 4363/2010 e 557/2011; Tar Trentino
Alto Adige 234/2010; Tar Latina 1043/2009 e
1249/2008.
Il Collegio non ignora la più recente
giurisprudenza del giudice d’appello
(sentenza C.G.A. n. 320/2011) in base alla
quale il termine di prescrizione breve
(trentasei mesi) del diritto al conguaglio
previsto dall’art. 35, co. 12, per la
sanatoria disciplinata dalla L. 47/1985, non
inizia a decorrere prima che la
documentazione da allegare alla domanda sia
completa.
Tuttavia, non può esser sottaciuto il fatto
che nel caso di specie –a fronte di una
domanda di sanatoria presentata dalla
ricorrente nell’anno 1986– il Comune si sia
attivato per esaminare l’istanza e
richiedere integrazione dei documenti solo
in data 16.12.2009, cioè a distanza di oltre
ventitre anni. Ciò consente di affermare
che, da una parte, ogni diritto ai conguagli
richiesti sia definitivamente estinto per
l’avvenuta decorrenza del termine ordinario
di prescrizione decennale; né dall’altra
parte potrebbe predicarsi una diversa
soluzione, perché sarebbe contrario ad ogni
principio buon andamento, efficienza e
trasparenza dell’azione amministrativa
consentire in ogni tempo –anche a distanza
di molti anni- all’ente pubblico di
formulare una tardiva richiesta di
integrazione documentale, all’evidente fine
di scongiurare il decorso di una
prescrizione di fatto già ampiamente
maturata. Si ritiene, in altri termini, che
la richiesta proveniente dal Comune, avente
ad oggetto l’integrazione della
documentazione necessaria al rilascio della
sanatoria edilizia, utile al fine di
impedire il perfezionarsi della prescrizione
breve del diritto al conguaglio
dell’oblazione, non possa intervenire a
distanza di oltre vent’anni, quando già ogni
pretesa risulta comunque “coperta” dal
decorso della prescrizione ordinaria
decennale.
In conclusione, allora, possono dirsi
pacificamente decorsi sia il termine breve
di trentasei mesi che condiziona il
conguaglio dell’oblazione, sia quello
ordinario decennale che determina
l’impossibilità giuridica di ridefinire gli
oneri concessori. Le pretese del Comune
resistente vanno in conclusione dichiarate
prescritte, non rinvenendosi peraltro negli
scritti difensivi alcuna confutazione in
ordine all’eccepita prescrizione
(TAR Sicilia-Catania, Sez. I,
sentenza 24.04.2012 n. 1118 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La difformità tra gli interventi
oggetto di concessione edilizia e quelli
effettivamente realizzati legittima la
richiesta di pagamento dei maggiori oneri
concessori.
E' legittimo il provvedimento con cui
un Comune, a distanza di cinque anni dal
rilascio di una concessione edilizia, chiede
il pagamento di maggiori oneri concessori in
ragione di riscontrate difformità tra
l'oggetto della concessione e quanto
effettivamente realizzato.
La ricorrente, ditta operante nel settore
delle costruzioni e titolare di una
concessione edilizia, ha impugnato il
provvedimento con cui la società
concessionaria del Comune incaricata per la
riscossione ha ingiunto alla medesima il
pagamento di maggiori oneri concessori.
Ha esposto che, a fondamento del contestato
provvedimento, vi erano gli esiti della
verifica svolta sulla correttezza degli
oneri concessori determinati a suo tempo
dalla civica P.A. e versati dalla deducente
in sede di rilascio di concessione edilizia
e successiva variante.
In considerazione di tanto, ha eccepito,
oltre al resto, la violazione dei principi
in materia di autotutela amministrativa, sia
in relazione al periodo di tempo ragionevole
entro il quale la P.A. avrebbe potuto
esercitare il potere, sia con riguardo alla
omessa comparazione dei contrapposti
interessi.
Il ricorso è stato rigettato.
Il G.A. di Ancona, in primis, ha
rilevato come nella vicenda non fosse
configurabile l’esercizio del potere di
autotutela da parte del Comune, trattandosi
di controversia afferente diritti
soggettivi.
Pertanto, ferma restando la facoltà per il
destinatario dell’atto con cui gli viene
chiesto il pagamento degli oneri concessori
di agire eventualmente nei riguardi del
creditore per violazione del principio di
buona fede, il giudicante ha evidenziato
come, in linea di principio, il pagamento
degli stessi oneri potesse essere chiesto
dalla P.A. nel termine di prescrizione
decennale.
Al contempo, l’adito TAR ha rilevato la
legittimità dell’operato della società
concessionaria che, in luogo di un eventuale
riesame della decisione assunta a suo tempo
dal Comune, aveva chiesto il pagamento di
maggiori oneri concessori in virtù di una
nuova verifica dei dati progettuali.
Di conseguenza, il Collegio, con riferimento
al merito della vicenda, ha chiarito come la
richiesta di pagamento di maggiori oneri
concessori fosse derivata dalla circostanza
per cui alcune porzioni degli immobili
realizzati erano state erroneamente
considerate come superfici non residenziali
e, dunque, non computate secondo le
percentuali previste dalla normativa di
riferimento.
Invero, ha precisato che il contributo
introdotto dalla L. n. 10/1977 -poi
confermato dall’attuale T.U. n. 380/2001- ha
due componenti, gli oneri di urbanizzazione,
il cui calcolo deve aver riguardo al volume
dell’edificio realizzato e il costo di
costruzione da determinarsi in base alla
superficie.
Conseguentemente, avuto riguardo al vano
tecnico dell’ascensore di uno dei fabbricati
realizzati, lo stesso doveva essere
computato, atteso che, ai sensi dell’art.
11, Regolamento Regione Marche n. 6/1977,
solo i vani tecnici che fuoriescono dalla
linea di gronda dell’edificio non possono
essere considerati ai fini della
determinazione del volume complessivo: nella
specie, si trattava di locale situato al
piano interrato e che dunque non fuoriusciva
dalla linea di gronda.
Inoltre, ha osservato come negli elaborati
grafici versati agli atti, quello che la
ricorrente aveva qualificato come “sottotetto
non abitabile” (e dunque volume
tecnico), fosse in realtà parte integrante
del primo piano dell’edificio; pertanto,
l’altezza del primo piano era stata
correttamente calcolata dalla società di
riscossione.
Per quanto riguarda la riduzione delle unità
immobiliari complessive, il G.A. marchigiano
ha chiarito che se ciò non aveva implicato
aumento di superficie o di volume, aveva
invece inciso sulla classe di maggiorazione
da applicare, essendo stato realizzato un
appartamento avente superficie superiore a
110 mq.
Infine, anche per quanto attiene alle
taverne, i calcoli eseguiti dalla società di
riscossione sono stati ritenuti corretti
stante l’evidente differenza fra cantina e
taverna.
Difatti, nella variante all’originaria
concessione, poiché i locali interessati
risultavano indicati espressamente come
taverne (munite per lo più di servizi
igienici), gli stessi sono stati ritenuti a
servizio della residenza e dovevano essere
computati al 50% (art. 11, Regolamento
regionale n. 6/1977).
Alla stregua di tanto, il TAR di Ancona,
reputando corretti i calcoli effettuati
dalla società concessionaria, ha respinto il
gravame, per l’effetto confermando il
provvedimento di accertamento e richiesta in
pagamento dei maggiori oneri concessori
(commento tratto da www.ipsoa.it - TAR
Marche,
sentenza
20.04.2012 n. 289 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Alle nuove edificazioni e agli
altri interventi comunque soggetti a titolo
abilitativo corrisponde il pagamento di un
contributo commisurato all'incidenza degli
oneri di urbanizzazione, che presenta
carattere generale e prescinde
dall’esistenza o meno delle singole opere di
urbanizzazione.
Esso, in sostanza, assume la natura di
prestazione patrimoniale imposta e viene
determinato senza tener conto né
dell’utilità specifica che riceve il
beneficiario del titolo edilizio e, neppure,
delle spese effettivamente necessarie per
l’esecuzione delle opere di urbanizzazione
relative al titolo assentito.
La concreta determinazione degli oneri
dovuti per il conseguimento del titolo
edilizio costituisce, dunque, il risultato
di un calcolo materiale, la cui misura è
direttamente collegata all’applicazione dei
parametri prestabiliti, per cui deve
escludersi, stante la natura vincolata
dell’attività espletata, che l’atto di
specificazione del quantum debeatur debba
essere motivato.
Come più volte affermato dalla
giurisprudenza (cfr. ex multis,
Consiglio di Stato, sez. VI - 25/08/2009 n.
5059; C.G.A., Sez. Giur. - 19.12.2008, n.
1131; Cons. Stato, Sez. V - 21.04.2006 n.
2258; nonché Cons. Stato, Sez. V,
06.05.1997, n. 462), sia nella precedente
che nell'attuale normativa (articoli 3, 5, 6
della L.n. 10/1977, 16 del d.P.R. n.
380/2001) alle nuove edificazioni e agli
altri interventi comunque soggetti a titolo
abilitativo, corrisponde il pagamento di un
contributo commisurato all'incidenza degli
oneri di urbanizzazione, che presenta
carattere generale e prescinde
dall’esistenza o meno delle singole opere di
urbanizzazione.
Esso, in sostanza, assume la natura di
prestazione patrimoniale imposta e viene
determinato senza tener conto né
dell’utilità specifica che riceve il
beneficiario del titolo edilizio e, neppure,
delle spese effettivamente necessarie per
l’esecuzione delle opere di urbanizzazione
relative al titolo assentito (cfr. da ultimo
TAR Lombardia, Brescia, sez. II, 02.03.2012,
n. 355; TAR Puglia, Bari, sez. III,
10.02.2011, n. 243; TAR Abruzzo, Pescara,
18.10.2010, n. 1142; TAR Lazio, Roma, sez.
II, 14.11.2007, n. 11213).
La concreta determinazione degli oneri
dovuti per il conseguimento del titolo
edilizio costituisce, dunque, il risultato
di un calcolo materiale, la cui misura è
direttamente collegata all’applicazione dei
parametri prestabiliti, per cui deve
escludersi, stante la natura vincolata
dell’attività espletata, che l’atto di
specificazione del quantum
debeatur debba essere motivato
(TAR Lombardia-Milano, Sez, II,
sentenza 13.04.2012 n. 1101 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L’obbligo
gravante sui Comuni di procedere alla
revisione periodica dei contributi
urbanistici va coniugato col rispetto del
divieto di applicazione retroattiva nei
confronti delle concessioni edilizie già in
precedenza rilasciate.
Ma il principio di
irretroattività riguarda le concessioni già
rilasciate, per le quali il regime degli
oneri economici è già definito in base alla
regolamentazione vigente al momento della
loro emissione, e fa sì che non si possano
applicare retroattivamente criteri di
determinazione dei contributi introdotti in
epoca successiva al rilascio del titolo.
Va premesso che l’istituto dell’adeguamento periodico dei contributi
urbanistici (per opere di urbanizzazione e
per costo di costruzione) della cui
applicazione si discute oggi ha subìto
diversi rimaneggiamenti nel corso degli anni
ad opera del legislatore regionale (l’art.
34 della L.R. 37/1985 è stato infatti
modificato prima dall’art. 14 della L.R.
19/1994, poi dall’art. 24 della L.R.
25/1997, ed infine dall’art. 17, co. 12,
della L.R. 4/2003); il testo attualmente
vigente così recita: “L'adeguamento degli
oneri di urbanizzazione di cui all'articolo
5 della legge 28.01.1977, n. 10 e del
costo di costruzione di cui all'articolo 6
della medesima legge sostituito
dall'articolo 7 della legge 24.12.1993, n. 537, è determinato dai comuni entro
il 30 ottobre di ogni anno.
I comuni sono tenuti ad applicare gli oneri
di concessione aggiornati dal 1° gennaio
dell'anno successivo. Nelle more della
determinazione dell'adeguamento degli oneri
di cui al presente articolo, le concessioni
edilizie sono rilasciate con salvezza del
conguaglio degli oneri stessi”.
In relazione a tale norma, la giurisprudenza
ha costantemente affermato che l’obbligo
gravante sui Comuni di procedere alla
revisione periodica dei contributi
urbanistici va coniugato col rispetto del
divieto di applicazione retroattiva nei
confronti delle concessioni edilizie già in
precedenza rilasciate (in tal senso, CGA
parere a sezioni riunite 392/1995; CGA
sentenza 67/2007; CGA sentenza 364/2007; Tar
Palermo 559/2008; Tar Catania 305/1993 e
787/1996).
Ma, come attentamente evidenzia la difesa
del Comune resistente, il principio di
irretroattività riguarda le concessioni già
rilasciate, per le quali il regime degli
oneri economici è già definito in base alla
regolamentazione vigente al momento della
loro emissione, e fa sì che non si possano
applicare retroattivamente criteri di
determinazione dei contributi introdotti in
epoca successiva al rilascio del titolo.
Nella fattispecie in esame –è importante
sottolinearlo- la questione invece è
diversa, in quanto la concessione non era
stata ancora rilasciata quando è stata
approvata ed è entrata in vigore la
recentissima deliberazione consiliare
86/2010 che ha aggiornato l’entità dei
contributi.
La peculiare vicenda, allora, potrebbe
trovare soluzione con l’ausilio dei principi
interpretativi contenuti nella citata
sentenza del CGA n. 462/2008. Va premesso
che la sentenza in questione ha definito un
contenzioso sorto perché il Comune aveva, in
origine, determinato gli oneri dovuti dal
concessionario sulla base dei criteri
vigenti alla data di deposito della domanda
e di svolgimento dell’attività istruttoria,
ed aveva poi in un secondo momento richiesto
al concessionario una integrazione, facendo
applicazione delle tariffe aggiornate
vigenti nell’anno in cui la concessione era
stata effettivamente rilasciata.
In tale contesto il giudice d’appello ha
precisato che il principio tempus regit
actum applicato alle questioni del tipo oggi
in esame implica l’applicazione del regime
tariffario vigente al momento del rilascio
della concessione ed il conseguente divieto
di applicazione retroattiva di disposizioni
sopravvenute (anche se di poco) rispetto a
tale evento. Tale divieto discenderebbe dal
principio generale di irretroattività degli
atti amministrativi sancito nell’art. 15
delle “preleggi”, e sarebbe stato confermato
con specifico riguardo alla materia in esame
dall’art. 14 della L.R. 19/1994 che ha
modificato il testo dell’art. 34 della L.R.
37/1985.
Più in particolare, posto che la legge
regionale pospone l’efficacia delle delibere
di adeguamento degli oneri urbanistici al
primo gennaio dell’anno successivo a quello
di deliberazione, secondo la sentenza in
esame le tariffe aggiornate possono essere
applicate solo alle concessioni rilasciate a
far data dal primo gennaio, e non a quelle
rilasciate in precedenza.
Riguardo al momento di determinazione degli
oneri urbanistici, la decisione in esame
precisa che la individuazione del quantum
dovuto debba essere fatta
dall’amministrazione prima (ed in funzione)
del rilascio del titolo (cfr. art. 11 della
L. 10/1977).
Con riguardo poi alla possibilità per i
Comuni di rilasciare le concessioni con la
clausola di “riserva di conguaglio” prevista
dall’ultimo periodo della norma in esame
(nel testo risultante dalla L.R. 4/2003), la
sentenza ha ulteriormente precisato che si
tratta di un conguaglio da applicare nelle
sole ipotesi in cui la rideterminazione
degli oneri sia effettuata dal Consiglio
comunale al di là del termine del 30 ottobre
(o, in ipotesi, anche ad anno solare già
iniziato), trattandosi di termine non
perentorio ma ordinatorio. La funzione del
conguaglio sarebbe, quindi, solo quella di
rendere applicabili all’anno di competenza
le tariffe aggiornate; non già quella di
renderle applicabili in via retroattiva.
Schematizzando e riassumendo i principi
appena esposti, emerge il seguente sistema:
a) le tariffe aggiornate in un determinato
anno, riguardanti gli oneri urbanistici, non
possono essere applicate alle concessioni
precedentemente rilasciate;
b) le stesse deliberazioni consiliari di
aggiornamento hanno efficacia ex lege
dal primo gennaio dell’anno successivo a
quello di deliberazione, e si applicano
quindi alle concessioni rilasciate
successivamente alla suddetta data;
c) le deliberazioni di aggiornamento possono
essere eventualmente approvate anche dopo il
termine (che ha carattere ordinatorio) del
30 ottobre di ogni anno stabilito dalla
legge, ed anche il tal caso avranno
efficacia dal successivo primo gennaio;
d) nella ipotesi sub c, se la delibera
interviene dopo il 30 ottobre e ad anno
successivo già iniziato, il Comune rilascia
la concessione in base alle tariffe
previgenti, ma gode del diritto a richiedere
il conguaglio per applicare gli oneri
tardivamente aggiornati; in tal caso si
deroga (in via eccezionale) al principio di
irretroattività
(TAR Sicilia-Catania, Sez. I,
sentenza
12.04.2012 n.
989 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il fondamento del contributo di
urbanizzazione non consiste nel titolo
edilizio in sé, ma nella necessità di
redistribuire i costi sociali delle opere di
urbanizzazione, facendoli gravare su quanti
beneficiano delle utilità derivanti dalla
presenza delle medesime –secondo modalità
eque per la comunità–, con la conseguenza
che anche nel caso di modificazione della
destinazione d’uso cui si correli un
maggiore carico urbanistico è integrato il
presupposto che giustifica l’imposizione del
pagamento della differenza tra gli oneri di
urbanizzazione dovuti per la destinazione
originaria e quelli, se più elevati, dovuti
per la nuova destinazione impressa.
Il mutamento, pertanto, è rilevante
allorquando sussiste un passaggio tra due
categorie funzionalmente autonome dal punto
di vista urbanistico, qualificate sotto il
profilo della differenza del regime
contributivo in ragione di diversi carichi
urbanistici, sicché la circostanza che le
modifiche di destinazione d’uso non siano
eventualmente soggette al previo titolo
abilitativo non comporta ipso iure
l’esenzione dagli oneri di urbanizzazione e
quindi la gratuità dell’operazione.
Osserva preliminarmente il Collegio che, per
costante giurisprudenza (v. TAR Lombardia,
Milano, Sez. IV, 10.06.2010 n. 1787; TAR
Lombardia, Brescia, 07.11.2005 n. 1115), il
fondamento del contributo di urbanizzazione
non consiste nel titolo edilizio in sé, ma
nella necessità di redistribuire i costi
sociali delle opere di urbanizzazione,
facendoli gravare su quanti beneficiano
delle utilità derivanti dalla presenza delle
medesime –secondo modalità eque per la
comunità–, con la conseguenza che anche nel
caso di modificazione della destinazione
d’uso cui si correli un maggiore carico
urbanistico è integrato il presupposto che
giustifica l’imposizione del pagamento della
differenza tra gli oneri di urbanizzazione
dovuti per la destinazione originaria e
quelli, se più elevati, dovuti per la nuova
destinazione impressa; il mutamento,
pertanto, è rilevante allorquando sussiste
un passaggio tra due categorie
funzionalmente autonome dal punto di vista
urbanistico, qualificate sotto il profilo
della differenza del regime contributivo in
ragione di diversi carichi urbanistici,
sicché la circostanza che le modifiche di
destinazione d’uso non siano eventualmente
soggette al previo titolo abilitativo non
comporta ipso iure l’esenzione dagli oneri
di urbanizzazione e quindi la gratuità
dell’operazione.
Quanto, poi, alla possibilità che,
nell’esercizio della loro potestà di
pianificazione del territorio, le
Amministrazioni comunali individuino
categorie di destinazione d’uso ulteriori e
diverse rispetto a quelle previste dalla
legislazione statale e regionale, la
giurisprudenza si è espressa in modo
affermativo, sia con riferimento ai casi in
cui il legislatore regionale abbia lasciato
agli enti locali un rilevante ambito di
autodeterminazione in merito, sia con
riferimento all’attuale regime delle
autonomie locali in tema di attività di
pianificazione urbanistica, che ben può
implicare anche la suddivisione in più
sottocategorie o sottofunzioni, laddove ciò
sia giustificato da significative diversità
del carico urbanistico e implichi di
conseguenza differenti modulazioni di
calcolo del contributo concessorio (v. Cons.
Stato, Sez. IV, 13.07.2010 n. 4546) (TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. I,
sentenza 05.04.2012 n. 239 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
fondamento del contributo di urbanizzazione
non consiste nel titolo edilizio in sé, ma
nella necessità di redistribuire i costi sociali delle opere di
urbanizzazione, facendoli gravare su quanti
beneficiano delle utilità derivanti dalla
presenza delle medesime –secondo modalità
eque per la comunità–, con la conseguenza
che anche nel caso di modificazione della
destinazione d’uso cui si correli un
maggiore carico urbanistico è integrato il
presupposto che giustifica l’imposizione del
pagamento della differenza tra gli oneri di
urbanizzazione dovuti per la destinazione
originaria e quelli, se più elevati, dovuti
per la nuova destinazione impressa; il
mutamento, pertanto, è rilevante allorquando
sussiste un passaggio tra due categorie
funzionalmente autonome dal punto di vista
urbanistico, qualificate sotto il profilo
della differenza del regime contributivo in
ragione di diversi carichi urbanistici,
sicché la circostanza che le modifiche di
destinazione d’uso non siano eventualmente
soggette al previo titolo abilitativo non
comporta ipso iure l’esenzione dagli oneri
di urbanizzazione e quindi la gratuità
dell’operazione.
Quanto, poi, alla
possibilità che, nell’esercizio della loro
potestà di pianificazione del territorio, le
Amministrazioni comunali individuino
categorie di destinazione d’uso ulteriori e
diverse rispetto a quelle previste dalla
legislazione statale e regionale, la
giurisprudenza si è espressa in modo
affermativo, sia con riferimento ai casi in
cui il legislatore regionale abbia lasciato
agli enti locali un rilevante ambito di
autodeterminazione in merito, sia con
riferimento all’attuale regime delle
autonomie locali in tema di attività di
pianificazione urbanistica, che ben può
implicare anche la suddivisione in più
sottocategorie o sottofunzioni, laddove ciò
sia giustificato da significative diversità
del carico urbanistico e implichi di
conseguenza differenti modulazioni di
calcolo del contributo concessorio.
Per costante giurisprudenza (v. TAR
Lombardia, Milano, Sez. IV, 10.06.2010
n. 1787; TAR Lombardia, Brescia, 07.11.2005 n. 1115), il fondamento del contributo
di urbanizzazione non consiste nel titolo
edilizio in sé, ma nella necessità di redistribuire i costi sociali delle opere di
urbanizzazione, facendoli gravare su quanti
beneficiano delle utilità derivanti dalla
presenza delle medesime –secondo modalità
eque per la comunità–, con la conseguenza
che anche nel caso di modificazione della
destinazione d’uso cui si correli un
maggiore carico urbanistico è integrato il
presupposto che giustifica l’imposizione del
pagamento della differenza tra gli oneri di
urbanizzazione dovuti per la destinazione
originaria e quelli, se più elevati, dovuti
per la nuova destinazione impressa; il
mutamento, pertanto, è rilevante allorquando
sussiste un passaggio tra due categorie
funzionalmente autonome dal punto di vista
urbanistico, qualificate sotto il profilo
della differenza del regime contributivo in
ragione di diversi carichi urbanistici,
sicché la circostanza che le modifiche di
destinazione d’uso non siano eventualmente
soggette al previo titolo abilitativo non
comporta ipso iure l’esenzione dagli oneri
di urbanizzazione e quindi la gratuità
dell’operazione.
Quanto, poi, alla
possibilità che, nell’esercizio della loro
potestà di pianificazione del territorio, le
Amministrazioni comunali individuino
categorie di destinazione d’uso ulteriori e
diverse rispetto a quelle previste dalla
legislazione statale e regionale, la
giurisprudenza si è espressa in modo
affermativo, sia con riferimento ai casi in
cui il legislatore regionale abbia lasciato
agli enti locali un rilevante ambito di
autodeterminazione in merito, sia con
riferimento all’attuale regime delle
autonomie locali in tema di attività di
pianificazione urbanistica, che ben può
implicare anche la suddivisione in più
sottocategorie o sottofunzioni, laddove ciò
sia giustificato da significative diversità
del carico urbanistico e implichi di
conseguenza differenti modulazioni di
calcolo del contributo concessorio (v. Cons.
Stato, Sez. IV, 13.07.2010 n. 4546)
(TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. I,
sentenza 05.04.2012 n. 239 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
prescrizione decennale del diritto del
Comune ad ottenere il pagamento del
contributo concessorio inizia a decorrere
dalla data di presentazione della domanda di
condono.
Secondo consolidata giurisprudenza il
silenzio-accoglimento si perfeziona anche se
mancano i presupposti per l'accoglimento
della domanda e addirittura -come affermato
dalla IV sezione del Consiglio di Stato
20.05.1999, n. 858- per le "domande
dirette alla concessione di costruzione in
sanatoria relative a opere compiute oltre la
data dell'01.10.1983, essendo il compimento
delle opere abusive entro la predetta data
requisito necessario ai fini del rilascio di
provvedimento ai sensi e per gli effetti di
cui all'art. 35 della legge 28.02.1985 n.
47, ma non per il mero verificarsi della
fattispecie complessa di
silenzio-accoglimento" (cfr. Cons.
Stato, Sez. V, 14.04.1993, n. 496, id.
26.10.1994, n. 1385, id. 07.12.1995, n.
1672, id. 24.03.1997, n. 286), e che il
silenzio assenso così formatosi può essere
rimosso solo mediante l'esercizio del potere
di annullamento di ufficio da parte del
Comune (cfr. Cons. Stato, Sez. V,
24.03.1997, n. 286), misura di autotutela
che consente di contemperare il ripristino
della legalità con l'esigenza, pure
avvertita dal legislatore, di rendere
effettivamente praticabile l'istituto del
silenzio accoglimento (così Cons. St., V, n.
4114/2006).
Il Collegio osserva che, per quanto riguarda
l’asserito difetto di motivazione in cui
sarebbe incorso il Giudice di primo grado,
per non avere indicato le ragioni per le
quali è giunto alla determinazione di
ritenere che nella specie si fosse formato
il silenzio-assenso e fosse intervenuta la
prescrizione decennale del diritto del
Comune di pretendere il pagamento del
contributo concessorio, dalla documentazione
acquisita in giudizio si ricava che le
circostanze dedotte dal ricorrente a
sostegno dell’avvenuta formazione del
silenzio–assenso risultavano comprovate (il
ricorrente aveva infatti prodotto in
giudizio sia la copia della domanda di
condono edilizio, sia la copia delle
attestazioni dei versamenti della intera
oblazione).
Non gravava pertanto sul TAR l’onere di
fornire una motivazione particolare in
ordine alla sussistenza dei presupposti per
la formazione del silenzio–assenso. Non pare
tuttavia inutile aggiungere che, come
correttamente osserva l’appellato, la
censura muove dall’assunto che il termine
decennale di prescrizione debba decorrere
non già dal compimento dei due anni
successivi alla presentazione della domanda
di condono, ma dalla data del pagamento
dell’ultima rata del condono edilizio
(pagamento eseguito il 04.10.1986).
Sennonché tale presupposto è errato dato che
l’art. 35, comma 18, della l. n. 47/1985
dispone chiaramente che “decorso il
termine perentorio di ventiquattro mesi
dalla presentazione della domanda,
quest'ultima si intende accolta ove
l'interessato provveda al pagamento di tutte
le somme eventualmente dovute a conguaglio
ed alla presentazione all'ufficio tecnico
erariale della documentazione necessaria
all'accatastamento…”. Il “dies a quo”
dal quale far decorrere il termine decennale
di prescrizione va quindi individuato nella
data della presentazione della domanda di
condono (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 12.03.2012 n. 1364 - massima
tratta da
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EDILIZIA PRIVATA: In
materia di prescrizione degli oneri di
urbanizzazione e dei contributi commisurati
al costo di costruzione, in assenza di
diversa disposizione normativa, il termine
prescrizionale è quello ordinario decennale.
In materia di prescrizione degli oneri di
urbanizzazione e dei contributi commisurati
al costo di costruzione, in assenza di
diversa disposizione normativa, il termine
prescrizionale è quello ordinario decennale
(tra le tante, TAR Campania Napoli, sez.
VIII, 14.01.2011, n. 152). E’ evidente che
se fosse condivisibile la tesi comunale,
sarebbe praticamente impossibile
l’operatività del suddetto meccanismo
prescrizionale, atteso che il debitore
sarebbe costituito in mora automaticamente
allo spirare del termine ultimo di
pagamento, senza la necessità di alcuna
attivazione da parte dell’amministrazione
creditrice.
Deve inoltre rilevarsi che il modo di
costituzione in mora del debitore (ex
persona, art. 1219, primo comma, c.c., o
ex re, art. 1219, secondo comma, n. 3),
stesso codice), rileva ai soli fini del
risarcimento del danno e del regolamento del
rischio per il perimento della cosa oggetto
della prestazione e dell’impossibilità
sopravvenuta (art. 1221 c.c.), ma non incide
sul decorso della prescrizione. Se è vero
che la messa in mora del debitore, ex art.
1219, primo comma, interrompe senz’altro la
prescrizione (art. 2943, ultimo comma,
c.c.), non è vera l’implicazione secondo cui
quando non occorre la messa in mora (mora
ex re) non occorra interrompere la
prescrizione. Il decorso della prescrizione
opera indifferentemente per entrambe le
tipologie di obbligazioni dal giorno in cui
il diritto può essere fatto valere (art.
2935 c.c.).
Il fatto che le obbligazioni nei confronti
delle pubbliche amministrazioni siano di
regola eseguibili al domicilio del creditore
(portabili) non ha nessuna incidenza,
dunque, sul decorso e sul regime
interruttivo della prescrizione
(TAR Campania-Napoli, Sez. III,
sentenza 12.03.2012 n. 1237 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in tema
di oneri concessori sussiste anche quando la domanda del
privato è diretta ad ottenere la restituzione di quanto si
assume indebitamente versato ovvero trattenuto dalla P.A..
Tanto perché gli oneri concessori versati al Comune sono
ripetibili sulla base della mera circostanza che la
concessione edilizia non è stata utilizzata, anche a
prescindere dall'intervento di un atto amministrativo di
accertamento.
Nella fattispecie, infatti, trova piena applicazione l'art.
34 D.Lg.vo n. 80/1998 (poi sostituito dall'art. 7 L. n.
205/2000) che ha attribuito alla giurisdizione esclusiva del
Giudice Amministrativo tutte le controversie, aventi per
oggetto qualsiasi iniziativa della Pubblica Amministrazione
in materia di urbanistica e di edilizia.
---------------
A norma dell'art. 4, comma 6, della legge 10/1977 (ora art.
11 D.L.vo 380/2001), la concessione edilizia è trasferibile
ai successori o aventi causa. In tal modo le norme
riconoscono esplicitamente la natura <reale> del titolo
edilizio, che viene, pertanto, rilasciato in ragione della
titolarità di una situazione giuridica soggettiva
ontologicamente ricollegata ad un determinato bene immobile.
Non è poi lecito dubitare che le somme pagate a titolo di
contributi per oneri di urbanizzazione relativamente ad una
concessione edilizia sono ripetibili se la concessione non
sia stata utilizzata.
Ne consegue inevitabilmente il principio secondo cui
sussiste una intrinseca connessione tra l'abilitazione
all’esercizio dell'attività di edificazione ed il rapporto
obbligatorio relativo ai contributi di urbanizzazione e di
costruzione.
Ciò significa che il venir meno della titolarità della
concessione e quindi del diritto di edificazione in capo
all'originario concessionario con il trasferimento dei
relativi diritti in testa al subentrante, destinatario della
volturazione e titolare quindi dello ius aedificandi, di
norma e salva diversa ed esplicita pattuizione tra cedente e
cessionario, comportano anche il trasferimento a carico ed a
favore di quest'ultimo, dal momento della volturazione, di
tutti indistintamente i diritti e gli obblighi connessi e/o
derivanti dalla concessione stessa.
Insomma, se, come detto, esiste una connessione innegabile
tra ius aedificandi e diritti ed obblighi relativi agli
oneri concessori, tali diritti e tali obblighi, salva
esplicita deroga, non possono perpetuarsi in capo al
soggetto originario concessionario che ha alienato il
terreno interessato dalla trasformazione dopo il rilascio
della concessione, quest’ultima volturata ad un nuovo
soggetto, che è proprio quello e solo quello che poi in
concreto può esercitare lo ius aedificandi.
D’altra parte, se è vero che, una volta intervenuta la
volturazione della concessione edilizia, legittimato passivo
rispetto alle misure repressive di lavori eventualmente
condotti in difformità dalla concessione è soltanto il terzo
subentrante e non l'originario titolare della concessione
edilizia, lo stesso principio non può non affermarsi anche
rispetto alle obbligazioni pecuniarie connesse alla
concessione edilizia volturata dopo il suo rilascio e
derivanti dall’avvenuto, o meno, concreto utilizzo della
concessione stessa.
Né può pervenirsi a conclusione diversa solo perché la
giurisprudenza ha ritenuto che la voltura della concessione
comporta una <novazione soggettiva> della stessa.
Tale affermazione non incide, infatti, sul dato
incontestabile che la concessione edilizia non ha natura
<personale>, ma <reale>, nel senso che suo presupposto è
comunque una situazione soggettiva attiva del richiedente in
relazione ad un bene determinato e che da tale natura
discende la possibilità di trasferimento della stessa
insieme con l'area, subordinato ad un provvedimento di
voltura che rappresenta un mero accertamento del fatto del
subingresso di un nuovo soggetto nel rapporto giuridico
originario.
Nella suindicata prospettiva, se è vero che l'atto di
volturazione non comporta la corresponsione di ulteriori
contributi concessori che restano quelli fissati in
occasione del rilascio del titolo originario, è altrettanto
vero che tali oneri, sia per la parte adempiuta che per
quella non ancora adempiuta, salva diversa pattuizione
recepita dall’Amministrazione, si trasferiscono
automaticamente al subentrante, sia perché non rilevano
sotto il profilo dell'intuitus personae, inerendo ad un atto
che non ha carattere personale, sia perché connessi alla
capacità di disporre del diritto di edificazione, nella
specie in concreto non esercitato dal subentrante.
---------------
Nel caso della voltura della concessione edilizia, non
essendo la prestazione oggetto dell'obbligazione
contributiva caratterizzata in senso personale, si ha in
realtà una modificazione dell'oggetto del rapporto, con
l'effetto della liberazione da ogni diritto ed obbligo del
primitivo concessionario in concomitanza con la perdita del
diritto ed edificare.
Nel caso in esame, pertanto, la ricorrente, ove avesse
effettivamente realizzato il progetto, sarebbe stata
sicuramente tenuta a corrispondere le altre rate di
contributo; alla stessa stregua, non avendo edificato, ove
non esista un patto contrario, ha diritto alla ripetizione
degli oneri che in relazione alla concessione sono stati
pagati.
---------------
Tanto basta per l’accoglimento del ricorso e per
l’affermazione dell’obbligo del Comune di provvedere in
relazione alla domanda proposta dalla ricorrente,
innanzitutto verificando se, per ipotesi, dall’atto di
cessione emerga la diversa volontà di conservare in capo
alla cedente il diritto al rimborso dei contributi già
versati in caso di mancato utilizzo della concessione e, in
caso di esito negativo di tale indagine, restituendo quanto
versato alla cessionaria.
...
avverso
il silenzio opposto dal Comune alla richiesta della
ricorrente di restituzione delle somme versate per oneri
concessori inerenti alla concessione edilizia volturata in
suo favore e dalla stessa rinunziata.
...
1- Col ricorso in esame l’Associazione IPERVEN ha nella
sostanza impugnato il comportamento inerte opposto dal
Comune intimato alla sua richiesta di restituzione delle
somme pagate dalla sua dante causa (Circolo nautico di Torre
Annunziata) in relazione alla concessione edilizia n. 15 del
16.09.1992, a suo tempo volturata in suo favore e
successivamente da essa stessa rinunziata.
A tale ricostruzione del ricorso si perviene nella
fattispecie applicando il principio consolidato secondo il
quale il giudice amministrativo -fermo restando il
principio di specificità enucleato dall'art. 6 R.D. 17.08.1907 n. 642- è legittimato ad operare un'interpretazione dei motivi e del petitum formalmente
dedotti, avendo riguardo sia alle censure espressamente
enunciate sia a quelle non esposte in un titolo ad hoc che
possono, però, essere desunte dall'esposizione dei fatti e
dal contesto del ricorso (Cfr. Cons. Stato, VI Sez. 27.09.1977 n. 777 e 28.09.2000 n. 5194, IV Sez.
05.07.1989 n. 457 , V Sez., 21.10.1992 n. 1026).
Dalla lettura dell’atto introduttivo del giudizio emerge,
infatti, che la parte ricorrente si duole principalmente
della mancata risposta alla sua richiesta di restituzione di
quanto corrisposto e ancora detenuto dal Comune sine titulo,
sicché è da ritenere che nella fattispecie sussistano i
presupposti per l'applicazione dell'art. 21-bis della legge
06.12.1971, n. 1034, come novellato dall'art. 2 della
legge 21.07.2000 n. 205.
D’altra parte, allo stato degli atti non sarebbe possibile
pronunciare né positivamente né negativamente sulla (per la
verità pure formulata) domanda di accertamento del diritto
alla restituzione e di conseguente condanna del Comune, in
quanto manca la prova –che evidentemente la parte
ricorrente avrebbe dovuto fornire– circa l’inesistenza
nell’accordo di cessione della concessione edilizia di una
qualche (per la verità, inusuale) clausola che conservi il
diritto della cedente all’ eventuale restituzione dei
contributi già versati.
D’altra parte, nella fattispecie,
non appare ostativo all'esperimento del rimedio del silenzio-rifiuto la circostanza che oggetto sostanziale del ricorso
risulti, prima facie, un <diritto soggettivo>, qual è
la pretesa patrimoniale alla restituzione di somme
indebitamente versate, in quanto, a ben considerare, la
peculiarità del caso di specie consiste proprio nel fatto
che sussiste la giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo in ordine al rapporto cui inerisce la
richiesta rimasta inevasa (Cons. Stato Sez. V 10.02.2004 n. 497).
Nel caso in esame, attraverso l’impugnazione del silenzio,
la parte ricorrente mira innanzitutto e soprattutto a far
cessare il comportamento inerte del Comune ed a costringere
lo stesso a pronunciarsi sulla base della documentazione in
suo possesso, ivi incluso l’atto di cessione della
concessione.
Ad ogni modo, la giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo in tema di oneri concessori sussiste anche
quando la domanda del privato è diretta ad ottenere la
restituzione di quanto si assume indebitamente versato
ovvero trattenuto dalla P.A. (cfr. ex multis Consiglio di
Stato Sez. V n. 4102/2003, vedi pure più in generale
Consiglio di Stato Sez. V n. 6821/2004).
Tanto perché gli oneri concessori versati al Comune sono
ripetibili sulla base della mera circostanza che la
concessione edilizia non è stata utilizzata, anche a
prescindere dall'intervento di un atto amministrativo di
accertamento (Cfr. Cons. Stato Sez. V 22.02.1998 n.
1145, TAR Marche, 11.05.1995, n. 228).
Nella fattispecie, infatti, trova piena applicazione l'art.
34 D.Lg.vo n. 80/1998 (poi sostituito dall'art. 7 L. n.
205/2000) che ha attribuito alla giurisdizione esclusiva del
Giudice Amministrativo tutte le controversie, aventi per
oggetto qualsiasi iniziativa della Pubblica Amministrazione
in materia di urbanistica e di edilizia.
2- Passando all’esame del merito del ricorso, il Collegio
ricorda che, a norma dell'art. 4, comma 6, della legge
10/1977 (ora art. 11 D.L.vo 380/2001), la concessione
edilizia è trasferibile ai successori o aventi causa.
In tal modo le norme riconoscono esplicitamente la natura
<reale> del titolo edilizio, che viene, pertanto, rilasciato
in ragione della titolarità di una situazione giuridica
soggettiva ontologicamente ricollegata ad un determinato
bene immobile.
Come già notato, non è poi lecito dubitare che (Cons. St.,
sez. V 22.02.1988, n. 105) le somme pagate a titolo di
contributi per oneri di urbanizzazione relativamente ad una
concessione edilizia sono ripetibili se la concessione non
sia stata utilizzata (TAR Abruzzo Pescara 15.12.2006 n. 890).
Ne consegue inevitabilmente il principio secondo cui
sussiste una intrinseca connessione tra l'abilitazione
all’esercizio dell'attività di edificazione ed il rapporto
obbligatorio relativo ai contributi di urbanizzazione e di
costruzione (cfr. Cons. Stato Sez. V 12.06.1995, n.
894).
Ciò significa che il venir meno della titolarità della
concessione e quindi del diritto di edificazione in capo
all'originario concessionario con il trasferimento dei
relativi diritti in testa al subentrante, destinatario della
volturazione e titolare quindi dello ius aedificandi, di
norma e salva diversa ed esplicita pattuizione tra cedente e
cessionario, comportano anche il trasferimento a carico ed a
favore di quest'ultimo, dal momento della volturazione, di
tutti indistintamente i diritti e gli obblighi connessi e/o
derivanti dalla concessione stessa.
Insomma, se, come detto, esiste una connessione innegabile
tra ius aedificandi e diritti ed obblighi relativi agli
oneri concessori, tali diritti e tali obblighi, salva
esplicita deroga, non
possono perpetuarsi in capo al soggetto originario
concessionario che ha alienato il terreno interessato dalla
trasformazione dopo il rilascio della concessione,
quest’ultima volturata ad un nuovo soggetto, che è proprio
quello e solo quello che poi in concreto può esercitare lo
ius aedificandi.
D’altra parte, se è vero che, una volta intervenuta la
volturazione della concessione edilizia, legittimato passivo
rispetto alle misure repressive di lavori eventualmente
condotti in difformità dalla concessione è soltanto il terzo
subentrante e non l'originario titolare della concessione
edilizia (TAR Lombardia, Milano, sez. II 18.02.1984 n. 66),
lo stesso principio non può non affermarsi anche rispetto
alle obbligazioni pecuniarie connesse alla concessione
edilizia volturata dopo il suo rilascio e derivanti dall’avvenuto, o meno, concreto utilizzo della concessione
stessa.
Né può pervenirsi a conclusione diversa solo perché la
giurisprudenza ha ritenuto che la voltura della concessione
comporta una <novazione soggettiva> della stessa.
Tale affermazione non incide, infatti, sul dato
incontestabile che la concessione edilizia non ha natura
<personale>, ma <reale>, nel senso che suo presupposto è
comunque una situazione soggettiva attiva del richiedente in
relazione ad un bene determinato e che da tale natura
discende la possibilità di trasferimento della stessa
insieme con l'area, subordinato ad un provvedimento di
voltura che rappresenta un mero accertamento del fatto del subingresso di un nuovo soggetto nel rapporto giuridico
originario.
Nella suindicata prospettiva, se è vero che l'atto di
volturazione non comporta la corresponsione di ulteriori
contributi concessori che restano quelli fissati in
occasione del rilascio del titolo originario (cfr. Cons.
Stato sez. V. n. 616/1988 citata), è altrettanto vero che
tali oneri, sia per la parte adempiuta che per quella non
ancora adempiuta, salva diversa pattuizione recepita
dall’Amministrazione, si trasferiscono automaticamente al
subentrante, sia perché non rilevano sotto il profilo dell'intuitus
personae, inerendo ad un atto che non ha carattere
personale, sia perché connessi alla capacità di disporre del
diritto di edificazione, nella specie in concreto non
esercitato dal subentrante.
Tutto quanto sopra induce il Collegio a ritenere che, nel
caso della voltura della concessione edilizia, non essendo
la prestazione oggetto dell'obbligazione contributiva
caratterizzata in senso personale, si ha in realtà una
modificazione dell'oggetto del rapporto, con l'effetto della
liberazione da ogni diritto ed obbligo del primitivo
concessionario in concomitanza con la perdita del diritto ed
edificare.
Nel caso in esame, pertanto, la ricorrente, ove avesse
effettivamente realizzato il progetto, sarebbe stata
sicuramente tenuta a corrispondere le altre rate di
contributo; alla stessa stregua, non avendo edificato, ove
non esista un patto contrario, ha diritto alla ripetizione
degli oneri che in relazione alla concessione sono stati
pagati.
3- Tanto basta per l’accoglimento del ricorso e per
l’affermazione dell’obbligo del Comune di provvedere in
relazione alla domanda proposta dalla ricorrente,
innanzitutto verificando se, per ipotesi, dall’atto di
cessione emerga la diversa volontà di conservare in capo
alla cedente il diritto al rimborso dei contributi già
versati in caso di mancato utilizzo della concessione e, in
caso di esito negativo di tale indagine, restituendo quanto
versato alla cessionaria
(TAR Campania-Napoli, Sez. V,
sentenza 12.03.2012 n. 1220 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La ristrutturazione edilizia con
demolizione e fedele ricostruzione
presuppone una volumetria che si suppone già
dotata delle necessarie opere di
urbanizzazione.
Inoltre, il contributo per oneri di
urbanizzazione costituisce un corrispettivo
di diritto pubblico previsto dal legislatore
a titolo di partecipazione ai costi delle
opere di urbanizzazione, ovvero un
contributo speciale che ha la propria causa
giuridica nelle maggiori spese che
l’amministrazione pubblica deve accollarsi
in dipendenza della costruzione
dell’edificio e del connesso utilizzo, da
parte dei detentori del bene, dei servizi e
degli spazi circostanti.
Ne deriva che la cubatura preesistente va
esentata dal pagamento di esso qualora, come
nel caso in esame, non si sia verificato un
cambiamento di destinazione d’uso o il
frazionamento dell’originaria struttura in
più appartamenti, e cioè qualora il
manufatto realizzato non renda necessarie
nuove opere di urbanizzazione o un più
intenso utilizzo delle urbanizzazioni
esistenti.
Il permesso in sanatoria rilasciato dal Comune di Portoferraio assume ad
oggetto la fedele ricostruzione del
preesistente manufatto (documento n. 8
depositato in giudizio dal Comune): gli atti
impugnati fanno infatti riferimento alla
volumetria corrispondente a quella demolita
(mc. 291,30) e non anche alla variante
avente ad oggetto l’ampliamento del piano
terra (il cui iter non risulta concluso).
Pertanto, non rilevando un aumento di
superficie, del volume o del numero delle
unità abitative, o una modifica di
destinazione d’uso, l’intervento edilizio in
questione non produce un incremento del
carico urbanistico.
Invero, la ristrutturazione edilizia con
demolizione e fedele ricostruzione
presuppone una volumetria che si suppone già
dotata delle necessarie opere di
urbanizzazione (TAR Lombardia, Milano, II,
23.07.2009, n. 4455).
Inoltre, il contributo per oneri di
urbanizzazione costituisce un corrispettivo
di diritto pubblico previsto dal legislatore
a titolo di partecipazione ai costi delle
opere di urbanizzazione, ovvero un
contributo speciale che ha la propria causa
giuridica nelle maggiori spese che
l’amministrazione pubblica deve accollarsi
in dipendenza della costruzione
dell’edificio e del connesso utilizzo, da
parte dei detentori del bene, dei servizi e
degli spazi circostanti.
Ne deriva che la cubatura preesistente va
esentata dal pagamento di esso qualora, come
nel caso in esame, non si sia verificato un
cambiamento di destinazione d’uso o il
frazionamento dell’originaria struttura in
più appartamenti, e cioè qualora il
manufatto realizzato non renda necessarie
nuove opere di urbanizzazione o un più
intenso utilizzo delle urbanizzazioni
esistenti (TAR Trentino Alto Adige, Bolzano,
06.03.2000, n. 59) (TAR
Toscana, Sez. III,
sentenza
12.03.2012 n.
496 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
contributo per oneri di urbanizzazione è un
corrispettivo di diritto pubblico, di natura
non tributaria, posto a carico del
costruttore a titolo di partecipazione ai
costi delle opere di urbanizzazione in
proporzione all’insieme dei benefici che la
nuova costruzione ne ritrae. Il presupposto
imponibile per il pagamento dei contributi
di urbanizzazione va ravvisato nella domanda
di una maggiore dotazione di servizi (rete
viaria, fognature, ecc.) nell’area di
riferimento, che sia indotta dalla
destinazione d’uso concretamente impressa
all’alloggio, in quanto una diversa
utilizzazione rispetto a quella stabilita
nell’originario titolo abilitativo può
determinare una variazione quantitativa e
qualitativa del carico urbanistico.
In termini generali, il fondamento del
contributo di urbanizzazione –da versare al
momento del rilascio di una concessione
edilizia– non consiste nell'atto
amministrativo in sé bensì nella necessità
di ridistribuire i costi sociali delle opere
di urbanizzazione, facendoli gravare sugli
interessati che beneficiano delle utilità
derivanti dalla presenza delle medesime,
secondo modalità eque per la comunità.
L'entità degli oneri di urbanizzazione è in
buona sostanza correlata alla variazione del
carico urbanistico, sicché è ben possibile
che un intervento di ristrutturazione e
mutamento di destinazione d'uso possa non
comportare aggravi di carico urbanistico e
quindi l'obbligo della relativa
corresponsione degli oneri; al contrario è
altrettanto possibile che in caso di
mutamento di destinazione di uso nell'ambito
della stessa categoria urbanistica, faccia
seguito un maggior carico urbanistico
indotto dalla realizzazione di quanto
assentito e correlativamente siano dovuti
gli oneri concessori.
---------------
Pacifica è la diversa natura degli oneri di
urbanizzazione rispetto ai costi di
costruzione, i quali rappresentano una
compartecipazione comunale all’incremento di
valore della proprietà immobiliare del
costruttore a seguito della nuova
edificazione.
Mentre quindi il contributo per gli oneri di
urbanizzazione ha funzione recuperatoria
delle spese sostenute dalla collettività
comunale in relazione alla trasformazione
del territorio assentita al singolo, il
contributo per costo di costruzione, che è
rapportato alle caratteristiche ed alla
tipologia delle costruzioni e non è
alternativo ad altro valore di genere
diverso, afferisce alla mera attività
costruttiva in sé valutata: l’obbligazione
contributiva per costo di costruzione,
dunque, è a-causale ed appare soffermarsi
sulla produzione di ricchezza connessa
all’utilizzazione edificatoria del
territorio ed alle potenzialità economiche
che ne derivano e, pertanto, ha natura
essenzialmente paratributaria. Il contributo
afferente al costo di costruzione, a norma
dell’art. 6 della L. 10/1977, è determinato
in rapporto alle caratteristiche, alle
tipologie delle costruzioni e delle loro
destinazioni ed ubicazioni (oggi occorre
fare riferimento all’art. 16 del D.P.R.
380/2001).
Sia nella precedente che nell’attuale
normativa in effetti (articoli 3, 5, 6 della
L. 10/1977 e 16 del D.P.R. 380/2001) alle
nuove edificazioni e agli altri interventi –comunque soggetti a titolo abilitativo–
corrisponde il pagamento di un contributo
commisurato all’incidenza degli oneri di
urbanizzazione, nonché al costo di
costruzione. La natura giuridica del
predetto contributo è quella di prestazione
patrimoniale imposta, anche
indipendentemente dall'utilità specifica del
singolo concessionario, comunque tenuto a
concorrere alla spesa pubblica per le
infrastrutture che debbono accompagnare ogni
nuovo insediamento edificatorio (Consiglio
di Stato, sez. VI – 25/08/2009 n. 5059).
In particolare il contributo per oneri
di urbanizzazione è un corrispettivo di
diritto pubblico, di natura non tributaria,
posto a carico del costruttore a titolo di
partecipazione ai costi delle opere di
urbanizzazione in proporzione all’insieme
dei benefici che la nuova costruzione ne
ritrae (cfr. per tutti TAR Puglia Bari,
sez. III – 10/02/2011 n. 243). Il presupposto
imponibile per il pagamento dei contributi
di urbanizzazione va ravvisato nella domanda
di una maggiore dotazione di servizi (rete
viaria, fognature, ecc.) nell’area di
riferimento, che sia indotta dalla
destinazione d’uso concretamente impressa
all’alloggio, in quanto una diversa
utilizzazione rispetto a quella stabilita
nell’originario titolo abilitativo può
determinare una variazione quantitativa e
qualitativa del carico urbanistico (Sentenza
Sezione 11/06/2004 n. 646; TAR Lombardia
Milano, sez. II – 02/10/2003 n. 4502;
Consiglio Stato, sez. V – 25/05/1995 n. 822).
In termini generali, il fondamento del
contributo di urbanizzazione –da versare al
momento del rilascio di una concessione
edilizia– non consiste nell'atto
amministrativo in sé bensì nella necessità
di ridistribuire i costi sociali delle opere
di urbanizzazione, facendoli gravare sugli
interessati che beneficiano delle utilità
derivanti dalla presenza delle medesime,
secondo modalità eque per la comunità.
L'entità degli oneri di urbanizzazione è in
buona sostanza correlata alla variazione del
carico urbanistico, sicché è ben possibile
che un intervento di ristrutturazione e
mutamento di destinazione d'uso possa non
comportare aggravi di carico urbanistico e
quindi l'obbligo della relativa
corresponsione degli oneri; al contrario è
altrettanto possibile che in caso di
mutamento di destinazione di uso nell'ambito
della stessa categoria urbanistica, faccia
seguito un maggior carico urbanistico
indotto dalla realizzazione di quanto
assentito e correlativamente siano dovuti
gli oneri concessori (TAR Lazio Roma,
sez. II – 14/11/2007 n. 11213).
---------------
Nella fattispecie, come ha correttamente
rilevato parte ricorrente, non affiorano
elementi utili a comprovare che il mutamento
di destinazione d'uso sia stato accompagnato
da un’alterazione del carico urbanistico. Al
contrario la Società Astoria ha dato conto
delle riflessioni racchiuse nell’allegato B
alla deliberazione consiliare n. 52/2001,
ove in sede di controdeduzioni
all’osservazione presentata (nell’ambito
della procedura di variante urbanistica
semplificata che ha reso possibile
l’intervento) si dichiara che “si tratta di
trasformazione di destinazione d’uso di un
albergo esistente il cui carico urbanistico
non può essere certo aggravato, né tanto
meno la viabilità” e che “l’intervento non è
che la trasformazione della destinazione
d’uso di un edificio esistente senza
modificare l’aspetto esteriore, né tanto
meno la sagoma, la superficie, … è opera di
urbanizzazione”. In secondo luogo la
ricorrente ha evidenziato come la categoria
non sia mutata (con la trasformazione da
albergo a casa di cura) permanendo una
struttura ricettiva dotata di circa 100
posti letto quando in precedenza l’albergo
ospitava 49 camere (cfr. relazione tecnica
alla D.I.A. del 18/12/1998). Lo stesso punto
7 della convenzione urbanistica così si
esprime “pur ricadendo la struttura
sanitaria … in zona totalmente urbanizzata,
inoltre dotata dei parcheggi previsti dalla
normativa specifica in materia … si ritiene
necessario migliorare l’arredo urbano”.
In presenza di un insediamento capace di
rispondere a bisogni collettivi (come la
struttura preesistente) l’amministrazione –per poter legittimamente esigere il
contributo per gli oneri di urbanizzazione–
avrebbe dovuto dare contezza degli indici o,
comunque, dei presupposti da cui si evinceva
il maggior carico urbanistico addebitabile
al richiesto mutamento di destinazione (cfr.
TAR Lombardia Milano, sez. IV – 04/05/2009
n. 3604).
Non avendo evidenziato la ricorrenza, nel
caso concreto (mediante raffronto tra la
destinazione originaria e quella attuale)
del presupposto del pagamento richiesto –ossia della variazione in aumento del carico
urbanistico– deve ritenersi indebitamente
preteso l’importo di € 31.492,43 per
sanzione ex art. 13 della L. 47/1985, da
restituire alla parte ricorrente.
Pacifica è la diversa natura degli oneri
di urbanizzazione rispetto ai costi di
costruzione, i quali rappresentano una
compartecipazione comunale all’incremento di
valore della proprietà immobiliare del
costruttore a seguito della nuova
edificazione (cfr. TAR Abruzzo Pescara –
18/10/2010 n. 1142).
Mentre quindi il contributo per gli
oneri di urbanizzazione ha funzione recuperatoria delle spese sostenute dalla
collettività comunale in relazione alla
trasformazione del territorio assentita al
singolo, il contributo per costo di
costruzione, che è rapportato alle
caratteristiche ed alla tipologia delle
costruzioni e non è alternativo ad altro
valore di genere diverso, afferisce alla
mera attività costruttiva in sé valutata:
l’obbligazione contributiva per costo di
costruzione, dunque, è a-causale ed appare
soffermarsi sulla produzione di ricchezza
connessa all’utilizzazione edificatoria del
territorio ed alle potenzialità economiche
che ne derivano e, pertanto, ha natura
essenzialmente paratributaria (TAR
Campania Salerno, sez. II – 11/06/2002 n.
459). Il contributo afferente al costo di
costruzione, a norma dell’art. 6 della L.
10/1977, è determinato in rapporto alle
caratteristiche, alle tipologie delle
costruzioni e delle loro destinazioni ed
ubicazioni (oggi occorre fare riferimento
all’art. 16 del D.P.R. 380/2001).
Ne deriva, quindi, che nell’ipotesi di
variazione di destinazione d’uso di un
immobile accompagnata dalla realizzazione di
opere, sussiste il presupposto per il
pagamento della parte di contributo
afferente al costo di costruzione, da
riferire al dato oggettivo della
ristrutturazione dell’edificio
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 02.03.2012 n. 355 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Sia ai sensi del previgente art. 11, comma
2, L. n. 10/1977, sia ai sensi del vigente
art. 16, comma 3, DPR n. 380/2001 “la quota
del contributo relativa al costo di
costruzione, determinata all’atto di
rilascio, è corrisposta in corso d’opera,
con le modalità e garanzie stabilite dal
Comune non oltre 60 giorni dall’ultimazione
della costruzione”.
Pertanto, merita adesione l’orientamento
giurisprudenziale secondo cui per il credito a
titolo di costo di costruzione il dies a quo
del termine ordinario prescrizionale non
decorre dalla data stabilita in concessione
per l’ultimazione dei lavori, ma da quella
in cui l’opera è stata effettivamente
ultimata, tenuto conto che di questo
elemento di fatto deve essere data contezza
all'Amministrazione da parte del privato.
Sicché, in difetto di tale elemento, il
termine prescrizionale non decorre nei
confronti dell’Amministrazione creditrice in
quanto il contributo relativo al costo di
costruzione non può essere esigibile prima
della scadenza del sessantesimo giorno
dall'ultimazione delle opere, ai sensi
dell'art. 11, comma 2, L. n. 10/1977 (ora
sostituito dall’art. 16, comma 3, DPR n.
380/2001), per cui solo la scadenza di detto
termine può determinare il dies a quo di
decorrenza della prescrizione decennale del
diritto, tenuto pure conto dell’art. 2935
C.C., secondo cui, in generale, la
prescrizione non può decorrere se non dal
giorno in cui il diritto può essere fatto
valere.
Sia ai sensi del previgente art. 11, comma
2, L. n. 10/1977, sia ai sensi del vigente
art. 16, comma 3, DPR n. 380/2001 “la quota
del contributo relativa al costo di
costruzione, determinata all’atto di
rilascio, è corrisposta in corso d’opera,
con le modalità e garanzie stabilite dal
Comune non oltre 60 giorni dall’ultimazione
della costruzione”.
Pertanto, merita adesione l’orientamento
giurisprudenziale (TAR Catanzaro I,. n. 522
del 14.04.2011; TAR Napoli, II, n. 3147
dell’08.06.2009; TAR Sardegna, II, n. 9 del
14.01.2008; TAR Umbria, n. 512 del
23.06.2003), secondo cui per il credito a
titolo di costo di costruzione il dies a quo
del termine ordinario prescrizionale non
decorre dalla data stabilita in concessione
per l’ultimazione dei lavori, ma da quella
in cui l’opera è stata effettivamente
ultimata, tenuto conto che di questo
elemento di fatto deve essere data contezza
all'Amministrazione da parte del privato.
Sicché, in difetto di tale elemento, il
termine prescrizionale non decorre nei
confronti dell’Amministrazione creditrice in
quanto il contributo relativo al costo di
costruzione non può essere esigibile prima
della scadenza del sessantesimo giorno
dall'ultimazione delle opere, ai sensi
dell'art. 11 comma 2, L. n. 10/1977 (ora
sostituito dall’art. 16, comma 3, DPR n.
380/2001), per cui solo la scadenza di detto
termine può determinare il dies a quo di
decorrenza della prescrizione decennale del
diritto, tenuto pure conto dell’art. 2935
C.C., secondo cui, in generale, la
prescrizione non può decorrere se non dal
giorno in cui il diritto può essere fatto
valere.
Pertanto, poiché il ricorrente oltre a
non aver comunicata l’ultimazione dei lavori
(circostanza esplicitamente dedotta dal
Responsabile del Servizio Urbanistica del
Comune di Pomarico nella nota prot. n. 6740
del 07.12.2011 e non smentita dal ricorrente,
per cui, nella specie, va applicato il
principio di non contestazione di cui al
vigente art. 115, comma 1, C.P.C., previsto
anche dall’art. 64, comma 2, Cod. Proc.
Amm.), non ha provato la conoscenza da parte
del Comune resistente dell’ultimazione delle
opere assentite o anche l’ultimazione dei
lavori 10 anni prima della ricezione della
nota Responsabile Servizio Urbanistica
Comune di Pomarico prot. n. 2586 del
5.5.2011, deve ritenersi non prescritto il
diritto al pagamento del costo di
costruzione, la cui quantificazione di
2.891,49 € non è stata contestata dal
ricorrente
(TAR Basilicata,
sentenza 15.02.2012 n. 71 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La concessione edilizia è
normalmente onerosa, tranne le tassative
ipotesi di gratuità. Gli oneri di
urbanizzazione sono previsti, infatti, a
carico del costruttore, quale prestazione
patrimoniale, a titolo di partecipazione di
al costo delle opere di urbanizzazione
connesse alle esigenze della collettività
che scaturiscono dagli interventi di
edificazione e dal maggior carico
urbanistico che si realizza per effetto
della costruzione. Detti oneri prescindono
dall'esistenza o meno delle opere di
urbanizzazione e vengono determinati
indipendentemente sia dall'utilità che il
concessionario ritrae dal titolo
edificatorio, sia dalle spese effettivamente
occorrenti per realizzare siffatte opere. La
partecipazione del privato a tali spese,
quando ottiene la concessione a costruire,
si atteggia quindi come assunzione di una
quota dei costi della vocazione edificatoria
impressa al territorio, e trova
giustificazione nel beneficio,
economicamente rilevante in termini di
valore del suolo, che il privato medesimo
riceve per effetto della concreta
attuabilità del suo progetto di costruzione.
---------------
La determinazione del contributo di
costruzione deve avvenire esclusivamente
sulla base delle norme di legge che dettano
i criteri di calcolo, “norme che vanno
rigorosamente rispettate anche in osservanza
del principio di cui all’art. 23 della
Costituzione, secondo il quale nessuna
prestazione patrimoniale può essere imposta
se non in base alla legge”. La
determinazione degli oneri, dunque, è il
risultato di un calcolo materiale operato
sulla base di parametri rigorosamente
stabiliti dalla legge e dalle disposizioni
applicative degli enti territoriali
competenti, che deve essere quantificato
delle tariffe in vigore al momento del
rilascio del titolo abilitativo.
La concessione edilizia è
normalmente onerosa, tranne le tassative
ipotesi di gratuità che, nella specie, non
sussistono e non vengono, comunque,
invocate. Gli oneri di urbanizzazione sono
previsti, infatti, a carico del costruttore,
quale prestazione patrimoniale, a titolo di
partecipazione di al costo delle opere di
urbanizzazione connesse alle esigenze della
collettività che scaturiscono dagli
interventi di edificazione e dal maggior
carico urbanistico che si realizza per
effetto della costruzione. Detti oneri
prescindono dall'esistenza o meno delle
opere di urbanizzazione e vengono
determinati indipendentemente sia
dall'utilità che il concessionario ritrae
dal titolo edificatorio, sia dalle spese
effettivamente occorrenti per realizzare
siffatte opere. La partecipazione del
privato a tali spese, quando ottiene la
concessione a costruire, si atteggia quindi
come assunzione di una quota dei costi della
vocazione edificatoria impressa al
territorio, e trova giustificazione nel
beneficio, economicamente rilevante in
termini di valore del suolo, che il privato
medesimo riceve per effetto della concreta
attuabilità del suo progetto di costruzione
(giurisprudenza uniforme cfr., tra le tante,
Cons. St., sez. IV, 21.04.2009, n. 2581 e
sez. V, 23.01.2006, n. 159).
---------------
La
determinazione del contributo di costruzione
deve avvenire esclusivamente sulla base
delle norme di legge che dettano i criteri
di calcolo, “norme che vanno
rigorosamente rispettate anche in osservanza
del principio di cui all’art. 23 della
Costituzione, secondo il quale nessuna
prestazione patrimoniale può essere imposta
se non in base alla legge” (Cons. St.,
sez. V, 21.04.2006 n. 2258). La
determinazione degli oneri, dunque, è il
risultato di un calcolo materiale operato
sulla base di parametri rigorosamente
stabiliti dalla legge e dalle disposizioni
applicative degli enti territoriali
competenti, che deve essere quantificato
delle tariffe in vigore al momento del
rilascio del titolo abilitativo
(TAR Sicilia-Catania, Sez. I,
sentenza 02.02.2012 n. 279 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
permesso di costruire ha natura non
ricettizia e i suoi effetti iniziano a
decorrere dal momento della sua adozione e
non dal momento della notifica al
richiedente.
Conseguentemente, è dal momento della
comunicazione con la quale il richiedente
viene avvisato che il permesso di costruire
è stato rilasciato che decorre il termine
per il pagamento del contributo di
costruzione e quindi nasce l’obbligo
impositivo (e non dalla data di ritiro
materiale del provvedimento).
Con il secondo mezzo si sostiene che il
permesso di costruire è un atto ricettizio
ex lege: a tale conclusione si
perviene ove si consideri che il legislatore
statale e regionale ha parlato di “rilascio”
del titolo edilizio, il che implicherebbe la
“traditio” del provvedimento
dall’autorità adottante al soggetto
beneficiario.
La conseguenza della tesi della natura
ricettizia sarebbe costituita dal fatto che
solo con l’integrale conoscenza del
provvedimento concessorio il soggetto
sarebbe in grado di valutare pienamente la
soddisfazione del proprio interesse e solo
da questo momento sorgerebbero gli obblighi
giuridici tra cui vi è, principalmente,
quello di pagare gli oneri di
urbanizzazione.
Poiché alla ricorrente il provvedimento è
stato rilasciato il giorno 09.03.2005 presso
la sede dell’ente territoriale sarebbe
illegittima la pretesa dell’amministrazione
di equiparare il semplice avviso (dal
16.02.2005) di disponibilità del
provvedimento presso gli uffici con il
rilascio del medesimo. L’avviso di mora e la
richiesta di pagamento della sanzione
sarebbero pertanto illegittimi in quanto la
società ricorrente ha esattamente adempiuto
al pagamento degli oneri a fare data dalla
conoscenza del provvedimento avvenuta con il
suo ritiro il 09.03.2005.
La doglianza è infondata in quanto il
Collegio intende aderire al quella parte
della giurisprudenza amministrativa che
ritiene che il permesso di costruire abbia
natura non ricettizia e i suoi effetti
inizino a decorrere dal momento della sua
adozione e non dal momento della notifica al
richiedente.
A tal proposito occorre premettere che
l’art. 15 del d.p.r. 06.06.2001 n. 380,
prevede che: a) nel permesso di costruire
siano indicati i termini di inizio e di
ultimazione dei lavori; b) che, in
particolare, il termine per l’inizio dei
lavori non possa essere superiore ad un anno
dal “rilascio” del titolo, laddove
quello di ultimazione non possa superare i
tre anni dall'inizio dei lavori; c) che,
decorsi tali termini, il permesso decada di
diritto per la parte non eseguita, a meno
che, anteriormente alla scadenza venga
richiesta (e conseguita) una proroga.
La disposizione in esame fa, dunque,
decorrere il termine “dal rilascio del
titolo” (e non dalla sua successiva
comunicazione all’interessato), ciò che
induce un corposo filone giurisprudenziale
(con l’assenso di parte della dottrina) alla
tesi della non ricettizietà (confermata, per
un verso, dalla ratio della
previsione –preordinata a tutelare
l’interesse pubblico a che il rilascio di
titoli edilizi non seguiti dalla pronta ed
effettiva realizzazione delle opere
progettate non precluda l’immutazione degli
assetti programmatori del territorio– e, per
altro verso, dal tenore dell’attuale art.
21-bis della l. n. 241 del 1990, il quale,
recependo sul punto le elaborazioni pretorie,
considera recettizi solo i provvedimenti
limitativi della sfera del destinatario,
legittimando l’argomentazione a contrario
per quelli ampliativi).
In tali sensi sono, in via esemplificativa:
Cass., sez. I, 30.11.2006, n. 25536; TAR
Liguria, 11.03.2003, n. 279; TAR Sardegna,
10.11.1992, n. 1429; Cons. Stato, sez. V,
02.07.1993, n. 770 e TAR Lazio Latina,
09.07.2007, n. 482. Va poi aggiunto che, a
norma dell'art. 31 della l. 17.08.1942, n.
1150, la decorrenza dei termini dipendeva
dalla effettiva conoscenza del provvedimento
concessorio, mentre nel vigore della attuale
disciplina la decorrenza è ancorata alla
data di “rilascio” e non più di “ritiro”.
E’ pertanto dal momento della comunicazione
con la quale il richiedente viene avvisato
che il permesso di costruire è stato
rilasciato che decorre il termine per il
pagamento del contributo di costruzione e
quindi nasce l’obbligo impositivo
(TAR Emilia Romagna-Parma,
sentenza
25.01.2012 n. 62 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Se il termine di prescrizione per
la riscossione degli oneri concessori
decorre dalla data di emanazione del
provvedimento, non può ragionevolmente
ritenersi che il termine per il pagamento
decorra da una data diversa.
L’art. 16 del D.P.R. 380 del 2001
(Contributo per il rilascio del permesso di
costruire), che corrisponde agli artt. 3, 5
comma 1 e 6, commi 1, 4 e 5 della legge
28.01.1977, n. 10, dopo aver previsto (comma
1) che “il rilascio del permesso di
costruire comporta la corresponsione di un
contributo commisurato all'incidenza degli
oneri di urbanizzazione nonché al costo di
costruzione, secondo le modalità indicate
nel presente articolo”, stabilisce
(comma 2) che “la quota di contributo
relativa agli oneri di urbanizzazione è
corrisposta al comune all'atto del rilascio
del permesso di costruire e, su richiesta
dell'interessato, può essere rateizzata…….”
La questione dunque si incentra
sull’interpretazione dell’espressione “all’atto
del rilascio”, che dalla legge è
lasciata genericamente vaga, in quanto la
disposizione in questione non individua con
esattezza se il rilascio (e quindi, il
momento di decorrenza del termine per il
pagamento degli oneri concessori) coincida
col momento della emanazione della
concessione edilizia, o con quello della
notifica/comunicazione ovvero ancora, come
sostenuto dalla ricorrente, dal momento
della sua “efficacia”.
Sulla questione il collegio esprime le
seguenti considerazioni.
Il termine “rilascio” lo si rinviene
anche nell’art. 12 del D.P.R. 380 del 2001
(“Presupposti per il rilascio del
permesso di costruire”) e nelle
disposizioni successive.
In particolare l’art. 15 del D.P.R. 380/2001
stabilisce al comma 2 che “il termine per
l'inizio dei lavori non può essere superiore
ad un anno dal rilascio del titolo”,
rilascio che, in base all’art. 20, viene
fatto coincidere con la sua emanazione, in
quanto “il provvedimento finale, che lo
sportello unico provvede a notificare
all'interessato, e' adottato dal dirigente o
dal responsabile dell'ufficio”……
In realtà in giurisprudenza la questione non
è pacifica, in quanto, a fronte di un
orientamento che nega la recettizietà della
concessione, “essendo di per sé idonea a
produrre gli effetti suoi propri fin dalla
data della sua emanazione indipendentemente
dalla comunicazione all'interessato“
(così TAR Liguria, sez. I, 11.03.2003, n.
279), esistono altri orientamenti favorevoli
a far coincidere il rilascio con la consegna
del provvedimento all’interessato, nelle
forme facenti fede, almeno ai fini del
decorso del termine di decadenza per
l’inizio e l’ultimazione dei lavori (TAR
Liguria, sez. I, 17.02.2011, n. 322; TAR
Salerno, sez. II, 16.12.2009, n. 7923; TAR
Catania, sez. I, 07.04.2009, n. 678).
Il collegio ritiene che questo secondo
orientamento sia fortemente influenzato
dalla opportunità di evitare al destinatario
del provvedimento concessorio di incorrere
in una decadenza per un fatto in qualche
modo ascrivibile all’amministrazione
procedente, in quanto la stessa deve mettere
in condizione il privato richiedente di
venire a conoscenza del contenuto del
provvedimento concessorio, al fine di poter
procedere con i lavori entro gli effettivi
termini di legge (termini che non sarebbero
effettivi se si facessero decorrere dalla
data di emanazione della concessione
edilizia).
È invece più coerente con il sistema
ritenere che determinati effetti automatici
del provvedimento, indipendenti dall’apporto
del destinatario dello stesso, dipendano
dalla data di materiale emissione del
provvedimento amministrativo. Tra questi
effetti, vi è anche il decorso del termine
per il pagamento degli oneri concessori, che
sono calcolati dal Comune e collegati
direttamente alla venuta in essere del
permesso di costruire.
In questo senso la liquidazione dei
contributi per oneri concessori discende
direttamente e automaticamente dal rilascio
della concessione edilizia, la quale si
configura quale fatto costitutivo
dell’obbligo giuridico del concessionario di
corrispondere quanto determinato a titolo di
contributo (in questi termini, CGA,
13.12.2010 n. 1483), e non con la successiva
ed eventuale attuazione di esso, in quanto
la realizzazione delle opere assentite può
difettare per fatto del concessionario.
Coerentemente con questo, in giurisprudenza
si è detto che l'ordinario termine di
prescrizione decennale per la riscossione
degli oneri di urbanizzazione decorre dalla
data di emanazione del provvedimento
concessorio (cfr. Tar Napoli, sez. II,
20.07.2007 n. 6891; id., 11.07.2006, n.
7392; Tar Catanzaro 22.11.2000 n. 1439; Tar
Pescara 10.05.2002 n. 477).
Se dunque il termine di prescrizione per la
riscossione degli oneri concessori decorre
dalla data di emanazione del provvedimento,
non può ragionevolmente ritenersi che il
termine per il pagamento decorra da una data
diversa, anche per le ragioni sopra esposte
(TAR Sicilia-Palermo, Sez. II,
sentenza 18.01.2012 n. 126 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2011 |
|
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA: Oneri
di urbanizzazione - Bonifica dei siti
inquinati - Art. 21, comma 5, Legge Regione
Lombardia n. 26/2003 - Agevolazione
(dimezzamento oneri di urbanizzazione
secondaria), per interventi sui siti di
interesse nazionale - Art. 21, comma 7,
Legge Regione Lombardia n. 26/2003 -
Scomputo totale degli oneri di
urbanizzazione secondaria se il sito è
acquistato nell'ambito di una procedura
concorsuale o di esecuzione giudiziale -
L'incentivazione di cui al comma 7
rappresenta rimodulazione di quella di cui
al comma 5.
L'art. 21, L.R. Lombardia n. 26/2003,
recante "Bonifica e ripristino ambientale
dei siti inquinati" prevede, al comma 5,
una forma di agevolazione (dimezzamento
degli oneri di urbanizzazione secondaria),
per gli interventi effettuati sui siti di
interesse nazionale, come individuati
dall'art. 1, comma 4, L. n. 426/1998,
caratterizzati da fenomeni di inquinamento
di particolare gravità e di rilevante
allarme per la salute pubblica; al
successivo comma 7 dell'art. 21 richiamato è
prevista una ulteriore agevolazione, a
favore dei medesimi soggetti di cui al comma
5 (ossia, chi effettua interventi di
bonifica sui siti di interesse nazionale),
vale a dire lo scomputo totale degli oneri
di urbanizzazione secondaria se il sito è
acquistato nell'ambito di una procedura
concorsuale o di esecuzione giudiziale.
Non si tratta di fattispecie separata, ma
della stessa incentivazione di cui al comma
5, che al comma 7 è rimodulata in modo da
rendere ancora più conveniente, per gli
operatori interessati, l'effettuazione di
opere di bonifica
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 29.12.2011 n.
3366 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Lombardia,
Necessita aggiornare il costo di costruzione entro il
31.12.2011 il cui effetto sarà efficace a decorrere
dall'01.01.2012: ecco il fac-simile di determinazione (file
1 -
file 2).
ATTENZIONE:
se non si adotta la determinazione di aggiornamento entro la
suddetta scadenza per tutto il 2012 si dovrà
applicare il medesimo costo di costruzione vigente nell'anno
2011 (cfr. art. 48, comma 2, della L.R. n. 12/2005).
ALCUNE CONSIDERAZIONI:
lo
scorso 06.12.2011 l'ISTAT ha
pubblicato la nuova rilevazione relativa al
3° trimestre 2011 per cui -ad oggi- il dato ufficiale ISTAT è quello relativo alla
variazione del mese di agosto 2011, mentre quello di
settembre
2011 è ufficioso e, come tale, non utilizzabile (N.B.: per
controllare il dato in tempo reale
cliccare qui).
Pertanto, poiché il dato ufficioso di settembre 2011 sarà
ufficiale solamente col prossimo
aggiornamento trimestrale che sarà
pubblicato l'anno prossimo, si
può già sin d'ora adottare la
determinazione di aggiornamento del costo di costruzione
per l'anno 2012
senza aspettare gli ultimi giorni del mese
corrente col rischio di dimenticarsene (e, quindi, perdere soldi per le casse
comunali !!).
15.12.2011 - LA SEGRETERIA PTPL |
EDILIZIA
PRIVATA: Lombardia,
Necessita aggiornare il costo di costruzione entro il
31.12.2011 il cui effetto sarà efficace a decorrere
dall'01.01.2012: ecco il fac-simile di determinazione (file
1 -
file 2).
ATTENZIONE:
se non si adotta la determinazione di aggiornamento entro la
suddetta scadenza per tutto il 2012 si dovrà
applicare il medesimo costo di costruzione vigente nell'anno
2011 (cfr. art. 48, comma 2, della L.R. n. 12/2005).
ALCUNE CONSIDERAZIONI:
ad oggi, il dato ufficiale ISTAT è quello relativo alla
variazione del mese di maggio 2011, mentre quello di giugno
2011 è ufficioso e, come tale, non utilizzabile (N.B.: per
controllare il dato in tempo reale
cliccare qui).
Pertanto, si consiglia di adottare la
determinazione di aggiornamento del costo di costruzione,
per l'anno 2012, verso la fine di dicembre 2011
poiché è verosimile che entro il 31.12.2011 possa essere
pubblicato dall'ISTAT il dato ufficiale relativo a giugno
2011 ed avere, così, un valore maggiore (rispetto a maggio
2011) della variazione ISTAT per il calcolo del costo di
costruzione (e, quindi, non perdere soldi per le casse
comunali ...).
05.12.2011 - LA SEGRETERIA PTPL |
EDILIZIA PRIVATA: La
giurisprudenza amministrativa, a motivo
della natura di azione di accertamento e
condanna della domanda giudiziale volta ad
ottenere il rimborso degli oneri concessori,
opina che l’azione possa essere esperita
anche senza la previa impugnazione della
concessione edilizia.
Si è infatti condivisibilmente affermato che
“L'azione volta alla declaratoria del
diritto a vedersi restituite le maggiori
somme versate al Comune a titolo di oneri
concessori può essere proposta a prescindere
dall'impugnazione o dall'esistenza dell'atto
con il quale viene richiesto il pagamento,
trattandosi di un giudizio di accertamento
di un rapporto obbligatorio pecuniario” e
altresì che la domanda di restituzione degli
oneri concessori “può essere proposta nel
termine della prescrizione ordinaria ed
indipendentemente dall'impugnazione di
atti”, per cui riguardando diritti
soggettivi perfetti può essere proposta
nell’ordinario termine di prescrizione
anziché in quello di decadenza che astringe
l’impugnazione di atti.
Si è in tale ottica da ultimo affermato che
“la relativa controversia (devoluta alla
giurisdizione del giudice amministrativo già
dall'art. 16 della l. 28.01.977 n. 10) è un
giudizio di carattere civile relativo
all'esistenza o all'entità di
un'obbligazione legale”.
---------------
L’art. 7 della L. 25.03.1982, n. 94 che reca
il regime di gratuità dell’autorizzazione
edilizia –per gli immobili vincolati, della
concessione– non distingue tra uso
residenziale ed uso diverso degli immobili e
si applica indistintamente a qualsivoglia
intervento di restauro e risanamento
conservativo stando alla “applicazione della
citata norma che non distingue tra edifici
residenziali o meno”.
Il regime della autorizzazione edilizia
gratuita si sensi dell'art. 7 l. 25.03.1982
n. 94, trova applicazione anche per gli
interventi di restauro e risanamento
conservativo, così come definiti dall'art.
31, lett. c), l. 05.08.1978 n. 457, siano
essi afferenti ad edifici residenziali in
senso stretto ovvero ad edifici non
residenziali, ma comunque idonei allo
svolgimento di attività umane” .
L'art. 7, comma 1, l. 25.03.1982 n. 94,
secondo cui gli interventi di risanamento
conservativo sono sottoposti ad
autorizzazione gratuita, trova applicazione
non solo nel caso in cui il risanamento
concerna immobili destinati ad uso
residenziale, ma, anche per gli edifici
adibiti ad altri usi (nella specie uso
commerciale).
---------------
Sulle somme da restituire a titolo di oneri
concessori non spetta la rivalutazione
monetaria ma solo gli interessi: infatti, la
domanda di rivalutazione monetaria avanzata
con riferimento all'indebito pagamento di
oneri di urbanizzazione deve essere respinta
tenuto conto che l'obbligazione di
restituzione dell'indebito genera, ai sensi
dell'art. 2033 c.c., esclusivamente
l'obbligazione accessoria di interessi.
Deve in primo luogo scrutinarsi l’eccezione
di inammissibilità della domanda volta ad
ottenere la restituzione degli oneri
concessori versati per il rilascio della
concessione edilizia del 1985 sollevata dal
Comune nella memoria dell’08.04.2011 sul
rilievo che detta concessione non è stata
impugnata.
L’eccezione non ha pregio e va disattesa
poiché la giurisprudenza amministrativa a
motivo della natura di azione di
accertamento e condanna della domanda
giudiziale volta ad ottenere il rimborso
degli oneri in questione opina che l’azione
possa essere esperita anche senza la previa
impugnazione della concessione edilizia.
Si è infatti condivisibilmente affermato che
“L'azione volta alla declaratoria del
diritto a vedersi restituite le maggiori
somme versate al Comune a titolo di oneri
concessori può essere proposta a prescindere
dall'impugnazione o dall'esistenza dell'atto
con il quale viene richiesto il pagamento,
trattandosi di un giudizio di accertamento
di un rapporto obbligatorio pecuniario”
(TAR Puglia – Lecce, Sez. I. 07.04.2009, n.
686) e altresì che la domanda di
restituzione degli oneri concessori “può
essere proposta nel termine della
prescrizione ordinaria ed indipendentemente
dall'impugnazione di atti” (TAR Lazio,
Sez. II, 17.05.2005, n. 3844), per cui
riguardando diritti soggettivi perfetti può
essere proposta nell’ordinario termine di
prescrizione anziché in quello di decadenza
che astringe l’impugnazione di atti (TAR
Campania – Napoli IV, 13.09.2004 n. 11949).
Si è in tale ottica da ultimo affermato che
“la relativa controversia (devoluta alla
giurisdizione del giudice amministrativo già
dall'art. 16 della l. 28.01.977 n. 10) è un
giudizio di carattere civile relativo
all'esistenza o all'entità di
un'obbligazione legale” (TAR Lombardia –
Brescia, Sez. I, 02.11.2010, n. 4519).
---------------
Secondo
pacifica giurisprudenza, condivisa dal
Tribunale e contrariamente al lontano
precedente di cui a TAR Piemonte, Sez. I, n.
87/1994 dal quale il Collegio dissente,
l’art. 7 della L. 25.03.1982, n. 94 che reca
il regime di gratuità dell’autorizzazione
edilizia –per gli immobili vincolati, della
concessione– non distingue tra uso
residenziale ed uso diverso degli immobili e
si applica indistintamente a qualsivoglia
intervento di restauro e risanamento
conservativo stando alla “applicazione
della citata norma che non distingue tra
edifici residenziali o meno” (TAR
Toscana, Sez. II, 31.01.2000, n. 22).
Ancor più significativamente il Giudice
amministrativo, nel precedente correttamente
segnalato dalla difesa della ricorrente, ha
avuto modo di precisare che “Il regime
della autorizzazione edilizia gratuita si
sensi dell'art. 7 l. 25.03.1982 n. 94, trova
applicazione anche per gli interventi di
restauro e risanamento conservativo, così
come definiti dall'art. 31, lett. c), l.
05.08.1978 n. 457, siano essi afferenti ad
edifici residenziali in senso stretto ovvero
ad edifici non residenziali, ma comunque
idonei allo svolgimento di attività umane”
(TAR Liguria, Sez. I, 25.11.1999, n. 495;
contra TAR Piemonte, sez. I, 03.03.1994, n.
87).
Segnala il Collegio che il cennato principio
di gratuità era stato già espresso dal
Consiglio di Stato che aveva chiarito che “L'art.
7, comma 1, l. 25.03.1982 n. 94, secondo cui
gli interventi di risanamento conservativo
sono sottoposti ad autorizzazione gratuita,
trova applicazione non solo nel caso in cui
il risanamento concerna immobili destinati
ad uso residenziale, ma, anche per gli
edifici adibiti ad altri usi (nella specie
uso commerciale)” (Consiglio di Stato,
Sez. V, 24.07.1993, n. 799).
In accoglimento del presente motivo deve
dunque dichiararsi che illegittimamente il
Comune di Torino ha preteso in sede di
rilascio della C.E. n. 396/1985 il costo di
costruzione e gli oneri di urbanizzazione
per la porzione di immobile destinata a
terziario.
---------------
Si è affermato che sulle somme da restituire
a titolo di oneri concessori non spetta la
rivalutazione monetaria ma solo gli
interessi: “La domanda di rivalutazione
monetaria avanzata con riferimento
all'indebito pagamento di oneri di
urbanizzazione deve essere respinta tenuto
conto che l'obbligazione di restituzione
dell'indebito genera, ai sensi dell'art.
2033 c.c., esclusivamente l'obbligazione
accessoria di interessi” (Consiglio di
Stato, Sez. IV, 24.7.1993, n. 799; TAR
Emilia – Romagna, Parma, 07.04.1998, n. 149;
da ult. TAR Lombardia – Brescia, Sez. I,
02.11.2010, n. 4519)
(TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 01.12.2011 n. 1262 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
CONSIGLIO DI STATO/ Concessioni
edilizie. Il costo di costruzione segue
l'immobile.
Il costo di costruzione?
Segue l'immobile, non le persone. Chi chiede
la concessione edilizia ma poi la cede a un
terzo non può essere «inseguito» come
debitore dal Comune per il pagamento
dell'onere: è escluso, infatti, che si
configuri una responsabilità solidale tra
chi ha soltanto chiesto il titolo
abilitativo e chi lo ha concretamente
utilizzato.
È quanto emerge dalla
sentenza
30.11.2011 n. 6333 della V
Sez. del Consiglio di stato.
Si conclude con la netta sconfitta dell'ente
locale la controversia che riguarda un'area
edificabile in un comune brianzolo.
Ha sbagliato l'amministrazione per anni a «perseguitare»
il cittadino chiedendogli il versamento di
una somma in realtà non dovuta (la vicenda,
fra l'altro, ha origine quasi trentacinque
anni orsono). In base all'articolo 3 della
legge 10/1977 la concessione edilizia
comporta la corresponsione di un contributo
commisurato all'incidenza delle spese di
urbanizzazione e al costo di costruzione.
Dottrina e giurisprudenza sono concordi nel
ritenere che il costo di costruzione è una
prestazione patrimoniale di natura
impositiva e trova la sua ratio
nell'incremento patrimoniale che il titolare
del permesso di costruire consegue in
dipendenza dell'intervento edilizio: la
condizione di esigibilità, quindi, è la
sussistenza di un titolo abilitativo valido
ed efficace e la concreta fruizione del
titolo da parte del concessionario, vale a
dire la circostanza che la costruzione
risulti effettivamente realizzata; deve
pertanto essere escluso che chi ha chiesto
la voltura della concessione edilizia a un
terzo subito dopo l'ottenimento possa essere
ritenuto soggetto obbligato per legge al
versamento del contributo commisurato al
costo di costruzione: il cittadino del
comune brianzolo, nella specie, non ha
nemmeno ritirato il titolo.
Deve infine essere smentita anche l'ipotesi
di una responsabilità solidale successiva
alla voltura della concessione: la
solidarietà, infatti, si configura quando
più debitori sono per legge o per titolo
obbligati tutti per la stessa prestazione
(articolo 1292 Cc), sicché non c'è
solidarietà se manca in uno dei soggetti,
pur astrattamente collegati al rapporto, la
qualità di debitore.
Nel nostro caso è l'effettiva fruizione del
titolo edilizio che rappresenta il fatto
costitutivo della fonte dell'obbligazione
pecuniaria: chi non ha utilizzato il titolo
non assume neppure la qualifica di soggetto
coobbligato e, dunque, non è tenuto al
pagamento (articolo
ItaliaOggi del 16.02.2012). |
EDILIZIA PRIVATA: Nessun
obbligo solidale di pagamento del contributo
per il costo di costruzione in capo al
venditore che non ha usufruito della
concessione edilizia.
L’art. 3 della l. n. 10/1977 stabilisce che
la concessione edilizia comporta la
corresponsione di un contributo commisurato
all’incidenza delle spese di urbanizzazione
e al costo di costruzione.
La più accreditata dottrina e la
giurisprudenza hanno chiarito che il costo
di costruzione è una prestazione
patrimoniale di natura impositiva e trova la
sua ratio nell’incremento
patrimoniale che il titolare del permesso di
costruire consegue in dipendenza
dell’intervento edilizio. Essa, pertanto,
postula quale condizione di esigibilità la
sussistenza di un titolo abilitativo valido
ed efficace e la concreta fruizione del
titolo da parte del concessionario, ovvero
la effettiva attività di edificazione.
La causa giuridica del pagamento è, dunque,
nella fruizione dell’atto abilitativo
all’edificazione a mezzo della effettiva
realizzazione dell’intervento assentito. La
suddetta natura trova conferma nella
disposizione dell’art. 11 della l. n.
10/1977 e del vigente l’art. 16 del T.U.
dell’edilizia, che stabiliscono che la quota
di contributo per costo di costruzione,
determinata al momento del rilascio della
concessione, deve essere corrisposta in
corso d’opera o comunque non oltre 60 giorni
dall’ultimazione delle opere.
Ne consegue che qualora il richiedente il
titolo edilizio, non abbia mai usufruito
della concessione edilizia (nel caso di
specie non ha mai nemmeno ritirato il
titolo, avendone chiesto la voltura) non è
soggetto obbligato per legge a pagare il
contributo commisurato al costo di
costruzione (massima tratta da
www.gazzettaamministrativa.it - Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 30.11.2011 n. 6333 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La realizzazione dei parcheggi
obbligatori è esonerata dall'onere di
pagamento del contributo di urbanizzazione.
Il parcheggio eseguito da privato se
collegato alle disposizioni pianificatorie
generali dettate dai comuni non è soggetto
al contributo di urbanizzazione. Il
Consiglio di Stato ha respinto il ricorso
presentato da un comune che chiedeva a una
società di costruzioni la restituzione delle
somme percepite a titolo di contributo di
concessione edilizia.
Il collegio ricorda che la realizzazione dei
parcheggi obbligatori è esonerata dall'onere
di pagamento del contributo di
urbanizzazione, mentre quelli costruiti in
aree private per libera scelta speculativa
di un imprenditore rappresentano una
modificazione edilizia del territorio
realizzata su domanda del soggetto
interessato, assimilabile a tutte le altre
forme di edificazione soggette quindi a
concessione e ai relativi oneri. In questo
caso però l’opera è stata eseguita in
attuazione di strumenti urbanistici: la
pertinenzialità con l’atto pubblico di
costituzione di vincolo a parcheggio è
quindi indiscutibile.
La disposizione che governa la fattispecie è
quella di cui all’art. 11, comma 1, della
legge 24.03.1989, n. 122 che così prevede: “Le
opere e gli interventi previsti dalla
presente legge costituiscono opere di
urbanizzazione anche ai sensi dell'articolo
9, primo comma, lettera f) , della legge
28.01.1977, n. 10”.
Il richiamo ivi contenuto a tale ultima
disposizione (“il contributo di
concessione non è dovuto: per gli impianti,
le attrezzature, le opere pubbliche o di
interesse generale realizzate dagli enti
istituzionalmente competenti nonché per le
opere di urbanizzazione, eseguite anche da
privati, in attuazione di strumenti
urbanistici”) consente di ricomprendere
i parcheggi in tale esenzione.
Tale disposizione, peraltro, non risulta
abrogata –come inesattamente sostenuto
dall’appellante amministrazione- ma è stata
riconfermata nella sua validità dal d.p.r.
06.06.2001 n. 380.
La pertinenzialità del parcheggio eseguito
(come da progetto) dall’appellata è evidente
in relazione all’atto di destinazione
contenuto nell’ atto pubblico di
costituzione di vincolo a parcheggio del
07.02.2001 né sussiste– o è stato anche
soltanto prospettato- elemento alcuno che
possa indurre a dubitare della costituzione
del vincolo mercé il soprarichiamato atto
pubblico.
Si rammenta peraltro che per pacifica e
risalente giurisprudenza di questo Consiglio
di Stato la realizzazione dei parcheggi
obbligatori è esonerata dall'onere di
pagamento del contributo di urbanizzazione
(Consiglio Stato, sez. V, 14.10.1992, n.
987) mentre di converso si è rilevato che i
parcheggi costruiti in aree private per
libera scelta speculativa di un imprenditore
rappresentano una modificazione edilizia del
territorio realizzata su domanda del
soggetto interessato, assimilabile a tutte
le altre forme di edificazione soggette a
concessione e ai relativi oneri (Consiglio
Stato, sez. V, 22.12.2005, n. 7344)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 22.11.2011 n. 6154 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Oneri di urbanizzazione: rileva la tipologia
dell'attività che vi verrà svolta.
Ai fini della determinazione degli oneri di
urbanizzazione rileva non già l'immobile in
sé considerato, bensì la tipologia economica
dell'attività che in esso viene svolta in
quanto quest'ultima consente di spiegare la
qualità dello scambio di utilità e vantaggi
che si realizza tra la collettività locale e
il concessionario che realizza la
ristrutturazione edilizia dell'immobile, al
cui interno si svolgerà una determinata
attività economica.
Dal punto di
vista della determinazione degli oneri di
urbanizzazione, infatti, ciò che rileva non
è l’immobile in sé considerato, ma la
tipologia economica dell’attività che in
esso viene svolta.
È la tipologia economica dell’attività
svolta che consente di spiegare la qualità
dello scambio di utilità e vantaggi che si
realizza tra la collettività locale, di cui
è espressione politico–amministrativa il
Comune, e il concessionario che realizza la
ristrutturazione edilizia dell’immobile, al
cui interno si svolgerà una determinata
attività economica.
Per determinare i parametri da applicare è
logico cercare di analizzare quale è la
caratterizzazione complessiva e prevalente
dell’attività economica che viene condotta
nell’immobile. Ed è del tutto normale
nell’assetto organizzativo di attività di
produzione industriale che nei complessi
immobiliari con tale vocazione siano
inseriti uffici, con compiti di direzione,
progettazione, controllo contabile e
finanziario, ecc., che svolgono funzioni
chiaramente strumentali e funzionali
rispetto alla produzione del bene
industriale destinato poi alla fase di
commercializzazione
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 11.11.2011 n.
5974 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Oneri di urbanizzazione, rileva
la tipologia dell'attività che vi verrà
svolta.
Ai fini della determinazione
degli oneri di urbanizzazione rileva non già
l'immobile in sé considerato, bensì la
tipologia economica dell'attività che in
esso viene svolta in quanto quest'ultima
consente di spiegare la qualità dello
scambio di utilità e vantaggi che si
realizza tra la collettività locale e il
concessionario che realizza la
ristrutturazione edilizia dell'immobile, al
cui interno si svolgerà una determinata
attività economica. Dal punto di vista della
determinazione degli oneri di
urbanizzazione, infatti, ciò che rileva non
è l' immobile in sé considerato, ma la
tipologia economica dell'attività che in
esso viene svolta.
È la tipologia economica dell'attività
svolta che consente di spiegare la qualità
dello scambio di utilità e vantaggi che si
realizza tra la collettività locale, di cui
è espressione politico-amministrativa il
Comune, e il concessionario che realizza la
ristrutturazione edilizia dell'immobile, al
cui interno si svolgerà una determinata
attività economica.
Per determinare i parametri da applicare è
logico cercare di analizzare quale è la
caratterizzazione complessiva e prevalente
dell'attività economica che viene condotta
nell'immobile.
Ed è del tutto normale nell'assetto
organizzativo di attività di produzione
industriale che nei complessi immobiliari
con tale vocazione siano inseriti uffici,
con compiti di direzione, progettazione,
controllo contabile e finanziario, ecc., che
svolgono funzioni chiaramente strumentali e
funzionali rispetto alla produzione del bene
industriale destinato poi alla fase di
commercializzazione.
Il giudice di primo grado ha dunque
correttamente cercato di verificare, su basi
analitiche certe, quale fosse in concreto la
tipologia dell'attività economica svolta
nell'immobile in questione.
La relazione tecnica redatta dal
progettista, ha fornito sufficienti elementi
per far ritenere che nella porzione
immobiliare in questione si svolge in via
prevalente un'attività direttamente e
strumentalmente collegata al ciclo
produttivo, trattandosi di spazi destinati
ad "uffici dei responsabili di tale
attività.... strettamente connessi con
l'attività di ricerca ed integrati
all'interno del complesso produttivo"
(commento tratto da www.ispoa.it -
Consiglio
di Stato, Sez. V,
sentenza 11.11.2011 n. 5974 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il rilascio del permesso di
costruire obbliga alla corresponsione di un
contributo commisurato in parte
all’incidenza degli oneri di urbanizzazione
e in parte al costo di costruzione, avendo
gli oneri di urbanizzazione lo scopo di
ridistribuire i costi sociali delle opere
rese necessarie dall’aggravamento del carico
urbanistico che il nuovo intervento
determina e atteggiandosi il costo di
costruzione come l’espressione
dell’incremento di valore della proprietà
immobiliare privata per effetto
dell’utilizzazione edificatoria del
territorio; ove, però, il titolare del
permesso di costruire si impegni a
realizzare in tutto o in parte le opere di
urbanizzazione, i relativi oneri vengono
proporzionalmente scomputati dal contributo
dovuto, tenendosi a tale fine conto delle
percentuali di incidenza fissate a livello
comunale sulla base delle apposite tabelle
regionali.
Al diverso aspetto del reperimento delle
aree necessarie alla realizzazione delle
opere di urbanizzazione –ove imposto al
privato– attiene poi la c.d.
“monetizzazione” sostitutiva
dell’obbligatoria cessione degli standard,
che è dunque cosa diversa dallo “scomputo”
spettante sugli oneri di urbanizzazione in
conseguenza della realizzazione diretta
delle relative opere.
A norma dell’art. 16 del d.P.R. n. 380 del
2001 (e del pregresso art. 3 della legge n.
10 del 1977), il rilascio del permesso di
costruire (in precedenza, concessione
edilizia) obbliga alla corresponsione di un
contributo commisurato in parte
all’incidenza degli oneri di urbanizzazione
e in parte al costo di costruzione, avendo
gli oneri di urbanizzazione –la cui
incidenza è stabilita in sede locale sulla
base di tabelle parametriche regionali– lo
scopo di ridistribuire i costi sociali delle
opere rese necessarie dall’aggravamento del
carico urbanistico che il nuovo intervento
determina e atteggiandosi il costo di
costruzione come l’espressione
dell’incremento di valore della proprietà
immobiliare privata per effetto
dell’utilizzazione edificatoria del
territorio; ove, però, il titolare del
permesso di costruire si impegni a
realizzare in tutto o in parte le opere di
urbanizzazione, i relativi oneri vengono
proporzionalmente scomputati dal contributo
dovuto, tenendosi a tale fine conto delle
percentuali di incidenza fissate a livello
comunale sulla base delle apposite tabelle
regionali.
Al diverso aspetto del reperimento delle
aree necessarie alla realizzazione delle
opere di urbanizzazione –ove imposto al
privato– attiene poi la c.d. “monetizzazione”
sostitutiva dell’obbligatoria cessione degli
standard, che è dunque cosa diversa dallo “scomputo”
spettante sugli oneri di urbanizzazione in
conseguenza della realizzazione diretta
delle relative opere (v., tra le altre,
Cons. Stato, Sez. IV, 16.02.2011 n. 1013)
(TAR Emilia Romagna-Parma,
sentenza 08.11.2011 n. 380 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Concessioni e permessi edilizi,
contenzioso solo creditizio. Il giudizio non
ha ad oggetto la determinazione
amministrativa.
Nelle controversie aventi
a oggetto gli obblighi di pagamento dei
contributi afferenti alle concessioni ed ai
permessi edilizi, il giudizio non ha
carattere impugnatorio, ancorché esso sia
proposto, formalmente, come contestazione di
una determinazione amministrativa, in quanto
mira ad accertare la sussistenza o la misura
del credito vantato dal Comune.
Costituisce
indirizzo consolidato che, nelle
controversie aventi a oggetto gli obblighi
di pagamento dei contributi afferenti alle
concessioni ed ai permessi edilizi, il
giudizio non ha carattere impugnatorio,
ancorché esso sia proposto, formalmente,
come contestazione di una determinazione
amministrativa, in quanto mira ad accertare
la sussistenza o la misura del credito
vantato dal Comune.
Ne deriva che il ricorso può essere
correttamente proposto nel termine di
prescrizione del diritto, e dunque anche
dopo che siano trascorsi più di sessanta
giorni dalla conoscenza, da parte
dell'interessato, dell'atto con cui
l'amministrazione ha quantificato i
contestati contributi, richiedendone il
pagamento.
Da ciò discende che nella specie alcuna
rilevanza poteva avere, ai fini dell'esaminabilità
nel merito delle censure svolte dal
ricorrente, il dato storico della mancata
impugnazione del pregresso atto
determinativo degli oneri dovuti (commento tratto da www.ipsoa.it - Consiglio di Stato,
Sez. IV,
sentenza 04.11.2011 n.
5852 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
costo di costruzione c'è. Dall'ingrosso al
dettaglio, il commerciante paga. Sentenza
del Consiglio di stato: l'onere rimane,
anche senza lavori edilizi.
Il costo di costruzione
previsto dagli oneri di urbanizzazione
imposti ai commercianti dalla legge
cosiddetta «Bucalossi» è dovuto in quota
corrispondente anche se nei locali non sono
stati effettuati interventi edilizi per
consentire il passaggio dalla vendita
all'ingrosso a quella al dettaglio.
Lo precisa la
sentenza
14.10.2011 n. 5539 dalla IV Sez. del
Consiglio di Stato.
Trasformazione e vantaggio.
L'impresa che ha sede nell'area urbana
destinata all'industria e all'artigianato è
«pizzicata» dal Comune: il cambio di
destinazione d'uso realizzato nei locali con
il «via» alla vendita al dettaglio
non risulta autorizzato nell'ambito della
concessione ottenuta. Scatta così la
rideterminazione degli oneri di
urbanizzazione, primaria e secondaria. Che
tuttavia il commerciante non contesta.
Ciò
che non vuole pagare l'azienda, che per
ironia della sorte vende prodotti per
l'edilizia, sono i costi di costruzione. E
la motivazione è che non sono stati
realizzati lavori per aprire la vendita al
pubblico: l'ampiezza della superficie «dedicata»
non è cambiata. Ma la censura non coglie nel
segno.
È vero: il contributo relativo al costo di
costruzione di cui alla legge Bucalossi è
riconducibile all'attività costruttiva
considerata in sé. Ma attenzione, si tratta
di un prelievo che ha natura paratributaria:
il corrispettivo è comunque dovuto in
presenza di una «trasformazione edilizia»
produce vantaggi economici connessi
all'utilizzazione. E ciò indipendentemente
dall'esecuzione fisica di opere. Con il
passaggio dall'ingrosso al dettaglio si
verifica un mutamento d'uso rilevante
nell'esercizio commerciale: si tratta,
infatti, di due categorie funzionalmente
autonome dal punto di vista urbanistico e la
trasformazione determina comunque un aumento
del cosiddetto «carico urbanistico».
Scorporo impossibile.
La mancata realizzazione di opere edilizie
all'interno dei locali è irrilevante. Il
passaggio dall'ingrosso al dettaglio
comporta maggiori oneri sociali delle opere
di urbanizzazione e fa perciò insorgere il
presupposto imponibile per la debenza del
contributo concessorio comprensivo della
quota relativa al costo di costruzione: ne
consegue che l'utilizzatore del beneficio
deve pagare la differenza tra gli oneri di
urbanizzazione già corrisposti per la
destinazione d'uso originaria e quelli, se
più elevati come nel caso di specie, dovuti
per la nuova destinazione impressa
all'immobile.
E il contributo concessorio
così rideterminato comprende necessariamente
anche il costo di costruzione
(articolo ItaliaOggi del 18.10.2011). |
EDILIZIA PRIVATA:
Natura giuridica ed esigibilità dei
contributi per il rilascio del permesso di
costruire ex art. 16 T.U. dell’edilizia.
La voltura del titolo edilizio implica la
liberazione del cedente dall’obbligo di
corrispondere gli oneri di urbanizzazione e
il contributo di costruzione, laddove il
cedente medesimo non abbia realizzato,
neppure in minima parte, la costruzione
degli edifici assentiti.
E’ questo il principio espresso dal
C.G.A.R.S. con
sentenza
13.10.2011 n. 666.
Il ricorrente aveva ottenuto, nel 1985, una
concessione edilizia per la costruzione di 4
palazzine, senza dare inizio ad alcuna
edificazione.
In seguito, aveva ceduto il terreno e
l’annessa facoltà di edificare ad una
società, la quale aveva costruito 3 delle 4
palazzine originariamente previste.
Pertanto, il comune chiedeva all’originario
ricorrente-cedente il pagamento degli oneri
di costruzione e di urbanizzazione,
ritenendo che la cessione della concessione
edilizia comportasse un vincolo di
solidarietà delle parti della cessione.
Il TAR Catania adito, accoglieva il
ricorso sottolineando come la voltura del
titolo edilizio aveva determinato la
liberazione del cedente dall’obbligo di
corrispondere gli oneri di concessione ed il
contributo di costruzione poiché
quest’ultimo non aveva realizzato, neppure
in minima parte, la costruzione degli
edifici. Ed infatti ad avviso del T.A.R. di
Catania, il presupposto di esigibilità di
questi oneri doveva essere individuato nella
materiale trasformazione urbanistica del
territorio.
Avverso la sentenza proponeva appello il
Comune.
Il C.G.A. adito, preliminarmente precisava
come per gli oneri concessori in oggetto,
trovava applicazione il termine di
prescrizione decennale, e non quello
quinquennale indicato dai giudici del primo
grado.
Nel merito del ricorso, condivideva le
motivazioni espresse dal TAR Catania,
sottolineando come “L’esercizio del potere
di edificare costituirebbe, dunque, il
necessario presupposto di esigibilità del
credito, non potendosi rimettere il sorgere
dell’obbligazione al solo possesso del
titolo edilizio”.
Inoltre, il Collegio effettuava una
particolare analisi sulla natura
pubblicistica dei contributi previsti
dall’articolo 16 del T.U. dell’edilizia
precisando che “La natura giuridica di
corrispettivo di diritto pubblico di
entrambi i contributi in questione comporta
l’applicabilità del tutto recessiva dei
principi civilistici dell’accollo, mancando
tra l’altro un vincolo pattizio alla base,
necessario ai sensi dell’art. 1273 c.c.
I contributi in questione vanno, dunque, più
correttamente inquadrati nell’ambito delle
prestazioni patrimoniali imposte, con la
conseguenza che non può prescindersi da
un’espressa previsione di legge.
In altri termini, pur non caratterizzandosi
per la causa impositionis tipica dei
tributi, bensì per la presenza dell’elemento
formale dell’imposizione, trattandosi di
prestazioni patrimoniali all'Ente
autoritativamente determinate, va
salvaguardata, nell’individuazione di tali
corrispettivi di diritto pubblico,
l’esigenza di rispettare l’art. 23 Cost.,
secondo il quale nessuna prestazione
patrimoniale può essere imposta se non in
base alla legge.[…]
Ne consegue, in definitiva, che, non
offrendo la legge, che ne disciplina il
regime, alcun indicatore normativo speciale
che faccia ritenere comunque applicabile la
disciplina civilistica della solidarietà
derivante dalla fattispecie dell’accollo, la
parte cedente che non ha iniziato
l’edificazione e quindi non abbia
realizzato, neppure in minima parte, la
costruzione degli edifici, viene a trovarsi
liberata, in virtù della voltura del titolo
edilizio, dall’obbligo di corrispondere gli
oneri di concessione ed il contributo di
costruzione di cui alla l. n. 10 del 1977,
non essendosi verificato il presupposto di
esigibilità del credito pubblico, ovvero la
materiale trasformazione urbanistica del
territorio”.
In conclusione, secondo i giudici siciliani,
il vincolo di solidarietà sussiste nella
sola ipotesi in cui l’edificazione abbia
avuto consistenza in capo al dante causa e
al cessionario, in quanto in tal caso il
presupposto di esigibilità degli oneri, e
cioè la materiale trasformazione urbanistica
del territorio, si realizza in capo ai due
autori (commento tratto da
www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Mutamento di
destinazione d'uso - Oneri di urbanizzazione
- Supplemento di contributo urbanistico - In
caso di aumento del carico urbanistico -
Legittimità.
In caso di mutamento della destinazione
d'uso dell'immobile -nel caso di specie da
residenza a studio medico- che comporti un
incremento del carico urbanistico è
legittima la richiesta della P.A. circa la
corresponsione di un supplemento del
contributo pari alla differenza tra il
contributo previsto per la nuova
destinazione e quello relativo alla
precedente (cfr. TAR Milano, sent. n.
2989/2006, 1115/2005, 1100/2005, 145/2005)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza
20.09.2011 n.
2236 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
OGGETTO: Assoggettabilità di un intervento edilizio al
pagamento del contributo di costruzione.
Il Comune -in riferimento ad una Comunicazione pervenuta al
Suo Ufficio per l’esecuzione di opere interne, manutenzione
straordinaria, impiantistica, parziale modifica alle
forature esterne e finiture interne ed esterne, ecc. su di
un edificio che in precedenza, con una variazione catastale
e senza esecuzione di opere edilizie, è stato trasformato da
bifamiliare ad unifamiliare- chiede, in considerazione di
quanto stabilito dall’art. 17, comma 3, del D.P.R. n.
380/2001 che inserisce nei casi di permesso di costruire
gratuito interventi di ristrutturazione di edifici
unifamiliari, se “gli interventi edilizi che prevedono
l’accorpamento con opere di più unità immobiliari in un
unico organismo (da bifamiliare ad unifamiliare) mantenendo
la stessa destinazione d’uso (residenziale) sono
qualificabili come interventi di ristrutturazione edilizia e
sono comunque assoggettabili agli oneri di costruzione”
(Regione Marche,
parere 12.09.2011 n. 210/2011). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Quantificazione
oneri concessori - Possibilità del privato
di versare la maggiore somma da lui
quantificata - Sussiste - Possibilità di
revisione dell'importo per volontà
unilaterale del privato - Non sussiste - Ratio.
2. Concessione di
costruzione - Contributi - Pagamento -
Ritardo - Escussione fideiussione - Obbligo
della P.A. - Non sussiste - Ratio.
3. Concessione di
costruzione - Contributi - Diritto di
credito della P.A. - Termine di prescrizione
decennale.
4. Concessione di
costruzione - Contributi - Pagamento -
Ritardo o omissione - Sanzioni pecuniarie -
Termine di prescrizione quinquennale.
5. Concessione di
costruzione - Contributi - Pagamento -
Omissione - Sanzioni pecuniarie - Termine di
prescrizione quinquennale - Dies a quo.
6. Oblazione e
oneri concessori - Controversie in tema di
corretta quantificazione - Attengono a
diritti soggettivi delle parti -
Configurabilità del vizio di difetto di
motivazione - Non sussiste - Ratio.
1. Qualora si verta in tema di diritti
disponibili, la parte promittente può
liberamente assumere impegni patrimoniali a
prescindere da un obbligo normativo o,
comunque, più onerosi rispetto a quelli
astrattamente previsti dalla legge (cfr.
Cons. di Stato, sent. n. 4015/2005, n.
1209/1999; TAR Milano, sent. n.
196/2010): in particolare, a fronte di un
atto con cui il privato ha quantificato
l'ammontare del contributo dovuto per il
rilascio di un permesso di costruire ed ha
assunto con la P.A. l'impegno a versare la
somma così quantificata, non è, quindi,
consentito alla parte promittente porre
unilateralmente in discussione, in un
momento successivo, quanto da essa stessa
dichiarato e sottrarsi ad obblighi
liberamente assunti, a meno che faccia
valere una causa di invalidità o un motivo
di risoluzione dell'accordo.
2. A fronte del ritardato pagamento degli
oneri concessori, la P.A. non ha un obbligo
di attivarsi nei confronti del garante per
il recupero di quanto dovuto (cfr. TAR,
Milano, sent. n. 4405/2009, n. 4306/2009;
Cons. di Stato, sent. n. 4419/2007, n.
6345/2005; TAR Salerno, sent.n.
1936/2008).
Infatti, la fideiussione che
accompagna la rateizzazione del pagamento
degli oneri di urbanizzazione non ha la
finalità di agevolare l'adempimento del
soggetto obbligato al pagamento, bensì
costituisce una garanzia personale prestata
unicamente nell'interesse della P.A., sulla
quale non incombe, quindi, alcun obbligo di
preventiva escussione del fideiussore; la
garanzia sussidiaria serve a scongiurare che
il Comune possa irrimediabilmente perdere
una entrata di diritto pubblico, ma non
alleggerisce affatto la posizione del
soggetto tenuto al pagamento, né attenua i
doveri di diligenza sullo stesso incombenti,
né estingue di per sé l'obbligazione
principale (cfr. Cons. di Stato, sent. n.
6345/2005).
3. Il diritto di credito della P.A. comunale
avente ad oggetto il pagamento del
contributo dovuto per il rilascio della
concessione edilizia è soggetto
all'ordinario termine decennale di
prescrizione, decorrente dalla data di
rilascio della concessione edilizia (cfr.
Cons. di Stato, sent. n. 2686/2008, n.
4302/2000).
4. Le sanzioni pecuniarie previste all'art.
42, D.P.R. n. 380/2001 per i casi di
ritardato o omesso versamento del contributo
di costruzione sono soggette -in mancanza
di una diversa disciplina legale- al
termine di prescrizione di cinque anni
stabilito dall'art. 28, Legge n. 689/1981
(cfr. Cass. Civ., sent. n. 23633/2006;
TAR Cagliari, sent. n. 70/2008; TAR,
Salerno, sent. n. 647/2005; TAR
Catanzaro, sent. n. 1514/2001; TAR
Catania, sent. n. 701/2006).
5. In caso di omesso pagamento del
contributo, il dies a quo del termine di
prescrizione quinquennale va individuato
nella scadenza del termine di 240 giorni
successivi alla data prevista per il
pagamento del contributo (cfr. TAR
Potenza, sent. n. 141/2008).
6. Le controversie relative all'an ed
al quantum delle somme dovute a
titolo di oblazione e di oneri concessori,
riservate dalla legge alla giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo,
riguardano diritti soggettivi delle parti,
rispetto alle quali non è configurabile il
vizio di difetto di motivazione: infatti, le
operazioni di corretta quantificazione
dell'oblazione e degli atti concessori si
esauriscono in una mera operazione materiale
che, se errata, può comportare soltanto la
violazione dei criteri fissati dalla
normativa ovvero dalla P.A. con norme di
natura regolamentare e, quindi, la
sussistenza del solo vizio di violazione di
legge, potendo l'interessato, sulla base dei
predetti criteri generali, contestare
l'erroneità della quantificazione operata
dalla P.A., evidenziando ad esempio
l'erroneità dei calcoli ovvero dei
presupposti di fatto o di diritto (cfr.
Cons. di Stato, sent. n. 4217/2000; TAR
Milano, sent. n. 97/2011 e n. 4455/2009)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 08.09.2011 n.
2189 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La destinazione
urbanistica della zona non rileva ai fini
del cambio di destinazione d'uso
dell’immobile ivi localizzato, che ha
assunto una utilizzazione economica diversa
(quella commerciale), che giustifica il
pagamento delle spese di urbanizzazione ai
sensi dell'art. 9, lett. b), della L. n.
10/1977.
Con il
secondo motivo si sostiene che il cambio di
destinazione d'uso dell'immobile, da
magazzino ad attività commerciale, non
avrebbe giustificato il pagamento delle
spese di urbanizzazione per la nuova
destinazione perché l'immobile ricadrebbe in
zona M/2 destinata ad attrezzature di
servizi generali e locali, e quindi, il
mutamento di destinazione non era soggetto a
concessione edilizia ma a mera
autorizzazione.
La censura è infondata perché la
destinazione urbanistica della zona non
rileva ai fini del cambio di destinazione
d'uso dell’immobile ivi localizzato, che ha
assunto una utilizzazione economica diversa
(quella commerciale), che giustifica il
pagamento delle spese di urbanizzazione ai
sensi dell'art. 9, lett. b), della L. n.
10/1977
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 01.09.2011 n. 4906 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
contributo per gli oneri di urbanizzazione è
da qualificare in termini di corrispettivo
di diritto pubblico, di natura non
tributaria, posto a carico del costruttore a
titolo di partecipazione ai costi delle
opere di urbanizzazione in proporzione
all'insieme dei benefici che la nuova
costruzione ne ritrae; in particolare, tale
contributo, assolve all'obiettivo di
ridistribuire i costi sociali di tali opere
avuto riguardo all'aggravamento del carico
urbanistico che l'intervento considerato
andrà a determinare nella specifica zona in
cui è destinato a ricadere. Su tali basi si
esclude, dunque, che il suddetto contributo
sia dovuto in tutti quei casi in cui
l'intervento non sia idoneo a determinare un
aggravio del carico urbanistico della zona.
---------------
Sulle somme versate in eccedenza per oneri
di urbanizzazione l'amministrazione è tenuta
a computare i soli interessi legali e non
anche la rivalutazione monetaria; ciò in
quanto l'obbligazione di restituzione in
argomento genera, infatti, ai sensi
dell'art. 2033 c.c. esclusivamente
l'obbligazione accessoria di interessi
legali ma non anche quella di rivalutazione
monetaria, riconducibile alla diversa
ipotesi di inadempimento dell’obbligazione
pecuniaria.
Come evidenziato dalla consolidata
giurisprudenza anche del giudice d’appello,
il contributo per gli oneri di
urbanizzazione è da qualificare in termini
di corrispettivo di diritto pubblico, di
natura non tributaria, posto a carico del
costruttore a titolo di partecipazione ai
costi delle opere di urbanizzazione in
proporzione all'insieme dei benefici che la
nuova costruzione ne ritrae; in particolare,
tale contributo, assolve all'obiettivo di
ridistribuire i costi sociali di tali opere
avuto riguardo all'aggravamento del carico
urbanistico che l'intervento considerato
andrà a determinare nella specifica zona in
cui è destinato a ricadere (Cons. St., sez.
IV, 15.07.2009, n. 4439; Cons. St., sez. V,
26.03.2009, n. 1804; Cons. St., sez. V,
25.05.1995, n. 822).
Su tali basi si esclude, dunque, che il
suddetto contributo sia dovuto in tutti quei
casi in cui l'intervento non sia idoneo a
determinare un aggravio del carico
urbanistico della zona (cfr. TRGA - Sezione
Autonoma di Bolzano, 06.03.2000, n. 59).
Tali principi sono stati recepiti dalla
legislazione regionale e, infatti, l’art.
81, comma 5, della l.r. n. 61 del 1985, ha
previsto che “in caso di modifiche della
destinazione d' uso o di ampliamenti del
volume o della superficie utile di
calpestio, sia che si tratti di nuova
concessione o di variante in corso d'opera,
il contributo è riferito alla parte di nuova
edificazione e, in caso di mutamento della
destinazione d' uso, alla differenza fra il
nuovo uso e il precedente”.
---------------
É infatti noto
che sulle somme versate in eccedenza per
oneri di urbanizzazione l'amministrazione è
tenuta a computare i soli interessi legali e
non anche la rivalutazione monetaria (cfr.
Cons. Stato, sez. V, 22.01.1987 n. 24; TAR
Emilia Romagna, Bologna, sez. I, 07.03.1990
n. 190); ciò in quanto l'obbligazione di
restituzione in argomento genera, infatti,
ai sensi dell'art. 2033 c.c. esclusivamente
l'obbligazione accessoria di interessi
legali ma non anche quella di rivalutazione
monetaria, riconducibile alla diversa
ipotesi di inadempimento dell’obbligazione
pecuniaria (cfr. Corte Cass. Civ., SS. UU.,
05.07.1991 n. 7436; Cons. Stato, sez. V,
16.03.1987 n. 198, 27.12.1988 n. 852,
07.04.1989 n. 195, 16.05.1989 n. 291,
03.05.1991 n. 728, 31.10.1992 n. 1145 e
24.07.1993 n. 799; TAR Abruzzo, Pescara,
31.01.1994 n. 10; TAR Toscana, sez. Il,
22.06.1994 n. 225; TAR Molise, 20.12.1995 n.
284; TAR Marche, 22.02.1996 n. 259; TAR
Lombardia, Milano, 04.07.1996 n. 1063)
(TAR
Veneto, Sez. II,
sentenza 12.08.2011 n. 1360 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Anche
le società possono configurarsi come
imprenditori agricoli a titolo principale ed
usufruire, quindi, dei benefici previsti per
i soggetti rientranti in tale categoria. A
questo riguardo va rilevato che il
regolamento comunitario n. 797 del 1985,
relativo al miglioramento dell’efficienza
delle strutture agrarie, ricomprende
esplicitamente nella sua sfera di
applicazione anche le persone giuridiche,
qualora rispondano a determinati requisiti
fissati nello stesso regolamento e alla
definizione, demandata alla legge nazionale,
di imprenditore agricolo a titolo
principale.
Orbene, nella legislazione italiana non è
enunciata la nozione di imprenditore
agricolo a titolo principale, con
riferimento alle «persone diverse dalle
persone fisiche». Come già rilevato da
questo Consiglio in fattispecie analoga, in
tale silenzio, sarebbe tuttavia illegittimo
negare l'attribuzione di un beneficio a
coloro, ivi comprese le società, che la
stessa normativa comunitaria riconosce come
potenziali titolari del diritto al
conseguimento del beneficio medesimo.
Diversamente opinando si potrebbe verificare
una disparità di trattamento all’interno
della Comunità europea fra soggetti
destinatari dello stesso beneficio.
La società ricorrente sostiene, in
difformità a quanto ritenuto dal Comune di
Menfi, di avere diritto, con riguardo alla
struttura realizzata, all’esonero dal
pagamento degli oneri concessori.
L’esenzione dal contributo di concessione,
prevista dalla lett. a) dell’art. 9 della l.
10/1977, come riproposto all’art. 17
D.P.R.380/2001, è posta in ragione della
destinazione dell’immobile alla conduzione
del fondo e alle esigenze dell’imprenditore
agricolo a titolo principale. In tale
categoria può e deve essere ricompreso
–sussistendo gli altri presupposti- non solo
l’imprenditore agricolo/persona fisica, ma
anche tanto la persona giuridica.
La censura merita condivisione, secondo
l’orientamento del Consiglio di Stato da cui
la Sezione ritiene di non doversi discostare
(cfr. Consiglio di Stato Sez. V, 30.08.2005
n. 4424), quantunque si registrano in primo
grado differenti orientamenti che danno
tuttavia atto della opinabilità di una
diversa ricostruzione dell’istituto qui in
evidenza (cfr. TAR Piemonte Torino, sez. I,
01.03.2010, n. 1302).
In primo luogo, come già anticipato in sede
cautelare, dalla documentazione versata in
atti risulta provata la natura “agricola”
della società ricorrente, precondizione
sottolineata dalla stessa Amministrazione al
fine di dare applicazione alle norme di
legge che consentono lo sgravio per il
pagamento degli oneri quali contributo di
concessione.
Né appare incontestabile la società
ricorrente possa ritenersi imprenditore
agricolo a titolo principale e professionale
in quanto uno dei soci amministratori
esercita attività dedica all’attività
agricola –direttamente o nella qualità di
socio- almeno del 50% del proprio tempo di
lavoro complessivo e ricava in specie il
100% del proprio reddito globale di lavoro.
Come già premesso, sul punto centrale della
questione –relativa all’ambito di
operatività dell’art. 9, comma 1, lett. A)
della l. 10/1977- il Consiglio di Stato, in
contrario avviso al giudice di prime cure,
ha chiarito che “anche le società possono
configurarsi come imprenditori agricoli a
titolo principale ed usufruire, quindi, dei
benefici previsti per i soggetti rientranti
in tale categoria (cfr. Cons. Stato, Sez. IV,
28.10.1996, n. 1156). A questo riguardo va
rilevato che il regolamento comunitario n.
797 del 1985, relativo al miglioramento
dell’efficienza delle strutture agrarie,
ricomprende esplicitamente nella sua sfera
di applicazione anche le persone giuridiche,
qualora rispondano a determinati requisiti
fissati nello stesso regolamento e alla
definizione, demandata alla legge nazionale,
di imprenditore agricolo a titolo
principale.
Orbene, nella legislazione italiana (cfr. in
particolare artt. 12 e 13 della L.
09.05.1975 n. 153; art. 8 della L.
10.05.1976 n. 352 e allegato all'art. 2
della L. reg. Piemonte 28.10.1986 n. 44) non
è enunciata la nozione di imprenditore
agricolo a titolo principale, con
riferimento alle «persone diverse dalle
persone fisiche». Come già rilevato da
questo Consiglio in fattispecie analoga, in
tale silenzio, sarebbe tuttavia illegittimo
negare l'attribuzione di un beneficio a
coloro, ivi comprese le società, che la
stessa normativa comunitaria riconosce come
potenziali titolari del diritto al
conseguimento del beneficio medesimo.
Diversamente opinando si potrebbe verificare
una disparità di trattamento all’interno
della Comunità europea fra soggetti
destinatari dello stesso beneficio. (cfr.
Cons. Stato, VI Sez., 31.12.1987 n. 1057 e
21.11.1988 n. 1247; cfr. anche Cass. civ., I
Sez., 20.04.1995 n. 4451 e Comm. centrale
imposte sez. XVI, 07.07.1994 n. 2511)”.
I principi appena esporsi hanno trovato
riscontro anche in sede comunitaria, laddove
si è affermato che una diversità di
trattamento tra soggetti giuridici
dell’ordinamento, basata esclusivamente
sulle forme nelle quali queste sono
costituite, sia contraria al principio di
non discriminazione previsto dall’art. 40 n.
3 del trattato C.E.E. e come pertanto,
l’art. 2, n. 5, del regolamento n. 797 del
1985 vada interpretato nel senso che non è
concesso agli Stati membri, nel definire la
nozione di imprenditore agricolo a titolo
principale, di escludere da questa nozione
le società di capitali per il solo motivo
della loro forma giuridica (Corte giustizia
C.E.E., II Sez., 15.10.1992 n. 162).
A ciò si aggiunge, come correttamente
evidenziato dai ricorrenti, che con l’art. 2
D.Lgs. 99/2004 il legislatore ha stabilito
che la ragione sociale o la denominazione
sociale delle società, che hanno quale
oggetto sociale l'esercizio esclusivo delle
attività di cui all'articolo 2135 del codice
civile, deve contenere l'indicazione di “società
agricola”.
Nel caso in specie, dalla documentazione
versata in atti (come già evidenziato in
sede cautelare), non è revocabile in dubbio
la natura agricola dell’azienda ricorrente.
Il che postula, alla stregua di quanto
evidenziato, la fondatezza della prima
cesura articolata nel ricorso in esame
(TAR Sicilia-Palermo, Sez. II,
sentenza 05.08.2011 n. 1554 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il fatto costitutivo dell’obbligo
giuridico del titolare della concessione
edilizia, di versare il contributo previsto,
è rappresentato dal rilascio della
concessione medesima, ed è a tale momento,
quindi, che occorre aver riguardo per la
determinazione dell’entità del contributo,
divenendo il relativo credito certo, liquido
o agevolmente liquidabile ed esigibile.
Né alcun rilievo in senso contrario può
assumere la circostanza che al Comune sia
espressamente riconosciuta la facoltà di
stabilire modalità e garanzie per il
pagamento del contributo, atteso che l’atto
di imposizione non ha carattere autoritativo
ma si risolve in un mero atto ricognitivo e
contabile, applicativo di precedenti
provvedimenti di carattere generale, e la
sua mancata tempestiva adozione non implica
alcun potere dell’Amministrazione di
differire il suo diritto di credito,
configurandosi piuttosto come mancato
esercizio del diritto stesso, idoneo a far
decorrere il periodo di prescrizione.
Sicché, il dies a quo da cui far decorrere
il termine decennale di prescrizione
comincia decorrere dal momento stesso del
rilascio della concessione edilizia.
I ricorrenti ... hanno eccepito l’avvenuta
prescrizione del diritto di credito,
tardivamente azionato dal Comune di
Poggiomarino dopo oltre dieci anni dal
rilascio dei titoli edilizi.
Il ricorso è fondato e va, pertanto,
accolto.
Invero, sulla questione di diritto posta a
base dell’odierna controversia, concernente
l’individuazione del dies a quo da
cui far decorrere il termine decennale di
prescrizione, sono state formulate in
giurisprudenza diverse soluzioni
interpretative del quadro normativo di
riferimento (artt. 1, 3, 4, 6 e 11, comma 2,
della L. 28.01.1977 n. 10, vigente
ratione temporis).
Secondo un primo indirizzo, seguito
in passato anche da questa Sezione, la
prescrizione del diritto al contributo,
rapportato al costo di costruzione, comincia
a decorrere dall’ultimazione delle opere, la
cui prova deve essere fornita da chi intende
avvalersi della prescrizione stessa, per cui
il mancato assolvimento dell’onere pone a
carico dell’inadempiente il protrarsi dell’esercitabilità
dell’azione di recupero del credito, il cui
termine prescrizionale non inizia decorrere
(cfr. TAR Calabria, Catanzaro, Sezione II,
22.01.2007 n. 21; TAR Campania, Napoli,
Sezione II, 30.06.2004 n. 9821 e 11.07.2006
n. 7392). Una diversa opzione ermeneutica,
valorizzando il disposto dell’art. 4, comma
4, della L. n. 10/1977 –secondo cui l’opera
deve essere comunque ultimata (abitabile o
agibile), salvo proroga, entro tre anni dal
rilascio della concessione– sostiene che, in
mancanza di una specifica dichiarazione di
ultimazione dei lavori, la prescrizione
inizia a decorrere ma il dies a quo
deve essere portato avanti di un triennio
(cfr. in termini, con riguardo ad altri
ricorsi proposti contro lo stesso Comune di
Poggiomarino, TAR Campania, Sezione II,
23.10.1997 n. 2611 e 2612).
Secondo altro orientamento,
riaffermato anche di recente dal Giudice
d’appello, il detto termine di prescrizione
comincia invece a decorrere dal momento
stesso del rilascio della concessione
edilizia (cfr. TAR Campania, Salerno,
Sezione II, 04.04.2008 n. 474; Consiglio di
Stato, Sezione V, 13.06.2003 n. 3332 e
Sezione IV, 16.01.2009 n. 216, con cui è
stata riformata la sopra citata sentenza di
questa Sezione n. 7392/2006).
Il Collegio ritiene di aderire a
quest’ultimo indirizzo, in quanto fornisce
la più convincente ricostruzione
interpretativa dell’insieme di previsioni
normative sopra evocate.
La disposizione dell’art. 11 della legge n.
10 del 1977, in tema di Versamento del
contributo afferente alla concessione,
stabilisce quanto segue: “La quota di
contributo di cui al precedente articolo 6 è
determinata all’atto del rilascio della
concessione ed è corrisposta in corso
d’opera con le modalità e le garanzie
stabilite dal comune e, comunque, non oltre
sessanta giorni dalla ultimazione delle
opere”.
Come condivisibilmente argomentato
nell’ultima decisione citata del Consiglio
di Stato (n. 216/2009), le cui
considerazioni vanno integralmente
richiamate, da tale norma si desume “che
il fatto costitutivo dell’obbligo giuridico
del titolare della concessione edilizia, di
versare il contributo previsto, è
rappresentato dal rilascio della concessione
medesima, ed è a tale momento, quindi, che
occorre aver riguardo per la determinazione
dell’entità del contributo, divenendo il
relativo credito certo, liquido o
agevolmente liquidabile ed esigibile.
Né alcun rilievo in senso contrario può
assumere la circostanza che al Comune sia
espressamente riconosciuta la facoltà di
stabilire modalità e garanzie per il
pagamento del contributo, atteso che l’atto
di imposizione non ha carattere autoritativo
ma si risolve in un mero atto ricognitivo e
contabile, applicativo di precedenti
provvedimenti di carattere generale, e la
sua mancata tempestiva adozione non implica
alcun potere dell’Amministrazione di
differire il suo diritto di credito,
configurandosi piuttosto come mancato
esercizio del diritto stesso, idoneo a far
decorrere il periodo di prescrizione”
(TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 28.06.2011 n. 3456 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: 1. Contributi
concessori - Omesso o ritardato pagamento -
Escussione fideiussione - Obbligo - Non
sussiste - Ratio.
2. Giustizia amministrativa - Restituzione
di somme indebitamente riscosse da parte
della P.A. - Diritto del privato agli
interessi legali - Sussiste - Dies a quo -
Proposizione della domanda.
3. Concessione
edilizia - Contributo di concessione -
Provvedimento di liquidazione - Particolare
motivazione - Non necessita - Ratio.
1. La P.A. non ha l'obbligo, a fronte del
ritardato pagamento degli oneri concessori,
di escutere la fideiussione, evitando in tal
modo di applicare la sanzione: infatti, la
fideiussione che accompagna la rateizzazione
del pagamento degli oneri di urbanizzazione
non ha la finalità di agevolare
l'adempimento del soggetto obbligato al
pagamento, bensì costituisce una garanzia
personale prestata unicamente nell'interesse
dell'amministrazione, sulla quale non
incombe alcun obbligo di preventiva
escussione del fideiussore (TAR Milano,
sent. n. 7308/2010, n. 4405/2009).
2. Sulle somme indebitamente riscosse dal
Comune relativamente al contributo concessorio spettano gli interessi legali
dalla data della domanda, dovendosi
presumere la buona fede della P.A.
percipiente e trattandosi di pagamento di
indebito oggettivo, il quale genera la sola
obbligazione di restituzione con gli
interessi a norma dell'art. 2033 c.c. (cfr.
TAR Milano, sent. n. 1463/2004).
3. Ogni procedura amministrativa volta alla
liquidazione ed al pagamento di oneri
edilizi in senso lato attiene ad attività
non autoritativa e si fonda
sull'applicazione automatica di regole di
calcolo previste da fonte normativa, senza
alcun contenuto di discrezionalità per la
P.A.: pertanto, non è necessaria una
specifica motivazione, dal momento che i
conteggi sono la risultante di un'operazione
di calcolo matematico, effettuata sulla base
di taluni parametri fissati da norme
legislative e sub-legislative (cfr. TAR
Brescia, sent. n. 2382/2009; TAR Parma,
sent. n. 351/2010, TAR Milano, sent. n.
165/2006)
(tratto da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 22.06.2011 n.
1627 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Ogni
procedura amministrativa volta alla
liquidazione ed al pagamento di oneri
edilizi in senso lato non necessita di
una specifica motivazione, dal momento che i
conteggi sono la risultante di un'operazione
di calcolo matematico, effettuata sulla base
di taluni parametri fissati da norme
legislative e sub-legislative
Ogni procedura amministrativa volta alla
liquidazione ed al pagamento di oneri
edilizi in senso lato attiene ad attività
non autoritativa e si fonda
sull'applicazione automatica di regole di
calcolo previste da fonte normativa, senza
alcun contenuto di discrezionalità per
l'amministrazione; pertanto non è necessaria
una specifica motivazione, dal momento che i
conteggi sono la risultante di un'operazione
di calcolo matematico, effettuata sulla base
di taluni parametri fissati da norme
legislative e sub-legislative (TAR Lombardia
Brescia, sez. I, 01.12.2009, n. 2382; TAR
Emilia Romagna Parma, sez. I, 06.07.2010, n.
351) (TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 22.06.2011 n. 1627 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Se
è vero che l'atto di quantificazione dei
contributi concessori ha carattere
"paritetico", e quindi che non è espressione
di discrezionalità, ciò non significa che il
rapporto giuridico sottostante
all’obbligazione per cui è causa abbia
natura strettamente privatistica e risponda,
in quanto tale, ai canoni civilistici.
Le norme civilistiche relative a contratti e
obbligazioni si riferiscono, infatti, a
rapporti in cui le parti sono titolari di
diritti disponibili e godono di autonomia
negoziale nel definire l'assetto dei
rispettivi interessi e proprio tali
caratteri giustificano la disciplina
riguardante i vizi della volontà, la tutela
dell'affidamento, gli effetti della condotta
soggettiva nell' ambito dell'
autoresponsabilità: tutti principi, questi,
che postulano uno spazio di autonomia e che
implicano l'esercizio di una volontà
negoziale.
L'obbligazione relativa al pagamento degli
oneri concessori è per contro di fonte
legale e non negoziale: essa non deriva da
un atto di volontà del Comune, ma
direttamente dalla legge e dall'applicazione
di rigidi parametri di calcolo definiti in
via regolamentare.
L'obbligazione de qua trova, infatti,
presupposto e fondamento in norme
imperative, che impongono al titolare del
permesso di costruire di versare di un
contributo pubblico quale forma di
compartecipazione ai costi per
l'urbanizzazione del territorio.
Tale contributo risponde ad un interesse
pubblico e configura un diritto
indisponibile per l'Amministrazione.
Ne consegue che l'atto con il quale
l'Ufficio quantifica gli oneri de quibus non
ha natura costitutiva, ma è meramente
ricognitivo di un credito preesistente, la
cui determinazione ha contenuto vincolato
essendo effettuata sulla base di parametri
generali predeterminati.
---------------
Non è fondato l'assunto secondo cui gli
oneri concessori non potrebbero essere
ricalcolati dopo il rilascio del permesso di
costruire, se inizialmente liquidati in modo
erroneo.
Ciò in quanto, come già chiarito, l’atto con
il quale l'Amministrazione comunale
quantifica i contributi in esame ha
carattere puramente ricognitivo e contabile,
in quanto l'ammontare del credito è
predeterminato sulla base di rigidi criteri
di calcolo definiti con atto regolamentare.
Anche dopo il rilascio della concessione
edilizia, pertanto, il Comune può provvedere
al corretto riconteggio del contributo
dovuto, a prescindere da un'espressa riserva
in tal senso, in quanto il credito esiste
indipendentemente dall'atto contabile che lo
quantifica: la rettifica è pertanto
consentita ogni qual volta sia ravvisabile
un errore, dovuto a qualsiasi ragione, nella
liquidazione o nel calcolo del contributo
concessorio.
--------------
Erroneo è l'assunto dei ricorrenti secondo
cui il Comune sarebbe vincolato "al
contenuto della propria manifestazione di
volontà a titolo di autoresponsabilità per
l'affidamento incolpevole ingenerato nel
soggetto obbligato", posto che l'atto di
quantificazione degli oneri concessori non
è, in senso proprio, una manifestazione di
volontà dell'Amministrazione ma il risultato
di un mero calcolo matematico, effettuato
sulla base di parametri oggettivi noti e
comunque ben conoscibili dall'obbligato.
Ne consegue che l'atto comunale di
liquidazione dei contributi non è
suscettibile di far sorgere alcun legittimo
affidamento in capo al privato, sia in
ordine all’an dell’obbligazione (salvo il
caso speciale di esonero previsto dalla
legge) sia in ordine al quantum, in quanto
l'oggettività dei parametri da applicare
rende vincolato il conteggio, consentendone
a priori la conoscibilità e la
verificabilità da parte dell' interessato.
Inoltre, se è vero che il pagamento
rappresenta la modalità principale di
estinzione del debito, è altrettanto vero
che l'effetto estintivo si verifica se il
pagamento è conforme al titolo e solo il
pagamento in conformità al titolo fondativo
del credito determina l'estinzione
dell'obbligazione, laddove il pagamento
parziale determina solo l'estinzione
parziale della pretesa dell'Amministrazione,
che conserva il diritto all'eventuale
conguaglio fino allo spirare del termine di
prescrizione del corrispondente diritto.
---------------
Il credito in esame (ndr: contributo di
costruzione in più rispetto a quanto
quantificato e comunicato in prima istanza)
si prescrive nel termine ordinario
decennale, decorrente dal rilascio del
titolo edilizio.
Il richiamo dei ricorrenti al termine di
prescrizione quinquennale di cui all'art.
2948 c.c è quindi erroneo, in quanto la
facoltà riconosciuta al privato di
rateizzare il pagamento dei contributi
concessori comporta solo una dilazione del
pagamento, ma non vale a qualificare il
credito come prestazione periodica, essendo
la prestazione in questione legata ad un
unico fatto genetico costituito dal rilascio
del titolo edilizio.
---------------
L'obbligazione (ndr: versamento contributo
di costruzione) grava sul soggetto che
ottiene il titolo edilizio e/o su quello
(eventualmente diverso) che materialmente
realizza l'opera, in quanto il contributo
concessorio è dovuto in funzione della
realizzazione di un dato intervento edilizio
comportante un aumento del carico
urbanistico, e quindi del beneficiario del
titolo edilizio.
L'originario titolare della concessione
edilizia può liberarsi, peraltro, com’è
noto, dall'obbligo di pagamento nel caso in
cui alieni il terreno da edificare -ovvero
l'edificio in costruzione- cedendo il
relativo titolo edilizio mediante apposita
volturazione. Con la "volturazione" il
Comune autorizza l'acquirente a subentrare
nella titolarità del permesso di costruire e
nello stesso tempo accetta l'accollo degli
oneri concessori da parte dell'acquirente
stesso, con liberazione del precedente
titolare (cfr. TAR Puglia Lecce, Sez. II,
14.07.2003, n. 4731, secondo cui la
volturazione assume il significato di
adesione del Comune alla convenzione in base
alla quale l'acquirente si accolla il debito
del venditore relativo agli oneri
concessori, nonché il significato di
manifestazione della volontà di liberare il
debitore originario; inoltre TAR
Campania-Napoli, Sez. V, 12.03.2008, n.
1220, secondo cui il venir meno della
titolarità della concessione in capo
all'originario concessionario, a seguito
della volturazione al subentrante, comporta
anche il trasferimento a carico ed a favore
di quest'ultimo, dal momento della
volturazione, di tutti indistintamente i
diritti e gli obblighi connessi e/o
derivanti dalla concessione stessa.)
L'obbligazione de qua è dunque
un'obbligazione ambulatoria in quanto segue
la titolarità del permesso di costruire: il
rapporto obbligatorio sorge in capo
all'originario titolare della concessione
edilizia e si trasferisce poi su coloro ai
quali la concessione stessa venga volturata,
poiché con la volturazione questi ultimi
subentrano nel diritto all'edificazione.
Peraltro, una volta che la costruzione venga
ultimata e sia stato esercitato il diritto
all'edificazione, il titolo edilizio
esaurisce la propria funzione e viene meno
anche l'ambulatorietà dell'obbligazione, che
di norma si esaurisce con il pagamento degli
oneri ad opera del titolare della
concessione. Obbligato al pagamento dei
contributi concessori -e dell'eventuale
conguaglio- resta quindi il soggetto che ha
esercitato i diritti derivanti dal permesso
di costruire, salvo che, con apposita
convenzione, avente valore tra le parti,
l'onere venga pattiziamente trasferito agli
aventi causa del costruttore.
Invero, "l'acquirente a titolo particolare
di un fabbricato già realizzato non è, in
difetto di accollo, obbligato al pagamento
degli oneri di urbanizzazione, a suo tempo
dovuti al momento del rilascio al venditore
della relativa concessione edilizia, secondo
le ordinarie regole della successione, per
cui le obbligazioni si trasmettono all'erede
del debitore e non anche al predetto
acquirente".
Con il secondo motivo i ricorrenti
sostengono che, in mancanza di un'espressa
riserva di conguaglio all'atto
dell'originaria quantificazione, l'Ufficio
Tecnico comunale non poteva ricalcolare
l'importo degli oneri concessori, neppure in
applicazione dei corretti criteri
parametrici, in quanto il Comune di Legnaro,
applicando i principi civilistici invocati
nel motivo di censura, sarebbe rimasto
vincolato alla propria originaria
dichiarazione di volontà a titolo di
autoresponsabilità per “l'affidamento
incolpevole" ingenerato nei privati.
A sostegno di tale tesi i ricorrenti
invocano principi e norme civilistiche
relative ai contratti e alle obbligazioni
private, che tuttavia, a giudizio del
Collegio, non sono pertinenti alla natura
del rapporto che sottostà alle obbligazioni
per cui è causa, e che per tale ragione non
possono essere utilmente applicati alla
fattispecie.
Se è vero, infatti, come riconosce anche la
difesa del Comune intimato, che l'atto di
quantificazione dei contributi concessori ha
carattere "paritetico", e quindi che
non è espressione di discrezionalità, ciò
non significa che il rapporto giuridico
sottostante all’obbligazione per cui è causa
abbia natura strettamente privatistica e
risponda, in quanto tale, ai canoni
civilistici.
Le norme civilistiche relative a contratti e
obbligazioni si riferiscono, infatti, a
rapporti in cui le parti sono titolari di
diritti disponibili e godono di autonomia
negoziale nel definire l'assetto dei
rispettivi interessi e proprio tali
caratteri giustificano la disciplina
riguardante i vizi della volontà, la tutela
dell'affidamento, gli effetti della condotta
soggettiva nell' ambito dell'
autoresponsabilità: tutti principi, questi,
che postulano uno spazio di autonomia e che
implicano l'esercizio di una volontà
negoziale.
L'obbligazione relativa al pagamento degli
oneri concessori è per contro (cfr. sul
punto C.d.S. Sez. V 13.06.2003 n. 3333) di
fonte legale e non negoziale: essa non
deriva da un atto di volontà del Comune, ma
direttamente dalla legge e dall'applicazione
di rigidi parametri di calcolo definiti in
via regolamentare.
L'obbligazione de qua trova, infatti,
presupposto e fondamento in norme
imperative, che impongono al titolare del
permesso di costruire di versare di un
contributo pubblico quale forma di
compartecipazione ai costi per
l'urbanizzazione del territorio.
Tale contributo risponde ad un interesse
pubblico e configura un diritto
indisponibile per l'Amministrazione.
Ne consegue che l'atto con il quale
l'Ufficio quantifica gli oneri de quibus
non ha natura costitutiva, ma è meramente
ricognitivo di un credito preesistente, la
cui determinazione ha contenuto vincolato
essendo effettuata sulla base di parametri
generali predeterminati (cfr. C.d.S. Sez. V
13.06.2003 n. 3333).
--------------
I caratteri peculiari dell'indicata
obbligazione rendono quindi inapplicabili in
giudizio i principi civilistici invocati dai
ricorrenti.
In ordine agli specifici profili di censura
va inoltre rilevato, quanto segue.
Non è innanzitutto fondato l'assunto secondo
cui gli oneri concessori non potrebbero
essere ricalcolati dopo il rilascio del
permesso di costruire, se inizialmente
liquidati in modo erroneo.
Ciò in quanto, come già chiarito, l’atto con
il quale l'Amministrazione comunale
quantifica i contributi in esame ha
carattere puramente ricognitivo e contabile,
in quanto l'ammontare del credito è
predeterminato sulla base di rigidi criteri
di calcolo definiti con atto regolamentare.
Anche dopo il rilascio della concessione
edilizia, pertanto, il Comune può provvedere
al corretto riconteggio del contributo
dovuto, a prescindere da un'espressa riserva
in tal senso, in quanto il credito esiste
indipendentemente dall'atto contabile che lo
quantifica: la rettifica è pertanto
consentita ogni qual volta sia ravvisabile
un errore, dovuto a qualsiasi ragione, nella
liquidazione o nel calcolo del contributo
concessorio (Cons. St., Sez. V, 06.05.1997,
n. 458).
---------------
Erroneo è conseguentemente l'assunto dei
ricorrenti secondo cui il Comune sarebbe
vincolato "al contenuto della propria
manifestazione di volontà a titolo di
autoresponsabilità per l'affidamento
incolpevole ingenerato nel soggetto
obbligato", posto che, anche qui come
già chiarito, l'atto di quantificazione
degli oneri concessori non è, in senso
proprio, una manifestazione di volontà
dell'Amministrazione ma il risultato di un
mero calcolo matematico, effettuato sulla
base di parametri oggettivi noti e comunque
ben conoscibili dall'obbligato.
Ne consegue che l'atto comunale di
liquidazione dei contributi non è
suscettibile di far sorgere alcun legittimo
affidamento in capo al privato, sia in
ordine all’an dell’obbligazione
(salvo il caso speciale di esonero previsto
dalla legge) sia in ordine al quantum,
in quanto l'oggettività dei parametri da
applicare rende vincolato il conteggio,
consentendone a priori la conoscibilità e la
verificabilità da parte dell' interessato.
Inoltre, se è vero che il pagamento
rappresenta la modalità principale di
estinzione del debito, è altrettanto vero
che l'effetto estintivo si verifica se il
pagamento è conforme al titolo e solo il
pagamento in conformità al titolo fondativo
del credito determina l'estinzione
dell'obbligazione, laddove il pagamento
parziale determina solo l'estinzione
parziale della pretesa dell'Amministrazione,
che conserva il diritto all'eventuale
conguaglio fino allo spirare del termine di
prescrizione del corrispondente diritto.
Inappropriato è quindi il richiamo fatto dai
ricorrenti alle norme codicistiche in
materia di errore e di annullabilità del
negozio per vizi del consenso (artt. 1427 e
ss del codice civile), poiché quelle norme
ineriscono alla sola materia dei contratti,
laddove invece l'obbligazione al pagamento
degli oneri concessori è, come chiarito, di
fonte legale e di contenuto vincolato
attenendo ad una prestazione di diritto
pubblico non disponibile.
La disciplina civilistica dell'errore quale
vizio del consenso è pertanto, parimenti
inappropriata e quindi inconferente.
---------------
Con il terzo
motivo i ricorrenti eccepiscono la
prescrizione del diritto del Comune al
pagamento dei contributi concessori,
sostenendo che nella specie la prescrizione
di tale diritto sarebbe quinquennale ex art
2945 c.c. e che quindi, all’atto della
notifica del provvedimento impugnato, il
diritto al conguaglio sarebbe stato
prescritto.
L'eccezione è tuttavia infondata, in quanto
(cfr. C.d.S. Sez. V 13.06.2003 n. 3333; TAR
Campania-Salerno Sez. II - 04.04.2008 n.
474; TAR Puglia-Lecce, sez. I, 02.04.2007,
n. 1382) il credito in esame si prescrive
nel termine ordinario decennale, decorrente
dal rilascio del titolo edilizio, costituito
nella fattispecie dalla concessione edilizia
n. 230/2001 del 08.10.2001.
La prescrizione non è dunque, nella specie,
ancora maturata.
Il richiamo dei ricorrenti al termine di
prescrizione quinquennale di cui all'art.
2948 c.c è quindi erroneo, in quanto la
facoltà riconosciuta al privato di
rateizzare il pagamento dei contributi
concessori comporta solo una dilazione del
pagamento, ma non vale a qualificare il
credito come prestazione periodica, essendo
la prestazione in questione legata ad un
unico fatto genetico costituito dal rilascio
del titolo edilizio.
---------------
Con il quarto e ultimo motivo i
ricorrenti eccepiscono infine il loro
difetto di legittimazione passiva sostenendo
che il pagamento degli oneri concessori
costituisce un'obbligazione propter rem
e dunque "accede" alla proprietà del
bene: la relativa obbligazione si sarebbe
dunque trasferita agli acquirenti delle
singole unità immobiliari del condominio
costruito dalla società, che ne sarebbero i
beneficiari e in quanto tali debitori del
conguaglio.
L'assunto non ha pregio per le ragioni che
seguono.
Inconferente è, in primo luogo, il richiamo
al regime delle convenzioni di
lottizzazione, per le quali si pone il
diverso problema della successione negli
obblighi convenzionali relativi alla
realizzazione delle opere di urbanizzazione.
Nella fatti specie si tratta, infatti, del
debito per il pagamento dei contributi
concessori "tabellari" per un
intervento diretto.
L'art. 81 della L.R. n. 61/1985 (applicabile
ratione temporis), stabilisce che "la
quota del contributo relativa agli oneri di
urbanizzazione è corrisposta al Comune
all’atto del ritiro della concessione" e
che "la quota relativa al costo di
costruzione è determinata all’atto del
rilascio della concessione ed è corrisposta
in corso d'opera ... e comunque non oltre 60
giorni dall'ultimazione delle opere".
Negli stessi termini dispone ora l'art. 16
del D.P.R. n. 380/2001.
L'obbligazione, come correttamente sostiene
la difesa della parte resistente, grava
dunque sul soggetto che ottiene il titolo
edilizio e/o su quello (eventualmente
diverso) che materialmente realizza l'opera,
in quanto il contributo concessorio è dovuto
in funzione della realizzazione di un dato
intervento edilizio comportante un aumento
del carico urbanistico, e quindi del
beneficiario del titolo edilizio.
L'originario titolare della concessione
edilizia può liberarsi, peraltro, com’è
noto, dall'obbligo di pagamento nel caso in
cui alieni il terreno da edificare -ovvero
l'edificio in costruzione- cedendo il
relativo titolo edilizio mediante apposita
volturazione. Con la "volturazione"
il Comune autorizza l'acquirente a
subentrare nella titolarità del permesso di
costruire e nello stesso tempo accetta
l'accollo degli oneri concessori da parte
dell'acquirente stesso, con liberazione del
precedente titolare (cfr. TAR Puglia Lecce,
Sez. II, 14.07.2003, n. 4731, secondo cui la
volturazione assume il significato di
adesione del Comune alla convenzione in base
alla quale l'acquirente si accolla il debito
del venditore relativo agli oneri
concessori, nonché il significato di
manifestazione della volontà di liberare il
debitore originario; inoltre TAR
Campania-Napoli, Sez. V, 12.03.2008, n.
1220, secondo cui il venir meno della
titolarità della concessione in capo
all'originario concessionario, a seguito
della volturazione al subentrante, comporta
anche il trasferimento a carico ed a favore
di quest'ultimo, dal momento della
volturazione, di tutti indistintamente i
diritti e gli obblighi connessi e/o
derivanti dalla concessione stessa.)
L'obbligazione de qua è dunque
un'obbligazione ambulatoria in quanto segue
la titolarità del permesso di costruire: il
rapporto obbligatorio sorge in capo
all'originario titolare della concessione
edilizia e si trasferisce poi su coloro ai
quali la concessione stessa venga volturata,
poiché con la volturazione questi ultimi
subentrano nel diritto all'edificazione.
Peraltro, una volta che la costruzione venga
ultimata e sia stato esercitato il diritto
all'edificazione, il titolo edilizio
esaurisce la propria funzione e viene meno
anche l'ambulatorietà dell'obbligazione, che
di norma si esaurisce con il pagamento degli
oneri ad opera del titolare della
concessione. Obbligato al pagamento dei
contributi concessori -e dell'eventuale
conguaglio- resta quindi il soggetto che ha
esercitato i diritti derivanti dal permesso
di costruire, salvo che, con apposita
convenzione, avente valore tra le parti,
l'onere venga pattiziamente trasferito agli
aventi causa del costruttore.
Invero, "l'acquirente a titolo
particolare di un fabbricato già realizzato
non è, in difetto di accollo, obbligato al
pagamento degli oneri di urbanizzazione, a
suo tempo dovuti al momento del rilascio al
venditore della relativa concessione
edilizia, secondo le ordinarie regole della
successione, per cui le obbligazioni si
trasmettono all'erede del debitore e non
anche al predetto acquirente" (Cons.
St., Sez. V, 26.03.1996, n. 294; TAR
Campania Salerno, Sez. II, 26.09.2007, n.
1928) (TAR
Veneto, Sez. II,
sentenza 16.06.2011 n. 1042 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L'eventuale erronea determinazione degli
oneri connessi al rilascio della concessione
edilizia non determina l'illegittimità della
concessione stessa.
L'eventuale erronea determinazione degli
oneri connessi al rilascio della concessione
edilizia non determina l'illegittimità della
concessione stessa, e non giustifica quindi
la pretesa al suo annullamento
giurisdizionale, in quanto il procedimento
di determinazione del contributo di
urbanizzazione è diverso e autonomo rispetto
al procedimento di rilascio della relativa
concessione di costruzione, sia perché
persegue finalità sue proprie, sia perché si
conclude con un provvedimento diverso da
quello concessivo del titolo a costruire
(Consiglio Stato, sez. IV, 31.01.1995, n.
37).
Anche a seguito dell’entrata in vigore del
nuovo T.U sull’edilizia, la giurisprudenza
ha ribadito che il procedimento di rilascio
del permesso di costruire e quello di
determinazione dei contributi continuano ad
avere natura distinta ed autonoma, pur
essendo necessaria la determinazione del
contributo di costruzione prima del rilascio
della concessione edilizia (C.d.S sez. IV,
11.05.2007, n. 2325).
Da ciò consegue che il pagamento può
intervenire successivamente, anche a rate, e
l’erronea determinazione della somma dovuta
per oneri non incide sulla legittimità della
concessione edilizia e sul diritto
dell’Amministrazione di richiedere eventuali
conguagli o sul diritto dell’interessato di
chiedere la restituzione di quanto
eventualmente pagato in eccesso
(TAR Sardegna, Sez. II,
sentenza 08.06.2011 n.
550 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI -
EDILIZIA PRIVATA:
●
GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA – TERMINI PROCESSUALI –
EQUIPARAZIONE DEL SABATO AI GIORNI FESTIVI – ESTENSIONE AI
TERMINI COMPUTABILI A RITROSO – ESCLUSIONE – art. 52 c.p.a.
●
GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA – DEPOSITO DI MEMORIE E DOCUMENTI
AI FINI DELL’UDIENZA DI DISCUSSIONE – PERENTORIETÀ DEI
TERMINI – art. 54 c.p.a.
●
GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA – REVOCAZIONE – RICORSO – OMESSA
INDICAZIONE DEI VIZI – INAMMISSIBILITÀ – art. 395 c.p.c.;
art. 106 c.p.a.
●
GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA – DECISIONE FONDATA SU RAGIONI
MANIFESTE O SU ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI CONSOLIDATI –
CONDANNA DELLA PARTE SOCCOMBENTE A UNA SOMMA DI DENARO –
art. 26 c.p.a.
●
Il sabato è equiparato ai giorni festivi ai soli fini del
compimento degli atti processuali svolti fuori dell’udienza
che scadono in tale giornata, come la notifica e il deposito
di atti processuali; ai sensi dell’art. 52, 5° comma, cod.
proc. amm. l’equiparazione non vale però per i termini che
si computano a ritroso (quali il termine per il deposito dei
documenti o delle memorie, in vista dell’udienza di
discussione).
●
I termini per il deposito delle memorie o dei documenti, ai
sensi dell’art. 54 cod. proc. amm. sono perentori, perché
stabiliti a garanzia del contraddittorio e della corretta
organizzazione del lavoro del giudice.
●
È inammissibile il ricorso per revocazione nel quale non sia
indicata alcuna delle cause di revocazione previste
dall’art. 395 c.p.c..
●
Ai sensi dell’art. 26 cod. proc. amm., la parte
soccombente, quando la decisione sia fondata su ragioni
manifeste o su orientamenti giurisprudenziali consolidati,
può essere condannata al pagamento in favore dell’altra
parte di una somma di denaro equitativamente determinata, a
titolo di indennizzo per il danno lecito da processo (nella
specie, il collegio, in assenza di elementi contrari, ha
condannato la parte ricorrente ad una somma pari a quella
liquidata per spese di giudizio).
---------------
●
GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA – RICORSO GIURISDIZIONALE – TERMINE
– COMPUTO – CRITERIO – INDIVIDUAZIONE
●
GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA – RICORSO GIURISDIZIONALE – TERMINE
– SABATO – EQUIPARAZIONE AI GIORNI FESTIVI – LIMITE
●
GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA – RICORSO GIURISDIZIONALE – TERMINE
– SABATO – EQUIPARAZIONE AI GIORNI FESTIVI – APPLICABILITÀ
SOLO AI TERMINI CHE SI CALCOLANO IN AVANTI, E NON ANCHE A
QUELLI A RITROSO
●
GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA – RICORSO GIURISDIZIONALE –
TERMINE – PER IL DEPOSITO DI DOCUMENTI, MEMORIE E REPLICHE –
INDIVIDUAZIONE
●
Nel caso in cui la legge indica un termine processuale
riferendosi ad un certo numero di giorni liberi, il suddetto
numero di giorni esclude tanto il dies a quo quanto il dies
ad quem.
●
Ai sensi dell’art. 155, comma 5, c.p.c., aggiunto dall’art.
2 comma 1, l. 28.12.2005 n. 263 ed applicabile anche al
processo amministrativo, il sabato è da considerarsi
equiparato ai giorni festivi, ma limitatamente agli atti
processuali scadenti di sabato e da compiersi fuori
dell’udienza, mentre resta giorno lavorativo per l’attività
degli ufficiali giudiziari e per gli addetti all’ufficio
ricorsi.
●
Nel processo amministrativo la regola fissata dall’art. 155,
comma 5, c.p.c. in ordine all’equiparazione del sabato ai
giorni festivi, vale solo per i termini che si calcolano in
avanti, e non anche per quelli che si calcolano a ritroso,
atteso che l’art. 52, comma 5, c.p.a. estende al sabato solo
la proroga dei termini che scadono di giorno festivo, con la
conseguenza che un termine a ritroso, che scada di sabato,
non va anticipato al venerdì e, ove scada di domenica, va
anticipato al sabato, e non al venerdì.
●
Ai sensi dell’art. 73, comma 1°, c.p.a. le parti possono
produrre documenti nel termine perentorio di quaranta giorni
liberi prima dell’udienza, di trenta giorni liberi per le
memorie e di venti giorni liberi per le repliche, ma se
l’ultimo giorno libero cade in un giorno festivo il deposito
va anticipato a pena di esclusione al giorno precedente;
peraltro, ai sensi del precedente art. 52, comma 4°, c.p.a.,
detta regola non si applica per i termini a ritroso che
scadono di sabato
(massima tratta da www.scuolagiuridica.it).
---------------
6. Preliminare la sezione deve esaminare l’eccezione,
sollevata dalla difesa del comune, di tardività della
memoria difensiva depositata dalla parte ricorrente il
giorno lunedì 18.04.2011.
6.1. L’eccezione è fondata.
6.2. In ordine alla individuazione dei termini del processo
amministrativo ed ai criteri di computo degli stessi, in
virtù del rinvio operato dall’art. 39, co. 1, c.p.a. trova
applicazione la disciplina dettata dal codice di procedura
civile salve le deroghe tipizzate dal c.p.a..
Ai fini del computo dei termini si estende al processo
amministrativo la disciplina dettata dall’art. 155 c.p.c.;
il c.p.a. aggiunge a tale disciplina alcune precisazioni in
tema di giorno festivo e di sabato.
Quanto al caso in cui il giorno di scadenza sia festivo, la
proroga di diritto al primo giorno seguente non festivo
opera non solo per i termini legali, ma anche per quelli
fissati dal giudice (art. 52, co. 3, c.p.a.); inoltre, nel
caso di termini che si computano a ritroso (come per i
giorni liberi prima dell’udienza), la scadenza viene
anticipata al giorno antecedente non festivo (art. 52, co.
4, c.p.a. che recepisce un consolidato indirizzo della
giurisprudenza, cfr. Cass., 12.12.2003, n. 19041); è altresì
pacifico che quando la legge indica il termine riferendosi
ad un certo numero di giorni liberi, il suddetto numero di
giorni esclude tanto il dies a quo quanto il dies
ad quem (cfr., fra le tante, Cass., 12.12.2003, n. 19041
cit.; 20.05.2002, n. 7331).
Il sabato è stato equiparato ai festivi (in virtù della
novella di cui all’art. 2, co. 11, d.l. n. 263 del 2005, in
vigore dal 01.03.2006); l’equiparazione opera però al solo
fine del compimento degli atti processuali svolti fuori
dell’udienza che scadono di sabato, onde consentire agli
avvocati di procedere ai relativi adempimenti, concernenti i
termini di notifica e deposito che scadono di sabato, il
successivo lunedì; a tutti gli altri effetti il sabato è
considerato giorno lavorativo, anche per quanto attiene,
dunque, alle attività di ufficiali giudiziari e di addetti
agli uffici ricorsi, come dispone espressamente l’art. 155
c.p.c. (tanto emerge implicitamente dal decreto del
presidente del Consiglio di Stato n. 83 del 2010 che ha
disciplinato, con decorrenza 01.10.2010, gli orari di
apertura al pubblico dell’ufficio ricevimento ricorsi e
delle segreterie delle sezioni giurisdizionali del Consiglio
di Stato).
Il c.p.a. esplicita l’applicabilità della disciplina sul
sabato anche al processo amministrativo (art. 52, co. 5,
c.p.a., in tal senso si era già espressa la preferibile
giurisprudenza, cfr. Cons. St., sez. IV, 18.02.2008, n.
446).
Questa regola, però, vale solo per i termini che si
calcolano in avanti, e non anche per i termini che si
calcolano a ritroso; infatti l’art. 52, co. 5, c.p.a.
estende al sabato solo la <<proroga di cui al comma 3>>,
ossia la proroga dei giorni che scadono di giorno festivo, e
dunque non anche il meccanismo di anticipazione di cui al co.
4; ne consegue che se un termine a ritroso scade di sabato,
esso non va anticipato al venerdì, così come se il termine a
ritroso scade di domenica, va anticipato al sabato e non al
venerdì.
6.3. Le parti possono presentare memorie e repliche in vista
dell’udienza di discussione; prima del codice le parti
potevano produrre documenti fino a venti giorni liberi
anteriori al giorno fissato per l’udienza e presentare
memorie fino a dieci giorni liberi (art. 23, co. 4, l. Tar).
6.3.1. Il nuovo codice ha allungato tali termini, per meglio
garantire lo studio degli atti processuali ad opera del
giudice e delle parti ed ha aggiunto l’istituto delle
repliche (ammesso dalla precedente prassi); pertanto le
parti possono produrre documenti fino a quaranta giorni
liberi prima dell’udienza, memorie fino a trenta giorni
liberi e repliche fino a venti giorni liberi (art. 73, co.
1, c.p.a.); lo scopo della previsione è quello di consentire
alla controparte di disporre dei termini ivi previsti per
visionare altrui documenti e memorie.
Stante la su enucleata ratio legis, prima del codice
si è affermato che se l’ultimo giorno libero cade in giorno
festivo, il deposito va anticipato al giorno precedente pena
la tardività della produzione (cfr. Cons. giust. amm.
30.03.2009, n. 215); tanto è ora sancito espressamente dal
c.p.a. secondo cui per i termini computati a ritroso, quali
quelli in esame, la scadenza è anticipata al giorno
antecedente non festivo, ma la regola, come già visto, non
si applica per i termini a ritroso che scadono di sabato
(art. 52, co. 4, c.p.a.).
6.3.2. Prima del codice era disputata la natura perentoria o
meno dei termini per il deposito di documenti e memorie
prevalendo da ultimo la tesi che, quantomeno avuto riguardo
al termine per le memorie, questo fosse perentorio
integrando un precetto di ordine pubblico processuale a
garanzia dell’interesse del giudice a conoscere in tempo
utile gli atti processuali (cfr., da ultimo, Cons. St., sez.
V, n. 5245 del 2009; sez. VI, n. 4699 del 2008).
La questione ha trovato espressa soluzione nel c.p.a. a
tenore del quale la presentazione tardiva di memorie o
documenti può essere eccezionalmente autorizzata dal
collegio, su richiesta di parte, quando la produzione nel
termine di legge risulta estremamente difficile; in ogni
caso va assicurato il pieno rispetto del diritto delle
controparti al contraddittorio sugli atti tardivamente
depositati (art. 54, co. 1, c.p.a.).
Se ne desume che:
a) i termini di deposito di documenti, memorie e repliche sono
imposti a pena di decadenza;
b) il deposito tardivo è possibile solo se c’è un autorizzazione
del collegio che si atteggia a rimessione in termini per
errore scusabile, come ipotesi speciale di essa, di cui
condivide i presupposti;
c) va comunque garantito il contraddittorio.
La giurisprudenza successiva all’entrata in vigore del
codice ha ribadito che tali termini sono perentori a
garanzia del contraddittorio e della corretta organizzazione
del lavoro del giudice (cfr. Cons. St., sez. V, 01.04.2011,
n. 2032; sez. V, 29.03.2011, n. 1910; sez. VI, 16.02.2011,
n. 984).
6.4. Facendo applicazione dei su esposti principi al caso di
specie, risulta evidente che il deposito della memoria
difensiva della società ricorrente, avvenuto lunedì
18.04.2011 in vista dell’udienza di discussione della
presente controversia fissata per il giorno 17.03.2011, è
tardivo perché effettuato oltre il termine ultimo per legge
individuato nel giorno sabato 16.04.2011.
6.5. Dall’assodata tardività della memoria depositata dalla
società ricorrente, dalla insussistenza dei presupposti per
la concessione dell’errore scusabile (alla luce dei rigorosi
principi da ultimo enucleati dall’adunanza plenaria di
questo Consiglio n. 3 del 2010), nonché dalla natura
meramente illustrativa delle comparse conclusionali,
discende l’inutilizzabilità processuale della memoria
depositata il 18.04.2011, in ordine all’integrazione o
specificazione di fatti costitutivi di domande ed eccezioni
non ritualmente proposte, con tutte le ulteriori conseguenze
connesse all’applicazione dell’art. 26 c.p.a. (cfr. Cons.
St., sez. V, 01.04.2011, n. 2032; 29.03.2011, n. 1926)
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 31.05.2011 n. 3252
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA - PUBBLICO IMPIEGO:
La quota di contributo afferente al costo di
costruzione va dunque determinata all’atto
del rilascio della concessione edilizia o
del permesso di costruzione, ma deve essere
versata nel corso della costruzione e
comunque nei sessanta giorni dalla sua
ultimazione.
La data del rilascio della concessione
edilizia o del permesso di costruzione è il
momento in cui sorge l’obbligazione
contributiva rapportata al costo di
costruzione, e pertanto è da quella stessa
data che l’amministrazione comunale può far
valere il suo diritto di credito, ossia
esercitare il potere di accertamento
dell’importo dovuto, con conseguente
decorrenza della prescrizione (decennale)
del diritto medesimo il quale, sin dal
momento dell’adozione del provvedimento
ampliativo della sfera del richiedente la
concessione o il permesso di costruzione, è
certo, liquido o agevolmente liquidabile ed
esigibile.
La suddetta obbligazione è di tipo “acausale”,
perché connessa alla mera utilizzazione
edificatoria del territorio, e perciò
ritenuta di natura paratributaria, a
differenza dell’obbligazione per oneri di
urbanizzazione che deve, invece, ritenersi
“causale” ed ha natura di corrispettivo di
diritto pubblico di natura non tributaria,
dovuto dal titolare della concessione
edilizia per la partecipazione ai costi
delle opere di urbanizzazione connessi
all’edificazione.
In ogni caso, per entrambe le obbligazioni
il rilascio della concessione edilizia o del
permesso di costruzione rappresenta il
momento costitutivo dell’obbligo giuridico
-incombente sul beneficiario del
provvedimento autorizzatorio- di
corrispondere le somme dovute per il
contributo di costruzione.
Con la conseguenza che l’omessa contestuale
determinazione di tale contributo o di una
delle due voci che lo compongono (oneri di
urbanizzazione e costo di costruzione)
realizza, sin dal momento del rilascio del
titolo abilitativo all’edificazione, una
lesione attuale e concreta alla finanza
comunale, venendo a mancare, in capo
all’ente locale, la disponibilità piena ed
immediata di entrate contributive ad esso
spettanti.
---------------
Nel nuovo ordinamento delle autonomie locali
–art. 58 della legge 08.06.1990 n. 142– è
previsto che l’azione di responsabilità si
prescrive col decorso del quinquennio “dalla
commissione del fatto”.
Tale espressione deve essere intesa nel
senso che non è sufficiente a dare inizio al
periodo prescrizionale il semplice
compimento della condotta trasgressiva degli
obblighi di servizio dalla quale non sia
ancora scaturito alcun nocumento all’ente
pubblico, posto che l’elemento “fatto”
comprende non solo la condotta del soggetto
ma anche l’evento dannoso che ad essa
consegue.
Un indirizzo interpretativo del tutto
analogo è stato poi adottato a proposito
dell’art. 1, secondo comma, della legge
14.01.1994, n. 20 (come sostituito con legge
20.12.1996, n. 639) -per il quale il diritto
al risarcimento del danno si prescrive in
ogni caso in 5 anni, decorrenti dalla data
in cui si è verificato il “fatto dannoso”
(ovvero, in caso d’occultamento doloso del
danno, dalla data della sua scoperta)–,
affermandosi che ai fini dell’individuazione
del “dies a quo” della prescrizione, ai
sensi del citato art. 1 l. n. 20/1994
occorre avere riguardo alla fattispecie
costituita da condotta ed evento dannoso,
che si completa al verificarsi di
quest’ultimo, vale a dire del depauperamento
dell’amministrazione o dell’ente.
---------------
L’adeguamento annuo del costo di costruzione
secondo l’indice ISTAT ... rientra
indiscutibilmente nell’ambito del
procedimento autorizzatorio di cui sopra,
trattandosi di adempimento strettamente
connesso all’esatto computo del contributo
dovuto in relazione al permesso di
costruire.
Anche per tale adempimento
l’ordinaria competenza a provvedere
(appartenesse e) appartenga al Responsabile
della Unità Operativa interessata, più che
al Responsabile dell’Area di riferimento (“Servizi
per la Collettività ed il Territorio”) o
agli organi deliberativi dell’Ente.
D’altro canto, l’aggiornamento in questione
si risolve in una operazione di calcolo da
effettuarsi sulla base di un parametro -la
variazione ISTAT- fissato da prescrizioni
legislative (statali e regionali) alla
stregua delle quali si sarebbe dovuto
provvedere automaticamente anno per anno,
senza alcuna possibilità di valutazioni ed
apprezzamenti discrezionali da parte degli
organi di governo comunali trattandosi,
invero, di adeguamento comunque obbligatorio
per legge.
Sul punto le disposizioni di riferimento,
vale a dire l’art. 16, comma 9, del d.P.R.
n. 380/2001 –testualmente riproduttivo, in
parte qua, dell’art. 6, comma 3, della legge
n. 10 del 1977– e l’art. 29, comma 3, della
legge regionale Emilia Romagna n. 31 del
2002, risultano univocamente chiare e
vincolanti nel prevedere che nei periodi
intercorrenti tra le determinazioni
regionali il costo di costruzione è adeguato
annualmente dai Comuni “in ragione
dell'intervenuta variazione dei costi di
costruzione accertata dall'Istituto
nazionale di statistica”, con
l’ulteriore rilevante precisazione, nella
norma statale appena citata,
che
all’adeguamento si procede anche “in
eventuale assenza di tali determinazioni”
ed “autonomamente”.
---------------
Il mancato aggiornamento del
costo di costruzione configura una condotta omissiva dell’odierno convenuto
qualificabile, se non come dolosa,
certamente come gravemente colposa.
Osserva il Collegio come nella fattispecie in esame difettino i
profili del c.d. dolo “erariale” o “contrattuale” non risultando il comportamento del
sig. ... improntato a consapevole volontà
del medesimo di agire in violazione dei
propri doveri d’ufficio e di arrecare un
ingiusto pregiudizio all’Ente.
Nella condotta del sunnominato ricorrono,
tuttavia, gli elementi della colpa grave,
ove si consideri, anzitutto, che
l’aggiornamento annuale del costo di
costruzione postulava un dovere
particolarmente pregnante e puntuale di
diligenza nell’adempimento di tale obbligo,
specie per i connessi rilevanti riflessi
sulle finanze del Comune.
L’inadempienza si
è protratta per svariati anni senza che il
convenuto abbia mai adottato, nell’ambito
dell’autonomia di competenze non meramente
esecutive di cui in precedenza si è fatto
cenno, alcuna concreta, documentata
iniziativa di natura “operativa”, o
anche solo “sollecitatoria” e/o “propositiva”,
volta a definire la vicenda dell’adeguamento
ISTAT di cui si discute; vicenda, occorre
ribadirlo, coinvolgente, in via diretta ed
immediata, l’importante attività gestionale
in materia di edilizia privata propriamente
riservata all’Unità Operativa (“Urbanistica–Edilizia
Privata–Ambiente”) della quale il sig.
... era Responsabile.
In altre parole, viene qui in rilievo la
prolungata, ingiustificata inerzia del
convenuto in ordine all’adeguamento del
costo di costruzione, inerzia da ritenersi e
valutarsi quale espressione di inescusabile
e macroscopica superficialità nella cura
dell’attività gestoria di un settore
comunale, quello dell’edilizia privata, di
assoluto rilievo.
Il Collegio
ritiene dunque sussistente una condotta
gravemente colposa del sig. ...,
direttamente causativa del danno alle
finanze comunali perseguito in questa sede.
---------------
Non si può non evidenziare come
abbia fatto assoluto difetto, nella vicenda
in esame, l’esercizio da parte dei dirigenti
succedutisi nella carica di Responsabile
dell’Area n. 3 (“Servizi per la
Collettività ed il Territorio”) dei
propri poteri di direttiva, di impulso e di
controllo, quando non sostitutivi, in
relazione alla specifica attività svolta
dall’Unità Operativa “Urbanistica–Edilizia
Privata–Ambiente”.
Resta il fatto che
l’assenza di una qualunque iniziativa da
parte dei vari soggetti comunali (in
primis Consiglio, Giunta e dirigenti
Responsabili dell’Area 3), comunque coinvolti
dalla discussa problematica in ragione delle
rispettive attribuzioni, ha consentito che
la grave anomalia gestionale rappresentata
dal mancato adeguamento del costo di
costruzione si protraesse per diversi anni
in una situazione di persistente inazione
dell’amministrazione; situazione che ha
senza dubbio contribuito al progressivo
formarsi dell’ingente danno per cui è causa.
Il mancato intervento degli
altri soggetti comunali interessati,
concretizzatosi anch’esso in una continuata
ed assolutamente ingiustificabile inerzia,
pur non facendo venire meno la
responsabilità per colpa grave dell’odierno
convenuto assuma, tuttavia, concorrente
rilevanza nella produzione dell’evento
dannoso.
Tale apporto concausale, valutato con
riguardo all’insieme delle accennate
condotte “inattive”, appare
complessivamente stimabile, per la notevole
incidenza che esso ha avuto sul protrarsi
per anni dell’inadempimento dell’obbligo di
adeguamento del costo di costruzione, nella
misura del 75 per cento, con corrispondente
riduzione al 25 per cento della percentuale
di responsabilità restante a carico del sig.
....
1)
L’ipotesi di danno erariale sottoposta
all’esame della Corte è costituita –secondo
la prospettazione accusatoria- dalle minori
entrate, per il complessivo importo di €
386.711,64, derivanti al Comune di Vergato
dal mancato adeguamento annuale,
relativamente al periodo 2000–2009, del
costo di costruzione ai fini della
determinazione della quota di contributo per
il rilascio della concessione edilizia o del
permesso di costruire nuovi edifici.
Per tale evento dannoso è stato chiamato in
giudizio il sig. ..., quale responsabile del
Settore Urbanistica e Ambiente dal 1999 al
2001 e, poi, della Unità Operativa “Urbanistica–Edilizia
Privata–Ambiente” fino al 29.07.2009.
---------------
2)
Ai fini della migliore comprensione della
causa è opportuno premettere un breve
excursus delle norme in materia
edificatoria coinvolte nella fattispecie.
2.a)
Si deve quindi partire dalla legge
28.01.1977, n. 10 sull’edificabilità dei
suoli, che all’art. 1 stabiliva che “Ogni
attività comportante trasformazione
urbanistica ed edilizia del territorio
comunale partecipa agli oneri ad essa
relativi e la esecuzione delle opere è
subordinata a concessione da parte del
sindaco, ai sensi della presente legge”
soggiungendo, all’art. 3, che “la
concessione comporta la corresponsione di un
contributo commisurato all’incidenza delle
spese di urbanizzazione nonché al costo di
costruzione”.
Per il successivo art. 5 della legge n. 10
del 1977 appena citata, “l'incidenza
degli oneri di urbanizzazione primaria e
secondaria, previsti dall'articolo 4 della
legge 29.09.1964, n. 847, modificato
dall'articolo 44 della legge 22.10.1971, n.
865, nonché dalle leggi regionali, è
stabilita, ai fini del precedente articolo
3, con deliberazione del consiglio comunale
in base alle tabelle parametriche che la
regione definisce, entro 120 giorni dalla
data di entrata in vigore della presente
legge, per classi di comuni in
relazione…(comma 1).
Fino all'approvazione delle tabelle di cui
al precedente comma i comuni continuano ad
applicare le disposizioni adottate in
attuazione della legge 06.08.1967, n. 765
(comma 2).
Nel caso di mancata definizione delle
tabelle parametriche da parte della regione
entro il termine stabilito nel primo comma e
fino alla definizione delle tabelle stesse,
i comuni provvedono, in via provvisoria, con
deliberazione del consiglio comunale (comma
3)”.
Infine, l’art. 6 (nel testo sostituito
dall’art. 7 l. 24.12.1993 n. 537) della
medesima legge prevedeva che “il costo di
costruzione di cui all'articolo 3 della
presente legge per i nuovi edifici è
determinato periodicamente dalle regioni con
riferimento ai costi massimi ammissibili per
l'edilizia agevolata, definiti dalle stesse
regioni a norma della lettera g) del primo
comma dell'art. 4 della L. 05.08.1978, n.
457” (comma 1), soggiungendo che “con
gli stessi provvedimenti di cui al primo
comma, le regioni identificano classi di
edifici con caratteristiche superiori a
quelle considerate nelle vigenti
disposizioni di legge per l'edilizia
agevolata, per le quali sono determinate
maggiorazioni del detto costo di costruzione
in misura non superiore al 50 per cento”
(comma 2) e disponendo, altresì, che “nei
periodi intercorrenti tra le determinazioni
regionali di cui al primo comma, ovvero in
eventuale assenza di tali determinazioni, il
costo di costruzione è adeguato annualmente,
ed autonomamente, in ragione
dell'intervenuta variazione dei costi di
costruzione accertata dall'Istituto
nazionale di statistica (ISTAT)” (comma
3).
2.b)
I sopra citati artt. 1, 3, 5 e 6 (nonché gli
artt. 4, 7, 8, 9, 10, 11, 12 e 16) della
legge n. 10 del 1977 sono stati, poi,
espressamente abrogati dall'art. 136, commi
1 e 2, del d.P.R. 06.06.2001, n. 380 – “Testo
unico delle disposizioni legislative e
regolamentari in materia edilizia (Testo A)”,
a decorrere dal 30.06.2003, ai sensi
dell'art. 2, del decreto-legge 20.06.2002,
n. 122, conv., con modificazioni, in legge
01.08.2002, n. 185.
Per quel che occupa, il predetto Testo
unico, definite la natura e le
caratteristiche del permesso di costruire
(v. artt. 10–15), rilasciato “dal
dirigente o responsabile del competente
ufficio comunale nel rispetto delle leggi,
dei regolamenti e degli strumenti
urbanistici” (v. art. 13, comma 1),
all’art. 16, ha raccolto le disposizioni
(legge 28.01.1977, n. 10, articoli 3; 5,
comma 1; 6, commi 1, 4 e 5; 11; legge
05.08.1978, n. 457, art. 47; legge
24.12.1993, n. 537, art. 7; legge
29.09.1964, n. 847, articoli 1, comma 1,
lettere b) e c), e 4; legge 22.10.1971, n.
865, art. 44; legge 11.03.1988, n. 67, art.
17; decreto legislativo 05.02.1997, n. 22,
art. 58, comma 1; legge 23.12.1998, n. 448,
art. 61, comma 2) sul “contributo per il
rilascio del permesso di costruire” tra
le quali vanno segnalate le seguenti:
- “Salvo quanto disposto dall'articolo
17, comma 3, il rilascio del permesso di
costruire comporta la corresponsione di un
contributo commisurato all'incidenza degli
oneri di urbanizzazione nonché al costo di
costruzione, secondo le modalità indicate
nel presente articolo” (comma 1);
- “La quota di contributo relativa agli
oneri di urbanizzazione è corrisposta al
comune all'atto del rilascio del permesso di
costruire e, su richiesta dell'interessato,
può essere rateizzata…” (comma 2);
- “La quota di contributo relativa al
costo di costruzione, determinata all'atto
del rilascio, è corrisposta in corso
d'opera, con le modalità e le garanzie
stabilite dal comune, non oltre sessanta
giorni dalla ultimazione della costruzione”
(comma 3);
- “Il costo di costruzione per i nuovi
edifici è determinato periodicamente dalle
regioni con riferimento ai costi massimi
ammissibili per l'edilizia agevolata,
definiti dalle stesse regioni a norma della
lettera g) del primo comma dell'articolo 4
della legge 05.08.1978, n. 457. Con lo
stesso provvedimento le regioni identificano
classi di edifici con caratteristiche
superiori a quelle considerate nelle vigenti
disposizioni di legge per l'edilizia
agevolata, per le quali sono determinate
maggiorazioni del detto costo di costruzione
in misura non superiore al 50 per cento. Nei
periodi intercorrenti tra le determinazioni
regionali, ovvero in eventuale assenza di
tali determinazioni, il costo di costruzione
è adeguato annualmente, ed autonomamente, in
ragione dell'intervenuta variazione dei
costi di costruzione accertata dall'Istituto
nazionale di statistica (ISTAT). Il
contributo afferente al permesso di
costruire comprende una quota di detto
costo, variabile dal 5 per cento al 20 per
cento, che viene determinata dalle regioni
in funzione delle caratteristiche e delle
tipologie delle costruzioni e della loro
destinazione ed ubicazione” (comma 9).
2.c)
Da ultimo, la legge regionale Emilia Romagna
25.11.2002, n. 31 (“Disciplina generale
dell’edilizia") ha disposto, all’art. 27
(“Contributo di costruzione”), che: “Fatti
salvi i casi di riduzione o esonero di cui
all'art. 30, il proprietario dell'immobile o
colui che ha titolo per chiedere il rilascio
del permesso o per presentare la denuncia di
inizio attività è tenuto a corrispondere un
contributo commisurato all'incidenza degli
oneri di urbanizzazione nonché al costo di
costruzione” (comma 1); “Il
contributo di costruzione è quantificato dal
Comune per gli interventi da realizzare
attraverso il permesso di costruire ovvero
dall'interessato per quelli da realizzare
con denuncia di inizio attività” (comma
2); “La quota di contributo relativa agli
oneri di urbanizzazione è corrisposta al
Comune all'atto del rilascio del permesso
ovvero all'atto della presentazione della
denuncia di inizio attività. Il contributo
può essere rateizzato, a richiesta
dell'interessato” (comma 3); “La
quota di contributo relativa al costo di
costruzione è corrisposta in corso d'opera,
secondo le modalità e le garanzie stabilite
dal Comune” (comma 4).
Al successivo art. 29, la stessa legge
regionale ha stabilito che “Il costo di
costruzione per i nuovi edifici è
determinato almeno ogni cinque anni dal
Consiglio regionale con riferimento ai costi
parametrici per l'edilizia agevolata. Il
contributo afferente al titolo abilitativo
comprende una quota di detto costo,
variabile dal 5 per cento al 20 per cento,
che viene determinata con l'atto del
Consiglio regionale in funzione delle
caratteristiche e delle tipologie delle
costruzioni e della loro destinazione e
ubicazione” (comma 1), e “Nei periodi
intercorrenti tra le determinazioni
regionali, il costo di costruzione è
adeguato annualmente dai Comuni, in ragione
dell'intervenuta variazione dei costi di
costruzione accertata dall'Istituto
nazionale di statistica” (comma 3).
---------------
3)
In base alla delineata cornice normativa,
la
quota di contributo afferente al costo di
costruzione va dunque determinata all’atto
del rilascio della concessione edilizia o
del permesso di costruzione, ma deve essere
versata nel corso della costruzione e
comunque nei sessanta giorni dalla sua
ultimazione.
Secondo giurisprudenza amministrativa ormai
consolidata, la data del rilascio della
concessione edilizia o del permesso di
costruzione è il momento in cui sorge
l’obbligazione contributiva rapportata al
costo di costruzione, e pertanto è da quella
stessa data che l’amministrazione comunale
può far valere il suo diritto di credito,
ossia esercitare il potere di accertamento
dell’importo dovuto, con conseguente
decorrenza della prescrizione (decennale)
del diritto medesimo il quale, sin dal
momento dell’adozione del provvedimento ampliativo della sfera del richiedente la
concessione o il permesso di costruzione, è
certo, liquido o agevolmente liquidabile ed
esigibile (cfr. Consiglio di Stato – Sez. IV,
06.06.2008 n. 2686; Sez. IV, 05.04.2006 n.
7219; Sez. V, 13.06.2003 n. 3332; TAR Marche
Ancona, 01.04.2004 n. 143; TAR Abruzzo
Pescara, 10.05.2002 n. 477; TAR Calabria
Catanzaro, 06.02.1996 n. 180).
Come ancora precisato dal giudice
amministrativo, la suddetta obbligazione è
di tipo “acausale”, perché connessa
alla mera utilizzazione edificatoria del
territorio, e perciò ritenuta di natura
paratributaria, a differenza
dell’obbligazione per oneri di
urbanizzazione che deve, invece, ritenersi “causale”
ed ha natura di corrispettivo di diritto
pubblico di natura non tributaria, dovuto
dal titolare della concessione edilizia per
la partecipazione ai costi delle opere di
urbanizzazione connessi all’edificazione
(cfr. TAR Lombardia Brescia, 03.12.2007 n.
1268; TAR Toscana Firenze, Sez. III,
11.08.2004 n. 3181).
In ogni caso, per entrambe le obbligazioni
il rilascio della concessione edilizia o del
permesso di costruzione rappresenta il
momento costitutivo dell’obbligo giuridico
-incombente sul beneficiario del
provvedimento autorizzatorio- di
corrispondere le somme dovute per il
contributo di costruzione (cfr. Consiglio di
Stato – Sezione IV, 06.06.2008 n. 2686).
Con la conseguenza che l’omessa contestuale
determinazione di tale contributo o di una
delle due voci che lo compongono (oneri di
urbanizzazione e costo di costruzione)
realizza, sin dal momento del rilascio del
titolo abilitativo all’edificazione, una
lesione attuale e concreta alla finanza
comunale, venendo a mancare, in capo
all’ente locale, la disponibilità piena ed
immediata di entrate contributive ad esso
spettanti.
Analogamente è a dire, in termini di
attualità ed effettività del pregiudizio,
con riguardo all’errata determinazione del
contributo in misura inferiore al dovuto;
ciò anche a voler prescindere dal carattere
di definitività attribuito da una certa
giurisprudenza alla determinazione del
quantum della obbligazione contributiva
a carico del privato, con esclusione della
possibilità per l’amministrazione comunale
che abbia erroneamente liquidato l’ammontare
del contributo, di richiedere
successivamente, in via di autotutela, un
importo a titolo di conguaglio (cfr.
Consiglio di Giustizia Amministrativa per la
Regione Siciliana, decisione n. 1007/2000).
---------------
4)
Si può ora passare ad esaminare la questione
della prescrizione dell’azione di
responsabilità eccepita dalla difesa del
convenuto.
Sul punto è appena da ricordare che
nel
nuovo ordinamento delle autonomie locali
–art. 58 della legge 08.06.1990 n. 142– è
previsto che l’azione di responsabilità si
prescrive col decorso del quinquennio “dalla
commissione del fatto”.
Tale espressione, secondo giurisprudenza di
questa Corte,
deve essere intesa nel senso
che non è sufficiente a dare inizio al
periodo prescrizionale il semplice
compimento della condotta trasgressiva degli
obblighi di servizio dalla quale non sia
ancora scaturito alcun nocumento all’ente
pubblico, posto che l’elemento “fatto”
comprende non solo la condotta del soggetto
ma anche l’evento dannoso che ad essa
consegue (cfr. Sez. II, 03.02.1999 n. 28/A;
Sez. giurisd. reg. Lazio, 25.09.2000 n.
1544/R).
Un indirizzo interpretativo del tutto
analogo è stato poi adottato a proposito
dell’art. 1, secondo comma, della legge
14.01.1994, n. 20 (come sostituito con legge
20.12.1996, n. 639) -per il quale il diritto
al risarcimento del danno si prescrive in
ogni caso in cinque anni, decorrenti dalla
data in cui si è verificato il “fatto
dannoso” (ovvero, in caso d’occultamento
doloso del danno, dalla data della sua
scoperta)–, affermandosi che ai fini
dell’individuazione del “dies a quo”
della prescrizione, ai sensi del citato art.
1 l. n. 20/1994 occorre avere riguardo alla
fattispecie costituita da condotta ed evento
dannoso, che si completa al verificarsi di
quest’ultimo, vale a dire del depauperamento
dell’amministrazione o dell’ente (cfr. Corte
dei Conti – Sezioni II, 19.10.1998 n.
212/A).
Tanto premesso, ritiene il Collegio di non
poter condividere la tesi di parte attrice
secondo la quale si tratterebbe, nella
specie, di illecito permanente
caratterizzato dal protrarsi nel tempo della
condotta antidoverosa la quale dovrebbe,
perciò, essere considerata una condotta
unica continuata, con conseguente
spostamento “in avanti”, sino alla
sua cessazione, del "dies a quo" per
l'inizio del computo del termine
prescrizionale.
In realtà, la contestata vicenda di danno,
pur nella sua sostanziale unitarietà,
risulta articolata in segmenti temporali
corrispondenti ai singoli anni controversi
(2000–2009), cui le specifiche minori
entrate sono state riferite.
D’altra parte, il criterio -poi confermato
dalla Procura attrice– per mezzo del quale
il Comune di Vergato è pervenuto alla
determinazione del danno in discussione è
consistito proprio nel calcolare il mancato
adeguamento del costo di costruzione anno
per anno, a partire dal 2000 fino al 2009,
individuando l’ammontare delle minori
entrate per ogni singolo esercizio
finanziario ed il loro ammontare complessivo
(pari a € 386.711,64).
La decorrenza della prescrizione della
domanda risarcitoria va quindi stabilita
tenendo conto del criterio appena
evidenziato, ovvero avendo riguardo al danno
come perdita di entrate contributive subita
dal Comune in riferimento ad ogni specifico
anno oggetto di contestazione.
Resta da aggiungere che, non sussistendo
nella fattispecie alcun occultamento doloso,
il mancato adeguamento automatico del costo
di costruzione era comunque rilevabile, e
dunque obiettivamente conoscibile, già
all’interno di ogni esercizio finanziario di
riferimento, attraverso le normali procedure
di controllo e di revisione previste dal T.U.EE.LL. (d.lgs. n. 267/2000).
Ne discende, ad avviso del Collegio, che il
“dies a quo” del termine
prescrizionale deve essere fatto coincidere,
anno per anno, con la chiusura
dell’esercizio finanziario di riferimento, e
pertanto, poiché il primo atto interruttivo
del termine prescrizionale (quinquennale) va
individuato nell’invito a dedurre emesso il
16.03.2010 dalla Procura attrice, la pretesa
risarcitoria azionata da quest’ultima
risulta prescritta in relazione al danno per
le minori entrate contributive riferite agli
anni 2000, 2001, 2002, 2003 e 2004.
L’accertata parziale prescrizione del danno
nei termini appena specificati conduce a
ritenere assorbita, relativamente e
limitatamente agli anni sopra indicati
(2000–2004), ogni ulteriore questione
dedotta in atti.
---------------
5)
Quanto, invece, alla parte restante del
danno, costituita dalla perdita di entrate
contributive realizzata nel periodo
dall'01.01.2005 all’ottobre 2009, occorre
prendere le mosse dalla considerazione che
tale periodo ricade interamente sotto il
vigore del citato Testo unico dell’edilizia
(d.P.R. n. 380 del 2001).
Questo corpo normativo è stato emanato
–unitamente al d.lgs. 06.06.2001 n. 378,
recante “Disposizioni legislative in materia
edilizia. (Testo B)” e al d.P.R. 06.06.2001
n. 379 recante “Disposizioni
regolamentari in materia edilizia. (Testo C)”-
in esecuzione delle norme e dei principi di
cui alla legge 08.03.1999, n. 50 (“Delegificazione
e testi unici di norme concernenti
procedimenti amministrativi – Legge di
semplificazione 1998”), che prevedeva,
in attuazione dell'art. 20, comma 1, della
legge 15.03.1997, n. 59 (c.d. “legge
Bassanini”), l’emanazione di regolamenti
(ai sensi dell'art. 17, comma 2, della legge
23.08.1988, n. 400) per la delegificazione e
la semplificazione dei procedimenti
amministrativi (art. 1), nonché il riordino
delle norme legislative e regolamentari
disciplinanti varie fattispecie e materie “mediante
l'emanazione di testi unici riguardanti
materie e settori omogenei, comprendenti, in
un unico contesto e con le opportune
evidenziazioni, le disposizioni legislative
e regolamentari” (art. 7).
Le norme del d.P.R. n. 380 del 2001 che
interessano in particolare ai fini
dell’odierno giudizio sono già state
riportate al punto 2.b) della presente
esposizione in diritto, cui si rinvia.
Qui preme osservare che le norme anzidette
hanno ripreso i contenuti sostanziali delle
preesistenti disposizioni della legge n. 10
del 1977 in coerenza, peraltro, ai limiti di
intervento del legislatore delegato come
segnati dai principi e criteri direttivi
fissati dall’art. 7, comma 2, della legge n.
50 del 1999, tra cui il “coordinamento
formale delle disposizioni vigenti,
apportando, nei limiti di detto
coordinamento, le modifiche necessarie per
garantire la coerenza logica e sistematica
della normativa anche al fine di adeguare e
semplificare il linguaggio normativo”
(v. art. 7, comma 2, lett. d).
In altre parole, il legislatore delegato,
con l’emanazione del Testo unico in oggetto,
ha realizzato un unico quadro normativo
delle preesistenti disposizioni nella
materia che occupa, effettuando un’opera di
ricognizione, coordinamento e
razionalizzazione delle stesse senza,
comunque, introdurre innovazioni sostanziali
rispetto al sistema normativo previgente.
Ad avviso del Collegio, in un siffatto
contesto non appare quindi configurabile
alcuna radicale discontinuità delle
disposizioni de quibus raccolte nel
Testo unico n. 380 del 2001 rispetto a
quelle della legge n. 10 del 1977 sulla
edificabilità dei suoli, tale da poter
giustificare, per quanto qui interessa,
dubbi ed incertezze applicative in ordine
alla determinazione del contributo afferente
al costo di costruzione.
Ciò anche a voler considerare l’aspetto
innovativo riferito alla sostituzione della
concessione edilizia con il “permesso di
costruire”, che tuttavia non ha
comportato modifiche di rilevanza
sostanziale alla disciplina del costo di
costruzione, come del resto può desumersi
dal raffronto tra le sopra riportate
disposizioni degli artt. 3 (“contributo
per il rilascio della concessione”) e 6
(“determinazione del costo di costruzione”)
della legge n. 10 del 1977 e le
corrispondenti disposizioni dell’art. 16 (“contributo
per il rilascio del permesso di costruire”)
del d.P.R. n. 380 del 2001 nonché degli
artt. 27 (“contributo di costruzione”)
e 29 (“costo di costruzione”) della
legge Emilia Romagna n. 31 del 2002.
Al riguardo, peraltro, non appare superfluo
osservare che nel presente giudizio oggetto
di contestazione non è un (ipotetico) “cattivo”
uso del potere abilitativo del Comune in
ordine all’attività edificatoria, bensì il
mancato aggiornamento ISTAT, negli anni
sopra specificati (2005–2009), del costo di
costruzione da determinarsi (ed
effettivamente determinato) all’atto del
rilascio dei provvedimenti di autorizzazione
a costruire; provvedimenti -giova
sottolinearlo– che in questa sede non hanno
formato oggetto di alcuna censura.
---------------
6)
Passando al merito degli addebiti mossi a
carico dell’odierno convenuto, occorre
anzitutto soffermarsi sulla collocazione
dell’Unità Operativa “Urbanistica–Edilizia
Privata–Ambiente” all’interno del
sistema di organizzazione del Comune come
ridefinito (con deliberazione di giunta n.
120 del 02.11.2000) a seguito dell’entrata
in vigore del decreto legislativo 18.08.2000
n. 267 (T.U. Enti Locali), ed ordinato per “Aree”
comprendenti, a loro interno, più Unità
Operative.
Orbene, la suddetta Unità Operativa “Urbanistica–Edilizia Privata–Ambiente”, della
quale il sig. ... è stato Responsabile dal
2001 al luglio 2009, rappresenta
un’articolazione dell’Area n. 3 – “Servizi
per la Collettività ed il Territorio”
comprendente, oltre alla menzionata Unità,
anche le Unità Operative "Attività
Produttive-Sportello unico-Turismo
(escluso quello culturale)", "Lavori
Pubblici e manutenzione” e "Polizia
Municipale-Protezione civile".
Come desumibile dalla documentazione in atti
(v. Statuto del Comune e Piani Esecutivi di
Gestione), l’Unità Operativa in questione,
sostitutiva (dall’anno 2001) del Settore “Urbanistica
e Ambiente”, ancorché costituisca, così
come le altre Unità Operative, una struttura
interna (all’Area n. 3) di tipo non apicale,
risulta comunque dotata, negli specifici
ambiti di competenza, di autonomia
funzionale e gestionale per il conseguimento
degli obiettivi programmati, con imputazione
dei relativi capitoli di bilancio (42035 -
oneri su costo di costruzione; 42036 – oneri
di urbanizzazione primaria; 42037 – oneri di
urbanizzazione secondaria…).
D’altra parte, giusta quanto precisato dal
Comune di Vergato, e come sottolineato dalla
Procura attrice, senza alcuna contestazione
difensiva sul punto, il geom. ..., anche
dopo la “trasformazione” del Settore
“Urbanistica e Ambiente” in Unità
Operativa “Urbanistica–Edilizia
Privata–Ambiente”, all’esito allo
svolgimento “delle attività istruttorie di
natura tecnica in materia urbanistica ed
edilizia” provvedeva “autonomamente
all’adozione del provvedimento finale” (v. “Prospetto
dotazione organica del servizio”
trasmesso con nota sindacale 08.01.2010,
prot. n. 213), in piena continuità con le
funzioni di Responsabile di Settore
precedentemente esplicate.
In altre parole, anche successivamente alla
creazione -unitamente alla figura dei
relativi Responsabili- delle “Aree”,
individuate come “strutture operative di
massima dimensione, finalizzate a garantire
l’efficacia dell’intervento nell’ambito di
materie aventi caratteristiche omogenee”
(v. Statuto del Comune di Vergato) ed
articolate, a loro volta, in Unità
Operative, l’intero procedimento abilitativo
edilizio, e quindi la determinazione del
contributo di costruzione (oneri di
urbanizzazione e costo di costruzione) in
sede di rilascio del permesso di
costruzione, continuava a fare capo, in via
diretta, al geom. ..., nella sua qualità
di Responsabile della Unità Operativa “Urbanistica–Edilizia Privata–Ambiente”.
Tanto chiarito, va subito aggiunto che
l’adeguamento annuo del costo di costruzione
secondo l’indice ISTAT, disciplinato dalla
normativa dianzi richiamata (v. art. 16 d.P.R. n. 380/2001; artt. 27 e 29 l.reg.
Emilia Romagna n. 31/2002),
rientra
indiscutibilmente nell’ambito del
procedimento autorizzatorio di cui sopra,
trattandosi di adempimento strettamente
connesso all’esatto computo del contributo
dovuto in relazione al permesso di
costruire.
Appare perciò evidente, ad avviso del
Collegio, che anche per tale adempimento
l’ordinaria competenza a provvedere
(appartenesse e) appartenga al Responsabile
della Unità Operativa interessata, più che
al Responsabile dell’Area di riferimento (“Servizi
per la Collettività ed il Territorio”) o
agli organi deliberativi dell’Ente.
D’altro canto, l’aggiornamento in questione
si risolve in una operazione di calcolo da
effettuarsi sulla base di un parametro -la
variazione ISTAT- fissato da prescrizioni
legislative (statali e regionali) alla
stregua delle quali si sarebbe dovuto
provvedere automaticamente anno per anno,
senza alcuna possibilità di valutazioni ed
apprezzamenti discrezionali da parte degli
organi di governo comunali trattandosi,
invero, di adeguamento comunque obbligatorio
per legge.
Sul punto le disposizioni di riferimento,
vale a dire l’art. 16, comma 9, del d.P.R.
n. 380/2001 –testualmente riproduttivo, in
parte qua, dell’art. 6, comma 3, della legge
n. 10 del 1977– e l’art. 29, comma 3, della
legge regionale Emilia Romagna n. 31 del
2002, risultano univocamente chiare e
vincolanti nel prevedere che nei periodi
intercorrenti tra le determinazioni
regionali il costo di costruzione è adeguato
annualmente dai Comuni “in ragione
dell'intervenuta variazione dei costi di
costruzione accertata dall'Istituto
nazionale di statistica”, con
l’ulteriore rilevante precisazione, nella
norma statale appena citata,
che
all’adeguamento si procede anche “in
eventuale assenza di tali determinazioni”
ed “autonomamente”.
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7)
Per quanto precede, ritiene il Collegio che
nella fattispecie in esame, riguardo al
mancato adeguamento annuale del costo di
costruzione, si sia verificata una
situazione di illegittima omissione a
provvedere da parte del Comune.
Omissione in primo luogo imputabile al geom.
... il quale, nella sua veste di
Responsabile della competente Unità
Operativa, avrebbe dovuto dare piena e
continuativa attuazione,
anche dopo l’entrata in vigore del Testo
Unico dell’edilizia, alla
delibera del Consiglio Comunale n. 58 del
29.09.1999 (di recepimento della
deliberazione del Consiglio Regionale n.
1108 in data 29.03.1999) aggiornando annualmente, con
propria determinazione, il costo di
costruzione, così come stabilito al punto 4)
del dispositivo della delibera medesima;
adempimento, del resto, di non particolare
complessità, già curato dall’odierno
convenuto in riferimento all’anno 2001
mediante l’adozione della determinazione n.
58 del 20.12.2000.
Né il contestato inadempimento può trovare
valida giustificazione nel documento
denominato “Appunti per una discussione
della Giunta in merito alla pianificazione
urbanistica comunale e ai primi adempimenti
conseguenti alla nuova legge di disciplina
dell’attività edilizia” allegato dalla
difesa del convenuto.
Trattasi infatti, come anche sottolineato
dall’Organo requirente, di documento –senza
data e senza alcuna sottoscrizione- del
quale non è affatto chiara la provenienza,
privo comunque di qualsiasi valenza
autoritativa e decisoria ed inidoneo,
pertanto, ad esplicare efficacia vincolante
nei confronti del convenuto, e ciò a fronte
–è bene ripeterlo- sia del perdurante
obbligo, normativamente espresso, di
adeguare annualmente il costo di
costruzione, sia del menzionato atto
deliberativo comunale (delib. cons. n. 58
del 29.09.1999) che poneva tale incombente a
carico del “Capo Settore Urbanistica”
(ora Unità Operativa “Urbanistica–Edilizia
Privata–Ambiente”).
Incombente, peraltro, mai revocato, né
formalmente né implicitamente, ed anzi
ribadito, con richiamo testuale ai
precedenti e sottostanti provvedimenti
regionale (delib. cons. n. 1108/1999) e
comunale (delib. cons. n. 58/1999), dalla
deliberazione di giunta n. 105 in data
08.10.2009 con la quale, nel prendere atto “…della
necessità di procedersi all’aggiornamento
del costo di costruzione ai sensi della
deliberazione di Consiglio Regionale n.
1108/1999 e della deliberazione di Consiglio
Comunale n. 58/1999, alla luce delle
intervenute variazioni dei costi di
costruzione accertata dall’ISTAT”, si
disponeva che il Responsabile della U.O. “Urbanistica
Edilizia Privata e Ambiente” avrebbe
provveduto “all’aggiornamento annuale ed
autonomo del predetto costo di costruzione,
secondo le modalità di cui alla
deliberazione di CR n. 1108/1999”.
Il che sta a confermare, con tutta evidenza,
la piena e perdurante validità ed efficacia
delle due suindicate delibere (regionale e
comunale) del 1999 anche oltre l’entrata in
vigore del Testo unico dell’edilizia.
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8)
In sostanza, dunque, il mancato
aggiornamento del costo di costruzione
configura, ai fini del presente giudizio,
una condotta omissiva dell’odierno convenuto
qualificabile, se non come dolosa,
certamente come gravemente colposa.
A questo riguardo, osserva il Collegio come
nella fattispecie in esame difettino i
profili del c.d. dolo “erariale” o “contrattuale”,
peraltro solo adombrato dalla Procura
attrice, non risultando il comportamento del
sig. ... improntato a consapevole volontà
del medesimo di agire in violazione dei
propri doveri d’ufficio e di arrecare un
ingiusto pregiudizio all’Ente.
Nella condotta del sunnominato ricorrono,
tuttavia, gli elementi della colpa grave,
ove si consideri, anzitutto, che
l’aggiornamento annuale del costo di
costruzione -operazione, come già detto, di
relativa semplicità- postulava un dovere
particolarmente pregnante e puntuale di
diligenza nell’adempimento di tale obbligo,
specie per i connessi rilevanti riflessi
sulle finanze del Comune.
Va inoltre evidenziato che l’inadempienza si
è protratta per svariati anni senza che il
convenuto abbia mai adottato, nell’ambito
dell’autonomia di competenze non meramente
esecutive di cui in precedenza si è fatto
cenno, alcuna concreta, documentata
iniziativa di natura “operativa”, o
anche solo “sollecitatoria” e/o “propositiva”,
volta a definire la vicenda dell’adeguamento
ISTAT di cui si discute; vicenda, occorre
ribadirlo, coinvolgente, in via diretta ed
immediata, l’importante attività gestionale
in materia di edilizia privata propriamente
riservata all’Unità Operativa (“Urbanistica–Edilizia
Privata–Ambiente”) della quale il sig.
... era Responsabile.
In altre parole, viene qui in rilievo la
prolungata, ingiustificata inerzia del
convenuto in ordine all’adeguamento del
costo di costruzione, inerzia da ritenersi e
valutarsi quale espressione di inescusabile
e macroscopica superficialità nella cura
dell’attività gestoria di un settore
comunale, quello dell’edilizia privata, di
assoluto rilievo.
Per quanto sin qui dedotto,
il Collegio
ritiene dunque sussistente una condotta
gravemente colposa del sig. ...,
direttamente causativa,
nella misura che si andrà a specificare,
del danno alle finanze comunali
perseguito in questa sede.
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9)
Ciò posto, la condotta omissiva del
sunnominato va però collocata in un certo
contesto fattuale, del quale occorre tenere
debitamente conto ai fini della
delimitazione della responsabilità posta a
carico del convenuto medesimo.
In particolare, con riferimento alla
questione che ne occupa, non risulta che i
già menzionati “Appunti per una
discussione della Giunta in merito alla
pianificazione urbanistica comunale e ai
primi adempimenti conseguenti alla nuova
legge di disciplina dell’attività edilizia”
–ove risulta annotato, a proposito del
contributo di costruzione, che “Anche in
questo caso non sono necessarie, ora, scelte
particolari; occorre infatti attendere le
nuove determinazione del consiglio regionale
e quindi le tabelle per contributi e oneri
rimangono quelle in vigore. E' facoltà del
Consiglio Comunale l'adeguamento del costo
di costruzione sulla semplice base dei dati
ISTAT.”- siano stati poi tradotti in
formali deliberati del Comune contenenti
disposizioni o indicazioni in ordine
all’adeguamento del costo di costruzione.
In realtà, allo stato degli atti, nel
periodo intercorso tra la determinazione n.
58 del 28.12.2000 (oggetto: Aggiornamento
costo di costruzione) adottata dal geom. ...
e la delibera giuntale n. 105 in data
08.10.2009 (oggetto: “Aggiornamento ISTAT
costo di costruzione”) conseguente alla
relazione in pari data dell’arch. ... -
subentrata al geom. ... nella responsabilità
dell’Unità Operativa Urbanistica–Edilizia
Privata–Ambiente-, nessun organo comunale,
elettivo e non, risulta in alcun modo
essersi formalmente attivato, nell’ambito
dell’esercizio delle proprie peculiari
competenze, perché le modalità
dell’adeguamento ISTAT del costo di
costruzione ricevessero certa e sollecita
definizione nel vigore della nuova normativa
statale e regionale (d.P.R. n. 380/2001 e
l.reg. Emilia Romagna n. 31/2002);
fermo
restando comunque, come già sottolineato,
l’obbligo, non la mera facoltà, del Comune
di provvedere a tale adeguamento.
D’altra parte, anche ammesso e non concesso
(stante il chiaro dettato normativo) che
fosse effettiva facoltà del Consiglio
Comunale deliberare, sulla base di una
valutazione politica e discrezionale, in
ordine all’adeguamento o meno del costo di
costruzione, in ogni caso una tale decisione
avrebbe dovuto essere formalizzata con uno
specifico atto consiliare (con piena
assunzione della conseguente
responsabilità); il che non è avvenuto, né
le delibere di adozione di variante al PRG
(n. 39 dell’11-04-2003; n. 48 del
28-04-2003; n. 35 del 21-04-2009) richiamate
nella memoria di costituzione del convenuto
(vedasi pag. 6), ed alla stessa allegate,
esprimono alcuna volontà
politico-amministrativa di mantenere fermo
il costo anzidetto.
Non si può, inoltre, non evidenziare come
abbia fatto assoluto difetto, nella vicenda
in esame, l’esercizio da parte dei dirigenti
succedutisi nella carica di Responsabile
dell’Area n. 3 (“Servizi per la
Collettività ed il Territorio”) dei
propri poteri di direttiva, di impulso e di
controllo, quando non sostitutivi, in
relazione alla specifica attività svolta
dall’Unità Operativa “Urbanistica–Edilizia
Privata–Ambiente”.
In conclusione, al di là di ipotizzabili
profili di responsabilità la cui valutazione
appartiene prioritariamente alla competenza
della Procura Requirente, resta il fatto che
l’assenza di una qualunque iniziativa da
parte dei vari soggetti comunali (in
primis Consiglio, Giunta e dirigenti
Responsabili dell’Area 3), comunque coinvolti
dalla discussa problematica in ragione delle
rispettive attribuzioni, ha consentito che
la grave anomalia gestionale rappresentata
dal mancato adeguamento del costo di
costruzione si protraesse per diversi anni
in una situazione di persistente inazione
dell’amministrazione; situazione che ha
senza dubbio contribuito al progressivo
formarsi dell’ingente danno per cui è causa.
Tutto ciò risulta ancora più evidente se si
considera che, a distanza di anni
dall’entrata in vigore della nuova normativa
sull’edilizia, è bastata la relazione
dell’08.10.2009 dell’arch. ... per attivare
il potere deliberativo della Giunta e
provvedere all’aggiornamento del costo di
costruzione (vedasi deliberazione n. 105 in
data 08.10.2009) senza, peraltro, che nel
frattempo il Consiglio Regionale avesse
adottato alcuna nuova determinazione in
materia.
Del resto, e vale la pena di rimarcarlo,
nella menzionata relazione si espone
testualmente che “Le procedure di
approvazione dell'aggiornamento cambiano
secondo indirizzi interni ai Comuni,
che non si è potuto riscontrare,
a volte delibera di giunta, altre
volte determina del responsabile
urbanistica-edilizia, ma il riscontro
dell'aggiornamento si è potuto avere in
quasi tutti i comuni. Tuttavia la scrivente
si è premurata di contattare la Regione,
dalla quale ha ricevuto rassicurazioni sulla
non rilevanza relativamente alla procedura
di approvazione, ma certezza sull'obbligo
dei comuni di procedere all'aggiornamento” (vedasi
pag. 4), a riprova del fatto che
se in
precedenza i vari organi comunali avessero
prestato, ognuno nell’ambito delle proprie
prerogative, maggiore cura e attenzione
circa la corretta applicazione della
procedura di calcolo del costo di
costruzione, l’ammontare del danno sarebbe
risultato di gran lunga inferiore a quello
poi accertato, o forse non si sarebbe
realizzato.
Ritiene pertanto il Collegio che nella
dedotta vicenda il mancato intervento degli
altri soggetti comunali interessati,
concretizzatosi anch’esso in una continuata
ed assolutamente ingiustificabile inerzia,
pur non facendo venire meno la
responsabilità per colpa grave dell’odierno
convenuto assuma, tuttavia, concorrente
rilevanza nella produzione dell’evento
dannoso.
Tale apporto concausale, valutato con
riguardo all’insieme delle accennate
condotte “inattive”, appare
complessivamente stimabile, per la notevole
incidenza che esso ha avuto sul protrarsi
per anni dell’inadempimento dell’obbligo di
adeguamento del costo di costruzione, nella
misura del 75 per cento, con corrispondente
riduzione al 25 per cento della percentuale
di responsabilità restante a carico del sig.
....
---------------
10)
Si pone, a questo punto, il problema della
quantificazione del danno derivato al Comune
dal mancato adeguamento annuale del costo di
costruzione; ciò limitatamente al periodo
gennaio 2005–ottobre 2009, essendo il
periodo precedente coperto, come già detto,
da prescrizione.
Al riguardo si deve tornare a rilevare che
il danno in questione è costituito dalle
minori entrate contributive conseguenti al
minor importo, rispetto al dovuto, del costo
di costruzione quale determinato dallo
stesso geom. ... nell’ambito del rilascio
dei permessi di costruire relativi alle
pratiche edilizie definite anno per anno.
Pratiche che come già evidenziato nel corso
della presente esposizione, e come anche
osservato in citazione dalla Procura
attrice, non hanno formato oggetto, né in
sede amministrativa né in questa sede
giurisdizionale, di alcuna contestazione
sotto alcun altro profilo diverso dal
mancato adeguamento ISTAT del costo di
costruzione.
Ne consegue che i rilievi formulati dalla
difesa del convenuto per il periodo dal 2005
in poi, e riportati al punto 6) della parte
narrativa della presente sentenza (cui si
rimanda), appaiono non risolutivi per quanto
qui ci occupa, siccome involgenti aspetti e
problematiche dei titoli abilitativi a
costruire (quali attività edilizie dovessero
scontare il costo di costruzione, quali
fossero a costo pieno, quali a costo
ridotto, quali esenti; …diversità dei costi
da scontare a seconda delle varie tipologie
di attività…inapplicabilità di alcun tipo di
adeguamento del costo di costruzione per i
permessi di costruire dei nuovi edifici ad
uso terziario; diversa disciplina per le
pratiche relative alle ristrutturazioni e
alle DIA…) che non possono influire
sull’accertamento del quantum del costo di
costruzione non introitato dal Comune a
causa della mancata applicazione, anno per
anno, del meccanismo adeguativo previsto
dalla normativa in materia.
Ciò in quanto il dato sostanziale su cui
l’Amministrazione ha computato, ai fini
risarcitori, l’adeguamento annuale ISTAT è
il costo di costruzione, comprendente
l’aumento (non aggiornato) a suo tempo
applicato, quale risultato del relativo
procedimento tecnico all’uopo utilizzato
proprio dal geom. ... nelle varie pratiche
edilizie come trattate e definite dallo
stesso e che non possono ora, in questa
sede, essere sottoposte ad una verifica
generalizzata stante, tra l’altro,
l’assoluta mancanza di indicazione, riguardo
alle stesse, di ulteriori circostanze ed
elementi concreti e specifici che sarebbe
stato onere del convenuto allegare.
A tale proposito, giova richiamare
testualmente alcuni passaggi della nota prot.
n. 7924 del 14.06.2010 inviata dal Comune di
Vergato alla Procura Regionale, ove si
precisa -in ordine alle modalità di calcolo
del danno erariale– “che il calcolo è
stato disposto in relazione alle somme
effettivamente accertate per ciascun
esercizio finanziario a titolo di costo di
costruzione (capitolo di entrata 4035-000
tit. 4 cat. 5, risorsa 44217), pertanto già
separato dall'introito per oneri di
urbanizzazione (che compongono la voce
complessiva del contributo di costruzione
dovuto dal cittadino).
Per quanto concerne le osservazioni in
ordine alla legittimazione della richiesta
del costo di costruzione di cui alla memoria
difensiva (e quindi alla differenziazione
tra edifici residenziali e terziari, alle
verifiche relative alla data di
presentazione della pratica, alla
distinzione tra nuove costruzioni e
ristrutturazioni) si precisa che il calcolo
è stato effettuato utilizzando come base
sostanziale gli accertamenti tecnici e
l'istruttoria già compiuta dal dipendente in
ordine rispettivamente alla ricorrenza del
titolo legittimante la richiesta del costo
di costruzione, alla definizione dei
parametri temporali di applicazione ed alla
definizione della base di calcolo (vale a
dire presupponendo in via esclusiva che
l'applicazione del costo di costruzione
fosse erronea solo nella quantificazione
dell'importo unitario).
Diversamente opinando si dovrebbe ipotizzare
una verifica caso per caso con conseguente
riesame istruttorio di ciascuna pratica del
periodo interessato, con conseguente
paralisi delle attività ordinarie dell'Ente.
Per questo motivo la formulazione del
calcolo del danno erariale (pari ad euro
386.711,64) è stata determinata
dall'applicazione per ciascun anno della %
di aumento ISTAT effettivamente dovuta e non
applicata. Da tale somma è stato scomputato
l'aumento percentuale formalmente praticato
con decorrenza 2001 (come di seguito
specificato). Per la medesima ragione nella
quantificazione del danno non si è tenuto in
considerazione l'asserito arrotondamento
eseguito dal dipendente a € 500,00, posto
che lo stesso non risulta formalizzato in
alcun atto…”.
La stessa Amministrazione comunale ha
inoltre prodotto un prospetto -a firma del
Sindaco– di quantificazione delle minori
entrate contributive accertate anno per
anno, nel quale sono esposti, per il periodo
che qui interessa (2005-2009), i seguenti
dati:
- esercizio 2005: “entrata accertata = €
303.674,06; atto di aggiornamento -
determina URB 58/2000; cc corretto = €
556,59; ISTAT annuo = 4,3900%; ISTAT totale
= € 119,7452%; ISTAT totale = 19,7452%;
aumento % ISTAT formalmente applicato =
1,8500%; entrata accertata depurata
dell’aumento formalmente applicato = €
298.158,13; aumento applicato su totale
accertato = € 5.515,9255; aumento
effettivamente dovuto su totale accertato =
€ 58.871,8626; minore entrata = €
53.355,9371”;
- esercizio 2006: “entrata accertata = €
296.041,52; atto di aggiornamento -
determina URB 58/2000; cc corretto = €
577,55; ISTAT annuo = 3,7700%; ISTAT totale
= € 124,2596%; ISTAT totale = 24.2596%;
aumento % ISTAT formalmente applicato =
1,8500%; entrata accertata depurata
dell’aumento formalmente applicato = €
290.693,69; aumento applicato su totale
accertato = € 5.377,8332; aumento
effettivamente dovuto su totale accertato =
€ 70.521,0503; minore entrata = €
65.143,2170”;
- esercizio 2007: “entrata accertata = €
254.035,98; atto di aggiornamento -
determina URB 58/2000; cc corretto = €
595,58; ISTAT annuo = 3,1200%; ISTAT totale
= € 128,1365%; ISTAT totale = 28,1365%;
aumento % ISTAT formalmente applicato =
1,8500%; entrata accertata depurata
dell’aumento formalmente applicato = €
249.421,68; aumento applicato su totale
accertato = € 4.614,3011; aumento
effettivamente dovuto su totale accertato =
€ 70.178,4628; minore entrata = €
65.564,1617”;
- esercizio 2008; “entrata accertata = €
206.657,90; atto di aggiornamento -
determina URB 58/2000; cc corretto = €
625,36; ISTAT annuo = 5,000%; ISTAT totale =
€ 134,5433%; ISTAT totale = 34,5433%;
aumento % ISTAT formalmente applicato =
1,8500%; entrata accertata depurata
dell’aumento formalmente applicato = €
202.904,17; aumento applicato su totale
accertato = € 3.753,7272; aumento
effettivamente dovuto su totale accertato =
€ 70.089,7899; minore entrata = €
66.336,0627”;
- esercizio 2009: “entrata accertata = €
128.047,80; atto di aggiornamento – sino ad
aggiornamento (DGC 105/2009-DA3 145/2009);
cc corretto = € 654,38; ISTAT annuo =
4,6400%; ISTAT totale = € 140,7861%; ISTAT
totale = 40,7861%; aumento % ISTAT
formalmente applicato = 1,8500%; entrata
accertata depurata dell’aumento formalmente
applicato = € 125.721,94; aumento applicato
su totale accertato = € 2.325,8560; aumento
effettivamente dovuto su totale accertato =
€ 51.277,0846; minore entrata = €
48.951,2286”.
Ebbene, ritiene il Collegio che i dati
appena riportati diano sufficientemente
conto del complessivo importo, determinato
per arrotondamento in € 299.000, del danno
derivato al Comune da minori entrate
contributive per mancato adeguamento del
costo di costruzione relativamente alle
pratiche edilizie definite dall’odierno
convenuto nel periodo gennaio 2005–ottobre
2009.
Né d’altra parte, a fronte di tali dati
oggettivamente accertati, il convenuto
medesimo ha allegato elementi probatori
contrari, certi e concreti idonei a
dimostrare quanto dedotto nella memoria di
costituzione sul fatto che “per
moltissime pratiche le entrate introitate
dal Comune sono state addirittura superiori
a quelle che avrebbe potuto pretendere con
l'applicazione rigorosa della l.r. 31/2002
…., è pacifico che il danno richiesto non
sia corretto, ma sia molto maggiore di
quello effettivamente e se del caso
sussistente subito dall'amministrazione”
ed “addirittura c'è ragione di credere
che il Comune di Vergato non abbia
registrato alcuna perdita” (vedasi pag.
26 della memoria difensiva).
Da quanto sopra considerato discende,
dunque, che la quota parte di danno
addebitabile al sig. ..., pari al 25 per
cento dell’importo di € 299.000, risulta
fissata in € 74.750.
Inoltre, sempre ad avviso del Collegio,
ricorrono i presupposti per un moderato
esercizio del potere riduttivo dell’addebito
tenuto conto, in particolare, delle
circostanze di incertezza amministrativa nel
cui contesto il geom. ... ebbe ad operare
all’epoca dei fatti di causa; tale riduzione
appare equamente calcolabile nella misura
del 20 per cento, con susseguente
determinazione dell’addebito nel conclusivo
importo (arrotondato) pari a € 60.000,
comprensivo degli accessori maturati sino
alla presente sentenza.
---------------
11)
Conclusivamente, va quindi affermata la
responsabilità amministrativa dell’odierno
convenuto sig. ... per i fatti di cui è
causa, con conseguente condanna dello stesso
al risarcimento in favore del Comune di
Vergato della somma di € 60.0000
(sessantamila), cui devono aggiungersi gli
interessi legali dalla data di deposito
della presente sentenza sino al saldo; salvo
a tenere conto in sede di esecuzione, nella
sopra specificata misura del 25 per cento,
di quanto eventualmente altrimenti
recuperato dal predetto Comune, in via di
autotutela ed a titolo di conguaglio, nei
confronti dei beneficiari dei provvedimenti
autorizzatori edilizi in relazione ai quali,
nel periodo di riferimento (2005-ottobre
2009), non si è provveduto alla
determinazione del costo di costruzione
nella misura aggiornata (Corte dei Conti, Sez.
giurisdiz. Emilia Romagna,
sentenza 31.05.2011 n. 265). |
EDILIZIA PRIVATA: L’obbligazione
di pagamento degli oneri concessori sorge
con il rilascio della concessione edilizia e
la giurisprudenza è concorde nel ritenere
che la determinazione del contributo dovuto
per gli oneri in questione debba essere
riferita al momento in cui sorge
l’obbligazione.
Il considerevole lasso di tempo decorso tra
la presentazione della domanda di sanatoria
ed il rilascio della concessione non può
essere utilmente valorizzato nell’ottica
della individuazione di decorrenze del
termine per la formazione del
silenzio-assenso (e, così, del decorso della
prescrizione) diverse da quelle
normativamente indicate né per sollecitare
una non meglio specificata “giusta
mediazione” che tenga conto delle tariffe
eventualmente più favorevoli esistenti
all’epoca della presentazione della domanda
di sanatoria.
L’obbligazione di pagamento degli oneri
concessori sorge con il rilascio della
concessione edilizia e la giurisprudenza è
concorde nel ritenere che la determinazione
del contributo dovuto per gli oneri in
questione debba essere riferita al momento
in cui sorge l’obbligazione.
In tale contesto, il considerevole lasso di
tempo decorso tra la presentazione della
domanda di sanatoria ed il rilascio della
concessione non può essere utilmente
valorizzato nell’ottica della individuazione
di decorrenze del termine per la formazione
del silenzio-assenso (e, così, del decorso
della prescrizione) diverse da quelle
normativamente indicate né per sollecitare
una non meglio specificata “giusta
mediazione” che tenga conto delle
tariffe eventualmente più favorevoli
esistenti all’epoca della presentazione
della domanda di sanatoria (quanto a quelle
vigenti al momento di realizzazione
dell’opera abusiva, lo stesso ricorrente
riconosce che sarebbe ingiusto agevolare il
responsabile)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 24.05.2011 n. 3116 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La giurisdizione esclusiva del
giudice amministrativo sulle controversie
relative ad oneri concessori non muta a
seconda della natura giuridica pubblica o
privata del ricorrente.
I giudici del Tribunale amministrativo di
Napoli ritengono che non sussistano ragioni
valide per discostarsi dall’orientamento
giurisprudenziale già espresso dalla stessa
Sezione su tale argomento (TAR Campania,
Napoli, Sez. VIII, 07.05.2009 n. 2423 e n.
2424; 17.09.2009 n. 4993 e n. 4994) secondo
cui l’art. 34 del D.Lgs. 31.03.1998 n. 80
(come sostituito dalla L. 21.07.2000 n. 205
ed in seguito alla sentenza della Corte
Costituzionale 06.07.2004 n. 204), nel
devolvere alla giurisdizione esclusiva del
giudice amministrativo le controversie
aventi per oggetto atti e provvedimenti
dell’amministrazione in materia urbanistica
ed edilizia, comprende la totalità degli
aspetti dell’uso del territorio, nessuno
escluso (TAR Campania, Napoli, Sez. I,
26.06.2008 n. 6283, TAR Campania, Salerno,
04.04.2008 n. 475, TAR Piemonte, 17.07.2008
n. 1646).
Peraltro, continuano i giudici
amministrativi campani, tale previsione è
contenuta anche nell’art. 133, lett. f), del
codice del processo amministrativo, secondo
cui sono devolute alla giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo, tra
l’altro, “le controversie aventi ad
oggetto gli atti e i provvedimenti delle
pubbliche amministrazioni in materia
urbanistica e edilizia, concernente tutti
gli aspetti dell'uso del territorio”.
Sicché, come già previsto dall’art. 16 della
L. 28.01.1977 n. 10, rientrano in tale
giurisdizione anche le controversie relative
alla determinazione, liquidazione e
corresponsione degli oneri concessori che
risultano, infatti, connessi al rilascio del
titolo abilitativo e pertanto discendono
dall’adozione di un provvedimento
amministrativo (Consiglio di Stato, Sez. V,
21.04.2006 n. 2258).
In altri termini, spiegano i giudici
partenopei, la giurisdizione esclusiva del
giudice amministrativo sulle controversie
attinenti alla corresponsione dei suddetti
oneri concessori discende dallo stretto
collegamento funzionale tra il rilascio
delle concessioni edilizie ed i contributi
conseguenti a carico del privato,
trattandosi appunto di pretesa del Comune
fondata su provvedimenti amministrativi non
gravati e divenuti inoppugnabili.
Tali argomentazioni sono state svolte anche
dalla Corte di Cassazione, secondo cui “la
giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo sussiste anche a prescindere
dall'instaurazione di una controversia in
via di impugnazione diretta del
provvedimento amministrativo, di concessione
o di determinazione del contributo, purché
fra la controversia ed il provvedimento vi
sia uno stretto collegamento funzionale”,
aggiungendo inoltre che “rientrano quindi
nell'ambito della giurisdizione esclusiva
del giudice amministrativo le controversie
in genere aventi ad oggetto l'inadempimento
di obblighi nascenti da una concessione. Né
rileva che il rapporto concessorio si sia
esaurito per decorrenza del termine di
durata di esso, poiché la riserva di
giurisdizione operata dalla norma a favore
del giudice amministrativo riguarda il
rapporto di concessione indipendentemente
dal fatto che esso sia ancora in vita o sia
cessato, purché la controversia ponga in
discussione il rapporto nel suo momento
genetico o funzionale” (Cassazione
civile, Sezioni Unite, 20.11.2007 n. 24009).
Gli stessi giudici concludono, infine, che
le conclusioni esposte in ordine alla
sussistenza della giurisdizione esclusiva
del giudice amministrativo sulle
controversie relative ad oneri concessori
non mutano a seconda della natura giuridica
pubblica o privata del ricorrente, con la
conseguenza che appare del tutto
indifferente la circostanza che nel giudizio
in commento a ricorrere fosse un Comune e
non un privato (commento tratto da
www.documentazione.ancitel.it - TAR
Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza
19.05.2011 n.
2781 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
beneficio dell'esonero dal contributo di
costruzione concerne solo i fabbricati
complementari ed asserviti alle esigenze
proprie di un impianto industriale, e non le
opere edilizie comunque suscettibili di
essere utilizzate al servizio di qualsiasi
attività economica.
La giurisprudenza ha chiarito che (Consiglio
Stato, sez. IV, 25.06.2010 , n. 4109) ai
sensi dell'art. 10, l. 28.01.1977 n. 10,
trasfuso nell'art. 19, t.u. sull'edilizia
approvato con d.P.R. 06.06.2001 n. 380, il
beneficio dell'esonero dal contributo di
costruzione concerne solo i fabbricati
complementari ed asserviti alle esigenze
proprie di un impianto industriale, e non le
opere edilizie comunque suscettibili di
essere utilizzate al servizio di qualsiasi
attività economica.
In merito, sebbene la ricorrente non abbia
dato prova certa della connessione tra gli
edifici per unità artigianali e le
abitazioni dei custodi, un indice di tale
nesso risulta dal contenuto degli atti
dedotti in giudizio ed in particolare dalla
richiesta unitaria delle somme da pagare.
D’altro canto neppure il Comune ha dato
prova della presunta mancanza di un rapporto
pertinenziale tra le opere, che richiede
l’analisi della cartografia allegata alla
richiesta di permesso oppure l’esame dello
stato di fatto delle opere realizzate, se
non sono state successivamente modificate.
Ne consegue che il provvedimento impugnato
dev’essere annullato con riferimento
all’applicazione del costo di costruzione
con obbligo del Comune di provvedere al
riesame dell’applicazione del costo di
costruzione alla luce del principio
giurisprudenziale sopra indicato
(TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 17.05.2011 n. 1265 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sono devolute alla giurisdizione
esclusiva del g.a le controversie
concernenti la determinazione, liquidazione
e corresponsione degli oneri concessori.
Per consolidata giurisprudenza le
controversie in tema di oneri di
urbanizzazione e di costo di costruzione
introducono un giudizio su un rapporto
prescindendo dalla impugnazione di atti
(Cons. St., Sez. V, 19.07.2004 n.
5197): tutte le controversie concernenti, l’an
e il quantum delle somme dovute a titolo di
contributo in dipendenza di norme di legge e
regolamentari attengono a diritti soggettivi
azionabili nei termini di prescrizione
(Cons. St., Sez. V, 10.07.2003 n. 4102),
giacché, l’amministrazione, nella
determinazione delle somme dovute a titolo
di contributo non esercita poteri autoritativi discrezionali ma compie
attività di mero accertamento della
fattispecie in base ai parametri fissati da
leggi e da regolamenti.
Le relative
controversie, dunque, rientrano nella
categoria di quelle attinenti l'impugnativa
di atti paritetici, investe diritti
soggettivi e non è sottoposta ai termini decadenziali propri dei giudizi impugnatori
(Cons. St. Sez. V, 17.10.2002,
n. 5678).
Inoltre, le controversie
concernenti la determinazione, liquidazione
e corresponsione degli oneri concessori già
devolute alla giurisdizione esclusiva del
giudice amministrativo ai sensi dell'art. 16
l. 28.01.1977 n. 10, abrogato a seguito
dell’entrata in vigore del D.Lgs. 104/2010,
rientrano oggi nella previsione dell’art.
133, lett. f), del codice del processo
amministrativo secondo cui sono devolute
alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo, tra l'altro, "le
controversie aventi ad oggetto gli atti e i
provvedimenti delle pubbliche
amministrazioni in materia urbanistica e
edilizia, concernente tutti gli aspetti
dell'uso del territorio" (massima tratta da www.dirittodegliappaltipubblici.it -
TAR Sicilia-Catania, Sez. I,
sentenza 12.05.2011 n. 1159 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Competenza e giurisdizione -
Giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo - Questioni attinenti all'an
e al quantum dell'oblazione e del contributo
per oneri di urbanizzazione e costo di
costruzione - Sussiste - Ratio.
2. Concessione in
sanatoria - Oneri concessori - Provvedimento
di liquidazione - Particolare motivazione -
Non necessita.
1. In materia di determinazione dell'an e
del quantum dell'oblazione e del contributo
per oneri di urbanizzazione e costo di
costruzione per opere soggette a permesso di
costruire in sanatoria -che si presenta
come attività di natura paritetica,
effettuata dalla P.A. in base a rigidi
parametri, prefissati da leggi e regolamenti
vertenti sui criteri impositivi e senza
l'esplicazione di potestà autoritativa-
sussiste la giurisdizione esclusiva del
G.A., proprio in quanto si tratta di
controversie concernenti le rispettive
posizioni di diritto soggettivo ed obbligo
delle parti del rapporto giuridico in
questione (cfr. Cons. di Stato, sent. n.
7466/2010, n. 1388/1996).
2. La determinazione degli oneri previsti
per il rilascio del titolo in sanatoria non
necessita di particolare motivazione, in
quanto costituisce il risultato di un
calcolo materiale, essendo la misura
concreta direttamente ricollegata dalla
legge al carico urbanistico accertato,
secondo parametri rigorosamente stabiliti
(cfr. Cons. di Stato, sent. n. 584/2011;
TAR Catania, sent. n. 2847/2010; TAR
Parma, sent. n. 351/2010; TAR Roma, sent.
n. 3862/2009; TAR Milano, sent. n.
1065/2006) (massima tratta da www.solom.it
- TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 27.04.2011 n.
1069 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
determinazione degli oneri previsti per il
rilascio del titolo in sanatoria non
necessita di particolare motivazione, in
quanto costituisce il risultato di un
calcolo materiale, essendo la misura
concreta direttamente ricollegata dalla
legge al carico urbanistico accertato,
secondo parametri rigorosamente stabiliti.
Secondo un
costante orientamento giurisprudenziale,
condiviso da questo TAR, la determinazione
degli oneri previsti per il rilascio del
titolo in sanatoria non necessita di
particolare motivazione, in quanto
costituisce il risultato di un calcolo
materiale, essendo la misura concreta
direttamente ricollegata dalla legge al
carico urbanistico accertato, secondo
parametri rigorosamente stabiliti (cfr.
Consiglio di Stato, Sez. V, 09.02.2001, n.
584; TAR Sicilia Catania, sez. I,
07.07.2010, n. 2847; TAR Emilia Romagna
Parma, sez. I, 06.07.2010, n. 351; TAR Lazio
Roma, sez. II, 15.04.2009, n. 3862; TAR
Campania Napoli, sez. VIII, 03.09.2008, n.
10035; TAR Abruzzo Pescara, sez. I,
20.02.2008, n. 113; TAR Lombardia Milano,
sez. II, 26.04.2006, n. 1065; TAR Campania
Salerno, sez. II, 04.07.2005, n. 1082; TAR
Calabria, 24.06.1994, n. 758; TAR Lombardia,
Brescia, 16.04.1992, n. 425)
(TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 27.04.2011 n. 1069 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L'entità
del contributo dovuto per oneri concessori
va individuato nel momento in cui viene
rilasciata la concessione edilizia, poiché
il costo da considerare ai fini della
commisurazione dei relativi oneri non può
essere che quello del momento in cui sorge
l'obbligazione, che è appunto quello del
rilascio della concessione e a tale data
occorre avere riguardo per determinare
l'entità del contributo con applicazione
della normativa vigente al momento del
rilascio della concessione medesima.
E ciò vale anche per una concessione
edilizia in sanatoria in quanto la stessa è
una normale concessione edilizia, che però
viene rilasciata dopo l'inizio dei lavori e
con effetto sanante dell'attività già
compiuta e riguardante opere nuove ed
autonome già abusivamente realizzate.
Il chiaro disposto dell'art. 35 della L. n.
47/1985 individua nel momento di
presentazione dell'istanza di concessione in
sanatoria il riferimento temporale per
calcolare la misura dell'oblazione e
nell'avvenuto pagamento della stessa un
requisito di procedibilità della istanza
medesima.
A diversa conclusione deve pervenirsi con
riguardo alla determinazione degli oneri
concessori. Invero, qui -diversamente dalle
somme da corrispondersi a titolo di
oblazione- il momento di calcolo degli oneri
concessori va individuato, non già nella
data di presentazione della domanda di
condono, ma in quella di rilascio del
provvedimento concessorio, tenuto conto che,
ai sensi dell'art. 3 della legge n. 10/1977,
la concessione (e non la semplice domanda)
comporta "la corresponsione di un
contributo commisurato all'incidenza delle
spese di urbanizzazione, nonché al costo di
costruzione".
In tal senso è l'elaborazione
giurisprudenziale (CdS, V, 06.12.1999, n.
2056; id. 22.09.1999, n. 1113), secondo cui
l'entità del contributo dovuto per oneri
concessori va individuato nel momento in cui
viene rilasciata la concessione edilizia,
poiché il costo da considerare ai fini della
commisurazione dei relativi oneri non può
essere che quello del momento in cui sorge
l'obbligazione, che è appunto quello del
rilascio della concessione e a tale data
occorre avere riguardo per determinare
l'entità del contributo con applicazione
della normativa vigente al momento del
rilascio della concessione medesima (cfr.,
ex multis, Cons. di Stato V
25.10.1993, n. 1071, Cons. di Stato V
26.10.1987, n. 661, Cons. di Stato V
12.05.1987 n. 278, Cons. di Stato V
04.08.1986, n. 401; TAR Lazio, II-bis,
04.01.2005 n. 54).
Ciò si spiega in quanto la concessione in
sanatoria è una normale concessione
edilizia, che però viene rilasciata dopo
l'inizio dei lavori e con effetto sanante
dell'attività già compiuta e riguardante
opere nuove ed autonome già abusivamente
realizzate
(TAR Sardegna, Sez. I,
sentenza 31.03.2011 n. 286 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Richiesta di
pagamento del costo di costruzione - Cambio
di destinazione d'uso - Nuova destinazione
ammessa dalle N.T.A. - Categorie edilizie
autonome - Vincolo di strumentalità -
Irrilevanza - Legittimità.
Se il cambio di destinazione d'uso di un
immobile, ancorché compatibile nella
medesima zona omogenea, è intervenuto tra
categorie edilizie funzionalmente autonome e
non omogenee, e, quindi, ha integrato una
modificazione edilizia con effetti incidenti
sul carico urbanistico, è soggetta al regime
oneroso, indipendentemente dalla tipologia
delle opere.
Di conseguenza, risultando altresì
irrilevante la rappresenta strumentalità
della nuova destinazione di parte delle aree
(espositiva) alla pregressa destinazione
sussistente nella restante parte di edificio
(produttiva), risulta legittima la richiesta
di pagamento del costo di costruzione
impugnata (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 16.03.2011 n.
740 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il credito del comune
per oneri concessori è assoggettato al
regime di prescrizione ordinaria decennale.
La mancanza dei documenti richiesti per la
concessione del condono edilizio impedisce
il formarsi del silenzio assenso?
Risulta fondata l’eccezione di prescrizione
sollevata dalle ricorrenti e riferita al
credito vantato dal Comune per gli oneri
concessori dovuti; al riguardo la
giurisprudenza è concorde nell’assoggettare
tale credito al regime di prescrizione
ordinaria decennale: “il ricorrente ha
dedotto l’illegittimità della richiesta
dell’ulteriore integrazione a titolo di
oneri concessori. Al riguardo é sufficiente
ribadire le motivazioni appena prospettate
sub III, con la precisazione, che neanche
con il regime procedurale della l. 47/1985
si é mai dubitato che operi la prescrizione
decennale del conguaglio, stante che il
termine breve, come chiarito, riguarda la
sola oblazione.” (Tar Catania, I,
1633/2007; analogamente Tar Lecce,
3820/2005); “La prescrizione degli oneri
concessori soggiace all'ordinario termine
decennale di prescrizione, decorrente
dall'atto del rilascio della concessione.”
(Tar Lecce, 3394/2004).
---------------
A margine va solo chiarito che la
prescrizione è da considerare maturata sia
se il relativo termine viene fatto decorrere
dalla data di presentazione della domanda di
sanatoria; sia se si ha riguardo al momento
in cui si è formato tacitamente il titolo
edilizio richiesto. A tale ultimo riguardo,
infatti, va chiarito che –come si postula
nel secondo motivo di ricorso– la concessine
in sanatoria si è formata per silentium,
essendo decorsi i ventiquattro mesi
prescritti a tal fine dall’art. 35 della L.
47/1985, che decorrono dal momento di
presentazione della domanda, a nulla
rilevando l’eventuale incompletezza della
documentazione presentata.
Questa Sezione ha già avuto modo di
precisare infatti che: “Secondo la prima
disposizione [art. 35 della L. 47/1985,
n.d.r.], la mancanza dei documenti richiesti
per la concessione del condono edilizio non
impedisce il perfezionamento dell'assenso
per silenzio fino al momento in cui gli
stessi vengano prodotti.
La produzione dei documenti, infatti, non
costituisce requisito per la formazione del
silenzio assenso; diversamente, la legge
avrebbe espressamente previsto la formazione
del silenzio assenso decorsi 24 mesi dalla
presentazione della domanda munita di tutti
gli allegati ad eccezione unicamente
nell'ipotesi di immobili vincolati, nel qual
caso il termine decorre dal rilascio del
nulla osta degli enti di tutela, con
conseguente procedibilità ed ammissibilità
della domanda ancorché carente
documentalmente (TAR Catania, I, 20.01.2004
n. 49; 11.03.2005, n. 418). (…) Il silenzio
assenso così formatosi può essere rimosso
solo mediante l'esercizio del potere di
annullamento di ufficio da parte del Comune
(cfr. Cons. Stato, Sez. V, 24.03.1997, n.
286), misura di autotutela che consente di
contemperare il ripristino della legalità
con l'esigenza, pure avvertita dal
legislatore, di rendere effettivamente
praticabile l'istituto del silenzio
accoglimento (cfr. Cons. Stato, Sez. V,
07.12.1995, n. 1672).” (Tar Catania, I,
1633/2007) (TAR Sicilia-Catania, Sez. I,
sentenza
07.03.2011
n. 557 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Determinazione degli oneri
concessori - Motivazione - Necessità -
Esclusione - Fondamento.
I provvedimenti relativi alla determinazione
degli oneri concessori non necessitano di
motivazione in ordine alla somma indicata,
in quanto risultano da un mero calcolo
materiale da effettuarsi sulla base di
puntuali indicazioni normative, senza che in
proposito residui un margine di
discrezionalità.
Non è pertanto configurabile a carico
dell’amministrazione, nella redazione di
tali atti aventi natura paritetica, un onere
di specificare le ragioni della decisione
adottata, sicché l'interessato può solo
contestare l'erroneità dei conteggi
effettuati dall'ente (in tal senso, Tar
Toscana, sez. III, 18.12.2001, n. 2037; Tar
Campania, Salerno, 21.07.2005, n. 1319; TAR
Lazio, Sez. II, 18.02.2005, n. 1410; TAR
Lombardia, Milano, Sez. II, 05.05.2004, n.
1620; TAR Puglia, Lecce, Sez. I, 29.03.2000
n. 1911; TAR Puglia Bari, sez. III,
03.06.2009, n. 1376; TAR Campania Napoli,
sez. VIII, 17.09.2009, n. 4983) (TAR
Sicilia-Palermo, Sez. II,
sentenza 03.03.2011 n. 396 - link
a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Cambio d'uso gratis solo se non cresce il
carico urbanistico.
L'esenzione degli oneri «segue» la necessità
della dotazione di servizi.
Il cambio d'uso non è sempre "gratuito", ma
non solo. Il pagamento del contributo di
costruzione è uno degli snodi critici della
materia edilizia e, nel corso degli anni,
una nutrita giurisprudenza ha chiarito gli
aspetti più problematici della materia,
specie per quel che riguarda la natura
giuridica del contributo, le varie ipotesi
di esenzione e i presupposti per il suo
pagamento in relazione alla tipologia
dell'intervento che si intende realizzare.
La definizione di «carico».
A quest'ultimo riguardo il Tar
Lombardia-Brescia, Sez. I, con la recente
sentenza
03.03.2011 n. 375, affronta una delle questioni di
maggior rilievo nella materia, quella del
cambio di destinazione d'uso, anche se
attuato in assenza di interventi
costruttivi, qualora questo determini
comunque un aumento del cosiddetto «carico
urbanistico».
Questo concetto non è definito dalla
legislazione vigente, ma la giurisprudenza
della Cassazione l'ha individuato come
«l'effetto che viene prodotto
dall'insediamento primario come domanda di
strutture ed opere collettive, in dipendenza
del numero delle persone insediate su di un
determinato territorio» (Sezioni unite
penali, 20.03.2003, sentenza n. 12878).
In altri termini, poiché ogni insediamento
umano è costituito da un elemento primario
(abitazioni, uffici, opifici, negozi,
eccetera), è necessario proporzionare
questo primo elemento a quello cosiddetto
secondario o di servizio (opere pubbliche in
genere, uffici pubblici, parchi, strade,
fognature, elettrificazione, servizio
idrico, condutture di erogazione del gas),
in relazione al numero degli abitanti
insediati e alle caratteristiche delle
attività svolte in quello stesso territorio.
Proprio partendo da questa considerazione, i
giudici bresciani, richiamando propri
precedenti orientamenti (n. 145/2005, n.
646/2004 e n. 34/1998) rilevano come il
presupposto imponibile per il pagamento dei
contributi di urbanizzazione vada ravvisato
nella domanda di una maggiore dotazione di
servizi nel l'area di riferimento (rete
viaria, fognature eccetera), che sia indotta
dalla destinazione d'uso concretamente
impressa al manufatto. Questo perché una
diversa utilizzazione dell'edificio rispetto
a quella stabilita nel l'originario titolo
abilitativo può determinare una variazione
quantitativa e qualitativa del carico
urbanistico.
Il pagamento degli oneri si giustifica
quindi con la necessità di ridistribuire –in modo equo per la comunità– i costi
sociali delle opere di urbanizzazione,
facendoli gravare sugli interessati che
beneficiano delle utilità derivanti dalla
loro presenza. Il contributo di
urbanizzazione infatti, secondo il Consiglio
di Stato (sezione V, n. 2359/2009 e n.
2258/2006), pur non avendo natura
tributaria, costituisce comunque «un
corrispettivo di diritto pubblico posto a
carico del costruttore, connesso al rilascio
della concessione edilizia, a titolo di
partecipazione del concessionario ai costi
delle opere di urbanizzazione in proporzione
all'insieme dei benefici che la nuova
costruzione ne ritrae».
Il mutamento rilevante.
Da questi elementi la sentenza del Tar
Lombardia fa derivare che il presupposto
imponibile si verifica in tutti i casi di
«mutamento rilevante» della destinazione
d'uso dalla quale derivi un maggior carico
urbanistico, con conseguente necessità per
l'interessato di pagare la differenza tra
gli oneri di urbanizzazione già corrisposti
per la destinazione d'uso originaria e
quelli, se più elevati, dovuti per la nuova
destinazione impressa al l'immobile (ad
esempio, la trasformazione di un albergo in
un edificio residenziale).
Quanto al concetto di «mutamento rilevante»,
la pronuncia chiarisce un elemento
importante, specificando che lo stesso
sussiste in tutti i casi di «passaggio tra
due categorie funzionalmente autonome dal
punto di vista urbanistico, qualificate
sotto il profilo della differenza del regime
contributivo in ragione di diversi carichi
urbanistici, cosicché la circostanza che le
modifiche di destinazione d'uso senza opere
non sono soggette a preventiva concessione o
autorizzazione sindacale non comporta ipso jure l'esenzione dagli oneri di
urbanizzazione e quindi la gratuità
dell'operazione».
Di conseguenza, ciò che assume rilievo ai
fini del pagamento non è la necessità o meno
di un titolo abilitativo per l'attività di
trasformazione edilizia che si vuole
realizzare (permesso di costruire o Dia): il
presupposto impositivo si può verificare
anche nel caso di mutamento di destinazione
d'uso del fabbricato di tipo «funzionale»,
cioè senza alcuna esecuzione di opere (si
veda anche anche Tar Campania-Napoli n.
6271/2008, citata nella scheda a destra)
(articolo Il Sole 24
Ore del 04.07.2011). |
EDILIZIA PRIVATA:
Quantificazione degli oneri di
urbanizzazione.
Le controversie sull'esatta quantificazione
dei contributi dovuti per il rilascio delle
concessioni edilizie/permessi di costruire
attengono a diritti patrimoniali che non
dipendono dall'esercizio di una potestà
autoritativa e discrezionale; tali
controversie sono devolute alla
giurisdizione del giudice amministrativo già
dall'art. 16 della l. 28.01.1977 n. 10, sono
giudizi di carattere civile relativi
all'esistenza o all'entità di
un'obbligazione legale e sono azionabili
negli ordinari tempi di prescrizione.
Il presupposto imponibile per il pagamento
dei contributi di urbanizzazione va
ravvisato nella domanda di una maggiore
dotazione di servizi (rete viaria,
fognature, ecc.) nell’area di riferimento,
che sia indotta dalla destinazione d’uso
concretamente impressa all’alloggio, in
quanto una diversa utilizzazione rispetto a
quella stabilita nell’originario titolo
abilitativo può determinare una variazione
quantitativa e qualitativa del carico
urbanistico (Cfr. TAR Milano-Brescia, Sez.
I, 11.06.2004 n. 646; TAR Lombardia-Milano,
Sez. II, 02.10.2003 n. 4502; Cons. Stato,
sez. V, 25.05.1995 n. 822).
Il fondamento del contributo di
urbanizzazione –da versare al momento del
rilascio di una concessione edilizia– non
consiste quindi nell'atto amministrativo in
sé, bensì nella necessità di ridistribuire i
costi sociali delle opere di urbanizzazione,
facendoli gravare sugli interessati che
beneficiano delle utilità derivanti dalla
presenza delle medesime, secondo modalità
eque per la comunità (Cfr. TAR Veneto, Sez.
II, 13.11.2001 n. 3699).
Anche nel caso della modificazione della
destinazione d'uso cui si correla un maggior
carico urbanistico, è integrato il
presupposto che giustifica l’imposizione al
titolare del pagamento della differenza tra
gli oneri di urbanizzazione dovuti per la
destinazione originaria e quelli, se più
elevati, dovuti per la nuova destinazione
impressa; il mutamento è rilevante
allorquando sussiste un passaggio tra due
categorie funzionalmente autonome dal punto
di vista urbanistico, qualificate sotto il
profilo della differenza del regime
contributivo in ragione di diversi carichi
urbanistici, cosicché la circostanza che le
modifiche di destinazione d’uso senza opere
non sono soggette a preventiva concessione o
autorizzazione sindacale non comporta
ipso jure l’esenzione dagli oneri di
urbanizzazione e, quindi, la gratuità
dell’operazione (Cfr. TAR Milano-Brescia,
Sez. I, 23.01.1998 n. 34) (alla stregua del
principio nella specie è stato ritenuto
legittimo l’atto con il quale era stato
chiesto il pagamento della differenza del
contributo concessorio in relazione al
mutamento di destinazione d'uso -da
industriale a commerciale- del fabbricato)
(massima tratta da www.regione.piemonte.it -
TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 03.03.2011 n.
375 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Oneri concessori: non ha carattere impugnatorio il giudizio proposto avverso il
provvedimento con cui vengono
determinati.
Nelle controversie aventi per oggetto gli
obblighi di pagamento dei contributi
afferenti le concessioni e i permessi
edilizi, il giudizio non ha carattere
impugnatorio, ancorché esso sia proposto,
formalmente, come contestazione di una
determinazione amministrativa, in quanto
mira ad accertare la sussistenza o la misura
del credito vantato dal Comune; ne deriva
che il ricorso può essere correttamente
proposto nel termine di prescrizione del
diritto, e dunque anche dopo che siano
trascorsi più di sessanta giorni dalla
conoscenza, da parte dell’interessato,
dell’atto con cui l’amministrazione ha
quantificato i contestati contributi,
richiedendone il pagamento (massima tratta
da www.dirittodegliappaltipubblici.it - Consiglio di Stato Sez. IV,
sentenza 02.03.2011 n.
1365 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: A
prescindere dall’utilizzo dei normali canoni
ermeneutici, riesce veramente difficile
equiparare un complesso di immobili
destinati ad un’attività
turistico-alberghiera ad un’attività
industriale di produzione di beni e servizi.
L’art. 10 della
legge 28.01.1977 n. 10 distingue, ai fini
della determinazione del contributo del
costo di costruzione, gli edifici o gli
impianti destinati ad attività industriale e
artigianale dirette alla trasformazione dei
beni e alla prestazione di servizi, dalle
costruzioni od impianti destinati ad
attività turistiche, commerciali o
direzionali, prevedendo per i primi
manufatti le agevolazioni contributive ed
escludendole per i secondi.
Ora, ad escludere la configurazione di un
complesso alberghiero come un'attività
produttiva è proprio il dettato normativo
sopra indicato che menziona espressamente
gli impianti turistici tra i manufatti per i
quali il legislatore in base ad una scelta
insindacabile ha ritenuto non possa farsi
luogo alla concessione del beneficio de
quo e non v’è dubbio che l’esistenza di
un siffatto dato normativo è di per sé
preclusivo di quale che sia interpretazione
estensiva.
Parte appellante fa leva al riguardo sulla
normativa regionale che valorizza nei sensi
propugnati dalla stessa Società le strutture
preposte allo svolgimento di attività
turistica, ma una siffatta circostanza non
giova a cambiare i termini della questione,
attesa la valenza recessiva della normativa
regionale a fronte della norma statale posta
a salvaguardia di un regime giuridico del
rapporto in questione da intendersi in modo
unitario su tutto il territorio nazionale.
E questo a prescindere dall’utilizzo dei
normali canoni ermeneutici per cui riesce
veramente difficile equiparare un complesso
di immobili destinati ad un’attività
turistico-alberghiera ad un’attività
industriale di produzione di beni e servizi
(cfr., questa Sezione n. 4488 del
12/07/2010)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 02.03.2011 n. 1332 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Contributi e
oneri - Rimborso della differenza tra oneri
concessori versati per il terziario e minori
oneri dovuti per l'abitativo -
Impossibilità.
Una volta che l'intervento edilizio sia
stato realizzato in base a permesso di
costruire chiesto dall'interessato e questi
ne abbia successivamente mutata la
destinazione d'uso, non è dovuto alcun
rimborso della differenza tra oneri
concessori versati per il terziario e
(minori) oneri dovuti per l'abitativo:
infatti, nessuna norma prevede la
restituzione degli oneri (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 11.02.2011 n.
468 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
contributo di costruzione è il corrispettivo
del diritto di costruire e quando il diritto
di costruire non è esercitato viene meno il
titolo in forza del quale il Comune ha
incassato il contributo di costruzione.
Questo principio vale anche quando il titolo
edilizio è stato utilizzato soltanto in
parte, nel qual caso esso viene meno pro
quota.
---------------
Nel caso di restituzione del contributo
di concessione, quando il diritto a
costruire non è esercitato (in tutto o in
parte), gli interessi legali devono essere
riconosciuti, con decorrenza dal momento in
cui il credito è liquido ed esigibile.
Il contributo di costruzione è il
corrispettivo del diritto di costruire e
quando il diritto di costruire non è
esercitato viene meno il titolo in forza del
quale il Comune ha incassato il contributo
di costruzione.
Questo principio vale anche quando il titolo
edilizio è stato utilizzato soltanto in
parte, nel qual caso esso viene meno pro
quota (Tar Lombardia, Milano, sez. II,
sentenza n. 728 del 24/03/2010: il
diritto alla restituzione sorge non
solamente nel caso in cui la mancata
realizzazione delle opere sia totale, ma
anche ove il permesso di costruire sia stato
utilizzato soltanto parzialmente, tenuto
conto che sia la quota degli oneri di
urbanizzazione che la quota relativa al
costo di costruzione sono correlati, sia
pure sotto profili differenti, all'oggetto
della costruzione. L'avvalimento solo
parziale delle facoltà edificatorie
consentite da un permesso di costruire
comporta dunque il sorgere, in capo al
titolare, del diritto alla rideterminazione
del contributo ed alla restituzione della
quota di esso che è stata calcolata con
riferimento alla porzione non realizzata).
---------------
Gli interessi
legali devono essere riconosciuti. Si versa,
infatti, in presenza di interessi
corrispettivi (art. 1282 c.c.), che sono
fondati sulla naturale fecondità del denaro,
e che prescindono pertanto da profili di
colpa, che rileverebbero in presenza di
interessi con funzione risarcitoria quali
quelli moratori (art. 1224 c.c.).
Quanto alla loro decorrenza, la norma
generale dell’art. 1282 c.c. prevede che gli
interessi decorrano dal momento in cui il
credito è liquido ed esigibile. In base alla
teoria generale, credito esigibile è quello
che non è sottoposto a condizione sospensiva
o termine in favore del debitore; credito
liquido è quello il cui ammontare è certo o
accertabile mediante operazioni di mero
conteggio aritmetico.
Nel caso in esame, posto che non vi possono
essere questioni sulla esigibilità del
credito, non ve ne sono neanche sulla
liquidità dello stesso, in quanto la
determinazione del credito degli oneri di
urbanizzazione è frutto di un mero calcolo
aritmetico fondato sull’applicazione dei
criteri predeterminati previsti dalla legge.
Ne consegue che il credito in esame era
liquido fin dalla data in cui è sorto.
---------------
E’ vero che il credito di restituzione del
contributo di costruzione pagato in misura
maggiorata non è un credito di valore, ma un
credito di valuta in cui la rivalutazione è
possibile soltanto se si prova il maggior
danno ex art. 1224 co. 2 c.c., qui del tutto
pretermesso dall’esposizione dei ricorrenti.
Ma è anche vero che Cass. civ., sezioni
unite, sentenza 18.07.2008 n. 19499, ha
sostenuto che nelle obbligazioni pecuniarie,
in difetto di discipline particolari dettate
da norme speciali, il maggior danno di cui
all'art. 1224 c.c., comma 2, rispetto a
quello già coperto dagli interessi moratori
è, in via generale, riconoscibile in via
presuntiva, per qualunque creditore che ne
domandi il risarcimento, nella eventuale
differenza, a decorrere dalla data di
insorgenza della mora, tra il tasso del
rendimento medio annuo netto dei titoli di
Stato di durata non superiore a dodici mesi
ed il saggio degli interessi legali
determinato per ogni anno ai sensi dell'art.
1284 c.c., comma 1, salva la possibilità per
il debitore di provare che il creditore non
ha subito un maggior danno o che lo ha
subito in misura inferiore e per il
creditore di provare il maggior danno
effettivamente subito.
Nel caso in esame, in cui nessuna delle
parti in causa si è preoccupata di provare
alcunché sulla esistenza o meno di un
maggior danno va applicato pertanto il
criterio presuntivo appena citato.
Per escludere la rivalutazione automatica
non è sufficiente affermare (come aveva
fatto in passato Tar Marche 296/2004) che si
tratterebbe di indebito oggettivo, ai sensi
dell'art. 2033 c.c., in quanto anche
l’indebito oggettivo non è altro che “una
obbligazione pecuniaria di fonte legale
(art. 2033 c.c.) assoggettata alla
disciplina propria di tali obbligazioni, in
particolare alla disposizione dell'art. 1224
c.c. in tema di interessi moratori e
risarcimento del maggior danno per il
ritardo nell'adempimento” (Cass. civ,
sez. lav., 4833/2009).
Dalle somme dovute a titolo di rivalutazione
monetaria va defalcata la somma percepita a
titolo di interessi legali, in quanto –non
trattandosi di credito di lavoro– non è
consentito il cumulo tra interessi e
rivalutazione
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 31.01.2011 n. 188 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Contributi e oneri concessori
- Mutamenti di destinazione d'uso -
Necessità.
2. Contributi e
oneri concessori - Previsione di distinte
sottocategorie di destinazioni d'uso con
diversi importi dei contributi concessori -
Legittimità.
1. La necessità di corrispondere i
contributi concessori anche per i mutamenti
di destinazione d'uso è principio
enucleabile dall'art. 10, ultimo comma,
della Legge n. 10 del 1977, al fine di
evitare che, quando la nuova tipologia
assegnata all'immobile avrebbe comportato
all'origine un più oneroso regime
contributivo urbanistico, attraverso la
modifica della destinazione il contributo
possa essere evaso in tutto o in parte a
vantaggio del richiedente e, di contro, con
l'aggravio urbanistico già valutato in sede
di fissazione di quel regime contributivo.
2. Deve ritenersi legittima la suddivisione
delle categorie di destinazione d'uso in più
sottocategorie o sottofunzioni, con diversa
onerosità dal punto di vista dei contributi
di costruzione, laddove ciò sia giustificato
da significative diversità del carico
urbanistico implicato dall'una o dall'altra
di esse, tale da giustificare diverse
modulazioni di calcolo del contributo concessorio (massima
tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
IV,
sentenza
26.01.2011 n.
240 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
CONTRIBUTI E ONERI CONCESSORI –
IN OCCASIONE DI MUTAMENTI DI DESTINAZIONI
D’USO – SONO DOVUTI – PREVISIONE DI DISTINTE
SOTTOCATEGORIE DI DESTINAZIONI D’USO CON
DIVERSI IMPORTI DEI CONTRIBUTI CONCESSORI –
LEGITTIMITA’.
La necessità di corrispondere i contributi
concessori anche peri i mutamenti di
destinazione d’uso è principio enucleabile
dall’art. 10, ultimo comma, della legge n.
10 del 1977, al fine di evitare che, quando
la nuova tipologia assegnata all’immobile
avrebbe comportato all’origine un più
oneroso regime contributivo urbanistico,
attraverso la modifica della destinazione il
contributo possa essere evaso in tutto o in
parte a vantaggio del richiedente e, di
contro, con l’aggravio urbanistico già
valutato in sede di fissazione di quel
regime contributivo.
Deve ritenersi legittima la suddivisione
delle categorie di destinazione d’uso in più
sottocategorie o sottofunzioni, con diversa
onerosità dal unto di vista dei contributi
di costruzione, laddove ciò sia
giustificato da significative diversità del
carico urbanistico implicato dall’una o
dall’altra di esse, tale da giustificare
diverse modulazioni di calcolo del
contributo concessorio (massima tratta da
www.amministrazioneincammino.luiss.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 26.01.2011 n. 240 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il contributo di costruzione è il
corrispettivo del diritto di costruire e
quando il diritto di costruire non è
esercitato viene meno il titolo in forza del
quale il Comune ha incassato il contributo
di costruzione. Questo principio vale anche
quando il titolo edilizio è stato utilizzato
soltanto in parte, nel qual caso esso viene
meno pro quota.
Il privato, sulle somme indebitamente
riscosse dalla P.A., ha diritto agli
interessi legali i quali, qualora non vi
siano elementi che escludano la buona fede
dell'Amministrazione, spettano dalla data
della domanda.
Nel caso di restituzione del contributo di
costruzione indebitamente versato, spetta
anche la rivalutazione monetaria dalla quale
va defalcata la somma percepita a titolo di
interessi legali, in quanto –non trattandosi
di credito di lavoro– non è consentito il
cumulo tra interessi e rivalutazione.
Il contributo di costruzione è il
corrispettivo del diritto di costruire e
quando il diritto di costruire non è
esercitato viene meno il titolo in forza del
quale il Comune ha incassato il contributo
di costruzione.
Questo principio vale anche quando il titolo
edilizio è stato utilizzato soltanto in
parte, nel qual caso esso viene meno pro
quota (TAR Lombardia, Milano, sez. II,
sentenza n. 728 del 24/03/2010: "il
diritto alla restituzione sorge non
solamente nel caso in cui la mancata
realizzazione delle opere sia totale, ma
anche ove il permesso di costruire sia stato
utilizzato soltanto parzialmente, tenuto
conto che sia la quota degli oneri di
urbanizzazione che la quota relativa al
costo di costruzione sono correlati, sia
pure sotto profili differenti, all'oggetto
della costruzione. L'avvalimento solo
parziale delle facoltà edificatorie
consentite da un permesso di costruire
comporta dunque il sorgere, in capo al
titolare, del diritto alla rideterminazione
del contributo ed alla restituzione della
quota di esso che è stata calcolata con
riferimento alla porzione non realizzata").
-------------
Secondo TAR
Lombardia, Milano, sez. II, 728/2010: "il
privato, sulle somme indebitamente riscosse
dalla P.A., ha diritto agli interessi legali
i quali, qualora non vi siano elementi che
escludano la buona fede
dell'Amministrazione, spettano dalla data
della domanda".
---------------
E’ vero che il credito di restituzione del
contributo di costruzione pagato in misura
maggiorata non è un credito di valore, ma un
credito di valuta in cui la rivalutazione è
possibile soltanto se si prova il maggior
danno ex art. 1224 co. 2 c.c., qui del tutto
pretermesso dall’esposizione dei ricorrenti.
Ma è anche vero che Cass. civ., sezioni
unite, sentenza 18.07.2008 n. 19499 ha
sostenuto che nelle obbligazioni pecuniarie,
in difetto di discipline particolari dettate
da norme speciali, il maggior danno di cui
all'art. 1224 c.c., comma 2, rispetto a
quello già coperto dagli interessi moratori
è, in via generale, riconoscibile in via
presuntiva, per qualunque creditore che ne
domandi il risarcimento, nella eventuale
differenza, a decorrere dalla data di
insorgenza della mora, tra il tasso del
rendimento medio annuo netto dei titoli di
Stato di durata non superiore a dodici mesi
ed il saggio degli interessi legali
determinato per ogni anno ai sensi dell'art.
1284 c.c., comma 1, salva la possibilità per
il debitore di provare che il creditore non
ha subito un maggior danno o che lo ha
subito in misura inferiore e per il
creditore di provare il maggior danno
effettivamente subito (in motivazione la
Corte ha anche precisato che: non sussistono
d'altro canto i paventati pericoli che i
debiti di valuta ricevano in tal modo una
disciplina identica a quella propria dei
debiti di valore, con sostanziale
pretermissione del principio nominalistico
di cui all'art. 1277 cod. civ.; o che le
conseguenze dell'inadempimento finiscano per
divenire, per qualsiasi credito di denaro,
identiche a quelle "speciali" che
l'art. 429 c.p.c., comma 3, contempla per i
crediti di lavoro; ovvero che sia
sostanzialmente disapplicato il principio
dell'onere della prova di cui all'art. 2697
cod. civ..
Sul primo punto va infatti osservato che il
rispetto del principio nominalistico non è
affatto incompatibile con la rilevanza delle
variazioni del potere d'acquisto della
moneta. Solo che, mentre nei debiti di
valore la considerazione di quella
variazione è insita nel procedimento di
determinazione quantitativa della
prestazione in quanto il denaro vale solo a
misurare e ad esprimere un valore
necessariamente attuale, nei debiti di
valuta essa può invece rilevare
esclusivamente sub specie damni (…) Neppure
è possibile che si creino confusioni di
sorta sul piano processuale, posto che nei
debiti di valore (tipica l'obbligazione di
risarcimento del danno) la rivalutazione non
va neppure domandata, essendo il giudice
tenuto d'ufficio alla liquidazione in valori
monetari attuali; mentre nei debiti di
valuta vanno chiesti sia gli interessi
moratori sia il maggior danno (anche da
svalutazione, secondo l'impreciso ma
corrente lessico giudiziario; e tuttavia,
più esattamente, da intervenuta
impossibilità, per fatto del debitore, che
il creditore si sottraesse agli effetti
della svalutazione), risultando altrimenti
inficiata da vizio di ultrapetizione la
sentenza che riconoscesse gli uni o l'altro.
Quanto alla temuta possibilità che i crediti
pecuniari ordinari e quelli di lavoro
finiscano con l'essere trattati allo stesso
modo, s'è già rilevato che per i crediti di
cui all'art. 429 c.p.c., comma 3 interessi e
svalutazione si cumulano, mentre nei debiti
di valuta il maggior danno anche da
svalutazione è dovuto, ex art. 1224 c.c.,
comma 2, solo per la parte che non sia già
coperta dagli interessi moratori. Quanto
alla pretesa disapplicazione dell'art. 2697
cod. civ. che deriverebbe dal ritenere
presunta ma, rectius, normale una
modalità di impiego del denaro tale da
consentire al creditore di sottrarsi agli
effetti della svalutazione, è stato da tempo
chiarito come, in definitiva, è nel rapporto
tra normalità ed anormalità, tra regola ed
eccezione che si rinviene il criterio
teorico pratico della ripartizione
dell'onere della prova, il quale non
costituisce un istituto giuridico in sé
concluso, ma un modo di osservare
l'esperienza giuridica.
E la giurisprudenza ha quindi fatto ricorso,
tutte le volte che il modello legale
prefissato non risultava appagante in
relazione alle posizioni delle parti
riguardo ai singoli temi probatori, allo
schema della presunzione in modo talora così
tipico e costante da creare, in definitiva,
vere e proprie regole di giudizio. Col
risultato non già di invertire l'onere della
prova, ma di distribuirlo in senso conforme
alla realtà dell'esperienza positiva.
Ebbene, è senz'altro conforme alla realtà
dell'esperienza positiva che il denaro sia
speso in relazione alla sua primaria
destinazione allo scambio, ovvero impiegato
in rassicuranti forme remunerative tali da
garantire un rendimento superiore al tasso
di inflazione, qual è quello dei titoli di
stato, costantemente eccedente l'incremento
dei prezzi al consumo per le famiglie di
operai ed impiegati rilevati dall'Istat).
Nel caso in esame, in cui nessuna delle
parti in causa si è preoccupata di provare
alcunché sulla esistenza o meno di un
maggior danno va applicato pertanto il
criterio presuntivo appena citato.
Per escludere la rivalutazione automatica
non è sufficiente affermare (come aveva
fatto in passato TAR Marche 296/2004) che si
tratterebbe di indebito oggettivo, ai sensi
dell'art. 2033 c.c., in quanto anche
l’indebito oggettivo non è altro che “una
obbligazione pecuniaria di fonte legale
(art. 2033 c.c.) assoggettata alla
disciplina propria di tali obbligazioni, in
particolare alla disposizione dell'art. 1224
c.c. in tema di interessi moratori e
risarcimento del maggior danno per il
ritardo nell'adempimento” (Cass. civ,
sez. lav., 4833/2009).
Dalle somme dovute a titolo di rivalutazione
monetaria va defalcata la somma percepita a
titolo di interessi legali, in quanto –non
trattandosi di credito di lavoro– non è
consentito il cumulo tra interessi e
rivalutazione
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 17.01.2011 n. 66 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
E' corretto il calcolo del
contributo di costruzione effettuato
dall'Amministrazione comunale in base alle
aliquote vigenti al momento del rilascio
della concessione: ciò prescinde dalle
eventuali responsabilità del Comune nel
ritardo nel rilasciare il provvedimento
amministrativo rispetto al termine legale
entro cui doveva concludersi il
procedimento.
Se vi sono state davvero responsabilità nel
ritardo nel rilasciare il titolo edilizio, e
se da questo ritardo è derivata
l’applicazione di tariffe del contributo di
costruzione più pesanti, ciò può essere
fatto valere con una azione di
responsabilità per danni, ma non pretendendo
che il rilascio del titolo fosse affiancato
da tariffe non più vigenti, e di cui mancano
norme apposite per sostenerne la pretesa
ultrattività.
Ogni
provvedimento amministrativo deve essere
emesso in base alle norme vigenti nel
momento in cui viene emanato (TAR Lombardia,
Milano, sez. II, sentenza n. 426 del
25/02/2008: “l'art. 11 della legge n. 10
del 28/01/1977 prevede espressamente che la
quota di contributo per oneri di
urbanizzazione primaria e secondaria sia
corrisposta al comune all'atto del rilascio
della concessione e che la quota di
contributo per il costo di costruzione sia
determinata all'atto del rilascio della
concessione. Tale norma è stata
costantemente interpretata dalla
giurisprudenza nel senso che l'obbligazione
di pagamento sorge al momento della
quantificazione della obbligazione stessa.
Ne deriva che è corretto il calcolo della
quota di tali contributi effettuato
dall'Amministrazione in base alle aliquote
vigenti al momento del rilascio della
concessione”), ciò prescinde dalle
eventuali responsabilità del Comune nel
ritardo nel rilasciare il provvedimento
amministrativo rispetto al termine legale
entro cui doveva concludersi il procedimento
(il Comune deduce che il rilascio del titolo
edilizio è stato ritardato dalla necessità
di procedere ad istruttoria, ipotesi che
d’altronde è tipizzata dalla legge e che
consente di sospendere il termine per il
rilascio del provvedimento).
Se vi sono state davvero responsabilità nel
ritardo nel rilasciare il titolo edilizio, e
se da questo ritardo è derivata
l’applicazione di tariffe del contributo di
costruzione più pesanti, ciò può essere
fatto valere con una azione di
responsabilità per danni, ma non pretendendo
che il rilascio del titolo fosse affiancato
da tariffe non più vigenti, e di cui mancano
norme apposite per sostenerne la pretesa
ultrattività.
E’ il caso di rilevare che adesso una
disposizione di questo tipo esiste, perché
l’art. 38, co. 7-bis, l.r. 12/2005
(introdotto dalla l.r. 4/2008), stabilisce
che “l’ammontare degli oneri di
urbanizzazione primaria e secondaria dovuti
è determinato con riferimento alla data di
presentazione della richiesta del permesso
di costruire, purché completa della
documentazione prevista”, ma una
disposizione derogatoria dei principi
generali di tal fatta non esisteva nel
momento (circa dieci anni prima) in cui
venne rilasciata la concessione edilizia
oggetto di giudizio e non può essere creata
in via interpretativa.
Questo Tribunale, nella sede di Milano, si è
d’altronde già pronunciato sulla norma
dell’art. 38, co. 7-bis, ed ha ritenuto tale
disposizione non applicabile a casi
pregressi, in quanto “per effetto della
modifica apportata dalla l.r. n. 4 del 2008,
che ha introdotto nell'art. 38 il comma
7-bis , per il permesso di costruire, gli
oneri di urbanizzazione primaria e
secondaria vengono determinati alla data di
presentazione della richiesta del permesso
di costruire, purché vi sia la completezza
documentale. Da ciò si deduce che prima
della modifica legislativa gli oneri
andassero determinati al momento del
rilascio del titolo, mentre a seguito della
modifica legislativa la determinazione è
anticipata all'atto della presentazione
della richiesta del permesso” (TAR
Lombardia, Milano, sez. II, 2029/2009)
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 17.01.2011 n. 66 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L'atto
di volturazione non comporta la
corresponsione di ulteriori contributi
concessori che restano quelli fissati in
occasione del rilascio del titolo originario
ma tali oneri, per la parte non ancora
adempiuta, si trasferiscono al subentrante,
sia perché non rilevano sotto il profilo
dell'intuitus personae, inerendo ad un atto
che non ha carattere personale, sia perché
connessi alla capacità di disporre del
diritto di edificazione in concreto
esercitato dal terzo.
La giurisprudenza amministrativa ha chiarito
che l'atto di volturazione non comporta la
corresponsione di ulteriori contributi
concessori che restano quelli fissati in
occasione del rilascio del titolo originario
ma tali oneri, per la parte non ancora
adempiuta, si trasferiscono al subentrante,
sia perché non rilevano sotto il profilo
dell'intuitus personae, inerendo ad
un atto che non ha carattere personale, sia
perché connessi alla capacità di disporre
del diritto di edificazione in concreto
esercitato dal terzo (TAR Abruzzo, L'Aquila,
16.10.1998 n. 783)
(TAR Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 14.01.2011 n. 152 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Quanto
al regime prescrizionale degli oneri di
urbanizzazione e dei contributi commisurati
al costo di costruzione, in assenza di
diversa disposizione normativa il termine è
quello ordinario decennale.
Quanto al regime prescrizionale degli oneri
di urbanizzazione e dei contributi
commisurati al costo di costruzione, la
giurisprudenza amministrativa ha precisato
che, in assenza di diversa disposizione
normativa, il termine è quello ordinario
decennale (TAR Campania, Salerno, 30.12.2003
n. 2599)
(TAR Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 14.01.2011 n. 152 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2010 |
|
EDILIZIA
PRIVATA: Lombardia,
Necessita aggiornare il costo di costruzione entro il
31.12.2010 il cui effetto sarà efficace a decorrere
dall'01.01.2011: ecco il fac-simile di determinazione (file
1 -
file 2).
ATTENZIONE:
se non si adotta la determinazione di aggiornamento entro la
suddetta scadenza per tutto il 2011 si dovrà
applicare il medesimo costo di costruzione vigente nell'anno
2010 (cfr. art. 48, comma 2, della L.R. n. 12/2005).
Alcune considerazioni:
è uscito pochi giorni fa il dato ufficiale della variazione
ISTAT relativo al mese di agosto 2010 (ultimo dato
disponibile).
Quindi, si può procedere -senza indugio- ad adottare la
determinazione di aggiornamento del costo di costruzione
poiché da qui a fine mese non uscirà un nuovo indice ISTAT. |
EDILIZIA PRIVATA: La
casa del custode -di superficie assai
modesta rispetto all’intero immobile
(artigianale)– non assolve alla funzione
principale di spazio abitativo ma serve a
consentire un diffuso controllo e una
costante vigilanza sui capannoni utilizzati
per la lavorazione, lo stoccaggio ed il
deposito dei materiali: a fronte di una
destinazione principale di tipo produttivo
il contributo di costruzione deve essere
calcolato con i criteri del produttivo e non
del residenziale.
Il Collegio aderisce alla prospettazione di
parte ricorrente, la quale ha evidenziato
che la casa –di superficie assai modesta
rispetto all’intero immobile (artigianale)–
non assolve alla funzione principale di
spazio abitativo ma serve a consentire un
diffuso controllo e una costante vigilanza
sui capannoni utilizzati per la lavorazione,
lo stoccaggio ed il deposito dei materiali:
a fronte di una destinazione principale di
tipo produttivo il contributo doveva essere
calcolato con i criteri ad essa associati.
In proposito il Collegio richiama la
pronuncia del TAR Milano, sez. I –
24/07/2003 n. 3639, la quale ha statuito che
“… la censura relativa alla errata
applicazione del costo di costruzione per la
piccola parte di edificio destinato a casa
del custode è fondata, in quanto il Comune
non poteva non tenere conto del carattere
strettamente pertinenziale di essa. Il
rapporto pertinenziale, anche se non
espressamente enunciato in sede di domanda,
andava ricavato dalla consistenza
dell’immobile e dal rapporto tra le varie
superfici; in ogni caso avrebbe dovuto
formare oggetto di indagine istruttoria”.
La fattispecie è analoga a quella affrontata
dal Collegio, e l’amministrazione non ha
sollevato obiezioni alla dedotta limitata
estensione del manufatto in rapporto alla
struttura produttiva. In questo contesto, il
fatto che la casa del custode abbia una
propria ed autonoma destinazione di tipo
residenziale non è sufficiente a determinare
l’assoggettamento al corrispondente
contributo.
Non è neppure condivisibile l’astratta
asserzione per cui l’abitazione del
proprietario non sarebbe necessaria ai fini
della gestione aziendale, quando la sua
prossimità e connessione con l’attività e la
sua attitudine ad ospitare una sola famiglia
(cfr. tavola 5 prodotta in atti dalla
ricorrente) conferma l’opinione opposta.
Ne consegue che, con riguardo al costo di
costruzione, dovrà essere rimborsato il
contributo, salvo l’importo correttamente
corrisposto per la parte riferita alla
destinazione artigianale.
Sulla somma così calcolata dovranno essere
aggiunti gli interessi legali ex art. 2033
del codice civile: essi –non essendovi
elementi per escludere la buona fede
dell'amministrazione– spettano dalla data
della domanda giudiziale fino al saldo (cfr.
TAR Lombardia Milano, sez. II – 24/03/2010
n. 728; sez. II – 18/05/2010 n. 1550)
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 17.12.2010 n. 4864 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Oneri concessori - Beneficio
della riduzione - Presupposti per il
riconoscimento - Demolizione e costruzione
di un singolo nuovo edificio - Modifica
dell’assetto urbanistico precedente -
Esclusione del beneficio - Art. 26 L.R.
Friuli Venezia Giulia n. 18/1986 - Art. 31,
1° co. lett. e) L. n. 457/1978.
Il riconoscimento dell’eccezionale beneficio
della riduzione degli oneri concessori, ai
sensi dell’art. 26 della legge regionale del
Friuli Venezia Giulia n. 18 del 1986,
laddove espressamente richiama il concetto
di ristrutturazione urbanistica di cui
all’art. 31, 1° co. lett. e) della legge
nazionale n. 457 del 1978, deve intendersi
comunque limitato al solo caso in cui
l’intervento progettato non sia un
intervento di ristrutturazione edilizia ma
risulti essere un intervento di ben più
ampia portata e cioè rivolto a sostituire
l’esistente tessuto urbanistico-edilizio con
altro diverso mediante un insieme
sistematico di opere edilizie che
determinano anche la modificazione del
disegno dei lotti, degli isolati e della
rete stradale.
Deve, pertanto, trattarsi di un intervento
di per se stesso complesso e di vaste
proporzioni (ben diverso, ripetesi, da
quello riferibile alla ristrutturazione
ovvero alla nuova costruzione di un singolo
fabbricato) che come tale modifichi tutto il
“tessuto” urbanistico ed edilizio
della zona determinando così una variazione
molto significativa della stessa, proprio
sotto il profilo dell’assetto urbanistico
precedente.
Di conseguenza, è da escludere che il
riconoscimento di tale beneficio possa
intendersi correlato alla realizzazione di
un semplice intervento di demolizione e
costruzione di un singolo nuovo edificio il
cui progetto, sia pure modellato alle
caratteristiche tipiche della zona, non
preveda altresì la realizzazione di
ulteriori opere di urbanizzazione mirate
alla sostituzione di tutto o di una
rilevante parte del tessuto urbanistico
della specifica zona da recuperare
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 16.12.2010 n. 8948 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Lombardia,
Necessita aggiornare il costo di costruzione entro il
31.12.2010 il cui effetto sarà efficace a decorrere
dall'01.01.2011: ecco il fac-simile di determinazione (file
1 -
file 2).
ATTENZIONE:
se non si adotta la determinazione di aggiornamento entro la
suddetta scadenza per tutto il 2011 si dovrà
applicare il medesimo costo di costruzione vigente nell'anno
2010 (cfr. art. 48, comma 2, della L.R. n. 12/2005).
Alcune considerazioni:
ad oggi, il dato ufficiale ISTAT è quello relativo alla
variazione del mese di maggio 2010, mentre quello di giugno
2010 è ufficioso e, come tale, non utilizzabile.
Abbiamo scritto all'ISTAT di Roma e ci hanno risposto come
segue:
L'ultimo
comunicato contenente il dato provvisorio di Giugno e' stato
pubblicato il 13.09.2010 al seguente link:
http://www.istat.it/salastampa/comunicati/non_calendario/20100913_00/
Pur non disponendo di un calendario per questo tipo di
uscite, presumo che la pubblicazione dei 3 mesi successivi
(e quindi anche del dato definitivo di giugno)
avverrà entro la fine del 2010.
Cordiali saluti
Luigi Di Gennaro
Pertanto, si consiglia di adottare la
determinazione di aggiornamento del costo di costruzione,
per l'anno 2011, verso la fine di dicembre 2010
poiché è verosimile che, entro il 31.12.2010, possa essere
pubblicato dall'ISTAT il dato ufficiale relativo a giugno
2010 ed avere, così, un valore maggiore (rispetto a maggio
2010) della variazione ISTAT per il calcolo del costo di
costruzione (e, quindi, non perdere soldi per le casse
comunali ...). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Contributi
concessori - Omesso o ritardato pagamento -
Procedimento sanzionatorio - Comunicazione
di avvio del procedimento - Necessità - Non
sussiste - Ratio.
2. Contributi
concessori - Omesso o ritardato pagamento -
Escussione fideiussione - Obbligo - Non
sussiste.
3. Abusi edilizi -
Sanzioni pecuniarie - Produzione di
interessi legali - Legittimità - Ratio.
1. Nei procedimenti sanzionatori per omesso
o ritardato pagamento dei contributi
concessori, non è dovuta comunicazione di
avvio del procedimento, attesa la natura
vincolata dei provvedimenti afflittivi e
l'automatica messa in mora del debitore per
effetto del mancato pagamento alla scadenza,
per cui nessun avviso di avvio del
procedimento è dovuto al debitore stesso
(cfr. TAR Sardegna, sent. n. 70/2008 e
Cons. di Stato, sent. n. 4419/2007).
2. Nei procedimenti sanzionatori per omesso
o ritardato pagamento dei contributi
concessori, la garanzia fideiussoria, se da
un lato vale certamente a rafforzare la
posizione della P.A. quale creditore
pecuniario, dall'altro non impone però a
quest'ultima la preventiva escussione del
fideiussore né esclude un'attenuazione
dell'obbligo del debitore principale e
neppure vale a trasformare l'obbligazione di
quest'ultimo in una sorta di obbligazione
sussidiaria rispetto a quella del
fideiussore (cfr. Cons. di Stato, sent. n.
2581/2009 e n. 4419/2007; TAR Brescia,
sent. 519/2010; TAR Milano, sent. n.
4405/2009 e n. 4306/2009).
3.
E' legittima la produzione di interessi
legali sulle sanzioni, considerato che il
credito per queste ultime è comunque un
credito liquido ed esigibile, produttivo
come tale di interessi legali secondo la
generale previsione dell'art. 1282 c.c.,
senza contare che, in mancanza del pagamento
degli interessi, il ritardo nel versamento
delle sanzioni andrebbe soltanto a danno
della P.A. (cfr. Cons. di Stato, sent. n.
8345/2003) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 22.11.2010 n.
7308 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Gli
oneri economici gravanti sul titolare di una
concessione edilizia non sorgono per effetto
del mero rilascio del titolo, ma sono
geneticamente connessi all’effettiva
attività di trasformazione del territorio.
Gli oneri economici gravanti sul titolare di
una concessione edilizia non sorgono per
effetto del mero rilascio del titolo, ma
sono geneticamente connessi all’effettiva
attività di trasformazione del territorio;
lo si ricava dalle norme dell’art. 11 della
L. 10/1977 laddove prevedono che il
versamento del costo di costruzione deve
avvenire in corso d’opera e non oltre
sessanta giorni dalla conclusione dei
lavori, mentre gli oneri di urbanizzazione
sono versati al momento del rilascio del
titolo edilizio, salvo che non sia pattuita
la realizzazione diretta delle opere di
urbanizzazione a carico del concessionario.
In proposito, la giurisprudenza è solita
affermare che “l'obbligazione assunta di
provvedere alla realizzazione delle opere di
urbanizzazione da colui che stipula una
convenzione edilizia è propter rem, ma nel
senso che essa va adempiuta non solo da
colui che tale convenzione ha stipulato, ma
anche da colui, se soggetto diverso, che
richiede la concessione edilizia (vedi
Cassazione civile sez. I, 20.12.1994, n.
10947; nonché Cassazione civile, sez. II,
26.11.1988 n. 6382); ovvero nel senso che
colui che realizza opere di trasformazione
edilizia ed urbanistica, valendosi della
concessione edilizia rilasciata al suo dante
causa, ha nei confronti del Comune gli
stessi obblighi che gravano sull'originario
concessionario, ed è con quest'ultimo
solidalmente obbligato per il pagamento
degli oneri di urbanizzazione (vedi
Cassazione civile sez. III, 17.06.1996, n.
5541)” (Tar Catania 3011/2004), e che “Gli
oneri relativi alle opere di urbanizzazione
costituiscono una obbligazione "propter
rem": pertanto colui che realizza opere di
trasformazione edilizia od urbanistica
valendosi della concessione edilizia
rilasciata al suo dante causa, ha nei
confronti del Comune gli stessi obblighi che
gravano sull'originario concessionario ed è
con quest'ultimo solidamente obbligato per
il pagamento degli oneri di urbanizzazione.
Nulla vieta dal punto di vista logico prima
che giuridico che alle identiche conclusioni
debba pervenirsi in ordine alla parte del
contributo commisurato al costo di
costruzione; questo, infatti, in uno con gli
oneri di urbanizzazione costituisce "il
contributo" per il rilascio per permesso di
costruire (già c.e.) con conseguente e
doverosa disciplina unitaria ai fini che qui
interessano delle due voci in cui si viene a
scomporre” (Tar Bari 2078/2008).
Più di recente, questa Sezione (cfr.
sentenza 602/2009) ha avuto modo di
pronunciarsi ulteriormente sulla questione,
operando dei distinguo più sottili che la
hanno portata a precisare che “la
solidarietà [fra titolare della concessione
edilizia e cessionario del titolo, n.d.r.]
potrebbe dunque sussistere solo laddove il
presupposto di esigibilità del credito,
ossia l’edificazione, abbia avuto
consistenza in capo al dante causa ed al
cessionario, in quanto, in tal caso,
l’identico fenomeno urbanistico ed edilizio
ha tratto origine da due coautori”.
Si è tratta, quindi, ex adverso la
ulteriore conclusione che, ove ci sia stata
voltura a favore di terzi del titolo
edilizio da parte dell’originario titolare,
unita al mancato avvio da parte di costui di
alcuna attività edificatoria, l’intestatario
iniziale della concessione deve essere
ritenuto libero da ogni obbligo pecuniario
nei confronti dell’ente concedente per oneri
concessione e per contributo di costruzione,
e libero altresì da ogni responsabilità per
eventuali abusi edilizi realizzati dal
cessionario
(TAR Sicilia-Catania, Sez. II,
sentenza 12.10.2010 n. 4104 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L'entità
del contributo dovuto per oneri concessori
va individuato nel momento in cui viene
rilasciata la concessione edilizia, poiché
il costo da considerare ai fini della
commisurazione dei relativi oneri non può
essere che quello del momento in cui sorge
l'obbligazione, che è appunto quello del
rilascio della concessione ed a tale data
occorre avere riguardo per determinare
l'entità del contributo con applicazione
della normativa vigente al momento del
rilascio della concessione medesima.
Il chiaro disposto dell’art. 39 della L. n.
724/1994 individua nel momento di
presentazione dell'istanza di concessione in
sanatoria il riferimento temporale per
calcolare la misura dell’oblazione e
nell’avvenuto pagamento della stessa un
requisito di procedibilità della istanza
medesima.
A diversa conclusione deve pervenirsi con
riguardo alla determinazione degli oneri
concessori. Invero, qui -diversamente dalle
somme da corrispondersi a titolo di
oblazione– il momento di calcolo degli oneri
concessori va individuato, non già nella
data di presentazione della domanda di
condono, ma in quella di rilascio del
provvedimento concessorio, tenuto conto che,
ai sensi dell'art. 3 della legge n. 10/1977,
la concessione (e non la semplice domanda)
comporta "la corresponsione di un
contributo commisurato all'incidenza delle
spese di urbanizzazione, nonché al costo di
costruzione".
In tal senso è l'elaborazione
giurisprudenziale (CdS, V, 06.12.1999, n.
2056; id. 22.09.1999, n. 1113), secondo cui
l'entità del contributo dovuto per oneri
concessori va individuato nel momento in cui
viene rilasciata la concessione edilizia,
poiché il costo da considerare ai fini della
commisurazione dei relativi oneri non può
essere che quello del momento in cui sorge
l'obbligazione, che è appunto quello del
rilascio della concessione e a tale data
occorre avere riguardo per determinare
l'entità del contributo con applicazione
della normativa vigente al momento del
rilascio della concessione medesima (cfr.,
ex multis, Cons. di Stato V
25.10.1993, n. 1071, Cons. di Stato V
26.10.1987, n. 661, Cons. di Stato V
12.05.1987 n. 278, Cons. di Stato V
04.08.1986, n. 401; TAR Lazio, II-bis,
04.01.2005 n. 54).
Ed invero secondo l’art. 17, comma 8, della
L.R. n. 4/2003, entrata in vigore nelle more
procedurali, “gli oneri di urbanizzazione
ed il contributo sul costo di costruzione
relativo alle opere per le quali è stata
presentata istanza di condono edilizio ai
sensi dell’art. 39 della legge 23.12.1994,
n. 724…….. sono quelli vigenti alla data di
entrata in vigore della presente legge….”.
Ciò si spiega in quanto la concessione in
sanatoria è una normale concessione
edilizia, che però viene rilasciata dopo
l’inizio dei lavori e con effetto sanante
dell’attività già compiuta e riguardante
opere nuove ed autonome già abusivamente
realizzate
(TAR Sicilia-Catania, Sez. I,
sentenza 20.09.2010 n. 3748 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Piano di lottizzazione - Oneri
concessori relativi a concessioni edilizie -
Rideterminazione e conguaglio - C.d.
monetizzazione - Nozione - Titolo
convenzionale - L.R. Lombardia n. 60/1977
(norme di attuazione della L. n. 10/1977).
La c.d. monetizzazione -consistente nel
pagamento di una somma di denaro in
alternativa alla cessione gratuita di aree
necessarie per le opere di urbanizzazione-
è prevista dalla legge regionale lombarda
05.12.1977 n. 60 (norme di attuazione della
legge 20.01.1977 n. 10) con esclusivo
riferimento alla lottizzazione di aree
edificabili.
Dalla disciplina in questione (in
particolare art. 12, lett. a), ne discende
che la monetizzazione, per un verso,
presuppone un intervento subordinato al
piano di lottizzazione (o a piano attuativo
assimilabile); per altro verso ha fonte in
un atto convenzionale (preordinato
all’esecuzione del piano), che precede
-essendone il presupposto- il rilascio delle
singole concessioni edilizie.
Queste ultime non scontano, all’atto del
rilascio, altro onere che il contributo di
concessione nella sua duplice componente
(oneri di urbanizzazione e quota commisurata
al costo di costruzione), salvi i casi di
gratuità totale o parziale. Mentre, l’art. 9
della stessa legge regionale n. 60 del 1977
(il quale si limita a disporre che il
rilascio della concessione sia subordinato,
ove occorra, alla “cessione al comune, a
valore di esproprio o senza corrispettivo
nei casi specifici previsti dalle normative
vigenti, delle aree necessarie alla
realizzazione delle opere di urbanizzazione
primaria, pertinenti all’intervento”)
non legittima la monetizzazione in sede di
rilascio della concessione edilizia; tanto
meno quando la monetizzazione sia già stata
definita in via convenzionale.
In altro termini, non v’è spazio, né in sede
di rilascio della concessione edilizia, né
in sede di rideterminazione o rettifica
degli oneri concessori, per una
monetizzazione volta a supplire alla
(presunta) carenza di standard che non sia
stata considerata in sede di (nel momento
della) pianificazione attuativa.
Nel caso in esame esiste un titolo
convenzionale che legittima la pretesa del
Comune nei soli limiti pattuiti,
risolvendosi ogni ulteriore imposizione non
preventivamente deliberata (dagli organi
competenti) e concordata (tra le parti) in
una violazione contrattuale (Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 17.09.2010 n. 6950 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Permesso di costruire -
Contributi - In caso di variante - Criterio
di computo.
2. Permesso di costruire -
Contributi - Contributo di urbanizzazione -
Nozione.
1. In caso di richiesta di variante
edilizia, il nuovo provvedimento (da
rilasciarsi con il medesimo procedimento
previsto per l'adozione del permesso di
costruire) è in posizione di sostanziale
collegamento con quello originario,
ravvisandosi, in tale rapporto di
complementarietà e accessorietà, la
caratteristica distinta del detto permesso
in variante, che giustifica le peculiarità
del regime giuridico cui è sottoposto sul
piano sostanziale e procedimentale;
pertanto, il contributo per oneri di
urbanizzazione e costo di costruzione deve
essere calcolato sommando le opere dei due
titoli edilizi e scomputando quanto già
pagato al momento del rilascio del titolo
originario.
2.
Atteso che il presupposto per il pagamento
del contributo di urbanizzazione è
costituito dall'aumento del carico
urbanistico, va tenuto presente che il
concetto di carico urbanistico' non è
definito dalla vigente legislazione, ma è in
concreto preso in considerazione in vari
istituti di diritto urbanistico, la cui
nozione deriva dall'osservazione che ogni
insediamento umano è costituito da un
elemento c.d. primario (abitazioni, uffici,
opifici, negozi) e da uno secondario di
servizio (opere pubbliche in genere, strade,
fognature, elettrificazione, servizio
idrico, etc.) che deve essere proporzionato
all'insediamento primario (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
IV,
sentenza
08.09.2010 n.
5168 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Ogni volta che un’opera comporta un mutamento della
situazione di fatto che permette un aumento dell’utilizzo di un immobile
con aggravio per i servizi esistenti, si verifica un aumento del carico
urbanistico e, quindi, si verifica il presupposto per il pagamento degli
oo.uu..
La giurisprudenza ha chiarito che presupposto per il pagamento degli
oneri è costituito dall’aumento del carico urbanistico. Il concetto di "carico
urbanistico" non è definito dalla vigente legislazione, ma è in
concreto preso in considerazione in vari istituti di diritto
urbanistico.
Come reiteratamente affermato, questa nozione deriva dall'osservazione
che ogni insediamento umano è costituito da un elemento cd. primario
(abitazioni, uffici, opifici,negozi) e da uno secondario di servizio
(opere pubbliche in genere, strade, fognature, elettrificazione,
servizio idrico, etc.) che deve essere proporzionato all'insediamento
primario (Cass. pen Sez. III 11.07.2007 n. 27045).
Ogni volta che un’opera comporta un mutamento della situazione di fatto
che permette un aumento dell’utilizzo di un immobile con aggravio per i
servizi esistenti, si verifica un aumento del carico urbanistico (TAR
Lombadia-Milano, Sez. IV,
sentenza 08.09.2010 n. 5168 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
traslazione della proprietà (o di altro
diritto idoneo) dell’area comporta
l’assoggettamento dell’avente causa
all’obbligazione relativa agli oneri
concessori solo ed in quanto questi acquista
la posizione legittimante all’ottenimento
della concessione, al cui rilascio è
correlato l’assolvimento degli oneri stessi.
L’obbligazione consistente nel pagamento del
contributo ex legge n. 10/1977 non
costituisce un onere reale né rappresenta
un’obbligazione propter rem, cioè un debito
pecuniario che si trasferisce,
automaticamente e forzosamente, su coloro
che subentrano nella proprietà dell’area
trasformata e/o edificata per effetto del
rilascio della concessione qualora, all’atto
del rilascio stesso, il contributo non sia
stato in tutto o in parte assolto.
L’obbligazione relativa al pagamento del
contributo dovuto per le trasformazioni
urbanistiche ed edilizie che il Comune abbia
facultato a realizzare attraverso il
rilascio della concessione edilizia ai sensi
della L. 28.01.1977, n. 10 è un’obbligazione
personale, nel senso che essa grava su
coloro dai quali la concessione stessa sia
stata richiesta ed ai quali venga quindi
accordata (i proprietari dell’area o coloro
che abbiano titolo a domandarla: cfr. l’art.
4 della L. n. 10/1977).
Qualora la proprietà (o la titolarità di
altro diritto idoneo al rilascio della
concessione) sia trasferita prima che il
richiedente l’abbia ottenuta, l’avente causa
subentra anche nella posizione di aspirante
al rilascio e, quindi, nella titolarità
della concessione poi a lui rilasciata; e
solo in questo caso l’obbligazione relativa
al versamento del contributo compete al
nuovo proprietario (o al nuovo titolare del
diritto idoneo).
In definitiva, la traslazione della
proprietà (o di altro diritto idoneo)
dell’area comporta l’assoggettamento
dell’avente causa all’obbligazione relativa
agli oneri concessori solo ed in quanto
questi acquista la posizione legittimante
all’ottenimento della concessione, al cui
rilascio è correlato l’assolvimento degli
oneri stessi.
L’obbligazione consistente nel pagamento del
contributo ex legge n. 10/1977 non
costituisce un onere reale né rappresenta
un’obbligazione propter rem, cioè un
debito pecuniario che si trasferisce,
automaticamente e forzosamente, su coloro
che subentrano nella proprietà dell’area
trasformata e/o edificata per effetto del
rilascio della concessione qualora, all’atto
del rilascio stesso, il contributo non sia
stato in tutto o in parte assolto (cfr.
l’art. 11 della L. n. 10/1977, sopra
citato).
Sia gli oneri reali che le obbligazioni
propter rem [ammesso che le due
categorie siano tra loro distinte: il che
viene negato da un’autorevole dottrina]
costituiscono figure tipiche, o numerus
clausus; la loro esistenza deriva, cioè,
esclusivamente, da specifiche norme, vuoi
civilistiche che pubblicistiche, le quali
prevedano che soggetto passivo
dell’obbligazione sia o divenga colui che
del bene è o diviene proprietario (o,
talvolta, possessore). Nessuna disposizione
in tal senso è dato, assolutamente,
rinvenire nella legge n. 10/1977.
Peraltro, trattandosi di vincolo o peso
gravante sulla proprietà di un immobile
(l’area trasformata o edificata in virtù
della concessione edilizia), una previsione
legislativa in tal senso avrebbe dovuto,
imprescindibilmente, essere inserita e/o
coordinata col regime civilistico della
trascrizione di cui agli artt. 2643 e ss.
del c.c.. Del che, pure, non v’è traccia
nella legge n. 10/1977
(TAR Marche,
sentenza 05.08.2010 n. 3266 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il contributo di cui alla l.
10/1977 prescinde totalmente dall’esistenza
delle opere di urbanizzazione inerenti la
nuova costruzione e deve essere corrisposto
dal titolare della concessione edilizia
quale che sia il livello di urbanizzazione
dell’area oggetto della concessione
edilizia, trattandosi non di un
corrispettivo volto a rimborsare un costo,
bensì di un diverso onere generalizzato a
carattere contributivo paratributario
mirante alla realizzazione dell’assetto
urbanistico del territorio comunale nel suo
complesso.
Il contributo per il rilascio della
concessione edilizia (ora permesso di
costruire) imposto dalla legge 28.01.1977,
n. 10 (art. 3; v. ora art. 16 d.P.R.
06.06.2001, n. 380) e commisurato agli oneri
di urbanizzazione, ha carattere generale
perché prescinde totalmente dall’esistenza,
o meno, delle singole opere di
urbanizzazione; esso ha natura di
prestazione patrimoniale imposta e viene
determinato indipendentemente sia
dall’utilità che il concessionario trae dal
titolo edificatorio sia dalle spese
effettivamente occorrenti per realizzare
dette opere (Cons. St., sez. V, 15.12.2005,
7140).
Infatti, il contributo di cui alla l.
10/1977 prescinde totalmente dall’esistenza
delle opere di urbanizzazione inerenti la
nuova costruzione e deve essere corrisposto
dal titolare della concessione edilizia
quale che sia il livello di urbanizzazione
dell’area oggetto della concessione
edilizia, trattandosi non di un
corrispettivo volto a rimborsare un costo,
bensì di un diverso onere generalizzato a
carattere contributivo paratributario
mirante alla realizzazione dell’assetto
urbanistico del territorio comunale nel suo
complesso.
In termini generali, il fondamento del
contributo di urbanizzazione -da versare al
momento del rilascio di una concessione
edilizia- non consiste nell’atto
amministrativo in sé bensì nella necessità
di ridistribuire i costi sociali delle opere
di urbanizzazione, facendoli gravare sugli
interessati che beneficiano delle utilità
derivanti dalla presenza delle medesime,
secondo modalità eque per la comunità (TAR
Brescia, 07.11.2005, 115).
Alla luce, dunque, sia del chiaro disposto
dell’art. 10 l. n. 10/1977, sia della
predetta natura tributaria della componente
in esame del contributo, deve ritenersi
infondata la tesi dei ricorrenti, secondo
cui l’aver già eseguito, in occasione del
rilascio di una precedente concessione, le
opere di urbanizzazione primaria esime gli
stessi dal pagamento degli oneri di
urbanizzazione al momento del rilascio di
successive concessioni (TAR Puglia-Lecce,
Sez. I,
sentenza 21.07.2010 n. 1786 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Applicabilità del contributo di
costruzione previsto all’art. 16 D.P.R.
380/2001 a caso specifico.
E’ chiesto parere in merito
all’applicabilità del contributo di
costruzione previsto all’art. 16 D.P.R.
380/2001 al caso specifico del rilascio di
permesso di costruire richiesto da un
coltivatore diretto e finalizzato al
recupero, per l’esercizio di attività
agrituristica, di una porzione dell’unico
fabbricato rurale facente parte dell’azienda
agricola, localizzato in centro abitato,
zona RR totalmente o parzialmente edificata
a prevalente tipologia rurale (Regione
Piemonte,
parere n.
72/2010 - link a
www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Secondo il Consiglio di Stato è corretta la
decisione del Giudice che esclude che il
ricorrente possa usufruire dell'esenzione
dal pagamento degli oneri concessori, in
ordine alla realizzazione di un edificio da
adibire a ristorante, self-service, bar e
pizzeria, atteso che tale attività, non
rientrando nelle attività industriali o
artigianali, non può beneficiare di tale
esenzione.
L’art. 10 della legge 28.01.1977 n. 10 (c.d.
legge Bucalossi) distingue, ai fini della
determinazione del contributo di
costruzione, gli edifici o impianti
destinati ad attività industriale e
artigianale dirette alla trasformazione dei
beni e alla prestazione di servizi, dalle
costruzioni od impianti destinati ad
attività turistiche, commerciali o
direzionali, prevedendo per i primi
manufatti le agevolazioni contributive ed
escludendole per i secondi.
Ora, parte interessata rivendica
l’applicazione della norma di favore di cui
al primo comma del citato art. 10, asserendo
come l’attività svolta nell’immobile oggetto
della concessione edilizia sarebbe di tipo
industriale o artigianale; ma al riguardo il
Collegio deve rilevare che nella specie non
sussiste il presupposto di fatto e di
diritto per farsi luogo al riconoscimento
della chiesta esenzione dall’onere
contributivo in discussione.
Invero, come pacificamente risulta dalle
risultanze documentali, la concessione
edilizia per cui è causa è stata rilasciata
per la realizzazione di un edificio
destinato ad ospitare un’attività di
ristorante, self-service, bar e pizzeria; ed
è dunque con esclusivo riferimento a tali
tipologie di attività che occorre indagare
in ordine alla natura dell’impresa che in
tale fabbricato si va ad esercitare, ai fini
della sussistenza o meno in capo alla
Società ricorrente del diritto all’esenzione
qui rivendicato.
Ora, se si vuole dare consistenza al
contenuto delle attività sopra descritte,
quanto all’accezione logica e naturale del
concetto di commercio, deve convenirsi come
è correlata ad un’attività di ristorante,
self-service, bar e pizzeria l’effettuazione
di operazioni di scambio di beni o prodotti
e non v’è dubbio che un’attività di vendita
di tal genere è certamente prevalente
rispetto al confezionamento dei prodotti
oggetto di scambio.
Un riscontro di tale differenziazione tra
attività di tipo industriale e attività di
tipo commerciale è ravvisabile, poi, come
peraltro già messo in luce dal primo
giudice, nelle definizioni recate dall’art.
2195 codice civile, lì dove si distingue
un’attività industriale diretta alla
produzione di beni o di servizi ed
un’attività intermediaria nella circolazione
dei beni, qual è, appunto, quella
commerciale.
L’appellante, a sostegno della sua pretesa
all’esenzione in questione, adduce la
circostanza per cui nella specie l’impresa
di ristorazione non si limita alla vendita
dei prodotti, ma si occupa della
elaborazione delle vivande e in ciò stesso
si dovrebbe ravvisare un’attività
(artigianale o industriale) qualificabile
come produttiva di un servizio.
La tesi, per quanto suggestiva, non appare
condivisibile, venendo, in particolare,
smentita dal fatto che la preparazione dei
prodotti attiene ad una fase del tutto
eventuale e meramente propedeutica e che
viene comunque assorbita dall’attività di
distribuzione dei prodotti, che è e rimane
la connotazione naturale e prevalente
dell’attività di ristorazione ed in
relazione alla quale il soggetto gestore
dell’attività imprenditoriale in questione
consegue il suo utile economico.
Se così è, dunque, deve convenirsi che nella
specie non appare sussistente in capo
all’appellante la condicio juris
della presenza di un’attività industriale o
artigianale, indispensabile per farsi luogo
all’esenzione dal contributo concessorio ai
sensi del più volte citato art. 10 della
legge n. 10/1977, di talché devono
condividersi le conclusioni cui è pervenuto
il Tar (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza
12.07.2010 n. 4488 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Determinazione
contributo di costruzione - Art. 64 L.R.
Lombardia n. 12/2005 - Interpretazione -
Superficie lorda di pavimento resa abitativa
- Accolto.
Il costo di costruzione per un intervento di
ristrutturazione per il recupero del
sottotetto deve essere calcolato sulla base
della superficie lorda di pavimento resa
abitativa, così come dispone l'art. 64 L.R.
n. 12/2005, e non in relazione alla
superficie complessiva che include alcune
porzioni di fabbricato diverse da quelle
rese abitative, in quanto la disposizione
regionale sopracitata prevede espressamente
questo come parametro di riferimento, ed il
rinvio operato da tale disposizione alle
opere di nuova costruzione riguarda solo le
tariffe e non la superficie da prendere come
riferimento (massima tratta da www.solom.it
- TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 07.07.2010 n.
2779 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: SPECIALE
REGIME DI GRATUITA' DELLA CONCESSIONE
EDILIZIA.
1. Concessione - Regime
di gratuità - Casi - Presupposti necessari.
2. Opere di urbanizzazione - Contributo -
Esenzione - Disciplina - Applicazione della
specifica normativa - Conseguenze.
1.
Lo speciale regime di gratuità della
concessione edilizia deriva dal requisito di
carattere oggettivo, attinente al carattere
pubblico o comunque di interesse generale
delle opere da realizzare e da un requisito
di carattere soggettivo, nel senso che le
opere debbono essere eseguite da un ente
istituzionalmente competente, ovvero da
soggetti anche privati che non agiscano per
scopo di lucro ovvero abbiano un legame
istituzionale con l'azione
dell'Amministrazione volta alla cura di
interessi pubblici (Cons. Stato, sez. IV,
29-05-2009 n. 3359).
2.
Non ricade nell'esenzione dal contributo per
le opere di urbanizzazione, eseguite anche
da privati, in attuazione di strumenti
urbanistici, di cui all'art. 88 co. 1, L.R.
n. 61/1985, l'opera costruita da privati per
l'esercizio della propria attività
(lucrativa o non) d'impresa, e ciò
indipendentemente dalla rilevanza sociale
dell'attività stessa; si tratta infatti di
norma di stretta interpretazione, in quanto
introduce ipotesi di deroga alla regola
generale, la quale assoggetta a contributo
tutte le opere che comportino trasformazione
del territorio, in relazione agli oneri che
la collettività, in dipendenza di esse, è
chiamata a sopportare (Cons. Stato, sez. V,
12-07-2005 n. 3774)
(massima tratta da http://mondolegale.it -
TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 01.07.2010 n. 2779 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Convenzione Urbanistica attuativa di P.I.I. - Struttura cinematografica - Art. 20
D.L. n. 26/1994 - Oneri di urbanizzazione e
costo di costruzione - Agevolazione -
Interpretazione.
L'art. 20, c. 7, D.L. 14.01.1994 n. 26
convertito con L. n. 153 dell'01.03.1994,
recante "interventi urgenti a favore del
cinema", e relativo ad un particolare
sistema di agevolazione nel rilascio delle
concessioni edilizie, in forza del quale la
volumetria necessaria per realizzare le sale
cinematografiche non è computata nella
determinazione della volumetria complessiva
in base alla quale sono calcolati gli "oneri
di concessione" (così testualmente definiti
dalla legge) deve essere interpretato con
riferimento ai soli oneri di urbanizzazione
in quanto la volumetria degli edifici assume
rilevanza esclusivamente in sede di
quantificazione degli oneri di
urbanizzazione ma non acquista rilievo
alcuno allorché è determinato il costo di
costruzione, che è commisurato al computo
metrico estimativo dell'opera, considerata
nel suo complesso.
Peraltro
un'interpretazione di tale norma estensiva
dell'agevolazione anche al contributo sul
costo di costruzione, finirebbe di fatto per
introdurre un regime di gratuità del
permesso di costruire relativamente alle
sale cinematografiche, che, andando in
deroga alla regola generale dell'onerosità,
avrebbe richiesto un'espressa previsione
della gratuità dell'intervento da parte del
legislatore così come è stato espressamente
previsto dallo stesso negli altri casi di
gratuità di determinati interventi edilizi
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 28.06.2010 n.
2644 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
mutamento della destinazione del fabbricato
da residenziale a terziario, realizzato
senza opere edilizie, non è soggetto a
concessione edilizia ma resta pur sempre
subordinato al pagamento dei maggiori oneri
di urbanizzazione.
In ipotesi di variazione di destinazione
d'uso di un immobile non accompagnata dalla
realizzazione di opere, non sussiste il
presupposto per il pagamento della parte di
contributo afferente al costo di
costruzione, da riferire al dato oggettivo
della realizzazione dell'edificio
(ndr: fattispecie ante L.R. n. 12/2005).
Questo Tribunale (TAR Lombardia, Milano,
sez. II, 17.02.1999 n. 611) ha escluso che
sia soggetto al rilascio della concessione
in sanatoria il cambio di destinazione d’uso
in assenza di opere edilizie (c.d. cambio di
destinazione d’uso funzionale).
E’ infatti noto che, secondo giurisprudenza
consolidata, il mutamento di destinazione
d’uso degli immobili non accompagnato da
lavori edili costituisce espressione dello
ius utendi e non dello ius
aedificandi ed è pertanto escluso
dall’ambito delle attività soggette a
concessione edilizia (cfr., ex pluribus,
CdS V 18/01/1988 n. 8; id., IV 23/11/1985 n.
551; id., 01/10/1993 n. 818; TAR Lombardia I
n. 1782/1996, II nn. 66/88, 596/1993,
439/1995, 664/96, 127/1997, 1184/1998, III
n. 441/1993).
La fattispecie non si presta quindi ad
essere disciplinata dall’art. 13 della l. n.
47/1985, così come ha disposto il Comune.
Il mutamento della destinazione del
fabbricato da residenziale a terziario,
realizzato senza opere edilizie, non è
quindi soggetto a concessione, ma resta pur
sempre subordinato al pagamento dei maggiori
oneri contributivi.
Infatti non esiste un collegamento
necessario tra il rilascio di un titolo
concessorio in sanatoria ed il pagamento
degli oneri di urbanizzazione. La
giurisprudenza (TAR Lombardia, Brescia,
10.03.2005, n. 145) ha chiarito che il
fondamento del contributo di urbanizzazione
non consiste nell'atto amministrativo in sé
bensì nella necessità di ridistribuire i
costi sociali delle opere di urbanizzazione,
facendoli gravare sugli interessati che
beneficiano delle utilità derivanti dalla
presenza delle medesime, secondo modalità
eque per la comunità (cfr. TAR Veneto, sez.
II – 13/11/2001 n. 3699).
Pertanto, anche nel caso della modificazione
della destinazione d'uso cui si correla un
maggior carico urbanistico, è integrato il
presupposto che giustifica l’imposizione al
titolare del pagamento della differenza tra
gli oneri di urbanizzazione dovuti per la
destinazione originaria e quelli, se più
elevati, dovuti per la nuova destinazione
impressa: il mutamento è rilevante
allorquando sussiste un passaggio tra due
categorie funzionalmente autonome dal punto
di vista urbanistico, qualificate sotto il
profilo della differenza del regime
contributivo in ragione di diversi carichi
urbanistici, cosicché la circostanza che le
modifiche di destinazione d’uso senza opere
non sono soggette a preventiva concessione o
autorizzazione sindacale non comporta
ipso jure l’esenzione dagli oneri di
urbanizzazione e quindi la gratuità
dell’operazione (cfr., in tal senso, TAR
Lombardia, Brescia 23/01/1998 n. 34).
Analogamente l’art. 5 c. 2 della L.R.
60/1977 stabilisce che le modificazioni
delle destinazioni d'uso comportano, per
quanto attiene all'incidenza degli oneri di
urbanizzazione primaria e secondaria, un
contributo commisurato sia alla eventuale
maggior somma determinata in relazione alla
nuova destinazione rispetto a quella che
sarebbe dovuta per la destinazione
precedente.
Tuttavia, a differenza di quanto effettuato
dal Comune, non può applicarsi la
quantificazione degli oneri prevista
dall’art. 13 della L. 47/1985, che prevede
il raddoppio degli oneri di urbanizzazione,
in quanto il pagamento di tale contributo
prescinde dal rilascio del titolo
abilitativo in sanatoria.
Ne consegue che il provvedimento comunale
deve essere annullato con riferimento alle
somme pagate a titolo di oneri di
urbanizzazione in quanto l’amministrazione
ha provveduto alla quantificazione secondo
disposizioni non applicabili al caso di
specie e dovrà provvedere ad una nuova
determinazione conformandosi a quanto
previsto dall’art. 5, c. 2, della L.R.
60/1977.
Deve inoltre accogliersi il motivo di
ricorso nella parte in cui contesta il
pagamento del contributo di costruzione.
Questa sezione ha infatti stabilito che in
ipotesi di variazione di destinazione d'uso
di un immobile non accompagnata dalla
realizzazione di opere, “non sussiste il
presupposto per il pagamento della parte di
contributo afferente al costo di
costruzione, da riferire al dato oggettivo
della realizzazione dell'edificio” (TAR
Lombardia, Milano, sez. IV, 04.05.2009 n.
3604; TAR Lazio Roma, sez. II, 17.05.2005,
n. 3844).
Infatti, il contributo relativo al costo di
costruzione (art. 6 L. 28.01.1977 n. 10) è
riconducibile all'attività costruttiva ex
se considerata e, correlandosi
direttamente all'uso edificatorio del suolo
e ai potenziali vantaggi economici che ne
discendono, è sostanzialmente configurabile
alla stregua dei prelievi di natura
paratributaria ed è dovuto solo in presenza
di una trasformazione edilizia del
territorio e in conseguenza della produzione
di ricchezza connessa alla sua
utilizzazione.
Avendo nel caso in questione la ricorrente
provveduto, verosimilmente, al pagamento del
costo di costruzione al momento del rilascio
della concessione con destinazione
residenziale si deve escludere la debenza di
questa voce contribuitiva per il cambiamento
di destinazione d’uso senza opere
(TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 10.06.2010 n. 1787 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
costruzione di una sala cinematografica è
esente dal versamento degli oo.uu..
L'art. 20, commi 7 e 8, del D.L. 14.01.1994
n. 26, convertito in legge 01.03.1994 n.
153, è chiaro nel senso che “ai fini del
rilascio delle concessioni edilizie, la
volumetria necessaria per la realizzazione
di sale cinematografiche non concorre alla
determinazione della volumetria complessiva
in base alla quale sono calcolati gli oneri
di concessione”.
Pertanto non soltanto nelle due ipotesi
previste (ripristino e trasformazione),
secondo parte appellante, dalla delibera
regionale, ma nella fattispecie principale
–della costruzione della multisala
cinematografica- non concorre (vi è
esenzione) al calcolo della volumetria
complessiva per il calcolo degli oneri di
concessione
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 21.05.2010 n. 3229 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Le controversie sul contributo di concessione
(ora contributo di costruzione), devolute alla giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo a partire dalla legge
28.01.1977 n. 10 (art. 16), introducono un giudizio sul
rapporto, che prescinde dall’impugnazione di atti.
La determinazione del contributo è, infatti, cosa
diversa ed autonoma rispetto al rilascio del permesso di
costruire, sia perché persegue finalità sue proprie, sia
perché si conclude con un atto -concettualmente diverso da
quello concessivo del titolo a costruire- che può essere
contestato e caducato in sede giurisdizionale senza
ripercussioni sul titolo edilizio.
Ciò dipende dalla natura del contributo, che, pur non avendo
carattere strettamente tributario, si configura come
corrispettivo di diritto pubblico connesso al rilascio della
concessione edilizia, a titolo di partecipazione del
concessionario ai costi delle opere di urbanizzazione in
proporzione ai benefici che la nuova costruzione ne ritrae.
Si tratta, più specificamente, di una prestazione
patrimoniale imposta (dovuta cioè a prescindere dall’utilità
che riceve il concessionario e dalle spese effettivamente
necessarie per l’esecuzione delle opere di urbanizzazione:
da determinarsi sulla
base delle norme che regolano i relativi criteri di
conteggio, le quali sono cogenti sia per il contribuente
(tenuto nei limiti di ciò che la legge dispone, in
osservanza del principio enunciato dall’art. 23 Cost.), sia
per l’Amministrazione (che non può richiedere importi
diversi, in eccesso o in difetto, da quelli dovuti per
legge).
Ciò implica, tra l’altro, che:
(a) relativamente al contributo, il rapporto tra titolare del
permesso edilizio e Amministrazione ha carattere paritetico,
e non autoritativo, con conseguente esigenza di determinare
ciò che è dovuto per legge, restando improponibili le
censure tipiche dell’impugnativa dei provvedimenti
amministrativi volte a far valere i c.d. vizi sintomatici
dell’eccesso di potere;
(b) la c.d. “’impugnazione” dell’atto di determinazione del
contributo per vizi propri (per es., computo errato),
comportando la lesione di un diritto (e non di un interesse
legittimo), è proponibile nei termini di prescrizione;
(c) in caso di errore (per difetto) nella liquidazione del
contributo la P.A. può parimenti pretenderne l’integrazione
(o il conguaglio) nel termine di prescrizione, così come a prescrizione è soggetta
l’azione di ripetizione dell’interessato che, dopo avere
pagato il contributo, ne chieda la restituzione -totale o
parziale- per indebito oggettivo.
---------------
... per l'annullamento del provvedimento 26/27.10.2007, prot.
n. 17310, emesso dal responsabile dell’Area Tecnica, con cui
il Comune ha rideterminato il contributo di costruzione per
gli interventi edilizi eseguiti sull’area del complesso
produttivo “ex Mellin” ed ha ingiunto alla ricorrente
il pagamento di € 615.883,31 quale maggior somma dovuta a
tale titolo; con la condanna del Comune al risarcimento del
danno.
...
1. La Società ricorrente, già proprietaria dell’area
denominata ex Mellin e dei sovrastanti immobili, siti in
zona D1 “industriale e artigianale di completamento”,
nel periodo 2003~2007 ha realizzato su detti immobili,
successivamente alienati a terzi, interventi di
ristrutturazione, sulla base di diverse denunce di inizio
attività.
2. In base ad un accordo sostitutivo di provvedimento, ex
art. 11 legge n. 241/1990, recepito con delibera consiliare
29.06.2005 n. 15, ha inoltre realizzato opere di
urbanizzazione primaria (tratti di viabilità interna ed
esterna al complesso industriale), a totale proprio carico
e, a scomputo del contributo concessorio, interventi edilizi
(rifacimento del tetto e opere di adeguamento igienico
sanitario e impiantistico) su un edificio scolastico di
proprietà comunale.
3. A due anni di distanza dall’accordo il Comune ha avviato
un procedimento di riesame delle pratiche edilizie,
finalizzato alla corretta qualificazione dell’intervento
(cfr. avviso in data 26.05.2007, prot. n. 8477).
4. Al termine del contraddittorio procedimentale, con
l’impugnato provvedimento 26/27.10.2007, emesso dal
responsabile dell’Area Tecnica, il Comune ha riqualificato
l’intervento, ha rideterminato il contributo di costruzione
applicando la tariffa relativa agli interventi di nuova
costruzione (anziché di ristrutturazione), ed ha ingiunto
alla Società il pagamento di € 615.883,31 quale maggior
somma dovuta a tale titolo.
5. La Società ha impugnato il provvedimento sulla base di
tre motivi di ricorso, chiedendone l’annullamento, con la
condanna del Comune al risarcimento del danno; danno
concretatosi “nei costi tecnici, progettuali e di
esecuzione che la ricorrente ha dovuto sostenere [per] le
opere oggetto dell’accordo… completate e già in uso …”
(ricorso, pag. 25), nonché (memoria 29.04.2010, pag. 24) per
la stipula della polizza fideiussoria e le spese legali.
6. Con ordinanza 19.12.2007 n. 1971 la Sezione ha accolto la
domanda cautelare per motivi esclusivamente attinenti al
periculum in mora, subordinandola alla prestazione di
garanzia fideiussoria.
7. Ciò premesso, il Collegio osserva quanto segue.
Con il primo motivo la Società assume che, essendo
stati eseguiti gli interventi di ristrutturazione negli anni
2003-2006, sulla base di titoli edilizi consolidati, e per
giunta confluiti nell’accordo sostitutivo, il Comune non
avrebbe avuto alcun potere di procedere ad una nuova
istruttoria volta alla riqualificazione dell’intervento,
tanto meno dopo il silenzio-assenso formatosi sulle domande
di agibilità presentate dalla ricorrente e dalla sua avente
causa.
8. Con il secondo motivo assume che il Comune non
avrebbe potuto rideterminarsi unilateralmente in difformità
da quanto concordato in sede di accordo sostitutivo ex art.
11 legge 241/1990; che dal provvedimento impugnato non è
dato evincere quale sia l’interesse pubblico che avrebbe
indotto il Comune a riliquidare gli oneri concessori
discostandosi da quanto pattuito; che l’art. 11, quarto
comma, della legge 241/1990 prevede sì il recesso
dall’accordo, ma solo per sopravvenuti motivi di interesse
pubblico e previo indennizzo.
9. Con il terzo motivo assume che la ristrutturazione
è una tipologia di intervento che comprende anche la
demolizione e la ricostruzione parziale o totale nel
rispetto della volumetria preesistente; nel caso di specie
le opere realizzate in base a d.i.a. rientrerebbero appunto
nella nozione di ristrutturazione, essendo la s.l.p.
dell’edificio realizzato inferiore a quella dell’edificio
originario; viceversa, il provvedimento impugnato, emesso in
base a pareri redatti da professionisti esterni e ad una
sentenza del TAR Marche, non recherebbe alcuna motivazione
che dimostri un ipotetico errore di calcolo atto a
giustificare, nell’esercizio dell’autotutela, una
quantificazione degli oneri diversa da quella convenuta tra
le parti in sede di accordo sostitutivo.
10. Il ricorso, cui resiste il Comune, è infondato.
Va
premesso che le controversie sul contributo di concessione
(ora contributo di costruzione), devolute alla giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo a partire dalla legge
28.01.1977 n. 10 (art. 16), introducono un giudizio sul
rapporto, che prescinde dall’impugnazione di atti.
11. La determinazione del contributo è, infatti, cosa
diversa ed autonoma rispetto al rilascio del permesso di
costruire, sia perché persegue finalità sue proprie, sia
perché si conclude con un atto -concettualmente diverso da
quello concessivo del titolo a costruire- che può essere
contestato e caducato in sede giurisdizionale senza
ripercussioni sul titolo edilizio (cfr. Cons. Stato IV
21.04.2009 n. 2438).
12. Ciò dipende dalla natura del contributo, che, pur non
avendo carattere strettamente tributario, si configura come
corrispettivo di diritto pubblico connesso al rilascio della
concessione edilizia, a titolo di partecipazione del
concessionario ai costi delle opere di urbanizzazione in
proporzione ai benefici che la nuova costruzione ne ritrae
(Cons. Stato 2^, 21.11.2007 n. 11073 e 10060/2004).
13. Si tratta, più specificamente, di una prestazione
patrimoniale imposta (dovuta cioè a prescindere dall’utilità
che riceve il concessionario e dalle spese effettivamente
necessarie per l’esecuzione delle opere di urbanizzazione:
Cons. Stato V, 21.04.2006 n. 2258), da determinarsi sulla
base delle norme che regolano i relativi criteri di
conteggio, le quali sono cogenti sia per il contribuente
(tenuto nei limiti di ciò che la legge dispone, in
osservanza del principio enunciato dall’art. 23 Cost.), sia
per l’Amministrazione (che non può richiedere importi
diversi, in eccesso o in difetto, da quelli dovuti per
legge).
14. Ciò implica, tra l’altro, che:
(a) relativamente al contributo, il rapporto tra titolare del
permesso edilizio e Amministrazione ha carattere paritetico,
e non autoritativo, con conseguente esigenza di determinare
ciò che è dovuto per legge, restando improponibili le
censure tipiche dell’impugnativa dei provvedimenti
amministrativi volte a far valere i c.d. vizi sintomatici
dell’eccesso di potere (TAR Milano 2^, 13.07.1998 nn. 1817 e
1820);
(b) la c.d. “’impugnazione” dell’atto di determinazione del
contributo per vizi propri (per es., computo errato),
comportando la lesione di un diritto (e non di un interesse
legittimo), è proponibile nei termini di prescrizione (Cons.
Stato V, 03.05.2006 n. 2463);
(c) in caso di errore (per difetto) nella liquidazione del
contributo la P.A. può parimenti pretenderne l’integrazione
(o il conguaglio) nel termine di prescrizione (cfr. Cons.
Stato, Sez. IV, 06.06.2008 n. 2686; Sez. 2^, 21.11.2007 n.
11073 e 10060/2004), così come a prescrizione è soggetta
l’azione di ripetizione dell’interessato che, dopo avere
pagato il contributo, ne chieda la restituzione -totale o
parziale- per indebito oggettivo.
15. Nel caso in esame, non sono dunque pertinenti le censure
di difetto di motivazione, specie se riferite al
provvedimento del Comune come atto di autotutela assunto in
difetto di un interesse pubblico specificamente individuato (TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 18.05.2010 n. 1566 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Contributo di
concessione - Controversie sul contributo -
Autonomia rispetto al rilascio del permesso
di costruire - Sussiste.
2. Contributo di
concessione - Natura giuridica.
3. Contributo di
concessione - Natura giuridica - È
prestazione patrimoniale imposta -
Conseguenze.
4. Contributo di
concessione - Interventi di ricostruzione
preceduti da demolizione totale o parziale -
Applicabilità del contributo previsto per le
nuove costruzioni.
1. Le controversie sul contributo di
concessione, ora contributo di costruzione,
devolute alla giurisdizione esclusiva del
G.A., introducono un giudizio sul rapporto,
che prescinde dall'impugnazione di atti: la
determinazione del contributo è, infatti,
cosa diversa ed autonoma rispetto al
rilascio del permesso di costruire, sia
perché persegue finalità sue proprie, sia
perché si conclude con un atto -
concettualmente diverso da quello concessivo
del titolo a costruire - che può essere
contestato e caducato in sede
giurisdizionale senza ripercussioni sul
titolo edilizio (cfr. Cons. di Stato, sent.
n. 2438/2009).
2. Il contributo di concessione, pur non
avendo carattere strettamente tributario, si
configura come corrispettivo di diritto
pubblico connesso al rilascio della
concessione edilizia, a titolo di
partecipazione del concessionario ai costi
delle opere di urbanizzazione in proporzione
ai benefici che la nuova costruzione ne
ritrae (Cons. Stato 2^, 21.11.07 n. 11073 e
10060/2004).
3. Il contributo di concessione ha natura di
prestazione patrimoniale imposta, da
determinarsi sulla base delle norme che
regolano i relativi criteri di conteggio, le
quali sono cogenti sia per il contribuente,
sia per la P.A.: da ciò discende, da un
lato, che relativamente al contributo, il
rapporto tra titolare del permesso edilizio
e P.A. ha carattere paritetico, e non autoritativo, con conseguente esigenza di
determinare ciò che è dovuto per legge,
restando improponibili le censure tipiche
dell'impugnativa dei provvedimenti
amministrativi volte a far valere i c.d.
vizi sintomatici dell'eccesso di potere
(cfr. TAR Milano, sent. n. 1817/1998 e n.
1820/1998); dall'altro, che la c.d.
"'impugnazione" dell'atto di determinazione
del contributo per vizi propri, per esempio
computo errato, comportando la lesione di un
diritto, è proponibile nei termini di
prescrizione (cfr. Cons. di Stato, sent. n.
2463/2006); infine, che in caso di errore
nella liquidazione del contributo, la P.A.
può parimenti pretenderne l'integrazione o
il conguaglio nel termine di prescrizione
(cfr. Cons. di Stato, sent. n. 2686/2008 e
n. 11073/2007), così come a prescrizione è
soggetta l'azione di ripetizione
dell'interessato che, dopo avere pagato il
contributo, ne chieda la restituzione -totale o parziale- per indebito oggettivo.
4. Ai sensi dell'art. 44, comma 10, L.R.
12/2005 gli interventi di ricostruzione
preceduti da demolizione totale o parziale
scontano il contributo concessorio previsto
per le nuove costruzioni (cfr. TAR Milano,
sent. n. 4455/2009) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 18.05.2010 n. 1566 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il contributo per gli oneri di
urbanizzazione si ritiene non dovuto ogni
qual volta l’intervento non sia idoneo a
determinare un aggravio del carico
urbanistico della zona.
Il contributo per gli oneri di
urbanizzazione ha ordinariamente funzione
sostitutiva delle relative opere; in
particolare, assolve all’obiettivo di
ridistribuire i costi sociali delle stesse
avuto riguardo all’aggravamento del carico
urbanistico che l’intervento considerato
andrà a determinare nella specifica zona in
cui è destinato a ricadere. Si ritiene
infatti generalmente non dovuto ogni qual
volta l’intervento stesso non sia idoneo a
determinare un aggravio del carico
urbanistico della zona (cfr. sul punto da
ultimo Tar Campania, Napoli, 26.06.2008
n.6271).
Che per espressa prescrizione di legge il
quantum di tali oneri venga determinato
attraverso tabelle che assumono tra i
parametri di riferimento anche le
destinazioni di zona previste dallo
strumento urbanistico generale, non è
dubitabile. Tuttavia, il presupposto della
richiamata disciplina è l’ontologica
coincidenza tra la destinazione di zona e la
destinazione d’uso del manufatto da
realizzarsi; coincidenza dalla quale in
regime ordinario non può prescindersi, pena
l’illegittimità del titolo autorizzatorio
cui il computo degli oneri si riconnette.
Siffatto
presupposto, tuttavia, può rivelarsi
insussistente in ipotesi di condono extra
ordinem.
In tali casi, invero, oggetto di sanatoria è
l’opera in sé considerata, quand’anche in
contrasto con la destinazione della zona in
cui è stata realizzata. Il titolo
autorizzatorio viene eccezionalmente
rilasciato –a certe condizioni- proprio in
assenza della conformità del manufatto alle
previsioni dello strumento urbanistico
generale; in particolare ai parametri e alle
destinazioni di zona. In buona sostanza,
alle norme dettate per l’edificazione della
zona stessa.
Proprio tali deroghe giustificano il rimedio
e le procedure straordinari.
Se, pertanto, il principio ispiratore della
normativa di settore è quello della
corrispettività tra oneri di urbanizzazione
e costi delle relative opere connesse
all’edificazione, in ipotesi di non
coincidenza tra la destinazione
dell’intervento e quella della zona in cui
lo stesso è stato realizzato (come nella
fattispecie in esame), è necessario
rintracciare un criterio correttivo che
consenta di evitare distorsioni nell’ottica
di sistema; che consenta cioè di
salvaguardare l’intento perequativo e la
corrispettività sottesi all’obbligo di
contribuzione –diretta o indiretta-
correlato alla realizzazione di nuovi
interventi edilizi.
Per preservare, dunque, il sostanziale
collegamento tra il contributo concretamente
dovuto e la specifica entità edilizia cui
esso si riferisce, intesa nella sua natura,
destinazione e consistenza non rimane che un
opzione: dovrà aversi riguardo non già alle
astratte tipologie consentite dalla
destinazione di zona bensì alla destinazione
in concreto attuata dal manufatto, posto che
–si ribadisce- oggetto di condono è proprio
l’immobile in sé considerato, avulso dal
contesto in cui lo stesso sia venuto a
collocarsi.
Non vi osta il dato normativo (la legge sul
condono opera un mero rinvio alla legge n.
10/1977 per il pagamento degli oneri e
questa non fornisce i criteri per
l’applicazione delle tabelle ivi contemplate
alla peculiare fattispecie della non
coincidenza tra destinazione d’uso e
destinazione di zona); e diversamente
opinando si perverrebbe ad un risultato in
contrasto con il richiamato principio della
corrispettività: si farebbero gravare sul
singolo intervento non già i costi
rapportati all’aumento del carico
insediativo determinato dall’intervento
stesso, bensì i costi di urbanizzazione
dell’intera zona in relazione ad una
destinazione (nel caso di specie
artigianale-produttiva) che resterebbe
comunque estranea alla zona de qua. Questa,
invero, nel suo complesso, conserverebbe la
destinazione originaria.
In buona sostanza risulterebbe tradito
proprio il principio ispiratore di tutta la
disciplina e la quantificazione degli oneri
di urbanizzazione finirebbe per assumere –al
pari dell’oblazione- una valenza
sanzionatoria estranea allo spirito della
legge. Come già rimarcato, le disposizioni
in materia di condono (più specificamente
l’art. 37 della legge n. 47/1985 e la
Circolare Ministero LL.PP. n. 2241 del
17.06.1995) operano un mero rinvio alle
norme della legge n. 10/1977 in materia di
oneri di urbanizzazione da corrispondersi in
aggiunta all’oblazione; di tali
disposizioni, pertanto, mutuano
inevitabilmente la ratio della
corrispettività
(TAR Puglia-Bari, Sez. II,
sentenza 05.05.2010 n. 1735 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Nel caso di condono edilizio,
il momento
rispetto al quale va calcolato l’importo
degli oneri di urbanizzazione è quello di
presentazione della domanda di condono e non
già in quello di rilascio della concessione
stessa.
Nel caso di
concessione in sanatoria ex art. 31
della legge n. 47/1985 la costruzione
precede e non segue il rilascio del titolo,
sicché la giurisprudenza ha individuato il
momento rispetto al quale va calcolato
l’importo degli oneri di urbanizzazione in
quello di presentazione della domanda di
condono e non già in quello di rilascio
della concessione stessa, preso in
considerazione dalla legge n. 10/1977 (e
oggi dal T.U. edilizia) in relazione però
all’ordinario regime edilizio (cfr. C.d.S.,
Sez. V, 17.09.2002, n. 4716)
(TAR Puglia-Bari, Sez. II,
sentenza 05.05.2010 n. 1735 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
contributo per gli oneri di urbanizzazione
ha ordinariamente funzione sostitutiva delle
relative opere; in particolare, assolve
all’obiettivo di ridistribuire i costi
sociali delle stesse avuto riguardo
all’aggravamento del carico urbanistico che
l’intervento considerato andrà a determinare
nella specifica zona in cui è destinato a
ricadere. Si ritiene infatti generalmente
non dovuto ogni qual volta l’intervento
stesso non sia idoneo a determinare un
aggravio del carico urbanistico della zona.
In caso di abuso edilizio sanato col
"condono edilizio", se il principio
ispiratore della normativa del versamento
degli oo.uu. è quello della corrispettività
tra oneri di urbanizzazione e costi delle
relative opere connesse all’edificazione, in
ipotesi di non coincidenza tra la
destinazione dell’intervento e quella della
zona in cui lo stesso è stato realizzato è
necessario rintracciare un criterio
correttivo che consenta di evitare
distorsioni nell’ottica di sistema; che
consenta cioè di salvaguardare l’intento
perequativo e la corrispettività sottesi
all’obbligo di contribuzione –diretta o
indiretta- correlato alla realizzazione di
nuovi interventi edilizi: dovrà aversi
riguardo non già alle astratte tipologie
consentite dalla destinazione di zona bensì
alla destinazione in concreto attuata dal
manufatto, posto che –si ribadisce- oggetto
di condono è proprio l’immobile in sé
considerato, avulso dal contesto in cui lo
stesso sia venuto a collocarsi.
Deve invero osservarsi che il contributo per
gli oneri di urbanizzazione ha
ordinariamente funzione sostitutiva delle
relative opere; in particolare, assolve
all’obiettivo di ridistribuire i costi
sociali delle stesse avuto riguardo
all’aggravamento del carico urbanistico che
l’intervento considerato andrà a determinare
nella specifica zona in cui è destinato a
ricadere. Si ritiene infatti generalmente
non dovuto ogni qual volta l’intervento
stesso non sia idoneo a determinare un
aggravio del carico urbanistico della zona
(cfr. sul punto da ultimo Tar Campania,
Napoli, 26.06.2008 n. 6271).
Che per espressa prescrizione di legge il
quantum di tali oneri venga
determinato attraverso tabelle che assumono
tra i parametri di riferimento anche le
destinazioni di zona previste dallo
strumento urbanistico generale, non è
dubitabile. Tuttavia, il presupposto della
richiamata disciplina è l’ontologica
coincidenza tra la destinazione di zona e la
destinazione d’uso del manufatto da
realizzarsi; coincidenza dalla quale in
regime ordinario non può prescindersi, pena
l’illegittimità del titolo autorizzatorio
cui il computo degli oneri si riconnette.
Siffatto presupposto, tuttavia, può
rivelarsi insussistente in ipotesi di
condono extra ordinem.
In tali casi, invero, oggetto di sanatoria è
l’opera in sé considerata, quand’anche in
contrasto con la destinazione della zona in
cui è stata realizzata. Il titolo
autorizzatorio viene eccezionalmente
rilasciato –a certe condizioni- proprio in
assenza della conformità del manufatto alle
previsioni dello strumento urbanistico
generale; in particolare ai parametri e alle
destinazioni di zona. In buona sostanza,
alle norme dettate per l’edificazione della
zona stessa.
Proprio tali deroghe giustificano il rimedio
e le procedure straordinari.
Se, pertanto, il principio ispiratore della
normativa di settore è quello della
corrispettività tra oneri di urbanizzazione
e costi delle relative opere connesse
all’edificazione, in ipotesi di non
coincidenza tra la destinazione
dell’intervento e quella della zona in cui
lo stesso è stato realizzato (come nella
fattispecie in esame), è necessario
rintracciare un criterio correttivo che
consenta di evitare distorsioni nell’ottica
di sistema; che consenta cioè di
salvaguardare l’intento perequativo e la
corrispettività sottesi all’obbligo di
contribuzione –diretta o indiretta-
correlato alla realizzazione di nuovi
interventi edilizi.
Per preservare, dunque, il sostanziale
collegamento tra il contributo concretamente
dovuto e la specifica entità edilizia cui
esso si riferisce, intesa nella sua natura,
destinazione e consistenza non rimane che un
opzione: dovrà aversi riguardo non già alle
astratte tipologie consentite dalla
destinazione di zona bensì alla destinazione
in concreto attuata dal manufatto, posto che
–si ribadisce- oggetto di condono è proprio
l’immobile in sé considerato, avulso dal
contesto in cui lo stesso sia venuto a
collocarsi.
Non vi osta il dato normativo (la legge sul
condono opera un mero rinvio alla legge n.
10/1977 per il pagamento degli oneri e
questa non fornisce i criteri per
l’applicazione delle tabelle ivi contemplate
alla peculiare fattispecie della non
coincidenza tra destinazione d’uso e
destinazione di zona); e diversamente
opinando si perverrebbe ad un risultato in
contrasto con il richiamato principio della
corrispettività: si farebbero gravare sul
singolo intervento non già i costi
rapportati all’aumento del carico
insediativo determinato dall’intervento
stesso, bensì i costi di urbanizzazione
dell’intera zona in relazione ad una
destinazione (nel caso di specie
artigianale-produttiva) che resterebbe
comunque estranea alla zona de qua.
Questa, invero, nel suo complesso,
conserverebbe la destinazione originaria.
In buona sostanza risulterebbe tradito
proprio il principio ispiratore di tutta la
disciplina e la quantificazione degli oneri
di urbanizzazione finirebbe per assumere –al
pari dell’oblazione- una valenza
sanzionatoria estranea allo spirito della
legge. Come già rimarcato, le disposizioni
in materia di condono (più specificamente
l’art. 37 della legge n. 47/1985 e la
Circolare Ministero LL.PP. n. 2241 del
17.06.1995) operano un mero rinvio alle
norme della legge n. 10/1977 in materia di
oneri di urbanizzazione da corrispondersi in
aggiunta all’oblazione; di tali
disposizioni, pertanto, mutuano
inevitabilmente la ratio della
corrispettività (TAR Puglia-Bari, Sez. II,
sentenza 05.05.2010 n. 1734 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Gli oneri concessori sono a
carico di chi richiede l'autorizzazione
edilizia e non dell'acquirente dell'opera
realizzata in base al titolo.
E’ invero pacifico (art. 4 legge n. 10/1977)
che gli oneri di costruzione connessi al
rilascio di una concessione edilizia debbano
essere assolti da colui che chiede
l’autorizzazione e, successivamente,
realizza le opere di trasformazione edilizia
ed urbanistica assentite, ovvero dai suoi
successori o aventi causa nella titolarità
del titolo edilizio subentrati
nell’esercizio dell’attività edificatoria,
restando infondata la pretesa di rivolgere
la richiesta di tale adempimento ai soggetti
acquirenti delle opere realizzate in forza
dell’autorizzazione edilizia (cfr: Cass.
Civ., III, 17.06.1996 n. 5541) (TAR
Sardegna, Sez. II,
sentenza 04.05.2010 n. 1079 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Quesito
1 -
Quanto alla determinazione degli oneri di
urbanizzazione in sede di rilascio di
concessione edilizia (Geometra
Orobico n. 2/2010). |
EDILIZIA PRIVATA: Aggiornamento
oneri di urbanizzazione.
Il quesito è posto in materia di
aggiornamento dell’entità degli oneri di
urbanizzazione (Regione Piemonte,
parere n.
24/2010 - link a
www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Installazione impianti per
produzione energia.
Vengono posti due quesiti inerenti al tema
–frequentatissimo in questo periodo di
tempo– dell’installazione di impianti per la
produzione di energia mediante l’impiego di
fonti rinnovabili, con particolare riguardo
al titolo abilitativo ed alla gratuità
dell’intervento (Regione Piemonte,
parere n.
11/2010 - link a
www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Applicabilità riduzione nel
calcolo del contributo di costruzione.
E’ chiesto parere in merito all’eventuale
applicabilità di riduzioni nel calcolo del
contributo di costruzione nel caso di
edificio interessato da domanda di permesso
di costruire per mutamento di destinazione
d’uso con opere edilizie (Regione Piemonte,
parere n.
10/2010 - link a
www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Ristrutturazione edilizia attuata con demolizione e ricostruzione.
Onerosità.
Si chiede parere in merito all’onerosità –ovvero all’eventuale gratuità– di
un intervento di ristrutturazione edilizia da attuarsi mediante demolizione
e ricostruzione di un fabbricato preesistente (...continua) (Regione
Piemonte,
parere n. 1/2010 - tratto da www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Oneri di
urbanizzazione secondaria - Perequazione
urbanistica - Significato.
Gli oneri di urbanizzazione secondaria e
la cessione di aree rientrano anche nel
concetto di perequazione urbanistica, nel
senso che attraverso queste voci si
determina il giusto prezzo dovuto dai
proprietari per il riconoscimento dei
diritti edificatori.
Certamente una frazione
dell'importo va commisurata (secondo
l'impostazione tradizionale) alle opere e
alle aree pubbliche necessarie al fine di
garantire alla nuova edificazione un ambito
territoriale dotato di adeguati servizi, ma
i proprietari che edificano devono pagare un
prezzo anche per il fatto che attraverso
l'assegnazione dei diritti edificatori
l'ente pubblico sacrifica beni collettivi
(quali l'ambiente, il paesaggio, la
naturalità degli spazi liberi, la qualità
della vita urbana, il minore livello di
traffico e di inquinamento) e impone ad
altri proprietari di non edificare per non
compromettere in modo eccessivo i suddetti
beni su scala comunale (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza
21.04.2010 n.
1580 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Ai fini del calcolo del
contributo concessorio dovuto per il condono
edilizio rileva l’incremento del carico
urbanistico derivante dall’abuso edilizio
nel suo insieme, ovvero la partecipazione
dell’immobile, nella nuova conformazione,
all’utilità derivante dall’urbanizzazione
esistente.
Ai fini del calcolo del contributo
concessorio dovuto per il condono edilizio
rileva l’incremento del carico urbanistico
derivante dall’abuso edilizio nel suo
insieme, ovvero la partecipazione
dell’immobile, nella nuova conformazione,
all’utilità derivante dall’urbanizzazione
esistente: ciò giustifica la contestata
richiesta economica dell’amministrazione,
finalizzata a far partecipare il
concessionario ai costi delle opere di
urbanizzazione in proporzione ai benefici
che la costruzione, nell’assetto condonato,
ne ritrae; non rileva in senso contrario la
realizzazione, ultimata da tempo, delle
opere di urbanizzazione (Cons. Stato, IV,
24/12/2009, n. 8757)
(TAR Toscana, Sez. III,
sentenza 06.04.2010 n. 928 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Permesso di
costruire in sanatoria ex D.Lgs. n. 269/2003
- Contributo di urbanizzazione e costo di
costruzione - Tariffe vigenti - Art. 6 L.R.
n. 31/2004 - Legittimità costituzionale.
In relazione al fatto se gli oneri di
urbanizzazione ed il costo di costruzione
dovuti ai fini della sanatoria debbano
essere commisurati alle tariffe vigenti al
momento del deposito dell'istanza di
sanatoria o a quelle vigenti al tempo del
rilascio del titolo edilizio, dispone l'art.
4, c. 6, L.R. 03.11.2004 n. 31 nel senso che
la determinazione deve effettuarsi tenendo
conto del regime tariffario in vigore al
momento di adozione del permesso di
sanatoria, essendo stata tale soluzione
interpretativa ritenuta costituzionalmente
legittima (v. ordinanza Corte Cost. n.
105/2010) in quanto la scelta normativa
della Regione Lombardia rappresenta "un
bilanciamento di interessi che può solo
essere effettuato dal legislatore" (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza
30.03.2010 n.
833 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Contributo di
costruzione - Obbligo di restituzione, da
parte della P.A. delle somme corrisposte -
Sussiste laddove il privato rinunci al
permesso di costruire o sia intervenuta la
decadenza del titolo edilizio.
2. Contributo di
costruzione - Obbligo di restituzione, da
parte della P.A. delle somme corrisposte -
In caso di utilizzo soltanto parziale del
permesso di costruire per realizzazione di
parte delle opere edilizie previste -
Sussiste per la quota di contributo di
costruzione che è stata calcolata con
riferimento alle opere non realizzate.
3. Contributo di
costruzione - Obbligo di restituzione, da
parte della P.A. delle somme corrisposte -
Decorrenza del termine di prescrizione -
Dalla data in cui il titolare comunica
all'Amministrazione la propria intenzione di
rinunciare al titolo abilitativo o dalla
data di adozione, da parte della P.A. del
provvedimento che dichiara la decadenza del
permesso di costruire.
4. Restituzione
di somme indebitamente riscosse da parte
della P.A. - Diritto del privato agli
interessi legali - Sussiste.
5. Risarcimento
del maggior danno rispetto agli interessi
legali richiesto a colui che abbia ricevuto
in buona fede un pagamento indebito - Va
valutato con riguardo al periodo successivo
alla presentazione della domanda di
restituzione delle somme indebitamente
pagate.
1. Quando il privato rinunci al permesso di
costruire o anche quando sia intervenuta la
decadenza del titolo edilizio -per scadenza
dei termini iniziali o finali o per il
sopravvenire di previsioni urbanistiche
introdotte o dallo strumento urbanistico o
da norme legislative o regolamentari,
contrastanti con le opere autorizzate e non
ancora realizzate- sorge in capo alla P.A.
l'obbligo di restituzione delle somme
corrisposte a titolo di contributo per oneri
di urbanizzazione e costo di costruzione e,
conseguentemente, il diritto del privato a
pretenderne la restituzione, in quanto il
contributo concessorio è strettamente
connesso all'attività di trasformazione del
territorio. Pertanto, ove tale circostanza
non si verifichi, il relativo pagamento
risulta privo di causa, cosicché l'importo
versato va restituito.
2. Il diritto alla restituzione sorge non
solamente nel caso in cui la mancata
realizzazione delle opere sia totale, ma
anche ove il permesso di costruire sia stato
utilizzato soltanto parzialmente, tenuto
conto che sia la quota degli oneri di
urbanizzazione che la quota relativa al
costo di costruzione sono correlati, sia
pure sotto profili differenti, all'oggetto
della costruzione.
L'avvalimento solo
parziale delle facoltà edificatorie
consentite da un permesso di costruire
comporta dunque il sorgere, in capo al
titolare, del diritto alla rideterminazione
del contributo ed alla restituzione della
quota di esso che è stata calcolata con
riferimento alla porzione non realizzata.
3. Ai sensi dell'art. 2935 c.c. il termine
di prescrizione comincia a decorrere dal
giorno in cui il diritto può essere fatto
valere e, dunque, dalla data in cui il
titolare comunica all'Amministrazione la
propria intenzione di rinunciare al titolo
abilitativo o dalla data di adozione, da
parte della P.A. del provvedimento che
dichiara la decadenza del permesso di
costruire per scadenza dei termini iniziali
o finali o per l'entrata in vigore delle
previsioni urbanistiche contrastanti.
4. Il privato, sulle somme indebitamente
riscosse dalla P.A., ha diritto agli
interessi legali i quali, qualora non vi
siano elementi che escludano la buona fede
dell'Amministrazione, spettano dalla data
della domanda.
5.
Il risarcimento del maggior danno, rispetto
agli interessi legali, richiesto a colui che
abbia ricevuto in buona fede un pagamento
indebito ai sensi dell'art. 2033 c.c.,
riguarda il periodo successivo alla
presentazione della domanda, essendo
irrilevante l'allegazione e la dimostrazione
di aver dovuto fare ricorso ad oneroso
credito bancario in periodo precedente la
presentazione della domanda di restituzione (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza
24.03.2010 n.
728 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Allorché
il privato rinunci al permesso di costruire
o anche quando sia intervenuta la decadenza
del titolo edilizio sorge in capo alla p.a.
l’obbligo di restituzione delle somme
corrisposte a titolo di contributo per oneri
di urbanizzazione e costo di costruzione e
conseguentemente il diritto del privato a
pretenderne la restituzione.
Il diritto alla restituzione sorge non
solamente nel caso in cui la mancata
realizzazione delle opere sia totale ma
anche ove il permesso di costruire sia stato
utilizzato solo parzialmente.
L’avvalimento solo parziale delle facoltà
edificatorie consentite da un permesso di
costruire comporta il sorgere in capo al
titolare del diritto alla rideterminazione
del contributo ed alla restituzione della
quota di esso che è stata calcolata con
riferimento alla porzione non realizzata.
Il termine di prescrizione, nel restituire
la quota di contributo di costruzione
versata per mancata edificazione, comincia a
decorrere dal giorno in cui il diritto può
essere fatto valere, e, dunque, dalla data
in cui il titolare comunica alla
amministrazione la propria intenzione di
rinunciare al titolo abilitativo o dalla
data di adozione da parte della p.a. del
provvedimento che dichiara la decadenza del
permesso di costruire per scadenza dei
termini iniziali o finali o per l’entrata in
vigore delle previsioni urbanistiche
contrastanti.
Sulle somme indebitamente riscosse dalla
p.a., la ricorrente ha diritto agli
interessi legali, che, non essendovi
elementi per escludere la buona fede
dell’amministrazione, spettano dalla data
della domanda.
La giurisprudenza è concorde nel ritenere
che, allorché il privato rinunci al permesso
di costruire o anche quando sia intervenuta
la decadenza del titolo edilizio -per
scadenza dei termini iniziali o finali o per
il sopravvenire di previsioni urbanistiche
introdotte o dallo strumento urbanistico o
da norme legislative o regolamentari,
contrastanti con le opere autorizzate e non
ancora realizzate- sorga in capo alla p.a.
l’obbligo di restituzione delle somme
corrisposte a titolo di contributo per oneri
di urbanizzazione e costo di costruzione e
conseguentemente il diritto del privato a
pretenderne la restituzione (cfr. TAR
Abruzzo, Pescara, 15.12.2006, n. 890; Cons.
Stato, sez. V, 22.02.1988, n. 105). Il
contributo concessorio è, difatti,
strettamente connesso all’attività di
trasformazione del territorio, quindi, ove
tale circostanza non si verifichi, il
relativo pagamento risulta privo di causa
cosicché l’importo versato va restituito
(Cons. Stato, sez. V, 12.06.1995, n. 894;
Tar Lazio, Roma, sez. II-bis, 12.03.2008, n.
2294).
Il Collegio è dell’avviso che il diritto
alla restituzione sorga non solamente nel
caso in cui la mancata realizzazione delle
opere sia totale ma anche ove il permesso di
costruire sia stato utilizzato solo
parzialmente, come è accaduto nel caso di
specie in cui è stato edificato solamente un
capannone industriale e non anche un
edificio uso ufficio, come, invece, previsto
nel titolo edilizio.
Sia la quota per oneri di urbanizzazione
-che compensa l’aggravio del carico
urbanistico della zona indotto dalla nuova
costruzione- che la quota per costo di
costruzione -che si giustifica per
l'aumentata capacità contributiva del
titolare ed è pertanto commisurata al valore
economico del costo di costruzione,
determinato sulla base di parametri
generali– sono, difatti, correlati, sia pur
sotto profili differenti, all’oggetto della
costruzione: la realizzazione solamente di
uno dei due edifici oggetto del permesso di
costruire non può che comportare una
riduzione dell’aggravio del carico
urbanistico della zona e manifestare una
minore capacità contributiva rispetto
all’ipotesi in cui entrambe le opere
assentite fossero edificate.
L’avvalimento solo parziale delle facoltà
edificatorie consentite da un permesso di
costruire comporta, pertanto, il sorgere in
capo al titolare, del diritto alla
rideterminazione del contributo ed alla
restituzione della quota di esso che è stata
calcolata con riferimento alla porzione non
realizzata.
Ai sensi dell’art. 2935 c.c., il termine di
prescrizione comincia a decorrere dal giorno
in cui il diritto può essere fatto valere,
e, dunque, dalla data in cui il titolare
comunica alla amministrazione la propria
intenzione di rinunciare al titolo
abilitativo o dalla data di adozione da
parte della p.a. del provvedimento che
dichiara la decadenza del permesso di
costruire per scadenza dei termini iniziali
o finali o per l’entrata in vigore delle
previsioni urbanistiche contrastanti.
Il Collegio non condivide quindi la
posizione assunta dalla amministrazione, non
potendo la prescrizione iniziare a decorrere
da un momento, quello del rilascio del
titolo edilizio, in cui il diritto alla
restituzione del contributo non è ancora
sorto non essendosi ancora verificati i
fatti impeditivi della edificazione sopra
richiamati.
Il principio affermato nella sentenza del
Consiglio di Stato, 13.06.2003, n. 3332,
richiamata dalla difesa dell’amministrazione
comunale non trova quindi applicazione nel
caso di specie: tale pronuncia,
nell’individuare nel rilascio della
concessione edilizia il momento da cui
inizia a decorrere la prescrizione, fa,
difatti, riferimento ad un diritto
differente rispetto a quello oggetto della
presente controversia, cioè quello del
Comune al pagamento del contributo.
Sulle somme indebitamente riscosse dalla
p.a., la ricorrente ha diritto agli
interessi legali, che, non essendovi
elementi per escludere la buona fede
dell’amministrazione, spettano dalla data
della domanda.
Non spetta, invece, il risarcimento del
maggior danno.
L'eventuale maggior danno, rispetto agli
interessi legali, richiesto a colui che
abbia ricevuto in buona fede un pagamento
indebito, ai sensi dell'art. 2033 c.c.,
riguarda il periodo successivo alla
presentazione della domanda; irrilevante, di
conseguenza, è l'allegazione e dimostrazione
di aver dovuto far ricorso ad oneroso
credito bancario in periodo precedente la
presentazione della domanda di restituzione
(Cassazione civile, sez. lav., 13.04.2007,
n. 8921).
La documentazione allegata dalla ricorrente
non può, quindi, ritenersi sufficiente ad
assolvere l’onere della prova in quanto
dimostra una situazione di difficoltà
economica della società ed il ricorso al
credito bancario in un momento antecedente
al 16.10.2001, data in cui la società
ricorrente ha domandato al Comune la
restituzione dei quanto indebitamente
corrisposto
(TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 24.03.2010 n. 728 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Oneri di urbanizzazione -
Contestazione vertente sulla quantificazione
- Giurisdizione esclusiva del G.A. -
Sussiste - Pretesa del privato diretta alla
esatta determinazione del contributo dovuto
- Si atteggia come diritto soggettivo.
Una contestazione che verta sulla
quantificazione degli oneri di
urbanizzazione, rientranti nella
giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo ai sensi dell'art. 16 della
L. n. 10/1977, e la pretesa del privato
diretta alla esatta determinazione del
contributo dovuto, si atteggia come diritto
soggettivo, la cui azionabilità non è
subordinata né all'impugnativa di un atto
amministrativo formale, né all'osservanza
del termine perentorio di decadenza, bensì
di quello ordinario di prescrizione (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 11.03.2010 n.
584 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Esenzione del contributo di
costruzione - Art. 17 d.P.R. 380/2001 -
Concetto di imprenditore agricolo - Richiamo
all’art. 9 L. n. 10/1977 - Riforma in senso
estensivo dell’art. 2135 c.c. - Estraneità -
Nozioni parallele di impresa agricola.
Con l’art. 17 del d.P.R. n. 380/2001, il
legislatore, pur in presenza di una
pressoché coeva riforma in senso estensivo
del concetto di imprenditore agricolo
dettato dall’art. 2135 c.c., ha persistito
nel richiamare una risalente normativa
dettata in specifico per l’agricoltura (art.
9 L. n. 10/1977) e non la rinnovata e
generalizzata nozione di imprenditore
agricolo.
Non è infatti precluso che l’ordinamento
mantenga più parallele nozioni di “impresa
agricola” in ragione delle diverse
finalità per cui detta nozione viene
definita; l’esenzione dal contributo di
costruzione si collega ragionevolmente al
ritenuto minor impatto sul carico
urbanistico che ovviamente potrà assumere
caratteristiche del tutto differenti a
seconda della natura più o meno intensiva
dell’attività, e conseguentemente dal
maggior o minore impatto ambientale che essa
comporta (TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 01.03.2010 n. 1302 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
cartella esattoriale costituisce uno strumento in cui viene
enunciata una pregressa richiesta di natura sostanziale e
non possiede alcuna autonomia. Pertanto deve essere
impugnata dinanzi al giudice competente a decidere in ordine
al rapporto cui la cartella stessa è funzionale, a nulla
valendo che l'atto non contenga una puntuale indicazione
della fonte del credito fatto valere.
In particolare, la cognizione della controversia attinente
la richiesta, mediante cartella esattoriale, di pagamento
del contributo per gli oneri di urbanizzazione e conseguenti
sanzioni, appartiene alla giurisdizione esclusiva del
giudice amministrativo, prevista dall'art. 16 l. 28.01.1977
n. 10.
Può quindi passarsi alla disamina del ricorso per motivi
aggiunti con il quale il ricorrente ha impugnato la cartella
esattoriale notificatagli da Equitalia Nomos in data
10.07.2009, con la quale viene richiesto il pagamento di €
10.088,10.
Va respinta l’eccezione di difetto di giurisdizione
sollevato, con la memoria depositata in data 03.12.2009,
dalla difesa dell’Amministrazione.
Invero, la cartella esattoriale costituisce uno strumento in
cui viene enunciata una pregressa richiesta di natura
sostanziale e non possiede alcuna autonomia. Pertanto deve
essere impugnata dinanzi al giudice competente a decidere in
ordine al rapporto cui la cartella stessa è funzionale, a
nulla valendo che l'atto non contenga una puntuale
indicazione della fonte del credito fatto valere
(cfr. Cons. giust. amm. 14.09.2009 n. 790, TAR Lazio sez. II
26.06.2009 n. 6253 e Cass. SS. UU. 08.02.2008 n. 3001).
In particolare, la cognizione della controversia attinente
la richiesta, mediante cartella esattoriale, di pagamento
del contributo per gli oneri di urbanizzazione e conseguenti
sanzioni, appartiene alla giurisdizione esclusiva del
giudice amministrativo, prevista dall'art. 16 l. 28.01.1977
n. 10 (cfr. Cass. Civ., SS. UU., 20.10.2006 n. 22514) (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 11.01.2010 n. 5 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
P.R.G. del Comune. Applicazione
norme di attuazione in assenza di
disposizioni normative nazionali e
regionali.
Vengono chiesti quattro distinti pareri su
specifiche questioni in materia edilizia.
1- Con il primo quesito il Comune segnala
che “in passato è stato permesso il
recupero di strutture adibite a fienili o
altro in zona centro storico, purché chiuse
su tre lati (così veniva detto verbalmente);
le norme del piano riportano: “nel centro
storico è concessa la ristrutturazione
edilizia di tipo A per l’utilizzazione per
fini abitativi delle strutture tecniche
originariamente destinate al servizio
agricolo, con l’esclusione delle tettoie,
quando tali strutture tecniche siano
sostanzialmente incorporate nel nucleo
abitativo preesistente”.
Il Comune chiede di sapere “in che cosa
differisce una struttura tecnica da portico”
e se “la chiusura su tre lati è conditio
sine qua non”.
Segnala, altresì, il Comune che “spesso
ci si è trovati di fronte a fabbricati
accatastati in un modo (esempio in classe
A4), generalmente prima di una
compravendita, e in realtà si tratta di
fabbricati utilizzati come fienile o
magazzini e non si trova in Comune
un’adeguata pratica di cambio di
destinazione d’uso”.
A tal proposito, chiede il Comune di sapere
“come occorre comportarsi in tali casi,
se occorre prendere atto della pratica di
accatastamento oppure richiedere una pratica
di cambio di destinazione d’uso”.
2- Il Comune richiedente segnala che le
norme di P.R.G.C. recitano: “Non sarà
ammessa in alcun caso la realizzazione di
recinzioni cieche per nuove delimitazioni
fondiarie” e “In tutte le zone
indicate dal Piano regolatore generale le
recinzioni verso le vie pubbliche e gli
spazi pubblici ad uso pubblico e le vie
private debbono essere “a giorno” e non
superare l’altezza massima di mt. 2. Esse
dovranno essere costruite nella parte fuori
terra da uno zoccolo in muratura di mattoni
o in calcestruzzo di altezza non superiore a
mt. 0,50 dal suolo, sormontato da rete
metallica o da cancellata metallica, tali da
consentire il massimo di visibilità
trasversale. Possono essere concesse
autorizzazioni in deroga, a quanto
prescritto in caso di restauro e
completamento di recinzioni esistenti o muri
divisori esistenti, quando non si abbiano,
ad esclusivo giudizio della Commissione
Edilizia, a riscontrare ragioni negative da
carattere tecnico ed estetico”.
Chiede, dunque, il Comune di sapere se “una
recinzione costituita da un muro alto 1,60
mt. con delle vedute a semiluna, situata sul
confine tra una zona compromessa e aree
agricole possa essere di danno a diritti di
terzi”.
3- Con il terzo quesito, il Comune chiede di
sapere se “è possibile la realizzazione
di una scala per accedere ad un edificio a
confine con una piazza pubblica o queste
vengono considerate alla stregua di strade
pubbliche e come tale anche una semplice
scala deve arretrare di x metri”.
4- Con il quarto quesito, il Comune chiede
di sapere se “nel caso di oneri pagati
per una ristrutturazione che
successivamente, per vari motivi, non si
vuole più eseguire, l’Ente Comunale è tenuto
a restituire la somma versata per il
rilascio degli oneri” (Regione Piemonte,
parere n.
2/2010 - link a
www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Ristrutturazione edilizia attuata
con demolizione e ricostruzione.
Onerosità.
Si chiede parere in merito
all’onerosità –ovvero all’eventuale
gratuità– di un intervento di
ristrutturazione edilizia da attuarsi
mediante demolizione e ricostruzione di un
fabbricato preesistente (Regione
Piemonte,
parere n. 1/2010 - tratto da
www.regione.piemonte.it). |
anno 2009 |
|
EDILIZIA PRIVATA: Contributo
di costruzione per realizzazione impianto
fotovoltaico.
Viene richiesto a questo Servizio un parere
in ordine all’esonero dal contributo di
costruzione previsto per gli impianti
relativi alle fonti rinnovabili di energia
(Regione Piemonte,
parere n. 116/2009 -
tratto da
www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Lombardia,
Necessita aggiornare il costo di costruzione entro il
31.12.2009 i cui effetti esplicheranno efficacia a decorrere
dall'01.01.2010: ecco il fac-simile di determinazione (file
1 -
file 2).
ATTENZIONE:
se non si adotta la determinazione di aggiornamento entro la
suddetta scadenza per tutto il 2010 si dovrà
applicare il medesimo costo di costruzione vigente nell'anno
2009 (cfr. art. 48, comma 2, della L.R. n. 12/2005).
Inoltre, è inutile aspettare la fine di dicembre 2009 per
adottare la determinazione nell'intento di avere una
maggiore variazione ISTAT (da far valere per il 2010) poiché
"l'indice di costo di costruzione di un
fabbricato residenziale, su proroga concessa da Eurostat, è
in corso di cambio base (2005=100), pertanto è sospesa la
pubblicazione degli indici per tutti i mesi del 2009. Il
rilascio avverrà presumibilmente a gennaio 2010 con la nuova
base" (comunicato
ISTAT).
Pertanto, è meglio adottare subito la determinazione de
qua prima di dimenticarsi ... |
EDILIZIA PRIVATA:
Applicazione artt. 16-17 D.P.R.
380/2001 in area agricola.
E’ chiesto
parere in merito all’applicazione degli
artt. 16 e 17 del D.P.R. n. 380/2001 in area
agricola.
Il Comune richiedente presenta, in
particolare, tre quesiti del seguente
tenore:
1) con riferimento ai requisiti delle figure
professionali operanti in agricoltura, si
chiede di chiarire quali siano i casi di
esenzione al pagamento del contributo di
costruzione di cui all’art. 17, comma 3,
lettera a) del D.P.R. n. 380/2001 e s.m.i.;
2) in caso di applicazione del contributo di
costruzione in area agricola, si chiede di
chiarire quali siano i parametri da
utilizzare per il calcolo degli oneri di
urbanizzazione e del costo di costruzione di
cui all’art. 16 del D.P.R. 380/2001 e s.m.i.;
3) in caso di applicazione del contributo di
costruzione in area agricola, si chiede di
chiarire se sia comunque richiesta la
presentazione dell’atto di impegno previsto
dall’art. 25, comma 7, della L.R. 56/1977 e
s.m.i. (Regione Piemonte,
parere n.
110/2009 - tratto da
www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Concessione
edilizia - Ipotesi di gratuità - Non
sussiste.
2. Concessione
edilizia - Agibilità - Diniego -
Legittimità.
3. Concessione
edilizia - Oneri - Costo di costruzione -
Attività industriali - Esclusione.
1. L'esenzione dal pagamento dei contributi
di costruzione, prevista dall'art. 9, comma
1, lett. f), l. 28.01.1977 n. 10,
spetta solo con riferimento alle opere
realizzate per il raggiungimento delle
finalità istituzionali di una pubblica
amministrazione e che pertanto, anche se
eseguite da un soggetto privato in regime di
concessione o altro istituto analogo, sono
destinate a pervenire nel patrimonio
dell'amministrazione stessa; di conseguenza,
se invece una società, anche se costituita
da un ente pubblico per il conseguimento di
sue finalità, realizza una struttura al fine
di utilizzarla nell'ambito della sua
attività d'impresa, viene a mancare la
stessa ratio della concessone
dell'esenzione, che è quella di evitare una
contribuzione a carico di un'opera destinata
a soddisfare esclusivamente interessi
generali (Consiglio Stato, sez. V, 02.10.2008, n. 4761).
2. Dal momento che il procedimento di
agibilità di un edificio riguarda non solo
il controllo delle condizioni di sicurezza,
ma presuppone anche che il procedimento
edilizio sia completo, è legittimo il
diniego comunale opposto nell'ipotesi in cui
l'obbligazione patrimoniale degli oneri non
sia stata adempiuta.
3.
Le opere edilizie destinate ad attività
industriali o artigianali dirette alla
trasformazione di beni ed alla prestazione
di servizi, tra le quali rientrano le
attività imprenditoriali dirette alla
prestazione di servizi sanitari sono escluse
dal pagamento del costo di costruzione
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza
17.09.2009 n.
4672 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Permesso di costruire
intoccabile. Il comune non può esentare i
cittadini dal pagare gli oneri.
Parere della Corte dei conti per il Piemonte
fa chiarezza sulle disponibilità degli enti
locali.
Un comune non può esentare i cittadini dal
pagamento degli oneri correlati al permesso
di costruire, nemmeno se la possibile
esenzione è finalizzata alla promozione del
territorio locale. Infatti, dalle
disposizioni contenute nel testo unico in
materia edilizia (il dpr n. 380/2001), si
evince chiaramente che l'onerosità delle
trasformazioni urbanistico-edilizie
costituisce la regola e non un'eccezione. Il
principio-cardine secondo il quale non può
procedersi ad un'esenzione dei citati oneri,
infatti, sta nell'evidenza che il peso
economico-finanziario di un'operazione di
trasformazione edilizia non può essere a
carico della collettività (vale a dire le
minori entrate che da tale operazione si
riflettono sul bilancio comunale), ma deve
ricadere sul soggetto che la richiede,
perché è da questa operazione che egli ne
trae benefici.
È quanto ha ammesso a chiare lettere la
sezione regionale di controllo della Corte
dei Conti per il Piemonte, nel testo del
parere 15.09.2009 n. 40, con il quale ha fatto chiarezza
sulla eventuale disponibilità dell'ente
locale sulle entrate derivanti dal rilascio
del permesso di costruire, ai sensi
dell'articolo 16 del citato Testo unico
sull'edilizia. Disponibilità che, nel caso
di specie, si tradurrebbe in una sorta di
«condono» sul permesso di costruire per quei
soggetti che trasformano fabbricati per
avviarne una struttura turistico-ricettiva.
IL PARERE
Nei fatti oggetto della pronuncia della
magistratura contabile piemontese in
osservazione, il comune di Moriondo Torinese
ha formulato una richiesta di parere
riguardante un'iniziativa di promozione del
territorio. Nell'istanza, l'amministrazione
comunale intendeva prevedere l'esenzione dal
pagamento degli oneri per le
ristrutturazioni ed altri interventi di
recupero su fabbricati da destinare a «bed &
breakfast». Un beneficio, quello nelle
intenzioni del comune, che sarebbe stato
subordinato all'effettiva apertura della
struttura entro un congruo termine dalla
conclusione dei lavori ed al mantenimento di
tale destinazione per un lasso di tempo
determinato, pena la decadenza dal
beneficio. Stante così il quadro
dell'operazione che il comune intendeva
avviare, il vertice dello stesso richiedeva
alla Corte dei conti di volersi pronunciare
in merito alla «liceità contabile»
dell'iniziativa».
LA RISPOSTA DELLA CORTE
Nessuna esenzione è possibile, ha risposto
la Corte dei conti. Con riguardo, infatti,
al testo unico in materia edilizia,
all'articolo 16 si stabilisce che “il
rilascio del permesso di costruire comporta
la corresponsione di un contributo
commisurato all'incidenza degli oneri di
urbanizzazione, nonché al costo di
costruzione», secondo modalità che la stessa
norma di legge definisce chiaramente.
Il semplice richiamo a questa norma, si
legge nel testo del parere in esame, mette
in evidenza un particolare fondamentale.
Vale a dire che l'onerosità delle
trasformazioni urbanistico-edilizie
costituisce la regola e non certo
un'eccezione. Una regola, si ammette, che ha
la sua ratio nel principio secondo il quale
il peso economico-finanziario derivante da
una trasformazione urbanistico-edilizia non
deve gravare interamente sulla comunità
locale, che dovrà farsi carico delle
relative minori entrate nei capitoli del
bilancio comunale, bensì sul soggetto che
effettua la trasformazione, dalla quale egli
non può che trarne benefici (articolo
ItaliaOggi 02.10.2009, pag. 14). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Pagamento a favore di un ente pubblico -
reversale di incasso - predisposizione
anticipata - non necessaria.
2. Sanzioni ex
art. 3 L. 47/1985 - sollecitazione ad
adempiere - non necessaria.
1. Per effettuare un pagamento a favore di
un ente pubblico non è necessaria alcuna
reversale di incasso predisposta dagli
uffici.
In base al principio contenuto
ancora nell'art. 197, comma 2, del RD 12.02.1911 n. 297 (in seguito nuovamente
codificato nell'art. 24, comma 4, del Dlgs. 25.02.1995 n. 77 e ora nell'art. 180,
comma 4, del Dlgs. 18.08.2000 n. 267) il
tesoriere deve accettare la riscossione di
ogni somma versata in favore dell'ente,
anche senza la preventiva emissione di un
ordinativo di incasso (è poi compito del
tesoriere dare immediata comunicazione
all'ente dell'avvenuto pagamento richiedendo
la conferma o la regolarizzazione).
La mancata predisposizione in via anticipata
delle reversali di incasso da parte degli
uffici comunali non costituisce rifiuto
illegittimo di ricevere il pagamento ai
sensi degli art. 1206-1207 cc.
2.
La natura sanzionatoria delle misure ex art.
3 della legge 47/1985 impone che l'ente
pubblico stabilisca in modo chiaro le
obbligazioni del privato e che quest'ultimo
sia messo in condizione di adempiere. Non è
necessario invece che il privato sia
sollecitato ad adempiere o agevolato in
altro modo.
Pertanto, se il rapporto con
l'amministrazione è trasparente e il privato
è puntualmente informato delle scadenze
delle rate degli oneri concessori non
servono ulteriori atti di impulso diretti a
provocare l'adempimento.
Parimenti non è necessaria la preventiva
escussione del fideiussore, a meno che un
obbligo in questo senso non sia stato
espressamente assunto dall'amministrazione (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez.
II,
sentenza
11.09.2009 n.
1688 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Vanno
ricondotte al comune, e non alla regione, le
scelte urbanistiche, in esito alle quali i
mutamenti di destinazione d'uso possono
essere soggetti a concessione. E' legittimo
quindi, il provvedimento con cui un comune
ha stabilito l'obbligo di pagare il
contributo per oneri di urbanizzazione, in
corrispondenza del cambio di destinazione
d'uso di un immobile (da abitazione ad
ufficio), effettuato senza opere edilizie.
La questione sottoposta all’esame del
Collegio riguarda la valenza –sul piano
urbanistico– del mutamento di destinazione
d’uso di unità o complessi immobiliari,
senza effettuazione di opere edilizie e
della possibilità, o meno, di ritenere
dovuti per interventi del tipo indicato i
contributi per oneri di urbanizzazione,
anche quando la normativa regionale non
richieda per gli interventi stessi il titolo
abilitativo, una volta denominato “concessione
edilizia” e –nel nuovo testo unico– “permesso
di costruire”.
Sia nella precedente che nell’attuale
normativa in effetti (articoli 3, 5, 6 della
legge 28.01.1977, n. 10 e 16 del D.P.R.
06.06.2001, n. 380) alle nuove edificazioni
e ad altri interventi, comunque soggetti ai
titoli abilitativi sopra specificati,
corrisponde il pagamento di un contributo,
commisurato all’incidenza degli oneri di
urbanizzazione, nonché al costo di
costruzione.
La natura giuridica del predetto contributo
è quella di prestazione patrimoniale
imposta, anche indipendentemente
dall’utilità specifica del singolo
concessionario, comunque tenuto a concorrere
alla spesa pubblica per le infrastrutture
–strade, fognature, illuminazione,
parcheggi, ma anche scuole, uffici, centri
commerciali ecc.– che debbono accompagnare
ogni nuovo insediamento edificatorio (cfr.
in tal senso, per il principio, Cons. St.,
sez. V, 06.05.1997, n. 462. 16.04.1986, n.
225 e 06.10.1986, n. 504). E’ anche evidente
che la destinazione d’uso degli immobili
condiziona le esigenze infrastrutturali, da
tempo individuate dalla normativa sotto
forma di standards urbanistici, in base al
D.M. 02.04.1968, n. 1444 e all’art.
41-quinquies della legge 17.08.1942, n.
1150, nel testo introdotto dall’art. 17
della legge 06.08.1967, n. 765. In
connessione con i principi generali, sopra
sommariamente enunciati, è stato a lungo
dibattuto in giurisprudenza il problema dei
mutamenti di destinazione d’uso degli
immobili, effettuabili senza opere edilizie,
essendo evidente –pur in assenza di una
materiale trasformazione del territorio– la
non irrilevanza dei mutamenti in questione
sul piano urbanistico (tenuto conto in
particolare delle differenti dotazioni di
standards, riconducibili alle varie
tipologie d’uso degli immobili stessi, anche
inseriti nella medesima zona territoriale
omogenea: cfr. al riguardo Cons. St., sez.
IV, 29.05.2008, n. 2561).
L’art. 25, u.c., della legge 28.02.1985, n.
47 (ora trasfuso nell’art. 10, comma 2, del
T.U., approvato con D.P.R. n. 380/2001 cit.)
ha rinviato la soluzione della complessa
tematica in ambito locale, disponendo che
siano le leggi regionali a stabilire “quali
mutamenti, connessi o non connessi a
trasformazioni fisiche, dell’uso di immobili
o di loro parti” dovessero essere
subordinati a concessione (oggi permesso di
costruire) e quali a mera autorizzazione
(potendosi identificare con tale
terminologia –non del tutto propria, data la
natura comunque autorizzatoria dei titoli
abilitativi in questione: cfr. al riguardo,
per il principio, Corte Cost. 21.04.1983, n.
127– i mutamenti di destinazione d’uso di
minore impatto sul territorio, assimilabili
agli interventi edilizi, di norma non
soggetti ad oneri).
In rapporto alle diverse normative,
conseguentemente emanate dalle Regioni,
alcune linee di indirizzo sono state
espresse dalla Corte Costituzionale, che
–con sentenze nn. 73 in data 11.02.1991
(riferita all’art. 76, comma 1 della legge
della Regione Veneto 27.06.1985, n. 61) e
259 del 23.07.1997, riferita all’art. 2,
comma 1, della legge della Regione Emilia
Romagna 08.11.1988, n. 46)– ha indicato i
seguenti principi:
a)
riconducibilità al Comune, e non alla
Regione, delle scelte urbanistiche, in esito
alle quali i mutamenti di destinazione d’uso
possono essere soggetti a concessione;
b)
riconoscimento per la Regione, in forza
della competenza concorrente che le è
propria, del compito di stabilire criteri e
modalità, cui i Comuni debbono attenersi in
sede di predisposizione degli strumenti
urbanistici;
c)
non assoggettabilità con legge regionale dei
mutamenti di destinazione d’uso senza opere
a concessione, anziché a semplice
autorizzazione, per l’intero territorio
comunale.
Nella situazione in esame, si tratta di
stabilire i corretti parametri applicativi
della legge della Regione Lombardia
15.01.2001, n. 1, che all’art. 2, comma 2
dispone quanto segue: “I mutamenti di
destinazione d’uso di immobili, conformi
alle previsioni urbanistiche comunali e non
comportanti la realizzazione di opere
edilizie, sono soggetti esclusivamente a
preventiva comunicazione dell’interessato al
Comune, ad esclusione di quelli riguardanti
unità immobiliari o parti di esse, la cui
superficie lorda di pavimento non sia
superiore a 150 metri quadrati, per i quali
la comunicazione non è richiesta”.
Il precedente art. 1 della medesima legge
regionale prevede, altresì, che i Comuni
indichino nello strumento urbanistico le
destinazioni d’uso non ammissibili nelle
diverse aree omogenee e definiscano nello
strumento urbanistico le necessarie
variazioni del fabbisogno di standards,
relativamente ai mutamenti d’uso ammissibili
attuati con opere edilizie, ovvero anche non
comportanti la realizzazione di tali opere,
se riferiti ad uso commerciale “non
costituente esercizio di vicinato”.
Una interpretazione costituzionalmente
orientata della citata legge –tenuto conto
dei principi in precedenza esposti– non può
comunque escludere un autonomo apprezzamento
comunale, in merito all’impatto urbanistico
di qualsiasi mutamento di destinazione d’uso
ed implica dunque, ad avviso del Collegio,
che i mutamenti in questione –anche ove
effettuabili senza opere e compatibili con
la destinazione di zona, per immobili di non
minimale consistenza (oltre 150 mq)– non
siano soggetti a specifico assenso comunale
e non possano essere inibiti a chi vi abbia
interesse: quanto sopra, tuttavia, non senza
che sia possibile integrare la riscossione
dei contributi, corrispondenti agli oneri di
urbanizzazione, da parte dei Comuni
interessati, cui competono la valutazione e
l’eventuale integrazione degli standards
urbanistici presenti sul territorio, ove gli
assetti originari finiscano per subire
variazioni di rilievo (come nel caso in cui
una zona a prevalente vocazione abitativa
finisca per trasformarsi –fenomeno non raro
in aree centrali dei nuclei urbani– in zona
ad uso prioritario di tipo direzionale, con
esigenze diverse, ad esempio, in tema di
parcheggi ed altri servizi connessi).
Se è vero, infatti, che la Regione non
potrebbe imporre ai Comuni la sottoposizione
dei mutamenti di destinazione d’uso al
medesimo titolo abilitativo, previsto per le
nuove costruzioni (Corte Cost. nn. 73/1991 e
259/1997 cit.), è anche vero che la Regione
stessa non avrebbe titolo per precludere
alle Amministrazioni comunali –preposte
all’individuazione delle destinazioni,
compatibili con le singole aree omogenee,
nonché alla relativa disciplina–
l’acquisizione dei contributi per oneri di
urbanizzazione, nella misura per legge
dovuta (a norma, per quanto qui interessa,
dell’art. 4 della legge regionale
05.12.1977, n. 60).
Nella situazione in esame, pertanto,
legittimamente il Comune appellato ha
richiesto l’integrazione del contributo,
ovvero la differenza fra l’ammontare dovuto
per oneri di urbanizzazione, corrispondenti
all’uso ufficio, e la minor somma già in
precedenza corrisposta per l’uso abitativo:
quanto sopra, non quale nuova autorizzazione
a titolo oneroso, ma quale mera
commutazione, ammissibile ex lege,
della tipologia di riferimento
dell’autorizzazione originaria (cfr. anche
al riguardo, per il principio, art. 19,
comma 3, del D.Lgs. 06.06.2001, n. 378,
nonché –per un caso solo parzialmente
diverso– Cons. St., sez. IV, 14.04.2006, n.
2163).
Una diversa linea interpretativa potrebbe
comportare una generalizzata elusione
dell’ammontare del contributo di cui
trattasi da parte di costruttori ed altri
operatori economici, interessati a versare
il contributo stesso nella misura minore,
potendo poi usufruire di un gratuito
mutamento di destinazione d’uso, il cui
maggior carico infrastrutturale
determinerebbe un onere, gravante in via
esclusiva sulla finanza pubblica.
Non appare contrastante con la logica delle
conclusioni, in precedenza raggiunte, la
diversa regolamentazione dei mutamenti di
destinazione d’uso, che riguardino singole
unità immobiliari di superficie inferiore a
150 mq.: una liberalizzazione circoscritta a
queste ultime appare, infatti, giustificata
sia dall’indifferenza, sul piano
urbanistico, di nuovi insediamenti
direzionali di così modesta entità (in
corrispondenza, per lo più, a studi
professionali con limitato numero di
addetti), sia da una certa “intercambiabilità”
di destinazione, che è sembrato opportuno
riservare a dette articolazioni immobiliari
minori, più facilmente integrabili nel
territorio
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 25.08.2009 n. 5059 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La regola fondamentale in materia
di quantificazione degli oneri di
urbanizzazione è che la scelta
tecnico-discrezionale dell’Amministrazione
deve precedere, e non seguire, il rilascio
della concessione edilizia, in quanto gli
effetti e gli oneri derivanti dalla stessa
devono essere ben noti al richiedente, il
quale, tenuto conto dell’esborso economico
da affrontare, potrebbe anche rinunziare al
programma costruttivo ipotizzato.
Alla luce del consolidato e condiviso
orientamento giurisprudenziale, seguito
anche da questo TAR (per tutte e solo per
citare le più recenti CGA, sez. giur.,
14.01.2009, n. 7 e 02.03.2007, n. 64; TAR
Sicilia Palermo, I, 16.01.2007, n. 726,
21.08.2006, n. 1832, 02.01.2004, n. 1,
03.04.2002, n. 879), la regola fondamentale
in materia di quantificazione degli oneri di
urbanizzazione è che la scelta
tecnico-discrezionale dell’Amministrazione
deve precedere e non seguire il rilascio
della concessione edilizia, in quanto gli
effetti e gli oneri derivanti dalla stessa
devono essere ben noti al richiedente, il
quale, tenuto conto dell’esborso economico
da affrontare, potrebbe anche rinunziare al
programma costruttivo ipotizzato.
Ne deriva la illegittimità di richieste di
integrazione successive al rilascio della
concessione edilizia, che esporrebbero il
privato a conseguenze idonee ad incidere
pesantemente sulla sua sfera economica,
nella considerazione, fra l’altro, della
necessità di garantire la correttezza del
rapporto intercorrente tra la Pubblica
Amministrazione ed il privato, soprattutto
allorquando la tempestiva conoscenza degli
oneri discrezionalmente imposti possa
indirizzare in un senso, piuttosto che in un
altro, le scelte dell’operatore economico.
Nelle numerose sentenze, con le quali questa
Sezione si è pronunciata sulla delineata
questione (tra le tante, nn. 405/1993,
588/1995, 1358/1996, 2117/1997, 865/2002 e
1/2004), si è, in particolare, osservato che
il termine del 31 dicembre di ogni anno,
prescritto dall’art. 34 della l.r. n.
37/1985, nel testo vigente all’epoca dei
fatti di causa, per l’aggiornamento da parte
dei Comuni degli oneri di urbanizzazione,
non è perentorio, cosicché risultano
legittime le quantificazioni disposte con
atto successivo.
Tale aggiornamento può, però, avere effetto
sulle concessioni edilizie già rilasciate,
soltanto qualora nelle stesse fosse stata
espressamente inserita la clausola della
salvezza dell’eventuale conguaglio.
In assenza di tale previsione, una eventuale
riquantificazione degli oneri di
urbanizzazione può, pertanto, ammettersi,
solo nel caso di correzione di errori
riconoscibili, sulla base di parametri certi
e predefiniti.
Nella specie, il Comune resistente dopo
avere adeguato “ora per allora” gli
oneri di urbanizzazione, ha illegittimamente
preteso il pagamento di una integrazione
delle somme già quantificate e versate dalla
ricorrente per una concessione edilizia
rilasciata in precedenza senza la
previsione, seppur ipotetica, di successivi
conguagli.
Sulla base dei principi esposti, mentre non
risultano illegittimi in sé le deliberazioni
comunali di adeguamento retroattivo degli
oneri concessori, in quanto intervenute
sotto la vigenza dell’originaria versione
dell’art. 34 della l.r. n. 35/1985, è
illegittimo l’impugnato provvedimento di
richiesta del pagamento di un conguaglio
degli oneri concessori già quantificati e
versati (TAR
Sicilia-Palermo, Sez. I,
sentenza 11.08.2009 n. 1406 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il pagamento dei contributi
connessi al rilascio di una concessione
edilizia, da parte di un soggetto che ne
reclama il beneficio della gratuità, non
costituisce di per sé acquiescenza circa la
debenza delle relative somme.
Il pagamento dei contributi connessi al
rilascio di una concessione edilizia, da
parte di un soggetto che ne reclama il
beneficio della gratuità, non costituisce di
per sé acquiescenza circa la debenza delle
relative somme, anche nel caso in cui
l’interessato non abbia formulato al
riguardo alcuna riserva di ripetizione della
somma pretesa dal Comune a tale titolo,
dovendosi piuttosto considerare detto
pagamento quale espressione della
connaturale esigenza dell’attività
imprenditoriale edilizia di dare avvio,
senza indugi, alla realizzazione
dell’intervento progettato.
Dalle suddette considerazioni discende
correlativamente la possibilità, per tale
soggetto, di svolgere azione di accertamento
del proprio diritto alla restituzione dei
contributi urbanistici che ritiene di avere
corrisposto in tutto o in parte
indebitamente all’amministrazione comunale
concessionaria (v. ex multis TAR
Lazio -RM- Sez. II, 17/05/2005 n. 3844; TAR
Puglia –LE- Sez. I, 12/02/2002 n. 739)
(TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. II,
sentenza 31.07.2009 n. 1131 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Fattispecie
in materia di ristrutturazione -
Oneri (equiparazione agli
interventi nuova costruzione).
È legittima la delibera in cui vengono
equiparati gli oneri per gli interventi di
ristrutturazione mediante demolizione e
ricostruzione a quelli previsti per gli
interventi di nuova costruzione, in misura
doppia rispetto a quella prevista per gli
interventi di ristrutturazione.
L’entità degli oneri di urbanizzazione è
correlata alla variazione del carico
urbanistico, sicché è ben possibile che un
intervento di ristrutturazione mediante
demolizione e ricostruzione possa comportare
aggravi di carico urbanistico identici a
quelli derivanti da nuove costruzioni.
Un intervento di ristrutturazione globale di
un edificio, attuato mediante demolizione e
ricostruzione porta, invero, alla
realizzazione di un organismo edilizio
sostanzialmente nuovo: non appare quindi
illogico ritenere che un intervento così
radicale determini, di regola, un incremento
del carico urbanistico pari a quello legato
alla realizzazione di una nuova costruzione
(massima tratta da www.studiospallino.it -
TAR Lombardia-Milano,
sentenza 21.07.2009
n. 4455 - link a
www.giustizia-amministrativa.it).). |
EDILIZIA PRIVATA: L’amministrazione
comunale deve porre l’interessato in
condizione di ricostruire i passaggi logici
con i quali è pervenuta alla quantificazione
dell'importo del contributo di costruzione.
Per giurisprudenza costante, “le
controversie relative all'an ed al quantum
delle somme dovute a titolo di oblazione e
di oneri concessori, riservate dalla legge
alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo, riguardano diritti
soggettivi delle parti, rispetto alle quali
non è configurabile il vizio di difetto di
motivazione. Ciò nella considerazione che le
operazioni di corretta quantificazione
dell'oblazione e degli atti concessori si
esauriscono in una mera operazione materiale
che, se errata, può comportare soltanto la
violazione dei criteri fissati dalla
normativa ovvero dall'amministrazione con
norme di natura regolamentare e, quindi, la
sussistenza del solo vizio di violazione di
legge, potendo l'interessato, sulla base dei
predetti criteri generali, contestare
l'erroneità della quantificazione operata
dall'amministrazione, evidenziando ad
esempio l'erroneità dei calcoli ovvero dei
presupposti di fatto o di diritto”
(Cons. Stato, sez. V, 29.07.2000 n. 4217).
Per quanto non sussista un obbligo di
motivazione, l’amministrazione deve,
comunque, porre l’interessato in condizione
di ricostruire i passaggi logici con i quali
è pervenuta all'importo del contributo,
sulla base dei prefissati criteri generali
(TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 23.07.2009 n. 4455 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Oblazione e
oneri concessori - Controversie in tema di
corretta quantificazione - Attengono a
diritti soggettivi delle parti -
Configurabilità del vizio di difetto di
motivazione - Non sussiste - Configurabilità
del vizio di violazione di legge - Sussiste.
2. Ristrutturazione
- Frazionamento di un immobile - Dotazione
di servizi accessori ad uso abitativo e
spazi pertinenziali - Incremento del carico
urbanistico - Sussiste.
3. Ristrutturazione
globale di un immobile - Calcolo del
contributo per oneri di urbanizzazione e
costo di costruzione - Legittimità del
calcolo rapportato anche alla superficie
utile esistente e funzionalmente necessaria
alla creazione del nuovo complesso
immobiliare - Sussiste.
4. Ristrutturazione
mediante demolizione e ricostruzione - Oneri
di urbanizzazione - Irragionevolezza della
equiparazione delle tariffe con quelle
previste per le nuove costruzioni - Non
sussiste - Obbligo di particolare
motivazione - Non sussiste.
1. Le controversie relative all'an ed al
quantum delle somme dovute a titolo di
oblazione e di oneri concessori, riservate
dalla legge alla giurisdizione esclusiva del
giudice amministrativo, riguardano diritti
soggettivi delle parti, rispetto alle quali
non è configurabile il vizio di difetto di
motivazione. Ciò nella considerazione che le
operazioni di corretta quantificazione
dell'oblazione e degli atti concessori si
esauriscono in una mera operazione materiale
che, se errata, può comportare soltanto la
violazione dei criteri fissati dalla
normativa ovvero dall'amministrazione con
norme di natura regolamentare e, quindi, la
sussistenza del solo vizio di violazione di
legge, potendo l'interessato, sulla base dei
predetti criteri generali, contestare
l'erroneità della quantificazione operata
dall'amministrazione, evidenziando ad
esempio l'erroneità dei calcoli ovvero dei
presupposti di fatto o di diritto.
2. Laddove l'intervento progettato vada
ascritto alla ristrutturazione -compreso il
caso in cui si alteri anche solo sotto il
profilo della distribuzione interna
l'originaria consistenza fisica di un
immobile- occorre dotare gli appartamenti,
ricavati dal frazionamento mediante
strutture murarie, dei servizi accessori ad
uso abitativo e di spazi pertinenziali, con
il conseguente incremento del carico
urbanistico.
3. Ove si versi in un'ipotesi di
ristrutturazione globale dell'immobile è
legittima la pretesa del Comune di calcolare
il contributo per oneri di urbanizzazione e
costo di costruzione in relazione non solo
all'incremento di superficie utile ma,
altresì, alla superficie utile già esistente
ma funzionalmente necessaria alla creazione
di siffatto nuovo e diversamente articolato
complesso immobiliare.
4.
L'equiparazione delle tariffe degli oneri di
urbanizzazione dovuti per gli interventi di
ristrutturazione mediante demolizione e
ricostruzione a quelle previste per le nuove
costruzioni non è irragionevole, tanto è
vero che la giurisprudenza ha, persino,
ritenuto che il contributo per oneri di
urbanizzazione, in caso di ristrutturazione
del patrimonio edilizio, potrebbe essere
maggiore a quello dovuto per la
realizzazione di nuove costruzioni.
La previsione di una medesima tariffa per
gli interventi di nuova costruzione e quelli
di ristrutturazione mediante demolizione e
ricostruzione non necessita, quindi, di una
particolare motivazione (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 23.07.2009 n.
4455 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L’equiparazione
delle tariffe dovute per gli interventi di
ristrutturazione mediante demolizione e
ricostruzione a quelle previste per le nuove
costruzioni non è irragionevole, tanto è
vero che la giurisprudenza ha ritenuto che
il contributo per oneri di urbanizzazione,
in caso di ristrutturazione del patrimonio
edilizio, potrebbe essere maggiore a quello
dovuto per la realizzazione di nuove
costruzioni.
L'entità degli
oneri di urbanizzazione è correlata alla
variazione del carico urbanistico, sicché è
ben possibile che un intervento di
ristrutturazione mediante demolizione e
ricostruzione possa comportare aggravi di
carico urbanistico identici a quelli
derivanti da nuove costruzioni.
Un intervento di ristrutturazione globale di
un edificio, attuato mediante demolizione e
ricostruzione porta, invero, alla
realizzazione di un organismo edilizio
sostanzialmente nuovo: non appare quindi
illogico ritenere che un intervento così
radicale determini, di regola, un incremento
del carico urbanistico pari a quello legato
alla realizzazione di una nuova costruzione.
La ristrutturazione con demolizione e
ricostruzione, invero, ha, di regola, ad
oggetto immobili che versano in condizioni
tali da consentirne un utilizzo nullo o,
comunque, ridotto rispetto a quello che
verrà posto in essere in conseguenza
dell’intervento edilizio.
A ciò si aggiunga il rilievo che, di regola,
l’edificio che viene demolito per la sua
vetustà non ha comportato, proprio per
l’epoca in cui è stato realizzato, alcuna
contribuzione in termini di opere di
urbanizzazione, a fronte di un’innegabile
incidenza sul carico urbanistico.
L’equiparazione delle tariffe dovute per gli
interventi di ristrutturazione mediante
demolizione e ricostruzione a quelle
previste per le nuove costruzioni non è,
dunque, irragionevole, tanto è vero che la
giurisprudenza ha, persino, ritenuto che il
contributo per oneri di urbanizzazione, in
caso di ristrutturazione del patrimonio
edilizio, potrebbe essere maggiore a quello
dovuto per la realizzazione di nuove
costruzioni (Cons. Stato, sez. V,
27.09.1990, n. 692) che ha affermato la
legittimità di una deliberazione regionale
con la quale l'intervento di
ristrutturazione che comporti un aumento
delle abitazioni, sia assoggettato ad un
maggior pagamento a titolo di oneri di
urbanizzazione rispetto ad una nuova
edificazione, tenuto conto che il costo
delle opere di urbanizzazione può essere
maggiore nel primo caso).
La previsione di una medesima tariffa per
gli interventi di nuova costruzione e quelli
di ristrutturazione mediante demolizione e
ricostruzione non necessita, quindi, di una
particolare motivazione, essendo, comunque,
evincibili le ragioni sottese a tale scelta.
Rimane comunque fermo il principio secondo
cui il contributo di urbanizzazione trova
causa nell’obbligatoria partecipazione del
concessionario agli oneri che gravano
sull’amministrazione locale per
l’urbanizzazione dell’area interessata da un
nuovo intervento edilizio, sul presupposto
che alla realizzazione dell'opera assentita
conseguano nella zona maggiori carichi
urbanistici (Cons. Stato V, 27.12.1988 n.
852).
L’applicazione negli interventi di
ristrutturazione mediante demolizione e
ricostruzione della tariffa prevista dalla
delibera comunale n. 73/2007, fissata nella
stessa misura prevista per gli interventi di
nuova costruzione, è, pertanto, giustificata
unicamente laddove gli oneri di
urbanizzazione siano dovuti: se non è,
dunque, illogico ritenere che, di regola,
agli interventi di demolizione e
ricostruzione consegua un incremento del
peso insediativo, tuttavia, nell’ipotesi
–che non ricorre, però, nel caso di specie–
in cui non vi sia, invece, alcuna
alterazione degli elementi cui è correlato
il carico urbanistico, in mancanza del
presupposto giustificativo per l'imposizione
degli oneri di urbanizzazione,
l’amministrazione non potrà pretendere la
corresponsione di somme a tale titolo.
Attesa l’incidenza sul carico urbanistico
degli interventi di ristrutturazione
mediante demolizione e ricostruzione,
maggiore rispetto a quella degli interventi
di semplice ristrutturazione, la previsione
di oneri di urbanizzazione in misura doppia
nel primo caso, rispetto al secondo, non è
affatto illogica (sempre che, in concreto,
una tale incidenza di realizzi).
La circostanza che la demolizione e
ricostruzione sia ricompresa nella
definizione di ristrutturazione edilizia dal
d.P.R. n. 327/2001 non preclude, poi,
all’amministrazione di differenziare i due
interventi ai fini della determinazione
degli oneri di urbanizzazione, in
considerazione della loro differente
incidenza sul carico urbanistico
(differenziazione ripresa, d’altro canto,
dall’art. 44, l. Regione Lombardia n.
12/2005).
Né il fatto che gli oneri di urbanizzazione
siano stati assolti in passato, con
riferimento ad un differente immobile, fa
venir meno l’obbligo di concorrere agli
oneri sociali legati all'incremento del
carico urbanistico dovuto al nuovo
intervento edilizio di ristrutturazione del
fabbricato preesistente (TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 23.07.2009 n. 4455 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Comune di Nurachi -
Esenzione dal pagamento del contributo per
permesso di costruzione
(Corte
dei Conti, Sez. regionale di controllo
Sardegna,
parere
22.06.2009 n. 19
- link a www.corteconti.it).
Il Comune intende assumere l’esonero dal
pagamento del contributo per permesso di
costruzione come incentivo per i privati
proprietari, affinché provvedano ad
interventi di manutenzione ordinaria e
straordinaria, recupero, restauro,
risanamento e ristrutturazione dei propri
immobili ubicati nel centro storico, questa
Sezione deve formulare alcune osservazioni.
A termini della normativa statale, tutti gli
interventi di trasformazione urbanistica ed
edilizia del territorio sono subordinati al
permesso di costruire e il rilascio del
relativo provvedimento da parte
dell’amministrazione comunale comporta la
corresponsione di un contributo (contributo
per il rilascio del permesso di costruire)
commisurato all’incidenza degli oneri di
urbanizzazione, nonché al costo di
costruzione (D.P.R. 06.06.2001 n. 380, testo
unico delle disposizione legislative e
regolamenti in materia edilizia, nel quale
sono confluite tra le altre le disposizioni
per la edificabilità dei suoli di cui alla
legge 28.01.1977 n. 10 ).
Alle Regioni si demanda l’individuazione
degli interventi che in relazione
all’incidenza sul territorio e sul carico
urbanistico siano da sottoporre al
preventivo rilascio del permesso di
costruire o alla denuncia di inizio di
attività. Si prevede, inoltre, che sia il
Comune a determinare l’incidenza degli oneri
sulla base di tabelle parametriche
predefinite dalla Regione per classi di
comuni (v. art. 10 e 16 cit. T.U
sull’edilizia).
Le ipotesi di riduzione o esonero dal
contributo di costruzione, costituendo
eccezione alla regola generale
dell’onerosità della concessione edilizia,
sono individuate tassativamente dal
Legislatore (v. art. 17 cit. T.U. sull’
edilizia; v. in tal senso costante
giurisprudenza tra cui C.d.S. sez. v n.
617/2003 e n. 596/2004 ; Tar Veneto sez. II
n. 604/2008).
Nell’esercizio della sua competenza
primaria in materia di edilizia e
urbanistica (legge costituzionale 26.02.1948
n. 3, art.3) la Regione Sardegna ha recepito
il principio generale dell’onerosità della
concessione edilizia facendo salvi i casi
espressamente previsti (v. art. 3 legge reg.
11.10.1985 n. 23). Il Legislatore regionale,
inoltre, assumendo specifiche disposizioni
di “tutela e valorizzazione dei centri
storici della Sardegna” (legge reg.
13.10.1998 n. 29) ha disposto lo
stanziamento di specifiche risorse
finanziarie da destinare a misure
incentivanti e agevolative, consistenti
principalmente in contributi finanziari da
erogarsi per la realizzazione degli
interventi di risanamento.
In proposito, va puntualizzato che
all’adozione di interventi agevolativi, fino
all’esonero totale, come nel caso di specie,
dal pagamento degli oneri concessori di cui
si tratta (permesso di costruzione), può
procedersi solo in forza di espresse
previsioni che ne disciplinano il regime,
trattandosi di obbligazioni non disponibili
da parte del Comune, se non nei limiti
assentiti dalla fonte normativa primaria. |
EDILIZIA PRIVATA:
Oblazione art. 36 T.U. Edilizia –
Contributo di costruzione.
Viene chiesto se l’oblazione di cui all’art.
36 T.U. edilizia (di importo pari al doppio
del contributo di costruzione) già
ricomprenda –oppure no– il contributo di
costruzione predetto (Regione Piemonte,
parere n.
61/2009 - link a
www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Ai
fini della corresponsione o meno degli oneri
d'urbanizzazione in caso di intervento su un
fabbricato già autorizzato, l'unico
legittimo presupposto imponibile è
costituito dalla sussistenza o meno
dell'eventuale maggiore carico urbanistico,
con conseguente illegittimità della
richiesta del pagamento di tali maggiori
oneri se non si verifica la variazione del
carico urbanistico.
Il Collegio non ha motivi per discostarsi
dall’orientamento di questo Consiglio
secondo cui ai fini della corresponsione o
meno degli oneri d'urbanizzazione in caso di
intervento su un fabbricato già autorizzato,
l'unico legittimo presupposto imponibile è
costituito dalla sussistenza o meno
dell'eventuale maggiore carico urbanistico,
con conseguente illegittimità della
richiesta del pagamento di tali maggiori
oneri se non si verifica la variazione del
carico urbanistico (Cons. Stato, Sez. IV
29.04.2004 n. 2611; Sez. V 15.09.1997, n.
959, 21.01.1992, n. 61 e 27.01.1990 n. 693).
Peraltro, a tali fini, non si deve tenere
conto esclusivamente di una ristrutturazione
generale e globale di un edificio, con
necessari interventi esterni e interni, ma
anche di ristrutturazioni che comunque
trasformino la realtà strutturale e la
fruibilità urbanistica dell'immobile, con
conseguente necessità della sottoposizione
della relativa concessione al pagamento dei
contributi, riferiti alla avvenuta oggettiva
rivalutazione dell'immobile, e funzionali a
sopportare il carico socio-economico che la
realizzazione comporta sotto il profilo
urbanistico (V. la decisione della Sezione
03.03.2003, n. 1180).
------------------
Nella specie si prevede la demolizione di
tre preesistenti fabbricati, composti da un
edificio residenziale a tre piani di vecchia
costruzione ed in pessimo stato di
manutenzione e due piccoli bassi fabbricati
fatiscenti adibiti ad autorimessa e a
deposito attrezzi giardino (secondo quanto
risulta dalla relazione tecnico-descrittiva
del progetto, versata in atti).
Sono stati progettati due nuovi edifici a
destinazione residenziale (di cui uno a tre
piani e l’altro a 4 piani sul piano pilotis
per un totale di 11 alloggi) con diversa
collocazione sul lotto rispetto a quanto
demolito e realizzazione di un’autorimessa
interrata, con incremento della cubatura
complessiva.
E’ ammesso anche dal ricorrente che si è
verificato un aumento del carico
urbanistico, ma la questione da risolvere
consiste nello stabilire se gli oneri di
urbanizzazione debbano essere corrisposti in
relazione all’intero intervento edilizio
assentito (come ritenuto dal Comune con
l’avallo del TAR) o limitatamente
all’ampliamento di cubatura rispetto a
quella a suo tempo realizzata con la
preesistente edificazione con la medesima
destinazione residenziale e che ora è
demolita (secondo la tesi del ricorrente).
Il Collegio ritiene condivisibile nella
fattispecie il criterio seguito
dall’Amministrazione di assoggettare a
contribuzione l’intero intervento edilizio
assentito, atteso che esso si configura come
edificazione del tutto nuova in quanto le
due costruzioni assentite non avevano alcun
riferimento con i tre fabbricati demoliti
essendo diversamente ubicate, strutturate su
un maggior numero di piani ed adibite ad uso
esclusivamente residenziale.
E’ inoltre da considerare che i precedenti
fabbricati possedevano un carico urbanistico
del tutto irrilevante in quanto il
fabbricato ad uso residenziale era “vecchio
ed in pessimo stato di manutenzione” e i due
piccoli bassi adibiti ad autorimessa e
deposito attrezzi giardino erano
“fatiscenti”
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 16.06.2009 n. 3847 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Attività industriale - Onere
ecologico - Oneri di urbanizzazione -
Differenza - Parametrazione all’incidenza
della specifica attività industriale -
Attività industriali di prima classe -
Applicazione generalizzata della quota di
contributo in misura massima -
Illegittimità.
La quota di contributo aggiuntivo (cd. onere
ecologico) trova la sua ratio nella
necessità di attribuire il dovuto rilievo
alle esternalità negative prodotte
nell’ambito dell’attività industriale,
secondo criteri predeterminati ed
effettivamente parametrati alla diversa
incidenza connessa alla tipologia di
attività svolta.
Ciò che rileva con riferimento al contributo
in esame, infatti, a differenza degli oneri
connessi al carico urbanistico, è
l’incidenza dell’attività industriale svolta
sul contesto nel quale va ad impattare, lì
dove, invece, gli oneri concessori sono da
riconnettere al maggior carico urbanistico
determinato dall’intervento edilizio.
Ne deriva l’illegittimità dell’applicazione
generalizzata della quota di contributo in
misura massima per le attività industriali
ricomprese nella prima classe, senza tener
conto della distinzione degli impianti
destinati a lavorazioni “altamente
sensibili” rispetto a quelli che non
implicano un elevato rischio di incidente
rilevante (TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 10.06.2009 n. 1709 - link a
www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La costruzione di una cappella
cimiteriale non è esente dal pagamento degli
oneri di urbanizzazione.
L'eventuale esenzione necessita della
concomitanza di due requisiti: per effetto
del primo la costruzione deve riguardare
opere pubbliche o di interesse generale; per
effetto del secondo le opere debbono essere
eseguite da un ente istituzionalmente
competente.
L’esenzione dal pagamento degli oneri di
urbanizzazione richiede l’esistenza di due
presupposti che debbono entrambi concorrere,
l’uno di carattere oggettivo e l’altro di
carattere soggettivo.
Per effetto del primo la costruzione deve
riguardare opere pubbliche o di interesse
generale; per effetto del secondo le opere
debbono essere eseguite da un ente
istituzionalmente competente. La ratio
di tale norma è, infatti, quella di
agevolare l’esecuzione di opere destinate al
soddisfacimento di interessi pubblici
(Consiglio di Stato, Sezione V, 11.01.2006,
n. 51).
La Cappella realizzata dall’interessata non
può rientrare tra le previsioni di cui alla
detta lettera f) tanto dal punto di vista
soggettivo quanto da quello oggettivo.
La Cappella, se fosse stata costruita
direttamente dal Comune, sarebbe certamente
rientrata tra le opere pubbliche realizzate
da ente istituzionalmente competente per il
soddisfacimento dell’interesse dell’intera
collettività.
Alla stessa conclusione si sarebbe pervenuti
se il Comune avesse istituito apposito ente
per assicurare a tutti i cittadini la
possibilità di essere seppelliti e se questo
avesse realizzato l’opera.
In conclusione l’opera, se destinata al
soddisfacimento del bisogno di tutta la
collettività, indistintamente considerata,
realizzata direttamente dalla pubblica
amministrazione o da un organismo all’uopo
creato, ha i requisiti per beneficiare
dell’esenzione. Ciò nella considerazione
che, se così non fosse, si assisterebbe ad
un notevole appesantimento dell’operato
dell’amministrazione che attraverso una
partita di giro finirebbe col recuperare
apparentemente la quota di spese sostenute
per l’urbanizzazione della zona interessata
dall’edificazione. E chiaramente non avrebbe
senso che un settore dell’amministrazione
che realizza un’opera pubblica in una zona
urbanizzata da altro suo settore rimborsi a
quest’ultimo la quota parte delle spese
sostenute per la ripetuta urbanizzazione.
Altro discorso va fatto quando un soggetto
diverso da quello che la lettera f)
definisce istituzionalmente competente
realizzi un’opera destinata ad essere
utilizzata solo ed esclusivamente dai suoi
associati. Detto soggetto, costituito per
realizzare l’interesse di una categoria ben
definita di persone persegue un interesse
apprezzabile non generale ma particolare, e
può agire o meno per finalità di lucro. Tale
ultima finalità non rileva assolutamente,
essendo preponderante la prima, consistente
nel perseguimento dell’interesse di un
gruppo di persone definibili sulla scorta
delle previsioni del suo statuto.
Il perseguimento di un interesse particolare
comporta che la Confraternita, che voglia
realizzare un immobile nell’interesse degli
associati utilizzando un’area cimiteriale,
debba corrispondere un contributo
commisurato all’incidenza delle spese di
urbanizzazione sostenute dalla collettività.
Sarebbe ingiustificato, infatti, che il
gruppo di soggetti rappresentati dalla
Confraternita utilizzassero gratuitamente le
opere di urbanizzazione realizzate dalla
collettività, non essendo condivisibile la
deduzione della ricorrente secondo la quale
nulla sarebbe dovuto in presenza di aree già
urbanizzate.
Non esiste nemmeno il presupposto oggettivo
considerato che l’opera eseguita
dall’interessata non è qualificabile in
alcun modo tra le opere di urbanizzazione
che l’ultima parte di detta lettera f)
individua tra quelle che i privati eseguono
in attuazione di strumenti urbanistici
(strade previste da un piano di
lottizzazione ad esempio) (CGARS,
sentenza 10.06.2009 n. 534 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Quesiti sulla gratuità ovvero onerosità
degli interventi edilizi.
Lombardia, l'interpretazione autentica della l.r. n.
12/2005 circa il versamento degli oneri di urbanizzazione e
costo di costruzione in relazione ad alcune fattispecie
edilizie (Regione Lombardia, Direzione Generale
Territorio e Urbanistica,
nota 09.06.2009 n. 11538 di prot.). |
EDILIZIA PRIVATA:
La regola fondamentale in materia
di quantificazione degli oneri di
urbanizzazione è che la scelta tecnico
discrezionale dell’Amministrazione deve
precedere e non seguire il rilascio della
concessione edilizia, in quanto gli effetti
e gli oneri derivanti dalla stessa devono
essere ben noti al richiedente, il quale,
tenuto conto dell’esborso economico da
affrontare, potrebbe anche rinunziare al
programma costruttivo ipotizzato.
Alla luce del consolidato e condiviso
orientamento giurisprudenziale, seguito
anche da questo TAR (per tutte e solo per
citare le più recenti CGA, sez. giur.,
14.01.2009, n. 7 e 02.03.2007, n. 64; TAR
Sicilia Palermo, I, 16.01.2007, n. 726,
21.08.2006, n. 1832, 02.01.2004, n. 1,
03.04.2002, n. 879), la regola fondamentale
in materia di quantificazione degli oneri di
urbanizzazione è che la scelta tecnico
discrezionale dell’Amministrazione deve
precedere e non seguire il rilascio della
concessione edilizia, in quanto gli effetti
e gli oneri derivanti dalla stessa devono
essere ben noti al richiedente, il quale,
tenuto conto dell’esborso economico da
affrontare, potrebbe anche rinunziare al
programma costruttivo ipotizzato.
Ne deriva la illegittimità di richieste di
integrazione successive al rilascio della
concessione edilizia, che esporrebbero il
privato a conseguenze idonee ad incidere
pesantemente sulla sua sfera economica,
nella considerazione, fra l’altro, della
necessità di garantire la correttezza del
rapporto intercorrente tra la Pubblica
Amministrazione ed il privato, soprattutto
allorquando la tempestiva conoscenza degli
oneri discrezionalmente imposti possa
indirizzare in un senso, piuttosto che in un
altro, le scelte dell’operatore economico.
Nelle numerose sentenze, con le quali questa
Sezione si è pronunciata sulla delineata
questione (tra le tante, nn. 405/1993,
588/1995, 1358/1996, 2117/1997, 865/2002 e
1/2004), si è, in particolare, osservato che
il termine del 31 dicembre di ogni anno,
prescritto dall’art. 34 della l.r. n.
37/1985, nel testo vigente all’epoca dei
fatti di causa, per l’aggiornamento da parte
dei Comuni degli oneri di urbanizzazione,
non è perentorio, cosicché risultano
legittime le quantificazioni disposte con
atto successivo.
Tale aggiornamento può, però, avere effetto
sulle concessioni edilizie già rilasciate,
soltanto qualora nelle stesse fosse stata
espressamente inserita la clausola della
salvezza dell’eventuale conguaglio.
In assenza di tale previsione, una eventuale
riquantificazione degli oneri di
urbanizzazione può, pertanto, ammettersi,
solo nel caso di correzione di errori
riconoscibili, sulla base di parametri certi
e predefiniti (TAR Sicilia-Palermo, Sez. I,
sentenza 04.06.2009 n. 992 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
OGGETTO: Applicazione del contributo di costruzione di
cui all’art. 16 del D.P.R. n. 380/2001.
Il Comune chiede un parere sulla corretta applicazione del
contributo di costruzione di cui all’art. 16 del D.P.R.
06.06.2001, n. 380, relativamente ad un caso specifico che
illustra sommariamente nel quesito e sul quale questo
Servizio non può comunque pronunciarsi, non avendone
conoscenza e non essendogli ciò consentito dalla D.G.R. n.
769 del 27.06.2006 (in BUR n. 70 del 07.07.2006), che è
l’atto in base al quale i Servizi della Giunta regionale
esercitano l’attività di consulenza giuridica a favore degli
Enti locali delle Marche (Regione Marche,
parere 03.06.2009 n. 116/2009). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il privato che costruisce non ha
titolo a pretendere dal Comune il rimborso
delle spese effettivamente sostenute per
ovviare ad eventuali carenze delle opere di
urbanizzazione, se non quando ciò sia stato
concordato col Comune, a titolo di
“scomputo” o sotto altra forma, in sede di
rilascio della concessione edilizia.
Nulla esclude che il concessionario si
obblighi (o resti obbligato) in termini più
onerosi rispetto a quelli astrattamente
previsti dalla legge.
In base alla giurisprudenza in materia, il
contributo concessorio, commisurato agli
oneri di urbanizzazione, ha carattere
generale, in quanto prescinde totalmente
dall’esistenza o meno delle singole opere di
urbanizzazione; ed ha natura di prestazione
patrimoniale imposta, in quanto è
determinato senza tener conto dell’utilità
che riceve il beneficiario del provvedimento
di concessione, né delle spese
effettivamente necessarie per l’esecuzione
delle opere di urbanizzazione relative alla
concessione assentita (Cons. Stato V,
21.04.2006 n. 2258).
Si tratta infatti di un contributo
paratributario, ossia di un corrispettivo di
diritto pubblico dovuto dal beneficiario
della concessione edilizia, a titolo di
partecipazione -in proporzione all’insieme
dei benefici che la nuova costruzione ne
ritrae- ai costi delle opere di
urbanizzazione sostenuti dal Comune per
realizzare il generale assetto urbanistico
del territorio comunale (Cons. Stato n.
2258/2006 cit.; Cons. Stato 2^, 21.11.07 n.
11073 e 10060/2004).
Ne deriva, per un verso, che il contributo è
dovuto nella misura determinata ex lege
a prescindere dalla completezza dello stato
di urbanizzazione e dalla effettiva
disponibilità dei (di tutti i) servizi,
primari e secondari, nella zona in cui deve
essere realizzata la nuova costruzione; per
altro verso, che, laddove vi sia carenza o
insufficienza di urbanizzazione, le opere
necessarie ben possono essere poste o
rimanere a carico del privato, salva la
possibilità di uno “scomputo” con le
modalità ed alle condizioni previste dalla
legge.
In altri termini, il privato che costruisce
non ha titolo a pretendere dal Comune il
rimborso delle spese effettivamente
sostenute per ovviare ad eventuali carenze
delle opere di urbanizzazione, se non quando
ciò sia stato concordato col Comune, a
titolo di “scomputo” o sotto altra
forma, in sede di rilascio della concessione
edilizia.
La legge non conferisce il diritto a
rimborsi “a piè di lista” quando
l’interessato provveda direttamente ad
allacciare la propria costruzione alle reti
dei servizi.
L’art. 16 del d.p.r. 06.06.2001 n. 380
(testo unico in materia edilizia) prevede
che il titolare del permesso di costruire, a
scomputo totale o parziale della quota di
contributo relativa agli oneri di
urbanizzazione, “possa obbligarsi” a
realizzare direttamente le opere di
urbanizzazione, “con le modalità e le
garanzie stabilite dal comune” e “con
conseguente acquisizione delle opere
realizzate al patrimonio indisponibile del
comune”.
La legge regionale lombarda 11.03.2005 n. 12
(legge per il governo del territorio)
prevede all’art. 46 che a scomputo totale o
parziale del contributo gli interessati “possono
essere autorizzati” a realizzare
direttamente una o più opere di
urbanizzazione primaria o secondaria.
Ciò postula un ambito di valutazioni
discrezionali di competenza del Comune, cui
spetta verificare se l’opera di
urbanizzazione sia effettivamente necessaria
nell’interesse della collettività, ovvero se
debba essere eseguita nel solo interesse
dell’operatore privato per rendere
tecnicamente fattibile l'intervento (con la
conseguenza che solo nel primo caso, e non
anche nel secondo, si tratterà di un'opera
ammissibile a scomputo degli oneri di
urbanizzazione: cfr. Cons. Stato IV,
21.04.2008 n. 1811, 28.07.2005 n. 4014).
D’altro canto, vertendosi in materia di
diritti disponibili, nulla esclude che il
rapporto tra Comune e beneficiario della
concessione edilizia (ora permesso di
costruire) sia regolato in termini diversi,
e che il concessionario si obblighi (o resti
obbligato) in termini più onerosi rispetto a
quelli astrattamente previsti dalla legge
(Cons. Stato V, 29.09.1999 n. 1209)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 12.05.2009 n. 3717 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Concessione - Contributo -
Determinazione - Ha natura di prestazione
patrimoniale imposta prescindendo totalmente
dall'esistenza o meno delle singole opere di
urbanizzazione - Ha natura di contributo
paratributario Ratio.
Il contributo concessorio, commisurato agli
oneri di urbanizzazione, ha carattere
generale, in quanto prescinde totalmente
dall'esistenza o meno delle singole opere di
urbanizzazione; ed ha natura di prestazione
patrimoniale imposta, in quanto è
determinato senza tener conto dell'utilità
che riceve il beneficiario del provvedimento
di concessione, né delle spese
effettivamente necessarie per l'esecuzione
delle opere di urbanizzazione relative alla
concessione assentita (4).
Si tratta infatti di un contributo
paratributario, ossia di un corrispettivo di
diritto pubblico dovuto dal beneficiario
della concessione edilizia, a titolo di
partecipazione -in proporzione all'insieme
dei benefici che la nuova costruzione ne
ritrae- ai costi delle opere di
urbanizzazione sostenuti dal Comune per
realizzare il generale assetto urbanistico
del territorio comunale (5).
Ne deriva, per un verso, che il contributo è
dovuto nella misura determinata ex lege
a prescindere dalla completezza dello stato
di urbanizzazione e dalla effettiva
disponibilità dei (di tutti i) servizi,
primari e secondari, nella zona in cui deve
essere realizzata la nuova costruzione; per
altro verso, che, laddove vi sia carenza o
insufficienza di urbanizzazione, le opere
necessarie ben possono essere poste o
rimanere a carico del privato, salva la
possibilità di uno "scomputo" con le
modalità ed alle condizioni previste dalla
legge.
In altri termini, il privato che costruisce
non ha titolo a pretendere dal Comune il
rimborso delle spese effettivamente
sostenute per ovviare ad eventuali carenze
delle opere di urbanizzazione, se non quando
ciò sia stato concordato col Comune, a
titolo di "scomputo" o sotto altra
forma, in sede di rilascio della concessione
edilizia (TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 12.05.2009 n. 3717 - link a http://mondolegale.it).
------------------
(4) Cons. Stato, sez. V, 21-04-2006 n.
2258.
(5) Cons. Stato, sez. II, 21-11-2007 n.
11073; Cons. Stato, sez. II, n. 10060/2004. |
EDILIZIA PRIVATA:
Contributo concessorio commisurato agli oneri di
urbanizzazione - Natura di contributo
paratributario, ossia di corrispettivo di
diritto pubblico commisurato al beneficio
che tra il privato dal titolo abilitativo
edilizio - Sussiste.
Il contributo concessorio
commisurato agli oneri di urbanizzazione ha
natura di contributo paratributario, ossia
di corrispettivo di diritto pubblico dovuto
dal beneficiario della concessione edilizia,
a titolo di partecipazione -in proporzione
all'insieme dei benefici che la nuova
costruzione ne ritrae- ai costi delle opere
di urbanizzazione sostenuti dal Comune per
realizzare il generale assetto urbanistico
del territorio comunale (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 12.05.2009 n.
3717 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Concessione
- Contributo - Pagamento - Fallimento della
richiedente - "Onere ecologico" - Natura -
Va fatto valere quale credito del fallimento
e non già dell'intera massa fallimentare -
Fattispecie.
L'"onere ecologico" pur avendo natura
di prestazione patrimoniale imposta,
analogamente rispetto agli oneri di
urbanizzazione, va fatto valere quale
credito del fallimento e non già dell'intera
massa fallimentare e ciò nel rispetto
generale del principio di "par condicio
creditorum".
Nel caso di specie la ricorrente ha
impugnato il provvedimento del Settore
Interventi Urbanistici Sportello Unico
Edilizia e imprese con il quale è stato
ingiunto al Fallimento -della ricorrente- il
pagamento del contributo pari all'incidenza
delle opere necessarie al trattamento e allo
smaltimento dei rifiuti solidi, liquidi e
gassosi e di quelle necessarie alla
sistemazione dei luoghi ove ne siano
alterate le caratteristiche. Che questa sia
l'interpretazione corretta si evince anche
dal fatto che l'art. 2752, Cod. Civ., nel
prevedere il privilegio dei crediti dello
Stato e subordinatamente degli Enti locali (III
comma) sui beni mobili del debitore, ha
altresì specificato che deve trattarsi di
imposte, tasse e tributi dei Comuni previsti
dalla legge per la finanza locale e dalle
norme relative all'imposta comunale sulla
pubblicità e sulle pubbliche affissioni.
La Corte di Cassazione ha interpretato
restrittivamente tale disposizione,
ritenendo che ove fosse consentito ampliare
il novero del privilegio dei crediti per le
imposte, tasse e tributi di Comuni e
Province si dovrebbe altrimenti ritenere
inutile la precisazione, contenuta nella
stessa disposizione, che accorda il detto
privilegio anche ai crediti previsti "dalle
norme relative all'imposta comunale sulla
pubblicità e ai diritti sulle pubbliche
affissioni", specificazione non
necessaria ove il riferimento alla legge per
la finanza locale avesse dovuto intendersi
relativo a qualsiasi legge istitutiva
d'imposta, tassa e tributo dei comuni e
delle province (1).
Ed ancora: "la circostanza che il
legislatore, nell'art. 2752 co. 3, Cod.
Civ., (che elenca le tasse e i tributi
locati aventi valore di crediti
privilegiati), abbia fatto riferimento ad
una specifica imposta comunale (imposta
comunale sulla pubblicità e ai diritti sulle
pubbliche affissioni) esclude che il
richiamo alla legge per la Finanza locale
possa di per sé valere ad estendere il
privilegio ad imposte, tasse o tributi dei
Comuni e delle Province diverse da quella
ivi specificata" (Cassazione Civile
citata)
(TAR Emilia Romagna-Parma,
sentenza 11.05.2009 n. 186 - link a http://mondolegale.it).
-------------
(1) Cass. Civ., sez. V, 29-03-2006 n.
7309. |
EDILIZIA PRIVATA: Quesito
3 -
In merito ai criteri da osservare per la
riqualificazione degli oneri di
urbanizzazione in seguito ad una variante
essenziale (Geometra
Orobico n. 2/2009). |
EDILIZIA PRIVATA:
Oneri di urbanizzazione.
La regola fondamentale in materia di
quantificazione degli oneri di
urbanizzazione è che la scelta tecnico
discrezionale dell’Amministrazione deve
precedere e non seguire il rilascio della
concessione edilizia, in quanto gli effetti
e gli oneri derivanti dalla stessa devono
essere ben noti al richiedente, il quale,
tenuto conto dell’esborso economico da
affrontare, potrebbe anche rinunziare al
programma costruttivo ipotizzato.
Ne deriva la illegittimità di richieste di
integrazione successive al rilascio della
concessione edilizia, che esporrebbero il
privato a conseguenze idonee ad incidere
pesantemente sulla sua sfera economica,
nella considerazione, fra l’altro, della
necessità di garantire la correttezza del
rapporto intercorrente tra la Pubblica
Amministrazione ed il privato, soprattutto
allorquando la tempestiva conoscenza degli
oneri discrezionalmente imposti possa
indirizzare in un senso, piuttosto che in un
altro, le scelte dell’operatore economico
(TAR Sicilia-Palermo, Sez. I,
sentenza 29.04.2009 n. 774 - link
a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Oneri di urbanizzazione -
Quantificazione - Richieste di integrazione
successive al rilascio della concessione
edilizia - Illegittimità.
La regola fondamentale in materia di
quantificazione degli oneri di
urbanizzazione è che la scelta tecnico
discrezionale dell’Amministrazione deve
precedere e non seguire il rilascio della
concessione edilizia, in quanto gli effetti
e gli oneri derivanti dalla stessa devono
essere ben noti al richiedente, il quale,
tenuto conto dell’esborso economico da
affrontare, potrebbe anche rinunziare al
programma costruttivo ipotizzato.
Ne deriva la illegittimità di richieste di
integrazione successive al rilascio della
concessione edilizia, che esporrebbero il
privato a conseguenze idonee ad incidere
pesantemente sulla sua sfera economica,
nella considerazione, fra l’altro, della
necessità di garantire la correttezza del
rapporto intercorrente tra la Pubblica
Amministrazione ed il privato, soprattutto
allorquando la tempestiva conoscenza degli
oneri discrezionalmente imposti possa
indirizzare in un senso, piuttosto che in un
altro, le scelte dell’operatore economico
(TAR Sicilia-Palermo, Sez. I,
sentenza 29.04.2009 n. 774 - link
a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il contributo per oneri di urbanizzazione è
un corrispettivo di diritto pubblico, di
natura non tributaria, messo a carico del
concessionario a titolo di partecipazione ai
costi delle opere di urbanizzazione e in
proporzione all'insieme dei benefici che ne
ricava la nuova costruzione.
La sua disciplina è dettata dalla legge e il
giudice non può configurare ipotesi di
esenzione diverse da quelle di legge.
E’ ben vero che, secondo la maggioritaria
giurisprudenza amministrativa, dalla quale
il Collegio non ha ragione di discostarsi,
il contributo per oneri di urbanizzazione è
un corrispettivo di diritto pubblico, di
natura non tributaria, posto a carico del
concessionario a titolo di partecipazione ai
costi delle opere di urbanizzazione e in
proporzione all'insieme dei benefici che la
nuova costruzione ne ritrae (tra le molte,
per tutte, Cons. St., sez. V, 23.05.1997, n.
529).
Siffatta peculiare forma di “corrispettività”
trova d’altronde indiretta conferma nelle
tassative previsioni (come l’abrogato art.
11 della L. n. 10/1977 e il vigente art. 17,
comma 3, lett. c), del D.P.R. n. 380/2001)
che contemplano ipotesi di scomputabilità
totale o parziale del suddetto contributo (Consiglio
di Stato, Sez. V,
sentenza 20.04.2009 n. 2359
-
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Trasformazione
urbanistico-edilizia. Variazione al P.R.G..
Viene posto il problema
dell’assoggettabilità (o meno) al contributo
di costruzione di un intervento di
ristrutturazione urbanistica a fini
residenziali di un immobile (di
considerevole entità) utilizzato per
collegio/convitto fino alla fine degli anni
ottanta, da parte di una Congregazione
religiosa, successivamente inutilizzato (Regione
Piemonte,
parere 37/2009 - link a www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
costo di costruzione per i nuovi edifici non
corrisponde alla spesa effettiva ma è
definito dalla Regione con riferimento ai
costi massimi ammissibili per l'edilizia
agevolata ed è adeguato autonomamente dai
comuni sulla base della variazione accertata
dall'ISTAT.
In tale contesto il concetto di “costo
documentato di costruzione” previsto dal
successivo comma 4 per gli interventi con
destinazione commerciale e
turistico-alberghiero-ricettiva non è
rappresentato dal costo che i privati
ritengono di dover sostenere per effetto dei
propri rapporti con gli appaltatori o con i
fornitori ma costituisce un costo standard,
omogeneo sul territorio comunale, e definito
secondo criteri certi.
Il prezziario della Camera di Commercio è
utile a questo scopo, come le altre banche
dati provenienti da organismi affidabili.
In base
all’art. 48, commi 1 e 2, della LR 12/2005
il costo di costruzione per i nuovi edifici
non corrisponde alla spesa effettiva ma è
definito dalla Regione con riferimento ai
costi massimi ammissibili per l'edilizia
agevolata ed è adeguato autonomamente dai
comuni sulla base della variazione accertata
dall'ISTAT.
In tale contesto il concetto di “costo
documentato di costruzione” previsto dal
successivo comma 4 per gli interventi con
destinazione commerciale e
turistico-alberghiero-ricettiva non è
rappresentato dal costo che i privati
ritengono di dover sostenere per effetto dei
propri rapporti con gli appaltatori o con i
fornitori ma costituisce un costo
standard, omogeneo sul territorio
comunale, e definito secondo criteri certi.
Il prezziario della Camera di Commercio è
utile a questo scopo, come le altre banche
dati provenienti da organismi affidabili.
Di “costo reale degli interventi” si
parla solo nel comma 6 a proposito degli
interventi di ristrutturazione edilizia non
comportanti demolizione e ricostruzione, ma
anche in questo caso non può essere esclusa
la possibilità di una direttiva regionale o
comunale di omogeneizzazione delle voci di
costo (TAR
Lombardia-Brescia,
sentenza 15.04.2009 n. 859 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Contributo concessorio -
Artificioso frazionamento delle opere a fini
elusori - Illegittimità.
E’ inammissibile l’artificioso frazionamento
delle opere edili al fine di eludere la
disciplina del contributo concessorio (TAR
Marche, Sez. I,
sentenza 15.04.2009 n. 224 - link
a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
E' legittimo l'operato del comune
che, in presenza di una diversità di
destinazione d'uso dell'immobile, determina
la liquidazione dei contributi urbanistici
in base ai parametri previsti per la
categoria di destinazione prevalente.
Risulta che l’unità immobiliare, prima
destinata a negozio (attività commerciale),
è stata frazionata e trasformata
internamente (con opere) al fine di adibirla
in parte ad uffici ed in parte ad
ambulatorio veterinario.
Ciò posto l’intervento di cui si tratta si
configura come modifica della destinazione
d’uso con opere.
In tal caso l'esistenza di un’attività
edilizia finalizzata alla modificazione
dell’edificio comporta uno iatus con
la precedente situazione consentendo
l'imposizione di contributi ( si veda C. St.
V 1208 del 30.10.1997; V Sez. 06.06.1996 n.
666, che affermano essere è legittimo
l'operato del Comune che, in presenza di una
diversità di destinazione d'uso
dell'immobile, determina la liquidazione in
base ai parametri previsti per la categoria
di destinazione prevalente; TAR Brescia, n.
251/23.04.2001 che afferma la rilevanza ai
fini della determinazione dei contributi
urbanistici, della destinazione d’uso degli
immobili, in quanto gli oneri sottesi all'
intervento edilizio sono giustificati dai
costi e dai vantaggi reciproci che derivano
alla collettività e al concessionario dalla
trasformazione del territorio).
In giurisprudenza è stato poi ripetutamente
affermato che il mutamento della
destinazione d'uso necessita di concessione
edilizia e comporta l'obbligo di
corrispondere al comune il contributo nella
misura rapportata alla nuova destinazione.
Inoltre la legislazione nazionale e
regionale in materia di contributi lasciano
alla Regione ampi margini di discrezionalità
nell’individuazione dei presupposti degli
oneri di urbanizzazione e non prevedono
l’esenzione degli interventi edilizi di
trasformazione di volumi preesistenti ( Si
veda C. St. IV, n. 2163/2006).
Occorre ricordare che la nozione del
contributo per oneri di urbanizzazione, in
giurisprudenza (cfr. Consiglio di Stato, V
Sez., 23.05.1997 n. 529) è definita come "un
corrispettivo di diritto pubblico, di natura
non tributaria, posto a carico del
costruttore a titolo di partecipazione ai
costi delle opere di urbanizzazione in
proporzione all'insieme dei benefici che la
nuova costruzione ne ritrae, cosicché l'uso
dà la giustificazione giuridica dell'an
debeatur, mentre le modalità dell'uso danno
la ragione del quantum".
La causa giuridica della debenza del
contributo va ricercata quindi anche
nell'utilità che la nuova costruzione trae
dalle opere di urbanizzazione già esistenti
(sent. TAR BZ n. 59/2000).
Quindi, anche con riferimento a quanto
elaborato in giurisprudenza (cfr. CS, Sez.
V, 23.05.1997 n. 529) i contributi di
urbanizzazione non sono strettamente
riferiti all’impatto del singolo intervento,
essendo rimessa all’autorità preposta
l’individuazione della tipologia degli
interventi edilizi da assoggettare al
contributo in relazione all’insieme dei
benefici connessi all’urbanizzazione
complessiva, ivi compresa quella
preesistente, relativa all’intera zona (TAR
Emilia-Romagna, Sez. II,
sentenza 06.04.2009 n. 395 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
regola fondamentale in materia di
quantificazione degli oneri di
urbanizzazione è che la scelta tecnico
discrezionale dell’Amministrazione deve
precedere e non seguire il rilascio della
concessione edilizia, in quanto gli effetti
e gli oneri derivanti dalla stessa devono
essere ben noti al richiedente, il quale,
tenuto conto dell’esborso economico da
affrontare, potrebbe anche rinunziare al
programma costruttivo ipotizzato.
Pertanto, è illegittima la richiesta di
integrazione versamento oneri
successivamente al rilascio della
concessione edilizia.
Va detto del consolidato e condiviso
orientamento giurisprudenziale, seguito
anche da questo TAR (per tutte e solo per
citare le più recenti CGA, sez. giur.,
14.01.2009 n. 7 e 02.03.2007 n. 64; TAR
Sicilia-Palermo, I, 07.03.2007 n. 726,
21.08.2006 n. 1832, 02.01.2004 n. 1,
03.04.2002 n. 879), secondo il quale la
regola fondamentale in materia di
quantificazione degli oneri di
urbanizzazione è che la scelta tecnico
discrezionale dell’Amministrazione deve
precedere e non seguire il rilascio della
concessione edilizia, in quanto gli effetti
e gli oneri derivanti dalla stessa devono
essere ben noti al richiedente, il quale,
tenuto conto dell’esborso economico da
affrontare, potrebbe anche rinunziare al
programma costruttivo ipotizzato.
Ne deriva la illegittimità di richieste di
integrazione successive al rilascio della
concessione edilizia, che esporrebbero il
privato a conseguenze idonee ad incidere
pesantemente sulla sua sfera economica,
nella considerazione, fra l’altro, della
necessità di garantire la correttezza del
rapporto intercorrente tra la Pubblica
Amministrazione ed il privato, soprattutto
allorquando la tempestiva conoscenza degli
oneri discrezionalmente imposti possa
indirizzare in un senso, piuttosto che in un
altro, le scelte dell’operatore economico
(TAR Sicilia-Palermo, Sez. I,
sentenza 01.04.2009 n. 600 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: G.
Dalla Pria,
Restituzione degli oneri concessori e
decorrenza degli interessi legali nel
diniego di sanatoria dell’illecito
urbanistico (link a
www.lexitalia.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
costruzione di un edificio non destinato
all’esercizio del culto, bensì destinato ad
ospitare la sede di una associazione
religiosa, non può ritenersi che tale opera
rientrante tra quelle qualificate come opere
di urbanizzazione secondaria, per cui
legittimamente il comune ha assoggettato la
sua realizzazione al pagamento degli oneri
concessori.
Va premesso che l’art. 4, secondo comma,
lettera e), della legge 29.09.1964 n. 847
individua come opere di urbanizzazione
secondaria le “chiese ed altri edifici
religiosi” per le quali la successiva
legge n. 10 del 1977 prevede, secondo
determinate condizioni, l’esonero dal
pagamento dei contributi.
Occorre, pertanto, verificare se la
costruzione della sede della Associazione
ricorrente, oggetto della concessione
edilizia impugnata in parte qua,
possa rientrare tra quelle opere di
carattere religioso, ossia destinate
all’esercizio del culto, per le quali la
norma prevede l’esenzione dal pagamento dei
contributi concessori.
La risposta a tale quesito non può che
essere negativa, solo si si consideri che la
sede della Associazione dei Testimoni di
Geova non può certo qualificarsi quale luogo
di culto o edificio religioso, ma ha
prettamente una destinazione di carattere
direzionale dal punto di vista urbanistico.
Pertanto, trattandosi nel caso in esame
della costruzione di un edificio non
destinato all’esercizio del culto, bensì
destinato ad ospitare la sede di una
associazione religiosa, non può ritenersi
che tale opera rientri tra quelle
qualificate come opere di urbanizzazione
secondaria, per cui legittimamente il Comune
di Cerea ha assoggettato la sua
realizzazione al pagamento degli oneri
concessori
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 30.03.2009 n. 985 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Oneri di
urbanizzazione - Controversie -
Giurisdizione esclusiva del G.A. - Sussiste
- Ratio.
2. Abusi - Condono
edilizio - Oblazione - Controversie -
Giurisdizione esclusiva del G.A. - Sussiste.
3. Oneri di
urbanizzazione - Natura del contributo.
4. Oneri di
urbanizzazione - Determinazione dell'aumento
delle tariffe - Competenza - Spetta alla
Giunta comunale
5. Abusi - Condono
edilizio - Oblazione - Tardività e
incompletezza del versamento - Equivale a
mancata presentazione della domanda di
condono.
1. La materia degli oneri di urbanizzazione
e dei costi di costruzione appartengono alla
giurisdizione esclusiva del G.A. sin
dall'art. 6 L. 10/1997; a seguito
dell'abrogazione di tale norma ad opera
dell'art. 136 D.P.R. 380/2001 le pretese
restitutorie relative a tali materie
rientrano nell'ambito della giurisdizione
esclusiva del G.A. prevista dall'art. 34 D.Lgs. 80/1998, in quanto essa ha per
oggetto gli atti ed i provvedimenti delle
pubbliche amministrazioni in materia
urbanistica ed edilizia e comprende la
totalità degli aspetti dell'uso del
territorio (cfr. TAR Salerno, sent. n.
474/2008; TAR Potenza, sent. n.
141/2008).
2. Per le medesime considerazioni di cui
sopra, rientrano nell'ambito della
giurisdizione esclusiva del G.A. anche la
materia delle sanzioni edilizie e delle
controversie relative all'oblazione dovuta
per il condono edilizio (cfr. Cassaz. Civ.,
sent. n. 9389/2004; TAR Roma, sent. n.
11906/2007).
3. Il contributo relativo agli oneri di
urbanizzazione non ha natura tributaria, ma
costituisce, comunque, un corrispettivo di
diritto pubblico posto a carico del
costruttore, connesso al rilascio della
concessione edilizia, a titolo di
partecipazione del concessionario ai costi
delle opere di urbanizzazione in proporzione
all'insieme dei benefici che la nuova
costruzione ne ritrae (cfr. Cons. di Stato,
sent. n. 2258/2006).
4. La determinazione dell'aumento delle
tariffe degli oneri di urbanizzazione
previsti per il condono edilizio dalla L.R.
31/2004 non rientra tra le competenze del
Consiglio Comunale bensì tra quelle della
Giunta Comunale, la cui competenza ha
carattere residuale.
5. In tema di condono edilizio, poiché la
corresponsione dell'oblazione dovuta va
effettuata interamente nei termini previsti,
pena l'applicazione delle sanzioni di cui
all'art. 40 L. 47/1985 -compresa quella
penale- ne consegue che, trascorso
inutilmente l'ultimo termine utile per
l'adempimento di tale obbligo da parte
dell'interessato, non gli è più consentito
integrare o eseguire il versamento, sicché
egli si viene a trovare in una situazione
del tutto analoga a quella della mancata
presentazione della domanda di condono (cfr. Cassaz. Pen, SS. UU.,
sent. n. 714/1997) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 20.03.2009 n. 1951). |
EDILIZIA PRIVATA:
Contributo di
costruzione - Condono - L.R. 31/2004 -
Determinazione oneri con riferimento alle
tariffe vigenti all'atto del perfezionamento
del procedimento di sanatoria - Questione di
legittimità costituzionale - Non
manifestamente infondata - Trasmissione
degli atti alla Corte Costituzionale.
Non è manifestamente infondata, in relazione
agli articoli 3, 97 e 117 comma terzo della
Costituzione, la questione di legittimità
costituzionale dell'art. 4, sesto comma,
della legge 03.11.2004 n. 31 della
Regione Lombardia nella parte in cui prevede
che gli oneri di urbanizzazione ed il
contributo sul costo di costruzione dovuti
ai fini della sanatoria sono determinati
applicando le tariffe vigenti all'atto del
perfezionamento del procedimento di
sanatoria.
Il TAR ha ritenuto che l'assunzione come
termine di riferimento delle tariffe vigenti
nel momento del rilascio del titolo anziché
quelle vigenti al momento dell'entrata in
vigore della legge di sanatoria appare in
contrasto con i seguenti articoli della
Costituzione:
- art. 117, terzo comma: nelle materie di
legislazione concorrente è riservata allo
Stato la determinazione dei princìpi
fondamentali, tra i quali va annoverato
quello, dettato dalla legislazione speciale
sul condono edilizio, che àncora la misura
del contributo alle disposizioni vigenti
all'entrata in vigore delle leggi di settore
via via emanate;
- art. 97: in quanto nelle fattispecie di
condono di abusi edilizi, soggette a
disciplina uniforme quanto alla data-limite
stabilita per la commissione dell'abuso e
per la presentazione della domanda di
condono (rispettivamente, 31.03.2003 e 10.12.2004: cfr. art. 32, commi 25 e 32
d.l. 269/2003), nonché quanto al termine di
decorrenza per la formazione del titolo
tacito (31.10.2005: cfr. comma 37
stesso articolo), non appare conforme ai
principi di buon andamento e di imparzialità
della pubblica amministrazione lasciare che,
nei singoli casi, l'entità degli oneri
dipenda da due variabili -casuali o
governate ad arte- quali la scelta dei
tempi nell'aggiornamento delle tariffe e la
tempestività nella evasione delle pratiche
di condono;
- art. 3: non sarebbe conforme al principio
di uguaglianza che abusi edilizi
suscettibili di sanatoria, uguali per natura
e data di compimento, siano assoggettati ad
oneri di diverso importo in applicazione
delle tariffe vigenti nei diversi momenti di
conclusione dei singoli procedimenti;
- i principi di certezza e di affidamento,
immanenti nell'ordinamento nazionale e
comunitario, anch'essi riconducibili
all'art. 97 Cost., secondo cui il privato
deve essere posto in grado di conoscere
anticipatamente a quali oneri, esborsi,
conseguenze sia esposta la propria azione,
anche laddove gli sia offerta la possibilità
di riparare abusi edilizi con una
autodenuncia (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
ordinanza
collegiale 20.03.2009
n. 53 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Contributo di
costruzione - Quantificazione - Momento
determinante - L.R. 12/2005 e L.R. 4/2008 -
Criteri.
Il contributo di costruzione va
liquidato, ex art. 43, L.R. 12/2005, in base
alle disposizioni vigenti alla data di
rilascio del permesso edilizio; tuttavia, ex
art. 38, comma 7-bis, L.R. 12/2005 -
aggiunto dall'art. 1, comma 1, lett. ss),
L.R. 4/2008, qualora la richiesta di
permesso di costruire sia completa della
documentazione prevista, l'ammontare degli
oneri di urbanizzazione primaria e
secondaria dovuti va determinato con
riferimento alla data di presentazione della
richiesta stessa (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 09.03.2009 n. 1767 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
OGGETTO: Richiesta di parere circa l’onerosità o meno dei
permessi di costruire per interventi edilizi di
ristrutturazione di edifici ex rurali.
Il Comune chiede se alla luce delle disposizioni del Testo
unico per l’edilizia di cui al D.P.R. n. 380/2001, un
intervento di ristrutturazione edilizia di un edificio
colonico unifamiliare, che ha perso tutti i requisiti di
ruralità, da parte di un privato cittadino non imprenditore
agricolo, sia oneroso o gratuito e se i pareri che il
Servizio legislativo e affari istituzionali della Giunta
regionale ha espresso sull’applicazione dell’art. 9, lett.
d), della legge n. 10/1977 in data 20.06.1991, prot. n. 124,
e in data 09.03.1989, prot. n. 60, dei quali allega copia,
siano tuttora validi (Regione Marche,
parere 27.02.2009 n. 110/2009). |
EDILIZIA PRIVATA:
Concessione di costruzione -
Criteri e principi generali - Verifica
legittimazione del richiedente - Onere del
Comune - Sussiste - Limiti.
L'Amministrazione Comunale, nel corso
dell'istruttoria sul rilascio della
concessione edilizia, deve verificare che
esista il titolo per intervenire
sull'immobile per il quale è chiesta la
concessione edilizia -anche se questa è
sempre rilasciata facendo salvi i diritti
dei terzi- e se il titolo non viene provato
è legittimo che il rilascio della
concessione venga negato. Tale principio è
desumibile dall'art. 4, comma 1, Legge
10/1977, secondo cui la concessione è data
dal sindaco al proprietario dell'area o a
chi abbia titolo per richiederla, come
confermato dall'art. 11, comma 1, D.P.R. n.
380/2001, in base al quale il permesso di
costruire è rilasciato al proprietario
dell'immobile o a chi abbia titolo per
richiederlo. Pertanto, la verifica del
possesso del titolo a costruire costituisce
un presupposto la cui mancanza impedisce
alla P.A. di procedere oltre nell'esame del
progetto, anche se deve escludersi un
obbligo del Comune di effettuare complessi
accertamenti diretti a ricostruire tutte le
vicende riguardanti l'immobile in oggetto,
con particolare riferimento all'inesistenza
di servitù o di altri vincoli reali che
potrebbero limitare l'attività edificatoria
dell'immobile (cfr. Cons. di Stato, sent. n.
4703/2007) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 06.02.2009 n. 1157 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Lombardia,
l'interpretazione autentica della l.r. n.
12/2005 circa il versamento degli oneri di
urbanizzazione sia nel caso di permesso di
costruire sia nel caso di d.i.a.
(Regione Lombardia, Direzione Generale
Territorio e Urbanistica,
nota 29.01.2009 n.
1983 di prot.). |
EDILIZIA PRIVATA:
F. Barchielli,
La decadenza del titolo ed il ricalcolo del
contributo di costruzione (sulla
decadenza del permesso di costruire e sui
conseguenti effetti riguardo al contributo
di costruzione già versato
all’Amministrazione nei casi in cui il
privato presenti una nuova istanza di titolo
edilizio, rinunci all’edificazione senza
aver iniziato i lavori, oppure rinunci dopo
avere comunque effettuato una rilevante
alterazione dell’assetto del territorio)
(link a www.urbanisticatoscana.it). |
EDILIZIA PRIVATA: F.
Barchielli,
Sul rilascio del permesso di costruire a
titolo gratuito (una ricognizione
della normativa e della giurisprudenza
riguardo ai casi in cui è consentito il
rilascio del permesso di costruire senza
obbligo di corrispondere il contributo di
costruzione) (link a
www.urbanisticatoscana.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Fattispecie
in materia di ristrutturazione -
Oneri (elemento temporale di
rifermento).
Gli oneri concessori vanno calcolati facendo
riferimento non alla destinazione d’uso
pregressa, ma alla destinazione d’uso
risultante dalla ristrutturazione, una volta
qualificato l’intervento in questione come
ristrutturazione.
Infatti, la funzione del contributo di
costruzione sta nel fatto che la costruzione
progettata partecipa alle utilità derivanti
dalla presenza delle opere di urbanizzazione
già realizzate dal Comune e l’uso di queste
ultime dà la giustificazione giuridica
dell’”an debeatur”, mentre le
modalità dell’uso danno la ragione del "quantum
debeatur" (Consiglio Stato, sez. V,
23.05.1997, n. 529).
Pertanto, se il "quantum debeatur" è
determinato dalle modalità attraverso cui
l’edificio ristrutturato usa le opere di
urbanizzazione già realizzate dall’autorità
comunale, a tal fine non può che rilevare la
destinazione d’uso conseguenza della
ristrutturazione e non quella originaria,
perché sarà la destinazione d’suo creata
dalla ristrutturazione che concretamente
insisterà sul territorio e sfrutterà le
opere di urbanizzazione realizzate
dall’autorità comunale (nello stesso senso
sembra essere da ultimo Tar Campania,
Napoli, sez. VIII, 03.09.2008, n. 10035)
(massima tratta da www.studiospallino.it -
TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 14.01.2009 n. 93 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Oneri
concessori - Voltura concessione edilizia -
Carenza di legittimazione attiva -
Inammissibilità - Non sussiste.
2.
Ristrutturazione - Oneri di urbanizzazione
calcolati sulla destinazione d'uso pregressa
- Illegittimità.
3. Credito per
oneri di urbanizzazione in parte non dovuti
- Debito per contributo di costruzione in
parte non versato - Compensazione - Non
opera.
4. Oneri di
urbanizzazione in parte non dovuti -
Ripetizione dell'indebito - Interessi legali
- Malafede della P.A. accipiens - Non
sussiste.
1. Non è illegittimo per carenza di
legittimazione attiva il ricorso presentato
da una società ricorrente per la ripetizione
di oneri di urbanizzazione non dovuti
versati dalla propria dante causa, in quanto
la voltura della concessione edilizia
comporta il passaggio in capo alla
ricorrente non solo dello ius edificandi, ma
del complesso dei diritti ed obblighi che
derivano dalla concessione, compreso il
diritto all'eventuale restituzione del
contributo concessorio indebitamente pagato,
con riconoscimento esclusivo in capo ad un
unico soggetto, l'attuale titolare della
concessione edilizia, delle utilità che
dipendono da tale titolo edilizio.
2. In relazione ad un intervento di
ristrutturazione con cambio di destinazione
d'uso da direzionale/commerciale a
residenziale/artigianale gli oneri
concessori devono essere calcolati facendo
riferimento non alla destinazione d'uso
pregressa, ma alla destinazione d'uso
risultante dalla ristrutturazione in quanto
la funzione degli oneri di urbanizzazione
consiste nel fatto che la costruzione
partecipi alle utilità derivanti dalla
presenza delle opere di urbanizzazione già
realizzate dal Comune, le cui modalità
d'uso, da parte dell'edificio ristrutturato,
determinano il quantum debeatur a titolo di
contributo. Di conseguenza, non può che
rilevare la destinazione d'uso conseguenza
della ristrutturazione, e non quella
originaria, perché sarà la destinazione
d'uso creata dalla ristrutturazione che
concretamente insisterà sul territorio e
sfrutterà le opere di urbanizzazione
esistenti.
3. Il credito della ricorrente per oneri di
urbanizzazione indebitamente versati in
eccesso ed il debito vantato dal Comune per
il costo di costruzione non integralmente
corrisposto dalla titolare del titolo
edilizio non si possono compensare perché
hanno una natura giuridica completamente
diversa, e la natura del credito per il
costo di costruzione è di ostacolo alla sua
compensabilità con il debito per il
pagamento degli oneri di urbanizzazione. In
particolare, mentre l'obbligazione per oneri
di urbanizzazione, in quanto forma di
partecipazione alle spese pubbliche per la
trasformazione del territorio, ha natura
causale legata allo sfruttamento, da parte
di chi costruisce, delle opere
infrastrutturali presenti sul territorio
realizzate dal Comune, il costo di
costruzione, essendo un'obbligazione priva
di causa, accollata al titolare della
concessione per il semplice fatto che esso
costruisca, ha natura tributaria, con la
conseguenza che le obbligazioni tributarie
si possono estinguere per compensazione solo
nei casi espressamente disciplinati dal
legislatore (in quanto, nella situazione
normativa attuale, non è stata ancora
emanata la disciplina di attuazione per
rendere la compensazione principio generale
nell'ordinamento tributario).
4.
Poiché l'errata quantificazione degli oneri
di urbanizzazione da parte del Comune è
avvenuta prima dell'adozione della circolare
che ha recepito l'orientamento di
utilizzare, ai fini di tale calcolo, i
parametri della destinazione d'uso finale
(sebbene la concessione edilizia sia stata
rilasciata successivamente), non sussiste la
malafede della P.A. nel momento in cui ha
ricevuto l'indebito pagamento degli oneri
concessori, con la conseguenza che sulla
somma dovuta a titolo di indebito gli
interessi legali sono dovuti soltanto dalla
data in cui è stata avanzata la richiesta di
restituzione, ai sensi dell'art. 2033 c.c.,
e non dal momento in cui è avvenuto il
pagamento (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 14.01.2009 n. 93 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
scelta tecnico-discrezionale
dell’Amministrazione nel quantificare gli
oneri di urbanizzazione da versare deve
precedere e non seguire il rilascio del
provvedimento autorizzatorio, essendo di
ordine generale che siano ben noti al
richiedente gli effetti e gli oneri
derivanti dal provvedimento, senza che
possano ammettersi ripensamenti successivi,
che esporrebbero il privato a conseguenze
idonee ad incidere pesantemente sulla sua
sfera economica.
La possibilità di correggere il tiro degli
oneri connessi al provvedimento adottato é
limitato all’emendamento di errori
riconoscibili sulla base di parametri certi
e predefiniti.
In tema di monetizzazione degli oneri di
costruzione, regola fondamentale è che la
scelta tecnico discrezionale
dell’Amministrazione preceda e non segua il
rilascio del provvedimento autorizzatorio,
essendo di ordine generale che siano ben
noti al richiedente gli effetti e gli oneri
derivanti dal provvedimento, senza che
possano ammettersi ripensamenti successivi,
che esporrebbero il privato a conseguenze
idonee ad incidere pesantemente sulla sua
sfera economica, nella considerazione, fra
l’altro, della esigenza del corretto
rapporto privato/Autorità, ogni qual volta
la tempestiva conoscenza degli oneri
discrezionalmente imposti possa indirizzare
in un senso piuttosto che in un altro le
scelte dell’operatore economico.
La possibilità di correggere il tiro degli
oneri connessi al provvedimento adottato é
limitato all’emendamento di errori
riconoscibili, sulla base di parametri certi
e predefiniti, senza potersi estendere a
facoltà discrezionali esclusivamente rimesse
alle scelte dell’Amministrazione ed a cui,
eventualmente, l’adozione del provvedimento
favorevole al privato deve essere
condizionata, prima ancora che, in forza del
provvedimento favorevole, ovvero l’oggetto
su cui originariamente ricadeva l’interesse
pretensivo, abbia subito la sua naturale
trasformazione in bene della vita, acquisito
(per effetto di tale provvedimento) alla
sfera soggettiva del richiedente.
Pur essendo corretta, peraltro, in linea di
principio la tesi espressa nell’appello
principale, secondo cui la presentazione di
un progetto di variante e di completamento
delle opere già previste nella concessione
in precedenza accordata e scaduta, è
sufficiente a legittimare il ripensamento
dell’Amministrazione, ed una differente
considerazione del carico urbanistico
-trattandosi di concessione che rimette in
gioco, interamente, le precedenti scelte-
l’equivoco in cui è incorso il Comune
consiste nel trarre, dal precedente
giurisprudenziale dallo stesso citato, il
convincimento che il carico urbanistico
possa essere legittimamente valutato in
relazione all’intera opera (ivi compresa
quella già quasi interamente realizzata
sulla base del progetto originario)
dovendosi, al contrario, accertare, l’entità
dell’aggravio, in rapporto all’opera “nuova”
costituita dalla variante e dal
completamento successivo alla scadenza della
concessione originaria (escluso quanto,
dell’oggetto in precedenza assentito, sia
stato, pressoché, interamente realizzato)
(CGARS,
sentenza 14.01.2009 n. 7 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 2 del
12.01.2009, "Linee guida per la
maggiorazione del contributo di costruzione
per il finanziamento di interventi estensivi
delle superfici forestali (art. 43, comma
2-bis, l.r. n. 12/2005)" (deliberazione
G.R. 22.12.2008 n. 8757 - link a
www.infopoint.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Quesito
8 -
Sui criteri per l'applicabilità degli oneri
di urbanizzazione agli atti autorizzatori in
sanatoria dei mutamenti d'uso senza opere,
mutamenti c.d. "funzionali"
(Geometra Orobico n. 1/2009). |
anno 2008 |
|
EDILIZIA PRIVATA: Applicazione
calcolo oneri di urbanizzazione.
Occorre premettere che il Comune richiedente
dà per scontato il fatto che –in assenza di
diverse e più precise determinazioni operate
al riguardo dalle norme e dalle tabelle
comunali relative agli oneri di
urbanizzazione– vanno fatte rientrare nella
categoria delle attività produttive le
cliniche e le case di riposo private ai fini
dell’applicazione degli oneri di
urbanizzazione; occorre considerare d’altro
canto che la tabella regionale, spesso
tradotta di peso nella disciplina comunale
in materia (senza, cioè, modificazione né
precisazione alcuna), costruisce varie
sottocategorie di attività produttive, a cui
corrispondono misure diverse degli oneri di
urbanizzazione.
Tutto ciò premesso, viene chiesto di
indicare il criterio più corretto di
applicazione degli oneri di urbanizzazione
da corrispondere per la realizzazione ex
novo di una casa di riposo privata (Regione Piemonte,
parere n. 175/2008 - link a www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Oneri
su ampliamento di costruzione.
Viene chiesto parere in ordine al dovere, o
meno, del Comune di pretendere la
corresponsione degli oneri di urbanizzazione
relativi alla ricostruzione –operata con
intervento di “sostituzione edilizia” su
area limitrofa all’originario sedime di
insistenza– di edificio residenziale
distrutto da un incendio, restando fuori
discussione l’obbligo di corrispondere gli
oneri medesimi in ragione dell’ampliamento
ammesso dal P.R.G. in occasione della
ricostruzione (Regione Piemonte,
parere n. 171/2008 -
tratto da www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Aggiornamento
oneri urbanizzazione.
Il Comune di XXX, chiede se l’aggiornamento
degli oneri di urbanizzazione in base alle
variazioni ISTAT, senza modificazione dei
contenuti, sia di competenza del Consiglio
ovvero della Giunta comunale e se
l’aggiornamento annuale del costo di
costruzione, in assenza di specifico
regolamento comunale, possa essere
effettuato con determinazione dirigenziale
ovvero rientri fra le competenze consiliari
o giuntali (Regione Piemonte,
parere n. 152/2008 - link a www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Sanatoria
intervento accertamento edilizio.
Viene chiesto chiarimento in ordine
all’applicazione dell’articolo 36, comma 2,
del Testo Unico dell’Edilizia (D.P.R.
380/2001) per quanto attiene alla
determinazione dell’oblazione di cui alla
norma predetta (Regione Piemonte,
parere n. 134/2008 - link a www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Problematiche
su istanza di costruzione in zona agricola.
Viene posto un quesito in ordine
all’esenzione dal contributo di costruzione
prevista dall’art. 17, c. II, lett. a) del
D.P.R. 380/2001, recante Testo Unico
dell’edilizia.
Il caso concreto è il seguente.
Una società semplice, avente quale oggetto
sociale l’attività agricola, ha presentato
istanza di permesso di costruire volta alla
realizzazione di strutture rurali, oltre che
di tre abitazioni. La società è composta di
tre soci, dei quali uno solo ha la qualifica
di imprenditore agricolo professionale.
Il Comune territorialmente competente chiede
di conoscere se tutte tre le residenze
potranno beneficiare dell’esonero dal
contributo concessorio di cui al citato art.
17, c. II, lett. a) D.P.R. 380/2001, a mente
del quale il contributo di costruzione non è
dovuto “per gli interventi da realizzare
nelle zone agricole, ivi comprese le
residenze, in funzione della conduzione del
fondo e delle esigenze dell’imprenditore
agricolo a titolo principale”
(Regione Piemonte,
parere n. 70/2008 - link a www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Costruzione di edifici a
risparmio energetico - Incentivi ex art. 1,
c. 351, L. n. 296/2006 (Finanziaria 2007) -
Comune - Obbligo dello scomputo del
contributo statale dal prezzo di vendita
dell’immobile - Illegittimità - Riduzione
degli oneri di urbanizzazione condizionata
allo scomputo del risparmio dal prezzo di
vendita - Legittimità.
Le disposizioni di cui all’art. 1, c. 351,
della L. 27.12.2006, n. 296 sono volte ad
incentivare la costruzione di edifici con
caratteristiche tali da consentire un
significativo risparmio energetico,
nell’ambito di una politica di contenimento
dei costi sociali derivanti
dall’inappropriato ed eccessivo uso di
simili risorse. L’agevolazione economica è
direttamente ricollegata alla realizzazione
dei nuovi edifici, e quindi i beneficiari
sono individuati nei soggetti che ne
promuovono la costruzione, mentre nulla è
previsto circa l’eventuale trasferimento del
beneficio agli acquirenti, i quali
concorrono a definire il corrispettivo della
cessione del bene sulla base delle comuni
regole del libero mercato, anche in ragione
dei risparmi di spesa conseguenti al minore
fabbisogno di energia; il che rende
illegittima la decisione comunale che impone
lo scomputo del contributo statale dal
prezzo di vendita degli alloggi, in quanto
l’Amministrazione locale incide così sul
riparto di spese e incentivi, individuando
di fatto un beneficiario diverso da quello
indicato dalla normativa statale, che per il
resto ha rimesso ogni ulteriore questione
all’autonomia privata delle parti. Non è
invece censurabile l’obbligo dello scomputo
della somma corrispondente ai minori oneri
che, in applicazione del regolamento
comunale per il risparmio energetico, siano
dovuti per le opere di urbanizzazione
secondaria. L’Amministrazione comunale,
infatti, introducendo il beneficio per
favorire la c.d. “efficienza energetica”
nelle abitazioni civili, ha legittimamente
inteso stimolare i cittadini, con un
risparmio di spesa, all’acquisto di alloggi
aventi tali caratteristiche (TAR Emilia
Romagna-Parma, Sez. I,
sentenza 04.11.2008 n. 423 - link
a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Sulle
superfici da computare per la determinazione
del costo di costruzione.
Quanto al mancato calcolo delle superfici
non residenziali destinate a servizi comuni
ed accessori, osserva il comune che gli
immobili in questione sono privi di
cantinole, soffitte, lavatoi comuni, cabine
idriche, centrali termiche, astrattamente
utili ai fini del computo ex art. 2 d.m.
ll.pp. 801/1977, e che i cd. androni, in
concreto, sono costituiti da spazi assai
esigui di consistenza irrisoria ai fini
dell’incremento del costo di costruzione e
costituenti un tutt’uno con i vani scala.
A quest’ultimo proposito, appunto, le scale
sono escluse dal computo delle superfici non
residenziali per servizi ed accessori
computabili per la determinazione del costo
di costruzione (cfr. TAR Lombardia,
21/01/1984 n. 84); di conseguenza, sono
prive di incidenza sul costo di costruzione
dell’edificio (cfr. Mod. 7-bis allegato
all’art. 11 del d.m. ll.pp. 801/1977)
(TAR
Basilicata,
sentenza 29.10.2008 n. 721 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Oneri
di costruzione - Esenzione - Qualifica di
Agricolo Professionale - Sopravvenienza -
E' irrilevante.
La sopravvenienza della qualifica di
Imprenditore Agricolo Professionale (IAP) o
alla società non modifica la situazione e
non costituisce neppure causa di esenzione
per la parte del contributo di costruzione a
suo tempo non corrisposta. Considerata la
natura eccezionale della gratuità del
permesso di costruire non è possibile
ipotizzare una fattispecie a formazione
progressiva che ne estenda la portata sotto
il profilo temporale trasformando in
gratuite fattispecie originariamente
onerose. Questa conclusione risulta
indirettamente confermata dal fatto che è
invece prevista la perdita del beneficio
della gratuità qualora le opere realizzate a
fini agricoli cambino destinazione d'uso nei
10 anni dall'ultimazione dei lavori (v. art.
52 comma 3 della LR 12/2005 e art. 19 comma
3 del DPR 380/2001). Poiché il cambio di
destinazione può essere determinato dalla
cessazione dell'attività agricola, il cui
svolgimento è necessario ai fini del
mantenimento della qualifica di IAP, si può
osservare che i fatti sopravvenuti rilevano
solo quando fanno venire meno i presupposti
(oggettivi o soggettivi) dell'esenzione.
Rileva pertanto l'eventuale perdita della
qualifica di IAP successiva al rilascio del
permesso di costruire ma non l'acquisto
tardivo (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia,
sentenza 17.10.2008 n. 1332 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L’omessa
indicazione e/o quantificazione del
contributo di costruzione, nel permesso di
costruire, è circostanza inidonea a
determinare l’illegittimità del
provvedimento.
Anche l'eventuale erronea determinazione
degli oneri connessi al rilascio del
permesso di costruire non determina, in ogni
caso, l'illegittimità del titolo stesso e
non giustifica la pretesa al suo
annullamento giurisdizionale; ciò in quanto
il procedimento di determinazione del
contributo di urbanizzazione è diverso e
autonomo rispetto al procedimento di
rilascio del permesso di costruire, sia
perché persegue finalità sue proprie, sia
perché si conclude con un provvedimento che,
diverso da quello concessivo del titolo a
costruire, è autonomamente impugnabile e
suscettivo di annullamento senza
ripercussioni sul titolo abilitativo alla
costruzione.
Il Collegio –a
voler ammettere che il contributo sia
dovuto, trattandosi di attività edilizia
rivolta al recupero filologico di edificio
preesistente, per il quale sussistono tutte
le opere di urbanizzazione in loco- ritiene
l’omessa indicazione e/o quantificazione del
contributo di costruzione, nel permesso di
costruire, circostanza inidonea a
determinare l’illegittimità del
provvedimento.
Infatti, anche l'eventuale erronea
determinazione degli oneri connessi al
rilascio del permesso di costruire non
determinerebbe, in ogni caso, l'illegittimità
del titolo stesso e non giustificherebbe la
pretesa al suo annullamento giurisdizionale;
ciò in quanto il procedimento di
determinazione del contributo di
urbanizzazione è diverso e autonomo rispetto
al procedimento di rilascio del permesso di
costruire, sia perché persegue finalità sue
proprie, sia perché si conclude con un
provvedimento che, diverso da quello
concessivo del titolo a costruire, è
autonomamente impugnabile e suscettivo di
annullamento senza ripercussioni sul titolo
abilitativo alla costruzione (Consiglio
Stato, sez. IV, 31.01.1995, n. 37)
(TAR Campania-Napoli, Sez. IV,
sentenza 03.09.2008 n. 10036 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Fattispecie
in materia di ristrutturazione - Oneri di
urbanizzazione.
Sulla base del generale principio che
correla gli oneri di urbanizzazione al
carico urbanistico, costituisce intervento
di ristrutturazione edilizia comportante il
pagamento di tale contributo la divisione ed
il frazionamento di un’unità immobiliare in
due o più unità qualora, a seguito di tale
operazione e stante l’autonoma
utilizzabilità delle stesse, si realizzi un
aumento del carico urbanistico (C.d.S., sez.
IV, 29/04/2004 n. 2611; TAR Toscana, sez.
III, 22/01/2007 n. 62; TAR Lazio –RM-
04/01/2006 n. 36) (massima tratta da www.studiospallino.it -
TAR Emilia Romagna-Parma, Sez. I,
sentenza 15.07.2008 n. 352
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il contributo di urbanizzazione
ex art. 11, comma 2, della L. 28.01.1977 n.
10 deve essere determinato al momento del
rilascio della concessione ed è quindi a
tale momento che occorre avere riguardo per
la determinazione della entità del
contributo facendo perciò applicazione della
normativa vigente al momento del rilascio
del provvedimento concessorio.
Sussiste la irretroattività delle
determinazioni comunali a carattere
regolamentare con cui vengono stabiliti i
criteri generali e le nuove tariffe e/o
modalità di calcolo per gli oneri di
urbanizzazione ribadendosi l’integrale
applicazione del principio tempus regit
actum e, quindi, la irrilevanza ed
ininfluenza di disposizioni tariffarie
sopravvenute (anche se di poco) rispetto al
momento del rilascio della concessione
edilizia.
Costituisce orientamento consolidato della
giurisprudenza la affermazione che il
contributo di urbanizzazione ex art. 11,
secondo comma, della L. 28.01.1977 n. 10
deve essere determinato al momento del
rilascio della concessione ed è quindi a
tale momento che occorre avere riguardo per
la determinazione della entità del
contributo facendo perciò applicazione della
normativa vigente al momento del rilascio
del provvedimento concessorio (Sez. V
25.10.1993 n. 1071, 12.07.1996 n. 850,
06.12.1999 n. 2058, Sez. IV 19.07.2004 n.
5197).
Da tale affermazione di principio è stato
tratto il corollario della irretroattività
delle determinazioni comunali a carattere
regolamentare con cui vengono stabiliti i
criteri generali e le nuove tariffe e/o
modalità di calcolo per gli oneri di
urbanizzazione ribadendosi l’integrale
applicazione del principio tempus regit
actum e, quindi, la irrilevanza ed
ininfluenza di disposizioni tariffarie
sopravvenute (anche se di poco) rispetto al
momento del rilascio della concessione
edilizia (C.G.A. 07.08.2003 n. 289)
(CGARS,
sentenza 27.05.2008 n. 466 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Fattispecie
in materia di ristrutturazione - Oneri di
urbanizzazione.
In base all’art. 3, l. n. 10 del 1977, la
concessione edilizia, ora permesso di
costruire, comporta la corresponsione di un
contributo commisurato all’incidenza delle
spese di urbanizzazione ed al costo di
costruzione e tale obbligo è esteso, ex art.
9 della legge, agli interventi di restauro,
risanamento e ristrutturazione che
comportino aumento delle superfici e
mutamento delle destinazioni d’uso: ai fini
della riliquidazione degli oneri di
urbanizzazione, costituisce legittimo
presupposto la sussistenza di un eventuale
maggior carico urbanistico provocato
dall’intervento eseguito in un fabbricato
già autorizzato ed, in tale ambito, non deve
tenersi conto esclusivamente di
ristrutturazioni generali e globali di un
edificio con necessari interventi esterni ed
interni, ma anche di ristrutturazioni che
comunque trasformino la realtà strutturale e
la fruibilità urbanistica dell’immobile, con
la connessa necessità di sottoporre le
relative concessioni al pagamento dei
contributi riferiti all’avvenuta oggettiva
rivalutazione dell’immobile e funzionali a
sostenere il carico socio-economico che la
realizzazione comporta sotto il profilo
urbanistico (C.d.S. sez. IV 29.04.2004 n.
2611) (massima tratta da
www.studiospallino.it - TAR Emilia
Romagna-Bologna, Sez. I,
sentenza 21.03.2008 n. 1109 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
OGGETTO: Contributo per il rilascio dei permesso di
costruire (artt. 16 e 19 del D.P.R. n. 380/2001).
Il Comune fa presente che “nell’anno 2002 è stata
rilasciata la Concessione Edilizia per la realizzazione di
un intervento soggetto al contributo di cui agli articoli 16
e 19 del D.P.R. n. 380/2001 e che “relativamente al costo di
costruzione l’importo da pagare è stato determinato sulla
base di apposita perizia giurata a firma del tecnico
progettista e trasmessa dal richiedente”.
Il Comune aggiunge che “a seguito di successivi
accertamenti è emersa la non corrispondenza tra le opere
oggetto di Concessione Edilizia (e successive varianti) e
quelle oggetto della richiamata perizia” e che “in
conseguenza di ciò la parte interessata ha trasmesso nuova
perizia giurata, congruente con le opere autorizzate, il cui
importo è superiore a quello stimato con la perizia
precedentemente trasmessa”.
Rileva che “quanto sopra comporta una maggiore
quantificazione del costo di costruzione da corrispondere”
al Comune e chiede pertanto se “alla maggiore somma da
richiedere all’interessato a seguito dell’applicazione
dell’aliquota del 10% all’importo delle opere, così come
rideterminato con la nuova perizia giurata, vanno applicate
le sanzioni previste dall’art. 42 del D.P.R. 380/2001” e
se sul maggiore importo così determinato vanno altresì
applicati “gli interessi”.
Comunica che l’orientamento del Capo Area Tecnica del Comune
è il seguente: “non applicazione delle sanzioni previste
all’art. 42 del D.P.R. 380/2001 in quanto gli originari
importi, anche se sulla base di un’erronea perizia giurata
inviata dall’interessato per il calcolo del costo di
costruzione, sono stati comunque corrisposti nei termini e
con le modalità indicate dall’Ente prima del rilascio della
Concessione Edilizia” e “applicazione degli interessi
al tasso legale sul maggiore importo calcolato per il
periodo che va dal rilascio della originaria Concessione
Edilizia all’attualità” (Regione Marche,
parere 10.01.2008 n. 78/2008). |
EDILIZIA PRIVATA: La
determinazione dell’onere dovuto per il
rilascio della concessione costituisce il
risultato di un calcolo materiale, essendo
la misura concreta direttamente collegata
dalla legge al carico urbanistico accertato
secondo parametri rigorosamente stabiliti
(per cui deve escludersi, stante la natura
tecnica dell’attività in materia, che il
provvedimento debba essere motivato).
Per quanto
concerne la dedotta carenza di motivazione
in ordine all’ammontare dell’importo
richiesto a titolo di oneri concessori
merita di essere evidenziato che la
determinazione dell’onere dovuto per il
rilascio della concessione costituisce il
risultato di un calcolo materiale, essendo
la misura concreta direttamente collegata
dalla legge al carico urbanistico accertato
secondo parametri rigorosamente stabiliti
(per cui deve escludersi, stante la natura
tecnica dell’attività in materia, che il
provvedimento debba essere motivato) (cfr.
CdS, sez. V, 21.04.2006, n. 2258)
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 13.03.2008 n. 604 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Fattispecie
in materia di ristrutturazione - Esenzione
dagli oneri di urbanizzazione.
L'art. 9, l. n. 10 del 1977 prevede
l'esenzione dal pagamento degli oneri di
costruzione, contemplando alcune specifiche
ipotesi, fra le quali quelle degli
interventi di restauro, di risanamento
conservativo, di ristrutturazione e di
ampliamento, in misura non superiore al 20
per cento, di edifici unifamiliari (lettera
d).
Non rientra in quest'ultima fattispecie,
l'intervento edilizio comprendente tre unità
abitative sia pur riconducibili alla
proprietà ad uno o a più soggetti (massima
tratta da www.studiospallino.it - TAR
Sicilia-Catania, Sez. I,
sentenza 13.03.2008 n. 472 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Qualora
non c'è trasformazione del territorio in
forza di una rilasciata concessione
edilizia, il relativo pagamento del
contributo di costruzione si appalesa come
privo di causa cosicché l’eventuale importo
versato deve essere restituito.
Va precisato che la restituzione dei
contributi (oo.uu. + costo di costruzione) deve ammettersi anche nella
ipotesi di decadenza della concessione
edilizia già rilasciata, intervenuta in
conseguenza della non tempestiva
realizzazione del progetto assentito e del
sopravvenire di nuove previsioni
urbanistiche che lo rendono definitivamente
irrealizzabile.
E’ stato rilevato in decisioni della
giurisprudenza anche remote, che gli
obblighi contributivi di cui all’art. 3 e 4
l. n. 10 del 1977 devono essere correlati
alla disposizione di cui al precedente
articolo 1 della medesima legge il quale
riferisce il pagamento degli oneri
concessori ad una precisa circostanza di
fatto: la esplicazione di una attività
trasformativa del territorio.
Pertanto qualora tale circostanza non si
verifica, il relativo pagamento si appalesa
come privo di causa cosicché l’eventuale
importo versato deve essere restituito (TAR
Lombardia, Sez. II, 18.12.1987 n. 482 e, per
più recente affermazione del principio, cfr.
C.d.S., V Sezione, 12.06.1995 n. 894).
Va precisato che la restituzione dei
contributi deve ammettersi anche nella
ipotesi di decadenza della concessione
edilizia già rilasciata, intervenuta in
conseguenza della non tempestiva
realizzazione del progetto assentito e del
sopravvenire di nuove previsioni
urbanistiche che lo rendono definitivamente
irrealizzabile.
Ciò perché la sopravvenienza della nuova
normativa urbanistica, contraria a quella
sotto la cui vigenza era stata rilasciata la
concessione edilizia, impedisce
definitivamente e senza possibilità di
ulteriori proroghe della concessione
edilizia decaduta, la utilizzabilità dello
stesso provvedimento che aveva assentito la
edificazione nella zona.
Va dunque riconosciuto il diritto della
ricorrente alla parziale restituzione dei
contributi già versati a titolo di oneri di
urbanizzazione quale risulta derivato, nella
sua esatta misura, dalla parziale decadenza
della concessione edilizia n. 286 notificata
il 30.12.1978 (rilasciata alla ricorrente
per la realizzazione di tre villini) ed
intervenuta dopo la realizzazione di un solo
villino, che la ricorrente asserisce di
avere già eseguito.
Va perciò statuito il conseguente obbligo
del Comune di Subiaco di restituire alla
avente diritto le somme riferite agli
importi che risultano indebitamente
trattenuti.
In conseguenza della stessa decadenza della
concessione edilizia va riconosciuto anche
il diritto alla restituzione delle somme
riferibili al costo di costruzione, il quale
contributo realizza anch’esso l’obbligo
della onerosità della concessione sancito
dall’art. 3 l. n. 47/1985 sempre, tuttavia,
in riferimento al compimento di una attività
di trasformazione del territorio
effettivamente avvenuta.
Sulle somme dal Comune riscosse per
contributi che risulteranno da restituire
spettano alla ricorrente gli interessi
legali dalla data della domanda di
restituzione.
Trattasi di una fattispecie di indebito
oggettivo il quale genera la sola
obbligazione di restituzione con gli
interessi, a norma dell’art. 2033 cod. civ.
che gli stessi interessi fa decorrere dalla
data della domanda ripetitiva dell’indebito
nella ipotesi di buona fede del percettore
che deve ritenersi nel caso di specie
ricorrere
(TAR Lazio-Roma,
Sez. II-bis,
sentenza 12.03.2008 n. 2294 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L'insorgenza
dell’obbligo di corresponsione degli oneri
concessori è correlata al verificarsi o meno
di un maggiore carico urbanistico quale
effetto dell’intervento edilizio, sicché non
è necessario che la ristrutturazione
interessi globalmente l’edificio –con
variazioni riguardanti nella loro interezza
le parti esterne ed interne del fabbricato–,
ma è sufficiente che ne risulti comunque
mutata la realtà strutturale e la fruibilità
urbanistica, con oneri conseguentemente
riferiti all’oggettiva rivalutazione
dell’immobile e funzionali a sopportare
l’aggiuntivo carico “socio-economico” che
l’attività edilizia comporta, anche quando
l’incremento dell’impatto sul territorio
consegua solo a marginali lavori dovuti ad
una divisione o frazionamento dell’immobile
tra più proprietari.
Quanto ai presupposti per l’insorgenza
dell’obbligo di corresponsione degli oneri
concessori, è stato ripetutamente
riconosciuto in giurisprudenza che rilevante
in tal senso è il verificarsi o meno di un
maggiore carico urbanistico quale effetto
dell’intervento edilizio, sicché non è
necessario che la ristrutturazione interessi
globalmente l’edificio –con variazioni
riguardanti nella loro interezza le parti
esterne ed interne del fabbricato–, ma è
sufficiente che ne risulti comunque mutata
la realtà strutturale e la fruibilità
urbanistica, con oneri conseguentemente
riferiti all’oggettiva rivalutazione
dell’immobile e funzionali a sopportare
l’aggiuntivo carico “socio-economico”
che l’attività edilizia comporta, anche
quando l’incremento dell’impatto sul
territorio consegua solo a marginali lavori
dovuti ad una divisione o frazionamento
dell’immobile tra più proprietari (v. Cons.
Stato, Sez. V, 03.03.2003 n. 1180; Sez. IV,
29.04.2004 n. 2611).
La circostanza, quindi, che l’intervento di
ristrutturazione edilizia del fabbricato
della società ricorrente abbia determinato
un aumento delle unità residenziali (da 8 a
11) giustifica la pretesa
dell’Amministrazione comunale, pur a fronte
di una superficie utile che per questa parte
risulta invariata, tenuto conto della
maggiore dotazione di servizi che l’opera
assentita determina nell’area in cui viene
realizzata
(TAR Emilia Romagna-Parma,
sentenza 19.02.2008 n. 100 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Fattispecie
in materia di ristrutturazione -
Oneri (calcolo).
Appare legittimo l’operato del Comune che,
in assenza di computo metrico estimativo
delle opere di ristrutturazione, ha riferito
gli oneri di urbanizzazione alla superficie
reale interessata dall’intervento,
applicando l’importo unitario al metro
quadro, previsto dalle tabelle comunali per
gli interventi di ristrutturazione, alla
superficie dichiarata dalla ricorrente
nell’istanza di condono (massima tratta da
www.studiospallino.it - TAR Lombardia-Milano,
Sez. II,
sentenza 28.01.2008 n. 225 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
OGGETTO: Contributo per il rilascio dei permesso di
costruire (artt. 16 e 19 del D.P.R. n. 380/2001).
Il Comune fa presente che “nell’anno 2002 è stata
rilasciata la Concessione Edilizia per la realizzazione di
un intervento soggetto al contributo di cui agli articoli 16
e 19 del D.P.R. n. 380/2001 e che “relativamente al costo di
costruzione l’importo da pagare è stato determinato sulla
base di apposita perizia giurata a firma del tecnico
progettista e trasmessa dal richiedente”.
Il Comune aggiunge che “a seguito di successivi
accertamenti è emersa la non corrispondenza tra le opere
oggetto di Concessione Edilizia (e successive varianti) e
quelle oggetto della richiamata perizia” e che “in
conseguenza di ciò la parte interessata ha trasmesso nuova
perizia giurata, congruente con le opere autorizzate, il cui
importo è superiore a quello stimato con la perizia
precedentemente trasmessa”.
Rileva che “quanto sopra comporta una maggiore
quantificazione del costo di costruzione da corrispondere”
al Comune e chiede pertanto se “alla maggiore somma da
richiedere all’interessato a seguito dell’applicazione
dell’aliquota del 10% all’importo delle opere, così come
rideterminato con la nuova perizia giurata, vanno applicate
le sanzioni previste dall’art. 42 del D.P.R. 380/2001” e
se sul maggiore importo così determinato vanno altresì
applicati “gli interessi”.
Comunica che l’orientamento del Capo Area Tecnica del Comune
è il seguente: “non applicazione delle sanzioni previste
all’art. 42 del D.P.R. 380/2001 in quanto gli originari
importi, anche se sulla base di un’erronea perizia giurata
inviata dall’interessato per il calcolo del costo di
costruzione, sono stati comunque corrisposti nei termini e
con le modalità indicate dall’Ente prima del rilascio della
Concessione Edilizia” e “applicazione degli interessi
al tasso legale sul maggiore importo calcolato per il
periodo che va dal rilascio della originaria Concessione
Edilizia all’attualità” (Regione Marche,
parere 10.01.2008 n. 78/2008). |
EDILIZIA PRIVATA: Applicazione
oneri di urbanizzazione.
Con richiesta in data 14.01.2008, il Comune
XXX pone un quesito in merito ad una
fattispecie concreta, relativa
all’applicazione degli oneri di
urbanizzazione.
Segnala, infatti, il Comune che una ditta
svolgente l’attività di “autonoleggio con
conducente per il trasporto di persone”,
aveva presentato presso gli Uffici Comunali
un’istanza di condono edilizio avente ad
oggetto il mutamento della destinazione
d’uso, con opere edilizie, di un capannone
agricolo in fabbricato adibito al deposito
degli automezzi –pulmini e pullman
appartenenti alla ditta in questione- con
uffici e strutture accessorie all’attività
svolta dalla predetta ditta.
In fase istruttoria, il Comune aveva
richiesto alcune integrazioni alla pratica
di condono edilizio presentata e aveva,
altresì, comunicato che “gli oneri di
urbanizzazione da corrispondere sarebbero
stati determinati considerando l’attività in
questione di tipo commerciale”.
Il titolare della ditta in oggetto,
tuttavia, ha successivamente contestato al
Comune l’applicazione degli oneri relativi
all’attività commerciale, sostenendo che
l’attività svolta nel caso concreto rientra
a pieno titolo tra le attività artigianali,
come definite dalla Legge n. 443/1985, e che
la ditta risulta iscritta all’Albo
Artigiano.
Il Comune XXX chiede, dunque, se l’attività
svolta dalla ditta in oggetto possa
effettivamente essere considerata artigiana
o non debba, piuttosto, essere ritenuta
attività commerciale, con applicazione dei
relativi oneri di urbanizzazione
(Regione Piemonte,
parere n. 2/2008 - link a www.regione.piemonte.it). |
anno 2007 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Sul ricalcolo, eventuale, del
contributo di costruzione se i lavori edili
non sono terminati nel termine concesso e
sulla restituzione del contributo di
costruzione versato e non dovuto.
Il superamento
dei termini per l’inizio e l’ultimazione dei
lavori (e la conseguenziale decadenza del
titolo edilizio precedentemente rilasciato)
non impone sempre e comunque il rimborso del
contributo rilasciato, ma è possibile il
rilascio di un nuovo titolo edificatorio che
venga ad integrare una sostanziale
continuazione dell’attività di realizzazione
già realizzata e che deve essere
accompagnato dal ricalcolo del contributo di
costruzione dovuto, solo ove se ne prospetti
la necessità e, quindi, in presenza di
particolari circostanze di fatto e
giuridiche (modifica dell’importo del
contributo) che rendano necessario procedere
ad una nuova quantificazione di quanto
dovuto a titolo di oneri concessori.
L'obbligo di
restituzione, da parte di un comune, dei
contributi di concessione non dovuti
comporta il sorgere dell'obbligazione
accessoria avente ad oggetto la
corresponsione degli interessi legali sulle
somme indebitamente percepite a partire,
presumendosi la buona fede del percettore,
dalla data di richiesta della restituzione,
ma non anche della rivalutazione monetaria,
essendo quest'ultima riconducibile alla
diversa ipotesi di inadempimento di
un'obbligazione pecuniaria (TAR Campania
Salerno, sez. II, 05.04.2006, n. 432; TAR
Lombardia Milano, sez. II, 05.05.2004, n.
1620)
(TAR Puglia-Lecce, Sez. III,
sentenza 20.12.2007 n. 4300 -
link a www.giutizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
contributo di edificazione di cui all'art. 3
l. 28.01.1977 n. 10, è strettamente connesso
al concreto esercizio della facoltà di
edificare, per cui non è dovuto in caso di
rinuncia o di mancato utilizzo della
concessione.
Il ricalcolo dei contributi di concessione è
precluso unicamente nei casi di proroga del
termini per l’inizio e la ultimazione dei
lavori di costruzione, mentre il rinnovo e
l’emissione di nuova concessione edilizia
comporta un nuovo calcolo dei contributi di
concessione nella percentuale dovuta al
momento del rilascio della concessione e
riferita al costo di costruzione vigente in
quella data.
E' alla data del rilascio della concessione
edilizia che occorre far riferimento per la
determinazione del contributo
Le controversie
sulla debenza o meno del contributo per il
rilascio di una concessione edilizia e sul
suo ammontare, devolute alla giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo
dall'art. 16 della l. 28.01.1977 n. 10 (cfr.
anche art. 4 legge 205/2000), riguardando
diritti soggettivi, non sottostanno ai
termini decadenziali propri dei giudizi
impugnatori e possono essere attivate nei
normali termini di prescrizione. Per cui, il
Comune, può attivarsi per richiedere, a
seguito di nuovi calcoli, eventuali
contributi integrativi a copertura degli
importi dovuti per contributi al costo di
costruzione o per oneri di urbanizzazione
previsti da prescrizioni normative, da
regolamenti comunali o da clausole
contrattuali.
Inoltre, è già stato sottolineato da questo
Collegio che il rilascio di una concessione
edilizia è subordinato all’esistenza delle
opere di urbanizzazione o all’impegno
dell’attuazione delle stesse. Il rilascio
della concessione edilizia presuppone,
pertanto, l’esistenza di tali opere
rispettivamente obbliga il richiedente la
concessione edilizia a corrispondere al
Comune tutti i contributi previsti appunto
da prescrizioni normative, regolamentari o
contrattuali.
Qualsiasi indicazione inerente l’avvenuto
adempimento di tali pagamenti contenuta
nella concessione edilizia rispettivamente
nella licenza d’uso (che di regola non sono
che clausole di rito) non libera il debitore
(cioè non sono da considerarsi quietanze
liberatorie di un obbligo, che soggiace
comunque unicamente ai termini
prescrizionali e non di decadenza). Resta,
pertanto, la facoltà del Comune di
richiedere entro i termini di prescrizione,
cioè, entro il periodo di dieci anni dal
rilascio della concessione edilizia,
ulteriori contributi di concessione ancora
dovuti dal concessionario.
Il contributo
di edificazione di cui all'art. 3 l.
28.01.1977 n. 10, è strettamente connesso al
concreto esercizio della facoltà di
edificare, per cui non è dovuto in caso di
rinuncia o di mancato utilizzo della
concessione (Consiglio Stato, sez. V,
12.06.1995, n. 894).
Il ricalcolo
dei contributi di concessione è precluso
unicamente nei casi di proroga del termini
per l’inizio e la ultimazione dei lavori di
costruzione, mentre il rinnovo e l’emissione
di nuova concessione edilizia comporta un
nuovo calcolo dei contributi di concessione
nella percentuale dovuta al momento del
rilascio della concessione e riferita al
costo di costruzione vigente in quella data
(Il rinnovo della concessione edilizia è
atto radicalmente diverso dalla proroga del
termine di scadenza della concessione
stessa; infatti, mentre il rinnovo della
concessione presuppone la sopravvenuta
inefficacia dell'originario titolo
concessorio e costituisce, a tutti gli
effetti, una nuova concessione, la proroga è
atto sfornito di propria autonomia che
accede all'originaria concessione ed opera
semplicemente uno spostamento in avanti del
suo termine finale di efficacia (TAR
Lazio-Roma, sez. II, 06.11.2006, n. 11809).
Costituisce
giurisprudenza pacifica che il fatto
costitutivo dell'obbligo giuridico del
titolare di una concessione edilizia di
corrispondere i relativi contributi è
rappresentato dal rilascio della
concessione, con la conseguenza che è a tale
momento che occorre aver riguardo per la
determinazione del contributo (cfr. C.d.S.,
Sez. V, 25.10.1993, n. 1071 e 06.12.1999, n.
2056, C.d.S. Sez. VI, 18.03.2004 n. 1435).
Il contributo di urbanizzazione, da pagare
all'atto del rilascio della concessione di
costruzione, ha natura contributiva,
rappresentando un corrispettivo delle spese
per la collettività si addossa per il
conferimento al privato della facoltà di
edificazione e dei vantaggi che il
concessionario ottiene per effetto della
trasformazione, mentre la quota del
contributo commisurata al costo di
costruzione ha natura tipicamente tributaria
e si configura come una vera e propria
imposta (TAR Campania Salerno, 25.02.1993,
n. 102).
Il contributo introdotto in materia edilizia
dalla legge n. 10 del 1977 ha natura di
entrata di diritto pubblico e quindi di
tributo e si classifica nella categoria dei
tributi speciali “contributi”
(Consiglio Stato, sez. V, 17.12.1984, n.
920)
(T.R.G.A. Trentino Alto Adige-Bolzano,
sentenza 04.12.2007 n. 351 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Fattispecie
in materia di ristrutturazione - Oneri di
urbanizzazione.
Costante giurisprudenza ha affermato che il
contributo per oneri di urbanizzazione ha
funzione sostitutiva delle opere di
urbanizzazione e quindi assolve alla
funzione di ridistribuire i costi sociali
delle relative opere facendole gravare sui
soggetti che ne usufruiscono.
L’entità degli oneri è correlata alla
variazione del carico urbanistico, sicché è
ben possibile che un intervento di
ristrutturazione e mutamento di destinazione
d’uso possa comportare aggravi di carico
urbanistico e quindi l’obbligo della
relativa corresponsione degli oneri (si veda
Consiglio di Stato, sez. V, n. 120 del
1991); al contrario è altrettanto possibile
che in caso di mutamento di destinazione
d’uso nell’ambito della stessa categoria
urbanistica, faccia seguito un maggior
carico urbanistico indotto dalla
realizzazione di quanto assentito e
correlativamente siano dovuti gli oneri
accessori (Tar Lombardia, Milano, sez. II,
n. 4502 del 2003).
In sostanza, il mero riferimento al
passaggio tra una destinazione all’altra
nell’ambito della stessa categoria
urbanistica non implica automaticamente la
non dovutezza degli oneri, dovendosi
accertare se non vi sia stato effettivamente
mutamento del carico urbanistico (massima
tratta da www.studiospallino.it - TAR
Lazio-Roma, Sez. II,
sentenza 14.11.2007 n. 11213 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Non sono assoggettabili al
contributo commisurato al costo di
costruzione i parcheggi obbligatori ai sensi
dell'art. 18 della legge 06.08.1967 n. 765.
In sede di
rilascio della concessione edilizia, non
sono assoggettabili al contributo
commisurato al costo di costruzione i
parcheggi obbligatori ai sensi dell'art. 18
della legge 06.08.1967 n. 765 (Sez. V, sent.
n. 987 del 14-10-1992, Comune di Milano c.
Soc. Naver Immobiliare) che ha aggiunto
l’art. 41-sexies poi sostituito dall’art. 2
citato: ”Nelle nuove costruzioni ed anche
nelle aree di pertinenza delle costruzioni
stesse, debbono essere riservati appositi
spazi per parcheggi in misura non inferiore
ad un metro quadrato per ogni 10 metri cubi
di costruzione”
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 22.10.2007 n. 3336 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Modalità
aggiornamento oneri di urbanizzazione.
Il Comune XXX ha proposto al Servizio di
consulenza regionale alcuni quesiti
attinenti alle procedure ed alle modalità di
aggiornamento degli oneri di urbanizzazione
primaria e secondaria da parte del Comune,
aggiornamento previsto dall’art. 16, c. VI,
D.P.R. 06.06.2001 n. 380 (T.U. Edilizia).
In particolare i quesiti riguardano:
- l’individuazione dell’organo comunale
deputato all’aggiornamento quinquennale
degli oneri di urbanizzazione;
- la possibilità di introdurre riduzioni
degli oneri di urbanizzazioni oltre ai casi
espressamente contemplati dalle leggi
statali;
- l’eventuale possibilità, per il Comune, di
dotarsi di regolamento disciplinante il
contributo di costruzione.
Inoltre, il Comune XXX chiede chiarimenti in
merito alla procedura per la modifica del
regolamento edilizio imposta dalla D.C.R. 11
gennaio 2007 n. 98-1247, punto 1.3.
dell’"allegato” (Regione Piemonte,
parere n.
76/2007 - link a
www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
OGGETTO: Applicazione dell’art. 9, primo comma, lett. d),
della legge 28.01.1977, n. 10 (ora art. 17, comma 3, lett.
b) del D.P.R. 06.06.2001, n. 380).
Il Comune fa notare che la quinta sezione del Consiglio di
Stato ha pronunciato la decisione n. 9672 del 1998 (rectius:
n. 6289 dei 2004), che allega in copia, con la quale si è “dato
ragione ad un comune che aveva imposto il pagamento del
contributo di costruzione per un intervento di
ristrutturazione su un edificio ex agricolo, unifamiliare,
senza alcun incremento di unità immobiliari”.
Il Comune ritiene che l’intervento oggetto del contendere
avrebbe dovuto essere esente dal contributo di costruzione,
così come disposto dall’art. 17, comma 3, lett. b), del
D.P.R. 06.06.2001, n. 380 (già art. 9, primo comma, lett.
d), della legge 28.01.1977, n. 10).
Chiede quindi, alla luce della predetta decisione del
Consiglio di Stato, “quali indirizzi intraprendere per
interventi analoghi” e, “in particolare se il cambio
di destinazione da ex utilizzo “agricolo” dell’immobile
inteso quale vecchia abitazione del colono, ad edificio
“residenziale”, determina o meno un provvedimento oneroso
anche nel caso in cui l’intervento, pur prevedendo
l’estensione dei locali uso abitativo anche al piano terra,
mantiene un uso unifamiliare” (Regione Marche,
parere 05.06.2007 n. 54/2007). |
EDILIZIA PRIVATA:
Gli oneri di urbanizzazione ed il
costo di costruzione differiscono
solamente per le modalità di adempimento,
mentre invece coincidono quanto al momento
che determina la nascita della obbligazione,
ancorata, in ambedue i casi, alla data del
rilascio della concessione edilizia.
Tale conclusione da un lato esclude che
possano essere applicate tabelle
parametriche diverse da quelle vigenti a
quel momento, ma esclude altresì la
possibilità per la Amministrazione che abbia
erroneamente determinato l’ammontare del
contributo di richiedere al privato
successivamente un importo a titolo di
conguaglio.
Costituisce orientamento consolidato della
giurisprudenza la affermazione che il
contributo di urbanizzazione ex art. 11,
secondo comma, della L. 28.01.1977 n. 10
deve essere determinato al momento del
rilascio della concessione ed è quindi a
tale momento che occorre avere riguardo per
la determinazione della entità del
contributo facendo perciò applicazione della
normativa vigente al momento del rilascio
del provvedimento concessorio (Sez. V
25.10.1993 n. 1071, 12.07.1996 n. 850,
06.12.1999 n. 2058, Sez. IV 19.07.2004 n.
5197).
Da tale affermazione di principio è stato
tratto il corollario della irretroattività
delle determinazioni comunali a carattere
regolamentare con cui vengono stabiliti i
criteri generali e le nuove tariffe e/o
modalità di calcolo per gli oneri di
urbanizzazione ribadendosi l’integrale
applicazione del principio tempus regit
actum e quindi la irrilevanza ed
ininfluenza di disposizioni tariffarie
sopravvenute (anche se di poco) rispetto al
momento del rilascio della concessione
edilizia (C.G.A.R.S. 07.08.2003 n. 289).
- - - - - - - - - -
Invero è
pacifico tra le parti che l’importo è stato
determinato dal Comune all’atto del rilascio
della concessione senza alcuna riserva di
successivo conguaglio e che tale importo è
stato integralmente corrisposto.
In proposito va osservato che l’articolo 11
della L. 10/1977 recepito dall’art. 1 della
legge regionale 71/1978 (applicabile
ratione temporis) stabilisce al primo e
secondo comma che il contributo di
urbanizzazione è corrisposto all’atto del
rilascio della concessione salvo scomputo
secondo modalità da concordare, mentre il
contributo concernente il costo di
costruzione, determinato con riferimento
alla data del rilascio, può essere
corrisposto in corso d’opera secondo
determinate modalità e garanzie.
Risulta quindi testualmente stabilito che le
due tipologie di contributi possono
differire solo per le modalità di
adempimento, mentre invece coincidono quanto
al momento che determina la nascita della
obbligazione, ancorata, in ambedue i casi,
alla data del rilascio della concessione
edilizia.
Tale conclusione da un lato esclude che
possano essere applicate tabelle
parametriche diverse da quelle vigenti a
quel momento, ma esclude altresì la
possibilità per la Amministrazione che abbia
erroneamente determinato l’ammontare del
contributo di richiedere al privato
successivamente un importo a titolo di
conguaglio.
In effetti, richiamando il carattere delle
controversie de quibus di cui è
pacificamente riconosciuta la natura
paritetica, appare difficilmente sostenibile
che la Amministrazione, in sede di
autotutela, possa richiedere a conguaglio
somme da essa erroneamente non pretese nel
momento in cui l’Amministrazione stessa
procedeva a determinare il quantum
della obbligazione a carico del privato.
In linea più generale va infatti
riconosciuto che l’esercizio dell’autotutela
in vicende aventi ad oggetto non tanto la
legittimità degli atti, quanto il rapporto
di credito e debito derivante dalla
applicazione di una determinata normativa,
non può non risultare condizionato dalle
disposizioni di carattere civilistico che
disciplinano il sorgere modificarsi ed
estinguersi dei reciproci diritti ed
obblighi.
Se infatti è esatto che in tali vicende
l’Amministrazione, pur rimanendo depositaria
di pubblici interessi, interviene tuttavia
senza esercitare poteri autoritativi, ma
alla stessa stregua di un soggetto privato,
ne consegue che anche la classica autotutela
amministrativa può trovare cittadinanza solo
compatibilmente con il regime paritetico nel
quale l’Amministrazione stessa opera.
Tale principio risulta già sostanzialmente
riconoscibile nella giurisprudenza attuale
in materia di ripetizione di somme
corrisposte erroneamente a pubblici
dipendenti. La affermazione che in tal caso
l’interesse pubblico è in re ipsa e
che non occorre alcuna specifica motivazione
corrisponde in realtà al principio
civilistico che, all’art. 2033 c.c.,
disciplina l’indebito oggettivo (cfr., in
questo senso, C.d.S.,VI, 10.02.1999, n. 120;
C.d.S., VI, 20.02.2002, n. 1045; C.d.S., V,
14.05.2003, n. 2560; C.d.S., V, 23.03.2004,
n. 1535; C.d.S., 23.11.2004, n. 7680).
Nel caso di specie la situazione appare
rovesciata in quanto l’Amministrazione non
ha erroneamente corrisposto una somma
superiore rispetto a quanto era tenuta a
versare, bensì ha richiesto una somma
inferiore rispetto a quanto aveva il potere
di esigere.
Applicando a questa fattispecie i canoni
civilistici si premette innanzitutto che ai
sensi del citato articolo 11 della legge
10/1977 la determinazione dell’obbligazione
pecuniaria era a carico esclusivamente
dell’Amministrazione creditrice.
Si premette altresì che l’Amministrazione,
ancorché erroneamente, ha tuttavia
unilateralmente determinato l’importo che
poi è stato richiesto al privato e da questi
integralmente soddisfatto.
Sul piano strettamente civilistico il
pagamento rappresenta peraltro la modalità
principale di estinzione delle obbligazioni,
salva la possibile rilevanza ostativa di una
causa di violenza, dolo o errore. Escluse le
prime due categorie, l’unica che, in
ipotesi, potrebbe venire in considerazione è
l’errore, la cui disciplina, peraltro, così
come enucleabile dagli artt. 1427 e segg.
del codice civile, non sembrerebbe
attagliarsi alla posizione
dell’Amministrazione in veste di creditore.
L’errore infatti per acquisire rilevanza in
tema di adempimento delle obbligazioni
dovrebbe rivestire i caratteri della
essenzialità e della riconoscibilità.
Quanto alla riconoscibilità (art. 1431
c.c.), è lecito dubitare della ricorrenza di
tale carattere considerando che la
determinazione del contenuto
dell’obbligazione incombe
all’Amministrazione ed in particolare
all’ente locale territoriale che
istituzionalmente provvede alla disciplina
dei criteri generali ed all’applicazione
concreta dei medesimi alle singole
fattispecie.
In tale situazione, salvo casi macroscopici
di evidenza ictu oculi, non
ricorrenti nella fattispecie in esame, è
difficile ipotizzare che l’eventuale errore
dell’Amministrazione sia riconoscibile dal
privato il quale, del tutto naturalmente,
viene indotto a prestare affidamento alla
correttezza dell’autoliquidazione del
proprio credito da parte della stessa
Amministrazione creditrice.
Infine, non va dimenticato che la
giurisprudenza, sia civile che
amministrativa, sottolinea come in generale
la riconoscibilità dell’errore deve essere
oggettiva e quindi percepibile da qualsiasi
terzo, il che si verifica quando l’errore
cada sulla esistenza di un fatto.
La riconoscibilità non potrebbe invece avere
carattere soggettivo e riferirsi ad errori
di valutazione o di apprezzamento (sia di
fatti che della portata di norme giuridiche)
perché ciò implicherebbe valutazioni
soggettive non obiettivamente percepibili da
terzi (v. Cass. Sez. Un. 08.01.1981 n. 180,
Cass. 01.03.1995 n. 2340, 29.08.1996 n.
7626, C.d.S. Sez. VI 21.05.2001 n. 2807).
Non sembra dubbio che nel caso di specie
l’errore consista, se mai, nel valutare in
un certo modo la applicabilità temporale di
determinate disposizioni.
D’altra parte, va altresì considerato che
nella specie l’errore in cui è incorsa
l’Amministrazione non è un errore di fatto o
un errore di calcolo ex art. 1430 c.c.,
bensì un tipico errore di diritto
consistente nell’applicazione (per gli oneri
di urbanizzazione) di tariffe relative ad un
periodo antecedente rispetto a quelle
applicabili, ovvero nel riconoscimento (per
il costo di costruzione) di un abbattimento
percentuale delle medesime, abbattimento non
più applicabile ratione temporis.
Orbene, com’è noto, la disciplina
dell’errore di diritto è valutata con minore
favore dal legislatore civilistico poiché
tale errore rileva, ex art. 1429 n. 4 c.c.,
solo allorché sia stato la ragione unica o
principale del contratto.
Nella specie ciò non appare predicabile,
essendo evidente che la ragione determinante
dell’obbligazione risiede da un lato
nell’interesse pubblico generale ad una
corretta urbanizzazione del territorio e,
dall’altro, all’interesse privato
particolare della realizzazione dello
sfruttamento edilizio della proprietà
fondiaria.
Esclusa quindi la rilevanza dell’errore, sia
perché non riconoscibile sia perché comunque
non essenziale, e sottolineato ancora una
volta che la determinazione dell’ammontare
dell’obbligazione è posta dalla legge a
carico dell’Amministrazione creditrice, ne
discende che la medesima rimane vincolata al
contenuto della propria manifestazione di
volontà a titolo di autoresponsabilità per
l’affidamento incolpevole ingenerato nel
soggetto obbligato.
Con l’ulteriore conseguenza che se
l’obbligato adempie in buona fede (rectius:
senza poter ragionevolmente riconoscere
l’errore in cui eventualmente sia incorsa
l’Amministrazione che ha operato la
liquidazione del quantum debeatur)
l’obbligazione richiestagli, l’esatto
adempimento, alla stregua dei principi
generali, estingue defi-nitivamente
l’obbligazione.
L’appellante, peraltro, a sostegno della
propria tesi richiama due precedenti della
Sez. V 25.04.1966 n. 426 e 06.05.1997 n.
458.
Nel primo di questi il potere di revisione
nella materia de qua viene
apoditticamente ricondotto al generale
potere di autotutela e ciò indipendentemente
dalla sopravvenuta conoscenza di nuovi
elementi o dalla insorgenza di nuovi fatti.
Nella specie la Amministrazione aveva
erroneamente sottovalutato la capacità
inquinante di un impianto industriale.
Nella seconda decisione il tema è stato
invece affrontato con maggiore
approfondimento sistematico.
- - - - - - - - - -
Dopo aver richiamato il precedente della
Sezione dianzi citato, la decisione 458/1997
afferma che, in base alla lettera ed alla
ratio dell’art. 11 L. 10/1977 “il
momento in cui viene rilasciata al
concessione individua il termine ultimo di
pagamento del contributo, ma non già il
tempo oltre il quale resterebbe preclusa
all’Amministrazione comunale la facoltà di
stabilire o rideterminare la misura del
credito”.
Ciò premesso, la decisione prosegue negando
che nella materia de qua sia
possibile applicare in via analogica
principi dettati in materia pensionistica.
Assume poi che nel settore fiscale non
sarebbero ricavabili principi ostativi al
potere di revisione del contributo in
autotutela, come sarebbe dimostrato dai
poteri di accertamento e rettifica
attribuiti alla Amministrazione e la cui
limitazione, con termini di decadenza più o
meno brevi, sarebbe bilanciato anche da
brevi termini di decadenza a carico del
contribuente per le corrispondenti
impugnative.
La decisione, quindi, rilevato che la
giurisprudenza qualifica come paritetico
l’atto con cui viene richiesto il contributo
ed ammette l’interessato a contestarne
l’importo nel termine ordinario di
prescrizione afferma che, coerentemente,
analogo potere dovrebbe essere riconosciuto
all’Amministrazione. Se poi si volesse
individuare un termine decadenziale a carico
dell’Amministrazione lo stesso dovrebbe, se
mai, essere ricercato per analogia e
potrebbe essere ricavato dal limite
prescrizionale di 36 mesi posto dall’art. 35
della L. 47/1985 al potere
dell’Amministrazione di chiedere il
conguaglio in relazione alle domande di
concessione in sanatoria.
Le tesi esposte nella anzidetta decisione,
benché acutamente sostenute, non appaiono
peraltro al Collegio completamente
soddisfacenti.
Innanzitutto la vicenda va precisata nei
suoi termini concreti.
I contributi di cui all’articolo 11 della L.
10/1977, ed all’art. 1 della L.R. 71/1978, a
differenza di altre fattispecie normative,
non vengono determinati in via
dichiaratamente provvisoria al momento della
domanda dell’interessato e quindi non sono
necessariamente richiesti salvo conguaglio,
come ad esempio nella fattispecie della
domanda di concessione in sanatoria (art. 35
L. 47/1995).
La determinazione dei contributi de
quibus è stato infatti collocato
temporalmente dal legislatore al termine di
un lungo e complesso procedimento che prende
le mosse da una dettagliata e circostanziata
domanda del privato, cui fa seguito una
complessa istruttoria da parte
dell’Amministrazione, nel corso della quale
l’Amministrazione stessa può chiedere
all’interessato tutti i chiarimenti e gli
ulteriori elementi di cui abbia bisogno.
Il momento del rilascio della concessione
non è quindi equiparabile sotto nessun
profilo al momento della domanda di
concessione in sanatoria. In quest’ultimo
caso l’Amministrazione si trova di fronte ad
una attività già posta in essere dal
richiedente e ad una richiesta di
legittimazione a posteriori di tale attività
e non può quindi che riservarsi ad un
momento futuro il controllo sulla
corrispondenza tra il fatto compiuto e la
domanda.
Del tutto diversa è la situazione della
concessione in via ordinaria in cui si
tratta di legittimare una attività allo
stato ancora inesistente ed in cui
l’Amministrazione, prima di rimuovere
l’ostacolo a tale attività, ha il potere ed
il dovere di verifica e di accertamento
sotto ogni profilo della legittimità della
richiesta del privato.
Così inquadrata la fattispecie sembra più
agevole dedurne le conseguenze ai fini che
qui interessano.
Innanzitutto il collegamento normativo tra
momento del rilascio della concessione e
determinazione dei contributi evidenzia il
parallelismo tra la attività di controllo e
verifica operata dalla Amministrazione
innanzitutto sulla domanda concessoria del
privato, e, in concomitanza, sul
corrispondente ammontare dei contributi che
di conseguenza il richiedente è tenuto a
corrispondere all’atto del rilascio del
titolo abilitativo.
Se ciò è esatto, sembrerebbe che il
legislatore, quanto meno a regime, abbia
riconosciuto all’Amministrazione il potere
ed il corrispondente dovere di effettuare il
controllo e la verifica e di stabilire il
quantum dovuto preventivamente al
rilascio della concessione.
Pertanto non sembra del tutto convincente la
affermazione contenuta nella citata
decisione della Sez. V n. 458/1997 secondo
cui l’art. 11 disciplinerebbe soltanto il
momento del pagamento del contributo al fine
di consentire al Comune la realizzazione
delle opere di urbanizzazione.
In proposito il Collegio osserva
innanzitutto che il pagamento del contributo
al Comune presuppone necessariamente la
predeterminazione del quantum e non
può ovviamente essere effettuato se non a
seguito della anzidetta previa
determinazione.
Tale determinazione, d’altro canto, non può
essere effettuata altro che dal Comune
medesimo.
Il secondo comma dell’art. 11 relativo al
contributo stabilisce infatti che “la
quota … è determinata all’atto del rilascio
della concessione ed è corrisposta nel corso
d’opera”.
Per il contributo relativo ad oneri di
urbanizzazione il primo comma dell’art. 11
si limita invece a stabilire che “la
quota … è corrisposta al Comune all’atto del
rilascio della concessione”.
Dalla differente dizione letterale non
sembra peraltro condurre a ritenere un
regime differenziato tra il contributo per
costo di costruzione e quello per oneri di
urbanizzazione.
In ambedue i casi l’importo dovuto dal
privato deve essere predeterminato
dall’Amministrazione.
Ciò risulta in modo inequivocabile dal
rinvio operato nel primo e secondo comma
dell’art. 11 rispettivamente ai precedenti
articoli 5 e 6 rubricati “Determinazione
degli oneri di concessione” e “Determinazione
del costo di costruzione”.
Pertanto il Collegio ritiene che da una
esegesi sistematica del primo e secondo
comma dell’art. 11, in relazione anche ai
precedenti articoli 5 e 6, risulti che il
legislatore abbia voluto disporre che la
Amministrazione, prima di rilasciare la
concessione, determini gli oneri da porre a
carico al privato e ne richieda il pagamento
integrale al momento del rilascio del titolo
abilitativo, salve le ipotesi di
rateizzazione o scomputo espressamente
previste dal primo e secondo comma del
medesimo articolo 11 L. 10/1977 (v. C.d.S.
Sez. VI 18.03.2004 n. 1435, C.d.S. Sez. V
13.03.2003 n. 3332), ovvero salvo espressa
riserva di conguaglio (C.G.A. parere SS.RR.
392/1995 e Sez. Giur. 131/1996) riserva
nella specie peraltro inesistente.
Pertanto, contrariamente a quanto ritenuto
nella decisione invocata dall’appellante, in
questo caso la verifica, l’accertamento e la
determinazione del debito a carico del
privato non è posposta dalla legge al
pagamento di un importo provvisorio, ma, al
contrario, è testualmente collocata in un
momento anteriore e cioè in concomitanza,
come già osservato, con il controllo e la
verifica della domanda di concessione
edilizia rispetto alla quale costituisce un
corollario consequenziale e ne presuppone,
di regola, la determinazione del quantum in
via definitiva (CGARS,
sentenza
18.05.2007 n. 365 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Sono
esenti dal versamento degli oo.uu. quelle
superfici necessarie alla realizzazione
delle sale cinematografiche ivi compresa la
volumetria per gli ingressi, le uscite, le
biglietterie, i servizi igienici e le cabine
di proiezione.
Non sono, invece, esentate dal pagamento
degli oneri concessori gli altri locali
contestualmente realizzati e destinati al
tempo libero e quelli comunque a
destinazione promiscua con dette ulteriori
attività nonché quelli diretti ad offrire un
ulteriore servizio a favore degli spettatori
o per lo svolgimento di un’attività
commerciale o di ristorazione ma non
strettamente necessari per l’attività
cinematografica.
L’articolo 20, comma settimo, del D.L.
14.01.1994, n. 26, convertito in legge
01.03.1994, n. 153, precisa che “ai fini
del rilascio delle concessioni edilizie, la
volumetria necessaria per la realizzazione
di sale cinematografiche non concorre alla
determinazione della volumetria complessiva
in base alla quale sono calcolati gli oneri
di concessione”.
Nel caso in esame, dalla documentazione
prodotta in atti dalla parte, risultano,
invece, corrisposti, perché pretesi dal
Comune, gli oneri per l’intera superficie
dell’intervento edilizio.
Il Comune, pertanto, dovrà restituire
l’importo percepito in eccedenza, in
violazione della citata normativa.
A tal fine il Comune dovrà scomputare dalla
superficie complessiva dell’intervento
quelle necessarie alla realizzazione delle
sale cinematografiche ivi compresa la
volumetria per gli ingressi, le uscite, le
biglietterie, i servizi igienici e le cabine
di proiezione.
Non sono, invece, esentate dal pagamento
degli oneri concessori gli altri locali
contestualmente realizzati e destinati al
tempo libero e quelli comunque a
destinazione promiscua con dette ulteriori
attività nonché quelli diretti ad offrire un
ulteriore servizio a favore degli spettatori
o per lo svolgimento di un’attività
commerciale o di ristorazione ma non
strettamente necessari per l’attività
cinematografica (TAR per la Campania–Napoli,
sez. 4^, n. 10364 del 09.06.2004)
(TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. II,
sentenza 04.05.2007 n. 444 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Sull'(illegittimo) artificioso frazionamento di
un intervento edilizio in più interventi (susseguentesi nel
tempo) per non versare il contributo di costrizione.
Con successiva censura,
contenuta nell’unico motivo di cui al ricorso introduttivo e
riproposta con i motivi aggiunti depositati il 23.06.2006, la ricorrente, con riferimento alla DIA del 14.12.2005 (P.E. n. 85/05), si duole del fatto che gli
interventi siano stati qualificati dal Comune resistente di
ristrutturazione edilizia e soggetti, quindi, al pagamento
dei relativi contributi determinati in euro 112.076,65.
La doglianza non è fondata.
Al riguardo, è necessario precisare quanto segue:
- il complesso produttivo di che trattasi (ex Fantic Motor)
era, a suo tempo, costituito da un’unica unità immobiliare
che la ricorrente ha sottoposto, nel tempo, a vari
interventi di natura edilizia;
- nel maggio 2004, la società deducente ha chiesto il
rilascio del permesso di costruire (P.E. n. 40/2004) –negato
dal Comune- per la ristrutturazione e l’ampliamento del
complesso industriale di che trattasi con l’intenzione di
dividerlo in due unità immobiliare;
- successivamente, nel luglio 2005, la ricorrente ha
presentato una nuova denuncia di inizio attività (P.E. n.
46/2005), sempre relativamente all’intero complesso
industriale, qualificando le relative opere, in parte, di
ristrutturazione e, per il resto, di manutenzione
straordinaria e ha, di conseguenza, determinato i relativi
contributi da corrispondere al Comune resistente. In ragione
di ciò, la deducente ha stipulato, con il Comune interessato
ai sensi dell’art. 35 delle NTA, una convenzione con la
quale si è obbligata, tra l’altro, a realizzare opere di
urbanizzazione primaria (lavori di collegamento dell’intero
quartiere produttivo con la strada provinciale Briantea 342
Como–Bergamo) per un importo di euro 45.094,84;
- il Comune resistente, tuttavia, con nota n. 6068 del 22.07.2005, ha sospeso l’esecuzione degli interventi cui
alla predetta DIA (P.E. n. 46/2005) sul presupposto che le
opere, considerate nel loro insieme, avrebbero dovuto essere
qualificate di ristrutturazione edilizia e non di
manutenzione straordinaria;
- in ragione di ciò, la ricorrente ha presentato una nuova
DIA qualificando le opere in argomento di ristrutturazione
edilizia e di ampliamento eliminando, quindi, il riferimento
alla “manutenzione straordinaria”;
- le opere di che trattasi non sono state completate dalla
ricorrente la quale, nel dicembre 2005, ha depositato due
nuove DIA (P.E. n. 84/2005 e n. 85/2005), sostitutive della
precedente P.E. n. 46/2005, consistente la prima (n. 84/2005) in
opere di ristrutturazione edilizia e di ampliamento del c.d.
lotto B e la seconda (n. 85/2005) di manutenzione
straordinaria del lotto A;
- le opere relative alla P.E. n. 85/2005, consistenti nella
chiusura di un terrapieno e nella demolizione di tavolati
per la formazione di un servizio igienico, sono le stesse di
cui alla precedente pratica n. 46/2005 (comprendente anche le
opere di ristrutturazione ed ampliamento ora confluite nella P.E. n. 84/2005) che, come detto, non è stata portata a
compimento dalla ricorrente.
Ciò premesso in fatto, il Collegio è dell’avviso che la
qualificazione effettuata dal Comune resistente secondo cui
le opere di che trattasi vanno ricomprese nella nozione di
“ristrutturazione edilizia” sia corretta in quanto non
risulta smentito che la ricorrente, con la presentazione in
data 14.12.2005 della DIA in variante, ha inteso
“frammentare” i singoli interventi che, con la P.E. n.
46/2005, erano stati previsti e presentati in maniera
unitaria.
Ciò che, infatti, non è revocabile in dubbio, nel caso in
esame, è che la ricorrente, attraverso una serie di
interventi (da considerare nella loro unitarietà visto anche
l’effetto che hanno determinato sul complesso industriale di
che trattasi), ha suddiviso in due corpi distinti l’unità
immobiliare “ex Fantic Motor” portando ad un organismo
edilizio diverso da quello originario, anche se destinato
alla stessa funzione produttiva.
La ricorrente, se l’analisi delle opere in argomento non
viene limitata ai soli interventi di cui alla P.E. n. 85/2005,
intende invero realizzare interventi che interessano
l’intero immobile attraverso l’abbattimento dei muri
perimetrali esterni, di quelli divisori interni, delle porte
e delle finestre ivi esistenti che, insieme, alle opere di
minore impatto sul complesso immobiliare (quelle cioè di cui
alla P.E. n. 85/2005, ovvero chiusura di un terrapieno e
demolizione di tavolati per la formazione di un servizio
igienico), non possono che rientrare nella nozione di
“ristrutturazione edilizia”.
L’eventuale scorporo degli interventi su una parte di
immobile da quelli riguardanti altre parti dello stesso
complesso produttivo e facenti parte di un progetto unico
non può comportare la diversa qualificazione delle opere di
che trattasi; tali interventi devono essere, infatti, visti
in una prospettiva unitaria in quanto l’artificiosa
frammentazione delle opere da realizzare sul complesso di
che trattasi comporterebbe l’elusione della normativa che
qualifica gli interventi edilizia e giustifica il
conseguente assoggettamento a contribuzione in favore del
Comune interessato.
Ciò posto, le opere realizzate dalla ricorrente vanno
annoverate negli interventi di ristrutturazione edilizia di
cui all’art. 27, comma 1, lett. d), della L.R. 12/2005,
rivolti cioè a trasformare l’immobile di che trattasi
mediante un insieme di opere che portano ad un organismo in
tutto o in parte diverso dal precedente e del quale non
rispettano gli elementi tipologici, formali e strutturali
come nel caso di opere annoverabili nella nozione della
manutenzione straordinaria
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 17.04.2007 n. 1775 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
concessione edilizia deve precisare
l’importo degli eventuali oneri di
urbanizzazione e costo di costruzione da
versare per consentire all’interessato una
consapevole valutazione dell’onere
finanziario che va ad affrontare.
Il C.G.A.R.S., con sentenza n. 235 del
05.07.1996, ha avuto modo di affermare che “il
provvedimento amministrativo che facoltizza
il privato all’esercizio di una attività
economica subordinatamente all’effettuazione
di una controprestazione pecuniaria deve
precisare l’importo di tale
controprestazione, per consentire
all’interessato una consapevole valutazione
dell’onere finanziario che va ad
affrontare...” ed ha ritenuto legittima
la rideterminazione retroattiva degli oneri
di urbanizzazione applicabili alle
concessioni recanti la clausola “salvo
conguaglio” ed invece illegittima la
rideterminazione retroattiva del costo di
costruzione non preventivamente accettata
dall’interessato
(TAR Sicilia-Palermo, Sez. I,
sentenza 07.03.2007 n. 726 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Va
esclusa la possibilità di applicare tabelle
parametriche diverse da quelle vigenti al momento
di rilascio della concessione edilizia, ma
va esclusa altresì la
possibilità per la Amministrazione -che abbia
erroneamente determinato l’ammontare del
contributo- di richiedere al privato,
successivamente, un importo a titolo di
conguaglio.
Costituisce inoltre orientamento consolidato
della giurisprudenza la affermazione che il
contributo di urbanizzazione ex art. 11,
secondo comma, della L. 28.01.1977 n. 10
deve essere determinato al momento del
rilascio della concessione ed è quindi a
tale momento che occorre avere riguardo per
la determinazione della entità del
contributo facendo perciò applicazione della
normativa vigente al momento del rilascio
del provvedimento concessorio (sez. V 25.10.1993 n. 1071, 12.07.1996 n. 850,
06.12.1999 n. 2058, sez. IV 19.07.2004 n. 5197).
Da tale affermazione di principio è stato
tratto il corollario della irretroattività
delle determinazioni comunali a carattere
regolamentare con cui vengono stabiliti i
criteri generali e nuove tariffe e/o
modalità di calcolo per gli oneri di
urbanizzazione ribadendosi l’integrale
applicazione del principio tempus regit
actum e quindi la irrilevanza ed ininfluenza
di disposizioni tariffarie sopravvenute
(anche se di poco) rispetto al momento del
rilascio della concessione edilizia (C.G.A.
07.08.2003 n. 289).
- - - - - - - - - -
E'
pacifico tra le parti che l’importo è stato
determinato dal Comune all’atto del rilascio
della concessione senza alcuna riserva di
successivo conguaglio e che tale importo è
stato integralmente corrisposto.
In proposito va osservato che l’articolo 11
della L. 10/1977 recepito dall’art. 1 della
legge regionale 71/1978 (applicabile
ratione temporis) stabilisce al primo e
secondo comma che il contributo di
urbanizzazione è corrisposto all’atto del
rilascio della concessione salvo scomputo
secondo modalità da concordare, mentre il
contributo concernente il costo di
costruzione, determinato con riferimento
alla data del rilascio, può essere
corrisposto in corso d’opera secondo
determinate modalità e garanzie.
Risulta quindi testualmente stabilito che le
due tipologie di contributi possono
differire solo per le modalità di
adempimento, mentre invece coincidono quanto
al momento che determina la nascita della
obbligazione, ancorata, in ambedue i casi,
alla data del rilascio della concessione
edilizia.
Tale conclusione da un lato esclude che
possano essere applicate tabelle
parametriche diverse da quelle vigenti a
quel momento, ma esclude altresì la
possibilità per la Amministrazione che abbia
erroneamente determinato l’ammontare del
contributo di richiedere al privato
successivamente un importo a titolo di
conguaglio.
In effetti, richiamando il carattere delle
controversie de quibus di cui è
pacificamente riconosciuta la natura
paritetica, appare difficilmente
sostenibile che la Amministrazione, in sede
di autotutela, possa richiedere a conguaglio
somme da essa erroneamente non pretese nel
momento in cui l’Amministrazione stessa
procedeva a determinare il quantum della
obbligazione a carico del privato.
In linea più generale va infatti
riconosciuto che l’esercizio dell’autotutela
in vicende aventi ad oggetto non tanto la
legittimità degli atti, quanto il rapporto
di credito e debito derivante dalla
applicazione di una determinata normativa,
non può non risultare condizionato dalle
disposizioni di carattere civilistico che
disciplinano il sorgere modificarsi ed
estinguersi dei reciproci diritti ed
obblighi.
Se infatti è esatto che in tali vicende
l’Amministrazione, pur rimanendo depositaria
di pubblici interessi, interviene tuttavia
senza esercitare poteri autoritativi, ma
alla stessa stregua di un soggetto privato,
ne consegue che anche la classica autotutela
amministrativa può trovare cittadinanza solo
compatibilmente con il regime paritetico nel
quale l’Amministrazione stessa opera.
Tale principio risulta già sostanzialmente
riconoscibile nella giurisprudenza attuale
in materia di ripetizione di somme
corrisposte erroneamente a pubblici
dipendenti. La affermazione che in tal caso
l’interesse pubblico è in re ipsa e che non
occorre alcuna specifica motivazione
corrisponde in realtà al principio
civilistico che, all’art. 2033 c.c.,
disciplina l’indebito oggettivo (cfr., in
questo senso, C.d.S., VI, 10.02.1999, n. 120;
C.d.S., VI, 20.02.2002, n. 1045; C.d:S., V,
14.05.2003, n. 2560; C.d.S., V, 23.03.2004, n.
1535; C.d.S., 23.11.2004, n. 7680).
Nel caso di specie la situazione appare
rovesciata in quanto l’Amministrazione non
ha erroneamente corrisposto una somma
superiore rispetto a quanto era tenuta a
versare, bensì ha richiesto una somma
inferiore rispetto a quanto aveva il potere
di esigere.
Applicando a questa fattispecie i canoni
civilistici si premette innanzitutto che ai
sensi del citato articolo 11 della legge
10/1977 la determinazione dell’obbligazione
pecuniaria era a carico esclusivamente
dell’Amministrazione creditrice.
Si premette altresì che l’Amministrazione,
ancorché erroneamente, ha tuttavia
unilateralmente determinato l’importo che
poi è stato richiesto al privato e da questi
integralmente soddisfatto.
Sul piano strettamente civilistico il
pagamento rappresenta peraltro la modalità
principale di estinzione delle obbligazioni,
salva la possibile rilevanza ostativa di una
causa di violenza, dolo o errore. Escluse le
prime due categorie, l’unica che, in
ipotesi, potrebbe venire in considerazione è
l’errore, la cui disciplina, peraltro, così
come enu-cleabile dagli artt. 1427 e segg.
del codice civile, non sembrerebbe
attagliarsi alla posizione
dell’Amministrazione in veste di creditore.
L’errore infatti per acquisire rilevanza in
tema di adempimento delle obbligazioni
dovrebbe rivestire i caratteri della
essenzialità e della riconoscibilità.
Quanto alla riconoscibilità (art. 1431
c.c.), è lecito dubitare della ricorrenza
di tale carattere considerando che la
determinazione del contenuto
dell’obbligazione incombe
all’Amministrazione ed in particolare
all’ente locale territoriale che
istituzionalmente provvede alla disciplina
dei criteri generali ed all’applicazione
concreta dei medesimi alle singole
fattispecie.
In tale situazione, salvo casi macroscopici
di evidenza ictu oculi, non
ricorrenti nella fattispecie in esame, è
difficile ipotizzare che l’eventuale errore
dell’Amministrazione sia riconoscibile dal
privato il quale, del tutto naturalmente,
viene indotto a prestare affidamento alla
correttezza dell’autoliquidazione del
proprio credito da parte della stessa
dell’Amministrazione creditrice.
Infine, non va dimenticato che la
giurisprudenza, sia civile che
amministrativa, sottolinea come in generale
la riconoscibilità dell’errore deve essere
oggettiva e quindi percepibile da qualsiasi
terzo, il che si verifica quando l’errore
cada sulla esistenza di un fatto.
La riconoscibilità non potrebbe invece avere
carattere soggettivo e riferirsi ad errori
di valutazione o di apprezzamento (sia di
fatti che della portata di norme giuridiche)
perché ciò implicherebbe valutazioni
soggettive non obiettivamente percepibili da
terzi (v. Cass. Sez. Un. 08.01.1981 n.
180, Cass. 01.03.1995 n. 2340, 29.08.1996 n. 7626, C.d.S. sez. VI 21.05.2001
n. 2807).
Non sembra dubbio che nel caso di specie
l’errore consista, se mai, nel valutare in
un certo modo la applicabilità temporale di
determinate disposizioni.
D’altra parte, va altresì considerato che
nella specie l’errore in cui è incorsa
l’Amministrazione non è un errore di fatto o
un errore di calcolo ex art. 1430 c.c.,
bensì un tipico errore di diritto
consistente nell’applicazione (per gli oneri
di urbanizzazione) di tariffe relative ad un
periodo antecedente rispetto a quelle
applicabili, ovvero nel riconoscimento (per
il costo di costruzione) di un abbattimento
percentuale delle medesime, abbattimento non
più applicabile ratione temporis.
Orbene, com’è noto, la disciplina
dell’errore di diritto è valutata con
minore favore dal legislatore civilistico
poiché tale errore rileva, ex art. 1429 n.
4 c.c., solo allorché sia stato la ragione
unica o principale del contratto.
Nella specie ciò non appare predicabile,
essendo evidente che la ragione determinante
dell’obbligazione risiede da un lato
nell’interesse pubblico generale ad una
corretta urbanizzazione del territorio e,
dall’altro, all’interesse privato
particolare della realizzazione dello
sfruttamento edilizio della proprietà
fondiaria.
Esclusa quindi la rilevanza dell’errore, sia
perché non riconoscibile sia perché
comunque non essenziale, e sottolineato
ancora una volta che la determinazione
dell’ammontare dell’obbligazione è posta
dalla legge a carico dell’Amministrazione
creditrice, ne discende che la medesima
rimane vincolata al contenuto della propria
manifestazione di volontà a titolo di autoresponsabilità per l’affidamento
incolpevole ingenerato nel soggetto
obbligato.
Con l’ulteriore conseguenza che se
l’obbligato adempie in buona fede (rectius:
senza poter ragionevolmente riconoscere
l’errore in cui eventualmente sia incorsa
l’Amministrazione che ha operato la
liquidazione del quantum debeatur)
l’obbligazione richiestagli, l’esatto
adempimento, alla stregua dei principi
generali, estingue definitivamente
l’obbligazione.
L’appellante, peraltro, a sostegno della
propria tesi richiama due precedenti della
sez. V, 25.04.1966 n. 426 e 06.05.1997 n. 458.
Nel primo di questi il potere di revisione
nella materia de qua viene apoditticamente
ricondotto al generale potere di autotutela
e ciò indipendentemente dalla sopravvenuta
conoscenza di nuovi elementi o dalla
insorgenza di nuovi fatti.
Nella specie la Amministrazione aveva
erroneamente sottovalutato la capacità
inquinante di un impianto industriale.
Nella seconda decisione il tema è stato
invece affrontato con maggiore
approfondimento sistematico.
Dopo aver richiamato il precedente della
Sezione dianzi citato, la decisione 458/1997
afferma che, in base alla lettera ed alla
ratio dell’art. 11 L. 10/1977 “il momento in
cui viene rilasciata al concessione
individua il termine ultimo di pagamento del
contributo, ma non già il tempo oltre il
quale resterebbe preclusa
all’Amministrazione comunale la facoltà di
stabilire o rideterminare la misura del
credito”.
Ciò premesso, la decisione prosegue negando
che nella materia de qua sia possibile
applicare in via analogica principi dettati
in materia pensionistica.
Assume poi che nel settore fiscale non
sarebbero ricavabili principi ostativi al
potere di revisione del contributo in
autotutela, come sarebbe dimostrato dai
poteri di accertamento e rettifica
attribuiti alla Amministrazione e la cui
limitazione, con termini di decadenza più o
meno brevi, sarebbe bilanciato anche da
brevi termini di decadenza a carico del
contribuente per le corrispondenti
impugnative.
La decisione, quindi, rilevato che la
giurisprudenza qualifica come paritetico
l’atto con cui viene richiesto il contributo
ed ammette l’interessato a contestarne
l’importo nel termine ordinario di
prescrizione afferma che, coerentemente,
analogo potere dovrebbe essere riconosciuto
all’Amministrazione. Se poi si volesse
individuare un termine decadenziale a carico
dell’Amministrazione lo stesso dovrebbe, se
mai, essere ricercato per analogia e
potrebbe essere ricavato dal limite
prescrizionale di 36 mesi posto dall’art. 35
della L. 47/1985 al potere
dell’Amministrazione di chiedere il
conguaglio in relazione alle domande di
concessione in sanatoria.
Le tesi esposte nella anzidetta decisione,
benché acutamente sostenute, non appaiono
peraltro al Collegio completamente
soddisfacenti.
Innanzitutto la vicenda va precisata nei
suoi termini concreti.
I contributi di cui all’articolo 11 della L.
10/1977, ed all’art. 1 della L.R. 71/1978, a
differenza di altre fattispecie normative,
non ven-gono determinati in via
dichiaratamente provvisoria al momento della
domanda dell’interessato e quindi non sono
necessariamente richiesti salvo conguaglio,
come ad esempio nella fattispecie della
domanda di concessione in sanatoria (art. 35
L. 47/1995).
La determinazione dei contributi de quibus è
stato infatti collocato temporalmente dal
legislatore al termine di un lungo e
complesso procedimento che prende le mosse
da una dettagliata e circostanziata domanda
del privato, cui fa seguito una complessa
istruttoria da parte dell’Amministrazione,
nel corso della quale l’Amministrazione
stessa può chiedere interessato tutti i
chiarimenti e gli ulteriori elementi di cui
abbia bisogno.
Il momento del rilascio della concessione
non è quindi equiparabile sotto nessun
profilo al momento della domanda di
concessione in sanatoria. In quest’ultimo
caso l’Amministrazione si trova di fronte ad
una attività già posta in essere dal
richiedente e ad una richiesta di
legittimazione a posteriori di tale attività
e non può quindi che riservarsi ad un
momento futuro il controllo sulla
corrispondenza tra il fatto compiuto e la
domanda.
Del tutto diversa è la situazione della
concessione in via ordinaria in cui si
tratta di legittimare una attività allo
stato ancora inesistente ed in cui
l’Amministrazione, prima di rimuovere
l’ostacolo a tale attività, ha il potere ed
il dovere di verifica e di accertamento
sotto ogni profilo della legittimità della
richiesta del privato.
Così inquadrata la fattispecie sembra più
agevole dedurne le conseguenze ai fini che
qui interessano.
Innanzitutto il collegamento normativo tra
momento del rilascio della concessione e
determinazione dei contributi evidenzia il
parallelismo tra la attività di controllo e
verifica operata dalla Amministrazione
innanzitutto sulla domanda concessoria del
privato, e, in concomitanza, sul
corrispondente ammontare dei contributi che
di conseguenza il richiedente è tenuto a
corrispondere all’atto del rilascio del
titolo abilitativo.
Se ciò è esatto, sembrerebbe che il
legislatore, quanto meno a regime, abbia
riconosciuto all’Amministrazione il potere
ed il corrispondente dovere di effettuare
il controllo e la verifica e di stabilire il
quantum dovuto preventivamente al rilascio
della concessione.
Pertanto non sembra del tutto convincente la
affermazione contenuta nella citata
decisione della sez. V n. 458/1997 secondo
cui l’art. 11 disciplinerebbe soltanto il
momento del pagamento del contributo al
fine di consentire al Comune la
realizzazione delle opere di urbanizzazione.
In proposito il Collegio osserva
innanzitutto che il pagamento del contributo
al Comune presuppone necessariamente la
predeterminazione del quantum e non può
ovviamente essere effettuato se non a
seguito della anzidetta previa
determinazione.
Tale determinazione, d’altro canto, non può
essere effettuata altro che dal Comune
medesimo.
Il secondo comma dell’art. 11 relativo al
contributo stabilisce infatti che “la quota
… è determinata all’atto del rilascio della
con-cessione ed è corrisposta nel corso
d’opera”.
Per il contributo relativo ad oneri di
urbanizzazione il primo comma dell’art. 11
si limita invece a stabilire che “la quota …
è corrisposta al Comune all’atto del
rilascio della concessione”.
Dalla differente dizione letterale non
sembra peraltro condurre a ritenere un
regime differenziato tra il contributo per
costo di costruzione e quello per oneri di
urbanizzazione.
In ambedue i casi l’importo dovuto dal
privato deve essere predeterminato
dall’Amministrazione.
Ciò risulta in modo inequivocabile del
rinvio operato nel primo e secondo comma
dell’art. 11 rispettivamente ai precedenti
articoli 5 e 6 rubricati “Determinazione
degli oneri di concessione” e
“Determinazione del costo di costruzione”.
Pertanto il Collegio ritiene che da una
esegesi sistematica del primo e secondo
comma dell’art. 11, in relazione anche ai
precedenti articoli 5 e 6, risulti che il
legislatore abbia voluto disporre che la
Amministrazione, prima di rilasciare la
concessione, determini gli oneri da porre a
carico al privato e ne richieda il pagamento
integrale al momento del rilascio del titolo
abilitativo, salve le ipotesi di
rateiz-zazione o scomputo espressamente
previste dal primo e secondo comma del
medesimo articolo 11 L. 10/1977 (v. C.d.S.
sez. VI, 18.03.2004 n. 1435, C.d.S. sez.
V, 13.03.2003 n. 3332), ovvero salvo
espressa riserva di conguaglio (C.G.A.
parere SS.RR. 392/1995 e Sez. Giur.
131/1996) riserva nella specie peraltro
inesistente.
Pertanto, contrariamente a quanto ritenuto
nella decisione invocata dall’appellante, in
questo caso la verifica, l’accertamento e la
determinazione del debito a carico del
privato non è posposta dalla legge al
pagamento di un importo provvisorio, ma, al
contrario, è testualmente collocata in un
momento anteriore e cioè in concomitanza,
come già osservato, con il controllo e la
verifica della domanda di con-cessione
edilizia rispetto alla quale costituisce un
corollario conse-quenziale e ne presuppone,
di regola, la determinazione del quantum in
via definitiva (CGARS,
sentenza
02.03.2007 n. 64 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2006 |
|
EDILIZIA
PRIVATA: Oneri
di urbanizzazione - Costo di costruzione -
Natura.
L'obbligazione relativa agli oneri di
urbanizzazione ha natura ben diversa da quella attinente al
costo di costruzione: quest'ultima obbligazione, infatti, è
definibile come acausale, in quanto connessa alla mera
utilizzazione edificatoria del territorio, ed è ritenuta,
perciò, di natura paratributaria.
La prima, invece, è un'obbligazione causale,
con carattere di corrispettivo di diritto
pubblico di natura non tributaria dovuto dal
titolare della concessione edilizia per la
partecipazione ai costi delle opere di
urbanizzazione connessi all'edificazione (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza
15.12.2006 n. 2989
- massima tratta da www.solom.it - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Le
somme pagate a titolo di contributi per
oneri di urbanizzazione relativamente ad una
concessione edilizia sono ripetibili se la
concessione non sia stata utilizzata;
inoltre, sulla somma dovuta spettano,
altresì, gli interessi che decorrono dal
giorno in cui per il Comune sorge l’obbligo
di restituzione, dies a quo che va
individuato nella data in cui sia stata
dichiarata la decadenza della concessione
edilizia.
Così come chiarito dalla giurisprudenza
(Cons. St, sez. V, 22.02.1988, n. 105), le
somme pagate a titolo di contributi per
oneri di urbanizzazione relativamente ad una
concessione edilizia sono ripetibili se la
concessione non sia stata utilizzata;
inoltre, sulla somma dovuta spettano,
altresì, gli interessi che decorrono dal
giorno in cui per il Comune sorge l’obbligo
di restituzione, dies a quo che va
individuato nella data in cui sia stata
dichiarata la decadenza della concessione
edilizia.
Conseguentemente, in accoglimento della
specifica richiesta formulata dalla società
ricorrente il Comune di Silvi va condannato
al pagamento degli interessi sulla somma
predetta a decorrere dal 23.12.1994 (giorno
in cui con atto 23 dicembre 1994, n. 30661,
è stata dichiarata la decadenza della
concessione assentita) fino al 30.04.1997
(data dell’avvenuto rimborso sulla somma in
questione).
Il Comune va, altresì, condannato al
pagamento dalla data della domanda degli
ulteriori interessi sulle somme dovute
(TAR
Abruzzo-Pescara,
sentenza 15.12.2006 n. 890 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Concessione
edilizia - Magazzino ad uso industriale e parcheggio -
Contributo di concessione - Richiesta restituzione parziale
e domanda accessoria di pagamento interessi.
Debitamente comprovato in giudizio l'avvenuto versamento
dovuto dalla ricorrente all'amministrazione comunale per la
costruzione di un magazzino ad uso industriale, risulta
essere legittima la richiesta della medesima ricorrente ad
ottenere lo scomputo della somma pari alle opere di
urbanizzazione direttamente realizzate dalla stessa (somma
versata in eccesso) dagli oneri effettivamente dovuti.
E' altresì legittima la domanda accessoria di pagamento
degli interessi ma la decorrenza degli interessi va fissata
(ex art. 2033 c.c.) dalla data di proposizione della domanda
giudiziale e non dalle date di pagamento dei ratei
corrisposti, dovendosi presumere la buona fede del Comune
percipiente (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza
12.12.2006 n. 2901
- massima tratta da www.solom.it - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Chiarimenti in ordine al
contributo di cui all'art. 3 della Bucalossi.
E' principio generale che il contributo di
cui all’art. 3 della legge n. 10/1977:
- è strettamente connesso al concreto
esercizio della facoltà di edificare, per
cui non è dovuto in caso di rinuncia o di
mancato utilizzo della concessione (Cons.
Stato V 23.06.2003 n. 3714, rif. CS V
12.06.1995 n. 894);
- afferisce alla costruzione e non alla
concessione (Cons. Stato V 12.06.1995 n.
894);
- non rappresenta il corrispettivo della
concessione, ma la (obbligatoria)
partecipazione agli esborsi che la
collettività ha affrontato o deve affrontare
in rapporto allo stato di urbanizzazione
dell’area (Cass. SU 20.11.1996);
- va determinato con riferimento alla data
di rilascio della concessione edilizia, che
è il momento in cui sorge l'obbligazione
contributiva (Cons. Stato V 21.10.1998 n.
1512, 06.12.1999 n. 2056)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 20.10.2006 n. 2061 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Fattispecie
in materia di ristrutturazione - Esenzione
dagli oneri di urbanizzazione.
Ai sensi dell’art. 17, 3° comma, lett. B),
del d.P.R. 06.06.2001, n. 380, è soggetto
agli oneri di concessione edilizia il
permesso di costruire se gli interventi di
restauro, risanamento conservativo e di
ristrutturazione mutano la destinazione
d’uso del fabbricato preesistente, anche se
l’incremento di superficie e volume è
inferiore al 20 per cento (Cons. St., Sez.
V, 24.09.2001, n. 1427; 25.05.2004, n. 6289;
TAR Toscana, 12.11.1984, n. 1398; TAR
Marche, 12.02.1998, n. 250) (massima tratta
da www.studiospallino.it - TAR Marche, Sez.
I,
sentenza 17.03.2006 n. 92 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2005 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Costo di costruzione: opera non
realizzata, ripristino e restituzione del
contributo.
Il pagamento
del contributo del costo di costruzione è
sempre connesso, dalle norme che lo
prevedono o lo menzionano, alla costruzione
di un manufatto edilizio, ovvero alla
realizzazione di un intervento di
trasformazione su manufatti già esistenti,
cosicché pur sempre l’obbligo appare
connesso ad una costruzione o qualcosa a ciò
assimilabile.
Se non si può escludere, in linea puramente
teorica, che il Comune restituisca l’intero
contributo versato ed intraprenda un’azione
di danno nei confronti del responsabile (ex
titolare della concessione edilizia decaduta
o comunque non utilizzata), è indubbio che
una simile strada si porrebbe in contrasto,
da un lato, con il principio di
ragionevolezza (e, forse con il criterio di
efficacia dell’azione amministrativa),
dall’altro con un generale criterio di
economia dei mezzi.
Ove si mantenga la pretesa nei limiti della
legittimità, invero, sembrerebbe molto più
ragionevole:
a) provvedere ad una restituzione solo
parziale, diffalcando dall’importo ricevuto
una somma ritenuta adeguata e proporzionata
all’entità dei lavori necessari per il
ripristino dei luoghi e la ricomposizione
ambientale da effettuare con materiale
analogo a quello estratto, dopo avere
sentito gli interessati sul punto;
b) subordinare la restituzione per intero
alla realizzazione di lavori di ripristino,
con le stesse modalità
(TAR Veneto, Sez. I,
sentenza 21.12.2005 n. 4358 -
link a www.altalex.com). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
contributo per il rilascio della concessione edilizia (ora
permesso di costruire) imposto dalla legge 28.01.1977, n. 10
(art. 3; v. ora art. 16 d.P.R. 06.06.2001, n. 380) e
commisurato agli oneri di urbanizzazione, ha carattere
generale perché prescinde totalmente dall’esistenza, o meno,
delle singole opere di urbanizzazione; esso ha natura di
prestazione patrimoniale imposta e viene determinato
indipendentemente sia dall’utilità che il concessionario
ritrae dal titolo edificatorio sia dalle spese
effettivamente occorrenti per realizzare dette opere.
---------------
Per quanto riguarda il contributo di costruzione da
corrispondere per la realizzazione di opere od impianti non
destinati ad usi residenziali l’art. 10, legge 28.01.1977,
n. 10 (v. ora art. 19 d.P.R. 06.06.2001, n. 380), prevede,
al comma 1, una esenzione da tale contributo per le
concessioni relative a costruzioni o impianti destinati ad
attività <<industriali o artigianali dirette alla
trasformazione di beni ed alla prestazione di servizi>>,
mentre uguale esenzione non è prevista al comma 2 per la
concessione relativa a costruzioni o impianti destinati <<ad
attività turistiche, commerciali e direzionali>>.
Alla luce, dunque, sia del chiaro disposto dell’art. 10 L.
n. 10/1977, sia della predetta natura tributaria della
componente in esame del contributo, sia della tassatività
dell’elencazione legislativa dei casi di esenzione o di
concessione edilizia gratuita, deve ritenersi infondata la
tesi dell’appellante, secondo cui il convenzionamento e la
previsione dell’assunzione di determinati oneri di
urbanizzazione, valgano di per sé ad escludere il pagamento
degli oneri di urbanizzazione in sede di rilascio della
concessione edilizia, potendo incidere finanche sull’obbligo
tributario del pagamento del contributo afferente al costo
di costruzione.
Il contributo controverso, dunque, come sostenuto dal Comune
appellato, deve essere corrisposto nella misura prevista
dall’art. 10, comma 2, L. n. 10/1977, in quanto le
costruzioni della società ricorrente, odierna appellante,
per la loro destinazione ad uso commerciale, non sono esenti
dal pagamento di tale contributo.
Occorre premettere che il contributo per il rilascio della
concessione edilizia (ora permesso di costruire) imposto
dalla legge 28.01.1977, n. 10 (art. 3; v. ora art. 16 d.P.R.
06.06.2001, n. 380) e commisurato agli oneri di
urbanizzazione, ha carattere generale perché prescinde
totalmente dall’esistenza, o meno, delle singole opere di
urbanizzazione; esso ha natura di prestazione patrimoniale
imposta e viene determinato indipendentemente sia
dall’utilità che il concessionario ritrae dal titolo
edificatorio sia dalle spese effettivamente occorrenti per
realizzare dette opere (cfr. Cons. St., sez. V, 06.05.1997, n. 462; per la natura tributaria di tale prestazione,
v., altresì, C.G.A.R.S., 05.05.1999, n. 203).
Ora, per quanto riguarda il contributo di costruzione da
corrispondere per la realizzazione di opere od impianti non
destinati ad usi residenziali l’art. 10, legge 28.01.1977, n. 10 (v. ora art. 19 d.P.R.
06.06.2001, n. 380),
prevede, al comma 1, una esenzione da tale contributo per le
concessioni relative a costruzioni o impianti destinati ad
attività <<industriali o artigianali dirette alla
trasformazione di beni ed alla prestazione di servizi>>,
mentre uguale esenzione non è prevista al comma 2 per la
concessione relativa a costruzioni o impianti destinati <<ad
attività turistiche, commerciali e direzionali>>.
Alla luce, dunque, sia del chiaro disposto dell’art. 10 L.
n. 10/1977, sia della predetta natura tributaria della
componente in esame del contributo, sia della tassatività
dell’elencazione legislativa dei casi di esenzione o di
concessione edilizia gratuita, deve ritenersi infondata la
tesi dell’appellante, secondo cui il convenzionamento e la
previsione dell’assunzione di determinati oneri di
urbanizzazione, valgano di per sé ad escludere il pagamento
degli oneri di urbanizzazione in sede di rilascio della
concessione edilizia, potendo incidere finanche sull’obbligo
tributario del pagamento del contributo afferente al costo
di costruzione.
Il contributo controverso, dunque, come sostenuto dal Comune
appellato, deve essere corrisposto nella misura prevista
dall’art. 10, comma 2, L. n. 10/1977, in quanto le
costruzioni della società ricorrente, odierna appellante,
per la loro destinazione ad uso commerciale, non sono esenti
dal pagamento di tale contributo
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 15.12.2005 n. 7140 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il contributo per il rilascio
della concessione edilizia imposto dalla
legge 28.01.1977, n. 10 e commisurato agli
oneri di urbanizzazione, ha carattere
generale perché prescinde totalmente
dall’esistenza, o meno, delle singole opere
di urbanizzazione; esso ha natura di
prestazione patrimoniale imposta e viene
determinato indipendentemente sia
dall’utilità che il concessionario ritrae
dal titolo edificatorio sia dalle spese
effettivamente occorrenti per realizzare
dette opere.
Ai fini dell’esenzione del contributo di
costruzione, ex art. 9 l. 10/1977, occorre
che l’opera sia pubblica o di interesse
pubblico e sia realizzata da un ente
pubblico, non competendo essa alle opere
eseguite da soggetti privati, quale che sia
la rilevanza sociale dell’attività da essi
esercitata nella (o con la) opera edilizia
alla quale la concessione si riferisce.
Il contributo per il rilascio della
concessione edilizia (ora permesso di
costruire) imposto dalla legge 28.01.1977,
n. 10 (art. 3; v. ora art. 16 d.P.R.
06.06.2001, n. 380) e commisurato agli oneri
di urbanizzazione, ha carattere generale
perché prescinde totalmente dall’esistenza,
o meno, delle singole opere di
urbanizzazione; esso ha natura di
prestazione patrimoniale imposta e viene
determinato indipendentemente sia
dall’utilità che il concessionario ritrae
dal titolo edificatorio sia dalle spese
effettivamente occorrenti per realizzare
dette opere (cfr. Cons. St., sez. V,
06.05.1997, n. 462; per la natura tributaria
di tale prestazione, v., altresì, C.G.A.R.S.,
05.05.1999, n. 203).
Ora, per quanto riguarda il contributo di
costruzione da corrispondere per la
realizzazione di opere od impianti non
destinati ad usi residenziali l’art. 10,
legge 28.01.1977, n. 10 (v. ora art. 19
d.P.R. 06.06.2001, n. 380), prevede, al
comma 1, una esenzione da tale contributo
per le concessioni relative a costruzioni o
impianti destinati ad attività <<industriali
o artigianali dirette alla trasformazione di
beni ed alla prestazione di servizi>>,
mentre uguale esenzione non è prevista al
comma 2 per la concessione relativa a
costruzioni o impianti destinati <<ad
attività turistiche, commerciali e
direzionali>>.
Alla luce, dunque, sia del chiaro disposto
dell’art. 10 L. n. 10/1977, sia della
predetta natura tributaria della componente
in esame del contributo, sia della
tassatività dell’elencazione legislativa dei
casi di esenzione o di concessione edilizia
gratuita, deve ritenersi infondata la tesi
dell’appellante, secondo cui il
convenzionamento e la previsione
dell’assunzione di determinati oneri di
urbanizzazione, valgano di per sé ad
escludere il pagamento degli oneri di
urbanizzazione in sede di rilascio della
concessione edilizia, potendo incidere
finanche sull’obbligo tributario del
pagamento del contributo afferente al costo
di costruzione.
Il contributo controverso, dunque, come
sostenuto dal Comune appellato, deve essere
corrisposto nella misura prevista dall’art.
10, comma 2, L. n. 10/1977, in quanto le
costruzioni della società ricorrente,
odierna appellante, per la loro destinazione
ad uso commerciale, non sono esenti dal
pagamento di tale contributo.
Ai fini
dell’esenzione del contributo di
costruzione, ex art. 9 l. 10/1977, occorre
che l’opera sia pubblica o di interesse
pubblico e sia realizzata da un ente
pubblico, non competendo essa alle opere
eseguite da soggetti privati, quale che sia
la rilevanza sociale dell’attività da essi
esercitata nella (o con la) opera edilizia
alla quale la concessione si riferisce (cfr.
Cons. St., sez. V, 21.01.1997, n. 69; Cons.
St., sez. V, 19.09.1995, n. 1313; C.G.A.R.S.,
20.07.1999, n. 369); quanto, invece,
all’esenzione dovuta (sempre ai sensi della
citata lett. f) per le <<opere di
urbanizzazione eseguite anche da privati, in
attuazione di strumenti urbanistici>>,
occorre che si tratti di opera di
urbanizzazione specificamente indicata come
tale nello strumento urbanistico, anche
attuativo (cfr. Cons. St., sez. V,
21.01.1997, n. 69; Cons. St., sez. V,
01.06.1992, n. 489) (Consiglio
di Stato, Sez. V,
sentenza 15.12.2005 n. 7140 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
contributo per oneri di urbanizzazione è un corrispettivo di
diritto pubblico, di natura non tributaria, posto a carico
del costruttore a titolo di partecipazione ai costi delle
opere di urbanizzazione in proporzione all’insieme dei
benefici che la nuova costruzione ne ritrae, cosicché il
tipo di uso offre la giustificazione giuridica all’an
debeatur, mentre le modalità concrete dell’uso danno la
ragione del quantum.
Il presupposto imponibile per il pagamento dei contributi di
urbanizzazione va ravvisato nella domanda di una maggiore
dotazione di servizi (rete viaria, fognature, ecc.)
nell’area di riferimento, che sia indotta dalla destinazione
d’uso concretamente impressa all’alloggio, in quanto una
diversa utilizzazione rispetto a quella stabilita
nell’originario titolo abilitativo può determinare una
variazione quantitativa e qualitativa del carico
urbanistico.
In termini generali, il fondamento del contributo di
urbanizzazione –da versare al momento del rilascio di una
concessione edilizia– non consiste nell'atto amministrativo
in sé bensì nella necessità di ridistribuire i costi sociali
delle opere di urbanizzazione, facendoli gravare sugli
interessati che beneficiano delle utilità derivanti dalla
presenza delle medesime, secondo modalità eque per la
comunità.
Pertanto, anche nel caso di modificazione della destinazione
d'uso cui si correla un maggior carico urbanistico, è
integrato il presupposto che giustifica l’imposizione al
titolare del pagamento della differenza tra gli oneri di
urbanizzazione dovuti per la destinazione originaria e
quelli, se più elevati, dovuti per la nuova destinazione
impressa: il mutamento è rilevante allorquando sussiste un
passaggio tra due categorie funzionalmente autonome dal
punto di vista urbanistico, qualificate sotto il profilo
della differenza del regime contributivo in ragione di
diversi carichi urbanistici, cosicché la circostanza che le
modifiche di destinazione d’uso senza opere non sono
soggette a preventiva concessione o autorizzazione sindacale
non comporta ipso jure l’esenzione dagli oneri di
urbanizzazione e quindi la gratuità dell’operazione.
Un diverso ragionamento sarebbe evidentemente inaccettabile,
dal momento che gli interessati sarebbero altrimenti indotti
a chiedere ed ottenere una concessione edilizia che sconta
il pagamento di un minor contributo per il basso carico
urbanistico, per poi mutare liberamente la destinazione
d'uso originaria senza pagare i più elevati oneri che
derivano dal maggior carico urbanistico.
Se è comunque indispensabile l’esame della fattispecie
concreta per accertare se il nuovo insediamento o la nuova
opera abbia determinato un incremento nella domanda di
strutture ed opere collettive, nella specie il mutamento di
destinazione –da residenziale ad ufficio– è riconducibile ad
una classe diversa e più onerosa della precedente tale che,
se la concessione fosse stata richiesta fin dall’origine per
la nuova destinazione, avrebbe comportato un diverso e meno
favorevole regime contributivo urbanistico: ai fini del
calcolo dei cd. standard, l’ufficio di un’attività d’impresa
assume la consistenza di un distinto ed autonomo centro
d'attrazione, non riconducibile alle esigenze di normale
vivibilità delle zone residenziali, ed è pertanto fonte di
un maggiore carico urbanistico.
In definitiva, a fronte dell’accertato mutamento di
destinazione d’uso l’amministrazione ha legittimamente
provveduto a calcolare di nuovo il quantum dovuto in
relazione al diverso carico urbanistico
La censura è priva di pregio.
Ad avviso della costante giurisprudenza (Consiglio di Stato,
sez. V – 26/07/1984 n. 592; TAR Catania–31/07/1979 n. 408),
il contributo per oneri di urbanizzazione è un corrispettivo
di diritto pubblico, di natura non tributaria, posto a
carico del costruttore a titolo di partecipazione ai costi
delle opere di urbanizzazione in proporzione all’insieme dei
benefici che la nuova costruzione ne ritrae, cosicché il
tipo di uso offre la giustificazione giuridica all’an
debeatur, mentre le modalità concrete dell’uso danno la
ragione del quantum (Consiglio di Stato, sez. V – 23/05/1997
n. 529).
Il presupposto imponibile per il pagamento dei contributi di
urbanizzazione va ravvisato nella domanda di una maggiore
dotazione di servizi (rete viaria, fognature, ecc.)
nell’area di riferimento, che sia indotta dalla destinazione
d’uso concretamente impressa all’alloggio, in quanto una
diversa utilizzazione rispetto a quella stabilita
nell’originario titolo abilitativo può determinare una
variazione quantitativa e qualitativa del carico urbanistico
(Sentenza Sezione 11/06/2004 n. 646; TAR Lombardia Milano,
sez. II – 02/10/2003 n. 4502; Consiglio Stato, sez. V –
25/05/1995 n. 822).
In termini generali, il fondamento del contributo di
urbanizzazione –da versare al momento del rilascio di una
concessione edilizia– non consiste nell'atto amministrativo
in sé bensì nella necessità di ridistribuire i costi sociali
delle opere di urbanizzazione, facendoli gravare sugli
interessati che beneficiano delle utilità derivanti dalla
presenza delle medesime, secondo modalità eque per la
comunità (cfr. TAR Veneto, sez. II – 13/11/2001 n. 3699).
Pertanto, anche nel caso di modificazione della destinazione
d'uso cui si correla un maggior carico urbanistico, è
integrato il presupposto che giustifica l’imposizione al
titolare del pagamento della differenza tra gli oneri di
urbanizzazione dovuti per la destinazione originaria e
quelli, se più elevati, dovuti per la nuova destinazione
impressa: il mutamento è rilevante allorquando sussiste un
passaggio tra due categorie funzionalmente autonome dal
punto di vista urbanistico, qualificate sotto il profilo
della differenza del regime contributivo in ragione di
diversi carichi urbanistici, cosicché la circostanza che le
modifiche di destinazione d’uso senza opere non sono
soggette a preventiva concessione o autorizzazione sindacale
non comporta ipso jure l’esenzione dagli oneri di
urbanizzazione e quindi la gratuità dell’operazione (cfr.,
in tal senso, sentenze Sezione 10/03/2005 n. 145 e
23/01/1998 n. 34).
Un diverso ragionamento sarebbe evidentemente inaccettabile,
dal momento che gli interessati sarebbero altrimenti indotti
a chiedere ed ottenere una concessione edilizia che sconta
il pagamento di un minor contributo per il basso carico
urbanistico, per poi mutare liberamente la destinazione
d'uso originaria senza pagare i più elevati oneri che
derivano dal maggior carico urbanistico.
Se è comunque indispensabile l’esame della fattispecie
concreta per accertare se il nuovo insediamento o la nuova
opera abbia determinato un incremento nella domanda di
strutture ed opere collettive (TAR Piemonte, sez. I –
04/12/1997 n. 821; Consiglio di Stato, sez. V – 29/01/2004
n. 295), nella specie il mutamento di destinazione –da
residenziale ad ufficio– è riconducibile ad una classe
diversa e più onerosa della precedente tale che, se la
concessione fosse stata richiesta fin dall’origine per la
nuova destinazione, avrebbe comportato un diverso e meno
favorevole regime contributivo urbanistico: ai fini del
calcolo dei cd. standard, l’ufficio di un’attività d’impresa
assume la consistenza di un distinto ed autonomo centro
d'attrazione, non riconducibile alle esigenze di normale
vivibilità delle zone residenziali, ed è pertanto fonte di
un maggiore carico urbanistico (Consiglio Stato, sez. V –
19/05/1998 n. 626).
In definitiva, a fronte dell’accertato mutamento di
destinazione d’uso l’amministrazione ha legittimamente
provveduto a calcolare di nuovo il quantum dovuto in
relazione al diverso carico urbanistico (TAR
Lombardia-Brescia,
sentenza 07.11.2005
n. 1115). |
EDILIZIA PRIVATA: La
costruzione di una cappella privata,
all'interno del cimitero comunale, sconta il
pagamento degli oneri di urbanizzazione.
I due ricorsi si fondano sul postulato che
in virtù dell’art. 9, lettera f, della L. n.
10/1977, per la costruzione di una Cappella
Cimiteriale non sarebbe dovuto il pagamento
dei predetti oneri atteso che le
Confraternite è un Ente Ecclesiale non
avente scopo di lucro,ma caratteristiche
mutualistiche ed assistenziali.
Le Cappelle, secondo l’assunto di parte
ricorrente, anche se non destinate a scopi
propri dell’Amministrazione, soddisfano
bisogni della collettività, anche se la
gestione del manufatto Cimiteriale è svolta
da privati.
L’iter logico giuridico seguito dalla
ricorrente non è condivisibile.
Invero, l’art. 9 della L. n. 10/1977, alla
lettera f), disposizione invocata dalla
ricorrente per postulare l’esonero dai
contributi e pretendere la restituzione del
asseritamene indebito, statuisce che non
sono dovuti gli oneri di urbanizzazione per:
gli impianti, le attrezzature, le opere
pubbliche o di interesse generale realizzate
dagli enti istituzionalmente competenti
nonché per le opere di urbanizzazione,
eseguite anche da privati, in attuazione di
strumenti urbanistici.
Nel caso all’esame del Collegio la Cappella
non è sussumibile in nessuna delle
fattispecie elencate nella norma
surriportata.
Infatti, essa non può essere considerata
opera pubblica realizzata da un Ente
pubblico istituzionalmente competente, né
opera di urbanizzazione realizzata da un
privato in attuazione di uno strumento
urbanistico, atteso che non risulta che il
manufatto de quo sia previsto da
alcun strumento urbanistico e neppure che la
Confraternita lo abbia realizzato nel quadro
di interventi, sia pure a cura di privati,
di attuazione delle previsioni di uno
strumento urbanistico.
Né dai ricorso o dalle allegazioni
processuali è dato dedurre che la Cappella
sia stata costruita dalla Confraternita in
attuazione di un accordo ex L. n. 241/1990.
Né, ad avviso del Collegio, hanno pregio le
considerazioni della ricorrente relative ad
una rilevanza della natura non profit
della Confraternita, né il presunto fine di
interesse generale perseguito dal sodalizio
nella realizzazione della Cappella.
Infatti il testo della lettera f) dell’art.
9 della L. n. 10/1977 esclude, per la sua
stessa natura di norma di privilegio
comportante un esenzione dall’obbligo di
versare somme dovute ad un ente pubblico,
qualunque interpretazione estensiva od
analogica.
Né pur ricorrendo alle predette tipologie
intepretative si potrebbe comunque pervenire
all’esito intepretativo indicato dalla
ricorrente, atteso che la Confraternita pur
essendo un sodalizio che non persegue fini
di lucro non realizza interessi generali,
come ritiene la ricorrente, ma soddisfa un
interesse dei confrati (TAR Sicilia-Catania,
Sez. I,
sentenza 03.05.2005 n. 788 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2004 |
|
EDILIZIA PRIVATA: La
sottoscritta convenzione –che si configura come un atto
facente parte del procedimento che porta al rilascio della
concessione edilizia– determina con l’accordo sottoscritto
il contenuto dei relativi obblighi secondo i principi del
codice civile, così come precisato nell’art. 11 della legge
n. 241/1990. In particolare lo scomputo degli oneri di
urbanizzazione e la sua misura sono stati oggetto di una
determinazione consensuale che non può essere modificata
unilateralmente.
E’ infatti giurisprudenza costante che l’art. 16, comma 2,
del d.p.r. n. 380/2001 (che ha riprodotto l’art. 11, comma
1, della legge n. 10/1977 e che corrisponde sostanzialmente
anche all’art. 26, comma 11, della legge regionale n.
52/1999 come modificato con la legge regionale n. 43/2003)
consente al privato di eseguire direttamente le opere di
urbanizzazione in alternativa al pagamento dei connessi
oneri (con possibilità quindi di ottenerne poi lo scomputo
da quanto deve pagare a titolo di oneri di urbanizzazione
primaria e secondaria), ma tale facoltà ha effetto soltanto
se la proposta del privato sia accettata dal Comune secondo
le modalità e le garanzie dettate dal medesimo e con
conseguente acquisizione delle opere al patrimonio
indisponibile del comune.
---------------
La concessione edilizia è normalmente onerosa, tranne le
tassative ipotesi di gratuità (artt. 3-9 della legge n.
10/1977, trasfusi nel d.p.r. n. 380/2001 – art. 16).
Gli oneri di urbanizzazione (che unitamente al costo di
costruzione sono gli elementi della onerosità) sono stati
previsti dal legislatore a carico del costruttore, quale
prestazione patrimoniale, a titolo di partecipazione di
costui al costo delle opere di urbanizzazione connesse alle
esigenze della collettività che scaturiscono dagli
interventi di edificazione e dal maggior carico urbanistico
che si realizza nella zona in ordine all’aumento della
necessaria dotazione dei servizi (rete viaria, fognature,
ecc.); esigenze, queste, cui prioritariamente doveva
provvedere il comune appunto con questi proventi (art. 12
della legge n. 10/1977, norma non più riprodotta nella
normativa successiva in ossequio al principio dell’autonomia
degli enti locali ).
Detti oneri prescindono dall’esistenza o meno delle opere di
urbanizzazione e vengono determinati indipendentemente sia
dall’utilità che il concessionario ritrae dal titolo
edificatorio sia dalle spese effettivamente occorrenti per
realizzare siffatte opere. Infatti, ai sensi dell’art. 16,
comma 4, del d.p.r. n. 380/2001 (e della normativa
precedente), essi sono stabiliti dai comuni secondo tabelle
parametriche definite dalla regione per classi di comuni
(ampiezza e andamento demografico, caratteristiche
geografiche, destinazioni di zona, limiti e rapporti minimi
inderogabili di cui al d.m. n. 1444 del 02.04.1968).
I commi 7, 7-bis e 8 dello stesso art. 16 recano un elenco
tassativo delle opere di urbanizzazione primaria e
secondaria cui sono connessi i relativi oneri. Essi sono
dovuti anche in caso di modifica della destinazione d’uso
dell’immobile, quando sia necessaria la concessione edilizia
(ora: permesso di costruire), indipendentemente dalla
realizzazione di nuove opere edilizie.
---------------
La società ricorrente –che non può vantare un “diritto” allo
scomputo, dal momento che la legge configura la facoltà di
esecuzione diretta con possibilità di scomputo nei soli
limiti accettati dalla controparte pubblica- era
perfettamente consapevole che al momento della
sottoscrizione della convenzione con il Comune dovevano
essere precisati tutti i relativi obblighi, perché è in quel
momento che si realizza l’incontro delle volontà delle parti
contraenti nell’esercizio dell’autonomia negoziale; ed anche
se alcuni contenuti dell’accordo sono proposti
dall’Amministrazione in termini non modificabili dal
privato, ciò non esclude che la parte privata che abbia
sottoscritto la convenzione, conoscendone il contenuto e
senza apporvi nessuna riserva, abbia inteso aderirvi e ne
resti vincolata.
---------------
Firmata la convenzione e non esistendo nell’ordinamento un
“diritto allo scomputo”, le clausole relative e gli impegni
assunti non possono unilateralmente essere rimessi in
discussione, a meno di non invocare vizi della volontà o
ipotesi di risoluzione del contratto (es.: per vizi della
volontà o per eccessiva onerosità dell’accordo sottoscritto)
nella specie non dedotti.
Dette opere sono finalizzate alla fruizione dell’area ad uso
esclusivo della società ricorrente, che è un soggetto che
svolgerà un’attività dalla quale ritrarrà necessariamente un
utile d’impresa.
Nessuna delle opere realizzate dalla ricorrente sarà
trasferita al Comune in quanto trattasi di svincoli di
strade regionali o statali.
Non si può quindi fondatamente ritenere che il Comune,
negando lo scomputo, si viene ad arricchire delle opere
realizzate direttamente, perché, si ripete, trattasi opere
tutte a beneficio della realizzazione dell’Autoporto e con
nessun riflesso diretto (peraltro non dimostrato) per la
collettività.
Viceversa, è proprio la realizzazione della nuova struttura
e della creazione degli asseriti nuovi posti di lavoro che
potrà determinare una futura, nuova urbanizzazione anche di
carattere residenziale per coloro che vi lavorano, il che
comporta che il Comune si dovrà addossare altri oneri di
urbanizzazione per finalità pubbliche; ecco che si
giustifica il fatto di non aver previsto, negli atti tutti
della procedura, nessuno scomputo ulteriore rispetto a
quello esplicitamente determinato nella misura di circa
160.000 euro.
1. La
controversia ha ad oggetto la corretta quantificazione degli
oneri di urbanizzazione, primaria e secondaria, dovuti per
la realizzazione di un Autoporto nel Comune di
Collesalvetti; la previsione dell’opera è
la risultante di un accordo tra la Regione toscana e taluni
enti locali (Provincia di Livorno e comuni di Livorno e di
Collesalvetti) per la qualificazione di una determinata zona
e la realizzazione di una piattaforma per lo stoccaggio
delle auto provenienti dal porto di Livorno, e in relazione
ad essa è stata anche prevista una variante urbanistica
apposita.
Nel ricorso si lamenta in sostanza il mancato
riconoscimento, da parte del Comune, di una maggiore
quantità di opere di urbanizzazione, realizzate o
realizzande direttamente dalla società titolare della
concessione edilizia, da calcolare ai fini di un maggiore
scomputo dagli oneri dovuti ai sensi dell’art. 16 del t.u.
sull’edilizia (d.p.r. n. 380/2001).
In particolare si
sostiene che anche le opere idrauliche, in quanto poste a
servizio della collettività, devono essere considerate opere
di urbanizzazione e quindi scomputate dagli oneri, come pure
tutte le opere inerenti il piazzale. Si conclude quindi
circa l’esistenza di un vero e proprio diritto ad ottenere
lo scomputo di quanto realizzato direttamente.
2. Il ricorso non è fondato.
2.1. Va precisato che l’opera che sarà realizzata è di
ingenti dimensioni (65 ettari) ed è costituita da un
piazzale per lo stoccaggio delle autovetture (a detta del
Comune, nel numero di 28.000) e da alcuni edifici, con
rilevante impatto sia per l’impegno del suolo che per le
ripercussioni sulla rete viaria e con creazione di 100 nuovi
posti di lavoro, il che ha determinato la sua ammissione a
finanziamento pubblico.
Per consentire la realizzazione dell’intervento il Comune di
Collesalvetti, previ accordi di pianificazione con la
Regione toscana, la Provincia di Livorno e il Comune di
Livorno diretti a favorire la decongestione del porto di
Livorno con la realizzazione della struttura in altra area,
ha approvato una variante (delibera n. 48/2002) al proprio
strumento urbanistico, variante che in tempi passati non era
stata invece ammessa dalla regione stessa.
Anche per
superare le difficoltà (pericolosità idraulica, viabilità)
riscontrate a suo tempo dalla Regione, l’art. 31 delle N.T.A. della variante indica analiticamente le opere a
carico del privato.
2.2. Nella convenzione sottoscritta in data 25.08.2003, accessiva alla concessione edilizia per la realizzazione
dell’Autoporto, la società
ricorrente quale “soggetto utilizzatore e realizzatore”
dell’opera (definito anche come concessionario) si impegna
(art. 3) a realizzare una serie di opere (finalizzate alla
costruzione e gestione dell’Autoporto), tra le quali lo
svincolo di accesso all’area sulla S.S. 206, l’adeguamento
dello svincolo di Vicarello sulla S.S. Firenze-Pisa-Livorno, le opere di bonifica idraulica e geologica, secondo
l’autorizzazione rilasciata dall’Autorità di bacino dell’Arno
il 20.12.2002, ed altre opere.
Nell’art. 5 della convenzione è specificato che la società
“si impegna e si obbliga a realizzare le opere di
urbanizzazione primaria, oltre a quelle di allacciamento ai
pubblici servizi secondo le normative igienico-sanitarie
vigenti, così come individuate nell’elaborato grafico
allegato alla presente convenzione”. E’ altresì previsto che
“le opere di urbanizzazione realizzate all’interno dell’area
dell’Autoporto rimangono in carico al soggetto utilizzatore
e realizzatore che ha l’obbligo di assicurarne la
funzionalità e la manutenzione”, mentre “le opere di
urbanizzazione relative alla viabilità di accesso…e il primo
lotto…dello svincolo di Vicarello e le altre poste
all’esterno dell’area il Faldo richiamate nelle premesse
saranno cedute gratuitamente all’ente concedente una volta
realizzate e collaudate”.
Viene quindi concordato che “gli standard a parcheggio di
cui al d.m. n. 1444/1968 e 122/1989 inseriti nell’Autoporto o a
questo connessi sono classificati come parcheggi privati a
uso pubblico e sono gestiti dal concessionario” e che
“l’importo relativo alla realizzazione degli standard è di
complessivi Euro 159.542,50 (pari a 3.250 mq. per Euro
49,09/mq.), dedotti dal computo metrico estimativo… che…
saranno scomputati dagli oneri di urbanizzazione…”; quindi
si precisa che “tutte le opere comprese nell’area sono
subordinate al rilascio di concessione edilizia…soggetta al
pagamento degli oneri di urbanizzazione primaria pari a Euro
1.183.140,01 e urbanizzazione secondaria pari a Euro
998.102,42 per complessivi Euro 2.181.242,43”.
A sua volta la concessione edilizia riporta l’ammontare di
159.542,5 euro quale solo “oggetto di scomputo dagli oneri
di urbanizzazione”.
Nello stesso atto consensuale, poi, all’art. 6 è previsto
che la società “a
garanzia della perfetta osservanza degli obblighi oggetto
della …convenzione e delle norme tecniche per l’esecuzione
delle opere di urbanizzazione… costituisce apposita
fideiussione per l’importo di Euro 4.362.484,00”; tale
somma, come comunemente avviene, è
esattamente il doppio di quanto dovuto per oneri concessori
quantificati nel precedente art. 5.
2.3. Orbene, la detta convenzione –che si configura come un
atto facente parte del procedimento che porta al rilascio
della concessione edilizia– determina con l’accordo
sottoscritto il contenuto dei relativi obblighi secondo i
principi del codice civile, così come precisato nell’art.
11 della legge n. 241/1990. In particolare lo scomputo degli
oneri di urbanizzazione e la sua misura sono stati oggetto
di una determinazione consensuale che non può essere
modificata unilateralmente.
E’ infatti giurisprudenza costante che l’art. 16, comma 2,
del d.p.r. n. 380/2001 (che ha riprodotto l’art. 11, comma
1, della legge n. 10/1977 e che corrisponde sostanzialmente
anche all’art. 26, comma 11, della legge regionale n. 52/1999
come modificato con la legge regionale n. 43/2003) consente al
privato di eseguire direttamente le opere di urbanizzazione
in alternativa al pagamento dei connessi oneri (con
possibilità quindi di ottenerne poi lo scomputo da quanto
deve pagare a titolo di oneri di urbanizzazione primaria e
secondaria), ma tale facoltà ha effetto soltanto se la
proposta del privato sia accettata dal Comune secondo le
modalità e le garanzie dettate dal medesimo e con
conseguente acquisizione delle opere al patrimonio
indisponibile del comune.
La ricorrente sostiene che la sottoscrizione della
convenzione non può costituire acquiescenza all’obbligo del
pagamento e rinuncia a ogni altro scomputo, perché la
mancata effettuazione dello scomputo doveroso sarebbe emersa
soltanto a seguito della nota del Comune 09.09.2003 nella
quale è contenuto il calcolo degli oneri dovuti; nella
convenzione viceversa viene solo quantificata la cifra
complessiva degli oneri di urbanizzazione, ma non è
specificato che da detto importo non saranno detratti i
costi per le opere di urbanizzazione eseguite direttamente;
anzi l’approvazione, da parte del Comune, del computo
metrico estimativo di dette opere redatto dal tecnico della
ricorrente avrebbe indotto quest’ultima a ritenere accettato
il doveroso scomputo, anche perché la realizzazione
dell’intervento era stata prevista dalla variante
urbanistica che poneva a carico del privato realizzatore
ogni spesa necessaria per rendere attuabile l’intervento
stesso; la contestuale richiesta di oneri per opere
realizzate direttamente costituirebbe una indebita
duplicazione.
La tesi non può essere condivisa.
La concessione edilizia è normalmente onerosa, tranne le
tassative ipotesi di gratuità (artt. 3-9 della legge n.
10/1977, trasfusi nel d.p.r. n. 380/2001 – art. 16) che, nella
specie, non vengono invocate.
Gli oneri di urbanizzazione (che unitamente al costo di
costruzione sono gli elementi della onerosità) sono stati
previsti dal legislatore a carico del costruttore, quale
prestazione patrimoniale, a titolo di partecipazione di
costui al costo delle opere di urbanizzazione connesse alle
esigenze della collettività che scaturiscono dagli
interventi di edificazione e dal maggior carico urbanistico
che si realizza nella zona in ordine all’aumento della
necessaria dotazione dei servizi (rete viaria, fognature,
ecc.); esigenze, queste, cui prioritariamente doveva
provvedere il comune appunto con questi proventi (art. 12
della legge n. 10/1977, norma non più riprodotta nella
normativa successiva in ossequio al principio dell’autonomia
degli enti locali ).
Detti oneri prescindono dall’esistenza o meno delle opere di
urbanizzazione e vengono determinati indipendentemente sia
dall’utilità che il concessionario ritrae dal titolo
edificatorio sia dalle spese effettivamente occorrenti per
realizzare siffatte opere (Cons. di Stato, V, n. 462/1977).
Infatti, ai sensi dell’art. 16, comma 4, del d.p.r. n.
380/2001 (e della normativa precedente), essi sono stabiliti
dai comuni secondo tabelle parametriche definite dalla
regione per classi di comuni (ampiezza e andamento
demografico, caratteristiche geografiche, destinazioni di
zona, limiti e rapporti minimi inderogabili di cui al d.m.
n. 1444 del 02.04.1968).
I commi 7, 7-bis e 8 dello stesso
art. 16 recano un elenco tassativo delle opere di
urbanizzazione primaria e secondaria cui sono connessi i
relativi oneri. Essi sono dovuti anche in caso di modifica
della destinazione d’uso dell’immobile, quando sia
necessaria la concessione edilizia (ora: permesso di
costruire), indipendentemente dalla realizzazione di nuove
opere edilizie (Cons. di Stato, V, n. 529/1977).
La ricorrente si sofferma molto nelle sue difese nel
sostenere che le opere idrauliche che essa si è impegnata a
realizzare sono da considerarsi opere di urbanizzazione
(primaria o secondaria?), sia perché rivolte alle esigenze
della collettività sia perché previste nella specifica
variante che ha appunto consentito la realizzazione
dell’intervento dell’Autoporto.
La tesi non può essere condivisa perché è indubbio che
l’opera sia da ricomprendere tra le iniziative
imprenditoriali private che, seppur prevista in uno
strumento urbanistico, non per questo diventa opera pubblica
o di pubblico interesse tale da fruire di particolari misure
derogatorie rispetto al sistema legale della concessione
edilizia onerosa. Al contrario, tutte le opere previste
nello strumento urbanistico, alla cui esecuzione è
subordinato il rilascio della concessione edilizia, sono
state indicate al solo scopo di rendere tecnicamente
possibile l’intervento stesso e non servono a rendere
vivibile la zona nell’interesse della collettività ma
nell’esclusivo interesse dell’imprenditore che realizzerà e
gestirà l’opera con il consueto utile di impresa. Tali sono,
oltre alle opere idrauliche, il piazzale di stoccaggio
delle auto e gli interventi viari finalizzati, non ad una
fruizione generale, ma solo al transito dei camion che
trasportano le autovetture e quindi sempre per un interesse
privato dell’impresa.
In ogni caso la società ricorrente –che non può vantare un
“diritto”
allo scomputo, dal momento che la legge configura la facoltà
di esecuzione diretta con possibilità di scomputo nei soli
limiti accettati dalla controparte pubblica- era
perfettamente consapevole che al momento della
sottoscrizione della convenzione con il Comune dovevano
essere precisati tutti i relativi obblighi, perché è in quel
momento che si realizza l’incontro delle volontà delle parti
contraenti nell’esercizio dell’autonomia negoziale; ed anche
se alcuni contenuti
dell’accordo sono proposti dall’Amministrazione in termini
non modificabili dal privato, ciò non esclude che la parte
privata che abbia sottoscritto la convenzione, conoscendone
il contenuto e senza apporvi nessuna riserva, abbia inteso
aderirvi e ne resti vincolata (Cons. di Stato n. 33/2003).
Avvalorano la conclusione anche le N.T.A. della specifica
Variante urbanistica comunale (non impugnata) che ha
consentito la realizzazione dell’opera, ove si precisa (art.
31), al punto D1F (Autoporto Faldo), che “l’intervento è
attuabile mediante concessione convenzionata contenente
l’impegno a realizzare tutti gli interventi presenti nel
progetto, i relativi costi…” (tra cui lo svincolo di accesso
all’area sulla strada statale, adeguamento di altro svincolo
viario,
attivazione di tratto ferroviario, opere di bonifica
idraulica e geologica) nonché, alla lettera f, che l’“atto
d’obbligo” del titolare della concessione edilizia dovrà
contenere, tra l’altro, l’impegno a “effettuare i versamenti
relativi agli oneri concessori secondo gli importi all’uopo
stabiliti”. La variante non è stata impugnata.
Nemmeno la invocata circostanza che l’intervento è oggetto
di un finanziamento pubblico, previsto dal Patto
territoriale di Livorno e dell’area livornese, approvato con
decreti interministeriali nn. 983 e 996 del 1999, può valere
a considerare il complesso intervento come tutta un’opera di
urbanizzazione.
Da tutto ciò deriva che, firmata la convenzione e non
esistendo nell’ordinamento un “diritto allo scomputo”, le
clausole relative e gli impegni assunti non possono
unilateralmente essere rimessi in discussione, a meno di non
invocare vizi della volontà o ipotesi di risoluzione del
contratto (es.: per vizi della volontà o per eccessiva
onerosità dell’accordo sottoscritto) nella specie non
dedotti.
Dette opere sono finalizzate alla fruizione dell’area ad uso
esclusivo della società ricorrente, che è un soggetto che
svolgerà un’attività
dalla quale ritrarrà necessariamente un utile d’impresa.
Nessuna delle opere realizzate dalla ricorrente sarà
trasferita al Comune in quanto trattasi di svincoli di
strade regionali o statali.
Non si può quindi fondatamente ritenere che il Comune,
negando lo scomputo, si viene ad arricchire delle opere
realizzate direttamente, perché, si ripete, trattasi opere
tutte a beneficio della realizzazione dell’Autoporto e con
nessun riflesso diretto (peraltro non dimostrato) per la
collettività. Viceversa, è proprio la realizzazione della
nuova struttura e della creazione degli asseriti nuovi posti
di lavoro che potrà
determinare una futura, nuova urbanizzazione anche di
carattere residenziale per coloro che vi lavorano, il che
comporta che il Comune si dovrà addossare altri oneri di
urbanizzazione per finalità pubbliche; ecco che si
giustifica il fatto di non aver previsto, negli atti tutti
della procedura, nessuno scomputo ulteriore rispetto a
quello esplicitamente determinato nella misura di circa
160.000 euro.
Per tal parte il ricorso non può essere accolto
(TAR Toscana, Sez. III,
sentenza 14.09.2004 n. 3782 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
contributo di cui all’art. 3 della legge n. 10 del 1977 non
è dovuto per gli interventi edilizi di seguito elencati
giacché, ad avviso del Collegio, tali opere rientrano nella
nozione di manutenzione straordinaria:
1)- demolizione e rifacimento dei solai dell’androne e del
vano scala “A”;
2)- utilizzazione del piano interrato sotto il vano scala
per l’installazione della centrale idrica e del vano
ascensore;
3)- demolizione della copertura a tetto e sua ricostruzione
con solaio in latero-cemento e manto di tegole;
4)- modifica alla ripartizione interna di alcuni
appartamenti;
6)- rifacimento degli intonaci e ripristino degli infissi,
etc..
---------------
Il contributo in discorso non è dovuto neppure per
l’intervento edilizio sopra descritto al n. 5) giacché, ad
avviso del Collegio, le relative opere (prolungamento ed
ampliamento degli aggetti dei balconi) integrano un
intervento di ristrutturazione edilizia che rientra
nell’ipotesi di esenzione contemplata dalla lett. d)
dell’art. 9 succitato (interventi di restauro, risanamento
conservativo, ristrutturazione ed ampliamento, in misura non
superiore al 20%, di edifici unifamigliari), in quanto
trattasi di un intervento riguardante pur sempre ciascuna
delle singole unità immobiliari abitate da una sola
famiglia.
D’altra parte, se lo si riguardi come relativo all’intero
edificio condominiale composto da più unità immobiliari,
l’intervento di ristrutturazione di che trattasi deve
essere, ad avviso del Collegio, esentato dal contributo,
giacché da esso non deriva alcuna ulteriore incidenza sul
carico urbanistico.
Il ricorso in esame è diretto all’annullamento, nella parte
in cui impone il pagamento del contributo di cui all’art. 3
della legge n. 10 del 1977, di una concessione edilizia
rilasciata al Condominio ricorrente per l’esecuzione dei
seguenti lavori (descritti a pag. 2, cpv. II, della
concessione impugnata):
1)- demolizione e rifacimento dei solai dell’androne e del
vano scala “A”;
2)- utilizzazione del piano interrato sotto il vano scala
per l’installazione della centrale idrica e del vano
ascensore;
3)- demolizione della copertura a tetto e sua ricostruzione
con solaio in latero-cemento e manto di tegole;
4)- modifica alla ripartizione interna di alcuni
appartamenti;
5)- prolungamento ed ampliamento degli aggetti dei balconi;
6)- rifacimento degli intonaci e ripristino degli infissi,
etc..
Il primo motivo di ricorso (sopra riassunto in “fatto”)
sostiene (in stretta sintesi) che il pagamento di che
trattasi non è dovuto, in applicazione dell’esenzione
prevista dall’art. 9, lettere c), d), e), della succitata
legge.
L’assunto di parte ricorrente è fondato.
Ed invero, la succitata norma prevede espressamente che il
contributo di cui all’art. 3 della legge n. 10 del 1977 non
è dovuto, sia per gli interventi di manutenzione
straordinaria (lett. c), sia per le modifiche interne
necessarie per migliorare le condizioni igieniche o statiche
delle abitazioni e per la realizzazione dei volumi tecnici
indispensabili per gli impianti tecnologici necessari per le
esigenze delle abitazioni (lett. e).
Peraltro, l’art. 31, lett. b), della legge n. 457 del 1978
definisce come interventi di manutenzione straordinaria le
opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire
parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare
ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici,
sempreché non alterino i volumi e le superfici delle singole
unità immobiliari e non comportino variazione delle
destinazioni d’uso.
Orbene, ai sensi delle norme sopra ricordate, il contributo
di che trattasi non è dovuto per gli interventi edilizi
sopra descritti ai nn. 1), 2), 3), 4) e 6), giacché, ad
avviso del Collegio, tali opere rientrano nella nozione di
manutenzione straordinaria come desumibile dalla lett. b)
dell’art. 31 succitato (cfr.: TAR Marche, 21.11.1987
n. 527).
Il contributo in discorso non è dovuto neppure per
l’intervento edilizio sopra descritto al n. 5), giacché, ad
avviso del Collegio, le relative opere (prolungamento ed
ampliamento degli aggetti dei balconi) integrano un
intervento di ristrutturazione edilizia che rientra
nell’ipotesi di esenzione contemplata dalla lett. d)
dell’art. 9 succitato (interventi di restauro, risanamento
conservativo, ristrutturazione ed ampliamento, in misura non
superiore al 20%, di edifici unifamigliari), in quanto
trattasi di un intervento riguardante pur sempre ciascuna
delle singole unità immobiliari abitate da una sola famiglia
(cfr.: TAR Brescia, 05.09.996 n. 904).
D’altra parte,
se lo si riguardi come relativo all’intero edificio
condominiale composto da più unità immobiliari, l’intervento
di ristrutturazione di che trattasi deve essere, ad avviso
del Collegio, esentato dal contributo, giacché da esso non
deriva alcuna ulteriore incidenza sul carico urbanistico
(cfr.: Cons. St., Sez. V, 08.02.1991 n. 120)
(TAR Abruzzo-Pescara,
sentenza 07.09.2004 n. 799 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Ai fini della
riliquidazione o meno degli oneri di urbanizzazione, l’unico
legittimo presupposto imponibile è costituito dalla
sussistenza o meno dell’eventuale maggiore carico
urbanistico provocato dall’intervento, introdotto in un
fabbricato già autorizzato, e che, a tali fini, non si deve
tenere conto esclusivamente di una ristrutturazione generale
e globale di un edificio, con necessari interventi esterni e
interni, ma anche di ristrutturazioni che comunque
trasformino la realtà strutturale e la fruibilità
urbanistica dell’immobile, con conseguente necessità della
sottoposizione della relativa concessione al pagamento dei
contributi, riferiti alla avvenuta oggettiva rivalutazione
dell’immobile, e funzionali a sopportare il carico
socio-economico che la realizzazione comporta sotto il
profilo urbanistico.
---------------
Sulla base del generale principio di correlare la dovutezza
degli oneri al carico urbanistico, la ristrutturazione
edilizia comporta il pagamento degli oneri di urbanizzazione
allorché l’intervento abbia determinato un aumento del
carico urbanistico, tenuto conto che il carico urbanistico
sussiste anche allorquando l’intervento di ristrutturazione,
comportante la divisione e il frazionamento di un immobile,
conseguenti ad una scissione societaria per essere
l’edificio adibito ad attività di impresa di due distinti
soggetti (alla ripartizione per assegnazione ai soci dei
beni comuni si applicano le disposizioni della divisione
delle cose comuni, ai sensi dell’art. 2283 c.c., e tale
principio vale anche in caso di divisione per scissione
societaria), con l’apertura di due nuovi ingressi, per due
distinte unità abitative, realizza un aumento dell’impatto
sul territorio ed è pertanto sottoposto ai predetti oneri.
---------------
L'imposizione di oneri integrativi di urbanizzazione è
causata anche da interventi edilizi interni di diversa
utilizzazione dell’area interessata, come nel caso di
aumento del numero di unità abitative (da una a due),
determinante una variazione quantitativa e qualitativa del
carico urbanistico.
- Considerato che il giudice di primo grado ha rigettato il
ricorso avverso il provvedimento che confermava la
determinazione della dovutezza degli oneri di urbanizzazione
in relazione all’intervento di ristrutturazione realizzato
dalla ricorrente, a seguito di scissione societaria e
conseguente divisione e frazionamento dell’immobile,
ritenendo che concreti ristrutturazione edilizia la erezione
di tramezzature e la modificazione degli ingressi;
- Considerato che l’appellante ripropone le censure,
respinte in primo grado, con le quali sostiene che
l’intervento che non comporti aumento delle unità
immobiliari, consistente nella divisione in senso
orizzontale o verticale del fabbricato, senza ulteriore
apertura di ingressi (ma solo sfruttando i due ingressi
originari) non comporti un ulteriore carico urbanistico;
- Considerato che ai fini della riliquidazione o meno degli
oneri di urbanizzazione, l’unico legittimo presupposto
imponibile è costituito dalla sussistenza o meno
dell’eventuale maggiore carico urbanistico provocato
dall’intervento, introdotto in un fabbricato già
autorizzato, e che, a tali fini, non si deve tenere conto
esclusivamente di una ristrutturazione generale e globale di
un edificio, con necessari interventi esterni e interni, ma
anche di ristrutturazioni che comunque trasformino la realtà
strutturale e la fruibilità urbanistica dell’immobile, con
conseguente necessità della sottoposizione della relativa
concessione al pagamento dei contributi, riferiti alla
avvenuta oggettiva rivalutazione dell’immobile, e funzionali
a sopportare il carico socio-economico che la realizzazione
comporta sotto il profilo urbanistico (in tal senso C. di
Stato, V, 03.03.2003, n. 1180);
- Considerato e ritenuto che, sulla base del generale
principio di correlare la dovutezza degli oneri al carico
urbanistico, la ristrutturazione edilizia comporta il
pagamento degli oneri di urbanizzazione allorché
l’intervento abbia determinato un aumento del carico
urbanistico, e considerato che il carico urbanistico
sussiste anche allorquando l’intervento di ristrutturazione,
comportante la divisione e il frazionamento di un immobile,
conseguenti ad una scissione societaria per essere
l’edificio adibito ad attività di impresa di due distinti
soggetti (alla ripartizione per assegnazione ai soci dei
beni comuni si applicano le disposizioni della divisione
delle cose comuni, ai sensi dell’art. 2283 c.c., e tale
principio vale anche in caso di divisione per scissione
societaria), con l’apertura di due nuovi ingressi, per due
distinte unità abitative, realizza un aumento dell’impatto
sul territorio ed è pertanto sottoposto ai predetti oneri;
- Considerato e ritenuto che la imposizione di oneri
integrativi di urbanizzazione è causata anche da interventi
edilizi interni di diversa utilizzazione dell’area
interessata, come nel caso di aumento del numero di unità
abitative (da una a due), determinante una variazione
quantitativa e qualitativa del carico urbanistico (in tal
senso, C. Stato, V, 23.05.1997, n. 529) (Consiglio di Stato,
Sez. IV,
sentenza 29.04.2004 n. 2611 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Alcuni
dei casi di gratuità, come gli interventi di restauro,
manutenzione, risanamento conservativo, le ristrutturazioni
senza nuovi volumi, le opere interne e gli ampliamenti di
modesta entità, sono espressione di un principio, ricavabile
del resto già dall’articolo 1 L. 10/1977 e costituente
l’applicazione inversa della regola ivi enunciata, della
gratuità della concessione per opere che non comportino
nessun nuovo carico urbanistico per il comune.
Questo Consiglio ha già fatto applicazione del principio in
sede consultiva con il parere n. 240 del 31.03.1982 della II
Sezione, ritenendo applicabile l’esenzione di cui all’alinea
“g”, relativo alle opere da realizzare in seguito a
pubbliche calamità al caso, non espressamente previsto,
della ricostruzione delle case distrutte; sul rilievo
appunto che l’onerosità della concessione trova la sua
ragion d’essere come corrispettivo delle spese che la
collettività si addossa, con vantaggio del concessionario,
in conseguenza della concessione edilizia, e che tale
presupposto manca nel caso di ricostruzione di ciò che la
calamità abbia distrutto.
Lo stesso va affermato, evidentemente, per il caso di
costruzione in sostituzione di un edificio espropriato e
distrutto per realizzare un’opera pubblica, per un volume
non maggiore del precedente e nel territorio dello stesso
comune.
Venendo alla questione principale, la legge 28.01.1977 n. 10
sull’edificabilità dei suoli, dopo avere all’articolo 1
enunciato la regola che «Ogni attività comportante
trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio
comunale partecipa agli oneri ad essa relativi» (agli
oneri, s’intende, che le nuove costruzioni fanno gravare
sulla collettività), e avere istituito all’articolo 3 il
contributo per la concessione edilizia, commisurato
all’incidenza delle spese di urbanizzazione nonché al costo
di costruzione e meglio specificato poi negli articoli 5 e
6, nell’articolo 9 elenca i casi di concessione gratuita.
Alcuni dei casi di gratuità, come gli interventi di
restauro, manutenzione, risanamento conservativo, le
ristrutturazioni senza nuovi volumi, le opere interne e gli
ampliamenti di modesta entità, sono espressione di un
principio, ricavabile del resto già dall’articolo 1 e
costituente l’applicazione inversa della regola ivi
enunciata, della gratuità della concessione per opere che
non comportino nessun nuovo carico urbanistico per il
comune.
Questo Consiglio ha già fatto applicazione del principio in
sede consultiva con il parere n. 240 del 31.03.1982 della II
Sezione, ritenendo applicabile l’esenzione di cui all’alinea
“g”, relativo alle opere da realizzare in seguito a
pubbliche calamità al caso, non espressamente previsto,
della ricostruzione delle case distrutte; sul rilievo
appunto che l’onerosità della concessione trova la sua
ragion d’essere come corrispettivo delle spese che la
collettività si addossa, con vantaggio del concessionario,
in conseguenza della concessione edilizia, e che tale
presupposto manca nel caso di ricostruzione di ciò che la
calamità abbia distrutto.
Lo stesso va affermato, evidentemente, per il caso di
costruzione in sostituzione di un edificio espropriato e
distrutto per realizzare un’opera pubblica, per un volume
non maggiore del precedente e nel territorio dello stesso
comune
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 23.01.2004 n. 174 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2003 |
|
EDILIZIA
PRIVATA: Laddove
l’obbligo contributivo sia stato già assolto in sede di
intervento originario, l’eventuale ricostruzione
dell’edificio dovuta a causa accidentale che ne abbia
determinato la rovina, non comporta automaticamente
l’assoggettamento dell’opera al pagamento di un nuovo
contributo a titolo di quota di urbanizzazione.
Non essendovi propriamente (nuova) attività di
trasformazione del territorio, già oggetto di edificazione,
la ricostruzione dell’immobile distrutto non comporta, ex
se, l’esigenza di far partecipare il privato
all’urbanizzazione dell’area.
Resta salvo, ovviamente, il potere dell’amministrazione di
imporre l’obbligo contributivo in caso di aumento del carico
urbanistico conseguente alla ricostruzione dell’immobile,
nel caso in cui l’attività di ricostruzione abbia comportato
aumento della superficie o della volumetria o mutamento di
destinazione d’uso, e cioè modifiche strutturali o
funzionali capaci di incidere anche sull’assetto urbanistico
dell’area.
La pubblica amministrazione, peraltro, laddove ritenga si
sia determinato un incremento del carico urbanistico come
conseguenza della realizzazione dell’intervento di
ricostruzione che non abbia comportato nuova trasformazione
del territorio, ha l’onere di motivare la propria
determinazione con particolare riferimento all’esigenza di
apprestare nuove infrastrutture a seguito delle modifiche
intervenute.
Va precisato che, contrariamente a quanto ritenuto dalla
ricorrente, l’intervento previsto comporta la ricostruzione
dell’edificio principale preesistente, in massima parte
distrutto a seguito di incendio, ed il suo rialzamento
secondo quanto previsto dal regolamento urbanistico, la
mancata ricostruzione di altri corpi di fabbrica; ne
conseguono modifiche alla sagoma, planimetriche e
volumetriche rispetto all’insieme delle costruzioni
preesistenti.
Pertanto, l’intervento non può essere qualificato come
ristrutturazione edilizia, ma va correttamente definiti come
nuova edificazione.
Ciò nondimeno, non si tratta, automaticamente, di intervento
soggetto al pagamento degli oneri di urbanizzazione.
Vero è che l’art. 19, comma 1, l.r.t. 14.10.1999 n. 52
ricollega l’obbligo del contributo di concessione a due
diverse ipotesi, tra loro alternative, la prima delle quali
è quella che l’intervento comporti nuova edificazione.
Ciò non toglie, tuttavia, che il legislatore regionale abbia
inteso connettere l’obbligo contributivo all’esigenza di
sottoporre qualsiasi nuova costruzione, in quanto diretta
all’edificazione di un’area libera, alla partecipazione del
privato alle spese di urbanizzazione primaria e secondaria
che sarebbero state indotte dall’intervento realizzando in
un’area priva delle necessarie strutture urbanistiche o che
ne fosse già provvista.
In un caso o nell’altro, il principio sotteso all’obbligo
contributivo è rinvenibile nell’esigenza che ai costi
ricadenti sulla collettività per l’urbanizzazione dell’area,
della quale il privato si avvale nel momento in cui decide
di edificare, egli debba necessariamente contribuire in
rapporto a quanto costruito.
Il contributo di urbanizzazione è infatti determinato nella
misura corrispondente all’entità e qualità delle opere di
urbanizzazione necessarie, il che ha portato ad affermarne
la natura di corrispettivo, a differenza del contributo per
il rilascio della concessione che costituisce una
prestazione di natura tributaria (Tar Campania, Napoli, IV,
18.12.2001 n. 5500).
Peraltro, la quota di urbanizzazione è stata anche
qualificata come tassa, in quanto essenzialmente
corrispettivo di una prestazione resa o da rendere da parte
dell’amministrazione o avente natura di corrispettivo di
diritto pubblico (Tar Lombardia, Milano, II, 06.11.2002 n.
4267).
Si tratta, comunque, di una forma di partecipazione alle
spese pubbliche con caratteri atipici, ma sempre collegata
all’attività di trasformazione del territorio (C.S., V,
06.05.1997 n. 462).
Ne consegue che, laddove l’obbligo contributivo sia stato
già assolto in sede di intervento originario, l’eventuale
ricostruzione dell’edificio dovuta a causa accidentale che
ne abbia determinato la rovina, non comporta automaticamente
l’assoggettamento dell’opera al pagamento di un nuovo
contributo a titolo di quota di urbanizzazione.
Non essendovi propriamente (nuova) attività di
trasformazione del territorio, già oggetto di edificazione,
la ricostruzione dell’immobile distrutto non comporta, ex
se, l’esigenza di far partecipare il privato
all’urbanizzazione dell’area.
Resta salvo, ovviamente, il potere dell’amministrazione di
imporre l’obbligo contributivo in caso di aumento del carico
urbanistico conseguente alla ricostruzione dell’immobile,
nel caso in cui l’attività di ricostruzione abbia comportato
aumento della superficie o della volumetria o mutamento di
destinazione d’uso, e cioè modifiche strutturali o
funzionali capaci di incidere anche sull’assetto urbanistico
dell’area.
La pubblica amministrazione, peraltro, laddove ritenga si
sia determinato un incremento del carico urbanistico come
conseguenza della realizzazione dell’intervento di
ricostruzione che non abbia comportato nuova trasformazione
del territorio, ha l’onere di motivare la propria
determinazione con particolare riferimento all’esigenza di
apprestare nuove infrastrutture a seguito delle modifiche
intervenute
(TAR Toscana, Sez. II,
sentenza 29.12.2003 n. 6289 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2002 |
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EDILIZIA
PRIVATA: In
materia edilizia vige la regola generale dell’onerosità
della concessione, essendo le ipotesi di gratuità della
concessione contemplate in norme di carattere derogatorio ed
eccezionale, e –come tali– di stretta interpretazione.
Analogo richiamo al regime di onerosità della concessione
edilizia in sanatoria è contenuto nell'art. 37 L. 28.02.1985
n. 47, il cui primo comma stabilisce che il versamento
dell’oblazione (allo Stato) non esime i concessionari dalla
corresponsione al Comune del contributo previsto dall’art. 3
legge n. 10/1977, “ove dovuto”: ne consegue che anche detto
inciso risulta disposizione di stretta interpretazione.
---------------
In sede di rilascio di concessione in sanatoria, si
giustifica la richiesta di pagamento di oneri di
urbanizzazione quando si sia verificata, in dipendenza della
realizzazione dell’intervento edilizio abusivo, una
variazione in aumento del carico urbanistico: e la
controversa ingiunzione di pagamento riguarda, per
l’appunto, una fattispecie di condono edilizio per cambio di
destinazione d’uso (da fienile a residenziale: cfr. quarto e
sesto capoverso delle premesse), comportante all’evidenza un
aumento di carico urbanistico nelle zone agricole
interessate.
Innanzitutto, giova premettere che è principio pacifico in
giurisprudenza, quello per cui in materia edilizia vige la
regola generale dell’onerosità della concessione, essendo le
ipotesi di gratuità della concessione contemplate in norme
di carattere derogatorio ed eccezionale, e –come tali– di
stretta interpretazione (cfr. Corte Cost. 23.06.1988, n.
714, TAR Trieste, 19.06.1993, n. 236, TAR Lazio,
Latina, 01.08.1994, n. 752): sotto questo profilo si
rivela, pertanto, esatta l’osservazione in tal senso svolta
dal Comune, nella propria memoria conclusiva.
Analogo richiamo al regime di onerosità della concessione
edilizia in sanatoria è contenuto nell'art. 37 L. 28.02.1985 n. 47 (cfr. TAR Toscana, Sez. I, 30.09.1993, n. 822), il cui primo comma stabilisce che
il versamento dell’oblazione (allo Stato) non esime i
concessionari dalla corresponsione al Comune del contributo
previsto dall’art. 3 legge n. 10/1977, “ove dovuto”: ne
consegue che anche detto inciso risulta disposizione di
stretta interpretazione.
---------------
Sotto altro profilo, la
conclusione cui è pervenuto il Collegio risulta, altresì,
avvalorata (vertendosi in ambito di giurisdizione esclusiva)
da un concorrente ordine di motivazioni, consistente nel
costante orientamento manifestato dal Giudice
amministrativo, nel senso che, in sede di rilascio di
concessione in sanatoria, si giustifica la richiesta di
pagamento di oneri di urbanizzazione quando si sia
verificata, in dipendenza della realizzazione
dell’intervento edilizio abusivo, una variazione in aumento
del carico urbanistico (cfr. Cons. Stato. Sez. V, 15.09.1997,
n. 959; per questo TRGA: 25.05.1992, n. 198 e 04.07.1990, n. 320; da ultimo: TAR Emilia-Romagna, Sez. II, n. 157 del 2001): e la controversa ingiunzione di
pagamento riguarda, per l’appunto, una fattispecie di
condono edilizio per cambio di destinazione d’uso (da
fienile a residenziale: cfr. quarto e sesto capoverso delle
premesse), comportante all’evidenza un aumento di carico
urbanistico nelle zone agricole interessate (TRGA
Trentino Alto Adige-Trento,
sentenza 02.07.2002 n. 214 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2000 |
|
EDILIZIA PRIVATA: Un
impianto destinato ad essiccazione e
conservazione di cereali realizzato da un
consorzio agrario costituito nella forma di
società di capitali privata non costituisce
opera pubblica in senso stretto perché esso
rappresenta un edificio d'interesse sì
collettivo, ma dei soli soci del consorzio
stesso e solo indirettamente degli altri
agricoltori: pertanto, non è esente dal
versamento del contributo di urbanizzazione
e costruzione.
L'esenzione dal contributo di urbanizzazione
e costruzione, di cui all'art. 9, lett. f),
l. 28.01.1977 n. 10, spetta esclusivamente
alle opere pubbliche, ossia alle opere di
pubblico interesse realizzate da enti
pubblici, mentre non compete alle opere
realizzate da soggetti privati, quale che
sia la rilevanza sociale dell'attività dagli
stessi esercitata nella o con l'opera cui la
concessione edilizia si riferisce; pertanto,
un impianto destinato ad essiccazione e
conservazione di cereali realizzato da un
consorzio agrario costituito nella forma di
società di capitali privata, non costituisce
opera pubblica in senso stretto, perché esso
rappresenta un edificio d'interesse sì
collettivo, ma dei soli soci del consorzio
stesso e solo indirettamente degli altri
agricoltori, fermo restando che detto
consorzio non ha per scopo essenziale la
costruzione di opere pubbliche (sez. V,
19.09.1995, n. 1313).
Tale indirizzo, a confutazione del quale non
sono stati addotti argomenti persuasivi,
merita di essere confermato.
Il paradigma normativo dell’art. 9, lett.
f), della l. n. 10/1977, invero, prevede la
gratuità della concessione edilizia per gli
impianti, le attrezzature, le opere
pubbliche o di interesse generale realizzate
dagli enti istituzionalmente competenti
nonché per le opere di urbanizzazione,
eseguite anche da privati, in attuazione di
strumenti urbanistici.
La prospettazione della parte ricorrente in
primo grado si fonda essenzialmente sulla
locuzione “opere…di interesse generale”,
in relazione alle finalità di interesse
pubblico perseguite dai consorzi agrari.
Il fatto, però, è che la fattispecie
normativa, elevando ad oggetto della
qualificazione “le opere pubbliche o di
interesse generale realizzate dagli enti
istituzionalmente competenti” ha inteso
riferirsi agli enti pubblici, o comunque
agli enti che agiscono per conto di enti
pubblici (come ad esempio, i concessionari
pubblici): in tal senso, la giurisprudenza
del Consiglio di Stato è costante.
L’esattezza di tale soluzione è confermata,
del resto, non soltanto dall’endiadi: “opere
pubbliche o di interesse generale”, che
rinvia ad una figura soggettiva pubblica, ma
dal fatto che nella sola seconda parte della
proposizione normativa, concernente le opere
di urbanizzazione, la disposizione
specifica: "eseguite anche da privati".
Ne esce quindi caricata di ulteriore valore
semantico la locuzione: “enti
istituzionalmente competenti”, che non
può riferirsi che ad enti pubblici o a
soggetti che agiscono per conto degli
stessi.
Circa la natura dei consorzi agrari, che
attualmente hanno personalità giuridica di
diritto privato, può convenirsi sul fatto
che essi concorrono al conseguimento di
determinate finalità di pubblico interesse,
ma ciò è comune a tutta la categoria
dottrinale degli enti privati di interesse
pubblico, caratterizzata dal fatto di essere
sottoposti a vigilanza particolarmente
penetrante o di essere inseriti in
ordinamenti settoriali cui sono preposti
amministrazioni o enti pubblici.
Resta però il fatto che nell’ordinamento
giuridico vigente non esiste una categoria
intermedia tra gli enti pubblici e quelli
privati, in quanto gli enti qualificabili
come enti privati di interesse pubblico
rimangono pur sempre soggetti privati.
Tale rilievo è assorbente ai fini della
decisione della presente controversia.
Il Consorzio agrario provinciale di Mantova,
in quanto soggetto privato, non aveva titolo
alla gratuità della concessione edilizia per
l’impianto di stoccaggio di cereali, ai
sensi dell’art. 9, lett. f), l. n. 10/1977
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 06.10.2000 n. 5323 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: 1. - Concessione – Contributi –
Determinazione – Riferimento alla data di
rilascio della concessione.
2. - Concessione – Contributi –
Determinazione – Procedimento - Autonomia -
Conseguenze - Rideterminazione -
Possibilità.
3. – Concessione – Contributi –
Determinazione - Variante essenziale
concernente l'intera opera – Tariffe vigenti
alla data del rilascio della variante -
Applicabilità all'intero intervento
edilizio.
1 - La determinazione degli oneri relativa
alla concessione edilizia va effettuata con
riferimento alle norme vigenti alla data del
rilascio della concessione medesima, che è
il momento in cui sorge l’obbligazione
contributiva.
2. - Il procedimento di rilascio della
concessione edilizia è autonomo da quello di
imposizione dei conseguenti oneri; pertanto,
gli oneri contributivi possono essere
determinati successivamente al rilascio
della concessione e rideterminati nella loro
entità ogni qualvolta il calcolo effettuato
dal Comune si sia rivelato errato per
qualsiasi ragione.
3 – Il principio secondo il quale il
contributo concessorio è commisurato, in
caso di variante, al quid novi insito nella
variante medesima, non è applicabile
nell’ipotesi in cui sia stata richiesta una
nuova concessione edilizia riferita non ad
una parte residua ben identificata, non
completata in tempo utile, ma all’intera
opera, riprogettata sulla base di un diverso
disegno, che non si limita ad aggiungere un
quid pluris a ciò che è stato già
assentito, ma investe globalmente
l’intervento edilizio, integrandone una
variante essenziale (ipotesi di generale
riorganizzazione degli spazi interni già
assentiti con la realizzazione di ulteriori
ampliamenti e relativo aumento di
superficie, nonché di volumi, ancorché non
rilevanti sotto il profilo urbanistico,
trattandosi di spazi interrati);
conseguentemente devono essere applicate le
tariffe vigenti per l’anno cui si riferisce
tale ultima concessione anche alle parti
edilizie già assentite, tenuto ovviamente
conto di quanto già corrisposto in sede di
contributo provvisorio (massima tratta da
www.sentenzetoscane.it - TAR Toscana, Sez. I,
sentenza 23.02.2000 n.
321 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 1991 |
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EDILIZIA PRIVATA: CONTRIBUTO
PREVISTO PER IL RILASCIO - APPLICABILITA' ALL'IPOTESI DI INTEGRALE
RICOSTRUZIONE DEL FABBRICATO DEMOLITO, ADIBITO AD ABITAZIONE UNIFAMILIARE SU
AREA ADIACENTE - MANCATA PREVISIONE - LAMENTATA DISPARITA' DI TRATTAMENTO
RISPETTO ALL'IPOTESI DI RISTRUTTURAZIONE ED AMPLIAMENTO DI EDIFICIO NEI
LIMITI DEL VENTI PER CENTO - NON FONDATEZZA DELLA QUESTIONE.
La mancata inclusione nella previsione di esenzione dal
contributo (per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione) per il
rilascio della concessione edilizia, di regola onerosa, accanto all'ipotesi
di ristrutturazione con ampliamento (limitato) dell'edificio, anche di
quella della integrale ricostruzione del fabbricato demolito in area
adiacente, appare giustificata in quanto ai fini delle agevolazioni di cui
all'art. 9, lett. d), legge n. 10 del 1977, il concetto di
"ristrutturazione" mal si presta a comprendere tale fattispecie.
La demolizione accompagnata da ricostruzione è infatti ipotesi diversa dalla
"ristrutturazione" perché caratterizzata da elementi (territoriali e
costruttivi) e da risultato che le conferiscono fisionomia autonoma e
differenziata.
Né può ritenersi violato il principio della riserva di legge ex art. 23
Cost. essendo l'onerosità della concessione edilizia stabilita con legge
(non fondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 9,
lett. d), legge 28.01.1977, n. 10, sollevata in riferimento agli art. 3 e 23
Cost.).
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1. - Il giudice a quo ha sollevato questione di legittimità costituzionale
dell'art. 9, lett. d), della l. 28.01.1977, n. 10, nella parte in cui non
comprende nella previsione di esenzione dal contributo per il rilascio della
concessione, accanto all'ipotesi di ristrutturazione ed ampliamento nei
limiti del venti per cento, anche quella della integrale ricostruzione del
fabbricato demolito, adibito ad abitazione unifamiliare, su area adiacente.
Ha dedotto che tale esclusione contrasta con gli artt. 3 e 23 Cost., tenuto
conto che la giurisprudenza ha ampliato il concetto di ristrutturazione fino
a ricomprendervi ipotesi di ricostruzione del fabbricato sul medesimo suolo.
Sarebbe irragionevole e priva di giustificazione la mancata estensione della
gratuità della concessione all'ipotesi di ricostruzione del fabbricato
demolito, adibito ad abitazione unifamiliare, su area immediatamente
adiacente. La ricostruzione, infatti, non muterebbe lo stato del territorio
e non comporterebbe nuovi carichi urbanistici sullo stesso.
2. - La questione è infondata.
In materia di concessioni edilizie, l'art. 3 della l. 28.01.1977, n. 10 ha
stabilito la regola generale della onerosità, statuendo che la concessione
comporta la corresponsione di un contributo commisurato all'incidenza delle
spese di urbanizzazione e dal costo di costruzione.
Tale contributo, a norma dell'art. 12, è devoluto al comune ed è destinato
alla realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria, al
risanamento di complessi edilizi compresi nei centri storici,
all'acquisizione delle aree da espropriare per l'attuazione dei programmi
pluriennali previsti dall'art. 13, nonché a spese di manutenzione ordinaria
del patrimonio comunale.
L'art. 9 della l. n. 10 del 1977 prevede talune ipotesi di concessione
gratuita, stabilendo una serie di esenzioni dalla corresponsione del
contributo, avuto riguardo allo scopo dell'attività consentita o al
carattere dell'opera ovvero all'occasione dalla quale essa è stata
determinata.
Si tratta di rationes particolari, devolute all'apprezzamento del
legislatore circa il contenuto e le finalità delle ipotesi esentate.
Tali ipotesi, che si presentano tutte come deroghe alla regola della
onerosità, sono state modificate e integrate dall'art. 7 del d.l.
23.01.1982, n. 9 (conv. nella l. 25.03.1982, n. 94), il quale -fra l'altro-
ha assoggettato ad autorizzazione anziché a concessione, gl'interventi di
manutenzione straordinaria e quelli di restauro e di risanamento
conservativo di edifici abitativi, mutando così il carattere dell'atto di
legittimazione.
L'art. 9, lett. d), della l. n. 10 del 1977 -prevedendo (nel suo testo
originario) la concessione gratuita "per gl'interventi di restauro, di
risanamento conservativo, di ristrutturazione e di ampliamento, in misura
non superiore al venti per cento, di edifici unifamiliari"- ha
introdotto un beneficio del tutto particolare che si pone come deroga non
soltanto alla regola dell'onerosità, ma anche a quella dell'agevolazione
posta dall'art. 9, lett. b).
Infatti, con tale disposizione era stata prevista la concessione gratuita "per
gl'interventi di restauro, di risanamento conservativo e di ristrutturazione",
purché non comportassero aumento delle superfici utili di calpestio e
mutamento della destinazione d'uso e il concessionario s'impegnasse a
praticare prezzi di vendita e canoni di locazione degli alloggi, concordati
con il comune e a concorrere negli oneri di urbanizzazione.
Per gli edifici unifamiliari il legislatore, con la lett. d) dell'art. 9,
facendo uso della sua discrezionalità, ha emanato una norma di maggior
favore, estendendo l'agevolazione ad ipotesi di ampliamento (entro certi
limiti) dell'edificio preesistente ed esonerando il concessionario
dagl'impegni previsti alla lett. b).
Da tale ipotesi si differenzia nettamente quella, alla quale il giudice a
quo ritiene debba estendersi la gratuità della concessione.
Invero, ai fini dell'agevolazione prevista dall'art. 9, lett. d), della l.
n. 10 del 1977, il concetto di "ristrutturazione" mal si presta a
comprendere la fattispecie della demolizione accompagnata dalla
ricostruzione dell'edificio sullo stesso suolo.
La demolizione, poi, dell'edificio con la ricostruzione su suolo contiguo è
sicuramente ipotesi normativa diversa dalla "ristrutturazione",
essendo caratterizzata da elementi (territoriali e costruttivi) e da
risultato che le conferiscono fisionomia autonoma e differenziata.
Appare pertanto pienamente giustificato il riferimento normativo
dell'esonero soltanto alla prima e non alla seconda della previsioni.
Ne consegue l'infondatezza della censura di incostituzionalità.
3. - Parimenti infondata è la dedotta violazione dell'art. 23 Cost. -il
quale statuisce che nessuna prestazione, personale o patrimoniale, può
essere imposta se non in base alla legge- essendo l'onerosità della
concessione edilizia stabilita con legge.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 9,
lett. d), della legge 28.01.1977, n. 10 (Norme perla edificabilità dei
suoli), sollevata in riferimento agli artt. 3 e 23 della Costituzione, dal
Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli-Venezia Giulia, con
l'ordinanza indicata in epigrafe
(Corte Costituzionale,
sentenza 26.06.1991 n. 296). |
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