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dossier CONTRIBUTO DI COSTRUZIONE
settembre 2022

EDILIZIA PRIVATA: Mentre la quota del contributo per il rilascio del permesso di costruire commisurata al costo di costruzione risulta ontologicamente connessa alla tipologia e all'entità (superficie e volumetria) dell'intervento edilizio e vuole in qualche modo “compensare” la c.d. compartecipazione comunale all'incremento di valore della proprietà immobiliare in ragione della trasformazione del territorio consentita al privato istante, quella commisurata agli oneri di urbanizzazione assolve alla prioritaria funzione di compensare invece la collettività per il nuovo ulteriore carico urbanistico che si riversa sulla zona, con la precisazione che per “aumento del carico urbanistico” deve intendersi tanto la necessità di dotare l'area di nuove opere di urbanizzazione, quanto l'esigenza di utilizzare più intensamente quelle già esistenti.
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4.3. Quanto poi alla ulteriore censura concernente la richiesta di pagamento della somma di € 32.831,42 a titolo di contributo di costruzione per l’accertamento di conformità ex art. 36 T.U. Edilizia delle opere realizzate sull’immobile A (“Villa Costa”), consistenti nella realizzazione di un loggiato scoperto e nella pavimentazione dell’area antistante, si osserva che le relative contestazioni risultano generiche e non congruenti rispetto alle risultanze istruttorie, dal momento che non sono oggetto di specifica contestazione i calcoli relativi alla individuazione e alla quantificazione delle superfici utili e accessorie appositamente sviluppati dal comune ai fini del computo del contributo di costruzione relativo all’accertamento di conformità ex art. 36 TU Edilizia (cfr. Allegato sub n. 26 della produzione documentale della ricorrente).
In ogni caso, in senso contrario alle doglianze della ricorrente assume decisiva rilevanza il fatto che il fabbricato è situato (non già in zona agricola, ma) in zona destinata alla residenze (A1) e che le opere in questione sono complessivamente destinate ad incrementarne la capacità insediativa e quindi ad aggravare il carico urbanistico che interessa l’area di riferimento, ciò che giustifica la richiesta del comune, anche in riferimento alla parte del contributo riguardante specificamente gli oneri di urbanizzazione: “Mentre la quota del contributo per il rilascio del permesso di costruire commisurata al costo di costruzione risulta ontologicamente connessa alla tipologia e all'entità (superficie e volumetria) dell'intervento edilizio e vuole in qualche modo “compensare” la c.d. compartecipazione comunale all'incremento di valore della proprietà immobiliare in ragione della trasformazione del territorio consentita al privato istante, quella commisurata agli oneri di urbanizzazione assolve alla prioritaria funzione di compensare invece la collettività per il nuovo ulteriore carico urbanistico che si riversa sulla zona, con la precisazione che per “aumento del carico urbanistico” deve intendersi tanto la necessità di dotare l'area di nuove opere di urbanizzazione, quanto l'esigenza di utilizzare più intensamente quelle già esistenti” (Consiglio di Stato, Sez. II, 13.01.2022 n. 235) (TAR Puglia-Lecce, Sez. I, sentenza 26.09.2022 n. 1461 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

agosto 2022

EDILIZIA PRIVATALegittimato a richiedere il rimborso del contributo di costruzione per mancata realizzazione dell’opera è solo il titolare del permesso di costruire.
Nel caso in esame la ricorrente non ha mai chiesto né ottenuto la voltura del permesso di costruire n. 674/2005 e non può dedurre la legittimazione dall’art. 11 DPR 380/2001, che si limita a prevedere i soggetti a cui può essere rilasciato il permesso di costruire.

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1) In punto di fatto va preliminarmente precisato che il permesso di costruire rilasciato ai Sigg. Po. e Ma. nel 2005 è stato volturato a favore della Società Pa.Sa., mentre agli atti non risulta alcuna istanza di voltura da parte della ricorrente, circostanza mai contestata dalla ricorrente.
E’ altresì pacifico che la Società non ha rispettato il termine di conclusione dei lavori, prorogato fino al dicembre 2012.
Sempre in via preliminare va poi rilevato che la ricorrente ha presentato domanda di permesso di costruire per un intervento consistente nella realizzazione di una abitazione unifamiliare costituita da due piani fuori terra e un piano interrato, diverso quindi da quanto in precedenza assentito con il primo titolo edilizio, consistente in due fabbricati residenziali multipiano.
4) Quanto sopra dedotto è sufficiente per respingere anche l’ultima censura, in cui parte ricorrente contesta l’affermazione del Comune secondo cui il soggetto legittimato a richiedere la restituzione di quanto versato sarebbe solo la società Pa..
Sostiene la ricorrente di essere legittimata a richiedere il ricalcolo degli oneri, con detrazione di quanto già versato dai precedenti proprietari, in qualità di acquirente a titolo derivativo, ai sensi dell’art. 11 DPR 380/2001.
La tesi non può essere condivisa.
Legittimato a richiedere il rimborso per mancata realizzazione dell’opera è solo il titolare del permesso di costruire: nel caso in esame la ricorrente non ha mai chiesto né ottenuto la voltura del permesso di costruire n. 674/2005 e non può dedurre la legittimazione dall’art. 11 DPR 380/2001, che si limita a prevedere i soggetti a cui può essere rilasciato il permesso di costruire.
5) Il ricorso va respinto (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 22.08.2022 n. 1933 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATASecondo una consolidata giurisprudenza, la controversia attinente alla spettanza e liquidazione del contributo per gli oneri di urbanizzazione e costo di costruzione è riservata alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. f), cod. proc. amm..
Essa ha ad oggetto l’accertamento di un rapporto di credito a prescindere dall’esistenza di atti della pubblica amministrazione e non è soggetta alle regole delle azioni impugnatorie-annullatorie degli atti amministrativi e ai rispettivi termini di decadenza.

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In ipotesi di decadenza del titolo edilizio, ai fini della decorrenza dell'ordinario termine di prescrizione decennale relativo alla restituzione di somme pagate a titolo di oneri di urbanizzazione e costo di costruzione, il dies a quo deve essere individuato nel momento in cui il diritto al rimborso può essere effettivamente esercitato dal privato, ossia nella data di scadenza del termine di decadenza.
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Circa il diritto alla ripetizione di quanto versato, la giurisprudenza amministrativa ha chiarito che il contributo di costruzione, essendo strettamente connesso al concreto esercizio della facoltà di costruire, non è dovuto in caso di rinuncia o di mancato utilizzo del titolo edificatorio.
Conseguentemente, «nel caso in cui il privato rinunci o non utilizzi il permesso di costruire, ovvero quando sia intervenuta la decadenza del titolo edilizio, sorge in capo alla Pubblica Amministrazione, anche ai sensi dell’art. 2033 o dell’art. 2041 c.c., l’obbligo di restituzione delle somme corrisposte a titolo di contributo per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione e, conseguentemente, il diritto del privato a pretenderne la restituzione. Il contributo concessorio, infatti, è strettamente connesso all’attività di trasformazione del territorio e, quindi, ove tale circostanza non si verifichi, il relativo pagamento risulta privo della causa dell'originaria obbligazione di dare, cosicché l'importo versato va restituito. La giurisprudenza è concorde pure nel ritenere che il diritto alla restituzione sorge non solamente nel caso in cui la mancata realizzazione delle opere sia totale, ma anche ove il permesso di costruire sia stato utilizzato solo parzialmente, tenuto conto che sia la quota degli oneri di urbanizzazione, che la quota relativa al costo di costruzione sono correlati, sia pur sotto profili differenti, all’oggetto della costruzione, per cui l’avvalimento solo parziale delle facoltà edificatorie comporta il sorgere, in capo al titolare, del diritto alla rideterminazione del contributo ed alla restituzione della quota di esso che è stata calcolata con riferimento alla porzione non realizzata».
Unica eccezione ai principi sopra richiamati è costituita dall’ipotesi in cui la partecipazione agli oneri di urbanizzazione costituisce oggetto di un’obbligazione non già imposta ex lege, ma assunta con un accordo nell’ambito di un rapporto di natura pubblicistica correlato alla pianificazione territoriale.
Pertanto, dato che il contributo concessorio è strettamente connesso all'attività di trasformazione del territorio, ove detta circostanza non si verifichi, il relativo pagamento risulta privo della causa dell'originaria obbligazione di dare, cosicché l'importo versato va restituito, con la precisazione che il diritto alla restituzione sorge non solamente nel caso in cui la mancata realizzazione delle opere sia totale, ma anche ove il permesso di costruire sia stato utilizzato solo parzialmente.
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... per l'annullamento della nota del Comune di Spoleto del 30.12.2020 con la quale veniva rigettata la richiesta di ripetizione di parte della somma corrisposta a titolo di contributo di costruzione relativamente ai permessi di costruire n. 48268/2007 e 35284/11
   e per l'accertamento del diritto della ricorrente alla ripetizione di parte della somma corrisposta a titolo contributo di costruzione correlati ai permessi di costruire n. 48268/2007 e 35284/2011,
   nonché per la condanna del Comune di Spoleto alla restituzione di quanto trattenuto indebitamente nei confronti della ricorrente pari ad euro 142.138,92 o della somma che risulti all'esito del giudizio.
...
1. La Gi.Ca.Im. s.r.l. ha agito per l’annullamento della nota del Comune di Spoleto del 30.12.2020 con la quale è stata rigettata la richiesta di ripetizione di parte della somma corrisposta a titolo di contributo di costruzione relativamente ai permessi di costruire n. 48268/2007 e 35284/11, nonché per l’accertamento del proprio diritto alla ripetizione detta somma e la conseguente condanna dell’Amministrazione comunale alla restituzione di quanto trattenuto indebitamente.
2. Riferisce in punto di fatto la parte ricorrente di aver ottenuto, a seguito di istanza presentata nell’ottobre del 2006 al Comune di Spoleto, il permesso di costruire n. 48268/2007 per la realizzazione di tre edifici ad uso abitativo e commerciale su un proprio lotto di terreno situato a Spoleto loc. San Giovanni di Baiano, per complessivi mc 13.979,70; il titolo abilitativo prevedeva che i lavori dovessero iniziare entro un anno e che la validità del titolo abilitativo medesimo fosse di quattro anni dalla data di rilascio. La crisi del settore immobiliare determinava un fermo dell'attività.
La ricorrente chiedeva -ed otteneva- un nuovo permesso a costruire per i lavori non ultimati n. 35284/2011; tuttavia a causa dell’ulteriore aggravamento della crisi del settore immobiliare giungeva a decadenza anche il secondo titolo abilitativo, con la realizzazione nelle more solo di una delle tre palazzine previste, pari a mc 4.520,80.
In data 16.11.2020, la Gi.Ca.Im. inviava al Comune di Spoleto una richiesta di rimborso del costo di costruzione [e oneri di urbanizzazione] versato con riferimento alle cubature non realizzate.
Con nota prot. 65524 del 30.12.2020, il Responsabile del Servizio edilizia del Comune di Spoleto ha affermato quanto segue: «[s]i contesta la restituzione degli importi richiesti in quanto non dovuti in primis per il lasso del tempo trascorso; infatti il primo Permesso di Costruire è del 2007. Inoltre si fa presente che anche la recente giurisprudenza ha ribadito che il contributo di costruzione è strettamente connesso al concreto esercizio della facoltà di costruire per cui non è dovuto in caso di rinuncia o di mancato utilizzo del titolo edificatorio (ovvero in ipotesi di intervenuta decadenza del titolo edilizio). Fermo quanto sopra, si rende comunque necessario procedere ad un sopralluogo sul posto alla presenza del Tecnico comunale istruttore della pratica, del Direttore dei Lavori e del Titolare della Ditta esecutrice degli stessi, per verificare l’effettivo stato dei lavori, in relazione ai titoli rilasciati…».
3. Contestando la ricostruzione fatta propria dall’Amministrazione comunale, la parte ricorrente ha rimarcato di aver interamente versato il costo di costruzione per i mc 13.979,70 originariamente previsti per la realizzazione delle tre palazzine per un importo complessivo di euro 210.073,00, come risulta dal conteggio inserito all’interno del permesso a costruire. Stante la mancata edificazione di due delle tre palazzine, la ricorrente ribadisce la spettanza della restituzione di quanto pagato con riferimento alla cubatura residua di mc. 9.458,80, pari ad euro 142.138,92, oltre interessi e rivalutazione dal dovuto al saldo effettivo.
4. Si è costituito in giudizio il Comune di Spoleto non contestando il quantum versato bensì eccependo l’intervenuta prescrizione del diritto alla ripetizione delle somme per essere le stesse state richieste oltre il termine decennale dalla decadenza del titolo edilizio cui le stesse si riferiscono, ovvero il permesso di costruire n. 48268 del 19.07.2007, decaduto in data 09.08.2010, ossia dopo tre anni dall’inizio degli stessi 20.08.2007, non rilevando il nuovo permesso di costruire n. 35284/2011.
La difesa resistente ha, inoltre, eccepito l’inammissibilità del ricorso in quanto rivolto avverso un atto non lesivo attesa la sua natura endo-procedimentale.
Infine, la difesa comunale ha affermato l’infondatezza della censura attorea stante l’incertezza del presunto credito vantato; a fronte della realizzazione parziale dei lotti nn. 2 e 3, consistente nella demolizione di edificio esistente e nella esecuzione delle opere di urbanizzazione con modifica sostanziale e permanente dello stato dei luoghi, l’importo richiesto da controparte a titolo di restituzione dei costi di costruzione sulle cubature non realizzate (due palazzine, lotti nn. 2 e 3) del permesso di costruire n. 48268/2007 viene contestato come non dovuto in toto o comunque in gran parte per effetto delle opere che hanno comportato la modifica definitiva dell’assetto edilizio dei lotti.
5. La parte ricorrente ha replicato contestando, in particolare, che sui lotti nn. 2 e 3 vi sia stata alcuna trasformazione –non avendo del resto l’area, situata in zona B1-zona di completamento urbano, necessità di essere urbanizzata– ed evidenziando come sia incontestata la mancata realizzazione di due dei tre fabbricati per i quali la società ricorrente ha versato quanto dovuto a titolo di costo di costruzione.
...
7. Preliminarmente va ribadita la giurisdizione del giudice amministrativo in ordine alla presente controversia, che concerne la debenza del contributo di costruzione in materia edilizia e la ripetizione di quanto versato a tale titolo.
Difatti, secondo una consolidata giurisprudenza, dalla quale il Collegio non ravvisa ragioni per discostarsi, la controversia attinente alla spettanza e liquidazione del contributo per gli oneri di urbanizzazione e costo di costruzione è riservata alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. f), cod. proc. amm.; essa ha ad oggetto l’accertamento di un rapporto di credito a prescindere dall’esistenza di atti della pubblica amministrazione e non è soggetta alle regole delle azioni impugnatorie-annullatorie degli atti amministrativi e ai rispettivi termini di decadenza (cfr., ex plurimis, C.d.S., sez. IV, 30.08.2018, n. 5096; Id., sez. VI, 07.05.2015, n. 2294; TAR Lombardia, Milano, sez. II, 01.02.2022, n. 223; Id., 20.05.2020, n. 858; TAR Abruzzo, L’Aquila, 29.12.2017, n. 610).
8. Si presenta infondata l’eccezione di prescrizione del credito sollevata dal Comune resistente.
Giova rammentare che, in ipotesi di decadenza del titolo edilizio, ai fini della decorrenza dell'ordinario termine di prescrizione decennale relativo alla restituzione di somme pagate a titolo di oneri di urbanizzazione e costo di costruzione, il dies a quo deve essere individuato nel momento in cui il diritto al rimborso può essere effettivamente esercitato dal privato, ossia nella data di scadenza del termine di decadenza (ex multis, TAR Abruzzo, L’Aquila, 29.12.2017, n. 610).
Nel caso di specie al permesso di costruire n. 48268/2007 ha fatto seguito un secondo titolo abilitativo n. 35284/2011 del 12.10.2011, nel quale si legge: “il presente atto costituisce nuovo permesso per i lavori non ultimati di cui al permesso di costruire n. 48268 del 19/07/2007 – Restano invariate tutte le condizioni e prescrizioni riportate su permesso originario”. Il nuovo titolo avrebbe, quindi, consentito alla società ricorrente di realizzare in toto le cubature per le quali aveva già versato interamente gli oneri dovuti.
Il medesimo provvedimento espressamente prevede (pag. 3, punto 6) la decadenza del titolo in caso di mancato inizio lavori entro un anno dalla data di rilascio e, comunque, quattro anni dall’inizio dei lavori.
Risultando pacifico che la società ricorrente non ha avviato i lavori a seguito del rilascio del nuovo titolo, lo stesso è decaduto trascorso un anno dal rilascio, ossia il 12.10.2012, dies a quo per il computo della prescrizione decennale relativo alla restituzione di somme pagate. Pertanto, la pec inviata dalla società ricorrente in data 16.11.2020 (assunta al protocollo comunale n. 58009 del 16.11.2020) è intervenuta prima dello spirare del termine decennale di prescrizione.
9. Parimenti non meritevole di accoglimento è l’eccezione di inammissibilità dell’impugnazione della nota prot. 65524 del 30.12.2020, in quanto, come riconosciuto dalla stessa difesa comunale (pag. 2 della memoria di discussione), con tale atto il Comune ha comunicato “la non debenza della restituzione per prescrizione del diritto (stante il lasso di tempo trascorso)”, pur ritenendo necessario effettuare un sopralluogo sull’effettivo stato dei lavori.
10. Circa il diritto alla ripetizione di quanto versato, la giurisprudenza amministrativa ha chiarito che il contributo di costruzione, essendo strettamente connesso al concreto esercizio della facoltà di costruire, non è dovuto in caso di rinuncia o di mancato utilizzo del titolo edificatorio; conseguentemente, «nel caso in cui il privato rinunci o non utilizzi il permesso di costruire, ovvero quando sia intervenuta la decadenza del titolo edilizio, sorge in capo alla Pubblica Amministrazione, anche ai sensi dell’art. 2033 o dell’art. 2041 c.c., l’obbligo di restituzione delle somme corrisposte a titolo di contributo per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione e, conseguentemente, il diritto del privato a pretenderne la restituzione. Il contributo concessorio, infatti, è strettamente connesso all’attività di trasformazione del territorio e, quindi, ove tale circostanza non si verifichi, il relativo pagamento risulta privo della causa dell'originaria obbligazione di dare, cosicché l'importo versato va restituito. La giurisprudenza è concorde pure nel ritenere che il diritto alla restituzione sorge non solamente nel caso in cui la mancata realizzazione delle opere sia totale, ma anche ove il permesso di costruire sia stato utilizzato solo parzialmente, tenuto conto che sia la quota degli oneri di urbanizzazione, che la quota relativa al costo di costruzione sono correlati, sia pur sotto profili differenti, all’oggetto della costruzione, per cui l’avvalimento solo parziale delle facoltà edificatorie comporta il sorgere, in capo al titolare, del diritto alla rideterminazione del contributo ed alla restituzione della quota di esso che è stata calcolata con riferimento alla porzione non realizzata» (C.d.S., sez. II, 15.06.2021, n. 4633; cfr., ex multis, C.d.S., sez. IV, 15.10.2019, n. 7020; C.d.S., A.P., 30.08.2018, n. 12; C.d.S., sez. IV, 07.03.2018, n. 1475).
Unica eccezione ai principi sopra richiamati è costituita dall’ipotesi –che non ricorre nel caso in esame– in cui la partecipazione agli oneri di urbanizzazione costituisce oggetto di un’obbligazione non già imposta ex lege, ma assunta con un accordo nell’ambito di un rapporto di natura pubblicistica correlato alla pianificazione territoriale (C.d.S., sez. IV, 12.11.2018, n. 6339).
Pertanto, dato che il contributo concessorio è strettamente connesso all'attività di trasformazione del territorio, ove detta circostanza non si verifichi, il relativo pagamento risulta privo della causa dell'originaria obbligazione di dare, cosicché l'importo versato va restituito, con la precisazione che il diritto alla restituzione sorge non solamente nel caso in cui la mancata realizzazione delle opere sia totale, ma anche ove il permesso di costruire sia stato utilizzato solo parzialmente (TAR Umbria, sentenza 22.08.2022 n. 648 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIn linea generale, si rileva che, secondo le linee interpretative della costante giurisprudenza amministrativa, l’istanza di sanatoria edilizia ha un preciso valore confessorio dell’abuso.
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In base ai principi elaborati dalla giurisprudenza, ciò che rileva ai fini del calcolo del contributo di costruzione è l’oggetto sostanziale dell’intervento, questo essendo determinante per stabilire l’effettiva incidenza sul carico urbanistico.
Invero:
   a) il pagamento degli oneri di urbanizzazione è connesso all’aumento del carico urbanistico determinato dal nuovo intervento, nella misura in cui da ciò deriva un incremento della domanda di servizi nella zona coinvolta dalla costruzione; del resto, gli oneri di urbanizzazione si caratterizzano per avere natura compensativa rispetto alle spese di cui l’Amministrazione si fa carico per rendere accessibile e pienamente utilizzabile un nuovo o rinnovato edificio, purché vi sia una nuova destinazione, dato che non può essere chiesto due volte il pagamento per gli stessi interventi di sistemazione e adeguamento del contesto urbanistico;
   b) è stata ritenuta sufficiente, al fine della configurazione di un maggior carico urbanistico, la circostanza che, quale effetto dell’intervento edilizio, sia mutata la realtà strutturale e la fruibilità urbanistica, con oneri riferiti all’oggettiva rivalutazione dell’immobile e funzionali a sopportare l’aggiuntivo carico socio-economico che l’attività edilizia comporta;
   c) considerato che il fondamento del contributo di urbanizzazione non consiste nel titolo edilizio in sé, ma nella necessità di ridistribuire i costi sociali delle opere di urbanizzazione, facendoli gravare su quanti beneficiano delle utilità derivanti dalla presenza delle medesime secondo modalità eque per la comunità, nel caso di ristrutturazione edilizia, il pagamento degli oneri di urbanizzazione è dovuto solo nel momento in cui l’intervento va a determinare un aumento del carico urbanistico (il che può verificarsi anche nel caso in cui la ristrutturazione non interessi globalmente l’edificio, ma, a causa di lavori anche marginali, ne risulti comunque mutata la realtà strutturale e la fruibilità urbanistica.

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1. L’oggetto del presente giudizio è costituito dai seguenti provvedimenti:
   a) nota prot. n. 9867 del 28.05.2012 recante la determinazione del contributo di cessione delle aree a standards ai sensi del d.m. n. 1444 del 1968 (impugnato con il ricorso introduttivo);
   b) nota prot. n. 2844 del 14.02.2013, recante la determinazione del pagamento delle somme dovute a titolo di contributo di costruzione per il rilascio del permesso di costruire di cui all’istanza del 18.12.2021 (impugnato con motivi aggiunti).
2. La ditta appellante –proprietaria di un immobile sito nel comune di Bellizzi, in via ... ricompreso in zona D del vigente P.R.G.- ha presentato istanza di permesso di costruire in sanatoria per talune opere abusive ed in particolare per un ampliamento (di circa 40 mq.) del piano terra/rialzato a destinazione terziaria, nonché per il cambio di destinazione d’uso da artigianale a commerciale/terziario di parte del piano terra e parte del piano ammezzato (per circa mq. 890).
Con il primo provvedimento il comune di Bellizzi ha rilasciato il permesso di costruire in sanatoria e ha determinato l’oblazione dovuta per l’ampliamento e il cambio di destinazione d’uso dell’immobile da artigianale a terziario, stabilendo inoltre la cessione delle aree da destinare a spazio pubblico (standards).
A seguito della interlocuzione tra le parti e della proposizione del ricorso introduttivo il comune ha ripetuto l’istruttoria e ha confermato il precedente, già impugnato, provvedimento.
3. La ditta PCA ha impugnato davanti al Tar per la Campania, sede di Salerno, i su indicati provvedimenti, con ricorso principale (affidato a sei motivi estesi da pagina 3 a pagina 11) e ricorso per aggiunzione (affidato a tre motivi da pag. 2 a pag. 5).
4. L’impugnata sentenza emessa dal Tar per la Campania, sede di Salerno, n. 295 del 2015:
   a) ha in parte respinto e in parte dichiarato inammissibile il ricorso principale e i motivi aggiunti;
   b) ha condannato la ricorrente al pagamento delle spese di lite nella misura di euro 1.500,00.
...
12. Con il primo, il secondo e il terzo motivo di ricorso, che possono essere trattati congiuntamente, è dedotta la violazione degli artt. 16 e 19 del d.P.R. n. 380 del 2001 poiché l’amministrazione avrebbe calcolato in modo erroneo il costo di costruzione e gli oneri di urbanizzazione.
12.1 In particolare, l’amministrazione avrebbe calcolato, in violazione del su indicato art. 16, gli oneri di urbanizzazione sulla base di una volumetria già esistente e, pertanto, si tratterebbe di costi che il privato ha già interamente pagato al momento del rilascio del titolo originario. Inoltre, i costi non sarebbero dovuti in caso di solo cambio di destinazione d’uso.
L’amministrazione, in violazione degli artt. 1 e 5 del d.m. n. 1444 del 1968 e in eccesso di potere, avrebbe disposto la cessione di aree standard sulla base di presupposti che nella fattispecie non ricorrerebbero.
12.2 I motivi sono infondati.
In linea generale, si rileva che, secondo le linee interpretative della costante giurisprudenza amministrativa (ex multis, Cons. Stato, sez. IV, n. 676 del 2022; n. 463 del 2017), l’istanza di sanatoria edilizia ha un preciso valore confessorio dell’abuso.
Nel caso in esame l’appellante ha presentato un’istanza di permesso in sanatoria in relazione ad un aumento volumetrico abusivo con cambio di destinazione funzionale dell’immobile (da artigianale a terziario) con evidente aggravio del carico urbanistico e conseguente doverosità del pagamento del costo di costruzione, che l’amministrazione, in esatta applicazione dell’art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001, ha correttamente calcolato in maniera doppia.
12.3. Peraltro, il Collegio osserva, in linea generale, che, in base ai principi elaborati dalla giurisprudenza (ex multis, Cons. Stato, sez. IV, n. 148 del 2022), ciò che rileva ai fini del calcolo del contributo di costruzione è l’oggetto sostanziale dell’intervento, questo essendo determinante per stabilire l’effettiva incidenza sul carico urbanistico.
Invero:
   a) il pagamento degli oneri di urbanizzazione è connesso all’aumento del carico urbanistico determinato dal nuovo intervento, nella misura in cui da ciò deriva un incremento della domanda di servizi nella zona coinvolta dalla costruzione; del resto, gli oneri di urbanizzazione si caratterizzano per avere natura compensativa rispetto alle spese di cui l’Amministrazione si fa carico per rendere accessibile e pienamente utilizzabile un nuovo o rinnovato edificio, purché vi sia una nuova destinazione, dato che non può essere chiesto due volte il pagamento per gli stessi interventi di sistemazione e adeguamento del contesto urbanistico (Cons. Stato, sez. IV, 23.02.2021, n. 1586);
   b) è stata ritenuta sufficiente, al fine della configurazione di un maggior carico urbanistico, la circostanza che, quale effetto dell’intervento edilizio, sia mutata la realtà strutturale e la fruibilità urbanistica, con oneri riferiti all’oggettiva rivalutazione dell’immobile e funzionali a sopportare l’aggiuntivo carico socio-economico che l’attività edilizia comporta (Cons. Stato, sez. II, 21.07. 2021, n. 5494);
   c) considerato che il fondamento del contributo di urbanizzazione non consiste nel titolo edilizio in sé, ma nella necessità di ridistribuire i costi sociali delle opere di urbanizzazione, facendoli gravare su quanti beneficiano delle utilità derivanti dalla presenza delle medesime secondo modalità eque per la comunità, nel caso di ristrutturazione edilizia, il pagamento degli oneri di urbanizzazione è dovuto solo nel momento in cui l’intervento va a determinare un aumento del carico urbanistico (il che può verificarsi anche nel caso in cui la ristrutturazione non interessi globalmente l’edificio, ma, a causa di lavori anche marginali, ne risulti comunque mutata la realtà strutturale e la fruibilità urbanistica (Cons. Stato, sez. IV, 31.07.2020, n. 4877).
Pertanto, nel caso in esame, il costo di costruzione è stato correttamente quantificato dall’amministrazione ai sensi dell’art. 19 del d.P.R. n. 380 del 2001 (di cui ha fatto applicazione la deliberazione del Consiglio comunale n. 44 del 2012, non impugnata) giacché l’istanza di sanatoria ha ad oggetto un abuso che implica un mutamento di destinazione funzionale dell’immobile con oggettive ricadute sul carico urbanistico (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 17.08.2022 n. 7191 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

dicembre 2021

EDILIZIA PRIVATALe controversie attinenti la determinazione e la liquidazione degli oneri concessori –nelle componenti sia del costo di costruzione sia degli oneri di urbanizzazione- sono riconducibili a quegli aspetti dell’uso del territorio costituenti prerogativa della Pubblica amministrazione e, per questo, riservate alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ai sensi dell'art. 133, comma 1, lett. f), c.p.a..
Peraltro, rientrano nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo -ai sensi dell'art. 133, comma 1, lett. f), c.p.a.- anche le controversie aventi ad oggetto la cartella di pagamento emessa dal concessionario della riscossione relative alle somme dovute per oneri concessori, nelle quali non vengano dedotte censure derivanti da atti generali autoritativi relativi alla determinazione degli atti presupposti quello impugnato. Questo perché i predetti oneri non hanno natura tributaria, bensì costituiscono un corrispettivo di diritto pubblico a titolo di partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione.
Deve infine osservarsi che le controversie in materia di determinazione e pagamento degli oneri concessori, investendo l’esistenza o l’entità di un’obbligazione legale, concernono diritti soggettivi, con la conseguenza che la relativa domanda non soggiace al regime di decadenza proprio del processo di impugnazione, ma può essere proposta nel termine di prescrizione ordinaria ed indipendentemente dall’impugnazione di eventuali atti.

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Fondato, con rilievo assorbente, è la censura con la quale parte ricorrente ha eccepito la prescrizione, ai sensi dell’art. 2946 cod. civ., della pretesa azionata dall’amministrazione comunale.
Per giurisprudenza pacifica, il fatto costitutivo dell’obbligo giuridico avente ad oggetto il contributo di costruzione -articolato sulle due voci inerenti, da un lato, agli oneri di urbanizzazione e, dall’altro, al costo di costruzione- dal quale decorre il dies a quo per il decorso del periodo di tempo ai fini della prescrizione decennale, è il rilascio della concessione.
Anche secondo risalente giurisprudenza, il "dies a quo" per la prescrizione dell'obbligo giuridico relativo al pagamento degli oneri concessori, riguardo sia al costo di costruzione sia agli oneri di urbanizzazione, decorre dal giorno del rilascio del titolo edilizio.
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Ai sensi dell’art. 2934 cod. civ., un diritto si estingue per prescrizione quando il titolare non lo esercita per il tempo determinato dalla legge e, ai sensi dell’art. 2935 cod. civ., la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere.
Se, dunque, è dal giorno del rilascio della concessione che l'amministrazione comunale può fare valere il suo diritto di credito, anche fissando modalità e garanzie particolari, è dalla medesima data che decorre la prescrizione del suo diritto.
Ne consegue che l'Amministrazione non ha alcun potere di differire l'esercizio del suo diritto di credito sicché l'inerzia nell'emanazione degli atti d’imposizione, di liquidazione ovvero di recupero del contributo dovuto si configura quale mancato esercizio del diritto da parte del creditore, idoneo a fare decorrere il periodo di prescrizione.

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1.- Il Comune di Trentola–Ducenta, con la Determinazione del Responsabile dell’Area Tecnica Urbanistica n. 16 del 22.12.2016, ha richiesto alla società ricorrente CI.Me. s.r.l., società attualmente sottoposta alle misure previste dalla legge 203 del 1991, il pagamento delle somme asseritamente dovute e non versate per un totale di € 55.973,32.
Dette somme sono relative al computo degli oneri concessori per alcuni immobili di proprietà, insistenti nel Centro Commerciale J., originati a seguito del rilascio del permesso di costruire in sanatoria n. 32 del 22.06.2006 e della successiva DIA prot. n. 8088 del 09.10.2006.
...
2.- In via preliminare, il Collegio, nel confermare l’orientamento di questa Sezione dal quale non ha motivo di discostarsi, osserva che le controversie attinenti la determinazione e la liquidazione degli oneri concessori –nelle componenti sia del costo di costruzione sia degli oneri di urbanizzazione- sono riconducibili a quegli aspetti dell’uso del territorio costituenti prerogativa della Pubblica amministrazione e, per questo, riservate alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ai sensi dell'art. 133, comma 1, lett. f), c.p.a. (TAR Campania, Napoli, Sez. VIII, 09.10.2018, n. 5835, TAR Calabria, Catanzaro, Sez. II, 24.10.2018, n. 1790, Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria 30.08.2018, n. 12).
Peraltro, secondo altrettanto costante e condivisa giurisprudenza, rientrano nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo -ai sensi dell'art. 133, comma 1, lett. f), c.p.a.- anche le controversie aventi ad oggetto la cartella di pagamento emessa dal concessionario della riscossione relative alle somme dovute per oneri concessori, nelle quali non vengano dedotte censure derivanti da atti generali autoritativi relativi alla determinazione degli atti presupposti quello impugnato (così Cons. di Stato sez. IV, 21.08.2013, n. 4208; nonché Cass. SS.UU. 20.10.2006, n. 22514; TAR Sicilia, Catania, 11.10.2016, n. 2531; TAR Sicilia, Palermo, 12.07.2016, n. 1730; TAR Toscana, 11.02.2011, n. 265). Questo perché i predetti oneri non hanno natura tributaria, bensì costituiscono un corrispettivo di diritto pubblico a titolo di partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione (cfr., Cons. Stato Sez. IV, n. 4208/2013 cit. nonché TAR Campania, Napoli, 18.11.2008, n. 19792).
Deve infine osservarsi che le controversie in materia di determinazione e pagamento degli oneri concessori, investendo l’esistenza o l’entità di un’obbligazione legale, concernono diritti soggettivi, con la conseguenza che la relativa domanda non soggiace al regime di decadenza proprio del processo di impugnazione, ma può essere proposta nel termine di prescrizione ordinaria ed indipendentemente dall’impugnazione di eventuali atti (cfr. Cons. Stato, sez. IV, n. 4208/2013; TAR Sicilia, Catania, 27.01.2017, n. 189; TAR Sicilia, Palermo, 10.11.2016, n. 2581; TAR Puglia, Bari, 03.12.2015, n. 1596; TAR Puglia, Lecce, 30.10.2015, n. 3114; TAR Sicilia, Catania, 09.07.2015, n. 1881).
3.- Assodata la giurisdizione del giudice amministrativo, nel merito il ricorso è fondato e, pertanto, deve essere accolto.
3.1.- Fondato, con rilievo assorbente, è la censura con la quale parte ricorrente ha eccepito la prescrizione, ai sensi dell’art. 2946 cod. civ., della pretesa azionata dall’amministrazione comunale.
Per giurisprudenza pacifica, il fatto costitutivo dell’obbligo giuridico avente ad oggetto il contributo di costruzione -articolato sulle due voci inerenti, da un lato, agli oneri di urbanizzazione e, dall’altro, al costo di costruzione (cfr., Ad. Plen. Cons. Stato, 12 del 2018)- dal quale decorre il dies a quo per il decorso del periodo di tempo ai fini della prescrizione decennale, è il rilascio della concessione (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 26.02.2013, n. 1188; 03.10.2012, n. 5201; 19.01.2009, n. 216).
3.2.- Nella fattispecie in esame, il permesso di costruire n. 32/2006 è stato rilasciato il 22.06.2006 e la DIA prot. n. 8088 è del 09.10.2006, ne consegue che il termine di prescrizione decennale si è compiuto in relazione al permesso di costruire il 22.06.2016 e in relazione alla DIA il 10.10.2016.
I comune di Trentola-Ducenta ha adottato e notificato l’impugnata determinazione n. 16/2016 il 22.12.2016, pertanto dopo oltre dieci anni dalla data di rilascio dei titoli edilizi.
Pur volendo considerare il provvedimento impugnato quale atto interruttivo della prescrizione, è giocoforza dedurre che, alla data del 22.12.2016, il diritto di credito dell’amministrazione nei confronti della ricorrente debitrice si era ampiamente estinto per avvenuta prescrizione decennale, espressamente eccepita dal debitore.
Anche secondo risalente giurisprudenza, il "dies a quo" per la prescrizione dell'obbligo giuridico relativo al pagamento degli oneri concessori, riguardo sia al costo di costruzione sia agli oneri di urbanizzazione, decorre dal giorno del rilascio del titolo edilizio (cfr. TAR Campania, Salerno, Sez. II, 29.11.2007 n. 2864; Cons. Stato, Sez. V, 25.10.1993 n. 1071 e 06.12.1999 n. 2058).
3.3.- Di quanto sopra, ne è consapevole la stessa amministrazione comunale, la quale, nella motivazione della determinazione impugnata, chiarisce per l’appunto che: “al fine di scongiurare la decorrenza dei termini prescrittivi, sono stati presi in considerazione anche i certificati di agibilità rilasciati, in considerazione della circostanza che, con il rilascio del certificato di agibilità, l’Ufficio Tecnico ha modo di accertare, a perfezionamento finale della pratica, anche eventuali somme non versate a titolo di oneri concessori”.
L’indicazione appare un tentativo per rimediare all’avvenuto verificarsi della prescrizione. Ed invero, come ammette la stessa amministrazione, il rilascio del certificato di agibilità è stato preso in considerazione, non per determinare l’ammontare delle somme da versare a titolo di oneri concessori, quanto per verificare se questi siano stati effettivamente ed integralmente versati.
Ai sensi dell’art. 2934 cod. civ., un diritto si estingue per prescrizione quando il titolare non lo esercita per il tempo determinato dalla legge e, ai sensi dell’art. 2935 cod. civ., la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere.
Se, dunque, è dal giorno del rilascio della concessione che l'amministrazione comunale può fare valere il suo diritto di credito, anche fissando modalità e garanzie particolari, è dalla medesima data che decorre la prescrizione del suo diritto.
Ne consegue che l'Amministrazione non ha alcun potere di differire l'esercizio del suo diritto di credito sicché l'inerzia nell'emanazione degli atti d’imposizione, di liquidazione ovvero di recupero del contributo dovuto si configura quale mancato esercizio del diritto da parte del creditore, idoneo a fare decorrere il periodo di prescrizione (TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, sentenza 09.12.2021 n. 7921 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ottobre 2021

EDILIZIA PRIVATA: Non è rinvenibile alcuna ragione, né letterale né logica, per ritenere che gli oneri urbanistici vadano commisurati sulla base dei criteri vigenti al momento di adozione del piano di lottizzazione.
Il contributo per il rilascio di un permesso di costruire è disciplinato dall’art. 16 e segg. del D.P.R. n. 380 del 2001, peraltro in linea con le previgenti disposizioni di legge.
In forza di tale disposizione normativa sia la quota relativa agli oneri di urbanizzazione, che quella relativa al costo di costruzione, vengono determinate all’atto del rilascio del permesso di costruire sulla base dei parametri stabiliti dal consiglio comunale, a sua volta vincolato dalle tabelle parametriche individuate con atto regionale; è altresì previsto che ogni cinque anni i comuni provvedano ad aggiornare gli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria, in conformità alle relative disposizioni regionali.
Ciò posto non è rinvenibile alcuna ragione, né letterale né logica, per ritenere che gli oneri urbanistici vadano commisurati sulla base dei criteri vigenti al momento di adozione del piano di lottizzazione.
Su un piano strettamente letterale, le norme che vengono in rilievo fanno sempre esclusivo riferimento al momento del rilascio del permesso di costruire, mentre una vistosa deroga al principio del tempus regit actum -nel senso sostenuto da parte ricorrente- avrebbe richiesto una sua chiara esplicitazione.
Ma la tesi non regge neanche da un punto di vista logico: il piano di lottizzazione è uno strumento urbanistico attuativo, e non è chiaro perché –diversamente dagli altri strumenti urbanistici normativamente previsti– dovrebbe produrre l’effetto di cristallizzare la quantificazione degli oneri urbanistici dovuti a seguito del rilascio di permessi di costruire, che potrebbero venire richiesti anche a distanza di diversi anni dalla sua adozione.
Inoltre gli oneri di urbanizzazione hanno lo scopo di assicurare all’ente locale la provvista economica necessaria per la realizzazione delle opere di urbanizzazione conseguenti all’intervento edilizio autorizzato; da ciò ne consegue che tali oneri devono essere, il più possibile, adeguati all’effettiva spese che dovrà affrontare il comune, e quindi parametrati ai criteri vigenti al momento del rilascio dei permessi di costruire, momento nel quale sorge l’esigenza di realizzare le opere di urbanizzazione.
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Ciò considerato, sostiene parte ricorrente che gli oneri urbanistici sarebbero dovuti essere parametrati in ragione dei criteri vigenti all’atto dell’adozione del piano di lottizzazione in cui rientra l’intervento edilizio per cui è causa, e non di quelli –meno favorevoli per parte ricorrente– vigenti al momento del rilascio delle concessioni edilizie.
La tesi non è condivisibile.
Il contributo per il rilascio di un permesso di costruire è disciplinato dall’art. 16 e segg. del D.P.R. n. 380 del 2001, peraltro in linea con le previgenti disposizioni di legge.
In forza di tale disposizione normativa sia la quota relativa agli oneri di urbanizzazione, che quella relativa al costo di costruzione, vengono determinate all’atto del rilascio del permesso di costruire sulla base dei parametri stabiliti dal consiglio comunale, a sua volta vincolato dalle tabelle parametriche individuate con atto regionale; è altresì previsto che ogni cinque anni i comuni provvedano ad aggiornare gli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria, in conformità alle relative disposizioni regionali.
Ciò posto non è rinvenibile alcuna ragione, né letterale né logica, per ritenere che gli oneri urbanistici vadano commisurati sulla base dei criteri vigenti al momento di adozione del piano di lottizzazione.
Su un piano strettamente letterale, le norme che vengono in rilievo fanno sempre esclusivo riferimento al momento del rilascio del permesso di costruire, mentre una vistosa deroga al principio del tempus regit actum -nel senso sostenuto da parte ricorrente- avrebbe richiesto una sua chiara esplicitazione.
Ma la tesi non regge neanche da un punto di vista logico: il piano di lottizzazione è uno strumento urbanistico attuativo, e non è chiaro perché –diversamente dagli altri strumenti urbanistici normativamente previsti– dovrebbe produrre l’effetto di cristallizzare la quantificazione degli oneri urbanistici dovuti a seguito del rilascio di permessi di costruire, che potrebbero venire richiesti anche a distanza di diversi anni dalla sua adozione.
Inoltre gli oneri di urbanizzazione hanno lo scopo di assicurare all’ente locale la provvista economica necessaria per la realizzazione delle opere di urbanizzazione conseguenti all’intervento edilizio autorizzato; da ciò ne consegue che tali oneri devono essere, il più possibile, adeguati all’effettiva spese che dovrà affrontare il comune, e quindi parametrati ai criteri vigenti al momento del rilascio dei permessi di costruire, momento nel quale sorge l’esigenza di realizzare le opere di urbanizzazione.
La diversa ricostruzione sostenuta da parte ricorrente non è pertanto condivisibile.
Prive di alcun fondamento sono anche le censure genericamente mosse dalla ricorrente avverso i parametri -per la quantificazione degli oneri urbanistici– adottati dal Comune di Lascari.
Invero, come correttamente riportato dalla difesa del Comune intimato, la periodica delibera di adeguamento degli oneri urbanistici deve tenere conto dei parametri stabiliti in sede regionale; conseguentemente, piuttosto che avanzare generiche e vaghe censure, ove la ricorrente avesse voluto compiutamente censurare la delibera adottata sul punto dal Comune resistente, avrebbe dovuto rilevare, e comprovare, il suo eventuale scostamento dai parametri indicati in sede regionale.
Le censure concretamente articolate risultano invece del tutto generiche ed apodittiche e, in quanto tali, non possono che essere respinte.
E’ infine evidente che il calcolo contabile degli oneri urbanistici effettuato dal comune, nella fattispecie per cui è causa, o è corretto (rispetto alla delibera generale di quantificazione di tali oneri) o non lo è, ma non può porsi una questione di adeguata motivazione, proprio in quanto, in ultima analisi, si tratta di un mero computo matematico, e non dell’esercizio di un potere autoritativo; ancora una volta, ove parte ricorrente avesse voluto efficacemente contestare il conteggio effettuato dal Comune resistente avrebbe dovuto –e potuto agevolmente– evidenziare l’eventuale errore di calcolo compiuto dall’amministrazione, e non invocare, semplicisticamente, la mancanza di adeguata motivazione.
In conclusione, il ricorso è infondato e deve essere respinto (TAR Sicilia-Palermo, Sez. II, sentenza 12.10.2021 n. 2779 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

luglio 2021

EDILIZIA PRIVATAAi fini dell’insorgenza dell’obbligo “di corresponsione degli oneri concessori è rilevante il realizzarsi di un maggiore carico urbanistico quale effetto dell’intervento edilizio assentito, di modo che non occorre che la trasformazione interessi l’intero immobile ma è sufficiente che ne risultino, anche solo in parte, variate la realtà strutturale e la fruibilità urbanistica, con oneri di conseguenza riferiti all’oggettiva rivalutazione del bene e funzionali ad affrontare l’aggiuntivo peso socio-economico che ne deriva, anche quando l’incremento dell’impatto sul territorio consegua solo a marginali lavori dovuti ad una diversa distribuzione dell’immobile fra più proprietari o fruitori”.
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Come già rilevato dal Consiglio di Stato:
   - “mentre la quota del contributo di costruzione commisurata al costo di costruzione risulta ontologicamente connessa alla tipologia e all’entità (superficie e volumetria) dell’intervento edilizio e assolve alla funzione di permettere all’amministrazione comunale il recupero delle spese sostenute dalla collettività di riferimento per la trasformazione del territorio consentita al privato istante, la quota del contributo di costruzione commisurata agli oneri di urbanizzazione assolve alla prioritaria funzione di compensare la collettività per il nuovo ulteriore carico urbanistico che si riversa sulla zona, con la precisazione che per aumento del carico urbanistico deve intendersi tanto la necessità di dotare l’area di nuove opere di urbanizzazione, quanto l’esigenza di utilizzare più intensamente quelle già esistenti”;
   - “in base al generale principio di correlare gli oneri di urbanizzazione al carico urbanistico, tale carico sussiste anche in caso di divisione e frazionamento di immobile che da uno si trasforma in due unità. Pertanto è rilevante il verificarsi di un maggior carico urbanistico quale effetto dell’intervento edilizio, sicché è sufficiente che risulti comunque mutata la realtà strutturale e la fruibilità urbanistica, con oneri riferiti all’oggettiva rivalutazione dell’immobile e funzionali a sopportare l’aggiuntivo carico socio-economico che l’attività edilizia comporta, anche quando l’incremento dell’impatto sul territorio consegua solo a lavori dovuti a una divisione dell’immobile in due unità o fra due o più proprietari”;
   - “sulla base del generale principio di correlare gli oneri di urbanizzazione al carico urbanistico, la ristrutturazione edilizia comporta il pagamento di detti oneri allorché l’intervento abbia determinato un aumento del carico urbanistico –e considerato che il carico urbanistico sussiste anche allorquando l’intervento di ristrutturazione comporti la divisione ed il frazionamento di un immobile, … per essere l’edificio adibito ad attività di impresa di due distinti soggetti, con l’apertura di due nuovi ingressi, per due distinte unità abitative– deve ritenersi che anche in tal caso si realizza un aumento dell’impatto sul territorio e sono pertanto dovuti i predetti oneri”.
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1. Giova, preliminarmente alla disamina dei proposti motivi di appello, procedere ad una ricognizione degli essenziali tratti motivazionali della gravata sentenza del TAR dell’Emilia Romagna.
Premesso che, ai fini dell’insorgenza dell’obbligo “di corresponsione degli oneri concessori è rilevante il realizzarsi di un maggiore carico urbanistico quale effetto dell’intervento edilizio assentito, di modo che non occorre che la trasformazione interessi l’intero immobile ma è sufficiente che ne risultino anche solo in parte variate la realtà strutturale e la fruibilità urbanistica, con oneri di conseguenza riferiti all’oggettiva rivalutazione del bene e funzionali ad affrontare l’aggiuntivo peso socio-economico che ne deriva, anche quando l’incremento dell’impatto sul territorio consegua solo a marginali lavori dovuti ad una diversa distribuzione dell’immobile fra più proprietari o fruitori”, il giudice di prime cure ha ritenuto che:
   - “la chiusura degli accessi interni fra le due unità immobiliari, lungi dal risolversi nel mero esercizio del diritto di proprietà della società ricorrente –che ha in tal modo impedito il libero ingresso da proprietà altrui–, integri in realtà un’oggettiva variazione delle modalità d’uso dell’immobile, d’ora in poi suscettibile di impiego da parte di un ulteriore operatore commerciale, in aggiunta a quello dell’altra unità immobiliare, e per questo fonte di maggiore carico urbanistico”;
   - e che, anche in assenza di “una vera e propria creazione di più unità immobiliari … si è comunque realizzato un frazionamento di fruibilità urbanistica per effetto della moltiplicazione di soggetti che possono servirsi di locali in precedenza riservati, in ragione dell’uso comune (adesso precluso dalla soppressione degli accessi interni), ad un unico operatore commerciale”;
   - da ultimo, escludendo che possa “essere rimproverato all’Amministrazione comunale di avere fatto indebitamente gravare sulla società ricorrente oneri concessori dovuti in realtà dall’altro proprietario, in quanto il contributo edilizio è legalmente a carico di chi ottiene il titolo abilitativo, mentre eventuali vantaggi indiretti da parte di terzi devono essere regolati inter partes nelle forme e nei limiti ammessi dall’ordinamento”.
2. Il percorso argomentativo che ha condotto alla reiezione del ricorso di primo grado, merita in questa sede integrale conferma.
Come da questa Sezione rilevato con recente sentenza 12.04.2021, n. 2956:
   - “mentre la quota del contributo di costruzione commisurata al costo di costruzione risulta ontologicamente connessa alla tipologia e all’entità (superficie e volumetria) dell’intervento edilizio e assolve alla funzione di permettere all’amministrazione comunale il recupero delle spese sostenute dalla collettività di riferimento per la trasformazione del territorio consentita al privato istante, la quota del contributo di costruzione commisurata agli oneri di urbanizzazione assolve alla prioritaria funzione di compensare la collettività per il nuovo ulteriore carico urbanistico che si riversa sulla zona, con la precisazione che per aumento del carico urbanistico deve intendersi tanto la necessità di dotare l’area di nuove opere di urbanizzazione, quanto l’esigenza di utilizzare più intensamente quelle già esistenti” (Cons. Stato, Sez. VI, 02.07.2015, n. 3298);
   - “in base al generale principio di correlare gli oneri di urbanizzazione al carico urbanistico, tale carico sussiste anche in caso di divisione e frazionamento di immobile che da uno si trasforma in due unità. Pertanto è rilevante il verificarsi di un maggior carico urbanistico quale effetto dell’intervento edilizio, sicché è sufficiente che risulti comunque mutata la realtà strutturale e la fruibilità urbanistica, con oneri riferiti all’oggettiva rivalutazione dell’immobile e funzionali a sopportare l’aggiuntivo carico socio-economico che l’attività edilizia comporta, anche quando l’incremento dell’impatto sul territorio consegua solo a lavori dovuti a una divisione dell’immobile in due unità o fra due o più proprietari” (Cons. Stato, Sez. IV, 17.05.2012, n. 2838);
   - “sulla base del generale principio di correlare gli oneri di urbanizzazione al carico urbanistico, la ristrutturazione edilizia comporta il pagamento di detti oneri allorché l’intervento abbia determinato un aumento del carico urbanistico –e considerato che il carico urbanistico sussiste anche allorquando l’intervento di ristrutturazione comporti la divisione ed il frazionamento di un immobile, … per essere l’edificio adibito ad attività di impresa di due distinti soggetti, con l’apertura di due nuovi ingressi, per due distinte unità abitative– deve ritenersi che anche in tal caso si realizza un aumento dell’impatto sul territorio e sono pertanto dovuti i predetti oneri” (Cons. Stato, Sez. IV, 29.04.2004, n. 2611).
3. Se, per effetto degli illustrati principi, l’immanenza dell’obbligo di corresponsione degli oneri di urbanizzazione accede alla realizzazione di un maggiore carico urbanistico, quale effetto di un assentito intervento edilizio, anche nell’ipotesi in cui (come nella fattispecie all’esame) venga in considerazione un intervento di divisione e frazionamento di immobile (con riveniente creazione di due distinte unità), deve darsi atto della piena condivisibilità della pretesa nei confronti dell’odierna appellante fatta valere dal Comune di Bologna, attesa la rilevanza –ai fini di che trattasi– del verificarsi di un maggior carico urbanistico quale effetto dell’intervento edilizio, con conseguente immutazione della realtà strutturale e della fruibilità urbanistica ed aggiuntivo carico socio-economico indotto dall’attività edilizia (quand’anche sostanziatasi esclusivamente in lavori dovuti a una divisione dell’immobile in due unità o fra due o più proprietari).
Né, in contrario avviso, rileva la preesistente alienità, sotto il profilo della titolarità dominicale, delle due unità componenti l’immobile (precedentemente destinato, unitariamente, ad attività commerciale), atteso che tale dato si dimostra appieno irrilevante, con riferimento alla separazione degli ambienti (alla quale ha fatto seguito la pretesa di corresponsione degli oneri di urbanizzazione da parte dell’appellata Amministrazione) e alla elettiva potenzialità di ciascuna delle stesse ad una difforme adibizione, con riveniente incremento del carico urbanistico in esse riconoscibile.
La chiusura degli accessi interni fra le due unità immobiliari (precedentemente funzionale ad un’unica conduzione, a fini commerciali, dei locali) ha determinato una obiettiva immutazione delle modalità d’uso dell’immobile, con duplicazione delle modalità di impiego e corrispondente accrescimento del carico urbanistico.
Il frazionamento del compendio immobiliare, precedentemente oggetto di unitaria conduzione commerciale, ha quindi determinato un corrispondente frazionamento di fruibilità urbanistica, con riveniente duplicazione dei soggetti abilitati a servirsi di locali già riservati, in conseguenza di un uso unitario (ora, inibito dalla eliminazione degli accessi interni), ad un unico operatore commerciale.
Se tale presupposto appieno integra idoneo fondamento ai fini della corresponsione degli oneri concessori di urbanizzazione, va da ultimo escluso che (come correttamente osservato dal giudice di primo grado) abbia errato l’appellata Amministrazione nel porre il relativo carico esclusivamente sull’odierna appellante, atteso che –impregiudicata, ovviamente, l’esercitabilità, da parte di Ca’ To., di eventuali azioni volte alla regolamentazione dei rapporti inter partes– il contributo edilizio grava sul soggetto che abbia richiesto (ed ottenuto) il titolo abilitativo.
4. La riscontrata infondatezza delle censure esposte con il presente appello, ne impone la reiezione, con conseguente conferma della sentenza di primo grado (Consiglio di Stato, Sez. II, sentenza 21.07.2021 n. 5494 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATASi tratta di controversia avente ad oggetto la domanda di accertamento del diritto alla restituzione degli oneri concessori versati in conseguenza dei titoli edilizi rilasciati dal Comune che rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (ex art. 133, comma 1, lett. f), cod. proc. amm., disposizione relativa alla giurisdizione esclusiva del G.A. sulle “… controversie aventi ad oggetto gli atti e i provvedimenti delle pubbliche amministrazioni in materia urbanistica e edilizia, concernente tutti gli aspetti dell’uso del territorio”), concernendo l’accertamento dell’esistenza di posizioni giuridiche soggettive di credito-debito, che hanno origine direttamente da fonti normative, e che, quindi, prescindono dall’esistenza di atti dell’Amministrazione.
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1. - Con il presente ricorso, ritualmente notificato in data 14.04.2017 e depositato il successivo 04.05.2017, la ditta ricorrente -OMISSIS- & C. s.r.l. agisce per l’accertamento del proprio diritto alla restituzione delle somme corrisposte a titolo di contributo per il rilascio del permesso di costruire -OMISSIS-/2007 del 19.11.2007, avente ad oggetto la costruzione in Barletta di un fabbricato per civile abitazione, negozi e box tra le vie -OMISSIS- e -OMISSIS-.
Dovendo successivamente al rilascio del permesso di costruire -OMISSIS-/2007 presentare un progetto di variante (prot. -OMISSIS-/09) per alcune opere in difformità, il Settore Edilizia Pubblica e Privata e Servizi Catastali del Comune di Barletta provvedeva alla rideterminazione delle somme dovute a titolo di oneri di urbanizzazione.
2. - A fondamento della domanda espone quanto segue:
   - che per l’edificazione di tale complesso immobiliare era prevista la realizzazione di parcheggi obbligatori nella misura minima di mq. 1.317,32, corrispondente ad un metro quadro per ogni dieci metri cubi di costruzione ex art. 2, comma 2, legge n. 122/1989;
   - di aver versato, quindi, in base allo sviluppo del prospetto per la determinazione di tutti gli oneri concessori utilizzato dalla società ricorrente e vistato dal responsabile del procedimento e tenuto conto della rideterminazione delle somme dovute a titolo di oneri di urbanizzazione per la chiesta variante all’originario p.d.c., la somma di complessivi € 77.724,81 per oneri di urbanizzazione primaria, di complessivi € 169.340,93 per oneri di urbanizzazione secondaria e di complessivi € 46.136,66 per costo di costruzione;
   - di aver pagato anche i non condivisi importi aggiuntivi richiesti dal Settore Urbanistica del Comune di Barletta al solo fine di ottenere il rilascio della variante.
3. - Deduce, quindi, di aver chiesto -senza aver ricevuto dal Comune di Barletta alcun riscontro- la restituzione dei contributi versati per la parte relativa alle superfici del parcheggio obbligatoriamente previste per legge, in quanto le stesse (quantificate in € 46.244,26) devono ritenersi esonerate dal calcolo per il pagamento del contributo di costruzione, e, quindi, indebitamente trattenute dal medesimo Comune di Barletta.
4. - Lamenta, quindi, “illegittimità; violazione degli artt. 2 e 11 legge n. 122/1989 in combinato disposto con gli artt. 9 legge n. 10/1977 e 17 T.U. n. 380/2001; eccesso di potere per contraddittorietà”.
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7. - In via preliminare il Collegio rileva la sussistenza nella fattispecie in esame, della giurisdizione del giudice amministrativo.
Si tratta, infatti, di controversia avente ad oggetto la domanda di accertamento del diritto alla restituzione degli oneri concessori versati in conseguenza dei titoli edilizi rilasciati dal Comune che rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (ex art. 133, comma 1, lett. f), cod. proc. amm., disposizione relativa alla giurisdizione esclusiva del G.A. sulle “… controversie aventi ad oggetto gli atti e i provvedimenti delle pubbliche amministrazioni in materia urbanistica e edilizia, concernente tutti gli aspetti dell’uso del territorio”), concernendo l’accertamento dell’esistenza di posizioni giuridiche soggettive di credito-debito, che hanno origine direttamente da fonti normative (cfr. ex multis, TAR Calabria, Catanzaro, Sez. II, 24.10.2018, n. 1790), e che, quindi, prescindono dall’esistenza di atti dell’Amministrazione (cfr. TAR Veneto, Venezia, Sez. II, 21.02.2018, n. 209) (TAR Puglia-Bari, Sez. III, sentenza 21.07.2021 n. 1253 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

maggio 2021

EDILIZIA PRIVATA: L'esistenza di una costruzione abusiva può aggravare il c.d. carico urbanistico e, quindi, protrarre le conseguenze del reato.
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L'aumento del carico urbanistico non costituisce una conseguenza ontologicamente connaturata alla mera esistenza dell'immobile abusivo, ma può determinarsi per effetto dell'utilizzazione di esso, secondo le finalità (nella specie abitative) cui è destinato, dal che discende l'aggravio delle preesistenti infrastrutture e delle opere collettive correlate sotto il profilo di una maggiore esigenza di esse.
L'aggravio del carico urbanistico deve dunque essere valutato in concreto, avuto riguardo alla portata delle opere abusivamente realizzate e all'incidenza del loro utilizzo sul contesto delle infrastrutture esistenti e dunque sull'equilibrio urbanistico.
Nel caso di specie si tratta di una villa di rilevanti dimensioni, con destinazione in parte alberghiera, in relazione alla quale è stato, inoltre, accertato un mutamento della destinazione d'uso (abitativo) di parte dei locali; l'utilizzo dell'immobile, pertanto, senza dubbio determinerebbe una significativa incidenza sul carico urbanistico di zona, oltre al pericolo di un ulteriore deterioramento dell'ecosistema protetto dal vincolo paesaggistico.
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2. Avverso tale ordinanza propone ricorso per cassazione Ni.Se., a mezzo del proprio difensore, lamentando (in sintesi giusta il disposto di cui all'art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.):
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   III) violazione di legge in relazione alle esigenze cautelari.
Deduce che la motivazione sul punto è viziata da un error in procedendo che si manifesta sotto due differenti profili: in primo luogo, l'apparato argomentativo, posto a sostegno del provvedimento, appare privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza in tema dei requisiti cautelari idonei alla conferma della misura cautelare; manca ogni motivazione; in secondo luogo, la decisione del Collegio del Riesame è censurabile nella parte concernente la sussistenza delle esigenze cautelari.
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   V) violazione di legge per erronea applicazione della normativa urbanistica in ordine ai capi e ai punti dell'ordinanza concernenti il concetto di carico urbanistico posto a fondamento della sussistenza del periculum in mora.
Deduce che la nozione di carico urbanistico deriva dall'osservazione per cui ogni insediamento umano risulta costituito da un elemento c.d. primario (abitazioni, uffici, opifici, negozi) e da uno secondario di servizio (opere pubbliche in genere, strade,fognature, elettrificazione, servizio idrico, etc.) che deve essere proporzionato all'insediamento primario.
Ciò che deve connotare l'immobile abusivo è lo sperequato incremento del carico urbanistico ossia il carico urbanistico realizzato in assenza di valido permesso o in difformità della normativa urbanistica o ambientale.
Nella specie, l'incremento non aggrava né protrae le conseguenze del fatto di reato contestato ovvero il periculum in mora.
Il Ni., infatti, aveva ottenuto un nuovo permesso di costruire in variante a tutti gli effetti valido ed astrattamente idoneo a legittimare l'attuale costruzione.
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8. Le censure sub III) e V) -da trattarsi congiuntamente poiché logicamente avvinte- al di là della qualificazione assegnata dal ricorrente, attengono, sostanzialmente, a presunti vizi della motivazione.
Nondimeno, è opportuno evidenziare la presenza di una sufficiente motivazione -per altro priva di aporie manifeste- resa dal Tribunale, secondo cui la sussistenza delle esigenze cautelari deriva da fatto che «l'esistenza di una costruzione abusiva può aggravare il c.d. carico urbanistico e quindi protrarre le conseguenze del reato [...] l'aumento del carico urbanistico non costituisce una conseguenza ontologicamente connaturata alla mera esistenza dell'immobile abusivo, ma può determinarsi per effetto dell'utilizzazione di esso, secondo le finalità (nella specie abitative) cui è destinato, dal che discende l'aggravio delle preesistenti infrastrutture e delle opere collettive correlate sotto il profilo di una maggiore esigenza di esse. L'aggravio del carico urbanistico deve dunque essere valutato in concreto, avuto riguardo alla portata delle opere abusivamente realizzate e all'incidenza del loro utilizzo sul contesto delle infrastrutture esistenti e dunque sull'equilibrio urbanistico. Nel caso di specie si tratta di una villa di rilevanti dimensioni, con destinazione in parte alberghiera, in relazione alla quale è stato, inoltre, accertato un mutamento della destinazione d'uso (abitativo) di parte dei locali; l'utilizzo dell'immobile, pertanto, senza dubbio determinerebbe una significativa incidenza sul carico urbanistico di zona, oltre al pericolo di un ulteriore deterioramento dell'ecosistema protetto dal vincolo paesaggistico», facendo, così, anche buon uso del principio fissato da Sez. 3, Sentenza n. 11146/2002 (Corte di Cassazione, Sez. IV penale, sentenza 20.05.2021 n. 20109).

EDILIZIA PRIVATA: Sulla sussistenza, o meno, dei presupposti per la declaratoria di acquiescenza laddove il ricorrente abbia impugnato il permesso di costruire nella parte in cui prevede l'onerosità solo dopo avere pagato l'importo richiesto e senza manifestare alcuna preventiva riserva circa la debenza del contributo di costruzione.
Un consolidato orientamento giurisprudenziale ha avuto modo di evidenziare che non ricorrono, nei casi come quello in esame, gli estremi per configurare estinzione del diritto per acquiescenza.
   - “L'acquiescenza consiste nell'accettazione definitiva del provvedimento oppure in un comportamento incompatibile con la volontà d'impugnarlo o di ottenerne il riesame da parte della p.a. emanante e non è configurabile nel caso in cui non v'è un atto amministrativo autoritativo, ma si riscontrano posizioni di diritto soggettivo direttamente azionabile dal titolare (com'è, appunto, il diritto del concessionario a non pagare un contributo eccedente o non dovuto)”.
   - “La controversia attinente alla spettanza e liquidazione del contributo per gli oneri di urbanizzazione, riservata alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo a norma dell’art. 16 l. 29.01.1977, n. 10 [oggi, ex art. 133, lett. f), cod. proc. amm.], ha ad oggetto l’accertamento di un rapporto di credito a prescindere dall’esistenza di atti della pubblica amministrazione e non è soggetta alle regole delle azioni impugnatorie-annullatorie degli atti amministrativi ed ai rispettivi termini di decadenza, con conseguente inconfigurabilità dell’istituto dell’acquiescenza rispetto alla liquidazione del contributo e alla sua corresponsione (pro quota o per intero) in funzione del rilascio del titolo edilizio.
In tale contesto, irrilevante è il convenzionamento, o meno, dell’immobile costruendo, incidente sulla misura del contributo di concessione, ma non sui principi generali in tema di contestazione giudiziale del contributo e di eventuale azione di ripetizione, entro il termine ordinario di prescrizione.
Si aggiunga che l’obbligo della corresponsione del contributo di concessione, essendo obiettivamente collegato alla posizione di titolare della concessione edilizia rilasciata, dà vita a un’obbligazione di diritto pubblico priva di ogni connotazione negoziale, con la conseguenza che anche la sottoscrizione, al momento del rilascio della concessione, di un impegno a corrispondere al comune il contributo in una determinata misura non preclude all’interessato la tutela giurisdizionale per l’accertamento del diritto a non pagare il contributo in misura eccedente a quanto dovuto per legge, versandosi in materia sottratta alla disponibilità delle parti
”.
   - “La giurisprudenza ha chiarito che il pagamento degli oneri di urbanizzazione non determina acquiescenza al provvedimento impositivo, dovendo piuttosto essere considerato quale espressione della connaturale esigenza dell’attività imprenditoriale edilizia di dare avvio, senza indugi, alla realizzazione dell’opera progettata".
   - “La mera esecuzione, anche senza riserve, del provvedimento, non implica di per sé acquiescenza, in quanto il provvedimento amministrativo, fino al suo eventuale annullamento, produce effetti ed è immediatamente esecutivo. La sua esecuzione è, dunque, comportamento neutro, potendo trovare giustificazione, più che nell'univoca e incondizionata volontà di accettarne gli effetti, nell'esigenza di evitare le conseguenze ulteriori che potrebbero derivare dalla sua inottemperanza.
I medesimi principi sono stati affermati anche con riferimento al pagamento, al momento del ritiro della concessione edilizia, dei relativi oneri contributivi, escludendo che ricorra il requisito dell'univoca manifestazione di volontà dell'interessato ad accettare le statuizioni di un determinato provvedimento amministrativo e, quindi, a rinunciare all'esperimento della tutela giurisdizionale, quando, al momento del ritiro della concessione edilizia, lo stesso non avanzi riserva alcuna circa la debenza degli oneri concessori perché tale comportamento risponde all'esigenza di dare avvio senza indugi all'opera edilizia o di beneficiare del relativo titolo e le posizioni che si determinano in conseguenza del rilascio del titolo abilitativo alla realizzazione dell'opera sono di diritto soggettivo
”.
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4. Il Collegio esamina preliminarmente l’eccezione di inammissibilità sollevata dall’amministrazione resistente, che ritiene sussistenti tutti i presupposti per la declaratoria di acquiescenza, in quanto i ricorrenti hanno impugnato il permesso di costruire nella parte in cui prevede l'onerosità, solo dopo avere pagato l'importo richiesto e senza manifestare alcuna preventiva riserva circa la debenza del contributo di costruzione. Tale comportamento lascerebbe denotare, in maniera univoca, la volontà di accettazione degli effetti del provvedimento.
Il Collegio ritiene tale eccezione priva di pregio.
Un consolidato orientamento giurisprudenziale ha avuto modo di evidenziare che non ricorrono, nei casi come quello in esame, gli estremi per configurare estinzione del diritto per acquiescenza.
   - “L'acquiescenza consiste nell'accettazione definitiva del provvedimento oppure in un comportamento incompatibile con la volontà d'impugnarlo o di ottenerne il riesame da parte della p.a. emanante e non è configurabile nel caso in cui non v'è un atto amministrativo autoritativo, ma si riscontrano posizioni di diritto soggettivo direttamente azionabile dal titolare (com'è, appunto, il diritto del concessionario a non pagare un contributo eccedente o non dovuto)” (TAR Campania, 27/07/2006, sent. 8533).
   - “La controversia attinente alla spettanza e liquidazione del contributo per gli oneri di urbanizzazione, riservata alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo a norma dell’art. 16 l. 29.01.1977, n. 10 [oggi, ex art. 133, lett. f), cod. proc. amm.], ha ad oggetto l’accertamento di un rapporto di credito a prescindere dall’esistenza di atti della pubblica amministrazione e non è soggetta alle regole delle azioni impugnatorie-annullatorie degli atti amministrativi ed ai rispettivi termini di decadenza, con conseguente inconfigurabilità dell’istituto dell’acquiescenza rispetto alla liquidazione del contributo e alla sua corresponsione (pro quota o per intero) in funzione del rilascio del titolo edilizio (v., ex plurimis, Cons. St., Sez. IV, 21.08.2013, n. 4208; Cons. St., Sez. IV, 10.03.2011, n. 1565); in tale contesto, irrilevante è il convenzionamento, o meno, dell’immobile costruendo, incidente sulla misura del contributo di concessione, ma non sui principi generali in tema di contestazione giudiziale del contributo e di eventuale azione di ripetizione, entro il termine ordinario di prescrizione. Si aggiunga che l’obbligo della corresponsione del contributo di concessione, essendo obiettivamente collegato alla posizione di titolare della concessione edilizia rilasciata, dà vita a un’obbligazione di diritto pubblico priva di ogni connotazione negoziale, con la conseguenza che anche la sottoscrizione, al momento del rilascio della concessione, di un impegno a corrispondere al comune il contributo in una determinata misura non preclude all’interessato la tutela giurisdizionale per l’accertamento del diritto a non pagare il contributo in misura eccedente a quanto dovuto per legge, versandosi in materia sottratta alla disponibilità delle parti (v. in tal senso, ex plurimis, Cons. St., Sez. V, 06.12.1999, n. 2056)” (Cons. Stato Sez. VI, 07/05/2015, n. 2294, conforme TAR Campania, Napoli, Sez. III, 31/10/2016, n. 5013).
   - “Infatti la giurisprudenza, condivisa dal Collegio, ha chiarito che il pagamento degli oneri di urbanizzazione non determina acquiescenza al provvedimento impositivo, dovendo piuttosto essere considerato quale espressione della connaturale esigenza dell’attività imprenditoriale edilizia di dare avvio, senza indugi, alla realizzazione dell’opera progettata (cfr. TAR Toscana, Sez. III, 24.09.2018, n. 1213; TAR Sicilia, Palermo, Sez. III, 08.11.2013, n. 2066; TAR Emilia Romagna, 09.02.1999, n. 81)” (TRGA Bolzano, 26.09.2019, sent. n. 226).
   - Ed ancora “La mera esecuzione, anche senza riserve, del provvedimento, non implica di per sé acquiescenza, in quanto il provvedimento amministrativo, fino al suo eventuale annullamento, produce effetti ed è immediatamente esecutivo. La sua esecuzione è, dunque, comportamento neutro, potendo trovare giustificazione, più che nell'univoca e incondizionata volontà di accettarne gli effetti, nell'esigenza di evitare le conseguenze ulteriori che potrebbero derivare dalla sua inottemperanza. I medesimi principi sono stati affermati anche con riferimento al pagamento, al momento del ritiro della concessione edilizia, dei relativi oneri contributivi, escludendo che ricorra il requisito dell'univoca manifestazione di volontà dell'interessato ad accettare le statuizioni di un determinato provvedimento amministrativo e, quindi, a rinunciare all'esperimento della tutela giurisdizionale, quando, al momento del ritiro della concessione edilizia, lo stesso non avanzi riserva alcuna circa la debenza degli oneri concessori perché tale comportamento risponde all'esigenza di dare avvio senza indugi all'opera edilizia o di beneficiare del relativo titolo e le posizioni che si determinano in conseguenza del rilascio del titolo abilitativo alla realizzazione dell'opera sono di diritto soggettivo.” (TAR Lazio sez. II, 19/09/2017, sent. n. 9818).
Per tali ordini di considerazioni, dai quali questo Collegio non ritiene di doversi discostare, l’eccezione di inammissibilità non può essere accolta
(TAR Piemonte, Sez. II, sentenza 04.05.2021 n. 457 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L’edificio di nuova costruzione, derivante dalla demolizione di quello preesistente, pur presentando nove piani fuori terra (in luogo dei precedenti quattro), è tuttavia caratterizzato dalla medesima volumetria e dalla stessa superficie lorda di pavimento (occupa infatti un’area ridotta rispetto a prima), mentre la destinazione d’uso abitativa è aumentata a discapito di quella commerciale. Sicché, non sussiste l'aggravio del carico urbanistico e, conseguente, l'obbligo di versare gli oneri di urbanizzazione.
Quanto agli oneri di urbanizzazione, il Collegio ricorda che, per orientamento giurisprudenziale costante e consolidato, il contributo di costruzione è configurabile come un corrispettivo di diritto pubblico di natura non tributaria, posto in connessione ad un intervento edilizio. Si tratta di una prestazione patrimoniale imposta che prescinde dalle singole opere di urbanizzazione e dalle concrete utilità che il concessionario trae dal titolo rilasciato, sia dalle spese effettivamente occorrenti per realizzare le opere.
Tali posizioni sono state fatte proprie anche dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, che ha precisato altresì che “le prestazioni da adempiere da parte dell'amministrazione comunale e del privato intestatario del titolo edilizio non sono tra loro in posizione sinallagmatica. Come si è detto, infatti, l'amministrazione è tenuta ad eseguire le opere di urbanizzazione ed a dotare degli indispensabili standard il comparto ove viene allocato il nuovo insediamento edilizio a prescindere dal puntuale pagamento del contributo di costruzione da parte del soggetto che abbia ottenuto il titolo edilizio; per parte sua, questi è tenuto al pagamento del contributo senza poter pretendere la previa realizzazione delle opere di urbanizzazione”.
La giurisprudenza, pertanto, ha colto e fissato l’autonomia della debenza del contributo rispetto ai singoli parametri che caratterizzano le opere autorizzate, dovendosi avere riguardo al complessivo valore dello stesso in termini di fruibilità urbanistica e realtà strutturale edificata.

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Per gli interventi di demolizione e ricostruzione la valutazione della incidenza del carico urbanistico sia determinante per valutare an e quantum del contributo.
Questo Tribunale ha avuto modo di evidenziare che nel caso di interventi di sostituzione edilizia
   - da un lato comportino il mantenimento delle superfici e
   -  dall’altro non comportino né mutamento di destinazione d’uso né aumenti di volume il contributo,
   - per la parte degli oneri di urbanizzazione, non è dovuto in quanto non vi è induzione di maggior carico urbanistico.
“In senso analogo si è espresso il giudice d’appello, proprio in una fattispecie di sostituzione edilizia, nella cui sentenza si legge: “il contributo per oneri di urbanizzazione è un corrispettivo di diritto pubblico, di natura non tributaria, posto a carico del costruttore a titolo di partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione in proporzione all’insieme dei benefici che la nuova costruzione ne ritrae.
In effetti, gli oneri di urbanizzazione sono dovuti se ed in quanto l’intervento edilizio comporti un incremento della domanda di servizi nella zona coinvolta dalla costruzione: le opere di urbanizzazione, distinte in primarie e secondarie, si caratterizzano per essere necessarie, rispettivamente, all’utilizzo degli edifici e alla vita di relazione degli abitanti di un territorio.
Ciò posto, se rispetto ad una zona circoscritta sono già state sostenute le spese necessarie a fornire i suddetti servizi ai cittadini ivi residenti, un intervento edilizio che non implichi un maggior carico urbanistico nella medesima zona, non può determinare la necessità di una nuova spesa per fornire i medesimi servizi già predisposti: diversamente ragionando, si giungerebbe ad affermare la duplicazione di costi a fronte dell’unicità dei servizi. All’opposto, se l’intervento edilizio assentito imponesse un incremento del carico urbanistico nella zona interessata, gli oneri di urbanizzazione dovrebbero essere versati in vista della predisposizione degli strumenti idonei a far fronte ad un incremento di dette esigenze urbanistiche.
In sostanza, gli oneri di urbanizzazione si caratterizzano per avere natura compensativa rispetto alle spese di cui l’amministrazione si fa carico per rendere accessibile e pienamente utilizzabile un nuovo o rinnovato edificio, purché vi sia una nuova destinazione, dato che non può essere chiesto due volte il pagamento per gli stessi interventi di sistemazione e adeguamento del contesto urbanistico.
Sul punto, il Collegio condivide il costante orientamento giurisprudenziale secondo cui “in caso di ristrutturazione edilizia, il pagamento degli oneri di urbanizzazione è dovuto solo nel caso in cui l’intervento abbia determinato un aumento del carico urbanistico”.
“È illegittimo il provvedimento che impone il pagamento degli oneri di urbanizzazione e di costruzione nel caso in cui il permesso di costruire ha ad oggetto una ristrutturazione edilizia consistente nella demolizione e ricostruzione di un preesistente edificio, che non ha comportato un aumento del carico urbanistico, a nulla rilevando, a tal fine, la modifica di sagoma e prospetti dell'immobile stesso".
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L’incremento dei più comuni indici edilizi (volumetria, superficie, ecc.) così come il prospettato concreto riutilizzo di immobili disabitati da tempo, possono lasciar presumere la variazione del carico urbanistico ma ciò deve formare oggetto di precipua istruttoria; ciò è poi maggiormente necessario quando l’intervento porti ad un decremento dei citati indici e ad una sostanziale continuatività del carico insediativo.
“Il presupposto imponibile per il pagamento del contributo va dunque ravvisato nella domanda di una maggiore dotazione di servizi (rete viaria, fognature, ecc.) nell'area di riferimento, che sia indotta dalla destinazione d'uso concretamente impressa all'immobile; ma poiché l'entità degli oneri di urbanizzazione è in buona sostanza correlata alla variazione del carico urbanistico, è ben possibile che un intervento di ristrutturazione e mutamento di destinazione d'uso possa non comportare l’obbligo della corresponsione del contributo nella misura in cui non risulti aggravato il carico urbanistico. Correlativamente, è altrettanto possibile che in caso di mutamento di destinazione di uso nell'ambito della stessa categoria urbanistica, faccia seguito un maggior carico urbanistico indotto dalla realizzazione di quanto assentito e siano quindi dovuti i relativi oneri concessori.
Ne segue che, in presenza di un insediamento già in possesso di analoghe caratteristiche funzionali, ed a fronte di un intervento edilizio che l’abbia strutturalmente modificato (come nell’ipotesi della demolizione e contestuale ricostruzione), l'amministrazione, per poter legittimamente esigere il contributo per gli oneri di urbanizzazione, deve dare contezza degli indici o, comunque, delle condizioni da cui si evince il maggior carico urbanistico rispetto alla preesistente situazione.
È pertanto da considerare illegittimo il provvedimento che impone il pagamento degli oneri di urbanizzazione nel caso in cui il permesso di costruire ha ad oggetto una ristrutturazione edilizia consistente nella demolizione e ricostruzione di un preesistente edificio, che non ha comportato un aumento del carico urbanistico, a nulla rilevando, a tal fine, la modifica di sagoma e prospetti dell'immobile stesso.

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Richiamando la giurisprudenza già citata e che evidenzia come anche per interventi di sostituzione edilizia l’analisi dell’induzione di domanda di carico urbanistico debba comunque essere svolta, si evidenzia che per giurisprudenza costante tale automatismo non vale per gli interventi di demolizione e ricostruzione.
“Non vi è contestazione tra le parti sulle circostanze di fatto; è dunque pacifico che l’edificio oggetto di ricostruzione è crollato accidentalmente e che la ricostruzione non ha modificato né la volumetria né la destinazione d’uso. Parte resistente propone una lettura letterale della normativa applicabile, senza tuttavia valorizzare quella che in giurisprudenza viene pacificamente individuata quale ratio fondamentale e giustificatrice della corresponsione degli oneri di urbanizzazione, ossia il carico urbanistico, con connessa esigenza di realizzazione di opere di urbanizzazione primaria e secondaria. Se pure suddetta ratio giustificatrice non trasforma l’onere in una imposta di scopo (non vi è la necessità che gli oneri di urbanizzazione incassati in una determinata area siano devoluti alle opere di urbanizzazione ivi realizzate e/o necessarie) né il rapporto tra carico urbanistico ed oneri di urbanizzazione è rigoroso al punto da non ammettere la modulazione degli oneri stessi anche in funzione di diverse finalità (ad esempio scoraggiare l’espansione in determinate aree ovvero incentivarla in altre), la giustificazione sostanziale di tale forma di imposizione resta il carico urbanistico ingenerato da un nuovo insediamento o da un mutamento di destinazione d’uso)”.
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“Ai fini dell'insorgenza dell'obbligo di corresponsione degli oneri concessori, è rilevante il verificarsi di un maggior carico urbanistico quale effetto dell'intervento edilizio, sicché non è neanche necessario che la ristrutturazione interessi globalmente l'edificio, ma basta che ne risulti comunque mutata la realtà strutturale e la fruibilità urbanistica, con oneri conseguentemente riferiti all'oggettiva rivalutazione dell'immobile e funzionali a sopportare l'aggiuntivo carico socio-economico che l'attività edilizia comporta, anche quando l'incremento dell'impatto sul territorio consegua solo a marginali lavori”.

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A diverse conclusioni, invece, si giunge con riferimento alla componente relativa al costo di costruzione.
Nel caso di specie, non vi è dubbio che dall'intervento realizzato derivi un concreto e significativo aumento di valore della proprietà immobiliare la quale, da edificio sostanzialmente inabitabile, è diventa una palazzina bifamiliare di pregio, come emerge dalla relazione tecnica depositata.
Questo Tribunale ha già avuto modo di precisare che:
   - “riguardo alla differenza tra oneri di urbanizzazione e costi di costruzione si ritiene che i primi espletino la funzione di compensare la collettività per il nuovo ulteriore carico urbanistico che si riversa sulla zona a causa della consentita attività edificatoria, mentre i secondi si configurino quale compartecipazione comunale all'incremento di valore della proprietà immobiliare del costruttore”;
   - “Riguardo alla differenza tra oneri di urbanizzazione e costi di costruzione, la giurisprudenza concordemente ritiene che i primi espletino la funzione di compensare la collettività per il nuovo ulteriore carico urbanistico che si riversa sulla zona a causa della consentita attività edificatoria, mentre i secondi si configurino quale compartecipazione comunale all'incremento di valore della proprietà immobiliare del costruttore”.
Questa componente del contributo, pertanto, essendo non direttamente connessa con il presupposto della modifica del carico urbanistico o con la domanda di servizi, ma afferendo direttamente all’incremento del pregio e del valore della proprietà e quindi con la pura manifestazione dello ius aedificandi, viene correttamente ancorata dall’amministrazione comunale alla qualificazione formale dell’intervento di sostituzione edilizia mediante permesso a costruire, in grado di apportare una trasformazione urbana significativa ed evidente.
Risultano pertanto neutri, a tali scopi, i parametri evidenziati da parte ricorrente circa il decremento dei volumi, delle superfici e delle unità immobiliari, essendo pacifico che trattasi comunque di ricostruzione di corpi di fabbrica con diversa sagoma e che solo in minima parte mantengono le componenti preesistenti.
Per tali ragioni il contributo risulta legittimamente richiesto ed applicato per la parte relativa ai costi di costruzione.

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5. Passando al merito, con l’unico motivo di ricorso si lamenta violazione e falsa applicazione di legge [art. 3, comma 1, lett. d); art. 10, comma 1, lett. c); artt. 16 e 17 del DPR n. 380/2001] nonché eccesso di potere per travisamento di fatto e di diritto, carenza istruttoria, erroneità, illogicità manifesta, irragionevolezza e arbitrarietà.
In particolare i ricorrenti sostengono che l’intervento di ristrutturazione assentito sarebbe “neutro” dal punto di vista urbanistico, non determinerebbe un maggior carico urbanistico dell’area né un più intenso utilizzo delle urbanizzazioni esistenti, con conseguente venir meno di ogni pretesa di versamento di un corrispettivo (trattandosi nello specifico di una riduzione del volume complessivo del fabbricato, previamente demolito, nonché dell’abbassamento di un piano dello stesso, con mantenimento della medesima destinazione d’uso e riduzione, da otto a due, delle unità abitative).
Nell’articolare le proprie memorie i ricorrenti evidenziano che la pretesa del Comune viene considerata illegittima sotto due profili: con riferimento alla richiesta di pagamento degli oneri di urbanizzazione in ragione della diminuzione del carico urbanistico; con riferimento al costo di costruzione, per la mancata motivata emersione d’una asserita maggior capacità contributiva.
L’amministrazione, nelle proprie memorie, sostiene che l’intervento debba essere qualificato non come ristrutturazione semplice, ma come intervento di sostituzione edilizia, assimilabile ad una nuova costruzione, di per sé sottoposto al versamento degli oneri di cui all’art. 16 del DPR n. 380/2001. Il nuovo manufatto, avendo caratteristiche del tutto distinte da quelle del complesso originario (da due edifici preesistenti ne viene realizzato uno solo), sarebbe solo parzialmente sovrapponibile ad uno degli immobili preesistenti e costituirebbe un corpo di fabbrica inedito sia per sagoma sia per collocazione spaziale.
La difesa di parte resistente fa altresì leva sulla diversa situazione di fatto che la nuova edificazione verrebbe a determinare nell’area. Se pure il nuovo edificio risulta avere una volumetria inferiore rispetto a quella dei due edifici preesistenti ed un minor numero di unità abitative, l'intervento muterebbe radicalmente la consistenza della struttura realizzando un edificio, oltre che completamente nuovo, anche concretamente utilizzato. I due immobili, nella ricostruzione di parte, erano disabitati da tempo: uno dei due era un rudere abbandonato da decenni, mentre gli appartamenti dell'altro sono stati gradualmente abbandonati negli anni in quanto inidonei a costituire un'abitazione dignitosa fino a che, nel 2016, nessuno degli alloggi risultava occupato. Sempre secondo la ricostruzione di parte resistente, la realizzazione di un nuovo immobile, con caratteristiche di pregio e destinato ad effettiva abitazione, determinerebbe una nuova domanda di servizi per il Comune il quale si trova a fare fronte alle esigenze di due nuovi nuclei familiari, mentre prima gli immobili versavano in stato di sostanziale abbandono.
Ciò premesso ritiene il Collegio che le posizioni dei ricorrenti risultino parzialmente fondate. La pretesa dei ricorrenti infatti, risulta condivisibile quanto alla quota parte degli oneri di urbanizzazione, mentre non è fondata quanto a quella del costo di costruzione.
6. Quanto agli oneri di urbanizzazione, infatti, il Collegio ricorda che, per orientamento giurisprudenziale costante e consolidato, il contributo di costruzione è configurabile come un corrispettivo di diritto pubblico di natura non tributaria, posto in connessione ad un intervento edilizio. Si tratta di una prestazione patrimoniale imposta che prescinde dalle singole opere di urbanizzazione e dalle concrete utilità che il concessionario trae dal titolo rilasciato, sia dalle spese effettivamente occorrenti per realizzare le opere.
Tali posizioni sono state fatte proprie anche dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, che ha precisato altresì che “le prestazioni da adempiere da parte dell'amministrazione comunale e del privato intestatario del titolo edilizio non sono tra loro in posizione sinallagmatica. Come si è detto, infatti, l'amministrazione è tenuta ad eseguire le opere di urbanizzazione ed a dotare degli indispensabili standard il comparto ove viene allocato il nuovo insediamento edilizio a prescindere dal puntuale pagamento del contributo di costruzione da parte del soggetto che abbia ottenuto il titolo edilizio; per parte sua, questi è tenuto al pagamento del contributo senza poter pretendere la previa realizzazione delle opere di urbanizzazione” (Cons Stato Ad. Plen. 07.12.2016, sent. n. 24).
La giurisprudenza, pertanto, ha colto e fissato l’autonomia della debenza del contributo rispetto ai singoli parametri che caratterizzano le opere autorizzate, dovendosi avere riguardo al complessivo valore dello stesso in termini di fruibilità urbanistica e realtà strutturale edificata.
Nella istanza di permesso a costruire e nel provvedimento rilasciato dal Comune l’intervento viene qualificato come ristrutturazione edilizia mediante demolizione e ricostruzione di edificio esistente.
L’art. 3, comma 1, lett. d), del DPR n. 380/2001 definisce "interventi di ristrutturazione edilizia", gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, l'eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti. Nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi altresì gli interventi di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti con diversi sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche, con le innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica, per l'applicazione della normativa sull'accessibilità, per l'istallazione di impianti tecnologici e per l'efficientamento energetico. Solo con riferimento agli immobili sottoposti a tutela ai sensi del codice dei beni culturali e del paesaggio (di cui al decreto legislativo 22.01.2004, n. 42), nonché, fatte salve le previsioni legislative e degli strumenti urbanistici, a quelli ubicati nelle zone omogenee A di cui al decreto del Ministro per i lavori pubblici 02.04.1968, n. 1444 (o in zone a queste assimilabili in base alla normativa regionale e ai piani urbanistici comunali), nei centri e nuclei storici consolidati e negli ulteriori ambiti di particolare pregio storico e architettonico, gli interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove siano mantenuti sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell'edificio preesistente e non siano previsti incrementi di volumetria.
L’amministrazione resistente evidenzia che l’intervento effettuato nel caso di specie si configura come sostituzione edilizia, così come definita dall’art. 13, comma 3, della LRP n. 56/1977 che così definisce le seguenti tipologie di intervento: “d) ristrutturazione edilizia: gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, l'eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti e quanto ulteriormente previsto all'articolo 3, comma 1, lettera d), del decreto del Presidente della Repubblica 06.06.2001, n. 380; d-bis) sostituzione edilizia: gli interventi di integrale sostituzione edilizia dell'immobile esistente, ricadenti tra quelli di cui all'articolo 3, comma 1, lettera e) del decreto del Presidente della Repubblica 06.06.2001, n. 380, da attuarsi mediante demolizione e ricostruzione anche con diversa localizzazione nel lotto e con diversa sagoma”. La normativa regionale, pertanto, associa la sostituzione edilizia alle “nuove costruzioni” di cui all’art. 3, comma 1, lett. e), del DPR 380/2001.
I ricorrenti, nelle proprie memorie, non offrono argomentazioni a confutazione della riconduzione dell’intervento a tale fattispecie.
Occorre premettere altresì che, nel caso di specie, è pacifico tra le parti che l’intervento non rientri tra le esenzioni di cui all’art. 17 del DPR n. 380/2001, ed in particolare tra quelle previste al comma 2, lett. b), “per gli interventi di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore al 20%, di edifici unifamiliari”, poiché nel caso di specie trattasi di demolizione e ricostruzione di una villa bifamiliare (come emerge dalla relazione tecnica allegata al permesso di costruire, cfr. doc. 3 allegato al ricorso).
Nel quadro delle facoltà degli enti locali di graduare l’ammontare del contributo, l’art. 16 del DPR n. 380/2001 ha riconosciuto ai comuni la possibilità di determinare l'incidenza degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria anche in base “alla differenziazione tra gli interventi al fine di incentivare, in modo particolare nelle aree a maggiore densità del costruito, quelli di ristrutturazione edilizia di cui all'articolo 3, comma 1, lettera d), anziché quelli di nuova costruzione” (comma 4, lett. d-bis e comma 5). Il medesimo articolo, al comma 10, riconosce ai comuni “nel caso di interventi su edifici esistenti il costo di costruzione è determinato in relazione al costo degli interventi stessi, così come individuati dal comune in base ai progetti presentati per ottenere il permesso di costruire. Al fine di incentivare il recupero del patrimonio edilizio esistente, per gli interventi di ristrutturazione edilizia di cui all'articolo 3, comma 1, lettera d), i comuni hanno comunque la facoltà di deliberare che i costi di costruzione ad essi relativi siano inferiori ai valori determinati per le nuove costruzioni”.
Il Comune di Momo evidenzia che, con Delibera del Consiglio Comunale n. 1/2017 (cfr. doc. 5 allegato di parte resistente) ha approvato tali riduzioni per gli interventi su patrimonio esistente (pari al 50% rispetto alle nuove costruzioni), con esclusione di quelli di sostituzione edilizia.
Ciò premesso la difesa comunale insiste, da un lato, a giustificare l’imposizione del contributo in ragione della tipologia di intervento sostanzialmente assentita (sostituzione edilizia) e dall’altra ad evidenziare l’aumento del carico urbanistico che l’intervento comporta.
6.1 Partendo da quest’ultimo profilo il Collegio ritiene innegabile che, per gli interventi di demolizione e ricostruzione (genus all’interno del quale rientra quello in esame), la valutazione della incidenza del carico urbanistico sia determinante per valutare an e quantum del contributo.
Questo Tribunale ha avuto modo di evidenziare che nel caso di interventi di sostituzione edilizia da un lato comportino il mantenimento delle superfici e dall’altro non comportino né mutamento di destinazione d’uso né aumenti di volume il contributo, per la parte degli oneri di urbanizzazione, non è dovuto in quanto non vi è induzione di maggior carico urbanistico.
In senso analogo si è espresso il giudice d’appello, proprio in una fattispecie di sostituzione edilizia realizzata nel comune di Torino, con la sentenza Cons. St. sez. IV, n. 4950/2015, nella quale si legge: “il contributo per oneri di urbanizzazione è un corrispettivo di diritto pubblico, di natura non tributaria, posto a carico del costruttore a titolo di partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione in proporzione all’insieme dei benefici che la nuova costruzione ne ritrae. In effetti, gli oneri di urbanizzazione sono dovuti se ed in quanto l’intervento edilizio comporti un incremento della domanda di servizi nella zona coinvolta dalla costruzione: le opere di urbanizzazione, distinte in primarie e secondarie, si caratterizzano per essere necessarie, rispettivamente, all’utilizzo degli edifici e alla vita di relazione degli abitanti di un territorio. Ciò posto, se rispetto ad una zona circoscritta sono già state sostenute le spese necessarie a fornire i suddetti servizi ai cittadini ivi residenti, un intervento edilizio che non implichi un maggior carico urbanistico nella medesima zona, non può determinare la necessità di una nuova spesa per fornire i medesimi servizi già predisposti: diversamente ragionando, si giungerebbe ad affermare la duplicazione di costi a fronte dell’unicità dei servizi. All’opposto, se l’intervento edilizio assentito imponesse un incremento del carico urbanistico nella zona interessata, gli oneri di urbanizzazione dovrebbero essere versati in vista della predisposizione degli strumenti idonei a far fronte ad un incremento di dette esigenze urbanistiche. In sostanza, gli oneri di urbanizzazione si caratterizzano per avere natura compensativa rispetto alle spese di cui l’amministrazione si fa carico per rendere accessibile e pienamente utilizzabile un nuovo o rinnovato edificio, purché vi sia una nuova destinazione, dato che non può essere chiesto due volte il pagamento per gli stessi interventi di sistemazione e adeguamento del contesto urbanistico. Sul punto, il Collegio condivide il costante orientamento giurisprudenziale secondo cui “in caso di ristrutturazione edilizia, il pagamento degli oneri di urbanizzazione è dovuto solo nel caso in cui l’intervento abbia determinato un aumento del carico urbanistico” (Cons. di Stato, Sez. IV, 29.04.2004, n. 2611)” (Tar Piemonte 07/01/2020 n. 20).
È illegittimo il provvedimento che impone il pagamento degli oneri di urbanizzazione e di costruzione nel caso in cui il permesso di costruire ha ad oggetto una ristrutturazione edilizia consistente nella demolizione e ricostruzione di un preesistente edificio, che non ha comportato un aumento del carico urbanistico, a nulla rilevando, a tal fine, la modifica di sagoma e prospetti dell'immobile stesso” (TAR Piemonte, sez. I, 13/12/2013, n. 1346).
L’incremento dei più comuni indici edilizi (volumetria, superficie, ecc.) così come il prospettato concreto riutilizzo di immobili disabitati da tempo, possono lasciar presumere la variazione del carico urbanistico ma ciò deve formare oggetto di precipua istruttoria; ciò è poi maggiormente necessario quando l’intervento porti ad un decremento dei citati indici e ad una sostanziale continuatività del carico insediativo.
Il presupposto imponibile per il pagamento del contributo va dunque ravvisato nella domanda di una maggiore dotazione di servizi (rete viaria, fognature, ecc.) nell'area di riferimento, che sia indotta dalla destinazione d'uso concretamente impressa all'immobile; ma poiché l'entità degli oneri di urbanizzazione è in buona sostanza correlata alla variazione del carico urbanistico, è ben possibile che un intervento di ristrutturazione e mutamento di destinazione d'uso possa non comportare l’obbligo della corresponsione del contributo nella misura in cui non risulti aggravato il carico urbanistico. Correlativamente, è altrettanto possibile che in caso di mutamento di destinazione di uso nell'ambito della stessa categoria urbanistica, faccia seguito un maggior carico urbanistico indotto dalla realizzazione di quanto assentito e siano quindi dovuti i relativi oneri concessori (così, ancora, TAR Piemonte, questa II sez., n. 1009 del 2013, cit.; TAR Lazio, Roma, sez. II, n. 11213 del 2007).
Ne segue che, in presenza di un insediamento già in possesso di analoghe caratteristiche funzionali, ed a fronte di un intervento edilizio che l’abbia strutturalmente modificato (come nell’ipotesi della demolizione e contestuale ricostruzione), l'amministrazione, per poter legittimamente esigere il contributo per gli oneri di urbanizzazione, deve dare contezza degli indici o, comunque, delle condizioni da cui si evince il maggior carico urbanistico rispetto alla preesistente situazione (cfr., analogamente, TAR Sicilia, Catania, sez. I, n. 2249 del 2013; TAR Marche, n. 699 del 2013).
È pertanto da considerare illegittimo il provvedimento che impone il pagamento degli oneri di urbanizzazione nel caso in cui il permesso di costruire ha ad oggetto una ristrutturazione edilizia consistente nella demolizione e ricostruzione di un preesistente edificio, che non ha comportato un aumento del carico urbanistico, a nulla rilevando, a tal fine, la modifica di sagoma e prospetti dell'immobile stesso (così questo TAR, sez. I, sent. n. 1346 del 2013).
Proprio questa è la situazione che caratterizza la fattispecie oggetto dell’odierno giudizio: l’edificio di nuova costruzione, derivante dalla demolizione di quello preesistente, pur presentando nove piani fuori terra (in luogo dei precedenti quattro), è tuttavia caratterizzato dalla medesima volumetria e dalla stessa superficie lorda di pavimento (occupa infatti un’area ridotta rispetto a prima), mentre –come da ultimo confermato dalla relazione tecnica comunale– la destinazione d’uso abitativa è aumentata a discapito di quella commerciale (e salva la necessità, in futuro, di dover riconsiderare la fattispecie qualora dovesse essere assentita la richiesta di variante che innalzerebbe l’edificio di un ulteriore piano)
” (TAR Piemonte, 19/12/2014, sent. n. 2033).
Nessuna delle parti ha fornito prova dello stato di conservazione degli immobili in demolizione. Parte resistente deduce che una porzione era disabitata da decenni, ma entrambe riconoscono in maniera pacifica che una porzione fosse abitata sino al 2016. Dal corredo fotografico prodotto dall’amministrazione (cfr. doc. n. 6) risulta che una consistente porzione di fabbricato non appare collabente o priva dei connotati minimi per individuare una civile abitazione e che, pertanto, corrisponda a quello abitato sino al 2016. I ricorrenti, dal canto loro, evidenziano che la nuova volumetria corrisponda a circa la metà di quella preesistente ed è pertanto ragionevole dedurre che le valutazioni sulla variazione di carico urbanistico non possano non tenere in considerazione tale realtà di fatto.
Lo stesso regolamento comunale definisce, all’art. 2.1, il carico urbanistico “l'effetto prodotto dall'insediamento primario (abitazioni, uffici, opifici, negozi) che determina domanda di strutture ed opere collettive (opere pubbliche in genere, strade, fognature, condutture e reti), in dipendenza del numero di persone insediate su di un determinato territorio; le strutture e le opere collettive devono essere proporzionate all'insediamento primario, ossia al numero degli abitanti insediati ed alle caratteristiche dell'attività da costoro svolte, con riferimento a standard di legge” (cfr. doc. 4 allegato si parte resistente).
L’amministrazione per giustificare l’incremento del carico urbanistico fa leva sul fatto che il nuovo intervento, che prevede la creazione di due nuove villette, benché di volumetria e superficie inferiore, riporterebbe la zona ad essere concretamente abitata, a differenza di quanto avvenuto negli ultimi anni. Orbene tale deduzione, sul piano probatorio, non è corroborata da riscontri significativi. Ciò che è pacifico tra le parti è che almeno una parte del complesso immobiliare sia stato abitato sino al 2016 (circa due anni prima della presentazione della istanza di permesso), mentre per la restante parte non sono forniti riferimenti temporali precisi. Dal tenore degli atti istruttori, dalla relazione tecnica allegata al permesso a costruire (doc. 6 allegato al ricorso) e dagli elementi dedotti dalle parti, pertanto, si desume che il carico urbanistico generato dal nuovo edificio, va a sostituire quello del vecchio immobile, senza apprezzabile soluzione di continuità, e che nessun nuovo carico, tale da giustificare l’imposizione degli oneri di urbanizzazione, si deve nella specie considerare prodotto.
In un caso analogo questo Tribunale ha precisato che “l’amministrazione, nelle proprie difese, ha invece valorizzato la circostanza (indicata nella relazione tecnica asseverata, allegata all’istanza di permesso di costruire) che il vecchio edificio fosse da tempo disabitato ed in pessimo stato di conservazione con conseguente “irrilevanza del precedente carico urbanistico”: ma tale asserzione –che aveva peraltro indotto questo TAR a respingere la domanda cautelare– risulta destituita di fondamento, posto che la ricorrente ha successivamente allegato di aver concesso in locazione gli appartamenti del vecchio edificio fino a pochi anni prima rispetto alla richiesta di realizzazione dell’intervento di sostituzione edilizia e che “i contratti di affitto [...] sono andati ad esaurimento in ragione di tale programmata attività” (TAR Piemonte, 19/12/2014, sent. n. 2033).
6.2 Anche il primo ordine di argomentazioni utilizzato dall’amministrazione per giustificare l’addebito degli oneri di urbanizzazione, che fa leva sulla tipologia di intervento (sostituzione edilizia), non persuade.
Richiamando la giurisprudenza già citata e che evidenzia come anche per interventi di sostituzione edilizia l’analisi dell’induzione di domanda di carico urbanistico debba comunque essere svolta, si evidenzia che per giurisprudenza costante tale automatismo non vale per gli interventi di demolizione e ricostruzione. “Non vi è contestazione tra le parti sulle circostanze di fatto; è dunque pacifico che l’edificio oggetto di ricostruzione è crollato accidentalmente e che la ricostruzione non ha modificato né la volumetria né la destinazione d’uso. Parte resistente propone una lettura letterale della normativa applicabile, senza tuttavia valorizzare quella che in giurisprudenza viene pacificamente individuata quale ratio fondamentale e giustificatrice della corresponsione degli oneri di urbanizzazione, ossia il carico urbanistico, con connessa esigenza di realizzazione di opere di urbanizzazione primaria e secondaria. Se pure suddetta ratio giustificatrice non trasforma l’onere in una imposta di scopo (non vi è la necessità che gli oneri di urbanizzazione incassati in una determinata area siano devoluti alle opere di urbanizzazione ivi realizzate e/o necessarie) né il rapporto tra carico urbanistico ed oneri di urbanizzazione è rigoroso al punto da non ammettere la modulazione degli oneri stessi anche in funzione di diverse finalità (ad esempio scoraggiare l’espansione in determinate aree ovvero incentivarla in altre), la giustificazione sostanziale di tale forma di imposizione resta il carico urbanistico ingenerato da un nuovo insediamento o da un mutamento di destinazione d’uso. Per la fisiologica connessione tra aumento del carico urbanistico e oneri di urbanizzazione, ex pluribus, si veda Cons. St., sez. IV, n. 1187/2018)” (TAR Piemonte, sez. II, 21/05/2018 n. 630).
6.3 Così stando le cose è ragionevole dedurre che, nel particolarissimo caso di specie, non vi sia aumento del carico urbanistico. Ciò, come si è detto, è desumibile dal combinato di più elementi: il decremento di tutti gli parametri edilizi (volumetria, superficie, mantenimento della destinazione residenziale); il ragionevole minor potenziale carico antropico rispetto al recente passato (riduzione del numero di unità residenziali da otto a due); l’assenza di alcuna motivazione o argomentazione che lasci anche solo presumere che l’intervento esprima, anche a livello potenziale, un incremento della domanda di servizi che vada a gravare sul complesso infrastrutturale su cui l’area ricade.
È indicativo, peraltro, che la stessa amministrazione resistente, nelle proprie memorie, giunga e riconoscere, benché in via subordinata, la possibilità che per la parte degli oneri di urbanizzazione, possa effettivamente giungersi a conclusioni differenti, in ragione di una lettura più sostanzialista dell’incidenza sul carico urbanistico, circa la relativa debenza.
La stessa giurisprudenza citata nelle memorie dell’amministrazione resistente, peraltro, ha avuto modo di precisare che “ai fini dell'insorgenza dell'obbligo di corresponsione degli oneri concessori, è rilevante il verificarsi di un maggior carico urbanistico quale effetto dell'intervento edilizio, sicché non è neanche necessario che la ristrutturazione interessi globalmente l'edificio, ma basta che ne risulti comunque mutata la realtà strutturale e la fruibilità urbanistica, con oneri conseguentemente riferiti all'oggettiva rivalutazione dell'immobile e funzionali a sopportare l'aggiuntivo carico socio-economico che l'attività edilizia comporta, anche quando l'incremento dell'impatto sul territorio consegua solo a marginali lavori.” (Cons. Stato, II, 19.04.2019, n. 2561).
Si aggiunga, infine, che non costituisce ostacolo alla conferma di tale linea interpretativa quanto previsto nella citata Deliberazione n. 1/2017 che disciplina una serie di incentivi per gli interventi sul patrimonio edilizio esistente (con riduzioni sui contributi, inclusi gli oneri di urbanizzazione, ad eccezione degli interventi di sostituzione edilizia, quale quello in commento), poiché ciò che si discute non è l’assoggettamento dell’intervento alla scontistica sperimentalmente approvata, quanto il ricorrere del presupposto stesso dell’applicazione della quota degli oneri di urbanizzazione (al di là della formale qualificazione dell’intervento).
Da quanto precede, pertanto, occorre concludere che la richiesta del contributo di costruzione, per la quota parte relativa agli oneri di urbanizzazione, è stata illegittimamente computata in capo ai ricorrenti e dev’essere, pertanto, restituita.
7. A diverse conclusioni, invece, si giunge con riferimento alla componente relativa al costo di costruzione.
Nel caso di specie, non vi è dubbio che dall'intervento realizzato derivi un concreto e significativo aumento di valore della proprietà immobiliare la quale, da edificio sostanzialmente inabitabile, è diventa una palazzina bifamiliare di pregio, come emerge dalla relazione tecnica depositata.
Questo Tribunale ha già avuto modo di precisare che “riguardo alla differenza tra oneri di urbanizzazione e costi di costruzione si ritiene che i primi espletino la funzione di compensare la collettività per il nuovo ulteriore carico urbanistico che si riversa sulla zona a causa della consentita attività edificatoria, mentre i secondi si configurino quale compartecipazione comunale all'incremento di valore della proprietà immobiliare del costruttore (TAR Piemonte, n. 630/2018)” (TAR Piemonte, 25/11/2020, n. 769). “Riguardo alla differenza tra oneri di urbanizzazione e costi di costruzione, la giurisprudenza concordemente ritiene che i primi espletino la funzione di compensare la collettività per il nuovo ulteriore carico urbanistico che si riversa sulla zona a causa della consentita attività edificatoria, mentre i secondi si configurino quale compartecipazione comunale all'incremento di valore della proprietà immobiliare del costruttore” (TAR Piemonte sez. II, 21/05/2018 n. 630, conforme Cons. St., sez. IV, n. 2915/2016).
Questa componente del contributo, pertanto, essendo non direttamente connessa con il presupposto della modifica del carico urbanistico o con la domanda di servizi, ma afferendo direttamente all’incremento del pregio e del valore della proprietà e quindi con la pura manifestazione dello ius aedificandi, viene correttamente ancorata dall’amministrazione comunale alla qualificazione formale dell’intervento di sostituzione edilizia mediante permesso a costruire, in grado di apportare una trasformazione urbana significativa ed evidente. Risultano pertanto neutri, a tali scopi, i parametri evidenziati da parte ricorrente circa il decremento dei volumi, delle superfici e delle unità immobiliari, essendo pacifico che trattasi comunque di ricostruzione di corpi di fabbrica con diversa sagoma e che solo in minima parte mantengono le componenti preesistenti.
Per tali ragioni il contributo risulta legittimamente richiesto ed applicato per la parte relativa ai costi di costruzione.
8. Il ricorso, nel suo complesso, risulta parzialmente fondato limitatamente all’accertamento della non debenza della quota degli oneri di urbanizzazione nella qualificazione e quantificazione del contributo di costruzione, richiesto e versato dalla ricorrente e, per l’effetto: la nota impugnata è illegittima e viene annullata nella parte in cui prevede l’inclusione di tale voce nel contributo di costruzione; il Comune di Momo è condannato a restituire la somma di euro 10.804,00.
Quanto agli interessi la relativa decorrenza deve essere individuata nel giorno della domanda e non in quello del pagamento (trattandosi di percezione di indebito intervenuta in buona fede, che si presume). Non può essere riconosciuta la rivalutazione monetaria, non avendo parte ricorrente dimostrato un maggior danno che resterebbe non compensato dalla corresponsione degli interessi
(TAR Piemonte, Sez. II, sentenza 04.05.2021 n. 457 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

aprile 2021

EDILIZIA PRIVATAIl TAR ha ritenuto che l’operazione effettuata dal ricorrente rappresenta un intervento di restauro risanamento conservativo e non una ristrutturazione edilizia; tuttavia siffatta qualificazione non è sufficiente per qualificare l’intervento sotto il profilo oneroso o gratuito, poiché è necessario considerare anche l’aspetto funzionale dello stesso.
In particolare, nel caso di specie l’intervento di restauro ha comportato una profonda modificazione dell’immobile, cambiandone la destinazione da esclusivamente terziaria e unifunzionale (ufficio bancario) a mista e polifunzionale (banca, uffici e appartamenti); ne è seguito altresì un frazionamento dell’edificio con un notevole aumento di unità immobiliari [da quattro (di cui n. 1 D/5 e n. 3 A/10 e n. 1 A/2) a venti (di cui n. 1 D/5, n. 9 A/10, n. 6 A/2 e quattro beni comuni non censibili)].
La tesi ermeneutica del Tar è in linea con la prevalente giurisprudenza del Consiglio di Stato, atteso peraltro che nel caso di specie vi è stato un cambio di destinazione e un notevole aumento dei locali. In particolare è stato precisato che:
   - “In caso di ristrutturazione edilizia, il pagamento degli oneri di urbanizzazione è dovuto solo nel caso in cui l’intervento abbia determinato un aumento del carico urbanistico, nella misura in cui unicamente in tale ipotesi deriva un incremento della domanda di servizi nella zona”;
   - “Mentre la quota del contributo di costruzione commisurata al costo di costruzione risulta ontologicamente connessa alla tipologia e all’entità (superficie e volumetria) dell’intervento edilizio e assolve alla funzione di permettere all’amministrazione comunale il recupero delle spese sostenute dalla collettività di riferimento per la trasformazione del territorio consentita al privato istante, la quota del contributo di costruzione commisurata agli oneri di urbanizzazione assolve alla prioritaria funzione di compensare la collettività per il nuovo ulteriore carico urbanistico che si riversa sulla zona, con la precisazione che per aumento del carico urbanistico deve intendersi tanto la necessità di dotare l’area di nuove opere di urbanizzazione, quanto l’esigenza di utilizzare più intensamente quelle già esistenti”;
   - “Il mutamento di destinazione d’uso di un immobile da produttiva a ricreativa (nella specie da officina a sala giochi), deve considerarsi attuato tra distinte categorie funzionali e comporta variazione del carico urbanistico, con conseguente mutamento degli standard che è sufficiente a giustificare la richiesta di contributo per oneri di urbanizzazione”;
   - “In base al generale principio di correlare gli oneri di urbanizzazione al carico urbanistico, tale carico sussiste anche in caso di divisione e frazionamento di immobile che da uno si trasforma in due unità. Pertanto è rilevante il verificarsi di un maggior carico urbanistico quale effetto dell’intervento edilizio, sicché è sufficiente che risulti comunque mutata la realtà strutturale e la fruibilità urbanistica, con oneri riferiti all’oggettiva rivalutazione dell’immobile e funzionali a sopportare l’aggiuntivo carico socio-economico che l’attività edilizia comporta, anche quando l’incremento dell’impatto sul territorio consegua solo a lavori dovuti a una divisione dell’immobile in due unità o fra due o più proprietari”;
   - “Sulla base del generale principio di correlare gli oneri di urbanizzazione al carico urbanistico, la ristrutturazione edilizia comporta il pagamento di detti oneri allorché l’intervento abbia determinato un aumento del carico urbanistico -e considerato che il carico urbanistico sussiste anche allorquando l’intervento di ristrutturazione comporti la divisione ed il frazionamento di un immobile, conseguenti ad una scissione societaria per essere l’edificio adibito ad attività di impresa di due distinti soggetti, con l’apertura di due nuovi ingressi, per due distinte unità abitative- deve ritenersi che anche in tal caso si realizza un aumento dell’impatto sul territorio e sono pertanto dovuti i predetti oneri”.
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10. Tramite il secondo motivo l’appellante ha sostenuto che le opere di restauro e risanamento non possono essere sottoposte a contributi concessori.
Questa censura è infondata.
In proposito si evidenzia che il Tar ha ritenuto che l’operazione effettuata dall’interessato rappresenti un intervento di restauro risanamento conservativo e non una ristrutturazione edilizia, tuttavia ha affermato che siffatta qualificazione non è sufficiente per qualificare l’intervento sotto il profilo oneroso o gratuito, poiché è necessario considerare anche l’aspetto funzionale dello stesso.
In particolare, nel caso di specie l’intervento di restauro ha comportato una profonda modificazione dell’immobile, cambiandone la destinazione da esclusivamente terziaria e unifunzionale (ufficio bancario) a mista e polifunzionale (banca, uffici e appartamenti); ne è seguito altresì un frazionamento dell’edificio con un notevole aumento di unità immobiliari da quattro (di cui 1 D/5 e 3 A/10 e 1 A/2) a venti (di cui 1 D/5, 9 A/10, 6 A/2 e quattro beni comuni non censibili).
La tesi ermeneutica del Tar è in linea con la prevalente giurisprudenza del Consiglio di Stato, da cui il Collegio non intende discostarsi, atteso peraltro che nel caso di specie vi è stato un cambio di destinazione e un notevole aumento dei locali. In particolare è stato precisato che:
   - “In caso di ristrutturazione edilizia, il pagamento degli oneri di urbanizzazione è dovuto solo nel caso in cui l’intervento abbia determinato un aumento del carico urbanistico, nella misura in cui unicamente in tale ipotesi deriva un incremento della domanda di servizi nella zona” (Consiglio di Stato, sezione IV, 29/10/2015, n. 4950);
   - “Mentre la quota del contributo di costruzione commisurata al costo di costruzione risulta ontologicamente connessa alla tipologia e all’entità (superficie e volumetria) dell’intervento edilizio e assolve alla funzione di permettere all’amministrazione comunale il recupero delle spese sostenute dalla collettività di riferimento per la trasformazione del territorio consentita al privato istante, la quota del contributo di costruzione commisurata agli oneri di urbanizzazione assolve alla prioritaria funzione di compensare la collettività per il nuovo ulteriore carico urbanistico che si riversa sulla zona, con la precisazione che per aumento del carico urbanistico deve intendersi tanto la necessità di dotare l’area di nuove opere di urbanizzazione, quanto l’esigenza di utilizzare più intensamente quelle già esistenti” (Consiglio di Stato, sezione VI, 02/07/2015, n. 3298);
   - “Il mutamento di destinazione d’uso di un immobile da produttiva a ricreativa (nella specie da officina a sala giochi), deve considerarsi attuato tra distinte categorie funzionali e comporta variazione del carico urbanistico, con conseguente mutamento degli standard che è sufficiente a giustificare la richiesta di contributo per oneri di urbanizzazione” (Consiglio di Stato, sezione V, 30/08/2013, n. 4326);
   - “In base al generale principio di correlare gli oneri di urbanizzazione al carico urbanistico, tale carico sussiste anche in caso di divisione e frazionamento di immobile che da uno si trasforma in due unità. Pertanto è rilevante il verificarsi di un maggior carico urbanistico quale effetto dell’intervento edilizio, sicché è sufficiente che risulti comunque mutata la realtà strutturale e la fruibilità urbanistica, con oneri riferiti all’oggettiva rivalutazione dell’immobile e funzionali a sopportare l’aggiuntivo carico socio-economico che l’attività edilizia comporta, anche quando l’incremento dell’impatto sul territorio consegua solo a lavori dovuti a una divisione dell’immobile in due unità o fra due o più proprietari” (Consiglio di Stato, sezione IV, 17/05/2012, n. 2838);
   - “Sulla base del generale principio di correlare gli oneri di urbanizzazione al carico urbanistico, la ristrutturazione edilizia comporta il pagamento di detti oneri allorché l’intervento abbia determinato un aumento del carico urbanistico -e considerato che il carico urbanistico sussiste anche allorquando l’intervento di ristrutturazione comporti la divisione ed il frazionamento di un immobile, conseguenti ad una scissione societaria per essere l’edificio adibito ad attività di impresa di due distinti soggetti, con l’apertura di due nuovi ingressi, per due distinte unità abitative- deve ritenersi che anche in tal caso si realizza un aumento dell’impatto sul territorio e sono pertanto dovuti i predetti oneri” (Consiglio di Stato, sezione IV, 29/04/2004, n. 2611) (Consiglio di Stato, Sez. II, sentenza 12.04.2021 n. 2956 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: In linea generale va ricordato che il contributo di costruzione dovuto dal soggetto che intraprende un’iniziativa edificatoria rappresenta una compartecipazione del privato alla spesa pubblica occorrente alla realizzazione delle opere di urbanizzazione che hanno spesso portata più ampia rispetto a quelle strettamente necessarie a urbanizzare il nuovo insediamento edilizio.
Per tale motivo quand’anche risultino trasfuse in apposita convenzione urbanistica, le prestazioni da adempiere da parte dell’amministrazione comunale e del privato intestatario del titolo edilizio non sono tra loro in posizione sinallagmatica, con la conseguenza che rientrano nel novero delle prestazioni patrimoniali imposte di cui all’art. 23 Cost..
In secondo luogo va osservato che il rilascio del titolo edilizio si configura come fatto di per sé costitutivo dell’obbligo giuridico di corrispondere il relativo contributo per oneri di urbanizzazione, ossia per gli oneri affrontati dall’ente locale per le opere indispensabili affinchè l’area acquisti attitudine al recepimento dell’insediamento assentito e per le quali l’area acquista un beneficio economicamente rilevante, da calcolarsi secondo i parametri vigenti prescindendo totalmente o meno dalle singole opere di urbanizzazione, venendo altresì determinato indipendentemente sia dall'utilità che il concessionario ritrae dal titolo edificatorio, sia dalle spese effettivamente occorrenti per realizzare dette opere.
Orbene, sulla base di tali premesse è necessario affermare che il contributo di costruzione ha carattere generale, prescinde totalmente dalle singole opere di urbanizzazione, viene altresì determinato indipendentemente sia dall'utilità che il concessionario ritrae dal titolo edificatorio, sia dalle spese effettivamente occorrenti per realizzare dette opere.
Inoltre va altresì sottolineato che, attesa la natura non sinallagmatica e il regime interamente pubblicistico che connota il contributo de quo, la sua disciplina vincola anche il giudice, al quale è impedito di configurare autonomamente ipotesi di non debenza della specifica prestazione patrimoniale diverse da quelle autoritativamente individuate dal legislatore.
Pertanto (…) l’esistenza della convenzione e la presenza delle opere di urbanizzazione non possono fondatamente essere invocate per sostenere che non è dovuto il pagamento del contributo di costruzione.
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Non v’è, infatti, un’esatta sovrapponibilità del fondamento causale dell’obbligo che il privato assume alla realizzazione delle opere di urbanizzazione e l’obbligo alla corresponsione del contributo di costruzione.
Com’è stato chiaramente affermato, “In linea generale va ricordato che il contributo di costruzione dovuto dal soggetto che intraprende un’iniziativa edificatoria rappresenta una compartecipazione del privato alla spesa pubblica occorrente alla realizzazione delle opere di urbanizzazione che hanno spesso portata più ampia rispetto a quelle strettamente necessarie a urbanizzare il nuovo insediamento edilizio.
Per tale motivo quand’anche risultino trasfuse in apposita convenzione urbanistica, le prestazioni da adempiere da parte dell’amministrazione comunale e del privato intestatario del titolo edilizio non sono tra loro in posizione sinallagmatica, con la conseguenza che rientrano nel novero delle prestazioni patrimoniali imposte di cui all’art. 23 Cost. (cfr. Consiglio di Stato, Ad. Plen., 07.12.2016, n. 24; id. 30.08.2018, n. 12).
In secondo luogo va osservato che il rilascio del titolo edilizio si configura come fatto di per sé costitutivo dell’obbligo giuridico di corrispondere il relativo contributo per oneri di urbanizzazione, ossia per gli oneri affrontati dall’ente locale per le opere indispensabili affinchè l’area acquisti attitudine al recepimento dell’insediamento assentito e per le quali l’area acquista un beneficio economicamente rilevante, da calcolarsi secondo i parametri vigenti prescindendo totalmente o meno dalle singole opere di urbanizzazione, venendo altresì determinato indipendentemente sia dall'utilità che il concessionario ritrae dal titolo edificatorio, sia dalle spese effettivamente occorrenti per realizzare dette opere (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 22.02.2011, n. 1108; Consiglio di Stato, Sez. IV, 24.12.2009, n. 8757; Consiglio di Stato, Sez. V, 23.01.2006, n. 159; id. 21.04.2006, n. 2258; Cons. Stato V, 15.12.2005, n. 7140; 06.05.1997, n. 462).
Orbene, sulla base di tali premesse è necessario affermare che il contributo di costruzione ha carattere generale, prescinde totalmente dalle singole opere di urbanizzazione, viene altresì determinato indipendentemente sia dall'utilità che il concessionario ritrae dal titolo edificatorio, sia dalle spese effettivamente occorrenti per realizzare dette opere.
Inoltre va altresì sottolineato che, attesa la natura non sinallagmatica e il regime interamente pubblicistico che connota il contributo de quo, la sua disciplina vincola anche il giudice, al quale è impedito di configurare autonomamente ipotesi di non debenza della specifica prestazione patrimoniale diverse da quelle autoritativamente individuate dal legislatore (cfr. Tar Marche, Ancona, Sez. I, 30.12.2017, n. 954).
Pertanto (…) l’esistenza della convenzione e la presenza delle opere di urbanizzazione non possono fondatamente essere invocate per sostenere che non è dovuto il pagamento del contributo di costruzione
.” (TAR Veneto sez. II - Venezia, 15/07/2019, n. 835) (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 08.04.2021 n. 458 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

marzo 2021

EDILIZIA PRIVATALa maggioritaria giurisprudenza, da tempo, si è evoluta nel senso di ritenere che gli oneri di urbanizzazione sono dovuti (in ipotesi anche per il mero mutamento di destinazione d’uso senza opere) allorquando un intervento determini un maggiore carico urbanistico.
Altresì,
«il contributo per oneri di urbanizzazione è un corrispettivo di diritto pubblico, di natura non tributaria, posto a carico del costruttore a titolo di partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione in proporzione all’insieme dei benefici che la nuova costruzione ne ritrae. In effetti, gli oneri di urbanizzazione sono dovuti se ed in quanto l’intervento edilizio comporti un incremento della domanda di servizi nella zona coinvolta dalla costruzione: le opere di urbanizzazione, distinte in primarie e secondarie, si caratterizzano per essere necessarie, rispettivamente, all’utilizzo degli edifici e alla vita di relazione degli abitanti di un territorio.
Ciò posto, se rispetto ad una zona circoscritta sono già state sostenute le spese necessarie a fornire i suddetti servizi ai cittadini ivi residenti, un intervento edilizio che non implichi un maggior carico urbanistico nella medesima zona, non può determinare la necessità di una nuova spesa per fornire i medesimi servizi già predisposti: diversamente ragionando, si giungerebbe ad affermare la duplicazione di costi a fronte dell’unicità dei servizi.
All’opposto, se l’intervento edilizio assentito imponesse un incremento del carico urbanistico nella zona interessata, gli oneri di urbanizzazione dovrebbero essere versati in vista della predisposizione degli strumenti idonei a far fronte ad un incremento di dette esigenze urbanistiche. In sostanza, gli oneri di urbanizzazione si caratterizzano per avere natura compensativa rispetto alle spese di cui l’amministrazione si fa carico per rendere accessibile e pienamente utilizzabile un nuovo o rinnovato edificio, purché vi sia una nuova destinazione, dato che non può essere chiesto due volte il pagamento per gli stessi interventi di sistemazione e adeguamento del contesto urbanistico.
Sul punto, il Collegio condivide il costante orientamento giurisprudenziale secondo cui “in caso di ristrutturazione edilizia, il pagamento degli oneri di urbanizzazione è dovuto solo nel caso in cui l’intervento abbia determinato un aumento del carico urbanistico"
».
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Il ricorso risulta parzialmente fondato.
Deve premettersi che è pacifico tra le parti che l’intervento assentito è stato un intervento di ristrutturazione, nella forma della demo-ricostruzione con ampliamento; è ugualmente pacifico che non vi siano stati cambi di destinazione d’uso in quanto, già in precedenza, il complesso ospitava un’area produttiva, un’area uffici ed un alloggio del custode, ciascuna delle quali ha subito ampliamenti. E’ ugualmente pacifico che il calcolo degli oneri di urbanizzazione è stato effettuato dal comune in relazione all’intero edificio, ivi compresa la parte realizzata in sostituzione delle preesistenti strutture.
La maggioritaria giurisprudenza, per contro, da tempo si è evoluta nel senso di ritenere che gli oneri di urbanizzazione sono dovuti (in ipotesi anche per il mero mutamento di destinazione d’uso senza opere) allorquando un intervento determini un maggiore carico urbanistico (in tal senso ex pluribus Tar Piemonte, sez. I, n. 630/2018; Tar Brescia n. 449/2018).
In senso analogo si è espresso il giudice d’appello, proprio in una fattispecie di sostituzione edilizia realizzata nel comune di Torino, con la sentenza Cons. St. sez. IV, n. 4950/2015, nella quale si legge: “il contributo per oneri di urbanizzazione è un corrispettivo di diritto pubblico, di natura non tributaria, posto a carico del costruttore a titolo di partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione in proporzione all’insieme dei benefici che la nuova costruzione ne ritrae. In effetti, gli oneri di urbanizzazione sono dovuti se ed in quanto l’intervento edilizio comporti un incremento della domanda di servizi nella zona coinvolta dalla costruzione: le opere di urbanizzazione, distinte in primarie e secondarie, si caratterizzano per essere necessarie, rispettivamente, all’utilizzo degli edifici e alla vita di relazione degli abitanti di un territorio. Ciò posto, se rispetto ad una zona circoscritta sono già state sostenute le spese necessarie a fornire i suddetti servizi ai cittadini ivi residenti, un intervento edilizio che non implichi un maggior carico urbanistico nella medesima zona, non può determinare la necessità di una nuova spesa per fornire i medesimi servizi già predisposti: diversamente ragionando, si giungerebbe ad affermare la duplicazione di costi a fronte dell’unicità dei servizi. All’opposto, se l’intervento edilizio assentito imponesse un incremento del carico urbanistico nella zona interessata, gli oneri di urbanizzazione dovrebbero essere versati in vista della predisposizione degli strumenti idonei a far fronte ad un incremento di dette esigenze urbanistiche. In sostanza, gli oneri di urbanizzazione si caratterizzano per avere natura compensativa rispetto alle spese di cui l’amministrazione si fa carico per rendere accessibile e pienamente utilizzabile un nuovo o rinnovato edificio, purché vi sia una nuova destinazione, dato che non può essere chiesto due volte il pagamento per gli stessi interventi di sistemazione e adeguamento del contesto urbanistico. Sul punto, il Collegio condivide il costante orientamento giurisprudenziale secondo cui “in caso di ristrutturazione edilizia, il pagamento degli oneri di urbanizzazione è dovuto solo nel caso in cui l’intervento abbia determinato un aumento del carico urbanistico” (Cons. di Stato, Sez. IV, 29.04.2004, n. 2611).”.
Condividendosi i principi sopra affermati ne consegue che, per la quota parte di edificio che trova corrispondenza nella pregressa SUL, non si è realizzato alcun aumento di carico urbanistico e non sono dovuti, come in effetti lamentato in ricorso, gli oneri di urbanizzazione (TAR Piemonte, Sez. II, sentenza 01.03.2021 n. 213 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

febbraio 2021

EDILIZIA PRIVATA: Il Collegio, richiamando quanto già espresso in ordine alla rilevanza sul piano giuridico del mutamento di destinazione d’uso, osserva che, secondo la costante giurisprudenza:
   a) “in caso di ristrutturazione edilizia, il pagamento degli oneri di urbanizzazione è dovuto solo nel caso in cui l’intervento abbia determinato un aumento del carico urbanistico”;
   b) “la variazione della misura del contributo di costruzione è legittimamente imposta anche in presenza di una trasformazione edilizia che, indipendentemente dall’esecuzione fisica di opere, si rivela produttiva di vantaggi economici ad essa connessi, situazione che si verifica per il mutamento di destinazione o, comunque, per ogni variazione anche di semplice uso che comporti un passaggio tra due categorie funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico”;
   c) invero, il pagamento degli oneri di urbanizzazione è connesso all’aumento del carico urbanistico determinato dal nuovo intervento, nella misura in cui da ciò deriva un incremento della domanda di servizi nella zona coinvolta dalla costruzione; del resto, gli oneri di urbanizzazione si caratterizzano per avere natura compensativa rispetto alle spese di cui l’amministrazione si fa carico per rendere accessibile e pienamente utilizzabile un nuovo o rinnovato edificio, purché vi sia una nuova destinazione, dato che non può essere chiesto due volte il pagamento per gli stessi interventi di sistemazione e adeguamento del contesto urbanistico.
Del resto, tale orientamento non può dirsi superato con l’entrata in vigore dell’art. 23-ter del d.P.R. n. 380/2001, non risultando dal combinato disposto di tale norma con quella di cui all’art. 16 del medesimo d.P.R. alcuna esenzione (ancorché parziale) per l’ipotesi che interessa, potendo osservarsi in particolare che:
   a) l’articolo 23-ter attiene unicamente alla definizione dei mutamenti di destinazione d’uso urbanisticamente rilevanti, nulla disponendo in ordine al regime degli oneri concessori;
   b) nemmeno l’articolo 16, laddove con specifico riferimento ai costi di costruzione li rapporta ai costi delle opere edili, afferma alcunché sulla sua applicabilità o meno ai mutamenti di destinazione d’uso;
   c) così come il successivo articolo 17, che elenca i casi tassativi di esonero totale o parziale dagli oneri concessori, non vi ricomprende i mutamenti di destinazione d’uso senza opere.
Alla luce di tali considerazioni, il Collegio ritiene che gli oneri di urbanizzazione sono dovuti solo se l’intervento edilizio comporti un incremento della domanda di servizi nella zona coinvolta dalla costruzione, atteso che le opere di urbanizzazione, sia primarie che secondarie, si caratterizzano per essere necessarie, rispettivamente, all’utilizzo degli edifici e alla vita di relazione degli abitanti di un territorio.
Ne consegue che se, come nel caso di specie, rispetto ad una zona circoscritta sono già state sostenute le spese necessarie a fornire i suddetti servizi ai cittadini ivi residenti, un intervento edilizio che implichi un maggior carico urbanistico nella medesima zona, come quello derivante dal mutamento di destinazione d’uso da “terziario” a “residenziale”, determina la necessità di una nuova spesa per fornire ulteriori servizi per far fronte ad un incremento delle connesse esigenze urbanistiche.
Risulta pertanto legittima la richiesta di versamento di tali ulteriori oneri di urbanizzazione in vista della predisposizione degli strumenti idonei, nella misura differenziale rispetto a quanto già in precedenza corrisposto per la realizzazione dell’edificio a destinazione terziaria.
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7. Con un secondo motivo di appello il Comune di Bari censura l’impugnata sentenza laddove ha affermato la non debenza del contributo di costruzione per la fattispecie in esame, senza considerare che, alla stregua della normativa applicabile, il passaggio di destinazione d’uso da “terziario direzionale” a “residenziale”, essendo queste categorie non omogenee, è un cambio di destinazione d’uso di tipo rilevante, indipendentemente dall’esecuzione di opere edilizie, e quindi deve essere subordinato al pagamento del contributo di costruzione ex art. 16 d.P.R. n. 380/2001.
7.1. La censura è fondata.
7.2. Il Collegio, al riguardo, richiamando quanto già espresso in ordine alla rilevanza sul piano giuridico del mutamento di destinazione d’uso, osserva che, secondo la costante giurisprudenza:
   a) “in caso di ristrutturazione edilizia, il pagamento degli oneri di urbanizzazione è dovuto solo nel caso in cui l’intervento abbia determinato un aumento del carico urbanistico” (Cons. di Stato, Sez. IV, 29.04.2004, n. 2611);
   b) “la variazione della misura del contributo di costruzione è legittimamente imposta anche in presenza di una trasformazione edilizia che, indipendentemente dall’esecuzione fisica di opere, si rivela produttiva di vantaggi economici ad essa connessi, situazione che si verifica per il mutamento di destinazione o, comunque, per ogni variazione anche di semplice uso che comporti un passaggio tra due categorie funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico” (Cons. Stato, Sez. IV, 15.09.2015, n. 4296; Sez. IV, 03.09.2014, n. 4483);
   c) invero, il pagamento degli oneri di urbanizzazione è connesso all’aumento del carico urbanistico determinato dal nuovo intervento, nella misura in cui da ciò deriva un incremento della domanda di servizi nella zona coinvolta dalla costruzione; del resto, gli oneri di urbanizzazione si caratterizzano per avere natura compensativa rispetto alle spese di cui l’amministrazione si fa carico per rendere accessibile e pienamente utilizzabile un nuovo o rinnovato edificio, purché vi sia una nuova destinazione, dato che non può essere chiesto due volte il pagamento per gli stessi interventi di sistemazione e adeguamento del contesto urbanistico (Cons. Stato, Sez. IV, 29.10.2015, n. 4950).
7.3. Del resto, tale orientamento non può dirsi superato con l’entrata in vigore dell’art. 23-ter del d.P.R. n. 380/2001, non risultando dal combinato disposto di tale norma con quella di cui all’art. 16 del medesimo d.P.R. alcuna esenzione (ancorché parziale) per l’ipotesi che interessa, potendo osservarsi in particolare che:
   a) l’articolo 23-ter attiene unicamente alla definizione dei mutamenti di destinazione d’uso urbanisticamente rilevanti, nulla disponendo in ordine al regime degli oneri concessori;
   b) nemmeno l’articolo 16, laddove con specifico riferimento ai costi di costruzione li rapporta ai costi delle opere edili, afferma alcunché sulla sua applicabilità o meno ai mutamenti di destinazione d’uso;
   c) così come il successivo articolo 17, che elenca i casi tassativi di esonero totale o parziale dagli oneri concessori, non vi ricomprende i mutamenti di destinazione d’uso senza opere.
7.4. Alla luce di tali considerazioni, il Collegio ritiene che gli oneri di urbanizzazione sono dovuti solo se l’intervento edilizio comporti un incremento della domanda di servizi nella zona coinvolta dalla costruzione, atteso che le opere di urbanizzazione, sia primarie che secondarie, si caratterizzano per essere necessarie, rispettivamente, all’utilizzo degli edifici e alla vita di relazione degli abitanti di un territorio.
Ne consegue che, se, come nel caso di specie, rispetto ad una zona circoscritta sono già state sostenute le spese necessarie a fornire i suddetti servizi ai cittadini ivi residenti, un intervento edilizio che implichi un maggior carico urbanistico nella medesima zona, come quello derivante dal mutamento di destinazione d’uso da “terziario” a “residenziale”, determina la necessità di una nuova spesa per fornire ulteriori servizi per far fronte ad un incremento delle connesse esigenze urbanistiche.
Risulta pertanto legittima la richiesta di versamento di tali ulteriori oneri di urbanizzazione in vista della predisposizione degli strumenti idonei, nella misura differenziale rispetto a quanto già in precedenza corrisposto per la realizzazione dell’edificio a destinazione terziaria.
7.5. In conclusione, essendo rilevante il mutamento di destinazione da terziario a residenziale, e comportando ciò un aumento del carico urbanistico, è legittima la richiesta di pagamento del corrispondente costo di costruzione aggiuntivo (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 23.02.2021 n. 1590 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il parametro per la determinazione degli oneri di urbanizzazione va riferito al criterio della destinazione urbanistica della zona e non alla concreta destinazione d’uso dell’immobile, in quanto, diversamente opinando, il quantum dovuto all’amministrazione verrebbe modificato in base ad un comportamento del privato, peraltro integrante un abuso edilizio, seppur successivamente sanato, ed essendo, inoltre, congruo che una medesima opera, ancorché abusiva, sia chiamata a contribuire in modo diverso a seconda della zona in cui ricade, differente essendo la dotazione delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria delle varie zone.
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... per la riforma:
quanto al ricorso n. 8185 del 2010:
   - della sentenza 05.05.2010 n. 1734 del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, sede di Bari (sezione seconda), resa tra le parti;
quanto al ricorso n. 8186 del 2010:
   - della sentenza 05.05.2010 n. 1735 del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, sede di Bari (sezione seconda), resa tra le parti.
...
19. – Venendo alle critiche rivolte alla sentenza di primo grado con riferimento alle questioni concernenti la quantificazione degli oneri concessori, il Comune contesta, anzitutto, l’assunto che l’amministrazione avrebbe dovuto tener conto della destinazione in concreto attuata dal manufatto e non della destinazione di zona impressa all’area in questione dallo strumento urbanistico.
Il motivo è fondato.
Meritevole di adesione, infatti, è il più recente orientamento, fatto proprio anche da questa Sezione, per cui il parametro per la determinazione degli oneri va riferito al criterio della destinazione urbanistica della zona e non alla concreta destinazione d’uso dell’immobile, in quanto, diversamente opinando, il quantum dovuto all’amministrazione verrebbe modificato in base ad un comportamento del privato, peraltro integrante un abuso edilizio, seppur successivamente sanato, ed essendo, inoltre, congruo che una medesima opera, ancorché abusiva, sia chiamata a contribuire in modo diverso a seconda della zona in cui ricade, differente essendo la dotazione delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria delle varie zone (ex ceteris, C.d.S., sez. II, 06.07.2020, n. 4345).
D’altronde, il principio per cui, nella determinazione degli oneri in questione deve aversi riguardo alla destinazione di zona dell’ambito urbanistico che racchiude l’immobile interessato dal condono, indipendentemente dalla particolare destinazione d’uso propria di quest’ultimo, è già stato applicato da questo Consiglio di Stato in occasione di altre impugnazioni proposte dallo stesso Comune di Barletta in giudizi analoghi a quello per cui è causa, con specifico riferimento alla legislazione regionale della Puglia (C.d.S., sez. II, 21.10.2019, n. 7097, con i relativi richiami giurisprudenziali).
...
21. – Per queste ragioni, in conclusione, entrambi gli appelli sono fondati e devono essere accolti (Consiglio di Stato, Sez. II, sentenza 19.02.2021 n. 1485 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICAIn materia di convenzioni urbanistiche la giurisprudenza ha chiarito che:
   - gli impegni assunti in sede convenzionale -al contrario di quanto si verifica in caso rilascio del singolo titolo edilizio, in cui gli oneri di urbanizzazione e di costruzione a carico del destinatario sono collegati alla specifica trasformazione del territorio oggetto del titolo, con la conseguenza che ove, in tutto o in parte, l'edificazione non ha luogo, può venire in essere un pagamento indebito fonte di un obbligo restitutorio- non vanno riguardati isolatamente, ma vanno rapportati alla complessiva remuneratività dell'operazione, che costituisce il reale parametro per valutare l'equilibrio del sinallagma contrattuale e, quindi, la sostanziale liceità degli impegni assunti;
   - la partecipazione agli oneri di urbanizzazione costituisce oggetto di un'obbligazione non già imposta ex lege, ma assunta contrattualmente nell'ambito di un rapporto di natura pubblicistica correlato alla pianificazione territoriale;
   - la causa della convenzione urbanistica, e cioè l'interesse che l'operazione contrattuale è diretta a soddisfare, va valutata non con riferimento ai singoli impegni assunti, ma con riguardo all'oggettiva funzione economico-sociale del negozio, in cui devono trovare equilibrata soddisfazione sia gli interessi del privato sia quelli della pubblica amministrazione;
   - è necessario procedere a un'analisi sistematica, e non atomistica, della complessiva operazione posta in essere, onde individuare, in ragione degli interessi pubblici (di titolarità del Comune) e privati (di titolarità dell'impresa stipulante) tutelati dalle parti, i diritti e le obbligazioni a loro carico, che in essa trovano la propria fonte e la propria giustificazione causale;
   - non è affatto escluso dal sistema che un operatore, nella convenzione urbanistica, possa assumere oneri anche maggiori di quelli astrattamente previsti dalla legge, trattandosi di una libera scelta imprenditoriale (o, anche, di una libera scelta volta al benessere della collettività locale), rientrante nell'ordinaria autonomia privata, non contrastante di per sé con norme imperative.
La giurisprudenza ha, quindi, affermato che il principio generale, secondo cui l’obbligo di contribuzione è indissolubilmente correlato all’effettivo esercizio dello ius aedificandi, non vale rispetto ai casi in cui la partecipazione agli oneri di urbanizzazione costituisce oggetto di un’obbligazione non già imposta ex lege, ma assunta contrattualmente nell’ambito di un rapporto di natura pubblicistica correlato alla pianificazione territoriale.
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Il contributo di costruzione ex art. 16 del DPR 380/2001 deve essere distinto dal contributo di urbanizzazione di cui all’edilizia produttiva convenzionata.
Nel primo caso, infatti, il rilascio del permesso di costruire costituisce fatto costitutivo dell’obbligo giuridico del concessionario di corrispondere il relativo contributo per oneri di urbanizzazione, da calcolarsi secondo i parametri vigenti a tale momento.
Nel secondo caso, invece, la Convenzione di assegnazione dell’area sottoscritta dall’odierna ricorrente rappresenta la fonte dell’obbligo di provvedere alla corresponsione degli oneri di urbanizzazione primaria effettivamente realizzati dal Consorzio, a nulla rilevando la mancata edificazione della singola opera produttiva di cui al permesso di costruire 31/2007 e ciò in quanto, nella fattispecie, si versa in un’ipotesi di edilizia convenzionata (la fonte dell’obbligo di pagamento del contributo di urbanizzazione dell’area è costituita dalla Convenzione sottoscritta dall’assegnatario e non dai permessi di costruire nn. 31/2007 e 32/2007).
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Le obbligazioni attinenti agli oneri di urbanizzazione assunte dalle ditte lottizzanti (e dai loro aventi causa) in sede di convenzione urbanistica trovano la propria giustificazione causale non solo e non tanto nel carico urbanistico specificamente riconducibile alla quantità di edificazione che forma oggetto di ciascun titolo edilizio rilasciato in esecuzione della convenzione, bensì nel disegno relativo al complessivo assetto urbanistico stabilito dalla stessa convenzione quale risultato finale derivante dalla relativa attuazione.
La ricorrente, pertanto, che ha avuto accesso ai vantaggi derivanti dall’urbanizzazione dell’area (effettivamente) realizzata dal Consorzio e non ha rinunciato integralmente all’edificazione, non può chiedere al Comune la ripetizione di quanto versato al Consorzio per le opere di urbanizzazione primaria interne al Piano di lottizzazione.
Non è dovuto neppure il rimborso del contributo corrisposto per le opere di urbanizzazione “esterne” in quanto tale contributo ha concorso a formare il corrispettivo della cessione dell’area.
Trattasi, in sostanza, non di oneri di urbanizzazione ex 16 del DPR 380/2001, bensì di obbligazioni aventi ad oggetto il pagamento di somme non dovute ex lege, che i lottizzanti si sono liberamente e convenzionalmente assunti al momento della cessione delle aree, a fronte del riconoscimento dell’astratta possibilità di realizzare in futuro insediamenti produttivi nella nuova area industriale.
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Ciò posto, il ricorso non merita accoglimento per le ragioni di seguito sinteticamente esposte.
Giova premettere che la fattispecie in esame rientra nell’ambito dell’edilizia produttiva convenzionata (P.I.P) in cui operano le così dette “Convenzioni urbanistiche” e non nelle ipotesi di una normale lottizzazione ad iniziativa privata ad intervento edilizio diretto di cui all’art. 16 del DPR n. 380/2001.
Che la fattispecie scrutinata ricada tra le ipotesi di edilizia produttiva convenzionata si evince dalla lettura degli artt. 6 e seguenti della Convenzione di assegnazione delle aree a favore di parte ricorrente, laddove si precisa che: art. 6 “L’acquirente non può cedere il diritto di proprietà o costituire a favore di terzi diritti reali di godimento sull’area ancora da edificare, se non previa autorizzazione comunale (...), art. 7) l’alienazione o la costituzione di diritti reali sull’immobile, può avvenire esclusivamente a favore di soggetti aventi i requisiti per l’assegnazione di cui al bando di assegnazione approvato con delibera di Giunta comunale (...), ad un prezzo determinato secondo i seguenti criteri: Il costo sostenuto per l’area, per le relative opere di urbanizzazione e spese generali ai sensi dell’art. 2 della presente convenzione, sarò rivalutato (...);L’eventuale valore del fabbricato e dei suoi impianti, sarà determinato sulla base di una stima tecnica giurata. Il Comune, in base alle proprie graduatorie, potrà indicare idonei acquirenti (...) In caso di cessione dell’immobile a prezzo superiore a quello determinato secondo i criteri della presente convenzione, sarà applicata una penalità (...)”.
In materia di convenzioni urbanistiche la giurisprudenza (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV - 01/10/2019 n. 6561) ha chiarito che:
   - gli impegni assunti in sede convenzionale -al contrario di quanto si verifica in caso rilascio del singolo titolo edilizio, in cui gli oneri di urbanizzazione e di costruzione a carico del destinatario sono collegati alla specifica trasformazione del territorio oggetto del titolo, con la conseguenza che ove, in tutto o in parte, l'edificazione non ha luogo, può venire in essere un pagamento indebito fonte di un obbligo restitutorio- non vanno riguardati isolatamente, ma vanno rapportati alla complessiva remuneratività dell'operazione, che costituisce il reale parametro per valutare l'equilibrio del sinallagma contrattuale e, quindi, la sostanziale liceità degli impegni assunti (Consiglio di Stato, sez. IV - 15/02/2019 n. 1069; TAR Veneto, sez. I - 07/03/2019 n. 300);
   - la partecipazione agli oneri di urbanizzazione costituisce oggetto di un'obbligazione non già imposta ex lege, ma assunta contrattualmente nell'ambito di un rapporto di natura pubblicistica correlato alla pianificazione territoriale;
   - la causa della convenzione urbanistica, e cioè l'interesse che l'operazione contrattuale è diretta a soddisfare, va valutata non con riferimento ai singoli impegni assunti, ma con riguardo all'oggettiva funzione economico-sociale del negozio, in cui devono trovare equilibrata soddisfazione sia gli interessi del privato sia quelli della pubblica amministrazione (Consiglio di Stato, sez. IV - 14/05/2019 n. 326; TAR Lombardia Milano, sez. II - 23/12/2019 n. 2734);
   - è necessario procedere a un'analisi sistematica, e non atomistica, della complessiva operazione posta in essere, onde individuare, in ragione degli interessi pubblici (di titolarità del Comune) e privati (di titolarità dell'impresa stipulante) tutelati dalle parti, i diritti e le obbligazioni a loro carico, che in essa trovano la propria fonte e la propria giustificazione causale;
   - non è affatto escluso dal sistema che un operatore, nella convenzione urbanistica, possa assumere oneri anche maggiori di quelli astrattamente previsti dalla legge, trattandosi di una libera scelta imprenditoriale (o, anche, di una libera scelta volta al benessere della collettività locale), rientrante nell'ordinaria autonomia privata, non contrastante di per sé con norme imperative.
La giurisprudenza ha, quindi, affermato che il principio generale, secondo cui l’obbligo di contribuzione è indissolubilmente correlato all’effettivo esercizio dello ius aedificandi, non vale rispetto ai casi in cui la partecipazione agli oneri di urbanizzazione costituisce oggetto di un’obbligazione non già imposta ex lege, ma assunta contrattualmente nell’ambito di un rapporto di natura pubblicistica correlato alla pianificazione territoriale (Consiglio di Stato, sentenza n. 6339 del 12.11.2018).
Ciò posto, una volta chiarito che la fattispecie scrutinata rientra tra le ipotesi di edilizia convenzionata (P.I.P.) e non di edilizia privata libera, deve ritenersi che le disposizioni di cui all’art. 16 del DPR 380/2001 e art. 81 della LRV 61/1985 richiamate dall’odierna ricorrente a fondamento della pretesa al rimborso di quanto corrisposto per mancato utilizzo del permesso di costruire n. 31/2007, di cui ai mapp. 614 e 615, siano inapplicabili al caso di specie.
L’obbligo giuridico di corresponsione delle somme versate dalla ricorrente al Consorzio “Mu.Pr.”, per l’importo di € 74.135,16, trae, infatti, origine dalla Convenzione urbanistica del 2004 di attuazione del Piano di lottizzazione e dalla successiva Convenzione di Assegnazione delle aree, e non è direttamente correlato al rilascio del permesso di costruire n. 31/2007.
Il Collegio condivide la tesi dell’Ente Civico, secondo cui il contributo di costruzione ex art. 16 del DPR 380/2001 deve essere distinto dal contributo di urbanizzazione di cui all’edilizia produttiva convenzionata.
Nel primo caso, infatti, il rilascio del permesso di costruire costituisce fatto costitutivo dell’obbligo giuridico del concessionario di corrispondere il relativo contributo per oneri di urbanizzazione, da calcolarsi secondo i parametri vigenti a tale momento.
Nel secondo caso (applicabile alla presente fattispecie), invece, la Convenzione di assegnazione dell’area sottoscritta dall’odierna ricorrente rappresenta la fonte dell’obbligo di provvedere alla corresponsione degli oneri di urbanizzazione primaria effettivamente realizzati dal Consorzio, a nulla rilevando la mancata edificazione della singola opera produttiva di cui al permesso di costruire 31/2007 e ciò in quanto, nella fattispecie, si versa in un’ipotesi di edilizia convenzionata (la fonte dell’obbligo di pagamento del contributo di urbanizzazione dell’area è costituita dalla Convenzione sottoscritta dall’assegnatario e non dai permessi di costruire nn. 31/2007 e 32/2007).
Il contributo di € 74.135,16 è stato corrisposto dalla ricorrente al Consorzio (costituito per la realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria a servizio dell’area previste nel progetto del Piano di Lottizzazione approvato) -e non al Comune- a copertura delle opere di urbanizzazione primaria effettivamente realizzate dal Consorzio come espressamente previsto e disciplinato dalla Convenzione urbanistica di attuazione del Piano di lottizzazione e dalla successiva Convenzione di assegnazione delle aree, sottoscritta dall’odierna ricorrente, laddove espressamente prevede all’art. 1): “L’assegnatario partecipa obbligatoriamente al Consorzio di urbanizzazione “Musile Produce” di cui alle premesse, che dovrà provvedere alla realizzazione delle opere di urbanizzazione previste dal Piano di Lottizzazione approvato e secondo quanto stabilito nello schema di convenzione ivi allegato, per cui al Consorzio la ditta acquirente dovrà corrispondere euro 25,59/mq di superficie assegnata quale corrispettivo del costo complessivo presunto, delle opere di urbanizzazione primaria a servizio dell’area previste nel progetto del Piano di lottizzazione approvato”.
Le obbligazioni attinenti agli oneri di urbanizzazione assunte dalle ditte lottizzanti (e dai loro aventi causa) in sede di convenzione urbanistica trovano la propria giustificazione causale non solo e non tanto nel carico urbanistico specificamente riconducibile alla quantità di edificazione che forma oggetto di ciascun titolo edilizio rilasciato in esecuzione della convenzione, bensì nel disegno relativo al complessivo assetto urbanistico stabilito dalla stessa convenzione quale risultato finale derivante dalla relativa attuazione.
La ricorrente, pertanto, che ha avuto accesso ai vantaggi derivanti dall’urbanizzazione dell’area (effettivamente) realizzata dal Consorzio e non ha rinunciato integralmente all’edificazione, non può chiedere al Comune la ripetizione di quanto versato al Consorzio per le opere di urbanizzazione primaria interne al Piano di lottizzazione.
Non è dovuto neppure il rimborso del contributo corrisposto per le opere di urbanizzazione “esterne” -senza che possa assumere rilevanza la mancata realizzazione del terzo ponte sul Piave, potendo l’Amministrazione destinare tali somme diversamente- in quanto tale contributo ha concorso a formare il corrispettivo della cessione dell’area.
Trattasi, in sostanza, non di oneri di urbanizzazione ex 16 del DPR 380/2001, bensì di obbligazioni aventi ad oggetto il pagamento di somme non dovute ex lege, che i lottizzanti si sono liberamente e convenzionalmente assunti al momento della cessione delle aree, a fronte del riconoscimento dell’astratta possibilità di realizzare in futuro insediamenti produttivi nella nuova area industriale (sulla possibilità che il privato assuma in sede di convenzione urbanistica obblighi di fare e/o dare ulteriori ed eccedenti rispetto a quelli discendenti dalla legge vedi anche Tar Brescia nn. 115 e 538/2020) (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 16.02.2021 n. 221 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

gennaio 2021

URBANISTICA: Criteri interpretativi con riferimento al contenuto di una convenzione urbanistica.
Il TAR Milano, con riferimento ai criteri interpretativi da utilizzare con riguardo ad una convenzione urbanistica, osserva in termini generali che:
<<secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale che il Collegio condivide, le convenzioni urbanistiche come quella in esame rientrano nel novero degli accordi tra privati e amministrazione, ai sensi dell’articolo 11 della legge n. 241 del 1990. Tale qualificazione impone che l’interpretazione della convenzione avvenga utilizzando i criteri ermeneutici di cui agli articoli 1362 e ss. del codice civile, visto l’esplicito richiamo di cui al comma 2 dell’art. 11 medesimo, e come, del resto, confermato dalla giurisprudenza, sia di questo Tribunale sia del Consiglio di Stato>>.
Aggiunge quindi che:
<<L’operazione ermeneutica indicata al precedente punto deve, quindi, necessariamente prendere le mosse dalle disposizioni contenute all’interno dell’articolo 1362 c.c. a mente delle quali:
   a) “nell'interpretare il contratto si deve indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti e non limitarsi al senso letterale delle parole”;
   b) “per determinare la comune intenzione delle parti, si deve valutare il loro comportamento complessivo anche posteriore alla conclusione del contratto”.
Sul punto, la giurisprudenza della Corte di Cassazione chiarisce che:
   a) “ai fini della ricerca della comune intenzione dei contraenti il primo e principale strumento è rappresentato dal senso letterale delle parole e delle espressioni utilizzate”;
   b) “il rilievo da assegnare alla formulazione letterale va invero verificato alla luce dell'intero contesto contrattuale, le singole clausole dovendo essere considerate in correlazione tra loro procedendosi al relativo coordinamento ai sensi dell'art. 1363 c.c., giacché per senso letterale delle parole va intesa tutta la formulazione letterale della dichiarazione negoziale, in ogni sua parte ed in ogni parola che la compone, e non già in una parte soltanto, quale una singola clausola di un contratto composto di più clausole, dovendo il giudice collegare e raffrontare tra loro frasi e parole al fine di chiarirne il significato”.
Inoltre, la Corte di Cassazione sottolinea che: “pur assumendo l'elemento letterale funzione fondamentale nella ricerca della reale o effettiva volontà delle parti, il giudice deve invero a tal fine necessariamente riguardarlo alla stregua degli ulteriori criteri di interpretazione, e in particolare di quelli dell'interpretazione funzionale ex art. 1369 c.c. e dell'interpretazione secondo buona fede o correttezza ex art. 1366 c.c., avendo riguardo allo scopo pratico perseguito dalle parti con la stipulazione del contratto e quindi alla relativa causa concreta.
Il primo di tali criteri (art. 1369 c.c.) consente di accertare il significato dell'accordo in coerenza appunto con la relativa ragione pratica o causa concreta. L'obbligo di buona fede oggettiva o correttezza ex art. 1366 c.c. quale criterio d'interpretazione del contratto (fondato sull'esigenza definita in dottrina di "solidarietà contrattuale") si specifica in particolare nel significato di lealtà, sostanziantesi nel non suscitare falsi affidamenti e non speculare su di essi, come pure nel non contestare ragionevoli affidamenti comunque ingenerati nella controparte.
A tale stregua esso non consente di dare ingresso ad interpretazioni cavillose delle espressioni letterali contenute nelle clausole contrattuali, non rispondenti alle intese raggiunte e deponenti per un significato in contrasto con la ragione pratica o causa concreta dell'accordo negoziale.
Assume dunque fondamentale rilievo che il contratto venga interpretato avuto riguardo alla sua ratio, alla sua ragione pratica, in coerenza con gli interessi che le parti hanno specificamente inteso tutelare mediante la stipulazione contrattuale, con convenzionale determinazione della regola volta a disciplinare il rapporto contrattuale (art. 1372 c.c.)”>>
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Il contributo afferente al permesso di costruire, commisurato all'incidenza degli oneri di urbanizzazione nonché al costo di costruzione, è determinato e liquidato all'atto del rilascio del titolo edilizio.
Tale contributo è un corrispettivo di diritto pubblico, di natura non tributaria, posto a carico del concessionario a titolo di partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione e in proporzione all'insieme dei benefici che le nuove costruzioni inducono nel contesto urbano, senza alcun vincolo di scopo in relazione alla zona interessata dalla trasformazione urbanistica e indipendentemente dalla concreta utilità che il concessionario può conseguire dal titolo edificatorio e dall'ammontare delle spese effettivamente occorrenti per la realizzazione delle opere stesse.
La stessa Adunanza plenaria del Consiglio di Stato osserva che l’obbligazione di corrispondere il contributo nasce “nel momento in cui viene rilasciato il titolo ed è a tale momento che occorre aver riguardo per la determinazione dell’entità del contributo".
L’opzione seguita dalla convenzione urbanistica risulta, quindi, allineata ai principi che regolano la materia e, soprattutto, ha una specifica ratio interna all’accordo stesso: si intende, in tal modo, adeguare il quantum debeatur a seconda degli interventi concretamente eseguiti dalla parte. Una scelta pienamente legittima in quanto non “cristallizza” l’obbligo di pagamento a determinazioni ancora generali e programmatiche ma in relazione ai singoli titoli edilizi mediante i quali si realizza tale programma di intervento.
Pertanto, è proprio ai singoli titoli che occorre ancorare il quantum debeatur dell’operatore privato
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 25.01.2021 n. 223 - commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
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SENTENZA
10. Procedendo, quindi, alla disamina della domanda principale il Collegio osserva quanto segue.
11. L’aspetto centrale della controversia riguarda la corretta interpretazione delle previsioni contenute nella convenzione urbanistica dell’11.06.1991 ed i riflessi delle iniziative edificatorie della ricorrente (e della Società conduttrice del compendio e successivamente fusa per incorporazione in Fi. s.r.l.) sul piano degli oneri di urbanizzazione e della monetizzazione per aree a parcheggio.
11.1. In termini generali va premesso che, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale che il Collegio condivide, le convenzioni urbanistiche come quella in esame rientrano nel novero degli accordi tra privati e amministrazione, ai sensi dell’articolo 11 della legge n. 241 del 1990 (cfr., ex multis: Cass. civ., I, 28.01.2015, n. 1615; Cass. civ., s.u., 09.03.2012, n. 3689; nella giurisprudenza di questa sezione, cfr. TAR per la Lombardia-Milano, II, 18.06.2020, n. 1525: Id., 20.02.2020, n. 345).
Tale qualificazione impone che l’interpretazione della convenzione avvenga utilizzando i criteri ermeneutici di cui agli articoli 1362 e ss. del codice civile, visto l’esplicito richiamo di cui al comma 2 dell’art. 11 medesimo, e come, del resto, confermato dalla giurisprudenza, sia di questo Tribunale sia del Consiglio di Stato (cfr., ex multis, TAR per la Lombardia–Milano, II, 05.05.2015, n. 1103, e giurisprudenza ivi richiamata; Consiglio di Stato, IV, 17.12.2014, n. 6164).
11.2. L’operazione ermeneutica indicata al precedente punto deve, quindi, necessariamente prendere le mosse dalle disposizioni contenute all’interno dell’articolo 1362 c.c. a mente delle quali:
   a) “nell'interpretare il contratto si deve indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti e non limitarsi al senso letterale delle parole”;
   b) “per determinare la comune intenzione delle parti, si deve valutare il loro comportamento complessivo anche posteriore alla conclusione del contratto”.
11.3. Sul punto, la giurisprudenza della Corte di Cassazione chiarisce che:
   a) “ai fini della ricerca della comune intenzione dei contraenti il primo e principale strumento è rappresentato dal senso letterale delle parole e delle espressioni utilizzate” (cfr., Cass. civ. III, 19.03.2018, n. 6675);
   b) “il rilievo da assegnare alla formulazione letterale va invero verificato alla luce dell'intero contesto contrattuale, le singole clausole dovendo essere considerate in correlazione tra loro procedendosi al relativo coordinamento ai sensi dell'art. 1363 c.c., giacchè per senso letterale delle parole va intesa tutta la formulazione letterale della dichiarazione negoziale, in ogni sua parte ed in ogni parola che la compone, e non già in una parte soltanto, quale una singola clausola di un contratto composto di più clausole, dovendo il giudice collegare e raffrontare tra loro frasi e parole al fine di chiarirne il significato” (Cfr. Cass. civ. III, 16.01.2007, n. 828; Id., I, 22.12.2005, n. 28479).
11.4. Inoltre, la Corte di Cassazione sottolinea che: “pur assumendo l'elemento letterale funzione fondamentale nella ricerca della reale o effettiva volontà delle parti, il giudice deve invero a tal fine necessariamente riguardarlo alla stregua degli ulteriori criteri di interpretazione, e in particolare di quelli (quali primari criteri d'interpretazione soggettiva, e non già oggettiva, del contratto: v. Cass., 23/10/2014, n. 22513; Cass., 27/06/2011, n. 14079; Cass., 23/05/2011, n. 11295; Cass., 19/05/2011, n. 10998; con riferimento agli atti unilaterali v. Cass., 06/05/2015, n. 9006) dell'interpretazione funzionale ex art. 1369 c.c. e dell'interpretazione secondo buona fede o correttezza ex art. 1366 c.c., avendo riguardo allo scopo pratico perseguito dalle parti con la stipulazione del contratto e quindi alla relativa causa concreta (cfr. Cass., 23/05/2011, n. 11295).
Il primo di tali criteri (art. 1369 c.c.) consente di accertare il significato dell'accordo in coerenza appunto con la relativa ragione pratica o causa concreta. L'obbligo di buona fede oggettiva o correttezza ex art. 1366 c.c. quale criterio d'interpretazione del contratto (fondato sull'esigenza definita in dottrina di "solidarietà contrattuale") si specifica in particolare nel significato di lealtà, sostanziantesi nel non suscitare falsi affidamenti e non speculare su di essi, come pure nel non contestare ragionevoli affidamenti comunque ingenerati nella controparte (v. Cass., 06/05/2015, n. 9006; Cass., 23/10/2014, n. 22513; Cass., 25/05/2007, n. 12235; Cass., 20/05/2004, n. 9628).
A tale stregua esso non consente di dare ingresso ad interpretazioni cavillose delle espressioni letterali contenute nelle clausole contrattuali, non rispondenti alle intese raggiunte (v. Cass., 23/05/2011, n. 11295) e deponenti per un significato in contrasto con la ragione pratica o causa concreta dell'accordo negoziale (cfr., con riferimento alla causa concreta del contratto autonomo di garanzia, Cass., Sez. Un., 18/02/2010, n. 3947).
Assume dunque fondamentale rilievo che il contratto venga interpretato avuto riguardo alla sua ratio, alla sua ragione pratica, in coerenza con gli interessi che le parti hanno specificamente inteso tutelare mediante la stipulazione contrattuale (v. Cass., 22/11/2016, n. 23701), con convenzionale determinazione della regola volta a disciplinare il rapporto contrattuale (art. 1372 c.c.)
” (Cass. civ. III, 19.03.2018, n. 6675).
...
11.5. Individuati i criteri interpretativi di riferimento può procedersi ad esporre ed interpretare le singole regole contenute nella convenzione del 1991.
Questa contiene la concreta disciplina di attuazione del Piano particolareggiato approvato dal Comune e volto al recupero di una serie di comparti tra cui quello di proprietà della Società ricorrente che ha una originaria destinazione industriale e che, per il tramite del programma in esame, è destinato ad ampliamento per 5.000 mc.
Le destinazioni d’uso del comparto sono le seguenti: i) per il piano terra magazzino ad uso commerciale; ii) per il piano primo in parte un magazzino ad uso commerciale e in parte uffici; iii) quota di residenza (minore del 20 per cento). La convenzione urbanistica stipulata inter partes prevede una serie di obblighi a carico dell’operatore privato ed è volta, quindi, a regolare un intervento di modifica “del tessuto urbanistico-edilizio esistente, del disegno dei lotti, degli isolati e della rete stradale” (f. 4 della convenzione).
In particolare, il privato si impegna, ex aliis, a versare i contributi per opere di urbanizzazione primaria e secondaria nonché il costo di costruzione nella misura indicata dalla convenzione ma con la precisazione che tali importi sono destinati ad essere aggiornati in sede di rilascio delle singole concessioni edilizie, “secondo le modalità e le tariffe vigenti [alla data di rilascio dei titoli] e sulla base dei progetti esecutivi presentati” (f. 5 della convenzione).
11.6. In sostanza, la convenzione in esame prevede un “aggiornamento” degli oneri e del costo di costruzione al momento del rilascio dei singoli titoli edilizi. Il primo di tali titoli è costituito dalla concessione del 1991 che è volta all’ampliamento del primo piano dell’immobile con funzioni produttive. Si tratta, quindi, di un intervento di conservazione della struttura industriale esistente evidentemente ritenuto compatibile pur in presenza della possibilità di riconversione prevista dalla convenzione del 1991.
In relazione al suddetto intervento produttivo, viene richiesta (e poi corrisposta) la somma di £ 37.079.140, per oneri di urbanizzazione primaria, secondaria, nonché £ 14.000 per smaltimento rifiuti. Sono, quindi, coerentemente applicate le tariffe per la funzione produttiva secondo la vigente ratione temporis deliberazione del C.C. del 26.07.1982, n. 240. In tale titolo edilizio vengono altresì verificati, oltre agli standard, parcheggi ex art. 41-sexies della Legge 1150/1942, pari a mq. 794,55.
11.7. La d.i.a. del 2007 riguarda, invece, espressamente “ampliamento e cambio di destinazione d’uso di immobile industriale” ed interessa una s.l.p. di complessivi mq 2.533,15, di cui mq 350 in ampliamento. Con tale titolo sono, altresì, monetizzate aree a standard per mq 1.241,26 e garantiti in sito i restanti mq 2.648,69. Successivamente, con p.d.c. n. 4/2013 sono assentite opere per mutamento della destinazione d’uso per l’insediamento di una media struttura di vendita.
In particolare, il permesso assente una modifica della destinazione d’uso di porzione di edificio ad uso residenziale e terziario (posti a piano terra e primo) a funzioni commerciali, con conseguente conguaglio del contributo di costruzione ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 44 e 48 della L.r. n. 12/2005, nonché verifica della dotazione aggiuntiva di aree per servizi pubblici e di uso pubblico, provvedendo, altresì, a “regolarizzare/confermare, mediante atto unilaterale, l’uso pubblico delle aree a parcheggio pertinenziali, già insito nei pregressi titoli edilizi” (f. 4 del documento n. 1 di parte ricorrente).
11.8. Dalla ricostruzione sin qui operata emerge, quindi, con chiarezza come la convenzione del 1991 non “esaurisca” le obbligazioni di pagamento dell’operatore privato che sono parametrate, al contrario, sui singoli titoli edilizi. La somma pari a £ 65.600.000,00 versata dall’operatore è relativa alla monetizzazione del valore delle aree per opere di urbanizzazione secondaria per le quali non è possibile la cessione al Comune. Ma si tratta di una stima che, secondo quanto espressamente si legge nella convenzione, deve necessariamente rideterminarsi al momento del rilascio dei titoli (cfr.: premesse alla convenzione ed articolo 4 della stessa).
Del resto, la scelta convenzionale è in linea con i principi espressi anche dalla normativa vigente. Come, infatti, affermato dalla Sezione, “il contributo afferente al permesso di costruire, commisurato all'incidenza degli oneri di urbanizzazione nonché al costo di costruzione, è determinato e liquidato all'atto del rilascio del titolo edilizio (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 19.03.2015, n. 1504)”; “tale contributo è un corrispettivo di diritto pubblico, di natura non tributaria, posto a carico del concessionario a titolo di partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione e in proporzione all'insieme dei benefici che le nuove costruzioni inducono nel contesto urbano, senza alcun vincolo di scopo in relazione alla zona interessata dalla trasformazione urbanistica e indipendentemente dalla concreta utilità che il concessionario può conseguire dal titolo edificatorio e dall'ammontare delle spese effettivamente occorrenti per la realizzazione delle opere stesse (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 29.10.2015, n. 4950; TAR Lombardia-Brescia, 02.03.2012, n. 355; TAR Piemonte, 26.11.2003 n. 1675)” (TAR per la Lombardia–Milano, II, 18.06.2018, n. 1525, confermata, in parte qua, da C.d.S., IV, 31.12.2019, n. 8919; cfr., da ultimo, TAR per la Lombardia–Milano, II, 18.01.2021, n. 171).
La stessa Adunanza plenaria del Consiglio di Stato osserva che l’obbligazione di corrispondere il contributo nasce “nel momento in cui viene rilasciato il titolo ed è a tale momento che occorre aver riguardo per la determinazione dell’entità del contributo (Cons. St., sez. IV, 30.11.2015, n. 5412, ma v. anche Cons. St., sez. V, 13.06.2003, n. 3332)” (C.d.S., A.p., 30.08.2018, n. 12).
11.9. L’opzione seguita dalla convenzione risulta, quindi, allineata ai principi che regolano la materia e, soprattutto, ha una specifica ratio interna all’accordo stesso: si intende, in tal modo, adeguare il quantum debeatur a seconda degli interventi concretamente eseguiti dalla parte. Una scelta pienamente legittima in quanto non “cristallizza” l’obbligo di pagamento a determinazioni ancora generali e programmatiche ma in relazione ai singoli titoli edilizi mediante i quali si realizza tale programma di intervento. Pertanto, è proprio ai singoli titoli che occorre ancorare il quantum debeatur dell’operatore privato.

EDILIZIA PRIVATACirca l’obbligo di versamento del contributo di costruzione, quindi comprensivo degli oneri di urbanizzazione, si è espresso, di recente, questo Consiglio, affermando quanto segue: “occorre, dunque, perché sia necessario il rilascio del permesso di costruire una modifica (parziale o totale) dell'organismo edilizio preesistente ed un aumento della volumetria complessiva; solo in questi casi, d’altra parte, l'intervento si caratterizza (in ossequio alla prescrizione normativa) come “trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio”.
Nelle ipotesi, invece, di “ristrutturazione ricostruttiva”, a maggior ragione se con invarianza, oltre che di volume, anche di sagoma e di area di sedime, "non vi è necessità di permesso di costruire e, dunque, ai sensi dell'art. 16 D.P.R. n. 380 del 2001, manca il presupposto per la richiesta e corresponsione del contributo di costruzione”.
Si deve concludere ravvisando che emerge il principio, di conio statale, secondo cui l’obbligo al pagamento degli oneri di urbanizzazione postula l’incremento del carico urbanistico.
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11.1 Col primo mezzo, l’appellante, dopo aver ripercorso i passaggi essenziali della complessa vicenda di causa, ha dedotto che il Tar sarebbe incorso in difetto motivazionale non avendo preso in considerazione le difese dell’ente comunale articolate nel corso del giudizio di primo grado ed imperniate sulla riconducibilità dell’intervento abusivamente realizzato dagli appellati nel novero di quelli di ristrutturazione edilizia per ritenerlo sottoposto alla previsione di cui all’art. 120 della legge Regione Toscana n. 1 del 2005, secondo cui in casi siffatti si applica la Tabella C dell’Allegato A della stessa legge, la quale prevede il coefficiente di 0,30 ai fini della determinazione degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria.
Secondo le prospettazioni dell’appellante, quindi, seppur l’intervento contestato a controparte consiste nella demolizione e fedele ricostruzione del manufatto originario senza alcuna aggiunta di volumi, sarebbe applicabile nel caso di specie l’anzidetta norma regionale che prevede, proprio nel caso di interventi siffatti, l’applicazione di un coefficiente, sia pur ridotto, ai fini della determinazione degli oneri a carico del richiedente la sanatoria.
L’infondatezza del motivo si deve innanzitutto al fatto che il giudice di prime cure non ha alcun onere di soffermarsi su tutte le articolazioni difensive della parte resistente dovendo anzi calibrare la propria pronuncia sulle censure dedotte da parte ricorrente.
Esclusa, quindi, la carenza motivazionale da cui sarebbe affetta la sentenza impugnata, occorre esaminare il merito delle deduzioni sollevate dall’appellante in ordine alla effettiva ricorrenza dei presupposti per far gravare sulla richiedente il titolo in sanatoria una quota parte di oneri di urbanizzazione.
Giova premettere che, a fronte di quanto argomentato da parte appellante circa la prevalenza della norma regionale su quella statale, è proprio il riferimento alla prima e segnatamente allo stesso articolo 120 invocato dall’appellante, che emerge la rilevanza attribuita all’incidenza plano-volumetrica dell’intervento ai fini della soggezione o meno al versamento degli oneri di urbanizzazione.
Infatti detta norma, al comma 1, statuisce che “gli oneri di urbanizzazione sono dovuti in relazione agli interventi, soggetti a permesso o a denuncia di inizio dell'attività, che comportano nuova edificazione o determinano un incremento dei carichi urbanistici in funzione di: a) aumento delle superfici utili degli edifici; b) mutamento delle destinazioni d'uso degli immobili; c) aumento del numero di unità immobiliari”.
È di tutta evidenza, pertanto, che anche il legislatore regionale riconnette l’onere di versare gli oneri di urbanizzazione alla realizzazione di un intervento che sia in grado di determinare un incremento dei carichi urbanistici, evenienza questa da escludere nel caso di specie proprio in considerazione del fatto che trattasi di un intervento di demolizione e fedele ricostruzione senza quindi che si possa configurare alcun surplus volumetrico.
Circa l’obbligo di versamento del contributo di costruzione, quindi comprensivo degli oneri di urbanizzazione, si è espresso, di recente, questo Consiglio, affermando coerentemente con quanto testé opinato, quanto segue: “occorre, dunque, perché sia necessario il rilascio del permesso di costruire una modifica (parziale o totale) dell'organismo edilizio preesistente ed un aumento della volumetria complessiva; solo in questi casi, d’altra parte, l'intervento si caratterizza (in ossequio alla prescrizione normativa) come “trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio”.
Nelle ipotesi, invece, di “ristrutturazione ricostruttiva” (come definita dalla giurisprudenza: Cons. Stato, sez. IV, 07.04.2015 n. 1763; 09.05.2014 n. 2384; 06.07.2012 n. 3970), a maggior ragione se con invarianza, oltre che di volume, anche di sagoma e di area di sedime, "non vi è necessità di permesso di costruire e, dunque, ai sensi dell'art. 16 D.P.R. n. 380 del 2001, manca il presupposto per la richiesta e corresponsione del contributo di costruzione” (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 30.05.2017, n. 2567; Tar Roma, sez. II-bis, 12.09.2019, n. 10887).
Si deve concludere ravvisando che emerge il principio, di conio statale, secondo cui l’obbligo al pagamento degli oneri di urbanizzazione postula l’incremento del carico urbanistico, che, nel caso di specie, è pacificamente da escludere. Ne consegue che non ricorrono i presupposti per ritenere che gli appellati siano tenuti al versamento del contributo, e ciò anche in virtù di quanto disposto dalla norma regionale ritenuta dall’Amministrazione prevalente, che detto principio non contraddice (Consiglio di Stato, Sez. II, sentenza 15.01.2021 n. 489 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).

EDILIZIA PRIVATA: In merito alla richiesta del contributo di costruzione, è utile premettere che lo stesso trova causa nell’utilità che il proprietario ritrae appunto dall’edificazione assentita. Trattandosi di principio di portata generale, la deroga alla onerosità del titolo edilizio non può che ricorrere nelle “…sole ipotesi tassativamente previste dalla legge… da intendersi di stretta interpretazione”.
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In base al prevalente orientamento della giurisprudenza amministrativa “…la controversia sulla quantificazione del contributo di costruzione involge l'apprezzamento del diritto soggettivo alla determinazione dell'obbligazione contributiva. Attività questa, non autoritativa, vincolata, da eseguirsi secondo criteri predeterminati o tabelle parametriche in ragione della natura paratributaria del contributo…”, con la conseguenza che “trova campo elettivo d'applicazione, specie con riguardo alle norme che prevedono l'esonero e la riduzione del pagamento del contributo, il criterio interpretativo delle norme c.d. "a fattispecie esclusiva", proprio delle disposizioni tributarie. Ossia l'interprete, oltre a doversi attenere alla littera legis deve individuare il criterio in base al quale è stato disposto il beneficio che deroga all'ordinario regime paratributario, al fine di non estenderne l'applicazione oltre i casi espressamente preveduti”.
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Con specifico riferimento al costo di costruzione, è stato statuito che:
   - “l’art. 16 del D.P.R. n. 380/2001 stabilisce, al primo comma, che il rilascio del permesso di costruire comporta la corresponsione di un contributo commisurato all'incidenza degli oneri di urbanizzazione, nonché al costo di costruzione. Presupposto per la debenza del costo di costruzione è che l’intervento rientri nell’ambito di quelli per i quali l’art. 10 del medesimo del D.P.R. n. 380/2001 prevede il titolo abilitativo del permesso di costruire. In tal senso deve essere interpretato anche il comma 10, dell’art. 16 del D.P.R. n. 380/2001, secondo il quale “nel caso di interventi su edifici esistenti il costo di costruzione è determinato in relazione al costo degli interventi stessi, così come individuati dal comune in base ai progetti presentati per ottenere il permesso di costruire. Al fine di incentivare il recupero del patrimonio edilizio esistente, per gli interventi di ristrutturazione edilizia di cui all'articolo 3, comma 1, lettera d), i Comuni hanno comunque la facoltà di deliberare che i costi di costruzione ad essi relativi siano inferiori ai valori determinati per le nuove costruzioni”.
Questo comma rileva l’esistenza di interventi di ristrutturazione edilizia soggetti al pagamento dell’onere, ma deve essere interpretato nel senso che, in caso di interventi di ristrutturazione, il costo di costruzione è dovuto solo qualora le opere medesime richiedano il titolo abilitativo del permesso di costruire in conformità a quanto previsto dall’art. 10, comma 1, lett. c), del D.P.R. n. 380/2001, ovverosia per quelle opere di ristrutturazione che “che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino modifiche della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d'uso, nonché gli interventi che comportino modificazioni della sagoma di immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22.01.2004, n. 42”; mentre il costo di costruzione non deve essere corrisposto per gli interventi di ristrutturazione realizzabili con d.i.a..
Significativi dell’esattezza di tale interpretazione si rivelano il comma 5 dell’art. 22 del D.P.R. n. 380/2001, che assoggetta al pagamento del costo di costruzione gli interventi effettuati con d.i.a. solo nel caso in cui questa sia sostitutiva del permesso di costruire nelle ipotesi previste nel comma 3, tra le quali si trova l’ipotesi degli interventi di ristrutturazione assoggettati al regime del permesso di costruire ai sensi del già indicato art. 10, comma 1, lettera c), D.P.R. n. 380/2001. Inoltre, la giurisprudenza ha precisato che per le opere di ristrutturazione edilizia (soggette al regime del permesso di costruire), il pagamento degli oneri concessori è dovuto solo nel caso in cui l'intervento abbia determinato un aumento del carico urbanistico. [.. omissis ..]. Gli oneri concessori richiesti non risultavano, pertanto dovuti, per due ragioni, ciascuna delle quali autonomamente sufficiente; ovverosia perché le opere poste in essere non rientrano nel regime abilitativo del permesso di costruire e in quanto le stesse non hanno comportato l’aumento del carico urbanistico”.
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Speculari considerazioni valgono con riferimento alla debenza degli oneri di urbanizzazione, dal momento che “è consolidato in giurisprudenza il principio secondo cui il pagamento degli oneri di urbanizzazione è dovuto solo nel caso in cui l'intervento abbia determinato un aumento del carico urbanistico”.
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1. Il ricorrente, in qualità di proprietario dell’immobile sito nel Comune di Vico Equense, al corso ... n. 125 (Cinema – teatro Aequa), è stato autorizzato, con permesso di costruire n. 35 del 2003, ad effettuare interventi di riqualificazione e ripristino funzionale, unitamente alla realizzazione di un parcheggio interrato di natura pertinenziale. Il titolo edilizio è stato successivamente volturato in favore della società Ge. s.p.a, incaricata di eseguirne i lavori.
1.1. A fronte del rilievo della realizzazione di opere difformi dal progetto originario, peraltro non conformi alle norme edilizie in quanto integranti un’ipotesi di ristrutturazione pesante, l’amministrazione comunale ha ordinato, in espressa applicazione dell’art. 33 DPR 380/2001, il ripristino fedele della costruzione originaria, irrogando una sanzione per le opere difformi, ed ha contestualmente richiesto per la prima volta il pagamento del contributo di costruzione, quantificato in 81.672,66 euro.
1.2. Avverso l’atto così adottato, limitatamente alla richiesta del contributo e all’applicazione della sanzione pecuniaria ex art. 33 DPR 380/2001, insorge con il presente ricorso, articolando censure di violazione e falsa applicazione degli artt. 16, 17 e 33 del d.P.R. n. 380 del 2001, nonché degli artt. 74 e 75 del P.r.g. del Comune di Vico Equense, nonché per violazione degli obblighi nascenti dalla convenzione stipulata fra le parti e per difetto dei presupposti. Evoca inoltre la violazione del principio di affidamento, tenuto anche conto che nei pregressi atti autorizzatori il contributo non è stato mai stato richiesto, con violazione dei principi posti a presidio dell’esercizio del potere di autotutela.
In ogni caso contesta la genericità e la carenza di motivazione in ordine ai criteri seguiti per quantificare il contributo di costruzione, nonché le argomentazioni spese dall’amministrazione in merito alla natura degli interventi di ristrutturazione pesante.
...
2. Il ricorso è fondato nei seguenti termini.
2.1. In via preliminare occorre chiarire che la contestazione relativa all’irrogazione della sanzione non ha avuto alcuno sviluppo nel corpo del ricorso, ed anzi il Comune di Vico Equense ha incontestatamente affermato e documentato (cfr. deposito in atti del 05.02.2020) l’avvenuto pagamento appunto della sanzione ad opera della GE. srl in data 19.06.2019, onde l’impugnazione sul punto si rivela del tutto inammissibile. Parimenti inammissibile per genericità e carenza di interesse è la contestazione (evidentemente ipotetica) dell’ammissibilità o meno degli interventi di ristrutturazione pesante nell’area interessata.
2.2. In merito alla richiesta del contributo di costruzione, è utile premettere che lo stesso trova causa nell’utilità che il proprietario ritrae appunto dall’edificazione assentita. Trattandosi di principio di portata generale, la deroga alla onerosità del titolo edilizio non può che ricorrere nelle “…sole ipotesi tassativamente previste dalla legge… da intendersi di stretta interpretazione” (cfr., Cons. Stato, Sez. V, 07.05.2013, n. 2467; TAR Emilia Romagna –BO- sez. I, 12/10/2016 n. 846).
In base al prevalente orientamento della giurisprudenza amministrativa “…la controversia sulla quantificazione del contributo di costruzione involge l'apprezzamento del diritto soggettivo alla determinazione dell'obbligazione contributiva. Attività questa, non autoritativa, vincolata, da eseguirsi secondo criteri predeterminati o tabelle parametriche in ragione della natura paratributaria del contributo…” (v. TAR Emilia Romagna –BO- n. 846 del 2016 cit.; TAR Lombardia –BS- 24/08/2012 n. 1467; Cons. Stato, sez. V, 14.12.1994 n. 1471), con la conseguenza che “trova campo elettivo d'applicazione, specie con riguardo alle norme che prevedono l'esonero e la riduzione del pagamento del contributo, il criterio interpretativo delle norme c.d. "a fattispecie esclusiva", proprio delle disposizioni tributarie. Ossia l'interprete, oltre a doversi attenere alla littera legis deve individuare il criterio in base al quale è stato disposto il beneficio che deroga all'ordinario regime paratributario, al fine di non estenderne l'applicazione oltre i casi espressamente preveduti” (TAR Liguria, Sez. I, 30/09/2014, n. 1401).
3. Fatte queste premesse, il ricorso va accolto, sulla scorta delle considerazioni già fatte proprie da questo Tribunale, in cui, con specifico riferimento al costo di costruzione, è stato statuito che:
   - “l’art. 16 del D.P.R. n. 380/2001 stabilisce, al primo comma, che il rilascio del permesso di costruire comporta la corresponsione di un contributo commisurato all'incidenza degli oneri di urbanizzazione, nonché al costo di costruzione. Presupposto per la debenza del costo di costruzione è che l’intervento rientri nell’ambito di quelli per i quali l’art. 10 del medesimo del D.P.R. n. 380/2001 prevede il titolo abilitativo del permesso di costruire. In tal senso deve essere interpretato anche il comma 10, dell’art. 16 del D.P.R. n. 380/2001, secondo il quale “nel caso di interventi su edifici esistenti il costo di costruzione è determinato in relazione al costo degli interventi stessi, così come individuati dal comune in base ai progetti presentati per ottenere il permesso di costruire. Al fine di incentivare il recupero del patrimonio edilizio esistente, per gli interventi di ristrutturazione edilizia di cui all'articolo 3, comma 1, lettera d), i Comuni hanno comunque la facoltà di deliberare che i costi di costruzione ad essi relativi siano inferiori ai valori determinati per le nuove costruzioni”.
Questo comma rileva l’esistenza di interventi di ristrutturazione edilizia soggetti al pagamento dell’onere, ma deve essere interpretato nel senso che, in caso di interventi di ristrutturazione, il costo di costruzione è dovuto solo qualora le opere medesime richiedano il titolo abilitativo del permesso di costruire in conformità a quanto previsto dall’art. 10, comma 1, lett. c), del D.P.R. n. 380/2001, ovverosia per quelle opere di ristrutturazione che “che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino modifiche della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d'uso, nonché gli interventi che comportino modificazioni della sagoma di immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22.01.2004, n. 42”; mentre il costo di costruzione non deve essere corrisposto per gli interventi di ristrutturazione realizzabili con d.i.a..
Significativi dell’esattezza di tale interpretazione si rivelano il comma 5 dell’art. 22 del D.P.R. n. 380/2001, che assoggetta al pagamento del costo di costruzione gli interventi effettuati con d.i.a. solo nel caso in cui questa sia sostitutiva del permesso di costruire nelle ipotesi previste nel comma 3, tra le quali si trova l’ipotesi degli interventi di ristrutturazione assoggettati al regime del permesso di costruire ai sensi del già indicato art. 10, comma 1, lettera c), D.P.R. n. 380/2001. Inoltre, la giurisprudenza ha precisato che per le opere di ristrutturazione edilizia (soggette al regime del permesso di costruire), il pagamento degli oneri concessori è dovuto solo nel caso in cui l'intervento abbia determinato un aumento del carico urbanistico (Cons. Stato Sez. IV, 29.10.2015, n. 4950; Cons. di Stato, Sez. IV, 29.04.2004, n. 2611). [.. omissis ..]. Gli oneri concessori richiesti non risultavano, pertanto dovuti, per due ragioni, ciascuna delle quali autonomamente sufficiente; ovverosia perché le opere poste in essere non rientrano nel regime abilitativo del permesso di costruire e in quanto le stesse non hanno comportato l’aumento del carico urbanistico
” (da ultimo TAR Campania Napoli, Sez. VIII, 28.04.2020 n. 1541).
3.1. Speculari considerazioni valgono con riferimento alla debenza degli oneri di urbanizzazione, dal momento che “è consolidato in giurisprudenza il principio secondo cui il pagamento degli oneri di urbanizzazione è dovuto solo nel caso in cui l'intervento abbia determinato un aumento del carico urbanistico (TAR Piemonte, sez. I, 26.11.2003 n. 1675 e, da ultimo, TAR Piemonte, sez. II, 16.09.2013 n. 1009; Cons. Stato, sez. IV, 29.04.2004, n. 2611)” (TAR Lombardia Milano, Sez. II, 03.10.2018 n. 2198).
4. Nel caso in esame, è incontestato che, a seguito del tortuoso percorso relativo agli interventi edilizi sull’immobile in questione, alla fine il proprietario, mediante una demo-ricostruzione fedele, si è conformato all’ordine di riduzione in pristino della struttura pregressa, con conseguente elisione di ogni carico urbanistico aggiuntivo. È pur vero che l’intervento di ristrutturazione non sarebbe stato consentito dagli strumenti urbanistici del territorio (onde correttamente l’amministrazione comunale ha proceduto ad irrogare la relativa sanzione), ma, sul piano sostanziale, la modalità di recupero del manufatto pre-esistente (mediante ristrutturazione ovvero mediante recupero conservativo), non condiziona la debenza o meno degli oneri di costruzione, i quali sono comunque collegati a tutti quegli interventi suscettibili di determinare una diversa destinazione ovvero una trasformazione strutturale che comportino una incidenza qualitativa o quantitativa sul carico urbanistico.
4.1. Pertanto la richiesta degli oneri concessori non risulta pertinente rispetto all’intervento realizzato dal ricorrente e la relativa pretesa avanzata dall’amministrazione comunale si rivela priva di fondamento (TAR Campania-Napoli, Sez. VII, sentenza 12.01.2021 n. 207 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

agosto 2020

EDILIZIA PRIVATA: Natura delle obbligazioni di pagamento degli oneri di urbanizzazione e del costo di costruzione.
Deve essere affermata la giurisdizione del giudice amministrativo giacché, secondo una consolidata giurisprudenza, le questioni attinenti alla spettanza e alla liquidazione del contributo per gli oneri di urbanizzazione e costo di costruzione sono riservate alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. f), cod. proc. amm..
Le stesse, poi, avendo ad oggetto l’accertamento di un rapporto obbligatorio che prescinde dall’esistenza di atti della P.A., non sono soggette alle regole delle azioni impugnatorie-annullatorie degli atti amministrativi e ai rispettivi termini di decadenza.
Invero, “L’affermazione secondo cui il contributo di costruzione costituisce una prestazione patrimoniale imposta e rientra a tale titolo nell’ambito dei rapporti di diritto pubblico in quanto necessariamente legata al rilascio del titolo edilizio, tuttavia, non comporta ex se che i relativi atti di determinazione abbiano necessariamente carattere autoritativo, si colorino, per così dire, di imperatività e siano espressione di potestà pubblicistica. Il privato che intende ottenere il permesso di costruire ha avanti a sé la scelta di corrispondere il contributo di costruzione o di rinunciare al rilascio del titolo. Effettuata questa scelta, che comporta la necessaria corresponsione del corrispettivo di diritto pubblico, il pagamento di questo, esclusa pacificamente la sua natura tributaria, non può che costituire l’oggetto di un ordinario rapporto obbligatorio, disciplinato dalle norme di diritto privato, come prescrive l’art. 1, comma 1-bis, della l. n. 241 del 1990, salvo che la legge disponga diversamente”).
Ciò vale anche per la cd. monetizzazione di standard, la quale, una volta definito l’importo dovuto, accede ad un ordinario rapporto obbligatorio con l’amministrazione.
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Le obbligazioni di pagamento degli oneri di urbanizzazione e dei costi di costruzione, così come le conseguenti sanzioni per ritardato pagamento, hanno natura reale o “propter rem”, essendo caratterizzate dalla stretta inerenza alla res ed essendo perciò destinate a circolare unitamente ad essa, per il carattere dell’ambulatorietà che le contraddistingue. Ne deriva che le stesse gravano anche sull’acquirente nel caso di trasferimento del bene.
È stato infatti affermato che “l’obbligazione in solido per il pagamento degli oneri di urbanizzazione e la natura reale dell’obbligazione riguardano i soggetti che stipulano la convenzione, quelli che richiedono la concessione e quelli che realizzano l’edificazione, nonché i loro aventi causa”.
Analogamente, si è precisato che anche “l’obbligazione di pagamento delle sanzioni per ritardato pagamento degli oneri concessori va configurata come propter rem e, quindi, da porsi a carico del soggetto che, in un determinato momento, si trova in una relazione qualificata con l’immobile”
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SENTENZA
1. La vicenda oggetto del presente giudizio è relativa alla consistenza e titolarità, dal lato passivo, dell’obbligazione di pagamento del contributo di costruzione (e relative sanzioni) e degli oneri concernenti la “monetizzazione di aree diverse” per un intervento di sostituzione edilizia eseguito a Milano, in via ..., sulla base della DIA WF 10981/2013, a suo tempo presentata da Pa.So.2007 s.r.l. e poi volturata a In.La.Im. s.r.l.
2. In via preliminare, deve essere affermata la giurisdizione del giudice amministrativo sulla presente controversia, giacché secondo una consolidata giurisprudenza, condivisa dal Collegio, le questioni attinenti alla spettanza e alla liquidazione del contributo per gli oneri di urbanizzazione e costo di costruzione sono riservate alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. f), cod. proc. amm.; le stesse, poi, avendo ad oggetto l’accertamento di un rapporto obbligatorio che prescinde dall’esistenza di atti della P.A., non sono soggette alle regole delle azioni impugnatorie-annullatorie degli atti amministrativi e ai rispettivi termini di decadenza (cfr., ex plurimis, Cons. Stato, Sez. VI, 07.05.2015, n. 2294; TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 10.05.2018, n. 1242 e, in particolare, Cons. Stato, Ad. Plenaria, 30.08.2018, n. 12, la quale ha ritenuto che “L’affermazione secondo cui il contributo di costruzione costituisce una prestazione patrimoniale imposta e rientra a tale titolo nell’ambito dei rapporti di diritto pubblico in quanto necessariamente legata al rilascio del titolo edilizio, tuttavia, non comporta ex se che i relativi atti di determinazione abbiano necessariamente carattere autoritativo, si colorino, per così dire, di imperatività e siano espressione di potestà pubblicistica. Il privato che intende ottenere il permesso di costruire ha avanti a sé la scelta di corrispondere il contributo di costruzione o di rinunciare al rilascio del titolo. Effettuata questa scelta, che comporta la necessaria corresponsione del corrispettivo di diritto pubblico, il pagamento di questo, esclusa pacificamente la sua natura tributaria, non può che costituire l’oggetto di un ordinario rapporto obbligatorio, disciplinato dalle norme di diritto privato, come prescrive l’art. 1, comma 1-bis, della l. n. 241 del 1990, salvo che la legge disponga diversamente”).
Ciò vale anche per la cd. monetizzazione di standard, la quale, una volta definito l’importo dovuto, accede ad un ordinario rapporto obbligatorio con l’amministrazione.
3. L’assenza di un termine decadenziale di impugnazione del provvedimento rende anche irrilevante, il fatto –non oggetto di eccezione di parte– che il ricorso dinnanzi al TAR, trasposto a seguito di riassunzione, si affidi a motivi diversi e più estesi di quelli, invero nemmeno formulati, dell’atto di citazione dinnanzi al Tribunale ordinario di Milano (cfr. doc. 4 depositato dalla ricorrente il 06.11.2019), essendo comunque autonomamente proponibili, senza che sia appunto intervenuta decadenza.
4. Venendo ora al merito del giudizio, la domanda –affidata a cinque motivi di ricorso– è infondata.
5. Si ritiene di analizzare prioritariamente il quarto motivo di ricorso, con il quale si deduce l’illegittima erogazione delle sanzioni di ritardato pagamento del contributo di costruzione, ex art. 42 d.P.R. n. 380/2001, poiché le stesse sarebbero spettate invece alla venditrice Pa.So.2007 s.r.l., essendo questa ad aver posto in essere il comportamento (mancato pagamento alla scadenza) rimproverabile.
In sostanza, il motivo è volto all’accertamento dell’insussistenza del presupposto dell’ingiunzione di pagamento, vale a dire il debito in capo alla società In.La.Im..
5.1. La prospettazione della parte ricorrente non può essere accolta.
5.2. Secondo un condivisibile orientamento giurisprudenziale, le obbligazioni di pagamento degli oneri di urbanizzazione e dei costi di costruzione, così come le conseguenti sanzioni per ritardato pagamento, hanno natura reale o “propter rem”, essendo caratterizzate dalla stretta inerenza alla res ed essendo perciò destinate a circolare unitamente ad essa, per il carattere dell’ambulatorietà che le contraddistingue.
Ne deriva che le stesse gravano anche sull’acquirente nel caso di trasferimento del bene. È stato infatti affermato che “l’obbligazione in solido per il pagamento degli oneri di urbanizzazione e la natura reale dell’obbligazione riguardano i soggetti che stipulano la convenzione, quelli che richiedono la concessione e quelli che realizzano l’edificazione, nonché i loro aventi causa” (cfr. Cons. di Stato, Sez. IV, 15.05.2019, n. 3141; altresì, C.G.A., 30.09.2019, n. 848; TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 12.07.2017, n. 1604; TAR Veneto, 11.10.2019, n. 1083; TAR Sicilia, Palermo, Sez. II, 19.10.2017, n. 2402).
Analogamente, si è precisato che anche “l’obbligazione di pagamento delle sanzioni per ritardato pagamento degli oneri concessori va configurata come propter rem e, quindi, da porsi a carico del soggetto che, in un determinato momento, si trova in una relazione qualificata con l’immobile” (cfr. Consiglio di Stato, IV, 01.04.2011, n. 2037).
5.3. L’obbligazione inerente il contributo di costruzione, nella sua interezza, e le sanzioni per l’omesso pagamento, quindi, si è trasferita in capo alla In.La.Im. s.r.l., la quale, peraltro, era perfettamente consapevole dell’omesso pagamento, come evidenziato dalla nota con cui la stessa comunicava la voltura del titolo, di cui si è dato conto in “fatto”.
5.4. D’altro canto, anche volendosi analizzare la questione da una prospettiva meramente civilistica, non risulta che l’amministrazione comunale abbia liberato la ricorrente dalle obbligazioni derivanti dal titolo edilizio oggetto di voltura (sia quanto a contributo di costruzione, sia quanto a sanzioni per omesso pagamento).
Con riferimento alla comunicazione di voltura della DIA, in data 01.10.2015, e agli accordi di pagamento e imputazione esclusiva intervenuti tra le società, l’amministrazione comunale creditrice si è potuta limitare a prendere atto del cambio di titolarità della DIA, senza tuttavia prestare alcun consenso all’imputazione alla società In.La.Im. del solo importo di € 224.526,89, come indicato nella scrittura privata sottoscritta dalle due società debitrici, accordo che, ovviamente, non può vincolare il Comune creditore, estraneo al medesimo.
5.5. E, ancora, in tema di mera rimproverabilità della condotta –seppur irrilevante, alla luce di quanto già precisato– nella presente fattispecie, il comportamento omissivo (mancato pagamento) è proseguito in capo alla società ricorrente, sicché nemmeno sarebbe astrattamente predicabile una non imputabilità del comportamento medesimo (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 13.08.2020 n. 1573 - link a www.giustizia-amministrativa.it
).

EDILIZIA PRIVATASecondo una consolidata giurisprudenza, la controversia attinente alla spettanza e liquidazione del contributo per gli oneri di urbanizzazione e costo di costruzione è riservata alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. f), cod. proc. amm., ha ad oggetto l’accertamento di un rapporto di credito a prescindere dall’esistenza di atti della pubblica amministrazione e non è soggetta alle regole delle azioni impugnatorie-annullatorie degli atti amministrativi ed ai rispettivi termini di decadenza.
Ciò vale anche quanto alla pretesa alla corresponsione di quanto a suo tempo determinato per la cd. monetizzazione di standard, in quanto, nonostante la diversa natura di tale pretesa rispetto a quella concernente il contributo di costruzione, deve ritenersi che il relativo credito sia comunque soggetto al termine di prescrizione decennale dal rilascio del titolo.
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SENTENZA
1. Con il ricorso in epigrafe, notificato il 27.01.2017 e depositato il 16 febbraio successivo, la società ricorrente ha impugnato il provvedimento del Comune di Milano del 25.10.2016, notificatole il 29.11.2016, con il quale veniva invitata a versare la somma di € 17.236,22, a titolo di conguaglio del contributo di costruzione e di cd. monetizzazione degli spazi destinati a parcheggio, relativamente alla DIA del 12.08.2004 e successive varianti.
2. Ha esposto in fatto la società ricorrente:
   - che la Im.It. s.r.l., sua dante causa, presentava in data 12.08.2004 una DIA finalizzata a “ristrutturazione e ampliamento di un edificio industriale da destinare a residenza, e realizzazione di un parcheggio al piano terra e al piano interrato ad utilizzo della residenza”, da eseguirsi presso l’immobile di proprietà in via ... n. 3;
   - di essere subentrata all’Im.It. e aver presentato, in data 03.05.2006, per il medesimo intervento, una seconda DIA per “ristrutturazione edilizia ed ampliamento edificio”, che comprendeva le seguenti opere: “recupero a fini abitativi di tutto il piano sottotetto dell’immobile in oggetto con la creazione di sei unità immobiliari, rispettando i volumi, gli allineamenti e le finiture dell’edificio originario. Verranno modificate le aperture delle scale e verranno realizzati dei terrazzi praticabili sulla copertura piano dell’edificio, raggiungibile tramite scale a chiocciola esterne”;
   - di avere poi, in data 20.09.2007, depositato una DIA in variante non essenziale per “modifica distribuzione interna, modifica copertura edificio, modifica boxes, nuove canne fumarie”;
   - di aver effettuato, nella medesima data, la dichiarazione di fine lavori, con contestuale richiesta di certificato di agibilità;
   - di aver autoliquidato e corrisposto interamente l’importo del contributo di costruzione (oneri di urbanizzazione e costo di costruzione), nonché di aver provveduto ad asservire a spazi per parcheggio la superficie richiesta in applicazione della normativa allora vigente, il tutto per complessivi € 261.698,00 circa;
   - che durante il procedimento per il rilascio del certificato di agibilità, il Comune procedeva al controllo dei calcoli e dei versamenti operati dalla società relativamente agli oneri di urbanizzazione e al costo di costruzione e rilevava un errore nella superficie dei parcheggi, inferiore di mq. 46,55 rispetto a quella prevista per legge;
   - che il Comune indicava quindi, nel provvedimento del 29.11.2016, la somma complessiva di € 17.236,22 come dovuta dalla società, a titolo di conguaglio, per contributo di costruzione e cd. “monetizzazione parcheggi”, così suddivisi: € 1,21 per oneri di urbanizzazione primaria, € 2,79 per oneri di urbanizzazione secondaria, € 2.240,79 per costo di costruzione ed € 14.991,43 per “monetizzazione parcheggi”;
   - di aver chiesto l’annullamento dell’atto in autotutela, lamentandone l’erroneità e la tardività;
   - di non aver ricevuto riscontro dal Comune.
3. Assumendo l’illegittimità del predetto provvedimento, la ricorrente ha quindi proposto il ricorso in epigrafe, chiedendo l’annullamento dell’atto e l’accertamento dell’insussistenza del diritto di credito del Comune.
...
1. La ricorrente ha dedotto l’illegittimità del provvedimento comunale, eccependo innanzitutto (con il primo motivo) l’intervenuta prescrizione del credito del Comune, la violazione dell’art. 2935 cod. civ. alla luce dell’art. 16, comma 1, del D.P.R. n. 380 del 2001 e dell’art. 64 della legge regionale n. 12 del 2005, l’eccesso di potere per violazione delle circolari dello Sportello unico per l’edilizia n. 5/2001 e n. 2/2011 e la carenza di motivazione.
Con le ulteriori censure, ha dedotto l’erroneità del calcolo dell’amministrazione (secondo motivo), nonché la violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990 (terzo motivo) e l’insufficienza della motivazione (quarto motivo).
2. In via preliminare, deve essere ritenuta la giurisdizione del giudice amministrativo in ordine alla presente controversia, che concerne innanzi tutto la debenza del contributo di costruzione in materia edilizia.
Secondo una consolidata giurisprudenza, condivisa dal Collegio, infatti, la controversia attinente alla spettanza e liquidazione del contributo per gli oneri di urbanizzazione e costo di costruzione è riservata alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. f), cod. proc. amm., ha ad oggetto l’accertamento di un rapporto di credito a prescindere dall’esistenza di atti della pubblica amministrazione e non è soggetta alle regole delle azioni impugnatorie-annullatorie degli atti amministrativi ed ai rispettivi termini di decadenza (cfr., ex plurimis, Consiglio di Stato, Sez. IV, 30.08.2018, n. 5096; id., Sez. VI, 07.05.2015, n. 2294; TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 20.05.2020, n. 858; id., 10.05.2018, n. 31242).
Ciò vale anche quanto alla pretesa alla corresponsione di quanto a suo tempo determinato per la cd. monetizzazione di standard, in quanto, nonostante la diversa natura di tale pretesa rispetto a quella concernente il contributo di costruzione, deve ritenersi che il relativo credito sia comunque soggetto al termine di prescrizione decennale dal rilascio del titolo (v. TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 03.05.2018 n. 1197) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 11.08.2020 n. 1561 - link a www.giustizia-amministrativa.it
).

EDILIZIA PRIVATA: Perfezionamento della dia.
Il titolo edilizio si perfeziona indipendentemente dalla corresponsione degli oneri di urbanizzazione, come si ricava anche dal tenore dell’art. 42, comma 3, della legge regionale n. 12 del 2005 (‘la quota relativa agli oneri di urbanizzazione è corrisposta al comune entro trenta giorni successivi alla presentazione della denuncia di inizio attività, fatta salva la facoltà di rateizzazione’).
A tal fine, si deve richiamare l’art. 42 del D.P.R. n. 380 del 2001 che prevede l’applicazione di una sanzione pecuniaria rapportata all’entità del contributo in caso di mancato pagamento o per il suo ritardo, con la possibilità per i Comuni di tutelarsi mediante la riscossione coattiva.
Ciò risulta avallato, oltre che dal dato normativo –art. 44, comma 13, della legge regionale n. 12 del 2005 [‘L’ammontare dell’eventuale maggior somma va sempre riferito ai valori stabiliti dal comune alla data (…) di presentazione della denuncia di inizio attività’]–, altresì dalla giurisprudenza maggioritaria, secondo la quale il momento su cui appuntare l’affidamento della parte istante è quello della presentazione della denuncia, che coincide con il momento perfezionativo per consolidazione postuma e non in quello in cui la stessa acquisterebbe efficacia, trovandosi al cospetto non di un provvedimento amministrativo tacito o implicito, ma semplicemente di un atto del privato, cui va applicata la disciplina legislativa vigente al momento della presentazione della denuncia alla Pubblica Amministrazione.
Da ciò discende che i singoli titoli edilizi si sono perfezionati all’atto del loro deposito, una volta trascorso il termine di trenta giorni senza alcun intervento inibitorio dell’Amministrazione.
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Quanto alla natura del contributo di costruzione dovuto dal soggetto che intraprenda un’iniziativa edificatoria, lo stesso ‘rappresenta una compartecipazione del privato alla spesa pubblica occorrente alla realizzazione delle opere di urbanizzazione.
In altri termini, fin dalla legge che ha introdotto nell’ordinamento il principio della onerosità del titolo a costruire (art. 1 della legge n. 10 del 1977), la ragione della compartecipazione alla spesa pubblica del privato è da ricollegare sul piano eziologico al surplus di opere di urbanizzazione che l’amministrazione comunale è tenuta ad affrontare in relazione al nuovo intervento edificatorio del richiedente il titolo edilizio’.
Pertanto, laddove l’intervento edilizio non determini alcun aumento del carico insediativo a livello urbanistico nessun contributo risulta dovuto in capo al privato che ha realizzato il predetto intervento
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Ai sensi dell’art. 42, comma 3, della legge regionale n. 12 del 2005 (“La quota relativa agli oneri di urbanizzazione è corrisposta al comune entro trenta giorni successivi alla presentazione della denuncia di inizio attività, fatta salva la facoltà di rateizzazione”) il termine per esigere tale contributo o richiedere eventuali conguagli si prescrive per decorso del termine decennale.
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Quanto alla pretesa comunale circa la c.d. monetizzazione “parcheggi”, il Collegio concorda con la ricorrente a proposito della decorrenza del termine di prescrizione decennale ancorata alla formazione del titolo edilizio.
Non recando una previsione esplicita l’art. 64, comma 3, della legge regionale n. 12 del 2005 (“Qualora sia dimostrata l’impossibilità, per mancata disponibilità di spazi idonei, ad assolvere tale obbligo, gli interventi sono consentiti previo versamento al comune di una somma pari al costo base di costruzione per metro quadrato di spazio per parcheggi da reperire. Tale somma deve essere destinata alla realizzazione di parcheggi da parte del comune”), è doveroso interpretare la norma nel senso dell’immediata esigibilità della somma, una volta intervenuta l’abilitazione all’esecuzione dell’intervento edilizio, così come già detto per la quota di contributo relativa agli oneri di urbanizzazione.
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Diversa conclusione deve invece predicarsi con riferimento alla quota relativa al costo di costruzione tenuto conto che l’art. 48, comma 7, della legge regionale n. 12 del 2005 –similmente all’art. 16, comma 3, del D.P.R. n. 380 del 2001– stabilisce che “la quota di contributo relativa al costo di costruzione, determinata all’atto del rilascio, ovvero per effetto della presentazione della denuncia di inizio attività, è corrisposta in corso d’opera, con le modalità e le garanzie stabilite dal comune e comunque non oltre sessanta giorni dalla data dichiarata di ultimazione dei lavori” (nel senso della decorrenza del termine di prescrizione del credito relativo al costo di costruzione riferita alla fine lavori o alla diversa data stabilita dall’Amministrazione).
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SENTENZA
1. Con il ricorso in epigrafe, notificato il 27.01.2017 e depositato il 16 febbraio successivo, la società ricorrente ha impugnato il provvedimento del Comune di Milano del 25.10.2016, notificatole il 29.11.2016, con il quale veniva invitata a versare la somma di € 17.236,22, a titolo di conguaglio del contributo di costruzione e di cd. monetizzazione degli spazi destinati a parcheggio, relativamente alla DIA del 12.08.2004 e successive varianti.
2. Ha esposto in fatto la società ricorrente:
   - che la Im.It. s.r.l., sua dante causa, presentava in data 12.08.2004 una DIA finalizzata a “ristrutturazione e ampliamento di un edificio industriale da destinare a residenza, e realizzazione di un parcheggio al piano terra e al piano interrato ad utilizzo della residenza”, da eseguirsi presso l’immobile di proprietà in via ... n. 3;
   - di essere subentrata all’Im.It. e aver presentato, in data 03.05.2006, per il medesimo intervento, una seconda DIA per “ristrutturazione edilizia ed ampliamento edificio”, che comprendeva le seguenti opere: “recupero a fini abitativi di tutto il piano sottotetto dell’immobile in oggetto con la creazione di sei unità immobiliari, rispettando i volumi, gli allineamenti e le finiture dell’edificio originario. Verranno modificate le aperture delle scale e verranno realizzati dei terrazzi praticabili sulla copertura piano dell’edificio, raggiungibile tramite scale a chiocciola esterne”;
   - di avere poi, in data 20.09.2007, depositato una DIA in variante non essenziale per “modifica distribuzione interna, modifica copertura edificio, modifica boxes, nuove canne fumarie”;
   - di aver effettuato, nella medesima data, la dichiarazione di fine lavori, con contestuale richiesta di certificato di agibilità;
   - di aver autoliquidato e corrisposto interamente l’importo del contributo di costruzione (oneri di urbanizzazione e costo di costruzione), nonché di aver provveduto ad asservire a spazi per parcheggio la superficie richiesta in applicazione della normativa allora vigente, il tutto per complessivi € 261.698,00 circa;
   - che durante il procedimento per il rilascio del certificato di agibilità, il Comune procedeva al controllo dei calcoli e dei versamenti operati dalla società relativamente agli oneri di urbanizzazione e al costo di costruzione e rilevava un errore nella superficie dei parcheggi, inferiore di mq. 46,55 rispetto a quella prevista per legge;
   - che il Comune indicava quindi, nel provvedimento del 29.11.2016, la somma complessiva di € 17.236,22 come dovuta dalla società, a titolo di conguaglio, per contributo di costruzione e cd. “monetizzazione parcheggi”, così suddivisi: € 1,21 per oneri di urbanizzazione primaria, € 2,79 per oneri di urbanizzazione secondaria, € 2.240,79 per costo di costruzione ed € 14.991,43 per “monetizzazione parcheggi”;
   - di aver chiesto l’annullamento dell’atto in autotutela, lamentandone l’erroneità e la tardività;
   - di non aver ricevuto riscontro dal Comune.
3. Assumendo l’illegittimità del predetto provvedimento, la ricorrente ha quindi proposto il ricorso in epigrafe, chiedendo l’annullamento dell’atto e l’accertamento dell’insussistenza del diritto di credito del Comune.
...
3. Venendo ora allo scrutinio del merito del ricorso, lo stesso è fondato.
4. Con la prima doglianza, di carattere assorbente, si assume l’illegittimità della pretesa comunale, in quanto il diritto a ottenere il conguaglio del contributo di costruzione e il versamento della monetizzazione degli spazi destinati a parcheggi si sarebbe prescritto per scadenza del termine decennale decorrente dal perfezionamento delle DIA presentate il 12.08.2004 e 03.05.2006, considerato invece che l’ultima DIA del 20.09.2007, quale variante minore non essenziale, non avrebbe determinato alcun aumento del carico urbanistico e, quindi, nessuna variazione in aumento del contributo di costruzione.
4.1. La censura è parzialmente fondata.
4.2. Come già osservato dalla Sezione in una fattispecie analoga alla presente (sentenza 10.05.2018, n. 1242), “va premesso che il titolo edilizio si perfeziona indipendentemente dalla corresponsione degli oneri di urbanizzazione, come si ricava anche dal tenore dell’art. 42, comma 3, della legge regionale n. 12 del 2005 (‘la quota relativa agli oneri di urbanizzazione è corrisposta al comune entro trenta giorni successivi alla presentazione della denuncia di inizio attività, fatta salva la facoltà di rateizzazione’).
A tal fine, si deve richiamare l’art. 42 del D.P.R. n. 380 del 2001 che prevede l’applicazione di una sanzione pecuniaria rapportata all’entità del contributo in caso di mancato pagamento o per il suo ritardo, con la possibilità per i Comuni di tutelarsi mediante la riscossione coattiva (anche se con riferimento al permesso di costruire, cfr. TAR Lombardia, Milano, II, 14.11.2017, n. 2173).
Ciò risulta avallato, oltre che dal dato normativo –art. 44, comma 13, della legge regionale n. 12 del 2005 [‘L’ammontare dell’eventuale maggior somma va sempre riferito ai valori stabiliti dal comune alla data (…) di presentazione della denuncia di inizio attività’]–, altresì dalla giurisprudenza maggioritaria, secondo la quale il momento su cui appuntare l’affidamento della parte istante è quello della presentazione della denuncia, che coincide con il momento perfezionativo per consolidazione postuma e non in quello in cui la stessa acquisterebbe efficacia, trovandosi al cospetto non di un provvedimento amministrativo tacito o implicito, ma semplicemente di un atto del privato, cui va applicata la disciplina legislativa vigente al momento della presentazione della denuncia alla Pubblica Amministrazione (cfr. Consiglio di Stato, IV, 13.05.2013, n. 2593; 04.09.2012, n. 4669; TAR Lombardia, Milano, II, 15.03.2018, n. 730; 04.03.2016, n. 434).
Da ciò discende che i singoli titoli edilizi si sono perfezionati all’atto del loro deposito, una volta trascorso il termine di trenta giorni senza alcun intervento inibitorio dell’Amministrazione.
Quanto alla natura del contributo di costruzione dovuto dal soggetto che intraprenda un’iniziativa edificatoria, lo stesso ‘rappresenta una compartecipazione del privato alla spesa pubblica occorrente alla realizzazione delle opere di urbanizzazione.
In altri termini, fin dalla legge che ha introdotto nell’ordinamento il principio della onerosità del titolo a costruire (art. 1 della legge n. 10 del 1977), la ragione della compartecipazione alla spesa pubblica del privato è da ricollegare sul piano eziologico al surplus di opere di urbanizzazione che l’amministrazione comunale è tenuta ad affrontare in relazione al nuovo intervento edificatorio del richiedente il titolo edilizio’ (Consiglio di Stato, Ad. plen., 07.12.2016, n. 24).
Pertanto, laddove l’intervento edilizio non determini alcun aumento del carico insediativo a livello urbanistico nessun contributo risulta dovuto in capo al privato che ha realizzato il predetto intervento
”.
4.3. Applicando i suesposti principi, che il Collegio condivide, alla fattispecie oggetto di scrutinio nella presente sede, deve evidenziarsi che gli interventi posti in essere dalla società ricorrente che hanno determinato un aumento del carico insediativo sono pacificamente riconducibili esclusivamente alle D.I.A. del 12.08.2004 e del 03.05.2006 e non anche alla DIA del 20.09.2007, avendo avuto quest’ultima ad oggetto interventi di modifica della distribuzione interna degli spazi, non rilevanti né con riguardo al peso insediativo né in relazione alla variazione della destinazione d’uso.
Peraltro, tali elementi non sono stati contestati dalla difesa comunale, la quale ha invece sostenuto che solo al termine dei lavori sia possibile stabilire la corretta e definitiva entità del contributo da versare.
4.4. In sintesi, l’ultimo intervento edilizio comportante un aumento di carico insediativo è quello relativo alla d.i.a. del 03.05.2006 e quindi, ai sensi dell’art. 42, comma 3, della legge regionale n. 12 del 2005 (“La quota relativa agli oneri di urbanizzazione è corrisposta al comune entro trenta giorni successivi alla presentazione della denuncia di inizio attività, fatta salva la facoltà di rateizzazione”), il termine per esigere tale contributo o richiedere eventuali conguagli ha cominciato a decorrere dal 02.06.2006 e si è prescritto il 02.06.2016, per decorso del termine decennale (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 27.09.2017, n. 4515; TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 26.07.2017, n. 1678).
4.5. Quanto, poi, alla pretesa comunale circa la c.d. monetizzazione “parcheggi”, il Collegio concorda con la ricorrente a proposito della decorrenza del termine di prescrizione decennale ancorata alla formazione del titolo edilizio.
Non recando una previsione esplicita l’art. 64, comma 3, della legge regionale n. 12 del 2005 (“Qualora sia dimostrata l’impossibilità, per mancata disponibilità di spazi idonei, ad assolvere tale obbligo, gli interventi sono consentiti previo versamento al comune di una somma pari al costo base di costruzione per metro quadrato di spazio per parcheggi da reperire. Tale somma deve essere destinata alla realizzazione di parcheggi da parte del comune”), è doveroso interpretare la norma nel senso dell’immediata esigibilità della somma, una volta intervenuta l’abilitazione all’esecuzione dell’intervento edilizio, così come già detto per la quota di contributo relativa agli oneri di urbanizzazione.
Anche la pretesa relativa alla cd. “monetizzazione parcheggi” era dunque prescritta alla data di adozione (e a quella successiva di invio) dell’atto contestato.
4.6. Diversa conclusione deve invece predicarsi con riferimento alla quota relativa al costo di costruzione (sulla differenza tra contributo di costruzione e costo di costruzione, cfr. Consiglio di Stato, IV, 28.06.2016, n. 2915), pari ad € 2.240,79, tenuto conto che l’art. 48, comma 7, della legge regionale n. 12 del 2005 –similmente all’art. 16, comma 3, del D.P.R. n. 380 del 2001– stabilisce che “la quota di contributo relativa al costo di costruzione, determinata all’atto del rilascio, ovvero per effetto della presentazione della denuncia di inizio attività, è corrisposta in corso d’opera, con le modalità e le garanzie stabilite dal comune e comunque non oltre sessanta giorni dalla data dichiarata di ultimazione dei lavori” (nel senso della decorrenza del termine di prescrizione del credito relativo al costo di costruzione riferita alla fine lavori o alla diversa data stabilita dall’Amministrazione, cfr. TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 02.05.2018, n. 1183; id., 08.01.2019, n. 32; id, 05.09.2019, n. 1949).
Nel caso di specie, la dichiarazione di fine lavori risale al 20.09.2007 e, quindi, la richiesta comunale di conguaglio del costo di costruzione –datata 25.10.2016 e comunicata alla società il 29.10.2016– risulta tempestiva rispetto al termine prescrizionale decennale che sarebbe scaduto in data successiva.
4.7. Alla luce di quanto sopra, l’ordine di pagamento è illegittimo, per intervenuta prescrizione del relativo credito, quanto alle poste relative a oneri di urbanizzazione primaria e secondaria (€ 1,21 ed € 2,79) e a cd. “monetizzazione parcheggi” (€ 14.991,43). La pretesa comunale è invece tempestiva quanto al credito per conguaglio del costo di costruzione (€ 2.240,79).
4.8. La fondatezza della suesposta censura in relazione alle poste per oneri di urbanizzazione e monetizzazione determina –previo assorbimento del secondo motivo di ricorso, relativo al merito del calcolo della monetizzazione– il parziale accoglimento del ricorso (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 11.08.2020 n. 1561 - link a www.giustizia-amministrativa.it
).

luglio 2020

EDILIZIA PRIVATAIl contributo concessorio (comprendente oneri di urbanizzazione e costo di costruzione) è un’obbligazione giuridica di tipo pubblicistico che sorge con il rilascio della concessione edilizia ed è qualificabile come corrispettivo di diritto pubblico, di natura non tributaria, posto a carico del costruttore a titolo di partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione in proporzione all'insieme dei benefici arrecati al nuovo manufatto.
La disposizione che regola la fattispecie si rinviene all’art. 16 del DPR 380/2001 (rubricato “Contributo per il rilascio del permesso di costruire”), il quale dispone al comma 1 che “Salvo quanto disposto dall'articolo 17, comma 3, il rilascio del permesso di costruire comporta la corresponsione di un contributo commisurato all'incidenza degli oneri di urbanizzazione nonché al costo di costruzione, secondo le modalità indicate nel presente articolo”.
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In linea generale, la partecipazione del privato al costo delle opere di urbanizzazione è dovuta allorquando l’intervento determini un incremento del peso insediativo con un’oggettiva rivalutazione dell’immobile, sicché l'onerosità del permesso di costruire è funzionale a sopportare il carico socio-economico che la realizzazione comporta sotto il profilo urbanistico.
Invero, <<Mentre il costo di costruzione rappresenta una compartecipazione comunale all’incremento di valore della proprietà immobiliare, gli oneri di urbanizzazione svolgono la funzione di compensare la collettività per il nuovo ulteriore carico urbanistico che si riversa sulla zona a causa della consentita attività edificatoria. Essi sono pertanto dovuti nel caso di trasformazioni edilizie che, indipendentemente dall’esecuzione di opere, si rivelino produttive di vantaggi economici per il proprietario, determinando un aumento del carico urbanistico. Tale incremento può derivare anche da una mera modifica della destinazione d’uso di un immobile, mentre può non configurarsi nell’ipotesi di intervento edilizio con opere. … Secondo consolidata e risalente giurisprudenza il fondamento del contributo di urbanizzazione pertanto “non consiste nel titolo edilizio in sé, ma nella necessità di ridistribuire i costi sociali delle opere di urbanizzazione, facendoli gravare su quanti beneficiano delle utilità derivanti dalla presenza delle medesime secondo modalità eque per la comunità con la conseguenza che, anche nel caso di modificazione della destinazione d'uso, cui si correli un maggiore carico urbanistico, è integrato il presupposto che giustifica l'imposizione del pagamento della differenza tra gli oneri di urbanizzazione dovuti per la destinazione originaria e quelli, se più elevati, dovuti per la nuova destinazione impressa.” …>>.
Altresì, “In linea di diritto, mentre la quota del contributo di costruzione commisurata al costo di costruzione risulta ontologicamente connessa alla tipologia e all'entità (superficie e volumetria) dell'intervento edilizio e assolve alla funzione di permettere all'amministrazione comunale il recupero delle spese sostenute dalla collettività di riferimento alla trasformazione del territorio consentita al privato istante (ossia, a compensare la c.d. compartecipazione comunale all'incremento di valore della proprietà immobiliare del costruttore, a seguito della nuova edificazione), la quota del contributo di costruzione commisurata agli oneri di urbanizzazione "assolve alla prioritaria funzione di compensare la collettività per il nuovo ulteriore carico urbanistico che si riversa sulla zona, con la precisazione che per aumento del carico urbanistico deve intendersi tanto la necessità di dotare l'area di nuove opere di urbanizzazione, quanto l'esigenza di utilizzare più intensamente quelle già esistenti".
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Il contributo concessorio è in buona sostanza strettamente connesso all'attività di trasformazione del territorio e quindi, ove tale ultima circostanza non si verifichi, il pagamento risulta privo della causa dell'originaria “obbligazione di dare”, cosicché l'importo versato va restituito; il diritto al rimborso sorge non solamente nel caso in cui la mancata realizzazione delle opere sia totale, ma anche ove il permesso di costruire sia stato utilizzato solo parzialmente: la parziale realizzazione di opere previste nel permesso di costruire non può che comportare una riduzione dell'aggravio del carico urbanistico della zona e manifestare una minore capacità contributiva rispetto all'ipotesi in cui tutte le opere assentite fossero edificate.
Da ciò l'ulteriore corollario che, allorché si dia luogo alla rinuncia al permesso di costruire o questo rimanga inutilizzato, ovvero nelle ipotesi di intervenuta decadenza del titolo edilizio, sorge in capo all’amministrazione, anche ai sensi dell'articolo 2033 c.c. o, comunque, dell'articolo 2041 c.c., l'obbligo di restituzione delle somme corrisposte a titolo di contributo per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione, e il diritto del privato a pretenderne la restituzione.
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In caso di non debenza del contributo di costruzione versato l'’amministrazione comunale è tenuta alla restituzione del quantum indebitamente percepito, oltre agli interessi maturati dalla data di notificazione dell'atto introduttivo del presente giudizio.
Dispone infatti l’art. 2033 c.c. che “chi ha eseguito un pagamento non dovuto ha diritto di ripetere ciò che ha pagato. Ha inoltre diritto ai frutti e agli interessi dal giorno del pagamento, se chi lo ha ricevuto era in mala fede, oppure, se questi era in buona fede, dal giorno della domanda”. In assenza di prova contraria, deve presumersi la buona fede dell’amministrazione comunale.
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La Società ricorrente, che aveva ottenuto il titolo abilitativo per i lavori di ristrutturazione di un edificio ex rurale, censura la pretesa del Comune di esigere il pagamento del contributo di urbanizzazione (i lavori risultano solo parzialmente eseguiti).
La controversia ha quindi ad oggetto un giudizio di accertamento negativo in ordine all’obbligazione pecuniaria relativa al pagamento del contributo, nell’ambito della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo rispetto alla quale gli atti di liquidazione sono privi di contenuto ed effetti provvedimentali (Consiglio di Stato, sez. IV – 01/02/2017 n. 425).
Il gravame è fondato e merita accoglimento, per i motivi di seguito illustrati.
1. Il Collegio richiama anzitutto i principi giurisprudenziali elaborati nella materia controversa, per cui il contributo concessorio (comprendente oneri di urbanizzazione e costo di costruzione) è un’obbligazione giuridica di tipo pubblicistico che sorge con il rilascio della concessione edilizia (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI – 07/02/2017 n. 728) ed è qualificabile come corrispettivo di diritto pubblico, di natura non tributaria, posto a carico del costruttore a titolo di partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione in proporzione all'insieme dei benefici arrecati al nuovo manufatto (Consiglio di Stato, sez. IV – 29/10/2015 n. 4950).
2. La disposizione che regola la fattispecie si rinviene all’art. 16 del DPR 380/2001 (rubricato “Contributo per il rilascio del permesso di costruire”), il quale dispone al comma 1 che “Salvo quanto disposto dall'articolo 17, comma 3, il rilascio del permesso di costruire comporta la corresponsione di un contributo commisurato all'incidenza degli oneri di urbanizzazione nonché al costo di costruzione, secondo le modalità indicate nel presente articolo”.
Nel caso di specie, è pacifica la natura dell’intervento in origine programmato, consistente nella ristrutturazione di un complesso edilizio.
3. Osserva il Collegio che, in linea generale, la partecipazione del privato al costo delle opere di urbanizzazione è dovuta allorquando l’intervento determini un incremento del peso insediativo con un’oggettiva rivalutazione dell’immobile, sicché l'onerosità del permesso di costruire è funzionale a sopportare il carico socio-economico che la realizzazione comporta sotto il profilo urbanistico.
Come ha statuito di recente il TAR Brescia (cfr. sentenza Sezione I – 17/06/2019 n. 574, che non risulta appellata) <<Mentre il costo di costruzione rappresenta una compartecipazione comunale all’incremento di valore della proprietà immobiliare, gli oneri di urbanizzazione svolgono la funzione di compensare la collettività per il nuovo ulteriore carico urbanistico che si riversa sulla zona a causa della consentita attività edificatoria (TAR Piemonte, sez. I, 21.05.2018, n. 630).
Essi sono pertanto dovuti nel caso di trasformazioni edilizie che, indipendentemente dall’esecuzione di opere, si rivelino produttive di vantaggi economici per il proprietario, determinando un aumento del carico urbanistico. Tale incremento può derivare anche da una mera modifica della destinazione d’uso di un immobile, mentre può non configurarsi nell’ipotesi di intervento edilizio con opere. … Secondo consolidata e risalente giurisprudenza il fondamento del contributo di urbanizzazione pertanto “non consiste nel titolo edilizio in sé, ma nella necessità di ridistribuire i costi sociali delle opere di urbanizzazione, facendoli gravare su quanti beneficiano delle utilità derivanti dalla presenza delle medesime secondo modalità eque per la comunità con la conseguenza che, anche nel caso di modificazione della destinazione d'uso, cui si correli un maggiore carico urbanistico, è integrato il presupposto che giustifica l'imposizione del pagamento della differenza tra gli oneri di urbanizzazione dovuti per la destinazione originaria e quelli, se più elevati, dovuti per la nuova destinazione impressa.” (Cons. Stato, Sez. V, 30.08.2013, n. 4326; id. ex multis TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, 04.05.2009, n. 3604; Cons. Stato, Sez. V, 21.12.1994, n. 1563) …
>>. Si richiama, sul punto, la sentenza della sez. I del TAR Brescia – 28/01/2020 n. 75.
3.1 Anche il Consiglio di Stato (cfr. sentenza sez. II – 09/12/2019 n. 8377) ha chiarito che “In linea di diritto, cioè, mentre la quota del contributo di costruzione commisurata al costo di costruzione risulta ontologicamente connessa alla tipologia e all'entità (superficie e volumetria) dell'intervento edilizio e assolve alla funzione di permettere all'amministrazione comunale il recupero delle spese sostenute dalla collettività di riferimento alla trasformazione del territorio consentita al privato istante (ossia, a compensare la c.d. compartecipazione comunale all'incremento di valore della proprietà immobiliare del costruttore, a seguito della nuova edificazione), la quota del contributo di costruzione commisurata agli oneri di urbanizzazione "assolve alla prioritaria funzione di compensare la collettività per il nuovo ulteriore carico urbanistico che si riversa sulla zona, con la precisazione che per aumento del carico urbanistico deve intendersi tanto la necessità di dotare l'area di nuove opere di urbanizzazione, quanto l'esigenza di utilizzare più intensamente quelle già esistenti" (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 07.05.2015, n. 2294; id., 29.08.2019, n. 5964)” (si veda anche Consiglio di Stato, sez. II – 21/10/2019 n. 7119).
4. Il contributo concessorio è in buona sostanza strettamente connesso all'attività di trasformazione del territorio e quindi, ove tale ultima circostanza non si verifichi, il pagamento risulta privo della causa dell'originaria “obbligazione di dare”, cosicché l'importo versato va restituito; il diritto al rimborso sorge non solamente nel caso in cui la mancata realizzazione delle opere sia totale, ma anche ove il permesso di costruire sia stato utilizzato solo parzialmente (Consiglio di Stato, sez. IV – 07/03/2018 n. 1475; TAR Marche – 08/05/2017 n. 348; TAR Lombardia Brescia, sez. II – 02/05/2019 n. 426): la parziale realizzazione di opere previste nel permesso di costruire non può che comportare una riduzione dell'aggravio del carico urbanistico della zona e manifestare una minore capacità contributiva rispetto all'ipotesi in cui tutte le opere assentite fossero edificate (TAR Lombardia Milano, sez. II – 25/11/2019 n. 2492).
5. Da ciò l'ulteriore corollario che, allorché si dia luogo alla rinuncia al permesso di costruire o questo rimanga inutilizzato, ovvero nelle ipotesi di intervenuta decadenza del titolo edilizio, sorge in capo all’amministrazione, anche ai sensi dell'articolo 2033 c.c. o, comunque, dell'articolo 2041 c.c., l'obbligo di restituzione delle somme corrisposte a titolo di contributo per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione, e il diritto del privato a pretenderne la restituzione (Consiglio di Stato, sez. IV – 15/10/2019 n. 7020 e l’ampia giurisprudenza evocata).
6. Se il presupposto dell'onerosità della trasformazione edilizia è costituito dall’incremento di valore della proprietà immobiliare e dal maggior carico urbanistico determinato dall'intervento, nella fattispecie non può dirsi integrato: la Società ha posto in essere una mera attività di demolizione prodromica a una ristrutturazione (mai realizzata) e pertanto il fabbricato non si è arricchito di nuovi elementi ma è stato spogliato di alcune sue parti strutturali.
In questo contesto è fuori luogo il richiamo a una trasformazione, avendo la demolizione investito un manufatto già esistente, senza arrecare un vulnus o comunque una modifica all’assetto del territorio.
7. Per tale motivo, deve essere rigettata la richiesta di subordinare il rimborso alla remissione in pristino dello status quo ante. Nell’invocata pronuncia del TAR Toscana, sez. III – 11/02/2014 n. 288 (che risulta appellata) è stato affermato che “l’Amministrazione comunale può ben vantare una pretesa alla rimessione in pristino, cioè alla eliminazione delle trasformazioni territoriali realizzate e non più sorrette dal permesso di costruire” laddove –pur non essendo state realizzate le opere assentite dal titolo– “siano stati tuttavia posti in essere significativi interventi modificativi del territorio, come sbancamenti e ingenti movimenti terra, propedeutici alle edificazioni poi non realizzate”.
Come già illustrato, nella fattispecie non si registra una manipolazione del territorio rispetto all’assetto preesistente, dal momento che le opere eseguite riguardano l’eliminazione e l’asportazione di porzioni ed elementi dell’edificio.
8. In conclusione, il ricorso deve essere accolto, con l’accertamento della non debenza da parte della Società ricorrente del contributo di costruzione versato e con la condanna dell’amministrazione comunale alla restituzione del quantum indebitamente percepito, oltre agli interessi maturati dalla data di notificazione dell'atto introduttivo del presente giudizio.
Dispone infatti l’art. 2033 c.c. che “chi ha eseguito un pagamento non dovuto ha diritto di ripetere ciò che ha pagato. Ha inoltre diritto ai frutti e agli interessi dal giorno del pagamento, se chi lo ha ricevuto era in mala fede, oppure, se questi era in buona fede, dal giorno della domanda”. In assenza di prova contraria, deve presumersi la buona fede dell’amministrazione comunale (cfr. sentenze TAR Brescia, sez. I – 20/05/2019 n. 499; sez. II – 02/05/2019 n. 426).
Non sussiste alcun ulteriore pregiudizio suscettibile di riparazione, in totale assenza di prova.
9. Il Comune intimato dovrà conseguentemente provvedere –entro 90 giorni dalla comunicazione della presente pronuncia– alla restituzione del quantum dovuto. La somma dovrà essere maggiorata degli interessi, calcolati dalla data di notificazione del ricorso fino al saldo (TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. II, sentenza 31.07.2020 n. 538 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATACome noto, il contributo di costruzione è dovuto dal soggetto che intraprende un’iniziativa edificatoria e rappresenta una compartecipazione del privato alla spesa pubblica occorrente alla realizzazione delle opere di urbanizzazione che hanno spesso portata più ampia rispetto a quelle strettamente necessarie a urbanizzare il nuovo insediamento edilizio.
Il rilascio del titolo edilizio si configura come fatto di per sé costitutivo dell’obbligo giuridico di corrispondere il relativo contributo per oneri di urbanizzazione, ossia per gli oneri affrontati dall’ente locale per le opere indispensabili affinché l’area acquisti attitudine al recepimento dell’insediamento assentito e per le quali l’area acquista un beneficio economicamente rilevante.
La giurisprudenza ha affermato che gli interventi edilizi minori sono gratuiti, per la manutenzione ordinaria e straordinaria degli immobili non viene richiesto il contributo di costruzione ma la nuova costruzione produce, sempre, un incremento del carico urbanistico sull'area di intervento ed è quindi un intervento oneroso.
Sono stati considerati onerosi anche gli interventi che comportano un aumento delle superfici utili di calpestio pur in assenza di aumento di cubatura

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Il Collegio condivide la ricostruzione del Comune.
Come noto, il contributo di costruzione è dovuto dal soggetto che intraprende un’iniziativa edificatoria e rappresenta una compartecipazione del privato alla spesa pubblica occorrente alla realizzazione delle opere di urbanizzazione che hanno spesso portata più ampia rispetto a quelle strettamente necessarie a urbanizzare il nuovo insediamento edilizio.
Il rilascio del titolo edilizio si configura come fatto di per sé costitutivo dell’obbligo giuridico di corrispondere il relativo contributo per oneri di urbanizzazione, ossia per gli oneri affrontati dall’ente locale per le opere indispensabili affinché l’area acquisti attitudine al recepimento dell’insediamento assentito e per le quali l’area acquista un beneficio economicamente rilevante.
La giurisprudenza ha affermato che gli interventi edilizi minori sono gratuiti, per la manutenzione ordinaria e straordinaria degli immobili non viene richiesto il contributo di costruzione ma la nuova costruzione produce, sempre, un incremento del carico urbanistico sull'area di intervento ed è quindi un intervento oneroso.
Sono stati considerati onerosi anche gli interventi che comportano un aumento delle superfici utili di calpestio (cfr., Corte di giustizia amministrativa sentenza 05.09.2013, n. 741) pur in assenza di aumento di cubatura (cfr., Consiglio di Stato, Sez. V, n. 999/1999) (TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. II, sentenza 31.07.2020 n. 530 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Natura del contributo di concessione.
Il contributo di costruzione –previsto dall’art. 16 del D.P.R. n. 380 del 2001 e articolato nelle due voci inerenti agli oneri di urbanizzazione e al costo di costruzione– gravante sul soggetto che intraprenda un’iniziativa edificatoria «rappresenta una compartecipazione del privato alla spesa pubblica occorrente alla realizzazione delle opere di urbanizzazione. In altri termini, fin dalla legge che ha introdotto nell’ordinamento il principio della onerosità del titolo a costruire (art. 1 della legge n. 10 del 1977), la ragione della compartecipazione alla spesa pubblica del privato è da ricollegare sul piano eziologico al surplus di opere di urbanizzazione che l’amministrazione comunale è tenuta ad affrontare in relazione al nuovo intervento edificatorio del richiedente il titolo edilizio».
Più nello specifico, gli oneri di urbanizzazione, di natura latamente corrispettiva, hanno la funzione di compensare la collettività per il nuovo ulteriore carico urbanistico che si riversa sulla zona a causa della consentita attività edificatoria, mentre il costo di costruzione è stato configurato alla stregua di una prestazione di natura pubblica, determinata tenendo conto della produzione di ricchezza generata dallo sfruttamento del territorio, ovvero quale compartecipazione comunale all’incremento di valore della proprietà immobiliare del costruttore.
Il contributo di costruzione è un corrispettivo di diritto pubblico, proprio per il fondamentale principio dell’onerosità del titolo edilizio recepito dall’art. 16 del D.P.R. n. 380 del 2001 (cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 64 del 10.04.2020), e come tale, benché esso non sia legato da un rigido vincolo di sinallagmaticità rispetto del rilascio del permesso di costruire, rientra anche, e coerentemente, nel novero delle prestazioni patrimoniali imposte di cui all’art. 23 Cost..
La debenza del contributo di costruzione, di conseguenza, è direttamente correlata all’effettiva trasformazione urbanistica ed edilizia e quindi al concreto impatto che la stessa determina sul territorio.
Pertanto, “qualora il privato rinunci o non utilizzi il permesso di costruire, sorge in capo all’amministrazione, ex art. 2033 cod. civ., l’obbligo di restituzione delle somme corrisposte a titolo di contributo per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione nonché, conseguentemente, il diritto del privato a pretenderne la restituzione; con la precisazione che il diritto alla restituzione sorge non solamente nel caso in cui la mancata realizzazione delle opere sia totale, ma anche ove il permesso di costruire sia stato utilizzato solo parzialmente"
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4. La parte ricorrente assume la fondatezza della richiesta di restituzione, rivolta al Comune di Milano, degli importi da essa versati in eccesso a titolo di oneri di urbanizzazione, in relazione ad un intervento edilizio riguardante il fabbricato “D” situato nel complesso edilizio di Via Noto n. 10 a Milano.
Nello specifico, a fronte dell’iniziale realizzazione (avviata con d.i.a. del 29.06.2009: all. 1 al ricorso) di un intervento di “demolizione e nuova costruzione di edificio a destinazione direzionale/industriale a saturazione di slp” –nello specifico 1.849,53 mq di s.l.p. con destinazione direzionale e commerciale e 333,15 mq di s.l.p. con destinazione industriale e artigianale (all. 5 al ricorso)–, cui ha fatto seguito il versamento della complessiva somma di € 889.689,98 (di cui € 423.374,00 per oneri di urbanizzazione primaria, € 332.705,91, per oneri di urbanizzazione secondaria, e € 133.610,08, per quota costo di costruzione: all. 8 al ricorso), la ricorrente ha deciso, prima del termine dei lavori, dichiarati con la s.c.i.a. del 19.07.2017 (all. 7 al ricorso), di cambiare la destinazione dell’intero immobile e renderlo interamente residenziale (con dd.ii.aa. 30.07.2014 e 03.08.2015).
Le originarie destinazioni –ossia direzionale e commerciale e industriale e artigianale– non sono mai state concretamente attuate, visto che, prima della conclusione dei lavori, all’intero immobile è stata impressa una destinazione residenziale.
5. La pretesa formulata dalla parte ricorrente è fondata.
Va premesso che il contributo di costruzione –previsto dall’art. 16 del D.P.R. n. 380 del 2001 e articolato nelle due voci inerenti agli oneri di urbanizzazione e al costo di costruzione– gravante sul soggetto che intraprenda un’iniziativa edificatoria «rappresenta una compartecipazione del privato alla spesa pubblica occorrente alla realizzazione delle opere di urbanizzazione. In altri termini, fin dalla legge che ha introdotto nell’ordinamento il principio della onerosità del titolo a costruire (art. 1 della legge n. 10 del 1977), la ragione della compartecipazione alla spesa pubblica del privato è da ricollegare sul piano eziologico al surplus di opere di urbanizzazione che l’amministrazione comunale è tenuta ad affrontare in relazione al nuovo intervento edificatorio del richiedente il titolo edilizio» (Consiglio di Stato, Ad. plen., 07.12.2016, n. 24; altresì Ad. plen., 30.08.2018, n. 12; TAR Lombardia, Milano, II, 15.05.2020, n. 828).
Più nello specifico, gli oneri di urbanizzazione, di natura latamente corrispettiva, hanno la funzione di compensare la collettività per il nuovo ulteriore carico urbanistico che si riversa sulla zona a causa della consentita attività edificatoria, mentre il costo di costruzione è stato configurato alla stregua di una prestazione di natura pubblica, determinata tenendo conto della produzione di ricchezza generata dallo sfruttamento del territorio, ovvero quale compartecipazione comunale all’incremento di valore della proprietà immobiliare del costruttore (ex multis, Consiglio di Stato, II, 09.12.2019, n. 8377; V, 21.11.2018, n. 6592).
Il contributo di costruzione è un corrispettivo di diritto pubblico, proprio per il fondamentale principio dell’onerosità del titolo edilizio recepito dall’art. 16 del D.P.R. n. 380 del 2001 (cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 64 del 10.04.2020), e come tale, benché esso non sia legato da un rigido vincolo di sinallagmaticità rispetto del rilascio del permesso di costruire, rientra anche, e coerentemente, nel novero delle prestazioni patrimoniali imposte di cui all’art. 23 Cost. (Consiglio di Stato, Ad. plen., 30.08.2018, n. 12; IV, 07.11.2017, n. 5133).
La debenza del contributo di costruzione, di conseguenza, è direttamente correlata all’effettiva trasformazione urbanistica ed edilizia e quindi al concreto impatto che la stessa determina sul territorio.
Pertanto, “qualora il privato rinunci o non utilizzi il permesso di costruire, sorge in capo all’amministrazione, ex art. 2033 cod. civ., l’obbligo di restituzione delle somme corrisposte a titolo di contributo per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione nonché, conseguentemente, il diritto del privato a pretenderne la restituzione; con la precisazione che il diritto alla restituzione sorge non solamente nel caso in cui la mancata realizzazione delle opere sia totale, ma anche ove il permesso di costruire sia stato utilizzato solo parzialmente” (TAR Lombardia, Milano, II, 07.01.2016, n. 12; altresì, TAR Lombardia, Brescia, II, 02.05.2019, n. 426; TAR Puglia, Bari, III, 03.04.2018, n. 488; TAR Lombardia, Milano, II, 01.03.2017; n. 496; TAR Sicilia, Catania, II, 27.01.2017, n. 189) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 23.07.2020 n. 1418 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: Il Cds ha statuito che "Esiste una differenza ontologica tra l’istituto giuridico della monetizzazione e quello relativo al contributo di costruzione.
Il primo attiene infatti alla disciplina del territorio e dunque può essere attratto nelle previsioni di cui all’art. 12, comma 3, T.U. edilizia e della corrispondente normativa regionale (nel caso di specie, la legge regionale della Lombardia n. 12/2005).
In sostanza, la monetizzazione è un elemento essenziale della validità del titolo edilizio, mentre il contributo di costruzione opera sul piano dell’efficacia all’interno del rapporto paritetico fra Amministrazione e contribuente.
Gli atti con i quali l’Amministrazione comunale determina o ridetermina il contributo di costruzione, di cui all’art. 16 T.U. edilizia, hanno infatti natura privatistica, con la conseguenza che l’obbligazione di corrispondere il contributo nasce nel momento in cui viene rilasciato il titolo ed è a tale momento che occorre aver riguardo per la determinazione dell’entità dello stesso.
La monetizzazione sostitutiva della cessione degli standard afferisce, invece, al reperimento delle aree necessarie alla realizzazione delle opere di urbanizzazione all'interno della specifica zona di intervento e deve considerare la vicenda edilizia così come concretamente si è manifestata.
In tale quadro, deve quindi ritenersi che operino le misure di salvaguardia in quanto finalizzate ad evitare l'immediata realizzazione di interventi che ledano le scelte programmatorie del Comune, anche sotto il profilo degli standard”.
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Il Collegio ritiene di dover prendere atto dei principi espressi dal Consiglio di Stato che, nel distinguere tra contributo di costruzione e clausola di monetizzazione di standard, rimarca che quest’ultima ha una diretta e immediata incidenza urbanistica e, avendo tale natura, segue la disciplina dello strumento urbanistico, anche in relazione all’applicazione delle misure di salvaguardia.
Deve essere infatti evidenziato che la stessa è definita dallo strumento urbanistico generale e trattasi, in sostanza, di una previsione di dotazione di standard che viene tradotta in equivalente monetario, essendo a priori noto che la dotazione non potrà essere soddisfatta.
Natura diversa ha invece il contributo di costruzione che, essendo definito sulla base di parametri regolamentari estranei al PGT, è insensibile rispetto alle variazioni dello strumento urbanistico medesimo.
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1.4. Venendo ora all’applicazione delle misure di salvaguardia per la disciplina della cd. monetizzazione, si è già evidenziato in sede cautelare che la questione delle modalità di calcolo dell’aggravio di standard dovuto per modificazioni delle destinazioni d’uso assentite con titoli edilizi presentati nel periodo compreso tra l’adozione e la definitiva approvazione del PGT del 2012, quindi con perdurante vigenza del PRG precedente, è stata affrontata dalla Sezione con la sentenza n. 2039 del 31.08.2018.
In quel caso, analogo al presente, il TAR aveva ritenuto che la monetizzazione degli standard, al pari della determinazione del contributo di costruzione, dovesse avvenire in base alla normativa vigente all’atto di formazione del titolo edilizio e che le norme contenute nel nuovo strumento urbanistico generale –solo adottato–, volte a disciplinare il conferimento dello standard, non potessero essere oggetto di applicazione in salvaguardia.
1.5. Tuttavia la pronuncia predetta è stata riformata in appello, con la sentenza n. 1436 del 27.02.2020.
Ha evidenziato il Consiglio di Stato che “Esiste una differenza ontologica tra l’istituto giuridico della monetizzazione e quello relativo al contributo di costruzione (cfr. Cons Stato, sez. V, n. 4417 del 2016; sez. IV, n. 1820 del 2014 e n. 6211 del 2013).
13.1. Il primo attiene infatti alla disciplina del territorio e dunque può essere attratto nelle previsioni di cui all’art. 12, comma 3, T.U. edilizia e della corrispondente normativa regionale (nel caso di specie, la legge regionale della Lombardia n. 12/2005, arg. da Cons. Stato, sez. IV, n. 4058 del 2018).
13.2. In sostanza, la monetizzazione è un elemento essenziale della validità del titolo edilizio, mentre il contributo di costruzione opera sul piano dell’efficacia all’interno del rapporto paritetico fra Amministrazione e contribuente.
13.3. Gli atti con i quali l’Amministrazione comunale determina o ridetermina il contributo di costruzione, di cui all’art. 16 T.U. edilizia, hanno infatti natura privatistica (cfr. Cons. Stato, Ad. plen., n. 12 del 2018), con la conseguenza che l’obbligazione di corrispondere il contributo nasce nel momento in cui viene rilasciato il titolo ed è a tale momento che occorre aver riguardo per la determinazione dell’entità dello stesso (cfr. Cons. Stato, sez. IV, n. 5412 del 2015 e n. 6202 del 2019).
13.4. La monetizzazione sostitutiva della cessione degli standard afferisce, invece, al reperimento delle aree necessarie alla realizzazione delle opere di urbanizzazione all'interno della specifica zona di intervento e deve considerare, come ha fatto il Comune di Milano, la vicenda edilizia così come concretamente si è manifestata.
13.5. In tale quadro, deve quindi ritenersi che operino le misure di salvaguardia in quanto finalizzate ad evitare l'immediata realizzazione di interventi che ledano le scelte programmatorie del Comune, anche sotto il profilo degli standard
”.
1.6. Il Collegio ritiene, anche per oggettive esigenze di uniformità della giurisprudenza in materia, di dover prendere atto dei principi espressi dal Consiglio di Stato che, nel distinguere tra contributo di costruzione e clausola di monetizzazione di standard, rimarca che quest’ultima ha una diretta e immediata incidenza urbanistica e, avendo tale natura, segue la disciplina dello strumento urbanistico, anche in relazione all’applicazione delle misure di salvaguardia.
Deve essere infatti evidenziato che la stessa è definita dallo strumento urbanistico generale e trattasi, in sostanza, di una previsione di dotazione di standard che viene tradotta in equivalente monetario, essendo a priori noto che la dotazione non potrà essere soddisfatta.
Natura diversa ha invece il contributo di costruzione che, essendo definito sulla base di parametri regolamentari estranei al PGT, è insensibile rispetto alle variazioni dello strumento urbanistico medesimo (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 20.07.2020 n. 1389 - link a www.giustizia-amministrativa.it
).

EDILIZIA PRIVATAL’azione volta alla declaratoria di insussistenza o diversa entità del debito contributivo per oneri di urbanizzazione può essere intentata a prescindere dall'impugnazione o esistenza dell'atto con il quale viene richiesto il pagamento, trattandosi di un giudizio di accertamento di un rapporto obbligatorio pecuniario, e quindi avente ad oggetto diritti soggettivi; il relativo ricorso può essere proposto nel termine prescrizionale dinanzi al giudice amministrativo attesa la sua cognizione esclusiva ex art. 133, comma 1, lett. f), c.p.a..
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Il contributo per gli oneri di urbanizzazione, per quanto non abbia natura tributaria, costituisce, comunque, un corrispettivo di diritto pubblico posto a carico del costruttore, connesso al rilascio della concessione edilizia, a titolo di partecipazione del concessionario ai costi delle opere di urbanizzazione in proporzione all’insieme dei benefici che la nuova costruzione ne ritrae, e che «per la determinazione di esso deve essere fatto necessario ed esclusivo riferimento alle norme di legge che regolano i relativi criteri di conteggio, norme che vanno rigorosamente rispettate anche in osservanza del principio di cui all’art. 23 della Costituzione, secondo il quale nessuna prestazione patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge».
L’affermazione secondo cui il contributo di costruzione costituisce una prestazione patrimoniale imposta e rientra a tale titolo nell’ambito dei rapporti di diritto pubblico in quanto necessariamente legata al rilascio del titolo edilizio, tuttavia, non comporta ex se che i relativi atti di determinazione abbiano necessariamente carattere autoritativo, si colorino, per così dire, di imperatività e siano espressione di potestà pubblicistica. Il privato che intende ottenere il permesso di costruire ha avanti a sé la scelta di corrispondere il contributo di costruzione o di rinunciare al rilascio del titolo. Effettuata questa scelta, che comporta la necessaria corresponsione del corrispettivo di diritto pubblico, il pagamento di questo, esclusa pacificamente la sua natura tributaria, non può che costituire l’oggetto di un ordinario rapporto obbligatorio, disciplinato dalle norme di diritto privato, come prescrive l’art. 1, comma 1-bis, della l. n. 241 del 1990, salvo che la legge disponga diversamente.
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Considerato che il pagamento del contributo di costruzione costituisce oggetto di un ordinario rapporto obbligatorio, a ciò consegue la non necessità di impugnazione della nota avente ad oggetto la restituzione della somma versata e la sua quantificazione, nonché la rateizzazione del debito, stabilita unilateralmente dal Comune, non avendo l’atto natura autoritativa nemmeno sotto tale profilo.
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Il “contributo di costruzione, essendo strettamente connesso al concreto esercizio della facoltà di costruire, non è dovuto in caso di rinuncia o di mancato utilizzo del titolo edificatorio. Conseguentemente, allorché il privato rinunci al permesso di costruire o non lo utilizzi, ovvero in ipotesi di intervenuta decadenza del titolo edilizio, sorge in capo alla p.a., anche ai sensi dell’articolo 2033 c.c. o, comunque, dell’articolo 2041 c.c., l’obbligo di restituzione delle somme corrisposte a titolo di contributo per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione, e conseguentemente il diritto del privato a pretenderne la restituzione […] La giurisprudenza ha poi avuto modo di chiarire che il diritto alla restituzione del contributo di costruzione sorge non solamente nel caso in cui la mancata realizzazione delle opere sia totale, ma anche ove il permesso di costruire sia stato utilizzato solo parzialmente”.
In altre parole, “la quantificazione degli oneri di concessione effettuata dal Comune non è espressione di alcun potere autoritativo, bensì si configura come esercizio vincolato, di attribuzioni da esercitarsi sulla base di tabelle parametriche: la quantificazione dell'importo dovuto è atto paritetico” e “la controversia attinente alla spettanza e liquidazione del contributo per gli oneri di urbanizzazione […] ha infatti ad oggetto l'accertamento di un rapporto di credito a prescindere dall'esistenza di atti della pubblica amministrazione e non è soggetta alle regole delle azioni impugnatorie-annullatorie degli atti amministrativi”.
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In relazione alla condizione sospensiva alla restituzione, posta nella nota comunale, ovverosia la richiesta di rinuncia all’azione (pendente innanzi al Consiglio di Stato, deve ritenersi che non sia necessaria una preventiva formale rinuncia all’azione (e quindi la condizione opposta dall’amministrazione è illegittima), in quanto, da un lato, la società ha già dichiarato formalmente al Comune di non avere più interesse alcuno alla realizzazione dell’impianto e che presenterà, successivamente alla restituzione, la rinuncia all’azione (pertanto tale dichiarazione rileverà eventualmente nel giudizio pendente) e, dall’altro lato, il Comune ha già accertato l’intervenuta decadenza dal titolo edilizio con un provvedimento che, sebbene impugnato, è efficace ed esecutivo (in assenza di sospensione cautelare).
Come noto, il dies a quo del diritto alla restituzione del contributo di costruzione a suo tempo versato va fatto decorrere proprio dalla data in cui il titolare comunica all'amministrazione la propria intenzione di rinunciare al titolo abilitativo o dalla data di adozione da parte dell'Amministrazione medesima del provvedimento che dichiara la decadenza del permesso di costruire per scadenza dei termini iniziali o finali.

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Circa
la formale richiesta, trasmessa a mezzo pec al Comune, della restituzione del contributo versato, ai sensi dell’art. 2033 c.c., chi ha eseguito un pagamento non dovuto ha diritto agli interessi dal giorno della domanda (per il caso in cui, come nella specie, chi ha ricevuto il pagamento fosse in buona fede).
Sul significato da attribuire al termine “domanda”, come chiarito dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, “l’obbligo della corresponsione degli interessi da parte dell’accipiens in buona fede (quale debitore dell’indebito percepito) può decorrere da data antecedente a quella dell’instaurazione del giudizio, ove sia stata preceduta da uno specifico atto di costituzione in mora, dovendo il termine ‘domanda’ di cui all’art. 2033 c.c. essere inteso come riferito non esclusivamente alla domanda giudiziale ma, anche, agli atti stragiudiziali di cui all’art. 1219 c.c.”.
Va precisato inoltre che la domanda di pagamento degli interessi legali e quella di pagamento degli interessi moratori sono coincidenti quanto alla loro misura (infatti gli interessi moratori spettano, ai sensi dell’art. 1224 c.c. nella misura degli interessi legali) e detti interessi spettano, nella misura del saggio degli interessi legali dalla
data coincide con quella della formale richiesta sino alla data di adempimento.
Non è invece dovuta la rivalutazione monetaria, essendo l’indebito oggettivo (di cui all’art. 2033 c.c.) un debito di valuta (e non essendo stata dimostrata, nel caso di specie, la sussistenza del maggior danno ai sensi dell'art. 1224, secondo comma, cod. civ.).

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1. In via preliminare, deve essere chiarito che la nota comunale del 20.12.2017 non ha valore provvedimentale, sicché la domanda di accertamento del credito può essere analizzata senza il previo “annullamento e/o disapplicazione” della nota medesima, proposta in via prudenziale (sopra riportata sub vi).
Come condivisibilmente ritenuto dal Consiglio di Stato (cfr., ex plurimis, Sez. IV, 30.08.2018, n. 5096), “l’azione volta alla declaratoria di insussistenza o diversa entità del debito contributivo per oneri di urbanizzazione può essere intentata a prescindere dall'impugnazione o esistenza dell'atto con il quale viene richiesto il pagamento, trattandosi di un giudizio di accertamento di un rapporto obbligatorio pecuniario, e quindi avente ad oggetto diritti soggettivi; il relativo ricorso può essere proposto nel termine prescrizionale dinanzi al giudice amministrativo attesa la sua cognizione esclusiva ex art. 133, comma 1, lett. f), c.p.a.”.
Deve inoltre richiamarsi la pronuncia dell’Adunanza Plenaria n. 12 del 30.08.2018, la quale ha ribadito che “il contributo per gli oneri di urbanizzazione, per quanto non abbia natura tributaria, costituisce, comunque, un corrispettivo di diritto pubblico posto a carico del costruttore, connesso al rilascio della concessione edilizia, a titolo di partecipazione del concessionario ai costi delle opere di urbanizzazione in proporzione all’insieme dei benefici che la nuova costruzione ne ritrae, e che «per la determinazione di esso deve essere fatto necessario ed esclusivo riferimento alle norme di legge che regolano i relativi criteri di conteggio, norme che vanno rigorosamente rispettate anche in osservanza del principio di cui all’art. 23 della Costituzione, secondo il quale nessuna prestazione patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge» (Cons. St., sez. V, 21.04.2006, n. 2228).
L’affermazione secondo cui il contributo di costruzione costituisce una prestazione patrimoniale imposta e rientra a tale titolo nell’ambito dei rapporti di diritto pubblico in quanto necessariamente legata al rilascio del titolo edilizio, tuttavia, non comporta ex se che i relativi atti di determinazione abbiano necessariamente carattere autoritativo, si colorino, per così dire, di imperatività e siano espressione di potestà pubblicistica. Il privato che intende ottenere il permesso di costruire ha avanti a sé la scelta di corrispondere il contributo di costruzione o di rinunciare al rilascio del titolo. Effettuata questa scelta, che comporta la necessaria corresponsione del corrispettivo di diritto pubblico, il pagamento di questo, esclusa pacificamente la sua natura tributaria, non può che costituire l’oggetto di un ordinario rapporto obbligatorio, disciplinato dalle norme di diritto privato, come prescrive l’art. 1, comma 1-bis, della l. n. 241 del 1990, salvo che la legge disponga diversamente
”.
Considerato che il pagamento del contributo di costruzione costituisce oggetto di un ordinario rapporto obbligatorio, a ciò consegue la non necessità di impugnazione della nota avente ad oggetto la restituzione della somma versata e la sua quantificazione, nonché la rateizzazione del debito, stabilita unilateralmente dal Comune, non avendo l’atto natura autoritativa nemmeno sotto tale profilo.
2. Venendo ora al merito del giudizio, si ritiene, in ordine logico, di esaminare anzitutto la domanda di accertamento del diritto alla restituzione, senza dilazione, di quanto corrisposto a titolo di oneri di urbanizzazione e contributo smaltimento rifiuti per € 1.067.629,31 (sopra sintetizzata sub i) e quella, ad essa connessa, di annullamento dell’art. 13 del regolamento edilizio comunale (sopra riportata sub vii).
La domanda di accertamento, evidentemente funzionale alla successiva domanda di condanna alla restituzione della somma, è fondata.
2.1. Va evidenziato che non è in contestazione nel presente giudizio l’esistenza di un diritto di credito relativo alla restituzione di quanto integralmente corrisposto a titolo di contributo di costruzione.
È dunque appena il caso di evidenziare che, come già affermato da questo Tribunale (cfr. TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 01.03.2017, n. 496), il “contributo di costruzione, essendo strettamente connesso al concreto esercizio della facoltà di costruire, non sia dovuto in caso di rinuncia o di mancato utilizzo del titolo edificatorio. Conseguentemente, allorché il privato rinunci al permesso di costruire o non lo utilizzi, ovvero in ipotesi di intervenuta decadenza del titolo edilizio, sorge in capo alla p.a., anche ai sensi dell’articolo 2033 c.c. o, comunque, dell’articolo 2041 c.c., l’obbligo di restituzione delle somme corrisposte a titolo di contributo per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione, e conseguentemente il diritto del privato a pretenderne la restituzione […] La giurisprudenza ha poi avuto modo di chiarire che il diritto alla restituzione del contributo di costruzione sorge non solamente nel caso in cui la mancata realizzazione delle opere sia totale, ma anche ove il permesso di costruire sia stato utilizzato solo parzialmente”.
In altre parole, “la quantificazione degli oneri di concessione effettuata dal Comune non è espressione di alcun potere autoritativo, bensì si configura come esercizio vincolato, di attribuzioni da esercitarsi sulla base di tabelle parametriche: la quantificazione dell'importo dovuto è atto paritetico (cfr., da ultimo, Cons. Stato, ad. Plen n. 12 del 2018)” e “la controversia attinente alla spettanza e liquidazione del contributo per gli oneri di urbanizzazione […] ha infatti ad oggetto l'accertamento di un rapporto di credito a prescindere dall'esistenza di atti della pubblica amministrazione e non è soggetta alle regole delle azioni impugnatorie-annullatorie degli atti amministrativi” (cfr., ex plurimis, Consiglio di Stato, Sez. II, 25.05.2020, n. 3327).
2.7. Infine, in relazione alla condizione sospensiva alla restituzione, posta nella nota comunale, ovverosia la richiesta di rinuncia all’azione (pendente innanzi al Consiglio di Stato con R.G. n. 3122/2016), deve ritenersi che non sia necessaria una preventiva formale rinuncia all’azione (e quindi la condizione opposta dall’amministrazione è illegittima), in quanto, da un lato, la società ha già dichiarato formalmente al Comune di non avere più interesse alcuno alla realizzazione dell’impianto e che presenterà, successivamente alla restituzione, la rinuncia all’azione (pertanto tale dichiarazione rileverà eventualmente nel giudizio pendente) e, dall’altro lato, il Comune ha già accertato l’intervenuta decadenza dal titolo edilizio con un provvedimento che, sebbene impugnato, è efficace ed esecutivo (in assenza di sospensione cautelare).
Come noto, il dies a quo del diritto alla restituzione del contributo di costruzione a suo tempo versato va fatto decorrere proprio dalla data in cui il titolare comunica all'amministrazione la propria intenzione di rinunciare al titolo abilitativo o dalla data di adozione da parte dell'Amministrazione medesima del provvedimento che dichiara la decadenza del permesso di costruire per scadenza dei termini iniziali o finali (cfr., ex plurimis, TAR Lazio, Roma, Sez. II, 08.01.2020, n. 134).
...
5. Devono essere ora essere esaminate le domande (sintetizzate sub iii e v) di accertamento del diritto e condanna al pagamento degli “interessi legali” nella misura pro tempore vigente sulle predette richieste, dalla data del 22.11.2017 sino alla data della domanda giudiziale e degli “interessi moratori” dalla data della domanda giudiziale.
Come già evidenziato in narrativa, la data del 22.11.2017 coincide con quella della formale richiesta, trasmessa a mezzo pec al Comune da parte della società, della restituzione del contributo versato.
Ai sensi dell’art. 2033 c.c., chi ha eseguito un pagamento non dovuto ha diritto agli interessi dal giorno della domanda (per il caso in cui, come nella specie, chi ha ricevuto il pagamento fosse in buona fede). Sul significato da attribuire al termine “domanda”, come chiarito dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (cfr. Cass. civ., Sez. un., 13.06.2019, n. 15895), “l’obbligo della corresponsione degli interessi da parte dell’accipiens in buona fede (quale debitore dell’indebito percepito) può decorrere da data antecedente a quella dell’instaurazione del giudizio, ove sia stata preceduta da uno specifico atto di costituzione in mora, dovendo il termine ‘domanda’ di cui all’art. 2033 c.c. essere inteso come riferito non esclusivamente alla domanda giudiziale ma, anche, agli atti stragiudiziali di cui all’art. 1219 c.c.” (cfr. anche, nello stesso senso, TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 30.04.2020, n. 720).
Pertanto, la domanda di condanna al pagamento degli interessi a decorrere dal 22.11.2017 deve essere accolta, integrando la nota i requisiti di cui all’art. 1219 c.c. (intimazione di pagamento fatta per iscritto, nel caso di specie trasmessa a mezzo pec).
Precisato inoltre che la domanda di pagamento degli interessi legali e quella di pagamento degli interessi moratori sono coincidenti quanto alla loro misura (infatti gli interessi moratori spettano, ai sensi dell’art. 1224 c.c. nella misura degli interessi legali), in accoglimento delle domande sopra sintetizzate sub iii e v, detti interessi spettano, nella misura del saggio degli interessi legali, dal 22.11.2017 sino alla data di adempimento.
6. Non è invece dovuta la rivalutazione monetaria (domanda sub iv), essendo l’indebito oggettivo (di cui all’art. 2033 c.c.) un debito di valuta (cfr., ex plurimis, Cassazione civile, sez. lav., 20.12.1996, n. 11440 e TAR Lombardia, Milano, Sez, II, 07.01.2016, n. 12) e non essendo stata dimostrata la sussistenza del maggior danno ai sensi dell'art. 1224, secondo comma, cod. civ.
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 07.07.2020 n. 1293 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALe controversie attinenti alla determinazione e liquidazione degli oneri concessori (costo di costruzione e oneri di urbanizzazione), sono riconducibili a quegli aspetti dell’uso del territorio costituenti prerogativa della P.A., e per questo riservate alla giurisdizione esclusiva del G.A., ai sensi dell'art. 133, comma 1, lett. f), c.p.a..
Peraltro, ai sensi dell'art. 133, comma 1, lett. f), c.p.a., rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo anche la controversia avente ad oggetto la cartella di pagamento emessa da Equitalia Servizi di Riscossione spa ed avente ad oggetto somme dovute per oneri concessori, nel corso della quale non vengano dedotte censure derivanti da atti generali autoritativi relativi alla determinazione degli oneri presupposti di quello impugnato; atteso anche che detti oneri non hanno natura tributaria, bensì costituiscono un corrispettivo di diritto pubblico avente la funzione di partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione.
Ancora, si è rilevato che le controversie in materia di determinazione e pagamento degli oneri concessori, investendo l’esistenza o l’entità di un’obbligazione legale, concernono diritti soggettivi, con la conseguenza che la relativa domanda non soggiace al regime di decadenza proprio del processo di impugnazione, ma può essere proposta nel termine di prescrizione ordinaria ed indipendentemente dall’impugnazione di eventuali atti.
In particolare, si è osservato che gli atti emessi nella materia degli oneri concessori dal Comune non presentano carattere autoritativo, e, quindi, attitudine a divenire incontestabili se non impugnati nel termine decadenziale di gg. 60 (come accade, invece, per i provvedimenti amministrativi), tanto più che –come già detto– non ha natura tributaria l’obbligazione riguardante gli oneri in parola, per cui sul punto non può neppure parlarsi di atti di accertamento (suscettibili di far divenire incontestabile la pretesa, se non impugnati nei termini), ancorché vi sia stata emissione di ordinanza ingiunzione ex R.D. 14.04.1910 n. 639 (posto che, comunque, la giurisdizione viene determinata sulla base della tipologia della pretesa fatta valere con tale mezzo di riscossione, per cui si applicano in definitiva le regole del giudice fornito di giurisdizione: ma nella fattispecie vi è giurisdizione esclusiva e le posizioni sono di diritto/obbligo, cosicché il termine per impugnare l’ingiunzione –cui è riconoscibile valore di atto amministrativo paritetico– è quello decennale di prescrizione ordinaria).
Quindi, si è sottolineato come l’azione volta alla declaratoria di insussistenza o diversa entità del debito contributivo per oneri concessori possa essere intentata a prescindere dalla impugnazione o esistenza dell’atto con il quale viene richiesto il pagamento, trattandosi di un giudizio di accertamento di un rapporto obbligatorio pecuniario proponibile nel termine di prescrizione, e pur dopo decorsi i termini per opporsi all’ingiunzione ex R.D. 14.04.1910 n. 639, ovvero ad una cartella di pagamento -essendo questi meri strumenti per procedere ad esecuzione coattiva-..
Va, quindi, affermata la sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo anche nel caso di specie in cui è stato impugnato l’atto di ingiunzione fiscale emesso concessionaria del Comune per la gestione delle entrate comunali.
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Il ricorso è in parte fondato nei sensi di cui si dirà.
In via preliminare deve essere richiamato l’orientamento della Sezione in materia (da ultimo n. 1872/2020).
Si è, infatti, osservato che le controversie attinenti alla determinazione e liquidazione degli oneri concessori (costo di costruzione e oneri di urbanizzazione), sono riconducibili a quegli aspetti dell’uso del territorio costituenti prerogativa della P.A., e per questo riservate alla giurisdizione esclusiva del G.A., ai sensi dell'art. 133, comma 1, lett. f), c.p.a. (TAR Campania, Napoli, Sez. VIII, 09.10.2018, n. 5835, TAR Calabria, Catanzaro, Sez. II, 24.10.2018, n. 1790, Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria 30.08.2018, n. 12).
Peraltro, ai sensi dell'art. 133, comma 1, lett. f), c.p.a., rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo anche la controversia avente ad oggetto la cartella di pagamento emessa da Equitalia Servizi di Riscossione spa ed avente ad oggetto somme dovute per oneri concessori, nel corso della quale non vengano dedotte censure derivanti da atti generali autoritativi relativi alla determinazione degli oneri presupposti di quello impugnato (così Cons. di Stato sez. IV, n. 4208 del 21.08.2013; nonché Cass. SS.UU. n. 22514 del 20.10.2006; TAR Sicilia-Catania n. 2531 dell’11.10.2016; TAR Sicilia Palermo n. 1730 del 12.07.2016; TAR Toscana n. 265 dell’11.02.2011); atteso anche che detti oneri non hanno natura tributaria, bensì costituiscono un corrispettivo di diritto pubblico avente la funzione di partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione (così Cons. di Stato sez. IV, n. 4208 del 21.08.2013; nonché TAR Campania-Napoli n. 19792 del 18.11.2008).
Ancora, si è rilevato che le controversie in materia di determinazione e pagamento degli oneri concessori, investendo l’esistenza o l’entità di un’obbligazione legale, concernono diritti soggettivi, con la conseguenza che la relativa domanda non soggiace al regime di decadenza proprio del processo di impugnazione, ma può essere proposta nel termine di prescrizione ordinaria ed indipendentemente dall’impugnazione di eventuali atti (cfr. Cons. di Stato sez. IV, n. 4208 del 21.08.2013; TAR Sicilia-Catania n. 189 del 27.01.2017; TAR Sicilia-Palermo n. 2581 del 10.11.2016; TAR Puglia-Bari n. 1596 del 03.12.2015 TAR Puglia-Lecce n. 3114 del 30.10.2015; TAR Sicilia-Catania n. 1881 del 09.07.2015).
In particolare, si è osservato che gli atti emessi nella materia degli oneri concessori dal Comune non presentano carattere autoritativo, e, quindi, attitudine a divenire incontestabili se non impugnati nel termine decadenziale di gg. 60 (come accade, invece, per i provvedimenti amministrativi), tanto più che –come già detto– non ha natura tributaria l’obbligazione riguardante gli oneri in parola, per cui sul punto non può neppure parlarsi di atti di accertamento (suscettibili di far divenire incontestabile la pretesa, se non impugnati nei termini), ancorché vi sia stata emissione di ordinanza ingiunzione ex R.D. 14.04.1910 n. 639 (posto che, comunque, la giurisdizione viene determinata sulla base della tipologia della pretesa fatta valere con tale mezzo di riscossione –cfr. Cass. SS.UU. 29 del 05.01.2016; TAR Emilia Romagna, Parma, n. 134 del 18.04.2016; TAR Sicilia, Catania, n. 109 del 15.01.2015-, per cui si applicano in definitiva le regole del giudice fornito di giurisdizione: ma nella fattispecie vi è giurisdizione esclusiva e le posizioni sono di diritto/obbligo, cosicché il termine per impugnare l’ingiunzione –cui è riconoscibile valore di atto amministrativo paritetico; cfr. Cass. Civ. n. 29653 del 12.12.2017– è quello decennale di prescrizione ordinaria; su quest’ultimo punto cfr. TAR Calabria, Catanzaro, n. 1976 del 10.12.2007).
Quindi, si è sottolineato come (cfr. Cons. di Stato sez. V, n. 810 del 04.12.1990; nonché Cons. di Stato sez. IV, n. 4208 del 21.08.2013) l’azione volta alla declaratoria di insussistenza o diversa entità del debito contributivo per oneri concessori possa essere intentata a prescindere dalla impugnazione o esistenza dell’atto con il quale viene richiesto il pagamento, trattandosi di un giudizio di accertamento di un rapporto obbligatorio pecuniario proponibile nel termine di prescrizione, e pur dopo decorsi i termini per opporsi all’ingiunzione ex R.D. 14.04.1910 n. 639, ovvero ad una cartella di pagamento -essendo questi meri strumenti per procedere ad esecuzione coattiva- (TAR Campania, Napoli, Sez. VIII, 09.10.2018, n. 5835 cit.).
Va, quindi, affermata la sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo anche nel caso di specie in cui è stato impugnato l’atto di ingiunzione fiscale emesso dalla Pu. s.r.l, nella sua qualità di concessionaria del Comune di Caserta per la gestione delle entrate comunali (TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, sentenza 01.07.2020 n. 2752 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

giugno 2020

EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICALa controversia avente ad oggetto l'escussione, da parte del Comune, di una polizza fideiussoria concessa a garanzia di somme dovute per oneri di urbanizzazione, in relazione al rilascio di una concessione edilizia, rientra nella giurisdizione del giudice ordinario e non in quella esclusiva del giudice amministrativo in materia di urbanistica ed edilizia. E ciò:
   - sia perché l'obbligazione di garanzia, oggetto di causa, è fondata su un rapporto, sorto per effetto della polizza, distinto rispetto a quello concernente gli oneri concessori;
   - sia perché, nella specie, la P.A. agisce nell'ambito di un rapporto privatistico, senza esercitare, neppure mediatamente, pubblici poteri.

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1. - Le Sezioni Unite sono investite, in sede di risoluzione di conflitto negativo di giurisdizione, della questione se spetti al giudice ordinario o al giudice amministrativo conoscere della controversia avente ad oggetto l'escussione, da parte del Comune di Cosenza, della polizza fideiussoria concessa, dalla Co.It. di Pr., a garanzia di somme dovute a titolo di oneri di urbanizzazione e dei costi di costruzione e per il pagamento della penale, in relazione al permesso edilizio rilasciato alla società Si..
2. - La giurisdizione appartiene al giudice ordinario.
3. - Va infatti data continuità alla consolidata giurisprudenza di queste Sezioni Unite, richiamata anche nelle conclusioni del Procuratore generale, secondo cui la controversia avente ad oggetto l'escussione, da parte del Comune, di una polizza fideiussoria concessa a garanzia di somme dovute per oneri di urbanizzazione, in relazione al rilascio di una concessione edilizia, rientra nella giurisdizione del giudice ordinario e non in quella esclusiva del giudice amministrativo in materia di urbanistica ed edilizia: e ciò sia perché l'obbligazione di garanzia, oggetto di causa, è fondata su un rapporto, sorto per effetto della polizza, distinto rispetto a quello concernente gli oneri concessori; sia perché, nella specie, la P.A. agisce nell'ambito di un rapporto privatistico, senza esercitare, neppure mediatamente, pubblici poteri (Cass., Sez. Un., 23.02.2010, n. 4319; Cass., Sez. Un., 13.06.2012, n. 9592; Cass., Sez. Un., 28.07.2016, n. 15666; Cass., Sez. Un., 18.07.2019, n. 19371) (Corte di Cassazione, Sezz. unite civili, ordinanza 26.06.2020 n. 12866).

EDILIZIA PRIVATA: Sulla rideterminazione degli oo.uu. a distanza di tempo.
E' possibile per l’Amministrazione procedere alla rideterminazione degli oneri di urbanizzazione laddove l’iniziale determinazione degli oneri sia dipesa da un’inesatta applicazione delle tabelle o anche da un semplice errore di calcolo purché ciò avvenga nel modo più corretto, sollecito, scrupoloso e preciso, in una visione del diritto amministrativo improntata al principio di buon andamento e alla legalità sostanziale, che deve considerare anche la posizione della parte privata.
Tuttavia, la tutela del legittimo affidamento e il principio della buona fede trovano applicazione –sebbene con alcune limitazioni– anche nelle fattispecie relative alla determinazione del contributo di costruzione, in particolare laddove i criteri e i parametri per la quantificazione non sono conoscibili e verificabili con il normale sforzo richiesto al debitore o sono di non piana e univoca interpretazione, dovendosi comunque privilegiare una leale collaborazione tra le parti finalizzata all’attuazione del rapporto obbligatorio.
Nella specie il Comune si è rideterminato a distanza di circa tre anni dal rilascio del permesso di costruire e dalla stipula della Convenzione, senza fornire una idonea e solida motivazione, in grado di evidenziare le ragioni di una rinnovata interpretazione –non ricavabile testualmente– delle norme che riguardano la quantificazione del contributo di costruzione, da cui è derivata una richiesta notevolmente difforme, in eccesso, rispetto a quanto inizialmente stabilito e convenuto formalmente con la parte privata.
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2. Con il primo, il quarto e il settimo motivo, da trattare contestualmente in quanto strettamente connessi, si assume l’illegittimità dell’atto impugnato poiché la quantificazione degli oneri concessori e degli standard riportata nella Convenzione sottoscritta tra il Comune di Buccinasco e il ricorrente risulterebbe corretta e perfettamente aderente alle previsioni normative di riferimento, ovvero alle Norme Tecniche di Attuazione del Piano delle Regole e della legge regionale n. 12 del 2005, mentre l’atto di rettifica sarebbe del tutto immotivato e altresì lesivo del legittimo affidamento del ricorrente.
2.1. Le doglianze sono fondate.
Secondo l’art. 5 della Convenzione per l’attuazione del permesso di costruire n. 04/16 stipulata tra Comune e il ricorrente in data 09.09.2016 (all. 6 al ricorso), la superficie lorda di pavimento relativa alla superficie di vendita destinata alle merci ingombranti è pari a 424,89 mq, mentre la superficie lorda di pavimento soggetta al cambio di destinazione d’uso da produttivo a commerciale –ai sensi dell’art. 54, comma 4, delle Norme Tecniche di Attuazione del Piano delle Regole– è il 10% della predetta s.l.p., ossia 42,49 mq; poi la superficie lorda di pavimento oggetto di cambio di destinazione d’uso è pari a 43,07 mq.
Il successivo art. 10, relativo al calcolo del contributo sul costo di costruzione, ha quantificato quest’ultimo secondo quanto disposto dall’art. 48, commi 4 e 6, della legge regionale n. 12 del 2005, ovverossia nel 10% del costo di costruzione (pari a € 1.709,72). Anche l’art. 11 della Convenzione, avente ad oggetto il calcolo degli oneri di urbanizzazione, ha specificato che si tratta di un cambio di destinazione d’uso da produttivo a commerciale per vendita di merci ingombranti (quantificando l’importo in € 6.019,47).
Attraverso il provvedimento impugnato, il predetto contributo di costruzione è stato rettificato in aumento (€ 142.341,66), ritenendo sostanzialmente errata la quantificazione effettuata in sede di convenzione, poiché parametrata soltanto sul 10% della superficie oggetto di mutamento di destinazione d’uso. Tuttavia nessuna motivazione chiara e comprensibile è stata posta a supporto della rettifica, non potendosi ritenere satisfattiva a tal fine l’affermazione che “gli oneri di urbanizzazione e le aree a standard dovute, ai sensi della L.R. n. 12/05 e s.m.i e del Piano di Governo del Territorio, sono da riferirsi all’intera S.l.p. oggetto di cambio di destinazione d’uso”.
Attraverso le memorie difensive il Comune ha evidenziato che in sede convenzionale sarebbe stato applicato erroneamente l’art. 54, comma 4, delle N.T.A., in quanto siffatta disposizione si riferirebbe soltanto alla qualificazione della tipologia della struttura di vendita, e non sarebbe affatto rilevante sul diverso piano del calcolo degli indici urbanistici ai fini della contribuzione.
Una tale conclusione, oltre ad essere contenuta soltanto in atti difensivi, rappresentando quindi una motivazione postuma (non ammessa di regola in sede giudiziale: cfr. Consiglio di Stato, VI, 11.05.2018, n. 2843; TAR Lombardia, Milano, II, 12.03.2020, n. 476), risulta oggettivamente opinabile e non condivisibile sia perché l’art. 54, comma 4, delle N.T.A. (“La superficie di vendita degli esercizi che hanno a oggetto esclusivamente la vendita di merci ingombranti, non facilmente amovibili e a consegna differita, quali ad esempio i mobilifici, le concessionarie d'auto, le rivendite di legnami, di materiali edili e simili, è computata nella misura di 1/10 della SLP per la quota di superficie non superiore a mq 2.500 …”) non contiene alcun evidente ed inequivoco riferimento in tal senso, sia (e soprattutto) in ragione del disposto di cui all’art. 48, comma 4, della legge regionale n. 12 del 2005 (“Per gli interventi con destinazione commerciale, terziario direttivo, turistico-alberghiero-ricettivo, il contributo è pari ad una quota non superiore al 10 per cento del costo documentato di costruzione da stabilirsi, in relazione alle diverse destinazioni, con deliberazione del consiglio comunale”), che riguarda proprio la determinazione del costo di costruzione (norma altresì richiamata dall’art. 10 della Convenzione, da cui discende l’irrilevanza della contraria interpretazione fornita dalla D.G.R. 20.12.2013, n. X/1193, che, oltre a riguardare soltanto le grandi strutture di vendita, è antecedente alla stipula della Convenzione).
A delineare ulteriormente la situazione soccorre anche quanto disposto in sede di Convenzione, dove alla quantificazione del contributo di costruzione sono stati dedicati ben tre articoli (9, 10 e 11), attraverso i quali sono stati dettagliatamente illustrati il meccanismo di calcolo delle varie componenti e i presupposti normativi posti a fondamento delle stesse.
Pertanto, pur escludendosi che a tali rapporti di credito “di natura meramente obbligatoria e agli atti iure gestionis, di carattere contabile e aventi finalità liquidatoria, adottati dal Comune, si applichi la disciplina dell’autotutela di cui all’art. 21-nonies della l. n. 241 del 1990 o, più in generale, la disciplina dettata dalla stessa l. n. 241 del 1990 per gli atti provvedimentali espressivi di potestà pubblicistica”, è comunque possibile per l’Amministrazione procedere alla rideterminazione degli oneri di urbanizzazione laddove l’iniziale determinazione degli oneri sia dipesa da un’inesatta applicazione delle tabelle o anche da un semplice errore di calcolo purché ciò avvenga nel modo più corretto, sollecito, scrupoloso e preciso, in una visione del diritto amministrativo improntata al principio di buon andamento e alla legalità sostanziale, che deve considerare anche la posizione della parte privata (Consiglio di Stato, Ad. plen., 30.08.2018, n. 12); tuttavia, la tutela del legittimo affidamento e il principio della buona fede trovano applicazione –sebbene con alcune limitazioni– anche nelle fattispecie relative alla determinazione del contributo di costruzione, in particolare laddove i criteri e i parametri per la quantificazione non sono conoscibili e verificabili con il normale sforzo richiesto al debitore o sono di non piana e univoca interpretazione, dovendosi comunque privilegiare una leale collaborazione tra le parti finalizzata all’attuazione del rapporto obbligatorio (cfr. Consiglio di Stato, Ad. plen., 30.08.2018, n. 12).
Nella specie il Comune si è rideterminato a distanza di circa tre anni dal rilascio del permesso di costruire e dalla stipula della Convenzione, senza fornire una idonea e solida motivazione, in grado di evidenziare le ragioni di una rinnovata interpretazione –non ricavabile testualmente– delle norme che riguardano la quantificazione del contributo di costruzione, da cui è derivata una richiesta notevolmente difforme, in eccesso, rispetto a quanto inizialmente stabilito e convenuto formalmente con la parte privata.
2.2. Ciò determina l’accoglimento delle suesposte doglianze (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 23.06.2020 n. 1166 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALe questioni attinenti alla spettanza e alla liquidazione del contributo per gli oneri di urbanizzazione, compreso l’aspetto sanzionatorio, sono riservate alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. f), cod. proc. amm..
Le stesse, poi, avendo ad oggetto l’accertamento di un rapporto di credito a prescindere dall’esistenza di atti della P.A., non sono soggette alle regole delle azioni impugnatorie-annullatorie degli atti amministrativi ed ai rispettivi termini di decadenza.
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Secondo una condivisibile giurisprudenza, “il contributo comunale dovuto per il rilascio del permesso di costruire ha natura di prestazione patrimoniale imposta, di carattere non tributario, e il sistema di pagamento dello stesso è caratterizzato da uno strumento a sanzione crescente che scatta automaticamente, quale effetto legale automatico, se l’importo dovuto per il contributo di costruzione non è corrisposto alla scadenza; in definitiva il potere di sanzionare il pagamento tardivo è incondizionatamente previsto dall’art. 42, d.P.R. 06.06.2001, n. 380, che è chiaro nell’assegnare alla Pubblica amministrazione il potere/dovere di applicare le sanzioni al verificarsi di un unico presupposto fattuale, e cioè il ritardo nel pagamento da parte dell’intestatario del titolo edilizio o di chi gli sia subentrato secundum legem”.
Del resto, l’irrilevanza dei principi civilistici di buona fede rispetto alla fattispecie oggetto di scrutinio nella presente sede discende dalla circostanza che la maggiorazione del contributo di costruzione, correlata al ritardato pagamento dello stesso, non ha natura risarcitoria o corrispettiva, bensì di sanzione pecuniaria nascente al momento in cui diviene esigibile la sanzione principale.
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Con ricorso notificato in data 16.09.2019 e depositato il 30 settembre successivo, la ricorrente ha chiesto l’annullamento dell’atto ingiuntivo del Comune di Seregno – pratica n. EDI/2013/00229/P.E/DIA – datato 16.08.2019, notificato in pari data, con il quale le è stato intimato il pagamento, entro 30 giorni dal ricevimento, di € 264.607,30 a titolo di costo di costruzione, € 105.842,92 per sanzioni ed € 62,47 per diritti di segreteria, per complessivi € 370.512,69.
La ricorrente, quale proprietaria di un’area sita in Seregno in Via ... (foglio 42, mappale 533) ricadente ai sensi del previgente P.R.G. in zona standard per servizi pubblici, ha ottenuto il permesso di costruire n. 137 del 2012 per l’edificazione di un centro di analisi e diagnosi, sanitario e medico-specialistico, quale opera di interesse generale destinata a soddisfare il fabbisogno di servizi collettivi di carattere sanitario, sviluppantesi su due piani fuori terra, oltre un piano interrato, con superficie complessiva di 3.265,24 mq fuori terra e 1.000 mq interrati.
Il permesso di costruire è stato ottenuto a seguito di richiesta congiunta della ricorrente e dello Studio Radiologico B., associato alla stipula di un atto unilaterale d’obbligo, con cui è stato assunto l’impegno di alienare o locare gli immobili soltanto a soggetti aventi i requisiti di cui all’art. 13 delle N.T.A. al P.R.G., ossia “concessionari di pubblici servizi quali l’accreditamento A.S.L. o altra autorizzazione rilasciata da una Pubblica Amministrazione in materia sanitaria”.
Seppure, a giudizio della parte ricorrente, tale opera edilizia fosse da qualificare come urbanizzativa secondaria realizzata da privati quale struttura sanitaria ai sensi di legge e, quindi, non vi fosse alcun obbligo di pagamento del costo di costruzione, il Comune di Seregno ha preteso il pagamento dello stesso, regolarmente assolto dalla società ricorrente. In data 14.05.2013 è stata presentata una d.i.a. in variante al progetto originario per consentire la realizzazione dei locali in cui si sarebbe insediata una delle farmacie comunali; anche in tale frangente è stato stipulato un atto d’obbligo riguardante la destinazione a servizio sanitario pubblico ed è stato corrisposto integralmente il costo di costruzione.
L’approvazione del nuovo P.G.T. ha confermato la destinazione a standard servizi pubblici per l’area di proprietà della ricorrente.
In data 11.08.2015, il Comune di Seregno ha adottato un provvedimento con cui è stato rideterminato il contributo di costruzione, richiedendo l’ulteriore somma di € 282.566,09. La ricorrente ha impugnato tale determinazione, chiedendo l’accertamento dell’esenzione dal medesimo contributo, in quanto trattasi di opera di interesse generale destinata a soddisfare il fabbisogno di servizi collettivi di carattere sanitario da qualificare come urbanizzativa secondaria realizzata da privati e quindi, in quanto struttura sanitaria ai sensi di legge, non assoggettabile al pagamento del costo di costruzione.
Questa Sezione, con la sentenza n. 1502 del 26.07.2016, ha respinto sia la richiesta di esenzione dal contributo di costruzione, sia la domanda proposta in via subordinata di rideterminazione del richiamato contributo. Il Consiglio di Stato, Sezione IV, con la sentenza n. 5942 del 17.10.2018 ha confermato la pronuncia di primo grado.
Quindi la ricorrente, prima di corrispondere la cifra afferente al contributo e al fine di definire la vertenza, ha segnalato all’Amministrazione comunale una serie di errori materiali e di diritto occorsi nella determinazione della somma finale, chiedendone la rettifica; tuttavia gli Uffici comunali, con la nota del 04.06.2019, hanno comunicato, in seguito al riesame dei conteggi effettuati, la conferma dell’importo del contributo già stabilito nel mese di agosto 2015 e, dopo aver respinto la richiesta di rateizzazione formulata dalla ricorrente, hanno adottato l’ingiunzione di pagamento per un totale di complessivi € 370.512,69.
Assumendo l’illegittimità della predetta ingiunzione –premessa la giurisdizione del giudice amministrativo e la non ostatività del giudicato di cui alla sentenza del Consiglio di Stato n. 5942 del 17.10.2018– la ricorrente ne ha chiesto l’annullamento, in primo luogo, per violazione e/o falsa applicazione della legge regionale n. 12 del 2005, per violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 380 del 2001, per violazione dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990, per violazione e/o falsa applicazione del Decreto del Ministero dei Lavori Pubblici 10.05.1977, per difetto di istruttoria e di motivazione, per illogicità manifesta, per violazione del principio di buona fede e per violazione del principio di proporzionalità.
Ulteriormente sono stati dedotti la violazione e/o falsa applicazione della legge regionale n. 12 del 2005, la violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 380 del 2001, la violazione dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990, la violazione e/o falsa applicazione del D.M. 10.05.1977, il difetto di istruttoria, l’illogicità manifesta, la violazione del principio di buona fede e la violazione del principio di proporzionalità.
Inoltre, sono stati dedotti la violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 380 del 2001, l’eccesso di potere per difetto di istruttoria e l’illogicità manifesta.
Infine, sono stati eccepiti la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 42 del D.P.R. n. 380 del 2001, la violazione dell’art. 1227 cod. civ. e la violazione dei principi di autoresponsabilità del creditore.
La ricorrente ha poi chiesto, in via istruttoria, una verificazione/C.T.U. contabile al fine di determinare la corretta percentuale da applicare sul costo complessivo delle opere, il corretto computo metrico estimativo sulla cui base calcolare il costo di costruzione e la quota di spettanza dello Studio Radiologico B..
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1. In via preliminare, va affermata la giurisdizione del giudice amministrativo sulla presente controversia, giacché secondo una consolidata giurisprudenza, condivisa dal Collegio, le questioni attinenti alla spettanza e alla liquidazione del contributo per gli oneri di urbanizzazione, compreso l’aspetto sanzionatorio (cfr. Consiglio di Stato, Ad. plen., 07.12.2016, n. 24), sono riservate alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. f), cod. proc. amm.; le stesse, poi, avendo ad oggetto l’accertamento di un rapporto di credito a prescindere dall’esistenza di atti della P.A., non sono soggette alle regole delle azioni impugnatorie-annullatorie degli atti amministrativi ed ai rispettivi termini di decadenza (TAR Veneto, II, 11.10.2019, n. 1083; altresì, Consiglio di Stato, Ad. plen., 30.08.2018, n. 12; VI, 07.05.2015, n. 2294; TAR Lombardia, Milano, II, 10.05.2018, n. 1242).
2. Sempre in via preliminare, va evidenziato che la richiesta di discussione orale formulata dalla difesa della ricorrente con la memoria datata 19.05.2020, ai sensi dell’art. 4 del decreto legge n. 28 del 30.04.2020, è stata proposta in via subordinata rispetto alla rimessione in termini in relazione al deposito della produzione documentale allegata alla citata memoria del 19.05.2020: concedendosi la rimessione in termini ai sensi dell’art. 84, commi 5 e 7, del decreto legge n. 18 del 2020, convertito in legge n. 27 del 2020, in virtù delle difficoltà incontrate dalla parte ricorrente nel reperire la documentazione –e in assenza di opposizione della parti resistenti, che nelle memorie finali non hanno evidenziato alcuna ragione ostativa in tal senso–, non è stato necessario effettuare la discussione orale richiesta comunque in via subordinata.
3. Infine, sempre in via preliminare, non può essere accolta la richiesta istruttoria contenuta nel ricorso introduttivo e reiterata anche nelle memorie finali della parte ricorrente –ossia, una verificazione/C.T.U. contabile al fine di determinare la corretta percentuale da applicare sul costo complessivo delle opere, il corretto computo metrico estimativo sulla cui base calcolare il costo di costruzione e la quota di spettanza dello Studio Radiologico B.– stante l’irrilevanza della stessa ai fini della decisione della controversia, che risulta istruita in misura adeguata, con la conseguenza che nessuna ulteriore acquisizione risulta necessaria a tal fine.
4. Passando all’esame del merito della controversia, il ricorso è in parte inammissibile e in parte infondato.
5. Con i primi tre motivi di ricorso, con cui sono stati contestati, rispettivamente, la determinazione del contributo di costruzione (prima censura), la correttezza del computo metrico estimativo posto alla base del calcolo del predetto contributo (seconda censura) e il mancato assoggettamento al pagamento dello stesso anche dello Studio Radiologico B. (terza censura), la ricorrente Ed. intende porre in discussione questioni che sono già coperte dal giudicato discendente dalle sentenze n. 1502 del 26.07.2016 di questa Sezione e n. 5942 del 17.10.2018 della IV Sezione del Consiglio di Stato, che hanno respinto, oltre alla richiesta di esenzione dal contributo di costruzione, anche la domanda proposta in via subordinata di rideterminazione del richiamato contributo.
In particolare, il punto 3.1 della parte in diritto della sentenza di questa Sezione n. 1502/2016 ha respinto la censura con cui era stata eccepita l’illegittima quantificazione del contributo di costruzione, pari ad € 282.566,09 (come determinata con provvedimento comunale dell’11.08.2015); anche nel punto 5.5 della sentenza di appello è stata affrontata specificamente la questione, ritenendola infondata e confermando quindi la sentenza di primo grado.
Da quanto evidenziato discende che la parte del gravame con cui si contesta (nuovamente) il calcolo del contributo di costruzione è inammissibile –come evidenziato in sede difensiva anche dalle parti resistenti– per violazione del principio del ne bis in idem, in quanto già nel pregresso giudizio incardinato nel 2015 è stato censurato, come in precedenza evidenziato, il provvedimento di determinazione del contributo di costruzione: da ciò discende che la contestazione non può essere nuovamente presa in considerazione, ostando al proposito la pregressa decisione giurisdizionale (TAR Lombardia, Milano, II, 26.01.2017, n. 200); del resto ad un tale esito si giunge anche in ragione del principio che, fatte salve le sopravvenienze fattuali, il giudicato copre il dedotto e il deducibile e, certamente, la determinazione della somma da versare a titolo di contributo di costruzione risultava già censurabile nel suo complesso all’atto della proposizione del primo contenzioso (sull’applicabilità di tale principio anche al processo amministrativo, Consiglio di Stato, V, 23.03.2015, n. 1558; TAR Piemonte, Torino, I, 04.02.2016, n. 173; TRGA Trento, I, 05.01.2016, n. 3).
In senso contrario, non risulta fondato il rilievo della parte ricorrente, secondo il quale, dopo le citate sentenze di questa Sezione e del Consiglio di Stato, ci sarebbe stata una riedizione del potere dell’Amministrazione attraverso l’effettuazione di nuovi conteggi, visto che nella nota comunale del 04.06.2019, adottata in risposta ad una richiesta di riesame della ricorrente, si è sottolineato, a conferma della primigenia determinazione, che, “in esito alle ulteriori verifiche, si conferma però che le osservazioni non possono essere accettate in quanto i criteri utilizzati per la determinazione dei contributi DIA in data 11/08/2015, prot. 39679, risultano corretti e non opinabili” (all. 10 al ricorso). Perciò nessuna nuova spendita di potere amministrativo si è verificata, con la definitiva conferma della originaria determinazione, già coperta dal giudicato.
5.1. Di conseguenza, va dichiarata l’inammissibilità delle prime tre censure di ricorso, le quali, riferendosi alla determinazione del contributo di costruzione posto a carico della ricorrente, hanno violato il principio del ne bis in idem.
6. Con la quarta censura di ricorso si assume la violazione dell’art. 1227 cod. civ. da parte del Comune creditore che non si sarebbe attivato per evitare l’aggravamento del danno in capo alla ricorrente ed avrebbe in tal modo determinato un aumento dell’importo del contributo attraverso l’applicazione della sanzione nella misura del 40% (ex art. 42 del D.P.R. n. 380 del 2001).
6.1. La doglianza è infondata.
Secondo una condivisibile giurisprudenza, “il contributo comunale dovuto per il rilascio del permesso di costruire ha natura di prestazione patrimoniale imposta, di carattere non tributario, e il sistema di pagamento dello stesso è caratterizzato da uno strumento a sanzione crescente che scatta automaticamente, quale effetto legale automatico, se l’importo dovuto per il contributo di costruzione non è corrisposto alla scadenza; in definitiva il potere di sanzionare il pagamento tardivo è incondizionatamente previsto dall’art. 42, d.P.R. 06.06.2001, n. 380, che è chiaro nell’assegnare alla Pubblica amministrazione il potere/dovere di applicare le sanzioni al verificarsi di un unico presupposto fattuale, e cioè il ritardo nel pagamento da parte dell’intestatario del titolo edilizio o di chi gli sia subentrato secundum legem” (Consiglio di Stato, IV, 31.08.2017, n. 4123).
Del resto, l’irrilevanza dei principi civilistici di buona fede rispetto alla fattispecie oggetto di scrutinio nella presente sede discende dalla circostanza che la maggiorazione del contributo di costruzione, correlata al ritardato pagamento dello stesso, non ha natura risarcitoria o corrispettiva, bensì di sanzione pecuniaria nascente al momento in cui diviene esigibile la sanzione principale (Consiglio di Stato, Ad. plen., 07.12.2016, n. 24).
6.2. Da ciò discende il rigetto della predetta doglianza (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 18.06.2020 n. 1109 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha di recente ribadito, confermando l’orientamento maggioritario già formatosi in giurisprudenza, che “il contributo di costruzione è e rimane [… ] un corrispettivo di diritto pubblico” sicché “il pagamento di questo, esclusa pacificamente la sua natura tributaria, non può che costituire l'oggetto di un ordinario rapporto obbligatorio, disciplinato dalle norme di diritto privato, come prescrive l'art. 1, comma 1-bis, della L. n. 241 del 1990”.
Ciò reca, come precipitato, che “gli atti con i quali la pubblica amministrazione determina e liquida il contributo di costruzione, previsto dall'art. 16 del D.P.R. n. 380 del 2001, non hanno natura autoritativa, non essendo espressione di una potestà pubblicistica, ma costituiscono l'esercizio di una facoltà connessa alla pretesa creditoria riconosciuta dalla legge al Comune per il rilascio del permesso di costruire”.
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Le controversie attinenti alla determinazione e alla liquidazione del contributo per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione, nonché l'azione volta alla declaratoria del diritto dell'interessato alla restituzione delle somme versate al Comune per mancato utilizzo del titolo edilizio appartengono alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo
”.
Detta azione può, quindi, essere “proposta a prescindere dall'impugnazione o dall'esistenza dell'atto con cui viene negato il rimborso, trattandosi di giudizio di accertamento di un rapporto obbligatorio pecuniario".
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1. Il ricorso è infondato nel merito e deve essere rigettato.
Va, tuttavia, preliminarmente operata la riqualificazione dell’azione proposta ai sensi dell’art. 32, comma 2, c.p.a..
A tal fine occorre muovere da alcune considerazioni in ordine alla natura giuridica dei contributi edilizi di costruzione (oneri concessori).
Ebbene, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, nella decisone n. 12 del 30.08.2018, ha di recente ribadito, confermando l’orientamento maggioritario già formatosi in giurisprudenza, che “il contributo di costruzione è e rimane [… ] un corrispettivo di diritto pubblico” sicché “il pagamento di questo, esclusa pacificamente la sua natura tributaria, non può che costituire l'oggetto di un ordinario rapporto obbligatorio, disciplinato dalle norme di diritto privato, come prescrive l'art. 1, comma 1-bis, della L. n. 241 del 1990”.
Ciò reca, come precipitato, che “gli atti con i quali la pubblica amministrazione determina e liquida il contributo di costruzione, previsto dall'art. 16 del D.P.R. n. 380 del 2001, non hanno natura autoritativa, non essendo espressione di una potestà pubblicistica, ma costituiscono l'esercizio di una facoltà connessa alla pretesa creditoria riconosciuta dalla legge al Comune per il rilascio del permesso di costruire”.
Questa ricostruzione ha evidenti riflessi in punto processuale.
Allontanandosi dal modello impugnatorio del giudizio sull’atto, il Giudice Amministrativo, a cui il legislatore attribuisce in materia edilizia una giurisdizione esclusiva ex art. 133, comma 1, lett. f), c.p.a., conosce, infatti, attraverso lo spettro delle censure mosse dal ricorrente, l’intero rapporto giuridico intercorrente tra questi e l’Amministrazione, con la possibilità di accertare il suo contenuto e stabilire la sussistenza e la portata delle singole obbligazioni nascenti dallo stesso.
1.1 Le considerazioni appena rassegnate spingono a ritenere che, in disparte dal nomen iuris impiegato, la domanda qui spiccata dalla Società ricorrente avverso la nota prot. n. 6929 del 21.10.2014 vada, più correttamente, inquadrata come volta ad accertare il contenuto dell’obbligazione legale gravante a suo carico.
Del resto, come è stato in più occasioni ribadito dalla giurisprudenza (ex multis TAR Abruzzo, L'Aquila, sez. I, 29.12.2017, n. 610), “le controversie attinenti alla determinazione e alla liquidazione del contributo per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione, nonché l'azione volta alla declaratoria del diritto dell'interessato alla restituzione delle somme versate al Comune per mancato utilizzo del titolo edilizio appartengono alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo”. Detta azione può, quindi, essere “proposta a prescindere dall'impugnazione o dall'esistenza dell'atto con cui viene negato il rimborso, trattandosi di giudizio di accertamento di un rapporto obbligatorio pecuniario” (TAR Puglia-Lecce, Sez. II sentenza 18.06.2020 n. 647 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La costruzione di una Residenza Socio Sanitaria Assistenziale (R.S.S.A.) sconta il versamento sia degli oo.uu. nonché del costo di costruzione.
Si deve ritenere che l’esercizio di una Residenza Socio Sanitaria Assistenziale (R.S.S.A.) per anziani vada inquadrata nel comma 2 dell’art. 19 DPR 380/2001 e cioè "costruzioni o impianti destinati ad attività turistiche, commerciali e direzionali o allo svolgimento di servizi ".
Del resto, detta attività per le sue caratteristiche intrinseche si risolve nello svolgimento di una prestazione complessa che prevede il contatto diretto con l’utenza in cui si combina la somministrazione di attività di tipo assistenziale con quella di offerta di vitto e alloggio (che la avvicinano, per il carattere lato sensu recettivo, alle attività di tipo alberghiero e “turistiche” espressamente menzionate proprio al comma 2 dell’art. 19).
In altri termini, si tratta di immobile destinato ad attività essenzialmente recettizia di carattere commerciale, e non di un’attività di tipo industriale di prestazione di servizi (come potrebbe essere, tutt’al più, una Casa di Cura in cui vengono erogate, con carattere prevalente, prestazioni sanitarie, e non socio-assistenziali essenzialmente di tipo ricettivo).
Quanto appena osservato si pone in linea con l’orientamento espresso dal Consiglio di Stato che, facendo leva sul dettato normativo e le caratteristiche tipologiche dell’attività svolta, ha escluso la configurabilità di un complesso alberghiero come “attività produttiva” ai fini dell’esenzione del costo di costruzione.
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2. Così riqualificata la domanda proposta, è possibile esaminare le ragioni giuridiche dedotte a suo fondamento dalla parte ricorrente.
2.1 Con l’unico motivo di gravame si denuncia un difetto di istruttoria e motivazione atteso che l’Amministrazione Comunale intimata avrebbe applicato il contributo concessorio nella misura massima stabilita ai sensi del comma 2 dell’art. 19 del D.P.R. n. 380 del 2001 e ss.mm., senza prendere in considerazione la circostanza che la Residenza Socio Sanitaria Assistenziale (R.S.S.A.) per anziani realizzata sarebbe qualificabile come impianto industriale, in relazione al quale risulta dovuto il minore importo di cui al comma 1 dello stesso art. 19 (con esclusione, quindi, del costo di costruzione).
2.2 La censura non merita positivo apprezzamento.
L’art. 19, comma 1, del D.P.R. n. 380 del 2001 stabilisce che “il permesso di costruire relativo a costruzioni o impianti destinati ad attività industriali o artigianali dirette alla trasformazione di beni ed alla prestazione di servizi comporta la corresponsione di un contributo pari alla incidenza delle opere di urbanizzazione, di quelle necessarie al trattamento e allo smaltimento dei rifiuti solidi, liquidi e gassosi e di quelle necessarie alla sistemazione dei luoghi ove ne siano alterate le caratteristiche”.
Il successivo comma 2 prescrive, invece, che “il permesso di costruire relativo a costruzioni o impianti destinati ad attività turistiche, commerciali e direzionali o allo svolgimento di servizi comporta la corresponsione di un contributo pari all'incidenza delle opere di urbanizzazione, determinata ai sensi dell’articolo 16, nonché una quota non superiore al 10 per cento del costo documentato di costruzione da stabilirsi, in relazione ai diversi tipi di attività, con deliberazione del consiglio comunale”.
Il legislatore ha inteso, dunque, riservare un regime di favore per l’attività edilizia relativa a “costruzioni o impianti destinati ad attività industriali o artigianali dirette alla trasformazione di beni ed alla prestazione di servizi” stabilendo che sia dovuto in tale caso il solo contributo di urbanizzazione e non anche, come previsto dal comma 2, anche il costo di costruzione.
Orbene, secondo la ricorrente, la definizione “attività industriali” di cui al comma 1 dell’art. 19 citato dovrebbe essere intesa in senso lato facendovi rientrare ogni attività di produzione e scambio di beni e servizi con l’esclusione dei soli imprenditori agricoli e di quelli esercenti attività di mera intermediazione. Detta interpretazione riposa sul dettato dell’art. 2195 c.c. che costruirebbe in termini soltanto negativi la nozione.
2.3 La ricostruzione offerta dalla difesa della parte ricorrente non pare condivisibile.
Anzitutto, è preferibile accedere ad una ricostruzione in chiave autonoma del concetto di “attività industriale” previsto dal comma 1 dell’art. 19, che si emancipi dal corrispondente codicistico.
Invero, da un confronto con la restante parte del comma 1 dell’art. 19 e del successivo comma 2 emerge come il legislatore abbia voluto fare riferimento ad una definizione ben più ristretta di quella disegnata dall’art. 2195 c.c. .
In prima battuta va rilevato che al comma 1 dell’art. 19 del D.P.R. 06.06.2001 n. 380 si menziona, accanto alle attività industriali anche quelle “artigianali” che nella sistematica del codice civile trovano una diversa collocazione rispetto all’art. 2195 c.c., sotto la rubrica dell’art. 2083 c.cc. in tema di “piccoli imprenditori”.
Ma, soprattutto, appare decisiva la circostanza che nel successivo comma 2 dell’art. 19 siano prese in considerazione attività come quelle “turistiche, commerciali e direzionali” che, invece, rientrerebbero nel disposto dell’art. 2195, comma 1, n. 1) c.c..
2.4 Il significato da attribuire all’inciso “attività industriali” di cui al comma 1 dell’art. 19 va, quindi, tracciato in maniera autonoma, prescindendo dalla omonima categoria civilistica.
È di ausilio, a tal fine, il raffronto tra il primo ed il secondo comma.
Appare evidente che nella prima ipotesi sono raggruppate quelle attività di produzione di beni o servizi che non prevedono un contatto diretto con l’utente finale. Viceversa, nel secondo comma sono contemplate attività che implicano l’accesso alla costruzione o impianto anche di soggetti diversi da quelli che svolgono l’attività (così quelle “turistiche”, “commerciali” e “direzionali”). Ciò sembra comprovato dalla circostanza che mentre al comma 1 si parla di “prestazione di servizi” in quello successivo si impiega l’espressione “svolgimento di servizi”.
Detta differenza non appare neutra da un punto di vista urbanistico atteso che lo svolgimento di attività che, per loro natura, prevedono l’affluenza di utenza esterna importa un carico diverso sul territorio e giustifica un regime di contribuzione più oneroso, che si avvicina a quello residenziale ex art. 16 del D.P.R. n. 380 del 2001.
2.5 Tanto premesso si deve ritenere che l’esercizio di una Residenza Socio Sanitaria Assistenziale (R.S.S.A.) per anziani vada inquadrata, come correttamente ha fatto l’Amministrazione Comunale di Gagliano del Capo, nel comma 2 dell’art. 19.
Del resto, detta attività per le sue caratteristiche intrinseche si risolve nello svolgimento di una prestazione complessa che prevede il contatto diretto con l’utenza in cui si combina la somministrazione di attività di tipo assistenziale con quella di offerta di vitto e alloggio (che la avvicinano, per il carattere lato sensu recettivo, alle attività di tipo alberghiero e “turistiche” espressamente menzionate proprio al comma 2 dell’art. 19).
In altri termini, si tratta -nel caso di specie- di immobile destinato ad attività essenzialmente recettizia di carattere commerciale, e non di un’attività di tipo industriale di prestazione di servizi (come potrebbe essere, tutt’al più, una Casa di Cura in cui vengono erogate, con carattere prevalente, prestazioni sanitarie, e non socio-assistenziali essenzialmente di tipo ricettivo).
Quanto appena osservato si pone in linea con l’orientamento espresso dal Consiglio di Stato (sez. V, 07.05.2013, n. 2467 e sez. IV, del 12.07.2010, n. 4488) che, facendo leva sul dettato normativo e le caratteristiche tipologiche dell’attività svolta, ha escluso la configurabilità di un complesso alberghiero come “attività produttiva” ai fini dell’esenzione del costo di costruzione.
2.6 Né coglie nel segno, in ultimo, neppure la censura relativa al difetto di istruttoria e motivazione. Dall’inquadramento dell’intervento nel campo di applicazione del comma 2 dell’art. 19 discende, infatti, da sé, senza necessità di ulteriori approfondimenti istruttori né di un supporto motivazionale specifico, la liquidazione del quantum dovuto.
2.6 La domanda proposta è, quindi, infondata e deve essere respinta (TAR Puglia-Lecce, Sez. II sentenza 18.06.2020 n. 647 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIn ordine alla natura giuridica dei contributi edilizi l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha di recente ribadito, confermando l’orientamento maggioritario già formatosi in giurisprudenza, che “il contributo di costruzione è e rimane [… ] un corrispettivo di diritto pubblico” sicché “il pagamento di questo, esclusa pacificamente la sua natura tributaria, non può che costituire l'oggetto di un ordinario rapporto obbligatorio, disciplinato dalle norme di diritto privato, come prescrive l'art. 1, comma 1-bis, della L. n. 241 del 1990”.
Ciò reca, come precipitato, che “gli atti con i quali la pubblica amministrazione determina e liquida il contributo di costruzione, previsto dall'art. 16 del D.P.R. n. 380 del 2001, non hanno natura autoritativa, non essendo espressione di una potestà pubblicistica, ma costituiscono l'esercizio di una facoltà connessa alla pretesa creditoria riconosciuta dalla legge al Comune per il rilascio del permesso di costruire”.
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La giurisprudenza amministrativa ha chiarito che “l'obbligazione di corrispondere gli oneri di urbanizzazione ha per oggetto una prestazione pecuniaria, da eseguire al domicilio del creditore, senza che su quest'ultimo gravi alcun onere di preventiva sollecitazione o avvertenza”.
Ciò è legato alla peculiare natura giuridica del contributo concessorio che, secondo l’insegnamento pretorio costituisce “un'obbligazione giuridica di tipo pubblicistico comprendente oneri di urbanizzazione e costo di costruzione” che “nasce con il rilascio della concessione edilizia” e non ha carattere tributario ma è “definibile come corrispettivo di diritto pubblico posto a carico del costruttore”.
La circostanza che l’atto di rideterminazione non costituisca spendita di poteri autoritativi reca con sé come precipitato che l’Amministrazione Comunale non sia tenuta, salvo il rispetto dei principi di cui all’art. 1, comma 1, della L. n. 241 del 1990 e ss.mm., all’osservanza delle forme procedimentali e, quindi, segnatamente, della previsione di cui all’art. 7 della stessa in materia di comunicazione di avvio del procedimento.
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Si deve opportunamente tenere distinta la disciplina relativa alla determinazione degli oneri di urbanizzazione da quella relativa alla determinazione dei costi di costruzione.
Con riguardo alla prima, la giurisprudenza di questo Tribunale ha già chiarito che “una volta che la determinazione degli oneri concessori sia correttamente avvenuta sulla base delle tabelle vigenti all'epoca del rilascio del permesso di costruire, è illegittima la pretesa dell'Amministrazione di addossare al titolare del permesso edilizio rilasciato anni prima l'ulteriore carico finanziario derivante dal meccanismo di aggiornamento; d'altro canto la convenienza a realizzare o non l'intervento edilizio non può prescindere da una valutazione degli oneri concessori quale significativa componente dei costo complessivo, per cui, un adeguamento del contributo ex post si tradurrebbe in un'alea insopportabile per chi, ove a conoscenza di un diversa e maggiore entità del contributo, si sarebbe magari astenuto dall'iniziativa economica intrapresa”.
Ne consegue che le delibere comunali di adeguamento degli oneri di urbanizzazione possono trovare applicazione esclusivamente "per i permessi rilasciati a far tempo dall'epoca di adozione dell'atto deliberativo e non anche per quelli rilasciati in epoca anteriore".
Ciò discende, oltre che dal disposto del citato art. 16 del D.P.R. n. 380 del 2001, dai principi generali in materia di obbligazioni e, segnatamente, di buona fede oggettiva, che impediscono al creditore di pretendere maggior somme che presupponevano la diligente attivazione delle proprie prerogative (quale l’aggiornamento delle tabelle di calcolo).
Detto orientamento è stato recepito dall’Adunanza Plenaria laddove il Supremo Consesso, dopo aver affermato che il carattere paritetico del rapporto “non esclude la doverosità della rideterminazione quante volte la pubblica amministrazione si accorga che l'iniziale determinazione degli oneri di urbanizzazione sia dipesa da un'inesatta applicazione delle tabelle o anche da un semplice errore di calcolo” ha ribadito fermamente che, a tutela dell’affidamento che il privato deve potere nutrire in ordine all’operato dell’Amministrazione, “il Comune ha l'obbligo di adoperarsi affinché la liquidazione del contributo di costruzione venga eseguita nel modo più corretto, sollecito, scrupoloso e preciso, sin dal principio”.
È, quindi, da escludere che il Comune resistente possa giustificare una richiesta di integrazione di quanto già versato a titolo di oneri di urbanizzazione sulla scorta dell’esigenza di porre rimedio, a posteriori, ad una propria condotta inadempiente.
Un diverso regime di liquidazione trova applicazione, come anticipato, con riguardo ai costi di costruzione.
Sul punto il Supremo Consenso della Giustizia Amministrativa ha avuto modo di precisare che, in base a quanto stabilito dall’art. 16, comma 9, del D.P.R. n. 380 del 2001 e ss.mm., “i costi-base fissati con delibera regionale si applicano direttamente”, mentre “le delibere con cui i Comuni determinino i costi in misura differente da quanto deciso dalla Regione, avvalendosi di facoltà previste da leggi regionali, hanno carattere eventuale e non condizionano l’immediata vigenza e operatività del costo-base fissato dalla Regione”.
Muovendosi da siffatte premesse si è ritenuto che “il principio di irretroattività delle delibere comunali sopravvenute opera sì, ma solo per il costo in aumento o in riduzione” rispetto “al costo-base fissato con atto regionale”.
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1. Il ricorso è, in parte, fondato e deve essere accolto nei limiti di seguito specificati.
Va, tuttavia, preliminarmente operata la riqualificazione delle azioni proposte ai sensi dell’art. 32, comma 2, c.p.a..
A tal fine occorre muovere da alcune considerazioni in ordine alla natura giuridica dei contributi edilizi. Ebbene, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, nella decisone n. 12 del 30.08.2018, ha di recente ribadito, confermando l’orientamento maggioritario già formatosi in giurisprudenza, che “il contributo di costruzione è e rimane [… ] un corrispettivo di diritto pubblico” sicché “il pagamento di questo, esclusa pacificamente la sua natura tributaria, non può che costituire l'oggetto di un ordinario rapporto obbligatorio, disciplinato dalle norme di diritto privato, come prescrive l'art. 1, comma 1-bis, della L. n. 241 del 1990”.
Ciò reca, come precipitato, che “gli atti con i quali la pubblica amministrazione determina e liquida il contributo di costruzione, previsto dall'art. 16 del D.P.R. n. 380 del 2001, non hanno natura autoritativa, non essendo espressione di una potestà pubblicistica, ma costituiscono l'esercizio di una facoltà connessa alla pretesa creditoria riconosciuta dalla legge al Comune per il rilascio del permesso di costruire”.
Questa ricostruzione ha evidenti riflessi in punto processuale.
Allontanandosi da modello impugnatorio del giudizio sull’atto, il Giudice Amministrativo, a cui il legislatore attribuisce in materia edilizia una giurisdizione esclusiva ex art. 133, comma 1, lett. f), c.p.a., conosce, infatti, attraverso lo spettro delle censure mosse dal ricorrente, l’intero rapporto giuridico intercorrente tra questi e l’Amministrazione, con la possibilità di accertare il suo contenuto e stabilire la sussistenza e la portata delle singole obbligazioni nascenti dallo stesso.
1.1 Le considerazioni appena rassegnate spingono a ritenere che, in disparte dal nomen iuris impiegato, le domande qui spiccate dalla ricorrente avverso la nota prot. n. 3111 del 19.02.2013 del Comune di Matino non rispecchino, nella sostanza, il paradigma dell’azione di annullamento ex art. 29 c.p.a. ma vadano, più correttamente, inquadrate come volte ad accertare il contenuto dell’obbligazione legale gravante a carico del privato.
2. Così riqualificate le domande proposte è possibile, adesso, esaminare le ragioni giuridiche dedotte a loro fondamento dalla ricorrente.
Con il primo motivo di gravame si deduce la violazione dell’art. 7 della L n. 241 del 1990 per aver omesso il Comune di Matino di dare comunicazione di avvio del procedimento di recupero delle somme dovute a titolo di oneri concessori.
2.1 La censura, calibrata in un’ottica eminentemente impugnatoria, è infondata.
Anzitutto occorre rilevare, quanto alla richiesta di pagamento di pagamento dei maggior oneri concessori relativi alla pratica edilizia n. 127/2011, che il relativo procedimento non risultava, al momento della formulazione dell’intimazione, ancora definito. Non dovendosi, dunque, dare avvio ad un procedimento diverso da quello di rilascio del permesso di costruire non era, pertanto, necessaria, alcuna comunicazione ex art. 7 della L. n. 241 del 1990.
Né, a ben vedere, era necessaria alcuna comunicazione di avvio del procedimento neppure con riguardo alla richiesta di integrazione delle somme già versate nell’ambito della pratica edilizia n. 31/2009, già definita con il rilascio del Permesso di Costruire in sanatoria n. 33/2010.
Come si è già ricordato, la giurisprudenza amministrativa ha, infatti, chiarito che “l'obbligazione di corrispondere gli oneri di urbanizzazione ha per oggetto una prestazione pecuniaria, da eseguire al domicilio del creditore, senza che su quest'ultimo gravi alcun onere di preventiva sollecitazione o avvertenza” (così Consiglio di Stato sez. V, 09.10.2013).
Ciò è legato alla peculiare natura giuridica del contributo concessorio che, secondo l’insegnamento pretorio (da ultimo TAR Lombardia, Brescia, sez. I, 28.01.2020, n. 75 che riprende quanto statuito da Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 30.08.2018, n. 12) costituisce “un'obbligazione giuridica di tipo pubblicistico comprendente oneri di urbanizzazione e costo di costruzione” che “nasce con il rilascio della concessione edilizia” e non ha carattere tributario ma è “definibile come corrispettivo di diritto pubblico posto a carico del costruttore”.
La circostanza che l’atto di rideterminazione non costituisca spendita di poteri autoritativi reca con sé come precipitato che l’Amministrazione Comunale non sia tenuta, salvo il rispetto dei principi di cui all’art. 1, comma 1, della L. n. 241 del 1990 e ss.mm., all’osservanza delle forme procedimentali e, quindi, segnatamente, della previsione di cui all’art. 7 della stessa in materia di comunicazione di avvio del procedimento.
3. Con il secondo motivo di gravame si deduce la violazione dell'art. 12 T.U.E.L., D.lgs. n. 267 del 2000 e ss.mm.. Più nel dettaglio, secondo la prospettazione di parte ricorrente, la nota prot. n. 3111 del 19.02.2013 sarebbe illegittima nella parte in cui subordina il rilascio del permesso di costruire al versamento delle somme dovute a titolo di oneri concessori.
3.1. La censura non coglie nel segno.
In disparte dai rilievi già effettuati in punto di natura giuridica dell’atto di determinazione e liquidazione del contributo di costruzione, l’impugnata nota prot. n. 3111 del 19.02.2013, in quanto atto endoprocedimentale, nulla ha statuito con riguardo al rilascio del permesso di costruire di cui alla pratica edilizia n. 127/2011.
Essa reca unicamente l’accertamento e la richiesta di pagamento di una maggior somma a titolo di oneri concessori, il cui versamento, come noto, non costituisce condizione di legittimità del titolo abilitativo (così ex multis sin da TAR, Lazio, Roma, sez. II, 11.06.1980, n. 432).
Va, in ogni caso, osservato, a conferma dell’indipendenza tra i due piani, che il Comune di Matino ha provveduto, dopo la proposizione del ricorso, al rilascio del permesso di costruire relativo alla pratica edilizia di ampliamento n. 127/2011.
4. Con il terzo motivo di gravame la ricorrente lamenta l’illegittimità dell’impugnata nota di richiesta di pagamento nella parte in cui la stessa ha operato una rideterminazione retroattiva dell'importo del contributo edilizio, effettuata a distanza di tre anni dal rilascio del titolo abilitativo n. 33/2010.
In proposito, si lamenta l’illegittimità della deliberazione n. 38/2012 con cui il Consiglio Comunale, preso atto del mancato aggiornamento quinquennale degli oneri di urbanizzazione e annuale dei costi di costruzione da parte degli uffici preposti, ha ritenuto di fornire indirizzo al Responsabile del Settore Servizi alla Città di procedere in autotutela al recupero della differenza tra gli oneri di urbanizzazione ed i contributi di costo costruzione riscossi e quelli dovuti per gli anni 2007, 2008, 2009, 2010, 2011 e 2012.
Secondo parte ricorrente, dovendosi, ai sensi dell’art. 16 del D.P.R. n. 380 del 2001, fare riferimento nella determinazione dell'entità dell'onere concessorio alla data di rilascio del permesso di costruire e, quindi, alla normativa in tale momento vigente, la predetta delibera di Consiglio Comunale n. 38/2012 dovrebbe trovare applicazione esclusivamente per i permessi di costruire successivi alla sua adozione e non per quelli rilasciati in epoca anteriore.
4.1 La censura è fondata nei limiti appresso precisati.
Si deve opportunamente tenere distinta la disciplina relativa alla determinazione degli oneri di urbanizzazione da quella relativa alla determinazione dei costi di costruzione.
Con riguardo alla prima, la giurisprudenza di questo Tribunale ha già chiarito che “una volta che la determinazione degli oneri concessori sia correttamente avvenuta sulla base delle tabelle vigenti all'epoca del rilascio del permesso di costruire, è illegittima la pretesa dell'Amministrazione di addossare al titolare del permesso edilizio rilasciato anni prima l'ulteriore carico finanziario derivante dal meccanismo di aggiornamento; d'altro canto la convenienza a realizzare o non l'intervento edilizio non può prescindere da una valutazione degli oneri concessori quale significativa componente dei costo complessivo, per cui, un adeguamento del contributo ex post si tradurrebbe in un'alea insopportabile per chi, ove a conoscenza di un diversa e maggiore entità del contributo, si sarebbe magari astenuto dall'iniziativa economica intrapresa” (così TAR Puglia, Lecce, sez. III, 22.10.2015, n. 3004).
Ne consegue che le delibere comunali di adeguamento degli oneri di urbanizzazione possono trovare applicazione esclusivamente "per i permessi rilasciati a far tempo dall'epoca di adozione dell'atto deliberativo e non anche per quelli rilasciati in epoca anteriore" (così già TAR Puglia, Lecce, sez. III, 15.01.2013, n. 48).
Ciò discende, oltre che dal disposto del citato art. 16 del D.P.R. n. 380 del 2001, dai principi generali in materia di obbligazioni e, segnatamente, di buona fede oggettiva, che impediscono al creditore di pretendere maggior somme che presupponevano la diligente attivazione delle proprie prerogative (quale l’aggiornamento delle tabelle di calcolo).
Detto orientamento è stato recepito dall’Adunanza Plenaria nella già richiamata pronuncia n. 12 del 30.08.2018. Il Supremo Consesso, dopo aver affermato che il carattere paritetico del rapporto “non esclude la doverosità della rideterminazione quante volte la pubblica amministrazione si accorga che l'iniziale determinazione degli oneri di urbanizzazione sia dipesa da un'inesatta applicazione delle tabelle o anche da un semplice errore di calcolo” ha ribadito fermamente che, a tutela dell’affidamento che il privato deve potere nutrire in ordine all’operato dell’Amministrazione, “il Comune ha l'obbligo di adoperarsi affinché la liquidazione del contributo di costruzione venga eseguita nel modo più corretto, sollecito, scrupoloso e preciso, sin dal principio”.
È, quindi, da escludere che il Comune resistente possa giustificare una richiesta di integrazione di quanto già versato a titolo di oneri di urbanizzazione sulla scorta dell’esigenza di porre rimedio, a posteriori, ad una propria condotta inadempiente.
4.2 Un diverso regime di liquidazione trova applicazione, come anticipato, con riguardo ai costi di costruzione.
Sul punto il Supremo Consenso della Giustizia Amministrativa ha avuto modo di precisare, pronunciandosi su un casus a cui era applicabile la normativa regionale pugliese, che, in base a quanto stabilito dall’art. 16, comma 9, del D.P.R. n. 380 del 2001 e ss.mm., “i costi-base fissati con delibera regionale si applicano direttamente”, mentre “le delibere con cui i Comuni determinino i costi in misura differente da quanto deciso dalla Regione, avvalendosi di facoltà previste da leggi regionali (nella specie: art. 1, comma 2, della legge regionale n. 1/2007), hanno carattere eventuale e non condizionano l’immediata vigenza e operatività del costo-base fissato dalla Regione”.
Muovendosi da siffatte premesse si è ritenuto che “il principio di irretroattività delle delibere comunali sopravvenute opera sì, ma solo per il costo in aumento o in riduzione” rispetto “al costo-base fissato con atto regionale” (così Consiglio di Stato, sez. IV, 12.06.2017 n. 2821).
4.3 Dall’applicazione delle coordinate ermeneutiche appena illustrate consegue l’illegittimità dell’impugnata nota prot. n. 3111 del 19.02.2013 nella sola parte in cui la stessa intima il pagamento dell’ulteriore somma di €. 7.701,15 a titolo di recupero degli oneri di urbanizzazione dovuti per il permesso di costruire in sanatoria n. 33/2010 inerente alla pratica edilizia n. 31/2009.
Detto titolo risulta, infatti, essere stato rilasciato prima dell’intervenuto aggiornamento da parte del Comune, giusta deliberazione del Consiglio Comunale di Matino n. 38 del 2012, degli oneri di urbanizzazione. Ne consegue che gli oneri di urbanizzazione relativi alla pratica edilizia n. 31/2009 dovranno essere liquidati con riguardo ai parametri vigenti al momento del rilascio permesso di costruire in sanatoria n. 33/2010.
Alla pratica edilizia di ampliamento n. 127/2011 trova, invece, applicazione, sempre limitatamente agli oneri di urbanizzazione, come è stato correttamente ritenuto dall’Amministrazione comunale, l’aggiornamento disposto con la deliberazione del Consiglio Comunale di Matino n. 38 del 2012. Ciò in quanto il relativo permesso di costruire risulta esser stato rilasciato nel corso del presente giudizio e, quindi, dopo l’adozione della prefata delibera consiliare di aggiornamento.
4.4 Per ciò che attiene alla determinazione dei costi di costruzione, appare legittima, per le ragioni esposte in precedenza, l’applicazione da parte del Comune di Matino, anche con riguardo alla pratica edilizia n. 31/2009, del costo di costruzione di € 594,00/mq stabilito dall'art. 2, comma 1, della L.R. Puglia 01.01.2007 n. 1 recante “Norme relative all'esercizio provvisorio del bilancio di previsione per l'anno finanziario 2007 -Modifiche e integrazioni”.
Va, sul punto, infatti, rilevato che ambedue i titoli abilitativi relativi alle pratiche edilizie n. 31/2009 e n. 127/2011 sono stati rilasciati dopo l’entrata in vigore della L.R. Puglia n. 1 del 2007 (e sono relativi a richieste di Permesso di Costruire presentate successivamente alla data del 31.12.2006) (TAR Puglia-Lecce, Sez. III, sentenza 12.06.2020 n. 609 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAPer costante giurisprudenza:
   a) il contributo per il rilascio del permesso di costruire ha natura di prestazione patrimoniale imposta, di carattere non tributario, ed ha carattere generale, prescindendo totalmente delle singole opere di urbanizzazione che devono in concreto eseguirsi, venendo altresì determinato indipendentemente sia dall’utilità che il concessionario ritrae dal titolo edificatorio sia dalle spese effettivamente occorrenti per realizzare dette opere.
Ne consegue l’assenza di qualsivoglia rapporto di sinallagmaticità tra la realizzazione delle opere di urbanizzazione da parte dell’amministrazione comunale ed il pagamento degli oneri concessori da parte del richiedente il titolo edilizio;
   b) dalla natura giuridica degli oneri ne discende, quale immediato e diretto corollario, la natura privatistica -e non anche pubblicistica- degli atti con i quali l’amministrazione comunale determina o ridetermina il contributo di costruzione.
Invero, l’obbligazione di corrispondere il contributo nasce nel momento in cui viene rilasciato il titolo ed è a tale momento che occorre aver riguardo per la determinazione dell’entità del contributo e l’atto di imposizione e di liquidazione del contributo si risolve in un mero atto ricognitivo e contabile, in applicazione di rigidi e prestabiliti parametri regolamentari e tabellari;
   c) atteso che tale potere si sostanzia, quindi, nella mera quantificazione (rectius liquidazione) di una obbligazione ex lege (art. 16 d.P.R. n. 380/2001) a carico del richiedente il titolo autorizzatorio edilizio, sul quale grava una posizione giuridica soggettiva di “obbligo” a fronte del diritto soggettivo di credito della p.a., sussiste un potere –rectius dovere- per l’amministrazione di apportare modifiche a siffatte determinazioni tutte le volte in cui la stessa si sia discostata dai parametri summenzionati -aventi natura cogente, con esclusione di qualsivoglia discrezionalità applicativa- e ciò anche in senso “sfavorevole” al privato, purché nei limiti della prescrizione decennale del relativo diritto di credito.
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7. Le censure sopra descritte, che in quanto strettamente connesse meritano trattazione unitaria, non sono meritevoli di accoglimento.
7.1. Il Collegio, al riguardo, osserva preliminarmente che per costante giurisprudenza:
   a) il contributo per il rilascio del permesso di costruire ha natura di prestazione patrimoniale imposta, di carattere non tributario, ed ha carattere generale, prescindendo totalmente delle singole opere di urbanizzazione che devono in concreto eseguirsi, venendo altresì determinato indipendentemente sia dall’utilità che il concessionario ritrae dal titolo edificatorio sia dalle spese effettivamente occorrenti per realizzare dette opere.
Ne consegue l’assenza di qualsivoglia rapporto di sinallagmaticità tra la realizzazione delle opere di urbanizzazione da parte dell’amministrazione comunale ed il pagamento degli oneri concessori da parte del richiedente il titolo edilizio (Cons. Stato, Ad. plen., 30.08.2018, n. 12);
   b) dalla natura giuridica degli oneri ne discende, quale immediato e diretto corollario, la natura privatistica -e non anche pubblicistica- degli atti con i quali l’amministrazione comunale determina o ridetermina il contributo di costruzione (Cons. Stato, Ad. plen., 30.08.2018, n. 12).
Invero, l’obbligazione di corrispondere il contributo nasce nel momento in cui viene rilasciato il titolo ed è a tale momento che occorre aver riguardo per la determinazione dell’entità del contributo (Cons. St., sez. IV, 30.11.2015, n. 5412, ma v. anche Cons. St., sez. V, 13.06.2003, n. 3332) e l’atto di imposizione e di liquidazione del contributo si risolve in un mero atto ricognitivo e contabile, in applicazione di rigidi e prestabiliti parametri regolamentari e tabellari;
   c) atteso che tale potere si sostanzia, quindi, nella mera quantificazione (rectius liquidazione) di una obbligazione ex lege (art. 16 d.P.R. n. 380/2001) a carico del richiedente il titolo autorizzatorio edilizio, sul quale grava una posizione giuridica soggettiva di “obbligo” a fronte del diritto soggettivo di credito della p.a., sussiste un potere –rectius dovere- per l’amministrazione di apportare modifiche a siffatte determinazioni tutte le volte in cui la stessa si sia discostata dai parametri summenzionati -aventi natura cogente, con esclusione di qualsivoglia discrezionalità applicativa (Cons. St., sez. IV, 28.11.2012, n. 6033)- e ciò anche in senso “sfavorevole” al privato, purché nei limiti della prescrizione decennale del relativo diritto di credito (così Ad. Plen. n. 12/2018; Cons. St., sez. IV, 28.11.2012, n. 6033, Cons. St., sez. IV, 17.09.2010, n. 6950).
7.2. Ciò considerato, dall’inesistenza di un potere di natura pubblicistica in capo alla p.a. discende, innanzitutto, l’infondatezza della prima censura, potendo ravvisare nell’azione amministrativa de qua una legittima, se non doverosa, attività di rideterminazione del contributo concessorio.
D’altro canto, il Comune, con gli atti impugnati, non determinava, a differenza di quanto sostiene parte appellante, una radicale trasformazione del titolo edilizio originariamente rilasciato, non potendo –neanche astrattamente- essere ipotizzato che la concessione c.d. gratuita costituisca un istituto autonomo e distinto.
Invero, è lo stesso art. 9 della legge n. 10/1977 ad affermare che, per le ipotesi ivi previste, “il contributo di cui al precedente articolo 3 non è dovuto”, così provvedendo esclusivamente ad individuare –in deroga al principio di onerosità del permesso di costruire- delle fattispecie tipiche di esenzione, senza in alcun modo voler concepire una forma di concessione differente rispetto a quello di carattere generale (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 01.06.2020 n. 3405 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATACon riferimento all’interpretazione dell’art. 9, lett. d), della legge n. 10/1977 quale ipotesi di esenzione dal pagamento del contributo concessorio, occorre considerare che, secondo la costante giurisprudenza, in materia di edilizia il pagamento degli oneri concessori rappresenta la regola, con la conseguenza che si impone un’interpretazione restrittiva delle deroghe, da ritenere, pertanto, quali ipotesi tassativamente previste dalla legge.
Al riguardo, si osserva che l’art. 9, comma 1, lett. d), della legge n. 11/1977, nel prevedere che il contributo non è dovuto per gli interventi di restauro, di risanamento conservativo, di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore al venti per cento, di edifici unifamiliari, si pone l’obiettivo di esentare dal contributo concessorio ogni intervento edilizio sugli edifici esistenti destinati all'abitazione di un solo nucleo familiare. Il legislatore, pertanto, individua -quali beneficiari dell’esenzione- i nuclei familiari, per l’appunto proprietari di alloggi unifamiliari, nell’ottica di migliorare in loro favore le condizioni di abitabilità degli edifici medesimi.
Conforme alla ratio legis è quindi l’interpretazione volta a considerare come parametro, ai fini del calcolo della percentuale di ampliamento ammissibile per l’esenzione, il solo volume e la sola superficie lorda effettivamente destinati a residenza. Invero, essendo l’ampliamento finalizzato a migliorare l’abitabilità dell’edificio sono esclusivamente le parti abitabili a dover essere prese a riferimento per l’applicazione della percentuale del 20%.
Per converso non è accettabile l’interpretazione alternativa, che condurrebbe ad applicare, ai fini del rispetto del limite di legge, il rapporto tra il volume (o la superficie piana) esistente (inteso nella sua interezza e, quindi con riferimento alla fattispecie in esame, inclusivo di locali come il loggiato al primo piano, i vani accessori, la soffitta e la cantina al piano terra) e il risultante.
Seguendo tale impostazione, invero, si addiverrebbe ad una non consentita applicazione analogica della disposizione e ci si porrebbe in contrasto con la funzione dell’esenzione, finendo per incentivare la realizzazione di ampliamenti di carattere esclusivamente lucrativo.
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8. Passando all’esame del secondo motivo di ricorso, il Collegio, condividendo quanto espresso dal primo giudice, osserva preliminarmente che, con riferimento all’interpretazione dell’invocato art. 9, lett. d), della legge n. 10/1977 quale ipotesi di esenzione dal pagamento del contributo concessorio, occorre considerare che, secondo la costante giurisprudenza (Cons. Stato Sez. IV, 07.06.2018, n. 3422; Sez. V, 07.05.2013, n. 2467), in materia di edilizia il pagamento degli oneri concessori rappresenta la regola, con la conseguenza che si impone un’interpretazione restrittiva delle deroghe, da ritenere, pertanto, quali ipotesi tassativamente previste dalla legge.
8.1. Al riguardo, si osserva che l’art. 9, comma 1, lett. d), della legge n. 11/1977, nel prevedere che il contributo non è dovuto per gli interventi di restauro, di risanamento conservativo, di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore al venti per cento, di edifici unifamiliari, si pone l’obiettivo di esentare dal contributo concessorio ogni intervento edilizio sugli edifici esistenti destinati all'abitazione di un solo nucleo familiare. Il legislatore, pertanto, individua -quali beneficiari dell’esenzione- i nuclei familiari, per l’appunto proprietari di alloggi unifamiliari, nell’ottica di migliorare in loro favore le condizioni di abitabilità degli edifici medesimi.
Conforme alla ratio legis è quindi l’interpretazione, avanzata dal Comune appellato sin dall’adozione del provvedimento di rideterminazione del contributo, volta a considerare come parametro, ai fini del calcolo della percentuale di ampliamento ammissibile per l’esenzione, il solo volume e la sola superficie lorda effettivamente destinati a residenza. Invero, essendo l’ampliamento finalizzato a migliorare l’abitabilità dell’edificio sono esclusivamente le parti abitabili a dover essere prese a riferimento per l’applicazione della percentuale del 20%.
Per converso non è accettabile l’interpretazione alternativa, che condurrebbe ad applicare, ai fini del rispetto del limite di legge, il rapporto tra il volume (o la superficie piana) esistente (inteso nella sua interezza e, quindi con riferimento alla fattispecie in esame, inclusivo di locali come il loggiato al primo piano, i vani accessori, la soffitta e la cantina al piano terra) e il risultante. Seguendo tale impostazione, invero, si addiverrebbe ad una non consentita applicazione analogica della disposizione e ci si porrebbe in contrasto con la funzione dell’esenzione, finendo per incentivare la realizzazione di ampliamenti di carattere esclusivamente lucrativo.
8.2. Ciò considerato, rilevato che prima dell’intervento la superficie utile ammontava a mq. 111,69 e la superficie non residenziale a mq. 191,24 e il volume riferito alla parte abitabile ammontava a mc. 468,60 e che a seguito della trasformazione la superficie utile lievitava a mq. 206,87 e di conseguenza il volume abitabile lievitava a mc. 747,90, non può trovare applicazione nel caso di specie l’art. 9, comma 1, lett. d), della legge n. 10/1977, risultando l’ampliamento richiesto superiore al 20% sia in termini di volume che di superficie.
9. In conclusione, in ragione di quanto esposto, l’appello deve essere respinto (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 01.06.2020 n. 3405 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

aprile 2020

EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICAIn base all’art. 133 del comma 1, lett. a), n. 2), d.lgs. 02.07.2010, n. 104 sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, le controversie in materia di “formazione, conclusione ed esecuzione degli accordi integrativi o sostitutivi di provvedimento amministrativo e degli accordi fra pubbliche amministrazioni”; ai sensi della lettera f) sono devolute alla giurisdizione esclusiva “le controversie aventi ad oggetto gli atti e i provvedimenti delle pubbliche amministrazioni in materia urbanistica e edilizia, concernente tutti gli aspetti dell'uso del territorio”.
In base alla consolidata giurisprudenza di questo Consiglio e della Corte di Cassazione, regolatrice della giurisdizione, tali disposizioni radicano chiaramente la giurisdizione in tema di convenzioni urbanistiche, quali accordi integrativi di provvedimenti amministrativi, anche con riferimento alla loro corretta esecuzione (invero, spetta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo la cognizione della controversia avente ad oggetto l’adempimento o, in subordine, la risoluzione di una convenzione di lottizzazione).
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Per consolidata giurisprudenza, la scadenza del termine per l’ultimazione dell’esecuzione delle opere di urbanizzazione previste in una convenzione urbanistica non fa venire meno la relativa obbligazione, mentre proprio da tale momento, in base all’art. 2935 c.c., per cui “la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere”, inizia a decorrere l’ordinario termine di prescrizione decennale, ai sensi dell’art. 2946 del codice civile.
Il Comune, una volta consumato il termine di validità della convenzione, ha dunque dieci anni di tempo per poter azionare i diritti ivi previsti.
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Ritiene il Collegio di potere richiamare l’orientamento giurisprudenziale consolidato per cui gli atti con i quali la Pubblica amministrazione determina e liquida il contributo di costruzione costituiscono l'esercizio di una facoltà connessa alla pretesa creditoria riconosciuta dalla legge al Comune per il rilascio del permesso di costruire, nell’ambito di un rapporto obbligatorio a carattere paritetico e soggetta al termine di prescrizione decennale.
Nel corso del rapporto concessorio, dunque, la Amministrazione può rideterminare, sia a favore che a sfavore del privato, l’importo del contributo di concessione, in principio erroneamente liquidato, richiedendone o rimborsandone a questi la differenza nell'ordinario termine di prescrizione decennale, ai sensi dell’art. 2946 c.c., decorrente dal rilascio del titolo edilizio.
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In via preliminare deve essere esaminata la questione di giurisdizione sollevata dalla difesa del Comune di Bari e riproposta, pur genericamente, in appello.
Ritiene il Collegio la sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo come correttamente ritenuto anche dal giudice di primo grado.
In base all’art. 133 del comma 1, lettera a), n. 2), d.lgs. 02.07.2010, n. 104 sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, le controversie in materia di “formazione, conclusione ed esecuzione degli accordi integrativi o sostitutivi di provvedimento amministrativo e degli accordi fra pubbliche amministrazioni”; ai sensi della lettera f) sono devolute alla giurisdizione esclusiva “le controversie aventi ad oggetto gli atti e i provvedimenti delle pubbliche amministrazioni in materia urbanistica e edilizia, concernente tutti gli aspetti dell'uso del territorio”.
In base alla consolidata giurisprudenza di questo Consiglio e della Corte di Cassazione, regolatrice della giurisdizione, tali disposizioni radicano chiaramente la giurisdizione in tema di convenzioni urbanistiche, quali accordi integrativi di provvedimenti amministrativi, anche con riferimento alla loro corretta esecuzione (Cons. Stato, sez. IV, 04.05.2010 n. 2568; id. 02.02.2012, n. 616; id. 14.01.2013, n. 159; Ad Plen 20.07.2012 n. 28; Cass. civ., sez. un., 03.02.2011, n. 2546, per cui spetta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo la cognizione della controversia avente ad oggetto l’adempimento o, in subordine, la risoluzione di una convenzione di lottizzazione).
Inoltre, nel caso di specie, la controversia attiene in particolare alla contestazione della società Ma. circa la richiesta del Comune avanzata con la nota del 04.08.2010 di pagamento degli oneri di urbanizzazione, che erano stati scomputati al momento della convenzione, a seguito dell’affermato inadempimento di parte degli obblighi convenzionali.
Anche sotto tale profilo la controversia si deve ritenere rientrante nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, in base al consolidato orientamento giurisprudenziale per cui le controversie attinenti alla determinazione e liquidazione degli oneri concessori sono riconducibili a quegli aspetti dell'uso del territorio costituenti prerogativa della P.A., e per questo riservate alla giurisdizione esclusiva del G.A., ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. f), c.p.a. ( Cons. di Stato sez. IV, 10.06.2014, n. 2960; 21.08.2013, n. 4208).
Venendo al merito della controversia, nell’ordine logico delle questioni, deve essere esaminato per primo il motivo del ricorso di primo grado, non esaminato nella sentenza, e riproposto con l’appello incidentale (comunque tempestivo rispetto ai termini di cui all’art. 101, comma 2, c.p.a.), concernente l’eccezione di prescrizione del credito relativo agli oneri di urbanizzazione.
Il motivo è, infatti, fondato e idoneo a definire il giudizio con la reiezione dell’ulteriore motivo di appello del Comune.
Per consolidata giurisprudenza, la scadenza del termine per l’ultimazione dell’esecuzione delle opere di urbanizzazione previste in una convenzione urbanistica non fa venire meno la relativa obbligazione, mentre proprio da tale momento, in base all’art. 2935 c.c., per cui “la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere”, inizia a decorrere l’ordinario termine di prescrizione decennale, ai sensi dell’art. 2946 del codice civile (Cons. Stato Sez. IV, 14.05.2019, n. 3127; n. 3126). Il Comune, una volta consumato il termine di validità della convenzione, ha dunque dieci anni di tempo per poter azionare i diritti ivi previsti (Cons. Stato Sez. IV, 15.10.2019, n. 7008).
Nel caso di specie la Convenzione è stata stipulata il 28.10.1988.
L’art. 5 della Convenzione prevedeva il termine di ultimazione degli edifici in sette anni o nel minor termine previsti nelle concessioni edilizie e per le opere di urbanizzazione disponeva che potessero essere “realizzate gradualmente, purché siano assicurati i servizi ai costruendi edifici”.
Il termine di esecuzione degli obblighi convenzionali poteva quindi scadere già il 28.10.1995.
In ogni caso, anche a ritenere che al termine di esecuzione delle opere di urbanizzazione si dovesse applicare -in assenza di una specifica previsione- il termine decennale previsto per l’esecuzione degli strumenti urbanistici attuativi, secondo quanto affermato dalla giurisprudenza (cfr. Cons. Stato Sez. IV, 21.04.2017, n. 1875, in caso appunto di mancanza di un termine indicato nella convenzione), nel caso di specie, il termine decennale sarebbe scaduto il 28.10.1998.
Almeno da tale data ha, dunque, iniziato a decorrere il termine ordinario decennale di prescrizione.
Ne deriva che -in assenza di formali intimazioni da parte del Comune o della proposizione di una eventuale azione di adempimento degli obblighi derivanti dalla Convenzione, o, ancora, in mancanza della escussione della fideiussione appositamente stipulata- alla data del 04.08.2010, tale termine decennale era ampiamente decorso, anche a ritenere idonee ad interrompere la prescrizione le note inviate dal Comune in risposta alla società Ma., fino all’ultima del 02.03.2000.
Infatti, a prescindere dalla circostanza che la difesa comunale non ha eccepito alcunché sulla eventuale interruzione della prescrizione, in ogni caso non potrebbe essere ritenuta idonea ad interrompere la prescrizione decennale la nota del 26.05.2009, che risulta inviata dalla Ripartizione Edilizia pubblica e lavori pubblici alla Ripartizione urbanistica e non alla società Ma..
Inoltre, la nota del 04.08.2010 risulta la prima comunicazione in cui è stata effettivamente quantificata la somma richiesta a titolo di oneri illegittimamente scomputati, non essendo comunque tale somma quantificata neppure nella nota del 26.05.2009 depositata in giudizio.
Il Comune ha poi dato espressamente atto, nella nota della Ripartizione urbanistica del 24.11.2010 indirizzata alla Ripartizione Avvocatura che la richiesta di somme del 04.08.2010 riguardava gli oneri scomputati per opere di urbanizzazione poi non completate.
Ritiene, dunque, il Collegio di potere richiamare altresì l’orientamento giurisprudenziale consolidato per cui gli atti con i quali la Pubblica amministrazione determina e liquida il contributo di costruzione costituiscono l'esercizio di una facoltà connessa alla pretesa creditoria riconosciuta dalla legge al Comune per il rilascio del permesso di costruire, nell’ambito di un rapporto obbligatorio a carattere paritetico e soggetta al termine di prescrizione decennale; nel corso del rapporto concessorio, dunque, la Amministrazione può rideterminare, sia a favore che a sfavore del privato, l’importo del contributo di concessione, in principio erroneamente liquidato, richiedendone o rimborsandone a questi la differenza nell'ordinario termine di prescrizione decennale, ai sensi dell’art. 2946 c.c., decorrente dal rilascio del titolo edilizio (cfr. C.G.A. 03.02.2020, n. 89; Cons. Stato Sez. II, 18.11.2019, n. 7854; Sez. IV, 17.09.2019, n. 6198; Ad. Plen. 30.08.2018, n. 12).
Nel caso di specie, dunque, il Comune ha richiesto il pagamento di somme, quali oneri di urbanizzazione (ritenuti) illegittimamente scomputati per la mancata completa realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria solo il 04.08.2010, quando era decorso il termine di prescrizione decennale dalla scadenza della convenzione e dalla conclusione dei lavori.
Peraltro, risulta dagli di causa che nella riunione del 16.12.1999 gli uffici comunali fossero perfettamente a conoscenza della situazione dei luoghi e delle opere realizzate, potendo quindi eventualmente da tale momento agire con gli strumenti convenzionali (escussione della fideiussione) e giurisdizionali (azione di adempimento) a disposizione per l’adempimento della convenzione o comunque richiedere il pagamento degli oneri a seguito della rideterminazione degli stessi per le opere non realizzate.
In ogni caso, come sopra evidenziato, il Comune nei propri atti difensivi sia in primo grado che in appello non ha neppure controdedotto circa l’eccezione di prescrizione proposta dalla società appellante, né tanto meno ha dedotto alcunché circa un eventuale atto di interruzione.
Poiché si tratta di controversia rientrante nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, devono essere applicati i principi dell’onere della prova in materia di diritti soggettivi, con la conseguenza che il creditore cui venga eccepita la prescrizione ha l’onere di allegare e provare il compimento dell'atto interruttivo (cfr. Cass. civ. Sez. III, 05.11.2013, n. 24799). L’interruzione della prescrizione, in replica all'eccezione di prescrizione formulata dal debitore, infatti, configura una controeccezione mirante a paralizzare l'eccezione avversaria, assimilabile ad un'eccezione in senso stretto, e, pertanto, il controeccipiente ha l’onere non solo di provare i fatti su cui si fonda, ma anche di controdedurli (Cass. civ. Sez. II, 27.06.2002, n. 9378, per cui in mancanza di controdeduzioni tali fatti non potrebbero neppure essere rilevati d’ufficio dal giudice anche se la prova del fatto fosse acquisita al processo).
Nel caso di specie, la mancanza di qualsiasi riferimento alla interruzione della prescrizione negli atti difensivi del Comune comporta di per sé la fondatezza della eccezione di prescrizione.
In ogni caso nulla è stato dedotto circa una precedente richiesta di pagamento di somme prima del 04.08.2010. Né tali circostanze risultano nella documentazione degli uffici comunali depositata in giudizio a cui la difesa comunale si è riportata nella memoria di primo grado e nell’atto di appello. Infatti, nella nota del 24.11.2010 indirizzata dalla Ripartizione urbanistica alla Ripartizione Avvocatura comunale, a cui fa riferimento la memoria di primo grado, e nella nota della Ripartizione edilizia pubblica e lavori pubblici del 27.12.2011, a cui si riporta l’atto di appello, si richiamano la nota del 02.03.2000 e poi quella del 26.05.2009 (quest’ultima della Ripartizione Edilizia pubblica e lavori pubblici inviata solo alla Ripartizione urbanistica ma non alla società Ma.), senza alcuna indicazione di atti interruttivi in tale lasso temporale.
L’eccezione di prescrizione proposta come motivo di ricorso di primo grado e riproposta nell’appello incidentale deve dunque essere accolta (Consiglio di Stato, Sez. II, sentenza 20.04.2020 n. 2532 - link a www.giustizia-amministrativa.it).
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Al riguardo si legga anche:
  
Esecuzione degli obblighi nascenti da convenzione urbanistica: come stabilire il decorso del termine di prescrizione (05.05.2020 - tratto da e link a www.segretaricomunalivighenzi.it).
Convenzione urbanistica con scomputo degli oneri di urbanizzazione
Un privato ha stipulato con il competente Comune una convenzione urbanistica per l'attuazione di un piano particolareggiato che prevedeva l'obbligo di cessione al Comune delle aree relative alle opere di urbanizzazione primaria e secondaria. Il privato aveva diritto al parziale scomputo degli oneri di urbanizzazione a fronte dell'esecuzione delle opere di urbanizzazione primaria, consistenti nella costruzione del corpo stradale, dei marciapiedi e relative pavimentazioni, delle reti di smaltimento delle acque bianche e nere, della rete di distribuzione dell'acqua potabile, dell'energia elettrica, del gas, dell'impianto di pubblica illuminazione.
In seguito, il privato presentava certificato di regolare esecuzione delle opere, ma il Comune non ha provveduto allo svincolo della fidejussione per varie criticità sorte in ordine all'esecuzione delle opere, ritenuta solo parziale, per cui occorreva prevedere un versamento da parte del privato.
Convenzioni urbanistiche e loro esecuzione, una questione di giurisdizione: ordinaria o amministrativa?
Il Collegio di primo grado e poi anche quello d'appello (Sentenza del Cons. di Stato n. 2532/2020), hanno ritenuto sussistente la giurisdizione del giudice amministrativo, facendo leva sul disposto dell'art. 133 del comma 1, lett. a), n. 2), D.Lgs. 02.07.2010, n. 104, per il quale sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, le controversie in materia di "formazione, conclusione ed esecuzione degli accordi integrativi o sostitutivi di provvedimento amministrativo e degli accordi fra pubbliche amministrazioni"; ai sensi della lett. f) sono devolute alla giurisdizione esclusiva "le controversie aventi ad oggetto gli atti e i provvedimenti delle pubbliche amministrazioni in materia urbanistica e edilizia, concernente tutti gli aspetti dell'uso del territorio". Anche la giurisprudenza del Consiglio di Stato e della Suprema Corte di Cassazione militano in questo senso, riconoscendo che tali disposizioni radicano chiaramente nel giudice amministrativo la giurisdizione in tema di convenzioni urbanistiche, quali accordi integrativi di provvedimenti amministrativi, anche con riferimento alla loro corretta esecuzione.
Nel caso, è emersa la contestazione circa la richiesta del Comune di pagamento degli oneri di urbanizzazione, che erano stati scomputati al momento della convenzione, a seguito dell'affermato inadempimento di parte degli obblighi convenzionali. Anche sotto tale profilo la controversia si deve ritenere rientrante nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, in base al consolidato orientamento giurisprudenziale per cui le controversie attinenti alla determinazione e liquidazione degli oneri concessori sono riconducibili a quegli aspetti dell'uso del territorio costituenti prerogativa della P.A., e per questo riservate alla giurisdizione esclusiva del G.A., ai sensi dell'art. 133, comma 1, lett. f) c.p.a.
Decorso della prescrizione per l'esecuzione delle opere di urbanizzazione: la giurisprudenza
Per consolidata giurisprudenza, la scadenza del termine per l'ultimazione dell'esecuzione delle opere di urbanizzazione previste in una convenzione urbanistica non fa venire meno la relativa obbligazione, mentre proprio da tale momento, in base all'art. 2935 c.c., per cui "la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere", inizia a decorrere l'ordinario termine di prescrizione decennale, ai sensi dell'art. 2946 c.c. (Cons. Stato Sez. IV, 14.05.2019, n. 3127; Cons. Stato Sez. IV, 14.05.2019, n. 3126).
Il Comune, una volta consumato il termine di validità della convenzione, ha dunque dieci anni di tempo per poter azionare i diritti ivi previsti (Cons. Stato Sez. IV, 15.10.2019, n. 7008). Ne deriva che -in assenza di formali intimazioni da parte del Comune o della proposizione di una eventuale azione di adempimento degli obblighi derivanti dalla Convenzione o, ancora, in mancanza della escussione della fideiussione appositamente stipulata- decorsi dieci anni dalla scadenza, tale termine può considerarsi decorso.
Il Collegio d'appello, nella sentenza n. 2532/2020, ha richiamato anche l'orientamento giurisprudenziale consolidato per cui gli atti con i quali la Pubblica amministrazione determina e liquida il contributo di costruzione costituiscono l'esercizio di una facoltà connessa alla pretesa creditoria riconosciuta dalla legge al Comune per il rilascio del permesso di costruire, nell'ambito di un rapporto obbligatorio a carattere paritetico e soggetta al termine di prescrizione decennale; nel corso del rapporto concessorio, dunque, la Amministrazione può rideterminare, sia a favore che a sfavore del privato, l'importo del contributo di concessione, in principio erroneamente liquidato, richiedendone o rimborsandone a questi la differenza nell'ordinario termine di prescrizione decennale, ai sensi dell'art. 2946 c.c., decorrente dal rilascio del titolo edilizio.
Nel caso affrontato dalla Sentenza del Cons. di Stato n. 2532/2020, il Comune ha richiesto il pagamento di somme, quali oneri di urbanizzazione ritenuti illegittimamente scomputati per la mancata completa realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria, quando era decorso il termine di prescrizione decennale dalla scadenza della convenzione e dalla conclusione dei lavori.
La questione dell'onere della prova nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo
Quanto all'onere della prova, poiché si tratta di controversia rientrante nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, devono essere applicati i principi dell'onere della prova in materia di diritti soggettivi, con la conseguenza che il creditore cui venga eccepita la prescrizione ha l'onere di allegare e provare il compimento dell'atto interruttivo (cfr. Cass. civ. Sez. III, 05.11.2013, n. 24799). L'interruzione della prescrizione, in replica all'eccezione di prescrizione formulata dal debitore -secondo il Consiglio di Stato- configura una controeccezione mirante a paralizzare l'eccezione avversaria, assimilabile ad un'eccezione in senso stretto, e pertanto, il controeccipiente ha l'onere non solo di provare i fatti su cui si fonda, ma anche di controdedurli. A tal proposito, si richiama la sentenza della Cass. civ., Sez. II, 27.06.2002, n. 9378, per cui in mancanza di controdeduzioni tali fatti non potrebbero neppure essere rilevati d'ufficio dal giudice anche se la prova del fatto fosse acquisita al processo.
Nel caso di specie, la mancanza di qualsiasi riferimento alla interruzione della prescrizione negli atti difensivi del Comune comporta di per sé la fondatezza della eccezione di prescrizione. Di conseguenza, non assumono più alcun rilievo le questioni attinenti alla corretta esecuzione degli obblighi nascenti dalla convenzione urbanistica, in quanto l'avvenuta prescrizione ha comportato che di tali obblighi non si possa più chiedere l'adempimento, e si debba invece procedere a svincolare la fidejussione a suo tempo stipulata proprio a garanzia del corretto adempimento di tali obblighi (Cons. Stato Sez. II, Sent. 20.04.2020, n. 2532).

marzo 2020

EDILIZIA PRIVATAL’art. 16 D.P.R. n. 380/2001 non prevede un diritto immediato ed incondizionato allo scomputo degli oneri di urbanizzazione in capo al titolare della concessione edilizia, ma lo subordina alla circostanza che esso si sia “obbligato a realizzare direttamente le opere di urbanizzazione”, ossia che abbia preventivamente assunto il relativo impegno nei confronti dell'Amministrazione.
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La finalità degli oneri concessori, con particolare riguardo alla parte correlata alle opere di urbanizzazione primaria e secondaria, ha la chiara funzione di contribuire alle spese da sostenere dalla collettività in riferimento alla realizzazione delle relative opere, sicché di regola l’unico criterio per determinare se essi siano dovuti o meno e in che misura consiste nella valutazione del carico urbanistico derivante dall'attività edilizia, con la precisazione che per aumento del carico urbanistico deve intendersi tanto la necessità di dotare l’area di nuove opere di urbanizzazione, quanto l'esigenza di utilizzare più intensamente quelli esistenti.
In particolare, quando l’intervento edilizio si collochi all'interno di una convenzione di lottizzazione, ciò presuppone ontologicamente la preventiva valutazione dell'impatto dell’intervento sul carico urbanistico e il conseguente computo degli oneri, ripartiti secondo le regole sopra richiamate (realizzazione diretta, ovvero pagamento).
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In via generale, deve rilevarsi che la realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria è posta dalla legge (attualmente art. 16 del D.P.R. 06.06.2001 n. 380; prima dalla legge 28.01.1977, n. 10) a carico del Comune, mentre i privati devono corrispondere gli oneri per l’urbanizzazione primaria e secondaria (art. 3 della legge n. 10 del 1977). In base a tali previsioni legislative i privati possono assumere l’obbligo di realizzare direttamente le opere con lo scomputo delle somme dovute a titolo di urbanizzazione primaria e secondaria.
Ai sensi dell’art. 16, comma 2, del D.P.R. n. 380 del 2001, infatti, “a scomputo totale o parziale della quota dovuta, il titolare del permesso può obbligarsi a realizzare direttamente le opere di urbanizzazione”.
Come chiarito dalla giurisprudenza, l’art. 16 D.P.R. n. 380 del 2001 cit. (così come la previgente disciplina) non prevede un diritto immediato ed incondizionato allo scomputo in capo al titolare della concessione edilizia, ma lo subordina alla circostanza che esso si sia “obbligato a realizzare direttamente le opere di urbanizzazione”, ossia che abbia preventivamente assunto il relativo impegno nei confronti dell'Amministrazione (Cons. Stato Sez. II, 09.01.2020, n. 215; sez. VI, 28.02.2019, n. 1395).
Inoltre, ai sensi dell’art. 8 della legge 06.08.1967 n. 765 la convenzione di lottizzazione deve prevedere:
   “1) la cessione gratuita entro termini prestabiliti delle aree necessarie per le opere di urbanizzazione primaria, precisate all'art. 4 della legge 29.09.1964, n. 847, nonché la cessione gratuita delle aree necessarie per le opere di urbanizzazione secondaria nei limiti di cui al successivo n. 2;
   2) l'assunzione, a carico del proprietario, degli oneri relativi alle opere di urbanizzazione primaria e di una quota parte delle opere di urbanizzazione secondaria relative alla lottizzazione o di quelle opere che siano necessario per allacciare la zona ai pubblici servizi; la quota è determinata in proporzione all'entità e alle caratteristiche degli insediamenti delle lottizzazioni;
   3) i termini non superiori ai dieci anni entro i quali deve essere ultimata la esecuzione delle opere di cui al precedente paragrafo;
   4) congrue garanzie finanziarie per l'adempimento degli obblighi derivanti dalla convenzione.
La convenzione deve essere approvata con deliberazione consiliare nei modi e forme di legge.
Il rilascio delle licenze edilizie nell'ambito dei singoli lotti è subordinato all'impegno della contemporanea esecuzione delle opere di urbanizzazione primaria relative ai lotti stessi
”.
La finalità degli oneri concessori, con particolare riguardo alla parte correlata alle opere di urbanizzazione primaria e secondaria, ha, quindi, la chiara funzione di contribuire alle spese da sostenere dalla collettività in riferimento alla realizzazione delle relative opere, sicché di regola l’unico criterio per determinare se essi siano dovuti o meno e in che misura consiste nella valutazione del carico urbanistico derivante dall'attività edilizia, con la precisazione che per aumento del carico urbanistico deve intendersi tanto la necessità di dotare l’area di nuove opere di urbanizzazione, quanto l'esigenza di utilizzare più intensamente quelli esistenti (cfr. sul punto Sez. VI, 7 maggio, 29.08.2019, n. 5964).
In particolare, quando l’intervento edilizio si collochi all'interno di una convenzione di lottizzazione, ciò presuppone ontologicamente la preventiva valutazione dell'impatto dell’intervento sul carico urbanistico e il conseguente computo degli oneri, ripartiti secondo le regole sopra richiamate (realizzazione diretta, ovvero pagamento) (Cons. Stato Sez. II, 09.12.2019, n. 8377).
Applicando tali coordinate al caso di specie, si deve rilevare che tale ripartizione degli oneri e la realizzazione diretta di opere da parte dei lottizzanti è stata fissata al momento della sottoscrizione della convenzione edilizia e che le convenzioni di lottizzazioni, anche se istituto di complessa ricostruzione a causa dei profili di stampo pubblicistico che si accompagnano allo strumento chiaramente contrattuale, rappresentano comunque un incontro di volontà delle parti contraenti nell’esercizio dell'autonomia negoziale retta dal codice civile (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 26.09.2013, n. 4810; id. 07.05.2015, n. 2313) (Consiglio di Stato, Sez, II, sentenza 10.03.2020 n. 1725 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).

EDILIZIA PRIVATA: Ai fini della verifica della spettanza del contributo, la qualificazione dell’intervento effettuata dall’Amministrazione nel permesso di costruire non è decisiva, dovendo, piuttosto aversi riguardo all’autentica natura dell’attività edilizia esercitata.
Come confermato di recente dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (n. 12/2018) l’obbligazione al pagamento del contributo di costruzione costituisce, infatti, una prestazione imposta (e precisamente un corrispettivo di diritto pubblico), che sorge al verificarsi dei presupposti previsti dalla legge, la quale determina altresì integralmente i suoi contenuti, secondo lo schema legge-fatto-effetto.
L’Amministrazione, pertanto, poteva, come ha fatto, riqualificare l’intervento al fine di determinare la debenza e l’entità del contributo conseguente al rilascio del titolo.
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È vero che una delle componenti del contributo di costruzione è determinata in relazione agli oneri di urbanizzazione e che, pertanto, per tale parte, il contributo trova un suo fondamento giustificativo nell’aumento del carico urbanistico derivante dall’intervento.
È, altresì, vero, tuttavia, che per costante giurisprudenza il contributo di costruzione non si pone in rapporto sinallagmatico con le opere di urbanizzazione che devono in concreto eseguirsi, venendo determinato indipendentemente sia dall'utilità che il concessionario ritrae dal titolo edificatorio sia dalle spese effettivamente occorrenti per realizzare dette opere (C.d.S., Ad. Plen., n. 12/2018). Ciò in quanto il contributo di costruzione ha natura di prestazione patrimoniale imposta, di carattere non tributario ed a carattere generale.
In linea di principio, pertanto, non può affermarsi che l’assenza di aumento del carico urbanistico escluda l’obbligo di corrispondere il contributo, ove la legge il suddetto obbligo imponga in relazione ad un determinato intervento.
D’altro canto, il contributo di costruzione è costituito anche dall’ulteriore componente correlata al costo di costruzione, volta a compensare la c.d. compartecipazione comunale all'incremento di valore della proprietà immobiliare del costruttore, che prescinde dall’aumento di carico urbanistico.
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L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con la sentenza n. 12/2018 –nel dirimere il contrasto giurisprudenziale circa l’ammissibilità ed i limiti della riliquidazione del contributo di costruzione determinato al momento del rilascio del titolo edilizio-, conferma i seguenti principi:
   1) l’obbligazione di pagamento del contributo di costruzione ha natura di corrispettivo di diritto pubblico, i cui presupposti e contenuti sono definiti interamente dalla legge;
   2) il rapporto obbligatorio che ne discende soggiace interamente alla disciplina civilistica, nonostante la fonte legale da cui promana;
   3) dalla natura privatistica del rapporto che s’instaura tra l’Amministrazione ed il privato deriva che gli atti con i quali l’Amministrazione determina o riliquida il contributo hanno natura paritetica;
   4) l’Amministrazione può –entro il termine di prescrizione decennale decorrente dal momento in cui sorge l’obbligazione– esercitare il diritto di credito che dalla legge deriva, senza i limiti previsti per l’autotutela per gli atti aventi natura autoritativa, modificando l’importo originariamente richiesto.
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1. Con il primo motivo il ricorrente si duole della violazione dell’art. 22, c. 7, DPR 380/2001 e 76 L.R. Veneto n. 61/1985 poiché il Comune avrebbe richiesto il contributo di costruzione per la realizzazione di un intervento di restauro e risanamento conservativo che né la legge statale né quella regionale qualificano come oneroso.
1.1 Il motivo è infondato.
1.2 Ai fini della verifica della spettanza del contributo, la qualificazione dell’intervento effettuata dall’Amministrazione nel permesso di costruire non è decisiva, dovendo, piuttosto aversi riguardo all’autentica natura dell’attività edilizia esercitata.
1.2 Come confermato di recente dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (n. 12/2018) l’obbligazione al pagamento del contributo di costruzione costituisce, infatti, una prestazione imposta (e precisamente un corrispettivo di diritto pubblico), che sorge al verificarsi dei presupposti previsti dalla legge, la quale determina altresì integralmente i suoi contenuti, secondo lo schema legge-fatto-effetto.
1.3 L’Amministrazione, pertanto, poteva, come ha fatto, riqualificare l’intervento al fine di determinare la debenza e l’entità del contributo conseguente al rilascio del titolo.
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5. È infondato anche il terzo motivo di ricorso con il quale il ricorrente afferma che, anche a prescindere dall’applicabilità della causa di esenzione di cui all’art. 17, c. 3, lett. b), il contributo nella specie non può essere preteso poiché ne difetterebbe il fondamento causale da rinvenirsi nell’aumento di carico urbanistico derivante dall’intervento.
5.1 L’argomento prova troppo. È vero che una delle componenti del contributo di costruzione è determinata in relazione agli oneri di urbanizzazione e che, pertanto, per tale parte, il contributo trova un suo fondamento giustificativo nell’aumento del carico urbanistico derivante dall’intervento.
È, altresì, vero, tuttavia, che per costante giurisprudenza il contributo di costruzione non si pone in rapporto sinallagmatico con le opere di urbanizzazione che devono in concreto eseguirsi, venendo determinato indipendentemente sia dall'utilità che il concessionario ritrae dal titolo edificatorio sia dalle spese effettivamente occorrenti per realizzare dette opere (C.d.S., Ad. Plen., n. 12/2018). Ciò in quanto il contributo di costruzione ha natura di prestazione patrimoniale imposta, di carattere non tributario ed a carattere generale.
5.2 In linea di principio, pertanto, non può affermarsi che l’assenza di aumento del carico urbanistico escluda l’obbligo di corrispondere il contributo, ove la legge il suddetto obbligo imponga in relazione ad un determinato intervento.
5.3 D’altro canto, il contributo di costruzione è costituito anche dall’ulteriore componente correlata al costo di costruzione, volta a compensare la c.d. compartecipazione comunale all'incremento di valore della proprietà immobiliare del costruttore, che prescinde dall’aumento di carico urbanistico.
5.4 Nella specie, dovendosi, come si è detto, qualificare l’intervento come di ristrutturazione, il contributo è dovuto, poiché, non ricorrendo alcuna delle fattispecie per le quali l’art. 76 L.R. Veneto, n. 61/1985 prevede il rilascio di un’autorizzazione o di una concessione gratuita, trova applicazione la residuale previsione di cui al n. 4 del comma 1 (concessione onerosa).
5.5 Conferma dell’onerosità dell’intervento si trae, inoltre, dall’art. 82, ultimo comma, che, con riferimento al calcolo della componente del contributo di costruzione correlata agli oneri di urbanizzazione prevede: “Il contributo commisurato all'incidenza delle spese di urbanizzazione relativo a interventi di ristrutturazione, ivi compresi gli ampliamenti che non comportino aumento della superficie utile di calpestio, è pari a quello calcolato per interventi di nuova edificazione moltiplicato per 0,20.”
Si riferisce agli interventi di ristrutturazione anche l’art. 83, ultimo comma, L.R. Veneto n. 61/1985, che definisce i criteri di determinazione del costo di costruzione ai fini della quantificazione del contributo per particolari interventi di ristrutturazione.
6. Sono, altresì, da rigettare le residue censure che attengono a vizi di eccesso di potere, difetto di motivazione o che presuppongono la tendenziale immodificabilità delle determinazioni sul contributo di costruzione assunte dall’Amministrazione in sede di rilascio del titolo. Esse possono essere esaminate congiuntamente alla luce dei principi affermati dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nella citata sentenza n. 12/2018.
6.1 La pronuncia –nel dirimere il contrasto giurisprudenziale circa l’ammissibilità ed i limiti della riliquidazione del contributo di costruzione determinato al momento del rilascio del titolo edilizio- conferma i seguenti principi:
   1) l’obbligazione di pagamento del contributo di costruzione ha natura di corrispettivo di diritto pubblico, i cui presupposti e contenuti sono definiti interamente dalla legge;
   2) il rapporto obbligatorio che ne discende soggiace interamente alla disciplina civilistica, nonostante la fonte legale da cui promana;
   3) dalla natura privatistica del rapporto che s’instaura tra l’Amministrazione ed il privato deriva che gli atti con i quali l’Amministrazione determina o riliquida il contributo hanno natura paritetica;
   4) l’Amministrazione può –entro il termine di prescrizione decennale decorrente dal momento in cui sorge l’obbligazione– esercitare il diritto di credito che dalla legge deriva, senza i limiti previsti per l’autotutela per gli atti aventi natura autoritativa, modificando l’importo originariamente richiesto.
6.2 Sulla scorta dei suddetti principi può affermarsi che:
6.3 Sono infondate le censure formulate nella seconda parte del secondo motivo di ricorso con le quali il ricorrente lamenta la contraddittorietà tra la richiesta di conguaglio del contributo ed il presupposto dichiarato nella richiesta di pagamento, ossia che il contributo di costruzione non sia mai stato richiesto in fase di rilascio del P.d.C. (seconda sub-censura del secondo motivo) e quelle a mezzo delle quali si contesta l’ammissibilità della richiesta del contributo per la prima volta a distanza di anni dal momento del rilascio del titolo.
La natura di diritto soggettivo della pretesa azionata con l’atto impugnato, consente all’Amministrazione di agire per la riscossione in ogni tempo, entro il termine di prescrizione decennale. Non essendo previsto alcun termine di decadenza per la richiesta del contributo, deve ritenersi che l’Amministrazione possa chiedere anche per la prima volta a distanza di tempo –purché entro il termine di prescrizione– il pagamento del contributo
(TAR Veneto, Sez. II, sentenza 05.03.2019 n. 289 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il milleproroghe amplia i possibili utilizzi dei proventi da concessioni di edificare, ma solo dal 1° aprile prossimo.
Domanda
Il mio Ente deve ancora approvare il bilancio di previsione 2020-2022. Mi sapete dire quali sono le spese finanziabili con i proventi da oneri di urbanizzazione?
Risposta
L’utilizzo degli oneri di urbanizzazione o meglio, dei proventi dei titoli abilitativi edilizi e delle relative sanzioni, è disciplinato dall’art. 1, comma 460 della L. 232/2016, come modificato dall’art. 1-bis, comma 1, D.L. 148/2017.
Tale comma prevede infatti che i suddetti proventi siano destinati esclusivamente e senza vincoli temporali alla realizzazione e alla manutenzione ordinaria e straordinaria delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria, al risanamento di complessi edilizi compresi nei centri storici e nelle periferie degradate, a interventi di riuso e di rigenerazione, a interventi di demolizione di costruzioni abusive, all’acquisizione e alla realizzazione di aree verdi destinate a uso pubblico, a interventi di tutela e riqualificazione dell’ambiente e del paesaggio, anche ai fini della prevenzione e della mitigazione del rischio idrogeologico e sismico e della tutela e riqualificazione del patrimonio rurale pubblico, nonché a interventi volti a favorire l’insediamento di attività di agricoltura nell’ambito urbano e a spese di progettazione per opere pubbliche.
Con tale norma venivano finalmente superati –una volta per tutte– i limiti percentuali e le differenti tipologie di spese correnti che nel tempo vari provvedimenti normativi avevano individuato come finanziabili. Per individuare le spese relative ad opere di urbanizzazione primaria e secondaria è necessario fare riferimento all’art. 4 della legge 847 del 29/09/1964 che elenca in maniera univoca e puntuale sia le une che le altre.
Le prime sono rappresentate da: a) strade residenziali; b) spazi di sosta o di parcheggio; c) fognature; d) rete idrica; e) rete di distribuzione dell’energia elettrica e del gas; f) pubblica illuminazione; g) spazi di verde attrezzato; g-bis) infrastrutture di reti pubbliche di comunicazione, di cui agli articoli 87 e 88 del codice delle comunicazioni elettroniche, di cui al decreto legislativo 01.08.2003, n. 259, e successive modificazioni, e opere di infrastrutturazione per la realizzazione delle reti di comunicazione elettronica ad alta velocità in fibra ottica in grado di fornire servizi di accesso a banda ultralarga effettuate anche all’interno degli edifici.
Le seconde sono invece costituite da: a) asili nido e scuole materne; b) scuole dell’obbligo nonché strutture e complessi per l’istruzione superiore all’obbligo; c) mercati di quartiere; d) delegazioni comunali; e) chiese ed altri edifici religiosi; f) impianti sportivi di quartiere; g) centri sociali e attrezzature culturali e sanitarie; h) aree verdi di quartiere.
Sul testo del comma 460 è tuttavia recentemente intervenuto il Legislatore in sede di conversione del decreto legge Milleproroghe (d.l. 162/2019) avvenuta con L. 8/2020 pubblicata sulla G.U. n. 51 del 29/02/2020 e già in vigore dallo scorso 1° marzo. In particolare, nel corso dell’esame alla Camera dei deputati, è stata aggiunta una nuova tipologia di spesa finanziabile con i proventi in oggetto.
A farlo è il comma 5-quinquies dell’art. 13 del decreto che prevede testualmente che all’articolo 1, comma 460, della legge 11.12.2016, n. 232, sia infine aggiunto il seguente periodo: “A decorrere dal 01.04.2020 le risorse non utilizzate ai sensi del primo periodo possono essere altresì utilizzate per promuovere la predisposizione di programmi diretti al completamento delle infrastrutture e delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria dei piani di zona esistenti, fermo restando l’obbligo dei comuni di porre in essere tutte le iniziative necessarie per ottenere l’adempimento, anche per equivalente delle obbligazioni assunte nelle apposite convenzioni o atti d’obbligo da parte degli operatori”.
Che cosa sono i ‘piani di zona’? Si tratta di strumenti urbanistici previsti dall’art. 1 della L. 167/1962 come obbligatori per i comuni con popolazione superiore ai 50.000 abitanti o che siano capoluoghi di provincia. Sono invece previsti come facoltativi per tutti i restanti comuni. Essi devono individuare le zone da destinare alla costruzione di alloggi a carattere economico o popolare nonché alle opere e servizi complementari, urbani e sociali, ivi comprese le aree a verde pubblico.
La norma ha una data di entrata in vigore ben precisa: il 1° aprile prossimo. Vista la nuova scadenza per l’approvazione del bilancio di previsione 2020-2022 fissata al 30 aprile prossimo dal d.m. Interno pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 50 del 28 febbraio, c’è tutto il tempo per avvalersene fin da quest’anno. Viceversa, per gli enti che hanno già approvato lo schema di bilancio con deliberazione di giunta, si potrà procedere o con un emendamento, ovvero con una variazione dopo la sua approvazione da parte del consiglio, in modo analogo agli enti che hanno già approvato.
Infine evidenziamo che dal tenore letterale del periodo aggiunto al comma 460 appare come questa ulteriore forma di utilizzo abbia carattere residuale rispetto a quelle elencate al periodo precedente. Riteniamo tuttavia che, data l’ampiezza di queste ultime, gli enti non alcuna abbiano difficoltà a individuare spese da finanziare con i proventi da oneri di urbanizzazione, anche in considerazione della loro ormai consolidata esiguità (09.03.2020 - link a www.publika.it).

gennaio 2020

EDILIZIA PRIVATA: Nel caso di demolizione e successiva ricostruzione di fabbricato, il presupposto dell'onerosità della trasformazione edilizia è costituito dal maggior carico urbanistico determinato dall'intervento, per cui l'Ente locale deve richiedere il pagamento degli oneri di urbanizzazione se il peso insediativo aumenta, mentre non deve chiedere alcunché se non si verifica alcuna variazione.
Il contributo concessorio (comprendente oneri di urbanizzazione e costo di costruzione) è un’obbligazione giuridica di tipo pubblicistico che sorge con il rilascio della concessione edilizia ed è qualificabile come corrispettivo di diritto pubblico, di natura non tributaria, posto a carico del costruttore a titolo di partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione in proporzione all'insieme dei benefici arrecati al nuovo manufatto.
La disposizione che regola la fattispecie si rinviene all’art. 16 del DPR 380/2001 (rubricato “Contributo per il rilascio del permesso di costruire”), il quale dispone al comma 1 che “Salvo quanto disposto dall'articolo 17, comma 3, il rilascio del permesso di costruire comporta la corresponsione di un contributo commisurato all'incidenza degli oneri di urbanizzazione nonché al costo di costruzione, secondo le modalità indicate nel presente articolo e fatte salve le disposizioni concernenti gli interventi di trasformazione urbana complessi di cui al comma 2-bis”.
Osserva il Collegio che, in linea generale, la partecipazione del privato al costo delle opere di urbanizzazione è dovuta allorquando l’intervento determini un incremento del peso insediativo con un’oggettiva rivalutazione dell’immobile, sicché l'onerosità del permesso di costruire è funzionale a sopportare il carico socio-economico che la realizzazione comporta sotto il profilo urbanistico.
Come ha statuito questo TAR di recente <<Mentre il costo di costruzione rappresenta una compartecipazione comunale all’incremento di valore della proprietà immobiliare, gli oneri di urbanizzazione svolgono la funzione di compensare la collettività per il nuovo ulteriore carico urbanistico che si riversa sulla zona a causa della consentita attività edificatoria. Essi sono pertanto dovuti nel caso di trasformazioni edilizie che, indipendentemente dall’esecuzione di opere, si rivelino produttive di vantaggi economici per il proprietario, determinando un aumento del carico urbanistico. Tale incremento può derivare anche da una mera modifica della destinazione d’uso di un immobile, mentre può non configurarsi nell’ipotesi di intervento edilizio con opere. … Secondo consolidata e risalente giurisprudenza il fondamento del contributo di urbanizzazione pertanto “non consiste nel titolo edilizio in sé, ma nella necessità di ridistribuire i costi sociali delle opere di urbanizzazione, facendoli gravare su quanti beneficiano delle utilità derivanti dalla presenza delle medesime secondo modalità eque per la comunità con la conseguenza che, anche nel caso di modificazione della destinazione d'uso, cui si correli un maggiore carico urbanistico, è integrato il presupposto che giustifica l'imposizione del pagamento della differenza tra gli oneri di urbanizzazione dovuti per la destinazione originaria e quelli, se più elevati, dovuti per la nuova destinazione impressa”…>>.
Anche il Consiglio di Stato ha chiarito che “In linea di diritto, mentre la quota del contributo di costruzione commisurata al costo di costruzione risulta ontologicamente connessa alla tipologia e all'entità (superficie e volumetria) dell'intervento edilizio e assolve alla funzione di permettere all'amministrazione comunale il recupero delle spese sostenute dalla collettività di riferimento alla trasformazione del territorio consentita al privato istante (ossia, a compensare la c.d. compartecipazione comunale all'incremento di valore della proprietà immobiliare del costruttore, a seguito della nuova edificazione), la quota del contributo di costruzione commisurata agli oneri di urbanizzazione "assolve alla prioritaria funzione di compensare la collettività per il nuovo ulteriore carico urbanistico che si riversa sulla zona, con la precisazione che per aumento del carico urbanistico deve intendersi tanto la necessità di dotare l'area di nuove opere di urbanizzazione, quanto l'esigenza di utilizzare più intensamente quelle già esistenti".
In definitiva, il presupposto dell'onerosità della trasformazione edilizia è costituito dal maggior carico urbanistico determinato dall'intervento, per cui l'Ente locale deve richiedere il pagamento degli oneri se il peso insediativo aumenta, mentre non deve chiedere alcunché se non si verifica alcuna variazione.
Detto altrimenti, "in caso di intervento di ristrutturazione edilizia, dal contributo per gli oneri di urbanizzazione deve essere sottratto l'importo imputabile al carico urbanistico generato dall'edificio preesistente".
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Laddove siano state versate al comune somme non dovute a titolo di oneri di urbanizzazione ovvero di costo di costruzione, la restituzione del quantum indebitamente percepito soggiace alla quantificazione degli interessi maturati.
Invero, dispone l’articolo 2033 cod. civ. che “chi ha eseguito un pagamento non dovuto ha diritto di ripetere ciò che ha pagato. Ha inoltre diritto ai frutti e agli interessi dal giorno del pagamento, se chi lo ha ricevuto era in mala fede, oppure, se questi era in buona fede, dal giorno della domanda
”.
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FATTO
   A. Espongono i ricorrenti di essere proprietari, nel Comune di Cologne (BS), di un immobile bifamiliare destinato a residenza, identificato in catasto al Fg. 9, mappale 77, sub. 8, 9 e 10.
   B. Alla luce delle esigenze abitative del nucleo, hanno presentato domanda di permesso di costruire per un intervento di demolizione del fabbricato esistente, per realizzare una nuova villa unifamiliare. Come illustrato nella relazione tecnica (doc. 5), i committenti hanno inteso trasformare l’edificio –composto da 2 unità immobiliari indipendenti che occupavano una superficie di 408,32 mq.– in una villa unifamiliare ad uso esclusivo del nucleo, con superficie complessiva di poco superiore (431,35 mq.) e un incremento volumetrico di 379,41 mc (cfr. doc. 5-bis).
   C. Il 28/05/2010 il Comune intimato rilasciava il titolo abilitativo, che assentiva l’intervento edilizio e lo assoggettava al pagamento del contributo ex art. 16 del DPR 380/2001 per 47.859,66 €, suddivisi in 29.008,48 € per costo di costruzione, 5.924,66 € per oneri di urbanizzazione primaria e 12.926,52 € per oneri di urbanizzazione secondaria.
   D. Gli esponenti ravvisavano l’erroneità dell’ammontare richiesto per la voce “oneri di urbanizzazione”, in quanto l’Ufficio Tecnico aveva applicato l’aliquota prevista per interventi di nuova costruzione e demo-ricostruzione all’intero immobile in progetto (per l’intero volume di 1.077,21 mc.) senza considerare la preesistenza di un fabbricato bifamiliare. Il versamento veniva eseguito integralmente, per evitare effetti pregiudizievoli sull’efficacia del permesso di costruire, con l’espressa riserva di tutela in sede giurisdizionale.
   E. Con gravame ritualmente notificato e tempestivamente depositato presso la Segreteria della Sezione i ricorrenti propongono azione di accertamento, assumendo la non debenza delle somme versate a titolo di oneri di urbanizzazione e deducendo la violazione dell’art. 16 del DPR 380/2001, nonché l’eccesso di potere per travisamento dei presupposti di fatto e di diritto e il difetto di istruttoria e di motivazione, in quanto:
      a) l’edificio, in origine, era formato da due unità immobiliari al piano terra e al piano primo (2 appartamenti indipendenti e idonei per due nuclei, per una superficie totale pari a 408,32 mq.) mentre con l’intervento si è ricavato un manufatto unico da destinare ad abitazione principale, esteso per 431,35 mq.;
      b) l’art. 16 del T.U. Edilizia è stato interpretato nel senso che il pagamento degli oneri di urbanizzazione deve essere quantificato nella sola misura determinata dall’incremento del carico urbanistico;
      c) il contributo è un corrispettivo di diritto pubblico di natura non tributaria, il cui presupposto si rinviene nella domanda di maggiore dotazione di servizi nell’area di riferimento, indotta dalla destinazione d’uso concretamente impressa all’immobile realizzato;
      d) il Comune non ha verificato che l’intervento non ha incrementato il carico urbanistico preesistente, dal momento che un’abitazione singola ha sostituito due unità immobiliari ivi ubicate, con mantenimento della destinazione d’uso residenziale (non sorge alcuna necessità di potenziamento di strutture o servizi pubblici ed anzi il peso per la comunità sarà inferiore);
      e) l’aumento di superficie è del tutto trascurabile (23 mq.), mentre la variazione volumetrica è stata determinata dalla collocazione delle pertinenze accessorie (autorimessa e lavanderia) al piano terreno, con conseguente computo nella SLP e nel volume urbanisticamente rilevante;
      f) come si evince dalla relazione tecnica e dalla tavola di sovrapposizione (doc. 5 e 8), l’ingombro del nuovo fabbricato è inferiore, risultando più piccolo e meno profondo;
      g) in via subordinata, la pretesa creditoria deve comunque essere rapportata all’ampliamento dell’edificio in termini di metri cubi (maggior onere effettivo sul tessuto urbanistico), posto che il volume del fabbricato ante operam era pari a 697,81 mc. e dopo la ricostruzione ha raggiunto 1.077,21 mc. (l’obbligo di restituzione sarebbe pari a 12.211,68 €).
In conclusione, i ricorrenti chiedono la restituzione della somma indebitamente versata, con interessi dal versamento al saldo.
   F. Si è costituito in giudizio il Comune di Cologne, chiedendo la reiezione del gravame. Nei propri scritti difensivi puntualizza che la quota di contributo afferente all’incidenza degli oneri di urbanizzazione è dovuta per legge al rilascio del titolo edilizio, è individuata dal Consiglio comunale secondo tabelle parametriche predisposte dalla Regione e prescinde dalla verifica in concreto del maggior carico urbanistico indotto dalla nuova costruzione.
   G. Alla pubblica udienza del 10/01/2020 il gravame introduttivo è stato chiamato per la discussione e trattenuto in decisione.
DIRITTO
I ricorrenti, che hanno ottenuto il titolo abilitativo per i lavori di demo-ricostruzione di un edificio (da bifamiliare a unifamiliare), censurano la pretesa del Comune di esigere il pagamento della quota di oneri di urbanizzazione. La controversia ha quindi ad oggetto un giudizio di accertamento negativo in ordine all’obbligazione pecuniaria relativa al pagamento del contributo, nell’ambito della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, rispetto alla quale gli atti di liquidazione sono privi di contenuto ed effetti provvedimentale (Consiglio di Stato, sez. IV – 01/02/2017 n. 425).
Il gravame è parzialmente fondato e merita accoglimento, nei termini di seguito precisati.
1. Il Collegio richiama anzitutto i principi giurisprudenziali elaborati nella materia controversa, per cui il contributo concessorio (comprendente oneri di urbanizzazione e costo di costruzione) è un’obbligazione giuridica di tipo pubblicistico che sorge con il rilascio della concessione edilizia (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI – 07/02/2017 n. 728) ed è qualificabile come corrispettivo di diritto pubblico, di natura non tributaria, posto a carico del costruttore a titolo di partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione in proporzione all'insieme dei benefici arrecati al nuovo manufatto (Consiglio di Stato, sez. IV – 29/10/2015 n. 4950; sentenza Sezione 04/04/2018 n. 449).
2. La disposizione che regola la fattispecie si rinviene all’art. 16 del DPR 380/2001 (rubricato “Contributo per il rilascio del permesso di costruire”), il quale dispone al comma 1 che “Salvo quanto disposto dall'articolo 17, comma 3, il rilascio del permesso di costruire comporta la corresponsione di un contributo commisurato all'incidenza degli oneri di urbanizzazione nonché al costo di costruzione, secondo le modalità indicate nel presente articolo e fatte salve le disposizioni concernenti gli interventi di trasformazione urbana complessi di cui al comma 2-bis”.
Nel caso di specie, è pacifica la natura dell’intervento, consistente nella demolizione di un edificio bifamiliare e ricostruzione di un fabbricato monofamiliare (villa con piscina di 1.077,22 mc. – cfr. doc. 3 e ss. del Comune).
3. Osserva il Collegio che, in linea generale, la partecipazione del privato al costo delle opere di urbanizzazione è dovuta allorquando l’intervento determini un incremento del peso insediativo con un’oggettiva rivalutazione dell’immobile, sicché l'onerosità del permesso di costruire è funzionale a sopportare il carico socio-economico che la realizzazione comporta sotto il profilo urbanistico (sentenza sez. I – 26/04/2018 n. 449).
Come ha statuito questo TAR di recente (cfr. sentenza Sezione I – 17/06/2019 n. 574, che non risulta appellata) <<Mentre il costo di costruzione rappresenta una compartecipazione comunale all’incremento di valore della proprietà immobiliare, gli oneri di urbanizzazione svolgono la funzione di compensare la collettività per il nuovo ulteriore carico urbanistico che si riversa sulla zona a causa della consentita attività edificatoria (TAR Piemonte, sez. I, 21.05.2018, n. 630). Essi sono pertanto dovuti nel caso di trasformazioni edilizie che, indipendentemente dall’esecuzione di opere, si rivelino produttive di vantaggi economici per il proprietario, determinando un aumento del carico urbanistico. Tale incremento può derivare anche da una mera modifica della destinazione d’uso di un immobile, mentre può non configurarsi nell’ipotesi di intervento edilizio con opere. … Secondo consolidata e risalente giurisprudenza il fondamento del contributo di urbanizzazione pertanto “non consiste nel titolo edilizio in sé, ma nella necessità di ridistribuire i costi sociali delle opere di urbanizzazione, facendoli gravare su quanti beneficiano delle utilità derivanti dalla presenza delle medesime secondo modalità eque per la comunità con la conseguenza che, anche nel caso di modificazione della destinazione d'uso, cui si correli un maggiore carico urbanistico, è integrato il presupposto che giustifica l'imposizione del pagamento della differenza tra gli oneri di urbanizzazione dovuti per la destinazione originaria e quelli, se più elevati, dovuti per la nuova destinazione impressa” (Cons. Stato, Sez. V, 30.08.2013, n. 4326; id. ex multis TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, 04.05.2009, n. 3604; Cons. Stato, Sez. V, 21.12.1994, n. 1563) …>>.
Anche il Consiglio di Stato (cfr. sentenza sez. II – 09/12/2019 n. 8377) ha chiarito che “In linea di diritto, cioè, mentre la quota del contributo di costruzione commisurata al costo di costruzione risulta ontologicamente connessa alla tipologia e all'entità (superficie e volumetria) dell'intervento edilizio e assolve alla funzione di permettere all'amministrazione comunale il recupero delle spese sostenute dalla collettività di riferimento alla trasformazione del territorio consentita al privato istante (ossia, a compensare la c.d. compartecipazione comunale all'incremento di valore della proprietà immobiliare del costruttore, a seguito della nuova edificazione), la quota del contributo di costruzione commisurata agli oneri di urbanizzazione "assolve alla prioritaria funzione di compensare la collettività per il nuovo ulteriore carico urbanistico che si riversa sulla zona, con la precisazione che per aumento del carico urbanistico deve intendersi tanto la necessità di dotare l'area di nuove opere di urbanizzazione, quanto l'esigenza di utilizzare più intensamente quelle già esistenti" (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 07.05.2015, n. 2294; id., 29.08.2019, n. 5964)” (si veda anche Consiglio di Stato, sez. II – 21/10/2019 n. 7119).
4. In definitiva, il presupposto dell'onerosità della trasformazione edilizia è costituito dal maggior carico urbanistico determinato dall'intervento, per cui l'Ente locale deve richiedere il pagamento degli oneri se il peso insediativo aumenta, mentre non deve chiedere alcunché se non si verifica alcuna variazione.
5. Nel caso di specie può dirsi realizzato un aumento solo parziale del carico urbanistico, atteso che gli esponenti hanno trasformato l’edificio bifamiliare in unifamiliare, aumentandone il volume: ricorre pertanto il presupposto che giustifica l'imposizione del pagamento degli oneri di urbanizzazione limitatamente al surplus realizzato (in termini volumetrici).
Come ha rilevato TAR Lazio-Roma, sez. II-bis – 12/09/2019 n. 10887 <<Il Consiglio di Stato ha, inoltre, precisato al riguardo che "in caso di intervento di ristrutturazione edilizia, dal contributo per gli oneri di urbanizzazione deve essere sottratto l'importo imputabile al carico urbanistico generato dall'edificio preesistente … (cfr. Cons. St., Sez. VI; 02.07.2015 n. 3298)>>.
Per effettuare il calcolo dovrà essere utilizzata la tabella adottata dal Comune di Cologne (doc. 8 amministrazione), che pre-determina in via generale ed astratta l’ammontare dovuto assumendo come unità di misura il metro cubo.
6. In conclusione, il ricorso deve essere parzialmente accolto, con l’accertamento della non debenza da parte degli esponenti –per l’intervento di demolizione e successiva ricostruzione– della quota degli oneri di urbanizzazione versati in eccedenza e con la condanna dell’amministrazione comunale alla restituzione del quantum indebitamente percepito, oltre agli interessi maturati dalla data di notificazione dell'atto introduttivo del presente giudizio.
Dispone infatti l’articolo 2033 cod. civ. che “chi ha eseguito un pagamento non dovuto ha diritto di ripetere ciò che ha pagato. Ha inoltre diritto ai frutti e agli interessi dal giorno del pagamento, se chi lo ha ricevuto era in mala fede, oppure, se questi era in buona fede, dal giorno della domanda”. In assenza di prova contraria, deve presumersi la buona fede dell’amministrazione comunale (cfr. sentenze sez. I – 20/05/2019 n. 499; sez. II – 02/05/2019 n. 426).
7. Il Comune intimato dovrà conseguentemente provvedere –entro 90 giorni dalla comunicazione della presente pronuncia– al ricalcolo, alla liquidazione del dovuto e al relativo pagamento. La somma dovrà essere maggiorata degli interessi, calcolati dalla data di notificazione del ricorso fino al saldo (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 28.01.2020 n. 75 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).

EDILIZIA PRIVATALe controversie relative all'an e al quantum delle somme dovute a titolo di oblazione e di oneri concessori riguardano diritti soggettivi rispetto ai quali non è configurabile il vizio di difetto di motivazione nella considerazione che le operazioni di concreta quantificazione dei suddetti oneri si esauriscono in una mera operazione materiale.
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È indubbio che il momento rilevante ai fini della determinazione del contributo di costruzione non può che essere quello di rilascio del permesso di costruire.
Giova sottolineare che la giurisprudenza in materia ha anche di recente ribadito che l'obbligazione di corrispondere il contributo nasce nel momento in cui viene rilasciato il titolo ed è a tale momento che occorre aver riguardo per la determinazione dell'entità del contributo.

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6.2. Occorre quindi esaminare il primo motivo di gravame con cui il Comune contesta la contraddittorietà della statuizione del Tar laddove, ritenuto di aderire all'orientamento giurisprudenziale secondo cui il vizio di motivazione non è configurabile nelle controversie concernenti il quantum e l'an del contributo di costruzione, ha poi annullato l’atto per difetto di motivazione.
Il Collegio condivide l’impostazione ribadita dall’appellante, e avallata dallo stesso giudice di prime cure, secondo cui le controversie relative all'an e al quantum delle somme dovute a titolo di oblazione e di oneri concessori riguardano diritti soggettivi rispetto ai quali non è configurabile il vizio di difetto di motivazione nella considerazione che le operazioni di concreta quantificazione dei suddetti oneri si esauriscono in una mera operazione materiale.
Pur tuttavia, ciò non vale di per sé a porre in discussione la correttezza della statuizione del Tar laddove afferma che ai sensi dell'articolo 16 d.p.r. 380 del 2001 le determinazioni e l'ordine di pagamento dovrebbero essere effettuati nel permesso di costruire rispetto al quale la proroga è circostanza meramente eventuale per cui sarebbe stato indispensabile che il Comune avesse chiarito la ragione per la quale ha rinviato le suddette operazioni alla proroga del titolo edilizio.
A ben vedere, tale affermazione ha ad oggetto, non già la qualificazione giuridica della situazione sottesa alla richiesta di determinazione degli oneri di costruzione, ma la legittimità del provvedimento di proroga del permesso di costruire nel quale si determini e quantifichi per la prima volta l’obbligazione di pagamento relativa all’intervento assentito, determinazione che alla luce del dato testuale di cui al citato articolo 16 non pare potersi ammettere.
Ed invero, al comma 1 è stabilito che il rilascio del permesso di costruire comporta la corresponsione di un contributo commisurato all'incidenza degli oneri di urbanizzazione nonché al costo di costruzione; al comma 2 che la quota di contributo relativa agli oneri di urbanizzazione è corrisposta al Comune all'atto del rilascio del permesso di costruire; al comma 3 che la quota di contributo relativa al costo di costruzione, determinata all'atto del rilascio, è corrisposta in corso d’opera.
È indubbio che il momento rilevante ai fini della determinazione del contributo di costruzione non può che essere quello di rilascio del permesso di costruire.
Giova sottolineare che la giurisprudenza in materia ha anche di recente ribadito che l'obbligazione di corrispondere il contributo nasce nel momento in cui viene rilasciato il titolo ed è a tale momento che occorre aver riguardo per la determinazione dell'entità del contributo (Cons. Stato, sez. IV, n. 3009/2014; id., sez. IV, n. 1475/2018) (Consiglio di Stato, Sez. II, sentenza 09.01.2020 n. 190 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa maggioritaria giurisprudenza si è evoluta nel senso che gli oneri di urbanizzazione sono dovuti (in ipotesi anche per il mero mutamento di destinazione d’uso senza opere) allorquando un intervento determini un maggiore carico urbanistico.
In senso analogo si è espresso il giudice d’appello, proprio in una fattispecie di sostituzione edilizia (demolizione/ricostruzione), nella quale si legge: “il contributo per oneri di urbanizzazione è un corrispettivo di diritto pubblico, di natura non tributaria, posto a carico del costruttore a titolo di partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione in proporzione all’insieme dei benefici che la nuova costruzione ne ritrae.
In effetti, gli oneri di urbanizzazione sono dovuti se ed in quanto l’intervento edilizio comporti un incremento della domanda di servizi nella zona coinvolta dalla costruzione: le opere di urbanizzazione, distinte in primarie e secondarie, si caratterizzano per essere necessarie, rispettivamente, all’utilizzo degli edifici e alla vita di relazione degli abitanti di un territorio.
Ciò posto, se rispetto ad una zona circoscritta sono già state sostenute le spese necessarie a fornire i suddetti servizi ai cittadini ivi residenti, un intervento edilizio che non implichi un maggior carico urbanistico nella medesima zona, non può determinare la necessità di una nuova spesa per fornire i medesimi servizi già predisposti: diversamente ragionando, si giungerebbe ad affermare la duplicazione di costi a fronte dell’unicità dei servizi.
All’opposto, se l’intervento edilizio assentito imponesse un incremento del carico urbanistico nella zona interessata, gli oneri di urbanizzazione dovrebbero essere versati in vista della predisposizione degli strumenti idonei a far fronte ad un incremento di dette esigenze urbanistiche. In sostanza, gli oneri di urbanizzazione si caratterizzano per avere natura compensativa rispetto alle spese di cui l’amministrazione si fa carico per rendere accessibile e pienamente utilizzabile un nuovo o rinnovato edificio, purché vi sia una nuova destinazione, dato che non può essere chiesto due volte il pagamento per gli stessi interventi di sistemazione e adeguamento del contesto urbanistico.
Sul punto, il Collegio condivide il costante orientamento giurisprudenziale secondo cui “in caso di ristrutturazione edilizia, il pagamento degli oneri di urbanizzazione è dovuto solo nel caso in cui l’intervento abbia determinato un aumento del carico urbanistico”.
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Le ricorrenti hanno adito l’intestato TAR deducendo di essere state rispettivamente proprietaria (F. s.r.l.) e titolare del relativo permesso di costruire volturato (Pr. s.r.l.) di un edificio in Torino via ... n. 8, originariamente suddiviso in 28 unità immobiliari a destinazione residenziale, oltre una porzione a deposito.
A partire dal 2000 si è dato corso ad un intervento di sostituzione edilizia, consistente nella demolizione delle strutture esistenti e loro integrale riedificazione; per assentire il progetto l’amministrazione ha reclamato il versamento di € 235.557,59, di cui € 172.099,66 a titolo di oneri di urbanizzazione.
Le società hanno dato corso al versamento (gli oneri sono stati versati per le ultime due rate dalla Pr. s.r.l. nelle more divenuta titolare del permesso di costruire), contestando tuttavia l’addebito in quanto l’intervento non avrebbe comportato alcun aumento di carico urbanistico e dunque non avrebbe giustificato l’applicazione di oneri.
L’intervento rientra nella disciplina di cui all’art. 4, co. 36, delle NTA del PRGC vigente, che consente di fatto di demolire l’esistente ricostruendolo nei limiti della SLP precedente. La ricostruzione ha portato alla realizzazione di 19 unità immobiliari in luogo di 28, oltre box auto, in area di PRG già classificata “consolidata residenziale”, e dunque urbanizzata. Il contributo di urbanizzazione, trovando causa nell’aumento di carico urbanistico, non avrebbe giustificazione nel caso di specie.
Hanno chiesto pertanto la restituzione di quanto corrisposto oltre interessi e rivalutazione monetaria.
...
Il ricorso risulta parzialmente fondato.
Deve premettersi che, come evidenziato dall’amministrazione, rispetto alle somme complessivamente versate menzionate in ricorso (contributo di costruzione ed oneri di urbanizzazione), la quota in effettiva contestazione è quella relativa agli oneri di urbanizzazione, quantificati dal Comune in € 172.099,60 e versati a rate in connessione con il rilascio del titolo.
E’ poi pacifico tra le parti che una parte delle preesistenti strutture non avesse destinazione residenziale; in particolare, come chiarito da una congiunta valutazione dei tecnici di parte, la volumetria in precedenza destinata ad attività produttiva era pari a mc. 425,73, corrispondenti ad oneri di urbanizzazione per € 21.243,92.
E’ ugualmente pacifico che, esclusa l’area a destinazione produttiva, le ricorrenti abbiano realizzato la sostituzione edilizia di un edificio per il resto già adibito ad uso residenziale ed in precedenza composto di 28 unità immobiliari; non vi è invece prova o evidenza alcuna in atti (né se ne fa cenno nel provvedimento impugnato) che le menzionate unità immobiliari, poi oggetto di un intervento radicale, fossero da tempo dismesse o praticamente inservibili, fattispecie alla quale si fa riferimento nelle difese dell’amministrazione ma che, per le ragioni indicate, non può essere presa in considerazione.
Ne consegue che l’immobile aveva già in precedenza una parziale destinazione residenziale, di cui aveva scontato gli oneri; d’altro canto, già in fase procedimentale, l’amministrazione, a fronte delle obiezioni circa l’importo calcolato a titolo di oneri di urbanizzazione si è limitata ad osservare che:
   - l’intervento non ricade in nessuno dei casi di esenzione previsti espressamente dall’art. 17 del d.p.r. n. 380/2001;
   - l’intervento ha comportato la sostituzione edilizia anche di una parte di strutture ad uso non residenziale e, per questa parte, ha comportato un aumento di carico urbanistico (cfr. doc. 6 di parte resistente, risposta del comune alla richiesta di ricalcolo).
Così configurata in fatto la fattispecie, dal punto di vista normativo, la maggioritaria giurisprudenza si è evoluta nel senso che gli oneri di urbanizzazione sono dovuti (in ipotesi anche per il mero mutamento di destinazione d’uso senza opere) allorquando un intervento determini un maggiore carico urbanistico (in tal senso Tar Piemonte, sez. I, n. 630/2018; Tar Brescia n. 449/2018).
In senso analogo si è espresso il giudice d’appello, proprio in una fattispecie di sostituzione edilizia realizzata nel comune di Torino, con la sentenza Cons. St. sez. IV, n. 4950/2015, nella quale si legge: “il contributo per oneri di urbanizzazione è un corrispettivo di diritto pubblico, di natura non tributaria, posto a carico del costruttore a titolo di partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione in proporzione all’insieme dei benefici che la nuova costruzione ne ritrae. In effetti, gli oneri di urbanizzazione sono dovuti se ed in quanto l’intervento edilizio comporti un incremento della domanda di servizi nella zona coinvolta dalla costruzione: le opere di urbanizzazione, distinte in primarie e secondarie, si caratterizzano per essere necessarie, rispettivamente, all’utilizzo degli edifici e alla vita di relazione degli abitanti di un territorio. Ciò posto, se rispetto ad una zona circoscritta sono già state sostenute le spese necessarie a fornire i suddetti servizi ai cittadini ivi residenti, un intervento edilizio che non implichi un maggior carico urbanistico nella medesima zona, non può determinare la necessità di una nuova spesa per fornire i medesimi servizi già predisposti: diversamente ragionando, si giungerebbe ad affermare la duplicazione di costi a fronte dell’unicità dei servizi. All’opposto, se l’intervento edilizio assentito imponesse un incremento del carico urbanistico nella zona interessata, gli oneri di urbanizzazione dovrebbero essere versati in vista della predisposizione degli strumenti idonei a far fronte ad un incremento di dette esigenze urbanistiche. In sostanza, gli oneri di urbanizzazione si caratterizzano per avere natura compensativa rispetto alle spese di cui l’amministrazione si fa carico per rendere accessibile e pienamente utilizzabile un nuovo o rinnovato edificio, purché vi sia una nuova destinazione, dato che non può essere chiesto due volte il pagamento per gli stessi interventi di sistemazione e adeguamento del contesto urbanistico. Sul punto, il Collegio condivide il costante orientamento giurisprudenziale secondo cui “in caso di ristrutturazione edilizia, il pagamento degli oneri di urbanizzazione è dovuto solo nel caso in cui l’intervento abbia determinato un aumento del carico urbanistico” (Cons. di Stato, Sez. IV, 29.04.2004, n. 2611)”.
Condividendosi i principi sopra affermati ne consegue che, per la quota parte di edificio che trova corrispondenza nella pregressa SUL a destinazione residenziale, non si è realizzato alcun aumento di carico urbanistico e non sono dovuti, come in effetti lamentato in ricorso, gli oneri di urbanizzazione (TAR Piemonte, Sez. II, sentenza 07.01.2020 n. 20 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).

dicembre 2019

EDILIZIA PRIVATAConvenzioni accessive a provvedimenti amministrativi ampliativi in materia edilizia e scomputo del costo di costruzione.
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Edilizia – Oneri di costruzione – Scomputo - Convenzioni accessive a provvedimenti amministrativi ampliativi in materia edilizia – esclusione.
Le convenzioni accessive a provvedimenti amministrativi ampliativi in materia edilizia possono consentire lo scomputo degli oneri di urbanizzazione, ma non anche del costo di costruzione (1).
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   (1) Osserva la Sezione che l’istituto della datio in solutum consiste nell’accordo negoziale fra creditore e debitore circa l’effettuazione, con effetto estintivo dell’obbligazione, di una prestazione diversa da quella originariamente dedotta in contratto: come tale, l’istituto è espressione della disponibilità del diritto (e del sovrastante rapporto obbligatorio) di cui, viceversa, l’Amministrazione impositrice, per le ragioni sopra enucleate, difetta ex lege ab origine.
Di converso, la locuzione “con le modalità e le garanzie stabilite dal Comune” contenuta nell’art. 16, comma 2, d.P.R. n. 380 del 2001 non dimostra né sottende un’implicita autorizzazione legislativa a convenire pattiziamente forme solutorie alternative a quella monetaria.
In disparte il rilievo che un’eccezione di tale portata richiederebbe una disciplina espressa ed esplicita, è sufficiente considerare che tale locuzione va letta nell’ambito della generale disciplina apprestata dal comma in discorso, afferente alla realizzazione diretta, da parte del privato, delle opere di urbanizzazione: ne consegue che le “modalità” in questione sono solo quelle strettamente afferenti alla concreta esecuzione delle opere de quibus (tempistica, modalità costruttive, qualità dei materiali, et similia).
Peraltro, l’ammissione della negoziabilità delle modalità solutorie delle obbligazioni tributarie (o, comunque, disciplinate dal diritto pubblico) cozzerebbe frontalmente con i principi costitutivi su cui si regge il vigente sistema di contabilità pubblica, fondato sulla generale e rigida indisponibilità anche per l’Amministrazione, salve specifiche e puntuali disposizioni legislative, di tutta la disciplina del tributo (o, comunque, della prestazione patrimoniale imposta) per come delineata dalla legge.
La Sezione esclude anche la possibilità di richiamare l’istituto della compensazione.
La compensazione è un istituto ontologicamente diverso dall’anelata facoltà di scomputo cui il presente giudizio inerisce.
Invero, la compensazione (che, peraltro, nel settore tributario opera solo in base ad espressa previsione normativa – cfr. art. 8, comma 6, l. n. 212 del 2000) valorizza a fini estintivi dell’obbligazione la compresenza, in capo all’Amministrazione ed al contribuente, di individuate ragioni contrapposte di credito/debito, laddove lo scomputo del costo di costruzione derogherebbe, senza alcuna base legislativa, all’ordinaria regula juris di natura pubblicistica per cui il pagamento dei tributi (e, più in generale, delle prestazioni di diritto pubblico) si fa in moneta (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 31.12.2019 n. 8919 - commento tratto ad e link a www.giustizia-amministrativa.it).
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SENTENZA
Con ricorso avanti il Tar per la Lombardia – Sede di Milano la società Al. s.p.a. ha chiesto l’accertamento:
   - del proprio diritto allo scomputo (anche) del costo di costruzione relativo alla realizzazione di una multisala cinematografica, assentita dal Comune di Milano con il p.d.c. n. 85 dell’11.05.2006, rilasciato anche sulla scorta della previa convenzione integrativa stipulata inter partes in forma pubblica in data 12.04.2006;
   - dell’insussistenza del credito vantato dal Comune a titolo di conguaglio per monetizzazione e contributo smaltimento rifiuti, con conseguente diritto alla ripetizione di quanto già versato a tali fini.
Il Comune di Milano si è costituito in resistenza, formulando sia eccezioni in rito (assunta inammissibilità del ricorso per tardiva instaurazione del giudizio), sia difese in merito (infondatezza delle pretese svolte ex adverso).
2. Con la sentenza 18.06.2018 n. 1525 il Tribunale - Sez. II, previa reiezione dell’eccezione di rito sollevata dal Comune, ha, nel merito, accolto integralmente il ricorso.
3. Il Comune ha interposto appello con riferimento alla sola questione relativa allo scomputo del costo di costruzione.
...
L’oggetto del presente giudizio, pertanto, si riduce alla sola questione della possibilità di ammettere lo scomputo anche del costo di costruzione (cfr., del resto, la memoria del Comune depositata in data 07.11.2019, pag. 3).
5. Quanto, appunto, a tale questione, il Collegio premette che la convenzione accessiva al p.d.c. n. 85 stabilisce che Al. possa realizzare opere di urbanizzazione a scomputo dei soli oneri di urbanizzazione, ma, poi, individua l’importo scomputabile nella somma di oneri di urbanizzazione e costo di costruzione: secondo la ricorrente in prime cure (cui si è conformato il Tribunale) dovrebbe darsi prevalenza al dato numerico, secondo il Comune, invece, rileverebbe il dato terminologico, tanto più che l’importo dovuto a titolo di “contributo di costruzione” sarebbe sempre modificabile dall’Amministrazione (l’Ente cita, in proposito, la sentenza dell’Adunanza Plenaria di questo Consiglio 30.08.2018, n. 12).
Ove, poi, si interpreti la convenzione come anelato da Al., sorge l’ulteriore, conseguente problematica della possibilità giuridica che convenzioni accessive a provvedimenti amministrativi ampliativi in materia edilizia possano consentire lo scomputo non solo degli oneri di urbanizzazione, ma anche del costo di costruzione.
Anche su tale questione il Tribunale ha dato una risposta positiva, sia perché l’art. 16, comma 2, d.p.r. n. 380 del 2001, nel prevedere la possibilità dello scomputo degli oneri di urbanizzazione, non vieterebbe espressamente lo scomputo anche del costo di costruzione, sia perché la natura tributaria propria del costo di costruzione atterrebbe all’an ed al quantum, ma non al quomodo, sì che ben potrebbe il Comune ottenere il pagamento in forma diversa da quella monetaria.
Secondo il Comune appellante, viceversa, da un lato la disposizione dell’art. 16, comma 2, d.p.r. n. 380 del 2001 avrebbe natura speciale (recte, eccezionale) rispetto al generale obbligo di corresponsione monetaria del “contributo di costruzione” e sarebbe, pertanto, da interpretarsi restrittivamente, dall’altro la natura tributaria del costo di costruzione (che, non essendo “immediatamente correlato alla realizzazione di opere di urbanizzazione”, differirebbe nettamente dagli oneri di urbanizzazione) escluderebbe comunque ex se ogni possibilità per il Comune di esigere il pagamento in forma diversa da quella prescritta dalla legge (ossia in forma monetaria), pena lo stravolgimento delle norme di contabilità pubblica.
6. La prospettazione defensionale svolta dall’appellante Comune è fondata, ai sensi delle considerazioni che seguono.
6.1. E’ necessario prendere le mosse dalla disciplina legislativa dettata in subiecta materia.
L’art. 16, comma 2, d.p.r. n. 380 del 2001 stabilisce che “La quota di contributo relativa agli oneri di urbanizzazione è corrisposta al Comune all'atto del rilascio del permesso di costruire e, su richiesta dell'interessato, può essere rateizzata. A scomputo totale o parziale della quota dovuta, il titolare del permesso può obbligarsi a realizzare direttamente le opere di urbanizzazione, nel rispetto dell’articolo 2, comma 5, della legge 11.02.1994, n. 109, e successive modificazioni, con le modalità e le garanzie stabilite dal Comune, con conseguente acquisizione delle opere realizzate al patrimonio indisponibile del Comune”.
La disposizione, dunque, non menziona il costo di costruzione, ma si riferisce ai soli oneri di urbanizzazione (analogamente dispone l’art. 45 della l.r. lombarda n. 12 del 2005).
E’ vero che, di converso, la disposizione non vieta espressamente lo scomputo anche del costo di costruzione: ciò, tuttavia, non assume un rilievo decisivo.
Anzitutto, allorché il legislatore detta una disciplina per una specifica fattispecie, ciò conduce implicitamente ad escluderne l’applicazione anche ad altre e diverse ipotesi non menzionate (è noto il brocardo secondo cui ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit).
Pur a voler prescindere da tale considerazione, il Collegio osserva che la disposizione in esame ha natura derogatoria rispetto a quanto previsto dal comma che precede, ove è stabilito che “il rilascio del permesso di costruire comporta la corresponsione di un contributo commisurato all’incidenza degli oneri di urbanizzazione nonché al costo di costruzione”.
L’espressione “corresponsione” rimanda, con ogni evidenza, ad una dimensione monetaria del pagamento, che, del resto, costituisce l’ordinaria forma di riscossione delle entrate dello Stato e degli Enti pubblici (cfr. articoli 225 e 230 r.d. n. 827 del 1924).
La disposizione in commento delinea, in sostanza, un’eccezione alla regula juris generale per cui i debiti tributari o, comunque, regolati da norme di diritto pubblico si estinguono con un pagamento in moneta: in ragione di tale natura eccezionale, la disposizione non è applicabile oltre i casi ed i tempi in essa previsti (cfr. art. 14 preleggi), giacché non riflette né veicola un principio generale, ma, al contrario, vi deroga.
6.2. In una più ampia considerazione sistematica, invero, il Collegio osserva che il “contributo” di cui all’art. 16, comma 1, d.p.r. n. 380 del 2001, ivi inclusa la parte commisurata al costo di costruzione, ha natura di corrispettivo di diritto pubblico e configura una prestazione patrimoniale imposta (cfr. la richiamata sentenza dell’Adunanza Plenaria di questo Consiglio n. 12 del 30.08.2018).
Ora, i crediti di diritto pubblico sono indisponibili per l’Ente impositore non solo in ordine all’an ed al quantum (ossia alla fase genetica), ma anche in ordine al quomodo (ossia alla fase esecutiva o, che dir si voglia, solutoria).
L’Amministrazione, altrimenti detto, non può, in assenza di una specifica e puntuale previsione legislativa, accordarsi con il contribuente (o, comunque, con il debitore di una prestazione di diritto pubblico) circa una modalità di soluzione diversa dall’adempimento monetario.
Per quanto qui di interesse, dunque, de jure condito il Comune non può convenire una datio in solutum con il soggetto tenuto a corrispondere il contributo di costruzione.
Invero, l’istituto della datio in solutum consiste nell’accordo negoziale fra creditore e debitore circa l’effettuazione, con effetto estintivo dell’obbligazione, di una prestazione diversa da quella originariamente dedotta in contratto: come tale, l’istituto è espressione della disponibilità del diritto (e del sovrastante rapporto obbligatorio) di cui, viceversa, l’Amministrazione impositrice, per le ragioni sopra enucleate, difetta ex lege ab origine.
6.3. Di converso, la locuzione “con le modalità e le garanzie stabilite dal Comune” contenuta nell’art. 16, comma 2, d.p.r. n. 380 del 2001 non dimostra né sottende un’implicita autorizzazione legislativa a convenire pattiziamente forme solutorie alternative a quella monetaria.
In disparte il rilievo che un’eccezione di tale portata richiederebbe una disciplina espressa ed esplicita, è sufficiente considerare che tale locuzione va letta nell’ambito della generale disciplina apprestata dal comma in discorso, afferente alla realizzazione diretta, da parte del privato, delle opere di urbanizzazione: ne consegue che le “modalità” in questione sono solo quelle strettamente afferenti alla concreta esecuzione delle opere de quibus (tempistica, modalità costruttive, qualità dei materiali, et similia).
6.4. Peraltro, osserva in termini ancora più generali il Collegio, l’ammissione della negoziabilità delle modalità solutorie delle obbligazioni tributarie (o, comunque, disciplinate dal diritto pubblico) cozzerebbe frontalmente con i principi costitutivi su cui si regge il vigente sistema di contabilità pubblica, fondato sulla generale e rigida indisponibilità anche per l’Amministrazione, salve specifiche e puntuali disposizioni legislative, di tutta la disciplina del tributo (o, comunque, della prestazione patrimoniale imposta) per come delineata dalla legge.
6.5. A chiusura sul punto, il Collegio rileva che è inconferente il richiamo operato da Al. all’istituto della compensazione, “cui”, ad avviso dell’appellata società, “lo scomputo risulta latamente riconducibile”.
In realtà, osserva il Collegio, la compensazione è un istituto ontologicamente diverso dall’anelata facoltà di scomputo cui il presente giudizio inerisce.
Invero, la compensazione (che, peraltro, nel settore tributario opera solo in base ad espressa previsione normativa – cfr. art. 8, comma 6, l. n. 212 del 2000) valorizza a fini estintivi dell’obbligazione la compresenza, in capo all’Amministrazione ed al contribuente, di individuate ragioni contrapposte di credito/debito, laddove lo scomputo del costo di costruzione derogherebbe, senza alcuna base legislativa, all’ordinaria regula juris di natura pubblicistica per cui il pagamento dei tributi (e, più in generale, delle prestazioni di diritto pubblico) si fa in moneta.
7. Le considerazioni che precedono conducono alla corretta interpretazione da riconoscere alla convenzione accessiva al titolo edilizio: ai sensi dell’art. 1367 c.c., infatti, in situazioni di dubbio esegetico i contratti (e, quindi, anche gli accordi di diritto pubblico – cfr. art. 11 l. n. 241 del 1990) devono essere interpretati in modo tale da preservarne la validità.
Nella specie, l’unica esegesi compatibile con la validità della convenzione è quella che ascrive rilievo determinante alla lettera della stessa (che limita lo scomputo ai soli oneri di urbanizzazione), ritenendo, viceversa, recessivo (e, comunque, non significativo) il difforme dato numerico.
8. Incidentalmente, il Collegio rileva che, sia pure in altra materia, questo Consiglio ha sancito la prevalenza del valore espresso in lettere rispetto a quello espresso in cifre (cfr. Cons. Stato, Ad. Plen., 10.11.2015, n. 10).
In una più ampia visione di sistema, peraltro, l’ordinamento –in caso di discordanze– assegna prevalenza alla lettera rispetto al dato numerico sia nella disciplina dell’assegno bancario (cfr. r.d. n. 1736 del 1933, art. 9), sia in quella della cambiale (r.d. n. 1669 del 1933, art. 6).
Oltretutto, le norme generali della contabilità pubblica (art. 72 r.d. n. 827 del 1924) stabiliscono che “quando, in un’offerta all’asta, vi sia discordanza fra il prezzo indicato in lettere e quello indicato in cifre, è valida l’indicazione più vantaggiosa per l’Amministrazione”: da tale disposizione può trarsi un principio di tendenziale favor esegetico, in ipotesi dubbie, per le ragioni erariali (e, più in generale, per le ragioni delle finanze pubbliche).
9. L’individuazione del corretto significato da attribuire alla convenzione rende, conseguentemente, ab origine inconferente e, comunque, priva di pregio la difesa da ultimo svolta da Al., secondo cui la contestazione, da parte del Comune, dell’interpretazione della convenzione come ammissiva dello scomputo anche del costo di costruzione avrebbe imposto, a pena di inammissibilità della censura d’appello, il previo annullamento in autotutela del titolo edilizio e della connessa convenzione.
10. Per le esposte ragioni, pertanto, il ricorso in appello va accolto: in parziale riforma della sentenza impugnata, dunque, deve rigettarsi il ricorso di primo grado nella parte in cui si chiede l’accertamento del diritto di fruire dello scomputo del costo di costruzione.

novembre 2019

EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICAIn linea generale va ricordato che il contributo di costruzione dovuto dal soggetto che intraprende un’iniziativa edificatoria rappresenta una compartecipazione del privato alla spesa pubblica occorrente alla realizzazione delle opere di urbanizzazione che hanno spesso portata più ampia rispetto a quelle strettamente necessarie a urbanizzare il nuovo insediamento edilizio.
Per tale motivo quand’anche risultino trasfuse in apposita convenzione urbanistica, le prestazioni da adempiere da parte dell’amministrazione comunale e del privato intestatario del titolo edilizio non sono tra loro in posizione sinallagmatica, con la conseguenza che rientrano nel novero delle prestazioni patrimoniali imposte di cui all’art. 23 Cost..
In secondo luogo va osservato che il rilascio del titolo edilizio si configura come fatto di per sé costitutivo dell’obbligo giuridico di corrispondere il relativo contributo per oneri di urbanizzazione, ossia per gli oneri affrontati dall’ente locale per le opere indispensabili affinché l’area acquisti attitudine al recepimento dell’insediamento assentito e per le quali l’area acquista un beneficio economicamente rilevante, da calcolarsi secondo i parametri vigenti prescindendo totalmente o meno dalle singole opere di urbanizzazione, venendo altresì determinato indipendentemente sia dall'utilità che il concessionario ritrae dal titolo edificatorio, sia dalle spese effettivamente occorrenti per realizzare dette opere.
Orbene, sulla base di tali premesse è pertanto necessario affermare che il contributo di costruzione ha carattere generale, prescinde totalmente dalle singole opere di urbanizzazione, viene altresì determinato indipendentemente sia dall'utilità che il concessionario ritrae dal titolo edificatorio, sia dalle spese effettivamente occorrenti per realizzare dette opere.
Inoltre va altresì sottolineato che, attesa la natura non sinallagmatica e il regime interamente pubblicistico che connota il contributo de quo, la sua disciplina vincola anche il giudice, al quale è impedito di configurare autonomamente ipotesi di non debenza della specifica prestazione patrimoniale diverse da quelle autoritativamente individuate dal legislatore.
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Come è noto, a livello normativo l’art. 17 della legge 17.08.1942, n. 1150 prevede che decorso il termine stabilito per l’esecuzione del piano “questo diventa inefficace per la parte in cui non abbia avuto attuazione, rimanendo soltanto fermo a tempo indeterminato l’obbligo di osservare, nella costruzione di nuovi edifici e nella modificazione di quelli esistenti, gli allineamenti e le prescrizioni di zona stabiliti dal piano stesso”, chiarendo che l’ultrattività del piano attuativo riguarda i soli profili edilizi ed urbanistici, e non anche quelli di carattere obbligatorio che regolano i rapporti tra le parti, perché altrimenti perderebbe ogni senso la previsione, contenuta nell’art. 16 della medesima legge, di una data di scadenza del piano.
Altresì, all’interno delle previsioni urbanistiche del piano attuativo “sopravvivono, esclusivamente, la destinazione di zona, la destinazione ad uso pubblico di un bene privato, gli allineamenti, le prescrizioni di ordine generale e quant’altro attenga all’armonico assetto del territorio, trattandosi di misure che devono rimanere inalterate fino all’intervento di una nuova pianificazione, non essendo la stessa condizionata all’eventuale scadenza di vincoli espropriativi o di altra natura ma tutti caratterizzati dall’avere contenuto specifico e puntuale".
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Non è ipotizzabile alcuno scomputo degli oneri correlati al titolo edilizio (rilasciato 15 anni dopo la approvazione del piano poi decaduto) in regione delle previsioni contenute nel piano di lottizzazione da anni inefficace (…) di conseguenza deve ritenersi fondata la pretesa del Comune di pagamento e ritenzione degli oneri di urbanizzazione relativi al permesso perché direttamente ed autonomamente correlata al rilascio del permesso medesimo, dove l’eventuale impegno del Comune a riconoscere alle opere di urbanizzazione, eseguite a spese del lottizzante, un carattere satisfattivo dell’obbligazione relativa al pagamento del contributo concessorio, non può vincolare l’ente oltre il termine di durata della convenzione urbanistica.
Sicché, sulla scorta della prevalente giurisprudenza, si deve giungere alla conclusione che la tesi secondo cui non è dovuto il contributo di costruzione in ragione dell’integrale ultrattività di tutti gli obblighi previsti dalla convenzione deve essere respinta.
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In linea generale va ricordato che il contributo di costruzione dovuto dal soggetto che intraprende un’iniziativa edificatoria rappresenta una compartecipazione del privato alla spesa pubblica occorrente alla realizzazione delle opere di urbanizzazione che hanno spesso portata più ampia rispetto a quelle strettamente necessarie a urbanizzare il nuovo insediamento edilizio.
Per tale motivo quand’anche risultino trasfuse in apposita convenzione urbanistica, le prestazioni da adempiere da parte dell’amministrazione comunale e del privato intestatario del titolo edilizio non sono tra loro in posizione sinallagmatica, con la conseguenza che rientrano nel novero delle prestazioni patrimoniali imposte di cui all’art. 23 Cost. (cfr. Consiglio di Stato, Ad. Plen., 07.12.2016, n. 24; id. 30.08.2018, n. 12).
In secondo luogo va osservato che il rilascio del titolo edilizio si configura come fatto di per sé costitutivo dell’obbligo giuridico di corrispondere il relativo contributo per oneri di urbanizzazione, ossia per gli oneri affrontati dall’ente locale per le opere indispensabili affinché l’area acquisti attitudine al recepimento dell’insediamento assentito e per le quali l’area acquista un beneficio economicamente rilevante, da calcolarsi secondo i parametri vigenti prescindendo totalmente o meno dalle singole opere di urbanizzazione, venendo altresì determinato indipendentemente sia dall'utilità che il concessionario ritrae dal titolo edificatorio, sia dalle spese effettivamente occorrenti per realizzare dette opere (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 22.02.2011, n. 1108; Consiglio di Stato, Sez. IV, 24.12.2009, n. 8757; Consiglio di Stato, Sez. V, 23.01.2006, n. 159; id. 21.04.2006, n. 2258; Cons. Stato V, 15.12.2005, n. 7140; 06.05.1997, n. 462).
Orbene, sulla base di tali premesse è pertanto necessario affermare che il contributo di costruzione ha carattere generale, prescinde totalmente dalle singole opere di urbanizzazione, viene altresì determinato indipendentemente sia dall'utilità che il concessionario ritrae dal titolo edificatorio, sia dalle spese effettivamente occorrenti per realizzare dette opere.
Inoltre va altresì sottolineato che, attesa la natura non sinallagmatica e il regime interamente pubblicistico che connota il contributo de quo, la sua disciplina vincola anche il giudice, al quale è impedito di configurare autonomamente ipotesi di non debenza della specifica prestazione patrimoniale diverse da quelle autoritativamente individuate dal legislatore (cfr. Tar Marche, Ancona, Sez. I, 30.12.2017, n. 954).
Pertanto la pretesa della parte ricorrente deve essere respinta perché l’esistenza della convenzione e la presenza delle opere di urbanizzazione non possono fondatamente essere invocate per sostenere che non è dovuto il pagamento del contributo di costruzione.
Anche la tesi dell’integrale ultrattività di tutti gli obblighi previsti dalla convenzione non può essere condivisa perché, come è noto, a livello normativo l’art. 17 della legge 17.08.1942, n. 1150, prevede che decorso il termine stabilito per l’esecuzione del piano “questo diventa inefficace per la parte in cui non abbia avuto attuazione, rimanendo soltanto fermo a tempo indeterminato l’obbligo di osservare, nella costruzione di nuovi edifici e nella modificazione di quelli esistenti, gli allineamenti e le prescrizioni di zona stabiliti dal piano stesso”, chiarendo che l’ultrattività del piano attuativo riguarda i soli profili edilizi ed urbanistici, e non anche quelli di carattere obbligatorio che regolano i rapporti tra le parti, perché altrimenti perderebbe ogni senso la previsione, contenuta nell’art. 16 della medesima legge, di una data di scadenza del piano.
Sul punto è stato rimarcato che all’interno delle previsioni urbanistiche del piano attuativo “sopravvivono, esclusivamente, la destinazione di zona, la destinazione ad uso pubblico di un bene privato, gli allineamenti, le prescrizioni di ordine generale e quant’altro attenga all’armonico assetto del territorio, trattandosi di misure che devono rimanere inalterate fino all’intervento di una nuova pianificazione, non essendo la stessa condizionata all’eventuale scadenza di vincoli espropriativi o di altra natura ma tutti caratterizzati dall’avere contenuto specifico e puntuale” (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 14.06.2018, n. 3672; id, 18.05.2018, n. 3002; Consiglio di Stato, IV, 28.10.2009, n. 6661).
Sul punto è stato altresì condivisibilmente osservato che “non è ipotizzabile alcuno scomputo degli oneri correlati a tale titolo edilizio (rilasciato 15 anni dopo la approvazione del piano poi decaduto) in regione delle previsioni contenute nel piano di lottizzazione da anni inefficace (…) di conseguenza deve ritenersi fondata la pretesa del Comune di pagamento e ritenzione degli oneri di urbanizzazione relativi al permesso perché direttamente ed autonomamente correlata al rilascio del permesso medesimo, dove l’eventuale impegno del Comune a riconoscere alle opere di urbanizzazione, eseguite a spese del lottizzante, un carattere satisfattivo dell’obbligazione relativa al pagamento del contributo concessorio, non può vincolare l’ente oltre il termine di durata della convenzione urbanistica" (cfr. Tar Lombardia, Milano, 29.02.2016, n. 406; Tar Lombardia, Milano, Sez. IV, 17.08.2018, n. 2001).
La ricorrente sostiene inoltre che l’ultrattività delle previsioni della convenzione scaduta deriverebbe dalla circostanza che l’art. 58 delle norme tecniche di attuazione allegate al piano degli interventi ha qualificato le aree come “PEC 2” (piano edilizio convenzionato), in tal modo riconoscendo alla convenzione una perdurante efficacia.
Questa tesi risulta priva di fondamento perché la predetta norma si limita a prevedere che nel caso di piani attuativi decaduti rimangano in vigore gli indici urbanistici e stereometrici del piano approvato, precisando che il piano non deve più ritenersi efficace per la parte non attuata, con l’obbligo a tempo indeterminato di osservare nella costruzione di nuovi edifici gli allineamenti e le prescrizioni di zona stabilite dal piano, e ciò è perfettamente in linea con quanto previsto dagli articoli artt. 16, 17 e 28 della legge 17.08.1942, n. 1150, i quali, come sopra precisato, dispongono che l’ultrattività del piano attuativo scaduto riguarda i soli profili edilizi ed urbanistici, e non anche quelli di carattere obbligatorio che regolavano i rapporti tra le parti.
Ne discende che, sulla scorta della prevalente giurisprudenza, si deve giungere alla conclusione che la tesi secondo cui non è dovuto il contributo di costruzione in ragione dell’integrale ultrattività di tutti gli obblighi previsti dalla convenzione deve essere respinta (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 26.11.2019 n. 1281 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ottobre 2019

EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICAGiusta la disposizione ex art. 16 dpr 380/2001, il legislatore ha stabilito, evidentemente al fine di contemperare i contrapposti interessi, che l’obbligo di pagamento degli oneri di urbanizzazione scatta solo nel momento in cui si prospetta la concreta possibilità di sfruttamento del fondo, nei limiti in cui tale sfruttamento ha luogo, della qual cosa il rilascio del permesso di costruire dà evidenza: ciò sul presupposto che l’obbligo di pagamento degli oneri di urbanizzazione realizza, in chiave solidaristica, il contributo di ogni proprietario di suoli alla realizzazione delle opere necessarie per consentire ai cittadini di accedere ai servizi che debbono considerarsi indispensabili alla vita moderna, ed inoltre sul presupposto che tale concorso deve essere proporzionale all’effettiva richiesta di tali servizi, in proporzione, cioè, al c.d. aumento del carico urbanistico.
Si è quindi formato un consolidato orientamento di giurisprudenza secondo cui l’obbligo di contribuzione è indissolubilmente correlato all’effettivo esercizio dello ius aedificandi, essendo gli oneri di urbanizzazione, e di costruzione, oggetto di una obbligazione ex lege, che ne collega la debenza alla specifica trasformazione del territorio oggetto del titolo, conseguendo da ciò che se l’edificazione non ha luogo, in tutto o in parte, le somme già corrisposte a titolo di oneri di urbanizzazione, e/o di costo di costruzione, danno luogo ad un indebito, fonte di un obbligo restitutorio.
La giurisprudenza, tuttavia, ha anche affermato che il ricordato principio vale solo nel caso in cui il pagamento degli oneri di urbanizzazione, o il costo di costruzione, trovi origine, direttamente e soltanto, in un titolo edilizio, versandosi in tal caso in una obbligazione ex lege. Viceversa, ove l’obbligo di pagamento degli oneri di urbanizzazione, nonché del costo di costruzione, sia fatto oggetto di una convenzione urbanistica, esso assume natura convenzionale e trova causa nella convenzione di lottizzazione, nell’ambito della quale tale debenza deve essere valutata e rapportata alla intera operazione, la cui complessiva remuneratività “costituisce il reale parametro per valutare l'equilibrio del sinallagma a base dell’accordo e, quindi, la sostanziale liceità degli impegni assunti”.
E stato infatti puntualizzato che “La causa della convenzione urbanistica, e cioè l'interesse che l'operazione contrattuale è diretta a soddisfare, in particolare, va valutata non con riferimento ai singoli impegni assunti, ma con riguardo alla oggettiva funzione economico-sociale della convenzione, in cui devono trovare equilibrata soddisfazione sia gli interessi del privato sia quelli della pubblica amministrazione” e che, inoltre, “non è affatto escluso dal sistema che un operatore, nella convenzione urbanistica, possa assumere oneri anche maggiori di quelli astrattamente previsti dalla legge, trattandosi di una libera scelta imprenditoriale (o, anche, di una libera scelta volta al benessere della collettività locale), rientrante nella ordinaria autonomia privata, non contrastante di per sé con norme imperative”.
...
Il Collegio non ritiene di doversi discostarsi da tale orientamento, anche per la ragione che le convenzioni urbanistiche, ancorché le si voglia qualificare come contratti pubblici, sono riconducibili ad accordi sostitutivi di atti amministrativi che, ai sensi dell’art. 11 della L. 241/1990, sono soggetti alle norme di diritto privato.
Segue da tale constatazione che per effetto della avvenuta stipula di una convenzione urbanistica che recepisca l’obbligo, per la parte privata, di pagare gli oneri di urbanizzazione ed il costo di costruzione, tale obbligo assume natura convenzionale, risultando assistito da una causa che è costituita, appunto, dalla convenzione urbanistica e dal complesso delle pattuizioni in essa contenute, così che l’eventuale venir meno dell’obbligo di che trattasi può determinarsi solo per il venir meno della stessa convenzione urbanistica, che, secondo i principi civilistici, può essere risolta consensualmente o per le altre cause indicate nel codice civile.
Del resto, la stipula di una convenzione urbanistica fa nascere sicuramente, in capo alla amministrazione comunale, un affidamento circa il pagamento degli oneri di urbanizzazione ivi previsti, nonché circa la completa attuazione della convenzione, e proprio tale affidamento legittima l’amministrazione medesima ad utilizzare le somme nel frattempo già versate per la realizzazione di opere di urbanizzazione, che tra l’altro, nel caso di opere di urbanizzazione secondaria, sono di fruizione collettiva e servono gli abitanti di più quartieri: la pretesa della parte privata di una convenzione urbanistica, tesa ad ottenere il rimborso di quanto corrisposto per oneri di urbanizzazione in dipendenza della mancata attuazione, in tutto o in parte della lottizzazione, rischia, allora, di creare gravi squilibri, che giustificano l’affermazione secondo cui fintanto che la convenzione urbanistica non viene invalidata o risolta, essa costituisce una giusta causa di ritenzione di tali somme da parte dell’amministrazione, e, correlativamente, l’eventuale restituzione di esse non può che passare da un accordo consensuale o –come già precisato– da altra forma di invalidazione/risoluzione della convenzione, che all’occorrenza deve essere fatta oggetto di specifica azione giudiziale.
L’eventuale arricchimento per il Comune derivante dalla mancata attuazione, totale o parziale, della convenzione urbanistica, deve, a maggior ragione, essere fatta valere espressamente, ai sensi dell’art. 2041 del codice civile, con azione che ha natura sussidiaria e che, quindi, richiede preliminarmente, l’esperimento e l’esaurimento di ogni altro mezzo di tutela del soggetto che si ritiene impoverito.
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10. Il ricorso è infondato.
11. Va ricordato, preliminarmente, che l’obbligo di pagare gli oneri di urbanizzazione trova causa nella normativa di settore, attualmente rappresentata dall’art. 16 del D.P.R. n. 380/2001, il quale, contiene le seguenti previsioni:
   “1. Salvo quanto disposto dall'articolo 17, comma 3, il rilascio del permesso di costruire comporta la corresponsione di un contributo commisurato all'incidenza degli oneri di urbanizzazione nonché al costo di costruzione, secondo le modalità indicate nel presente articolo.
   2. La quota di contributo relativa agli oneri di urbanizzazione è corrisposta al comune all'atto del rilascio del permesso di costruire e, su richiesta dell'interessato, può essere rateizzata. A scomputo totale o parziale della quota dovuta, il titolare del permesso può obbligarsi a realizzare direttamente le opere di urbanizzazione, nel rispetto dell'articolo 2, comma 5, della legge 11.02.1994, n. 109, e successive modificazioni, con le modalità e le garanzie stabilite dal comune, con conseguente acquisizione delle opere realizzate al patrimonio indisponibile del comune .
   …………….
   3. La quota di contributo relativa al costo di costruzione, determinata all'atto del rilascio, è corrisposta in corso d'opera, con le modalità e le garanzie stabilite dal comune, non oltre sessanta giorni dalla ultimazione della costruzione.
   4. L'incidenza degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria è stabilita con deliberazione del consiglio comunale in base alle tabelle parametriche……
   ……………..
   7. Gli oneri di urbanizzazione primaria sono relativi ai seguenti interventi: strade residenziali, spazi di sosta o di parcheggio, fognature, rete idrica, rete di distribuzione dell'energia elettrica e del gas, pubblica illuminazione, spazi di verde attrezzato.
   7-bis. Tra gli interventi di urbanizzazione primaria di cui al comma 7 rientrano i cavedi multiservizi e i cavidotti per il passaggio di reti di telecomunicazioni, salvo nelle aree individuate dai comuni sulla base dei criteri definiti dalle regioni.
   8. Gli oneri di urbanizzazione secondaria sono relativi ai seguenti interventi: asili nido e scuole materne, scuole dell'obbligo nonché strutture e complessi per l'istruzione superiore all'obbligo, mercati di quartiere, delegazioni comunali, chiese e altri edifici religiosi, impianti sportivi di quartiere, aree verdi di quartiere, centri sociali e attrezzature culturali e sanitarie. Nelle attrezzature sanitarie sono ricomprese le opere, le costruzioni e gli impianti destinati allo smaltimento, al riciclaggio o alla distruzione dei rifiuti urbani, speciali, pericolosi, solidi e liquidi, alla bonifica di aree inquinate...
”.
12. Come si può constatare, il legislatore ha stabilito, evidentemente al fine di contemperare i contrapposti interessi, che l’obbligo di pagamento degli oneri di urbanizzazione scatta solo nel momento in cui si prospetta la concreta possibilità di sfruttamento del fondo, nei limiti in cui tale sfruttamento ha luogo, della qual cosa il rilascio del permesso di costruire dà evidenza: ciò sul presupposto che l’obbligo di pagamento degli oneri di urbanizzazione realizza, in chiave solidaristica, il contributo di ogni proprietario di suoli alla realizzazione delle opere necessarie per consentire ai cittadini di accedere ai servizi che debbono considerarsi indispensabili alla vita moderna, ed inoltre sul presupposto che tale concorso deve essere proporzionale all’effettiva richiesta di tali servizi, in proporzione, cioè, al c.d. aumento del carico urbanistico.
13. Si è quindi formato un consolidato orientamento di giurisprudenza secondo cui l’obbligo di contribuzione è indissolubilmente correlato all’effettivo esercizio dello ius aedificandi, essendo gli oneri di urbanizzazione, e di costruzione, oggetto di una obbligazione ex lege, che ne collega la debenza alla specifica trasformazione del territorio oggetto del titolo, conseguendo da ciò che se l’edificazione non ha luogo, in tutto o in parte, le somme già corrisposte a titolo di oneri di urbanizzazione, e/o di costo di costruzione, danno luogo ad un indebito, fonte di un obbligo restitutorio (tra le più recenti: C.d.S., Sez. IV, 04.10.2019, n. 6668).
14. La giurisprudenza, tuttavia, ha anche affermato che il ricordato principio vale solo nel caso in cui il pagamento degli oneri di urbanizzazione, o il costo di costruzione, trovi origine, direttamente e soltanto, in un titolo edilizio, versandosi in tal caso in una obbligazione ex lege. Viceversa, ove l’obbligo di pagamento degli oneri di urbanizzazione, nonché del costo di costruzione, sia fatto oggetto di una convenzione urbanistica, esso assume natura convenzionale e trova causa nella convenzione di lottizzazione, nell’ambito della quale tale debenza deve essere valutata e rapportata alla intera operazione, la cui complessiva remuneratività “costituisce il reale parametro per valutare l'equilibrio del sinallagma a base dell’accordo e, quindi, la sostanziale liceità degli impegni assunti (cfr. Cons. Stato, IV, 15.02.2019, n. 1069)” (C.d.S., Sez. IV, 04.10.2019, n. 6668).
E stato infatti puntualizzato che “La causa della convenzione urbanistica, e cioè l'interesse che l'operazione contrattuale è diretta a soddisfare, in particolare, va valutata non con riferimento ai singoli impegni assunti, ma con riguardo alla oggettiva funzione economico-sociale della convenzione, in cui devono trovare equilibrata soddisfazione sia gli interessi del privato sia quelli della pubblica amministrazione (Cons. Stato, V, 26.11.2013, n. 5603)” e che, inoltre, “non è affatto escluso dal sistema che un operatore, nella convenzione urbanistica, possa assumere oneri anche maggiori di quelli astrattamente previsti dalla legge, trattandosi di una libera scelta imprenditoriale (o, anche, di una libera scelta volta al benessere della collettività locale), rientrante nella ordinaria autonomia privata, non contrastante di per sé con norme imperative” (C.d.S., Sez. IV, 04.10.2019, n. 6668).
15. Il Collegio non ritiene di doversi discostarsi da tale orientamento, anche per la ragione, correttamente prospettata nelle difese del Comune, che le convenzioni urbanistiche, ancorché le si voglia qualificare come contratti pubblici, sono riconducibili ad accordi sostitutivi di atti amministrativi che, ai sensi dell’art. 11 della L. 241/1990, sono soggetti alle norme di diritto privato (tra le più recenti: C.d.S., Sez. II, 29/07/2019 n. 5304; Consiglio di Stato sez. IV, 07/05/2015, n. 2313; Consiglio di Stato sez. IV, 26/09/2013, n. 4810).
16. Segue da tale constatazione che per effetto della avvenuta stipula di una convenzione urbanistica che recepisca l’obbligo, per la parte privata, di pagare gli oneri di urbanizzazione ed il costo di costruzione, tale obbligo assume natura convenzionale, risultando assistito da una causa che è costituita, appunto, dalla convenzione urbanistica e dal complesso delle pattuizioni in essa contenute, così che l’eventuale venir meno dell’obbligo di che trattasi può determinarsi solo per il venir meno della stessa convenzione urbanistica, che, secondo i principi civilistici, può essere risolta consensualmente o per le altre cause indicate nel codice civile.
16.1. Del resto, la stipula di una convenzione urbanistica fa nascere sicuramente, in capo alla amministrazione comunale, un affidamento circa il pagamento degli oneri di urbanizzazione ivi previsti, nonché circa la completa attuazione della convenzione, e proprio tale affidamento legittima l’amministrazione medesima ad utilizzare le somme nel frattempo già versate per la realizzazione di opere di urbanizzazione, che tra l’altro, nel caso di opere di urbanizzazione secondaria, sono di fruizione collettiva e servono gli abitanti di più quartieri: la pretesa della parte privata di una convenzione urbanistica, tesa ad ottenere il rimborso di quanto corrisposto per oneri di urbanizzazione in dipendenza della mancata attuazione, in tutto o in parte della lottizzazione, rischia, allora, di creare gravi squilibri, che giustificano l’affermazione secondo cui fintanto che la convenzione urbanistica non viene invalidata o risolta, essa costituisce una giusta causa di ritenzione di tali somme da parte dell’amministrazione, e, correlativamente, l’eventuale restituzione di esse non può che passare da un accordo consensuale o –come già precisato– da altra forma di invalidazione/risoluzione della convenzione, che all’occorrenza deve essere fatta oggetto di specifica azione giudiziale.
L’eventuale arricchimento per il Comune derivante dalla mancata attuazione, totale o parziale, della convenzione urbanistica, deve, a maggior ragione, essere fatta valere espressamente, ai sensi dell’art. 2041 del codice civile, con azione che ha natura sussidiaria e che, quindi, richiede preliminarmente, l’esperimento e l’esaurimento di ogni altro mezzo di tutela del soggetto che si ritiene impoverito (TAR Piemonte, Sez. II, sentenza 28.10.2019 n. 1090 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).

EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICAL’obbligo di pagare gli oneri di urbanizzazione trova causa nella normativa di settore, attualmente rappresentata dall’art. 16 del D.P.R. n. 380/2001.
Sicché, il legislatore ha stabilito, evidentemente al fine di contemperare i contrapposti interessi, che l’obbligo di pagamento degli oneri di urbanizzazione scatta solo nel momento in cui si prospetta la concreta possibilità di sfruttamento del fondo, nei limiti in cui tale sfruttamento ha luogo, della qual cosa il rilascio del permesso di costruire dà evidenza: ciò sul presupposto che l’obbligo di pagamento degli oneri di urbanizzazione realizza, in chiave solidaristica, il contributo di ogni proprietario di suoli alla realizzazione delle opere necessarie per consentire ai cittadini di accedere ai servizi che debbono considerarsi indispensabili alla vita moderna, ed inoltre sul presupposto che tale concorso deve essere proporzionale all’effettiva richiesta di tali servizi, in proporzione, cioè, al c.d. aumento del carico urbanistico.
Si è quindi formato un consolidato orientamento di giurisprudenza secondo cui l’obbligo di contribuzione è indissolubilmente correlato all’effettivo esercizio dello ius aedificandi, essendo gli oneri di urbanizzazione, e di costruzione, oggetto di una obbligazione ex lege, che ne collega la debenza alla specifica trasformazione del territorio oggetto del titolo, conseguendo da ciò che se l’edificazione non ha luogo, in tutto o in parte, le somme già corrisposte a titolo di oneri di urbanizzazione, e/o di costo di costruzione, danno luogo ad un indebito, fonte di un obbligo restitutorio.
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La giurisprudenza, tuttavia, ha anche affermato che il ricordato principio vale solo nel caso in cui il pagamento degli oneri di urbanizzazione, o il costo di costruzione, trovi origine, direttamente e soltanto, in un titolo edilizio, versandosi in tal caso in una obbligazione ex lege.
Viceversa, ove l’obbligo di pagamento degli oneri di urbanizzazione, nonché del costo di costruzione, sia fatto oggetto di una convenzione urbanistica, esso assume natura convenzionale e trova causa nella convenzione di lottizzazione, nell’ambito della quale tale debenza deve essere valutata e rapportata alla intera operazione, la cui complessiva remuneratività “costituisce il reale parametro per valutare l'equilibrio del sinallagma a base dell’accordo e, quindi, la sostanziale liceità degli impegni assunti”.
E' stato infatti puntualizzato che “La causa della convenzione urbanistica, e cioè l'interesse che l'operazione contrattuale è diretta a soddisfare, in particolare, va valutata non con riferimento ai singoli impegni assunti, ma con riguardo alla oggettiva funzione economico-sociale della convenzione, in cui devono trovare equilibrata soddisfazione sia gli interessi del privato sia quelli della pubblica amministrazione” e che, inoltre, “non è affatto escluso dal sistema che un operatore, nella convenzione urbanistica, possa assumere oneri anche maggiori di quelli astrattamente previsti dalla legge, trattandosi di una libera scelta imprenditoriale (o, anche, di una libera scelta volta al benessere della collettività locale), rientrante nella ordinaria autonomia privata, non contrastante di per sé con norme imperative”.
Il Collegio non ritiene di doversi discostarsi da tale orientamento, anche per la ragione, correttamente prospettata nelle difese del Comune, che le convenzioni urbanistiche, ancorché le si voglia qualificare come contratti pubblici, sono riconducibili ad accordi sostitutivi di atti amministrativi che, ai sensi dell’art. 11 della L. 241/1990, sono soggetti alle norme di diritto privato.
Segue da tale constatazione che per effetto della avvenuta stipula di una convenzione urbanistica che recepisca l’obbligo, per la parte privata, di pagare gli oneri di urbanizzazione ed il costo di costruzione, tale obbligo assume natura convenzionale, risultando assistito da una causa che è costituita, appunto, dalla convenzione urbanistica e dal complesso delle pattuizioni in essa contenute, così che l’eventuale venir meno dell’obbligo di che trattasi può determinarsi solo per il venir meno della stessa convenzione urbanistica, che, secondo i principi civilistici, può essere risolta consensualmente o per le altre cause indicate nel codice civile.
Del resto, la stipula di una convenzione urbanistica fa nascere sicuramente, in capo alla amministrazione comunale, un affidamento circa il pagamento degli oneri di urbanizzazione ivi previsti, nonché circa la completa attuazione della convenzione, e proprio tale affidamento legittima l’amministrazione medesima ad utilizzare le somme nel frattempo già versate per la realizzazione di opere di urbanizzazione, che tra l’altro, nel caso di opere di urbanizzazione secondaria, sono di fruizione collettiva e servono gli abitanti di più quartieri: la pretesa della parte privata di una convenzione urbanistica, tesa ad ottenere il rimborso di quanto corrisposto per oneri di urbanizzazione in dipendenza della mancata attuazione, in tutto o in parte della lottizzazione, rischia, allora, di creare gravi squilibri, che giustificano l’affermazione secondo cui fintanto che la convenzione urbanistica non viene invalidata o risolta, essa costituisce una giusta causa di ritenzione di tali somme da parte dell’amministrazione, e, correlativamente, l’eventuale restituzione di esse non può che passare da un accordo consensuale o –come già precisato– da altra forma di invalidazione/risoluzione della convenzione, che all’occorrenza deve essere fatta oggetto di specifica azione giudiziale.
L’eventuale arricchimento per il Comune derivante dalla mancata attuazione, totale o parziale, della convenzione urbanistica, deve, a maggior ragione, essere fatta valere espressamente, ai sensi dell’art. 2041 del codice civile, con azione che ha natura sussidiaria e che, quindi, richiede preliminarmente, l’esperimento e l’esaurimento di ogni altro mezzo di tutela del soggetto che si ritiene impoverito.
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11. Va ricordato, preliminarmente, che l’obbligo di pagare gli oneri di urbanizzazione trova causa nella normativa di settore, attualmente rappresentata dall’art. 16 del D.P.R. n. 380/2001, il quale, contiene le seguenti previsioni:
1. Salvo quanto disposto dall'articolo 17, comma 3, il rilascio del permesso di costruire comporta la corresponsione di un contributo commisurato all'incidenza degli oneri di urbanizzazione nonché al costo di costruzione, secondo le modalità indicate nel presente articolo.
2. La quota di contributo relativa agli oneri di urbanizzazione è corrisposta al comune all'atto del rilascio del permesso di costruire e, su richiesta dell'interessato, può essere rateizzata. A scomputo totale o parziale della quota dovuta, il titolare del permesso può obbligarsi a realizzare direttamente le opere di urbanizzazione, nel rispetto dell'articolo 2, comma 5, della legge 11.02.1994, n. 109, e successive modificazioni, con le modalità e le garanzie stabilite dal comune, con conseguente acquisizione delle opere realizzate al patrimonio indisponibile del comune.
…………….
3. La quota di contributo relativa al costo di costruzione, determinata all'atto del rilascio, è corrisposta in corso d'opera, con le modalità e le garanzie stabilite dal comune, non oltre sessanta giorni dalla ultimazione della costruzione.
4. L'incidenza degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria è stabilita con deliberazione del consiglio comunale in base alle tabelle parametriche………………
……………..
7. Gli oneri di urbanizzazione primaria sono relativi ai seguenti interventi: strade residenziali, spazi di sosta o di parcheggio, fognature, rete idrica, rete di distribuzione dell'energia elettrica e del gas, pubblica illuminazione, spazi di verde attrezzato.
7-bis. Tra gli interventi di urbanizzazione primaria di cui al comma 7 rientrano i cavedi multiservizi e i cavidotti per il passaggio di reti di telecomunicazioni, salvo nelle aree individuate dai comuni sulla base dei criteri definiti dalle regioni.
8. Gli oneri di urbanizzazione secondaria sono relativi ai seguenti interventi: asili nido e scuole materne, scuole dell'obbligo nonché strutture e complessi per l'istruzione superiore all'obbligo, mercati di quartiere, delegazioni comunali, chiese e altri edifici religiosi, impianti sportivi di quartiere, aree verdi di quartiere, centri sociali e attrezzature culturali e sanitarie. Nelle attrezzature sanitarie sono ricomprese le opere, le costruzioni e gli impianti destinati allo smaltimento, al riciclaggio o alla distruzione dei rifiuti urbani, speciali, pericolosi, solidi e liquidi, alla bonifica di aree inquinate………….
”.
12. Come si può constatare, il legislatore ha stabilito, evidentemente al fine di contemperare i contrapposti interessi, che l’obbligo di pagamento degli oneri di urbanizzazione scatta solo nel momento in cui si prospetta la concreta possibilità di sfruttamento del fondo, nei limiti in cui tale sfruttamento ha luogo, della qual cosa il rilascio del permesso di costruire dà evidenza: ciò sul presupposto che l’obbligo di pagamento degli oneri di urbanizzazione realizza, in chiave solidaristica, il contributo di ogni proprietario di suoli alla realizzazione delle opere necessarie per consentire ai cittadini di accedere ai servizi che debbono considerarsi indispensabili alla vita moderna, ed inoltre sul presupposto che tale concorso deve essere proporzionale all’effettiva richiesta di tali servizi, in proporzione, cioè, al c.d. aumento del carico urbanistico.
13. Si è quindi formato un consolidato orientamento di giurisprudenza secondo cui l’obbligo di contribuzione è indissolubilmente correlato all’effettivo esercizio dello ius aedificandi, essendo gli oneri di urbanizzazione, e di costruzione, oggetto di una obbligazione ex lege, che ne collega la debenza alla specifica trasformazione del territorio oggetto del titolo, conseguendo da ciò che se l’edificazione non ha luogo, in tutto o in parte, le somme già corrisposte a titolo di oneri di urbanizzazione, e/o di costo di costruzione, danno luogo ad un indebito, fonte di un obbligo restitutorio (tra le più recenti: C.d.S., Sez. IV, 04.10.2019, n. 6668).
14. La giurisprudenza, tuttavia, ha anche affermato che il ricordato principio vale solo nel caso in cui il pagamento degli oneri di urbanizzazione, o il costo di costruzione, trovi origine, direttamente e soltanto, in un titolo edilizio, versandosi in tal caso in una obbligazione ex lege.
Viceversa, ove l’obbligo di pagamento degli oneri di urbanizzazione, nonché del costo di costruzione, sia fatto oggetto di una convenzione urbanistica, esso assume natura convenzionale e trova causa nella convenzione di lottizzazione, nell’ambito della quale tale debenza deve essere valutata e rapportata alla intera operazione, la cui complessiva remuneratività “costituisce il reale parametro per valutare l'equilibrio del sinallagma a base dell’accordo e, quindi, la sostanziale liceità degli impegni assunti (cfr. Cons. Stato, IV, 15.02.2019, n. 1069)” (C.d.S., Sez. IV, 04.10.2019, n. 6668).
E' stato infatti puntualizzato che “La causa della convenzione urbanistica, e cioè l'interesse che l'operazione contrattuale è diretta a soddisfare, in particolare, va valutata non con riferimento ai singoli impegni assunti, ma con riguardo alla oggettiva funzione economico-sociale della convenzione, in cui devono trovare equilibrata soddisfazione sia gli interessi del privato sia quelli della pubblica amministrazione (Cons. Stato, V, 26.11.2013, n. 5603)” e che, inoltre, “non è affatto escluso dal sistema che un operatore, nella convenzione urbanistica, possa assumere oneri anche maggiori di quelli astrattamente previsti dalla legge, trattandosi di una libera scelta imprenditoriale (o, anche, di una libera scelta volta al benessere della collettività locale), rientrante nella ordinaria autonomia privata, non contrastante di per sé con norme imperative” (C.d.S., Sez. IV, 04.10.2019, n. 6668).
15. Il Collegio non ritiene di doversi discostarsi da tale orientamento, anche per la ragione, correttamente prospettata nelle difese del Comune, che le convenzioni urbanistiche, ancorché le si voglia qualificare come contratti pubblici, sono riconducibili ad accordi sostitutivi di atti amministrativi che, ai sensi dell’art. 11 della L. 241/1990, sono soggetti alle norme di diritto privato (tra le più recenti: C.d.S., Sez. II, 29/07/2019 n. 5304; Consiglio di Stato sez. IV, 07/05/2015, n. 2313; Consiglio di Stato sez. IV, 26/09/2013, n. 4810).
16. Segue da tale constatazione che per effetto della avvenuta stipula di una convenzione urbanistica che recepisca l’obbligo, per la parte privata, di pagare gli oneri di urbanizzazione ed il costo di costruzione, tale obbligo assume natura convenzionale, risultando assistito da una causa che è costituita, appunto, dalla convenzione urbanistica e dal complesso delle pattuizioni in essa contenute, così che l’eventuale venir meno dell’obbligo di che trattasi può determinarsi solo per il venir meno della stessa convenzione urbanistica, che, secondo i principi civilistici, può essere risolta consensualmente o per le altre cause indicate nel codice civile.
16.1. Del resto, la stipula di una convenzione urbanistica fa nascere sicuramente, in capo alla amministrazione comunale, un affidamento circa il pagamento degli oneri di urbanizzazione ivi previsti, nonché circa la completa attuazione della convenzione, e proprio tale affidamento legittima l’amministrazione medesima ad utilizzare le somme nel frattempo già versate per la realizzazione di opere di urbanizzazione, che tra l’altro, nel caso di opere di urbanizzazione secondaria, sono di fruizione collettiva e servono gli abitanti di più quartieri: la pretesa della parte privata di una convenzione urbanistica, tesa ad ottenere il rimborso di quanto corrisposto per oneri di urbanizzazione in dipendenza della mancata attuazione, in tutto o in parte della lottizzazione, rischia, allora, di creare gravi squilibri, che giustificano l’affermazione secondo cui fintanto che la convenzione urbanistica non viene invalidata o risolta, essa costituisce una giusta causa di ritenzione di tali somme da parte dell’amministrazione, e, correlativamente, l’eventuale restituzione di esse non può che passare da un accordo consensuale o –come già precisato– da altra forma di invalidazione/risoluzione della convenzione, che all’occorrenza deve essere fatta oggetto di specifica azione giudiziale.
L’eventuale arricchimento per il Comune derivante dalla mancata attuazione, totale o parziale, della convenzione urbanistica, deve, a maggior ragione, essere fatta valere espressamente, ai sensi dell’art. 2041 del codice civile, con azione che ha natura sussidiaria e che, quindi, richiede preliminarmente, l’esperimento e l’esaurimento di ogni altro mezzo di tutela del soggetto che si ritiene impoverito (TAR Piemonte, Sez. II, sentenza 28.10.2019 n. 1090 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAGli atti di determinazione e liquidazione del contributo di concessione in relazione a un dato intervento edilizio non hanno natura provvedimentale, in quanto inidonei a incidere autonomamente sulle posizioni giuridiche degli interessati, dato che svolgono una funzione essenzialmente ricognitiva di un debito, relativa ad un rapporto obbligatorio.
Esse sono riservate alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo pur avendo ad oggetto l'accertamento di un rapporto di credito che prescinde dall'esistenza e dall'impugnazione di atti determinativi della pubblica amministrazione, non essendo soggette alle regole delle azioni di annullamento.
L'azione volta alla declaratoria d'insussistenza o della diversa entità del debito contributivo per oneri di urbanizzazione può, quindi, essere intentata, qualora non vengano dedotte censure derivanti da atti generali autoritativi di determinazione degli oneri, a prescindere dall'impugnazione o esistenza degli atti con cui viene richiesto il pagamento.
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Il Collegio non ignora gli arresti giurisprudenziali che ancorano la determinazione del contributo di concessione, avuto riguardo alla disciplina, legislativa e regolamentare, applicabile, a quella vigente al momento del rilascio del titolo edilizio, piuttosto che alla data della richiesta del titolo abilitativo.
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9. È utile premettere che gli atti di determinazione e liquidazione del contributo di concessione in relazione a un dato intervento edilizio, come reiteratamente chiarito da questo Consiglio di Stato, dalle cui risultanze non è motivo di discostarsi, non hanno natura provvedimentale, in quanto inidonei a incidere autonomamente sulle posizioni giuridiche degli interessati, dato che svolgono una funzione essenzialmente ricognitiva di un debito, relativa ad un rapporto obbligatorio. Esse sono riservate alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo pur avendo ad oggetto l'accertamento di un rapporto di credito che prescinde dall'esistenza e dall'impugnazione di atti determinativi della pubblica amministrazione, non essendo soggette alle regole delle azioni di annullamento (cfr. ex multis Cons. Stato, Sez. VI, sentenze nn. 2294 e 3298 del 2015).
L'azione volta alla declaratoria d'insussistenza o, come in questo caso, della diversa entità del debito contributivo per oneri di urbanizzazione può, quindi, essere intentata, qualora non vengano dedotte censure derivanti da atti generali autoritativi di determinazione degli oneri, a prescindere dall'impugnazione o esistenza degli atti con cui viene richiesto il pagamento (cfr., oltre alle due sentenze cit. supra, Cons. Stato, Sez. V, n. 5072/2014; nonché Sez. IV, n. 1504/2015).
...
La tematica del regime giuridico applicabile agli oneri concessori è stata variamente affrontata dalla giurisprudenza, sia allo scopo di individuare l’esatta decorrenza del termine di prescrizione del diritto alla relativa riscossione da parte del Comune, sia, più genericamente, per perimetrarne la consistenza ove si siano succedute nel tempo discipline del tutto diverse, non necessariamente di favore.
Il Collegio non ignora a tale proposito gli arresti giurisprudenziali che ancorano la determinazione del contributo di concessione, avuto riguardo alla disciplina, legislativa e regolamentare, applicabile, a quella vigente al momento del rilascio del titolo edilizio, piuttosto che alla data della richiesta del titolo abilitativo (ex plurimis: Cons. Stato, Sez. IV, 07.06.2012, n. 3379; Cons. Stato, Sez. IV, 25.06.2010, n. 4109; TRGA Bolzano 02.11.2016, n. 305; nonché, di recente, TRGA, Sez. di Bolzano, 26.09.2019, n. 227)
(Consiglio di Stato, Sez. II, sentenza 25.10.2019 n. 7290 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).

EDILIZIA PRIVATASecondo costante giurisprudenza, la finalità degli oneri concessori, con particolare riguardo alla parte correlata alle opere di urbanizzazione primaria e secondaria, ha la chiara funzione di contribuire alle spese da sostenere dalla collettività in riferimento alla realizzazione delle stesse, sicché l’unico criterio per determinare se essi siano dovuti o meno e in che misura consiste nella verifica del carico urbanistico derivante dall’attività edilizia, con la precisazione che per aumento del carico urbanistico deve intendersi tanto la necessità di dotare l’area di nuove opere di urbanizzazione, quanto l’esigenza di utilizzare più intensamente quelle esistenti.
Ciò a valere, tuttavia, per quegli interventi edilizi in relazione ai quali sia revocata in dubbio suddetta incidenza sul carico urbanistico, quale tipicamente la modifica di destinazione d’uso funzionale o senza opere. Non certo laddove, come nel caso di specie, l’intervento necessitava ab origine, per indiscussa consistenza, di concessione edilizia, richiesta ex post a sanatoria.
In linea di diritto, cioè, mentre la quota del contributo di costruzione commisurata al costo di costruzione risulta ontologicamente connessa alla tipologia e all’entità (superficie e volumetria) dell’intervento edilizio e assolve alla funzione di permettere all’amministrazione comunale il recupero delle spese sostenute dalla collettività di riferimento alla trasformazione del territorio consentita al privato istante (ossia, a compensare la c.d. compartecipazione comunale all’incremento di valore della proprietà immobiliare del costruttore, a seguito della nuova edificazione), la quota del contributo di costruzione commisurata agli oneri di urbanizzazione «assolve alla prioritaria funzione di compensare la collettività per il nuovo ulteriore carico urbanistico che si riversa sulla zona, con la precisazione che per aumento del carico urbanistico deve intendersi tanto la necessità di dotare l’area di nuove opere di urbanizzazione, quanto l’esigenza di utilizzare più intensamente quelle già esistenti».
La natura di prestazione patrimoniale imposta che connota gli oneri concessori, in ciascuna delle due componenti, fa sì che l’eventuale decurtazione della parte di essi correlata al beneficio collettivo riveniente dalla presenza delle opere di urbanizzazione non consegua automaticamente neppure all’avvenuta documentata realizzazione delle stesse da parte del privato istante, laddove l’amministrazione non abbia assentito al richiesto scomputo.
Infine, la determinazione dell’entità delle somme dovute non necessita di alcuna motivazione aggiuntiva, essendo semplicemente frutto dell’applicazione di parametri determinati da norme legislative o regolamentari, conoscibili all’onerato.
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Compenetrato al diritto di riscuotere l’obbligazione principale, ovvero il contributo di costruzione previsto dall’art. 3 della legge 27.01.1977, n. 10, cui fa rinvio l’art. 37 della l. n. 47/1985, è quello di imporre le sanzioni pecuniarie per il ritardo nel relativo pagamento, quale strumento di coazione all’adempimento del contributo principale previsto dal legislatore, in tanto dovute in quanto sia dovuto tale onere.
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7. Invertendo per comodità espositiva la trattazione dei motivi dell’appello principale proposto dai signori Mi.Ma.Re., Fi.Ci. e Ca.Ci., il Collegio ritiene di poter anteporre lo scrutinio di quello contraddistinto come secondo, attinente al merito della pretesa del Comune di Prato, asseritamente indebita in quanto non avrebbe tenuto conto della circostanza di fatto che le opere di urbanizzazione primaria erano già state realizzate dalla parte richiedente all’atto della presentazione dell’istanza di condono.
Detto motivo è infondato.
Secondo costante giurisprudenza, dalle cui risultanze non è ragione di discostarsi, la finalità degli oneri concessori, con particolare riguardo alla parte correlata alle opere di urbanizzazione primaria e secondaria, ha la chiara funzione di contribuire alle spese da sostenere dalla collettività in riferimento alla realizzazione delle stesse, sicché l’unico criterio per determinare se essi siano dovuti o meno e in che misura consiste nella verifica del carico urbanistico derivante dall’attività edilizia, con la precisazione che per aumento del carico urbanistico deve intendersi tanto la necessità di dotare l’area di nuove opere di urbanizzazione, quanto l’esigenza di utilizzare più intensamente quelle esistenti (cfr. sul punto Cons. Stato, Sez. VI, 07.05.2018, n. 2694).
Ciò a valere, tuttavia, per quegli interventi edilizi in relazione ai quali sia revocata in dubbio suddetta incidenza sul carico urbanistico, quale tipicamente la modifica di destinazione d’uso funzionale o senza opere. Non certo laddove, come nel caso di specie, l’intervento necessitava ab origine, per indiscussa consistenza, di concessione edilizia, richiesta ex post a sanatoria.
8. In linea di diritto, cioè, mentre la quota del contributo di costruzione commisurata al costo di costruzione risulta ontologicamente connessa alla tipologia e all’entità (superficie e volumetria) dell’intervento edilizio e assolve alla funzione di permettere all’amministrazione comunale il recupero delle spese sostenute dalla collettività di riferimento alla trasformazione del territorio consentita al privato istante (ossia, a compensare la c.d. compartecipazione comunale all’incremento di valore della proprietà immobiliare del costruttore, a seguito della nuova edificazione), la quota del contributo di costruzione commisurata agli oneri di urbanizzazione «assolve alla prioritaria funzione di compensare la collettività per il nuovo ulteriore carico urbanistico che si riversa sulla zona, con la precisazione che per aumento del carico urbanistico deve intendersi tanto la necessità di dotare l’area di nuove opere di urbanizzazione, quanto l’esigenza di utilizzare più intensamente quelle già esistenti» (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 07.05.2015, n. 2294).
8.1. La natura di prestazione patrimoniale imposta che connota gli oneri concessori, in ciascuna delle due componenti, fa sì che l’eventuale decurtazione della parte di essi correlata al beneficio collettivo riveniente dalla presenza delle opere di urbanizzazione non consegua automaticamente neppure all’avvenuta documentata realizzazione delle stesse da parte del privato istante, laddove l’amministrazione non abbia assentito al richiesto scomputo. Nel caso di specie, peraltro, come correttamente affermato dal giudice di prime cure, «neppure viene allegato quali opere di urbanizzazione sarebbero state realizzate da Ma.Gr.Re., fatta eccezione per non meglio decritti “vialetti privati interni di accesso”, dei quali non è nota l’estensione, e che certo non assorbono certo il peso insediativo degli immobili in questione».
8.2 Infine, la determinazione dell’entità delle somme dovute non necessita di alcuna motivazione aggiuntiva, essendo semplicemente frutto dell’applicazione di parametri determinati da norme legislative o regolamentari, conoscibili all’onerato.
9. Una volta acclarata la sussistenza del debito riveniente dagli oneri concessori, nel caso di specie limitati al costo delle opere di urbanizzazione, possono conseguirne, in caso di ritardo nella corresponsione delle somme dovute, purché ne sia chiaro e certo l’importo, sanzioni e interessi moratori.
Il che è quanto il Comune di Prato ha inteso essere accaduto nel momento in cui ha richiesto la somma comprensiva di tutte e tre le voci alle parti, nel frattempo subentrate, sulla base del combinato disposto degli artt. 37 della l. n. 47/1985 e 3 e 15 della l. n. 10/1977, per il tramite dell’ingiunzione prevista dall'art. 2 del regio decreto 14.04.1910, n. 639.
Compenetrato, infatti, al diritto di riscuotere l’obbligazione principale, ovvero il contributo di costruzione previsto dall’art. 3 della legge 27.01.1977, n. 10, cui fa rinvio l’art. 37 della l. n. 47/1985, è quello di imporre le sanzioni pecuniarie per il ritardo nel relativo pagamento, quale strumento di coazione all’adempimento del contributo principale previsto dal legislatore, in tanto dovute in quanto sia dovuto tale onere (cfr. al riguardo Cons. Stato, Sez. V, 08.03.2017, n. 1099).
9.1. Se, dunque, non sussiste un’obbligazione principale giuridicamente valida, non è predicabile neppure un inadempimento di cui il preteso debitore deve sopportare le conseguenze di legge.
Da questo nesso di presupposizione logico-giuridico tra le due diverse prestazioni patrimoniali imposte al privato cui sia stato rilasciato un titolo edilizio, anche in sanatoria, si ricava dunque la conseguenza che, sebbene dovute al momento in cui sono state applicate, esse devono essere restituite dall’amministrazione quando si accerti a posteriori che il contributo concessorio per il cui mancato o ritardato pagamento sono stati applicati i relativi interessi e sanzioni non era in realtà dovuto.
10. L’azione giudiziale in cui si contesta l’an o il quantum del contributo in questione, come ancora di recente precisato da questo Consiglio di Stato, non si inquadra dunque nel paradigma civilistico dell’azione di restituzione dell’indebito eventualmente pagato, ma dà luogo ad una domanda di accertamento negativo devoluta alla giurisdizione amministrativa (Cons. Stato, Sez. IV, 07.02.2017, n. 528), dal cui accoglimento consegue la possibilità di ripetere le somme versate ed accertate come indebitamente corrisposte all’amministrazione nel giudizio di cognizione, eventualmente con ricorso per ottemperanza laddove quest’ultima non adempia correttamente al proprio debito restitutorio.
Il che, rileva la Sezione, è quanto avvenuto nel caso di specie, nel quale, cioè, le parti contestano la sussistenza del credito del Comune di Prato, ritenendone carenti i presupposti, di fatto (per la preesistenza delle opere di urbanizzazione) e di diritto (per le modalità di computo seguite), con ipotetica automatica caducazione delle somme accessorie richieste a titolo di sanzione e interessi. Solo in denegata ipotesi, ovvero una volta riconosciuta la legittimità della pretesa originaria, è questione di eventuale illegittimità propria degli importi sanzionatori e moratori, contestata egualmente dalle parti o in ragione dell’invocata non trasmissibilità agli eredi dei primi, ovvero comunque per l’irregolarità della notifica del titolo di credito originario, con riferimento ad entrambi (Consiglio di Stato, Sez. II, sentenza 21.10.2019 n. 7119 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).

EDILIZIA PRIVATA: La pubblica amministrazione, nel corso del rapporto che si instaura a seguito dell’avvenuto rilascio del titolo edilizio, può sempre rideterminare, sia a favore che a sfavore del privato, l’importo del correlato tale contributo, pur se in principio erroneamente liquidato, richiedendone o rimborsandone a questi la differenza, purché nell’ordinario termine di prescrizione decennale (art. 2946 c.c.) decorrente dal rilascio del titolo edilizio, senza incorrere in alcuna decadenza.
Per parte sua il privato non è tenuto ad impugnare gli atti determinativi del contributo nel termine di decadenza, potendo ricorrere al giudice amministrativo, munito di giurisdizione esclusiva ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. f), c.p.a., nel medesimo termine di dieci anni, anche con un’azione di mero accertamento.

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10.1 Passando adesso alla disamina dall’appello incidentale del comune di Prato, il giudice di prime cure ha ritenuto non corretta, in ragione della doverosa "personalità" delle sanzioni amministrative, consacrato nell’art. 7 della l. n. 689/1981, l’imputazione delle stesse a soggetti estranei alla violazione, id est gli eredi, peraltro neppure direttamente della responsabile, bensì del suo primo avente causa, signor Gi.Re., a sua volta deceduto.
Il Comune di Prato non ha inteso contestare nel merito la ridetta affermazione, da ritenersi pertanto consolidata; ne ha bensì avversato la tempestiva proposizione, ritenendo che il Tribunale abbia indebitamente respinto l’eccezione di inammissibilità dallo stesso già sollevata in primo grado. La ridetta tardività si porrebbe, gradatamente, o in relazione all’omessa prospettazione in occasione del primo ricorso al TAR, stante che la nota del 14.09.1993 già conteneva la richiesta di pagamento delle somme dovute, agevolmente determinabili per le parti mancanti sulla base di meri calcoli aritmetici; ovvero avuto riguardo al giudizio instaurato innanzi al giudice ordinario, con ciò precludendosi l’effetto della translatio iudicii di una tematica estranea al petitum originario.
All’impugnativa delle ordinanze ingiunzione, tipica espressione di potere autoritativo della P.A., non cristallizzato in un atto paritetico, come indebitamente ritenuto dal giudice di prime cure, sarebbe dunque applicabile l’ordinario termine decadenziale, ormai spirato. Ma anche a voler aderire alla qualificazione come “paritari” degli atti de quibus, sottesa alle opzioni ermeneutiche del giudice di primo grado, il termine di prescrizione applicabile non potrebbe che essere quello quinquennale, valido in generale in materia sanzionatoria, con conseguente tardività del ricorso, presentato comunque nel 2004, ovvero ben oltre i cinque anni dalla commessa violazione, consumatasi non onorando tempestivamente l’obbligazione con il Comune.
11. Anche tale eccezione è infondata e pertanto va respinto l’appello incidentale e confermata sul punto la ricostruzione effettuata dal TAR per la Toscana.
Oggetto dell’odierno giudizio è, per quanto sopra detto e sostanzialmente già affermato dal Tribunale civile di Prato e dalla Corte d’Appello di Firenze, il riconoscimento di un diritto soggettivo a carattere patrimoniale, realizzabile peraltro indipendentemente dall’avvenuta intermediazione di un provvedimento amministrativo (in tal senso, tutta la giurisprudenza sulla distinzione tra atti paritetici ed atti autoritativi sviluppatasi a seguito della c.d. sentenza "Fagiolari", Cons. Stato, Sez. V, 01.12.1939 n. 795).
In tale ambito devono infatti essere ricondotte le controversie in tema di determinazione della misura dei contributi edilizi che traggono origine direttamente da fonti normative, per cui sono proponibili, a prescindere dall’impugnazione di provvedimenti dell’amministrazione, nel termine di prescrizione (Cons. Stato, Sez. IV, 27.09.2017, n. 4515, che richiama Cons. Stato, Sez. IV, 20.09.2012, n. 6033). Come correttamente affermato dal TAR, infatti, «l’opposizione all’ingiunzione, cumulando in sé le caratteristiche di forma ed efficacia di titolo esecutivo e di precetto, si traduce in una opposizione di merito all’esecuzione, con cui il privato può far valere tutte le eccezioni e contestazioni relative al credito azionato dalla P.A., senza preclusioni legate all’epoca della formazione del titolo, stante l’origine stragiudiziale dello stesso».
11.1. Giova al proposito ricordare come la nozione di atti paritari venga in considerazione allorché l'amministrazione, tenuta per legge a far fronte ad un obbligo in ragione di un rapporto di diritto pubblico avente natura patrimoniale, si veda attribuito -da una legge, appunto, o da altra fonte normativa- il potere di definire unilateralmente detto rapporto e, quindi, di determinare essa stessa l'entità dei propri obblighi e dei correlativi diritti (tipico è il caso della determinazione di stipendi, assegni, emolumenti, etc.), in base ad una mera attività accertativa. Tali atti non possono essere ricompresi, a rigore, tra i provvedimenti amministrativi, poiché in tale ambito l'amministrazione non esercita un potere di supremazia nei confronti del privato, bensì utilizza strumenti del diritto civile che la pongono sullo stesso piano della controparte.
12. Che questa sia la natura delle ingiunzioni di pagamento riferite a tale tipologia di credito, trova conferma di recente finanche in una pronuncia dell’Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato ( cfr. Cons. Stato, A.P., 30.08.2018, n. 12), ancorché con riferimento alla tematica dell’esercizio dell’autotutela e della conseguente necessità di tutelare l’affidamento delle parti. Si è così riconosciuto che la rideterminazione degli oneri concessori costituisce espressione di una legittima facoltà della P.A. che si colloca nell’ambito del rapporto paritetico di natura creditizia conseguente al rilascio del titolo edilizio a carattere oneroso, ed è perciò sottoposto nelle sue forme di esercizio al termine prescrizionale ordinario. Ciò non può non valere, aggiunge il Collegio, per la loro determinazione originaria.
13. In sintesi, e senza addentrarsi in dissertazioni circa la natura del titolo edilizio (per le quali si rinvia ancora a Cons. Stato, A.P., n. 12/2018) la pubblica amministrazione, nel corso del rapporto che si instaura a seguito dell’avvenuto rilascio dello stesso, può sempre rideterminare, sia a favore che a sfavore del privato, l’importo del correlato tale contributo, pur se in principio erroneamente liquidato, richiedendone o rimborsandone a questi la differenza, purché nell’ordinario termine di prescrizione decennale (art. 2946 c.c.) decorrente dal rilascio del titolo edilizio, senza incorrere in alcuna decadenza. Per parte sua il privato non è tenuto ad impugnare gli atti determinativi del contributo nel termine di decadenza, potendo ricorrere al giudice amministrativo, munito di giurisdizione esclusiva ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. f), c.p.a., nel medesimo termine di dieci anni, anche con un’azione di mero accertamento. Il che è quanto accaduto nel caso di specie non appena le parti sono venute a conoscenza della pretesa (impugnativa della nota del 14.09.1993), nonché dell’avvenuta inclusione nella stessa di sanzioni ed interessi, in sede di prima comunicazione solo paventati (Consiglio di Stato, Sez. II, sentenza 21.10.2019 n. 7119 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).

EDILIZIA PRIVATA: Gli oneri concessori conseguono al rilascio del titolo edilizio e trovano la loro causa nello stesso, tanto da poter essere determinati o rideterminati nel termine prescrizionale di dieci anni. La messa a conoscenza della loro entità non incide, pertanto, sulla loro nascita, bensì più propriamente sulla loro esigibilità, nonché, per quanto già detto, sulla decorrenza degli interessi e l’accertamento dell’illecito ritardo.
La notifica, cioè, del provvedimento di quantificazione, mette la controparte in condizione di onorare il debito, ma, diversamente da quanto accade in ambito esclusivamente sanzionatorio, ove la tempestiva conoscenza della condotta addebitata impatta anche sull’esercizio delle garanzie difensive, non può certo travolgere la ragione della debenza, che resta radicata nell’avvenuto rilascio del titolo edilizio.
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18. Resta ora da scrutinare il motivo dell’appello principale incentrato sul presunto vizio di notifica dell’atto con il quale, prima del diretto coinvolgimento degli odierni appellanti, sarebbe stata indicata la somma capitale dovuta a titolo di contributo concessorio alla richiedente la sanatoria, signora Ma.Gr.Re..
18.1. Sostengono gli appellanti che il riferimento all’art. 139 c.p.c. sarebbe errato in quanto nel caso di specie non è in contestazione tanto e solo la qualifica di persona titolata alla ricezione degli atti di quella che se ne è concretamente fatta carico; bensì l’erroneità dell’indirizzo ove la notifica è stata effettuata.
19. Il motivo è fondato.
19.1. L’art. 139 c.p.c. considera regolarmente effettuata la notifica nel luogo di residenza, dimora o domicilio del destinatario, avuto riguardo all’avvenuta ricezione dell’atto da parte di soggetto, ivi rinvenuto, che ne accetti la consegna, gravando sul destinatario l’onere di provare l’inesistenza del rapporto in forza del quale deve ulteriormente presumersi che il primo porti a conoscenza del secondo l’atto ricevuto. Ciò è quanto sarebbe avvenuto nel caso di specie, essendo stato l’atto consegnato a mano di tal signora An.Co., indicata come “addetta” nella prevista relata di notifica.
Ora, anche a prescindere dall’ambiguità della richiamata dizione “addetta” e volendo riconoscere a tale infelice espressione di sintesi la corretta accezione di “persona autoqualificatasi deputata alla ricezione degli atti”, resta il tema del luogo ove è in concreto avvenuta tale affermazione propositiva. Ove, infatti, la consegna fosse avvenuta effettivamente nel luogo di residenza, domicilio o dimora della consegnataria, correttamente dovrebbero trovare applicazione le ricordate regole sull’onere probatorio di sconfessare la caratteristica di persona titolata al ritiro degli atti di chi si qualifichi tale. Solo che nel caso di specie così non è accaduto e per quanto la differenza di un solo numero civico abbia evidentemente indotto il TAR a pretermettere l’eccepita circostanza essa non consente di identificare l’indirizzo legale, diverso e ubicato al civico 44, con quello di consegna del documento, relativo alla medesima via ... , ma al civico 42.
19.2 Afferma al riguardo il Comune appellato che tale apparente errore sarebbe da ascrivere ad un’opzione della stessa richiedente il condono che avrebbe indicato il civico 42 quale proprio domicilio nella relativa istanza. Ove ciò fosse stato provato, rileva la Sezione, si sarebbe potuto ipotizzare un legittimo affidamento dell’Amministrazione procedente sulla correttezza del dato utilizzato, in un’ottica di leale collaborazione che comunque deve improntare il rapporto tra le parti.
Ma nel caso di specie l’indirizzo assunto quale residenza o domicilio della parte è semplicemente quello indicato per individuare l’ubicazione del manufatto oggetto di condono, al più correlabile all’interessata in termini di domicilio avuto riguardo alla sua veste di presunta committente dei lavori abusivi, non una volta ultimati gli stessi (il che peraltro, trattandosi di condono, era già avvenuto al momento della presentazione della relativa istanza).
19.3. A fronte, dunque, della mancata prova -il cui onere incombeva sull’amministrazione procedente- della corretta individuazione del domicilio della richiedente il condono, anagraficamente residente in un immobile a confine, ma non coincidente, non può operare la presunzione invocata dal TAR per la Toscana ai fini della ritenuta validità della consegna dell’atto ad una sedicente “addetta” alla ricezione. Né a diverse conclusioni può giungersi sul solo rilievo che al civico 42 della via ... insiste comunque un’attività imprenditoriale (la società Ma. s.r.l) riconducibile a familiari dell’interessata, non potendo tale circostanza consentire di sanare l’innegabile vizio formale della notifica, in assenza di riscontro probatorio perfino sulla tipologia di rapporti intercorrenti con i ridetti familiari, ovvero sulla frequentazione del luogo da parte dell’interessata, comunque estranea all’attività imprenditoriale in quanto di professione insegnante.
20. La ritenuta invalidità della notifica, tuttavia, rileva la Sezione, non pone un problema di rivalutazione della legittimità della richiesta creditoria nella sua globalità.
20.1. Ritiene cioè il Collegio che -così come essa non può palesarsi neutra in relazione al computo di interessi e sanzioni, la cui stessa maturazione è correlata necessariamente alla conoscenza dell’importo dovuto e al suo mancato pagamento nei termini- lo stesso non può valere con riferimento alla somma capitale.
Come chiarito ai §§ 7 e 8, gli oneri concessori conseguono al rilascio del titolo edilizio e trovano la loro causa nello stesso, tanto da poter essere determinati o rideterminati nel termine prescrizionale di dieci anni. La messa a conoscenza della loro entità non incide, pertanto, sulla loro nascita, bensì più propriamente sulla loro esigibilità, nonché, per quanto già detto, sulla decorrenza degli interessi e l’accertamento dell’illecito ritardo. La notifica, cioè, del provvedimento di quantificazione, mette la controparte in condizione di onorare il debito, ma, diversamente da quanto accade in ambito esclusivamente sanzionatorio, ove la tempestiva conoscenza della condotta addebitata impatta anche sull’esercizio delle garanzie difensive, non può certo travolgere la ragione della debenza, che resta radicata nell’avvenuto rilascio del titolo edilizio.
22. Trasponendo il paradigma teorico sopra descritto nella concretezza della fattispecie all’esame, si ha dunque che la determinazione dell’importo dovuto, in quanto correlato alla pratica di condono del 1986, è stata effettuata con nota del 1989, della quale tuttavia non è stata provata la conoscenza da parte della richiedente, peraltro deceduta di lì a pochi mesi. L’importo è stato nuovamente comunicato agli eredi con nota del 14.09.1993, ed è indubbio che a far data da tale momento gli stessi, subentrati nella proprietà dell’immobile condonato, hanno acquisito piena contezza della somma capitale dovuta. Per contro, suddetta pregressa mancata conoscenza -rectius, la mancata prova dell’avvenuta conoscenza- dell’importo delle somme dovute, travolge inesorabilmente finanche l’ipotizzata responsabilità da ritardo della signora Ma.Gr.Re., da circoscrivere peraltro tutt’al più al breve lasso di tempo intercorso tra la consegna dell’atto (01.03.1989) e il sopravvenuto decesso (13.07.1990). La non trasmissibilità agli eredi -il signor Gi.Re., a sua volta deceduto prima dell’instaurazione dell’odierno contenzioso- ha pertanto già creato un insanabile iato che non consentiva di attingere le odierne appellanti, quanto meno in relazione a sanzioni ed interessi moratori.
22.1. Ancor prima dell’ingiunzione di pagamento, che dà avvio alla fase esecutiva del credito, avuta conoscenza del debito “ereditato” una delle parti ha provveduto a saldarne, pur con riserva di ripetizione, l’importo capitale, con ciò eliminando in radice, a far data da tale momento, la possibilità di addebitare alle parti nuovi ritardi, ovvero ulteriori comportamenti sanzionabili.
22.2. A ciò consegue, rileva la Sezione, la sola residua facoltà per l’Amministrazione procedente, ove ne ravvisi gli estremi, di rieditare il proprio potere correggendo il computo degli interessi moratori sulla sola somma capitale (essendo ormai prescritto l’eventuale autonomo illecito ritardo addebitabile alle parti a far data dall’avvenuta conoscenza della somma dovuta, con atto mai sospeso dai giudici adìti) per il lasso di tempo intercorso tra la ricezione della nota del 14.09.1993 e il suo avvenuto pagamento.
23. In conclusione, il Collegio ritiene fondata la richiesta del Comune in relazione alla somma capitale per gli oneri concessori correlati all’istanza di condono del 29.03.1986, peraltro già corrisposta, pertanto non ripetibile; ma non quella concernente gli importi sanzionatori e moratori addebitati agli eredi della -presunta- responsabile del ritardo a decorrere dal 1989, fatta salva la facoltà di ricalcolo degli interessi moratori a far data dal 14.09.1993, corrispondente all’effettiva messa a conoscenza dell’entità del credito mediante notifica dell’apposita nota agli appellanti. Conseguentemente risultano annullati tutti gli atti con i quali si è dato seguito a tale parte della pretesa, con particolare riguardo all’ingiunzione emessa in relazione a sanzioni e interessi di mora non corrisposti per il lasso di tempo come sopra individuato.
24. Per tutto quanto detto, il Collegio ritiene di dover respingere l’appello incidentale, confermando in parte qua l’impugnata sentenza, con le integrazioni sopra esposte; accogliere in parte l’appello principale nei sensi e limiti di cui in motivazione, con conseguente annullamento dell’ingiunzione di pagamento prot. n. 33940 in data 08.05.1997, ferma restando la richiamata facoltà del Comune appellato di rideterminarsi sugli interessi moratori (Consiglio di Stato, Sez. II, sentenza 21.10.2019 n. 7119 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).

EDILIZIA PRIVATAIl Collegio condivide la tesi sostenuta dall’appellante per cui il parametro per la determinazione degli oneri va riferito al criterio della destinazione urbanistica della zona e non alla concreta destinazione d’uso dell’immobile; diversamente opinando, invero, il quantum dovuto all’amministrazione verrebbe modificato in base ad un comportamento del privato, peraltro integrante un abuso delizio, seppur successivamente sanato. È inoltre congruo che una medesima opera, ancorché abusiva, sia chiamata a contribuire in modo diverso a seconda della zona in cui ricade, differente essendo la dotazione delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria delle varie zone.
In tal senso si è espressa altresì la giurisprudenza amministrativa, affermando che «non è consentito scorporare il criterio di quantificazione degli oneri di urbanizzazione dalla effettiva zonizzazione prevista dallo strumento urbanistico generale», cosicché «non può considerarsi legittima una quantificazione degli oneri di urbanizzazione che applichi le tariffe di una tipologia zona ad un intervento edilizio da realizzarsi su di una zona connotata da differente vocazione».
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1. L’oggetto del presente giudizio è costituito dal provvedimento del Comune di Barletta prot. n. 12751 dell’11.04.2000, con cui sono stati determinati l’oblazione e degli oneri concessori relativi all’istanza di condono presentata, ai sensi dell’articolo 39 della legge numero 724 del 1994, dalla Pl. s.r.l. per la sanatoria di una tettoia abusivamente realizzata.
2. Avverso tale provvedimento, la Pl. s.r.l. ha proposto il ricorso di primo grado n. 1326 del 2000, dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sede di Bari.
Il Comune di Barletta non si è costituito nel giudizio di primo grado.
3. Con l’impugnata sentenza 22.03.2010 n. 1097, il Tar per la Puglia, sede di Bari, sezione seconda, ha accolto il ricorso e ha condannato il Comune di Barletta al pagamento in favore della Pl. s.r.l. delle spese di lite, liquidate in euro 1.000.
In particolare, il collegio di primo grado ha stabilito che il contributo per gli oneri di urbanizzazione vada ricalcolato sulla base della destinazione d’uso d’impresa dell’opera abusiva (artigianale-produttiva), anziché, come effettuato dall’amministrazione comunale, sulla destinazione di zona (agricola).
4. Con ricorso ritualmente notificato e depositato –rispettivamente in data 14.03.2011 e 09.04.2011– il Comune di Barletta ha interposto appello avverso la su menzionata sentenza, articolando un unico motivo.
...
9. L’appello è fondato e deve essere accolto alla stregua delle seguenti considerazioni in fatto e diritto.
10. Il Collegio condivide la tesi sostenuta dall’appellante per cui il parametro per la determinazione degli oneri va riferito al criterio della destinazione urbanistica della zona e non alla concreta destinazione d’uso dell’immobile; diversamente opinando, invero, il quantum dovuto all’amministrazione verrebbe modificato in base ad un comportamento del privato, peraltro integrante un abuso delizio, seppur successivamente sanato. È inoltre congruo che una medesima opera, ancorché abusiva, sia chiamata a contribuire in modo diverso a seconda della zona in cui ricade, differente essendo la dotazione delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria delle varie zone.
In tal senso si è espressa altresì la giurisprudenza amministrativa, affermando che «non è consentito scorporare il criterio di quantificazione degli oneri di urbanizzazione dalla effettiva zonizzazione prevista dallo strumento urbanistico generale», cosicché «non può considerarsi legittima una quantificazione degli oneri di urbanizzazione che applichi le tariffe di una tipologia zona ad un intervento edilizio da realizzarsi su di una zona connotata da differente vocazione» (Consiglio di Stato, sezione IV, 27.07.2018, n. 1187).
Va per di più evidenziato che il Consiglio di Stato ha adottato tale ricostruzione anche con riferimento alla specifica situazione della Regione Puglia, precisando che: «La norma sancita dall’art. 5, co. 1, lett. c), l. n. 10 del 28.01.1977 –applicabile ratione temporis e confluita successivamente nell’art. 16, co. 4, lett. c), t.u. edilizia (d.lgs. n. 380 del 06.06.2001)– nell’individuare gli elementi che l’amministrazione comunale deve prendere in considerazione per determinare gli oneri di urbanizzazione, inter alios, si riferisce
«alle destinazioni di zona previste negli strumenti urbanistici vigenti».
Sulla scorta del puntuale dato positivo:
   a) si ritiene in linea generale che non sia consentito scorporare il criterio di quantificazione degli oneri di urbanizzazione dalla effettiva zonizzazione prevista dallo strumento urbanistico generale (cfr. Cons. giust. Amm., 02.03.2007, n. 64; Cons. St., sez. V, 12.10.2004, n. 6564, che ha ritenuto illegittima una quantificazione degli oneri che applichi le tariffe relative alle zone di completamento anche a quelle di espansione attesa la sostanziale diversità dei costi urbanistici afferenti le due distinte zone);
   b) conseguentemente si ammette solo in via sussidiaria, e comunque per il perseguimento di preminenti interessi pubblici, che l’ente locale possa valorizzare ulteriori parametri per la determinazione degli oneri di urbanizzazione, fermo restando il loro aggancio con il carico urbanistico individuabile per la relativa zona (cfr. Cons. St., sez. IV, 31.12.2007, n. 6834, che ha ritenuto tale l’esigenza di favorire interventi di recupero edilizio in centro storico)
» (Consiglio di Stato, sezione V, 26.03.2009, n. 1804).
È d’uopo, infine, rilevare che il Consiglio di Stato ha accolto altre impugnazioni proposte dal Comune di Barletta in giudizi analoghi a quello per cui è causa, osservando che: «l’art. 5, comma 1, lett. c), della legge n. 10 del 1977 (…) nel porre le basi della disciplina generale degli oneri di urbanizzazione, stabilisce che le relative tabelle parametriche regionali devono essere commisurate “alle destinazioni di zona previste negli strumenti urbanistici vigenti”.
E siffatta indicazione legislativa statale è stata puntualmente recepita dal legislatore regionale pugliese con la L.R. n. 6/1979 (il cui art. 20, come sostituito dalla successiva L.R. n. 66/1979, richiama appunto i Comuni a determinare “i costi di urbanizzazione per le varie zone del territorio comunale, sulla base delle tabelle B) ed H) della presente legge”).
Con specifico riguardo al condono edilizio va ricordato che l’art. 37 della legge statale n. 47 del 1985, dopo avere puntualizzato che il versamento dell’oblazione non esime dalla corresponsione del contributo previsto dall’art. 3 della legge n. 10 del 1977 per il rilascio della concessione, ammetteva già la possibilità per le Regioni di modificare, ai fini della sanatoria, le norme di attuazione della legge medesima, commisurando il contributo di concessione, tra l’altro, alla destinazione d’uso della singola costruzione, con il limite che la nuova misura non fosse inferiore al 50% dell’ammontare che sarebbe scaturito dalle disposizioni già vigenti.
In proposito poi è intervenuta, sempre a livello nazionale, l’analoga previsione dell’art. 39, comma 13, della legge n. 724 del 1994, come integrato dalla legge 23.12.1996 n. 662, ossia la norma che il Giudice di prime cure ha posto sostanzialmente a base della propria decisione. La norma, peraltro, si è limitata a stabilire, giusta quanto già previsto dall’art. 37 della legge n. 47/1985, che le Regioni possono modificare le loro norme di attuazione della legge n. 10 del 1977, e commisurare senz’altro il contributo di concessione alla destinazione d’uso delle costruzioni: ciò, però, entro il termine perentorio di 90 giorni, decorsi i quali si applicano le norme già vigenti.
Orbene, come deduce l’Amministrazione appellante, il legislatore regionale non si è avvalso della specifica previsione appena detta. Invero la L.R. n. 14 del 1997, con il suo art. 1, si limita a stabilire -per quanto qui rileva- che “il contributo per opere di urbanizzazione primaria e secondaria per il rilascio della concessione in sanatoria è pari a quello determinato dal Comune in base alle leggi regionali 12.02.1979, n. 6, e 31.10.1979, n. 66”.
Vale a dire che essa si richiama semplicemente alle norme regionali generali della materia (come del resto già faceva la L.R. n. 26/1985, all’art. 9, a fronte della simile facoltà accordata dall’art. 37 della legge n. 47 del 1985), regole le quali sono appunto calibrate sulla considerazione delle singole destinazioni di zona
» (Consiglio di Stato, sezione V, sentenze 19.07.2013, numeri 3934, 3936, 3937, 3938 e 3939).
In sostanza, nella determinazione degli oneri in questione deve aversi riguardo, nel contesto regionale pugliese e secondo le regole generali, alla destinazione di zona dell’ambito urbanistico che racchiude l’immobile interessato dal condono, indipendentemente dalla particolare destinazione d’uso propria di quest’ultimo.
11. In conclusione l’appello deve essere accolto e, pertanto, in totale riforma della sentenza impugnata, va respinto il ricorso di primo grado, con conseguente integrale conferma del provvedimento del Comune di Barletta prot. n. 12751 dell’11.04.2000 (Consiglio di Stato, Sez. II, sentenza 21.10.2019 n. 7097 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Disciplina applicabile per la determinazione del contributo di concessione e della monetizzazione degli standard.
Il contributo di concessione va determinato con riferimento alla disciplina, legislativa e regolamentare, vigente al momento del rilascio del titolo edilizio, che segna il perfezionamento della fattispecie concessoria (o autorizzatoria, a seconda della tipologia di titolo edilizio).
La rideterminazione del contributo di costruzione può effettuarsi solo in caso di errore di calcolo rispetto al contributo dovuto in base alla situazione di fatto e alla disciplina vigente al tempo del rilascio del titolo; principio valevole anche in caso di monetizzazione di standard, in quanto la fonte dell’obbligazione è comunque costituita dal provvedimento assentivo dell’intervento, sia esso un atto espresso del Comune o un atto privato rispetto al quale l’Amministrazione non esercita alcun potere inibitorio.
A non diversa conclusione può condurre la ritenuta applicazione delle nuove disposizioni del P.G.T. operante in regime di salvaguardia; infatti, occorre considerare che la normativa relativa alle misure di salvaguardia ha lo scopo di evitare la realizzazione di interventi che nelle more dell'approvazione degli strumenti urbanistici adottati possono compromettere l'assetto del territorio programmato dal Comune, vanificandone la sua concreta attuazione e, proprio per ovviare a tali inconvenienti, la legge ha stabilito che a decorrere dalla data della deliberazione di adozione dei piani regolatori generali e fino all'emanazione del decreto di approvazione il dirigente dell'ufficio comunale sia obbligato a sospendere ogni determinazione in ordine ai progetti che risultino in contrasto con le relative previsioni.
Le misure di salvaguardia sono, quindi, unicamente finalizzate ad evitare l’immediata realizzazione di interventi che ledano le scelte programmatorie del Comune quali risultanti dall’adozione del nuovo piano, ma non si traducono in una applicazione anticipata delle previsioni contenute in quest’ultimo; in particolare, ove l’intervento risulti in sé legittimo e, come tale, si sottragga alla preclusione temporanea di cui all’articolo 12, comma 3, del D.P.R. 380/2001, non può neppure configurarsi la ratio sottesa alle misure di salvaguardia al solo fine di dare attuazione anticipata alle diverse regole in tema di determinazione degli standards e quantificazione del contributo di costruzione
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Il contributo per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione per le opere oggetto di una concessione in variante dev’essere calcolato sommando le opere dei due titoli edilizi assentiti (concessione originaria e variante), scomputando quanto già pagato al momento del rilascio del titolo originario.
Per la concessione in variante, però, la quota percentuale della parte del contributo commisurato al costo di costruzione delle opere ad essa riferite deve essere calcolata con riferimento alle norme vigenti al momento del rilascio della variante stessa e, come detto, limitatamente alle opere che ne costituiscono oggetto, escludendo cioè quelle già considerate (e quantificate) al momento del rilascio della concessione originaria.
Con la concessione in variante il Comune deve quindi determinare, in via di conguaglio gli oneri e il corrispondente contributo non in relazione all'intero complesso in via di realizzazione, ma con riferimento alle sole opere nuove e ulteriori volumetrie assentite con la concessione in variante, da calcolare sulla base del nuovo parametro vigente al momento del rilascio del titolo in variante.
Sulla complessiva somma dovuta per oneri, da quantificarsi come sopra, va poi scorporata la somma già versata dalla società ricorrente.
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MASSIMA
11. In relazione al secondo motivo di ricorso vanno richiamati, in primo luogo, i principi posti a sostegno dell’ordinanza cautelare n. 1325/2018. Punto d’abbrivio per la disamina del motivo è, infatti, il consolidato principio secondo cui “il contributo di concessione va determinato con riferimento alla disciplina, legislativa e regolamentare, vigente al momento del rilascio del titolo edilizio, che segna il perfezionamento della fattispecie concessoria (o autorizzatoria, a seconda della tipologia di titolo edilizio)” (Consiglio di Stato, sez. VI, 07.05.2015, n. 2294; nello stesso senso, ex plurimis: Id., Sez. IV, 07.06.2012, n. 3379; Id., Sez. IV, 25.06.2010, n. 4109; Id, Sez. V, 13.06.2003, n. 3332; v., inoltre, nella giurisprudenza della Sezione, TAR per la Lombardia – sede di Milano, sez. II, 31.08.2018, n. 2039).
La rideterminazione del contributo di costruzione può effettuarsi solo in caso di errore di calcolo rispetto al contributo dovuto in base alla situazione di fatto e alla disciplina vigente al tempo del rilascio del titolo (cfr., Consiglio di Stato, Sez. IV, 12.06.2017, n. 2821).
Principio valevole anche in caso di monetizzazione di standards, in quanto la fonte dell’obbligazione è comunque costituita dal provvedimento assentivo dell’intervento, sia esso un atto espresso del Comune o un atto privato rispetto al quale l’Amministrazione non esercita alcun potere inibitorio. Aspetto che, pertanto, rende indifferente ai fini in esame la differente natura di tale pretesa rispetto a quella relativa al costo di costruzione (cfr., Consiglio di Stato, Sez. IV, 28.12.2012, nn. 6706, 6707 e 6708, nonché l’ulteriore giurisprudenza richiamata nell’ordinanza cautelare n. 1325/2018 della Sezione).
11.1. Secondo l’elaborazione effettuata al precedente punto la quantificazione degli standards deve, quindi, determinarsi in ragione della normativa vigente all’epoca della formazione dell’effettivo titolo che costituisce la fonte o il presupposto di tale obbligazione. Inoltre, a non diversa conclusione può condurre la ritenuta applicazione delle nuove disposizioni del P.G.T. operante in regime di salvaguardia; infatti, occorre considerare che “la normativa relativa alle misure di salvaguardia ha lo scopo di evitare la realizzazione di interventi che nelle more dell'approvazione degli strumenti urbanistici adottati possono compromettere l'assetto del territorio programmato dal Comune, vanificandone la sua concreta attuazione e […], proprio per ovviare a tali inconvenienti, la legge ha stabilito che a decorrere dalla data della deliberazione di adozione dei piani regolatori generali e fino all'emanazione del decreto di approvazione il dirigente dell'ufficio comunale sia obbligato a sospendere ogni determinazione in ordine ai progetti che risultino in contrasto con le relative previsioni” (Consiglio di Stato, sez. IV, 20.01.2014, n. 257).
Le misure di salvaguardia sono, quindi, unicamente finalizzate ad evitare l’immediata realizzazione di interventi che ledano le scelte programmatorie del Comune quali risultanti dall’adozione del nuovo piano, ma non si traducono in una applicazione anticipata delle previsioni contenute in quest’ultimo.
In particolare, ove l’intervento risulti in sé legittimo e, come tale, si sottragga alla preclusione temporanea di cui all’articolo 12, comma 3, del D.P.R. 380/2001, non può neppure configurarsi la ratio sottesa alle misure di salvaguardia al solo fine di dare attuazione anticipata alle diverse regole in tema di determinazione degli standards e quantificazione del contributo di costruzione.
11.3. Declinando i principi esposti al caso all’attenzione del Collegio si osserva che la pretesa comunale si riferisce ad un complesso intervento attuato in forza di una pluralità di titoli edilizi.
In particolare, secondo l’Amministrazione comunale, “l’operatore, con le d.i.a. in variante essenziale, ed in particolare con l’ultima d.i.a. del 2014, [apporta] modifiche progettuali incidenti sui parametri urbanistici e sulle volumetrie, con modifica dei prospetti, (pag. 2 d.i.a.; relazione tecnica progettista all. doc. 9); tale variante essenziale comporta il ricalcolo del contributo concessorio. L’intervento edilizio, da ultimo legittimato con d.i.a. 2014, risulta dunque soggetto alle disposizioni del PGT, adottato in data 14.07.2010 ed entrato in vigore dal 21.11.2012” (foglio 4 della memoria conclusiva del comune di Milano).
11.3.1. La prospettazione comunale non è, tuttavia, condivisibile.
Gli interventi legittimati con le denunce di inizio attività del 29.03.2011 e del 25.05.2012 risultano, infatti, assoggettate alla previgente disciplina operante sul territorio comunale e non alle disposizioni del nuovo P.G.T., adottato in data 14.07.2010 ed entrato in vigore dal 21.11.2012. Come spiegato in precedenza, le nuove disposizioni non operano retroattivamente né simili regole possono qualificarsi come misure di salvaguardia per le ragioni esposte al punto 11.2 della presente sentenza a cui si rinvia.
11.3.2. Un diverso discorso vale per gli interventi realizzati in forza della denunce di inizio attività del 30.11.2012 e del 04.08.2014, trattandosi di titoli formatisi dopo l’entrata in vigore dello strumento urbanistico. Tale circostanza non comporta, tuttavia, l’applicazione della previsione di cui all’articolo 9.1.1. del P.G.T. all’insieme delle opere realizzate anche in forza di titoli precedenti all’entrata in vigore dello strumento urbanistico. Diversamente opinando, si determinerebbe l’applicazione di una nuova e diversa normativa per un intervento regolato da una cornice diversa.
In tale situazione, opera, al contrario, il principio affermato dalla sentenza del TAR per il Molise, sez. I, 05.03.2018, n. 118 (richiamata, in memoria difensiva finale, anche da parte ricorrente), secondo cui “il contributo per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione per le opere oggetto di una concessione in variante dev’essere calcolato sommando le opere dei due titoli edilizi assentiti (concessione originaria e variante), scomputando quanto già pagato al momento del rilascio del titolo originario. Per la concessione in variante, però, la quota percentuale della parte del contributo commisurato al costo di costruzione delle opere ad essa riferite deve essere calcolata con riferimento alle norme vigenti al momento del rilascio della variante stessa e, come detto, limitatamente alle opere che ne costituiscono oggetto, escludendo cioè quelle già considerate (e quantificate) al momento del rilascio della concessione originaria. Con la concessione in variante il Comune deve quindi determinare, in via di conguaglio gli oneri e il corrispondente contributo non in relazione all'intero complesso in via di realizzazione, ma con riferimento alle sole opere nuove e ulteriori volumetrie assentite con la concessione in variante, da calcolare sulla base del nuovo parametro vigente al momento del rilascio del titolo in variante. Sulla complessiva somma dovuta per oneri, da quantificarsi come sopra, va poi scorporata la somma già versata dalla società ricorrente” (cfr., inoltre, TAR per la Sardegna, sez. II, 28.11.2013, n. 780).
Ne consegue che l’eventuale pretesa comunale può fondarsi solo sui nuovi titoli e sull’incidenza delle opere con essi assentite senza effettuare alcun computo complessivo delle opere (e di conseguenza delle somme ritenute dovute).
In ragione di quanto esposto, il provvedimento comunale deve essere annullato, fatte salve le ulteriori eventuali determinazioni dell’Amministrazione da effettuarsi nel rispetto dei principi affermati dalla presente sentenza (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 01.10.2019 n. 2085 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

settembre 2019

EDILIZIA PRIVATAE' costante la giurisprudenza nell'affermare la natura reale o “propter rem” delle obbligazioni di pagamento degli oneri di urbanizzazione e dei costi di costruzione (nonché delle sanzioni per ritardato pagamento) sicché le stesse, caratterizzate dalla stretta inerenza alla res e destinate a circolare unitamente ad essa per il carattere dell'ambulatorietà che le contraddistingue, gravano anche sull'acquirente nel caso di trasferimento del bene.
Invero, ribadendo un costante principio giurisprudenziale, l'obbligazione in solido per il pagamento degli oneri di urbanizzazione e la natura reale dell'obbligazione riguardano i soggetti che stipulano la convenzione, quelli che richiedono la concessione e quelli che realizzano l'edificazione, nonché i loro aventi causa.
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6.1. La controversia de qua ruota intorno alla natura della obbligazioni di pagamento degli oneri di urbanizzazione.
Il Collegio, al riguardo, rammenta che è costante la giurisprudenza (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 30.11.2011, n. 6333; Id., sez. IV, 23.11.2018, n. 6624; Cass. civ., sez. II, 09.06.2011, n. 12571; Id. sez. III, 17.06.1996, n. 5541) nell'affermare la natura reale o “propter rem” delle obbligazioni di pagamento degli oneri di urbanizzazione e dei costi di costruzione (nonché delle sanzioni per ritardato pagamento, cfr. Cons. Stato, sez. IV, 01.04.2011, n. 2037), sicché le stesse, caratterizzate dalla stretta inerenza alla res e destinate a circolare unitamente ad essa per il carattere dell'ambulatorietà che le contraddistingue, gravano anche sull'acquirente nel caso di trasferimento del bene.
Invero, ribadendo un costante principio giurisprudenziale, l'obbligazione in solido per il pagamento degli oneri di urbanizzazione e la natura reale dell'obbligazione riguardano i soggetti che stipulano la convenzione, quelli che richiedono la concessione e quelli che realizzano l'edificazione, nonché i loro aventi causa (da ultimo Cons. Stato, sez. IV, 15.05.2019 n. 3141)
(CGARS, sentenza 30.09.2019 n. 848 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).

EDILIZIA PRIVATACirca la prescrizione per la riscossione degli oneri di urbanizzazione, risulta pacifica l'applicazione dell'ordinario termine decennale ex art. 2946 c.c..
Al riguardo, detto termine decorre dalla data in cui il credito può essere fatto valere, ossia dal momento del rilascio della concessione, poiché è da tale momento che l'amministrazione determina (o può determinare) i relativi importi e che, di conseguenza, il relativo diritto può esser fatto valere (art. 2935 c.c.).

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8. Quanto alla dedotta prescrizione per la riscossione degli oneri di urbanizzazione, premesso che risulta pacifica l'applicazione dell'ordinario termine decennale ex art. 2946 c.c., il Collegio deve osservare che:
   a) detto termine decorre dalla data in cui il credito può essere fatto valere, ossia dal momento del rilascio della concessione, poiché è da tale momento che l'amministrazione determina (o può determinare) i relativi importi e che, di conseguenza, il relativo diritto può esser fatto valere (art. 2935 c.c.) (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 05.07.2018, n. 4123; Id., sez. IV, 26.02.2013, n. 1188; Id., 03.10.2012, n. 5201; Id., 19.01.2009, n. 216)
(CGARS, sentenza 30.09.2019 n. 848 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).

EDILIZIA PRIVATADoppio limite di destinazione sulle entrate da oneri di urbanizzazione per interventi finanziati da terzi.
L'utilizzazione degli oneri di urbanizzazione, rispetto ai quali per gli anni 2016 e 2017 il legislatore ha permesso agli enti locali una deroga al principio di generica destinazione a spese di investimento, a partire dall'anno 2018 potrà avvenire in via esclusiva per le sole finalità indicate dalla normativa (articolo 1, comma 460, della legge 232/2016) con la conseguenza che, altre destinazioni volute dall'ente, sono da considerare illegittime in quanto disposte in violazione di legge.
Inoltre, nel caso in cui l'ente abbia destinato sin dall'inizio quelle risorse finanziarie come quota di co-partecipazione al finanziamento regionale per specifici interventi, non potrà successivamente destinare eventuali economie, fino alla propria quota di partecipazione originaria, per utilizzare queste risorse finanziarie per una destinazione diversa da quella originaria del finanziamento ricevuto (nel caso di specie per manutenzione straordinaria delle strade comunali).

Sono queste le conclusioni contenute nel parere 23.09.2019 n. 70 della Corte dei Conti del Piemonte.
Il caso presentato dall'ente locale
All'esito di un appalto di lavoro per la manutenzione straordinaria delle strade comunali, finanziata in parte con oneri di urbanizzazione dall'ente locale e per la parte restante da uno specifico finanziamento regionale, sono risultate economie pari alla quota destinata dal Comune.
In ragione di difficoltà finanziarie e dell'impossibilità di coprire alcune spese correnti, è stato chiesto ai giudici contabili la legittimità di utilizzo di quelle economie realizzate per coprire spese correnti istituzionali e obbligatorie, avendo l'ente locale eliminato già tutte le spese discrezionali.
A supporto della decisione della copertura a spese correnti degli oneri di urbanizzazione è stato evidenziano dall'ente locale un recente indirizzo della Sezione della Lombardia (deliberazione n. 81/2017) secondo il quale sarebbe consentito finanziare la spesa corrente anche con entrate in conto capitale derivanti dalla vendita del patrimonio comunale e dagli oneri di urbanizzazione.
Il doppio vincolo di destinazione
Il collegio contabile piemontese ha ricordato che l'utilizzazione dal 2018 delle entrate da oneri di urbanizzazione potrà avvenire esclusivamente all'interno delle sole sette categorie di spese individuate in dettaglio dall'articolo 1, comma 460, della legge 232/2016 (come modificato dal Dl 148/2017), attinenti prevalentemente a spese in conto capitale.
A differenza, quindi, degli anni precedenti (2016 e 2017), il legislatore ha ritenuto di privilegiare, a partire dall'anno 2018, un utilizzo prevalente per spese in conto capitale delle entrate da oneri di urbanizzazione, e nel disciplinare il principio ha specificato che la destinazione debba avvenire «senza vincoli temporali».
In altri termini, i proventi da «oneri di urbanizzazione» cessano di essere entrate con destinazione generica a spese di investimento per divenire entrate vincolate alle determinate categorie di spese, comprese quelle correnti, limitatamente agli interventi di manutenzione ordinaria sulle opere di urbanizzazione primaria e secondaria.
Precisato il primo vincolo, il collegio contabile entra anche nel merito del caso concreto, ossia della destinazione impressa dall'ente locale sin dall'inizio per la co-partecipazione alle spese del finanziamento ricevuto dalla Regione per la manutenzione straordinaria delle strade. In questo caso, l'economia realizzata dall'appalto, coincidente con le risorse iniziali stanziate dall'ente locale, non potrà che fare riferimento alla manutenzione straordinaria di strade comunali, così come stabilito sin dall'inizio dalla Regione che ha concesso il finanziamento.
In altri termini, la destinazione iniziale prevista nel finanziamento non permette all'ente locale di poterla successivamente mutare, dato il vincolo di destinazione al trasferimento di risorse finanziarie deciso dall'amministrazione regionale (articolo Quotidiano Enti Locali & Pa del 09.10.2019).
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PARERE
Con nota indicata in epigrafe il Commissario Prefettizio del Comune di Moncestino (AL), premesso che:
   - l’Ente, a seguito della riduzione dei trasferimenti da parte dello Stato, delle varie spending review e delle nuove regole del pareggio di bilancio, ha scarsissime risorse finanziarie per sostenere le spese correnti necessarie per assicurare alcuni standard dei servizi istituzionali;
   - la situazione di difficoltà finanziaria dell’Ente si è ulteriormente aggravata a seguito della circostanza che, essendo le ultime elezioni amministrative risultate nulle, è stata necessaria, al fine di assicurare la provvisoria gestione dell’ente medesimo, la nomina di un Commissario, con il potere del Sindaco, della Giunta e del Consiglio comunale, al quale è corrisposta una indennità nei termini di legge, a fronte della rinuncia all’indennità spettante da parte del Sindaco e dei Componenti della Giunta e del Consiglio comunale uscenti;
   - tale circostanza ha comportato il taglio di alcune spese correnti ritenute “non obbligatorie”, ma comunque necessarie per garantire alcuni standard istituzionali, e ha aggravato le difficoltà del Comune concernenti il reperimento delle risorse finanziarie per sostenere tutte le spese correnti ritenute “obbligatorie” (vale a dire quelle relative al puntuale pagamento degli stipendi, delle utenze e dell’attività di sgombero della neve);
   - l’Amministrazione comunale, a seguito dell’esecuzione di un appalto per la manutenzione straordinaria di strade comunali, effettuata con fondi di finanziamento propri pari a Euro 11.000,00, derivanti da oneri di urbanizzazione, e con fondi di finanziamento regionali pari a Euro 38.000,00, ha realizzato un’economia pari a Euro 11.000,00;
   - la Sezione regionale di controllo per la Lombardia parere 23.03.2017 n. 81 si è pronunciata nel senso che i Comuni potrebbero finanziare la spesa corrente anche con entrate in conto capitale derivanti dalla vendita del patrimonio comunale e dagli oneri di urbanizzazione,
chiede alla Sezione di pronunciarsi circa la possibilità di utilizzo, da parte del Comune, dell’entrata in conto capitale di Euro 11.000,00, derivante dalla predetta economia, per il finanziamento delle spese correnti ritenute “obbligatorie”, negli anni 2019 e 2020.
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Ciò presupposto, la richiesta in esame attiene sostanzialmente all’interpretazione delle previsioni normative che disciplinano l’utilizzo dei proventi derivanti dagli oneri di urbanizzazione, nonché l’utilizzo dei fondi di finanziamento regionali.
Occorre fare riferimento ai principi generali e alle specifiche disposizioni di legge che, nel quadro dell’ordinamento finanziario e contabile degli enti locali, fissano il regime di utilizzazione e di destinazione delle entrate iscritte a bilancio.
Il principio dell’“unità”, compreso tra i principi contabili generali fissati dal D.Lgs. 23.06.2011, n. 118 (Allegato 1) e a cui gli enti locali devono conformare la gestione finanziaria, dopo aver affermato che “è il complesso unitario delle entrate che finanzia l’amministrazione pubblica e quindi sostiene così la totalità delle sue spese durante la gestione”, aggiunge che “le entrate in conto capitale sono destinate esclusivamente al finanziamento di spese di investimento”; lo stesso principio stabilisce ancora che “i documenti contabili non possono essere articolati in maniera tale da destinare alcuni fonti di entrata a copertura solo di determinate e specifiche spese, salvo diversa disposizione normativa di disciplina delle entrate vincolate”.
I principi generali dell’Ordinamento, quindi, affermano inequivocabilmente il divieto di finanziare spese correnti con entrate in conto capitale, che trova giustificazione anche nell’esigenza di assicurare il mantenimento degli equilibri di bilancio degli enti locali espressa dall’art. 162, comma 6, del D.Lgs. 10.08.2000, n. 267 (v., in tal senso, Sezione regionale di controllo per la Lombardia parere 23.03.2017 n. 81 sopra citata e Sezione regionale di controllo per la Puglia parere 12.12.2018 n. 163).
L’utilizzazione di entrate in conto capitale per finanziamento di spese correnti, in deroga al principio sopra richiamato, può essere autorizzata solo da specifiche disposizioni di legge quali sono state quelle che, nell’ultimo decennio, hanno riguardato proprio i proventi derivanti dai c.d. “oneri di urbanizzazione”.
Con il parere 09.02.2016 n. 38, cui si rinvia, la Sezione di controllo per la Lombardia ha ricostruito l’evoluzione legislativa relativa all’utilizzazione dell’entrate in parola sino al 2016; successivamente, con il già richiamato parere 23.03.2017 n. 81, la stessa Sezione ha ripercorso le disposizioni in vigore per gli anni 2017 e 2018, e, di recente, il già citato parere 12.12.2018 n. 163 della Sezione Puglia ha nuovamente riesaminato l’intera vicenda.
L’art. 1, comma 737, della legge 28.12.2015, n. 208 (Legge di stabilità per il 2016) dispone che “per gli anni 2016 e 2017, i proventi delle concessioni edilizie e delle sanzioni previste dal testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 06.06.2001, n. 380, fatta eccezione per le sanzioni di cui all'articolo 31, comma 4-bis, del medesimo testo unico, possono essere utilizzati per una quota pari al 100 per cento per spese di manutenzione ordinaria del verde, delle strade e del patrimonio comunale, nonché per spese di progettazione delle opere pubbliche”.
L’art. 1, comma 460, della Legge 11.12.2016, n. 232 (Legge di bilancio per il 2017), così come modificato dall’art. 1-bis, comma 1, del Decreto Legge n. 148/2017, dispone viceversa che “a decorrere dal 01.01.2018, i proventi dei titoli abilitativi edilizi e delle sanzioni previste dal testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 06.06.2001, n. 380, sono destinati esclusivamente e senza vincoli temporali alla realizzazione e alla manutenzione ordinaria e straordinaria delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria, al risanamento di complessi edilizi compresi nei centri storici e nelle periferie degradate, a interventi di riuso e di rigenerazione, a interventi di demolizione di costruzioni abusive, all'acquisizione e alla realizzazione di aree verdi destinate a uso pubblico, a interventi di tutela e riqualificazione dell'ambiente e del paesaggio, anche ai fini della prevenzione e della mitigazione del rischio idrogeologico e sismico e della tutela e riqualificazione del patrimonio rurale pubblico, nonché a interventi volti a favorire l'insediamento di attività di agricoltura nell'ambito urbano e a spese di progettazione per opere pubbliche”.
Fino al 2017, pertanto, tali proventi potevano essere destinati totalmente al finanziamento delle spese correnti elencate dalla Legge di stabilità per il 2016, in deroga al principio di generica destinazione a spese di investimento; a decorrere dal 01.01.2018, viceversa, le entrate derivanti dal rilascio dei titoli abilitativi edilizi e dalle relative sanzioni devono essere destinati esclusivamente agli specifici utilizzi, attinenti prevalentemente a spese in conto capitale, indicati dal comma 460, così come modificato nel 2017 e specificatamente:
   1. alla realizzazione e alla manutenzione ordinaria e straordinaria delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria;
   2. al risanamento di complessi edilizi compresi nei centri storici e nelle periferie degradate;
   3. a interventi di riuso e di rigenerazione;
   4. a interventi di demolizione di costruzioni abusive;
   5. all'acquisizione e alla realizzazione di aree verdi destinate a uso pubblico;
   6. a interventi di tutela e riqualificazione dell'ambiente e del paesaggio, anche ai fini della prevenzione e della mitigazione del rischio idrogeologico e sismico e della tutela e riqualificazione del patrimonio rurale pubblico;
   7. a interventi volti a favorire l'insediamento di attività di agricoltura nell'ambito urbano;
   8. a spese di progettazione per opere pubbliche.
Il Legislatore, quindi, differentemente da quanto avvenuto con riferimento e limitatamente all’utilizzo nel 2016 e nel 2017, ha ritenuto di privilegiare nel 2018 un utilizzo prevalente per spese in conto capitale delle entrate da oneri di urbanizzazione, e nel disciplinare tale principio ha specificato che tale destinazione debba avvenire “senza vincoli temporali” (v., in tal senso, Sezione regionale di controllo per la Puglia parere 12.12.2018 n. 163 sopra citato).
In sostanza, come la giurisprudenza contabile sul punto ha già affermato, per effetto della predetta Legge dal 2018 “i proventi da “oneri di urbanizzazione” cessano di essere entrate con destinazione generica a spese di investimento per divenire entrate vincolate alle determinate categorie di spese ivi comprese le spese correnti, limitatamente agli interventi di manutenzione ordinaria sulle opere di urbanizzazione primaria e secondaria” (v., in tal senso, Sezione Controllo Lombardia parere 23.03.2017 n. 81 sopra citata; sul punto, v. anche la recente deliberazione 19.07.2019 n. 319 della medesima Sezione, nella quale si esorta l’Ente ad assicurare l’effettivo conseguimento degli obiettivi individuati dalla Legge n. 232/2016, anche valutando la costituzione di apposito vincolo, al fine di destinare risorse pari a quelle introitate a titolo di proventi di oneri di urbanizzazione agli utilizzi previsti dalla norma citata).
Alla luce delle predette considerazioni è possibile affermare, in risposta al quesito formulato dal Comune di Moncestino, che
i proventi dei titoli abilitativi edilizi e delle sanzioni previste dal Testo Unico di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 06.06.2001, n. 380 (c.d. “oneri di urbanizzazione”), a partire dall’01.01.2018, possono essere utilizzati esclusivamente nei limiti dei vincoli stabiliti per il 2018, e senza vincoli temporali, dall’art. 1, comma 460, della legge 11.12.2016, n. 232.
Quanto ancora con riguardo all’utilizzo dei fondi di finanziamento regionale di cui alla richiesta di parere in esame, non può che farsi riferimento alla destinazione –presumibilmente per spese di investimento in considerazione della circostanza che tali fondi sono stati utilizzati dal Comune di Moncestino per la manutenzione straordinaria di strade comunali– impressa originariamente a tali fondi dall’Amministrazione regionale concedente il trasferimento; destinazione che non può essere mutata dall’Ente beneficiario del trasferimento medesimo.
L’Amministrazione comunale potrà quindi assumere le proprie determinazioni entro il sopra delineato quadro di riferimento.

EDILIZIA PRIVATA: La demolizione e fedele ricostruzione dell’originario edificio, quanto a sagoma e volumetria, non sconta il pagamento degli oo.uu. poiché non v'è incremento del carico urbanistico.
Se il contributo per oneri di urbanizzazione costituisce un corrispettivo di diritto pubblico previsto dal legislatore a titolo di partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione, ovvero un contributo speciale che ha la propria causa giuridica nelle maggiori spese che l'Amministrazione pubblica deve accollarsi in dipendenza della costruzione dell'edificio e del connesso utilizzo, da parte dei detentori del bene, dei servizi e degli spazi circostanti, la sua debenza non dipende tanto, ai sensi degli artt. 16 e 22 del DPR n. 380/2001, dalla tipologia del titolo abilitativo richiesto (permesso di costruire o DIA, oggi SCIA) per la realizzazione delle opere, quanto, piuttosto, dalla natura e dagli effetti dell’intervento edilizio posto in essere. Di aumento o meno, appunto, del carico antropico.
Invero, “il criterio discretivo tra l’intervento di demolizione e ricostruzione e la nuova costruzione è costituito, nel primo caso, dall’assenza di variazioni di volume dell’altezza e della sagoma dell’edificio per cui, in assenza di tali indefettibili e precise condizioni, si deve parlare di intervento equiparabile a nuova costruzione, da assoggettarsi alle regole proprie della corrispondente attività edilizia. Detti criteri vanno osservati con particolare rigore, specie a seguito dell'ampliamento della categoria della demolizione e ricostruzione operata dal d.lgs. n. 301/2002, dato che, proprio perché non vi è più il limite della fedele ricostruzione, si richiede la conservazione delle caratteristiche fondamentali dell'edificio preesistente nel senso che debbono essere presenti gli elementi fondamentali, in particolare per i volumi per cui la ristrutturazione edilizia, per essere tale e non finire per coincidere con la nuova costruzione, deve conservare le caratteristiche fondamentali dell'edificio preesistente e la successiva ricostruzione dell'edificio deve riprodurre le precedenti linee fondamentali quanto a sagoma, superfici e volumi”.
Altresì, “il presupposto dell’onerosità della trasformazione edilizia … è costituito dal maggior carico urbanistico determinato dall’intervento, per cui l’Ente locale deve richiedere il pagamento degli oneri se il peso insediativo aumenta, mentre non deve chiedere alcunché se non si verifica alcuna variazione del carico urbanistico” sicché, per tale motivo, “è solo nell’ipotesi di <<ristrutturazione ricostruttiva>> (come definita dalla Giurisprudenza) che gli oneri di urbanizzazione potrebbero al più ritenersi non dovuti, non anche quando, in ossequio alla prescrizione normativa, l’intervento risulti caratterizzato da una <<trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio>>”.
Il Consiglio di Stato ha, inoltre, precisato al riguardo che “in caso di intervento di ristrutturazione edilizia, dal contributo per gli oneri di urbanizzazione deve essere sottratto l'importo imputabile al carico urbanistico generato dall'edificio preesistente e, laddove la costruzione originaria sia stata realizzata in un periodo antecedente (all’introduzione dell')…istituto del contributo concessorio, il relativo onere deve ritenersi assolto virtualmente, visto che, in caso contrario, verrebbe data un'inammissibile applicazione retroattiva alla sopravvenuta disciplina impositiva”.
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Con il ricorso in epigrafe il [omissis] ha chiesto al Tribunale di “accertare il (suo) diritto … all’esenzione dal pagamento degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria relativi all’intervento di demolizione e ricostruzione del fabbricato condominiale e… condannare il Comune di Roma … al rimborso della somma di € 78.518,68 corrisposta… per tale causale, oltre rivalutazione monetaria ed interessi come per legge”.
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Con il ricorso in epigrafe il [omissis] ha dedotto:
   - a) di aver presentato in data 31.07.2003 denuncia di inizio attività dei lavori di demolizione e ricostruzione dell’edificio condominiale, divenuto del tutto inagibile a causa di un precario equilibrio strutturale;
   - b) di essersi vista richiedere da Roma Capitale per tale intervento il pagamento degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria;
   - c) di aver provveduto “al solo fine di impedire l’interruzione del procedimento instaurato con il deposito della DIA” all’elaborazione di una perizia asseverata estimativa per la determinazione dei suddetti oneri ed al versamento, “in via cautelativa”, delle relative somme, in data 29.09.2004;
   - d) di aver posto in essere un semplice intervento di recupero edilizio, che si sostanziava nella demolizione e fedele ricostruzione dell’originario edificio quanto a sagoma e volumetria e, in quanto tale, avrebbe dovuto essere considerato esente da qualsiasi onere contributivo;
   - e) di aver reclamato invano il rimborso degli oneri versati senza ricevere alcuna risposta dall’Amministrazione Comunale.
Alla luce di tali circostanze il [omissis] ha, quindi, chiesto al Tribunale di accertare il suo diritto all’esenzione dal pagamento degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria e di condannare Roma Capitale alla rifusione della somma di € 78.518,68 già corrisposta, lamentando la violazione da parte dell’Amministrazione del DPR n. 380/2001 ed eccesso di potere per travisamento dei fatti, difetto di istruttoria ed omessa motivazione circa le ragioni alla base della affermata debenza degli oneri.
Tali censure sono fondate e meritevoli di accoglimento.
Nel caso di specie, l'intervento edilizio, attuato tramite DIA non ha comportato un aumento del carico urbanistico, in quanto ha previsto la demolizione di un fabbricato divenuto ormai pericolante e la sua successiva riedificazione con pari volumetria, stessa sagoma e medesimi prospetti.
L'edificio risultante dalla ristrutturazione ha conservato, dunque, la stessa volumetria, le medesime caratteristiche e la stessa destinazione d'uso dell'edificio precedente, non determinando alcuna modifica dei parametri e del carico urbanistico.
Se, perciò, il contributo per oneri di urbanizzazione costituisce un corrispettivo di diritto pubblico previsto dal legislatore a titolo di partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione, ovvero un contributo speciale che ha la propria causa giuridica nelle maggiori spese che l'Amministrazione pubblica deve accollarsi in dipendenza della costruzione dell'edificio e del connesso utilizzo, da parte dei detentori del bene, dei servizi e degli spazi circostanti, la sua debenza, come ricordato anche da Roma Capitale nelle sue difese, non dipende tanto, ai sensi degli artt. 16 e 22 del DPR n. 380/2001, dalla tipologia del titolo abilitativo richiesto (permesso di costruire o DIA, oggi SCIA) per la realizzazione delle opere, quanto, piuttosto, dalla natura e dagli effetti dell’intervento edilizio posto in essere. Di aumento o meno, appunto, del carico antropico.
Come evidenziato anche da questo Tribunale (cfr. TAR Lazio, Roma, Sez. II-quater, 06.11.2018 n. 10729) “il criterio discretivo tra l’intervento di demolizione e ricostruzione e la nuova costruzione è costituito, nel primo caso, dall’assenza di variazioni di volume dell’altezza e della sagoma dell’edificio per cui, in assenza di tali indefettibili e precise condizioni, si deve parlare di intervento equiparabile a nuova costruzione, da assoggettarsi alle regole proprie della corrispondente attività edilizia. Detti criteri vanno osservati con particolare rigore, specie a seguito dell'ampliamento della categoria della demolizione e ricostruzione operata dal d.lgs. n. 301/2002, dato che, proprio perché non vi è più il limite della fedele ricostruzione, si richiede la conservazione delle caratteristiche fondamentali dell'edificio preesistente nel senso che debbono essere presenti gli elementi fondamentali, in particolare per i volumi per cui la ristrutturazione edilizia, per essere tale e non finire per coincidere con la nuova costruzione, deve conservare le caratteristiche fondamentali dell'edificio preesistente e la successiva ricostruzione dell'edificio deve riprodurre le precedenti linee fondamentali quanto a sagoma, superfici e volumi”.
La stessa Amministrazione Comunale ha, poi, riconosciuto che “il presupposto dell’onerosità della trasformazione edilizia … è costituito dal maggior carico urbanistico determinato dall’intervento, per cui l’Ente locale deve richiedere il pagamento degli oneri se il peso insediativo aumenta, mentre non deve chiedere alcunché se non si verifica alcuna variazione del carico urbanistico” e che, per tale motivo, “è solo nell’ipotesi di <<ristrutturazione ricostruttiva>> (come definita dalla Giurisprudenza: Cons. Stato Sez. IV, 07.04.2015 n. 1763; 09.05.2014 n. 2384; 06.07.2012 n. 3970) che gli oneri di urbanizzazione potrebbero al più ritenersi non dovuti, non anche quando, in ossequio alla prescrizione normativa, l’intervento risulti caratterizzato da una <<trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio>>”.
Dagli atti di causa l’intervento posto in essere dal [omissis] ricorrente risulta appartenere proprio al genus della “ristrutturazione ricostruttiva”, constando nella demolizione e nella fedele ricostruzione di un fabbricato degli anni ’50 che, divenuto ormai pericolante, non risultava altrimenti recuperabile.
Né l’Amministrazione Comunale, nell’esigere dal ricorrente il pagamento degli oneri di urbanizzazione nel corso del procedimento o nell’ambito del presente giudizio, dinanzi alle precise doglianze del ricorrente, ha motivato in alcun modo la sua pretesa, esponendo le ragioni per cui il carico urbanistico e, dunque, il peso antropico dell’edificio ricostruito avrebbe dovuto essere considerato comunque aumentato rispetto a quello del fabbricato precedente, così da rendere necessaria un’integrazione di quanto eventualmente già versato.
Il Consiglio di Stato ha, inoltre, precisato al riguardo che “in caso di intervento di ristrutturazione edilizia, dal contributo per gli oneri di urbanizzazione deve essere sottratto l'importo imputabile al carico urbanistico generato dall'edificio preesistente e, laddove la costruzione originaria sia stata realizzata in un periodo antecedente (all’introduzione dell')…istituto del contributo concessorio, il relativo onere deve ritenersi assolto virtualmente, visto che, in caso contrario, verrebbe data un'inammissibile applicazione retroattiva alla sopravvenuta disciplina impositiva” (cfr. Cons. St., Sez. VI; 02.07.2015 n. 3298).
In conclusione, il ricorso deve essere, perciò, accolto, con l’accertamento della non debenza da parte del [omissis] ricorrente, per l’intervento di demolizione e ricostruzione dell’edificio condominiale con medesima sagoma, altezza, volumetria e destinazione del precedente, degli oneri di urbanizzazione e condanna di Roma Capitale alla restituzione delle relative somme versate da [omissis] a tale titolo, oltre interessi legali dalla notifica del ricorso.
Trattandosi di un debito di valuta per la restituzione di somme indebitamente versate, deve essere, infine, respinta la richiesta di corresponsione della rivalutazione monetaria (TAR Lazio-Roma, Sez. II-bis, sentenza 12.09.2019 n. 10887 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).

EDILIZIA PRIVATA: Sulla illegittimità che il permesso di costruire convenzionato, ex art. 28-bis DPR 380/2001, preveda la corresponsione di un ulteriore contributo a titolo di “corredo minimo delle prestazioni economiche per servizi”.
Un onere posto a carico del privato diverso ed ulteriore (ed in aggiunta) rispetto sia al contributo di costruzione che agli oneri di urbanizzazione non trova riscontro nel dato normativo relativo al "permesso di costruire convenzionato", atteso che l’art. 28-bis del T.U in materia edilizia non prevede espressamente la possibilità per l’Amministrazione di richiedere un diverso ed ulteriore (rispetto agli oneri di urbanizzazione) contributo per opere di urbanizzazione, ma unicamente che ove “le esigenze di urbanizzazione possano essere soddisfatte con una modalità semplificata, è possibile il rilascio di un permesso di costruire convenzionato”.
Peraltro, se pure è ammissibile che in sede di convezione la parte privata possa assumere impegni economici più onerosi di quelli teoricamente stabiliti dalla relativa disciplina normativa, in quanto rientranti nella libera disponibilità delle parti, nel caso in esame il censurato contributo risulta unilateralmente fissato in via preventiva in sede di pianificazione, con la conseguenza che la successiva (vincolata) trasfusione nell’accordo tra la parte pubblica e privata appare concretizzare una prestazione imposta che non trova base normativa.

Sotto distinto profilo, va rilevato che parimenti illegittima sarebbe la previsione censurata ove la stessa fosse da intendersi come previsione di contributo sovrapponibile all’ordinario contributo per oneri di urbanizzazione –ipotesi peraltro esclusa dall’Amministrazione comunale resistente-, in quanto ciò determinerebbe una ingiustificata duplicazione del corrispettivo di diritto pubblico posto a carico del costruttore connesso al rilascio del titolo edilizio, quale partecipazione del titolare ai costi delle opere di urbanizzazione in relazione ai benefici ottenuti dalla nuova costruzione.
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Con il presente gravame, originariamente proposto quale ricorso straordinario al Presidente della Repubblica e, successivamente, trasposto in sede giurisdizionale a seguito di opposizione del Comune di Scanzorosciate, la società La.S. e l’avv. Le.Ge. hanno impugnato la variante al PGT n. 61 del 27.09.2017, assunta dal suddetto Comune, limitatamente alla parte in cui è stato modificato il PdS con l’estensione del pagamento di una somma a titolo di “corredo minimo delle prestazioni economiche per servizi” in aggiunta al costo di costruzione e agli oneri di urbanizzazione.
I ricorrenti, in particolare, premesso di essere proprietari di terreni ricadenti in zona denominata “R7.1”, individuata come “Area residenziale di completamento soggetta a permesso di costruire convenzionato” sottoposta, a seguito dell’impugnata variante, al suddetto “corredo minimo”, hanno dedotto le seguenti censure:
   1) Violazione del principio di legalità per difetto di potere, in quanto la previsione del corredo minimo della prestazioni economiche per servizi –diverso dal costo di costruzione e dagli oneri di urbanizzazione– non avrebbe copertura legislativa, con conseguente contrasto con l’art. 23 Cost., tenuto che conto che l’art. 16 del d.P.R. 380/2001 e l’art. 43 della L.R. n. 12/2005 prevedono esclusivamente la corresponsione di un contributo commisurato all’incidenza degli oneri di urbanizzazione ed al costo di costruzione, senza attribuire al Comune il potere di stabilire nuovi ed ulteriori contributi;
   2) in via subordinata, illegittimità dell’ammontare del contributo minimo in conseguenza della illegittima determinazione della dotazione di servizi da realizzare in funzione dell’utenza, avendo il Comune deciso il dimensionamento dei servizi in base ad un rapporto ben superiore a quello previsto dall’art. 9 della L.R. n. 12/2005, dimensionamento illogico ed irrazionale;
   3) in via subordinata, insussistenza dei presupposti per la previsione del contributo in quanto non vi era necessità di urbanizzazione dell’area e difetto di motivazione in ordine alla scelta operata dal Comune;
   4) in via subordinata, violazione del principio di correttezza e buona fede per mancato rispetto, senza alcuna motivazione, delle intese raggiunte con i proprietari dell’area in questione in occasione dell’approvazione del vigente PGT in base alle quali l’area stessa era stata resa edificabile senza imposizione del contributo minimo.
Si è costituito in giudizio il Comune di Scanzorosciate, il quale ha contestato le censure avversarie e chiesto il rigetto del ricorso.
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Si può prescindere dall’eccezione, sollevata dalla parte ricorrente, di tardività del deposito della memoria difensiva avversaria, stante la fondatezza del ricorso in relazione alla censura di cui al primo motivo, formulato in via principale.
Parte ricorrente sostiene che il contributo per “corredo minimo” sia aggiuntivo e diverso rispetto al contributo di costruzione e agli oneri di urbanizzazione, con conseguente illegittimità per violazione delle disposizioni invocate, non potendo l’Amministrazione comunale imporre di corrispondere somme aggiuntive in mancanza di copertura legislativa.
Sotto un primo profilo, si rileva che il Comune resistente non afferma, invero, che tale contributo coincida con il costo di costruzione ovvero con gli oneri di urbanizzazione, dovendosi dunque ritenere che il medesimo costituisca effettivamente un onere posto a carico del privato diverso ed ulteriore (ed in aggiunta) rispetto sia al contributo di costruzione che agli oneri di urbanizzazione.
L’Amministrazione comunale sostiene che la normativa invocata dai ricorrenti riguarderebbe unicamente il permesso di costruire ordinario e non quello convenzionato, cui sarebbe, dunque, da ricollegare l’imposizione del corredo minimo.
Tale tesi, però, non persuade in quanto non trova riscontro nel dato normativo relativo al permesso convenzionato, atteso che l’art. 28-bis del T.U. in materia edilizia non prevede espressamente la possibilità per l’Amministrazione di richiedere un diverso ed ulteriore (rispetto agli oneri di urbanizzazione) contributo per opere di urbanizzazione, ma unicamente che ove “le esigenze di urbanizzazione possano essere soddisfatte con una modalità semplificata, è possibile il rilascio di un permesso di costruire convenzionato”.
Peraltro, se pure è ammissibile che in sede di convezione la parte privata possa assumere impegni economici più onerosi di quelli teoricamente stabiliti dalla relativa disciplina normativa, in quanto rientranti nella libera disponibilità delle parti, nel caso in esame il censurato contributo risulta unilateralmente fissato in via preventiva in sede di pianificazione, con la conseguenza che la successiva (vincolata) trasfusione nell’accordo tra la parte pubblica e privata appare concretizzare una prestazione imposta che non trova base normativa.
La doglianza di parte ricorrente risulta, dunque, fondata.
Sotto distinto profilo, va rilevato che parimenti illegittima sarebbe la previsione censurata ove la stessa fosse da intendersi come previsione di contributo sovrapponibile all’ordinario contributo per oneri di urbanizzazione –ipotesi peraltro esclusa dall’Amministrazione comunale resistente-, in quanto ciò determinerebbe una ingiustificata duplicazione del corrispettivo di diritto pubblico posto a carico del costruttore connesso al rilascio del titolo edilizio, quale partecipazione del titolare ai costi delle opere di urbanizzazione in relazione ai benefici ottenuti dalla nuova costruzione.
In ogni caso, la censurata previsione del “corredo minimo delle prestazioni economiche per servizi” risulta illegittima e deve, pertanto, essere annullata (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 09.09.2019 n. 798 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).

ottobre 2019

EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICASecondo la giurisprudenza della Cassazione «la controversia avente ad oggetto l'escussione, da parte del Comune, di una polizza fideiussoria concessa a garanzia di somme dovute per oneri di urbanizzazione e a titolo di penali, pattuite in una convenzione di lottizzazione, rientra nella giurisdizione del giudice ordinario e non in quella esclusiva del giudice amministrativo in materia di urbanistica ed edilizia, attesa l'autonomia tra i rapporti in questione, nonché la circostanza che, nella specie, la P.A. agisce nell'ambito di un rapporto privatistico, senza esercitare, neppure mediatamente, pubblici poteri».
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Circa l'accertamento
negativo dell’inadempimento da parte della ricorrente agli obblighi assunti con la Convenzione accessoria al piano, occorre premettere che tale accertamento rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo secondo quanto previsto dall’art. 133 del c.p.a. secondo il quale sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, salvo ulteriori previsioni di legge: a) le controversie in materia di: …. 2) formazione, conclusione ed esecuzione degli accordi integrativi o sostitutivi di provvedimento amministrativo.
Occorre poi precisare che la domanda comporta che la ricorrente si faccia carico dell’onere della prova delle cause che hanno reso l’inadempimento non imputabile, ai sensi dell’art. 2697 c.c.
Non basta infatti affermare che si tratterebbe di un accertamento negativo dell’inadempimento per onerare il convenuto dell’onere di provare la responsabilità dell’inadempimento, in quanto grava sul debitore provare ex art. 1218 c.c. l’impossibilità non imputabile della prestazione al fine di paralizzare la richiesta di escussione della fideiussione del creditore. La ricorrente ha quindi l’onere della prova dei fatti impeditivi, estintivi e modificativi del diritto dedotto in giudizio, non potendo limitarsi alla mera allegazione dei fatti ritenuti tali.

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A. La ricorrente proprietaria di alcuni terreni siti nel Comune di Tradate è parte del Piano Integrato di Intervento via Monte San Michele/via Don Tornaghi approvato dal Comune di Tradate con la delibera del consiglio comunale n. 26 del 03/04/2007, il quale prevede la realizzazione di un comparto Centro Servizi e di un comparto Caserma dei Carabinieri.
Ai sensi della Convenzione Rep. n. 95039 del 19/06/2008, accessoria al menzionato PII, la ricorrente doveva realizzare direttamente la nuova Caserma dei Carabinieri per l'importo di € 3.000.000,00, ristrutturare l'edificio di proprietà comunale sito in via Isonzo destinato ad ospitare la nuova sede dei Vigili del Fuoco Volontari per un importo massimo di € 160.000,00, nonché, a titolo di urbanizzazione, realizzare una rotatoria tra la via Allende e la via Monte San Michele per l'importo di € 500.000, opere queste tutte a scomputo.
A seguito del superamento dei termini per la realizzazione dei lavori previsti dalla Convenzione Rep. N. 95039 del 19/06/2008, il Comune, con la nota prot. 11382 del 24/06/2011, qui gravata, ha chiesto direttamente alla società CO.CO., quale fideiussore della ricorrente, l’escussione della polizza fideiussoria n. 5072 del 20/04/2010 ed il conseguente pagamento entro 15 giorni della somma di € 3.100.000,00 per le asserite inadempienze della Ma. in ordine al mancato completamento delle opere.
La ricorrente per l’annullamento di tale atto e/o per l'accertamento negativo del diritto del Comune di Tradate di procedere all'escussione della polizza fideiussoria n. 5072 del 20/04/2010 e per l’accertamento negativo del proprio inadempimento, ha sollevato i seguenti motivi di ricorso.
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B2. Venendo all’eccezione di difetto di giurisdizione dell’impugnazione dell’atto comunale prot. n. 11382, datato 25/06/2011 di escussione della polizza fideiussoria n. 5072 del 20/04/2010, essa è fondata.
Secondo la giurisprudenza della Cassazione (Cass., Sez. Un., 28.07.2016, n. 15666), infatti, «la controversia avente ad oggetto l'escussione, da parte del Comune, di una polizza fideiussoria concessa a garanzia di somme dovute per oneri di urbanizzazione e a titolo di penali, pattuite in una convenzione di lottizzazione, rientra nella giurisdizione del giudice ordinario e non in quella esclusiva del giudice amministrativo in materia di urbanistica ed edilizia, attesa l'autonomia tra i rapporti in questione, nonché la circostanza che, nella specie, la P.A. agisce nell'ambito di un rapporto privatistico, senza esercitare, neppure mediatamente, pubblici poteri» (Cass., sez. un., 13.06.2012, n. 9592, m. 623047, Cass., sez.un. 23.02.2010, n. 4319, m. 611803).
Di conseguenza, tutte le contestazioni mosse avverso la richiesta di escussione della polizza fideiussoria, avrebbero dovuto essere dedotte davanti al giudice ordinario.
B.3 Ne consegue che i primi tre motivi di ricorso sono inammissibili.
B.4 Venendo ora all’esame della domanda subordinata di accertamento negativo dell’inadempimento da parte della ricorrente agli obblighi assunti con la Convenzione accessoria al piano, occorre premettere che tale accertamento rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo secondo quanto previsto dall’art. 133 del c.p.a. secondo il quale sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, salvo ulteriori previsioni di legge: a) le controversie in materia di: …. 2) formazione, conclusione ed esecuzione degli accordi integrativi o sostitutivi di provvedimento amministrativo.
Occorre poi precisare che la domanda comporta che la ricorrente si faccia carico dell’onere della prova delle cause che hanno reso l’inadempimento non imputabile, ai sensi dell’art. 2697 c.c.
Non basta infatti affermare che si tratterebbe di un accertamento negativo dell’inadempimento per onerare il convenuto dell’onere di provare la responsabilità dell’inadempimento, in quanto grava sul debitore provare ex art. 1218 c.c. l’impossibilità non imputabile della prestazione al fine di paralizzare la richiesta di escussione della fideiussione del creditore. La ricorrente ha quindi l’onere della prova dei fatti impeditivi, estintivi e modificativi del diritto dedotto in giudizio, non potendo limitarsi alla mera allegazione dei fatti ritenuti tali.
Nel caso di specie la società ricorrente ha ritenuto che l’inadempimento non fosse a lei imputabile per i seguenti motivi:
   a) i disegni della caserma non sono mai stati formalmente consegnati dopo la specifica richiesta del progettista della Ma. datata 11/03/2009;
   b) i disegni della sede dei Vigili del Fuoco sono pervenuti solo in data 29/05/2009, per cui la ricorrente ha potuto presentare il progetto esecutivo solo in data 16/06/2009 cioè 2 giorni prima del termine finale per l’esecuzione dei lavori;
   c) per quanto attiene in particolare la caserma dei carabinieri, le risultanze geologiche hanno comportato un inevitabile slittamento della pratica costruttiva;
   d) la rotatoria è stata poi di fatto "congelata" per meglio ponderarne le interferenze con la viabilità anche provinciale di imminente riassetto; e) non sono mai stati approvati dall’amministrazione i progetti definitivi su cui la Ma. avrebbe dovuto redigere gli esecutivi.
L’azione è infondata.
Per quanto riguarda la lettera a) la ricorrente non ha depositato la specifica richiesta del progettista della Ma. datata 11/03/2009 per cui non ha dato piena prova del fatto che la documentazione specificamente richiamata nel preambolo della Convenzione come facente parte della pratica edilizia n. 446/05 relativi al progetto riguardante la Caserma dei Carabinieri, non fosse sufficiente per la realizzazione della caserma.
Per quanto riguarda la lettera b) il termine previsto dalla convenzione per l’esecuzione dei lavori relativi alla sede dei Vigili del Fuoco, cioè il 18.06.2009, non è termine essenziale previsto dalla Convenzione a pena di risoluzione dell’accordo, come si desume dall’art. 15 della Convenzione secondo la quale in caso di ritardo il Comune si riserva la facoltà di eseguire i lavori direttamente spese del concessionario nel caso in cui il medesimo non vi abbia provveduto tempestivamente. Ne consegue che la scadenza di quel termine non è causa di impossibilità della prestazione.
Per quanto riguarda la lettera c) la ricorrente non ha dato prova della sorpresa geologica.
Per quanto riguarda la lettera d) la ricorrente non ha fornito prova alcuna del “congelamento” della rotatoria per supposta necessità di migliore ponderazione delle interferenze con la viabilità.
e) Per quanto riguarda la presunta mancata approvazione dei progetti esecutivi la ricorrente non ha dato prova di aver presentato una proposta di approvazione dei progetti definitivi al protocollo comunale.
In definitiva quindi la domanda subordinata di accertamento negativo dell’inadempimento va respinta (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 23.10.2019 n. 2216 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALe questioni attinenti alla spettanza e alla liquidazione del contributo per gli oneri di urbanizzazione sono riservate alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. f), cod. proc. amm.; le stesse, poi, avendo ad oggetto l’accertamento di un rapporto di credito a prescindere dall’esistenza di atti della P.A., non sono soggette alle regole delle azioni impugnatorie-annullatorie degli atti amministrativi ed ai rispettivi termini di decadenza.
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Le obbligazioni di pagamento degli oneri di urbanizzazione e dei costi di costruzione, e le conseguenti sanzioni per ritardato pagamento, hanno natura reale o “propter rem”, essendo caratterizzate dalla stretta inerenza alla res ed essendo perciò destinate a circolare unitamente ad essa, per il carattere dell’ambulatorietà che le contraddistingue. Ne deriva che le stesse gravano anche sull’acquirente nel caso di trasferimento del bene.
È stato infatti affermato che “l’obbligazione in solido per il pagamento degli oneri di urbanizzazione e la natura reale dell’obbligazione riguardano i soggetti che stipulano la convenzione, quelli che richiedono la concessione e quelli che realizzano l’edificazione, nonché i loro aventi causa”.
Analogamente, si è precisato che anche “l’obbligazione di pagamento delle sanzioni per ritardato pagamento degli oneri concessori va configurata come propter rem e, quindi, da porsi a carico del soggetto che, in un determinato momento, si trova in una relazione qualificata con l’immobile”.
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U
n’amministrazione comunale ha il pieno potere di applicare, nei confronti dell’intestatario di un titolo edilizio, la sanzione pecuniaria prescritta dalla legge per il caso di ritardo ovvero di omesso pagamento degli oneri relativi al contributo di costruzione anche ove, in caso di pagamento dilazionato di detto contributo, abbia omesso di escutere la garanzia fideiussoria in esito alla infruttuosa scadenza dei singoli ratei di pagamento ovvero abbia comunque omesso di svolgere attività sollecitatoria del pagamento presso il debitore principale.
Ciò in quanto dalla portata letterale delle disposizioni che integrano il regime sanzionatorio si evince come l’applicazione dell’aumento di contributo sia correlata al fatto in sé del suo mancato o non puntuale pagamento da parte dell’obbligato, senza distinzione alcuna, sul piano delle conseguenze del meccanismo sanzionatorio, tra l’ipotesi dell’obbligazione del solo debitore, e quella in cui sia stata prestata una garanzia fideiussoria accessoria per il pagamento del suddetto contributo.
Non assumendo, pertanto, alcuna rilevanza il comportamento delle parti diverse dal debitore principale antecedenti al fatto-inadempimento, ciò che unicamente rileva, nella logica della norma sanzionatoria, è il semplice mancato pagamento della rata di contributo imputabile al debitore principale.
Non solo non si rinviene un dovere di “soccorso” dell’amministrazione comunale nei confronti del beneficiario di un titolo edilizio in ritardo nel pagamento del contributo di costruzione, ma in senso opposto l’amministrazione è tenuta, trattandosi di attività vincolata prevista direttamente dalla fonte normativa di rango primario, all’applicazione delle sanzioni alla scadenza dei termini di pagamento, senza potersi sottrarre al potere-dovere di aumentare, in funzione sanzionatoria, l’importo del contributo dovuto.

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1. In via preliminare, va affermata la giurisdizione del giudice amministrativo sulla presente controversia, giacché secondo una consolidata giurisprudenza, condivisa dal Collegio, le questioni attinenti alla spettanza e alla liquidazione del contributo per gli oneri di urbanizzazione sono riservate alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. f), cod. proc. amm.; le stesse, poi, avendo ad oggetto l’accertamento di un rapporto di credito a prescindere dall’esistenza di atti della P.A., non sono soggette alle regole delle azioni impugnatorie-annullatorie degli atti amministrativi ed ai rispettivi termini di decadenza (Consiglio di Stato, VI, 07.05.2015, n. 2294; TAR Lombardia, Milano, II, 10.05.2018, n. 1242).
2. Passando all’esame del merito del ricorso, lo stesso non è fondato; ciò consente di prescindere dallo scrutinio delle ulteriori eccezioni di carattere preliminare sollevate dalla difesa del Comune.
3. Con l’unica censura di ricorso si deduce l’illegittimità delle sanzioni applicate alla ricorrente, avendo la stessa acquistato il mappale n. 853 soltanto dopo la scadenza dei termini di pagamento degli oneri e quindi non essendo ad essa imputabile il mancato e/o ritardato versamento delle rate degli stessi; inoltre, il Comune avrebbe aggravato indebitamente la posizione del soggetto obbligato non provvedendo alla previa escussione della garanzia fideiussoria, violando in tal modo i canoni della buona fede e della cooperazione con il privato debitore; infine si contesta l’ammontare della somma richiesta, corrispondente al 125% delle rate pagate in ritardo, piuttosto che alla misura del 40% prevista dall’art. 42 del D.P.R. n. 380 del 2001.
3.1. La doglianza è infondata.
Va premesso che nell’atto di compravendita del 15.02.2001 stipulato con Im.No. s.r.l., la ricorrente ha espressamente dichiarato “di assumere a suo totale carico gli oneri di urbanizzazione ancora da versare al Comune” (cfr. all. 7 del Comune). A ciò ha fatto seguito, in data 16.03.2001, la volturazione in suo favore della concessione edilizia n. 103/1997 da parte del Comune (all. 8 del Comune).
Ulteriormente, va evidenziato che il Comune, in data 26.10.1998, ha sollecitato la dante causa della ricorrente ad adempiere agli obblighi di pagamento, a seguito della scadenza del termine (all. 6 del Comune).
A giudizio della parte ricorrente la sanzione conseguente al mancato versamento delle rate relative agli oneri concessori non avrebbe potuto essere irrogata nei suoi confronti, stante l’assenza di alcuna rimproverabilità in capo ad essa e trattandosi di un atto connotato dal carattere dell’afflittività.
La prospettazione della parte ricorrente non può essere accolta, poiché secondo un condivisibile orientamento giurisprudenziale, le obbligazioni di pagamento degli oneri di urbanizzazione e dei costi di costruzione, e le conseguenti sanzioni per ritardato pagamento, hanno natura reale o “propter rem”, essendo caratterizzate dalla stretta inerenza alla res ed essendo perciò destinate a circolare unitamente ad essa, per il carattere dell’ambulatorietà che le contraddistingue. Ne deriva che le stesse gravano anche sull’acquirente nel caso di trasferimento del bene.
È stato infatti affermato che “l’obbligazione in solido per il pagamento degli oneri di urbanizzazione e la natura reale dell’obbligazione riguardano i soggetti che stipulano la convenzione, quelli che richiedono la concessione e quelli che realizzano l’edificazione, nonché i loro aventi causa” (cfr. Consiglio di Stato, IV, 15.05.2019, n. 3141; altresì, C.G.A., 30.09.2019, n. 848; TAR Sicilia, Palermo, II, 19.10.2017, n. 2402).
Analogamente, si è precisato che anche “l’obbligazione di pagamento delle sanzioni per ritardato pagamento degli oneri concessori va configurata come propter rem e, quindi, da porsi a carico del soggetto che, in un determinato momento, si trova in una relazione qualificata con l’immobile” (cfr. Consiglio di Stato, IV, 01.04.2011, n. 2037).
3.2. Quanto alla parte della censura che eccepisce l’illegittima mancata previa escussione della garanzia fideiussoria, invece dell’adozione della sanzione, si deve richiamare, in senso contrario, la pronuncia dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, 07.12.2016, n. 24, secondo la quale “un’amministrazione comunale ha il pieno potere di applicare, nei confronti dell’intestatario di un titolo edilizio, la sanzione pecuniaria prescritta dalla legge per il caso di ritardo ovvero di omesso pagamento degli oneri relativi al contributo di costruzione anche ove, in caso di pagamento dilazionato di detto contributo, abbia omesso di escutere la garanzia fideiussoria in esito alla infruttuosa scadenza dei singoli ratei di pagamento ovvero abbia comunque omesso di svolgere attività sollecitatoria del pagamento presso il debitore principale”: ciò in quanto dalla portata letterale delle disposizioni che integrano il regime sanzionatorio si evince come l’applicazione dell’aumento di contributo sia correlata al fatto in sé del suo mancato o non puntuale pagamento da parte dell’obbligato, senza distinzione alcuna, sul piano delle conseguenze del meccanismo sanzionatorio, tra l’ipotesi dell’obbligazione del solo debitore, e quella in cui sia stata prestata una garanzia fideiussoria accessoria per il pagamento del suddetto contributo.
Non assumendo, pertanto, alcuna rilevanza il comportamento delle parti diverse dal debitore principale antecedenti al fatto-inadempimento, ciò che unicamente rileva, nella logica della norma sanzionatoria, è il semplice mancato pagamento della rata di contributo imputabile al debitore principale.
Non solo non si rinviene un dovere di “soccorso” dell’amministrazione comunale nei confronti del beneficiario di un titolo edilizio in ritardo nel pagamento del contributo di costruzione, ma in senso opposto l’amministrazione è tenuta, trattandosi di attività vincolata prevista direttamente dalla fonte normativa di rango primario, all’applicazione delle sanzioni alla scadenza dei termini di pagamento, senza potersi sottrarre al potere-dovere di aumentare, in funzione sanzionatoria, l’importo del contributo dovuto (Consiglio di Stato, Ad. Plen., 07.12.2016, n. 24, cit.; sull’inesistenza di un dovere di “soccorso” e sull’estraneità alla disciplina civilistica, ed in specie all’art. 1944, secondo comma, cod. civ., della pretesa che venga previamente escusso il fideiussore, cfr. TAR Veneto, II, 11.12.2017, n. 1121) (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 11.10.2019 n. 1083 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

giugno 2019

EDILIZIA PRIVATA - PUBBLICO IMPIEGOComporta responsabilità amministrativa l’erroneo calcolo degli oneri di urbanizzazione posti a carico dei privati ai quali è rilasciata la concessione edilizia. Il termine di prescrizione decorre dalla data di rilascio del titolo edilizio.
Fermo restando la concorrente responsabilità degli organi di governo dell’Ente, causa danno erariale la condotta del responsabile dell’ufficio tecnico che non abbia segnalato, tra l’altro, la necessità di adottare la delibera di adeguamento dei costi in esame sulla base delle variazioni ISTAT.
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FATTO
1. Con la sentenza n. 87/2017, depositata il 06.03.2017 e notificata il 15.05.2017 la Sezione giurisdizionale regionale della Corte dei conti per la Puglia, in parziale accoglimento della domanda risarcitoria in tal senso proposta dalla Procura regionale, ha condannato il sig. Fr.Ma., responsabile del Settore tecnico del Comune di Salve (LE), a pagare a quest’ultimo, la somma complessiva di euro 10.000,00, omnicomprensivi di rivalutazione monetaria, oltre interessi, in misura legale, fino al momento del soddisfo.
1.1. Le contestazioni della Procura, condivise dalla sentenza del giudice di primo grado attengono alla mancata applicazione nel Comune di Salve (LE), per il periodo dal 2008 al 2011, del corretto valore del costo di costruzione da utilizzare per la quantificazione del contributo finanziario a carico dei privati in sede di rilascio dei permessi di costruire.
1.2. La Sezione regionale, dopo avere affermato la concretezza e l’attualità del danno sin dalla data del rilascio del permesso di costruire ha accolto parzialmente la domanda attrice, rideterminando il danno addebitabile al Ma. in euro 16.839,77.
Ha sostenuto la Sezione che la parte di danno relativa al periodo interessato dagli aggiornamenti disposti dalla Giunta Comunale non può essere collegata completamente imputata al convenuto, essendo tali decisioni state assunte dall'organo di governo, e che pertanto nel periodo in cui sono intervenute le delibere di Giunta (aprile 2009 e giugno 2011), può quantificarsi pari a due terzi di quello prodottosi nel 2009 (2.927,06) ed alla metà di quello scaturito per l'anno 2011 (2.742,28).
Rilevato il recupero da parte del Comune, con riguardo alle pratiche edilizie del 2008 dell'importo di euro 3.090,61 e per quelle relative al 2009 dell'importo di euro 2.235,53, ha portato in diminuzione per intero dalla somma il primo importo ed il secondo in riduzione nei limiti della quota di danno addebitata al convenuto per l'anno 2009 ossia pari ad un terzo.
In applicazione del potere riduttivo dell'addebito ha, poi, rideterminato l'importo di danno nella misura di euro 10.000,00 comprensivi anche della rivalutazione monetaria maturata sino alla data di deposito in Segreteria della decisione; oltre gli interessi in misura legale, calcolati a decorrere dalla suddetta data sino al soddisfo.
2. Avverso la sentenza ha proposto appello il sig. Ma. rilevando vari motivi di gravame.
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DIRITTO
1. La presente fattispecie ha ad oggetto il danno causato al Comune di Salve (LE) a causa della mancata applicazione nel Comune di Salve (LE), per il periodo dal 2008 al 2011, del corretto valore del costo di costruzione da utilizzare per la quantificazione del contributo finanziario a carico dei privati in sede di rilascio dei permessi di costruire.
Con il primo motivo l’appellante lamenta, sostanzialmente, l’inattualità del danno, atteso che il Comune può ancora intervenire nel termine di prescrizione decennale per recuperare la differenza tra i costi di costruzione riscossi e quelli dovuti.
Il motivo non ha pregio, perché anche se ciò è vero, le relative partite contabili non risultano in atto incassate, né è certo se mai lo saranno: la concretezza e l’attualità del danno, infatti, risiede nella perdita dell’originaria fonte di credito per l’Ente Locale e poiché gli oneri di costruzione sono stati riscossi in misura inferiore al dovuto, il procedimento volto al recupero dei differenziali si appalesa, all’attualità, di esito incerto e non prevedibile, considerato che i contribuenti, per via del tempo trascorso, potrebbero più facilmente contestarne la legittimità.
La stessa giurisprudenza del giudice amministrativo ritiene che il costo di costruzione, sia una prestazione patrimoniale di natura impositiva che trova la sua ratio nell’incremento patrimoniale che il titolare del permesso di costruire consegue in dipendenza dell’intervento edilizio e che viene determinato al momento del rilascio della concessione, che costituisce il fatto costitutivo del relativo obbligo giuridico.
Relativamente alla dedotta assenza dell’elemento soggettivo della colpa grave rileva preliminarmente il Collegio che, alla luce della posizione rivestita dall’appellante, nel 2008, così come negli anni successivi, di responsabile del settore Tecnico del predetto comune, rientrava, senza alcun dubbio, tra i doveri e gli obblighi intestati a tale tipologia di funzionario, la vigilanza sull’ammontare degli introiti, da parte del Comune, relativi al settore di competenza.
Infatti, gli artt. 4 e 11 del D.L.vo n. 165/2001 e 111 del D.L.vo n. 267/2000 stabiliscono che agli amministratori spettano poteri di indirizzo politico, mentre ai dirigenti la relativa attuazione e la concreta gestione.
D’altronde, la normativa in materia, nazionale e regionale, prevedeva che il costo di costruzione venisse determinato periodicamente dalle Regioni e adeguato annualmente sulla base delle variazioni ISTAT.
E che gli adempimenti di cui trattasi rientrassero tra gli atti di gestione, trattandosi di autorizzazioni e concessioni edilizie da corredare, necessariamente con la determinazione del relativo quantum da versare, è fuor di dubbio.
Ma anche a voler considerare, per gli anni 2008 e 2010 l’inerzia dell’organo politico, che, secondo l’appellante, non avrebbe adottato la deliberazione annuale di adeguamento dei costi in questione, resta, pur sempre, inalterata la responsabilità del Martella il quale, in qualità di responsabile del settore, avrebbe dovuto segnalare tale inadempimento e sollecitarlo al fine di evitare le conseguenze dannose derivanti dal mancato adeguamento, nel tempo, del contributo in argomento.
In tal senso la sentenza deve essere confermata.
In ordine al quantum debetaur, invece, osserva il Collegio che la documentazione depositata nel corso del giudizio, dalla quale risulta per tabulas che il Comune ha già recuperato la somma di € 3.772,26, relativa ai contributi di costruzione per l’anno 2008, la somma di € 3.446,62, relativa ai contributi di costruzione per l’anno 2009; la somma di € 5.796,91, relativa ai contributi di costruzione per l’anno 2010; la somma di € 4.065,08, relativa ai contributi di costruzione per l’anno 2011, consente di potere dichiarare la cessazione della materia del contendere fino alla concorrenza della somma, di € 8.915,09.
Va infatti, nella determinazione del quantum, seguito il calcolo operato in sentenza (sulle cui modalità si è formato giudicato), e va tenuto conto che, ai fini della determinazione del danno al 21.12.2016 è già stato decurtato, con riguardo alle pratiche edilizie del 2008 l'importo di € 3.090,61 e per quelle relative al 2009 l'importo di € 2.235,53.
Pertanto dalla somma di € 10.000,00 (di cui è condanna) va detratta la somma di euro somma di € 681.65 (€ 3.772,26 – € 3.090,61) relativa ai contributi di costruzione per l’anno 2008, la somma di € 403,69 (1/3 di € 3.446,62 – € 2.235,53) relativa ai contributi di costruzione per l’anno 2009; la somma di € 5.796,91, relativa ai contributi di costruzione per l’anno 2010; la somma di € 2.032,84, relativa ai contributi di costruzione per l’anno 2011 ( pari ad ½ di € 4.065,08).
Per il resto, la sentenza deve essere confermata con il rigetto dell’appello, fermo restando che, con riferimento alla somma residua pari a € 1.084.91, l’interessato potrà far valere –in sede esecutiva– l’eventuale ulteriore recupero, da parte del Comune, della somma di cui è condanna.
Ogni ulteriore motivo non espressamente affrontato deve ritenersi assorbito e, in ogni caso, respinto.
Le spese sono compensate ai sensi dell’art. 31, comma 3 c.g.c.
P.Q.M.
La Corte dei Conti - Sezione Terza Centrale d’appello, definitivamente pronunciando, disattesa ogni contraria istanza, deduzione ed eccezione, dichiara cessata la materia del contendere fino alla concorrenza di € 8.915,09.
Respinge l’appello e conferma la sentenza impugnata fino alla concorrenza di € 1084.91, nei termini di cui in motivazione (Corte dei Conti, Sez. III centrale d'appello, sentenza 27.06.2019 n. 127).

EDILIZIA PRIVATA: La demolizione/ricostruzione di un fabbricato, addirittura con diminuzione del volume (nel caso di specie), non deve scontare il pagamento degli oneri di urbanizzazione poiché non sussiste un incremento del carico urbanistico.
La controversia investe la questione circa la ricorrenza dei presupposti per l’applicazione degli oneri di urbanizzazione previsti dall’articolo 16 del dpr 380/2001. Prevede tale disposizione che: “il rilascio del permesso di costruire comporta la corresponsione di un contributo commisurato all'incidenza degli oneri di urbanizzazione nonché al costo di costruzione”.
Invero, mentre il costo di costruzione rappresenta una compartecipazione comunale all’incremento di valore della proprietà immobiliare, gli oneri di urbanizzazione svolgono la funzione di compensare la collettività per il nuovo ulteriore carico urbanistico che si riversa sulla zona a causa della consentita attività edificatoria. Essi sono pertanto dovuti nel caso di trasformazioni edilizie che, indipendentemente dall’esecuzione di opere, si rivelino produttive di vantaggi economici per il proprietario, determinando un aumento del carico urbanistico. Tale incremento può derivare anche da una mera modifica della destinazione d’uso di un immobile, mentre può non configurarsi nell’ipotesi di intervento edilizio con opere.
Secondo consolidata e risalente giurisprudenza il fondamento del contributo di urbanizzazione pertanto “non consiste nel titolo edilizio in sé, ma nella necessità di ridistribuire i costi sociali delle opere di urbanizzazione, facendoli gravare su quanti beneficiano delle utilità derivanti dalla presenza delle medesime secondo modalità eque per la comunità con la conseguenza che, anche nel caso di modificazione della destinazione d'uso, cui si correli un maggiore carico urbanistico, è integrato il presupposto che giustifica l'imposizione del pagamento della differenza tra gli oneri di urbanizzazione dovuti per la destinazione originaria e quelli, se più elevati, dovuti per la nuova destinazione impressa”.
Pertanto “la partecipazione del privato al costo delle opere di urbanizzazione è dovuta allorquando l'intervento determini un incremento del peso insediativo con un'oggettiva rivalutazione dell'immobile, sicché l'onerosità del permesso di costruire è funzionale a sopportare il carico socio-economico che la realizzazione comporta sotto il profilo urbanistico”.
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Nel caso di specie non può dirsi realizzato un aumento del carico urbanistico, atteso che gli esponenti hanno trasformato l’edificio bifamiliare in unifamiliare, riducendone anche la S.L.P. Non ricorre pertanto il presupposto che giustifica l'imposizione del pagamento degli oneri di urbanizzazione.
Ne consegue la fondatezza del ricorso, che deve essere accolto, con la condanna dell’amministrazione comunale resistente alla restituzione degli oneri di urbanizzazione indebitamente percepiti, pari ad euro 11.446,81, oltre agli interessi maturati dalla data di notificazione dell'atto introduttivo del presente giudizio.
Dispone infatti l’articolo 2033 cod. civ. che “chi ha eseguito un pagamento non dovuto ha diritto di ripetere ciò che ha pagato. Ha inoltre diritto ai frutti e agli interessi dal giorno del pagamento, se chi lo ha ricevuto era in mala fede, oppure, se questi era in buona fede, dal giorno della domanda”. In assenza di prova contraria deve infatti presumersi la buona fede dell’amministrazione comunale. Non è, invece, dovuta la rivalutazione monetaria.
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FATTO
1. I signori An.Ma.So. e Da.Vi., proprietari di un fabbricato sito nel Comune di Cremona, con ricorso depositato in data 22.05.2014 hanno chiesto l’accertamento della non debenza, e quindi la restituzione, degli oneri di urbanizzazione imposti dall’amministrazione per l’intervento di ristrutturazione del loro immobile. Nel corso del giudizio, deceduto il signor Vi., si sono costituiti in giudizio gli eredi, indicati in epigrafe.
2. Espongono i ricorrenti che l’edificio era originariamente disposto su tre piani ed aveva utilizzo bifamiliare e che, in ragione del suo stato di vetustà, lo avevano demolito e ricostruito, trasformandolo in un’unica unità immobiliare con autorimessa accessoria. La Superficie Lorda di Pavimento (S.L.P.) era stata ridotta con l’intervento da 180,40 mq a 153,06 mq.
3. L’amministrazione comunale, dopo la richiesta di verifica della non onerosità della DIA formulata dal tecnico dei proprietari, ha comunicato di ritenere l’intervento soggetto al contributo concessorio ai sensi dell’articolo 16 del d.P.R. 380/2001 (Testo unico dell’edilizia) per essere l’abitazione di carattere bifamiliare.
4. L’importo da versare è stato quantificato in complessivi 19.940,42 euro, di cui 1.956,72 euro per oneri di urbanizzazione primaria, 9.490,09 per oneri di urbanizzazione secondaria e 8.493,61 quale costo di costruzione.
5. Con il gravame proposto i ricorrenti censurano la pretesa del comune per “violazione o falsa applicazione dell’art. 16 del d.P.R. 06.06.2001, n. 380. Eccesso di potere per travisamento dei presupposti di fatto e diritto e difetto di motivazione”. Denunciano che il contributo per oneri di urbanizzazione è previsto solo per interventi edilizi che determinano un aumento del carico urbanistico dell’area in cui è localizzato e che nel caso di specie detto aumento non si è realizzato, atteso che essi hanno trasformato un’abitazione bifamiliare in unifamiliare e ne hanno ridotto la S.L.P.
6. A tale argomento il Comune, costituitosi in giudizio, contrappone il richiamo al tenore letterale dell’articolo 17, comma 3, lett. b), del d.P.R. 380/2001, che prevede l’esenzione dal contributo di costruzione “per gli interventi di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore al 20%, di edifici unifamiliari”, evidenziando che il requisito della unifamiliarità dell’edificio deve sussistere sia prima che dopo l’intervento edilizio.
...
DIRITTO
1. Il ricorso è fondato e merita accoglimento.
2. Il comune resistente deduce che l’esonero previsto dall’articolo 17 del d.P.R. 380/2001 per l’ampliamento di edifici unifamiliari non troverebbe applicazione al caso di specie, perché l’intervento edilizio di cui è questione è stato effettuato su un edificio originariamente bifamiliare; l’amministrazione sottolinea la natura eccezionale delle esenzioni dal contributo e richiama un precedente conforme pronunciamento di questo Tribunale.
3. L’argomento non coglie nel segno.
4. La controversia non verte sulla verifica della ricorrenza delle condizioni poste dal richiamato articolo 17 del Testo unico ai fini dell’esonero dal contributo di costruzione, ma investe una questione logicamente antecedente, ovvero la ricorrenza dei presupposti per l’applicazione degli oneri di urbanizzazione previsti dall’articolo 16 del medesimo testo normativo.
5. Prevede tale disposizione che: “il rilascio del permesso di costruire comporta la corresponsione di un contributo commisurato all'incidenza degli oneri di urbanizzazione nonché al costo di costruzione”.
6. Mentre il costo di costruzione rappresenta una compartecipazione comunale all’incremento di valore della proprietà immobiliare, gli oneri di urbanizzazione svolgono la funzione di compensare la collettività per il nuovo ulteriore carico urbanistico che si riversa sulla zona a causa della consentita attività edificatoria (TAR Piemonte, sez. I, 21.05.2018, n. 630). Essi sono pertanto dovuti nel caso di trasformazioni edilizie che, indipendentemente dall’esecuzione di opere, si rivelino produttive di vantaggi economici per il proprietario, determinando un aumento del carico urbanistico. Tale incremento può derivare anche da una mera modifica della destinazione d’uso di un immobile, mentre può non configurarsi nell’ipotesi di intervento edilizio con opere.
7. Secondo consolidata e risalente giurisprudenza il fondamento del contributo di urbanizzazione pertanto “non consiste nel titolo edilizio in sé, ma nella necessità di ridistribuire i costi sociali delle opere di urbanizzazione, facendoli gravare su quanti beneficiano delle utilità derivanti dalla presenza delle medesime secondo modalità eque per la comunità con la conseguenza che, anche nel caso di modificazione della destinazione d'uso, cui si correli un maggiore carico urbanistico, è integrato il presupposto che giustifica l'imposizione del pagamento della differenza tra gli oneri di urbanizzazione dovuti per la destinazione originaria e quelli, se più elevati, dovuti per la nuova destinazione impressa” (Cons. Stato, Sez. V, 30.08.2013, n. 4326; id. ex multis TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, 04.05.2009, n. 3604; Cons. Stato, Sez. V, 21.12.1994, n. 1563).
Pertanto “la partecipazione del privato al costo delle opere di urbanizzazione è dovuta allorquando l'intervento determini un incremento del peso insediativo con un'oggettiva rivalutazione dell'immobile, sicché l'onerosità del permesso di costruire è funzionale a sopportare il carico socio economico che la realizzazione comporta sotto il profilo urbanistico” (TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, 26.04.2018, n. 449).
8. Nel caso di specie non può dirsi realizzato un aumento del carico urbanistico, atteso che gli esponenti hanno trasformato l’edificio bifamiliare in unifamiliare, riducendone anche la S.L.P. Non ricorre pertanto il presupposto che giustifica l'imposizione del pagamento degli oneri di urbanizzazione.
9. Ne consegue la fondatezza del ricorso, che deve essere accolto, con la condanna dell’amministrazione comunale resistente alla restituzione degli oneri di urbanizzazione indebitamente percepiti, pari ad euro 11.446,81, oltre agli interessi maturati dalla data di notificazione dell'atto introduttivo del presente giudizio.
Dispone infatti l’articolo 2033 cod. civ. che “chi ha eseguito un pagamento non dovuto ha diritto di ripetere ciò che ha pagato. Ha inoltre diritto ai frutti e agli interessi dal giorno del pagamento, se chi lo ha ricevuto era in mala fede, oppure, se questi era in buona fede, dal giorno della domanda”. In assenza di prova contraria deve infatti presumersi la buona fede dell’amministrazione comunale. Non è, invece, dovuta la rivalutazione monetaria (conformi: TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, 20.05.2019, n. 499 e le pronunce ivi richiamate; TAR Lombardia, Brescia, Sez. II, 02.05.2019, n. 426) (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 17.06.2019 n. 574 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).

aprile 2019

EDILIZIA PRIVATA: Oggetto: Risposta ai quesiti espressi in merito all’applicazione del contributo straordinario (ex art. 16 DPR 380/2001) ai sensi della D.A.L. 20.12.2018 n. 186 (Regione Emilia Romagna, nota 12.04.2019 n. 371904 di prot.).
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Al riguardo, si leggano anche:
  
deliberazione Assemblea Legislativa 20.12.2018 n. 186 recante «Disciplina del contributo di costruzione ai sensi del titolo III della legge regionale 30.07.2013, n. 15 in attuazione degli articoli 16 e 19 del D.P.R. 06.06.2001, n. 380. “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia”»;
   ● le slide di approfondimento;
   ● Contributo di costruzione, cosa cambia.

EDILIZIA PRIVATA: Soggetto tenuto al pagamento del contributo straordinario per concessioni edilizie in deroga in caso di procedimento SUAP.
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Edilizia - Concessioni in deroga – Contributo straordinario – Soggetto obbligato - Procedimento SUAP – Individuazione.
Il contributo straordinario pari almeno al 50% del maggior valore acquistato dal suolo nel caso di permesso di costruire rilasciato in deroga al p.r.g. (art. 16 comma 4, lett. d) ter, T.U. edilizia) va corrisposto anche in caso di varianti in deroga per attività produttive, nonostante le norme sul c.d procedimento SUAP non lo richiamino espressamente (1).
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   (1) Ha chiarito la Sezione che: la previsione dell’obbligo di contribuzione di cui all’art. 16, comma 4, lett. d-ter, d.P.R. n. 380 del 2001, sebbene –come visto– di carattere straordinario, presenta nella materia edilizia un’applicazione generalizzata; del resto, nella disciplina dell’art. 8, d.P.R. n. 160 del 2010 risulta assente una espressa previsione in ordine all’esclusione dell’applicabilità al procedimento Suap del prelievo contributivo, necessaria al fine di ritenere integrato il criterio di specialità; così come, la medesima disciplina, piuttosto che introdurre una normativa derogatoria in materia di obbligo contributivo, non fa che limitarsi a disciplinare una modalità particolare per la presentazione della domanda e per l’espletamento del relativo procedimento di rilascio del titolo edilizio, con previsioni agevolative ai fini dell’implementazione e dello sviluppo delle attività produttive; ad ogni modo, non risulta neppure ipotizzabile una previsione di esonero totale dal contributo straordinario, atteso che la riserva di cui al comma 4-bis dell’art. 16, d.P.R. n. 380 del 2001 (“fatte salve le diverse disposizioni”), facendo riferimento solo a “quanto previsto al secondo periodo della lett. d-ter del comma 4”, riconosce alle legislazioni regionali ed agli strumenti urbanistici generali comunali un ambito di operatività limitato ai contenuti indicati in tale disposizione, individuabili esclusivamente nella percentuale di ripartizione, nelle modalità di versamento del contributo perequativo e nelle finalità di utilizzo (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 12.04.2019 n. 2382 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).
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SENTENZA
1. Con ricorso dinanzi al Tar Veneto (R.G. n. 1330/2017), la società Ga. s.p.a., impugnava, chiedendone l’annullamento, il provvedimento del Comune di Mirano del 31.07.2017 con il quale il dirigente del Servizio edilizia privata convenzionata dell’Area 2 comunicava che il rilascio del permesso di costruire per l’ampliamento di un fabbricato industriale in viale ... 27 era subordinato al pagamento di un contributo ai sensi dell’art. 16, comma 4, lett. d-ter), d.P.R. 06.06.2001 n. 380 di euro 346.828,40.
Chiedeva inoltre disporsi l’accertamento della non debenza di tale contributo, nonché la condanna al risarcimento del danno derivato dal ritardo nel rilascio di detto permesso di costruire.
2. Il Tar Veneto, Sezione II, dopo aver invitato il Comune -con ordinanza del 16.02.2018- a depositare in giudizio la perizia di stima del 31.07.2017 con la quale era stato determinato il maggior valore dell’area ai fini della applicazione dell’art. 16, comma 4, lett. d-ter), d.P.R. n. 380/2001, ha respinto –con sentenza 11.04.2018 n. 382- il ricorso ritenendo che la richiesta del contributo in tal modo calcolato sarebbe stata giustificata dal fatto che l’intervento edilizio richiesto comportava una variante urbanistica.
Secondo il Tribunale, in particolare, l’art. 16, comma 4, lett. d-ter), d.P.R. n. 380/2001 fa riferimento ad ogni ipotesi di variante urbanistica, quindi anche a quelle approvate con la procedura dello sportello unico.
6. L’appello è infondato e deve pertanto essere respinto.
7. Con l’unico motivo di appello viene sostanzialmente riproposta la censura avanzata dalla società nel primo grado di giudizio, con cui si sostiene che l’intervento edilizio richiesto ed assentito dal Comune non dovrebbe essere assoggettato al contributo straordinario perequativo di cui all’art. 16, comma 4, lett. d-ter), d.P.R. n. 380/2001 in quanto il titolo che lo assisteva era stato rilasciato ai sensi del dell’art. 7 d.P.R. 07.09.2010, n. 160, norma speciale che non prevede la possibilità di procedere alla richiesta in questione.
In particolare, ad avviso dell’appellante, l’intervento richiesto sfuggirebbe all’applicazione del d.P.R. n. 380/2001, in quanto il decreto n. 160/2010, avendo un ambito di applicazione più ristretto rispetto a quello del decreto n. 380/2001 che disciplina l’attività edilizia in generale, costituirebbe normativa speciale (e sopravvenuta). Pertanto, nel caso di specie l’intervento non sarebbe assoggettabile al pagamento del contributo richiesto, in quanto, il d.P.R. n. 160/2010, unica normativa applicabile, non prevede alcuna corresponsione di contributo in sede di rilascio del titolo abilitante la realizzazione dell’intervento produttivo, nemmeno ove esso si ponga in variante allo strumento urbanistico vigente.
7.1. La censura non è meritevole di accoglimento.
7.2. Premettendo una breve ricostruzione dei fatti posti alla base del provvedimento impugnato, si rammenta che:
   i) in data 28.11.2012 la società Ga. s.p.a. presentava al Comune di Mirano domanda per l’avvio della procedura SUAP (Sportello Unico per le Attività Produttive), ai sensi degli artt. 7 e segg. d.P.R. 07.09.2010 n. 160, al fine di ottenere il provvedimento conclusivo del procedimento unico in variante allo strumento urbanistico per la realizzazione di un ampliamento del fabbricato industriale sito in viale Venezia n. 27 adibito all’attività produttiva svolta dalla stessa;
   ii) nella conferenza di servizi decisoria, tenutasi il 27.06.2013 e conclusasi l’11.07.2013, veniva rilasciato il parere favorevole alla approvazione del progetto comportante la variante urbanistica allo strumento urbanistico con annessa convenzione; variante che, con deliberazione n. 53 del 18.07.2013, veniva approvata dal Consiglio Comunale;
   iii) con nota del 30.05.2016 l’Amministrazione comunicava l’avvio del procedimento di decadenza della variante urbanistica approvata con la predetta deliberazione del Consiglio Comunale;
   iv) con nota inviata il 21.12.2016 il Comune faceva presente di ritenere che il rilascio del provvedimento conclusivo del procedimento unico dovesse essere accompagnato dalla corresponsione di un contributo straordinario ai sensi dell’art. 16, comma 4, lett. d-ter), d.P.R. 06.06.2001, n. 380 commisurato all’aumento del valore del terreno;
   v) con provvedimento del 31.07.2017 il dirigente del Servizio edilizia privata convenzionata dell’Area 2 del Comune di Mirano subordinava il rilascio del permesso di costruire al pagamento di detto contributo, per un importo che, in base al maggior valore dell’immobile conseguito dalla variante urbanistica, ammonta ad euro 346.828,40, nonché alla sottoscrizione di convenzione urbanistica.
7.3. Ciò considerato, il Collegio rammenta che,
ai sensi dell’art. 16 (“Contributo per il rilascio del permesso di costruire”), del d.P.R. n. 380/2001, “Salvo quanto disposto dall'articolo 17, comma 3, il rilascio del permesso di costruire comporta la corresponsione di un contributo commisurato all'incidenza degli oneri di urbanizzazione nonché al costo di costruzione”.
È pertanto previsto, ai fini del rilascio del titolo, il pagamento obbligatorio di un contributo, comunemente ritenuto un corrispettivo di natura non tributaria a titolo di partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione in proporzione all’insieme di benefici che la nuova costruzione consegue ovvero una compartecipazione del privato alla spesa pubblica occorrente alla realizzazione delle opere di urbanizzazione
(cfr. Cons. Stato, Ad. plen., 30.08.2018, n. 12; Cons. Stato, Sez. IV, 27.02.2018, n. 1187).
Va dato atto, peraltro, che secondo la previsione del quarto comma del medesimo articolo: “l'incidenza degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria è stabilita con deliberazione del consiglio comunale in base alle tabelle parametriche che la regione definisce per classi di comuni in relazione: … d-ter) alla valutazione del maggior valore generato da interventi su aree o immobili in variante urbanistica, in deroga o con cambio di destinazione d'uso. Tale maggior valore, calcolato dall'amministrazione comunale, è suddiviso in misura non inferiore al 50 per cento tra il comune e la parte privata ed è erogato da quest'ultima al comune stesso sotto forma di contributo straordinario, che attesta l'interesse pubblico, in versamento finanziario, vincolato a specifico centro di costo per la realizzazione di opere pubbliche e servizi da realizzare nel contesto in cui ricade l'intervento, cessione di aree o immobili da destinare a servizi di pubblica utilità, edilizia residenziale sociale od opere pubbliche”.
Viene in tal modo previsto, più che un criterio di calcolo degli oneri di urbanizzazione “ordinari”, un ulteriore onere rapportato all’aumento di valore che le aree e gli immobili hanno conseguito per effetto di varianti urbanistiche, deroghe o mutamenti di destinazione d’uso. Si tratta, pertanto, di un “contributo straordinario” diverso ed aggiuntivo rispetto agli oneri di urbanizzazione, che va ad aggiungersi nei casi in cui a monte dell’intervento vi sia stata una determinata scelta pianificatoria di natura eccezionale.
Peraltro, con riferimento a quanto previsto dal secondo periodo della citata lettera d-ter, il comma 4-bis prevede altresì che “sono fatte salve le diverse disposizioni delle legislazioni regionali e degli strumenti urbanistici generali comunali”.
Ai sensi del quinto comma, infine, “Nel caso di mancata definizione delle tabelle parametriche da parte della regione e fino alla definizione delle tabelle stesse, i comuni provvedono, in via provvisoria, con deliberazione del consiglio comunale, secondo i parametri di cui al comma 4, fermo restando quanto previsto dal comma 4-bis”.
7.3.1. Parallelamente, occorre considerare che, ai sensi dell'articolo 38, comma 3, del decreto-legge 25.06.2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 06.08.2008, n. 133, è stato adottato il d.P.R. 07.09.2010, n. 160 “regolamento per la semplificazione ed il riordino della disciplina sullo sportello unico per le attività produttive” che, all’art. 8 (rubricato “Raccordi procedimentali con strumenti urbanistici”), prevede la possibilità per l'interessato, nei comuni in cui lo strumento urbanistico non individua aree destinate all'insediamento di impianti produttivi o individua aree insufficienti (fatta salva l'applicazione della relativa disciplina regionale), di richiedere al responsabile del SUAP la convocazione di apposita conferenza di servizi.
Si prevede altresì che, nel caso in cui l’esito della conferenza di servizi comporti la variazione dello strumento urbanistico, ed ove sussista l'assenso della Regione espresso in quella sede, il verbale viene sottoposto alla votazione del Consiglio comunale per l’approvazione.
7.4. Alla luce di tale compendio normativo, risulta al Collegio che il Comune di Mirano abbia fatto corretta applicazione della richiamata disciplina,
dovendo escludersi che l’art. 8 del d.P.R. n. 160/2010 costituisca norma speciale derogatoria e pertanto che, essendo quest’ultima priva di una previsione in merito alla esistenza dell’obbligo contributivo, sia intenzionalmente diretta ad impedirne la vigenza. Invero:
   a)
la previsione dell’obbligo di contribuzione di cui all’art. 16, comma 4, lett. d-ter, d.P.R. n. 380/01, sebbene –come visto– di carattere straordinario, presenta nella materia edilizia un’applicazione generalizzata;
   b) del resto,
nella disciplina dell’art. 8 del d.P.R. n. 160/2010, invocata dall’appellante, risulta assente una espressa previsione in ordine all’esclusione dell’applicabilità al procedimento Suap del prelievo contributivo, necessaria al fine di ritenere integrato il criterio di specialità;
   c) così come,
la medesima disciplina, piuttosto che introdurre una normativa derogatoria in materia di obbligo contributivo, non fa che limitarsi a disciplinare una modalità particolare per la presentazione della domanda e per l’espletamento del relativo procedimento di rilascio del titolo edilizio, con previsioni agevolative ai fini dell’implementazione e dello sviluppo delle attività produttive;
   d) ad ogni modo,
non risulta neppure ipotizzabile una previsione di esonero totale dal contributo straordinario, atteso che la riserva di cui al comma 4-bis dell’art. 16 d.PR. n. 380/2001 (“fatte salve le diverse disposizioni”), facendo riferimento solo a “quanto previsto al secondo periodo della lett. d-ter del comma 4”, riconosce alle legislazioni regionali ed agli strumenti urbanistici generali comunali un ambito di operatività limitato ai contenuti indicati in tale disposizione, individuabili esclusivamente nella percentuale di ripartizione, nelle modalità di versamento del contributo perequativo e nelle finalità di utilizzo.
7.5. Deve pertanto concludersi che
al rilascio del permesso di costruire, intervenuto in seguito all’approvazione della variante urbanistica SUAP, trova applicazione, anche nella Regione Veneto, l’obbligo di pagamento del contributo straordinario generato dal maggior valore dell’area. L’art. 16, comma 4, lett. d-ter), d.P.R. n. 380/2001, invero, trova applicazione indistintamente per tutti i procedimenti che comportano un maggior valore generato dall’area da interventi su aree o immobili in variante urbanistica, non facendo eccezione quello tenuto mediante attivazione del procedimento SUAP.
7.5.1. Del resto, in questo senso depone anche il tenore della circolare regionale Veneto n. 1 del 20.01.2015 (“procedure urbanistiche semplificate di sportello unico per le attività produttive e disposizioni in materia urbanistica, di edilizia residenziale pubblica”, in B.U.R. n. 13 del 03.02.2015), esplicativa della l.r. Veneto n. 55/2012 in materia di SUAP, secondo cui anche in ipotesi di permesso a costruire rilasciato dal SUAP in variante al PRG su area da trasformarsi da agricola in destinazione produttiva, occorre condizionare il rilascio alla sottoscrizione della convenzione e dell’ottemperanza a tutte le condizioni e prescrizioni nella stessa fissate, “nonché della corretta corresponsione del pagamento del contributo di costruzione ex art. 16 del DPR 380/2001 secondo gli importi e le modalità fissati dal Comune”.
8. In conclusione, in ragione di quanto esposto, l’appello deve essere respinto.

marzo 2019

EDILIZIA PRIVATA: Il Collegio rileva come nelle controversie attinenti alla determinazione e alla liquidazione del contributo per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione l'azione volta alla declaratoria del diritto dell'interessato alla restituzione delle somme indebitamente versate può essere proposta a prescindere dall'impugnazione o dall'esistenza dell'atto con cui viene negato il rimborso, trattandosi di giudizio di accertamento di un rapporto obbligatorio pecuniario sottratto ai termini di decadenza previsti per l’impugnazione del provvedimento amministrativo.
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Il contributo per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione per le opere oggetto di una concessione in variante dev’essere calcolato sommando le opere dei due titoli edilizi assentiti (concessione originaria e variante), scomputando quanto già pagato al momento del rilascio del titolo originario.
Per la concessione in variante, però, la quota percentuale della parte del contributo commisurato al costo di costruzione delle opere ad essa riferite deve essere calcolata con riferimento alle norme vigenti al momento del rilascio della variante stessa e, come detto, limitatamente alle opere che ne costituiscono oggetto, escludendo cioè quelle già considerate (e quantificate) al momento del rilascio della concessione originaria.
Con la concessione in variante il Comune deve quindi determinare, in via di conguaglio gli oneri e il corrispondente contributo non in relazione all'intero complesso in via di realizzazione, ma con riferimento alle sole opere nuove e ulteriori volumetrie assentite con la concessione in variante, da calcolare sulla base del nuovo parametro vigente al momento del rilascio del titolo in variante.
Sulla complessiva somma dovuta per oneri, da quantificarsi come sopra, va poi scorporata la somma già versata dalla società ricorrente.
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... per l'annullamento dell'ingiunzione di pagamento prot. 13731 del 13.05.2015 con la quale il Comune di Campobasso ha intimato alla ricorrente di pagare la somma integrativa di euro 141.968,10 a titolo di rate di oneri di urbanizzazione, monetizzazione degli standard, sanzioni per ritardato pagamento e interessi legali, preavvertendo che in caso di mancata percezione della suddetta somma procederà alla riscossione coattiva della stessa, di ogni atto presupposto, connesso e/o conseguente nonché per la condanna del Comune di Campobasso alla restituzione delle somme corrisposte dalla ricorrente in eccedenza rispetto a quanto dovuto a titolo di oneri di urbanizzazione costo di costruzione e monetizzazione degli standard afferenti l'intervento edilizio approvato con il permesso di costruire n. 61 del 07.06.2010, poi modificato con plurime varianti.
...
La Ed.Ed.Im. srl otteneva, in data 07.06.2010, il permesso di costruire n. 61/2010 per la realizzazione di un fabbricato destinato ad attività ricettiva–residence in Campobasso alla via ....
Successivamente con permesso di costruire n. 32 del 02.02.2011, SCIA prot. n. 17267 del 10.08.2012, SCIA prot. 24551 del 10.9.2014 e permesso di costruire n. 100 del 18.09.2014 venivano autorizzate una serie di varianti al fine di procedere al cambio di destinazione d’uso dell’intero edificio in residenziale, ad eccezione di parte del primo piano che manteneva la destinazione turistica; si procedeva, poi, alla modifica della sistemazione esterna del fabbricato e di alcuni impianti ed elementi interni.
Da ultimo, con permesso di costruire n. 100 del 18.09.2014 il Comune accordava la modifica del sottotetto ed il suo recupero a fini residenziali.
A questo punto, con il provvedimento n. 22416 del 26.10.2012, il Comune disponeva che per il cambio di destinazione d’uso assentito con la predetta SCIA la ricorrente doveva corrispondere una quota integrativa degli oneri di urbanizzazione pari ad euro 35.776,92 ed una quota di costo di costruzione pari ad euro 587,57.
Successivamente, con il provvedimento prot. n. 13731 del 13.05.2015 il Comune ingiungeva alla ricorrente il pagamento della somma di euro 141.968,10 a titolo di ratei per oneri di urbanizzazione e monetizzazione standard non pagati, oltre a sanzioni ed interessi.
...
Il ricorso è fondato per le considerazioni che seguono.
Come già sopra rilevato, la presente controversia si incentra sull’assunto della società ricorrente secondo cui gli oneri già corrisposti per la destinazione ricettivo-alberghiera dell’immobile sarebbero superiori a quelli dovuti per la nuova destinazione residenziale ottenuta grazie alle previsioni del c.d. piano casa sicché non vi sarebbe alcuna somma ulteriore da versare quanto piuttosto un credito restitutorio per la differenza versata in eccedenza.
Più nel dettaglio, a seguito del cambio di destinazione d’uso del fabbricato da ricettivo-alberghiero a residenziale, il Comune aveva erroneamente rideterminato in eccesso sia il costo di costruzione che gli oneri di urbanizzazione dovuti; anche la monetizzazione degli standard era stata determinata in maniera errata in quanto il Comune non aveva considerato né le aree già vincolate dalla ricorrente né gli standard già previsti dal PRG per la zona di intervento; non le era stato, infine, consentito di cedere, ove occorrenti, le ulteriori aree nella sua disponibilità.
Il Comune, all’opposto, riteneva dovuti gli oneri di urbanizzazione e il costo di costruzione per il cambio di destinazione d’uso, senza possibilità di compensazioni con quanto precedentemente corrisposto, a motivo della natura speciale e derogatoria del c.d. piano casa.
Più nel dettaglio, per il cambio di destinazione d’uso del fabbricato sarebbe stato correttamente applicato il coefficiente relativo al mutamento di destinazione d’uso (euro 21,22 mq) in luogo di quello relativo a nove costruzioni per una superficie da calcolarsi correttamente in 1,686 mq. Anche l’importo richiesto per la monetizzazione degli standard sarebbe corretto atteso che l’edificio di cui è causa ricade in zona modificata da verde pubblico a zona a servizi generali cittadini che, una volta utilizzata per la costruzione di abitazioni private, cesserebbe la funzione di supporto al PRG; inoltre, a fronte della nuova destinazione residenziale –abitativa dovrebbero necessariamente essere reperite e cedute le aree a standard alla collettività ai sensi dell’art 3 del D.M. n. 1444/1968.
Ciò premesso, il Collegio, nel ribadire quanto già rilevato con propria sentenza non definitiva circa l’infondatezza delle eccezioni preliminari sollevate dal Comune, rileva come nelle controversie attinenti alla determinazione e alla liquidazione del contributo per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione l'azione volta alla declaratoria del diritto dell'interessato alla restituzione delle somme indebitamente versate può essere proposta a prescindere dall'impugnazione o dall'esistenza dell'atto con cui viene negato il rimborso, trattandosi di giudizio di accertamento di un rapporto obbligatorio pecuniario sottratto ai termini di decadenza previsti per l’impugnazione del provvedimento amministrativo (TAR L’Aquila, sez. I, 29.12.2017 n. 610).
Nel merito, giova, invece, rammentare che, ai sensi dell’art. 16 del d.P.R. n. 380/2001 e salvo quanto disposto all'articolo 17, comma 3, il rilascio del permesso di costruire comporta normalmente la corresponsione di un contributo commisurato all’incidenza degli oneri di urbanizzazione nonché al costo di costruzione, secondo le modalità indicate nel suddetto articolo.
La quota di contributo relativa agli oneri di urbanizzazione va, inoltre, corrisposta al Comune all'atto del rilascio del permesso di costruire e, su richiesta dell’interessato, può essere rateizzata.
La legge regionale Molise 11.12.2009 n. 30, infine, prevede all’art. 9, co. 3, che è dovuto per intero il contributo per gli oneri di urbanizzazione per gli interventi di mutamento di destinazione d'uso di cui all'articolo 2, commi 9 e 10, ed all'articolo 3, comma 6.
Da tale disposizione l’amministrazione resistente parrebbe trarre la conclusione che quanto già versato per gli oneri di urbanizzazione non debba essere computato e debba, invece, essere calcolato per intero il costo di costruzione e gli oneri di urbanizzazione delle varianti, senza tener conto di quanto già pagato per il progetto originario; parte ricorrente ritiene invece che l’importo da versare non possa prescindere dal conguaglio con quanto già versato, con conseguente diritto alla ripetizione in caso di conguaglio positivo.
Tra le due impostazioni il Tribunale ritiene che quest’ultima sia quella corretta.
Il Collegio aderisce infatti all’impostazione giurisprudenziale preferibile secondo cui <<il contributo per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione per le opere oggetto di una concessione in variante dev’essere calcolato sommando le opere dei due titoli edilizi assentiti (concessione originaria e variante), scomputando quanto già pagato al momento del rilascio del titolo originario. Per la concessione in variante, però, la quota percentuale della parte del contributo commisurato al costo di costruzione delle opere ad essa riferite deve essere calcolata con riferimento alle norme vigenti al momento del rilascio della variante stessa e, come detto, limitatamente alle opere che ne costituiscono oggetto, escludendo cioè quelle già considerate (e quantificate) al momento del rilascio della concessione originaria. Con la concessione in variante il Comune deve quindi determinare, in via di conguaglio gli oneri e il corrispondente contributo non in relazione all'intero complesso in via di realizzazione, ma con riferimento alle sole opere nuove e ulteriori volumetrie assentite con la concessione in variante, da calcolare sulla base del nuovo parametro vigente al momento del rilascio del titolo in variante. Sulla complessiva somma dovuta per oneri, da quantificarsi come sopra, va poi scorporata la somma già versata dalla società ricorrente>> (cfr. TAR Sardegna, sez. II, 28.11.2013, n. 780).
Diversamente argomentando, ritenendo cioè che per effetto delle varianti richieste ed ottenute a norma del Piano casa, la ricorrente avrebbe dovuto pagare nuovamente e per intero tutti gli oneri di urbanizzazione senza computare quelli già corrisposti, significherebbe riconoscere alla previsione della legge regionale una portata sanzionatoria che essa invece obiettivamente non presenta, come confermato dall’art. 1 della legge della Regione Molise 11.12.2009, n. 30 a mente del quale: <<La Regione promuove misure straordinarie per il sostegno del settore edilizio, attraverso interventi finalizzati al miglioramento della qualità abitativa, per preservare, mantenere, ricostruire e rivitalizzare il patrimonio edilizio esistente, promuovere l'edilizia economica per le giovani coppie e le categorie svantaggiate e meno abbienti e l'edilizia scolastica nonché per migliorare le caratteristiche architettoniche, energetiche, tecnologiche e di sicurezza dei fabbricati>>.
Le disposizioni premiali di cui alla citata normativa hanno carattere straordinario e rispondono alla dichiarata finalità di riqualificare il patrimonio edilizio e contrastare la grave crisi economica e di tutelare i livelli occupazionali attraverso il rilancio delle attività edilizie, da attuare sui singoli edifici, in deroga agli strumenti urbanistici vigenti, in relazione ad un arco di tempo limitato, con casi di esclusione ben determinati (cfr. TAR Campania, sez. II, n. 1502/2013).
Stando così le cose una previsione che imponesse a chi intenda giovarsi della premialità prevista dalla legge di pagare nella sostanza due volte i medesimi oneri di urbanizzazione, si porrebbe in aperto contrasto con la finalità agevolativa e non sanzionatoria sottesa all’intervento normativo in considerazione.
Ne consegue che, in accoglimento di quanto prospettato da parte ricorrente, gli oneri di urbanizzazione e il costo di costruzione corrisposti al Comune devono essere computati nel calcolo dei corrispondenti oneri dovuti per il cambio di destinazione d’uso e, ove eccedenti rispetto a quanto dovuto per la destinazione d’uso residenziale abitativa, devono in parte qua essere restituiti alla ricorrente. In merito, la ricorrente ritiene correttamente dovuti oneri di urbanizzazione per un importo complessivo di euro 104.018,68 a fronte della somma di euro 136.703,69 indebitamente pagata all’Amministrazione invocando, quindi, il diritto alla restituzione di quanto pagato in eccesso per euro 32.688,01.
La ricorrente chiede, infine, la restituzione delle sanzioni e degli interessi pretesi indebitamente dal Comune in relazione ad una somma che il Comune avrebbe dovuto restituire per l’eccedenza anziché indebitamente pretendere.
Sul punto, il Collegio non ravvisa ragioni per discostarsi dalle risultante della relazione di verificazione all’uopo depositata dalla quale è emerso che la somma complessivamente dovuta dalla ricorrente, tenendo conto delle varianti introdotte al progetto originario, con particolare riferimento al parziale cambio di destinazione d’uso da ricettivo-alberghiero in residenziale-abitativo disposto con SCIA prot. 17267/2012, ammonta ad euro 146,453,82 (di cui euro 105.912,21 per oneri di urbanizzazione primaria e secondaria ed euro 40.541,61 per costo di costruzione): dal che deriva che, essendo stati già versati euro 194.853, 42, comprensivi di euro 4.924,26 per oneri di urbanizzazione ex SCIA n. 17267/2012, la somma in eccesso corrisposta dalla Ed.Ed. ammonta ad euro 48.399,60.
Pertanto in questi termini il ricorso deve essere accolto e, per l’effetto, deve dichiararsi il diritto di parte ricorrente a vedersi restituita la somma versata in eccesso sia a titolo di oneri di urbanizzazione che a titolo costo di costruzione; il Comune di Campobasso deve, quindi, essere condannato alla restituzione, in favore di parte ricorrente, della somma di euro 48.399,60 corrispondente a quanto versato a titolo di oneri di urbanizzazione e costo di costruzione non dovuti cui andranno aggiunte le ulteriori rate che nelle more del giudizio la ricorrente abbia versato ove debitamente comprovate e documentate.
Parimenti, il Comune dovrà restituire quanto indebitamente corrisposto dalla ricorrente a titolo di sanzioni ed interessi legali non essendo questi più dovuti in presenza di una somma dalla stessa versata in eccedenza. Il tutto dovrà, infine, essere maggiorato degli interessi legali e rivalutazione monetaria dalla data del versamento sino al soddisfo (TAR Molise, sentenza 14.03.2019 n. 107 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

febbraio 2019

EDILIZIA PRIVATA: Alla Corte costituzionale la norma veneta che prevede la riscossione del contributo di costruzione solo se determinato contestualmente al rilascio del titolo.
Il Tar per il Veneto rimette alla Corte costituzionale la q.l.c. della norma regionale veneta (art. 2, comma 3, l.r. 16.03.2015, n. 4) che, nel prevedere la possibilità per l’ente locale di riscuotere il contributo di costruzione solo se determinato contestualmente al rilascio del titolo, impedisce retroattivamente le azioni necessarie alla riscossione delle richieste di conguaglio il cui importo non è stato determinato contestualmente al rilascio del titolo.
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Il Tar per il Veneto rimette alla Corte costituzionale la q.l.c. della norma regionale veneta (art. 2, comma 3, l.r. 16.03.2015, n. 4) che, nel prevedere la possibilità per l’ente locale di riscuotere il contributo di costruzione solo se determinato contestualmente al rilascio del titolo, impedisce retroattivamente le azioni necessarie alla riscossione delle richieste di conguaglio il cui importo non è stato determinato contestualmente al rilascio del titolo.
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Edilizia – Legge regionale – Contributo per il rilascio del permesso di costruire – Questione non manifestamente infondata di costituzionalità
È rilevante e non manifestamente infondata, in relazione agli artt. 3, 5, 97, 114, 117, 118 e 119 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 3, della Legge Regionale della Regione Veneto 16.03.2015, n. 4, nella parte in cui prevede che resta fermo quanto già determinato dal comune, in relazione alla quota del costo di costruzione, solo qualora la determinazione del contributo sia avvenuta all’atto del rilascio del permesso di costruire e non con una successiva richiesta di conguaglio (1).
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   (1) I. – Con l’ordinanza in epigrafe, il Tar per il Veneto ha rimesso alla Corte costituzionale, in relazione agli artt. 3, 5, 97, 114, 117, 118 e 119 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale della disciplina del contributo di costruzione contenuta nell’art. 2, comma 3, della legge regionale della Regione Veneto 16.03.2015, n. 4, nella parte in cui introduce un regime differenziato e derogatorio della disciplina statale di cui all’art. 16, comma 9, d.p.r. n. 380 del 2001 (t.u. edilizia).
In particolare, l’art. 16, comma 9, del citato d.p.r. prevede, con una norma cedevole, che le disposizioni del testo unico, attuative dei principi di riordino in esso contenuti, operano direttamente nei riguardi delle regioni a statuto ordinario, fino a quando esse non si adeguano ai principi medesimi. Con l’art. 2, comma 3, della legge veneta del 2015, il legislatore regionale è intervenuto sul regime anteriore all’entrata in vigore della medesima legge regionale e, quindi, sulla disciplina transitoria di fonte regionale prevedendo che il contributo di costruzione determinato dal comune rimanga fermo solo qualora la determinazione del contributo sia avvenuta all’atto del rilascio del permesso di costruire e non con una successiva richiesta di conguaglio.
Nel caso di specie, il Comune resistente, nel 2014, rettificava la determinazione del contributo di costruzione stabilito nel 2008. Con l’atto introduttivo del giudizio, la società ricorrente chiedeva, tra l’altro, sulla base della l.r. n. 4 del 2015, l’accertamento negativo del diritto del Comune di pretendere il conguaglio del costo di costruzione e l’annullamento dell’atto di intimazione emanato.
   II. – Premessa la ricostruzione del quadro normativo di riferimento, il Collegio osserva che:
      a) la controversia in ordine alla spettanza e alla liquidazione del contributo per gli oneri di urbanizzazione ha ad oggetto l’accertamento di un rapporto di credito e non è, pertanto, soggetta alle regole delle azioni impugnatorie–annullatorie degli atti amministrativi e ai rispettivi termini di decadenza;
      b) in relazione alla rilevanza della q.l.c. ai fini della definizione del giudizio,
         b1) l’art. 2, comma 3, l.r. Veneto, 16.03.2015, n. 4, prevede che “Resta fermo quanto già determinato dal comune, in relazione alla quota del costo di costruzione, prima dell'entrata in vigore della presente legge in diretta attuazione del comma 9 dell'articolo 16 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, purché la determinazione sia avvenuta all'atto del rilascio del permesso di costruire e non con una successiva richiesta di conguaglio”;
         b2) la richiesta di conguaglio è stata inviata dall’amministrazione il 04.12.2014 e la legge regionale è entrata in vigore il 04.04.2015;
         b3) tuttavia, la disposizione, pur non qualificandosi espressamente come retroattiva, deve ritenersi applicabile anche ai casi in cui la richiesta di conguaglio da parte dell’amministrazione sia stata effettuata prima della sua entrata in vigore;
         b4) infatti, con essa, il legislatore regionale, nel mantenere ferme le sole determinazioni con cui si è fatta diretta applicazione della normativa statale che siano avvenute contestualmente al rilascio del permesso di costruire e non con successivi conguagli, ha escluso l’ammissibilità del conguaglio che miri a recuperare l’importo del contributo nella misura minima prevista dalla legislazione statale se non contestuale al rilascio del titolo edilizio;
         b5) la norma ha pertanto portata retroattiva, nel senso che inibisce il conguaglio non contestuale al rilascio del titolo edilizio anche se la relativa richiesta, come nel caso di specie, è avvenuta anteriormente all’entrata in vigore della legge regionale del 2015;
      c) sempre in punto di rilevanza, la norma non appare suscettibile di alcuna interpretazione costituzionalmente orientata atteso che essa esclude espressamente l’applicazione della disposizione di principio di fonte statale per i rapporti conseguenti alle determinazioni e liquidazioni del contributo che siano state erroneamente effettuate, impedendo, così, l’applicazione diretta della norma di principio dettata dal legislatore statale in materia di legislazione concorrente a tutela di esigenze unitarie di prelievo e violando l’autonomia di entrata e di spesa dei Comuni;
      d) vi sono dubbi sulla compatibilità costituzionale della norma in relazione agli artt. 3, 5, 117, terzo comma, 119, primo, secondo e quarto comma della Costituzione, in quanto:
         d1) con l’art. 2, comma 3, l.r. n. 4 del 2015, il legislatore ha esercitato la propria potestà legislativa in violazione della norma di principio contenuta nell’art. 16, comma 9, d.p.r. n. 380 del 2001, così violando l’art. 117, terzo comma, ultimo periodo, Cost., che riserva al legislatore statale la determinazione dei principi fondamentali delle materie di legislazione concorrente; il legislatore regionale ha, infatti, disciplinato i rapporti ancora pendenti sorti nel periodo vigente anteriormente alla sua entrata in vigore sottraendo all’applicazione della norma statale quei rapporti in cui, all’atto del rilascio del titolo, l’amministrazione erroneamente aveva omesso di dare applicazione della norma statale di principio;
         d2) l’art. 16, comma 9, d.p.r. n. 380 del 2001, nel dettare i criteri di determinazione del contributo di costruzione, contribuisce a definire il contenuto dell’onere economico gravante sul soggetto che intenda esercitare lo ius aedificandi, così concorrendo a determinare l’effettiva portata e la caratterizzazione positiva del principio di onerosità del permesso di costruire, che, secondo la giurisprudenza costituzionale, costituisce un principio fondamentale della materia di competenza concorrente “governo del territorio”; “la disposizione di cui al comma 9 dell’art. 16 DPR 380/2001, nella parte in cui individua i parametri per la determinazione del contributo, nella sua componente relativa al costo di costruzione, appare riconducibile a tale categoria di norme di principio, poiché concorrendo a definire il contenuto dell’onere economico gravante sul soggetto che intenda esercitare lo ius aedificandi, ne integra un aspetto essenziale”;
         d3) l’art. 16, comma 9, d.p.r. n. 380 del 2001, costituisce anche principio di coordinamento della finanza pubblica ai sensi dell’art. 119, secondo comma, Cost. e dell’art. 117, terzo comma, Cost., in quanto la definizione di criteri uniformi di determinazione della prestazione imposta per l’intero territorio nazionale mira, da un lato, a garantire a tutti i cittadini parità di condizioni nell’esercizio dello ius aedificandi, dall’altro, ai Comuni una quota minima di compartecipazione ai benefici derivanti dall’esercizio dell’attività edificatoria; il contributo di costruzione costituisce, per la giurisprudenza maggioritaria, un corrispettivo di diritto pubblico, avente carattere generale e non tributario di cui è titolare il Comune che rilascia il titolo edilizio, rientrando, quindi, nel novero delle risorse autonome di cui i Comuni, secondo quanto prevede l’art. 119, secondo comma, Cost., sono titolari; alle disposizioni di legge statale che definiscono i criteri per la quantificazione delle prestazioni imposte spettanti ai Comuni dovrebbe riconoscersi natura di principi di coordinamento della finanza pubblica, poiché anche da esse dipende l’autonomia di entrata e di spesa riconosciuta agli enti territoriali, nonché la concreta possibilità di assolvere alle funzioni ad essi attribuite, atteso che il quarto comma dell’art. 119 Cost., esclude che essi possano ricevere, in via ordinaria, ulteriori risorse rispetto a quelle previste dal medesimo articolo;
         d4) l’art. 16, comma 9, d.p.r. n. 380 del 2001, nel prevedere che “Le disposizioni, anche di dettaglio, del presente testo unico, attuative dei principi di riordino in esso contenuti operano direttamente nei riguardi delle regioni a statuto ordinario, fino a quando esse non si adeguano ai principi medesimi”, contiene una disciplina transitoria e cedevole, mediante la quale le disposizioni di dettaglio, attuative di norme di principio contenute nel medesimo d.p.r. trovano immediata applicazione fino all’adeguamento da parte delle Regioni; le norme statali di dettaglio, espressione di principi generali, mirano ad evitare che l’inerzia regionale ponga nel nulla l’individuazione dei principi fondamentali delle materie di legislazione concorrente, che è riservata al legislatore statale, così preservando la suddetta riserva e garantendo l’uniforme disciplina nazionale in conformità con gli stessi; l’art. 2, comma terzo, l.r. n. 4 del 2015, introducendo un regime differenziato di determinazione del contributo di costruzione rispetto a quello applicabile sull’intero territorio nazionale per talune fattispecie (quelle per le quali il contributo fosse stato determinato secondo parametri diversi da quello minimo previsti dall’art. 16, comma 9, d.p.r. n. 380 del 2001), si è posto contro quelle esigenze di uniforme regolamentazione presidiate dagli artt. 118, commi primo e quinto, della Costituzione, rendendo definitiva la violazione della norma di principio che il mancato tempestivo adeguamento della legislazione regionale aveva prodotto;
         d5) la disposizione regionale, escludendo che i Comuni possano pretendere con una richiesta di conguaglio il pagamento del contributo nella misura minima prevista dalla legge statale, incide e viola il principio di equiordinazione tra enti territoriali previsto dall’art. 114 Cost., nonché l’autonomia di entrata e di spesa riconosciuta ai Comuni dall’art. 119, commi primo, secondo e quarto, Cost., e il principio di buona amministrazione previsto dall’art. 97 Cost.; la norma regionale, in particolare, nell’escludere il diritto dei Comuni di pretendere il pagamento del contributo nella misura determinata dalla legge statale, incide su un credito già acquisito al patrimonio comunale per effetto del rilascio del permesso di costruire, viola l’autonomia di entrata e di spesa riservata ai Comuni e impedisce ai Comuni di far valere e riscuotere nella loro interezza crediti già acquisiti al patrimonio in assenza di alcuna valutazione sulla sostenibilità economica di tale rinuncia;
         d6) la norma invade, inoltre, la sfera di potestà legislativa esclusiva nella disciplina dell’ordinamento civile riservata al legislatore statale dall’art. 117, secondo comma, lett. l), Cost.; infatti, con la disposizione in esame il legislatore statale ha dettato una disciplina speciale per gli atti di determinazione e liquidazione del contributo di costruzione già emessi, sottraendo ai Comuni il potere di rideterminare l’importo già liquidato in base alla disciplina regionale previgente, prendendo posizione sulla natura, autoritativa o paritetica, degli atti con cui l’amministrazione determina e liquida l’importo del contributo di costruzione e sull’ammissibilità, e le relative condizioni, della rideterminazione del suddetto importo.
In particolare, la legge regionale ha manifestato una chiara opzione per la tesi che esclude la modificabilità della liquidazione del contributo di costruzione effettuata dal Comune contestualmente al rilascio del titolo; i rapporti obbligatori, già instaurati alla data della sua entrata in vigore, vengono sottoposti a una disciplina peculiare, mediante la quale la pretesa creditoria del Comune viene ridotta nel quantum rispetto al suo contenuto legale, ove non esercitata in tale misura fin dal momento della sua originaria quantificazione ed è riconosciuta una tutela dell’affidamento del privato del tutto avulsa dalla verifica dei profili di conoscibilità della normativa applicabile.
Il legislatore regionale ha, quindi, dettato disposizioni che incidono sul regime giuridico di un rapporto obbligatorio di contenuto essenzialmente pecuniario e soggetto alle disposizioni di diritto privato, invadendo una competenza riservata dall’art. 117, secondo comma, Cost., alla potestà legislativa statale;
         d7) la norma non può, inoltre, ritenersi conforme ai principi di uguaglianza e ragionevolezza, in quanto disciplina diversamente rapporti obbligatori di fonte legale, integralmente definiti nel loro contenuto, per effetto della medesima legge, in funzione della circostanza, meramente casuale, che il Comune abbia o non abbia fatto corretta applicazione della legge vigente in sede di rilascio del titolo.
   III. – Per completezza si segnala che:
      e) sulla natura della prestazione contributiva e della relativa obbligazione, sul momento in cui si deve determinare il contributo, sulla rettificabilità del contributo, Cons. Stato, Ad. plen., 30.08.2018, n. 12 (in Foro it., 2018, III, 618, con nota di TRAVI – BORGIANI, nonché oggetto della News US, in data 17.09.2018, alla quale si rinvia per ulteriori approfondimenti), secondo cui, tra l’altro:
         e1) “gli atti con i quali la pubblica amministrazione determina e liquida il contributo di costruzione, previsto dall’art. 16 del d.P.R. n. 380 del 2001, non hanno natura autoritativa, non essendo espressione di una potestà pubblicistica, ma costituiscono l’esercizio di una facoltà connessa alla pretesa creditoria riconosciuta dalla legge al Comune per il rilascio del permesso di costruire, stante la sua onerosità, nell’ambito di un rapporto obbligatorio a carattere paritetico e soggetta, in quanto tale, al termine di prescrizione decennale, sicché ad essi non possono applicarsi né la disciplina dell’autotutela dettata dall’art. 21-nonies della l. n. 241 del 1990 né, più in generale, le disposizioni previste dalla stessa legge per gli atti provvedimentali manifestazioni di imperio”;
         e2) “la pubblica amministrazione, nel corso di tale rapporto, può pertanto sempre rideterminare, sia a favore che a sfavore del privato, l’importo di tale contributo, in principio erroneamente liquidato, richiedendone o rimborsandone a questi la differenza nell’ordinario termine di prescrizione decennale (art. 2946 c.c.) decorrente dal rilascio del titolo edilizio, senza incorrere in alcuna decadenza, mentre per parte sua il privato non è tenuto ad impugnare gli atti determinativi del contributo nel termine di decadenza, potendo ricorrere al giudice amministrativo, munito di giurisdizione esclusiva ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. f), c.p.a., nel medesimo termine di dieci anni, anche con un’azione di mero accertamento”;
         e3) “l’amministrazione comunale, nel richiedere i detti importi con atti non aventi natura autoritativa, agisce quindi secondo le norme di diritto privato, ai sensi dell’art. 1, comma 1-bis, della l. n. 241 del 1990, ma si deve escludere l’applicabilità dell’art. 1431 c.c. a questa fattispecie, in quanto l’errore nella liquidazione del contributo, compiuto dalla pubblica amministrazione, non attiene ad elementi estranei o ignoti alla sfera del debitore ed è quindi per lui in linea di principio riconoscibile, in quanto o riguarda l’applicazione delle tabelle parametriche, che al privato sono o devono essere ben note, o è determinato da un mero errore di calcolo, ben percepibile dal privato, errore che dà luogo alla semplice rettifica”;
         e4) “la tutela dell’affidamento e il principio della buona fede, che in via generale devono essere osservati anche dalla pubblica amministrazione nell’attuazione del rapporto obbligatorio, possono trovare applicazione ad una fattispecie come quella in esame nella quale, ordinariamente, la predeterminazione e l’oggettività dei parametri da applicare al contributo di costruzione, di cui all’art. 16 del d.P.R. n. 380 del 2001, rendono vincolato il conteggio da parte della pubblica amministrazione, consentendone a priori la conoscibilità e la verificabilità da parte dell’interessato con l’ordinaria diligenza, solo nella eccezionale ipotesi in cui tali conoscibilità e verificabilità non siano possibili con l’ordinaria diligenza richiesta al debitore, secondo buona fede (artt. 1175 e 1375 c.c.), nell’ottica di una leale collaborazione volta all’attuazione del rapporto obbligatorio e al soddisfacimento dell’interesse creditorio vantato dal Comune”;
         e5) il contributo di costruzione è una prestazione patrimoniale imposta, di natura non tributaria, a carico del privato, a titolo di partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione e in proporzione all'insieme dei benefici che la nuova costruzione ne ritrae, senza alcun vincolo di scopo in relazione alla zona interessata alla trasformazione urbanistica e indipendentemente dalla concreta utilità che il privato può conseguire dal titolo edificatorio e dalle spese effettivamente occorrenti per la realizzazione delle opere stesse. La circostanza che un'obbligazione patrimoniale abbia una fonte pubblicistica non esclude che le vicende del rapporto siano assoggettate anche alle ordinarie regole civilistiche;
         e6) l'atto del comune che stabilisce la misura del contributo è un mero atto di liquidazione, a carattere ricognitivo e contabile, in quanto il contributo, nelle sue due diverse componenti, è dovuto in base a criteri puntuali predeterminati (cfr. art. 16 d.p.r. n. 380 del 2001), con la conseguenza che il suo concreto ammontare è il risultato soltanto di un'operazione aritmetica, mentre il fatto costitutivo dell’obbligazione è il rilascio del titolo edilizio. La determinazione del contributo non avrebbe pertanto carattere provvedimentale e l'atto del comune non sarebbe neppure passibile di autotutela;
         e7) sebbene il credito dell’amministrazione, per la sua particolare finalità, sia assistito da particolari sanzioni e da speciali procedure coattive di riscossione ciò non contrasta con la fondamentale natura del rapporto obbligatorio paritetico inerente al momento del pagamento del contributo e accessorio al rilascio del permesso di costruire;
      f) prima dell’intervento dell’Adunanza plenaria potevano registrarsi tre orientamenti principali sul tema della rettifica del contributo di costruzione e sulle condizioni che un comune deve rispettare per correggere errori del proprio atto di determinazione del contributo:
         f1) un primo orientamento (Cons. giust. amm. reg. sic., 15.06.2007, n. 422; Id., 18.05.2007, n. 373; Id., 21.03.2007, n. 244, in Foro amm. – Cons. Stato, 2007, 1063; Id., 02.03.2007, n. 64, in Giurisdiz. amm., 2007, I, 412; Cons. Stato, sez. IV, 28.11.2012, n. 6033, in Giurisdiz. amm., 2012, I, 1631; Cons. Stato, sez. V, 04.05.1992, n. 360, in Riv. giur. ed., 1992, I, 624) riconosceva che il contributo di costruzione fosse oggetto di un rapporto obbligatorio sottoposto in quanto tale al termine ordinario di prescrizione (art. 2946 c.c.), decorrente dalla data del rilascio del titolo.
Tuttavia, la liquidazione iniziale del contributo operata dal comune sarebbe suscettibile di modifica in peius esclusivamente in caso di mero errore di calcolo, che, di per sé, comporterebbe solo l’esigenza di una rettifica, con preclusione per il comune di ricorrere all’istituto dell’autotutela amministrativa. L’amministrazione rimarrebbe, tuttavia, vincolata alla propria liquidazione in quanto l’errore, in base al principio enunciato dall’art. 1431 c.c., non potrebbe essere riconoscibile per il privato che è indotto a prestare affidamento nella determinazione del contributo operata dall’amministrazione;
         f2) un secondo orientamento (cfr. in particolare, Cons. Stato, sez. IV, 27.09.2017, n. 4515; Cons. Stato, sez. IV, 12.06.2017, n. 2821), pur muovendo dalla natura paritetica del rapporto, afferma che, trattandosi di un rapporto di debito-credito di natura paritetica, la rettifica sarebbe sempre possibile, entro il termine decennale di prescrizione, perché, per un verso, il procedimento sarebbe svincolato dal rispetto delle condizioni di esercizio dell’autotutela amministrativa e, per altro verso, la rideterminazione del contributo dovuto secondo rigidi parametri regolamentari o tabellari costituirebbe un atto dovuto;
         f3) un terzo orientamento (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 21.12.2016, n. 5402; manifesta preferenza per tale ricostruzione anche l’ordinanza di rimessione all’Adunanza plenaria resa da Cons. giust. amm. reg. sic., 27.03.2018, n. 175, oggetto della News US in data 03.04.2018) sostiene la natura pubblicista del rapporto nascente dalla determinazione del contributo, trattandosi di prestazione patrimoniale imposta di carattere non tributario, per affermare la conseguente applicabilità in astratto delle regole dell’autotutela amministrativa;
      g) sulla disciplina pubblicistica delle sanzioni per il ritardato pagamento del contributo di costruzione, Cons. Stato, Ad. plen., sentenza 07.12.2016, n. 24 (in Foro it., 2017, III, 129, in Giornale dir. amm., 2017, 528 (m), con nota di CUTINI, in Riv. giur. edilizia, 2017, I, 104, e in Riv. amm., 2017, 274, nonché oggetto della News US in data 03.01.2017 alla quale si rinvia per ulteriori approfondimenti), secondo cui, tra l’altro:
         g1) “l’amministrazione comunale ha il pieno potere di applicare, nei confronti dell’intestatario di un titolo edilizio, la sanzione pecuniaria prescritta dalla legge per il caso di ritardo ovvero di omesso pagamento degli oneri relativi al contributo di costruzione anche ove, in caso di pagamento dilazionato di detto contributo, abbia omesso di escutere la garanzia fideiussoria in esito alla infruttuosa scadenza dei singoli ratei di pagamento ovvero abbia comunque omesso di svolgere attività sollecitatoria del pagamento presso il debitore principale”;
         g2) il contributo di costruzione rappresenta una compartecipazione del privato alla spesa pubblica occorrente alla realizzazione delle opere di urbanizzazione; la ragione di tale compartecipazione è da ricollegare sul piano eziologico al surplus di opere di urbanizzazione che l’amministrazione comunale è tenuta ad affrontare in relazione al nuovo intervento edificatorio del richiedente il titolo edilizio; il contributo ha, pertanto, natura di prestazione patrimoniale imposta, d’indole non tributaria ma di carattere generale (prescindendo totalmente dalle singole opere di urbanizzazione che devono in concreto eseguirsi e venendo altresì determinato indipendentemente sia dall’utilità che il concessionario ritrae dal titolo edificatorio, sia dalle spese effettivamente occorrenti per realizzare dette opere); quand’anche risultino trasfuse in apposita convenzione urbanistica, le prestazioni da adempiere da parte dell’amministrazione comunale e del privato intestatario del titolo edilizio non sono tra loro in posizione sinallagmatica; da ciò discende che il soggetto obbligato sia tenuto a corrispondere il contributo di costruzione nel rispetto dei termini convenuti e che l’amministrazione comunale deve eseguire le opere di urbanizzazione in coerenza, anche sul piano temporale, allo sviluppo edilizio del territorio, nell’ambito di un rapporto che è qualificabile in termini di diritto pubblico;
         g3) non sussiste alcuna base normativa che correli il potere sanzionatorio del comune al previo esercizio dell’onere di sollecitazione del pagamento presso il debitore principale ovvero presso il fideiussore. Il sistema di pagamento del contributo di costruzione è caratterizzato dalla presenza solo eventuale di una garanzia prestata per l’adempimento del debito principale e di un parallelo strumento a sanzioni crescenti, con chiara funzione di deterrenza dell’inadempimento, che trova applicazione, in base alla legge, al verificarsi dell’inadempimento dell’obbligato principale.
In tale sistema, l’amministrazione comunale, allo scadere del termine originario di pagamento della rata, ha solo la facoltà di escutere immediatamente il fideiussore onde ottenere il soddisfacimento del suo credito, ma, ove ciò non accada, l’amministrazione dovrà sanzionare il ritardo nel pagamento con la maggiorazione del contributo a percentuali crescenti all’aumentare del ritardo; solo alla scadenza di tutti i termini fissati al debitore per l’adempimento (e quindi dopo aver applicato le massime maggiorazioni di legge), l’Amministrazione avrà il potere di agire nelle forme della riscossione coattiva del credito nei confronti del debitore principale (art. 43, d.P.R. n. 380 del 2001);
         g4) la stretta osservanza del principio di legalità comporta pertanto che va ritenuta legittima l’applicazione delle sanzioni per il ritardo, a prescindere da richieste di pagamento inoltrate all’interessato o al suo fideiussore dalla amministrazione concedente il titolo edilizio;
      h) sulla quantificazione del costo di costruzione, sulle tabelle parametriche, sui poteri e l’inerzia delle Regioni:
         h1) in dottrina: FERRARIO – GIUFFRE’, in Testo unico dell’edilizia, a cura di MARIA ALESSANDRA SANDULLI, Milano, 2015, III ed., 447 ss.;
         h2) in giurisprudenza: Cons. Stato, sez. IV, 21.12.2016, n. 5402, cit., secondo cui, tra l’altro, “sebbene alle Regioni spetti la disciplina di dettaglio pure in soggetta materia, al più la diretta applicazione comunale della norma statale, che nel fissare direttamente l’aliquota minima di legge è comunque inderogabile e ineludibile in base al principio di coordinamento della finanza pubblica ai sensi dell’art. 119, co. 2, Cost., serve altresì ad evitare gli effetti nocivi d’ogni inerzia del legislatore regionale, onde essa vige fintanto che la Regione non intervenga o a confermarla o a porne una superiore a quella minima, ossia a quella ritenuta congrua quale livello essenziale di prestazione imposta, ad evidenti fini perequativi del prelievo, per tutto il territorio della Repubblica”, “non è correttamente invocata la tutela dell’affidamento a causa d’un overruling sostanziale da parte del Comune, poiché, per un verso, la potestà di ripensamento ovvero di correzione dei propri errori o illegittimità è, per la P.A., immanente nell’ordinamento ed è espressamente codificata negli artt. 21-quinquies e 21–nonies della l. 07.08.1990 n. 241 anche per quanto attiene alla decorrenza dei relativi effetti e, per altro verso, non esiste un correlato ed inderogabile principio per cui il mutamento d’avviso della P.A. stessa debba valere solo per l’avvenire l’interpretazione delle norme, invero, è sempre retroattiva, salvo eccezionali ipotesi non ricorrenti nella specie”, “l’attrazione a contribuzione del cespite imponibile non esclude, di per sé solo, effetti in varia guisa “retroattivi” della potestà contributiva fintanto che sia ancora attuale l’attitudine soggettiva ed oggettiva alla contribuzione stessa (in particolare, se non v’è stata ancora decadenza o prescrizione di tal potestà), maxime quando si deve doverosamente applicare l’aliquota (minima) di legge ed impedire così forme surrettizie di beneficio o di elusione nel caso concreto, donde la superfluità dell’avviso ex art. 10-bis della l. 241/1990 in relazione al successivo art. 21-octies, co. 2, nonché l’insussistenza di affidamenti tutelabili a favore dell’appellante, nonché la inconfigurabilità della violazione delle garanzie partecipative”; Cons. Stato, sez. V, 13.02.1995, n. 229 (in Foro amm., 1995, 348), secondo cui “ai sensi dell'art. 5 l. 28.01.1977 n. 10 la determinazione degli oneri di urbanizzazione è stabilita in base alle tabelle parametriche fissate dalle regioni e nell'attesa della loro emanazione i comuni provvedono in via provvisoria salvo conguaglio; pertanto, la determinazione a conguaglio sulla base di tabelle sopravvenute all'ultimazione della costruzione è legittima e non richiede alcuna dimostrazione analitica della liquidazione”; Cons. Stato, sez. V, 13.07.1994, n. 752 (in Ambiente, 1994, fasc. 10, 108, e in Giur. it., 1995, III, 1, 36), secondo cui “legittimamente, gli oneri di urbanizzazione relativi alla nuova costruzione di magazzini per il deposito e per il commercio di materie prime tessili, vengono determinati facendo riferimento alle tabelle parametriche relative agli edifici commerciali, direzionali e turistici e non invece sulla base delle tabelle per gli edifici aventi natura industriale o artigianale; infatti, tali locali non risultano destinati esclusivamente al deposito di materie prime, che si configura essere una fase del ciclo produttivo, bensì ad attività promiscua di deposito e di commercio delle stesse materie prime; a tal proposito trattandosi di edifici commerciali nessuna rilevanza assume l'edificazione su area identificata «zona D» dal p.r.g., poiché per tali edifici non è prevista alcuna zona territoriale omogenea, potendo sorgere in ogni parte del territorio, quindi anche in «zone D» (insediamento produttivo artigianale-industriale)”; Cons. Stato, sez. V, 27.02.1998, n. 201 (in Riv. giur. urbanistica, 1999, 139, con nota di FIORINI), secondo cui “Il contributo per oneri di urbanizzazione è un corrispettivo di diritto pubblico, di natura non tributaria, posto a carico del costruttore a titolo di partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione in proporzione all'insieme dei benefici che la nuova costruzione ne trae”; Cass. civ., sez. I, 27.09.1994, n. 7874 (in Foro it., 1995, I, 1921, e in Riv. giur. edilizia, 1995, I, 92), secondo cui “poiché il contributo per le opere di urbanizzazione non ha natura di contro-prestazione in rapporto sinallagmatico rispetto al rilascio della concessione edilizia, ma rappresenta una prestazione di natura tributaria, o al più un corrispettivo di diritto pubblico, che trova il suo fondamento negli oneri che gravano sulla collettività in rapporto alle opere di trasformazione del territorio, il comune non può ritenersi obbligato, per effetto del versamento degli oneri, all'esecuzione delle opere di urbanizzazione primaria”;
      i) sulla individuazione dei principi fondamentali in materia di governo del territorio, ex art. 117 Cost., all’interno del t.u. edilizia:
         i1) Corte cost., 13.04.2017, n. 84 (in Riv. giur. edilizia, 2017, I, 246), secondo cui “la questione di legittimità costituzionale dell'art. 9, 1° comma, lett. b), d.leg. 06.06.2001, n. 378, recante «disposizioni legislative in materia edilizia (Testo B)», trasfuso nell'art. 9, 1° comma, lett. b), d.p.r. 06.06.2001 n. 380, recante il «testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia (Testo A) », va rigettata in quanto infondata, non sussistendo la dedotta violazione degli art. 3, 41, 1° comma, 42, 2° e 3° comma, 76 e 117, 3° comma, cost.”;
         i2) Corte cost., 03.11.2016, n. 231 (in Foro it., 2017, I, 2566, in Urbanistica e appalti, 2017, 51, con nota di DI MARIO, in Giur. costit., 2017, 421, con nota di CHIEPPA, e in Riv. giur. edilizia, 2016, I, 952), secondo cui, tra l’altro: “L'onerosità del titolo abilitativo «riguarda infatti un principio della disciplina un tempo urbanistica e oggi ricompresa fra le funzioni legislative concorrenti sotto la rubrica "governo del territorio"» (sentenza n. 303 del 2003), e anche le deroghe al principio (elencate all'art. 17 del TUE), in quanto legate a quest'ultimo da un rapporto di coessenzialità, partecipano della stessa natura di principio fondamentale (sentenze n. 1033 del 1988 e n. 13 del 1980)”; “È dichiarato costituzionalmente illegittimo -per violazione dell'art. 117, 3º comma, cost.- l'art. 6, 20º e 21º comma, primo trattino, l.reg. Liguria n. 12 del 2015, con cui sono stati modificati gli art. 38, 1º comma, lett. a) e c), e 39, 1º comma (con l'aggiunta della lett. g-bis), l.reg. Liguria n. 16 del 2008; le disposizioni impugnate dal governo esonerano dal contributo di costruzione due categorie di «interventi sul patrimonio edilizio esistente» (quelli con un aumento della superficie agibile inferiore a venticinque metri quadrati o con variazione di superficie derivante da mera eliminazione di muri divisori; e quelli di frazionamento di unità immobiliari che determinino un numero di unità immobiliari inferiore al doppio di quelle esistenti, sia pur con aumento della superficie agibile) che possono rientrare, a seconda delle loro caratteristiche, nella nozione di «manutenzione straordinaria» (come definita agli art. 3, 1º comma, lett. b), e 6, 2º comma, lett. a), t.u. edilizia) o in quella di «ristrutturazione edilizia» (come definita dall'art. 3, 1º comma, lett. c), t.u. edilizia); tali fattispecie di totale esonero contrastano con i principi fondamentali della materia, che prevedono per la manutenzione straordinaria (ove ricorrano i presupposti dell'art. 17, 4º comma, t.u. edilizia) una riduzione del contributo alla sola parte corrispondente alla incidenza delle opere di urbanizzazione, e per la ristrutturazione edilizia il pagamento del contributo per intero, salvi casi particolari di esonero o di riduzione (art. 17, 3º comma, lett. b), e 4º comma bis, t.u. edilizia); l'onerosità del titolo abilitativo e le coessenziali deroghe ad esso (elencate all'art. 17 del t.u. edilizia) partecipano della stessa natura di principio fondamentale della materia «governo del territorio»”;
         i3) Corte cost., 09.03.2016, n. 49 (in Riv. giur. edilizia, 2016, I, 8, con nota di STRAZZA, in Giur. it., 2016, 2233 (m), con nota di VIPIANA PERPETUA, e in Riv. giur. urbanistica, 2016, fasc. 4, 87, con nota di CERBO), secondo cui “È costituzionalmente illegittimo, per violazione dell'art. 117, 3º comma, cost., l'art. 84-bis, 2º comma, lett. b), l.reg. Toscana 03.01.2005 n. 1, che stabilisce la possibilità per l'amministrazione di esercitare poteri sanzionatori per la repressione degli abusi edilizi, anche oltre il termine di trenta giorni dalla presentazione della Scia, in un numero più ampio di ipotesi rispetto alla previsione statale; nell'ambito della materia concorrente del «governo del territorio», i titoli abilitativi agli interventi edilizi costituiscono oggetto di una disciplina che assurge a principio fondamentale e tale valutazione deve ritenersi valida anche per la denuncia di inizio attività (Dia) e per la segnalazione certificata di inizio attività (Scia), che si inseriscono in una fattispecie, il cui effetto è pur sempre quello di legittimare il privato ad effettuare gli interventi edilizi; tale fattispecie ha una struttura complessa e non si esaurisce, rispettivamente, con la dichiarazione o la segnalazione, ma si sviluppa in due fasi ulteriori: una prima, di ordinaria attività di controllo dell'amministrazione; una seconda, in cui può esercitarsi l'autotutela amministrativa; anche le condizioni e le modalità di esercizio dell'intervento della p.a., una volta che siano esauriti i termini prescritti dalla normativa statale, devono considerarsi il necessario completamento della disciplina dei titoli abitativi, poiché l'individuazione della loro consistenza e della loro efficacia non può prescindere dalla capacità di resistenza rispetto alle verifiche effettuate dall'amministrazione successivamente alla maturazione degli stessi; la disciplina di questa fase ulteriore è, dunque, parte integrante del titolo abilitativo e costituisce un tutt'uno inscindibile; il suo perno è costituito da un istituto di portata generale -quello dell'autotutela- che si colloca allo snodo delicatissimo del rapporto fra il potere amministrativo e il suo riesercizio, da una parte, e la tutela dell'affidamento del privato, dall'altra; ne deriva che la disciplina de qua costituisce espressione di un principio fondamentale della materia «governo del territorio»; la normativa regionale, nell'attribuire all'amministrazione un potere di intervento, lungi dall'adottare disposizioni di dettaglio, ha introdotto una disciplina sostitutiva dei principi fondamentali dettati dal legislatore statale, toccando i punti nevralgici del sistema elaborato nella legge sul procedimento amministrativo e con tutti i rischi per la certezza e l'unitarietà dello stesso”;
         i4) Corte cost., 12.04.2013, n. 64 (in Foro it., 2014, I, 2299), secondo cui “È incostituzionale l'art. 1, 1º e 2º comma, l.reg. Veneto 24.02.2012 n. 9, nella parte in cui prevede che, nell'ambito degli interventi edilizi nelle zone classificate sismiche, è esclusa, anche con riguardo ai procedimenti in corso, la necessità del previo rilascio delle autorizzazioni del competente ufficio tecnico regionale per i «progetti» e le «opere di modesta complessità strutturale», privi di rilevanza per la pubblica incolumità, individuati dalla giunta regionale in base ad una procedura nella quale è prevista l'obbligatoria assunzione di un semplice parere da parte della commissione sismica regionale”;
         i5) Corte cost., 15.11.1988, n. 1033 (in Cons. Stato, 1988, II, 2067, in Giust. civ., 1989, I, 265, in Riv. giur. edilizia, 1989, I, 10, e in Riv. amm., 1989, 503), secondo cui: “Il d.l. 23.01.1982, n. 9 convertito con modificazioni dalla l. 25.03.1982, n. 94 detta norme integratrici delle norme fondamentali di riforme economico-sociali contenute nella l. 28.01.1977, n. 10 sull'edificabilità dei suoli e, come tale, pone limiti costituzionalmente giustificati sia nei confronti della competenza legislativa spettante alle regioni a statuto ordinario in materia urbanistica, ai sensi dell'art. 117 cost., sia nei confronti della competenza legislativa delle regioni a statuto speciale e in particolare della regione Sardegna ai sensi della l. cost. 26.02.1948, n. 3”; “Le norme che dettano deroghe al principio dell'onerosità della concessione edilizia rientrano fra le norme fondamentali delle riforme economico sociali; gli art. 7 e 9, d.l. 23.01.1982, n. 9 convertito con modificazioni dalla l. 25.03.1982, n. 94, non è in contrasto con gli art. 13, lett. f), l. cost. 26.02.1948, n. 3 (statuto reg. Sardegna) e 117 cost. nelle parti in cui gli articoli stessi prevedono deroghe al principio dell'onerosità delle concessioni edilizie”;
         i6) dalle pronunce descritte si ricava che la Corte costituzionale ha ritenuto che l’urbanistica e l’edilizia vadano ricondotte alla materia «governo del territorio» (Corte cost., 28.06.2004, n. 196, in Foro it., 2005, I, 327, in Riv. corte conti, 2004, fasc. 3, 301, in Riv. giur. urbanistica, 2005, 38, con nota di CALEGARI, in Quaderni regionali, 2004, 1166, in Giust. amm., 2004, 778 (m), con nota di MORBIDELLI, in Regioni, 2004, 1355 (m), con note di SORACE, TORRICELLI, in Riv. not., 2004, 1487, con nota di CASU, in Giur. costit., 2004, 1930, con note di CHIEPPA, PINELLI, STELLA RICHTER, in Giust. civ., 2005, I, 16, in Riv. trim. dir. pen. economia, 2004, 1249, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2004, 1219, con nota di MAIELLO, in Rass. avv. Stato, 2004, 576, con nota di FIENGO, e in Giur. it., 2005, 2024, con nota di ANGELINI; Corte cost., 19.12.2003, n. 362, in Quaderni regionali, 2004, 399, in Foro amm.-Cons. Stato, 2003, 3559, con nota di FOÀ, in Cons. Stato, 2003, II, 2317, in Riv. giur. edilizia, 2004, I, 383, e in Giur. costit., 2003, 3736; Corte cost., 07.10.2003, n. 307, in Foro it., 2004, I, 1365, con nota di MIGLIORANZA, in Giur. it., 2004, 397, in Urbanistica e appalti, 2004, 295 (m), con nota di MANFREDI, in Foro amm.-Cons. Stato, 2003, 2791, con nota di DE LEONARDIS, in Quaderni regionali, 2004, 311, in Giur. costit., 2003, 2841, in Ragiusan, 2004, fasc. 239, 258, in Riv. giur. edilizia, 2004, I, 411, in Riv. giur. ambiente, 2004, 257 (m), con nota di CERUTI, MAZZOLA, in Rass. giur. energia elettrica, 2003, 523, con nota di ORO NOBILI, in Resp. civ., 2004, 441 (m), con nota di ROLANDO, e in Regioni, 2004, 603, con nota di CAMERLENGO; Corte cost., 01.10.2003, n. 303, in Foro it., 2004, I, 1004, con note di VIDETTA, FRACCHIA, FERRARA, in Corriere giur., 2004, 29, con nota di DICKMANN, in Urbanistica e appalti, 2004, 295 (m), con nota di MANFREDI, in Riv. giur. Mezzogiorno, 2003, 1472, in Quaderni regionali, 2003, 1012, in Riv. corte conti, 2003, fasc. 6, 181, in Riv. giur. edilizia, 2004, I, 10, con nota di CELOTTO, in Giur. costit., 2003, 2675, con note di D'ATENA, ANZON, MOSCARINI, GENTILINI, in Appalti urbanistica edilizia, 2004, 13, in RivistAmbiente, 2003, 1257, in Cons. Stato, 2003, II, 2007, con nota di D'ARPE, in Urbanistica e appalti, 2003, 1399, con nota di CAPUTO, in Guida al dir., 2003, fasc. 40, 67, con nota di FORLENZA, in Dir. e giustizia, 2003, fasc. 37, 58, con nota di MAGNI, in Cons. Stato, 2004, II, 1307 (m), con nota di MILO, in Giur. it., 2004, 1567, con nota di MASSA PINTO, in Dir. maritt., 2004, 955, con nota di CARPANETO, e in Regioni, 2004, 535, con note di BARTOLE, VIOLINI), di cui all’art. 117, terzo comma, Cost.: materia di legislazione concorrente nella quale lo Stato ha il potere di fissare i principi fondamentali, mentre spetta alle Regioni il potere di emanare la normativa di dettaglio;
         i7) le dichiarazioni di incostituzionalità (in particolare Corte cost., 12.04.2013, n. 64, cit.) sono motivate con riguardo alla violazione di un principio fissato dalla legge statale e da ritenersi, per la regione, principio fondamentale della materia e come tale non derogabile. Con riguardo alla portata dei «principi fondamentali» riservati alla legislazione statale nelle materie di potestà concorrente, la Corte ha precisato, tra l’altro, che il rapporto tra normativa di principio e normativa di dettaglio deve essere inteso nel senso che l’una è volta a prescrivere criteri e obiettivi, mentre all’altra spetta l’individuazione degli strumenti concreti da utilizzare per raggiungere quegli obiettivi;
         i8) anche la previsione di limiti invalicabili all’edificazione nelle “zone bianche” ha le caratteristiche intrinseche del principio fondamentale della legislazione statale in materia di governo del territorio, coinvolgendo valori di rilievo costituzionale quali il paesaggio, l’ambiente e i beni culturali (Corte cost., 13.04.2017, n. 84, cit.).
In quest’ottica, la fissazione di standard rigorosi, ma cedevoli di fronte a qualsiasi regolamentazione regionale rappresenterebbe una soluzione contraddittoria, in quanto lascerebbe aperta la possibilità che eventuali legislatori regionali finiscano con il frustrare la ratio della disciplina, compromettendo in modo tendenzialmente irreversibile interessi di rango costituzionale.
La norma statale, anche se prevede la puntuale quantificazione dei limiti di cubatura e di superficie, svolge la funzione di impedire, tramite l’applicazione di standard legali, una incontrollata espansione edilizia in caso di vuoti urbanistici, suscettibile di compromettere l’ordinato (futuro) governo del territorio e di determinare la totale consumazione del suolo nazionale, a garanzia di valori di chiaro rilievo costituzionale. Funzione rispetto alla quale la specifica previsione di livelli minimi di tutela si presenta coessenziale, in quanto necessaria per esprimere la regola;
         i9) nell’ambito della materia concorrente «governo del territorio», i titoli abilitativi agli interventi edilizi costituiscono oggetto di una disciplina che assurge a principio fondamentale e tale valutazione deve ritenersi valida anche per la denuncia di inizio attività (DIA) e per la SCIA (cfr., in particolare, Corte cost., 09.03.2016, n. 49) che, seppure con la loro indubbia specificità, si inseriscono in una fattispecie il cui effetto è pur sempre quello di legittimare il privato ad effettuare gli interventi edilizi; anche le condizioni e le modalità di esercizio dell’intervento della pubblica amministrazione, una volta che siano decorsi i termini in questione, devono considerarsi il necessario completamento della disciplina di tali titoli abilitativi, poiché l’individuazione della loro consistenza e della loro efficacia non può prescindere dalla capacità di resistenza rispetto alle verifiche effettuate dall’amministrazione successivamente alla maturazione degli stessi.
La disciplina di questa fase ulteriore, dunque, è parte integrante di quella del titolo abilitativo e costituisce con essa un tutt’uno inscindibile. Ne discende che, anche per questa parte, la disciplina in questione costituisce espressione di un principio fondamentale della materia «governo del territorio» (TAR Veneto, Sez. II, ordinanza 05.02.2019 n. 159 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Alla Corte costituzionale la legge regionale sugli oneri di costruzione.
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Edilizia – Omeri di costruzione – Regione Veneto - Art. 2, comma 3, l.reg. Veneto n. 4 del 2015 – Violazione artt. 3, 5, 97, 114, 117, 118 e 119 Cost. – Rilevante e non manifestamente infondata.
E’ rilevante e non manifestamente infondata, in relazione agli artt. 3, 5, 97, 114, 117, 118 e 119 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 3, l. reg. Veneto 16.03.2015, n. 4, nella parte in cui incide sulla pretesa creditoria dei Comuni ad ottenere il pagamento della quota del costo di costruzione nella misura determinata ai sensi del comma 9, ultimo periodo, dell’art. 16, d.P.R. n. 380 del 2001 (1).
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   (1) L’art. 16, comma 9, d.P.R. n. 380 del 2001 prevede che le Regioni determinino i criteri per il calcolo di tale componente del contributo di costruzione e definisce i parametri a cui il Legislatore Regionale deve far riferimento: il contributo per il costo di costruzione deve costituire una quota del suddetto costo compresa tra il cinque ed il venti percento, variabile in funzione delle caratteristiche, delle tipologie, della destinazione e dell’ubicazione delle costruzioni.
Il Legislatore Veneto, ha dato attuazione all’art. 16, comma 9, d.P.R. n. 380 del 2001, sostituendo con il comma 1 dell’art. 2, l.reg. 16.03.2015, n. 4 la tabella A4 della l.reg. n. 61 del 1985. Al comma 2, ha, poi, previsto che i nuovi criteri si applichino anche “ai procedimenti in corso relativi ai permessi di costruire nei quali il comune non abbia ancora provveduto a determinare la quota del costo di costruzione”. Infine, al comma 3, ha stabilito che: “Resta fermo quanto già determinato dal comune, in relazione alla quota del costo di costruzione, prima dell'entrata in vigore della presente legge in diretta attuazione del comma 9 dell'articolo 16 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, purché la determinazione sia avvenuta all'atto del rilascio del permesso di costruire e non con una successiva richiesta di conguaglio”.
La previgente tabella A4 della l.reg. 27.06.1985, n. 61 (“Norme per l’assetto e l’uso del territorio”) prevedeva un’aliquota minima del 1,5%. La disposizione aveva dato attuazione all'art. 6, comma 3, l. reg. n. 10 del 1977 che, nel testo allora vigente (risultante dalle modifiche di cui all'art. 9, comma 6, d.l. 23.01.1982, n. 9, convertito, con modificazioni, dalla L. 25.03.1982, n. 94), senza prevedere un’aliquota minima, stabiliva che il contributo afferente al costo di costruzione fosse determinato in misura percentuale non superiore al 10%.
Successivamente, con l'art. 7, comma 2, l. 24.12.1993, n. 537 (rimasto in vigore fino all’entrata in vigore del Testo Unico dell’edilizia) il Legislatore Statale aveva già modificato il parametro, prevedendo che il contributo fosse determinato in una percentuale compresa tra il cinque ed il venti per cento del costo di costruzione, così riportandolo alla cornice prevista dalla formulazione originaria dell’art. 6, comma 3, l. 28.01.1977, n. 10. Il Legislatore Veneto, tuttavia, non aveva apportato modifiche alla tabella A4 della l.reg. 27.06.1985, n. 61, rimasta in vigore nella sua originaria formulazione.
Ha quindi affermato il Tar che l’art. 2, comma 3, l.reg. n. 4 del 2015 appare più chiaro nel suo contenuto dispositivo. Il tenore letterale della disposizione sembra sovvertire gli esiti dell’elaborazione giurisprudenziale circa l’assetto dei rapporti tra norma statale e norma regionale nella materia della determinazione del contributo afferente al costo di costruzione.
Infatti, quasi che a prevalere dovesse essere la disposizione di fonte regionale, si afferma che “resta fermo” quanto determinato in diretta applicazione dell’art. 16, comma 9, d.P.R. n. 380 del 2001, ma soltanto se tale determinazione sia stata effettuata contestualmente al rilascio del titolo (“Resta fermo quanto già determinato dal comune (…) in diretta attuazione del comma 9 dell'articolo 16 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, purché la determinazione sia avvenuta all'atto del rilascio del permesso di costruire e non con una successiva richiesta di conguaglio”). Quale che sia il presupposto in forza del quale il Legislatore si sia determinato ad esprimersi in tale forma, comunque, al contenuto dispositivo della norma sembra doversi attribuire portata retroattiva.
La disposizione sembra, infatti, chiara nel consentire ai Comuni di chiedere e di riscuotere soltanto gli importi del contributo quantificati in base alla norma statale contestualmente al rilascio del titolo, inibendo la riscossione del conguaglio anche ove la relativa richiesta sia stata effettuata prima dell’entrata in vigore della l.reg. n. 4 del 2015.
 Infatti, atteso che la norma si inserisce all’interno del testo normativo di fonte regionale che ha dato attuazione all’art. 16, comma 9, d.P.R. n. 380 del 2001, essa non può applicarsi alle determinazioni del contributo successive all’entrata in vigore della norma stessa, per le quali si applicheranno le nuove aliquote. Essa si rivolge, quindi alle “determinazioni” già avvenute (quindi ai titoli già rilasciati) per affermare che quelle effettuate dando diretta attuazione all’art. 16, comma 9, d.P.R. n. 380 del 2001, restano ferme – e quindi potranno essere fatte valere e portate ad esecuzione – solo se contestuali al rilascio del titolo. Il contenuto precettivo della disposizione appare integralmente definito in tale parte del comma: esso determina compiutamente sia la sorte delle “determinazioni” effettuate sulla scorta dell’art. 16, comma 9, d.P.R. n. 380 del 2001 (che “restano ferme”), sia di quelle effettuate sulla scorta della legislazione regionale (che non potranno essere integrate).
Il riferimento alle “successive richieste di conguaglio”, appare una semplice specificazione di un concetto già compiutamente espresso con la locuzione che la precede e, pertanto, non sembra potersi valorizzare al fine di affermare che l’impedimento alla riscossione derivante dalla disposizione riguardi soltanto le richieste di conguaglio successive alla sua entrata in vigore. Il tenore precettivo della disposizione –che consente di far valere solo le determinazioni direttamente attuative della norma statale effettuate contestualmente al rilascio del titolo– resterebbe, infatti, intatto anche in assenza di tale specificazione.
D’altronde una diversa soluzione interpretativa –che la difesa del Comune ha proposto nei suoi scritti difensivi– appare incompatibile con la natura non autoritativa riconosciuta agli atti di determinazione del contributo ed a quelli con i quali tale determinazione venga modificata.
Solo attribuendo ad essi natura provvedimentale, potrebbe distinguersi tra la sorte delle richieste di conguaglio inviate prima e dopo l’entrata in vigore della norma.
Poiché, però, è stato ormai chiarito che tali atti hanno natura paritetica e costituiscono atti di esercizio di un diritto di credito, la norma viene ad incidere sui rapporti obbligatori che sono sorti, ex lege, per effetto del rilascio del titolo, e quindi appare, nel suo contenuto dispositivo, volta ad impedire le azioni necessarie alla riscossione anche delle richieste di conguaglio precedenti alla sua entrata in vigore. Da tutto quanto sopra, emerge la rilevanza della questione di legittimità costituzionale della norma nel presente giudizio (TAR Veneto, Sez. II, ordinanza 05.02.2019 n. 159 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).
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SENTENZA
12. Il Collegio dubita della legittimità costituzionale dell’art. 2, c. 3, L.R. Veneto, 16.03.2015, n. 4, nella parte in cui incide sulla pretesa creditoria dei Comuni ad ottenere il pagamento della quota del costo di costruzione nella misura determinata ai sensi del comma 9, ultimo periodo, dell’art. 16, c. 9, D.P.R. 380/2001, per violazione degli artt. 3, 5, 97, 114, 117 comma III; 118, comma I; 119, commi I, II e IV; 117, comma II, lett. l), della Costituzione.
13. Preliminarmente, al fine di evidenziare la rilevanza della questione di legittimità costituzionale per la decisione dell’odierno ricorso, è necessario soffermarsi sull’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dal Comune resistente.
Il Comune afferma, infatti, che la nota prot. 3713 del 13.03.2017, oggetto dell’odierna impugnazione, costituisca atto meramente confermativo dell’intimazione di pagamento notificata alla società ricorrente in data 04.12.2014 e non impugnata, e che, pertanto, il ricorso sarebbe da ritenersi inammissibile per carenza di interesse, essendo stato impugnato un atto privo di efficacia immediatamente lesiva.
L’eccezione non è fondata. Essa presuppone la natura provvedimentale ed autoritativa degli atti con i quali l’Amministrazione determina e liquida il contributo di costruzione e la loro conseguente impugnabilità entro il termine decadenziale previsto dall’art. 29 c.p.a. Solo partendo da tale premessa, infatti, potrebbe sostenersi che l’impugnazione di una diffida di pagamento successiva alla riliquidazione del contributo sia tardiva ed inammissibile.
L’assunto di partenza, tuttavia, è smentito dall’orientamento giurisprudenziale, ormai consolidato (cfr. da ultimo, Cons. Stato, Ad. Plen., 30/08/2018, n. 12; cfr., altresì, ex multis Cons. Stato Sez. IV Sent., 27/09/2017, n. 4515, TAR Veneto Venezia Sez. II Sent., 13/05/2016, n. 479), dal quale il Collegio non rinviene ragioni per discostarsi, secondo cui le controversie in materia di determinazione della misura dei contributi edilizi non hanno natura impugnatoria, concernendo l’accertamento di una pretesa creditoria dell’Amministrazione, avente natura di prestazione patrimoniale imposta, non tributaria, di cui la legge integralmente predetermina presupposto e contenuti (così, Cons. Stato, Ad. Plen., 30/08/2018, n. 12: “la controversia in ordine alla spettanza e alla liquidazione del contributo per gli oneri di urbanizzazione, riservata alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo a norma dell'art. 16 della L. n. 10 del 1977 e, oggi, dell'art. 133, comma 1, lett. f), c.p.a., ha ad oggetto l'accertamento di un rapporto di credito a prescindere dall'esistenza di atti della pubblica amministrazione e non è soggetta alle regole delle azioni impugnatorie-annullatorie degli atti amministrativi e ai rispettivi termini di decadenza.”).
Tali controversie, pertanto, non soggiacciono al termine decadenziale previsto per le azioni di annullamento (“le controversie in tema di determinazione della misura dei contributi edilizi concernono l'accertamento di diritti soggettivi che traggono origine direttamente da fonti normative, sicché sarebbero proponibili, a prescindere dall'impugnazione di provvedimenti dell'amministrazione, nel termine di prescrizione” Cons. St., sez. IV, 20.11.2012 n. 6033; Cons. St., sez. V, 04.05.1992, n. 360).
Pertanto la mancata impugnazione, entro il termine decadenziale previsto dall’art. 29 c.p.a. dell’atto di riliquidazione del contributo e richiesta di conguaglio notificato nel 2014, non incide sull’ammissibilità del giudizio con cui è contestata la suddetta pretesa creditoria, ciò anche ove l’azione proposta fosse di annullamento.
Nel caso di specie, peraltro, il ricorrente ha espressamente proposto –oltre all’azione impugnatoria- l’azione di accertamento negativo del credito vantato dall’Amministrazione comunale con le richieste di pagamento, sì che neppure si pone un problema di riqualificazione della pretesa azionata.
14. In merito alla rilevanza della questione ai fini del presente giudizio il Collegio osserva quanto segue.
14.1 Pacifici tra le parti i fatti, la decisione della controversia impone la soluzione di un’unica questione di diritto, ovvero l’applicabilità alla fattispecie della disposizione di cui all’art. 2, c. 3, L.R. Veneto, 16.03.2015, n. 4.
Il ricorrente, infatti, afferma che la pretesa del Comune al pagamento del conguaglio sarebbe infondata, ostando al suo accoglimento l’entrata in vigore la L.R. Veneto, 16.03.2015, n. 4, il cui art. 2, comma 3, così recita: “3. Resta fermo quanto già determinato dal comune, in relazione alla quota del costo di costruzione, prima dell'entrata in vigore della presente legge in diretta attuazione del comma 9 dell'articolo 16 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, purché la determinazione sia avvenuta all'atto del rilascio del permesso di costruire e non con una successiva richiesta di conguaglio.”.
14.2 La difesa del Comune sostiene che la disposizione, non avendo efficacia retroattiva, non si applicherebbe alla fattispecie in esame, in cui la richiesta di conguaglio è stata inviata dall’Amministrazione, per la prima volta, il 04.12.2014 (con intimazione ad eseguire il pagamento entro 60 giorni), ossia in data anteriore al 04.04.2015, data di entrata in vigore della Legge Regionale n. 4/2015 (pubblicata sul Bollettino Ufficiale della Regione Veneto del 20.03.2015, n. 27).
Ad avviso del Comune, il ricorrente, resosi inadempiente all’obbligo di corrispondere la somma dovuta a titolo di conguaglio entro i sessanta giorni dalla ricezione dell’intimazione, non potrebbe giovarsi della disposizione sopravvenuta.
14.3 Il Collegio ritiene che l’interpretazione della disposizione offerta dal Comune non sia condivisibile e che la norma debba, invece, trovare applicazione anche nel presente giudizio.
Benché la disposizione non si qualifichi espressamente come retroattiva, tuttavia, un’esegesi della medesima, condotta sulla scorta dei canoni ermeneutici letterale, teleologico e sistematico, pare deporre per l’applicabilità della stessa anche ai casi in cui la richiesta di conguaglio da parte dell’Amministrazione sia stata effettuata prima della sua entrata in vigore.
14.4 Giova premettere, al fine di illustrare le ragioni di quanto si afferma, la ricostruzione del quadro ordinamentale entro cui la norma si inserisce e della evoluzione giurisprudenziale che ne ha preceduto l’approvazione.
14.5 La disposizione in esame è contenuta all’interno del testo normativo con cui il Legislatore Regionale, a quasi dodici anni di distanza dall’entrata in vigore del Testo Unico dell’Edilizia, ha dato attuazione al disposto di cui all’art. 16, c. 9, D.P.R. 380/2001, definendo i criteri per il calcolo del contributo afferente al costo di costruzione, sulla base dei parametri previsti dalla disposizione di fonte statale.
L’art. 16, c. 9, D.P.R. 380/2001 prevede che le Regioni determinino i criteri per il calcolo di tale componente del contributo di costruzione e definisce i parametri a cui il Legislatore Regionale deve far riferimento: il contributo per il costo di costruzione deve costituire una quota del suddetto costo compresa tra il cinque ed il venti percento, variabile in funzione delle caratteristiche, delle tipologie, della destinazione e dell’ubicazione delle costruzioni (art. 16, c. 9, D.P.R. 380/2001: “Il costo di costruzione per i nuovi edifici è determinato periodicamente dalle regioni con riferimento ai costi massimi ammissibili per l'edilizia agevolata, definiti dalle stesse regioni a norma della lettera g) del primo comma dell'articolo 4 della legge 05.08.1978, n. 457. Con lo stesso provvedimento le regioni identificano classi di edifici con caratteristiche superiori a quelle considerate nelle vigenti disposizioni di legge per l'edilizia agevolata, per le quali sono determinate maggiorazioni del detto costo di costruzione in misura non superiore al 50 per cento. Nei periodi intercorrenti tra le determinazioni regionali, ovvero in eventuale assenza di tali determinazioni, il costo di costruzione è adeguato annualmente, ed autonomamente, in ragione dell'intervenuta variazione dei costi di costruzione accertata dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT). Il contributo afferente al permesso di costruire comprende una quota di detto costo, variabile dal 5 per cento al 20 per cento, che viene determinata dalle regioni in funzione delle caratteristiche e delle tipologie delle costruzioni e della loro destinazione ed ubicazione.”).
Il Legislatore Veneto, ha dato attuazione all’art. 16, c. 9, D.P.R. 380/2001, sostituendo con il comma 1 dell’art. 2, della Legge Regionale n. 4/2015 la tabella A4 della Legge Regionale n. 61 del 1985.
Al comma 2, ha, poi, previsto che i nuovi criteri si applichino anche “ai procedimenti in corso relativi ai permessi di costruire nei quali il comune non abbia ancora provveduto a determinare la quota del costo di costruzione”.
Infine, al comma 3, ha stabilito che: “Resta fermo quanto già determinato dal comune, in relazione alla quota del costo di costruzione, prima dell'entrata in vigore della presente legge in diretta attuazione del comma 9 dell'articolo 16 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, purché la determinazione sia avvenuta all'atto del rilascio del permesso di costruire e non con una successiva richiesta di conguaglio”.
La previgente tabella A4 della Legge Regionale 27.06.1985, n. 61 (“Norme per l’assetto e l’uso del territorio”) prevedeva un’aliquota minima del 1,5%. La disposizione aveva dato attuazione all'art. 6, co. 3, della Legge 10/1977 che, nel testo allora vigente (risultante dalle modifiche di cui all'art. 9, comma 6, D.L. 23.01.1982, n. 9, convertito, con modificazioni, dalla L. 25.03.1982, n. 94), senza prevedere un’aliquota minima, stabiliva che il contributo afferente al costo di costruzione fosse determinato in misura percentuale non superiore al 10%.
Per vero, successivamente, con l'art. 7, comma 2, L. 24.12.1993, n. 537 (rimasto in vigore fino all’entrata in vigore del Testo Unico dell’edilizia) il Legislatore Statale aveva già modificato il parametro, prevedendo che il contributo fosse determinato in una percentuale compresa tra il cinque ed il venti per cento del costo di costruzione, così riportandolo alla cornice prevista dalla formulazione originaria dell’art. 6, c. 3, Legge 28.01.1977, n. 10. Il Legislatore Veneto, tuttavia, non aveva apportato modifiche alla tabella A4 della Legge Regionale 27.06.1985, n. 61, rimasta in vigore nella sua originaria formulazione.
L’entrata in vigore del D.P.R. 380/2001 (il 30.06.2003), avvenuta quasi contestualmente alla modifica del Titolo V della Costituzione, ad opera della Legge costituzionale 30.05.2003, n. 1, ha imposto la verifica della conformità della legislazione regionale in materia edilizia alle norme di principio poste dal Testo Unico, atteso che i suoi artt. 1 e 2 espressamente qualificano le norme di principio in esso contenute, come principi fondamentali della materia, entro cui le Regioni esercitano la potestà legislativa concorrente.
Anche nell’assetto dei rapporti tra Stato e Regioni risultante dalla riforma costituzionale, infatti, la materia dell’edilizia è rimasta attratta alla potestà legislativa concorrente, essendo riconducibile –come ha confermato la Corte Costituzionale (sentenze n. 303, 307, 362 del 2003, n. 196 del 2004)– alla materia “governo del territorio” contenuta nell’elenco di cui al comma III dell’art. 117 Cost.
La questione fu affrontata con una norma transitoria, l’art. 13 L.R. Veneto n. 16/2003, ma non risolta, poiché essa si limitava a prevedere che: “1. Fino all'entrata in vigore della legge regionale di riordino della disciplina edilizia trovano applicazione le disposizioni di cui al D.P.R. 06.06.2001, n. 380 "Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di edilizia"e successive modificazioni, nonché le disposizioni della legge regionale 27.06.1985, n. 61 "Norme per l'assetto e l'uso del territorio" e successive modificazioni, che regolano la materia dell'edilizia in maniera differente dal testo unico e non siano in contrasto con i princìpi fondamentali desumibili dal testo unico medesimo.”.
Nel dibattito che la norma ha suscitato sull’individuazione, per i vari istituti, delle norme di fonte statale direttamente applicabili e di quelle della L.R. 27.06.1985, n. 61, non in contrasto con i principi fondamentali desumibili dal testo unico, si sono inserite diverse pronunce di questo TAR, che –per quanto rileva in questa sede– hanno affrontato la questione relativa alla diretta applicabilità sul territorio regionale della aliquota minima prevista dall’art. 16, c. 9, D.P.R. 380/2001, sia in sede di determinazione del contributo all’atto del rilascio del titolo, sia con successive richieste di conguaglio.
Le pronunce (TAR Veneto, Sez. II, 01.02.2011, n. 181; TAR Veneto, Sez. II, 01.02.2011, n. 189; TAR Veneto, Sez. II, 09.10.2014, n. 1285; TAR Veneto, Sez. II, 16.07.2014, n. 1035) hanno risolto la questione affermando che la norma di cui all’art. 16, c. 9, D.P.R. 380/2001 “deve essere interpretata nel senso di disporre l’immediata applicazione della percentuale minima prevista, corrispondente al 5%, mentre resta nella discrezionalità delle Regioni determinare in misura superiore detta percentuale, in relazione ai parametri individuati dal medesimo comma 9” e che “Tale interpretazione (…) risponde anche all’esigenza di assicurare un’uniformità nella determinazione del costo di costruzione su tutto il territorio nazionale, a prescindere dall’esercizio del potere normativo riconosciuto alle singole Regioni.” (cfr. TAR Veneto, Sez. II, 01.02.2011, n. 181).
La soluzione interpretativa accolta dal TAR ha trovato conferma anche presso il Giudice amministrativo d’appello.
Il Consiglio di Stato, nella sentenza 21.12.2016, n. 5402, pronunciandosi sul gravame proposto avverso la sentenza TAR Veneto, Sez. II, 16.07.2014, n. 1035, ha affermato che la norma statale, “nel fissare direttamente l’aliquota minima di legge è comunque inderogabile e ineludibile in base al principio di coordinamento della finanza pubblica ai sensi dell’art. 119, co. 2, Cost., serve altresì ad evitare gli effetti nocivi d’ogni inerzia del legislatore regionale, onde essa vige fintanto che la Regione non intervenga o a confermarla o a porne una superiore a quella minima, ossia a quella ritenuta congrua quale livello essenziale di prestazione imposta, ad evidenti fini perequativi del prelievo, per tutto il territorio della Repubblica”.
Chiarito dalle suddette pronunce che l’importo del contributo andava quantificato facendo applicazione della norma statale, le Amministrazioni comunali che avevano continuato ad applicare la normativa regionale hanno dato avvio alle azioni necessarie per ottenere il pagamento del maggiore importo dovuto in diretta attuazione della norma statale, mediante richieste di conguaglio.
Come emerge dal comunicato con il quale il Consiglio regionale ha dato notizia dell’approvazione della legge regionale di attuazione dell’art. 16, c. 9, del D.P.R. 380/2001, l’avvio di tali azioni ha indotto il Legislatore Regionale ad introdurre la previsione di cui all’art. 2, comma 3, sopra riportato.
Il Consiglio regionale ha, infatti, affermato che con l’intervento normativo in esame “non potranno esserci richieste di conguaglio successive all’atto del rilascio del permesso di costruire, cosa che alcuni Comuni, per timore di possibili responsabilità contabili, stavano iniziando a fare”.
14.6 Merita, inoltre, osservare che l’intervento normativo -oltre al problema interpretativo relativo alla disciplina applicabile nelle more dell’adeguamento della legislazione regionale a quella statale di principio- incrocia l’ulteriore dibattuta tematica -che solo di recente ha trovato compiuta soluzione- sulla natura degli atti di determinazione e liquidazione del contributo di costruzione, nonché sulla ammissibilità ed i presupposti della loro modificazione.
Prima che si esprimesse l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con la sentenza 11.07.2018 n. 12, le differenziate posizioni della giurisprudenza si erano polarizzate su tre impostazioni interpretative.
Secondo una prima tesi, la determinazione del contributo darebbe luogo ad un rapporto paritetico che, seppur azionabile da ambo le parti nel rispetto del termine prescrizionale ordinario di dieci anni, si cristallizzerebbe nel quantum al momento del rilascio del titolo edilizio, ostando a successive sue modifiche la disciplina dell’errore riconoscibile prevista dall’art. 1431 c.c. L’errore nella quantificazione costituirebbe una vicenda tutta interna al dichiarante che, per tale ragione, non potrebbe essere posto a fondamento di alcuna modifica in peius del contenuto dell’obbligazione così come originariamente definito.
Una seconda tesi, muovendo anch’essa dalla natura paritetica del rapporto, perveniva all’opposta conseguenza della sua libera rettificabilità entro il termine di prescrizione decennale, perché, per un verso, non venendo in rilievo atti autoritativi, il procedimento sarebbe svincolato dal rispetto delle condizioni di esercizio dell’autotutela amministrativa e, per altro verso, essendo l’obbligazione definita da rigidi parametri regolamentari o tabellari, la sua quantificazione secondo il contenuto legale costituirebbe per l’Amministrazione un atto dovuto.
Terza e più recente impostazione, muove dalla natura pubblicistica del rapporto nascente dalla determinazione del contributo, per affermare la conseguente applicabilità, in astratto, delle regole dell’autotutela amministrativa.
Il Legislatore regionale, con la disposizione in esame -nella quale prevede di “tener ferme” le sole determinazioni con cui si è fatta diretta applicazione dell’art. 16, c. 9, D.P.R. 380/2001 che siano avvenute contestualmente al rilascio del permesso di costruire e non con successivi conguagli- ha espresso una chiara opzione per la prima delle tesi richiamate, codificandone gli esiti.
Ha, infatti, escluso per espressa disposizione di legge l’ammissibilità del conguaglio che miri a recuperare l’importo del contributo nella misura minima prevista dalla legislazione statale, con il chiaro intento di evitare che i Comuni potessero accedere ad altre possibili opzioni interpretative della disciplina degli atti di determinazione e liquidazione del contributo di costruzione.
14.7 Tenendo conto del contesto nel quale è maturata la previsione in esame, l’art. 2, comma 3, L.R. Veneto 16.03.2015, n. 4 appare più chiaro nel suo contenuto dispositivo.
14.8 Il tenore letterale della disposizione sembra sovvertire gli esiti dell’elaborazione giurisprudenziale circa l’assetto dei rapporti tra norma statale e norma regionale nella materia della determinazione del contributo afferente al costo di costruzione.
Infatti, quasi che a prevalere dovesse essere la disposizione di fonte regionale, si afferma che “resta fermo” quanto determinato in diretta applicazione dell’art. 16, c. 9, D.P.R. 380/2001, ma soltanto se tale determinazione sia stata effettuata contestualmente al rilascio del titolo (“Resta fermo quanto già determinato dal comune (…) in diretta attuazione del comma 9 dell'articolo 16 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, purché la determinazione sia avvenuta all'atto del rilascio del permesso di costruire e non con una successiva richiesta di conguaglio”).
Quale che sia il presupposto in forza del quale il Legislatore si sia determinato ad esprimersi in tale forma, comunque, al contenuto dispositivo della norma sembra doversi attribuire portata retroattiva.
La disposizione sembra, infatti, chiara nel consentire ai Comuni di chiedere e di riscuotere soltanto gli importi del contributo quantificati in base alla norma statale contestualmente al rilascio del titolo, inibendo la riscossione del conguaglio anche ove la relativa richiesta sia stata effettuata prima dell’entrata in vigore della L.R. Veneto n. 4/2015.
Infatti, atteso che la norma si inserisce all’interno del testo normativo di fonte regionale che ha dato attuazione all’art. 16, c. 9, DPR 380/2001, essa non può applicarsi alle determinazioni del contributo successive all’entrata in vigore della norma stessa, per le quali si applicheranno le nuove aliquote.
Essa si rivolge, quindi alle “determinazioni” già avvenute (quindi ai titoli già rilasciati) per affermare che quelle effettuate dando diretta attuazione all’art. 16, c. 9, DPR 380/2001, restano ferme –e quindi potranno essere fatte valere e portate ad esecuzione– solo se contestuali al rilascio del titolo.
Il contenuto precettivo della disposizione appare integralmente definito in tale parte del comma: esso determina compiutamente sia la sorte delle “determinazioni” effettuate sulla scorta dell’art. 16, c. 9, D.P.R. 380/2001 (che “restano ferme”), sia di quelle effettuate sulla scorta della legislazione regionale (che non potranno essere integrate).
Il riferimento alle “successive richieste di conguaglio”, appare una semplice specificazione di un concetto già compiutamente espresso con la locuzione che la precede e, pertanto, non sembra potersi valorizzare al fine di affermare che l’impedimento alla riscossione derivante dalla disposizione riguardi soltanto le richieste di conguaglio successive alla sua entrata in vigore.
Il tenore precettivo della disposizione –che consente di far valere solo le determinazioni direttamente attuative della norma statale effettuate contestualmente al rilascio del titolo– resterebbe, infatti, intatto anche in assenza di tale specificazione.
D’altronde una diversa soluzione interpretativa –che la difesa del Comune ha proposto nei suoi scritti difensivi– appare incompatibile con la natura non autoritativa riconosciuta agli atti di determinazione del contributo ed a quelli con i quali tale determinazione venga modificata.
Solo attribuendo ad essi natura provvedimentale, potrebbe distinguersi tra la sorte delle richieste di conguaglio inviate prima e dopo l’entrata in vigore della norma.
Poiché, però, è stato ormai chiarito che tali atti hanno natura paritetica e costituiscono atti di esercizio di un diritto di credito, la norma viene ad incidere sui rapporti obbligatori che sono sorti, ex lege, per effetto del rilascio del titolo, e quindi appare, nel suo contenuto dispositivo, volta ad impedire le azioni necessarie alla riscossione anche delle richieste di conguaglio precedenti alla sua entrata in vigore.
Da tutto quanto sopra, emerge la rilevanza della questione di legittimità costituzionale della norma nel presente giudizio.
15. Deve, inoltre, premettersi, sempre in punto di rilevanza, che la norma non appare suscettibile di alcuna interpretazione costituzionalmente orientata, atteso che essa esclude espressamente l’applicazione della disposizione di principio di fonte statale per i rapporti conseguenti alle determinazioni e liquidazioni del contributo che siano state erroneamente effettuate sulla scorta dei parametri previsti dalla previgente tabella A4 della Legge Regionale n. 61/1985, impedendo, così -in violazione degli artt. 3, 5, 117, II comma, lett. l) e III comma, 118, I comma, 119, I, II e IV comma, Cost.- l’applicazione diretta della norma di principio dettata dal Legislatore statale in materia di legislazione concorrente a tutela di esigenze unitarie di prelievo e violando l’autonomia di entrata e di spesa dei Comuni.
La difesa del Comune, peraltro, nell’evidenziare il contrasto della disposizione con la “norma cornice”, di cui all’art. 16, c. 9, D.P.R. 380/2001 ed invocare per tale ragione un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma, non propone alcuna soluzione ermeneutica diversa dalla mera disapplicazione della norma regionale, che non trova cittadinanza nell’ordinamento e che contrasterebbe con la equiordinazione della funzione legislativa statale e regionale prevista e tutelata dall’art. 117, I comma, Cost.
Né costituirebbe un’interpretazione costituzionalmente orientata quella volta ad escludere l’applicazione della norma per le richieste di conguaglio anteriori all’entrata in vigore della disposizione. Non si tratterebbe, infatti, di un’interpretazione che, tra i possibili significati del testo normativo, accolga quello conforme alle disposizioni di rango costituzionale, ma solo di un’interpretazione che mira a limitare la rilevanza della questione di legittimità costituzionale alle richieste di conguaglio successive all’entrata in vigore della disposizione.
Si è già detto, comunque, che tale interpretazione non è praticabile, alla luce della formulazione della norma e dello scopo avuto di mira dal Legislatore.
16. Così ricostruita la genesi e la portata applicativa della disposizione, per come risulta dalla sua interpretazione letterale e teleologica, il Collegio dubita della compatibilità della norma che da essa si ricava con gli artt. 3, 5, 117, III comma, 119 I, II e IV comma, della Costituzione.
16.1 Il Legislatore Regionale con l’art. 2, c. 3, L. R. 4/2015, affermando che restano ferme solo le determinazioni del contributo effettuate in base dell’art. 16, c. 9, D.P.R. 380/2001 contestualmente al rilascio del titolo edilizio -ed escludendo, per tale via, che la pretesa ad ottenere il pagamento del contributo nella misura minima del 5% previsto dalla Legge Statale possa farsi valere dai Comuni con una successiva richiesta di conguaglio- ha esercitato la propria potestà legislativa in violazione della norma di principio contenuta nell’art. 16, c. 9, DPR 380/2001, così violando l’art. 117, III comma, ultimo periodo, che riserva al Legislatore Statale la determinazione dei principi fondamentali delle materie di legislazione concorrente.
Il Legislatore regionale, infatti, ha disciplinato i rapporti ancora pendenti –tra le Amministrazioni comunali e i cittadini– sorti nel periodo antevigente alla sua entrata in vigore sottraendo all’applicazione della norma statale quei rapporti in cui, all’atto del rilascio del titolo, l’Amministrazione erroneamente avesse omesso di dare applicazione della norma statale di principio, rifacendosi, invece, alle tabelle previste dalla Legislazione Regionale (la tabella A4 della Legge Regionale 27.06.1985, n. 61).
16.2 La natura di norma di principio dell’art. 16, c. 9, D.P.R. 380/2001, nella parte in cui definisce i limiti minimo e massimo di incidenza percentuale sul costo di costruzione della relativa componente del contributo, la sua non derogabilità dal Legislatore Regionale e l’immediata applicabilità della stessa da parte dei Comuni, anche in assenza della normativa regionale di adeguamento, è stata più volte ribadita dalla giurisprudenza amministrativa di questo TAR e del Consiglio di Stato.
Nella sentenza del TAR Veneto, Sez. II, 01.02.2011, n. 181, si legge: “La richiamata disposizione, nel disciplinare le modalità di calcolo del costo di costruzione, prevede che una quota dello stesso, variabile dal 5% al 20%, sia determinata dalle Regioni in funzione delle caratteristiche e delle tipologie delle costruzioni e della loro destinazione e ubicazione. In applicazione dei criteri ermeneutici letterale e teleologico, ad avviso del Collegio, la detta disposizione deve essere interpretata nel senso di disporre l’immediata applicazione della percentuale minima prevista, corrispondente al 5%, mentre resta nella discrezionalità delle Regioni determinare in misura superiore detta percentuale, in relazione ai parametri individuati dal medesimo comma 9.
3.5. Tale interpretazione, peraltro, risponde anche all’esigenza di assicurare un’uniformità nella determinazione del costo di costruzione su tutto il territorio nazionale, a prescindere dall’esercizio del potere normativo riconosciuto alle singole Regioni. La suddetta disposizione, dunque, non reca alcuna disciplina transitoria, dovendo trovare immediata applicazione.
La disposizione in esame, più specificamente, distingue i meccanismi di determinazione del costo di costruzione dalle modalità di adeguamento automatico di detto costo; solo in relazione a queste ultime, infatti, si prevede un’applicazione degli indici ISTAT “nei periodi intercorrenti tra le determinazioni regionali, ovvero in eventuale assenza di tali determinazioni”. Da ciò si trae, dunque, ulteriore conferma dell’immediata applicabilità della richiamata disposizione nella parte riferita alla percentuale del 5%, ai fini della determinazione del costo di costruzione in sé considerato
.”.
Il Consiglio di Stato, Sez. I, nel parere del 03.12.2014, n. 3819 reso in seno al ricorso straordinario al Capo dello Stato affare n. 213/2013, ha affermato che, poiché viene in rilievo una materia di competenza legislativa concorrente: “le leggi regionali possono essere emanate nell’ambito dei principi fissati dalle leggi dello Stato” mentre “è evidente che le Regioni non hanno il potere di derogare ai minimi stabiliti nell’art. 16 della d.P.R. n. 380/2001 per quanto attiene l’applicazione delle percentuali da applicare per il calcolo e la definizione dei contributi afferente al permesso di costruire. Quindi, l’articolo 16 deve essere interpretato nel senso che la percentuale minima, corrispondente al 5%, deve essere applicata a partire dall’entrata in vigore delle legge statale, restando nella discrezionalità delle Regioni determinare in misura superiore detta percentuale, in relazione ai parametri individuati dal medesimo comma 9 dell’art. 16.”.
Tali affermazioni sono riprese dalla Sesta Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza del 21.12.2016, n. 5402, che ancora specifica: “per contro e sebbene alle Regioni spetti la disciplina di dettaglio pure in soggetta materia, al più la diretta applicazione comunale della norma statale, che nel fissare direttamente l’aliquota minima di legge è comunque inderogabile e ineludibile in base al principio di coordinamento della finanza pubblica ai sensi dell’art. 119, co. 2, Cost., serve altresì ad evitare gli effetti nocivi d’ogni inerzia del legislatore regionale, onde essa vige fintanto che la Regione non intervenga o a confermarla o a porne una superiore a quella minima, ossia a quella ritenuta congrua quale livello essenziale di prestazione imposta, ad evidenti fini perequativi del prelievo, per tutto il territorio della Repubblica”.
È opinione del Collegio che la ricostruzione operata dalla giurisprudenza vada confermata, anche alla luce della giurisprudenza della Corte costituzionale in materia.
16.3 L’art. 16 del DPR 380/2001, nel dettare i criteri di determinazione del contributo di costruzione contribuisce a definire il contenuto dell’onere economico gravante sul soggetto che intenda esercitare lo ius aedificandi, così concorrendo a determinare l'effettiva portata e la caratterizzazione positiva del principio di onerosità del permesso di costruire.
La Corte Costituzionale, a più riprese, ha affermato che costituiscono principi fondamentali della materia di competenza concorrente “governo del territorio” (e prima della riforma del Titolo V della Costituzione, della materia “urbanistica”) le norme che concernono l’onerosità del permesso di costruire, nonché le deroghe ed eccezioni al relativo principio.
Nella sentenza n. 1033 del 1988, la Consulta, chiamata ad esprimersi sulla compatibilità con le norme di attuazione dello Statuto della Regione Sicilia (L. cost. 26.02.1948, n. 3), degli artt. 7 e 9 del D.L. 23/01/1982, n. 9 (convertito nella L. 25.03.1982, n. 94), con cui il legislatore statale aveva previsto talune ipotesi di deroga all’obbligo del pagamento del contributo di costruzione e ipotesi di riduzione del contributo, ha evidenziato che rientrano nell’ambito delle disposizioni di principio non soltanto quelle che definiscono l’onerosità dell’attività edilizia, ma anche quelle che, incidendo su tale principio, “concorrono a determinare l'effettiva portata e la caratterizzazione positiva del principio medesimo”, in quanto ad esso “legate da un rapporto di coessenzialità o di integrazione necessaria”.
Sulla scorta di tali argomentazioni la Corte Costituzionale ha riconosciuto la natura di norme di principio alle disposizioni contenenti deroghe o riduzioni dell’importo ordinariamente previsto del contributo di costruzione.
Le medesime argomentazioni sono state ribadite, più di recente, nell’attuale quadro costituzionale di riparto della potestà legislativa, nella sentenza del 03.11.2016, n. 231, con la quale la Corte costituzionale si è pronunciata sulla questione di legittimità costituzionale dell’art. dell'art. 6, commi 20 e 21, primo trattino della Legge della Regione Liguria n. 12 del 2015, con cui si prevedeva l’esonero dal contributo di costruzione per due categorie di interventi che, in base alla legge statale, avrebbero dovuto essere assoggettate a contribuzione.
In tale occasione la Corte, richiamando il precedente del 1988, ha nuovamente affermato che: “L'onerosità del titolo abilitativo «riguarda infatti un principio della disciplina un tempo urbanistica e oggi ricompresa fra le funzioni legislative concorrenti sotto la rubrica "governo del territorio"» (sentenza n. 303 del 2003), e anche le deroghe al principio (elencate all'art. 17 del TUE), in quanto legate a quest'ultimo da un rapporto di coessenzialità, partecipano della stessa natura di principio fondamentale (sentenze n. 1033 del 1988 e n. 13 del 1980).”.
Anche la disposizione di cui al comma 9 dell’art. 16 DPR 380/2001, nella parte in cui individua i parametri per la determinazione del contributo, nella sua componente relativa al costo di costruzione, appare riconducibile a tale categoria di norme di principio, poiché concorrendo a definire il contenuto dell’onere economico gravante sul soggetto che intenda esercitare lo ius aedificandi, ne integra un aspetto essenziale.
16.4 Sotto altro profilo, l’art. 16, c. 9, DPR 380/2001, come condivisibilmente ritenuto da Consiglio di Stato, 21.12.2016, n. 5402, costituisce, altresì, “principio di coordinamento della finanza pubblica ai sensi dell’art. 119, co. 2, Cost.” e dell’art. 117, co. 3, Cost.
La giurisprudenza, sia amministrativa che civile, rinviene il fondamento causale dell’obbligo al pagamento del contributo di costruzione nella compartecipazione del soggetto che assuma l’iniziativa edificatoria ai costi per la realizzazione delle opere di urbanizzazione in proporzione all'insieme dei benefici che la nuova costruzione consegue (Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 30.08.2018, n. 12; Cons. Stato Sez. V, 13.05.2002, n. 2575; Cons. Stato, sez. V, 27.02.1998, n. 201; Cass. sez. I, 27.09.1994, n. 7874).
La definizione di criteri uniformi di determinazione della prestazione imposta per l’intero territorio nazionale mira, da un lato, a garantire a tutti i cittadini parità di condizioni nell’esercizio dello ius aedificandi, dall’altro, e correlativamente, ai Comuni una quota minima di compartecipazione ai benefici derivanti dall’esercizio dell’attività edificatoria.
Il contributo di costruzione costituisce, per la giurisprudenza maggioritaria, un corrispettivo di diritto pubblico, avente carattere generale e non tributario (cfr. da ultimo Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 30.08.2018, n. 12) di cui è titolare il Comune che rilascia il titolo edilizio. Esso rientra, dunque, nel novero di quelle “risorse autonome” di cui i Comuni, secondo quanto prevede l’art. 119, co. 2 Cost., sono titolari.
Con la riforma del Titolo V della Costituzione, infatti, è stata prevista, in linea di principio, l’equiordinazione di Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni, sul piano della “autonomia finanziaria di entrata e di spesa" (primo comma).
L’art. 119, prevede che i suddetti enti hanno "risorse autonome" e "stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri, in armonia con la Costituzione e secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario". Inoltre "dispongono di compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio" (secondo comma).
Le risorse derivanti da tali fonti, e dal fondo perequativo istituito dalla legge dello Stato, consentono -vale a dire devono consentire (cfr. Corte costituzionale 26.01.2004, n. 37)- agli enti di "finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite" (quarto comma), salva la possibilità per lo Stato di destinare risorse aggiuntive ed effettuare interventi speciali in favore di determinati Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni, per gli scopi di sviluppo e di garanzia enunciati dalla stessa norma o "per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio" delle funzioni degli enti autonomi (quinto comma).
Pertanto, alle disposizioni di Legge statale che, ai sensi dell’art. 23 Cost., definiscono i criteri per la quantificazione delle prestazioni imposte spettanti ai Comuni dovrebbe riconoscersi natura di principi di coordinamento della finanza pubblica, poiché anche da esse dipende l’autonomia di entrata e di spesa riconosciuta agli Enti territoriali, nonché la concreta possibilità di assolvere alle funzioni ad essi attribuite, atteso che il IV comma dell’art. 119, esclude che essi possano ricevere, in via ordinaria, ulteriori risorse rispetto a quelle previste dal medesimo articolo.
16.5 Ad ulteriore conferma che l’art. 16, c. 9, D.P.R. 380/2001 costituisca una norma di principio, si osserva che i limiti quantitativi, minimo e massimo, da essa individuati sono i medesimi di quelli che, fin dall’approvazione dell’art. 6 della L. 10 del 28.01.1977 (che ha sancito l’onerosità dell’attività edificatoria), il Legislatore statale aveva stabilito.
Tale criterio è rimasto invariato fino al 25.01.1982, quando l'art. 9, comma 6, D.L. 23.01.1982, n. 9, (convertito, con modificazioni, dalla L. 25.03.1982, n. 94) l’ha modificato, eliminando il limite minimo e riducendo il massimo al 10%. Tuttavia, le percentuali minima e massima del costo di costruzione, sono state riportate a quelle originarie con l’entrata in vigore dell'art. 7, comma 2, L. 24.12.1993, n. 537 e riprodotte nel Testo Unico dell’edilizia.
16.6 L’art. 2, c. 3, L.R. Veneto n. 4/2015 nell’introdurre una disciplina parzialmente derogatoria rispetto all’art. 16, c. 9, D.P.R. 380/2001 si pone in contrasto anche con gli artt. 117, III comma, 118, comma I e 5 della Costituzione di cui costituisce diretta applicazione l’art. 2, c. 3, D.P.R. 380/2001.
La norma (“Le disposizioni, anche di dettaglio, del presente testo unico, attuative dei principi di riordino in esso contenuti operano direttamente nei riguardi delle regioni a statuto ordinario, fino a quando esse non si adeguano ai principi medesimi.”) contiene una disciplina transitoria –destinata a trovare applicazione nelle more dell’adeguamento della legislazione regionale ai principi contenuti nel Testo Unico dell’Edilizia- e cedevole, mediante la quale le disposizioni di dettaglio, attuative di norme di principio contenute nel D.P.R. 380/2001, trovano immediata applicazione, fino all’adeguamento da parte delle Regioni.
Il meccanismo di coordinamento tra normativa statale e regionale nelle materie di competenza concorrente, costituito dalle “norme cedevoli”, è stato ritenuto dalla Corte costituzionale attuativo di quelle esigenze unitarie di regolamentazione uniforme che l’ordinamento costituzionale continua a riconoscere anche nel differente sistema di rapporti tra Stato e Regioni delineato dalla Legge costituzionale n. 1 del 2003 e che rinvengono il proprio referente normativo nell’art. 118, c. 1 Cost., nella parte in cui codifica il principio di sussidiarietà.
Nella sentenza n. 303/2003, la Corte costituzionale ha affermato che benché “l'inversione della tecnica di riparto delle potestà legislative e l'enumerazione tassativa delle competenze dello Stato dovrebbe portare ad escludere la possibilità di dettare norme suppletive statali in materie di legislazione concorrente, (e) tuttavia una simile lettura dell'art. 117 svaluterebbe la portata precettiva dell'art. 118, comma primo, che consente l'attrazione allo Stato, per sussidiarietà e adeguatezza, delle funzioni amministrative e delle correlative funzioni legislative” e che “la disciplina statale di dettaglio a carattere suppletivo determina una temporanea compressione della competenza legislativa regionale che deve ritenersi non irragionevole, finalizzata com'è ad assicurare l'immediato svolgersi di funzioni amministrative che lo Stato ha attratto per soddisfare esigenze unitarie e che non possono essere esposte al rischio della ineffettività”.
Le norme statali di dettaglio, espressione di principi generali, alle quali è attribuita temporanea vigenza nelle more dell’adeguamento da parte delle Regioni (per questo dette “cedevoli” rispetto alla legislazione regionale sopravvenuta), mirano ad evitare che l’inerzia regionale ponga nel nulla l’individuazione dei principi fondamentali delle materie di legislazione concorrente, che è “riservata” al Legislatore statale, così preservando la suddetta riserva e garantendo, nel contempo l’uniforme disciplina nazionale in conformità con gli stessi.
A tale esigenza di uniforme disciplina dei criteri di determinazione del contributo di costruzione è improntata, per quanto si è esposto nei punti del paragrafo 4, la disposizione di cui all’art. 16, c. 9, DPR 380/2001, nella parte in cui definisce la percentuale minima e massima del costo di costruzione entro cui le Regioni devono individuare la quota di contributo di costruzione per singole categorie di edifici.
L’art. 2, c. 3, L.R. 4/2015, introducendo un regime differenziato di determinazione del contributo di costruzione rispetto a quello applicabile sull’intero territorio nazionale per talune fattispecie (quelle per le quali il contributo fosse stato determinato secondo parametri diversi da quello minimo previsti dall’art. 16, c. 9, DPR 380/2001), si è posto contro quelle esigenze di uniforme regolamentazione presidiate dagli artt. 118, c. I e 5 della Costituzione, rendendo definitiva la violazione della norma di principio che il mancato tempestivo adeguamento della legislazione regionale aveva prodotto.
17. Sotto altro profilo, l’art. 2, c. 3, L.R. Veneto n. 4/2015, escludendo che i Comuni possano pretendere con una richiesta di conguaglio il pagamento del contributo nella misura minima prevista dalla norma di legge statale, incide e viola il principio di equiordinazione tra Enti territoriali, previsto dall’art. 114 Cost., nonché l’autonomia di entrata e di spesa riconosciuta ai Comuni dall’art. 119, c. I, II e IV Cost. e il principio di buona amministrazione, previsto dall’art. 97 Cost.
Il contributo di costruzione, come si è detto, essendo una prestazione imposta che i Comuni hanno diritto di riscuotere in conseguenza del rilascio del permesso di costruire, ne costituisce un’entrata propria, istituita con legge statale.
Ai sensi del IV comma dell’art. 119 Cost., questa entrata concorre con le altre entrate di natura tributaria e non tributaria, nonché con le risorse trasferite ai sensi ed alle condizioni di cui ai commi III e V, al finanziamento “integrale” delle spese necessarie per l’espletamento delle proprie funzioni.
La norma regionale, escludendo che i Comuni possano pretendere con una richiesta di conguaglio il pagamento del contributo nella misura minima prevista dalla norma di legge statale, incide su un credito già acquisito al patrimonio comunale per effetto del rilascio del permesso di costruire e viola l’autonomia di entrata e di spesa riservata ai Comuni, in tal modo ledendo anche il principio di equiordinazione tra gli enti territoriali che compongono la Repubblica, sancito dall’art. 114 Cost.
Inoltre, la norma si pone in contrasto con il principio di buon andamento della Pubblica Amministrazione perché impedisce ai Comuni di far valere e riscuotere nella loro interezza crediti già acquisiti al patrimonio, in assenza di alcuna valutazione sulla sostenibilità economica di tale rinuncia.
18. La norma, inoltre, invade la sfera di potestà legislativa esclusiva nella disciplina dell’ordinamento civile riservata al Legislatore statale dall’art. 117, c. II, lett. l e viola i principi di uguaglianza e ragionevolezza previsti dall’art. 3 Cost.
Come si è già evidenziato, il Legislatore regionale con la norma in esame ha dettato una disciplina speciale per gli atti di determinazione e liquidazione del contributo di costruzione già emessi, sottraendo ai Comuni il potere di rideterminare l’importo già liquidato sulla scorta della disciplina regionale antevigente e di riscuoterlo.
Così facendo si è inserita nel dibattito –all’epoca non ancora sopito  sulla natura, autoritativa o paritetica, degli atti con cui l’Amministrazione determina e liquida l’importo del contributo di costruzione e sull’ammissibilità, e le relative condizioni, della rideterminazione del suddetto importo.
Prima dell’intervento dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con la sentenza del 30.08.2018, n. 12, sulla questione, si erano contrapposti tre orientamenti interpretativi.
Secondo una prima impostazione, fatta propria dal Consiglio di giustizia amministrativa (nelle sentenze nn. 64, 188, 244, 373, 422 e 790 del 2007), la determinazione del contributo darebbe luogo ad un rapporto paritetico che, seppur azionabile da ambo le parti nel rispetto del termine prescrizionale ordinario di dieci anni, si cristallizzerebbe nel quantum al momento del rilascio del titolo edilizio, nel senso che lo stesso non sarebbe suscettibile di modifiche successive (se non nei casi di manifesto errore di calcolo), in quanto, in applicazione dei principi desumibili dalla disciplina dei contratti, non darebbe mai luogo ad un errore riconoscibile (donde l’intangibilità pressoché assoluta della originaria determinazione amministrativa).
Una seconda tesi, che è stata seguita in alcune sentenze della sez. IV del Consiglio di Stato (Cons. St., sez. IV, 27.09.2017 n. 4515, Cons. St., sez. IV, 12.06.2017 n. 2821), pur muovendo, come la prima, dalla natura paritetica del rapporto, trae da tale assunto conseguenze opposte, affermando che proprio perché si tratta di un rapporto di debito-credito di natura paritetica, la rettifica sarebbe sempre possibile, entro il termine decennale di prescrizione, perché, per un verso, il procedimento sarebbe svincolato dal rispetto delle condizioni di esercizio dell’autotutela amministrativa e, per altro verso, la rideterminazione del contributo dovuto secondo rigidi parametri regolamentari o tabellari costituirebbe un atto dovuto.
Terza e più recente impostazione, muove dalla natura pubblicistica (Cons. St., sez. IV, 21.12.2016, n. 5402) del rapporto nascente dalla determinazione del contributo, trattandosi di prestazione patrimoniale imposta di carattere non tributario, per affermare la conseguente applicabilità, in astratto, delle regole dell’autotutela amministrativa.
L’Adunanza Plenaria ha risolto il contrasto, affermando che “L'atto di imposizione e di liquidazione del contributo, quale corrispettivo di diritto pubblico richiesto per la compartecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione, non ha natura autoritativa né costituisce esplicazione di una potestà pubblicistica, ma si risolve in un mero atto ricognitivo e contabile, in applicazione di rigidi e prestabiliti parametri regolamentari e tabellari” e che “la natura paritetica dell'atto di determinazione consente che la pubblica amministrazione possa apportarvi modifiche, sia in favore del privato che in senso contrario, purché ciò avvenga nei limiti della prescrizione decennale del relativo diritto di credito (v., inter multas, Cons. St., sez. IV, 28.11.2012, n. 6033, Cons. St., sez. IV, 17.09.2010, n. 6950)”.
L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha, quindi, ritenuto non condivisibili, sia la tesi dell’assoluta immodificabilità del contributo, affermata sul presupposto della non riconoscibilità dell’errore nel quale è incorsa l’Amministrazione, sia la tesi secondo la quale la riliquidazione del contributo sarebbe ammessa solo in presenza dei presupposti previsti per l’autotutela.
Ha, invece, affermato la doverosità della rideterminazione dell’importo del contributo che, per errore, sia stato originariamente liquidato in violazione delle norme di legge che regolano i criteri del relativo calcolo, pena la violazione del principio di legalità delle prestazioni imposte sancito dall'art. 23 della Costituzione.
Ha, altresì, stabilito che la natura di prestazione patrimoniale imposta riconosciuta al contributo in esame non comporta l’attrazione nella sfera pubblicistica dell’obbligazione di cui costituisce oggetto. L’obbligazione nasce ex lege in conseguenza del rilascio del titolo edilizio ed è imposta nel senso che il privato non può sottrarsi al vincolo se non rinunciando a richiedere il titolo, tuttavia, “esclusa pacificamente la sua natura tributaria”, il pagamento del contributo “non può che costituire l'oggetto di un ordinario rapporto obbligatorio, disciplinato dalle norme di diritto privato, come prescrive l'art. 1, comma 1-bis, della L. n. 241 del 1990, salvo che la legge disponga diversamente.”.
Discende dalle esposte premesse che gli atti con i quali la pubblica amministrazione determina e liquida il contributo di costruzione costituiscono l'esercizio di una facoltà connessa alla pretesa creditoria riconosciuta dalla legge al Comune per il rilascio del permesso di costruire, nell'ambito di un rapporto obbligatorio a carattere paritetico.
Si è cioè al cospetto di un rapporto obbligatorio, di contenuto essenzialmente pecuniario (salva l'ipotesi di opere a scomputo di cui all'art. 16, comma 1, del D.P.R. n. 380 del 2001), al quale si applicano le disposizioni di diritto privato, salve le specifiche disposizioni previste dalla legge (come, ad esempio, i già citati artt. 42 e 43 del D.P.R. n. 380 del 2001) per la peculiare finalità del credito vantato dall'amministrazione comunale in ordine al pagamento del contributo (oneri di urbanizzazione e costo di costruzione).”.
Quanto alle esigenze di tutela dell’affidamento ingenerato dall’erronea liquidazione del contributo all’atto del rilascio del titolo, l’Adunanza Plenaria ha affermato che esse sono sufficientemente garantite nei limiti previsti dagli artt. 1175 e 1375 c.c..
Pertanto, “la complessità delle operazioni di calcolo o l'eventuale incertezza nell'applicazione di alcune tabelle o coefficienti determinativi, dovuti a ragioni di ordine tecnico, non sono eventi estranei o ignoti alla sfera del debitore, che invece con l'ordinaria diligenza, richiesta dagli artt. 1175 e 1375 c.c., può e deve controllarne l'esattezza sin dal primo atto di loro determinazione”.
Quindi “La tutela del legittimo affidamento e il principio della buona fede (artt. 1175 e 1375 c.c.), che in via generale devono essere osservati anche dalla pubblica amministrazione nell'attuazione del rapporto obbligatorio (v., sul punto, Cass., sez. L, 07.04.1992, n. 4226), possono trovare applicazione ad una fattispecie come quella in esame nella quale, ordinariamente, l'oggettività dei parametri da applicare al contributo di costruzione rende vincolato il conteggio da parte della pubblica amministrazione, consentendone a priori la conoscibilità e la verificabilità da parte dell'interessato con l'ordinaria diligenza, solo nella eccezionale ipotesi in cui tali conoscibilità e verificabilità non siano possibili con il normale sforzo richiesto al debitore, secondo appunto buona fede, nell'ottica di una leale collaborazione finalizzata all'attuazione del rapporto obbligatorio e al soddisfacimento dell'interesse creditorio.”.
Come si è detto, il Legislatore regionale con l’art. 2, c. 3, L.R. Veneto n. 4/2015 si è inserito nel dibattito, manifestando una chiara opzione per la tesi che escludeva la modificabilità della liquidazione del contributo di costruzione effettuata dal Comune contestualmente al rilascio del titolo.
I rapporti obbligatori già instaurati alla data della sua entrata in vigore vengono assoggettati ad una disciplina peculiare, mediante la quale la pretesa creditoria del Comune viene ridotta nel quantum rispetto al suo contenuto legale, ove non esercitata in tale misura fin dal momento della sua originaria quantificazione, ed è riconosciuta una tutela dell’affidamento del privato del tutto avulsa dalla verifica dei profili di conoscibilità della normativa applicabile.
Ed, infatti, anche ove si ritenesse che la stratificazione delle disposizioni di fonte statale e regionale abbia potuto ingenerare una situazione di incertezza tale da incidere sulla conoscibilità dei criteri di calcolo del contributo, ciò non potrebbe comunque affermarsi con riguardo alle determinazioni nelle quali fosse esplicitamente fatta salva la possibilità di successivi conguagli, o a quelle adottate dopo le pronunce del TAR Veneto e del Consiglio di Stato con le quali il dubbio interpretativo sulla normativa applicabile era stato risolto nel senso della prevalenza della norma di fonte statale.
Così facendo, il Legislatore regionale ha dettato disposizioni che incidono sul regime giuridico di “un rapporto obbligatorio, di contenuto essenzialmente pecuniario”, in quanto tale soggetto alle “disposizioni di diritto privato, salve le specifiche disposizioni previste dalla legge”, invadendo una competenza riservata, dall’art. 117, c. II, Cost. alla potestà legislativa statale.
19. Infine, la norma di legge regionale appare in contrasto anche con l’art. 3 Cost.
Non può, infatti, ritenersi conforme ai principi di uguaglianza e di ragionevolezza una norma che disciplina diversamente rapporti obbligatori di fonte legale, integralmente definiti, nel loro contenuto, per effetto della medesima legge, in funzione della circostanza, meramente casuale, che il Comune abbia o non abbia fatto corretta applicazione della legge vigente in sede di rilascio del titolo.
Neppure può addursi a giustificazione di una tale disparità di trattamento l’affidamento ingenerato dal Comune con l’erronea determinazione iniziale dell’importo del contributo, poiché, come ha ritenuto l’Adunanza Plenaria nella sentenza n. 12/2018, tale affidamento è meritevole di tutela soltanto ove esso sia incolpevole, ovvero non fosse evitabile con l’ordinaria diligenza, circostanza da valutarsi in concreto.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Seconda), dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in relazione agli artt. 3, 5, 97, 114, 117, 118 e 119 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 3, della Legge Regionale 16.03.2015, n. 4.
Sospende il giudizio in corso e dispone, a cura della segreteria della Sezione, che gli atti dello stesso siano trasmessi alla Corte Costituzionale per la risoluzione della prospettata questione, nonché la notifica della presente ordinanza alle parti in causa ed al Presidente della Giunta Regionale e la comunicazione della medesima al presidente del Consiglio Regionale per il Veneto.

dicembre 2018

EDILIZIA PRIVATA - PATRIMONIO: Oneri di urbanizzazione: i vincoli di destinazione finanziaria in vista del bilancio di previsione 2019/2021.
I proventi dei titoli abilitativi edilizi e delle sanzioni previste dal D.P.R. n. 380 del 2001 (oneri di urbanizzazione), a partire dall'01.01.2018, possono essere utilizzati esclusivamente nei limiti dei vincoli stabiliti per il 2018, e senza vincoli temporali, dall'art. 1, comma 460, L. n. 232 del 2016.
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Il Sindaco del Comune di Ugento (LE) ha formulato una richiesta di parere in ordine alla modalità di utilizzo della quota parte dell’avanzo destinato ai sensi del comma 460 dell’art. 1 della legge 232/2016.
In particolare, nella nota sopra richiamata, il Sindaco, premette che con l’art. 1, comma 460, della legge 232/2016, così come modificato dall’art. 1-bis, comma 1 del Decreto Legge n. 148/2017, è stato previsto che a “decorrere dal 01.01.2018, i proventi dei titoli abilitativi edilizi e delle sanzioni previste dal testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 06.06.2001, n. 380, sono destinati esclusivamente e senza vincoli temporali alla realizzazione e alla manutenzione ordinaria e straordinaria delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria, al risanamento di complessi edilizi compresi nei centri storici e nelle periferie degradate, a interventi di riuso e di rigenerazione, a interventi di demolizione di costruzioni abusive, all'acquisizione e alla realizzazione di aree verdi destinate a uso pubblico, a interventi di tutela e riqualificazione dell'ambiente e del paesaggio, anche ai fini della prevenzione e della mitigazione del rischio idrogeologico e sismico e della tutela e riqualificazione del patrimonio rurale pubblico, nonché a interventi volti a favorire l'insediamento di attività di agricoltura nell'ambito urbano e a spese di progettazione per opere pubbliche”.
Ciò posto, il Sindaco, evidenzia che tali novità limiterebbero “la libertà d’azione degli enti che non potranno più decidere di utilizzare gli oneri per la totalità delle spese di investimento ma solo per quelle contemplate dal comma 460, fuoriuscendo, quindi dagli interventi finanziabili gli automezzi e le autovetture, i mobili e gli arredi, le attrezzature informatiche, per i quali dovranno essere individuate nuove fonti di finanziamento, non facili da reperire”.
Il Sindaco chiede pertanto:
   - senza contravvenire i sopra riportati dispositivi normativi, se sia possibile “utilizzare la quota parte dell’Avanzo destinato rinveniente dal rendiconto dell’esercizio precedente regolarmente approvato e generato dai proventi dei titoli abitativi edilizi e delle sanzioni previste dal testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 06.06.2001, n. 380, incassati da questo Ente in costanza di vigenza della normativa precedente al comma 460 della legge 232/2016, per il finanziamento della spesa per gli automezzi e le autovetture, i mobili e gli arredi, le attrezzature informatiche, eccetera, i quali non sarebbero più finanziabili con i predetti proventi in base alla normativa vigente;
   - come sia possibile, per gli Enti di medio piccole dimensioni ed in costanza della vigente normativa, conciliare le ricorrenti spese per le manutenzioni degli impianti e attrezzatture degli automezzi del sistema informativo eccetera, con il carattere di eccezionalità delle residuali fonti di finanziamento di spesa per investimenti attualmente reperibili
”.
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Nel caso di specie il secondo quesito è con tutta evidenza inammissibile.
Il primo quesito, invece, relativo all’interpretazione della disciplina relativa al comma 460 della legge 232/2016, appare oggettivamente ammissibile.
Preliminarmente, il Collegio ribadisce tuttavia, che l’attività consultiva non può estendersi, sotto il profilo interpretativo, sino a formulare suggerimenti risolutivi di questioni che involgono singole fattispecie concrete e specifiche, tanto più se, come nel caso di specie, l’intervento della Sezione potrebbe comportare un’ingerenza nell’iter del procedimento spettante esclusivamente alle valutazioni dell’Amministrazione e, inoltre, la soluzione del quesito potrebbe generare interferenze con altre funzioni spettanti a questa Corte.
Il Collegio si soffermerà, quindi, più in generale sui principi di diritto del quadro normativo di riferimento.
Come è noto, il principio dell’”unità”, compreso tra i principi contabili generali fissati dal decreto legislativo 23.06.2011, n. 118 (allegato 1) e a cui gli enti locali devono conformare la gestione finanziaria, dopo avere affermato che “è il complesso unitario delle entrate che finanzia l’amministrazione pubblica e quindi sostiene così la totalità delle sue spese durante la gestione” -aggiunge che– “le entrate in conto capitale sono destinate esclusivamente al finanziamento di spese di investimento”.
Lo stesso principio stabilisce ancora che “i documenti contabili non possono essere articolati in maniera tale da destinare alcune fonti di entrata a copertura solo di determinate e specifiche spese, salvo diversa disposizione normativa di disciplina delle entrate vincolate”.
I principi generali dell’Ordinamento, quindi, affermano inequivocabilmente il divieto di finanziare spese correnti con entrate in conto capitale. L’utilizzazione di entrate in conto capitale per finanziamento di spese correnti, in deroga al principio sopra richiamato, può essere autorizzata solo da specifiche disposizioni di legge quali sono state quelle che, nell’ultimo decennio, hanno riguardato proprio i proventi derivanti dai c.d. “oneri di urbanizzazione”.
Con la deliberazione n. 38/2016/PAR del 09.02.2016, cui si rinvia, la Sezione di controllo per la Lombardia ha ricostruito l’evoluzione legislativa relativa all’utilizzazione dell’entrate in oggetto sino al 2016.
Successivamente, con la deliberazione n. 81/2017/PAR, la stessa Sezione ha ripercorso le disposizioni in vigore per gli anni 2017 e 2018.
L’art. 1, comma 737, della legge 28.12.2015, n. 108 (legge di stabilità per il 2016) dispone che “per gli anni 2016 e 2017, i proventi delle concessioni edilizie e delle sanzioni previste dal testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 06.06.2001, n. 380, fatta eccezione per le sanzioni di cui all'articolo 31, comma 4-bis, del medesimo testo unico, possono essere utilizzati per una quota pari al 100 per cento per spese di manutenzione ordinaria del verde, delle strade e del patrimonio comunale, nonché per spese di progettazione delle opere pubbliche”.
L’art. 1, comma 460, della legge 11.12.2016, n. 232 (legge di bilancio per il 2017, così come modificato dall’art. 1-bis, comma 1, del Decreto Legge n. 148/2017), dispone viceversa che “
a decorrere dal 01.01.2018, i proventi dei titoli abilitativi edilizi e delle sanzioni previste dal testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 06.06.2001, n. 380, sono destinati esclusivamente e senza vincoli temporali alla realizzazione e alla manutenzione ordinaria e straordinaria delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria, al risanamento di complessi edilizi compresi nei centri storici e nelle periferie degradate, a interventi di riuso e di rigenerazione, a interventi di demolizione di costruzioni abusive, all'acquisizione e alla realizzazione di aree verdi destinate a uso pubblico, a interventi di tutela e riqualificazione dell'ambiente e del paesaggio, anche ai fini della prevenzione e della mitigazione del rischio idrogeologico e sismico e della tutela e riqualificazione del patrimonio rurale pubblico, nonché a interventi volti a favorire l'insediamento di attività di agricoltura nell'ambito urbano e a spese di progettazione per opere pubbliche.”
Nel 2017, quindi, tali proventi potevano essere destinati totalmente al finanziamento delle spese correnti elencate dalla legge di stabilità per il 2016, in deroga al principio di generica destinazione a spese di investimento.
A decorrere dal 01.01.2018, viceversa, le entrate derivanti dal rilascio dei titoli abilitativi edilizi e dalle relative sanzioni devono essere destinate esclusivamente agli specifici utilizzi, attinenti prevalentemente a spese in conto capitale, indicati dal comma 460, così come modificato nel 2017 e quindi, in particolare:
   1. alla realizzazione e alla manutenzione ordinaria e straordinaria delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria;
   2. al risanamento di complessi edilizi compresi nei centri storici e nelle periferie degradate;
   3. a interventi di riuso e di rigenerazione;
   4. a interventi di demolizione di costruzioni abusive;
   5. all'acquisizione e alla realizzazione di aree verdi destinate a uso pubblico;
   6. a interventi di tutela e riqualificazione dell'ambiente e del paesaggio, anche ai fini della prevenzione e della mitigazione del rischio idrogeologico e sismico e della tutela e riqualificazione del patrimonio rurale pubblico;
   7. a interventi volti a favorire l'insediamento di attività di agricoltura nell'ambito urbano;
   8. a spese di progettazione per opere pubbliche.
Come è stato chiarito da Arconet in risposta alla FAQ n. 28 del 19.02.2018,
l’art. 1, comma 460, della legge 11.12.2016 n. 232, per le entrate derivanti dai titoli abilitativi edilizi e delle sanzioni previste dal testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 06.06.2001, n. 380, individua un insieme di possibili destinazioni, la cui scelta è rimessa alla discrezionalità dell’ente. Si ritiene pertanto che tale elenco, previsto dalla legge, non rappresenti un vincolo di destinazione specifico ma una generica destinazione ad una categoria di spese”.
Il Legislatore, quindi, differentemente da quanto avvenuto con riferimento e limitatamente all’utilizzo nel 2016 e nel 2017, ha ritenuto di privilegiare nel 2018 un utilizzo prevalente per spese in conto capitale delle entrate da oneri di urbanizzazione. E nel disciplinare tale principio ha specificato che tale destinazione debba avvenire “senza vincoli temporali”.
In altri termini, come è già stato affermato da questa Corte, quindi,
per effetto della predetta legge dal 2018 “i proventi da “oneri di urbanizzazione” cessano di essere entrate con destinazione generica a spese di investimento per divenire entrate vincolate alle determinate categorie di spese ivi comprese le spese correnti, limitatamente agli interventi di manutenzione ordinaria sulle opere di urbanizzazione primaria e secondaria (Corte Conti, Sezione Controllo Lombardia, deliberazione n. 81/2017/PAR).
Alla luce delle predette considerazioni è possibile affermare, in risposta al quesito formulato nella presente richiesta di parere, che
i proventi dei titoli abilitativi edilizi e delle sanzioni previste dal testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 06.06.2001, n. 380 (c.d. “oneri di urbanizzazione”), a partire dall’01.01.2018, possono essere utilizzati esclusivamente nei limiti dei vincoli stabiliti per il 2018, e senza vincoli temporali, dall’art. 1, comma 460, della legge 11.12.2016, n. 232 (Corte dei Conti, Sez. controllo Puglia, parere 12.12.2018 n. 163).

ottobre 2018

EDILIZIA PRIVATA: Le controversie attinenti alla determinazione e liquidazione degli oneri concessori sono riconducibili a quegli aspetti dell’uso del territorio costituenti prerogativa della P.A., e per questo riservate alla giurisdizione esclusiva del G.A., nel rispetto dell’indirizzo legislativo previsto in origine dall’art. 16 L. 10/1977, confermato poi dall’art. 34 Decr. Leg.vo 80/1998 (come sostituito dalla L. 205/2000), rimodulato in seguito dall’intervento correttivo della Corte Cost. n. 204/2004, e da ultimo fissato dall’art. 133, co. 1, lett. f), cpa (alla stregua del quale sono devolute appunto alla giurisdizione esclusiva del G.A. “le controversie aventi ad oggetto gli atti e i provvedimenti delle pubbliche amministrazioni in materia di urbanistica ed edilizia, concernenti tutti gli aspetti dell’uso del territorio”.
Sempre alla giurisdizione esclusiva del G.A. risulta, altresì, ascrivibile la controversia introdotta a mezzo del ricorso per motivi aggiunti, avente ad oggetto la restituzione di somme versate a titolo di oneri concessori connessi ad un P.d.c. poi non utilizzato, ancorché si versi in ipotesi di indebito oggettivo, a seguito del venire meno dell’originaria obbligazione legale.
Peraltro, ai sensi dell'art. 133, comma 1, lett. f), cod. proc. amm., rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo anche la controversia avente ad oggetto la cartella di pagamento emessa da Equitalia Servizi di Riscossione spa ed avente ad oggetto somme dovute per oneri concessori, nel corso della quale non vengano dedotte censure derivanti da atti generali autoritativi relativi alla determinazione degli oneri presupposti di quello impugnato; atteso anche che detti oneri non hanno natura tributaria, bensì costituiscono un corrispettivo di diritto pubblico avente la funzione di partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione.
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Le controversie in materia di determinazione e pagamento degli oneri concessori, investendo l’esistenza o l’entità di un’obbligazione legale, concernono diritti soggettivi, con la conseguenza che la relativa domanda non soggiace al regime di decadenza proprio del processo di impugnazione, ma può essere proposta nel termine di prescrizione ordinaria ed indipendentemente dall’impugnazione di eventuali atti.
In particolare, va osservato che gli atti emessi nella materia degli oneri concessori dal Comune non presentano carattere autoritativo, e, quindi, attitudine a divenire incontestabili se non impugnati nel termine decadenziale di gg. 60 (come accade, invece, per i provvedimenti amministrativi), tanto più che non ha natura tributaria l’obbligazione riguardante gli oneri in parola, per cui sul punto non può neppure parlarsi di atti di accertamento (suscettibili di far divenire incontestabile la pretesa, se non impugnati nei termini), ancorché vi sia stata emissione di ordinanza ingiunzione ex R.D. 14.04.1910 n. 639 (posto che, comunque, la giurisdizione viene determinata sulla base della tipologia della pretesa fatta valere con tale mezzo di riscossione, per cui si applicano in definitiva le regole del giudice fornito di giurisdizione: ma nella fattispecie vi è giurisdizione esclusiva e le posizioni sono di diritto/obbligo, cosicché il termine per impugnare l’ingiunzione –cui è riconoscibile valore di atto amministrativo paritetico– è quello decennale di prescrizione ordinaria.
Quindi, va sottolineato come l’azione volta alla declaratoria di insussistenza o diversa entità del debito contributivo per oneri concessori possa essere intentata a prescindere dalla impugnazione o esistenza dell’atto con il quale viene richiesto il pagamento, trattandosi di un giudizio di accertamento di un rapporto obbligatorio pecuniario proponibile nel termine di prescrizione, e pur dopo decorsi i termini per opporsi all’ingiunzione ex R.D. 14.04.1910 n. 639, ovvero ad una cartella di pagamento (essendo questi meri strumenti per procedere ad esecuzione coattiva).
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Le sanzioni irrogabili per il ritardato pagamento del contributo di costruzione soggiaciono al termine prescrizionale di cinque anni.
Sempre in relazione alla somma di cui si discute, sono dovuti gli interessi di mora maturati nel periodo tra la scadenza dei singoli ratei e la data del pagamento. E sugli stessi è applicabile il diverso termine prescrizionale di dieci anni.
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La presente controversia è incentrata sulle contestazioni mosse dalla Im.Sa.St. srl alla richiesta del Comune di Telese Terme di avere la corresponsione di una cospicua somma di denaro, che gli sarebbe dovuta a titolo di oneri concessori (contributo di costruzione e oneri di urbanizzazione), nonché di sanzioni e interessi per ritardato pagamento di questi, in dipendenza del rilascio, in tempi diversi, di più permessi di costruire appunto in favore della odierna ricorrente; richiesta infine concretatasi nella notifica, in data 16.2.2017, a cura della Equitalia Servizi di Riscossione spa (quale concessionario per la riscossione) della cartella n. 07120170016377737, contenente l’ingiunzione alla società ricorrente a pagare entro gg. 60 dalla notifica la complessiva somma di euro 185.894,73, in forza del ruolo n. 2017/000863 reso esecutivo in data 11.11.2016.
...
Ciò posto, va preliminarmente osservato che le controversie –quale la presente– attinenti alla determinazione e liquidazione degli oneri concessori sono riconducibili a quegli aspetti dell’uso del territorio costituenti prerogativa della P.A., e per questo riservate alla giurisdizione esclusiva del G.A., nel rispetto dell’indirizzo legislativo previsto in origine dall’art. 16 L. 10/1977, confermato poi dall’art. 34 Decr. Leg.vo 80/1998 (come sostituito dalla L. 205/2000), rimodulato in seguito dall’intervento correttivo della Corte Cost. n. 204/2004, e da ultimo fissato dall’art. 133, co. 1, lett. f), cpa (alla stregua del quale sono devolute appunto alla giurisdizione esclusiva del G.A. “le controversie aventi ad oggetto gli atti e i provvedimenti delle pubbliche amministrazioni in materia di urbanistica ed edilizia, concernenti tutti gli aspetti dell’uso del territorio” – cfr. Cons. di Stato sez. IV, n. 2960 del 10.06.2014; TAR Campania-Napoli n. 2170 del 16.04.2014, TAR Liguria n. 552 del 28.03.2013; TAR Campania-Salerno n. 1676 del 24.09.2012; TAR Campania-Napoli n. 2136 del 09.05.2012).
Sempre alla giurisdizione esclusiva del G.A. risulta, altresì, ascrivibile la controversia introdotta a mezzo del ricorso per motivi aggiunti, avente ad oggetto la restituzione di somme versate a titolo di oneri concessori connessi ad un P.d.c. poi non utilizzato, ancorché si versi in ipotesi di indebito oggettivo, a seguito del venire meno dell’originaria obbligazione legale (cfr. Cons. di Stato sez. V, n. 894 del 12.06.1995; TAR Sicilia-Catania n. 189 del 27.01.2017; TAR Sicilia-Catania n. 159 del 18.01.2013).
Peraltro, ai sensi dell'art. 133, comma 1, lett. f), cod. proc. amm., rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo anche la controversia avente ad oggetto la cartella di pagamento emessa da Equitalia Servizi di Riscossione spa ed avente ad oggetto somme dovute per oneri concessori, nel corso della quale non vengano dedotte censure derivanti da atti generali autoritativi relativi alla determinazione degli oneri presupposti di quello impugnato (così Cons. di Stato sez. IV, n. 4208 del 21.08.2013; nonché Cass. SS.UU. n. 22514 del 20.10.2006; TAR Sicilia-Catania n. 2531 dell’11.10.2016; TAR Sicilia Palermo n. 1730 del 12.07.2016; TAR Toscana n. 265 dell’11.02.2011); atteso anche che detti oneri non hanno natura tributaria, bensì costituiscono un corrispettivo di diritto pubblico avente la funzione di partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione (così Cons. di Stato sez. IV, n. 4208 del 21.08.2013; nonché TAR Campania-Napoli n. 19792 del 18.11.2008).
Ancora, deve osservarsi che le controversie in materia di determinazione e pagamento degli oneri concessori, investendo l’esistenza o l’entità di un’obbligazione legale, concernono diritti soggettivi, con la conseguenza che la relativa domanda non soggiace al regime di decadenza proprio del processo di impugnazione, ma può essere proposta nel termine di prescrizione ordinaria ed indipendentemente dall’impugnazione di eventuali atti (cfr. Cons. di Stato sez. IV, n. 4208 del 21.08.2013; TAR Sicilia-Catania n. 189 del 27.01.2017; TAR Sicilia-Palermo n. 2581 del 10.11.2016; TAR Puglia-Bari n. 1596 del 03.12.2015TAR Puglia-Lecce n. 3114 del 30.10.2015; TAR Sicilia-Catania n. 1881 del 09.07.2015).
In particolare, va osservato che gli atti emessi nella materia degli oneri concessori dal Comune non presentano carattere autoritativo, e, quindi, attitudine a divenire incontestabili se non impugnati nel termine decadenziale di gg. 60 (come accade, invece, per i provvedimenti amministrativi), tanto più che –come già detto– non ha natura tributaria l’obbligazione riguardante gli oneri in parola, per cui sul punto non può neppure parlarsi di atti di accertamento (suscettibili di far divenire incontestabile la pretesa, se non impugnati nei termini), ancorché vi sia stata emissione di ordinanza ingiunzione ex R.D. 14.04.1910 n. 639 (posto che, comunque, la giurisdizione viene determinata sulla base della tipologia della pretesa fatta valere con tale mezzo di riscossione –cfr. Cass. SS.UU. 29 del 05.01.2016; TAR Emilia Romagna, Parma, n. 134 del 18.04.2016; TAR Sicilia, Catania, n. 109 del 15.01.2015-, per cui si applicano in definitiva le regole del giudice fornito di giurisdizione: ma nella fattispecie vi è giurisdizione esclusiva e le posizioni sono di diritto/obbligo, cosicché il termine per impugnare l’ingiunzione –cui è riconoscibile valore di atto amministrativo paritetico; cfr. Cass. Civ. n. 29653 del 12.12.2017– è quello decennale di prescrizione ordinaria; su quest’ultimo punto cfr. TAR Calabria, Catanzaro, n. 1976 del 10.12.2007).
Quindi, va sottolineato come (cfr. Cons. di Stato sez. V, n. 810 del 04.12.1990; nonché Cons. di Stato sez. IV, n. 4208 del 21.08.2013) l’azione volta alla declaratoria di insussistenza o diversa entità del debito contributivo per oneri concessori possa essere intentata a prescindere dalla impugnazione o esistenza dell’atto con il quale viene richiesto il pagamento, trattandosi di un giudizio di accertamento di un rapporto obbligatorio pecuniario proponibile nel termine di prescrizione, e pur dopo decorsi i termini per opporsi all’ingiunzione ex R.D. 14.04.1910 n. 639, ovvero ad una cartella di pagamento (essendo questi meri strumenti per procedere ad esecuzione coattiva).
Pertanto, va disattesa l’eccezione di inammissibilità del presente gravame, sollevata in limine litis dalla difesa del Comune di Telese Terme, poiché le ingiunzioni e le richieste di pagamento (nonché la cartella di pagamento notificata) cui viene fatto riferimento, possono, in definitiva, valere nella specie soltanto ad interrompere il termine prescrizionale decorrente in favore del debitore.
Nel merito, va detto che la prima pretesa creditoria del Comune di Telese Terme si riferisce all’asserito omesso versamento di € 22.598,50 dovuti a titolo di oneri di urbanizzazione (e non di costo di costruzione, come erroneamente riportato nella cartella di pagamento n. 07120170016377737 – cfr. documentazione in atti) in relazione all’intervento edilizio assentito con il P.d.C. n. 44/2005 (rilasciato a Pellegrino Raffaele, e poi volturato, in data 20.10.2005, in favore della Im.Sa.St. srl).
Per tale credito, il Comune di Telese Terme ha emesso dapprima un invito al pagamento in data 30.10.2008 – prot. n. 15401 (spedito a mezzo racc. a/r, di cui non è stata però fornita la prova del recapito, ancorché nella relazione tecnica a firma dell’arch. Al.Pe. si faccia riferimento all’a/r di racc. n. 13226606266-9); e comunque, successivamente, l’ingiunzione di pagamento prot. n. 1210 del 27.1.2009, ricevuta in data 10.2.2009 dai destinatari (come da a/r di racc. versato in atti).
Sennonché, la società ricorrente sostiene di aver provveduto al pagamento della somma suddetta nell’anno 2009, ed a sostegno di tale asserzione ha prodotto una bolletta di versamento dell’importo in parola, per il tramite della Banca Popolare di Novara e in favore del Comune Telese Terme, riportante la seguente causale “saldo costi di urbanizzazione concessione 44/05 rate 2-3-5-4”.
Dal suo canto, il Comune di Telese Terme ha, tuttavia, affermato di non aver mai ricevuto il detto pagamento; ma risolutiva sul punto appare la documentazione acquisita dall’Im.Sa.St. srl a mezzo di procedura di accesso agli atti del Comune interessato, e poi prodotta in giudizio in data 30.04.2018, ovvero una certificazione a firma del responsabile dell’Area Economico/Finanziaria dell’ente, in cui viene attestato che tra le somme dallo stesso incassate a seguito di pagamenti effettuati dalla Im.Sa.St. srl (“mediante bonifici pervenuti sul c/c di Tesoreria Comunale e introitate con le Reversali di incasso di seguito riportate…”), figura anche la “Reversale n. 1102/2009 di importo pari ad € 22.598,50”, evidentemente riferibile al rapporto in questione, in mancanza di diversa spiegazione: perciò deve concludersi che la suddetta somma non è più dovuta, in quanto pagata in data 23.06.2009.
Neppure, poi, risultano dovute le sanzioni irrogabili per il ritardato pagamento della somma in parola, poiché, applicandosi nella specie il termine prescrizionale di cinque anni (cfr. sul punto TAR Campania-Napoli, sez. VIII, n. 2170 del 16.04.2014), lo stesso risulta ormai decorso dall’ultimo atto interruttivo, costituito dalla sopra ricordata ingiunzione di pagamento n. 1210 del 27.01.2009, notificata il 10.02.2009 (posto che la successiva cartella di pagamento è stata notificata solo in data 16.02.2017).
Viceversa, sempre in relazione alla somma di cui si discute, sono dovuti gli interessi di mora maturati nel periodo tra la scadenza dei singoli ratei e il 23.06.2009, ovvero la data del pagamento: ciò in quanto per gli interessi è applicabile il diverso termine prescrizionale di dieci anni (cfr. sul punto TAR Campania-Salerno, nn. 2599 e 2600 del 30.12.2003), che, per quanto prima evidenziato, non risultava ancora decorso al momento della notifica della cartella di pagamento, dopo l’interruzione operata con l’ingiunzione n. 1210 del 27.01.2009.
Quanto alle somme richieste per oneri concessori in relazione ai P.d.C. n. 102/2007 e n. 103/2007 (in variante al P.d.C. n. 93/2006), risultano dovute le sorti capitale (in mancanza di prova del loro pagamento), mentre sono prescritte le sanzioni irrogabili per il loro tardivo pagamento (e sul punto concorda anche il responsabile dell’Area Tecnica del Comune di Telese Terme, secondo la ricostruzione nella relazione a sua firma), per essere maturato il relativo termine quinquennale, ancorché in proposito fossero stati inoltrati solo nell’anno 2015 gli avvisi di avvio del procedimento di riscossione coattiva n. 9422/2015 e n. 9421/2015 (dei quali, peraltro, non risulta provato il recapito a destinazione).
Viceversa, non è maturata la prescrizione decennale (atteso che il rilascio dei P.d.C. 102/2007 e 103/2007 si è avuto il 03.12.2007) riguardante gli interessi moratori, perciò dovuti a partire dalle date di scadenza dei vari ratei eventualmente concordati, fino all’estinzione dell’obbligazione per compensazione legale, secondo quanto si dirà più avanti.
E’, infatti, fondata anche la richiesta formulata dalla ricorrente di restituzione degli importi versati a titolo di oneri concessori per il rilascio, in data 20.01.2009, del P.d.C. n. 4/2009; ed ancor prima l’eccezione sollevata sul punto in via sostanziale, sulla scorta delle argomentazioni svolte già con il ricorso introduttivo.
Invero, risulta incontestato (e anche ammesso dallo stesso ente territoriale, sempre nella ricordata relazione a firma dell’arch. Al.Pe.), che, in riferimento a tale P.d.C., la società ricorrente ha versato al Comune di Telese Terme complessivi euro 72.307,76 (di cui, euro 47.322,58, a titolo di oneri di urbanizzazione; euro 2.324,00, a titolo di diritti di segreteria; ed euro 22.661,18, a titolo di costo di costruzione); e che l’intervento così assentito non è poi stato realizzato, per non essere i lavori iniziati nel prescritto termine di un anno dal rilascio (con conseguente decadenza “di diritto” del titolo, ai sensi dell’art. 15 D.P.R. 380/2001): tanto ha determinato una situazione di indebito oggettivo ex art. 2033 c.c., e perciò il sorgere, con decorrenza dalla data di decadenza del rilasciato titolo edilizio, dell’obbligo del Comune di restituire quanto percepito a titolo di oneri concessori, ancorché con esclusione dei versati diritti di segreteria (trattandosi di attribuzione patrimoniale giustificata appunto dall’attività di segreteria comunque svolta per pervenire al rilascio del P.d.C., e indipendente dal successivo effettivo utilizzo di questo).
La contemporanea pendenza, di tale credito della Im.Sa.St. srl nei confronti del Comune di Telese Terme (comprendente anche gli interessi compensativi, decorrenti dal giorno della domanda ripetitiva dell’indebito nella ipotesi di buona fede del percettore, che deve ritenersi nel caso di specie ricorrere – cfr. TAR Lazio-Roma n. 2294 del 12.03.2008), e del credito di detto Comune verso l’odierna ricorrente, ha fatto sì che, sussistendo i presupposti richiesti dall’art. 1241 c.c., si verificasse la compensazione legale dei due debiti, fino alla concorrenza di quello di minore importo (ovvero quello vantato dalla Im.Sa.St. srl): di tanto va dato atto in questa sede, cosicché non può farsi luogo alla restituzione chiesta con i motivi aggiunti.
Pertanto, in definitiva, la domanda complessivamente proposta in questa sede va accolta nei sensi e nei limiti di quanto fin qui esposto, e va, altresì, annullata l’impugnata cartella di pagamento.
Quanto alla posizione della Equitalia Riscossioni spa, seppure effettivamente deve dirsi estranea al rapporto intercorrente tra la Im.Sa.St. srl e il Comune di Telese Terme, tuttavia risulta essere stata correttamente intimata in questo giudizio, poiché soggetto che aveva emesso la contestata cartella di pagamento, per cui non può essere disposta la sua estromissione, come da essa richiesto (cfr. TAR Sardegna n. 82 dell’8.2.2007; TAR Campania-Salerno n. 766 dell’1.7.2003) (TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, sentenza 09.10.2018 n. 5835 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIn merito al calcolo del costo di costruzione il Collegio si conforma alla giurisprudenza di questa Sezione, che condivide quanto affermato dal Consiglio di Stato, in forza delle quali continua a trovare applicazione, nella Regione Lombardia, il decreto del Ministro per i lavori pubblici del 10.05.1977, adottato in attuazione dell’art. 6 della legge 10/1977, per il quale il costo si calcola sulla base della superficie complessiva (Sc), pari alla somma della superficie utile (Su) e del 60% della superficie non residenziale per servizi e accessori (Snr), con gli incrementi previsti dal decreto in relazione alle classi di edifici.
Secondo l’art. 2 del DM 10.05.1977 “Le superfici per servizi ed accessori riguardano: a) cantinole, soffitte, locali motore ascensore, cabine idriche, lavatoi comuni, centrali termiche, ed altri locali a stretto servizio delle residenze; b) autorimesse singole o collettive; c) androni di ingresso e porticati liberi; d) logge e balconi”.
Per quanto riguarda tali servizi la giurisprudenza ha chiarito che “Dalla superficie non residenziale devono invece essere escluse le scale che sono una struttura necessaria (ma non la "scala di servizio non prescritta da leggi o regolamenti o imposta da necessità di prevenzione di infortuni o di incendi" di cui al n. 2 dell'art. 7 del d.m. 1977)” ed il Comune di Milano ha, in conformità a tale interpretazione, modificato la circolare che conteggiava nella s.n.r. le “scale e pianerottoli” sostituendo a questi “le scale di servizio, cioè aggiuntive alla principale non prescritte da leggi o regolamenti o imposte dalla necessità di evitare infortuni o incendi e locali di distribuzione orizzontale esterni alle unità immobiliari”.
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1. In merito al primo motivo di ricorso, relativo al supposto errore nel calcolo del costo di costruzione, e la connessa domanda di ricalcolo del medesimo, occorre rilevare che la domanda di ricalcolo è stata presentata dopo il provvedimento impugnato ed è stata ritenuta infondata in sede di memorie difensive del Comune in quanto avrebbe escluso dal conto del costo di costruzione anche i pianerottoli.
Il motivo è fondato.
In merito al calcolo del costo di costruzione il Collegio si conforma alla giurisprudenza di questa Sezione (TAR Lombardia (MI), Sez. II, n. 1248, del 13.05.2014) che condivide quanto affermato dal Consiglio di Stato nelle due pronunce n. 6160 e 6161 del 20.12.2013, in forza delle quali continua a trovare applicazione, nella Regione Lombardia, il decreto del Ministro per i lavori pubblici del 10.05.1977, adottato in attuazione dell’art. 6 della legge 10/1977, per il quale il costo si calcola sulla base della superficie complessiva (Sc), pari alla somma della superficie utile (Su) e del 60% della superficie non residenziale per servizi e accessori (Snr), con gli incrementi previsti dal decreto in relazione alle classi di edifici.
Secondo l’art. 2 del Decreto ministeriale 10.05.1977 “Le superfici per servizi ed accessori riguardano: a) cantinole, soffitte, locali motore ascensore, cabine idriche, lavatoi comuni, centrali termiche, ed altri locali a stretto servizio delle residenze; b) autorimesse singole o collettive; c) androni di ingresso e porticati liberi; d) logge e balconi” (in merito Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 28.11.2012 n. 6033).
Per quanto riguarda tali servizi la giurisprudenza (Consiglio di Stato, sez. IV, 20/12/2013, n. 6161) ha chiarito che “Dalla superficie non residenziale devono invece essere escluse le scale che sono una struttura necessaria (ma non la "scala di servizio non prescritta da leggi o regolamenti o imposta da necessità di prevenzione di infortuni o di incendi" di cui al n. 2 dell'art. 7 del d.m. 1977)” ed il Comune di Milano ha, in conformità a tale interpretazione, modificato la circolare che conteggiava nella s.n.r. le “scale e pianerottoli” sostituendo a questi “le scale di servizio, cioè aggiuntive alla principale non prescritte da leggi o regolamenti o imposte dalla necessità di evitare infortuni o incendi e locali di distribuzione orizzontale esterni alle unità immobiliari”.
Risulta chiaro quindi che, con la modificazione della circolare non solo sono state espunte dal calcolo le scale che non siano di servizio, cioè quelle necessarie, secondo l’interpretazione data dalla sentenza sopra indicata, ma anche i pianerottoli, che prima erano inclusi nella s.n.r. e poi non lo sono più, probabilmente perché sono stati ritenuti parte delle scale. Poiché è lo stesso Comune ad aver equiparato, con la prima versione della circolare, le scale ed i pianerottoli, vi è ragione per ritenere che tale equiparazione valga anche dopo la modifica in quanto quest’ultima era volta solo ad individuare solo le scale soggette o meno al conteggio e non all’individuazione delle sue parti.
Ne deriva che il motivo va accolto con conseguente riconoscimento della non debenza della somma di € 12.125,50 (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 03.10.2018 n. 2198 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La giurisprudenza ha chiarito che l’atto con il quale l'Amministrazione comunale quantifica i contributi di costruzione ha carattere puramente ricognitivo e contabile, in quanto l'ammontare del credito è predeterminato sulla base di rigidi criteri di calcolo definiti con atto regolamentare.
Anche dopo il rilascio della concessione edilizia, pertanto, il Comune può provvedere al corretto riconteggio del contributo dovuto, a prescindere da un'espressa riserva in tal senso, in quanto il credito esiste indipendentemente dall'atto contabile che lo quantifica: la rettifica è pertanto consentita ogni qual volta sia ravvisabile un errore, dovuto a qualsiasi ragione, nella liquidazione o nel calcolo del contributo concessorio.
Poiché la rettifica dell’ammontare del contributo è sempre consentita, perché l’applicazione di una tariffa diversa da quella corretta altro non è che un errore di calcolo, essa è sottratta alle regole dell’autotutela amministrativa.

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2. Il secondo motivo di ricorso, incentrato sulla mancata comunicazione di avvio del procedimento di rettifica del contributo autoliquidato, è infondato.
Infatti la giurisprudenza a cui si conforma il Collegio ha chiarito che l’atto con il quale l'Amministrazione comunale quantifica i contributi in esame ha carattere puramente ricognitivo e contabile, in quanto l'ammontare del credito è predeterminato sulla base di rigidi criteri di calcolo definiti con atto regolamentare.
Anche dopo il rilascio della concessione edilizia, pertanto, il Comune può provvedere al corretto riconteggio del contributo dovuto, a prescindere da un'espressa riserva in tal senso, in quanto il credito esiste indipendentemente dall'atto contabile che lo quantifica: la rettifica è pertanto consentita ogni qual volta sia ravvisabile un errore, dovuto a qualsiasi ragione, nella liquidazione o nel calcolo del contributo concessorio (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 16.06.2011 n. 1042). Poiché la rettifica dell’ammontare del contributo è sempre consentita, perché l’applicazione di una tariffa diversa da quella corretta altro non è che un errore di calcolo, essa è sottratta alle regole dell’autotutela amministrativa (cfr. in particolare, Cons. Stato, sez. IV, 27.09.2017, n. 4515; Cons. Stato, sez. IV, 12.06.2017, n. 2821).
Il motivo va quindi respinto (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 03.10.2018 n. 2198 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: E' consolidato in giurisprudenza il principio secondo cui il pagamento degli oneri di urbanizzazione è dovuto solo nel caso in cui l’intervento abbia determinato un aumento del carico urbanistico.
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5. Il quarto motivo, fondato sull’erronea qualificazione dell’intervento quale modificazione della destinazione d’uso invece che come nuova costruzione, è infondato in quanto da esso non possono derivarsi conseguenze ai fini della sottrazione all’individuazione e quantificazione degli standard edilizi. Lo stesso vale per la discussione relativa alla destinazione commerciale o industriale del precedente manufatto. Infatti è consolidato in giurisprudenza il principio secondo cui il pagamento degli oneri di urbanizzazione è dovuto solo nel caso in cui l’intervento abbia determinato un aumento del carico urbanistico (TAR Piemonte, sez. I, 26.11.2003 n. 1675 e, da ultimo, TAR Piemonte, sez. II, 16.09.2013 n. 1009; Cons. Stato, sez. IV, 29.04.2004, n. 2611).
Nel caso di specie la sostituzione edilizia di un edificio di due piani fuori terra, destinato a parcheggio privato a pagamento e residenza, con due nuovi edifici di 7 e 5 piani fuori terra, interamente destinati a residenza, ha sicuramente comportato un aumento del carico urbanistico. A ciò si aggiunge che, se occorre verificare in concreto l’aumento del carico urbanistico nel caso di trasformazione dell’esistente, deve ritenersi che la nuova costruzione comporti sempre un aumento del carico urbanistico. Il riferimento nell’atto impugnato al mutamento d’uso è quindi riferibile al carico urbanistico e non al titolo in base al quale è stato effettuato l’intervento.
Il motivo va quindi respinto (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 03.10.2018 n. 2198 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

agosto 2018

EDILIZIA PRIVATASecondo un principio consolidato “il contributo di concessione va determinato con riferimento alla disciplina, legislativa e regolamentare, vigente al momento del rilascio del titolo edilizio, che segna il perfezionamento della fattispecie concessoria (o autorizzatoria, a seconda della tipologia di titolo edilizio)”.
Secondo l’orientamento giurisprudenziale cui il Collegio aderisce,
la misura del contributo di costruzione può essere successivamente rideterminata nel caso di errore di calcolo rispetto al contributo dovuto in base alla situazione di fatto e alla disciplina vigente al tempo del rilascio del titolo.
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Tali considerazioni devono reputarsi estensibili anche alla c.d. monetizzazione di standard, in quanto –nonostante la diversa natura di tale pretesa rispetto a quella concernente il contributo di costruzione deve ritenersi che, anche in relazione a tale diritto di credito, la fonte dell’obbligazione sia comunque costitutiva dal provvedimento assentivo dell’intervento, sia esso un atto espresso del Comune o un atto privato rispetto al quale l’Amministrazione non esercita alcun potere inibitorio.
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Nel caso in cui l’intervento sia legittimato da una denuncia di inizio attività, il termine per la rideterminazione degli importi dovuti decorre dalla presentazione della denuncia, poiché dal relativo contenuto sono desumibili tutti i profili dell’intervento rilevanti per la quantificazione di tali importi.
Alla medesima data dovrà, inoltre, farsi riferimento anche per l’individuazione della disciplina applicabile ai fini della determinazione delle somme, atteso che “la d.i.a. non costituisce un provvedimento amministrativo a formazione tacita, ma un atto privato, volto a comunicare l'intenzione di intraprendere un'attività direttamente ammessa dalla legge, che si perfeziona con la sua presentazione, per cui allo stesso non può che applicarsi la disciplina legislativa vigente al momento della sua presentazione alla pubblica amministrazione”
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La quantificazione degli standard e la misura del contributo di costruzione devono, quindi, determinarsi in ragione della normativa vigente all’epoca della formazione dell’effettivo titolo che costituisce la fonte o il presupposto di tale obbligazione.
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2.1. Il ricorso è parzialmente fondato ai sensi e nei limiti di seguito indicati.
2.2. Gli interventi edilizi realizzati dalla società ricorrente e ai quali fa riferimento il provvedimento comunale di determinazione degli stardard urbanistici e del contributo di costruzione hanno fondamento giuridico in una pluralità di titoli, in precedenza indicati.
Secondo un principio consolidato “il contributo di concessione va determinato con riferimento alla disciplina, legislativa e regolamentare, vigente al momento del rilascio del titolo edilizio, che segna il perfezionamento della fattispecie concessoria (o autorizzatoria, a seconda della tipologia di titolo edilizio)” (Consiglio di Stato, sez. VI, 07.05.2015, n. 2294; nello stesso senso, ex plurimis: Id., Sez. IV, 07.06.2012, n. 3379; Id., Sez. IV, 25.06.2010, n. 4109; Id, Sez. V, 13.06.2003, n. 3332).
Secondo l’orientamento giurisprudenziale cui il Collegio aderisce, la misura del contributo di costruzione può essere successivamente rideterminata nel caso di errore di calcolo rispetto al contributo dovuto in base alla situazione di fatto e alla disciplina vigente al tempo del rilascio del titolo (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 12.06.2017, n. 2821).
Tali considerazioni devono reputarsi estensibili anche alla c.d. monetizzazione di standard, in quanto –nonostante la diversa natura di tale pretesa rispetto a quella concernente il contributo di costruzione (Cons. Stato, Sez. IV, 28.12.2012, nn. 6706, 6707 e 6708; Id., 16.02.2011, n. 1013; TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 26.07.2016, n. 1507; Id., 19.07.2016, n. 1447: Id., 01.08.2013, n. 2056; Id., 14.02.2013, n. 451; TAR Campania, Salerno, Sez. I, 15.09.2014, n. 1558)– deve ritenersi che, anche in relazione a tale diritto di credito, la fonte dell’obbligazione sia comunque costitutiva dal provvedimento assentivo dell’intervento, sia esso un atto espresso del Comune o un atto privato rispetto al quale l’Amministrazione non esercita alcun potere inibitorio.
Infatti, nel caso in cui l’intervento sia legittimato da una denuncia di inizio attività, il termine per la rideterminazione degli importi dovuti decorre dalla presentazione della denuncia, poiché dal relativo contenuto sono desumibili tutti i profili dell’intervento rilevanti per la quantificazione di tali importi.
Alla medesima data dovrà, inoltre, farsi riferimento anche per l’individuazione della disciplina applicabile ai fini della determinazione delle somme, atteso che “la d.i.a. non costituisce un provvedimento amministrativo a formazione tacita, ma un atto privato, volto a comunicare l'intenzione di intraprendere un'attività direttamente ammessa dalla legge, che si perfeziona con la sua presentazione, per cui allo stesso non può che applicarsi la disciplina legislativa vigente al momento della sua presentazione alla pubblica amministrazione” (così Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 29.07.2011 n. 15; Consiglio di Stato, sez. IV, 04.09.2012 n. 4669; Id., sez. IV, 07.07.2016, n. 3014; Tar per la Lombardia–sede di Milano, sez. II, 16.06.2014, n. 1578; TAR per la Lombardia–sede di Milano, Sez. I, 30.11.2016, n. 2277).
2.3. La quantificazione degli standard e la misura del contributo di costruzione devono, quindi, determinarsi in ragione della normativa vigente all’epoca della formazione dell’effettivo titolo che costituisce la fonte o il presupposto di tale obbligazione.
Nel caso di specie, la D.I.A. del 20.10.2010 è relativa alla demolizione di fabbricato preesistente a destinazione autorimessa, sito a Milano in via ... 25, e alla costruzione di nuovo edificio residenziale, per una s.l.p. di 2123,21 mq., e si perfeziona in ragione del mancato esercizio di poteri inibitori da parte del Comune.
La D.I.A. è quindi titolo legittimo dell’intervento in esame, non sostituito dai successivi interventi che hanno portata più limitata e che, comunque, non sostituiscono il primo titolo. Infatti, la successiva D.I.A. del 2012 costituisce una variante ordinaria che limita semplicemente la s.l.p. a 2122,28 mq.
Il successivo intervento (permesso di costruire n. 154 del 2014) non comporta la mera sostituzione del patrimonio edilizio esistente pur generando un aumento della s.l.p.. L’ultimo intervento è costituito dalla segnalazione certificata di inizio attività del 10.04.2014 con la quale si realizzano semplicemente opere di completamento della precedente D.I.A.
2.4. La concreta disamina svolta consente, quindi, di affermare che gli interventi –pur relativi alla medesima complessiva opera e aventi delle fisiologiche interferenze– costituiscono lavori legittimati dai rispettivi titoli e per questo sottoposti alla normativa vigente all’epoca di formazione degli stessi (cfr., Consiglio di Stato, sez. VI, 24.11.2017, n. 5485).
Di conseguenza, la determinazione degli standard urbanistici e del contributo di costruzione non può che avere ad oggetto lo specifico intervento realizzato con applicazione della normativa ratione temporis vigente. In particolare, la prima D.I.A. del 2010 risulta soggetta alle prescrizioni dettate dal previgente P.R.G.; al contrario, sono soggette alla specifiche regole dettate dal sopraggiunto P.G.T. (in relazione ai singoli interventi assentiti) i successivi titoli sin qui esaminati (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 31.08.2018 n. 2039 - link a www.giustizia-amministrativa.it
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EDILIZIA PRIVATA: L’Adunanza plenaria pronuncia sulla rideterminazione del contributo di costruzione e sulla tutela del privato con l’azione di accertamento.
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Edilizia – Oneri di costruzione – Determinazione – Termine di prescrizione decennale.
  
Edilizia – Oneri di costruzione – Rideterminazione – Termine di prescrizione decennale – Tutela del privato – Azione di accertamento.
  
Edilizia – Oneri di costruzione – Rideterminazione – Art. 1431 c.c. – Inapplicabilità – Ratio.
  
Edilizia – Oneri di costruzione – Rideterminazione – Buona fede del privato – Riconoscimento – Limiti.
  
Gli atti con i quali la Pubblica amministrazione determina e liquida il contributo di costruzione, previsto dall’art. 16, d.P.R. n. 380 del 2001, non hanno natura autoritativa, non essendo espressione di una potestà pubblicistica, ma costituiscono l’esercizio di una facoltà connessa alla pretesa creditoria riconosciuta dalla legge al Comune per il rilascio del permesso di costruire, stante la sua onerosità, nell’ambito di un rapporto obbligatorio a carattere paritetico e soggetta, in quanto tale, al termine di prescrizione decennale, sicché ad essi non possono applicarsi né la disciplina dell’autotutela dettata dall’art. 21-nonies della l. n. 241 del 1990 né, più in generale, le disposizioni previste dalla stessa legge per gli atti provvedimentali manifestazioni di imperio (1).
  
La Pubblica amministrazione, nel corso del rapporto concessorio, può sempre rideterminare, sia a favore che a sfavore del privato, l’importo del contributo di concessione, in principio erroneamente liquidato, richiedendone o rimborsandone a questi la differenza nell’ordinario termine di prescrizione decennale (art. 2946 c.c.) decorrente dal rilascio del titolo edilizio, senza incorrere in alcuna decadenza, mentre per parte sua il privato non è tenuto ad impugnare gli atti determinativi del contributo nel termine di decadenza, potendo ricorrere al giudice amministrativo, munito di giurisdizione esclusiva ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. f), c.p.a., nel medesimo termine di dieci anni, anche con un’azione di mero accertamento (2).
  
L’amministrazione comunale, nel rideterminare l’importo del contributo di concessione con atti non aventi natura autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato, ai sensi dell’art. 1, comma 1-bis, l. n. 241 del 1990, senza che sia applicabile la disciplina dell’errore riconoscibile di cui all’art. 1431 c.c., in quanto l’errore nella liquidazione del contributo, compiuto dalla pubblica amministrazione, non attiene ad elementi estranei o ignoti alla sfera del debitore ed è quindi per lui in linea di principio riconoscibile, in quanto o riguarda l’applicazione delle tabelle parametriche, che al privato sono o devono essere ben note, o è determinato da un mero errore di calcolo, ben percepibile dal privato, errore che dà luogo alla semplice rettifica (3).
  
La tutela dell’affidamento e il principio della buona fede, che in via generale devono essere osservati anche dalla pubblica amministrazione dell’attuazione del rapporto obbligatorio, possono trovare applicazione in caso di rideterminazione del contributo di costruzione nella quale, ordinariamente, la predeterminazione e l’oggettività dei parametri da applicare al contributo di costruzione, di cui all’art. 16, d.P.R. n. 380 del 2001, rendono vincolato il conteggio da parte della pubblica amministrazione, consentendone a priori la conoscibilità e la verificabilità da parte dell’interessato con l’ordinaria diligenza, solo nella eccezionale ipotesi in cui tali conoscibilità e verificabilità non siano possibili con l’ordinaria diligenza richiesta al debitore, secondo buona fede (artt. 1175 e 1375 c.c.), nell’ottica di una leale collaborazione volta all’attuazione del rapporto obbligatorio e al soddisfacimento dell’interesse creditorio vantato dal Comune.
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La questione era stata rimessa all’Adunanza plenaria da C.g.a. 27.03.2018, n. 175.
   (1) Ha chiarito l’Alto Consesso che la peculiare natura del titolo edilizio –la concessione edilizia della l. n. 10 del 1977 e, ora, il permesso di costruire del d.P.R. n. 380 del 2001– induce a ritenere che esso, al di là del suo carattere sostanzialmente autorizzatorio, sia comunque, direttamente o indirettamente, attributivo, per il privato, di rilevanti benefici economici, a fronte dei quali è previsto in termini di controprestazione il pagamento di una somma di danaro, appunto il contributo di costruzione (sulla cui natura v. Cons. St., A.P., 07.12.2016, n. 24), non altrimenti qualificabile che come corrispettivo di diritto pubblico.
L’Adunanza plenaria ha quindi affermato che al quesito inerente alla natura, privatistica o pubblicistica, degli atti con i quali l’amministrazione comunale determina o ridetermina il contributo di costruzione, di cui all’art. 16, d.P.R. n. 380 del 2001, debba rispondersi con la riaffermazione della loro natura privatistica.
Il contributo per gli oneri di urbanizzazione è un corrispettivo di diritto pubblico, di natura non tributaria, posto a carico del concessionario a titolo di partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione e in proporzione dell’insieme dei benefici che la nuova costruzione acquista, senza alcun vincolo di scopo in relazione alla zona interessata alla trasformazione urbanistica e indipendentemente dalla concreta utilità che il concessionario può conseguire dal titolo edificatorio e dall’ammontare delle spese effettivamente occorrenti per la realizzazione delle opere (Cons. St., sez. IV, 05.05.2017, n. 2055). L’obbligazione di corrispondere il contributo nasce nel momento in cui viene rilasciato il titolo ed è a tale momento che occorre aver riguardo per la determinazione dell’entità del contributo (Cons. St., sez. IV, 30.11.2015, n. 5412; id., sez. V, 13.06.2003, n. 3332).
L’atto di imposizione e di liquidazione del contributo, quale corrispettivo di diritto pubblico richiesto per la compartecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione, non ha natura autoritativa né costituisce esplicazione di una potestà pubblicistica, ma si risolve in un mero atto ricognitivo e contabile, in applicazione di rigidi e prestabiliti parametri regolamentari e tabellari. Gli oneri di urbanizzazione, ai sensi dell’art. 16, comma 3, d.P.R. n. 380 del 2001, sono corrisposti sulla base delle tabelle parametriche, predisposte dalle Regioni, tabelle che devono essere recepite dal Comune in una propria deliberazione, atto amministrativo generale impugnabile solo con il concreto provvedimento applicativo.
La costante giurisprudenza del Consiglio di Stato ha sempre ribadito che il contributo per gli oneri di urbanizzazione, per quanto non abbia natura tributaria, costituisce, comunque, un corrispettivo di diritto pubblico posto a carico del costruttore, connesso al rilascio della concessione edilizia, a titolo di partecipazione del concessionario ai costi delle opere di urbanizzazione in proporzione all’insieme dei benefici che la nuova costruzione ne ritrae, e che «per la determinazione di esso deve essere fatto necessario ed esclusivo riferimento alle norme di legge che regolano i relativi criteri di conteggio, norme che vanno rigorosamente rispettate anche in osservanza del principio di cui all’art. 23 della Costituzione , secondo il quale nessuna prestazione patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge» (Cons. St., sez. V, 21.04.2006, n. 2228).
L’affermazione secondo cui il contributo di costruzione costituisce una prestazione patrimoniale imposta e rientra a tale titolo nell’ambito dei rapporti di diritto pubblico in quanto necessariamente legata al rilascio del titolo edilizio, tuttavia, non comporta ex se che i relativi atti di determinazione abbiano necessariamente carattere autoritativo, si colorino, per così dire, di imperatività e siano espressione di potestà pubblicistica. Il privato che intende ottenere il permesso di costruire ha avanti a sé la scelta di corrispondere il contributo di costruzione o di rinunciare al rilascio del titolo. Effettuata questa scelta, che comporta la necessaria corresponsione del corrispettivo di diritto pubblico, il pagamento di questo, esclusa pacificamente la sua natura tributaria, non può che costituire l’oggetto di un ordinario rapporto obbligatorio, disciplinato dalle norme di diritto privato, come prescrive l’art. 1, comma 1-bis, l. n. 241 del 1990, salvo che la legge disponga diversamente.
È vero che il credito dell’amministrazione, per la sua particolare finalità, è assistito da particolari sanzioni e da speciali procedure coattive di riscossione, come ha pure ricordato la stessa Adunanza plenaria nella sentenza n. 24 del 2016 richiamando le disposizioni di cui agli artt. 42 e 43, d.P.R. n. 380 del 2001, ma ciò non contrasta con la fondamentale natura del rapporto obbligatorio paritetico inerente al pagamento del contributo e accessorio al rilascio del permesso di costruire. Anche la disciplina degli atti non autoritativi della pubblica amministrazione può conoscere, infatti, previsioni derogatorie rispetto alla ordinaria disciplina privatistica, come prevede chiaramente l’art. 1, comma 1-bis, l. n. 241 del 1990, senza che ciò comporti lo snaturamento del rapporto paritetico che ne è alla base, la loro integrale attrazione alla sfera pubblicistica o, nel caso di specie, l’assimilazione ad una fattispecie paraimpositiva di stampo tributario.
L’Adunanza plenaria ha quindi escluso che a tali rapporti di natura meramente obbligatoria e agli atti iure gestionis, di carattere contabile e aventi finalità liquidatoria, adottati dal Comune, si applichi la disciplina dell’autotutela di cui all’art. 21-nonies, l. n. 241 del 1990 o, più in generale, la disciplina dettata dalla stessa l. n. 241 del 1990 per gli atti provvedimentali espressivi di potestà pubblicistica.
   (2) Ha ricordato l’Adunanza plenaria che la natura paritetica dell’atto di determinazione consente che la pubblica amministrazione possa apportarvi modifiche, sia in favore del privato che in senso contrario, purché ciò avvenga nei limiti della prescrizione decennale del relativo diritto di credito (Cons. St., sez. IV, 28.11.2012, n. 6033; id. 17.09.2010, n. 6950). Si tratta, infatti, di una determinazione che obbedisce a prescrizioni desumibili da tabelle, in ordine alla quale l’amministrazione comunale si limita ad applicare dei parametri, aventi per la stessa natura cogente, laddove è esclusa qualsivoglia discrezionalità applicativa (Cons. St., sez. IV, 28.11.2012, n. 6033).
Ha ancora ricordato l’Alto Consesso come la giurisprudenza è consolidata nell’affermare che la controversia in ordine alla spettanza e alla liquidazione del contributo per gli oneri di urbanizzazione, riservata alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo a norma dell’art. 16, l. n. 10 del 1977 e, oggi, dell’art. 133, comma 1, lett. f), c.p.a., ha ad oggetto l’accertamento di un rapporto di credito a prescindere dall’esistenza di atti della pubblica amministrazione e non è soggetta alle regole delle azioni impugnatorie-annullatorie degli atti amministrativi e ai rispettivi termini di decadenza.
   (3) L’Adunanza plenaria ha escluso che in caso di rideterminazione del quantum del contributo di costruzione sia applicabile la disciplina dell’errore riconoscibile, di cui all’art. 1431 c.c.. l’applicazione delle tabelle parametriche da parte dell’amministrazione comunale, per quanto complessa, costituisce comunque una operazione contabile che, essendo al privato ben note dette tabelle, questi può verificare nella sua esattezza, anzitutto con l’ausilio del progettista che l’assiste nella presentazione della propria istanza, con un ordinario sforzo di diligenza, richiedibile secondo il canone della buona fede al debitore già solo, e anzitutto, nel suo stesso interesse, per evitare che gli venga richiesto meno o più del dovuto.
La complessità delle operazioni di calcolo o l’eventuale incertezza nell’applicazione di alcune tabelle o coefficienti determinativi, dovuti a ragioni di ordine tecnico, non sono eventi estranei o ignoti alla sfera del debitore, che invece con l’ordinaria diligenza, richiesta dagli artt. 1175 e 1375 c.c., può e deve controllarne l’esattezza sin dal primo atto di loro determinazione.
Certamente, e a sua volta, il Comune ha l’obbligo di adoperarsi affinché la liquidazione del contributo di costruzione venga eseguita nel modo più corretto, sollecito, scrupoloso e preciso, sin dal principio, ma la collaborazione tra l’autorità comunale e il privato richiedente, in una visione del diritto amministrativo improntata al principio di buon andamento e alla legalità sostanziale, è imprescindibile in questa materia, già solo sul piano dell’interlocuzione procedimentale, e non può certo affermarsi, proprio per questo, una incomunicabilità o inconoscibilità tra la sfera dell’una e quella dell’altro che porti all’applicazione dell’art. 1431 c.c., quasi che l’iniziale errore nell’applicazione delle tabelle o dei coefficienti, da parte dell’autorità comunale, sia un fatto “del tutto naturalmente” incomprensibile o imponderabile dal privato perché puramente interno alla sfera dell’amministrazione creditrice (
Consiglio di Stato, A.P., sentenza 30.08.2018 n. 12 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).
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SENTENZA
1. L’Adunanza plenaria ritiene che ai tre quesiti posti dal Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana con l’ordinanza n. 175 del 17.03.2018 debbano darsi le risposte che seguono.
2. Con il primo quesito, come si è accennato nell’esposizione del fatto (v., supra, §4), il Consiglio chiede all’Adunanza se la rideterminazione degli oneri concessori sia estrinsecazione di un potere autoritativo, da parte della pubblica amministrazione, nell’ambito dell’autotutela pubblicistica soggetta ai presupposti e ai requisiti dell’art. 21-nonies della l. n. 241 del 1990 o sia espressione di una sua legittima facoltà, nell’ambito del rapporto paritetico di natura creditizia, conseguente al rilascio del titolo edilizio a carattere oneroso, sottoposto nelle sue forme di esercizio al termine prescrizionale ordinario.
2.1. A tale quesito si deve rispondere che la rideterminazione degli oneri concessori costituisce l’esercizio di una legittima facoltà nell’ambito di un rapporto paritetico tra la pubblica amministrazione e il privato.
2.2. Questa Adunanza non ignora, invero, come non sia tuttora sopito il dibattito in ordine alla natura giuridica e al corretto inquadramento del contributo di costruzione, previsto dal vigente art. 16 del d.P.R. n. 380 del 2001, dibattito legato, inscindibilmente, anche alla vexata quaestio dell’inerenza del c.d. ius aedificandi al diritto di proprietà (su cui v., per tutte, Corte cost., 30.01.1980, n. 5, Cons. St., sez. V, 19.02.1982, n. 122).
2.3. Non è questa ovviamente la sede per ripercorrere siffatta questione, ora comunque superata dalla ormai riconosciuta natura autorizzatoria del permesso di costruire, ma basti dire, ai fini che qui rilevano, che la peculiare natura del titolo edilizio –la concessione edilizia della l. n. 10 del 1977 e, ora, il permesso di costruire del d.P.R. n. 380 del 2001– induce a ritenere che esso, al di là del suo carattere sostanzialmente autorizzatorio, sia comunque, direttamente o indirirettamente, attributivo, per il privato, di rilevanti benefici economici, a fronte dei quali è previsto in termini di controprestazione il pagamento di una somma di danaro, appunto il contributo di costruzione, non altrimenti qualificabile che come corrispettivo di diritto pubblico.
2.4. La stessa ordinanza n. 175 del 27.03.2018 ha ricordato, in modo completo e approfondito, quale sia la consolidata giurisprudenza amministrativa in questa materia, seppure con alcune significative divergenze, di cui si dirà oltre, in ordine alla disciplina civilistica da applicare alla rideterminazione del contributo di costruzione, previsto dall’art. 16 del d.P.R. n. 380 del 2001.
3. Occorre qui richiamare in premessa, salvo poi soffermarsi su di essi con maggiore attenzione nel prosieguo della trattazione, i principî affermati di recente da questa Adunanza plenaria nella sentenza n. 24 del 07.12.2016 riguardo alla natura del contributo di costruzione dovuto dal soggetto che intraprenda un’iniziativa edificatoria.
3.1. Detto contributo, previsto dall’art. 16 del d.P.R. n. 380 del 2001 e articolato nelle due voci inerenti agli oneri di urbanizzazione e al costo di costruzione (prescindendo qui dalla singola funzione, e natura, di dette voci), rappresenta, secondo la qualificazione datane da questa stessa Adunanza plenaria, una compartecipazione del privato alla spesa pubblica occorrente alla realizzazione delle opere di urbanizzazione.
3.2. In altri termini, fin dalla legge che ha introdotto nell’ordinamento il principio della onerosità del titolo a costruire (art. 1 della l. n. 10 del 1977), la ragione della compartecipazione alla spesa pubblica del privato è da ricollegare sul piano eziologico al surplus di opere di urbanizzazione che l’amministrazione comunale è tenuta ad affrontare in relazione al nuovo intervento edificatorio del richiedente il titolo edilizio.
3.3. Il contributo per il rilascio del permesso di costruire ha natura di prestazione patrimoniale imposta, di carattere non tributario, ed ha carattere generale, prescindendo totalmente delle singole opere di urbanizzazione che devono in concreto eseguirsi, venendo altresì determinato indipendentemente sia dall’utilità che il concessionario ritrae dal titolo edificatorio sia dalle spese effettivamente occorrenti per realizzare dette opere.
3.4. In sostanza, le opere di urbanizzazione –per la cui remunerazione il contributo viene imposto– hanno spesso portata più ampia rispetto a quelle strettamente necessarie ad urbanizzare il nuovo insediamento edilizio posto in essere da chi abbia ottenuto il titolo edilizio ed hanno quindi sovente natura indivisibile, nel senso che non sono frazionabili in porzioni funzionali al soddisfacimento delle esigenze dei singoli nuovi insediati.
3.5. In ragione di tanto, per l’esecuzione di dette opere, da realizzare in conseguenza del fatto edificatorio in sé considerato, l’amministrazione comunale attinge normalmente alla fiscalità generale, senza necessariamente attendere il pagamento del contributo da parte dell’obbligato, e quindi a prescindere dal suo puntuale adempimento.
3.6. Per tale motivo, quand’anche risultino trasfuse in una apposita convenzione urbanistica, le prestazioni da adempiere da parte dell’amministrazione comunale e del privato intestatario del titolo edilizio non sono tra loro in posizione sinallagmatica.
3.7. L’amministrazione comunale, infatti, è tenuta ad eseguire le opere di urbanizzazione e a dotare degli indispensabili standard il comparto ove viene allocato il nuovo insediamento edilizio a prescindere dal puntuale pagamento del contributo di costruzione da parte del soggetto che abbia ottenuto il titolo edilizio; per parte sua, questi è tenuto al pagamento del contributo senza poter pretendere la previa realizzazione delle opere di urbanizzazione.
3.8. Da ciò discende che il soggetto obbligato sia tenuto a corrispondere il contributo di costruzione nel rispetto dei termini convenuti e che l’amministrazione comunale deve eseguire le opere di urbanizzazione in coerenza, anche sul piano temporale, allo sviluppo edilizio del territorio.
3.9. Tali, in sintesi, sono i principî che l’Adunanza plenaria ha affermato in subiecta materia sulla scorta, peraltro, di un consolidato indirizzo ermeneutico del giudice amministrativo.
4. Occorre adesso esaminare, proprio alla luce di questi fondamentali principî, il primo quesito posto dall’ordinanza di rimessione.
4.1. Questa ricorda che secondo una prima tesi, seguita dallo stesso Consiglio di giustizia amministrativa (nelle sentenze nn. 64, 188, 244, 373, 422 e 790 del 2007), la determinazione del contributo darebbe luogo ad un rapporto paritetico che, seppur azionabile da ambo le parti nel rispetto del termine prescrizionale ordinario di dieci anni, si cristallizzerebbe nel quantum al momento del rilascio del titolo edilizio, nel senso che lo stesso non sarebbe suscettibile di modifiche successive (se non nei casi di manifesto errore di calcolo), in quanto, in applicazione dei principi desumibili dalla disciplina dei contratti, non darebbe mai luogo ad un errore riconoscibile (donde l’intangibilità pressoché assoluta della originaria determinazione amministrativa).
4.2. In base a tale approccio ermeneutico, come pure ben rammenta l’ordinanza di rimessione, non vi sarebbe ragione per l’applicazione dell’istituto dell’autotutela amministrativa per la eventuale rideterminazione del contributo, proprio perché il rapporto inter partes è di natura paritetica, né vi sarebbe spazio per una modifica successiva per errore perché questo, in quanto maturato nella sfera riservata della pubblica amministrazione, sarebbe per definizione non riconoscibile e quindi irrilevante, con la conseguenza che si dovrebbe sempre salvaguardare la tutela dell’affidamento della parte privata.
4.3. Un’altra tesi, fatta propria in alcune sentenze della sez. IV di questo Consiglio di Stato (cfr., in particolare, Cons. St., sez. IV, 27.09.2017 n. 4515, Cons. St., sez. IV, 12.06.2017 n. 2821), benché muova da una analoga impostazione sulla natura paritetica del rapporto, giunge tuttavia a conclusioni opposte.
4.4. Si è osservato, infatti, che proprio perché si tratta di un rapporto di debito-credito di natura paritetica, soggetto a prescrizione decennale, la rettifica sarebbe sempre possibile sia in bonam che in malam partem, entro il limite della prescrizione del diritto reciproco delle parti alla correzione delle esatte somme dovute, perché per un verso il procedimento sarebbe svincolato dal rispetto delle condizioni legali di esercizio dell’autotutela amministrativa (in particolare, di quelle previste all’art. 21-nonies della l. n. 241 del 1990) e, per altro verso, la rideterminazione del contributo dovuto secondo rigidi parametri regolamentari o tabellari non soltanto sarebbe possibile, ma costituirebbe atto dovuto, residuando altrimenti un indebito oggettivo, inammissibile nei rapporti di diritto amministrativo.
4.5. Più in particolare, osserva ancora l’ordinanza di rimessione, nella sentenza n. 2821 del 2017 di questo Consiglio di Stato si afferma che, in sostanza, l’applicazione di una tariffa diversa da quella corretta altro non è che un errore di calcolo della tariffa, sicché vi sarebbe sempre spazio per la rettifica, purché si tratti della tariffa vigente all’epoca del rilascio del titolo edilizio (con esclusione quindi di ogni forma di applicazione di regimi tariffari in via retroattiva).
4.6. Entrambe le tesi, osserva il Consiglio di giustizia amministrativa, muoverebbero dal rilievo, ampiamente diffuso nella giurisprudenza amministrativa, secondo cui le controversie in tema di determinazione della misura dei contributi edilizi concernono l’accertamento di diritti soggettivi che traggono origine direttamente da fonti normative, sicché sarebbero proponibili, a prescindere dall’impugnazione di provvedimenti dell’amministrazione, nel termine di prescrizione (Cons. St., sez. IV, 20.11.2012 n. 6033; Cons. St., sez. V, 04.05.1992, n. 360) e ribadiscono che si tratta di rapporto creditorio paritetico, ma pervengono, come detto, a conclusioni assai diversificate sul piano della tutela da apprestare alla parte privata che, come nel caso di specie, abbia subito una rideterminazione in peius.
5. L’ordinanza di rimessione individua, tuttavia, una posizione diversa e innovativa rispetto ai riferiti orientamenti giurisprudenziali, quantomeno in ordine alla impostazione teorica delle questioni, in un’altra sentenza della quarta sezione del Consiglio di Stato (cfr. Cons. St., sez. IV, 21.12.2016, n. 5402).
5.1. Nella vicenda esaminata da detta pronuncia il rapporto nascente dalla determinazione del contributo (nel caso esaminato, di costruzione) è attratto nell’orbita del regime di diritto pubblico, in quanto qualificato prestazione patrimoniale imposta di carattere non tributario, con la conseguente applicabilità, in astratto, delle regole dell’autotutela amministrativa.
5.2. E tuttavia, sul piano della tutela dell’affidamento della parte privata rispetto ad una delibera di giunta comunale di rideterminazione del contributo di costruzione (sia pur di adeguamento alla soglia minima del 5% fissata dalla legge nazionale all’art. 16, comma 3, del d.P.R. n. 380 del 2001), si afferma che le garanzie partecipative (in particolare quelle di cui all’art. 10-bis della l. n. 241 del 1990) devono essere pur sempre coordinate con le previsioni dell’art. 21-octies della l. cit. e con le esigenze di finalizzazione del procedimento con l’applicazione della tariffa dovuta.
5.3. Si richiama al proposito la giurisprudenza del Consiglio di Stato sul recupero di somme indebitamente corrisposte dalla amministrazione (Cons. St., sez. V, 30.12.2015, n. 5863), fattispecie che viene assimilata a quella di causa, relativa a somme dovute dal privato e non riscosse dall’ente comunale.
5.4. Al di là del contenuto negativo delle statuizioni sui singoli capi di domanda, osserva ancora l’ordinanza di rimessione, la decisione si segnalerebbe per il «cambio di passo» rispetto ai precedenti arresti della medesima sezione in ordine all’inquadramento generale nei sensi anzidetti dell’istituto del contributo previsto dall’art. 16 del d.P.R. n. 380 del 2001.
5.5. In tale contesto, aggiunge ancora l’ordinanza di rimessione, non potrebbe non farsi menzione di quanto affermato dalla Adunanza plenaria del Consiglio di Stato nella sentenza n. 24 del 2016, di cui si è già detto in premessa.
5.6. In tale decisione, resa sulla diversa questione della applicabilità delle sanzioni per ritardo nel pagamento dei contributi, pur in presenza di una polizza fideiussoria a garanzia del debito del contributo ammesso a dilazione, si è tra l’altro affermato –per quel che qui rileva– che il contributo dovuto dal privato in occasione del ritiro di un permesso di costruire, quale prestazione patrimoniale imposta funzionale a remunerare l’esecuzione di opere pubbliche, si colloca pacificamente nell’alveo dei rapporti di diritto pubblico.
5.7. Si è in particolare affermato che il contributo di costruzione dovuto dal soggetto che intraprenda un’iniziativa edificatoria rappresenta una compartecipazione del privato alla spesa pubblica occorrente alla realizzazione delle opere di urbanizzazione e ha natura di prestazione patrimoniale imposta, di carattere non tributario.
5.8. Per tale motivo, dunque, le prestazioni da adempiere da parte dell’amministrazione comunale e del privato intestatario del titolo edilizio non sono tra loro in posizione sinallagmatica, con la conseguenza che il soggetto obbligato è tenuto a corrispondere il contributo di costruzione nel rispetto dei termini stabiliti.
5.9. Il suo mancato pagamento legittima quindi l’Amministrazione ad esercitare il suo potere-dovere in ordine all’applicazione di sanzioni pecuniarie crescenti in rapporto all’entità del ritardo, ai sensi dell’art. 42 del d.P.R. n. 380 del 2001, e, in caso di persistenza dell’inadempimento, alla riscossione del contributo e delle sanzioni secondo le norme vigenti in materia di riscossione coattiva delle entrate, ai sensi dell’art. 43 dello stesso d.P.R. n. 380 del 2001.
6. Le conclusioni raggiunte dall’Adunanza plenaria, secondo l’ordinanza di rimessione, meriterebbero condivisione, quantomeno se restano ferme le conclusioni sulla natura di prestazione patrimoniale imposta del contributo di cui si controverte e sul suo carattere non sinallagmatico rispetto agli interventi di urbanizzazione che mettono capo all’ente pubblico, secondo un livello di programmazione temporale e qualitativo sul quale il privato non avrebbe titolo per interferire.
6.1. L’ascrizione all’alveo dei rapporti di diritto pubblico del contributo in questione imporrebbe quindi, in via consequenziale, l’applicazione del regime proprio dell’autotutela amministrativa all’attività di rideterminazione delle somme dovute a tal titolo dalla parte privata, quantomeno nei casi in cui non si tratti di por mano ad un semplice errore materiale di calcolo desumibile dagli atti del procedimento ovvero non si tratti di rideterminazione imposta dall’adozione di un nuovo provvedimento abilitativo edilizio, anche semplicemente per effetto della intervenuta decadenza temporale del primo (ma qui si resterebbe in ogni caso fuori dall’ambito dell’autotutela).
6.2. L’ordinanza di rimessione esprime una preferenza rispetto alle suindicate opzioni ermeneutiche e osserva che la soluzione da ultimo proposta, oltre a recuperare coerenza sul piano dogmatico con il sistema giuridico di riferimento, si rivelerebbe più appropriata anche in ordine al miglior grado di contemperamento delle esigenze pubblicistiche sottese alla corretta determinazione del contributo dovuto (e alla salvaguardia degli interessi erariali), anche in sede di emenda di precedenti errori di quantificazione, e le esigenze di tutela della parte privata riguardo all’affidamento riposto nella originaria determinazione dell’ente.
6.3. A tale ultimo proposito, infatti, soccorrerebbero gli istituti posti a presidio delle garanzie partecipative previsti per l’attività amministrativa di secondo grado, oltre che naturalmente il rispetto delle stesse condizioni legali di legittimo esercizio dell’autotutela, avuto riguardo ai tempi, alle forme ed ai contenuti motivazionali dell’atto espressivo del c.d. ius poenitendi (cfr., in particolare, artt. 21-quinquies, 21-octies e 21-nonies della l. n. 241 del 1990).
7. L’Adunanza plenaria osserva che al quesito inerente alla natura, privatistica o pubblicistica, degli atti con i quali l’amministrazione comunale determina o ridetermina il contributo di costruzione, di cui all’art. 16 del d.P.R. n. 380 del 2001, debba rispondersi con la riaffermazione della loro natura privatistica, sin qui ribadita dalla giurisprudenza di questo Consiglio.
7.1. E in particolare, per quanto attiene alla specifica vicenda di cui è causa, va qui ribadito, in conformità all’orientamento sin qui ricordato, che il contributo per gli oneri di urbanizzazione è un corrispettivo di diritto pubblico, di natura non tributaria, posto a carico del concessionario a titolo di partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione e in proporzione dell’insieme dei benefici che la nuova costruzione acquista, senza alcun vincolo di scopo in relazione alla zona interessata alla trasformazione urbanistica e indipendentemente dalla concreta utilità che il concessionario può conseguire dal titolo edificatorio e dall’ammontare delle spese effettivamente occorrenti per la realizzazione delle opere (Cons. St., sez. IV, 05.05.2017, n. 2055).
7.2. L’obbligazione di corrispondere il contributo nasce, come è noto, nel momento in cui viene rilasciato il titolo ed è a tale momento che occorre aver riguardo per la determinazione dell’entità del contributo (Cons. St., sez. IV, 30.11.2015, n. 5412, ma v. anche Cons. St., sez. V, 13.06.2003, n. 3332).
7.3. L’atto di imposizione e di liquidazione del contributo, quale corrispettivo di diritto pubblico richiesto per la compartecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione, non ha natura autoritativa né costituisce esplicazione di una potestà pubblicistica, ma si risolve in un mero atto ricognitivo e contabile, in applicazione di rigidi e prestabiliti parametri regolamentari e tabellari.
7.4. Va ricordato, infatti, che gli oneri di urbanizzazione, ai sensi dell’art. 16, comma 3, del d.P.R. n. 380 del 2001, sono corrisposti sulla base delle tabelle parametriche, predisposte dalle Regioni, tabelle che devono essere recepite dal Comune in una propria deliberazione, atto amministrativo generale impugnabile solo con il concreto provvedimento applicativo.
7.5. La determinazione degli oneri di urbanizzazione si correla ad una precisa disciplina regolamentare, con la conseguenza che, per costante orientamento giurisprudenziale, i provvedimenti applicativi della stessa non richiedono alcuna puntuale motivazione allorché le scelte operate dalla pubblica amministrazione si conformino ai criterî stessi di cui alle tabelle parametriche (Cons. St., sez. V, 09.02.2001, n. 584).
7.6. Per l’altrettanto consolidata giurisprudenza del Consiglio di Stato, la natura paritetica dell’atto di determinazione consente che la pubblica amministrazione possa apportarvi modifiche, sia in favore del privato che in senso contrario, purché ciò avvenga nei limiti della prescrizione decennale del relativo diritto di credito (v., inter multas, Cons. St., sez. IV, 28.11.2012, n. 6033, Cons. St., sez. IV, 17.09.2010, n. 6950).
7.7. Si tratta, infatti, di una determinazione che obbedisce a prescrizioni desumibili da tabelle, in ordine alla quale l’amministrazione comunale si limita ad applicare dei parametri, aventi per la stessa natura cogente, laddove è esclusa qualsivoglia discrezionalità applicativa (Cons. St., sez. IV, 28.11.2012, n. 6033).
7.8. La giurisprudenza è consolidata, per parte sua, nell’affermare, che la controversia in ordine alla spettanza e alla liquidazione del contributo per gli oneri di urbanizzazione, riservata alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo a norma dell’art. 16 della l. n. 10 del 1977 e, oggi, dell’art. 133, comma 1, lett. f), c.p.a., ha ad oggetto l’accertamento di un rapporto di credito a prescindere dall’esistenza di atti della pubblica amministrazione e non è soggetta alle regole delle azioni impugnatorie-annullatorie degli atti amministrativi e ai rispettivi termini di decadenza.
7.9. La natura non autoritativa dei relativi atti e l’assenza di discrezionalità, nell’ambito di un rapporto paritetico tra la pubblica amministrazione e il privato, rendono perciò concettualmente inconfigurabile l’esercizio dell’autotutela pubblicistica, quale potere di secondo grado che viene incidere, secondo determinati presupposti e limiti, su un primigenio episodio di esercizio del potere autoritativo, che qui non sussiste ab origine (cfr., sul punto, Cons. St., sez. IV, 12.06.2017, n. 2821; Cons. St., sez. IV, 27.09.2017, n. 4515).
8. E del resto, anche in riferimento alla contigua fattispecie del recupero delle somme indebitamente percepite dal pubblico dipendente, la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato ha ritenuto non accettabile il richiamo alla teoria, secondo la quale il recupero di una somma da parte della pubblica amministrazione presupporrebbe l’annullamento, in sede di autotutela, del provvedimento recante la determinazione dell’emolumento in misura maggiore di quella dovuta.
8.1. Invero, ove pure si prescinda dalla considerazione che tale teoria si concreta, sovente, in una fictio iuris, mancando del tutto un provvedimento siffatto, «quest’ultimo, anche ove esistente, si risolve nella rideterminazione della somma effettivamente spettante per legge (o per contratto), in luogo di quella erroneamente corrisposta, onde, una volta affermata la doverosità della sua adozione, esso non può che partecipare della stessa natura paritetica dell’atto che va a rimuovere, concretandosi in null’altro che in un diverso accertamento dell’entità del debito retributivo della p.a. e del correlato credito del dipendente» (Cons. St., sez. VI, 20.04.2004, n. 2203).
9. L’Adunanza plenaria ritiene che, peraltro, al nuovo indirizzo interpretativo, che sembrerebbe delinearsi nella sentenza n. 5402 del 21.12.2016 della IV sezione di questo Consiglio di Stato e nella stessa pronuncia n. 24 del 2016 di questa Adunanza, non possa attribuirsi il significato sistematico, con tutte le conseguenti ricadute applicative in termini di disciplina applicabile, che l’ordinanza di rimessione loro annette.
9.1. Nella sentenza n. 5402 del 21.12.2016 della IV sezione di questo Consiglio di Stato si fa riferimento, è vero, all’istituto dell’autotutela pubblicistica per giustificare ad abundantiam la correttezza della rideterminazione del contributo relativo al costo di costruzione da parte del Comune, ma si ribadisce, ancora una volta, il noto principio (cfr., per tutti, Cons. St., sez. IV, 06.06.2016 n. 2394) «secondo cui l’azione volta alla declaratoria di insussistenza o di diversa entità del debito contributivo correlato al rilascio del permesso di costruire può essere intentata senza onere d’impugnazione o di esistenza dell’atto con il quale è richiesto il pagamento (essendo un giudizio d’accertamento di un rapporto obbligatorio pecuniario paritetico e bilaterale) ed è proponibile nel termine prescrizionale avanti a questo Giudice in sede di cognizione esclusiva ex art. 133, co. 1, lett. f), c.p.a.».
9.2. Parimenti, nella sentenza n. 24 del 07.12.2016 di questa Adunanza, si afferma, nel § 5.3, che il contributo di costruzione, quale prestazione patrimoniale imposta funzionale a remunerare l’esecuzione di opere pubbliche, si colloca pacificamente «nell’alveo dei rapporti di diritto pubblico», come sarebbe dimostrato dal fatto che il suo mancato pagamento legittima l’amministrazione all’applicazione di sanzioni pecuniarie crescenti in rapporto all’entità del ritardo (art. 42 d.P.R. n. 380 del 2001) e, in caso di persistenza dell’inadempimento, alla riscossione del contributo e delle sanzioni secondo le norme vigenti in materia di riscossione coattiva delle entrate (art. 43 d.P.R. del d.P.R. n. 380 del 2001).
9.3. Da queste considerazioni, tuttavia, non è possibile trarre alcuna conclusione sul piano sistematico in ordine alla natura pubblicistica del rapporto tra l’amministrazione e il soggetto obbligato.
9.4. Il contributo di costruzione è e rimane, infatti, un corrispettivo di diritto pubblico, proprio per il fondamentale principio dell’onerosità del titolo edilizio introdotto dall’art. 1 della l. n. 10 del 1977 –lo ricorda la stessa Adunanza plenaria nel § 5.2 della sentenza n. 24 del 2016– e poi recepito dall’art. 16 del d.P.R. n. 380 del 2011, e come tale, benché esso non sia legato da un rigido vincolo di sinallagmaticità rispetto del rilascio del permesso di costruire, rientra anche, e coerentemente, nel novero delle prestazioni patrimoniali imposte di cui all’art. 23 Cost.
9.5. La costante giurisprudenza di questo Consiglio di Stato ha sempre ribadito che il contributo per gli oneri di urbanizzazione, per quanto non abbia natura tributaria, costituisce, comunque, un corrispettivo di diritto pubblico posto a carico del costruttore, connesso al rilascio della concessione edilizia, a titolo di partecipazione del concessionario ai costi delle opere di urbanizzazione in proporzione all’insieme dei benefici che la nuova costruzione ne ritrae, e che «per la determinazione di esso deve essere fatto necessario ed esclusivo riferimento alle norme di legge che regolano i relativi criteri di conteggio, norme che vanno rigorosamente rispettate anche in osservanza del principio di cui all’art. 23 della Costituzione , secondo il quale nessuna prestazione patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge» (Cons. St., sez. V, 21.04.2006, n. 2228).
10. L’affermazione secondo cui il contributo di costruzione costituisce una prestazione patrimoniale imposta e rientra a tale titolo nell’ambito dei rapporti di diritto pubblico in quanto necessariamente legata al rilascio del titolo edilizio, tuttavia, non comporta ex se che i relativi atti di determinazione abbiano necessariamente carattere autoritativo, si colorino, per così dire, di imperatività e siano espressione di potestà pubblicistica.
10.1. Il privato che intende ottenere il permesso di costruire ha avanti a sé la scelta di corrispondere il contributo di costruzione o di rinunciare al rilascio del titolo.
10.2. Effettuata questa scelta, che comporta la necessaria corresponsione del corrispettivo di diritto pubblico, il pagamento di questo, esclusa pacificamente la sua natura tributaria, non può che costituire l’oggetto di un ordinario rapporto obbligatorio, disciplinato dalle norme di diritto privato, come prescrive l’art. 1, comma 1-bis, della l. n. 241 del 1990, salvo che la legge disponga diversamente.
10.3. È vero che il credito dell’amministrazione, per la sua particolare finalità, è assistito da particolari sanzioni e da speciali procedure coattive di riscossione, come ha pure ricordato questa stessa Adunanza plenaria nella sentenza n. 24 del 2016 richiamando le disposizioni di cui agli artt. 42 e 43 del d.P.R. n. 380 del 2001, ma ciò non contrasta con la fondamentale natura del rapporto obbligatorio paritetico inerente al pagamento del contributo e accessorio al rilascio del permesso di costruire.
10.4. Anche la disciplina degli atti non autoritativi della pubblica amministrazione può conoscere, infatti, previsioni derogatorie rispetto alla ordinaria disciplina privatistica, come prevede chiaramente l’art. 1, comma 1-bis, della l. n. 241 del 1990, senza che ciò comporti lo snaturamento del rapporto paritetico che ne è alla base, la loro integrale attrazione alla sfera pubblicistica o, nel caso di specie, l’assimilazione ad una fattispecie paraimpositiva di stampo tributario.
11. Deve quindi escludersi che a tali rapporti di natura meramente obbligatoria e agli atti iure gestionis, di carattere contabile e aventi finalità liquidatoria, adottati dal Comune, si applichi la disciplina dell’autotutela di cui all’art. 21-nonies della l. n. 241 del 1990 o, più in generale, la disciplina dettata dalla stessa l. n. 241 del 1990 per gli atti provvedimentali espressivi di potestà pubblicistica.
11.1. Il carattere paritetico del rapporto, va solo qui aggiunto, non esclude la doverosità della rideterminazione quante volte la pubblica amministrazione si accorga che l’iniziale determinazione degli oneri di urbanizzazione sia dipesa da un’inesatta applicazione delle tabelle o anche da un semplice errore di calcolo.
11.1. Il Comune è pur sempre, infatti, titolare del potere-dovere di richiedere il contributo di costruzione secondo i parametri e nei limiti fissati dalla legge e dalle disposizioni regolamentari integrative fissate dalle Regioni, facendone una applicazione vincolata alla predeterminazione di coefficienti, che il privato deve conoscere e ben può verificare.
12. Discende da quanto detto che gli atti con i quali la pubblica amministrazione determina e liquida il contributo di costruzione, previsto dall’art. 16 del d.P.R. n. 380 del 2001, non hanno natura autoritativa, non essendo espressione di una potestà pubblicistica, ma costituiscono l’esercizio di una facoltà connessa alla pretesa creditoria riconosciuta dalla legge al Comune per il rilascio del permesso di costruire, stante la sua onerosità, nell’ambito di un rapporto obbligatorio a carattere paritetico e soggetta, in quanto tale, al termine di prescrizione decennale, sicché ad essi non possono applicarsi la disciplina dell’autotutela dettata dall’art. 21-nonies della l. n. 241 del 1990 né, più in generale, le disposizioni previste dalla stessa legge per gli atti provvedimentali manifestazioni di imperio.
12.1. Si è cioè al cospetto di un rapporto obbligatorio, di contenuto essenzialmente pecuniario (salva l’ipotesi di opere a scomputo di cui all’art. 16, comma 1, del d.P.R. n. 380 del 2001), al quale si applicano le disposizioni di diritto privato, salve le specifiche disposizioni previste dalla legge (come, ad esempio, i già citati artt. 42 e 43 del d.P.R. n. 380 del 2001) per la peculiare finalità del credito vantato dall’amministrazione comunale in ordine al pagamento del contributo (oneri di urbanizzazione e costo di costruzione).
13. Quanto al secondo quesito, posto dall’ordinanza di rimessione n. 175 del 27.03.2018, la qui riaffermata natura non autoritativa degli atti con i quali l’autorità comunale provvede alla determinazione degli oneri, atti non riconducibili –come detto– all’espressione di una potestà pubblicistica, comporta che nell’ordinario termine decennale di prescrizione, decorrente dal rilascio del titolo edilizio, essa sia sempre possibile, e anzi doverosa, da parte della pubblica amministrazione, nell’esercizio delle facoltà connesse alla propria posizione creditoria, la rideterminazione del contributo, quante volte la pubblica amministrazione si accorga che l’originaria liquidazione di questo sia dipesa dall’applicazione inesatta o incoerente di parametri e coefficienti determinativi, vigenti al momento in cui il titolo fu rilasciato, o da un semplice errore di calcolo, con l’ovvia esclusione della possibilità di applicare retroattivamente coefficienti successivamente introdotti, non vigenti al momento in cui il titolo fu rilasciato.
14. L’ordinanza di rimessione pone, infine, un terzo quesito e intende conoscere se in alternativa, e a prescindere dall’inquadramento giuridico della fattispecie, secondo le categorie sopra richiamate, e quale che sia la categoria giuridica da riconnettere al provvedimento determinativo degli oneri concessori, se vi sia spazio, e in quali limiti, perché possa trovare applicazione nella fattispecie in esame il principio del legittimo affidamento del privato, da ricostruire vuoi sulla base della disciplina pubblicistica dell’autotutela, vuoi su quella privatistica della lealtà e della buona fede nell’esecuzione delle prestazioni contrattuali, ovvero sulla base dei principî desumibili dai limiti posti dall’ordinamento civile per l’annullamento del contratto per errore o per altra causa.
14.1. Al quesito deve rispondersi anzitutto, in conformità con quanto prevede in via generale il già richiamato art. 1, comma 1-bis, della l. n. 241 del 1990, inserito dall’art. 1, comma 1, lett. b), della l. n. 15 del 2005, il quale stabilisce che la pubblica amministrazione, nell’adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato, salvo che la legge disponga diversamente.
14.2. E tuttavia il quesito, di fronte ad un evidente contrasto interpretativo sussistente tra il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana, con le pronunce del 2007, e al giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, mira specificamente a comprendere, e ad enucleare, le regole che siano o meno applicabili al rapporto obbligatorio di cui si discute.
14.3. Ritiene questa Adunanza plenaria che la disciplina dell’errore riconoscibile, di cui all’art. 1431 c.c., non sia applicabile all’atto con il quale la pubblica amministrazione ridetermini l’importo del contributo.
14.4. Il contrario indirizzo seguito dal Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana riposa sull’assunto secondo il quale, applicandosi la disciplina dell’art. 1431 c.c., sarebbe lecito dubitare che ricorra la riconoscibilità dell’errore considerando che la determinazione del contenuto dell’obbligazione incombe alla pubblica amministrazione e, in particolare, all’ente territoriale, che istituzionalmente provvede alla disciplina dei criterî generali e all’applicazione di questi ai singoli casi.
14.5. In questa situazione, salvi errori macroscopici di evidenza ictu oculi, sarebbe «difficile ipotizzare che l’eventuale errore dell’Amministrazione sia riconoscibile dal privato che, del tutto naturalmente, viene indotto a prestare affidamento alla correttezza dell’autoliquidazione del proprio credito da parte dell’Amministrazione creditrice» (così, ad esempio, Cons. Giust. Amm. Reg. Sic., 07.09.2007, n. 790).
14.6. Un simile ragionamento, tuttavia, tralascia di considerare che l’applicazione delle tabelle parametriche da parte dell’amministrazione comunale, per quanto complessa, costituisce comunque una operazione contabile che, essendo al privato ben note dette tabelle, questi può verificare nella sua esattezza, anzitutto con l’ausilio del progettista che l’assiste nella presentazione della propria istanza, con un ordinario sforzo di diligenza, richiedibile secondo il canone della buona fede al debitore già solo, e anzitutto, nel suo stesso interesse, per evitare che gli venga richiesto meno o più del dovuto.
14.7. La complessità delle operazioni di calcolo o l’eventuale incertezza nell’applicazione di alcune tabelle o coefficienti determinativi, dovuti a ragioni di ordine tecnico, non sono eventi estranei o ignoti alla sfera del debitore, che invece con l’ordinaria diligenza, richiesta dagli artt. 1175 e 1375 c.c., può e deve controllarne l’esattezza sin dal primo atto di loro determinazione.
14.8. Certamente, e a sua volta, il Comune ha l’obbligo di adoperarsi affinché la liquidazione del contributo di costruzione venga eseguita nel modo più corretto, sollecito, scrupoloso e preciso, sin dal principio, ma la collaborazione tra l’autorità comunale e il privato richiedente, in una visione del diritto amministrativo improntata al principio di buon andamento e alla legalità sostanziale, è imprescindibile in questa materia, già solo sul piano dell’interlocuzione procedimentale, e non può certo affermarsi, proprio per questo, una incomunicabilità o inconoscibilità tra la sfera dell’una e quella dell’altro che porti all’applicazione dell’art. 1431 c.c., quasi che l’iniziale errore nell’applicazione delle tabelle o dei coefficienti, da parte dell’autorità comunale, sia un fatto “del tutto naturalmente” incomprensibile o imponderabile dal privato perché puramente interno alla sfera dell’amministrazione creditrice.
14.9. La tutela del legittimo affidamento e il principio della buona fede (art. 1175 e 1375 c.c.), che in via generale devono essere osservati anche dalla pubblica amministrazione nell’attuazione del rapporto obbligatorio (v., sul punto, Cass., sez. L, 07.04.1992, n. 4226), possono trovare applicazione ad una fattispecie come quella in esame nella quale, ordinariamente, l’oggettività dei parametri da applicare al contributo di costruzione rende vincolato il conteggio da parte della pubblica amministrazione, consentendone a priori la conoscibilità e la verificabilità da parte dell’interessato con l’ordinaria diligenza, solo nella eccezionale ipotesi in cui tali conoscibilità e verificabilità non siano possibili con il normale sforzo richiesto al debitore, secondo appunto buona fede, nell’ottica di una leale collaborazione finalizzata all’attuazione del rapporto obbligatorio e al soddisfacimento dell’interesse creditorio.
15.
In conclusione, e riassumendo quindi i principî di diritto sin qui diffusamente enunciati, si può quindi affermare che:
   a)
gli atti con i quali la pubblica amministrazione determina e liquida il contributo di costruzione, previsto dall’art. 16 del d.P.R. n. 380 del 2001, non hanno natura autoritativa, non essendo espressione di una potestà pubblicistica, ma costituiscono l’esercizio di una facoltà connessa alla pretesa creditoria riconosciuta dalla legge al Comune per il rilascio del permesso di costruire, stante la sua onerosità, nell’ambito di un rapporto obbligatorio a carattere paritetico e soggetta, in quanto tale, al termine di prescrizione decennale, sicché ad essi non possono applicarsi né la disciplina dell’autotutela dettata dall’art. 21-nonies della l. n. 241 del 1990 né, più in generale, le disposizioni previste dalla stessa legge per gli atti provvedimentali manifestazioni di imperio;
   b)
la pubblica amministrazione, nel corso di tale rapporto, può pertanto sempre rideterminare, sia a favore che a sfavore del privato, l’importo di tale contributo, in principio erroneamente liquidato, richiedendone o rimborsandone a questi la differenza nell’ordinario termine di prescrizione decennale (art. 2946 c.c.) decorrente dal rilascio del titolo edilizio, senza incorrere in alcuna decadenza, mentre per parte sua il privato non è tenuto ad impugnare gli atti determinativi del contributo nel termine di decadenza, potendo ricorrere al giudice amministrativo, munito di giurisdizione esclusiva ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. f), c.p.a., nel medesimo termine di dieci anni, anche con un’azione di mero accertamento;
   c)
l’amministrazione comunale, nel richiedere i detti importi con atti non aventi natura autoritativa, agisce quindi secondo le norme di diritto privato, ai sensi dell’art. 1, comma 1-bis, della l. n. 241 del 1990, ma si deve escludere l’applicabilità dell’art. 1431 c.c. a questa fattispecie, in quanto l’errore nella liquidazione del contributo, compiuto dalla pubblica amministrazione, non attiene ad elementi estranei o ignoti alla sfera del debitore ed è quindi per lui in linea di principio riconoscibile, in quanto o riguarda l’applicazione delle tabelle parametriche, che al privato sono o devono essere ben note, o è determinato da un mero errore di calcolo, ben percepibile dal privato, errore che dà luogo alla semplice rettifica;
   d)
la tutela dell’affidamento e il principio della buona fede, che in via generale devono essere osservati anche dalla pubblica amministrazione dell’attuazione del rapporto obbligatorio, possono trovare applicazione ad una fattispecie come quella in esame nella quale, ordinariamente, la predeterminazione e l’oggettività dei parametri da applicare al contributo di costruzione, di cui all’art. 16 del d.P.R. n. 380 del 2001, rendono vincolato il conteggio da parte della pubblica amministrazione, consentendone a priori la conoscibilità e la verificabilità da parte dell’interessato con l’ordinaria diligenza, solo nella eccezionale ipotesi in cui tali conoscibilità e verificabilità non siano possibili con l’ordinaria diligenza richiesta al debitore, secondo buona fede (artt. 1175 e 1375 c.c.), nell’ottica di una leale collaborazione volta all’attuazione del rapporto obbligatorio e al soddisfacimento dell’interesse creditorio vantato dal Comune.

giugno 2018

EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: Scomputo del costo di costruzione.
Le previsioni di cui all’articolo 16 del D.P.R. 380/2001 e dell’articolo 45 della L.R. Lombardia n. 12/2015, che ammettono la possibilità di scomputare totalmente o parzialmente il contributo relativo agli oneri di urbanizzazione, non possono interpretarsi come volte a precludere in termini assoluti la possibilità di scomputo dei costi di costruzione, se prevista in via convenzionale (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 18.06.2018 n. 1525 - commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
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MASSIMA
1. Preliminarmente occorre esaminare l’eccezione di inammissibilità formulata dal Comune resistente secondo il quale il ricorso dovrebbe considerarsi tardivo perché notificato oltre il termine decadenziale previsto per l’azione di annullamento.
1.1. A sostegno dell’eccezione il Comune osserva che l’atto impugnato richiede il pagamento di una somma a titolo di monetizzazione dello standard urbanistico e, come tale, impone l’impugnazione entro il termine di sessanta giorni previsto –in generale– dal codice del processo amministrativo.
1.2. L’eccezione è priva di fondamento per le considerazioni che si procede ad esporre.
1.3. Il Comune di Milano richiama, a sostegno dell’eccezione la decisione del Consiglio di Stato, sez. IV, 28.12.2012, n. 6706. Osserva il Giudice d’Appello che, “se da un lato è pressoché irrilevante, ai fini in esame, la qualificazione della monetizzazione come imposizione di tipo tributario o come corrispettivo di diritto pubblico, dall’altro lato assume, invece, significativo rilievo la considerazione che la prestazione patrimoniale richiesta non vive in alcun modo della natura e delle finalità proprie del contributo concessorio costituito dagli oneri di urbanizzazione e dal costo di costruzione che accompagna naturaliter l’autorizzazione a costruire, la cui debenza o meno, quanto al relativo accertamento, può essere fatta valere, in linea generale, nei termini prescrizionali”.
1.3.1. Infatti, prosegue il Consiglio di Stato, “mentre il pagamento degli oneri di urbanizzazione si risolve in un contributo per la realizzazione delle opere stesse, senza che insorga un vincolo di scopo in relazione alla zona in cui è inserita l’area interessata all’imminente trasformazione edilizia, la monetizzazione sostitutiva della cessione degli standard afferisce al reperimento delle aree necessarie alla realizzazione delle opere di urbanizzazione secondaria all’interno della specifica zona di intervento; e ciò vale ad evidenziare la diversità ontologica della monetizzazione rispetto al contributo di concessione, di talché, sotto il versante processuale, non si può utilizzare lo strumento dell’azione di accertamento ammesso per contestare la legittimità del contributo […] o comunque la insussistenza di tale obbligazione pecuniaria ancorché già assolta”.
1.3.2. Conclude il Consiglio di Stato notando che la monetizzazione non costituisce una duplicazione del contributo concessorio, venendo in rilievo un obbligo diverso ed aggiuntivo e che “la prestazione patrimoniale derivante dalla “monetizzazione” accede intimamente alla rilasciata concessione edilizia”, con la conseguenza che “la pretesa di non soggiacere a tale obbligo di pagamento deve essere necessariamente fatta valere in sede di contestazione della legittimità degli atti e provvedimenti di imposizione, con l’impugnazione (quanto meno) della concessione, in parte qua, nel termine decadenziale previsto dal codice del processo amministrativo”.
1.4. La decisione richiamata dal Comune e riportata nel precedente punto non risulta, tuttavia, sovrapponibile al caso di specie.
1.4.1. Nel caso esaminato dal Consiglio di Stato la società propone azione di accertamento “dell’inesistenza dell’obbligo di pagamento della cd. “monetizzazione” delle aree per urbanizzazioni secondarie riconnesse al rilascio delle concessioni edilizie n. 19/99-662 e n. 127/2001, quantificato dal Comune di Putignano in € 10.039,92 ai sensi dell’art. 52 delle NTA del PRG comunale, in aggiunta al contributo di costruzione di cui all’art. 16 del TU edilizia”, omettendo l’impugnazione dei titoli.
1.4.2. Nel caso sottoposto all’attenzione del Collegio il giudizio verte, al contrario, sulla corretta interpretazione delle disposizioni contenute nella Convenzione integrativa del permesso e, in particolare, sulle modalità attraverso le quali attuare la prestazione relativa al costo di costruzione per il primo intervento realizzato.
Inoltre, diversamente da quanto verificatosi nella fattispecie definita dal Consiglio di Stato, la società non avanza alcuna contestazione che sia mediatamente o immediatamente incidente sul titolo edilizio che, al contrario, è, come si vedrà, uno degli elementi posti a fondamento dell’interpretazione della convenzione integrativa fornita dalla società ricorrente.
1.4.3. In una fattispecie come quella in esame trova, pertanto, applicazione il consolidato insegnamento giurisprudenziale a mente del quale “
le controversie in tema di oneri di urbanizzazione e di costo di costruzione sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo” (cfr. Cons. di Stato, Sez. V, 09.02.2001 n. 584, e Sez. IV, 19.07.2004 n. 5197); tali controversie introducono, infatti, “un giudizio su un rapporto, sicché le questioni concernenti l'esistenza e l'entità del debito, involgendo posizioni di diritto soggettivo, sono sottratte agli ordinari termini decadenziali del giudizio impugnatorio, pur in presenza di atti amministrativi da definire pertanto come paritetici, presentandosi come un giudizio di accertamento di un rapporto obbligatorio, attivabile nell’ordinario termine di prescrizione (cfr. Cons. Stato, V Sezione, 14.10.2014 n. 5072; C.G.A. n. 462 e n. 466 del 27.05.2008; Tar per la Campania – sede di Napoli, sez. VI, 08.09.2017, n. 4322).
2. Passando al merito del ricorso si osserva che i primi due motivi formulati dalla società possono trattarsi congiuntamente in quanto fondati su questione logicamente e giuridicamente comune, consistente sulla interpretazione delle previsioni della Convenzione integrativa al permesso di costruire n. 85/2006 per la disciplina dell’esecuzione di opera a scomputo e per la cessione di strada e, in particolare, sulle possibilità di scomputo degli importi dovuti a titolo di costo di costruzione per il primo degli interventi realizzati dalla società.
2.1. La disamina della questione indicata al punto che precede impone di affrontare, in primo luogo, la deduzione svolta dal Comune resistente secondo cui la pretesa della Al. s.p.a. risulterebbe in constato con la previsione di cui all’articolo 16 del D.P.R. 380/2001 e dell’articolo 45 della L.R. Lombardia n. 12/2015.
Replica la ricorrente osservando che: a) si tratta di argomentazione esposta per la prima volta in sede giudiziaria (evocando, in tal modo, il divieto di integrazione postuma della motivazione); b) la giurisprudenza amministrativa ammette forme alternative di pagamento e/o compensazione con opere urbanistiche anche in relazione ai costi di costruzione.
2.2. La tesi del Comune non può essere condivisa.
2.2.1. La disposizione contenuta all’interno dell’articolo 16, comma 2, del D.P.R. 380/2001 prevede testualmente: “la quota di contributo relativa agli oneri di urbanizzazione è corrisposta al comune all'atto del rilascio del permesso di costruire e, su richiesta dell'interessato, può essere rateizzata. A scomputo totale o parziale della quota dovuta, il titolare del permesso può obbligarsi a realizzare direttamente le opere di urbanizzazione, nel rispetto dell'articolo 2, comma 5, della legge 11.02.1994, n. 109, e successive modificazioni, con le modalità e le garanzie stabilite dal comune, con conseguente acquisizione delle opere realizzate al patrimonio indisponibile del comune”.
2.2.2. In coerenza con il precetto dettato dalla legislazione statale, la previsione dell’articolo 45 della L.R. 12/2005 dispone: “1. A scomputo totale o parziale del contributo relativo agli oneri di urbanizzazione, gli interessati possono essere autorizzati a realizzare direttamente una o più opere di urbanizzazione primaria o secondaria, nel rispetto dell'articolo 2, comma 5, della legge 11.02.1994, n. 109 (Legge quadro in materia di lavori pubblici). I comuni determinano le modalità di presentazione dei progetti di valutazione della loro congruità tecnico-economica e di prestazione di idonee garanzie finanziarie, nonché le sanzioni conseguenti in caso di in ottemperanza. Le opere, collaudate a cura del comune, sono acquisite alla proprietà comunale. 2. Non possono essere oggetto di scomputo le opere espressamente riservate, nel programma triennale delle opere pubbliche, alla realizzazione diretta da parte del comune”.
2.2.3.
Le due previsioni riprodotte ammettono, pertanto, la possibilità di scomputare totalmente o parzialmente il contributo relativo agli oneri di urbanizzazione. Tale previsione non pare, tuttavia, potersi interpretare come volta a precludere in termini assoluti la possibilità di scomputo dei costi di costruzione, se prevista in via convenzionale.
2.2.4. Deve, infatti, considerarsi che:
   -
il contributo afferente al permesso di costruire, commisurato all'incidenza degli oneri di urbanizzazione nonché al costo di costruzione, è determinato e liquidato all'atto del rilascio del titolo edilizio (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 19.03.2015, n. 1504);
   -
tale contributo è un corrispettivo di diritto pubblico, di natura non tributaria, posto a carico del concessionario a titolo di partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione e in proporzione all'insieme dei benefici che le nuove costruzioni inducono nel contesto urbano, senza alcun vincolo di scopo in relazione alla zona interessata dalla trasformazione urbanistica e indipendentemente dalla concreta utilità che il concessionario può conseguire dal titolo edificatorio e dall'ammontare delle spese effettivamente occorrenti per la realizzazione delle opere stesse (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 29.10.2015, n. 4950; TAR Lombardia-Brescia, 02.03.2012, n. 355; TAR Piemonte, 26.11.2003 n. 1675);
   -
il contributo di urbanizzazione è, invece, commisurato al costo delle opere di urbanizzazione da realizzarsi concretamente nella zona, e differisce dal contributo da pagare all'atto del rilascio della concessione di costruzione, che ha natura contributiva, rappresentando un corrispettivo delle spese poste a carico della collettività per il conferimento al privato del diritto all'edificazione e dei vantaggi che il concessionario ottiene per effetto della trasformazione del territorio;
   -
si tratta, quindi, di istituti diversi, da cui deriva, quale naturale conseguenza, la determinazione di oneri altrettanto diversi, l'uno relativo al costo sostenuto per rendere urbanizzata ed edificabile la singola area, l'altro relativo al contributo, di carattere tributario, preordinato alla realizzazione del generale assetto urbanistico del territorio (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 15.09.2014, n. 4685);
   -
la diversità tra i due istituti spiega la ragione per la quale il legislatore prevede il solo scomputo degli oneri di urbanizzazione nell’ipotesi in cui il titolare del permesso di costruire si obblighi alla realizzazione diretta di tali opere; in tal caso, infatti, la prestazione patrimoniale è sostituita dall’esecuzione delle opere che il pagamento risulta strumentale a finanziare;
   - in altri termini,
la previsione dell’articolo 16, comma 2, contempla i soli oneri di urbanizzazione in quanto solo questi sono immediatamente irrelati alle opere di urbanizzazione e, come tali, sostituibili nel caso di diretta realizzazione delle stesse;
   - ricostruita la ratio della disposizione di cui all’articolo 16, comma 2, può escludersi che lo stesso funga da perimetro applicativo dell’istituto dello scomputo nel diverso caso dei costi di costruzione che, come spiegato, hanno diversa natura giuridica;
   - la soluzione della questione non può quindi rinvenirsi all’interno dell’articolo 16, comma 2, ma necessita, al contrario, di un approfondimento da condurre alla luce dei principi regolatori della materia;
   - a tal fine, deve, in primo luogo, evidenziarsi che il meccanismo dello scomputo non elide la doverosità della prestazione imposta e il carattere indisponibile della stessa atteso che lo scomputo agisce più propriamente nella fase solutoria dell’obbligazione, postulando e non denegando la prestazione dovuta;
   - in altri termini, se la natura tributaria esclude la disponibilità dell’an e del quantum debeatur, non elimina, tuttavia, la possibilità di sostituire il versamento con forme alternative di pagamento e/o compensazione con opere urbanistiche stabilite dalle parti e, in particolare, dall’Ente comunale;
   - il carattere indisponibile dell’obbligazione tributaria non si traduce quindi nella imposizione di una sola forma solutoria dei costi di costruzione che, fermo il quantum e la doverosità della prestazione, non ha alcuna tipizzazione monetaria inderogabile;
   -
deve, pertanto, escludersi che l’articolo 16, comma 2, del D.P.R. 380/2001 possa decretare la nullità assoluta della clausola compensativa convenzionale e imporre una sostituzione automatica della stessa con la regola del versamento pecuniario, che, nel caso di specie, sarebbe aggiuntivo ed implicherebbe il pagamento, da parte del Comune, delle opere ulteriori realizzate dalla società ricorrente (cfr. TAR per l’Abruzzo – sede di Pescara, 18.10.2010, n. 1142);
   - inoltre, deve, altresì, escludersi che la natura tributaria dell’obbligazione possa, nella fattispecie in esame, non ammettere un accordo tra le parti inerente, come spiegato, la sola forma solutoria dell’adempimento e, come tale, inidoneo a ledere il principio di indisponibilità che governa la materia.
3. Esclusa, pertanto, la sussistenza di un divieto legale all’inserzione di una clausola di scomputo dei costi di costruzione, può procedersi a verificare la concreta disciplina dettata dal rapporto all’esame del Collegio.
3.1. Simile verifica deve essere preceduta da una notazione di carattere generale sulla natura giuridica dell’accordo in esame, necessaria per la corretta interpretazione della convenzione.
3.1.
Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, le convenzioni urbanistiche –come quella in esame- rientrano infatti nel novero degli accordi tra privati e amministrazione, ai sensi dell’articolo 11 della legge n. 241 del 1990 (ex multis: Cass. civ., Sez. I, 28.01.2015, n. 1615; Cass., SS.UU., 09.03.2012, n. 3689; nella giurisprudenza di questa sezione, cfr. TAR per la Lombardia – sede di Milano, sez. II, 26.07.2016, n. 1507).
3.2.
Tale qualificazione impone che l’interpretazione della convenzione avvenga utilizzando i criteri ermeneutici di cui agli articoli 1362 e seguenti del codice civile, visto l’esplicito richiamo di cui al comma 2 dell’art. 11 medesimo e come del resto confermato dalla giurisprudenza, sia di questo Tribunale (cfr., ex multis, Tar per la Lombardia – sede di Milano, sez. II, 05.05.2015, n. 1103, con la giurisprudenza richiamata e sez. II, 11.05.2015, n. 1137), sia del Consiglio di Stato (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 17.12.2014, n. 6164).
3.3. L’operazione ermeneutica deve necessariamente prendere le mosse dalla fondamentale disposizione contenuta all’interno dell’articolo 1362 c.c. a mente della quale: “1. Nell'interpretare il contratto si deve indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti e non limitarsi al senso letterale delle parole. 2. Per determinare la comune intenzione delle parti, si deve valutare il loro comportamento complessivo anche posteriore alla conclusione del contratto”.
3.4. Sul punto, la giurisprudenza della Corte di Cassazione chiarisce che:
   - “
ai fini della ricerca della comune intenzione dei contraenti il primo e principale strumento è rappresentato dal senso letterale delle parole e delle espressioni utilizzate” (cfr., da ultimo, Cassazione civile, sez. III, 19.03.2018, n. 6675);
   - “
il rilievo da assegnare alla formulazione letterale va invero verificato alla luce dell'intero contesto contrattuale, le singole clausole dovendo essere considerate in correlazione tra loro procedendosi al relativo coordinamento ai sensi dell'art. 1363 c.c., giacché per senso letterale delle parole va intesa tutta la formulazione letterale della dichiarazione negoziale, in ogni sua parte ed in ogni parola che la compone, e non già in una parte soltanto, quale una singola clausola di un contratto composto di più clausole, dovendo il giudice collegare e raffrontare tra loro frasi e parole al fine di chiarirne il significato” (Cfr. Cassazione civile, sez. III, 16.01.2007, n. 828; Cassazione civile, sez. I, 22.12.2005, n. 28479).
3.5. Inoltre, la Corte di Cassazione sottolinea che: “
pur assumendo l'elemento letterale funzione fondamentale nella ricerca della reale o effettiva volontà delle parti, il giudice deve invero a tal fine necessariamente riguardarlo alla stregua degli ulteriori criteri di interpretazione, e in particolare di quelli (quali primari criteri d'interpretazione soggettiva, e non già oggettiva, del contratto: v. Cass., 23/10/2014, n. 22513; Cass., 27/06/2011, n. 14079; Cass., 23/05/2011, n. 11295; Cass., 19/05/2011, n. 10998; con riferimento agli atti unilaterali v. Cass., 06/05/2015, n. 9006) dell'interpretazione funzionale ex art. 1369 c.c. e dell'interpretazione secondo buona fede o correttezza ex art. 1366 c.c., avendo riguardo allo scopo pratico perseguito dalle parti con la stipulazione del contratto e quindi alla relativa causa concreta (cfr. Cass., 23/05/2011, n. 11295).
Il primo di tali criteri (art. 1369 c.c.) consente di accertare il significato dell'accordo in coerenza appunto con la relativa ragione pratica o causa concreta. L'obbligo di buona fede oggettiva o correttezza ex art. 1366 c.c. quale criterio d'interpretazione del contratto (fondato sull'esigenza definita in dottrina di "solidarietà contrattuale") si specifica in particolare nel significato di lealtà, sostanziantesi nel non suscitare falsi affidamenti e non speculare su di essi, come pure nel non contestare ragionevoli affidamenti comunque ingenerati nella controparte (v. Cass., 06/05/2015, n. 9006; Cass., 23/10/2014, n. 22513; Cass., 25/05/2007, n. 12235; Cass., 20/05/2004, n. 9628).
A tale stregua esso non consente di dare ingresso ad interpretazioni cavillose delle espressioni letterali contenute nelle clausole contrattuali, non rispondenti alle intese raggiunte (v. Cass., 23/05/2011, n. 11295) e deponenti per un significato in contrasto con la ragione pratica o causa concreta dell'accordo negoziale (cfr., con riferimento alla causa concreta del contratto autonomo di garanzia, Cass., Sez. Un., 18/02/2010, n. 3947).
Assume dunque fondamentale rilievo che il contratto venga interpretato avuto riguardo alla sua ratio, alla sua ragione pratica, in coerenza con gli interessi che le parti hanno specificamente inteso tutelare mediante la stipulazione contrattuale (v. Cass., 22/11/2016, n. 23701), con convenzionale determinazione della regola volta a disciplinare il rapporto contrattuale (art. 1372 c.c.)
” (cfr., da ultimo, Cassazione civile, sez. III, 19.03.2018, n. 6675).
3.6. Nel declinare le coordinate sopra tracciate al caso di specie, l’indagine deve prendere le mosse dal testo della convenzione il cui articolo 1 prevede: “1) Il Comune, come sopra rappresentato, autorizza la Società “Al. S.p.A.” a realizzare –a scomputo degli importi dovuti per la costruzione della predetta multisala a titolo monetizzazione conguaglio standard (€ 512.991,07…), oneri di urbanizzazione (€ 539.670,89 …), quali indicati nelle premesse che precedono, e per un totale pari ad € 1.052.661,96 (…)– l’opera viabilistica costituita dal ripristino provvisorio del sottopasso carrabile di collegamento fra Largo Boccioni e Via Stephenson, e parcheggi. Il tutto, come da elaborato progettuale allegato sub “G” e relativo computo metrico estimativo verificato dai competenti Uffici comunali pari ad € 2.326.932,78 …, allegato sub “H”, in riepilogo. L’intervento verrà assentito con il predetto permesso di costruire in fase di rilascio per la realizzazione dell’edificio multisala, e verrà eseguito secondo le modalità indicate negli articoli che seguono”.
3.7. In relazione alla clausola in esame, il Comune resistente sottolinea che:
   - lo scomputo è espressamente riferito agli importi dovuti a titolo di monetizzazione conguaglio standards e di oneri di urbanizzazione e non menziona il costo di costruzione;
   - la circostanza che l’importo indicato a titolo di oneri di urbanizzazione, pari a € 539.670,89, comprenda anche la quota del costo di costruzione, non è sufficiente a desumere la volontà delle parti di ammettere lo scomputo anche del costo di costruzione.
3.8. La tesi del Comune non pare convincente in quanto fondata su una lettura atomistica della sola parte della clausola che esclude lo scomputo dei costi di costruzione, senza, tuttavia, considerare la diversa indicazione numerica che non può ridursi ad un mero errore trattandosi esattamente della somma risultante dalla sommatoria degli oneri di urbanizzazione e del costo di costruzione.
3.9.
In presenza di una clausola contrattuale contenenti indicazioni non univoche, occorre verificare –ai fini di ricavare l’esatta intenzione delle parti– se la componente erronea dello stessa risieda nella indicazione dei soli oneri di urbanizzazione o, al contrario e come pretende il Comune, nell’importo complessivo indicato.
3.10.
Nel compiere tale operazione deve tenersi conto dell’insegnamento della Suprema Corte secondo cui: “in tema di interpretazione del contratto, ai fini della ricerca della comune intenzione dei contraenti il principale strumento è rappresentato dal senso letterale delle parole e delle espressioni utilizzate nel contratto, il cui rilievo deve essere verificato alla luce dell'intero contesto contrattuale, sicché le singole clausole vanno considerate in correlazione tra loro, dovendo procedersi al loro coordinamento a norma dell'art. 1363 c.c., e dovendosi intendere per "senso letterale delle parole" tutta la formulazione letterale della dichiarazione negoziale, in ogni sua parte ed in ogni parola che la compone, e non già in una parte soltanto, quale una singola clausola di un contratto composto di più clausole, dovendo il giudice collegare e raffrontare tra loro frasi e parole al fine di chiarirne il significato" (Cass. nn. 14460/2011; 4670/2009, 18180/2007, 4176/2007 e 28479/2005).
Di qui l'erroneità dell'esegesi fissata esclusivamente su di una singola parola o frase, astratta dal resto della stessa o di altre clausole del contratto, cui pure deve applicarsi il medesimo canone interpretativo (Cassazione civile, sez. VI, 03.05.2018, n. 10478).
3.11. Incentrando la disamina sull’intero contenuto della Convenzione, si osserva che l’importo complessivo di € 539.670,89 (comprensivo, come detto, dei costi di costruzioni) risulta riprodotto –come dedotto dalla società ricorrente– sia nelle premesse della Convenzione stessa che nelle previsioni contenute negli articoli 2 e 4, laddove viene indicato l’importo complessivo scomputabile salvo conguagli. Invero, anche in tali passaggi la convenzione indica un importo che include gli oneri di costruzioni pur senza farne espresso riferimento.
Tale circostanza non risulta, tuttavia, decisiva per escludere lo scomputo degli oneri di costruzioni. Infatti, ove si accedesse ad una simile interpretazione si terminerebbe per disattendere il criterio dettato dall’articolo 1369 c.c. che, come spiegato in precedenza, impone di aver riguardo allo scopo pratico perseguito dalle parti con la stipulazione del contratto, riducendo tale indicazione ad un mero lapsus calami: situazione difficilmente ipotizzabile ove si consideri la rilevanza dell’importo economico in esame che, come tale, non pare potersi ritenere alieno dal concerto negoziale.
Su quest’ultimo aspetto deve, inoltre, osservarsi che la tesi comunale si fonda su un dato meramente letterale senza, tuttavia, giustificare l’eliminazione di tale voce dallo scomputo in ragione di un minor valore delle opere che, del resto, non rinviene alcuna evidenza nella documentazione versata in atti. Al contrario, risulta un maggior costo dell’opera, rimasto a carico della società ricorrente ai sensi dell’articolo 2 della convenzione.
L’interpretazione suggerita dal Comune finirebbe, quindi, per far gravare sulla società un ulteriore maggior costo: la ritenuta prevalenza del nomen iuris sul dato numerico riportato nella convenzione si tradurrebbe, quindi, nell’evidente alterazione dell’equilibrio delle posizioni della parti e, in fondo, della stessa causa concreta che in parte qua, l’operazione negoziale ha inteso realizzare consentendo al Comune l’acquisizione delle opere indicate dal medesimo articolo 1 in ragione dello scomputo previsto che, ove non comprensivo dei costi di costruzione, diverrebbe una mera locupletatio cum aliena iactura senza chiara giustificazione causale.
3.12. Deve, inoltre, considerarsi che la tesi comunale risulta difficilmente armonizzabile con il disposto di cui all’articolo 1366 c.c. che, come ricordato nella Relazione al codice civile (n. 622), costituisce “il punto di sutura” tra i due momenti dell’interpretazione e “li domina entrambi”.
Come spiegato in precedenza, l'obbligo di buona fede oggettiva o correttezza ex art. 1366 c.c. quale criterio d'interpretazione del contratto “si specifica in particolare nel significato di lealtà, sostanziantesi nel non suscitare falsi affidamenti e non speculare su di essi, come pure nel non contestare ragionevoli affidamenti comunque ingenerati nella controparte (v. Cass., 06/05/2015, n. 9006; Cass., 23/10/2014, n. 22513; Cass., 25/05/2007, n. 12235; Cass., 20/05/2004, n. 9628). A tale stregua esso non consente di dare ingresso ad interpretazioni cavillose delle espressioni letterali contenute nelle clausole contrattuali, non rispondenti alle intese raggiunte (v. Cass., 23/05/2011, n. 11295) e deponenti per un significato in contrasto con la ragione pratica o causa concreta dell'accordo negoziale (cfr., con riferimento alla causa concreta del contratto autonomo di garanzia, Cass., Sez. Un., 18/02/2010, n. 3947)” (cfr., ancora, Cassazione civile, sez. III, 19.03.2018, n. 6675).
Infatti, l’interpretazione suggerita dal Comune finisce per ledere l’affidamento riposto dalla società nell’integrale scomputo della somma indicata in convenzione chiedendo alla stessa una prestazione patrimoniale ulteriore fondata, in sostanza, sull’unilaterale rimozione dal testo della convenzione di parte degli importi ivi indicati in ragione dell’asserita prevalenza di una sola porzione del testo negoziale e senza corrispondenza con il programma perseguito con questa parte dell’accordo.
3.13. Le considerazioni sin qui esposte rinvengono una rilevante conferma nel testo del permesso di costruire n. 85 del 2006 a cui accede la convenzione integrativa sin qui esaminata. Infatti, il titolo espressamente prevede che “il conguaglio di cui all’art. 16 – comma del DPR 380/2001, è determinato in € 539.670,89, salvo conguaglio, di cui: ○ € 131.826,61 = per oneri di urbanizzazione primaria e secondaria; ○ € 407.844,28 = per contributo costo di costruzione”.
Tale documento non risulta privo di significato per l’interpretazione della convenzione che, come spiegato al precedente paragrafo 3.1. rientra nel novero degli accordi tra privati e pubblica Amministrazione. Evidente come nel caso di accordo integrativo di provvedimento, quest’ultimo concorre ad individuare l’intenzione della parte pubblica attesa l’intima connessione tra i due atti giuridici. In tal senso, appare certamente corretto quanto affermato dalla società ricorrente che osserva come il permesso di costruire espliciti in modo inequivocabile che “l’importo di € 539.670,89, passibile di scomputo unitamente alla monetizzazione degli standard ai sensi dell’art. 1 (per l’importo di totale di € 1.052.661,96), era riferito sia agli oneri di urbanizzazione sia al costo di costruzione”.
3.14. Tale esplicitazione si rinviene anche in altra parte del permesso considerato che al foglio 2 del titolo si legge testualmente: “in luogo del pagamento di detti contributi e monetizzazione, nel rispetto di quanto stabilito dalla Convenzione […], con il presente atto la Società AL. S.p.a. è autorizzata a realizzare le seguenti opere pubbliche a scomputo di detti importi”.
3.15. Deve, in ultimo, considerarsi che, come ricordato di recente dal Consiglio di Stato, “
nell’interpretazione del contratto e comunque di strumenti negoziali l’esegesi letterale deve integrarsi con l’indagine sulla volontà delle parti, come obiettivizzata nelle clausole, e che quest’ultima è desumibile anche dal comportamento complessivo delle parti, anche successivo alla conclusione del contratto, ai sensi dell’art. 1362 cod. civ. (cfr. tra le tante e più recenti Cass. Civ., Sez. I, 07.09.2017, n. 20888, che precisa come sia “…necessario considerare il negozio nella sua complessità, raffrontare e coordinare tra loro parole e frasi, al fine di ricondurle ad armonica unità e concordanza, in particolare in presenza di un collegamento negoziale o di contenuti non riconducibili ad una unica causa negoziale, essendo allora necessario ricostruire la concreta funzione economica dell'intera operazione negoziale”)” (Consiglio di Stato, sez. IV, 18.04.2018, n. 2327).
3.16. Osservando il comportamento successivo delle parti, si nota che:
   a) "il verbale di collaudo tecnico–amministrativo evidenzia come le opere di urbanizzazione a scomputo della monetizzazione e del contributo siano collaudabili” (v. documento n. 7 di parte ricorrente, foglio 19);
   b) il verbale di presa in consegna dell’opera redatto dal Comune di Milano in data 17.12.2010 (PG 977873/2010) testualmente sottolinea che “in data 12/04/2006 è stata stipulata la Convenzione Integrativa del permesso di costruire n. 5 del 11/05/06… per la disciplina dell’esecuzione di opere a scomputo del contributo di costruzione e della monetizzazione determinati dal permesso di costruire medesimo”.
3.17. Pertanto, anche dalla disamina dei due documenti successivi alla convenzione –e in particolare nel documento indicato sub 3.16, lettera b), redatto dal Comune- si conferma che l’intenzione delle parti è quella di ricomprendere nello scomputo anche i costi di costruzione.
4. In conclusione, i primi due motivi di ricorso devono essere accolti con conseguente declaratoria del diritto della società di fruire dello scomputo del costo di costruzione dovuto per la realizzazione della multisala cinematografica assentita con il Permesso di Costruire n. 85/2006 cui accede la citata Convenzione e dell’insussistenza del diritto di credito fatto valere dal Comune di Milano con la nota PG 584840/2016 del 17.11.2016.
5. Passando all’esame della domanda svolta al paragrafo c) del ricorso introduttivo, si osserva che l’importo di € 321.205,72, richiesto dal Comune, corrisponde –per difetto– alla differenza tra l’importo di € 455.427,38, dovuto a titolo di costo di costruzione per la multisala e l’importo di € 134.661,65 versato in eccedenza da Al. (€ 455.427,38 - € 134.661,65 = 321.205,72), per smaltimento dei rifiuti.
5.1. La constatazione sopra esposta consente agevolmente di accertare la sussistenza del diritto della Al. alla restituzione dell’importo pari ad € 134.221,65, versato in eccedenza dalla società a titolo di contributo per lo smaltimento rifiuti.
5.2. Del resto, lo stesso provvedimento impugnato indica l’importo dovuto per lo smaltimento rifiuti come pari ad € 14.250,20. Anche la memoria difensiva comunale osserva che la domanda di restituzione si fonda “sull’interpretazione della convenzione sostenuta dalla ricorrente […] che vorrebbe estendere lo scomputo al costo di costruzione dell’intervento relativo alla sala cinematografica”, ritenendo, pertanto l’importo versato a detrazione di quanto asseritamente ancora dovuto. Di conseguenza, accertata l’insussistenza del diritto di credito del Comune di Milano pari ad € 455.427,38, a titolo di costo di costruzione per la multisala, consegue l’obbligo di restituzione della somma in eccesso versata dalla società ricorrente.
5.3. La domanda di restituzione dell’indebito deve essere, pertanto, accolta con condanna del Comune di Milano a restituire alla società l’importo pari ad € 134.221,65, oltre interessi legali dal giorno della domanda giudiziale.
5.4. La limitazione della decorrenza degli interessi legali dal giorno della domanda discende dall’espressa riduzione della domanda da parte della società ricorrente che nelle conclusioni rassegnate nel ricorso introduttivo chiede di “condannare il Comune di Milano a rimborsare ad Al. l’importo pari a € 134.221,65 con maggiorazione degli interessi legali dal dì della domanda al saldo, ovvero quella che sarà ritenuta di giustizia”.
La formula finale non si riferisce, infatti, alla decorrenza dell’interessi ma all’importo della somma capitale. Lo conferma la proposizione che chiude il motivo sub c) con la quale la società afferma: “l’importo versato in eccedenza, pari ad € 134.221,65, dovrà essere restituito maggiorato degli interessi legali dalla data della presente domanda al dì del saldo, in applicazione di quanto disposto dall’art. 2033 c.c. (ex multis TAR Lombardia-Milano, sez. IV, 16.07.2013, n. 1872; Cons. Stato, sez. IV, 20.05.2011, n. 3027)”.
Pertanto, verificato il contenuto sostanziale della pretesa, deve ritenersi che la società abbia limitato la decorrenza degli interessi dalla data della domanda giudiziale.
5.5. In ogni caso, si osserva che –pur non volendo ritenere la domanda limitata in punto decorrenza degli interessi– non sussisterebbe il diritto della società di conseguire gli stessi dalla data del pagamento tenuto conto che:
   -
costituisce principio consolidato quello secondo cui, nella ripetizione dell'indebito oggettivo ex art. 2033 c.c., il debito dell'accipiens, a meno che egli non sia in mala fede, produce interessi solo a seguito della proposizione di un'apposita domanda giudiziale, atteso che all'indebito si applica la tutela prevista per il possessore in buona fede in senso soggettivo dell'art. 1148 c.c., a norma del quale questi è obbligato a restituire i frutti soltanto della domanda giudiziale, secondo il principio per il quale gli effetti della sentenza retroagiscono al momento della proposizione della domanda (cfr. ex multis, Cass. 18.05.2016, n. 10161; 13.05.2016, n. 9934; 30.03.2015, n. 6401; 25.02.2014, n. 4436; 08.05.2013, n. 10815; 15.06.2012, n. 9845; 31.07.2009, n. 17848, la quale precisa che la buona fede sussiste anche in presenza di dubbio circa la debenza della somma corrisposta; 02.08.2006, n. 17558; 10.03.2005, n. 5330; 04.03.2005, n. 4745; 14.09.2004, n. 18518; 28.01.2004, n. 1581);
   -
nell'ipotesi di azione di ripetizione di indebito oggettivo ex art. 2033 c.c., pertanto, in parziale deroga rispetto a quanto previsto sia all'art. 1282, che all'art. 1224 c.c., il debito dell'accipiens, pur avendo ad oggetto una somma di denaro liquida ed esigibile, non produce interessi a partire dal momento del pagamento, a meno che l'accipiens non sia in mala fede;
   -
si deve, dunque, avere riguardo all'elemento psicologico esistente alla data di riscossione della somma, a meno che il creditore non provi la mala fede dell'accipiens: con la precisazione che, anche in questo campo, la buona fede si presume, ed essa può essere esclusa soltanto dalla prova della consapevolezza da parte dell'accipiens della insussistenza di un suo diritto a ricevere il pagamento (così Cass. 10.03.2005, n. 5330);
   - nel caso di specie, alcuna evidenza in ordine alla mala fede del Comune è stata fornita in giudizio con conseguente piena operatività della presunzione di buona fede.

maggio 2018

EDILIZIA PRIVATA: La ricostruzione di edificio accidentalmente crollato, che non ha modificato né la volumetria né la destinazione d’uso, non deve scontare il versamento degli oneri di urbanizzazione.
In giurisprudenza viene pacificamente individuata quale ratio fondamentale e giustificatrice della corresponsione degli oneri di urbanizzazione il carico urbanistico, con connessa esigenza di realizzazione di opere di urbanizzazione primaria e secondaria.
Se pure suddetta ratio giustificatrice non trasforma l’onere in una imposta di scopo (non vi è la necessità che gli oneri di urbanizzazione incassati in una determinata area siano devoluti alle opere di urbanizzazione ivi realizzate e/o necessarie) né il rapporto tra carico urbanistico ed oneri di urbanizzazione è rigoroso al punto da non ammettere la modulazione degli oneri stessi anche in funzione di diverse finalità (ad esempio scoraggiare l’espansione in determinate aree ovvero incentivarla in altre), la giustificazione sostanziale di tale forma di imposizione resta il carico urbanistico ingenerato da un nuovo insediamento o da un mutamento di destinazione d’uso.
Per la fisiologica connessione tra aumento del carico urbanistico e oneri di urbanizzazione è stato statuito, invero, che: “riguardo alla differenza tra oneri di urbanizzazione e costi di costruzione, la giurisprudenza concordemente ritiene che i primi espletino la funzione di compensare la collettività per il nuovo ulteriore carico urbanistico che si riversa sulla zona a causa della consentita attività edificatoria, mentre i secondi si configurino quale compartecipazione comunale all'incremento di valore della proprietà immobiliare del costruttore”.

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Quanto agli interessi ed alla rivalutazione del contributo indebitamente versato, è condivisibile la difesa dell’amministrazione là dove evidenzia che la decorrenza degli interessi deve essere individuata nel giorno della domanda e non in quello del pagamento (trattandosi di percezione di indebito intervenuta in buona fede, che si presume) e che non può essere riconosciuta la rivalutazione monetaria, non avendo parte ricorrente dimostrato un maggior danno che resterebbe non compensato dalla corresponsione degli interessi.
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L’edificio sito in Torino via ... n. 12 è parzialmente crollato in seguito a scoppio dovuto ad un fuga di gas; in data 06.04.2012 il condominio ha presentato domanda di permesso di costruire per la ricostruzione della struttura.
Con nota in data 28.11.2013 il Comune ha quantificato l’ammontare degli oneri di urbanizzazione dovuti in € 35.762,54, che il condominio ha versato al solo fine di ottenere il titolo edilizio.
Lamenta parte ricorrente la violazione dell’art. 16 del d.p.r. n. 380/2001 e l’eccesso di potere per difetto di istruttoria ed insufficiente motivazione, oltre che il travisamento dei fatti; gli oneri di urbanizzazione sono parametrati al beneficio tratto dall’intervento dall’esistenza di opere di urbanizzazione con l’obiettivo di ridistribuire i costi sociali dell’aggravamento del carico urbanistico; nel caso di specie la ricostruzione è avvenuta con la stessa volumetria e destinazione d’uso precedenti il crollo, sicché il versamento di tali oneri non sarebbe giustificato.
Ha chiesto quindi la condanna del Comune di Torino alla rifusione di quanto indebitamente versato, oltre interessi e rivalutazione monetaria dal giorno del pagamento al saldo.
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Ritiene il collegio che il ricorso debba trovare accoglimento.
Non vi è contestazione tra le parti sulle circostanze di fatto; è dunque pacifico che l’edificio oggetto di ricostruzione è crollato accidentalmente e che la ricostruzione non ha modificato né la volumetria né la destinazione d’uso.
L’abile difesa di parte resistente propone una lettura letterale della normativa applicabile, senza tuttavia valorizzare quella che in giurisprudenza viene pacificamente individuata quale ratio fondamentale e giustificatrice della corresponsione degli oneri di urbanizzazione, ossia il carico urbanistico, con connessa esigenza di realizzazione di opere di urbanizzazione primaria e secondaria.
Se pure suddetta ratio giustificatrice non trasforma l’onere in una imposta di scopo (non vi è la necessità che gli oneri di urbanizzazione incassati in una determinata area siano devoluti alle opere di urbanizzazione ivi realizzate e/o necessarie) né il rapporto tra carico urbanistico ed oneri di urbanizzazione è rigoroso al punto da non ammettere la modulazione degli oneri stessi anche in funzione di diverse finalità (ad esempio scoraggiare l’espansione in determinate aree ovvero incentivarla in altre), la giustificazione sostanziale di tale forma di imposizione resta il carico urbanistico ingenerato da un nuovo insediamento o da un mutamento di destinazione d’uso.
Per la fisiologica connessione tra aumento del carico urbanistico e oneri di urbanizzazione, ex pluribus, si veda Cons. St., sez. IV, n. 1187/2018; ancora si legge in Cons. St., sez. IV, n. 2915/2016 che: “riguardo alla differenza tra oneri di urbanizzazione e costi di costruzione, la giurisprudenza concordemente ritiene che i primi espletino la funzione di compensare la collettività per il nuovo ulteriore carico urbanistico che si riversa sulla zona a causa della consentita attività edificatoria, mentre i secondi si configurino quale compartecipazione comunale all'incremento di valore della proprietà immobiliare del costruttore”.
Alla luce di tali principi, e considerato che l’intervento per cui è causa pacificamente non comporta alcun aumento di carico urbanistico, deve essere accolta la domanda di parte ricorrente volta alla restituzione degli oneri, in quanto indebitamente corrisposti.
Quanto agli interessi ed alla rivalutazione, è condivisibile la difesa dell’amministrazione là dove evidenzia che la decorrenza degli interessi deve essere individuata nel giorno della domanda e non in quello del pagamento (trattandosi di percezione di indebito intervenuta in buona fede, che si presume) e che non può essere riconosciuta la rivalutazione monetaria, non avendo parte ricorrente dimostrato un maggior danno che resterebbe non compensato dalla corresponsione degli interessi (TAR Piemonte, Sez. II, sentenza 21.05.2018 n. 630 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA«Rottamazione» impossibile per gli oneri accessori dei condoni edilizi.
Il Consiglio comunale non può procedere alla definizione agevolata degli oneri accessori dei condoni edilizi, in considerazione del tasso di interesse applicato (10%) rispetto a quello legale (dal 01.01.2018 pari allo 0,3%).

La risposta negativa al quesito di un Comune arriva dalla Corte dei conti della Campania (parere 09.05.2018 n. 70) e trova fondamento nel fatto che la richiesta riguarda corrispettivi di diritto pubblico che non costituiscono tributi, con impossibilità di estenderne i regimi agevolativi disposti dalle norme tributarie.
La normativa tributaria
La normativa tributaria (articolo 13 della legge 289/2002) lascia ampia autonomia agli enti locali sui propri tributi, sia in merito alla possibilità di poter procedere a una riduzione dell'ammontare delle imposte e tasse dovute, sia sull'esclusione o sulla riduzione degli interessi e sanzioni nel caso in cui, entro un termine fissato dall'ente (non inferiore ai sessanta giorni), i contribuenti adempiano a obblighi tributari precedentemente in tutto o in parte non rispettati.
Sulla base, pertanto, di quanto indicato dalla legge, è rimessa all'ente la possibilità di poter disciplinare in autonomia i possibili criteri di definizione agevolata dei tributi, a condizione che gli stessi siano stati già accertati dall'ente e il contribuente non abbia adempito al pagamento della propria obbligazione tributaria.
Le indicazioni del collegio contabile
Per il collegio contabile campano deve essere esclusa la possibilità, da parte dell'ente locale, di poter procedere nella propria autonomia a stabilire criteri per una definizione agevolata degli oneri accessori al condono edilizio, anche se limitata a ricondurre gli interessi, pari al 10%, a quelli legali, che dal 01.01.2018 sono pari allo 0,3%.
L'esclusione discende dalla natura giuridica degli oneri (compresi gli accessori quali interessi e sanzioni) che è non tributaria, con conseguente impossibilità di estendere la definizione agevolata prevista dal legislatore per i soli tributi. Stessa sorte tocca anche gli altri corrispettivi di diritto pubblico, ossia in generale quelli posti a carico del proprietario e idealmente commisurati ai costi sostenuti dalla collettività e al beneficio resi.
La differenza, infatti, tra tributi e oneri edilizi è sostanziale, in quanto questi ultimi hanno il loro presupposto nella volontà costruttiva del proprietario, mentre il tributo (imposte, tasse, contributi) è una entrata autoritativa o coattiva, la cui obbligatorietà è imposta con un atto dell'autorità senza che vi concorra la volontà del soggetto obbligato, destinata a finanziare le pubbliche spese.
In merito al rilascio dei titoli abilitativi edilizi, la legge prevede che il proprietario costruttore versi due quote, la prima (oneri di urbanizzazione) è dovuta dalla necessità di dotare l'area delle opere di urbanizzazione primarie (servizi all'abitazione) e secondarie (servizi agli abitanti) che ben essere effettuata in via diretta dal proprietario (a scomputo degli oneri dovuti); la seconda quota è invece commisurata al costo di costruzione a fronte del corrispettivo aumento di valore di cui beneficerà l'immobile per effetto delle opere pubbliche che saranno realizzate.
Nel caso dell'abuso edilizio l'oblazione richiesta dalla normativa rappresenta già una forma agevolata di pagamento di per se incompatibile con ulteriori interventi agevolativi, inoltre la natura degli interessi previsti dal legislatore sono da qualificarsi quali interessi moratori incompatibile con la funzione stessa dell'interesse legale (articolo Quotidiano Enti Locali & Pa del 22.05.2018).
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MASSIMA
Gli oneri per titoli edilizi costituiscono non un “tributo” ma un “corrispettivo di diritto pubblico” a carico del proprietario, commisurato ai costi sostenuti dalla collettività e al beneficio reso.
Il richiedente il titolo edilizio può sottrarsi al pagamento del contributo, obbligandosi a “realizzare direttamente le opere di urbanizzazione, nel rispetto [delle norme del codice dei contratti pubblici], con le modalità e le garanzie stabilite dal comune, con conseguente acquisizione delle opere realizzate al patrimonio indisponibile del comune» (c.d. opere “a scomputo” degli oneri) (art. 16 T.U. edilizia).
Non costituendo, pertanto, l’obbligo di pagamento per siffatti oneri, “tributi” o “imposte e tasse”, la Sezione ritiene che non sia applicabile l’art. 13 della L. n. 289/2002, quale forma agevolata di defezione di rapporti il cui titolo è già sorto, né, pertanto, la definizione agevolata agli interessi per il ritardato pagamento dell’oblazione per il condono edilizio.

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Il Sindaco del Comune di Sant’Agnello (NA) ha chiesto
alla Sezione un parere in merito alla possibilità per gli enti locali di applicare l’art. 13 della Legge n. 289 del 27.12.2002 agli oneri previsti dall'art. 39, comma 10, della legge n. 724/1994 in caso di “condono edilizio.
Segnatamente chiede di sapere se è possibile procedere a definizione agevolata del quantum dovuto per interessi in caso di ritardato pagamento dell’oblazione.
L’Ente osserva che in caso di risposta positiva, intenderebbe procedere alla riduzione del tasso di interesse, stabilito dall'art. 39, comma 10, della Legge 724/1994 nella misura del 10%, rapportandolo al tasso di interesse legale attualmente vigente.
«In tal modo si contempererebbero sia le esigenze dell'Amministrazione, di incassare nel più breve tempo possibile le somme derivanti dalla definizione dei procedimenti di condono, sia quelle dei cittadini, che in tal modo potrebbero procedere al pagamento del dovuto più agevolmente».
...
1. Come è noto, l’art. 13 della Legge n. 289/2002, concede a regioni, province e comuni la facoltà di definire in modo agevolato il rapporto tributario per “tributi propri”, per mezzo di apposite previsioni normative generali, adottate secondo l’ordinamento di riferimento e conformi ai criteri di legge fissati nella stessa disposizione.
Segnatamente: «[…] con riferimento ai tributi propri, le regioni, le province, ed i comuni possono stabilire, con le forme previste dalla legislazione vigente per l’adozione dei propri atti destinati a disciplinare i tributi stessi, la riduzione dell’ammontare delle imposte e tasse loro dovute, l’esclusione o la riduzione dei relativi interessi e sanzioni, per le ipotesi in cui, entro un termine appositamente fissato da ciascun ente, non inferiore a sessanta giorni dalla data di pubblicazione dell’atto, i contribuenti adempiano a obblighi tributari precedentemente in tutto o in parte non adempiuti» (enfasi aggiunta).
Lo stesso articolo precisa che:
   - restano escluse dalla previsione le addizionali, le compartecipazioni a tributi erariali e le mere attribuzioni di gettito di tributi erariali;
   - la definizione agevolata riguarda rapporti tributari, già esistenti per cui si sia registrata una difficoltà di riscossione (“obblighi tributari precedentemente in tutto o in parte non adempiuti”);
   - le agevolazioni potranno essere previste anche per i casi in cui siano già in corso procedure di accertamento o procedimenti contenziosi in sede giurisdizionale, le quali potranno quindi riferirsi anche a tributi ora abrogati.
Tale previsione trova fondamento nell’art. 119 della Costituzione, nel testo modificato con legge costituzionale n. 3/2001, secondo il quale: «I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa.
I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno risorse autonome.
Stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri, in armonia con la Costituzione e secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario. Dispongono di compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio
».
L’applicazione di tale disposizione, dunque, presuppone:
   - la natura tributaria delle entrate;
   - il previo accertamento dell’entrata e la sua mancata riscossione nei termini e tempi di legge;
   - una disciplina attuativa che stabilisca preventivamente ed in generale, nelle forme e con le fonti dell’ordinamento proprio di ciascun ordinamento territoriale, i criteri della definizione agevolata.
2. Il Comune chiede di sapere se tale norma e tali criteri siano applicabili sulle entrate per “oneri” dovuti in relazione al rilascio di titoli edilizi in sanatoria, ai sensi dell’art. dell’art. 39 Legge n. 724/1994, in particolare con riguardo ai previsti interessi del 10% in caso di ritardo nel versamento dell’oblazione.
2.1. La giurisprudenza tributaria, amministrativa e contabile, nonché della Suprema Corte di Cassazione (cfr. TAR Campania-Salerno, Sez. II, 05.10.2009 n. 5318; SRC Lombardia n. 144/2017/PAR; SS.UU. sentenza n. 22514 del 20.10.2006) hanno concordemente affermato che
gli oneri per i titoli edilizi non costituiscono un “tributo”, sia pure nella forma di contributo, ma un “corrispettivo di diritto pubblico”, come tale obbligatoriamente posto a carico del proprietario, idealmente commisurato ai costi sostenuti dalla collettività e al beneficio reso.
Si tratta di una prestazione, da un lato, che ha il suo presupposto nella volontà costruttiva del proprietario, mentre il tributo (imposte, tasse, contributi) è una entrata autoritativa o coattiva, la cui obbligatorietà è imposta con un atto dell'autorità senza che vi concorra la volontà del soggetto obbligato, destinata a finanziare le pubbliche spese.
Infatti, il richiedente il titolo edilizio può sottrarsi al pagamento del contributo se, ai sensi dell’art. 16 del T.U. edilizia, si obbliga «a realizzare direttamente le opere di urbanizzazione, nel rispetto [delle norme del codice dei contratti pubblici], con le modalità̀ e le garanzie stabilite dal comune, con conseguente acquisizione delle opere realizzate al patrimonio indisponibile del comune» (c.d. opere “a scomputo” degli oneri).
Per altro verso, tale prestazione è commisurata all’utilità diretta del soggetto destinatario del titolo edilizio. Tale corrispettivo si articola infatti in due quote.
Una prima quota, relativa agli “oneri di urbanizzazione” propriamente detti, ha causa nelle spese che l’ente pubblico affronta per dotare un’area delle opere di urbanizzazione primarie (servizi all’abitazione) e secondarie (servizi agli abitanti) ed è commisurata al c.d. “peso insediativo” dell’intervento che il comune dovrà sopportare.
Una seconda quota, commisurata invece al costo di costruzione, è idealmente giustificata in ragione del corrispettivo aumento di valore di cui beneficerà l’immobile per effetto delle realizzande opere pubbliche.

2.2.
Analoga qualificazione “non tributaria”, per estensione, è stata sostenuta con riguardo all’oblazione edilizia accertata e versata ai sensi dell'articolo 35 della Legge n. 47/1985 e dell’art. 39 Legge n. 724/1994 (TAR Campania Salerno Sez. II, sentenza 21.11.2011, n. 1895; Commissione tributaria regionale di Roma, sezione 20, sentenza n. 115 del 07.09.2005).
Trattasi di una somma di denaro determinata con riferimento all'opera abusiva o alla parte abusiva realizzata in relazione al tipo di abuso, ovvero di una somma determinata sulla base delle superfici abusive realizzate, oppure, per alcune tipologie, a forfait.
3.
Ne consegue che l’obbligo di pagamento per siffatti oneri, discendente dall’art. 19 del T.U. Edilizia (D.P.R. n. 380/2001), dal precedente art. 3 della L. n. 10/1977 ed, infine, dalle norme sulla definizione agevolata degli abusi edilizi (capi IV e V della legge 28.02.1985, n. 47 e art. 39 della Legge 724/1994), non costituiscono “tributi” o “imposte e tasse”.
Per l’effetto a tale prestazioni non è applicabile l’art. 13 della Legge n. 289/2002, che costituisce una forma agevolata di defezione di rapporti il cui titolo è già sorto.

Tale inapplicabilità riguarda tanto la sorte che gli accessori.
Del resto:
   - da un lato, l’oblazione costituisce già una forma agevolata di pagamento, pertanto logicamente incompatibile con ulteriori manipolazioni agevolative;
   - gli interessi previsti dal comma 10 dell’art. 39 della L. n. 724/1994, sono interessi “moratori” ex art. 1224 c.c., per cui il Legislatore ha espressamente contemplato la divergenza dall’interesse legale, oggi stabilito dall’art. 1284, comma 1, c.c., tramite rinvio ad appositi decreti annui del Ministro del tesoro;
   - le fattispecie di esonero hanno carattere tassativo, costituendo esse eccezione rispetto alla regola del pagamento obbligatorio (cfr. TAR Veneto, Sez. II, 18.06.2010 n. 2688; TAR Lombardia-Milano, Sez. II, 26.04.2006 n. 1062; TAR Lombardia-Brescia 28.01.2002 n. 100). Infatti, l’unica deroga in materia è quella contenuta nel già citato art. 39 (comma 9) della L. 724/1994, il quale prevede che il contributo non è dovuto se il costruttore, in proprio od in forme consortili, abbia eseguito od intenda eseguire parte delle opere di urbanizzazione, secondo le disposizioni tecniche dettate dagli uffici comunali (c.d. opere a “scomputo degli oneri”).
Ne consegue che non è possibile applicare la definizione agevolata di cui all’art. 13 della Legge n. 289/2002 agli interessi per il ritardato pagamento dell’oblazione per il condono edilizio.

aprile 2018

EDILIZIA PRIVATA: Il contributo concessorio (comprendente oneri di urbanizzazione e costo di costruzione) è un’obbligazione giuridica di tipo pubblicistico che sorge con il rilascio della concessione edilizia ed è qualificabile come corrispettivo di diritto pubblico, di natura non tributaria, posto a carico del costruttore a titolo di partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione in proporzione all'insieme dei benefici arrecati al nuovo manufatto.
Le disposizioni che regolano la fattispecie si rinvengono negli artt. 16 e 17 del DPR 380/2001.
L’art. 16, (rubricato “Contributo per il rilascio del permesso di costruire”), dispone al comma 1 che “Salvo quanto disposto dall'articolo 17, comma 3, il rilascio del permesso di costruire comporta la corresponsione di un contributo commisurato all'incidenza degli oneri di urbanizzazione nonché al costo di costruzione, secondo le modalità indicate nel presente articolo e fatte salve le disposizioni concernenti gli interventi di trasformazione urbana complessi di cui al comma 2-bis”.
Ai sensi dell’art. 17, comma 3, lett. b), il contributo di costruzione non è dovuto “per gli interventi di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore al 20%, di edifici unifamiliari”. Nel caso di specie, è pacifica la natura dell’intervento, consistente nella ristrutturazione con incremento realizzato nel rispetto del limite del 20% (cfr. memoria di costituzione del Comune, pag. 5).
La norma riprende sostanzialmente il contenuto dell’art. 9, comma 1, della L. 28/01/1977 n. 10, “in relazione al quale la giurisprudenza aveva avuto modo di chiarire che il carattere di unifamiliarità di un fabbricato a destinazione abitativa è ricavabile dalle caratteristiche architettoniche dell’edificio, in ragione del volume, della superficie, del numero e della funzione e caratteristica dei vani, in rapporto alle esigenze ed alla possibilità di utilizzo da parte di un unico nucleo familiare”.
E’ stato tuttavia nello specifico osservato che l'esenzione dal pagamento dei contributi di cui si discute ha la funzione di agevolare i proprietari di alloggi unifamiliari, presumendo il legislatore che gli interventi sugli stessi non abbiano carattere di lucro, ma la sola funzione di migliorare le condizioni di abitabilità degli edifici medesimi, indipendentemente dalla loro dimensione.
La disposizione è diretta dunque a promuovere le opere di adeguamento dei manufatti alle necessità abitative del singolo nucleo familiare, circoscrivendone l’operatività agli interventi che non mutino sostanzialmente l’entità strutturale e la dimensione spaziale dell’immobile e non ne elevino (in modo apprezzabile) il valore economico.
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In linea generale, la partecipazione del privato al costo delle opere di urbanizzazione è dovuta allorquando l’intervento determini un incremento del peso insediativo con un’oggettiva rivalutazione dell’immobile, sicché l'onerosità del permesso di costruire è funzionale a sopportare il carico socio economico che la realizzazione comporta sotto il profilo urbanistico.
Alla luce di tale considerazione, la giurisprudenza ha statuito che l’esenzione dal contributo di costruzione per il caso di interventi di ristrutturazione di edifici unifamiliari entro il limite di ampliamento del 20%, costituisce oggetto di una previsione di carattere eccezionale (applicabile in un ambito di stretta interpretazione ancorato ai parametri predefiniti dal legislatore): la ratio è di natura sociale ed è diretta sostanzialmente ad apprestare uno strumento di tutela e di salvaguardia alla piccola proprietà immobiliare per gli interventi funzionali all’adeguamento dell’immobile alle necessità abitative del nucleo familiare: l’edificio unifamiliare, nell’accezione socio economica assunta dalla norma, coincide in altri termini con la piccola proprietà immobiliare, e soltanto se presenti tali caratteri è meritevole di un trattamento differenziato.
Il Collegio ritiene di aderire a tale orientamento. Anche secondo questo TAR, l’esenzione in esame si giustifica come aiuto alla famiglia che, banalmente, necessiti di ulteriore spazio per la propria decorosa sistemazione abitativa.
La giurisprudenza recente ha parimenti sostenuto che “la ratio che ispira la specifica esenzione ha un fondamento sociale, con l’effetto che la nozione di edificio unifamiliare non deve avere una accezione strutturale ma socio-economica, coincidendo con la piccola proprietà immobiliare, meritevole per gli interventi di ristrutturazione dell’abitazione di un trattamento differenziato rispetto alle altre tipologie edilizie …” (e in quel caso si è stabilito che la suddetta esenzione non può trovare applicazione in una fattispecie relativa a una villa di 19 vani con una superficie di 638,41 mq.).
Accedendo a tale approccio interpretativo, anche il TAR Campania Salerno, sez. I – 22/06/2015 n. 1416 ha desunto l’estraneità della fattispecie affrontata (si controverteva dell’intervento su un fabbricato di 13 vani, avente volumetria complessiva di mc. 1.338,78, distribuiti su tre livelli) all’alveo applicativo della norma invocata, “proprio in considerazione delle rilevate caratteristiche costruttive e dimensionali dell’edificio ancorché unifamiliare”.
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La Società ricorrente, che ha ottenuto il titolo abilitativo per i lavori di ristrutturazione e ampliamento di un edificio unifamiliare, censura la pretesa del Comune di applicare il contributo sul costo di costruzione.
La controversia ha quindi ad oggetto un giudizio di accertamento negativo in ordine all’obbligazione pecuniaria relativa al pagamento del contributo di costruzione, nell’ambito della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, rispetto alla quale gli atti di liquidazione sono privi di contenuto ed effetti provvedimentali (Consiglio di Stato, sez. IV – 01/02/2017 n. 425).
Il gravame è infondato e deve essere rigettato.
0. Il Collegio richiama anzitutto i principi giurisprudenziali elaborati nella materia controversa, per cui il contributo concessorio (comprendente oneri di urbanizzazione e costo di costruzione) è un’obbligazione giuridica di tipo pubblicistico che sorge con il rilascio della concessione edilizia (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI – 07/02/2017 n. 728) ed è qualificabile come corrispettivo di diritto pubblico, di natura non tributaria, posto a carico del costruttore a titolo di partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione in proporzione all'insieme dei benefici arrecati al nuovo manufatto (Consiglio di Stato, sez. IV – 29/10/2015 n. 4950).
1. Le disposizioni che regolano la fattispecie si rinvengono negli artt. 16 e 17 del DPR 380/2001.
L’art. 16, (rubricato “Contributo per il rilascio del permesso di costruire”), dispone al comma 1 che “Salvo quanto disposto dall'articolo 17, comma 3, il rilascio del permesso di costruire comporta la corresponsione di un contributo commisurato all'incidenza degli oneri di urbanizzazione nonché al costo di costruzione, secondo le modalità indicate nel presente articolo e fatte salve le disposizioni concernenti gli interventi di trasformazione urbana complessi di cui al comma 2-bis”.
Ai sensi dell’art. 17, comma 3, lett. b), il contributo di costruzione non è dovuto “per gli interventi di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore al 20%, di edifici unifamiliari”. Nel caso di specie, è pacifica la natura dell’intervento, consistente nella ristrutturazione con incremento realizzato nel rispetto del limite del 20% (cfr. memoria di costituzione del Comune, pag. 5).
2. La norma riprende sostanzialmente il contenuto dell’art. 9, comma 1, della L. 28/01/1977 n. 10, “in relazione al quale la giurisprudenza (cfr. TAR 07.09.1999 n. 770; TAR Veneto 30.3.1996 n. 480) aveva avuto modo di chiarire che il carattere di unifamiliarità di un fabbricato a destinazione abitativa è ricavabile dalle caratteristiche architettoniche dell’edificio, in ragione del volume, della superficie, del numero e della funzione e caratteristica dei vani, in rapporto alle esigenze ed alla possibilità di utilizzo da parte di un unico nucleo familiare” (cfr. TAR Brescia, sez. I – 13/05/2011 n. 713).
3. E’ stato tuttavia nello specifico osservato (cfr. sentenza Sezione 10/08/2012 n. 1446, che risulta appellata) che l'esenzione dal pagamento dei contributi di cui si discute ha la funzione di agevolare i proprietari di alloggi unifamiliari, presumendo il legislatore che gli interventi sugli stessi non abbiano carattere di lucro, ma la sola funzione di migliorare le condizioni di abitabilità degli edifici medesimi, indipendentemente dalla loro dimensione (Consiglio di Stato, sez. IV – 11/10/2006 n. 6065).
La disposizione è diretta dunque a promuovere le opere di adeguamento dei manufatti alle necessità abitative del singolo nucleo familiare, circoscrivendone l’operatività agli interventi che non mutino sostanzialmente l’entità strutturale e la dimensione spaziale dell’immobile e non ne elevino (in modo apprezzabile) il valore economico.
Sostiene la difesa comunale che la ricorrente ha ristrutturato un edificio dismesso che ospitava più famiglie, per favorire l’esercizio di un’attività di ristorazione (e quindi a fini di lucro), e che solo il particolare momento congiunturale non ha consentito di individuare una figura professionale per la gestione dell’attività, cosicché la proprietà ha scelto di riconvertire l’immobile a residenza.
Detto ordine di idee merita di essere condiviso.
4. Osserva il Collegio che, in linea generale, la partecipazione del privato al costo delle opere di urbanizzazione è dovuta allorquando l’intervento determini un incremento del peso insediativo con un’oggettiva rivalutazione dell’immobile, sicché l'onerosità del permesso di costruire è funzionale a sopportare il carico socio economico che la realizzazione comporta sotto il profilo urbanistico.
Alla luce di tale considerazione, la giurisprudenza (cfr. TAR Campania Napoli, sez. VIII – 09/05/2012 n. 2136) ha statuito che l’esenzione dal contributo di costruzione per il caso di interventi di ristrutturazione di edifici unifamiliari entro il limite di ampliamento del 20%, costituisce oggetto di una previsione di carattere eccezionale (applicabile in un ambito di stretta interpretazione ancorato ai parametri predefiniti dal legislatore): la ratio è di natura sociale ed è diretta sostanzialmente ad apprestare uno strumento di tutela e di salvaguardia alla piccola proprietà immobiliare per gli interventi funzionali all’adeguamento dell’immobile alle necessità abitative del nucleo familiare: l’edificio unifamiliare, nell’accezione socio economica assunta dalla norma, coincide in altri termini con la piccola proprietà immobiliare, e soltanto se presenti tali caratteri è meritevole di un trattamento differenziato (TAR Lombardia Milano, sez. IV – 02/07/2014 n. 1707).
5. Il Collegio ritiene di aderire a tale orientamento. Anche secondo questo TAR (cfr. sez. I – 21/11/2014 n. 2180), l’esenzione in esame si giustifica come aiuto alla famiglia che, banalmente, necessiti di ulteriore spazio per la propria decorosa sistemazione abitativa.
La giurisprudenza recente (cfr. TAR Toscana, sez. III – 26/04/2017 n. 616), ha parimenti sostenuto che “la ratio che ispira la specifica esenzione ha un fondamento sociale, con l’effetto che la nozione di edificio unifamiliare non deve avere una accezione strutturale ma socio-economica, coincidendo con la piccola proprietà immobiliare, meritevole per gli interventi di ristrutturazione dell’abitazione di un trattamento differenziato rispetto alle altre tipologie edilizie …” (e in quel caso si è stabilito che la suddetta esenzione non può trovare applicazione in una fattispecie relativa a una villa di 19 vani con una superficie di 638,41 mq.).
Accedendo a tale approccio interpretativo, anche il TAR Campania Salerno, sez. I – 22/06/2015 n. 1416 ha desunto l’estraneità della fattispecie affrontata (si controverteva dell’intervento su un fabbricato di 13 vani, avente volumetria complessiva di mc. 1.338,78, distribuiti su tre livelli) all’alveo applicativo della norma invocata, “proprio in considerazione delle rilevate caratteristiche costruttive e dimensionali dell’edificio ancorché unifamiliare”.
6. Alla luce delle suindicate premesse, nella fattispecie all’esame del Collegio non risultano sussistere i presupposti delineati dalla norma.
Come ha osservato l’amministrazione (cfr. memoria finale, pag. 7), senza repliche sul punto della parte ricorrente, prima dell’ampliamento l’edificio inserito nella corte agricola era disposto su tre piani, con un piano terra avente cinque ampie stanze, con bagno e locale sottoscala (per una superficie complessiva di 181,30 m²), un primo piano dotato di quattro stanze grandi e due bagni (per 178,55 m²), e un piano secondo mansardato con tre ampie stanze, per una superficie di 128,75 m².
Con la ristrutturazione, al piano terra sono state realizzate –in ampliamento– una cucina per 78 m², una dispensa con cella frigorifera, una cantina e la zona raccolta e lavaggio del pentolame; un locale ricevimento, due sale ristorante estese, un locale filtro, due bagni con antibagno, due spogliatoi con doccia e servizio igienico oltre a vani tecnici.
Al primo piano, uno spazio conversazione con bar e guardaroba, tre ampie sale ristorante, un locale filtro, due percorsi sporco/pulito, servizi clienti con accesso a due servizi igienici, un vano scala, una terrazza abitabile, una piattaforma elevatrice; al piano secondo, cinque vani tecnici, un corridoio, un vano scala, una piattaforma elevatrice, tre grandi stanze ciascuna con bagno, un vano di servizio.
Ha puntualizzato la difesa comunale che, con il mutamento di destinazione d’uso da ristorante ad abitazione, le planimetrie non sono state incise, salvo il diverso uso dei locali (dalle sale ristorante alle stanze o soggiorni, dagli spogliatoi alle lavanderie, dagli spazi per conversazione o ricevimento ai corridoi, di ben 32 e 39 m²).
7. Lo scopo di lucro perseguito con la ristrutturazione (connesso alla previsione di numerosi ambienti destinati alla ristorazione) si rivela concreto e non meramente potenziale, avendo la proprietà attivamente cercato un acquirente (si veda l’articolo pubblicato sul giornale locale il 16/12/2016 –allegato n. 12 del Comune– che dà conto della volontà di affidare la gestione della villa come “ristorante o come fastosa residenza per feste, ricevimenti, convegni, o servizi di catering”).
Dunque, l’immobile è stato posto in vendita per un utilizzo commerciale successivamente alla conversione (senza opere) della destinazione in residenziale. In aggiunta a tale riflessione, si osserva che le ingenti dimensioni (classificazione A/7 con oltre 18 vani) impediscono di qualificare il fabbricato come semplice abitazione, trattandosi di un’unità molto ampia con i tratti dell’immobile di lusso, e dunque di una realtà strutturale incompatibile con le caratteristiche delineate dalla giurisprudenza per il riconoscimento del beneficio dell’esenzione (si ribadisce: la decorosa sistemazione del nucleo familiare).
8. In conclusione, la pretesa avanzata è infondata e deve essere respinta (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 26.04.2018 n. 449 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

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EDILIZIA PRIVATA: Il comma 4, lett. d-ter), dell'art. 16 del d.p.r. n. 380 del 2001 fa riferimento ad ogni ipotesi di variante urbanistica ossia anche alle varianti approvate con la procedura dello sportello unico (suap).
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... per l'annullamento:
   1) del provvedimento 31.07.2017 con il quale il Dirigente del Servizio Edilizia Privata Convenzionata dell'Area 2 del Comune di Mirano ha comunicato che il rilascio del permesso di costruire per l'ampliamento di un fabbricato industriale in viale ... 27 era subordinato al pagamento di un contributo ai sensi dell'art. 16, comma 4, lett. d)-ter, DPR 06.06.2001 n. 380 di Euro 346.828,40;
   2) accertamento della non debenza del contributo di cui sub. 1) per il rilascio del permesso di costruire;
   3) risarcimento del danno derivato dal ritardo nel rilascio del permesso di costruire di cui sub. 1).
...
Parte ricorrente ha impugnato il provvedimento che subordina il rilascio del permesso di costruire al pagamento dell’importo del contributo di costruzione determinato in base al maggior valore dell'immobile derivante dalla variante urbanistica ai sensi dell'art. 16, comma 4, lett. d-ter), DPR 06.06.2001 n. 380 di Euro 346.828,40.
Il ricorso è infondato, essendo il contributo richiesto in relazione ad intervento in variante urbanistica. Il comune di Mirano ha fatto corretta applicazione del quarto comma, lettera d-ter, dell'art. 16 del d.p.r. n. 380 del 2001 che fa riferimento ad ogni ipotesi di variante urbanistica ossia anche alle varianti approvate con la procedura dello sportello unico, come nel caso di specie. È stato correttamente richiesto un contributo straordinario nella misura del 50 per cento dell'aumento di valore dell'area.
Ne consegue anche l'infondatezza della domanda risarcitoria (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 11.04.2018 n. 382 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

marzo 2018

EDILIZIA PRIVATA: All’Adunanza plenaria alcune questioni connesse alla rideterminazione degli oneri concessori.
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Edilizia – Oneri di costruzione – Rideterminazione – Espressione di potere autoritativo o facoltà conseguente al rilascio del titolo edilizio e possibile legittimo affidamento del privato – Contrasto giurisprudenziale – Rimessione all’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato.
Stante il contrasto giurisprudenziale, sono rimesse all’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato le questioni:
   a) se la rideterminazione degli oneri concessori in occasione del rilascio del titolo edilizio ai sensi dell’art. 16, d.P.R. 06.06.2001, n. 380 sia estrinsecazione di potere autoritativo da parte dell’amministrazione comunale, nell’ambito dell’autotutela pubblicistica soggetta ai presupposti e requisiti dell’art. 21-novies, l. 07.08.1990, n. 241, ovvero sia espressione di una sua legittima facoltà, nell’ambito del rapporto paritetico di natura creditizia, conseguente al rilascio del titolo edilizio a carattere oneroso, sottoposto nelle sue forme di esercizio al termine prescrizionale ordinario;
   b) ove dovesse prevalere la prima opzione interpretativa, se la rideterminazione dei suddetti oneri sia da ascrivere all’ambito dei rapporti di diritto pubblico quali che siano le ragioni che l’abbiano ispirata, ovvero solo nei casi in cui la stessa dipenda dalla applicazione di parametri o coefficienti determinativi diversi (originari o sopravvenuti) da quelli in precedenza applicati, con esclusione quindi dei casi di errore materiale di calcolo delle somme dovute sulla base dei medesimi parametri normativi;
   c) in alternativa ed a prescindere dall’inquadramento giuridico della fattispecie secondo le richiamate categorie, e quale che sia la natura giuridica da riconnettere al provvedimento rideterminativo degli oneri concessori, se vi sia spazio, ed in quali limiti, perché possa trovare applicazione nella fattispecie in esame il principio del legittimo affidamento del privato, da ricostruire vuoi sulla base della disciplina pubblicistica dell’autotutela, vuoi su quella privatistica della lealtà e della buona fede nell’esecuzione delle prestazioni contrattuali, ovvero sulla base dei principi desumibili dai limiti posti dall’ordinamento civile per l’annullamento del contratto per errore o per altra causa (1).

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   (1) Ha chiarito il C.g.a. che la questione involge le forme, le condizioni ed i tempi attraverso cui un’amministrazione comunale può rideterminare (in malam partem) gli oneri concessori dovuti dal soggetto beneficiario di un titolo edilizio dopo che questi abbia già ritirato il provvedimento assentivo (e magari anche iniziato e completato i lavori) ed abbia avuto contezza in quella sede o, ancor prima, degli importi determinati dall’Amministrazione quale contributo commisurato alla incidenza delle spese di urbanizzazione nonché al costo di costruzione ed abbia, in definitiva, sulla base di quei dati, fatto affidamento su un determinato preventivo di spesa del programmato intervento edilizio.
Ad avviso del Consiglio di giustizia amministrativa siciliana è necessario prendere posizione dalla questione di carattere generale, e cioè se la rideterminazione degli oneri concessori sia attività sussumibile nell’autotutela amministrativa ovvero sia inquadrabile nell’ambito di un normale rapporto paritetico di debito-credito, come tale astretta alle regole ed ai rimedi di diritto comune.
Su tale questione non si registrano posizioni omogenee nella giurisprudenza amministrativa.
Ed invero, secondo una prima tesi dello stesso C.g.a. (nn. 64, 188, 244, 373, 422, 790 tutte del 2007) la determinazione del contributo darebbe luogo ad un rapporto paritetico che, seppur azionabile da ambo le parti nel rispetto del termine prescrizionale ordinario di dieci anni, si cristallizzerebbe nel quantum al momento del rilascio del titolo edilizio, nel senso che lo stesso non sarebbe suscettibile di modifiche successive (se non nei casi di manifesto errore di calcolo) in quanto, in applicazione dei principi desumibili dalla disciplina dei contratti, non darebbe mai luogo ad un errore riconoscibile (donde l’intangibilità pressoché assoluta della originaria determinazione amministrativa).
Secondo tale approccio ermeneutico, non vi sarebbe ragione per l’applicazione dell’istituto dell’autotutela amministrativa per la eventuale rideterminazione del contributo (proprio perché il rapporto inter partes è di natura paritetica) né, come si diceva, vi sarebbe spazio per una modifica successiva per errore perché questo, in quanto maturato nella sfera riservata dell’amministrazione, sarebbe per definizione non riconoscibile e quindi irrilevante, con la conseguenza che si dovrebbe sempre salvaguardare la tutela dell’affidamento della parte privata.
Altra tesi, fatta propria in alcune sentenze della quarta sezione del Consiglio di Stato (27.09.2017, n. 4515; id. 12.06.2017, n. 2821), pur muovendo da analoga impostazione sulla natura paritetica del rapporto, giunge tuttavia a conclusioni opposte. Si è osservato, infatti, che proprio perché si tratta di un rapporto di debito-credito di natura paritetica, soggetto a prescrizione decennale, la rettifica è sempre possibile sia in bonam che in malam partem, entro il limite della prescrizione del diritto reciproco delle parti alla correzione delle esatte somme dovute, perché per un verso il procedimento è svincolato dal rispetto delle condizioni legali di esercizio dell’autotutela amministrativa (in particolare, di quelle previste all’art. 21-novies, l. n. 241 del 1990), per altro verso la rideterminazione del contributo dovuto secondo rigidi parametri regolamentari o tabellari non soltanto è possibile, ma costituisce atto dovuto, residuando altrimenti un indebito oggettivo, inammissibile nei rapporti di diritto amministrativo.
Entrambe le tesi muovono dal rilievo, ampiamente diffuso nella giurisprudenza amministrativa, secondo cui le controversie in tema di determinazione della misura dei contributi edilizi concernono l'accertamento di diritti soggettivi che traggono origine direttamente da fonti normative, per cui sono proponibili, a prescindere dall'impugnazione di provvedimenti dell'amministrazione, nel termine di prescrizione (Cons. St., sez. IV, 20.11.2012, n. 6033; id., sez. V, 04.05.1992, n. 360); ribadiscono che si tratta di rapporto creditorio paritetico, ma pervengono, come detto, a conclusioni assai diversificate sul piano della tutela da apprestare alla parte privata che abbia subito una rideterminazione in peius.
Una posizione diversa e innovativa rispetto ai riferiti orientamenti giurisprudenziali, quantomeno in ordine alla impostazione teorica delle questioni, si rinviene poi in altra sentenza della quarta sezione del Consiglio di Stato (n. 5402 del 2016). Qui il rapporto nascente dalla determinazione del contributo (nel caso esaminato, di costruzione) è attratto nell’orbita del regime di diritto pubblico, in quanto qualificato prestazione patrimoniale imposta di carattere non tributario, con conseguente applicabilità, in astratto, delle regole dell’autotutela amministrativa.
E tuttavia, sul piano della tutela dell’affidamento della parte privata rispetto ad una delibera di giunta comunale di rideterminazione del contributo di costruzione (sia pur di adeguamento alla soglia minima del 5% fissata dalla legge nazionale all’art. 16, comma 3, d.P.R. n. 380 del 2001), si afferma che le garanzie partecipative (in particolare, art. 10-bis, l. n. 241 del 1990) devono essere pur sempre coordinate con le previsioni dell’art. 21-octies, l. cit. e con le esigenze di finalizzazione del procedimento con l’applicazione della tariffa dovuta. Si richiama al proposito la giurisprudenza del Consiglio di Stato sul recupero di somme indebitamente corrisposte dall’amministrazione (Cons. St., sez. V, n. 5863 del 2015), fattispecie che viene assimilata a quella di causa, relativa a somme dovute dal privato e non riscosse dall’ente comunale.
Tale decisione ha segnato un cambio di passo rispetto ai precedenti arresti della medesima sezione in ordine all’inquadramento generale nei sensi anzidetti dell’istituto del contributo previsto dall’art. 16 cit.
Ricordate le diverse tesi emerse sull’argomento, il C.g.a. ha affermato che l’ascrizione all’alveo dei rapporti di diritto pubblico del contributo in questione imporrebbe quindi, in via consequenziale, l’applicazione del regime proprio dell’autotutela amministrativa all’attività di rideterminazione delle somme dovute a tal titolo dalla parte privata, quantomeno nei casi in cui non si tratti di por mano ad un semplice errore materiale di calcolo desumibile dagli atti del procedimento ovvero non si tratti di rideterminazione imposta dall’adozione di un nuovo provvedimento abilitativo edilizio, anche semplicemente per effetto della intervenuta decadenza temporale del primo (ma qui si resterebbe in ogni caso fuori dall’ambito dell’autotutela) (CGARS, ordinanza 27.03.2018 n. 175 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).
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MASSIMA
8. Orbene, l’esame della questione nel merito impone uno sforzo ermeneutico ricostruttivo necessario per la corretta qualificazione giuridica della fattispecie, dovendosi stabilire se debba qui farsi applicazione di istituti di stretta matrice pubblicistica (ed in particolare dell’autotutela e delle sue modalità di esercizio) ovvero degli stessi frammisti ad istituti di diritto privato: con possibili esiti diversificati delle questioni controverse, a seconda che si ritenga applicabile l’uno o l’altro strumentario giuridico.
8.1. Più in particolare,
qui si tratta della dibattuta questione involgente le forme, le condizioni ed i tempi attraverso cui un’amministrazione comunale può rideterminare (in malam partem) gli oneri concessori dovuti dal soggetto beneficiario di un titolo edilizio dopo che questi abbia già ritirato il provvedimento assentivo (e magari anche iniziato e completato i lavori) ed abbia avuto contezza in quella sede o, ancor prima, degli importi determinati dalla amministrazione quale contributo commisurato alla incidenza delle spese di urbanizzazione nonché al costo di costruzione: ed abbia, in definitiva, sulla base di quei dati, fatto affidamento su un determinato preventivo di spesa del programmato intervento edilizio.
9. E’ bene subito precisare che
i casi qui in esame esulano dalle ipotesi del mero errore di calcolo degli oneri concessori desumibile già dall’iniziale atto determinativo degli importi dovuti.
Qui è accaduto, in entrambe le fattispecie di causa, che il Comune di Cinisi abbia dapprincipio fissato l’importo dovuto dal signor Pa. e dalla ditta Di Sa. Fa. s.n.c. a titolo di oneri di urbanizzazione, nell’ambito rispettivamente della concessione edilizia n. 3 del 22.10.2002 (e della successiva variante n. 2 del 28.03.2003) nonché della concessione edilizia n. 2 del 22.10.2002 (e della successiva variante n. 1 del 28.03.2003).
Indi, a distanza di oltre quattro anni dalla data di tali atti, ha provveduto a rideterminare (con le già richiamate note n. 9004 e 9005 del 07.05.2007) gli importi dovuti a tal titolo dalle parti qui appellate, incrementandoli in misura corrispondente a circa quattro volte gli importi originari (portandoli ad euro 167.223,47 per il Pa. ed a euro 181.590,54 per la società Di. s.r.l., già Di sa. Fa. s.n.c.).
A base di tali rideterminazioni il Comune ha addotto l’erronea determinazione originaria dei rispettivi contributi, effettuata sulla base della tariffa più bassa (quella da applicare sulla superficie dell’insediamento e non dell’intero lotto) e su una superficie minore (quella occupata dagli edifici, con esclusione degli spazi di pertinenza esterni). In sostanza, l’errore sarebbe stato duplice, perché sarebbe stata applicata un’unica tariffa (quella più bassa) ad una superficie inferiore a quella effettiva, invece che le previste due tariffe in relazione ai distinti parametri della superficie lorda dei fabbricati e della superficie complessiva dell’insediamento.
Si tratta dunque di errore di impostazione dei criteri di calcolo, e non di mero erroneo svolgimento del calcolo sulla base di criteri corretti.
10. La difesa del Comune di Cinisi assume che l’errore sarebbe stato indotto dal tecnico di fiducia delle parti private, che avrebbe fornito dati fuorvianti sulla cui base sarebbe maturato l’errore sulla originaria determinazione dei contributi. Inoltre, il Comune sostiene che la fattispecie in esame sarebbe ben distinta da quelle oggetto delle decisioni di questo CGA risalenti al 2007 (v. oltre al par. 13) di accoglimento dei ricorsi delle parti private, in ragione del fatto che:
   - nelle vicende qui in esame la originaria determinazione comunale sarebbe avvenuta con la clausola salvo conguaglio, onde non vi sarebbe un affidamento della parte privata meritevole di tutela;
   - l’errore nel calcolo del contributo sarebbe evidente e riconoscibile;
   - non vi sarebbe stato adempimento integrale dell’obbligazione di pagamento degli oneri determinati con il primo calcolo;
   - la stessa parte avrebbe richiesto il riesame della quantificazione ritenendo di essere esente, onde la situazione giuridica avrebbe dovuto ritenersi in fieri e non esaurita, sì da far ritenere legittima la rettifica operata dalla amministrazione comunale nel superiore interesse pubblico alla corretta contribuzione dei cittadini alle opere di urbanizzazione.
11. Osserva il Collegio che, al di là di tutti questi profili e degli altri che le cause pongono e che indubbiamente dovranno essere affrontati e decisi con il merito, se del caso anche per i profili quantificatori vertendo le cause in una materia affidata alla giurisdizione esclusiva del g.a. (ai sensi dell’art. 133, lett. f), c.p.a.), per la definizione degli appelli sia tuttavia ancor prima necessario prendere posizione sulla cennata questione di carattere generale, e cioè se la rideterminazione degli oneri concessori sia attività sussumibile nell’autotutela amministrativa ovvero sia inquadrabile nell’ambito di un normale rapporto paritetico di debito-credito, come tale astretta alle regole ed ai rimedi di diritto comune.
12. Ora, poiché su tale questione non si registrano posizioni omogenee nella giurisprudenza amministrativa, il Collegio ritiene di deferirla all’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, ricorrendo l’ipotesi prevista dall’art. 99 c.p.a., atteso che il suindicato punto di diritto ha dato luogo a contrasti giurisprudenziali che non appare utile alimentare ulteriormente, ma piuttosto dirimere, affidando la risoluzione della questione al giudice della nomofilachia.
13. In sintesi,
le interpretazioni che sono state sostenute in giurisprudenza sulla natura del contributo dovuto in occasione del rilascio del titolo edilizio ai sensi dell’art. 16 d.P.R. n. 380 del 2001 e sulla possibilità di rideterminarlo possono essere così ricordate.
13.1. Secondo una prima tesi di questo CGA (cfr. sentenze CGARS nn. 64, 188, 244, 373, 422, 790 tutte del 2007) la determinazione del contributo darebbe luogo ad un rapporto paritetico che, seppur azionabile da ambo le parti nel rispetto del termine prescrizionale ordinario di dieci anni, si cristallizzerebbe nel quantum al momento del rilascio del titolo edilizio, nel senso che lo stesso non sarebbe suscettibile di modifiche successive (se non nei casi di manifesto errore di calcolo) in quanto, in applicazione dei principi desumibili dalla disciplina dei contratti, non darebbe mai luogo ad un errore riconoscibile (donde l’intangibilità pressoché assoluta della originaria determinazione amministrativa).
Secondo tale approccio ermeneutico, non vi sarebbe ragione per l’applicazione dell’istituto dell’autotutela amministrativa per la eventuale rideterminazione del contributo (proprio perché il rapporto inter partes è di natura paritetica) né, come si diceva, vi sarebbe spazio per una modifica successiva per errore perché questo, in quanto maturato nella sfera riservata dell’amministrazione, sarebbe per definizione non riconoscibile e quindi irrilevante, con la conseguenza che si dovrebbe sempre salvaguardare la tutela dell’affidamento della parte privata.
13.2. Altra tesi fatta propria in alcune sentenze della quarta sezione del Consiglio di Stato (cfr. in particolare, Cons. St., IV, 27.09.2017 n. 4515; Cons. St., IV, 12.06.2017 n. 2821), pur muovendo da analoga impostazione sulla natura paritetica del rapporto, giunge tuttavia a conclusioni opposte.
Si è osservato, infatti, che proprio perché si tratta di un rapporto di debito-credito di natura paritetica, soggetto a prescrizione decennale, la rettifica è sempre possibile sia in bonam che in malam partem, entro il limite della prescrizione del diritto reciproco delle parti alla correzione delle esatte somme dovute, perché per un verso il procedimento è svincolato dal rispetto delle condizioni legali di esercizio dell’autotutela amministrativa (in particolare, di quelle previste all’art. 21-novies l. n. 241 del 1990), per altro verso la rideterminazione del contributo dovuto secondo rigidi parametri regolamentari o tabellari non soltanto è possibile, ma costituisce atto dovuto, residuando altrimenti un indebito oggettivo, inammissibile nei rapporti di diritto amministrativo.
Più in particolare, nella sentenza n. 2821 del 2017 si afferma che, in sostanza, l’applicazione di una tariffa diversa da quella corretta altro non è che un errore di calcolo della tariffa, sicché vi sarebbe sempre spazio per la rettifica, purché si tratti della tariffa vigente all’epoca del rilascio del titolo edilizio (con esclusione quindi di ogni forma di applicazione di regimi tariffari in via retroattiva).
13.3. Entrambe le tesi muovono dal rilievo, ampiamente diffuso nella giurisprudenza amministrativa, secondo cui le controversie in tema di determinazione della misura dei contributi edilizi concernono l'accertamento di diritti soggettivi che traggono origine direttamente da fonti normative, per cui sono proponibili, a prescindere dall'impugnazione di provvedimenti dell'amministrazione, nel termine di prescrizione (Cons. St., sez. IV, 20.11.2012 n. 6033; Id., sez. V, 04.05.1992, n. 360); ribadiscono che si tratta di rapporto creditorio paritetico, ma pervengono, come detto, a conclusioni assai diversificate sul piano della tutela da apprestare alla parte privata che, come nella specie, abbia subito una rideterminazione in peius.
13.4. Una posizione diversa e innovativa rispetto ai riferiti orientamenti giurisprudenziali, quantomeno in ordine alla impostazione teorica delle questioni, si rinviene poi in altra sentenza della quarta sezione del Consiglio di Stato (cfr. Cons. St., IV, n. 5402 del 2016).
Qui il rapporto nascente dalla determinazione del contributo (nel caso esaminato, di costruzione) è attratto nell’orbita del regime di diritto pubblico, in quanto qualificato prestazione patrimoniale imposta di carattere non tributario, con conseguente applicabilità, in astratto, delle regole dell’autotutela amministrativa.
E tuttavia, sul piano della tutela dell’affidamento della parte privata rispetto ad una delibera di giunta comunale di rideterminazione del contributo di costruzione (sia pur di adeguamento alla soglia minima del 5% fissata dalla legge nazionale all’art. 16, comma 3, d.P.R. n. 380 del 2001), si afferma che le garanzie partecipative (in particolare, art. 10-bis l. 241 del 1990) devono essere pur sempre coordinate con le previsioni dell’art. 21-octies l. cit. e con le esigenze di finalizzazione del procedimento con l’applicazione della tariffa dovuta.
Si richiama al proposito la giurisprudenza del Consiglio di Stato sul recupero di somme indebitamente corrisposte dalla amministrazione (Cons. St., V, n. 5863/2015), fattispecie che viene assimilata a quella di causa, relativa a somme dovute dal privato e non riscosse dall’ente comunale.
Al di là del contenuto negativo delle statuizioni sui singoli capi di domanda, la decisione si segnala per il cambio di passo rispetto ai precedenti arresti della medesima sezione in ordine all’inquadramento generale nei sensi anzidetti dell’istituto del contributo previsto dall’art. 16 cit.
13.5. In tale contesto, non potrebbe non farsi menzione di quanto affermato dalla Adunanza plenaria del Consiglio di Stato nella sentenza n. 24 del 2016. In tale decisione, resa sulla diversa questione della applicabilità delle sanzioni per ritardo nel pagamento dei contributi, pur in presenza di una polizza fideiussoria a garanzia del debito del contributo ammesso a dilazione, si è tra l’altro affermato –per quel che qui rileva– che il contributo dovuto dal privato in occasione del ritiro di un permesso di costruire, quale prestazione patrimoniale imposta funzionale a remunerare l’esecuzione di opere pubbliche, si colloca pacificamente nell’alveo dei rapporti di diritto pubblico.
Si è in particolare affermato che il contributo di costruzione dovuto dal soggetto che intraprenda un’iniziativa edificatoria rappresenta una compartecipazione del privato alla spesa pubblica occorrente alla realizzazione delle opere di urbanizzazione e ha natura di prestazione patrimoniale imposta, di carattere non tributario. Per tale motivo, le prestazioni da adempiere da parte dell’Amministrazione comunale e del privato intestatario del titolo edilizio non sono tra loro in posizione sinallagmatica, con la conseguenza che il soggetto obbligato è tenuto a corrispondere il contributo di costruzione nel rispetto dei termini stabiliti.
Il suo mancato pagamento legittima quindi l’Amministrazione ad esercitare il suo potere-dovere in ordine all’applicazione di sanzioni pecuniarie crescenti in rapporto all’entità del ritardo (ai sensi dell’art. 42 d.P.R. n. 380 del 2001) e, in caso di persistenza dell’inadempimento, alla riscossione del contributo e delle sanzioni secondo le norme vigenti in materia di riscossione coattiva delle entrate.
In effetti, le conclusioni della Plenaria meritano condivisione, quantomeno se restano ferme le conclusioni sulla natura di prestazione patrimoniale imposta del contributo di che trattasi e sul suo carattere non sinallagmatico rispetto agli interventi di urbanizzazione che mettono capo all’ente pubblico, secondo un livello di programmazione temporale e qualitativo sul quale il privato non avrebbe titolo per interferire.
13.6. L’ascrizione all’alveo dei rapporti di diritto pubblico del contributo in questione imporrebbe quindi, in via consequenziale, l’applicazione del regime proprio dell’autotutela amministrativa all’attività di rideterminazione delle somme dovute a tal titolo dalla parte privata, quantomeno nei casi in cui non si tratti di por mano ad un semplice errore materiale di calcolo desumibile dagli atti del procedimento ovvero non si tratti di rideterminazione imposta dall’adozione di un nuovo provvedimento abilitativo edilizio, anche semplicemente per effetto della intervenuta decadenza temporale del primo (ma qui si resterebbe in ogni caso fuori dall’ambito dell’autotutela).
Se il Collegio potesse esprimere una preferenza rispetto alle suindicate opzioni ermeneutiche, osserverebbe che la soluzione da ultimo proposta, oltre a recuperare coerenza sul piano dogmatico con il sistema giuridico di riferimento, si rivelerebbe più appropriata anche in ordine al miglior grado di contemperamento delle esigenze pubblicistiche sottese alla corretta determinazione del contributo dovuto (e alla salvaguardia degli interessi erariali), anche in sede di emenda di precedenti errori di quantificazione, e le esigenze di tutela della parte privata riguardo all’affidamento riposto nella originaria determinazione dell’ente.
A tale ultimo proposito, infatti, soccorrerebbero gli istituti posti a presidio delle garanzie partecipative previsti per l’attività amministrativa di secondo grado, oltre che naturalmente il rispetto delle stesse condizioni legali di legittimo esercizio dell’autotutela, avuto riguardo ai tempi, alle forme ed ai contenuti motivazionali dell’atto espressivo dello ius poenitendi (cfr., in particolare, artt. 21-quinquies, octies e novies della l. n. 241 del 1990).
14.
Stante il contrasto giurisprudenziale in atto sulle suindicate questioni si richiede, ai sensi dell'art. 99, co. 1, c.p.a, l’intervento dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, cui vanno rimessi gli atti di causa, al fine della definizione delle seguenti questioni di diritto:
   a)
se la rideterminazione degli oneri concessori sia estrinsecazione di potere autoritativo da parte della amministrazione comunale, nell’ambito dell’autotutela pubblicistica soggetta ai presupposti e requisiti dell’art. 21-novies, l. n. 241/1990, ovvero sia espressione di una sua legittima facoltà, nell’ambito del rapporto paritetico di natura creditizia, conseguente al rilascio del titolo edilizio a carattere oneroso, sottoposto nelle sue forme di esercizio al termine prescrizionale ordinario;
   b)
ove dovesse prevalere la prima opzione interpretativa, se la rideterminazione dei suddetti oneri sia da ascrivere all’ambito dei rapporti di diritto pubblico quali che siano le ragioni che l’abbiano ispirata, ovvero solo nei casi in cui la stessa dipenda dalla applicazione di parametri o coefficienti determinativi diversi (originari o sopravvenuti) da quelli in precedenza applicati, con esclusione quindi dei casi di errore materiale di calcolo delle somme dovute sulla base dei medesimi parametri normativi;
   c)
in alternativa ed a prescindere dall’inquadramento giuridico della fattispecie secondo le richiamate categorie, e quale che sia la natura giuridica da riconnettere al provvedimento rideterminativo degli oneri concessori, se vi sia spazio, ed in quali limiti, perché possa trovare applicazione nella fattispecie in esame il principio del legittimo affidamento del privato, da ricostruire vuoi sulla base della disciplina pubblicistica dell’autotutela, vuoi su quella privatistica della lealtà e della buona fede nell’esecuzione delle prestazioni contrattuali, ovvero sulla base dei principi desumibili dai limiti posti dall’ordinamento civile per l’annullamento del contratto per errore o per altra causa.
15. Tutte le altre questioni che la causa pone e le spese di lite saranno definite con la sentenza definitiva.
P.Q.M.
Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, in sede giurisdizionale, non definitivamente pronunciando sui ricorsi in epigrafe, ne dispone, previa loro riunione, il deferimento all'adunanza plenaria del Consiglio di Stato limitatamente al motivo degli appelli incidentali indicato in motivazione. 

EDILIZIA PRIVATA: Ripetibilità delle somme versate a titolo di contributo di concessione.
Il TAR Milano richiama l’orientamento della giurisprudenza secondo il quale il contributo di costruzione è strettamente correlato all'attività di trasformazione del territorio e, conseguentemente, ove tale circostanza non si verifichi, il relativo pagamento risulta privo della causa dell'originaria obbligazione di dare.
Da ciò l’ulteriore corollario che, allorché si dia luogo alla rinuncia al permesso di costruire o questo rimanga inutilizzato, ovvero nelle ipotesi di intervenuta decadenza del titolo edilizio, sorge in capo alla p.a., anche ai sensi dell’articolo 2033 c.c. o, comunque, dell’articolo 2041 c.c., l'obbligo di restituzione delle somme corrisposte a titolo di contributo per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione, e il diritto del privato a pretenderne la restituzione.
Il diritto alla restituzione del contributo di costruzione sorge, poi, non solamente nel caso in cui la mancata realizzazione delle opere sia totale, ma anche ove il permesso di costruire sia stato utilizzato solo parzialmente.
Ciò posto, il TAR Milano aggiunge che:
   - deve pure tenersi presente che, se ciò vale, in linea di principio, nelle ipotesi di rilascio di un ordinario permesso di costruire, tuttavia la situazione dei rapporti di diritto-obbligo gravanti tra le parti può atteggiarsi diversamente quando il titolo edilizio sia chiesto e ottenuto in esecuzione di previsioni contenute in una convenzione urbanistica;
   - laddove i rapporti tra il privato e l’Amministrazione siano regolati da un’apposita convenzione, occorre verificare quale sia stato l’effettivo intento delle parti in ordine alla corresponsione del contributo di costruzione;
   - nel caso in cui le modalità di assolvimento dell’obbligazione del privato siano direttamente funzionalizzate all’attuazione delle trasformazioni oggetto della convenzione (come nelle ipotesi di realizzazione di opere di urbanizzazione a scomputo degli oneri dovuti, o di opere che il privato accetti di realizzare in aggiunta agli oneri dovuti, o ancora laddove la convenzione disciplini le opere da realizzarsi da parte dell’Amministrazione, prevedendo tuttavia l’accollo del relativo onere economico, con varie modalità, a carico del privato) le obbligazioni attinenti al contributo di costruzione (e soprattutto quelle relative agli oneri di urbanizzazione) trovano la propria giustificazione causale non solo e non tanto nel carico urbanistico specificamente riconducibile alla quantità di edificazione che forma oggetto di ciascun titolo edilizio rilasciato in esecuzione della convenzione, bensì nel disegno relativo al complessivo assetto urbanistico stabilito dalla stessa convenzione quale risultato finale derivante dalla relativa attuazione.
In questo caso, la mancata esecuzione degli interventi privati non farà venir meno la causa giustificativa delle obbligazioni attinenti alla realizzazione di opere pubbliche, essendo queste obbligazioni stabilite in funzione dell’attuazione del piano, e non del singolo e specifico intervento edificatorio assentito con il titolo edilizio;
   - al contrario, laddove la convenzione si limiti a disciplinare le modalità di corresponsione del contributo di costruzione, senza far emergere la specifica correlazione delle prestazioni del privato rispetto all’attuazione delle trasformazioni previste dal piano, l’obbligazione inerente al contributo rimane correlata soltanto al carico urbanistico ascrivibile allo specifico intervento oggetto di ciascun titolo edilizio, secondo i principi sopra richiamati; in questo caso occorre applicare gli ordinari principi e, quindi, affermare la ripetibilità delle eventuali quote di contributo commisurate (esclusivamente) alle parti di intervento non effettivamente realizzate
(commento tratto da https://camerainsubria.blogspot.it).
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MASSIMA
1. Con ricorso portato alla notifica il 09.05.2014 e depositato il successivo 13 maggio, la società Pe.RE a r.l. ha agito per ottenere la condanna del Comune di Bernareggio al pagamento in suo favore della somma di euro 189.944,54 o della diversa somma che risultasse dovuta in corso di causa, maggiorata degli interessi legali dal 19.07.2013 al saldo effettivo; somma pretesa dalla ricorrente a titolo di parziale rimborso degli oneri di urbanizzazione secondaria corrisposti in relazione all’intervento edificatorio oggetto del permesso di costruire n. 7/2009 e successive varianti, a causa della mancata realizzazione di parte delle opere assentite.
2. Secondo quanto esposto nel ricorso e risultante dalla documentazione a esso allegata, il Comune di Bernareggio ha rilasciato alle società Pa. s.p.a. e Ro. s.r.l. il permesso di costruire n. 7/2009 del 23.06.2009, avente ad oggetto la realizzazione di due corpi di fabbrica nell’ambito di un piano per gli insediamenti produttivi (PIP), regolato da una convenzione precedentemente prorogata con deliberazione del Consiglio comunale n. 23 del 22.04.2009.
L’intervento oggetto del permesso di costruire presentava una superficie lorda di pavimento (SLP) di progetto di 16.685,76 e, a fronte di tale prevista realizzazione, il Comune aveva quantificato il contributo di costruzione in complessivi euro 647.240,25, di cui euro 558.138,34 per oneri di urbanizzazione secondaria ed euro 89.101,90 per contributo per lo smaltimento dei rifiuti. Non era, invece, dovuta la corresponsione di alcuna somma a titolo di oneri di urbanizzazione primaria.
Il permesso di costruire è stato poi volturato in favore dell’odierna ricorrente Pe.RE ed è stato, quindi, oggetto di numerose varianti, per cui l’assetto finale dell’intervento prevedeva la realizzazione non più di due corpi di fabbrica, bensì di quattro lotti, denominati A, B, C e D.
Quest’ultimo lotto, tuttavia, non è stato realizzato entro i termini di efficacia del titolo edilizio.
Con provvedimento del 09.08.2013, emesso in relazione a un’istanza di permesso di costruire in variante presentata dalla società, il Comune ha poi affermato –tra l’altro– l’impossibilità di prorogare il permesso di costruire.
Secondo quanto allegato nel ricorso, la realizzazione dell’intervento sarebbe stata poi preclusa dalla sopravvenienza del Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale (PTCP) di Monza e della Brianza, che avrebbe reso l’area inedificabile.
Va, infine, evidenziato che, con nota inviata mediante posta elettronica certificata in data 19.07.2013, Pe.RE ha chiesto al Comune il rimborso della quota degli oneri versati, al rilascio del titolo edilizio del 2009, con riferimento alla parte di intervento non realizzata.
3. Non avendo ottenuto il rimborso richiesto, la società ha proposto il presente giudizio, con il quale ha allegato il carattere indebito delle somme versate in relazione al rilascio del permesso di costruire del 2009 e commisurate alle superfici non realizzate, e ha domandato la condanna del Comune alla restituzione dei relativi importi.
Più in dettaglio, la ricorrente ha affermato che:
   - la SLP prevista dal permesso di costruire del 2009 e in relazione alla quale sono stati corrisposti a suo tempo gli oneri di urbanizzazione secondaria e il contributo per lo smaltimento dei rifiuti era pari, come detto, a 16.685,76 mq;
   - a seguito delle varianti al titolo, la superficie in progetto si è ridotta a 13.420,41 mq, dei quali 1.853,40 mq imputabili al lotto D, non realizzato;
   - la superficie non effettivamente realizzata, rispetto a quanto previsto dal permesso di costruire originario, ammonterebbe a mq 4.896,74 (al netto di due atti di cessione di volumetria agli acquirenti degli immobili effettivamente realizzati, per complessivi mq 220,00);
   - conseguentemente, la società sarebbe creditrice del Comune per il complessivo importo di euro 189.944,54 derivante dalla somma dei maggiori oneri di urbanizzazione secondaria versati per 163.795,95 euro (4.896,74 x 33,45) e della maggior somma pagata a titolo di contributo per lo smaltimento dei rifiuti per euro 26.148,59 (4.896,74 x 5,34).
4. In data 24.12.2014 il Comune di Bernareggio si è costituito in giudizio, con mera memoria formale.
5. L’11.10.2017, in prossimità dell’udienza pubblica fissata per la trattazione della causa, Pe.Re ha depositato una memoria corredata da documentazione.
5.1 In particolare –per quanto qui rileva– la ricorrente ha depositato copia delle reversali di incasso dei pagamenti effettuati.
5.2 Ha, inoltre, precisato nella suddetta memoria l’importo del credito vantato nei confronti del Comune in euro 198.555,92. Al riguardo, la parte ha affermato che l’indicazione di una somma minore nel ricorso (come detto, euro 189.944,54) fosse stata dovuta allo scomputo delle SLP che Pe.Re aveva alienato, mediante cessione di volumetria, agli acquirenti dei fabbricati realizzati.
Tuttavia, la suddetta cessione non sarebbe stata ritenuta dall’Amministrazione quale modalità idonea ad assolvere gli oneri dovuti da parte dell’acquirente, per cui i relativi importi sarebbero stati nuovamente posti a carico della ricorrente. Da ciò la necessità di rideterminare in aumento le superfici in relazione alle quali sarebbero stati corrisposti oneri non dovuti.
5.3 Infine, la ricorrente ha sottolineato la circostanza che, nella delibera di costituzione in giudizio, il Comune aveva affermato di non ravvisare l’immediata esigenza di restituzione degli oneri, perché l’eventuale accoglimento del ricorso proposto dalla stessa Penta RE contro il PTCP avrebbe consentito di completare l’intervento edificatorio progettato.
Tuttavia, la pretesa di trattenere gli oneri versati in eccesso dalla ricorrente sarebbe stata mantenuta dall’Amministrazione anche dopo che il Comune e la società –in un momento successivo alla proposizione del ricorso– hanno acclarato la compatibilità dell’intervento con il PTCP, avviando quindi la stipulazione di un nuovo piano attuativo relativo alle sole opere non ancora eseguite.
In altri termini, la parte stigmatizza la circostanza che, a seguito della stipulazione della nuova convenzione, gli oneri relativi a tali opere verrebbero ad essere pretesi due volte dall’Amministrazione (una prima volta per effetto dei pagamenti effettuati in dipendenza del permesso di costruire del 2009 e una seconda volta a seguito della stipulazione della nuova convenzione).
6. La stessa ricorrente ha, poi, depositato una ulteriore memoria il 31.10.2017.
7. Il 14.11.2017 la difesa comunale ha depositato una memoria, con la quale:
   - ha chiesto il rinvio della causa per la trattazione congiunta con il ricorso RG 177/2014, avente ad oggetto il diniego di proroga del permesso di costruire n. 7/2009;
   - ha affermato che la ricorrente avrebbe accettato di espungere dal testo della nuova convenzione urbanistica il riferimento agli importi già versati in dipendenza del precedente titolo edilizio, con ciò prestando acquiescenza alla pretesa comunale di trattenere definitivamente gli oneri già corrisposti, senza alcun rimborso o alcuna compensazione in dipendenza del rinnovato accordo inerente alla realizzazione delle opere non eseguite;
   - ha sostenuto che, in ogni caso, gli importi originariamente versati non potrebbero essere restituiti, in quanto l’intervento non era legittimato da un titolo edilizio “semplice”, ma era oggetto di una convezione urbanistica, nella quale la parte privata aveva assunto l’obbligazione di pagare gli oneri dipendenti dall’attuazione del PIP; conseguentemente, il Comune avrebbe contato sull’incasso degli importi pattuiti ai fini della realizzazione degli ulteriori interventi resi necessari dalla realizzazione dell’insediamento produttivo.
8. Con un ulteriore scritto difensivo, depositato il 18.11.2017, la ricorrente ha eccepito l’inammissibilità della memoria comunale, in quanto esorbitante dai contenuti tipici assegnati dalla disciplina processuale alle repliche.
In subordine, in caso di ritenuta ammissibilità della produzione avversaria, la società ha chiesto di reputare ammissibile anche le proprie ulteriori difese. In questa prospettiva, Penta RE ha contestato le tesi dell’Amministrazione e le stesse circostanze da questa allegate, e ha, inoltre, prodotto ulteriore documentazione, comprendente –tra l’altro– l’originaria convenzione urbanistica del 1998, accessoria al PIP.
La ricorrente ha, infine, chiesto la condanna del Comune per lite temeraria.
...
13. Nel merito il ricorso è fondato e va accolto. E, al riguardo, deve pure aggiungersi che, in ogni caso, tale conclusione non è confutata, ma è anzi avvalorata, dalle pur tardive produzioni della difesa comunale.
Per completezza espositiva tali difese verranno quindi prese comunque in considerazione nel prosieguo della trattazione, come pure le conseguenti ulteriori produzioni della ricorrente, che vanno anch’esse esaminate, a garanzia della pienezza del contraddittorio, unitamente alle prime. Ciò ferma restando la valutazione del comportamento processuale della parte resistente ai fini della decisione sulle spese.
14. La questione oggetto del giudizio attiene all’accertamento della sussistenza del diritto alla restituzione delle maggiori somme versate a titolo di oneri di urbanizzazione secondaria e di contributo per lo smaltimento dei rifiuti per la parte riferita alle opere non realizzate nell’ambito di quelle assentite con il permesso di costruire n. 7/2009, avente ad oggetto la costruzione di capannoni industriali a seguito di assegnazione di aree nell’ambito di un PIP.
15. Va preliminarmente escluso che la ricorrente abbia prestato acquiescenza alla pretesa comunale di trattenere tali maggiori importi.
L’acquiescenza è infatti configurabile, sul piano logico e giuridico, soltanto a fronte dell’esercizio di poteri autoritativi dell’Amministrazione. Laddove, invece, si faccia questione, come nel caso oggetto del presente giudizio, di rapporti di diritto-obbligo tra le parti, potrà –al più– parlarsi di rinuncia al proprio diritto o di riconoscimento del debito, ma non di accettazione degli effetti del provvedimento eventualmente illegittimo.
Peraltro, anche tali eventualità non sono riscontrabili nel caso di specie.
Il nuovo accordo si limita, infatti, a disciplinare le obbligazioni nascenti dalle previsioni del nuovo piano, senza nulla dire in ordine ai pregressi rapporti tra le parti. Le pattuizioni sono, quindi, del tutto neutre sotto tale profilo. Circostanza, questa, che è del resto comprensibile, stante la pendenza del contenzioso oggetto del presente giudizio al tempo della negoziazione della nuova convenzione e, quindi, l’esistenza di una situazione non definita tra le parti in relazione ai rapporti preesistenti.
16. Escluso, pertanto, che la ricorrente abbia comunque acconsentito alla pretesa comunale, deve ricordarsi che,
secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza, il contributo di costruzione è strettamente correlato all'attività di trasformazione del territorio. Conseguentemente, ove tale circostanza non si verifichi, il relativo pagamento risulta privo della causa dell'originaria obbligazione di dare.
Da ciò l’ulteriore corollario che, allorché si dia luogo alla rinuncia al permesso di costruire o questo rimanga inutilizzato, ovvero nelle ipotesi di intervenuta decadenza del titolo edilizio, sorge in capo alla p.a., anche ai sensi dell’articolo 2033 c.c. o, comunque, dell’articolo 2041 c.c., l'obbligo di restituzione delle somme corrisposte a titolo di contributo per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione, e il diritto del privato a pretenderne la restituzione
(Cons. Stato, Sez. V, 23.06.2003 n. 3714; Id., 12.06.1995, n. 894; Id. 02.02.1988, n. 105; TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 01.03.2017, n. 496; Id., 07.01.2016, n. 12; Id., 15.12.2015, n. 2642; Id. 22.10.2014, n. 2527; TAR Lazio, Sez. II-bis, 10.11.2015, n. 12693; TAR Umbria, 27.02.2014, n. 135).
La giurisprudenza ha, poi, avuto modo di chiarire che
il diritto alla restituzione del contributo di costruzione sorge non solamente nel caso in cui la mancata realizzazione delle opere sia totale, ma anche ove il permesso di costruire sia stato utilizzato solo parzialmente (in questo senso: TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 496 del 2017, cit.; Id. n. 12 del 2016, cit.; Id., n. 2642 del 2015, cit.; Id. 24.03.2010, n. 728; TAR Lazio, n. 12693 del 2015, cit.; per il diritto al rimborso del contributo in caso di mancata costruzione di uno dei tre edifici previsti nel complessivo intervento edilizio: Cons. Stato, Sez. V, 23.06.2003, n. 3714).
17. Ciò posto, deve pure tenersi presente che,
se ciò vale, in linea di principio, nelle ipotesi di rilascio di un ordinario permesso di costruire, tuttavia la situazione dei rapporti di diritto-obbligo gravanti tra le parti può atteggiarsi diversamente quando il titolo edilizio sia chiesto e ottenuto in esecuzione di previsioni contenute in una convenzione urbanistica.
17.1
Laddove, infatti, i rapporti tra il privato e l’Amministrazione siano regolati da un’apposita convenzione, occorre verificare attentamente quale sia stato l’effettivo intento delle parti in ordine alla corresponsione del contributo di costruzione.
In particolare,
occorre chiedersi se le modalità di assolvimento dell’obbligazione del privato siano direttamente funzionalizzate all’attuazione delle trasformazioni oggetto della convenzione, ovvero non presentino tale correlazione. Esempi del primo caso sono riscontrabili tipicamente nelle ipotesi di realizzazione di opere di urbanizzazione a scomputo degli oneri dovuti, o di opere che il privato accetti di realizzare in aggiunta agli oneri dovuti, o ancora laddove la convenzione disciplini le opere da realizzarsi da parte dell’Amministrazione, prevedendo tuttavia l’accollo del relativo onere economico, con varie modalità, a carico del privato.
In tutte tali ipotesi, le obbligazioni attinenti al contributo di costruzione (e soprattutto quelle relative agli oneri di urbanizzazione) trovano la propria giustificazione causale non solo e non tanto nel carico urbanistico specificamente riconducibile alla quantità di edificazione che forma oggetto di ciascun titolo edilizio rilasciato in esecuzione della convenzione, bensì nel disegno relativo al complessivo assetto urbanistico stabilito dalla stessa convenzione quale risultato finale derivante dalla relativa attuazione.
Al contrario,
laddove la convenzione si limiti a disciplinare le modalità di corresponsione del contributo di costruzione, senza far emergere la specifica correlazione delle prestazioni del privato rispetto all’attuazione delle trasformazioni previste dal piano, l’obbligazione inerente al contributo rimane correlata soltanto al carico urbanistico ascrivibile allo specifico intervento oggetto di ciascun titolo edilizio, secondo i principi sopra richiamati.
17.2
Le diverse modalità di atteggiarsi della volontà delle parti nella strutturazione delle obbligazioni nascenti dalla convenzione urbanistica non possono che riflettersi sulle conseguenze dell’eventuale mancata realizzazione, in tutto o in parte, delle trasformazioni previste dai titoli edilizi rilasciati in esecuzione dell’accordo.
Ove, infatti, gli impegni assunti dal privato siano funzionali alla complessiva realizzazione dell’assetto urbanistico stabilito dal piano attuativo, la mancata esecuzione degli interventi privati non farà venir meno la causa giustificativa delle obbligazioni attinenti alla realizzazione di opere pubbliche, essendo queste obbligazioni stabilite in funzione dell’attuazione del piano, e non del singolo e specifico intervento edificatorio assentito con il titolo edilizio.
Nel caso opposto, ossia laddove (e per la parte in cui) le obbligazioni previste a carico del privato dalla convenzione urbanistica non presentino tale correlazione, dovrà concludersi per l’applicazione degli ordinari principi e, quindi, per la ripetibilità delle eventuali quote di contributo commisurate (esclusivamente) alle parti di intervento non effettivamente realizzate.

18. Nel caso oggetto del presente giudizio, emerge chiaramente dalla lettura della convenzione urbanistica che, al momento dell’assegnazione delle aree, il Comune aveva assunto su di sé la realizzazione delle necessarie opere di urbanizzazione primaria del contesto produttivo e che il prezzo dell’assegnazione includeva la quota dovuta dal privato in dipendenza della realizzazione di tali infrastrutture.
Quanto, invece, alla quota di contributo commisurata alle opere di urbanizzazione secondaria e agli oneri connessi allo smaltimento dei rifiuti, questa era dovuta al rilascio dei singoli titoli edilizi, in correlazione con le quantità di edificazione ivi previste, e non era posta in relazione con la realizzazione di alcuno specifico intervento funzionale all’insediamento industriale o ad altre finalità di interesse pubblico comunque indicate dall’Amministrazione.
19. Dalla lettura della convenzione emerge, perciò, che lo stretto nesso di correlazione di cui si è detto tra le obbligazioni del privato e le trasformazioni previste dal piano e dalla convenzione è riscontrabile soltanto con riferimento alle quote versate dall’assegnatario a titolo di contributo per l’urbanizzazione primaria.
Quanto agli oneri commisurati alle opere di urbanizzazione secondaria e allo smaltimento dei rifiuti, tale nesso non è, invece, ravvisabile. Conseguentemente, con riguardo a queste quote di contributo non possono che trovare applicazione gli ordinari principi, in base ai quali –come detto– la giustificazione causale dell’obbligazione risiede nell’attuazione dell’intervento oggetto del permesso di costruire.
Deve aggiungersi, poi, che questa conclusione non muta in considerazione della circostanza che, nel caso di specie, trattandosi di permesso di costruire per interventi da realizzare su aree oggetto di assegnazione nell’ambito di un PIP, il privato fosse obbligato a costruire i capannoni industriali progettati.
Va, infatti, tenuto concettualmente distinto il profilo attinente all’inadempimento dell’obbligazione di realizzazione dei capannoni (inadempimento le cui conseguenze trovano la propria disciplina in specifiche previsioni della convenzione, oltre che negli ordinari principi), da quello concernente l’obbligazione relativa alle quote di contributo sopra dette; obbligazione che mantiene la propria causa giustificativa nella circostanza di fatto dell’effettiva realizzazione dei manufatti industriali.
In altri termini, l’eventuale possibilità per l’Amministrazione di reagire all’incompleta realizzazione degli interventi non fa venir meno il dato di fatto della mancanza di giustificazione causale del contributo versato dal privato in relazione a opere non eseguite e, quindi, in difetto del presupposto dell’incremento del carico urbanistico.
20. Alla luce delle considerazioni sin qui esposte,
deve perciò ritenersi sussistente il diritto del privato, ai sensi dell’articolo 2033 c.c., alla restituzione delle somme a suo tempo versate per le opere non effettivamente realizzate, a titolo di oneri di urbanizzazione secondaria e di contributo per lo smaltimento dei rifiuti.
L’Amministrazione va, quindi, condannata al pagamento dei relativi importi, maggiorato degli interessi legali, dovuti fino al soddisfo, e decorrenti, in conformità al disposto dell’articolo 2033 c.c., dalla domanda giudiziale
(Cass. civ., Sez. III, 07.05.2007, n. 10297; Cons. Stato, Sez. IV, 26.05.2006, n. 3189; TAR Lombardia, Sez. II, 07.01.2016, n. 12).
21. L’Amministrazione soccombente va, inoltre, condannata al pagamento delle spese oggetto del presente giudizio.
Al riguardo, il Collegio non ravvisa i presupposti per l’applicazione della disciplina sulla lite temeraria, invocata da Pe.RE.
Le spese vanno, tuttavia, liquidate tenendo conto del complessivo comportamento processuale delle parti e, specificamente, dell’aggravio difensivo determinato, a carico della ricorrente, dalle produzioni tardive del Comune. In considerazione di quanto precede, il relativo importo va, perciò, determinato in euro 3.000,00 (tremila/00), oltre IVA, c.p.a., oneri per spese generali nella misura del quindici per cento e rimborso del contributo unificato (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 13.03.2018 n. 718 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il contributo per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione per le opere oggetto di una concessione in variante dev’essere calcolato sommando le opere dei due titoli edilizi assentiti (concessione originaria e variante), scomputando quanto già pagato al momento del rilascio del titolo originario.
Per la concessione in variante, però, la quota percentuale della parte del contributo commisurato al costo di costruzione delle opere ad essa riferite deve essere calcolata con riferimento alle norme vigenti al momento del rilascio della variante stessa e, come detto, limitatamente alle opere che ne costituiscono oggetto, escludendo cioè quelle già considerate (e quantificate) al momento del rilascio della concessione originaria.
Con la concessione in variante il Comune deve quindi determinare, in via di conguaglio gli oneri e il corrispondente contributo non in relazione all'intero complesso in via di realizzazione, ma con riferimento alle sole opere nuove e ulteriori volumetrie assentite con la concessione in variante, da calcolare sulla base del nuovo parametro vigente al momento del rilascio del titolo in variante.
Sulla complessiva somma dovuta per oneri, da quantificarsi come sopra, va poi scorporata la somma già versata dalla società ricorrente.
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Con ricorso notificato in data 09.09.2015 e depositato il successivo 22 settembre, la Fi.In.In. Società di Gestione del Risparmio S.p.A. (di seguito SGR) ha chiesto la condanna del Comune di Campobasso al pagamento della somma di euro 250.691,86, oltre interessi e rivalutazione monetaria, che la società afferma di aver versato al Comune a titolo di oneri di urbanizzazione e costo di costruzione, in realtà non dovuti.
La ricorrente premette di gestire un fondo denominato “AM Sv.Im.” titolare di un complesso edilizio sito in località Vazzieri e individuato nel Catasto Fabbricati del Comune di Campobasso al foglio 60, mappale 1086, edificato su un terreno originariamente individuato al catasto terreni particelle 1032-1033-907-908.
Su tale terreno veniva realizzato un complesso edilizio composto da due edifici (denominati “fabbricato A” e “Fabbricato B”) in esecuzione del predetto Piano di lottizzazione approvato con delibera del 01.04.2003, n. 24 che recepiva la convenzione con cui la società ricorrente si impegnava ad eseguire direttamente le opere di urbanizzazione primaria a scomputo dei relativi oneri.
Secondo quanto ulteriormente rappresentato, il Comune rilasciava i relativi permessi di costruire per i quali veniva corrisposta la somma di euro 167.903,00 a titolo di oneri di urbanizzazione secondaria ed euro 286.916,50 a titolo di costo di costruzione, mentre nulla veniva corrisposto per oneri di urbanizzazione primaria in quanto le relative opere venivano realizzate direttamente dalla società ricorrente a scomputo della somma dovuta per oneri di urbanizzazione primaria.
Ciò premesso, parte ricorrente rileva di aver proposto nel corso della realizzazione delle opere una serie di varianti e di aver realizzato opere di urbanizzazione di portata molto maggiore rispetto a quelle previste sulla base del progetto originario, trovandosi poi, su richiesta del Comune, a dover corrispondere, con riserva di ripetizione, anche le somme relative ai costi di urbanizzazione per una somma che non sarebbe stata dovuta e ammontante ad euro 250.691,86.
La SGR agisce pertanto con il presente giudizio per chiedere la restituzione delle somme asseritamente versate in eccesso sulla base dei seguenti motivi.
...
Ciò premesso sul piano fattuale può passarsi allo scrutinio del merito del giudizio che si incentra sulla determinazione della somma che la SGR doveva effettivamente versare per la realizzazione delle opere oggetto di causa. La SGR ritiene che l’importo da corrispondere vada calcolato sulla base di quanto concretamente realizzato e della destinazione impressa alle aree oggetto di edificazione.
In particolare la SGR afferma di aver direttamente realizzato sulla base della convenzione di lottizzazione approvata con la delibera del consiglio comunale del 01.04.2003, n. 24 tutte le opere di urbanizzazione primaria e che pertanto dall’importo dovuto per gli oneri di urbanizzazione andasse scomputato il valore delle opere di urbanizzazione già realizzate oltre che gli importi versati per costo di costruzione e oneri di urbanizzazione secondaria.
Dal proprio canto l’Amministrazione comunale sostiene quanto alle DIA eseguite in variante dalla ricorrente ai sensi del Piano casa che le leggi regionali n. 30/2009 e 25/2008 subordinerebbero la premialità prevista nel ripetuto Piano casa al pagamento integrale degli oneri, in quanto costituenti un quid novi comportante un carico urbanistico ulteriore, i cui oneri non possono essere scomputati dalla somma già versata per la superficie originaria.
Giova rammentare che ai sensi dell’art. 16 del d.P.R. n. 380/2001: <<1. Salvo quanto disposto all'articolo 17, comma 3, il rilascio del permesso di costruire comporta la corresponsione di un contributo commisurato all’incidenza degli oneri di urbanizzazione nonché al costo di costruzione, secondo le modalità indicate nel presente articolo.
2. La quota di contributo relativa agli oneri di urbanizzazione va corrisposta al comune all'atto del rilascio del permesso di costruire e, su richiesta dell’interessato, può essere rateizzata. A scomputo totale o parziale della quota dovuta, il titolare del permesso può obbligarsi a realizzare direttamente le opere di urbanizzazione, nel rispetto dell'articolo 2, comma 5, della legge 11.02.1994, n. 109, e successive modificazioni, (ora art. 1, comma 2, lett. e) e art. 36, commi 3 e 4, d.lgs. n. 50 del 2016) con le modalità e le garanzie stabilite dal comune, con conseguente acquisizione delle opere realizzate al patrimonio indisponibile del comune…4. L'incidenza degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria è stabilita con deliberazione del consiglio comunale in base alle tabelle parametriche che la regione definisce per classi di comuni in relazione:
   a) all'ampiezza ed all'andamento demografico dei comuni;
   b) alle caratteristiche geografiche dei comuni;
   c) alle destinazioni di zona previste negli strumenti urbanistici vigenti;
   d) ai limiti e rapporti minimi inderogabili fissati in applicazione dall'articolo 41-quinquies, penultimo e ultimo comma, della legge 17.08.1942, n. 1150, e successive modifiche e integrazioni, nonché delle leggi regionali;
   d-bis) alla differenziazione tra gli interventi al fine di incentivare, in modo particolare nelle aree a maggiore densità del costruito, quelli di ristrutturazione edilizia di cui all'articolo 3, comma 1, lettera d), anziché quelli di nuova costruzione;
   d-ter) alla valutazione del maggior valore generato da interventi su aree o immobili in variante urbanistica, in deroga o con cambio di destinazione d'uso. Tale maggior valore, calcolato dall'amministrazione comunale, è suddiviso in misura non inferiore al 50 per cento tra il comune e la parte privata ed è erogato da quest'ultima al comune stesso sotto forma di contributo straordinario, che attesta l'interesse pubblico, in versamento finanziario, vincolato a specifico centro di costo per la realizzazione di opere pubbliche e servizi da realizzare nel contesto in cui ricade l'intervento, cessione di aree o immobili da destinare a servizi di pubblica utilità, edilizia residenziale sociale od opere pubbliche
>>.
Dall’altra parte l’art. 9, co. 3, della legge regionale 11.12.2009, n. 30 prevede che <<È dovuto per intero il contributo per gli oneri di urbanizzazione per gli interventi di mutamento di destinazione d'uso di cui all'articolo 2, commi 9 e 10, ed all'articolo 3, comma 6>>.
Ora, secondo l’Amministrazione resistente tale ultima norma implicherebbe che quanto già versato per gli oneri di urbanizzazione non debba essere computato e debba, invece, essere calcolato per intero il costo di costruzione e gli oneri di urbanizzazione delle varianti, senza tener conto di quanto già pagato per il progetto originario; parte ricorrente ritiene invece che l’importo da versare non possa prescindere dal conguaglio con quanto già versato.
Tra le due impostazioni il Tribunale ritiene che quest’ultima sia quella corretta.
Il Collegio aderisce infatti all’impostazione giurisprudenziale preferibile secondo cui <<il contributo per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione per le opere oggetto di una concessione in variante dev’essere calcolato sommando le opere dei due titoli edilizi assentiti (concessione originaria e variante), scomputando quanto già pagato al momento del rilascio del titolo originario. Per la concessione in variante, però, la quota percentuale della parte del contributo commisurato al costo di costruzione delle opere ad essa riferite deve essere calcolata con riferimento alle norme vigenti al momento del rilascio della variante stessa e, come detto, limitatamente alle opere che ne costituiscono oggetto, escludendo cioè quelle già considerate (e quantificate) al momento del rilascio della concessione originaria. Con la concessione in variante il Comune deve quindi determinare, in via di conguaglio gli oneri e il corrispondente contributo non in relazione all'intero complesso in via di realizzazione, ma con riferimento alle sole opere nuove e ulteriori volumetrie assentite con la concessione in variante, da calcolare sulla base del nuovo parametro vigente al momento del rilascio del titolo in variante. Sulla complessiva somma dovuta per oneri, da quantificarsi come sopra, va poi scorporata la somma già versata dalla società ricorrente>> (cfr. TAR Sardegna, sez. II, 28.11.2013, n. 780).
Diversamente argomentando, ritenendo cioè che per effetto delle varianti richieste ed ottenute a norma del Piano casa, la SGR avrebbe dovuto pagare nuovamente e per intero tutti gli oneri di urbanizzazione ivi inclusi quelli già corrisposti ovvero quelli di valore corrispondente alle opere realizzate, significherebbe riconoscere alla previsione della legge regionale una portata sanzionatoria che essa invece obiettivamente non presenta, come confermato dall’art. 1 della legge della Regione Molise 11.12.2009, n. 30 a mente del quale: <<La Regione promuove misure straordinarie per il sostegno del settore edilizio, attraverso interventi finalizzati al miglioramento della qualità abitativa, per preservare, mantenere, ricostruire e rivitalizzare il patrimonio edilizio esistente, promuovere l'edilizia economica per le giovani coppie e le categorie svantaggiate e meno abbienti e l'edilizia scolastica nonché per migliorare le caratteristiche architettoniche, energetiche, tecnologiche e di sicurezza dei fabbricati>>.
Le disposizioni premiali di cui alla citata normativa hanno carattere straordinario e rispondono alla dichiarata finalità di riqualificare il patrimonio edilizio e contrastare la grave crisi economica e di tutelare i livelli occupazionali attraverso il rilancio delle attività edilizie, da attuare sui singoli edifici, in deroga agli strumenti urbanistici vigenti, in relazione ad un arco di tempo limitato, con casi di esclusione ben determinati (cfr. TAR Campania, sez. II, n. 1502/2013).
Stando così le cose una previsione del tipo di quella prefigurata dal Comune resistente che imponesse a chi intenda giovarsi della premialità prevista dalla legge di pagare nella sostanza due volte i medesimi oneri di urbanizzazione, si porrebbe in aperto contrasto con la finalità agevolativa e non sanzionatoria sottesa all’intervento normativo in considerazione.
Ne consegue, in accoglimento di quanto prospettato da parte ricorrente, che gli oneri di urbanizzazione corrisposti dalla ricorrente al resistente Comune o comunque derivanti dal valore delle opere direttamente realizzate in virtù della convenzione di urbanizzazione devono essere detratti da quanto corrisposto in aumento al medesimo Comune per effetto delle varianti apportate.
Pertanto il Collegio, al fine di determinare in concreto l’eventuale somma da restituire alla ricorrente, reputa necessario disporre una verificazione ai sensi dell’art. 66 c.p.a. che, alla luce delle tabelle adottate dal Comune di Campobasso ai sensi dell’art. 16 del d.P.R. n. 380/2001 e dei titoli edilizi abilitativi in variante rispetto al progetto originario:
   1) determini la somma effettivamente dovuta da parte ricorrente al Comune di Campobasso per oneri di urbanizzazione primaria, secondaria e per costi di costruzione, tenendo conto delle varianti introdotte al progetto originario;
   2) scomputi dalla somma così determinata il valore degli oneri di urbanizzazione primaria realizzati, e la somma già versata da parte ricorrente per gli oneri di urbanizzazione secondaria e per i costi di costruzione;
   3) individui la somma eventualmente in eccesso corrisposta al Comune di Campobasso da parte ricorrente sulla base del criterio, più volte esplicitato nella presente decisione, per cui gli oneri di urbanizzazione (primaria e secondaria) e i costi di costruzione devono essere versati una sola volta, anche nel caso di varianti introdotte in forza della normativa premiale del Piano casa.
Tale incombente è posto a carico del Direttore del Provveditorato alle Opere pubbliche per l’Abruzzo, il Lazio e la Sardegna, con facoltà di delega in favore di un qualificato funzionario della medesima Amministrazione, che provveda a redigere una relazione al quesito sopra prospettato.
Il predetto verificatore, nel contraddittorio delle parti costituite, provvederà alla disamina della documentazione in atti e a redigere una dettagliata e motivata relazione volta ad illustrare le conclusioni che riterrà di rassegnare.
La relazione corredata dagli atti amministrativi di riferimento, eventuali prospetti e rilievi (per i quali si potrà, se del caso, utilizzare anche quelli versati in atti), dovrà essere depositata, anche in formato digitale, presso la Segreteria entro il termine di 60 giorni dalla comunicazione della presente ordinanza.
Il compenso spettante al verificatore, ai sensi dell'articolo 66, comma 4, cod. proc. amm., verrà liquidato dopo l'espletamento dell'incarico.
Si rinvia pertanto alla sentenza definitiva la determinazione dell’eventuale somma che il Comune di Campobasso dovrà corrispondere in ripetizione alla ricorrente (TAR Molise, sentenza non definitiva 05.03.2018 n. 114 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

febbraio 2018

EDILIZIA PRIVATA: Ripetibilità delle somme versate a titolo di contributo di concessione.
Il TAR Milano, dopo aver ricordato che il contributo non è dovuto in caso di rinuncia o, comunque, di mancato utilizzo del permesso di costruire, con conseguente obbligo della pubblica amministrazione, ai sensi dell'art. 2033 cod. civ., di restituire le somme eventualmente incamerate a tale titolo, aveva aggiunto che questo principio può essere applicato anche in presenza di una stipulazione di una convenzione urbanistica, stante, nel caso in esame:
   a) l’assoluta mancata realizzazione di ogni opera prevista dalla convenzione;
   b) l’impossibilità per il soggetto attuatore, a seguito dell’intervenuta scadenza dei termini previsti dalla convenzione stessa, di realizzare le opere private di suo interesse;
Secondo il TAR, la convenzione urbanistica non costituisce autonoma fonte dell’obbligo di versamento del contributo di costruzione, trovando quest’ultimo la propria fonte direttamente nella legge, la quale lo pone in stretta correlazione all’attività di trasformazione del territorio in assenza della quale esso non è comunque dovuto.
La convenzione svolge dunque il ruolo, non già di fonte dell’obbligo, ma di fonte di regolazione dello stesso per quanto concerne il quantum ed il quomodo; sicché una volta escluso che la trasformazione del territorio possa attuarsi, il pagamento del contributo di costruzione diviene privo di causa, quantunque esso sia previsto e disciplinato da una convenzione urbanistica
(commento tratto da https://camerainsubria.blogspot.it).
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MASSIMA
12. Come noto, in base ad un consolidato orientamento giurisprudenziale,
il contributo di costruzione è strettamente correlato alla trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio e, dunque, al concreto esercizio della facoltà di costruire. Pertanto, secondo la giurisprudenza, il contributo non è dovuto in caso di rinuncia o, comunque, di mancato utilizzo del permesso di costruire, con conseguente obbligo della pubblica amministrazione, ai sensi dell'art. 2033 cod. civ., di restituire le somme eventualmente incamerate a tale titolo (cfr. fra le tante, TAR Campania Salerno, sez. I, 31.01.2017, n. 179).
13. Ritiene il Collegio che questo principio possa essere applicato al caso di specie, e ciò nonostante questo sia caratterizzato dall’intervenuta stipulazione di una convenzione urbanistica.
14. In proposito va osservato che la Sezione –con sentenze 21.05.2013, n. 1337 e 11.05.2015, n. 1137– ha negato la possibilità per il soggetto attuatore di sottrarsi dall’obbligo di corresponsione del contributo di costruzione mediante atto di rinuncia alla convenzione urbanistica.
15. In particolare, nella sentenza n. 1337 del 2013, si è rilevato che
la rinuncia alla convenzione urbanistica costituisce in realtà un vero e proprio atto di recesso dall’accordo contrattuale in violazione dell’art. 1372, primo comma, cod. civ., e dell’art. 21-sexies della legge n. 241 del 1990. E una volta negata la possibilità di recesso unilaterale, ed una volta constatata quindi la perdurante vigenza della convenzione, si è escluso che il versamento del contributo di costruzione fosse divenuto privo di causa: il pagamento trovava invero la propria giustificazione nel fatto che la convenzione era ancora vigente e che quindi, non era venuta meno la possibilità per il privato di attuare l’intervento di trasformazione del territorio che ne costituiva oggetto.
16. L’impossibilità di rinuncia della convenzione urbanistica è stata poi ribadita nella sentenza n. 1137 del 2015 la quale, peraltro, per negare la possibilità di sottrarsi all’obbligo di realizzazione delle opere a scomputo oneri, ha potuto utilizzare un’altra argomentazione decisiva: l’intervenuta realizzazione delle opere di interesse privato.
17. Ritiene il Collegio che i principi affermati in queste sentenze non possano essere utilmente invocati nel caso di specie il quale si caratterizza per due elementi che lo diversificano da quelli in precedenza considerati: a) l’assoluta mancata realizzazione di ogni opera prevista dalla convenzione; b) l’impossibilità per il soggetto attuatore, stante l’intervenuta scadenza dei termini previsti dalla convenzione stessa, di realizzare le opere private di suo interesse.
18.
Ritiene il Collegio che l’assoluta assenza di attività di trasformazione del territorio e l’impossibile attuazione futura di questa attività non possano far altro che rendere privo di causa l’incameramento del contributo di costruzione.
19. A questo proposito si osserva che, a parere del Collegio,
il contributo di costruzione non può essere considerato alla stregua di un corrispettivo sinallagmatico correlato al trasferimento al privato del diritto di costruire, corrispettivo da ritenersi comunque dovuto anche se il privato stesso ometta poi di sfruttare il diritto acquisito: come noto, la Corte costituzionale, a partire dalla sentenza n. 5 del 1980, ha chiarito che la possibilità di edificare non è altro che una facoltà che inerisce al diritto di proprietà; e la giurisprudenza ha dal canto suo chiarito che la funzione del contributo di costruzione è quella di far compartecipare colui che ponga in essere un’attività di trasformazione del territorio determinante incremento del carico urbanistico alle spese necessarie alla realizzazione delle opere di urbanizzazione (cfr., fra le tante, Consiglio di stato, sez. V, 20.04.2008, 2359).
21.
La convenzione urbanistica, pertanto, non costituisce autonoma fonte dell’obbligo di versamento del contributo di costruzione, trovando quest’ultimo la propria fonte direttamente nella legge la quale, come detto, lo pone in stretta correlazione all’attività di trasformazione del territorio in assenza della quale esso non è comunque dovuto.
La convenzione svolge dunque il ruolo, non già di fonte dell’obbligo, ma di fonte di regolazione dello stesso per quanto concerne il quantum ed il quomodo; sicché, come anticipato, una volta escluso che la trasformazione del territorio possa attuarsi, il pagamento del contributo di costruzione diviene privo di causa, quantunque esso sia previsto e disciplinato da una convenzione urbanistica.

A questo punto preme al Collegio precisare che a conclusioni diverse non è pervenuta la sentenza della Sezione n. 2172 del 14.11.2017, atteso che nella fattispecie ivi esaminata la parte privata aveva versato solo una parte del contributo di costruzione in adempimento di un obbligo che era correlato dalla convenzione, non solo al contributo di costruzione appunto, ma anche ad una caparra confirmatoria ivi prevista: in quel caso quindi –sebbene la convenzione non fosse più attuabile– la restituzione era impedita dal fatto che il pagamento fosse avvenuto anche a titolo di caparra confirmatoria.
22. In questo quadro si deve escludere che, nella fattispecie in esame, la convenzione stipulata fra la ricorrente ed il Comune di Novate Milanese possa giustificare il pagamento del contributo di costruzione nonostante l’impossibilità di attuare gli interventi di trasformazione del territorio ivi previsti.
23.
Neppure può ritenersi che il Comune di Novate Milanese possa pretendere di trattenere le somme versate dalla ricorrente stessa in ragione dell’avvenuto impiego delle medesime nel finanziamento di attività di pubblico interesse. Invero, l’art. 2033 cod. civ. non ammette deroghe all’obbligo di restituzione del pagamento indebitamente ricevuto, e ciò neanche quando la fonte dell’obbligazione, in origine esistente, venga meno in un secondo momento; salvo, per l’accipiens in buona fede, il beneficio di non dover corrispondere gli interessi se non a decorrere dal giorno della domanda, e salva la possibilità, per lo stesso Comune di Novate Milanese, di ottenere il risarcimento dei danni qualora dimostri che la parte privata si sia comportata in maniera sleale, ledendo un suo legittimo affidamento.
24. Da tutto quanto sopra consegue che il pagamento del contributo di costruzione effettuato dalla ricorrente deve ritenersi ormai privo di causa e che, pertanto, il Comune resistente ha l’obbligo di restituire alla ricorrente stessa la somma di euro 1.222.330,91.
25. Per quanto concerne invece gli interessi, stante la buona fede dell’Amministrazione, non può accogliersi la domanda della ricorrente di ottenerne il riconoscimento a decorrere dal giorno del pagamento. Gli interessi vanno infatti riconosciuti, per le ragioni anzidette, solo a decorrere dal giorno della domanda.
26. In conclusione, assorbite le altre censure in ragione della completa soddisfazione degli interessi della ricorrente, il ricorso deve essere accolto nei limiti sopra indicati (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 28.02.2018 n. 596 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il contributo per oneri di urbanizzazione è un corrispettivo di diritto pubblico, di natura non tributaria, posto a carico del costruttore a titolo di partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione in proporzione all’insieme dei benefici che la nuova costruzione ne ritrae.
Dalla natura di prestazione obbligatoriamente dovuta discende che il privato non può esimersi dal pagamento del contributo e che l’amministrazione può riesaminare la pratica anche dopo il rilascio del titolo che abilita l’intervento edilizio: le vicende che coinvolgono il permesso di costruire si sviluppano in autonomia, senza interferire con le questioni che incidono su “an” e “quantum” dell’obbligazione pecuniaria.
Più in particolare, “la giurisprudenza amministrativa, ha già avuto modo di affrontare la questione della rideterminazione degli oneri concessori da parte dell’amministrazione, con considerazioni che si intendono ribadire nella presente sede.
Si è, infatti, affermato:
   a) è infondata la tesi secondo la quale “(a pretesa tutela della buona fede e dell'affidamento riposto dal privato nella più risalente determinazione degli oneri adottata dall'amministrazione appellata) sarebbe preclusa la rideterminazione degli oneri concessori da parte dell'amministrazione comunale se non nella ipotesi di meri errori di calcolo ictu oculi percepibili, a tutela dell'affidamento in buona fede riposto dal privato nella quantificazione operata in sede di prima determinazione”;
   b) “la natura paritetica dell'atto di determinazione consente che l'Amministrazione possa apportarvi rettifiche (sia in favore del privato che in senso contrario), purché ciò avvenga nei limiti della prescrizione del relativo diritto di credito” e ciò in quanto “il computo degli oneri di urbanizzazione non è attività autoritativa e la contestazione sulla relativa corresponsione è proponibile nel termine di prescrizione decennale a prescindere dall'impugnazione dei provvedimenti adottati o dal sollecito a provvedere in via di autotutela. Trattasi infatti, nel caso di specie, di una determinazione che "obbedisce" a prescrizioni desumibili da tabelle, in ordine alla quale l'amministrazione comunale si limita ad applicare i detti parametri, (conseguentemente per la stessa rivestenti natura cogente) laddove è esclusa qualsivoglia discrezionalità applicativa”;
   c) “la pariteticità dell'atto e l'assenza di discrezionalità ne legittima o addirittura ne impone la revisione ove affetta da errore, con il solo limite della maturata prescrizione del credito). La originaria determinazione, pertanto, può essere sempre rivisitata, ove la si assuma affetta da errore (e fermo restando la necessità che detta originaria erroneità della determinazione iniziale sussista effettivamente), e ciò sia laddove essa abbia indicato un importo inferiore al dovuto, che laddove abbia quantificato un importo superiore e, pertanto, non dovuto”. L’amministrazione, dunque, qualora rilevi un errore nel calcolo, può procedere alla rettifica entro il termine di prescrizione, che nel caso in esame -come visto- non risulta decorso”.
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Nell’ipotesi in esame la rideterminazione dell’importo dovuto è avvenuta entro i termini di prescrizione, nell’ambito di un’attività di verifica di regolare versamento dei tributi da parte dei contribuenti.
Sicché, il Comune ha comunicato l’avvio del procedimento relativo “alla determinazione degli oneri concessori sulla base dei reali costi unitari vigenti al momento del rilascio del permesso di costruire con l’applicazione di quanto disposto dall’art. 16, comma 9, secondo periodo del DPR 380/2001”, indicando le modalità di calcolo delle somme dovute.
In sostanza l’ente locale ha avviato un procedimento volto alla rettifica della misura del contributo, riportandolo a quanto effettivamente dovuto sulla base vigenti disposizioni.
Tale attività, alla luce di quanto innanzi esposto –purché svolta entro il termine di prescrizione decennale- non solo è legittima, ma è, anzi, doverosa per la Pubblica Amministrazione.  L’atto di determinazione del contributo, vincolato e non suscettibile di scostamenti rispetto alle previsioni normative, è solo una intermediazione aritmetica per la sua quantificazione.
Ne consegue che l’atto di nuova determinazione non può dirsi viziato da eccesso di potere sotto il profilo del difetto di motivazione e di indicazione degli interessi pubblici prevalenti. Il diritto del Comune all'ottenimento del contributo nella misura dovuta, così come il diritto del titolare del premesso di costruire al rimborso del contributo versato in eccesso, deriva, infatti, direttamente dai parametri oggettivi e non dall’atto di determinazione.
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... per l'annullamento del provvedimento emesso dal responsabile del terzo settore del Comune di Chieuti nella persona dell’arch. M.Lo. in data 11.09.2013 prot. 4345, comunicato il 17.09.2013, con il quale a conclusione del procedimento amministrativo instaurato con la nota del 24.06.2013 prot. n. 3076, sono rideterminati gli importi dovuti a titolo di oneri di urbanizzazione e costo di costruzione relativamente al permesso di costruire del 01.10.2008 prot. n. 2509 rilasciato in favore della cooperativa ricorrente, cui dunque è stato intimato il pagamento di € 17.679,22;
...
8. - Il ricorso è infondato e deve, pertanto, essere respinto.
9. – Il contributo per oneri di urbanizzazione è un corrispettivo di diritto pubblico, di natura non tributaria, posto a carico del costruttore a titolo di partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione in proporzione all’insieme dei benefici che la nuova costruzione ne ritrae (Cfr. per tutti TAR Puglia Bari, sez. III – 10/02/2011 n. 243).
Dalla natura di prestazione obbligatoriamente dovuta discende che il privato non può esimersi dal pagamento del contributo e che l’amministrazione può riesaminare la pratica anche dopo il rilascio del titolo che abilita l’intervento edilizio: le vicende che coinvolgono il permesso di costruire si sviluppano in autonomia, senza interferire con le questioni che incidono su “an” e “quantum” dell’obbligazione pecuniaria.
Più in particolare, “la giurisprudenza amministrativa (v. Cons. Stato, sez. IV, 20.11.2012 n. 6033; sez. V, 17.09.2010 n. 6950), ha già avuto modo di affrontare la questione della rideterminazione degli oneri concessori da parte dell’amministrazione, con considerazioni che si intendono ribadire nella presente sede.
Si è, infatti, affermato:
   a) è infondata la tesi secondo la quale “(a pretesa tutela della buona fede e dell'affidamento riposto dal privato nella più risalente determinazione degli oneri adottata dall'amministrazione appellata) sarebbe preclusa la rideterminazione degli oneri concessori da parte dell'amministrazione comunale se non nella ipotesi di meri errori di calcolo ictu oculi percepibili, a tutela dell'affidamento in buona fede riposto dal privato nella quantificazione operata in sede di prima determinazione”;
   b) “la natura paritetica dell'atto di determinazione consente che l'Amministrazione possa apportarvi rettifiche (sia in favore del privato che in senso contrario), purché ciò avvenga nei limiti della prescrizione del relativo diritto di credito” e ciò in quanto “il computo degli oneri di urbanizzazione non è attività autoritativa e la contestazione sulla relativa corresponsione è proponibile nel termine di prescrizione decennale a prescindere dall'impugnazione dei provvedimenti adottati o dal sollecito a provvedere in via di autotutela. Trattasi infatti, nel caso di specie, di una determinazione che "obbedisce" a prescrizioni desumibili da tabelle, in ordine alla quale l'amministrazione comunale si limita ad applicare i detti parametri, (conseguentemente per la stessa rivestenti natura cogente) laddove è esclusa qualsivoglia discrezionalità applicativa”;
   c) “la pariteticità dell'atto e l'assenza di discrezionalità ne legittima o addirittura ne impone la revisione ove affetta da errore, con il solo limite della maturata prescrizione del credito). La originaria determinazione, pertanto, può essere sempre rivisitata, ove la si assuma affetta da errore (e fermo restando la necessità che detta originaria erroneità della determinazione iniziale sussista effettivamente), e ciò sia laddove essa abbia indicato un importo inferiore al dovuto, che laddove abbia quantificato un importo superiore e, pertanto, non dovuto”. L’amministrazione, dunque, qualora rilevi un errore nel calcolo, può procedere alla rettifica entro il termine di prescrizione, che nel caso in esame -come visto- non risulta decorso
” (Cons. stato, sez. IV, 27.09.2017 sent. 4515).
10. - Nell’ipotesi in esame la rideterminazione dell’importo dovuto è avvenuta entro i termini di prescrizione, nell’ambito di un’attività di verifica di regolare versamento dei tributi da parte dei contribuenti, come si evince dalla Delibera dalla Giunta comunale n. 74 del 23.11.2012.
Con la nota del 24.06.2013 il Comune ha comunicato l’avvio del procedimento relativo “alla determinazione degli oneri concessori sulla base dei reali costi unitari vigenti al momento del rilascio del permesso di costruire con l’applicazione di quanto disposto dall’art. 16, comma 9, secondo periodo del DPR 380/2001”, indicando le modalità di calcolo delle somme dovute. In data 11.09.2013 ha riscontrato le osservazioni della ricorrente.
In sostanza l’ente locale ha avviato un procedimento volto alla rettifica della misura del contributo, riportandolo a quanto effettivamente dovuto sulla base vigenti disposizioni. Tale attività, alla luce di quanto innanzi esposto –purché svolta entro il termine di prescrizione decennale- non solo è legittima, ma è, anzi, doverosa per la Pubblica Amministrazione. L’atto di determinazione del contributo, vincolato e non suscettibile di scostamenti rispetto alle previsioni normative, è solo una intermediazione aritmetica per la sua quantificazione.
Ne consegue che l’atto di nuova determinazione non può dirsi viziato da eccesso di potere sotto il profilo del difetto di motivazione e di indicazione degli interessi pubblici prevalenti. Il diritto del Comune all'ottenimento del contributo nella misura dovuta, così come il diritto del titolare del premesso di costruire al rimborso del contributo versato in eccesso, deriva, infatti, direttamente dai parametri oggettivi e non dall’atto di determinazione.
...
11. – Per tutto quanto esposto il ricorso deve essere respinto (TAR Puglia-Bari, Sez. III, sentenza 21.02.2018 n. 254 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Pagamento degli oneri di urbanizzazione.
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Edilizia – Oneri di urbanizzazione – Pagamento – Giorno di scadenza che cade di sabato – Proroga al lunedì successivo – Esclusione.
  
Edilizia – Oneri di urbanizzazione – Pagamento tardivo – Riscossione delle sanzioni - Procedimento di imposizione coattiva – Obbligo – Esclusione.
  
Edilizia – Oneri di urbanizzazione – Pagamento – Interruzione della prescrizione – Presupposti – Individuazione.
  
Edilizia – Oneri di costruzione – Pagamento rateale – Sanzioni – Omessa escussione garanzia fidejussoria – Irrilevanza ex se.
  
La disciplina che considera il sabato come festivo al fine della proroga dei termini di scadenza non può essere applicata anche ai termini per il pagamento delle somme dovute per gli oneri di urbanizzazione (1).
  
Per la riscossione delle sanzioni relative al ritardato pagamento degli oneri di urbanizzazione previsti dall’art. 42, d.P.R. 06.06.2001, n. 380 il Comune non è obbligato a valersi del procedimento di imposizione coattiva stabilito dal successivo art. 43, ma può avvalersi delle normali azioni previste per l’esecuzione delle obbligazioni, tra cui la procedura di ingiunzione di cui all'art. 118 c.p.a..
  
Affinché un atto abbia efficacia interruttiva della prescrizione delle somme dovute a titolo di oneri di urbanizzazione, è necessario che esso contenga l'esplicitazione di una precisa pretesa e l'intimazione o la richiesta di adempimento, idonea a manifestare l'inequivocabile volontà del titolare del credito di far valere il proprio diritto nei confronti del soggetto obbligato con l'effetto sostanziale di costituirlo in mora, senza che sia necessario l'uso di formule solenni o l'osservanza di particolari adempimenti.
  
Un'amministrazione comunale ha il pieno potere di applicare, nei confronti dell'intestatario di un titolo edilizio, la sanzione pecuniaria prescritta dalla legge per il caso di ritardo ovvero di omesso pagamento degli oneri relativi al contributo di costruzione anche ove, in caso di pagamento dilazionato di detto contributo, abbia omesso di escutere la garanzia fideiussoria in esito alla infruttuosa scadenza dei singoli ratei di pagamento ovvero abbia comunque omesso di svolgere attività sollecitatoria del pagamento presso il debitore principale (2).
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   (1) Il Tar ha chiarito il sabato non è giorno festivo e la norma dell’art. 155 c.p.c., che ad esso lo equipara a certi effetti, ha come suo ambito di applicazione gli atti processuali, così come all’ambito degli atti processuali è rivolta l’analoga norma dell’art. 52, comma 5, c.p.a. che anch’essa applica la proroga ai termini che scadono nella giornata di sabato.
Il Tar ha affermato di non ignorare che la giurisprudenza ha applicato la medesima norma anche ai termini del procedimento amministrativo considerando prorogato al giorno successivo (anzi al lunedì) il termine per il compimento di un atto procedimentale in scadenza di sabato (Cons. St., sez. VI, 07.09.2012, n. 4752).
Tuttavia l’equiparazione del sabato a giorno festivo non ha carattere generale ma è limitata ai suddetti ambiti, come peraltro si deduce anche da quelle pronunce secondo cui l'equiparazione del sabato ai giorni festivi opera al solo fine del compimento degli atti processuali svolti fuori dell'udienza che scadono di sabato, onde consentire agli avvocati di procedere il successivo lunedì ai relativi adempimenti; a tutti gli altri effetti il sabato è considerato giorno lavorativo, anche per quanto attiene alle attività di ufficiali giudiziari e di addetti agli uffici ricorsi, come dispone espressamente l'art. 155 c.p.c., applicabile al processo amministrativo ex art. 52, comma 5, c.p.a..
Tanto è vero che questa regola vale solo per i termini che si calcolano in avanti, e non anche per i termini che si calcolano a ritroso; infatti l'art. 52, comma 5, c.p.a. estende al sabato solo la "proroga di cui al comma 3", ossia la proroga dei giorni che scadono di giorno festivo, e dunque non anche il meccanismo di anticipazione di cui al co. 4; ne consegue che se un termine a ritroso scade di sabato, esso non va anticipato al venerdì, così come se il termine a ritroso scade di domenica, va anticipato al sabato e non al venerdì (Cons. St., sez V, 31.05.2011, n. 3252).
Data la premessa, la conseguenza è che l’equiparazione del sabato a giorno festivo, ai fini della proroga al giorno lavorativo successivo, non può applicarsi ai termini di scadenza dei pagamenti dovuti per le rate inerenti ai costi di costruzione e agli oneri di urbanizzazione, disciplinati dalle regole di scadenza delle obbligazioni civili, ovverosia dagli artt. 1187 e 2963 c.c. che, nel loro combinato disposto, prevedono la proroga per i soli termini in scadenza di giorno festivo, senza considerare il sabato a tale stregua.
   (2) Ha affermato il Tar –richiamando Cons. St., A.P., 07.12.2016, n. 24– che non può affermarsi l'esistenza di un onere collaborativo gravante sull’Amministrazione creditrice, desumibile dai principi generali in tema di correttezza e buona fede nei rapporti obbligatori di tipo civilistico o dal principio di leale collaborazione proprio dei rapporti intersoggettivi di diritto pubblico, consistente in un obbligo di pronta escussione della garanzia fideiussoria costituita a suo favore o di sollecitazione del pagamento presso il debitore principale.
Conseguentemente, nulla osta all'applicazione, nei confronti dell'intestatario del titolo edilizio, delle sanzioni pecuniarie previste dalla legge per il caso di ritardato od omesso pagamento di oneri di costruzione e urbanizzazione (
TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, sentenza 01.02.2018 n. 710 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).
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MASSIMA
2) Infondato si presenta il primo motivo di ricorso, inerente alle somme dovute a titolo di ritardo nel pagamento e, nello specifico, ai pagamenti della II rata di costruzione in scadenza il 02.7.2011, della I rata degli oneri di urbanizzazione in scadenza il 02.01.2010, e della IV rata degli oneri di urbanizzazione in scadenza il 02.07.2011, risultati essere stati effettuati in ritardo di due giorni.
Parte ricorrente ha dedotto in proposito l’assenza del ritardo, in quanto la scadenza di pagamento coincideva con il sabato e, in quanto tale, sarebbe dovuta intendersi come prorogata al lunedì (giorno di effettuazione del pagamento).
Al riguardo parte ricorrente ha sostanzialmente dedotto che l'art. 2963 c.c. prescrive “Se il termine scade in giorno festivo, è prorogato di diritto al giorno seguente non festivo”; l'art. 1187 c.c. stabilisce che “il termine fissato per l'adempimento delle obbligazioni è computato secondo le disposizioni dell'articolo 2963” e che “La disposizione relativa alla proroga del termine che scade in giorno festivo si osserva se non vi sono usi diversi”; infine l'art. 155 c.p.c. include il sabato tra i giorni festivi.
La disciplina che considera il sabato come festivo al fine della proroga dei termini di scadenza andrebbe applicato, secondo parte ricorrente, anche ai termini per il pagamento delle somme dovute per gli oneri di urbanizzazione.
Il Collegio rileva come sia indubbiamente corretto che, in caso di scadenza di un termine in giorno festivo, la sua proroga al successivo giorno non festivo rappresenti un principio di carattere generale, disciplinato dalla vigente legislazione. Infatti, la previsione, d'ordine generale, della suesposta proroga è contenuta nel secondo e terzo comma dell'art. 2963 c.c. che stabilisce, con riferimento alle modalità di computo del termine di prescrizione, che: "non si computa il giorno nel corso del quale cade il momento iniziale del termine e la prescrizione si verifica con lo spirare dell'ultimo istante del giorno finale. Se il termine scade in un giorno festivo, è prorogato di diritto al giorno seguente non festivo".
Il principio della posticipazione ipso iure al primo giorno seguente non festivo è, altresì, evidenziato dall'art. 1187 c.c., in tema di obbligazioni, che sancisce, al secondo comma, che "la disposizione relativa alla proroga del termine che scade in giorno festivo si osserva se non vi sono usi diversi" e dall'art. 155, commi terzo e quarto, c.p.c. secondo cui "i giorni festivi si computano nel termine. Se il giorno di scadenza è festivo, la scadenza è prorogata di diritto al primo giorno seguente non festivo"
(Cons. Stato Sez. VI, 07.09.2012, n. 4752), nonché dall’art. 52, comma 3, c.p.a. che prevede la proroga del giorno di scadenza festivo "al primo giorno seguente non festivo".
La questione da esaminare è tuttavia la pretesa equiparazione del sabato a giorno festivo.
Il sabato, difatti, non è giorno festivo e la norma dell’art. 155 c.p.c. che ad esso lo equipara a certi effetti ha come suo ambito di applicazione gli atti processuali, così come all’ambito degli atti processuali è rivolta l’analoga norma dell’art. 52, comma 5, c.p.a. che anch’essa applica la proroga ai termini che scadono nella giornata di sabato. Il Collegio non ignora che la giurisprudenza ha applicato la medesima norma anche ai termini del procedimento amministrativo considerando prorogato al giorno successivo (anzi al lunedì) il termine per il compimento di un atto procedimentale in scadenza di sabato (Cons. Stato Sez. VI, 07.09.2012, n. 4752; Cons. Stato Sez. V, 04.03.2008, n. 824).
Tuttavia l’equiparazione del sabato a giorno festivo non ha carattere generale ma è limitata ai suddetti ambiti, come peraltro si deduce anche da quelle pronunce secondo cui l'equiparazione del sabato ai giorni festivi opera al solo fine del compimento degli atti processuali svolti fuori dell'udienza che scadono di sabato, onde consentire agli avvocati di procedere il successivo lunedì ai relativi adempimenti; a tutti gli altri effetti il sabato è considerato giorno lavorativo, anche per quanto attiene alle attività di ufficiali giudiziari e di addetti agli uffici ricorsi, come dispone espressamente l'art. 155 c.p.c., applicabile al processo amministrativo ex art. 52, comma 5, c.p.a.
Tanto è vero che questa regola vale solo per i termini che si calcolano in avanti, e non anche per i termini che si calcolano a ritroso; infatti l'art. 52, co. 5, c.p.a. estende al sabato solo la "proroga di cui al comma 3", ossia la proroga dei giorni che scadono di giorno festivo, e dunque non anche il meccanismo di anticipazione di cui al co. 4; ne consegue che se un termine a ritroso scade di sabato, esso non va anticipato al venerdì, così come se il termine a ritroso scade di domenica, va anticipato al sabato e non al venerdì (Cons. Stato Sez. V, 31.05.2011, n. 3252).
Il Collegio ritiene, quindi, che l’equiparazione del sabato a giorno festivo, ai fini della proroga al giorno lavorativo successivo, non possa applicarsi ai termini di scadenza dei pagamenti in esame dovuti per le rate inerenti ai costi di costruzione e agli oneri di urbanizzazione, regolati in base alle regole di scadenza delle obbligazioni civili, ovverosia dagli artt. 1187 e 2963 c.c. che, nel loro combinato disposto, prevedono la proroga per i soli termini in scadenza di giorno festivo, senza considerare il sabato a tale stregua.
...
5) Con il quarto motivo di ricorso la parte opponente ha fatto presente la circostanza che era stata rilasciata una garanzia per l’adempimento del debito in esame e che il Comune non avrebbe potuto chiedere il pagamento delle sanzioni non avendo proceduto alla previa escussione dell’indicata garanzia fideiussoria.
Il motivo è infondato.
Il pagamento degli oneri concessori ha natura di prestazione patrimoniale imposta, di carattere non tributario. Il relativo sistema di pagamento è caratterizzato da uno strumento a sanzioni crescenti sino al limite di importo individuato dalla lett. c), dell' art. 42 D.P.R. n. 380 del 2001, con chiara funzione di deterrenza dell'inadempimento, che trova applicazione, in base alla legge, al verificarsi dell'inadempimento dell'obbligato principale. La sanzione scatta automaticamente, quale effetto legale automatico (Cons. Stato, sez. V, n. 5394 del 2011), se l'importo dovuto per il contributo di costruzione non è corrisposto alla scadenza; mentre è sfornita di base normativa ogni opzione interpretativa che correli il potere sanzionatorio del Comune al previo esercizio dell'onere di sollecitazione del pagamento presso il debitore principale, ovvero presso il fideiussore. Solo eventuale, infatti, può essere la parallela garanzia prestata per l'adempimento del debito principale.
In tale sistema,
l'amministrazione comunale, allo scadere del termine originario di pagamento della rata, ha solo la facoltà di escutere immediatamente il fideiussore onde ottenere il soddisfacimento del suo credito; ma ove ciò non accada, l'amministrazione avrà comunque il dovere/potere di sanzionare il ritardo nel pagamento con la maggiorazione del contributo a percentuali crescenti all'aumentare del ritardo. E, solo alla scadenza di tutti termini fissati al debitore per l'adempimento (e quindi dopo aver applicato le massime maggiorazioni di legge), l'amministrazione avrà il potere di agire nelle forme della riscossione coattiva del credito nei confronti del debitore principale (art. 43, D.P.R. n. 380 del 2001).
L'amministrazione, se pure non è impedita dallo svolgere attività sollecitatoria dei pagamenti in occasione delle scadenze dei termini intermedi cui sono correlati gli aumenti percentuali del contributo, è facultata ad attendere il volontario pagamento da parte del debitore (e eventualmente del suo fideiussore), salvo in ogni caso restando il suo potere-dovere di applicare le sanzioni di legge per il ritardato pagamento.
Il potere di sanzionare il pagamento tardivo, in definitiva, è incondizionatamente previsto dall' art. 42 D.P.R. n. 380 del 2001 e la lettera della legge è chiara nell'assegnare all'amministrazione il potere/dovere di applicare le sanzioni al verificarsi di un unico presupposto fattuale, e cioè il ritardo nel pagamento da parte dell'intestatario del titolo edilizio, o di chi gli sia subentrato secundum legem.
In definitiva, seguendo l’insegnamento dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (Ad. Plen. 07.12.2016, n. 24)
un'amministrazione comunale ha il pieno potere di applicare, nei confronti dell'intestatario di un titolo edilizio, la sanzione pecuniaria prescritta dalla legge per il caso di ritardo ovvero di omesso pagamento degli oneri relativi al contributo di costruzione anche ove, in caso di pagamento dilazionato di detto contributo, abbia omesso di escutere la garanzia fideiussoria in esito alla infruttuosa scadenza dei singoli ratei di pagamento ovvero abbia comunque omesso di svolgere attività sollecitatoria del pagamento presso il debitore principale.
Non può affermarsi l'esistenza di un onere collaborativo gravante sulla Amministrazione creditrice, desumibile dai principi generali in tema di correttezza e buona fede nei rapporti obbligatori di tipo civilistico o dal principio di leale collaborazione proprio dei rapporti intersoggettivi di diritto pubblico, consistente in un obbligo di pronta escussione della garanzia fideiussoria costituita a suo favore o di sollecitazione del pagamento presso il debitore principale. Conseguentemente, nulla osta all'applicazione, nei confronti dell'intestatario del titolo edilizio, delle sanzioni pecuniarie previste dalla legge per il caso di ritardato od omesso pagamento di oneri di costruzione e urbanizzazione.

gennaio 2018

EDILIZIA PRIVATA: Solo con la volturazione del titolo edilizio, concordata con l’amministrazione, il precedente titolare del bene può essere liberato dal pagamento degli oneri concessori.
Il contributo di costruzione, quale prestazione patrimoniale imposta funzionale a remunerare l’esecuzione di opere pubbliche, si colloca pacificamente nell’alveo dei rapporti di diritto pubblico, anche se ha ad oggetto un obbligo pecuniario ripartito in due quote, commisurate rispettivamente all’incidenza delle spese di urbanizzazione (oneri di urbanizzazione) e al costo di costruzione dell’edificio assentito.
La norma definisce presupposti legali determinati per l’esercizio del potere di riscossione, nella fase fisiologica, e del potere sanzionatorio, nell’ipotesi in cui il privato non adempia all’obbligo: il mancato pagamento infatti legittima –ed obbliga secondo il principio di doverosità cui si conforma l’esercizio del potere quando si realizzano i presupposti previsti dalla fattispecie- l’amministrazione all’applicazione di sanzioni pecuniarie crescenti in rapporto all’entità del ritardo (art. 42 d.P.R. cit.) e, in caso di persistenza dell’inadempimento, alla riscossione del contributo e delle sanzioni secondo le norme vigenti in materia di riscossione coattiva delle entrate (art. 43 d.P.R. cit.).

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Il permesso di costruire è stato rilasciato in favore della ricorrente e la norma individua in capo al “titolare” del permesso il soggetto obbligato all’adempimento della prestazione pecuniaria.
I trasferimenti della proprietà del bene su cui incide l’attività edilizia assentita non hanno efficacia nel rapporto pubblicistico che sorge per effetto del rilascio del provvedimento di assenso, salvo che non vi sia una novazione soggettiva, come tale però concordata con l’amministrazione.
Invero, “L'originario titolare di un permesso di costruire può liberarsi dagli obblighi connessi al titolo, nel caso in cui alieni il terreno da edificare —ovvero l'edificio in costruzione— cedendo il titolo edilizio mediante apposita volturazione. Con tale atto, il Comune autorizza l'acquirente a subentrare nella titolarità del permesso di costruire e nello stesso tempo accetta l'accollo degli oneri concessori da parte dell'acquirente stesso, con liberazione del precedente titolare”.
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Il giudizio verte sulla legittimità dell’atto prot. 41783 del 22.09.2010 col quale il Comune di Vibo Valentia ha ingiunto alla ricorrente il pagamento della somma ivi indicata, corrispondente al mancato pagamento delle rate relative ai contributi per oneri di urbanizzazione e per costi di costruzione, dovuti in forza del permesso di costruire rilasciato in favore dell’interessata e alla maggiorazione dovuta per la penale di cui all’art. 42 DPR 380/2001.
La ricorrente deduce l’illegittimità dell’atto per:
   a) il difetto di legittimazione passiva della ricorrente, poiché il terreno su cui si sarebbero dovuti realizzare le opere oggetto di permesso di costruire sono stati ceduti ad un terzo, chiedendo al Comune la voltura dell’atto di assenso (richiesta però mai riscontrata dal Comune);
   b) la causa di forza maggiore che ha impedito l’assolvimento degli obblighi pecuniari, consistente in provvedimenti di sequestro penale delle aree.
...
Il ricorso è infondato.
Non è in contestazione l’inadempimento delle prestazioni patrimoniali che la normativa edilizia pone in capo al beneficiario del permesso di costruire, in ossequio al principio di onerosità che regge la disciplina autorizzatoria delle attività comportanti la trasformazione urbanistico-edilizia del territorio (art. 11, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001.
Come anche da ultimo precisato, il contributo di costruzione, quale prestazione patrimoniale imposta funzionale a remunerare l’esecuzione di opere pubbliche, si colloca pacificamente nell’alveo dei rapporti di diritto pubblico, anche se ha ad oggetto un obbligo pecuniario ripartito in due quote, commisurate rispettivamente all’incidenza delle spese di urbanizzazione (oneri di urbanizzazione) e al costo di costruzione dell’edificio assentito.
La norma definisce presupposti legali determinati per l’esercizio del potere di riscossione, nella fase fisiologica, e del potere sanzionatorio, nell’ipotesi in cui il privato non adempia all’obbligo: il mancato pagamento infatti legittima –ed obbliga secondo il principio di doverosità cui si conforma l’esercizio del potere quando si realizzano i presupposti previsti dalla fattispecie- l’amministrazione all’applicazione di sanzioni pecuniarie crescenti in rapporto all’entità del ritardo (art. 42 d.P.R. cit.) e, in caso di persistenza dell’inadempimento, alla riscossione del contributo e delle sanzioni secondo le norme vigenti in materia di riscossione coattiva delle entrate (art. 43 d.P.R. cit.).
Alla luce di tale assetto normativo nessuna delle censure sollevate dal ricorrente è condivisibile.
Il permesso di costruire è stato rilasciato in favore della ricorrente e la norma individua in capo al “titolare” del permesso il soggetto obbligato all’adempimento della prestazione pecuniaria; i trasferimenti della proprietà del bene su cui incide l’attività edilizia assentita non hanno efficacia nel rapporto pubblicistico che sorge per effetto del rilascio del provvedimento di assenso, salvo che non vi sia una novazione soggettiva, come tale però concordata con l’amministrazione (TAR Toscana, Sez. III, 12.03.2014 n. 493, ivi, il TAR Molise, 25.07.2012 n. 27 “L'originario titolare di un permesso di costruire può liberarsi dagli obblighi connessi al titolo, nel caso in cui alieni il terreno da edificare —ovvero l'edificio in costruzione— cedendo il titolo edilizio mediante apposita volturazione. Con tale atto, il Comune autorizza l'acquirente a subentrare nella titolarità del permesso di costruire e nello stesso tempo accetta l'accollo degli oneri concessori da parte dell'acquirente stesso, con liberazione del precedente titolare”).
Nel caso di specie è lo stesso ricorrente ad affermare che l’istanza di “voltura” del titolo non ha avuto alcun riscontro positivo da parte dell’amministrazione.
Quanto alla impossibilità di adempimento, essa, trattandosi di un debito pecuniario, non è configurabile tale causa di estinzione dell’obbligazione pecuniaria, ravvisata, secondo la prospettazione del ricorrente, in una mera “difficoltà finanziaria” o nella limitazione del potere di disposizione del bene immobile cui si riferisce l’attività edilizia.
In conclusione il ricorso va pertanto rigettato (TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I, sentenza 29.01.2018 n. 277 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

dicembre 2017

EDILIZIA PRIVATA: Dal 2018, gli “oneri di urbanizzazione” cesseranno di essere un’entrata genericamente destinata a investimenti, per tornare a essere un'entrata vincolata per legge, con tutte le conseguenze del caso.
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Il sindaco della Città di Segrate (MI) ha richiesto alla Sezione un parere sulla possibilità di utilizzare negli esercizi 2018 e 2019 quota dei proventi derivanti da “oneri di urbanizzazione” e “monetizzazione di aree a standards”, per l’estinzione anticipata di mutui, assunti in precedenza, esclusivamente, per il finanziamento di spese d’investimento finalizzate alla realizzazione di opere di urbanizzazione primaria e secondaria, al fine di sostenere il piano di riequilibrio (Piano) richiesto dal comune.
A tale scopo ha precisato nella richiesta che, nell’ambito del Piano il comune intende attuare, nel corso degli esercizi 2018 e 2019, “una significativa operazione di riduzione del debito residuo” (mutui in corso di ammortamento assunti precedentemente con istituti bancari per la realizzazione di opere pubbliche), per “l’alleggerimento della rigidità strutturale del bilancio”.
L’ammontare di proventi che si propone di impiegare a tale fine è di 10 milioni con riferimento agli oneri di urbanizzazione (2018 e 2019) e 4 milioni in relazione alla “monetizzazione di aree a standards” (2018). Si esclude esplicitamente il finanziamento con questi proventi “dell’indennizzo dovuto all’istituto mutuante a fronte del recesso anticipato del contratto”.
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Con specifico riferimento alla richiesta oggetto la presente pronuncia, non può essere, in pendenza dell’esame del Piano di riequilibrio, essere considerata ammissibile, pur presentando profili sostanziali che meritano di essere considerati.
In tal senso, ferme restando le ragioni dell'inammissibilità del quesito sotto il profilo oggettivo, a ogni buon conto questa Sezione ricorda che
la questione dell’utilizzazione dei proventi dei cosiddetti oneri di urbanizzazione e relative sanzioni è stata ripetutamente scandagliata da questa Corte (si richiamano in particolare il parere 09.02.2016 n. 38 ed il parere 23.03.2017 n. 81 di questa Sezione), dal cui esame è possibile ricostruire il complesso quadro normativo. Il quesito richiama espressamente l’art. 4 della legge 847 del 1964 (urbanizzazione primaria) e l’art. 44 della legge 865 del 1971 (urbanizzazione secondaria).
Come si evince dalla richiesta di parere, di questi mutui, assunti per eseguire gli investimenti di cui al punto precedente e in questo momento in fase di ammortamento, il comune vorrebbe, per un ammontare complessivo pari a 14 milioni di euro, operare un’estinzione anticipata, utilizzando quota equivalente di proventi derivanti da oneri di urbanizzazione e da monetizzazione di aree a standard.
Un aspetto rilevante del quesito attiene quindi al grado di libertà che l’ordinamento vigente consente al comune nell’impiego di queste risorse.
Il legislatore, come rileva anche il comune nella nota di richiesta del parere, è intervenuto di recente sul punto, con l’art. 1, commi 460 e 461, della legge 232 del 2016 (legge di bilancio 2017), che prescrive la destinazione esclusiva e senza vincoli temporali (dal 01.01.2018) dei “proventi dei titoli abitativi edilizi e delle sanzioni previste” a specifiche fattispecie dallo stesso indicate.
Con la legge richiamata (comma 460)
è stato ripristinato uno stringente vincolo di destinazione, dal 2018, per “i proventi dei titoli abilitativi edilizi e delle sanzioni previste dal testo unico sull’edilizia” (DPR 380 del 2001), che “sono destinati esclusivamente e senza vincoli temporali alla realizzazione e alla manutenzione ordinaria e straordinaria delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria, al risanamento di complessi edilizi compresi nei centri storici e nelle periferie degradate, a interventi di riuso e di rigenerazione, a interventi di demolizione di costruzioni abusive, all’acquisizione e alla realizzazione di aree verdi destinate a uso pubblico, a interventi di tutela e riqualificazione dell’ambiente e del paesaggio, anche ai fini della prevenzione e della mitigazione del rischio idrogeologico e sismico e della tutela e riqualificazione del patrimonio rurale pubblico, nonché a interventi volti a favorire l’insediamento di attività di agricoltura nell’ambito urbano”.
Da ultimo, con il decreto legge 148 del 2017 (decreto fiscale collegato alla manovra di bilancio per il 2018)
il legislatore è nuovamente intervenuto sul punto, integrando le fattispecie previste nel comma 460 con le “spese di progettazione per opere pubbliche".
La richiamata norma inserita nella legge di bilancio per il 2017, indica, dopo la modifica del decreto legge 148 del 2017, otto fattispecie esplicitamente individuate, cui destinare “esclusivamente e senza vincoli temporali” i proventi “dei titoli abitativi edilizi e delle sanzioni”.
Si reintroduce quindi, con il richiamato comma 460 della legge di bilancio per il 2017, un vincolo di destinazione dell'entrata ritornando, in pratica, alla logica dell’originaria legge 10 del 1977 (cosiddetta legge Bucalossi). Dal 2018, gli “oneri di urbanizzazione” cesseranno di essere un’entrata genericamente destinata a investimenti, per tornare a essere un'entrata vincolata per legge, con tutte le conseguenze del caso, come rilevato nel parere 23.03.2017 n. 81 di questa sezione.
Se da un lato il vincolo introdotto, esclusivo e permanente, non sembra consentire impiego diverso, non si possono non richiamare le molteplici analogie tra le fattispecie richiamate nel citato comma 460 e l’oggetto stesso dei mutui, contratti per il finanziamento di spese d’investimento finalizzate alla realizzazione di opere di urbanizzazione primaria e secondaria.
Inoltre, sotto un diverso profilo non si può non rilevare che l’impiego di entrate per la riduzione di spese della medesima natura, sia per il titolo (entrate in conto capitale contro spese in conto capitale), sia per la durata (entrate temporanee contro spese temporanee) contrasta con la tendenza alla dequalificazione della spesa che la Corte ha più volte rilevato in senso negativo (v. fra le ultime, sul punto, le deliberazioni nn. 382/2015/PRSE; 360/2015/PRSE; 160/2015/PRSE; 155/2015/PRSE; 152/2015/PRSE).
Nella stessa direzione si muove il richiamo alla deliberazione n. 317/2011/PAR sezione Lombardia sul rimborso del recesso anticipato, di cui si esclude, seguendo le indicazioni della Corte, la contabilizzazione nel titolo III.
Il divieto di utilizzare la riduzione di spese in conto capitale per alimentare corrispondentemente spese correnti (e, specularmente, l’utilizzo di entrate in conto capitale per sostenere spese correnti) trova la sua ratio nell’esigenza di non peggiorare il risparmio pubblico (risultato differenziale tra entrate correnti e spese correnti), mentre, com’è noto, tali spostamenti non producono effetti sul saldo netto da finanziare (risultato differenziale tra entrate e spese finali).
Nel senso di evitare la dequalificazione della spesa è anche il richiamo all’art. 1, comma 443, della legge 228 del 2012 (legge di stabilità per il 2013), che consente, in applicazione dell’art. 162, comma 6, del TUEL, la destinazione dei proventi da alienazione di beni patrimoniali disponibili, alla esclusiva copertura di spese d’investimento, ovvero, per la parte eccedente, alla riduzione del debito (la norma è richiamata in correlazione alla natura di entrata patrimoniale dei proventi da “monetizzazione di aree a standard”, classificata nel Titolo IV, entrate in conto capitale).
La necessità di sostenere il piano di riequilibrio attivato con deliberazione del consiglio comunale numero 1 del 13.02.2017, e successivamente approvato con deliberazione consiliare n. 19 del 12.05.2017 (e rettificato con successiva deliberazione n. 21 del 19/05/2017), attualmente in fase di istruttoria (Piano di riequilibrio 2017–2026), non può non far rilevare come la procedura di riequilibrio pluriennale si configura come “una terza fattispecie che si aggiunge” a quelle già previste dal TUEL, relative rispettivamente agli enti in condizioni strutturalmente deficitarie e a quelli in situazioni di dissesto finanziario.
In altre parole la situazione debitoria, cui il Piano deve fornire “una quantificazione veritiera e attendibile”, intesa in senso largo, nelle molteplici dimensioni assunte dallo squilibrio finanziario, diventa il punto cruciale sul quale focalizzare la governance finanziaria. Tutte le energie amministrative e contabili devono essere quindi spese, una volta valutati positivamente i presupposti, nel tentativo di evitare il dissesto, che diviene un percorso obbligato al verificarsi delle condizioni previste dall’art. 244 del TUEL.
Si rileva pertanto, in conclusione, la coesistenza di due problematiche, indotte, la prima, dalla legge di bilancio per il 2017, che reintroduce il vincolo di destinazione sugli “oneri di urbanizzazione”, e, la seconda, dalla normativa sul riequilibrio pluriennale (art. 243-bis del TUEL), finalizzata al superamento di una situazione di grave precarietà finanziaria (Corte dei Conti, Sez. controllo Lombardia, parere 20.12.2017 n. 372).

novembre 2017

EDILIZIA PRIVATA: L’acquirente dell’immobile che non utilizzi la concessione edilizia, non ponendo in essere alcuna attività edificatoria, non è tenuto al pagamento del contributo di costruzione dovuto dal titolare della concessione.
Il Consiglio di Stato si è da tempo espresso nel senso che legittimamente un comune richiede all'intestatario di una concessione edilizia il pagamento del contributo commisurato al costo di costruzione, a nulla rilevando che dopo il rilascio del titolo l'immobile sia stato alienato a terzi. E, analogamente, è stato ritenuto che ai fini del pagamento dei contributi di urbanizzazione risponde direttamente e per intero il titolare della concessione edilizia, essendo i successivi acquirenti estranei al rapporto che al riguardo si è instaurato col Comune.
L’indirizzo ha trovato anche ulteriori espressioni.
L'acquirente a titolo particolare di un fabbricato già realizzato, è stato detto, non è, in difetto di accollo, obbligato al pagamento degli oneri di urbanizzazione a suo tempo dovuti al momento del rilascio al venditore della relativa concessione edilizia, giusta le ordinarie regole della successione per cui le obbligazioni si trasmettono all'erede del debitore e non anche al predetto acquirente, e non essendo quest’ultimo titolare della concessione edilizia.
Invero, gli oneri relativi a una concessione edilizia vanno determinati, ai sensi dell'art. 11 l. 28.01.1977 n. 10, al momento del rilascio della concessione stessa, per cui non può essere tenuto al pagamento di detti oneri il soggetto che subentri nella concessione solo successivamente al suo rilascio.
E quando la giurisprudenza ha deciso nel senso opposto del debito dell’acquirente per gli oneri di urbanizzazione, ciò è avvenuto sul rilievo che l’obbligo di compiere le relative opere, originariamente assunto dai lottizzanti, fosse transitato quale obbligazione propter rem a carico del nuovo proprietario che chiedeva la singola concessione edilizia.
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La tematica è stata infine recentemente esaminata funditus in occasione della decisione della stessa Sez. V, 30.11.2011, n. 6333, con la quale sono state svolte le seguenti considerazioni: “L'art. 3 della l. n. 10 del 1977 stabilisce che la concessione edilizia comporta la corresponsione di un contributo commisurato all'incidenza delle spese di urbanizzazione e al costo di costruzione.
La più accreditata dottrina e la giurisprudenza hanno chiarito che il costo di costruzione è una prestazione patrimoniale di natura impositiva e trova la sua ratio nell'incremento patrimoniale che il titolare del permesso di costruire consegue in dipendenza dell'intervento edilizio.
Essa, pertanto, postula quale condizione di esigibilità la sussistenza di un titolo abilitativo valido ed efficace e la concreta fruizione del titolo da parte del concessionario, ovvero la effettiva attività di edificazione.
La causa giuridica del pagamento è, dunque, nella fruizione dell'atto abilitativo all'edificazione a mezzo della effettiva realizzazione dell'intervento assentito.
La suddetta natura trova conferma nella disposizione dell'art. 11 della l. n. 10 del 1977, applicabile ratione temporis e del vigente l'art. 16 del T.U. dell'edilizia, che stabiliscono che la quota di contributo per costo di costruzione, determinata al momento del rilascio della concessione, deve essere corrisposta in corso d'opera o comunque non oltre 60 giorni dall'ultimazione delle opere.
Ne consegue che il Pe., non avendo mai usufruito della concessione edilizia -dagli atti di causa emerge che non ha mai nemmeno ritirato il titolo, avendone chiesto la voltura in favore della società Ri.- non è soggetto obbligato per legge a pagare il contributo commisurato al costo di costruzione.
Quanto alla circostanza che il Pe. sia stato il soggetto che ha avviato, con istanza del 1977, il procedimento volto al rilascio della concessione edilizia, essa è del tutto irrilevante, non essendosi verificato in capo allo stesso il presupposto di esigibilità del suddetto onere, che è la fruizione del titolo e la materiale esecuzione delle opere, cui il titolo si riferisce.
D'altra parte, le obbligazioni per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione vanno trattate alla stregua di oneri reali, ovvero di obbligazioni propter rem che circolano con il bene cui accedono, sicché nel caso di trasferimento del bene, esse gravano sull'acquirente.
…Si è già detto che il rilascio e l'effettiva fruizione del titolo edilizio rappresentano i fatti costitutivi della fonte dell'obbligazione di pagamento del contributo di costruzione, sicché chi non ha utilizzato il titolo non assume la qualifica di soggetto obbligato e, quindi, nemmeno di soggetto coobbligato.”
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I principi così illustrati, che smentiscono che l’ambulatorietà dell’obbligazione in questione sia incondizionata e illimitata (come presupposto invece dal TAR), sono stati confermati anche dalla Corte di Cassazione.
La Corte, nel configurare l'obbligo del pagamento degli oneri di urbanizzazione come un’obbligazione propter rem, ha precisato, infatti, che verso il Comune ha gli stessi obblighi che gravavano sull’originario concessionarioanche “colui che realizza opere di trasformazione edilizia ed urbanistica, valendosi di concessione rilasciata al suo dante causa”.

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6 Tanto premesso, l’appello in esame merita accoglimento in ragione della fondatezza del suo assorbente primo motivo.
7 Con tale mezzo la società in epigrafe ripropone l’assunto che il pagamento dei contributi concessori gravava sulla precedente proprietaria dell’immobile in qualità di titolare della concessione stessa, nel mentre essa ricorrente, acquirente a titolare particolare, nemmeno attraverso l’atto di trasferimento del bene aveva assunto alcun obbligo circa i contributi ancora dovuti.
7a Il Tribunale ha disatteso la doglianza osservando, in sintesi:
   - innanzitutto, che la prevalente giurisprudenza, con riferimento tanto agli oneri di urbanizzazione quanto al costo di costruzione, ravvisa negli oneri concessori la natura di obbligazioni c.d. reali o propter rem, caratterizzate dalla stretta inerenza alla res e destinate a circolare unitamente ad essa con carattere di ambulatorietà, onde nel caso di trasferimento del bene le stesse si trasferiscono sull’acquirente;
   - in secondo luogo, che il decreto del Tribunale Civile di Trapani n. 52/2014 di trasferimento dell’immobile alla ricorrente puntualizzava che l’acquisto di tale bene sarebbe avvenuto “nello stato di fatto e di diritto in cui si trova, con pesi ed oneri non estinti”.
7b A tanto la ricorrente però obietta che secondo la giurisprudenza, in realtà, l’obbligo di pagare il contributo di concessione si atteggia come obbligazione propter rem, sì che l’adempimento possa essere preteso anche nei riguardi del terzo acquirente, solo allorché questi “valendosi della concessione edilizia realizza le opere che con essa sono state assentite”, e non anche quando da parte sua non vi sia alcuna fruizione dell’atto abilitativo.
L’appellante sostiene, quindi, che l’acquirente dell’immobile che non utilizzi la concessione, non ponendo in essere alcuna attività edificatoria (come appunto essa ricorrente, che aveva acquisito la struttura già ultimata), non sarebbe tenuto al pagamento del contributo dovuto dal titolare della concessione.
7c Orbene, quest’ultima impostazione è del tutto corretta e meritevole d’adesione.
Il Consiglio di Stato si è da tempo espresso nel senso che legittimamente un comune richiede all'intestatario di una concessione edilizia il pagamento del contributo commisurato al costo di costruzione, a nulla rilevando che dopo il rilascio del titolo l'immobile sia stato alienato a terzi (C.d.S., Sez. V, 13.12.1993, n. 1280). E, analogamente, è stato ritenuto che ai fini del pagamento dei contributi di urbanizzazione risponde direttamente e per intero il titolare della concessione edilizia, essendo i successivi acquirenti estranei al rapporto che al riguardo si è instaurato col Comune (C.d.S., Sez. V, 26.06.1996, n. 793).
L’indirizzo ha trovato anche ulteriori espressioni.
L'acquirente a titolo particolare di un fabbricato già realizzato, è stato detto, non è, in difetto di accollo, obbligato al pagamento degli oneri di urbanizzazione a suo tempo dovuti al momento del rilascio al venditore della relativa concessione edilizia, giusta le ordinarie regole della successione per cui le obbligazioni si trasmettono all'erede del debitore e non anche al predetto acquirente, e non essendo quest’ultimo titolare della concessione edilizia (Sez. V, 26.03.1996, n. 294; cfr. anche la decisione 17.09.2010 n. 6950 nel senso che gli oneri relativi a una concessione edilizia vanno determinati, ai sensi dell'art. 11 l. 28.01.1977 n. 10, al momento del rilascio della concessione stessa, per cui non può essere tenuto al pagamento di detti oneri il soggetto che subentri nella concessione solo successivamente al suo rilascio).
E quando la giurisprudenza ha deciso nel senso opposto del debito dell’acquirente per gli oneri di urbanizzazione, ciò è avvenuto sul rilievo che l’obbligo di compiere le relative opere, originariamente assunto dai lottizzanti, fosse transitato quale obbligazione propter rem a carico del nuovo proprietario che chiedeva la singola concessione edilizia (C.d.S, Sez. V, 15.05.2001, n. 2699)
La tematica è stata infine recentemente esaminata funditus in occasione della decisione della stessa Sez. V, 30.11.2011, n. 6333, con la quale sono state svolte le seguenti considerazioni.
L'art. 3 della l. n. 10 del 1977 stabilisce che la concessione edilizia comporta la corresponsione di un contributo commisurato all'incidenza delle spese di urbanizzazione e al costo di costruzione.
La più accreditata dottrina e la giurisprudenza hanno chiarito che il costo di costruzione è una prestazione patrimoniale di natura impositiva e trova la sua ratio nell'incremento patrimoniale che il titolare del permesso di costruire consegue in dipendenza dell'intervento edilizio.
Essa, pertanto, postula quale condizione di esigibilità la sussistenza di un titolo abilitativo valido ed efficace e la concreta fruizione del titolo da parte del concessionario, ovvero la effettiva attività di edificazione.
La causa giuridica del pagamento è, dunque, nella fruizione dell'atto abilitativo all'edificazione a mezzo della effettiva realizzazione dell'intervento assentito (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. IV, 16.01.2009, n. 218).
La suddetta natura trova conferma nella disposizione dell'art. 11 della l. n. 10 del 1977, applicabile ratione temporis e del vigente l'art. 16 del T.U. dell'edilizia, che stabiliscono che la quota di contributo per costo di costruzione, determinata al momento del rilascio della concessione, deve essere corrisposta in corso d'opera o comunque non oltre 60 giorni dall'ultimazione delle opere.
Ne consegue che il Pe., non avendo mai usufruito della concessione edilizia -dagli atti di causa emerge che non ha mai nemmeno ritirato il titolo, avendone chiesto la voltura in favore della società Ri.- non è soggetto obbligato per legge a pagare il contributo commisurato al costo di costruzione.
Quanto alla circostanza che il Pe. sia stato il soggetto che ha avviato, con istanza del 1977, il procedimento volto al rilascio della concessione edilizia, essa è del tutto irrilevante, non essendosi verificato in capo allo stesso il presupposto di esigibilità del suddetto onere, che è la fruizione del titolo e la materiale esecuzione delle opere, cui il titolo si riferisce.
D'altra parte, le obbligazioni per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione vanno trattate alla stregua di oneri reali, ovvero di obbligazioni propter rem che circolano con il bene cui accedono, sicché nel caso di trasferimento del bene, esse gravano sull'acquirente.
…Si è già detto che il rilascio e l'effettiva fruizione del titolo edilizio rappresentano i fatti costitutivi della fonte dell'obbligazione di pagamento del contributo di costruzione, sicché chi non ha utilizzato il titolo non assume la qualifica di soggetto obbligato e, quindi, nemmeno di soggetto coobbligato
.”
I principi così illustrati, che smentiscono che l’ambulatorietà dell’obbligazione in questione sia incondizionata e illimitata (come presupposto invece dal TAR), sono stati confermati anche dalla Corte di Cassazione.
La Corte, nel configurare l'obbligo del pagamento degli oneri di urbanizzazione come un’obbligazione propter rem, ha precisato, infatti, che verso il Comune ha gli stessi obblighi che gravavano sull’originario concessionario anche “colui che realizza opere di trasformazione edilizia ed urbanistica, valendosi di concessione rilasciata al suo dante causa” (così Cass. civ., Sez. III, 17.06.1996, n. 5541; in senso conforme Sez. II, 27.08.2002, n. 12571).
7d Dai principi esposti consegue, dunque, che il Comune di San Vito Lo Capo non aveva titolo per pretendere il pagamento dei contributi oggetto di causa dall’attuale ricorrente.
La s.r.l. SO. & SO. aveva acquistato una struttura immobiliare già completata (tanto da essere munita sin dal 2006 anche dell’agibilità), e pertanto, non avendo essa realizzato opere di trasformazione edilizia, non aveva avuto alcuna effettiva fruizione della concessione.
7e Né giova al Comune opporre la clausola del decreto n. 52/2014 per cui il trasferimento dell’immobile era avvenuto “nella stato di fatto e di diritto in cui si trova, con pesi ed oneri non estinti”: astratta clausola di stile che, come tale, non poteva assurgere a fonte autonoma di obbligazione, a carico del terzo acquirente, fuori dei casi in cui la legge ne imponeva la successione nel debito.
Come neppure vale richiamarsi al riconoscimento di debito che si vorrebbe insito nell’istanza del 22.04.2015 con la quale la società aveva inizialmente chiesto di poter versare gli oneri in discorso semestralmente. L’accertamento, sopra compiuto, dell’insussistenza della posizione debitoria della ricorrente comporterebbe comunque, infatti, il superamento della presunzione meramente relativa contemplata dall’art. 1998 cod.civ..
8 In conclusione, la fondatezza del primo motivo d’appello, di valenza assorbente, impone senz’altro l’accoglimento della presente impugnativa (C.G.A.R.S., sentenza 03.11.2017 n. 471 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

settembre 2017

EDILIZIA PRIVATA: Sulla rettifica (in più) della misura del contributo di costruzione erroneamente quantificato, quale attività –purché svolta entro il termine di prescrizione decennale- non solo legittima ma anzi doverosa per la Pubblica Amministrazione.
Sul piano normativo, occorre ricordare che le controversie in tema di determinazione della misura dei contributi edilizi concernono l'accertamento di diritti soggettivi che traggono origine direttamente da fonti normative, per cui sono proponibili, a prescindere dall'impugnazione di provvedimenti dell'amministrazione, nel termine di prescrizione.
Più in particolare, la giurisprudenza amministrativa, ha già avuto modo di affrontare la questione della rideterminazione degli oneri concessori da parte dell’amministrazione, con considerazioni che si intendono ribadire nella presente sede.
Si è, infatti, affermato:
   a) è infondata la tesi secondo la quale “(a pretesa tutela della buona fede e dell'affidamento riposto dal privato nella più risalente determinazione degli oneri adottata dall'amministrazione appellata) sarebbe preclusa la rideterminazione degli oneri concessori da parte dell'amministrazione comunale se non nella ipotesi di meri errori di calcolo ictu oculi percepibili, a tutela dell'affidamento in buona fede riposto dal privato nella quantificazione operata in sede di prima determinazione”;
   b) “la natura paritetica dell'atto di determinazione consente che l'Amministrazione possa apportarvi rettifiche (sia in favore del privato che in senso contrario), purché ciò avvenga nei limiti della prescrizione del relativo diritto di credito” e ciò in quanto “il computo degli oneri di urbanizzazione non è attività autoritativa e la contestazione sulla relativa corresponsione è proponibile nel termine di prescrizione decennale a prescindere dall'impugnazione dei provvedimenti adottati o dal sollecito a provvedere in via di autotutela. Trattasi infatti, nel caso di specie, di una determinazione che "obbedisce" a prescrizioni desumibili da tabelle, in ordine alla quale l'amministrazione comunale si limita ad applicare i detti parametri, (conseguentemente per la stessa rivestenti natura cogente) laddove è esclusa qualsivoglia discrezionalità applicativa”;
   c) “la pariteticità dell'atto e l'assenza di discrezionalità ne legittima o addirittura ne impone la revisione ove affetta da errore, con il solo limite della maturata prescrizione del credito). La originaria determinazione, pertanto, può essere sempre rivisitata, ove la si assuma affetta da errore (e fermo restando la necessità che detta originaria erroneità della determinazione iniziale sussista effettivamente), e ciò sia laddove essa abbia indicato un importo inferiore al dovuto, che laddove abbia quantificato un importo superiore e, pertanto, non dovuto”.
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Nel caso di specie, il Comune, rilevato di aver provveduto a calcolare l’importo dovuto quale contributo per il costo di costruzione per il permesso di costruire “senza tener conto della normativa regionale in vigore al momento del rilascio del titolo abilitativo” ha provveduto a rideterminare l’importo dovuto, facendo applicazione della normativa innanzi citata.
Sicché, nella fattispecie non vi è stata alcuna attività di adeguamento/integrazione del contributo in momento successivo al rilascio del titolo (il che integrerebbe, ove fosse, una violazione dell’art. 16 DPR n. 380/2001), ma solo una rettifica della misura del contributo, riportandolo a quanto effettivamente dovuto sulla base di già adottate e vigenti disposizioni regionali.
E tale attività, alla luce di quanto innanzi esposto –purché svolta entro il termine di prescrizione decennale- non solo è legittima, ma è, anzi, doverosa per la Pubblica Amministrazione.
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... per la riforma della sentenza 01.03.2016 n. 404 del TAR PUGLIA - SEZ. STACCATA DI LECCE: SEZ. III, resa tra le parti, concernente rettifica ammontare del contributo a titolo di costo di costruzione per il rilascio del permesso di costruire.
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1. Con l’appello in esame, il Comune di Arnesano impugna la sentenza 01.03.2016 n. 404, con la quale il TAR per la Puglia, Sez. III della sede di Lecce ha accolto il ricorso proposto dalla società Me. s.r.l. ed ha annullato la nota del Responsabile Settore servizi tecnici 23.02.2014 n. 7259, recante la rettifica dell’ammontare del contributo correlato al costo di costruzione a suo tempo richiesto per il rilascio del permesso di costruire n. 9/2009 e la conseguente intimazione a pagare la ulteriore somma di Euro 9948,60.
La sentenza impugnata –rilevato che la società ricorrente assume (essenzialmente) che il Comune di Arnesano abbia (illegittimamente) rideterminato retroattivamente l’importo del contributo correlato al costo di costruzione, a distanza di oltre cinque anni dal rilascio del permesso di costruire– afferma, in particolare:
   - escluso che “si sia di fronte all’esercizio di un potere di autotutela volto a correggere meri errori di determinazione o calcolo compiuti all’epoca del rilascio del permesso di costruire ... l’attività comunale appare invece orientata ad addossare al privato successivamente al rilascio del titolo edilizio costi supplementari derivanti dal meccanismo legale di adeguamento degli oneri concessori (e, in particolare, della componente costituita dal costo di costruzione”;
   - “i contributi concessori devono essere stabiliti al momento del rilascio del titolo edilizio; a tale momento occorre dunque avere riguardo per la determinazione dell’entità dell’onere facendo applicazione della normativa vigente al momento del rilascio del titolo edilizio”;
   - “i provvedimenti comunali che dispongono l’adeguamento degli oneri concessori (sia con riferimento alla voce relativa agli oneri di urbanizzazione, sia in relazione alla voce inerente al costo di costruzione) possono trovare applicazione esclusivamente per i permessi rilasciati a far tempo dall’epoca di adozione dell’atto deliberativo (avente carattere regolamentare), e non anche per quelli rilasciati in epoca anteriore”;
   - ne consegue che è “illegittima la pretesa dell’amministrazione comunale di Arnesano di addossare al titolare di un permesso edilizio rilasciato oltre cinque anni prima l’ulteriore carico finanziario derivante ... dal meccanismo di aggiornamento”.
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2. L’appello è fondato e deve essere, pertanto, accolto, nei limiti di cui in motivazione, con conseguente parziale riforma della sentenza impugnata.
2.1. L’art. 16 DPR n. 380/2001 prevede che, salvi i casi di esenzione di cui all’art. 17, co. 3, “il rilascio del permesso di costruire comporta la corresponsione di un contributo commisurato all’incidenza degli oneri di urbanizzazione nonché al costo di costruzione”.
Quanto a quest’ultimo, il comma 9 prevede: “Il costo di costruzione per i nuovi edifici è determinato periodicamente dalle regioni con riferimento ai costi massimi ammissibili per l'edilizia agevolata, definiti dalle stesse regioni a norma della lettera g) del primo comma dell'articolo 4 della legge 05.08.1978, n. 457. Con lo stesso provvedimento le regioni identificano classi di edifici con caratteristiche superiori a quelle considerate nelle vigenti disposizioni di legge per l'edilizia agevolata, per le quali sono determinate maggiorazioni del detto costo di costruzione in misura non superiore al 50 per cento. Nei periodi intercorrenti tra le determinazioni regionali, ovvero in eventuale assenza di tali determinazioni, il costo di costruzione è adeguato annualmente, ed autonomamente, in ragione dell'intervenuta variazione dei costi di costruzione accertata dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT). Il contributo afferente al permesso di costruire comprende una quota di detto costo, variabile dal 5 per cento al 20 per cento, che viene determinata dalle regioni in funzione delle caratteristiche e delle tipologie delle costruzioni e della loro destinazione ed ubicazione”.
A fronte di ciò, l’art. 2 l.reg. Puglia 01.02. 2007 n. 1, prevede: “
1. Il costo di costruzione per la nuova edificazione viene confermato, fino a nuovo aggiornamento, in misura pari al costo base di nuova costruzione stabilito, con riferimento ai limiti massimi ammissibili per l'edilizia residenziale agevolata, a norma della lettera g) del primo comma dell'articolo 4 della legge 05.08.1978, n. 457 (Norme per l'edilizia residenziale), con Delib. G.R. 04.04.2006, n. 449 (Aggiornamento dei limiti massimi di costo per gli interventi di Edilizia residenziale sovvenzionata e di Edilizia residenziale agevolata), ossia pari a euro 594,00/mq.
2. I comuni hanno facoltà di applicare al costo base per l'edilizia agevolata, come determinato al comma 1, i "Criteri per il calcolo del contributo relativo al costo di costruzione" di cui all'allegato A della presente legge, motivando adeguatamente le eventuali riduzioni o incrementi sia in relazione alle situazioni di bilancio comunale sia in relazione ai costi di costruzione effettivamente praticati in loco.
3. In assenza di apposite deliberazioni della Giunta regionale che provvedano ad adeguare il costo di costruzione, il costo medesimo, così come determinato dalla presente legge, è adeguato annualmente dai comuni in ragione dell'intervenuta variazione dei costi di costruzione accertata dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT).
4. Il primo adeguamento annuale si applica ai permessi di costruire e/o alla Denuncia inizio attività (DIA) la cui domanda sia pervenuta al comune, completa, in data successiva al 31.12.2006; analogamente, per gli anni a seguire, l'adeguamento annuale si applica ai permessi di costruire e/o alla DIA la cui domanda sia pervenuta al Comune, completa, in data successiva al 31 dicembre di ogni anno
”.
Dalle disposizioni innanzi riportate si evince che il potere di determinazione del costo di costruzione per i nuovi edifici è attribuito alle Regioni e che, qualora queste ultime non vi provvedano ovvero nei periodi intercorrenti tra le determinazioni regionali, “il costo di costruzione è adeguato annualmente, ed autonomamente, in ragione dell'intervenuta variazione dei costi di costruzione accertata dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT)”.
Nella Regione Puglia, inoltre, al costo di costruzione, ragguagliato a quello previsto per l’edilizia residenziale pubblica, i Comuni “hanno facoltà” di applicare, in aggiunta al costo base determinato dalla Regione, “eventuali riduzioni o incrementi sia in relazione alle situazioni di bilancio comunale sia in relazione ai costi di costruzione effettivamente praticati in loco”.
Ovviamente, qualora i Comuni non esercitino tale “facoltà” (e non obbligo) –in data antecedente a quella del rilascio del titolo edilizio, e senza possibilità di applicazione retroattiva- il contributo dovuto per costo di costruzione resta commisurato a quello definito dalla Regione, eventualmente incrementato, sussistendone i presupposti, mediante applicazione dell’indicato indice ISTAT.
2.2. Tanto precisato sul piano normativo, occorre ricordare che le controversie in tema di determinazione della misura dei contributi edilizi concernono l'accertamento di diritti soggettivi che traggono origine direttamente da fonti normative, per cui sono proponibili, a prescindere dall'impugnazione di provvedimenti dell'amministrazione, nel termine di prescrizione (Cons. Stato , sez. IV, 20.11.2012 n. 6033; sez. V, 04.05.1992, n. 360).
Più in particolare, la giurisprudenza amministrativa (v. Cons. Stato, sez. IV, 20.11.2012 n. 6033; sez. V, 17.09.2010 n. 6950), ha già avuto modo di affrontare la questione della rideterminazione degli oneri concessori da parte dell’amministrazione, con considerazioni che si intendono ribadire nella presente sede.
Si è, infatti, affermato:
   a) è infondata la tesi secondo la quale “(a pretesa tutela della buona fede e dell'affidamento riposto dal privato nella più risalente determinazione degli oneri adottata dall'amministrazione appellata) sarebbe preclusa la rideterminazione degli oneri concessori da parte dell'amministrazione comunale se non nella ipotesi di meri errori di calcolo ictu oculi percepibili, a tutela dell'affidamento in buona fede riposto dal privato nella quantificazione operata in sede di prima determinazione”;
   b) “la natura paritetica dell'atto di determinazione consente che l'Amministrazione possa apportarvi rettifiche (sia in favore del privato che in senso contrario), purché ciò avvenga nei limiti della prescrizione del relativo diritto di credito” e ciò in quanto “il computo degli oneri di urbanizzazione non è attività autoritativa e la contestazione sulla relativa corresponsione è proponibile nel termine di prescrizione decennale a prescindere dall'impugnazione dei provvedimenti adottati o dal sollecito a provvedere in via di autotutela. Trattasi infatti, nel caso di specie, di una determinazione che "obbedisce" a prescrizioni desumibili da tabelle, in ordine alla quale l'amministrazione comunale si limita ad applicare i detti parametri, (conseguentemente per la stessa rivestenti natura cogente) laddove è esclusa qualsivoglia discrezionalità applicativa”;
   c) “la pariteticità dell'atto e l'assenza di discrezionalità ne legittima o addirittura ne impone la revisione ove affetta da errore, con il solo limite della maturata prescrizione del credito). La originaria determinazione, pertanto, può essere sempre rivisitata, ove la si assuma affetta da errore (e fermo restando la necessità che detta originaria erroneità della determinazione iniziale sussista effettivamente), e ciò sia laddove essa abbia indicato un importo inferiore al dovuto, che laddove abbia quantificato un importo superiore e, pertanto, non dovuto”.
3.1.
Nel caso di specie, il Comune di Arnesano, rilevato di aver provveduto a calcolare l’importo dovuto quale contributo per il costo di costruzione per il permesso di costruire 18.04.2009 n. 9 “senza tener conto della normativa regionale in vigore al momento del rilascio del titolo abilitativo” –e precisamente le delibere di Giunta Regionale n. 449/2006, n. 2268/2008 e n. 766/2010, nonché l’art. 2 l.reg. n. 1/2007– ha provveduto a rideterminare l’importo dovuto, facendo applicazione della normativa innanzi citata (ad eccezione della delibera di Giunta regionale n. 766/2010).
Nel caso di specie, dunque, così come sostenuto dal Comune appellante non vi è stata alcuna attività di adeguamento/integrazione del contributo in momento successivo al rilascio del titolo (il che integrerebbe, ove fosse, una violazione dell’art. 16 DPR n. 380/2001), ma solo una rettifica della misura del contributo, riportandolo a quanto effettivamente dovuto sulla base di già adottate e vigenti disposizioni regionali.
E tale attività, alla luce di quanto innanzi esposto –purché svolta entro il termine di prescrizione decennale- non solo è legittima, ma è, anzi, doverosa per la Pubblica Amministrazione.
Di conseguenza,
non può consentirsi con la sentenza impugnata:
   - né laddove essa afferma che “l’attività comunale appare invece orientata ad addossare al privato successivamente al rilascio del titolo edilizio costi supplementari derivanti dal meccanismo legale di adeguamento degli oneri concessori (e, in particolare, della componente costituita dal costo di costruzione”,
poiché, come si è detto, trattasi di attività doverosa di rettifica della misura del contributo in base a delibere regionali già in precedenza emanate;
   - né laddove sostiene che “l’attività comunale appare invece orientata ad addossare al privato successivamente al rilascio del titolo edilizio costi supplementari derivanti dal meccanismo legale di adeguamento degli oneri concessori (e, in particolare, della componente costituita dal costo di costruzione”,
poiché, se l’adozione del nuovo atto da parte del Comune è certamente successivo al rilascio del permesso di costruire, non lo sono, invece, le disposizioni regionali delle quali si fa applicazione in sede di rettifica.
3.2. Tuttavia, proprio alla luce di quanto sin qui esposto,
la rideterminazione del costo di costruzione, operata dal Comune di Arnesano, non può fare applicazione né della delibera di Giunta Regionale n. 755/2010 (richiamata nel preambolo ma poi non citata tra quelle considerate), né della delibera 03.11.2009 n. 2081 (pubblicata sul Bollettino ufficiale della Regione Puglia 17.11.2009 n. 183, che risulta invece considerata), in quanto ambedue successive alla data di rilascio del permesso di costruire n. 9 (16.04.2009).
3.3. Per tutte le ragioni esposte, l’appello deve essere accolto, nei limiti ora precisati, con conseguente parziale riforma della sentenza impugnata e corrispondente accoglimento, in parte, del ricorso instaurativo del giudizio di I grado (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 27.09.2017 n. 4515 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Sulla debenza del contributo di costruzione parametrato a quanto previsto per le attività commerciali, e non alle attività produttive, relativamente alla costruzione di magazzini per deposito e commercio, ove non siano collegati ad altro stabile adibito all'attività produttiva.
L’art. 19 del DPR 06.06.2001, n. 380, per gli interventi destinati ad attività industriali o artigianali dirette alla trasformazione di beni ed alla prestazione di servizi prevede la corresponsione di un contributo pari all’incidenza delle opere di urbanizzazione, di quelle necessarie al trattamento e allo smaltimento dei rifiuti e di quelle necessarie alla sistemazione dei luoghi ove ne siano alterate le caratteristiche.
Per gli interventi relativi ad attività commerciali e allo svolgimento di servizi prevede la corresponsione di un contributo pari all'incidenza delle opere di urbanizzazione e una quota non superiore al 10 per cento del costo documentato di costruzione.
La Società ricorrente esercita l’attività di commercio al dettaglio di prodotti alimentari e non nei propri supermercati che svolgono la propria attività in tutto il territorio nazionale e l’intervento edilizio ha ad oggetto un ampliamento per realizzare un grande magazzino di stoccaggio di prodotti finiti in entrata e uscita, e marginalmente di prodotti che vengono confezionati per la vendita, da distribuire ai supermercati.
Ciò premesso il Collegio ritiene che correttamente il Comune ha ritenuto di non applicare il contributo di costruzione previsto per le attività produttive, in quanto l’attività che si svolge nel complesso edilizio è riconducibile ad un segmento di quella commerciale.
Infatti, come è stato osservato da questa stessa Sezione in un caso analogo con argomentazioni dalle quali non vi è motivo di discostarsi, è necessario considerare in primo luogo che l’attività di commercio svolta dalla ricorrente si estende e comprende necessariamente anche la fase ad essa strumentale di deposito e stoccaggio di tali prodotti all’interno del magazzino che costituisce a tutti gli effetti una componente dell’organizzazione dell’impresa commerciale esercitata, ed in secondo luogo che “la giurisprudenza, peraltro, rispetto all'interpretazione dell'art. 10 L. n. 10/1977, ora art. 19 DPR 380/2001, relativamente all'esonero dal contributo, è stata sempre restrittiva, ritenendo che la norma esoneri dalla corresponsione del contributo solo i fabbricati strettamente complementari ed asserviti alle esigenze proprie di un impianto industriale e non già quegli edifici che non sono di per sé destinati alla produzione di beni industriali ovvero opere edilizie comunque suscettibili di essere utilizzate al servizio di qualsiasi attività economica”.
Ne consegue che “è pertanto da escludere l'applicabilità del trattamento contributivo di favore a magazzini per deposito e commercio, ove non siano collegati ad altro stabile adibito all'attività produttiva”.

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... per l’accertamento della non debenza, in tutto o in parte, delle somme pretese dal Comune a titolo di contributo commisurato al costo di costruzione e a titolo di contributo per oneri di urbanizzazione primaria quantificate con determinazione prot. n. 5788 del 18.09.2014, con ogni conseguente statuizione ivi compresa la condanna del Comune ex art. 2033 c.c. e alla restituzione delle somme già versate;
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La Società ricorrente espone di svolgere l’attività di distribuzione di generi alimentari preconfezionati e non preconfezionati, di prodotti per l’igiene e la cura della casa e della persona in numerose strutture di vendita dislocate su tutto il territorio nazionale.
Nel Comune di Belfiore vicino alla propria sede amministrativa in zona territoriale omogenea di tipo D-produttiva, ha realizzato il proprio Centro di distribuzione in un’area in cui lo strumento urbanistico assoggetta l’edificazione alla previa redazione di un piano attuativo, nell’ambito del quale devono essere realizzate le opere di urbanizzazione, il cui valore per la convenzione deve essere scomputato dagli oneri di urbanizzazione.
Il Comune con determinazione prot. n. 5788 del 18.09.2014, ha quantificato in complessivi euro 3.614.440,00 il contributo concessorio dovuto.
Il primo motivo con il quale la Società ricorrente sostiene di non dover pagare il contributo di costruzione parametrato a quanto previsto per le attività commerciali, ma alle attività produttive, è infondato e deve essere respinto.
L’art. 19 del DPR 06.06.2001, n. 380, per gli interventi destinati ad attività industriali o artigianali dirette alla trasformazione di beni ed alla prestazione di servizi prevede la corresponsione di un contributo pari all’incidenza delle opere di urbanizzazione, di quelle necessarie al trattamento e allo smaltimento dei rifiuti e di quelle necessarie alla sistemazione dei luoghi ove ne siano alterate le caratteristiche.
Per gli interventi relativi ad attività commerciali e allo svolgimento di servizi prevede la corresponsione di un contributo pari all'incidenza delle opere di urbanizzazione e una quota non superiore al 10 per cento del costo documentato di costruzione.
La Società ricorrente esercita l’attività di commercio al dettaglio di prodotti alimentari e non nei propri supermercati che svolgono la propria attività in tutto il territorio nazionale attraverso le insegne “Famila”, “Famila Superstore”, D-Più”, “A&O”, CC Maxigross” e “Cash and Carry” e l’intervento edilizio ha ad oggetto un ampliamento per realizzare un grande magazzino di stoccaggio di prodotti finiti in entrata e uscita, e marginalmente di prodotti che vengono confezionati per la vendita, da distribuire ai supermercati.
Ciò premesso il Collegio ritiene che correttamente il Comune ha ritenuto di non applicare il contributo di costruzione previsto per le attività produttive, in quanto l’attività che si svolge nel complesso edilizio è riconducibile ad un segmento di quella commerciale.
Infatti, come è stato osservato da questa stessa Sezione in un caso analogo con argomentazioni dalle quali non vi è motivo di discostarsi (cfr. Tar Veneto, Sez. II, 18.12.2014, n. 1537), è necessario considerare in primo luogo che l’attività di commercio svolta dalla ricorrente si estende e comprende necessariamente anche la fase ad essa strumentale di deposito e stoccaggio di tali prodotti all’interno del magazzino che costituisce a tutti gli effetti una componente dell’organizzazione dell’impresa commerciale esercitata, ed in secondo luogo che “la giurisprudenza, peraltro, rispetto all'interpretazione dell'art. 10 L. n. 10/1977, ora art. 19 DPR 380/2001, relativamente all'esonero dal contributo, è stata sempre restrittiva, ritenendo che la norma esoneri dalla corresponsione del contributo solo i fabbricati strettamente complementari ed asserviti alle esigenze proprie di un impianto industriale e non già quegli edifici che non sono di per sé destinati alla produzione di beni industriali ovvero opere edilizie comunque suscettibili di essere utilizzate al servizio di qualsiasi attività economica (Consiglio Stato, Sez. V, 21.10.1998, n. 1512; cfr. TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 11.02.2002, n. 495)”.
Ne consegue che “è pertanto da escludere l'applicabilità del trattamento contributivo di favore a magazzini per deposito e commercio, ove non siano collegati ad altro stabile adibito all'attività produttiva” (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 23.04.2014, n. 2044).
Il primo motivo deve pertanto essere respinto (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 15.09.2017 n. 825 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

giugno 2017

EDILIZIA PRIVATA: E' oneroso l'intervento edilizio di ricostruzione di una porzione di un edificio condominiale andata distrutta a seguito di incendio.
L’intervento di ricostruzione, di una porzione di edificio andata distrutta a seguito di incendio, è stato qualificato, sia dai ricorrenti che dal comune, come intervento di ristrutturazione edilizia.
Ciò premesso, si deve osservare che, ai sensi dell’art. 43, primo comma, della legge della Regione Lombardia 11.03.2005, n. 12 (Legge per il governo del territorio), gli interventi di ristrutturazione edilizia sono espressamente assoggettati al pagamento del contributo di costruzione, sia con riferimento agli oneri di urbanizzazione che con riferimento al costo di costruzione.
A fronte del chiaro dettato normativo, all’interprete sembra sottratta la possibilità di effettuare specifiche valutazioni atte a rilevare se il singolo intervento di ristrutturazione abbia o meno comportato un aumento del carico urbanistico o possa essere considerato alla stregua di un indice di capacità contributiva.
Né a diverse conclusioni può portare la circostanza che, nel caso specifico, l’intervento di ricostruzione è stato reso necessario a causa dell’incendio che in precedenza aveva distrutto il bene, atteso che l’art. 17, terzo comma, del d.P.R. n. 380 del 2001 -nel disciplinare le ipotesi di esenzione dall’obbligo di versamento del contributo di costruzione- prende in considerazione, alla lett. d), anche le cause di forma maggiore, circoscrivendo tuttavia l’esenzione ai soli casi di interventi realizzati in attuazione di norme o provvedimenti emanati a seguito di pubbliche calamità.
In tale quadro, si deve anche escludere che il Comune di Milano fosse tenuto a fornire una specifica motivazione, posto che, come visto, nella fattispecie, l’obbligo di versamento del contributo di costruzione discende dalla piana applicazione della vigente normativa.

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1. Con il ricorso in esame, viene impugnato il permesso di costruire n. 2/2016 del 15.01.2016, rilasciato dal Comune di Milano ai sigg.ri Ga.Al., Lu.Fr.Ce. e An.Pa., nella parte in cui assoggetta l’intervento assentito al pagamento del contributo di costruzione, per un ammontare complessivo pari ad euro 58.514,02.
2. L’intervento oggetto dell’atto impugnato consiste nella ricostruzione di una porzione di un edificio condominiale sito in Milano, Via ... n. 6, andata a distrutta a seguito di un incendio.
3. Si è costituito in giudizio, per resistere al ricorso, il Comune di Milano.
4. La Sezione, con ordinanza 18.03.2016 n. 328, ha accolto l’istanza cautelare.
5. Tenutasi la pubblica udienza in data 30.03.2017, la causa è stata trattenuta in decisione.
6. Con il primo motivo, i ricorrenti sostengono che, nel caso di specie, non vi sarebbero i presupposti necessari per esercitare la pretesa di pagamento del contributo di costruzione, e ciò in quanto l’intervento oggetto del permesso di costruire del 15.01.2016 non comporterebbe alcun aumento del carico urbanistico (presupposto necessario per la pretesa degli oneri di urbanizzazione) né sarebbe indice di incremento patrimoniale (requisito necessario per la pretesa del costo di costruzione).
7. Con il secondo motivo, viene dedotta la violazione dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990, in quanto, a dire dei ricorrenti, proprio in considerazione della specificità del caso in esame, il Comune avrebbe dovuto indicare, nel provvedimento impugnato, le ragioni per le quali si è ritenuto che l’intervento che ne costituisce oggetto abbia determinato un aumento del carico urbanistico.
8. I due motivi sono infondati per le ragioni di seguito esposto.
9. Come anticipato, l’intervento oggetto del permesso di costruire impugnato consiste nella ricostruzione di una porzione di un edificio condominiale andata distrutta a seguito di incendio.
10. L’intervento è stato qualificato, sia dai ricorrenti che dal Comune di Milano, come intervento di ristrutturazione edilizia.
11. Ciò premesso, si deve osservare che, ai sensi dell’art. 43, primo comma, della legge della Regione Lombardia 11.03.2005, n. 12 (Legge per il governo del territorio), gli interventi di ristrutturazione edilizia sono espressamente assoggettati al pagamento del contributo di costruzione, sia con riferimento agli oneri di urbanizzazione che con riferimento al costo di costruzione.
12. A fronte del chiaro dettato normativo, all’interprete sembra sottratta la possibilità di effettuare specifiche valutazioni atte a rilevare se il singolo intervento di ristrutturazione abbia o meno comportato un aumento del carico urbanistico o possa essere considerato alla stregua di un indice di capacità contributiva.
13. Né a diverse conclusioni può portare la circostanza che, nel caso specifico, l’intervento di ricostruzione è stato reso necessario a causa dell’incendio che in precedenza aveva distrutto il bene, atteso che l’art. 17, terzo comma, del d.P.R. n. 380 del 2001 -nel disciplinare le ipotesi di esenzione dall’obbligo di versamento del contributo di costruzione- prende in considerazione, alla lett. d), anche le cause di forma maggiore, circoscrivendo tuttavia l’esenzione ai soli casi di interventi realizzati in attuazione di norme o provvedimenti emanati a seguito di pubbliche calamità (cfr., TAR Lombardia Milano, sez. II, 25.05.2016, n. 1079).
14. In tale quadro, si deve anche escludere che il Comune di Milano fosse tenuto a fornire una specifica motivazione, posto che, come visto, nella fattispecie, l’obbligo di versamento del contributo di costruzione discende dalla piana applicazione della vigente normativa.
15. Per tutte queste ragioni, il ricorso deve essere respinto (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 12.06.2017 n. 1319 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAAi sensi dell’articolo 23-ter, comma 2, del dpr n. 380 del 2001, la destinazione d’uso di un’unità immobiliare è quella prevalente in termini di superficie utile (nel caso di specie, non appare contestato che la superficie prevalente di tale unità immobiliare abbia destinazione artigianale).
Invero, la giurisprudenza ha già chiarito che gli uffici, ove “previsti come accessori all'insediamento industriale localizzato nello stesso immobile, devono qualificarsi come costruzioni destinate esse stesse ad attività industriale, giacché la diversificazione del regime dei contributi edilizi riguarda la complessiva ed unitaria attività imprenditoriale che si svolge in un medesimo immobile o complesso immobiliare e non le singole parti dell'immobile in cui si svolgono le diverse fasi o funzioni nelle quali si articola una medesima attività”.
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- Considerato che la ricorrente impugna il provvedimento comunale di determinazione del costo di costruzione e degli oneri di urbanizzazione, relativi al permesso di costruire per la realizzazione di un capannone artigianale e annessa area di deposito, e chiede la condanna del Comune resistente alla restituzione di quanto già indebitamente corrisposto a tale titolo.
- Che nella determinazione della tariffa al mq applicabile, il Comune ha considerato lo spazio aperto di detto capannone e il piano primo della costruzione al suo interno come area produttiva, mentre ha considerato il secondo piano della medesima costruzione come avente destinazione direzionale.
- Che, con il ricorso introduttivo, la ricorrente ha dedotto che il costo di costruzione non sarebbe dovuto ai sensi dell’articolo 8 della legge regionale n. 89 del 1998, avendo la struttura destinazione artigianale.
- Che, sempre nel ricorso introduttivo, la ricorrente ha evidenziato che, ai sensi dell’articolo 7, comma 2, della legge regionale n. 89 del 1998, “Quando in una medesima costruzione coesistono unità immobiliare delle quali alcune hanno destinazione residenziale ed altre destinazione turistica, commerciale, direzionale o artigianale, per ciascuna unità si applica il contributo corrispondente alla sua specifica destinazione d'uso”.
- Che pertanto, a suo avviso, nel caso di specie, non essendovi unità immobiliari autonome ma solo parti di un’unica struttura, non si potrebbero artificiosamente attribuire a esse destinazioni distinte, ricadendo tutte sotto la destinazione prevalente, vale a dire quella artigianale e non quella direzionale.
- Che, inoltre, argomentando dagli articoli 40 del dpr 1142 del 1949 e 36, comma 2, del dpr 917 del 1986, un’unità immobiliare autonoma sarebbe ciascun cespite indipendente, da intendersi come intere costruzioni o parti di esse suscettibili di produrre un reddito autonomo.
- Che, all’udienza del 21.04.2017, la causa è passata in decisione.
- Rilevato che, non appare contestato che il primo piano della costruzione in questione non abbia autonomia funzionale e quindi non possa essere considerato un cespite autonomo, essendo destinato a uffici e zone a servizio delle superfici artigianali, e non suscettibili di utilizzazione autonoma.
- Che, ai sensi dell’articolo 23-ter, comma 2, del dpr n. 380 del 2001, la destinazione d’uso di un’unità immobiliare è quella prevalente in termini di superficie utile e che, nel caso di specie, non appare contestato che la superficie prevalente di tale unità immobiliare abbia destinazione artigianale.
- Che, difatti, la giurisprudenza ha già chiarito che gli uffici, ove “previsti come accessori all'insediamento industriale localizzato nello stesso immobile, devono qualificarsi come costruzioni destinate esse stesse ad attività industriale, giacché la diversificazione del regime dei contributi edilizi riguarda la complessiva ed unitaria attività imprenditoriale che si svolge in un medesimo immobile o complesso immobiliare e non le singole parti dell'immobile in cui si svolgono le diverse fasi o funzioni nelle quali si articola una medesima attività” (cfr. Tar Milano, sez. II, 11/03/2002, n. 1036).
- Che, pertanto, l’intero immobile nel caso di specie deve essere considerato come destinato ad attività artigianale.
- Rilevato, altresì, che, nelle more del giudizio, l’Amministrazione ha annullato la richiesta di pagamento del costo di costruzione, adottando invece per il contributo di urbanizzazione un provvedimento meramente confermativo, sicché il ricorso può essere dichiarato in parte qua improcedibile per cessazione della materia del contendere.
- Ritenuto pertanto che il ricorso debba essere dichiarato in parte improcedibile per sopravvenuta cessazione della materia del contendere, e in parte fondato, per le ragioni indicate (TAR Abruzzo-Pescara, sentenza 06.06.2017 n. 186 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

maggio 2017

EDILIZIA PRIVATASussiste l'obbligo di corrispondere il contributo di costruzione per la ricostruzione di una porzione di fabbricato crollata a seguito di un incendio.
Il permesso di costruire è provvedimento naturalmente oneroso di modo che le norme di esenzione devono essere interpretate come “eccezioni” ad una regola generale (e da considerarsi, quindi, di stretta interpretazione), non essendo consentito alla stessa potestà legislativa concorrente di ampliare le ipotesi al di là delle indicazioni della legislazione statale, da ritenersi quali principi fondamentali in tema di governo del territorio.
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L’art. 17, co. 3, lett. d), DPR n. 380/2001 prevede la esenzione dal contributo di costruzione “per gli interventi da realizzare in attuazione di norme o di provvedimenti emanati a seguito di pubbliche calamità”. Si tratta di due distinte ipotesi, ambedue sorrette dal presupposto della “pubblica calamità”.
Quest’ultima deve essere intesa come un evento imprevisto e dannoso che, per caratteristiche, estensione, potenzialità offensiva sia tale da colpire e/o mettere in pericolo non solo una o più persone o beni determinati, bensì una intera ed indistinta collettività di persone ed una pluralità non definibile di beni, pubblici o privati.
Ciò che caratterizza, dunque, il carattere “pubblico” della calamità e la differenzia da altri eventi dannosi, pur gravi, è la riferibilità dell’evento (in termini di danno e di pericolo) a una comunità, ovvero ad una pluralità non definibile di persone e cose, laddove, negli altri casi, l’evento colpisce (ed è dunque circoscritto) a singoli, specifici soggetti o beni e, come tale, è affrontabile con ordinarie misure di intervento.
Se, dunque, l’evento deve caratterizzarsi per straordinarietà, imprevedibilità e una portata tale da essere “anche solo potenzialmente pericoloso per la collettività”, ciò non è, tuttavia, sufficiente a qualificarlo quale “calamità pubblica”, posto che deve comunque trattarsi di un evento non afferente a beni determinati e non affrontabile e risolvibile con ordinari strumenti di intervento, sia sul piano concreto che su quello degli atti amministrativi.
In senso riconducibile al concetto ora espresso, gli artt. 2, co. 1, lett. c) e 5 l. 24.02.1992 n. 225, prevedono il conferimento di poteri straordinari di ordinanza per il caso di “calamità naturali” (e, come tali, “pubbliche”), e l’art. 54 DPR 08.08.2000 n. 267, conferisce al Sindaco, quale Ufficiale di Governo, il potere (delegabile nei limiti previsti dal medesimo articolo) di emanare ordinanze contingibili ed urgenti “al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana”; potere di ordinanza che va tenuto distinto da quello, di carattere “ordinario” e riferito al Sindaco quale rappresentante della comunità locale, previsto dall’art. 50 del medesimo Testo Unico degli Enti locali.
In conclusione, perché possa ricorrere l’ipotesi di esenzione di cui all’art. 17 cit., occorre che gli interventi da realizzare costituiscano attuazione di norme o di provvedimenti amministrativi che espressamente li prevedono (e non siano invece effetto di una scelta volontaria del soggetto, sia pure in conseguenza di provvedimenti emanati), e che siano stati adottati a seguito di eventi eccezionali, dannosi o pericolosi per la collettività, tali da richiedere l’esercizio di poteri straordinari.
Nel caso di specie, l’incendio che ha colpito l’immobile della società ricorrente, se pur grave e tale da poter divenire fonte di pericolo per la collettività, ove non tempestivamente circoscritto, tuttavia si caratterizza quale evento che ha colpito beni specifici e che, per dimensioni, caratteristiche ed intensità, è stato tale da non richiedere particolari interventi di contrasto o esercizio di poteri straordinari. Ne consegue, quindi, la inapplicabilità dell’esenzione di cui all’art. 17, co. 3, lett. d), DPR n. 380/2001.
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... per la riforma della sentenza 25.05.2016 n. 1079 del TAR LOMBARDIA-MILANO, SEZ. II, resa tra le parti, concernente quantificazione contributo di costruzione a fronte del rilascio del permesso di costruire.
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1. Con l’appello in esame, la società Nu.Gu. e Ra. s.r.l. impugna la sentenza 25.05.2016 n. 1079, con la quale il TAR per la Lombardia, sez. II, ha respinto il suo ricorso avverso il provvedimento del Responsabile del Settore governo del territorio del Comune di Monza 11.04.2015, nella parte in cui con tale provvedimento, oltre a rilasciare il richiesto permesso di costruire, è stato richiesto il versamento del contributo di costruzione per un importo di Euro 257.377,54.
La società espone di essere proprietaria di un immobile a destinazione produttiva, realizzato sulla base di concessione edilizia del 1985 e di aver dovuto richiedere nuovo titolo edilizio, al fine di ricostruire una porzione del fabbricato, crollata a seguito di un incendio; tanto anche per ottemperare ad una ordinanza emessa in data 24.09.2012 dal Comune di Monza, di ripristino delle condizioni minime di sicurezza delle unità interessate dall’incendio.
La presente controversia concerne, in sostanza, la sussistenza dell’obbligo di corrispondere il richiesto contributo di costruzione, in occasione di interventi edilizi effettuati nelle circostanze come innanzi descritte.
La sentenza impugnata afferma, in particolare:
   - non ricorre il motivo di esenzione dal pagamento del contributo di costruzione, di cui all’art. 17, co. 3, lett. d), DPR n. 380/2001, poiché il caso verificatosi non può essere annoverato tra le “pubbliche calamità”, poiché si “è trattato di un episodio grave e dannoso per l’impresa, ma non certo catastrofico, le cui conseguenze nocive sono risultate arginabili mediante l’attuazione di normali operazioni di messa in sicurezza, né tanto meno risultano essere stati adottati piani di emergenza o di evacuazione dei residenti, a conferma del fatto che non è stata messa ad immediato repentaglio ... la pubblica incolumità”;
   - nel caso di specie, ricorre un’ipotesi di ristrutturazione edilizia, intervento per il quale la delibera 03.11.2008 n. 43 della Giunta Comunale di Monza ha previsto che “per gli interventi di ristrutturazione comportanti demolizione e ricostruzione si applichino gli oneri di urbanizzazione relativi alle nuove costruzioni”.
...
4. Nel merito, il Collegio ritiene opportuno rilevare –anche al fine di meglio circoscrivere le ragioni per le quali l’appello deve essere accolto- che sia il motivo con il quale si censura la sentenza impugnata per non aver considerato applicabili, nel caso di specie, gli artt. 16, co. 1, e 17, co. 3, DPR n. 380/2001, recante quest’ultimo (lett. d) l’esenzione per la ricostruzione a seguito di “pubbliche calamità” (motivo sub lett. a) dell’esposizione in fatto), sia il motivo con il quale si censura la sentenza per non aver ricondotto le opere alla manutenzione straordinaria, anziché alla ristrutturazione edilizia (sub lett. b1) dell’esposizione in fatto), sono infondati e devono essere, pertanto, respinti.
4.1. Quanto al primo, occorre premettere che il permesso di costruire è provvedimento naturalmente oneroso (da ultimo, Corte Cost., 03.11.2016 n. 231), di modo che le norme di esenzione devono essere interpretate come “eccezioni” ad una regola generale (e da considerarsi, quindi, di stretta interpretazione), non essendo consentito alla stessa potestà legislativa concorrente di ampliare le ipotesi al di là delle indicazioni della legislazione statale, da ritenersi quali principi fondamentali in tema di governo del territorio (Corte Cost., n. 231/2016 cit.).
L’art. 17, co. 3, lett. d), DPR n. 380/2001 prevede la esenzione dal contributo di costruzione “per gli interventi da realizzare in attuazione di norme o di provvedimenti emanati a seguito di pubbliche calamità”.
Si tratta di due distinte ipotesi, ambedue sorrette dal presupposto della “pubblica calamità”. Quest’ultima deve essere intesa come un evento imprevisto e dannoso che, per caratteristiche, estensione, potenzialità offensiva sia tale da colpire e/o mettere in pericolo non solo una o più persone o beni determinati, bensì una intera ed indistinta collettività di persone ed una pluralità non definibile di beni, pubblici o privati.
Ciò che caratterizza, dunque, il carattere “pubblico” della calamità e la differenzia da altri eventi dannosi, pur gravi, è la riferibilità dell’evento (in termini di danno e di pericolo) a una comunità, ovvero ad una pluralità non definibile di persone e cose, laddove, negli altri casi, l’evento colpisce (ed è dunque circoscritto) a singoli, specifici soggetti o beni e, come tale, è affrontabile con ordinarie misure di intervento.
Se, dunque –come sostenuto dall’appellante– l’evento deve caratterizzarsi per straordinarietà, imprevedibilità e una portata tale da essere “anche solo potenzialmente pericoloso per la collettività”, ciò non è, tuttavia, sufficiente a qualificarlo quale “calamità pubblica”, posto che deve comunque trattarsi di un evento non afferente a beni determinati e non affrontabile e risolvibile con ordinari strumenti di intervento, sia sul piano concreto che su quello degli atti amministrativi.
In senso riconducibile al concetto ora espresso, gli artt. 2, co. 1, lett. c) e 5 l. 24.02.1992 n. 225, prevedono il conferimento di poteri straordinari di ordinanza per il caso di “calamità naturali” (e, come tali, “pubbliche”), e l’art. 54 DPR 08.08.2000 n. 267, conferisce al Sindaco, quale Ufficiale di Governo, il potere (delegabile nei limiti previsti dal medesimo articolo) di emanare ordinanze contingibili ed urgenti “al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana”; potere di ordinanza che va tenuto distinto da quello, di carattere “ordinario” e riferito al Sindaco quale rappresentante della comunità locale, previsto dall’art. 50 del medesimo Testo Unico degli Enti locali.
In conclusione, perché possa ricorrere l’ipotesi di esenzione di cui all’art. 17 cit., occorre che gli interventi da realizzare costituiscano attuazione di norme o di provvedimenti amministrativi che espressamente li prevedono (e non siano invece effetto di una scelta volontaria del soggetto, sia pure in conseguenza di provvedimenti emanati), e che siano stati adottati a seguito di eventi eccezionali, dannosi o pericolosi per la collettività, tali da richiedere l’esercizio di poteri straordinari.
Nel caso di specie, l’incendio che ha colpito l’immobile della società ricorrente, se pur grave e tale da poter divenire fonte di pericolo per la collettività, ove non tempestivamente circoscritto, tuttavia si caratterizza quale evento che ha colpito beni specifici e che, per dimensioni, caratteristiche ed intensità, è stato tale da non richiedere particolari interventi di contrasto o esercizio di poteri straordinari. Ne consegue, quindi, la inapplicabilità dell’esenzione di cui all’art. 17, co. 3, lett. d), DPR n. 380/2001 (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 30.05.2017 n. 2567 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Perché possa ricorrere l’ipotesi di esenzione del contributo di costruzione di cui all’art. 17 DPR 380/2001, occorre che gli interventi da realizzare costituiscano attuazione di norme o di provvedimenti amministrativi che espressamente li prevedono (e non siano invece effetto di una scelta volontaria del soggetto, sia pure in conseguenza di provvedimenti emanati), e che siano stati adottati a seguito di eventi eccezionali, dannosi o pericolosi per la collettività, tali da richiedere l’esercizio di poteri straordinari.
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4. Nel merito, il Collegio ritiene opportuno rilevare –anche al fine di meglio circoscrivere le ragioni per le quali l’appello deve essere accolto- che sia il motivo con il quale si censura la sentenza impugnata per non aver considerato applicabili, nel caso di specie, gli artt. 16, co. 1, e 17, co. 3, DPR n. 380/2001, recante quest’ultimo (lett. d) l’esenzione per la ricostruzione a seguito di “pubbliche calamità” (motivo sub lett. a) dell’esposizione in fatto), sia il motivo con il quale si censura la sentenza per non aver ricondotto le opere alla manutenzione straordinaria, anziché alla ristrutturazione edilizia (sub lett. b1) dell’esposizione in fatto), sono infondati e devono essere, pertanto, respinti.
4.1. Quanto al primo, occorre premettere che il permesso di costruire è provvedimento naturalmente oneroso (da ultimo, Corte Cost., 03.11.2016 n. 231), di modo che le norme di esenzione devono essere interpretate come “eccezioni” ad una regola generale (e da considerarsi, quindi, di stretta interpretazione), non essendo consentito alla stessa potestà legislativa concorrente di ampliare le ipotesi al di là delle indicazioni della legislazione statale, da ritenersi quali principi fondamentali in tema di governo del territorio (Corte Cost., n. 231/2016 cit.).
L’art. 17, co. 3, lett. d), DPR n. 380/2001 prevede la esenzione dal contributo di costruzione “per gli interventi da realizzare in attuazione di norme o di provvedimenti emanati a seguito di pubbliche calamità”.
Si tratta di due distinte ipotesi, ambedue sorrette dal presupposto della “pubblica calamità”. Quest’ultima deve essere intesa come un evento imprevisto e dannoso che, per caratteristiche, estensione, potenzialità offensiva sia tale da colpire e/o mettere in pericolo non solo una o più persone o beni determinati, bensì una intera ed indistinta collettività di persone ed una pluralità non definibile di beni, pubblici o privati.
Ciò che caratterizza, dunque, il carattere “pubblico” della calamità e la differenzia da altri eventi dannosi, pur gravi, è la riferibilità dell’evento (in termini di danno e di pericolo) a una comunità, ovvero ad una pluralità non definibile di persone e cose, laddove, negli altri casi, l’evento colpisce (ed è dunque circoscritto) a singoli, specifici soggetti o beni e, come tale, è affrontabile con ordinarie misure di intervento.
Se, dunque –come sostenuto dall’appellante– l’evento deve caratterizzarsi per straordinarietà, imprevedibilità e una portata tale da essere “anche solo potenzialmente pericoloso per la collettività”, ciò non è, tuttavia, sufficiente a qualificarlo quale “calamità pubblica”, posto che deve comunque trattarsi di un evento non afferente a beni determinati e non affrontabile e risolvibile con ordinari strumenti di intervento, sia sul piano concreto che su quello degli atti amministrativi.
In senso riconducibile al concetto ora espresso, gli artt. 2, co. 1, lett. c) e 5 l. 24.02.1992 n. 225, prevedono il conferimento di poteri straordinari di ordinanza per il caso di “calamità naturali” (e, come tali, “pubbliche”), e l’art. 54 DPR 08.08.2000 n. 267, conferisce al Sindaco, quale Ufficiale di Governo, il potere (delegabile nei limiti previsti dal medesimo articolo) di emanare ordinanze contingibili ed urgenti “al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana”; potere di ordinanza che va tenuto distinto da quello, di carattere “ordinario” e riferito al Sindaco quale rappresentante della comunità locale, previsto dall’art. 50 del medesimo Testo Unico degli Enti locali.
In conclusione, perché possa ricorrere l’ipotesi di esenzione di cui all’art. 17 cit., occorre che gli interventi da realizzare costituiscano attuazione di norme o di provvedimenti amministrativi che espressamente li prevedono (e non siano invece effetto di una scelta volontaria del soggetto, sia pure in conseguenza di provvedimenti emanati), e che siano stati adottati a seguito di eventi eccezionali, dannosi o pericolosi per la collettività, tali da richiedere l’esercizio di poteri straordinari.
Nel caso di specie, l’incendio che ha colpito l’immobile della società ricorrente, se pur grave e tale da poter divenire fonte di pericolo per la collettività, ove non tempestivamente circoscritto, tuttavia si caratterizza quale evento che ha colpito beni specifici e che, per dimensioni, caratteristiche ed intensità, è stato tale da non richiedere particolari interventi di contrasto o esercizio di poteri straordinari.
Ne consegue, quindi, la inapplicabilità dell’esenzione di cui all’art. 17, co. 3, lett. d), DPR n. 380/2001 (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 30.05.2017 n. 2567 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L’art. 16 DPR n. 380/2001 prevede che, salvi i casi di esenzione di cui all’art. 17, co. 3, “il rilascio del permesso di costruire comporta la corresponsione di un contributo commisurato all’incidenza degli oneri di urbanizzazione nonché al costo di costruzione”.
Come appare evidente, la norma collega il pagamento del contributo di costruzione al rilascio del permesso di costruire; in altre parole, è per quelle opere per la cui realizzazione la legge prevede tale titolo autorizzatorio che il contributo di costruzione è dovuto.
Il precedente art. 10 prevede che il permesso di costruire è necessario per gli “interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio”, espressamente indicando, tra questi, (comma 1) gli interventi di nuova costruzione (lett. a), gli interventi di ristrutturazione urbanistica (lett. b), e gli interventi di ristrutturazione edilizia (lett. c).
Il comma 2 prevede, inoltre, che le Regioni possono stabilire con legge “quali mutamenti, connessi o non connessi a trasformazioni fisiche, dell’uso di immobili o di loro parti, sono subordinati a permesso di costruire o a denuncia di inizio attività”.
In sostanza, il legislatore statale collega la necessità di permesso di costruire a fenomeni di “trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio” e, in primo luogo, qualifica tali la nuova costruzione, la ristrutturazione urbanistica e la ristrutturazione edilizia; in secondo luogo, demanda alle Regioni di individuare quali interventi (diversi da quelli precedentemente indicati) comportanti trasformazione urbanistica (ma non necessariamente edilizia), richiedano il permesso di costruire in ragione della loro natura ed incidenza, in particolare, sul carico urbanistico.
In ambedue le ipotesi innanzi considerate, appare evidente come il permesso di costruire si colleghi sempre ad interventi che incidono sul territorio, trasformandolo sul piano urbanistico–edilizio, o anche su uno solo dei due.
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Più in particolare, per il caso di ristrutturazione edilizia, l’art. 10, co. 1, lett. c) –nel testo vigente al momento del rilascio del titolo edilizio- prevede la necessità del permesso di costruire non già per tutti i casi di ristrutturazione edilizia, bensì, più precisamente, per quelli che “portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino modifiche della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d’uso, nonché gli interventi che comportino modificazioni della sagoma di immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22.01.2004 n. 42 e successive modificazioni”.
Al contempo, l’art. 3, co. 1, lett. d), del DPR n. 380/2001 “gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, l'eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti. Nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica nonché quelli volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza. Rimane fermo che, con riferimento agli immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22.01.2004, n. 42 e successive modificazioni, gli interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove sia rispettata la medesima sagoma dell'edificio preesistente”.
Questo Consiglio di Stato ha già avuto modo di chiarire, con considerazioni che qui si intendono completamente riportate, come, pur nella successione di modifiche interessanti le norme in tema di ristrutturazione edilizia, quest’ultima tipologia di intervento edilizio ricomprenda, nel proprio ambito generale, tipologie differenti, solo per alcune delle quali il legislatore prevede la necessità del permesso di costruire; da un lato, dunque, vi è la generale definizione di ristrutturazione edilizia (art. 3, co. 1, lett. d); dall’altro, le specifiche “species” del genus ristrutturazione edilizia per le quali occorre il permesso di costruire (art. 10, co. 1, lett. c).
Si è, in particolare, affermato:
“Per effetto della modifica introdotta dall'art. 30, comma 1, lett. a), D.L. 21.06.2013, n. 69, convertito dalla L. 09.08.2013, n. 98, ... vi sono ora
tre distinte ipotesi di intervento rientranti nella definizione di “ristrutturazione edilizia”, che possono portare “ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente”:
   - la prima, non comportante demolizione del preesistente fabbricato e comprendente (dunque, in via non esaustiva) “il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, l'eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti”;
   - la seconda, caratterizzata da demolizione e ricostruzione, per la quale è richiesta “la stessa volumetria di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica” (ed in questo caso, rispetto al testo previgente, non è più richiesta l’identità di sagoma);
   - la terza, rappresentata dagli interventi “volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza”".
Inoltre, qualora la seconda e la terza delle ipotesi innanzi indicate riguardino immobili sottoposti a vincoli di cui al d.lgs. n. 42/2004, potrà parlarsi di ristrutturazione edilizia solo in presenza, nell’immobile ricostruito, della identità di sagoma dell’edificio preesistente.
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In definitiva, non tutti gli interventi di ristrutturazione edilizia necessitano del rilascio del permesso di costruire, ma solo quelli specificamente indicati dall’art. 10, co. 1, lett. c) e, per quel che interessa nella presente sede, quelli che “portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino modifiche della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti”, posto che le ulteriori due ipotesi contemplate dalla norma (mutamenti di destinazione d’uso di immobili in zona A, interventi che modificano la sagoma di immobili sottoposti a vincolo ai sensi del d.Lgs. n. 42/2004), non interessano il caso di specie.
Occorre, dunque, perché sia necessario il rilascio del permesso di costruire una modifica (parziale o totale) dell’organismo edilizio preesistente ed un aumento della volumetria complessiva; solo in questi casi, d’altra parte, l’intervento si caratterizza (in ossequio alla prescrizione normativa) come “trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio”.
Nelle ipotesi, invece, di “
ristrutturazione ricostruttiva”, a maggior ragione se con invarianza, oltre che di volume, anche di sagoma e di area di sedime, non vi è necessità di permesso di costruire e, dunque, ai sensi dell’art. 16 DPR n. 380/2001, manca il presupposto per la richiesta e corresponsione del contributo di costruzione.
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Alla luce delle considerazioni esposte, l’appello è fondato poiché, in presenza di interventi che non comportano “trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio”, nei sensi e limiti normativamente considerati ed innanzi esposti, non è dovuto il contributo di cui all’art. 16, co. 1, DPR n. 380/2001.
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... per la riforma della sentenza 25.05.2016 n. 1079 del TAR LOMBARDIA-MILANO, SEZ. II, resa tra le parti, concernente quantificazione contributo di costruzione a fronte del rilascio del permesso di costruire.
...
1. Con l’appello in esame, la società Nu.Gu. e Ra. s.r.l. impugna la sentenza 25.05.2016 n. 1079, con la quale il TAR per la Lombardia, sez. II, ha respinto il suo ricorso avverso il provvedimento del Responsabile del Settore governo del territorio del Comune di Monza 11.04.2015, nella parte in cui con tale provvedimento, oltre a rilasciare il richiesto permesso di costruire, è stato richiesto il versamento del contributo di costruzione per un importo di Euro 257.377,54.
La società espone di essere proprietaria di un immobile a destinazione produttiva, realizzato sulla base di concessione edilizia del 1985 e di aver dovuto richiedere nuovo titolo edilizio, al fine di ricostruire una porzione del fabbricato, crollata a seguito di un incendio; tanto anche per ottemperare ad una ordinanza emessa in data 24.09.2012 dal Comune di Monza, di ripristino delle condizioni minime di sicurezza delle unità interessate dall’incendio.
La presente controversia concerne, in sostanza, la sussistenza dell’obbligo di corrispondere il richiesto contributo di costruzione, in occasione di interventi edilizi effettuati nelle circostanze come innanzi descritte.
La sentenza impugnata afferma, in particolare:
   - non ricorre il motivo di esenzione dal pagamento del contributo di costruzione, di cui all’art. 17, co. 3, lett. d), DPR n. 380/2001, poiché il caso verificatosi non può essere annoverato tra le “pubbliche calamità”, poiché si “è trattato di un episodio grave e dannoso per l’impresa, ma non certo catastrofico, le cui conseguenze nocive sono risultate arginabili mediante l’attuazione di normali operazioni di messa in sicurezza, né tanto meno risultano essere stati adottati piani di emergenza o di evacuazione dei residenti, a conferma del fatto che non è stata messa ad immediato repentaglio ... la pubblica incolumità”;
   - nel caso di specie, ricorre un’ipotesi di ristrutturazione edilizia, intervento per il quale la delibera 03.11.2008 n. 43 della Giunta Comunale di Monza ha previsto che “per gli interventi di ristrutturazione comportanti demolizione e ricostruzione si applichino gli oneri di urbanizzazione relativi alle nuove costruzioni”.
...
5. L’appello è fondato e deve essere, pertanto, accolto, con riferimento al primo profilo del secondo motivo ed al terzo motivo di ricorso (rispettivamente sub lett. b1) e c) dell’esposizione in fatto), per le ragioni e nei limiti di seguito esposti.
Con il primo motivo ora indicato, la società appellante lamenta che “il permesso di costruire è stato richiesto per ripristinare quella parte di fabbricato distrutto dall’incendio accidentalmente occorso; le opere da realizzare non hanno alcuna incidenza sul territorio, sia sotto il profilo della trasformazione dell’area oggetto di intervento sia in termini di aggravio del carico urbanistico della zona” ed inoltre a suo tempo la società ha già corrisposto gli oneri dovuti per realizzare quella parte del fabbricato ora da ricostruire a seguito di incendio.
Con il terzo motivo di appello, la società appellante lamenta, in sostanza, il difetto di motivazione in ordine alle ragioni di fatto e di diritto che hanno indotto l’amministrazione a determinare il contenuto dell’atto oggetto di censura, non considerando la “peculiarità della fattispecie”.
Giova osservare, in punto di fatto, che è pacifico tra le parti che l’intervento per il quale la società ricorrente ha richiesto il permesso di costruire non comporta modifica della sagoma, della superficie esistente ed autorizzata, dei volumi e della destinazione d’uso (v. pagg. 11-12 app.; pag. 13 memoria Comune di Monza del 11.01.2017).
Inoltre, il permesso di costruire n. 91 del Comune di Monza, oggetto di (parziale) impugnazione, è stato emesso il 13.01.2015, ed è, dunque, a tale data che occorre fare riferimento onde individuare la normativa urbanistico-edilizia concretamente applicabile.
5.1. Tanto precisato, occorre osservare che l’art. 16 DPR n. 380/2001 prevede che, salvi i casi di esenzione di cui all’art. 17, co. 3, “il rilascio del permesso di costruire comporta la corresponsione di un contributo commisurato all’incidenza degli oneri di urbanizzazione nonché al costo di costruzione”.
Come appare evidente, la norma collega il pagamento del contributo di costruzione al rilascio del permesso di costruire; in altre parole, è per quelle opere per la cui realizzazione la legge prevede tale titolo autorizzatorio che il contributo di costruzione è dovuto.
Il precedente art. 10 prevede che il permesso di costruire è necessario per gli “interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio”, espressamente indicando, tra questi, (comma 1) gli interventi di nuova costruzione (lett. a), gli interventi di ristrutturazione urbanistica (lett. b), e gli interventi di ristrutturazione edilizia (lett. c).
Il comma 2 prevede, inoltre, che le Regioni possono stabilire con legge “quali mutamenti, connessi o non connessi a trasformazioni fisiche, dell’uso di immobili o di loro parti, sono subordinati a permesso di costruire o a denuncia di inizio attività”.
In sostanza, il legislatore statale collega la necessità di permesso di costruire a fenomeni di “trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio” e, in primo luogo, qualifica tali la nuova costruzione, la ristrutturazione urbanistica e la ristrutturazione edilizia; in secondo luogo, demanda alle Regioni di individuare quali interventi (diversi da quelli precedentemente indicati) comportanti trasformazione urbanistica (ma non necessariamente edilizia), richiedano il permesso di costruire in ragione della loro natura ed incidenza, in particolare, sul carico urbanistico.
In ambedue le ipotesi innanzi considerate, appare evidente come il permesso di costruire si colleghi sempre ad interventi che incidono sul territorio, trasformandolo sul piano urbanistico–edilizio, o anche su uno solo dei due.
5.2. Più in particolare, per il caso di ristrutturazione edilizia, l’art. 10, co. 1, lett. c) –nel testo vigente al momento del rilascio del titolo edilizio- prevede la necessità del permesso di costruire non già per tutti i casi di ristrutturazione edilizia, bensì, più precisamente, per quelli che “portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino modifiche della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d’uso, nonché gli interventi che comportino modificazioni della sagoma di immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22.01.2004 n. 42 e successive modificazioni”.
Al contempo, l’art. 3, co. 1, lett. d), del DPR n. 380/2001 “gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, l'eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti. Nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica nonché quelli volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza. Rimane fermo che, con riferimento agli immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22.01.2004, n. 42 e successive modificazioni, gli interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove sia rispettata la medesima sagoma dell'edificio preesistente”.
Questo Consiglio di Stato ha già avuto modo di chiarire, con considerazioni che qui si intendono completamente riportate (v. Cons. Stato, sez. IV, 02.02.2017 n. 443, e giurisprudenza ivi richiamata), come, pur nella successione di modifiche interessanti le norme in tema di ristrutturazione edilizia, quest’ultima tipologia di intervento edilizio ricomprenda, nel proprio ambito generale, tipologie differenti, solo per alcune delle quali il legislatore prevede la necessità del permesso di costruire; da un lato, dunque, vi è la generale definizione di ristrutturazione edilizia (art. 3, co. 1, lett. d); dall’altro, le specifiche “species” del genus ristrutturazione edilizia per le quali occorre il permesso di costruire (art. 10, co. 1, lett. c).
Si è, in particolare, affermato:
Per effetto della modifica introdotta dall'art. 30, comma 1, lett. a), D.L. 21.06.2013, n. 69, convertito dalla L. 09.08.2013, n. 98, ... vi sono ora tre distinte ipotesi di intervento rientranti nella definizione di “ristrutturazione edilizia”, che possono portare “ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente”:
   - la prima, non comportante demolizione del preesistente fabbricato e comprendente (dunque, in via non esaustiva) “il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, l'eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti”;
   - la seconda, caratterizzata da demolizione e ricostruzione, per la quale è richiesta “la stessa volumetria di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica” (ed in questo caso, rispetto al testo previgente, non è più richiesta l’identità di sagoma);
   - la terza, rappresentata dagli interventi “volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza
”".
Inoltre, qualora la seconda e la terza delle ipotesi innanzi indicate riguardino immobili sottoposti a vincoli di cui al d.lgs. n. 42/2004, potrà parlarsi di ristrutturazione edilizia solo in presenza, nell’immobile ricostruito, della identità di sagoma dell’edificio preesistente.
Per effetto della lett. c) del medesimo articolo, anche l’art. 10, co. 1, lett. c), del DPR n. 380/2001 è stato modificato, di modo che è necessario il permesso di costruire per “gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino aumento di unità immobiliari, modifiche del volume, dei prospetti o delle superfici, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d'uso, nonché gli interventi che comportino modificazioni della sagoma di immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22.01.2004, n. 42 e successive modificazioni”.
Infine, con modifica introdotta dall’art. 17, co. 1, lett. d), d.l. 12.09.2014 n. 133, conv. in l. 11.11.2014 n. 164, alla necessità di permesso di costruire per i casi in cui il nuovo fabbricato comporti anche “aumento di unità immobiliari” e “modifica del volume”, si è sostituita la più limitata ipotesi di “modifiche della volumetria complessiva degli edifici” (eliminando, dunque, il caso dell’aumento delle unità immobiliari).
E’ appena il caso di osservare che il legislatore, in sede di elencazione delle ipotesi di ristrutturazione edilizia con necessità di permesso di costruire, ha ricompreso anche quella comportante modifiche di sagoma di edifici vincolati ex d.lgs. n. 42/2004, ipotesi da riferirsi ai soli casi in cui la ristrutturazione riguardi edifici vincolati, ma senza abbattimento, poiché, in tale ultima ipotesi, ai sensi del precedente art. 3, co. 1, lett. d), si fuoriesce dalla definizione di “ristrutturazione edilizia”.
In definitiva, non tutti gli interventi di ristrutturazione edilizia necessitano del rilascio del permesso di costruire, ma solo quelli specificamente indicati dall’art. 10, co. 1, lett. c) e, per quel che interessa nella presente sede, quelli che “portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino modifiche della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti”, posto che le ulteriori due ipotesi contemplate dalla norma (mutamenti di destinazione d’uso di immobili in zona A, interventi che modificano la sagoma di immobili sottoposti a vincolo ai sensi del d.Lgs. n. 42/2004), non interessano il caso di specie.
Occorre, dunque, perché sia necessario il rilascio del permesso di costruire una modifica (parziale o totale) dell’organismo edilizio preesistente ed un aumento della volumetria complessiva; solo in questi casi, d’altra parte, l’intervento si caratterizza (in ossequio alla prescrizione normativa) come “trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio”.
Nelle ipotesi, invece, di “ristrutturazione ricostruttiva” (come definita dalla giurisprudenza: Cons. Stato, sez. IV, 07.04.2015 n. 1763; 09.05.2014 n. 2384; 06.07.2012 n. 3970), a maggior ragione se con invarianza, oltre che di volume, anche di sagoma e di area di sedime, non vi è necessità di permesso di costruire e, dunque, ai sensi dell’art. 16 DPR n. 380/2001, manca il presupposto per la richiesta e corresponsione del contributo di costruzione.
Infine, giova osservare che, del tutto coerentemente, il legislatore, all’art. 22, co. 1, lett. c), DPR n. 380/2001, prevede, tra gli interventi sottoposti a segnalazione certificata di inizio di attività (SCIA), anche i casi di ristrutturazione edilizia per i quali non è necessario il permesso di costruire, fermo restando la possibilità per l’interessato (co. 7) di richiedere comunque il permesso di costruire “senza obbligo del pagamento del contributo di costruzione di cui all’art. 16” (con esclusione dei casi in cui, ai sensi dell’art. 23, la SCIA è sostitutiva del permesso di costruire).
5.3. Le conclusioni alle quali si è innanzi pervenuti non contrastano con quanto previsto, per la Regione Lombardia, dall’art. 44 l. reg. 11.03.2005 n. 12, posto che, nel definire le modalità di determinazione degli oneri di urbanizzazione per gli interventi di ristrutturazione edilizia, tale disposizione non impone una generalizzata onerosità dell’intervento, come si evince dall’inciso “se dovuti”, riferito agli oneri e più volte ripetuto (v. co. 8, 10, 10-bis).
Inoltre –diversamente considerando rispetto alla sentenza impugnata (pag. 10)- è solo nei sensi e limiti innanzi esposti che può trovare applicazione quanto previsto dalla delibera della Giunta comunale di Monza 03.11.2008 n. 43, laddove la stessa prevede il pagamento di oneri di urbanizzazione per gli interventi di ristrutturazione comportanti demolizione e ricostruzione, in misura pari a quelli previsti per le nuove costruzioni.
6. Alla luce delle considerazioni esposte, l’appello è fondato:
   - sia in relazione al primo profilo del secondo motivo (sub lett. b1), poiché, in presenza di interventi che non comportano “trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio”, nei sensi e limiti normativamente considerati ed innanzi esposti, non è dovuto il contributo di cui all’art. 16, co. 1, DPR n. 380/2001;
   - sia in relazione al terzo motivo di appello (sub lett. c), posto che l’amministrazione, lungi dal procedere ad una “automatica” applicazione dell’art. 16, co. 1, cit. ai casi di ristrutturazione edilizia, avrebbe dovuto congruamente motivare le ragioni per le quali, in presenza della (affatto particolare) tipologia di intervento oggetto di istanza di permesso di costruire, riteneva di procedere all’adozione del permesso di costruire con corrispondente onerosità dell’intervento e, dunque, imposizione degli oneri a carico del richiedente.
Da quanto esposto consegue, in riforma della sentenza di I grado, ed in corrispondenza della domanda formulata con il ricorso instaurativo del giudizio, l’annullamento del permesso di costruire 13.01.2015 n. 91, nella parte in cui con il medesimo è stato richiesto il versamento del contributo di costruzione per un importo di Euro 257.377,54.
Resta fermo il potere del Comune di Monza di verificare che il progetto presentato ed oggetto di istanza, presenti tutte le caratteristiche innanzi indicate che, ove esistenti, comportano la non corresponsione di oneri ai sensi dell’art. 16 DPR n. 380/2001 (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 30.05.2017 n. 2567 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Oggetto: Parere in merito alla determinazione del contributo di costruzione per il rilascio di permesso a costruire per la realizzazione di annessi agricoli - Comune di Vicovaro (Regione Lazio, nota 23.05.2017 n. 260672 di prot.).

EDILIZIA PRIVATA: Gli oneri relativi al trattamento ed allo smaltimento dei rifiuti solidi, liquidi e gassosi di cui all'art. 19 T.U. Edilizia devono ascriversi alla categoria dei "corrispettivi di diritto pubblico".
Ne deriva che essi hanno natura di entrata di parte capitale ordinariamente utilizzabili solo per spese di investimento, salvo eccezione di legge.
Eccezione che per gli anni 2016 e 2017 è costituita dalla legge n. 208/2015, in base alla quale i proventi delle concessioni edilizie possono essere impiegati per una quota pari al 100% per spese di manutenzione ordinaria del verde, delle strade e del patrimonio comunale, nonché per spese di progettazione delle opere pubbliche.
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Il Sindaco del Comune di Landriano (PV) –premesso:
   che, a norma dell’art. 43 L. R. n. 12 del 11.03.2005, i titoli abilitativi per interventi di nuova costruzione, ampliamento di edifici esistenti e ristrutturazione edilizia sono soggetti alla corresponsione degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria, nonché del contributo sul costo di costruzione; che l’art. 19 del T.U. Edilizia prevede, inoltre, che il permesso di costruire relativo a costruzioni o impianti destinati ad attività industriali o artigianali dirette alla trasformazione di beni ed alla prestazione di servizi comporta anche la corresponsione di un contributo pari alla incidenza delle opere necessarie al trattamento e allo smaltimento dei rifiuti solidi, liquidi e gassosi;
   che il contributo di costruzione è costituito da due differenti voci e cioè: gli oneri di urbanizzazione (suddivisi in primari e secondari) e il contributo per il costo di costruzione;
   che quest’ultimo sarebbe sostituito, nel caso degli insediamenti produttivi, da una ulteriore quota di oneri relativi al trattamento ed allo smaltimento dei rifiuti solidi, liquidi e gassosi; che l’art. 1, comma 737, legge 208 del 2015 ha disposto che: “per gli anni 2016 e 2017, i proventi delle concessioni edilizie e delle sanzioni previste dal testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 06.06.2001, n. 380, fatta eccezione per le sanzioni di cui all’articolo 31, comma 4-bis, del medesimo testo unico, possono essere utilizzati per una quota pari al 100 per cento per spese di manutenzione ordinaria del verde, delle strade e del patrimonio comunale, nonché per spese di progettazione delle opere pubbliche”;
   che codesta Corte, con parere numero 38/2016, reso nella seduta del 19.01.2016, ha chiarito che: “quanto invece alle entrate connesse al versamento dei contributi sul costo di costruzione, la natura tributaria delle stesse le fa invece necessariamente riconfluire, come già rilevato da questa Sezione nella deliberazione n. 1/pareri/2014, nel totale delle entrate che, come tali, in virtù del principio di unità di bilancio finiscono con l’essere destinate al finanziamento del totale delle spese”;–
ha chiesto alla Sezione conferma della possibilità dell’utilizzo delle quote di oneri relativi al trattamento ed allo smaltimento dei rifiuti solidi, liquidi e gassosi per il finanziamento delle spese correnti, senza particolari vincoli di destinazione
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...
In via preliminare, la Sezione precisa che la decisione di procedere ad una determinata spesa attiene al merito dell’azione amministrativa e rientra, pertanto, nella piena ed esclusiva discrezionalità e responsabilità dell’ente; spetta altresì all’ente procedere alle attività amministrative e giuscontabili conseguenti alla qualificazione della spesa, oggetto del presente parere.
In generale, si osserva che l’allocazione in bilancio e la conseguente corretta utilizzazione delle entrate derivanti dai contributi per permesso di costruire è stata oggetto di ripetute modifiche da parte del legislatore, nonché di ripetute interpretazioni da parte delle Sezioni regionali di controllo di questa Corte.
Al riguardo, può rammentarsi che prima dell’attuale “contributo per permesso di costruire”, i Comuni riscuotevano gli “oneri di urbanizzazione” previsti dalla legge n. 10 del 1977, che subordinava la concessione edilizia alla corresponsione di un contributo commisurato all’incidenza delle spese di urbanizzazione, nonché al costo di costruzione (art. 3).
In tale contesto, i proventi delle concessioni erano espressamente destinati alla realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria, al risanamento di complessi edilizi compresi nei centri storici, nonché, nel limite massimo del 30 per cento, a spese di manutenzione ordinaria del patrimonio comunale (art. 12, come modificato dall’art. 16-bis del decreto legge n. 318 del 1986, convertito con modificazioni dalla legge n. 488 del 1986).
In seguito, il d.P.R. n. 380 del 2001 (T.U. Edilizia), nel ridisciplinare interamente la materia, ha al contempo introdotto il contributo per il rilascio del permesso di costruire, commisurato all’incidenza degli oneri di urbanizzazione, nonché al costo di costruzione (art. 16, comma 1).
In riferimento a tale novella, si è consolidata la tesi (Sezione regionale di controllo per la Basilicata, deliberazione 27.11.2013 n. 123); Sezione controllo Piemonte, parere 10.05.2013 n. 168), già condivisa da questa Sezione (parere 09.02.2016 n. 38), che l’intervento normativo organico di settore, rappresentato dal testo unico, ha determinato la tacita abrogazione –in via consequenziale– oltre che del citato disposto della legge 10/1978, anche dell’art. 49, comma 7, legge n. 449 del 1997, in base al quale i proventi delle concessioni edilizie e delle sanzioni potevano essere destinati anche al finanziamento di spese di manutenzione del patrimonio comunale.
Come già evidenziato da questa sezione (parere 09.02.2016 n. 38), ciò ha determinato l’ulteriore effetto, in mancanza di una diversa ed espressa previsione di legge, del venir meno dei relativi vincoli e facoltà, stabiliti dalle norme abrogate, di destinazione dei proventi riscossi a titolo di contributi per il rilascio del permesso di costruire.
In conseguenza del venir meno di un’espressa destinazione, s’era in quel contesto sottolineato che l’entrata derivante dal rilascio dei permessi di costruire finisse per confluire nel totale delle entrate – ed in particolare, s’è ritenuto, in quelle di natura tributaria – che intrinsecamente sono destinate a finanziare il totale delle spese, secondo il principio dell’unità di bilancio (art. 162, comma 2, T.U.E.L.), con l’ulteriore conseguenza della riallocazione di queste risorse, in considerazione del venir meno del predetto vincolo legislativo di destinazione di cui all’art. 12, legge n. 10 del 1977 e ss.mm.ii., tra quelle che contribuiscono complessivamente a determinare gli equilibri di bilancio ex art. 193, comma 3, T.U.E.L. (cfr. ancora questa Sezione, deliberazione 1/parere/2004; cfr. altresì la circolare della Ragioneria Generale dello Stato 07.04.2004, n. 39656 ed il Principio contabile n. 2, par. 20, dei “Principi contabili per gli Enti locali” elaborati nel 2004, principio che ha ritenuto detta entrata ascrivibile al Titolo I dell’Entrata, cioè alle entrate tributarie).
Tale approdo, riportato anche dal Comune nella parte motiva della richiesta di parere, deve tuttavia essere ulteriormente precisato nei termini già espressi dal parere 09.02.2016 n. 38.
Invero, se tale allocazione da un lato, in quel medesimo contesto, ha portato a considerare astrattamente l’entrata come liberamente disponibile per il finanziamento (anche) di spese correnti, dall’altro, essa non ha fatto venir meno la natura intrinsecamente aleatoria e irripetibile della risorsa stessa, natura che trova una conferma nella specifica forma di accertamento per essa prevista dei Principi contabili del 2004 (accertamento effettuato sulla base degli introiti effettivi); pertanto, tale risorsa, anche nel sistema derivante dall’entrata in vigore del d.P.R. n. 380 del 2001, non avrebbe comunque potuto essere destinata a finanziare spese correnti consolidate e ripetibili, come ripetutamente rilevato anche da questa Sezione (v. sul punto, le deliberazioni nn. 382/2015/PRSE; 360/2015/PRSE; 160/2015/PRSE; 155/2015/PRSE; 152/2015/PRSE).
In materia, il legislatore è successivamente intervenuto con disposizioni aventi un’efficacia temporalmente limitata, al fine di introdurre facoltà e limiti all’utilizzo di proventi delle concessioni edilizie, da ultimo con la legge 208/2005, di cui si dirà oltre.
In assenza di una normazione specifica, quale quella da ultimo citata, valgono invece i principi generali innanzi esposti così come ulteriormente precisati dal parere 09.02.2016 n. 38, che il Comune ha citato solo parzialmente e che la Sezione intende confermare.
Quest’ultima delibera, infatti, ha declinato in maniera più analitica il principio generale innanzi ricordato, a seconda delle diverse componenti in cui concretamente si articola l’entrata derivante dal rilascio dei permessi di costruire.
Giova, pertanto, ripercorrere seppur per sommi capi quanto già espresso nella citata precedente deliberazione, sulla base delle cui conclusioni deve darsi risposta anche al quesito specifico oggetto del presente parere.
Più precisamente, secondo quanto già affermato da questa Corte (v. Sezione regionale di controllo per il Veneto, parere 22.04.2015 n. 219) –peraltro sulla scorta anche dell’ampia giurisprudenza amministrativa resa in materia (v. in generale TAR Lombardia, Brescia, sez. I, 03.05.2014, n. 464; Consiglio di Stato, Sez. IV, 20.12.2013, n. 6160; TAR Lombardia, Brescia, sez. II, 25.03.2011, n. 469; Consiglio di Stato, sez. V, 23.01.2006, n. 159)– deve essere sottolineato che il contributo collegato all’assentimento dell’attività edilizia si compone di due distinti elementi: uno, di natura contributiva, afferente alle spese per l’urbanizzazione del territorio, e che costituisce pertanto una modalità di concorso del privato agli “oneri sociali” derivanti dall’incremento del carico urbanistico (oneri di urbanizzazione in senso stretto); l’altro, di natura impositiva, conseguente invece all’aumento della capacità contributiva del titolare dell’opera, in ragione dell’incremento, in virtù dell’assentimento dell’attività edilizia, del patrimonio immobiliare detenuto da tale soggetto (contributo di costruzione).
Quest’ultimo consiste in una prestazione patrimoniale ascrivibile alla categoria dei tributi locali, in quanto il prelievo non si basa, come nel caso degli oneri di urbanizzazione, sui costi collettivi derivanti dall’insediamento di un nuovo edificio, ma sull’incremento di ricchezza immobiliare determinato dall’intervento edilizio stesso. Gli oneri propriamente di urbanizzazione sono invece ascrivibili alla categoria dei “corrispettivi di diritto pubblico” e sono, conseguentemente, dovuti in ragione dell’obbligo del privato di partecipare ai costi delle opere di trasformazione del territorio di cui in definitiva si giova.
Tale natura “corrispettiva” emerge con evidenza da più indici normativi, sia derivanti dalla possibilità di scomputare le opere pubbliche realizzate dal privato dagli oneri dovuti, sia connessi alla possibilità di escludere specifiche attività edilizie, in determinate ipotesi, dal versamento dal contributo sul costo di costruzione, ma non dal versamento degli oneri di urbanizzazione (v. le ipotesi contemplate dagli artt. 17 e 18, da un lato, e dall’art. 19, dall’altro, del d.P.R. n. 380 del 2001; cfr. altresì l’art. 43, comma 2-ter, legge della Regione Lombardia n. 12 del 2005).
Pertanto, quanto alla corretta allocazione in bilancio e utilizzazione di dette risorse, in generale e sul presupposto dell’assenza di specifiche normative applicabili, non può che muoversi dal riconoscimento di tale natura duale dell’entrata, peraltro affermata, nell’ambito dell’armonizzazione, anche dal principio 3.11. dell’Allegato 4/2 al decreto legislativo n. 118 del 2011, come modificato dal decreto legislativo n. 126 del 2014, il quale correttamente evidenzia che “l’obbligazione per i permessi di costruire è articolata in due quote”: “la prima (oneri di urbanizzazione) è immediatamente esigibile, ed è collegata al rilascio del permesso al soggetto richiedente, salva la possibilità di rateizzazione (eventualmente garantita da fidejussione), la seconda (costo di costruzione) è esigibile nel corso dell'opera ed, in ogni caso, entro 60 giorni dalla conclusione dell'opera medesima”, con le relative conseguenze in tema d’accertamento ed imputazione.
Alla luce di tale considerazione, si deve conseguentemente rilevare che le entrate connesse al versamento degli oneri di urbanizzazione hanno necessariamente natura di entrate di parte capitale, derivando in definitiva dal “consumo” del suolo, cioè dall’irreversibile (almeno in linea tendenziale) impiego di un bene pubblico, ed essendo intrinsecamente destinate alla realizzazione di opere, volte al razionale e salubre impiego dello stesso, destinate comunque ad incrementare il “patrimonio immobiliare” dell’ente, sub specie di realizzazione (diretta o indiretta) di beni rientranti nelle categorie, a seconda delle evenienze, del demanio (ad es. strade, piazze, acquedotti, v. gli artt. 822, secondo comma, e 824 c.c.), o del patrimonio indisponibile (v. al riguardo l’art. 826, terzo comma, c.c.).
In tali ipotesi, infatti, si verte nell’ambito di entrate naturalmente destinate all’incremento dei beni annoverabili nel “patrimonio” latamente inteso dell’ente e che, come tali, devono essere rappresentate nel bilancio; in particolare, la naturale allocazione di tali entrate è, dunque, tra le risorse di parte capitale, ordinariamente utilizzabili solo per spese di investimento, salvo le eccezioni di legge (art. 162, comma 6, T.U.E.L.; v. per la nozione d’investimento l’art. 3, comma 18, legge n. 350 del 2003). Quanto, invece, alle entrate connesse al versamento dei contributi sul costo di costruzione, la natura tributaria delle stesse le fa invece necessariamente confluire, come già rilevato da questa Sezione nella deliberazione n. 1/pareri/2014, nel totale delle entrate che, come tali, in virtù del principio dell’unità di bilancio (art. 162, comma 2, T.U.E.L.), finiscono coll’esser destinate a finanziare il totale delle spese.
E’ alla luce delle coordinate ermeneutiche innanzi esposte, che deve trovare risposta il quesito concretamente posto dal Comune di Landriano relativo alla possibilità dell’utilizzo delle quote di oneri relativi al trattamento ed allo smaltimento dei rifiuti solidi, liquidi e gassosi (onere c.d. ecologico) per il finanziamento delle spese correnti, senza particolari vincoli di destinazione.
Invero, la soluzione non può che dipendere dalla natura che si intende riconoscere a detti oneri: tributaria, come parrebbe implicitamente presupporre il Comune; ovvero di “corrispettivo pubblico” nel senso innanzi precisato.
Già l’art 10, primo comma, legge 28.01.1977 n. 10 prevedeva che l’onere contributivo dovuto per il rilascio della concessione edilizia relativa ad opere o impianti non destinati alla residenza va commisurato, oltre che in relazione all’incidenza delle opere di urbanizzazione, a quella delle opere “necessarie al trattamento e allo smaltimento dei rifiuti solidi, liquidi e gassosi” ed a quelle “necessarie alla sistemazione dei luoghi ove ne siano alterate le caratteristiche”.
Tale previsione trova oggi confermata nell’art. 19, T.U. 380/2001, rubricato “Contributo di costruzione per opere o impianti non destinati alla residenza”.
Se ne deduce che l’onere c.d. ecologico grava solo sugli insediamenti di tipo industriale per il maggior impatto di tali costruzioni sul territorio ed è, infatti, rapportato alle opere e ai correlati oneri economici gravanti sulla collettività, che siano necessari per eliminare l’impatto ambientale negativo che la realizzazione degli impianti industriali può comportare sul territorio.
Più precisamente, non vengono in considerazione solo le usuali opere per lo smaltimento dei rifiuti e delle sostanze inquinanti che altrimenti graverebbero sull’amministrazione locale, ma anche tutti quegli interventi che si richiedono per la sistemazione dell’ambiente circostante, le cui caratteristiche possono risultare alterate in vario modo sia dalle opere costituenti specificamente lo stabilimento industriale autorizzato, sia dagli stessi impianti di disinquinamento realizzati.
In altre parole, l’onere di cui si discorre riguarda la partecipazione del privato agli interventi tesi a mitigare il complessivo impatto ambientale delle opere autorizzate e va commisurato agli effetti inquinanti che, seppur mantenuti nei limiti consentiti dalla legge, devono per quanto possibile essere contrastati con adeguati interventi il cui costo economico graverebbe, altrimenti, per intero sulla collettività.
La ragione giustificativa di tale onere appare, dunque, immediatamente assimilabile a quella degli oneri di urbanizzazione in senso stretto, trattandosi in entrambi i casi di modalità di concorso del privato agli “oneri sociali” derivanti dalla nuova costruzione.
Tale conclusione è avvalorata dalla lettera del T.U. Ediliza, che nell’art. 19 tratta in modo sostanzialmente unitario il contributo pari alla incidenza delle opere di urbanizzazione, di quelle necessarie al trattamento e allo smaltimento dei rifiuti solidi, liquidi e gassosi e di quelle necessarie alla sistemazione dei luoghi ove ne siano alterate le caratteristiche, rivelandone così la medesima natura (“Il permesso di costruire relativo a costruzioni o impianti destinati ad attività industriali o artigianali dirette alla trasformazione di beni ed alla prestazione di servizi comporta la corresponsione di un contributo pari alla incidenza delle opere di urbanizzazione, di quelle necessarie al trattamento e allo smaltimento dei rifiuti solidi, liquidi e gassosi e di quelle necessarie alla sistemazione dei luoghi ove ne siano alterate le caratteristiche. La incidenza di tali opere é stabilita con deliberazione del consiglio comunale in base a parametri che la regione definisce con i criteri di cui al comma 4, lettere a) e b), dell'articolo 16, nonché in relazione ai tipi di attività produttiva”).
Del resto, l’assimilazione del c.d. onere ecologico agli oneri di urbanizzazione è confermata anche dalla giurisprudenza amministrativa, secondo la quale: “il contributo commisurato agli oneri di urbanizzazione ha carattere generale perché prescinde totalmente dall’esistenza o meno delle singole opere di urbanizzazione, ha natura di prestazione patrimoniale imposta e viene determinato senza tenere conto né dell’utilità che il privato ritrae dal titolo edificatorio, né delle spese effettivamente occorrenti per realizzare le suddette opere. Analoghe caratteristiche vanno per coerenza riconosciute al contributo commisurato al c.d. “onere ecologico”, arbitrarie essendo distinzioni che non troverebbero fondamento né nella lettera della legge, né nella “ratio” dell’istituto” (Consiglio di Stato 2325/2007; Tar Emilia Romagna 431/2008).
La medesima giurisprudenza ha di conseguenza ritenuto applicabile all’onere ecologico, in assenza di parametri regionali, la disposizione di cui all’art. 16, T.U. edilizia (espressamente riferita alla sola fattispecie del contributo concernete gli oneri di urbanizzazione), laddove prescrive che nel caso di mancata definizione delle tabelle parametriche da parte della regione e fino alla definizione delle stesse, i comuni provvedono, in via provvisoria, con deliberazione del consiglio comunale.
Alla luce delle considerazioni che precedono appare, dunque, corretto ascrivere alla categoria dei “corrispettivi di diritto pubblico” anche gli oneri relativi al trattamento ed allo smaltimento dei rifiuti solidi, liquidi e gassosi.
Ne deriva che essi hanno necessariamente natura di entrate di parte capitale, derivando in definitiva dall’utilizzo del territorio, cioè dall’irreversibile (almeno in linea tendenziale) impiego di un bene pubblico, ed essendo intrinsecamente destinate alla realizzazione di opere volte al razionale e salubre impiego dello stesso, destinate comunque ad incrementare il “patrimonio immobiliare” dell’ente.
Anche in tale ipotesi, infatti, si verte nell’ambito di entrate naturalmente destinate all’incremento dei beni annoverabili nel “patrimonio” latamente inteso dell’ente e che, come tali, devono essere rappresentate nel bilancio; in particolare la naturale allocazione di tali entrate è, dunque, tra le risorse di parte capitale, ordinariamente utilizzabili solo per spese di investimento, salvo le eccezioni di legge.
Da ultimo, deve osservarsi che tale eccezione, per gli anni 2016 e 2017, è rappresentata dalla legge n. 208 del 2015, secondo la quale “per gli anni 2016 e 2017, i proventi delle concessioni edilizie e delle sanzioni previste dal testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, fatta eccezione per le sanzioni di cui all’articolo 31, comma 4-bis, del medesimo testo unico possono essere utilizzati per una quota pari al 100 per cento per spese di manutenzione ordinaria del verde, delle strade e del patrimonio comunale, nonché per spese di progettazione delle opere pubbliche” (art. 1, comma 737).
Tale disposizione contiene una specifica previsione facoltizzante, circa la destinazione dell’entrata, di cui l’ente, nella propria autonomia, potrà dunque avvalersi negli anni 2016 e 2017 e viene a configurare un’espressa disciplina, parzialmente derogatoria rispetto al regime ordinario d’imputazione di detti proventi, che tuttavia conferma a contrario, sotto il profilo concettuale, la tendenziale annoverabilità degli stessi, quantomeno pro parte, fra quelli di parte capitale (tanto che per destinare integralmente tali entrate a spese di parte corrente il legislatore ha ritenuto necessario dettare una disposizione ad hoc).
Spetta al comune di Landriano, sulla base dei principi espressi dalla giurisprudenza contabile, oltre che da questo stesso parere, valutare la fattispecie concreta al fine di addivenire, nel caso di specie, al migliore esercizio possibile del proprio potere di autodeterminazione in riferimento alla corretta copertura della spesa, nel rispetto del quadro legislativo ratione temporis di volta in volta applicabile, anche in considerazione della natura propria dello specifico intervento concretamente realizzato (Corte dei Conti, Sez. controllo Lombardia, parere 11.05.2017 n. 144).

aprile 2017

EDILIZIA PRIVATACome è noto, il contributo di costruzione costituisce un corrispettivo di diritto pubblico previsto a titolo di partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione, ovvero un contributo speciale che ha la propria causa giuridica nelle maggiori spese che l’amministrazione pubblica deve accollarsi in dipendenza della costruzione dell’edificio e del connesso utilizzo, da parte dei detentori del bene, dei servizi e degli spazi circostanti.
In caso di ristrutturazione edilizia, il pagamento degli oneri di urbanizzazione è dovuto solo nel caso in cui l’intervento abbia determinato un aumento del carico urbanistico.

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I ricorrenti hanno presentato denuncia di inizio attività, in data 26.11.2010, per la ristrutturazione del fabbricato unifamiliare residenziale di loro proprietà in via ... n. 39.
Il progetto ha previsto il rifacimento del solaio del primo piano e del balcone, modifiche alla tramezzatura interna, il rifacimento degli intonaci e dei pavimenti, la modifica delle aperture esterne. Non sono stati realizzati incrementi di volume e superficie utile, né è aumentato il numero di unità immobiliari.
Con l’atto impugnato, il Comune di Cambiano ha determinato il contributo di costruzione, ai sensi dell’art. 16 del d.P.R. n. 380 del 2001, in euro 9.749,35.
I ricorrenti rivendicano la gratuità dell’intervento e deducono, in tal senso, la violazione degli artt. 11, 16, 17 e 22 del d.P.R. n. 380 del 2001 nonché l’eccesso di potere sotto molteplici profili.
Si è costituito il Comune di Cambiano, chiedendo il rigetto del ricorso.
...
Il ricorso è fondato.
Con la d.i.a. n. 2033 del 2010, i ricorrenti hanno effettuato una ristrutturazione edilizia “leggera” senza demolire e ricostruire l’edificio, senza aumentare la superficie, il volume ed il numero di unità immobiliari, senza mutare la destinazione d’uso.
E’ stato realizzato un nuovo bagno al piano primo.
Siccome costruito prima del 1975, l’edificio era già abitabile su entrambi i piani, sebbene i locali fossero, prima della ristrutturazione, di altezza interna pari a 2,55 mt. (e perciò inferiore all’altezza minima di 2,70 mt. prescritta dall’art. 1 del d.m. 05.07.1975).
L’intervento di ristrutturazione ha consentito di ottenere, per tutti i piani, un’altezza di 2,70 mt. mediante la demolizione e ricostruzione delle solette interne.
Ma ciò non ha determinato un incremento del carico urbanistico, come erroneamente ritenuto dal Comune.
Come è noto, il contributo di costruzione costituisce un corrispettivo di diritto pubblico previsto a titolo di partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione, ovvero un contributo speciale che ha la propria causa giuridica nelle maggiori spese che l’amministrazione pubblica deve accollarsi in dipendenza della costruzione dell’edificio e del connesso utilizzo, da parte dei detentori del bene, dei servizi e degli spazi circostanti.
In caso di ristrutturazione edilizia, il pagamento degli oneri di urbanizzazione è dovuto solo nel caso in cui l’intervento abbia determinato un aumento del carico urbanistico (cfr., tra molte, TAR Piemonte, sez. I, 13.12.2013 n. 1346).
Nella specie, la d.i.a. presentata dai ricorrenti non era alternativa al permesso di costruire.
Per il combinato disposto dell’art. 22, terzo comma – lett. a) e quinto comma, e dell’art. 10, primo comma – lett. c), del d.P.R. n. 380 del 2001, l’intervento non è soggetto a contributo di costruzione.
Peraltro, come correttamente affermato dai ricorrenti, la gratuità dell’intervento discende (anche) dalla previsione dell’art. 17, terzo comma – lett. d), del d.P.R. n. 380 del 2001, relativo alle ristrutturazioni di edifici unifamiliari.
In conclusione, ed assorbite le ulteriori censure riferite al regolamento comunale sugli oneri di urbanizzazione ed alla delibera regionale n. 179/CR-4170 del 1977, il ricorso è fondato a va accolto (TAR Piemonte, Sez. II, sentenza 21.04.2017 n. 532 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA - PATRIMONIO - URBANISTICA: Nel rispetto della disciplina vincolistica di settore anche di livello regionale, nel corso dell’esercizio 2017, i proventi connessi agli oneri di urbanizzazione e alla monetizzazione degli standard qualitativi aggiuntivi possono essere utilizzati per finanziare una spesa in conto capitale.
Lo standard qualitativo, invero già previsto dalla legge regionale n. 9/1999, si può considerare, nella sua declinazione presente nell’ora riportato art. 90 della legge regionale n. 12/2005, un sovra-standard, ovvero una prestazione aggiuntiva rispetto alle dotazioni minime richieste dalla norma in relazione alle funzioni insediate o da insediare.
L’art. 90, nel prevedere la possibilità di monetizzare tali dotazioni, sottopone tale possibilità alla dimostrazione, da parte del comune, che “tale soluzione sia la più funzionale per l’interesse pubblico”.
L’ultimo comma dell’articolo in esame prevede, altresì, che “nel caso in cui il programma integrato di intervento preveda la monetizzazione ai sensi dell’articolo 46, la convenzione di cui all’articolo 93 deve contenere l’impegno del comune ad impiegare tali somme esclusivamente per l’acquisizione di fabbricati o aree specificamente individuati nel piano dei servizi e destinati alla realizzazione di attrezzature e servizi pubblici, ovvero per la realizzazione diretta di opere previste nel medesimo piano”.

Ne consegue che
l’utilizzo delle risorse relative alla monetizzazione dei predetti standard qualitativi è subordinata alla verifica –da parte del Comune istante– a monte che la stessa monetizzazione sia “la più funzionale per l’interesse pubblico” in concreto perseguito e, a valle, che il bene oggetto di acquisizione risulti individuato nel piano dei servizi e destinato all’effettiva realizzazione di attrezzature e servizi pubblici, ovvero di opere previste nel medesimo piano.
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Il Sindaco del Comune di Novedrate (CO) -dopo aver rappresentato che tra gli obiettivi strategici dell’azione amministrativa rientra l’acquisizione al patrimonio comunale del fabbricato storico denominato “Villa Casana”, della Cappella Gentilizia e del parco circostante attualmente di proprietà privata da conseguire mediante la permuta di un’area comunale posta all’interno dell’area di trasformazione afferente all’obiettivo strategico in cui la complessiva operazione si inscrive e dopo aver, altresì, ricordato che il Comune risulta tenuto al versamento anche di una somma pari alla differenza di valore fra i beni immobili oggetto di permuta– ha rivolto alla Sezione il seguente quesito:
se è possibile far fronte alla suddetta differenza di valore utilizzando all’uopo lo standard qualitativo aggiuntivo pari ad euro 300.000,00, il fondo per il Centro storico nella misura del 3% ed i proventi da permessi di costruire (oneri di urbanizzazione e costo di costruzione) che il privato dovrà versare nelle casse dell’Ente per la realizzazione dell’intervento edilizio programmato. Si precisa, nel contempo, che è intenzione delle parti sottoscrivere il contratto di permuta entro il corrente anno stante l’utilizzo per fini tipici degli oneri di urbanizzazione previsto a decorrere dall'esercizio 2018 dalla Legge n. 232/2016, articolo 1, commi 460-461”.
...
2. Giova preliminarmente evidenziare come la materia oggetto del quesito in esame è stata, di recente, oggetto, nei suoi principi generali, di analisi da parte di questa Sezione nella deliberazione n. 81/2017/PAR. Facendo applicazione dei principi affermati in tale pronuncia, deve preliminarmente ricordarsi, sul piano generale, che, nei principi contabili generali fissati dal decreto legislativo 23.06.2011, n. 118 (allegato 1) si esplicita che:
   - “è il complesso unitario delle entrate che finanzia l’amministrazione pubblica e quindi sostiene così la totalità delle sue spese durante la gestione”;
   - “le entrate in conto capitale sono destinate esclusivamente al finanziamento di spese di investimento”.
Nei predetti principi, dunque, viene ribadito il divieto di finanziare spese correnti con entrate in conto capitale che trova giustificazione anche nell’esigenza di assicurare il mantenimento degli equilibri di bilancio degli enti locali espressa dall’art. 162, comma 6, del decreto legislativo 10.08.2000, n. 267 (TUEL).
2.1. Ciò premesso, essendo l’operazione di permuta sopra richiamata finalizzata all’acquisizione al patrimonio comunale di un fabbricato storico e di alcune pertinenze, che sarebbero complessivamente destinate allo svolgimento di alcune funzioni pubbliche, essa si sostanzierebbe, come noto, in una spesa in conto capitale. Alla stessa può, dunque, farsi ancora fronte, nel corrente esercizio, con l’utilizzo degli oneri di urbanizzazione (per il successivo esercizio 2018, cfr. commi 460-461 dell’art. 1 della Legge n. 232/2016, che non contemplano, tra le operazioni finanziabili con in predetti oneri, l’acquisizione di immobili).
2.2. Facendo nuovamente applicazione dei principi generali fissati nella richiamata deliberazione n. 81/2017/PAR, può passarsi ad affrontare il profilo attinente all’utilizzo dei proventi relativi allo standard qualitativo aggiuntivo, tenuto conto del combinato disposto dell’art. 90 e dell’art. 46, comma 1, della legge regionale lombarda 11.03.2005, n. 12. Tali disposizioni prevedono, infatti, che:
   Art. 90 - Aree per attrezzature pubbliche e di interesse pubblico o generale.
1. I programmi integrati di intervento garantiscono, a supporto delle funzioni insediate, una dotazione globale di aree o attrezzature pubbliche e di interesse pubblico o generale, valutata in base all’analisi dei carichi di utenza che le nuove funzioni inducono sull’insieme delle attrezzature esistenti nel territorio comunale, in coerenza con quanto sancito dall’articolo 9, comma 4.
2. In caso di accertata insufficienza o inadeguatezza di tali attrezzature ed aree, i programmi integrati di intervento ne individuano le modalità di adeguamento, quantificandone i costi e assumendone il relativo fabbisogno, anche con applicazione di quanto previsto dall’articolo 9, commi 10, 11 e 12.
3. Qualora le attrezzature e le aree risultino idonee a supportare le funzioni previste, può essere proposta la realizzazione di nuove attrezzature indicate nel piano dei servizi di cui all’articolo 9, se vigente, ovvero la cessione di aree, anche esterne al perimetro del singolo programma, purché ne sia garantita la loro accessibilità e fruibilità.
4. È consentita la monetizzazione della dotazione di cui al comma 1 soltanto nel caso in cui il comune dimostri specificamente che tale soluzione sia la più funzionale per l’interesse pubblico. In ogni caso la dotazione di parcheggi pubblici e di interesse pubblico ritenuta necessaria dal comune deve essere assicurata in aree interne al perimetro del programma o comunque prossime a quest’ultimo, obbligatoriamente laddove siano previste funzioni commerciali o attività terziarie aperte al pubblico.
5. Nel caso in cui il programma integrato di intervento preveda la monetizzazione ai sensi dell’articolo 46, la convenzione di cui all’articolo 93 deve contenere l’impegno del comune ad impiegare tali somme esclusivamente per l’acquisizione di fabbricati o aree specificamente individuati nel piano dei servizi e destinati alla realizzazione di attrezzature e servizi pubblici, ovvero per la realizzazione diretta di opere previste nel medesimo piano.
   Art. 46 - Convenzione dei piani attuativi.
1. La convenzione, alla cui stipulazione è subordinato il rilascio dei permessi di costruire ovvero la presentazione delle denunce di inizio attività relativamente agli interventi contemplati dai piani attuativi, oltre a quanto stabilito ai numeri 3) e 4) dell’articolo 8 della legge 06.08.1967, n. 765 (Modifiche ed integrazioni alla legge urbanistica 17.08.1942, n. 1150), deve prevedere:
   a) la cessione gratuita, entro termini prestabiliti, delle aree necessarie per le opere di urbanizzazione primaria, nonché la cessione gratuita delle aree per attrezzature pubbliche e di interesse pubblico o generale previste dal piano dei servizi; qualora l’acquisizione di tali aree non risulti possibile o non sia ritenuta opportuna dal comune in relazione alla loro estensione, conformazione o localizzazione, ovvero in relazione ai programmi comunali di intervento, la convenzione può prevedere, in alternativa totale o parziale della cessione, che all’atto della stipulazione i soggetti obbligati corrispondano al comune una somma commisurata all’utilità economica conseguita per effetto della mancata cessione e comunque non inferiore al costo dell’acquisizione di altre aree. I proventi delle monetizzazioni per la mancata cessione di aree sono utilizzati per la realizzazione degli interventi previsti nel piano dei servizi, ivi compresa l’acquisizione di altre aree a destinazione pubblica;
   b) la realizzazione a cura dei proprietari di tutte le opere di urbanizzazione primaria e di una quota parte delle opere di urbanizzazione secondaria o di quelle che siano necessarie per allacciare la zona ai pubblici servizi; le caratteristiche tecniche di tali opere devono essere esattamente definite; ove la realizzazione delle opere comporti oneri inferiori a quelli previsti per la urbanizzazione primaria e secondaria ai sensi della presente legge, è corrisposta la differenza; al comune spetta in ogni caso la possibilità di richiedere, anziché la realizzazione diretta delle opere, il pagamento di una somma commisurata al costo effettivo delle opere di urbanizzazione inerenti al piano attuativo, nonché all’entità ed alle caratteristiche dell’insediamento e comunque non inferiore agli oneri previsti dalla relativa deliberazione comunale;
   c) altri accordi convenuti tra i contraenti secondo i criteri approvati dai comuni per l’attuazione degli interventi.
2. La convenzione di cui al comma 1 può stabilire i tempi di realizzazione degli interventi contemplati dal piano attuativo, comunque non superiori a dieci anni.

Lo standard qualitativo, invero già previsto dalla legge regionale n. 9/1999, si può considerare, nella sua declinazione presente nell’ora riportato art. 90 della legge regionale n. 12/2005, un sovra-standard, ovvero una prestazione aggiuntiva rispetto alle dotazioni minime richieste dalla norma in relazione alle funzioni insediate o da insediare.
L’art. 90, nel prevedere la possibilità di monetizzare tali dotazioni, sottopone tale possibilità alla dimostrazione, da parte del comune, che “tale soluzione sia la più funzionale per l’interesse pubblico”.
L’ultimo comma dell’articolo in esame prevede, altresì, che “nel caso in cui il programma integrato di intervento preveda la monetizzazione ai sensi dell’articolo 46, la convenzione di cui all’articolo 93 deve contenere l’impegno del comune ad impiegare tali somme esclusivamente per l’acquisizione di fabbricati o aree specificamente individuati nel piano dei servizi e destinati alla realizzazione di attrezzature e servizi pubblici, ovvero per la realizzazione diretta di opere previste nel medesimo piano”.

2.3. Ne consegue, per quanto qui maggiormente interessa, che
l’utilizzo delle risorse relative alla monetizzazione dei predetti standard qualitativi è subordinata alla verifica –da parte del Comune istante– a monte che la stessa monetizzazione sia “la più funzionale per l’interesse pubblico” in concreto perseguito e, a valle, che il bene oggetto di acquisizione risulti individuato nel piano dei servizi e destinato all’effettiva realizzazione di attrezzature e servizi pubblici, ovvero di opere previste nel medesimo piano (cfr. parere 15.11.2012 n. 487 di questa Sezione).
2.4. A non diverse conclusioni può pervenirsi in riferimento all’utilizzo del “fondo per il Centro storico”, sulla cui natura e funzione non è fornito alcun dettaglio nella richiesta di parere in esame, ove lo stesso sia costituito con contributi qualificabili come standard qualitativi aggiuntivi.
2.5. Resta, comunque, fermo che, come del resto affermato dallo stesso Ente nella richiesta di parere, la delineata operazione deve essere posta in essere nel pieno rispetto del disposto del comma 1-ter dell’art. 12 del D.L. n. 98/2011, non trattandosi di permuta “pura” (cfr. deliberazione di questa Sezione n. 97/2014/PAR) (Corte dei Conti, Sez. controllo Lombardia, parere 13.04.2017 n. 100).

marzo 2017

EDILIZIA PRIVATA - PATRIMONIO: - i proventi dei titoli abilitativi edilizi e delle sanzioni previste dal testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 06.06.2001, n. 380 (c.d. “oneri di urbanizzazione”) possono essere destinati anche al finanziamento di spese correnti nei limiti degli utilizzi stabiliti, per il 2017, dall’art. 1, comma 737, della legge 28.12.2015, n. 208 e per 2018 e gli esercizi seguenti dall’art. 1, comma 460, della legge 11.12.2016, n. 232;
   - i proventi derivanti “dalla monetizzazione di aree a standard” possono essere destinati solo a spese di investimento secondo quanto stabilito l’art. 46, comma 1, della legge regionale 11.03.2005, n. 12;
   - i proventi derivanti da alienazione di beni patrimoniali disponibili possono essere destinati, di regola, solo alla copertura di spese di investimento o alla riduzione dell’indebitamento ai sensi dell’art. 1, comma 443, della legge 24.12.2012, n. 228 e dell’art. 56-bis, comma 11, del decreto-legge 21.06.2013, n. 69 convertito dalla legge 09.08.2013, n. 98.
Tali entrate possono essere utilizzate anche per il finanziamento di spese correnti esclusivamente nelle ipotesi eccezionali previste dall’art. 255, comma 9, del TUEL ove l’ente versi in situazione di dissesto; dall’art. 243-bis, comma 8, lett. g), del TUEL ove l’ente abbia fatto ricorso alla procedura di riequilibrio pluriennale; dall’art. 2, comma 4, del DM 02.04.2015 per il ripiano del maggior disavanzo di amministrazione derivante dal passaggio al nuovo sistema contabile armonizzato

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Con la nota sopra citata il Sindaco del Comune di Sala Comacina (CO) formula una richiesta di parere riguardante le entrate destinabili al finanziamento di spese correnti, ponendo i seguenti quesiti:
   1. è possibile utilizzare per l’anno 2017 a finanziamento delle spese correnti, oltre agli oneri di urbanizzazione, anche i proventi derivanti da monetizzazione di aree sempre inerenti il rilascio di permessi a costruire pertanto direttamente collegati agli oneri di urbanizzazione?
   2. è possibile utilizzare tali proventi (oneri di urbanizzazione e monetizzazione di aree) a finanziamento delle spese correnti anche nel bilancio pluriennale per gli anni 2018-2019?
   3. è possibile utilizzare proventi da alienazione di un terreno di proprietà comunale, già deliberata nel 2016 in corso di procedura di gara, per finanziare la spesa corrente nel bilancio pluriennale 2018-2019?
...
La risposta ai quesiti formulati dal Comune è ricavabile dalla lettura dei principi generali e delle specifiche disposizioni di legge che, nel quadro dell’ordinamento finanziario e contabile degli enti locali, fissano il regime di utilizzazione e di destinazione delle entrate iscritte a bilancio.
Il principio dell’”unità”, compreso tra i principi contabili generali fissati dal decreto legislativo 23.06.2011, n. 118 (allegato 1) e a cui gli enti locali devono conformare la gestione finanziaria, dopo avere affermato che “è il complesso unitario delle entrate che finanzia l’amministrazione pubblica e quindi sostiene così la totalità delle sue spese durante la gestione” -aggiunge che– “le entrate in conto capitale sono destinate esclusivamente al finanziamento di spese di investimento”.
Lo stesso principio stabilisce ancora che “i documenti contabili non possono essere articolati in maniera tale da destinare alcune fonti di entrata a copertura solo di determinate e specifiche spese, salvo diversa disposizione normativa di disciplina delle entrate vincolate”.
Viene quindi ribadito, in via generale, il divieto di finanziare spese correnti con entrate in conto capitale che trova giustificazione anche nell’esigenza di assicurare il mantenimento degli equilibri di bilancio degli enti locali espressa dall’art. 162, comma 6, del decreto legislativo 10.08.2000, n. 267 (TUEL).
L’utilizzazione di entrate in conto capitale per finanziamento di spese correnti, in deroga al principio sopra richiamato, può essere autorizzata solo da specifiche disposizioni di legge quali sono state quelle che, nell’ultimo decennio, hanno riguardato i proventi derivanti dai c.d. “oneri di urbanizzazione”.
Rinviando al parere 09.02.2016 n. 38 di questa Sezione per una approfondita analisi sulla natura di tali entrate e sull’evoluzione legislativa dell’utilizzazione delle stesse, si richiamano di seguito le disposizioni in vigore per gli anni 2017 e 2018 e seguenti, attinenti alla richiesta di parere.
L’art. 1, comma 737, della legge 28.12.2015, n. 108 (legge di stabilità per il 2016) dispone che “per gli anni 2016 e 2017, i proventi delle concessioni edilizie e delle sanzioni previste dal testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 06.06.2001, n. 380, fatta eccezione per le sanzioni di cui all'articolo 31, comma 4-bis, del medesimo testo unico, possono essere utilizzati per una quota pari al 100 per cento per spese di manutenzione ordinaria del verde, delle strade e del patrimonio comunale, nonché per spese di progettazione delle opere pubbliche”.
L’art. 1, comma 460, della legge 11.12.2016, n. 232 (legge di bilancio per il 2017), dispone viceversa che “a decorrere dal 01.01.2018, i proventi dei titoli abilitativi edilizi e delle sanzioni previste dal testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, sono destinati esclusivamente e senza vincoli temporali alla realizzazione e alla manutenzione ordinaria e straordinaria delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria, al risanamento di complessi edilizi compresi nei centri storici e nelle periferie degradate, a interventi di riuso e di rigenerazione, a interventi di demolizione di costruzioni abusive, all'acquisizione e alla realizzazione di aree verdi destinate a uso pubblico, a interventi di tutela e riqualificazione dell'ambiente e del paesaggio, anche ai fini della prevenzione e della mitigazione del rischio idrogeologico e sismico e della tutela e riqualificazione del patrimonio rurale pubblico, nonché a interventi volti a favorire l'insediamento di attività di agricoltura nell'ambito urbano”.
Ne viene che i proventi in parola, per la componente cui è da riconoscersi natura di entrata in conto capitale, (cfr. Sezione regionale di controllo per la Lombardia, parere 09.02.2016 n. 38, cit.), nel 2017 potranno essere destinati totalmente al finanziamento delle spese correnti elencate dalla legge di stabilità per il 2016 in deroga al principio di generica destinazione a spese di investimento.
A decorrere dal 01.01.2008, viceversa, le entrate derivanti dal rilascio dei titoli abilitativi edilizi e dalle relative sanzioni dovranno essere destinate solo agli specifici utilizzi, attinenti prevalentemente a spese in conto capitale, stabiliti dalla legge di bilancio per il 2017.
Per effetto della predetta legge, in altri termini, dal 2018 i proventi da “oneri di urbanizzazione” cesseranno di essere entrate con destinazione generica a spese di investimento per divenire entrate vincolate a determinate categorie di spese ivi comprese le spese correnti, limitatamente agli interventi di manutenzione ordinaria sulle opere di urbanizzazione primaria e secondaria.
Del mutato quadro legislativo, nel senso sopra descritto, il Comune dovrà tenere conto nella predisposizione del bilancio di previsione 2017-2019.
Diversa è la disciplina degli dei proventi derivanti dalla c.d. “monetizzazione di aree a standards”, consistente nel versamento al Comune di un importo alternativo alla cessione diretta delle aree necessarie alle opere di urbanizzazione, la cui destinazione è viceversa demandata alla legislazione regionale.
Per la Lombardia l’art. 46, comma 1, della legge regionale 11.03.2005, n. 12 stabilisce al riguardo che “i proventi delle monetizzazioni per la mancata cessione di aree sono utilizzati per la realizzazione degli interventi previsti nel piano dei servizi, ivi compresa l’acquisizione di altre aree a destinazione pubblica”.
Il vincolo di destinazione specifica stabilito dalla fonte regionale sopra richiamata esclude pertanto che tali proventi, in conformità alla loro natura di entrate in conto capitale, possano essere destinati al finanziamento di spese correnti.
Né si può ammettere un’applicazione analogica delle disposizioni di legge prima citate sull’utilizzazione di proventi derivanti dagli oneri di urbanizzazione.
Questa Sezione, con il
parere 26.06.2006 n. 6, si è già pronunciata sulla questione nei termini che si riferiscono di seguito: “Occorre tuttavia osservare che mentre il contributo di costruzione risulta un provento connesso al rilascio del permesso di costruire commisurato, secondo quanto disposto dall’art. 16 DPR 380/2001, a tariffe determinate dal Consiglio Comunale i proventi della monetizzazione trovano fondamento nelle convenzioni che consentono a soggetti privati obbligati a cedere la proprietà di aree a favore dei Comuni di corrispondere, in alternativa totale o parziale, una somma commisurata all’utilità̀ economica conseguita per effetto della mancata cessione e comunque non superiore al costo di acquisto di altre aree avente analoghe caratteristiche.
La monetizzazione costituisce un’obbligazione alternativa alla cessione da parte dei privati di aree che potrebbero risultare non utili ai fini dell’interesse pubblico.
Pertanto tale entrata non può che essere classificata, al titolo IV –Entrate derivanti da alienazioni, da trasferimenti di capitale e da riscossione di crediti– e, come tale, essere destinata al finanziamento di spese di investimento, ed in particolare ai sensi dell’art. 46, comma 1 lett. a) della legge regionale 11.03.2005, n. 12 alla realizzazione degli interventi previsti nel Piano dei servizi, ivi compresa l’acquisizione di altre aree a destinazione pubblica.
Un’eventuale destinazione a spese correnti costituirebbe un manifesto depauperamento del patrimonio comunale, configurando un evidente pregiudizio alla sana gestione finanziaria dell’ente locale
”.
Che le entrate in conto capitale siano destinate esclusivamente al finanziamento di spese di investimento impedisce poi che, di regola, i proventi derivanti dall’alienazione di beni patrimoniali possano essere utilizzati per finanziare spese correnti.
Il principio, è ribadito anche dall'art. 1, comma 443, della legge 24.12.2012, n. 228 (legge di stabilità per il 2013) che recita: "in applicazione del secondo periodo del comma 6 dell'art. 162 del decreto legislativo 18.08.2000, n. 267, i proventi da alienazioni di beni patrimoniali disponibili possono essere destinati esclusivamente alla copertura di spese di investimento ovvero, in assenza di queste o per la parte eccedente, per la riduzione del debito".
Si richiama anche l’art. 56-bis, comma 11, del decreto-legge 21.06.2013, n. 69 convertito dalla legge 09.08.2013, n. 98 nel testo modificato dall’art. 7, comma 5, del decreto-legge 19.06.2015, n. 78 ove si stabilisce che “in considerazione dell'eccezionalità della situazione economica e tenuto conto delle esigenze prioritarie di riduzione del debito pubblico, al fine di contribuire alla stabilizzazione finanziaria e promuovere iniziative volte allo sviluppo economico e alla coesione sociale, è altresì destinato al Fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato, con le modalità di cui al comma 5 dell'articolo 9 del decreto legislativo 28.05.2010, n. 85, il 10 per cento delle risorse nette derivanti dall'alienazione dell'originario patrimonio immobiliare disponibile degli enti territoriali, salvo che una percentuale uguale o maggiore non sia destinata per legge alla riduzione del debito del medesimo ente. Per gli enti territoriali la predetta quota del 10% è destinata prioritariamente all'estinzione anticipata dei mutui e per la restante quota secondo quanto stabilito dal comma 443 dell'articolo 1 della legge 24.12.2012, n. 228. Per la parte non destinata al Fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato, resta fermo quanto disposto dal comma 443 dell'articolo 1 della legge 24.12.2012, n. 228”.
Disposizioni speciali che, in deroga al principio generale confermato anche dalla disciplina sopra richiamata, consentano in via eccezionale di utilizzare entrate derivanti dall’alienazione di beni patrimoniali disponibili per finanziare spese correnti, sono quelle previste per le esigenze di risanamento dell’ente locale nelle ipotesi di dissesto (art. 255, comma 9, del TUEL), di ricorso alla procedura di riequilibrio pluriennale (art. 243-bis, comma 8, lett. g) o di ripiano dal maggior disavanzo derivante dal riaccertamento straordinario dei residui nel passaggio al nuovo sistema contabile armonizzato (art. 2, comma 4, del DM 02.04.2015 “Criteri e modalità di ripiano dell'eventuale maggiore disavanzo di amministrazione derivante dal riaccertamento straordinario dei residui e dal primo accantonamento al fondo crediti di dubbia esigibilità, di cui all'articolo 3, comma 7, del decreto legislativo n. 118 del 2011”).
Alla luce delle predette considerazioni è possibile affermare, in risposta ai quesiti formulati nella presente richiesta di parere, che:
   - i proventi dei titoli abilitativi edilizi e delle sanzioni previste dal testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 06.06.2001, n. 380 (c.d. “oneri di urbanizzazione”) possono essere destinati anche al finanziamento di spese correnti nei limiti degli utilizzi stabiliti, per il 2017, dall’art. 1, comma 737, della legge 28.12.2015, n. 208 e per 2018 e gli esercizi seguenti dall’art. 1, comma 460, della legge 11.12.2016, n. 232;
   - i proventi derivanti “dalla monetizzazione di aree a standard” possono essere destinati solo a spese di investimento secondo quanto stabilito l’art. 46, comma 1, della legge regionale 11.03.2005, n. 12;
   - i proventi derivanti da alienazione di beni patrimoniali disponibili possono essere destinati, di regola, solo alla copertura di spese di investimento o alla riduzione dell’indebitamento ai sensi dell’art. 1, comma 443, della legge 24.12.2012, n. 228 e dell’art. 56-bis, comma 11, del decreto-legge 21.06.2013, n. 69 convertito dalla legge 09.08.2013, n. 98.
Tali entrate possono essere utilizzate anche per il finanziamento di spese correnti esclusivamente nelle ipotesi eccezionali previste dall’art. 255, comma 9, del TUEL ove l’ente versi in situazione di dissesto; dall’art. 243-bis, comma 8, lett. g), del TUEL ove l’ente abbia fatto ricorso alla procedura di riequilibrio pluriennale; dall’art. 2, comma 4, del DM 02.04.2015 per il ripiano del maggior disavanzo di amministrazione derivante dal passaggio al nuovo sistema contabile armonizzato
(Corte dei Conti, Sez. controllo Lombardia, parere 23.03.2017 n. 81).

gennaio 2017

EDILIZIA PRIVATA: Occorre ben distinguere tra oneri di urbanizzazione e costo di costruzione.
Si afferma, infatti, in sede pretoria che per stabilire in quali casi sussiste l'obbligo di versamento del contributo di costruzione, occorre distinguere fra importi dovuti a titolo di oneri di urbanizzazione ed importi dovuti a titolo di costo di costruzione.
Per quanto riguarda specificamente i primi, si ritiene che, poiché la loro funzione è quella di far sì che il costruttore partecipi ai costi delle opere di urbanizzazione in proporzione all'insieme dei benefici che la costruzione ne ritrae, essi vanno corrisposti solo nel caso in cui l'intervento determini un aumento del carico urbanistico, e cioè determini la necessità di dotare l'area di nuove opere di urbanizzazione ovvero l'esigenza di utilizzare più intensamente quelle già esistenti.
Nel sistema vigente il contributo per oneri di urbanizzazione è infatti un corrispettivo di diritto pubblico, di natura non tributaria, posto a carico del concessionario a titolo di partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione e in proporzione all'insieme dei benefici che la nuova costruzione ne ritrae, senza alcun vincolo di scopo in relazione alla zona interessata alla trasformazione urbanistica e indipendentemente dalla concreta utilità che il concessionario può conseguire dal titolo edificatorio e dall'ammontare delle spese effettivamente occorrenti per la realizzazione delle opere stesse; tali oneri sono pertanto dovuti anche al di là di un nesso di stretta inerenza delle opere di urbanizzazione rispetto alle singole aree.
Il costo di costruzione, invece, essendo una percentuale rapportata non ad opere da fare per la collettività ma ai costi di costruzione per tipologia edilizia, adeguati annualmente, non sono suscettibili di entrare nel meccanismo dello scomputo, che è appunto disciplinato da detta norma della convenzione.
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II.2. Con il terzo mezzo, parte ricorrente evidenzia che l’intervento avrebbe ad oggetto, tra l’altro, la realizzazione di interventi di edilizia residenziale sociale, con conseguente diritto all’esonero dal contributo di costruzione a norma dell’art. 17 d.P.R. n. 380/2001, il cui primo comma prevede che “Nei casi di edilizia abitativa convenzionata, relativa anche ad edifici esistenti, il contributo afferente al permesso di costruire è ridotto alla sola quota degli oneri di urbanizzazione qualora il titolare del permesso si impegni, a mezzo di una convenzione con il comune, ad applicare prezzi di vendita e canoni di locazione determinati ai sensi della convenzione-tipo prevista dall'articolo 18”.
Si afferma così in giurisprudenza che “L'unico presupposto richiesto dall'art. 17, D.P.R. n. 380 citato, invero, è la realizzazione di alloggi e l'impegno a venderli a prezzi agevolati, previa sottoscrizione di apposita convenzione con il Comune” (cfr. Cons. Giust. Amm. Sic., 21.12.2015, n. 713).
Parte ricorrente ha fornito dimostrazione del presupposto costitutivo del diritto, avendo versato in atti la convenzione Rep. n. 3562 del 24.01.2012, stipulata dalle società Or. 85 S.c.a.r.l. e dalla Società Ga. S.r.l. con il Comune di Pontecagnano, i cui artt. 2, 3 e 5 prevedono l’impegno della ricorrente a realizzare intervento di edilizia residenziale sociale per “una quota non inferiore al 30% dell’edificato residenziale assentito”, pari a n. 33 alloggi con prezzo di trasferimento che “dovrà essere determinato nel rispetto della disciplina in tema di edilizia sociale” (cfr. art. 5.5. della citata convenzione).
Occorre ben distinguere tra oneri di urbanizzazione e costo di costruzione.
Si afferma, infatti, in sede pretoria (TAR Milano-Lombardia, sez. II, 04.08.2016, n. 1561) che per stabilire in quali casi sussiste l'obbligo di versamento del contributo di costruzione, occorre distinguere fra importi dovuti a titolo di oneri di urbanizzazione ed importi dovuti a titolo di costo di costruzione.
Per quanto riguarda specificamente i primi, si ritiene che, poiché la loro funzione è quella di far sì che il costruttore partecipi ai costi delle opere di urbanizzazione in proporzione all'insieme dei benefici che la costruzione ne ritrae, essi vanno corrisposti solo nel caso in cui l'intervento determini un aumento del carico urbanistico, e cioè determini la necessità di dotare l'area di nuove opere di urbanizzazione ovvero l'esigenza di utilizzare più intensamente quelle già esistenti.
Nel sistema vigente il contributo per oneri di urbanizzazione è infatti un corrispettivo di diritto pubblico, di natura non tributaria, posto a carico del concessionario a titolo di partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione e in proporzione all'insieme dei benefici che la nuova costruzione ne ritrae, senza alcun vincolo di scopo in relazione alla zona interessata alla trasformazione urbanistica e indipendentemente dalla concreta utilità che il concessionario può conseguire dal titolo edificatorio e dall'ammontare delle spese effettivamente occorrenti per la realizzazione delle opere stesse; tali oneri sono pertanto dovuti anche al di là di un nesso di stretta inerenza delle opere di urbanizzazione rispetto alle singole aree.
Il costo di costruzione, invece, essendo una percentuale rapportata non ad opere da fare per la collettività ma ai costi di costruzione per tipologia edilizia, adeguati annualmente, non sono suscettibili di entrare nel meccanismo dello scomputo, che è appunto disciplinato da detta norma della convenzione.
Or dunque, va sottolineato che parte resistente, nelle sue articolazioni difensive non ha contestato la effettiva realizzazione degli alloggi secondo quanto previsto in progetto nella percentuale prevista per l’edilizia residenziale pubblica, circostanza che quindi va reputata processualmente acquisita e destinata ad integrare, unitamente al visto impegno convenzionale, il presupposto costituivo del diritto, in questa sede azionato, all’esenzione dal pagamento del costo di costruzione.
Tanto è sufficiente, risultando recessiva ogni deduzione afferente all’adeguatezza motivazionale dell’atto impugnato, per l’accoglimento del motivo in esame (TAR Campania-Salerno, Sez. I, sentenza 31.01.2017 n. 179
- link a www.giustizia-amministrativa.it).

dicembre 2016

EDILIZIA PRIVATA: Il Sindaco, con particolare riguardo al costo di costruzione, premette che esso andrebbe adeguato in base alle determinazioni dell’assemblea legislativa dell’Emilia Romagna e, nei periodi intercorrenti tra le determinazioni regionali, in base all’intervenuta variazione dei costi di costruzione accertati dall’ISTAT.
Soggiunge che il richiamato costo di costruzione per quanto riguarda il proprio comune “non è stato adeguato per gli anni 2009-2013”.
Evidenzia che copiosa giurisprudenza amministrativa ritiene illegittimo il conguaglio del costo di costruzione in quanto le relative deliberazioni (di adeguamento) vanno applicate solo a titoli rilasciati dopo la loro adozione. Sicché, rimette, conclusivamente, al parere della Sezione valutazioni circa la possibilità per il Comune di deliberare, a distanza di diversi anni, l’adeguamento del costo di costruzione ovvero circa la possibilità che tale determinazione risulti illegittima.
Ebbene, la Corte dei Conti non solo (giustamente) non risponde ma, nel contempo, dispone che
copia della presente deliberazione sia trasmessa, per le valutazioni di competenza, alla Procura regionale della Corte dei conti per la Regione Emilia Romagna in relazione a quanto rappresentato circa i mancati adeguamenti del costo di costruzione nel periodo 2009-2013.
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FATTO
Il Sindaco del Comune di Camugnano (Bo) ha inoltrato a questa Sezione una richiesta di parere riguardante il “contributo di costruzione”, una locuzione che, in punto di regolazione dei permessi per costruire, sintetizza l’obbligo di corresponsione di cifre sia per il cosiddetto “costo di costruzione” che per gli “oneri di urbanizzazione”, entrambi disciplinati dall’art. 16 del DPR del 06.06.2001, n. 380 e dall’art. 31 della Legge Regionale 30.07.2013, nr. 15.
Il richiedente, con particolare riguardo al costo di costruzione, parafrasando i contenuti della citata normativa, premette che esso andrebbe adeguato in base alle determinazioni dell’assemblea legislativa dell’Emilia Romagna e, nei periodi intercorrenti tra le determinazioni regionali, in base all’intervenuta variazione dei costi di costruzione accertati dall’ISTAT; soggiunge che il richiamato costo di costruzione per quanto riguarda il Comune di Camugnano “non è stato adeguato per gli anni 2009-2013; evidenzia che copiosa giurisprudenza amministrativa ritiene illegittimo il conguaglio del costo di costruzione in quanto le relative deliberazioni (di adeguamento) vanno applicate solo a titoli rilasciati dopo la loro adozione (ex multis Consiglio di Stato n. 1504 del 19.03.2015); rimette, conclusivamente, al parere della Sezione valutazioni circa la possibilità per il Comune di deliberare, a distanza di diversi anni, l’adeguamento del costo di costruzione ovvero circa la possibilità che tale determinazione risulti illegittima, alla stregua della giurisprudenza richiamata.
DIRITTO
1. L’articolo 7, comma 8, della legge n. 131 del 2003 -disposizione che costituisce il fondamento normativo della funzione consultiva intestata alle Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti- attribuisce alle Regioni e, tramite il Consiglio delle Autonomie locali, se istituito, anche ai Comuni, Province e Città metropolitane la facoltà di richiedere alla Corte dei Conti pareri in materia di contabilità pubblica.
Preliminarmente, la Sezione è chiamata a verificare i profili di ammissibilità soggettiva (legittimazione dell’organo richiedente) e oggettiva (attinenza del quesito alla materia della contabilità pubblica, generalità ed astrattezza del quesito proposto, mancanza di interferenza con altre funzioni svolte dalla magistratura contabile o con giudizi pendenti presso la magistratura civile o amministrativa).
2. In relazione al primo profilo,
si ritiene che la richiesta di parere sia ammissibile, in quanto proveniente dall’organo rappresentativo dell’Ente, il Sindaco.
3. Con riferimento alla verifica del profilo oggettivo, occorre anzitutto evidenziare che la disposizione contenuta nel comma 8 dell’art. 7 della legge 131 del 2003, deve essere raccordata con il precedente comma 7, norma che attribuisce alla Corte dei conti la funzione di verificare il rispetto degli equilibri di bilancio, il perseguimento degli obiettivi posti da leggi statali e regionali di principio e di programma, la sana gestione finanziaria degli enti locali.
Il raccordo tra le due disposizioni opera nel senso che il comma 8 prevede forme di collaborazione ulteriori rispetto a quelle del precedente comma rese esplicite, in particolare, Sull’esatta individuazione di tale locuzione e, dunque, sull’ambito di estensione della funzione consultiva intestata alle Sezioni di regionali di controllo della Corte dei conti, che non può essere intesa quale una funzione di carattere generale, sono intervenute sia le Sezioni riunite sia la Sezione delle autonomie con pronunce di orientamento generale, rispettivamente, ai sensi dell’articolo 17, comma 31, d.l. n. 78/2009 e dell’articolo 6, comma 4, d.l. n. 174/2012.
Con deliberazione 17.11.2010, n. 54, le Sezioni riunite hanno chiarito che la nozione di contabilità pubblica comprende, oltre alle questioni tradizionalmente ad essa riconducibili (sistema di principi e norme che regolano l’attività finanziaria e patrimoniale dello Stato e degli enti pubblici), anche i “quesiti che risultino connessi alle modalità di utilizzo delle risorse pubbliche nel quadro di specifici obiettivi di contenimento della spesa sanciti da principi di coordinamento della finanza pubblica (….), contenuti nelle leggi finanziarie, in grado di ripercuotersi direttamente sulla sana gestione finanziaria dell’Ente e sui pertinenti equilibri di bilancio”.
Di recente, la Sezione delle autonomie, con la deliberazione n. 3/2014/SEZAUT, ha operato ulteriori ed importanti precisazioni rilevando come, pur costituendo la materia della contabilità pubblica una categoria concettuale estremamente ampia, i criteri utilizzabili per valutare oggettivamente ammissibile una richiesta di parere possono essere, oltre “all’eventuale riflesso finanziario di un atto sul bilancio dell’ente” (criterio in sé riduttivo ed insufficiente), anche l’attinenza del quesito proposto ad “una competenza tipica della Corte dei conti in sede di controllo sulle autonomie territoriali”.
E’ stato, altresì, ribadito come “materie estranee, nel loro nucleo originario alla contabilità pubblica –in una visione dinamica dell’accezione che sposta l’angolo visuale dal tradizionale contesto della gestione del bilancio a quello inerente ai relativi equilibri– possono ritenersi ad essa riconducibili, per effetto della particolare considerazione riservata dal Legislatore, nell’ambito della funzione di coordinamento della finanza pubblica”: solo in tale particolare evenienza, una materia comunemente afferente alla gestione amministrativa può venire in rilievo sotto il profilo della contabilità pubblica.
Al contrario, la presenza di pronunce di organi giurisdizionali di diversi ordini, la possibile interferenza con funzioni requirenti e giurisdizionali delle sezioni giurisdizionali della Corte dei conti o di altra magistratura, nonché il rischio di un inserimento nei processi decisionali degli enti territoriali, che ricorre quando le istanze consultive non hanno carattere generale e astratto, precludono alle sezioni regionali di controllo la possibilità di pronunciarsi nel merito.
Sulla base di quanto appena sopra evidenziato,
la richiesta di parere dev’essere considerata oggettivamente inammissibile, per le ragioni di seguito esposte.
A questo punto, preliminarmente, è indispensabile un breve excursus delle norme in materia edificatoria riguardanti la specifica questione.
Superando in parte la legge 28.01.1977, n. 10 sull’edificabilità dei suoli, il d.P.R. 06.06.2001, n. 380 – “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia”, per quel che qui occupa, all’art. 16 ha raccolto le disposizioni sul “contributo per il rilascio del permesso di costruire” e segnatamente:
- “Salvo quanto disposto dall'articolo 17, comma 3, il rilascio del permesso di costruire comporta la corresponsione di un contributo commisurato all'incidenza degli oneri di urbanizzazione nonché al costo di costruzione, secondo le modalità indicate nel presente articolo” (comma 1);
- “La quota di contributo relativa al costo di costruzione, determinata all'atto del rilascio, è corrisposta in corso d'opera, con le modalità e le garanzie stabilite dal comune, non oltre sessanta giorni dalla ultimazione della costruzione” (comma 3);
- “Il costo di costruzione per i nuovi edifici è determinato periodicamente dalle regioni con riferimento ai costi massimi ammissibili per l'edilizia agevolata…………..Nei periodi intercorrenti tra le determinazioni regionali, ovvero in eventuale assenza di tali determinazioni, il costo di costruzione è adeguato annualmente, ed autonomamente, in ragione dell'intervenuta variazione dei costi di costruzione accertata dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT)" (comma 9).
Inoltre va osservato che, prima dell’entrata in vigore della legge regionale Emilia Romagna n. 15 del 30.07.2013 recante “Semplificazione della disciplina edilizia” rilevava -ed ai fini di specie continua a rilevare- la precedente legge regionale, la L. n. 31 del 25.11.2002, n. 31 recante “Disciplina generale dell’edilizia”.
Questa, all’art. 27 (“Contributo di costruzione”) disponeva che: “…………il proprietario dell'immobile o colui che ha titolo per chiedere il rilascio del permesso o per presentare la denuncia di inizio attività è tenuto a corrispondere un contributo commisurato all'incidenza degli oneri di urbanizzazione nonché al costo di costruzione” (comma 1); “Il contributo di costruzione è quantificato dal Comune per gli interventi da realizzare attraverso il permesso di costruire ovvero dall'interessato per quelli da realizzare con denuncia di inizio attività” (comma 2); “La quota di contributo relativa al costo di costruzione è corrisposta in corso d'opera, secondo le modalità e le garanzie stabilite dal Comune” (comma 4).
Al successivo art. 29, la stessa legge regionale prevedeva che “Il costo di costruzione per i nuovi edifici è determinato almeno ogni cinque anni dal Consiglio regionale con riferimento ai costi parametrici per l'edilizia agevolata" (comma 1) ... e “Nei periodi intercorrenti tra le determinazioni regionali, il costo di costruzione è adeguato annualmente dai Comuni, in ragione dell'intervenuta variazione dei costi di costruzione accertata dall'Istituto nazionale di statistica” (comma 3).
Tutto ciò premesso e circostanziato, va rilevato che
nel caso concretamente sottoposto al parere della Sezione, la funzione consultiva viene esplicitamente rivolta ad un quesito in materia di contributo per i costi di costruzione che, in disparte dal particolare che ricade nella specifica materia para-tributaria e non direttamente in quella contabile, implica una anticipata valutazione di legittimità riguardo futuri comportamenti amministrativi (per il caso fossero oggetto di successive iniziative legali, anche in sede di giurisdizione amministrativa) e richiede altresì soluzioni che potrebbero interferire con successive pronunce giurisdizionali.
In conclusione
il quesito formulato ipotizza una ben definita attività gestionale (dunque non pone una questione né generale né astratta) come risulta quella di assoggettare ora per allora, cioè retroattivamente ed attraverso conguaglio, i titolari dei permessi di costruire ad un (tardivo) adeguamento del costo di costruzione; tale ipotesi, da un lato, poggia su premesse di diritto dichiaratamente controvertibili, tali da aver effettivamente suscitato, in casi analoghi, contenzioso per l’annullamento dei relativi provvedimenti nel solco di ripetute ed univoche pronunce di accoglimento dei relativi ricorsi dal Consiglio di Stato (ad es. sentenze Sez. IV, n. 3009 e 3010 del 12.05.2014) e, dall’altro, manifesta per tabulas, quale suo logico presupposto, una precisa fattispecie caratterizzata da inadempimento, quella del mancato adeguamento annuale dei costi di costruzione, anch’essa oggetto di diverse pronunce di responsabilità per danno erariale da parte della Corte dei Conti (ad es. Sezione giurisdizionale per la Regione Marche, sentenza 24.10.2014 n. 101; Sezione giurisdizionale per la Regione Emilia Romagna, sent. n. 265 del 31.05.2014; Sezione giurisdizionale per la regione Puglia, sentenza 29.06.2016 n. 224).
Ne consegue l’impossibilità, per la Sezione, di entrare nel merito del quesito.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile la richiesta di parere del Comune di Camugnano (BO).
DISPONE
- che, a cura della Segreteria di questa Sezione regionale di controllo, copia della presente deliberazione sia trasmessa -mediante posta elettronica certificata– al Sindaco di Camugnano e al Presidente del Consiglio delle autonomie locali della Regione Emilia-Romagna;
-
che copia della presente deliberazione sia trasmessa, per le valutazioni di competenza, alla Procura regionale della Corte dei conti per la Regione Emilia Romagna in relazione a quanto rappresentato circa i mancati adeguamenti del costo di costruzione nel periodo 2009-2013 (Corte dei Conti, Sez. controllo Emilia Romagna, parere 19.12.2016 n. 141).

novembre 2016

EDILIZIA PRIVATALa questione concernente la determinazione dell’an e del quantum del contributo di costruzione comporta l’esplicazione, da parte dell’Amministrazione, di un’attività priva di profili di discrezionalità e attinente a posizioni giuridiche di diritto soggettivo.
Conseguentemente, sono radicalmente inconfigurabili i vizi di difetto di istruttoria e di motivazione.
E ciò in quanto le operazioni di corretta quantificazione della misura del contributo “si esauriscono in una mera operazione materiale che, se errata, può comportare soltanto la violazione dei criteri fissati dalla normativa ovvero dall'amministrazione con norme di natura regolamentare e, quindi, la sussistenza del solo vizio di violazione di legge, potendo l'interessato, sulla base dei predetti criteri generali, contestare l'erroneità della quantificazione operata dall'amministrazione, evidenziando ad esempio l'erroneità dei calcoli ovvero dei presupposti di fatto o di diritto”.
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Nell’ordinamento giuridico vige la regola generale dell’onerosità del permesso di costruire.
Si tratta di un principio introdotto dall’articolo 1 della legge 28.01.1977, n. 10 –in base al quale “Ogni attività comportante trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio comunale partecipa agli oneri ad essa relativi (...)”– e oggi sancito dall’articolo 11, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001, ove si conferma l’onerosità del permesso.
A fronte di tale regime generale, la disciplina primaria stabilisce una serie di ipotesi, indicate all’articolo 17 del d.P.R. n. 380 del 2001, di riduzione o di esonero dal contributo di costruzione. Tali ultime previsioni normative –secondo gli orientamenti espressi dalla giurisprudenza– sono tuttavia da ritenere “tassative e di stretta interpretazione”, proprio in quanto “derogatorie rispetto alla regola della normale onerosità del permesso” e, inoltre, perché qualificabili come esenzioni tributarie, come tali costituenti eccezioni al principio costituzionale di capacità contributiva.
Poste tali considerazioni, deve rilevarsi che –come sopra detto– l’articolo 17, comma 3, lett. c) del d.P.R. n. 380 del 2001, invocato dalla ricorrente, contempla anzitutto, quali trasformazioni edificatorie esonerate dal contributo di costruzione, “gli impianti, le attrezzature, le opere pubbliche o di interesse generale realizzate dagli enti istituzionalmente competenti”.
Al riguardo, la giurisprudenza ha chiarito che, per integrare la fattispecie normativa, è necessario il concorso di due requisiti, l’uno di carattere oggettivo e l’altro di carattere soggettivo.
Per effetto del primo, la costruzione deve riguardare opere pubbliche o di interesse generale; per effetto del secondo, le opere devono essere eseguite da un ente istituzionalmente competente.
La ratio della norma è anzitutto quella di agevolare l'esecuzione di opere destinate al soddisfacimento di interessi pubblici o dalle quali la collettività possa comunque trarre una utilità. Il legislatore ha quindi inteso evitare “l'imposizione degli oneri concessori al soggetto che interviene per l'istituzionale attuazione del pubblico interesse”; imposizione che “sarebbe altrimenti intimamente contraddittoria, poiché verrebbe a gravare, sia pure indirettamente, sulla stessa comunità che dovrebbe avvantaggiarsi dal loro pagamento”.
In tale prospettiva, la giurisprudenza ha altresì chiarito –con riferimento al requisito soggettivo– che per “enti istituzionalmente competenti” debbano intendersi i soggetti pubblici, ovvero anche i soggetti privati, purché l’opera sia realizzata per conto di un ente pubblico.
In particolare, con riferimento a questa seconda ipotesi, “l’esenzione spetta soltanto qualora (come avviene nella concessione di opera pubblica e in altre analoghe figure organizzatorie) lo strumento contrattuale utilizzato consenta formalmente di imputare la realizzazione del bene direttamente all’ente per conto del quale il privato abbia operato. In altri termini, l’esenzione spetta solo se il privato abbia agito quale organo indiretto dell’amministrazione, come appunto nella concessione o nella delega”.
E l’esattezza della soluzione in base alla quale si richiede che l’opera sia realizzata direttamente da enti pubblici ovvero da soggetti che agiscono per conto di enti pubblici è confermata non soltanto “dall'endiadi: "opere pubbliche o di interesse generale", che rinvia ad una figura soggettiva pubblica, ma dal fatto che nella sola seconda parte della proposizione normativa, concernente le opere di urbanizzazione, la disposizione reca la specifica indicazione: "eseguite anche da privati". Ne esce quindi caricata di ulteriore valore semantico la locuzione: "enti istituzionalmente competenti", che non può riferirsi che ad enti pubblici o a soggetti che agiscono per conto degli stessi”.
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E’ indubitabile che l’intervento di ristrutturazione dell’Istituto di ricovero e cura costituisca un’opera di interesse generale. Non può, invece, ritenersi che l’Associazione ricorrente sia qualificabile quale “ente istituzionalmente competente”.
Si tratta, infatti, di un soggetto che non ha natura pubblica e che non ha agito per conto di una pubblica amministrazione. E la mera circostanza che l’Istituto operi in regime di accreditamento con il servizio sanitario nazionale non comporta, di per sé, l’esistenza di un rapporto organizzatorio con la pubblica amministrazione, tale da determinare la riferibilità dell’opera realizzata a un ente pubblico.
Sotto altro profilo, il Collegio ritiene altresì non dirimente, al fine di qualificare l’Associazione come “ente istituzionalmente competente”, la circostanza che si tratti di un soggetto privo di finalità lucrative.
L’assenza di scopo di lucro è, infatti, una circostanza che attiene unicamente alla funzionalità interna della persona giuridica, la quale non potrà redistribuire gli eventuali utili derivanti dall’attività svolta. Si tratta, tuttavia, di un elemento che, in sé considerato, non è sufficiente a determinare la riferibilità dell’opera a un ente pubblico, che è quanto richiesto dalla norma al fine di rendere operativa l’esenzione.
Tale conclusione trova conferma anche nella giurisprudenza del Consiglio di Stato, la quale ha evidenziato che la natura di ONLUS del soggetto che realizza l’intervento non soddisfa il prescritto requisito soggettivo, laddove –come avviene anche nel caso oggetto del presente giudizio– le opere sono destinate a rimanere nella disponibilità del privato, e non sono vincolate neppure a vedere conservata nel tempo la loro funzione.
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Deve rilevarsi che la disposizione ex art. 17, comma 3, lett. c), del d.P.R. n. 380/2001 richiede, ai fini dell’esenzione dal versamento del contributo di costruzione, non soltanto che si sia in presenza di un’opera di urbanizzazione, ma che questa sia altresì realizzata in attuazione di strumenti urbanistici.
Nel caso oggetto del presente giudizio, l’Istituto di ricovero e cura gestito dalla ricorrente è bensì astrattamente riconducibile nel novero delle opere di urbanizzazione secondaria –ai sensi dell’articolo 16, comma 8, del d.P.R. n. 380 del 2001– in quanto rientrante tra le “attrezzature sanitarie”, ma non è stato realizzato in attuazione dello strumento urbanistico.
Invero, risulta agli atti del giudizio che l’opera ricade in Zona F2, destinata a ospitare “Servizi tecnologici e di interesse generale” e disciplinata dall’articolo 53 delle NTA del Piano delle Regole; zona ove sono localizzate “attrezzature pubbliche e/o private con funzioni di interesse generale”.
Al riguardo, la difesa comunale ha ben evidenziato che gli spazi per attrezzature pubbliche e collettive prescritti dall’articolo 9 della legge regionale n. 12 del 2005 sono classificati dallo strumento urbanistico non quale Zona F2, ma come “ZONA F1 (aree di servizi di uso pubblico e interesse comune)”, soggetta alla disciplina dell’articolo 52 delle NTA del Piano delle Regole. Solo tali spazi sono, quindi, specificamente destinati a standard urbanistici.
Al contrario, le aree classificate come Zona F2 non sono state prese in considerazione dallo strumento urbanistico al fine della verifica della dotazione di aree di uso pubblico a servizio di insediamenti residenziali e non danno luogo a standard urbanistici. Si tratta, infatti, di aree che comprendono compendi immobiliari aventi varia destinazione («Ambiti per servizi tecnologici», «Complesso socio-assistenziale, sanitario, ospedaliero “La Nostra Famiglia”», «Crossodromo Bodrone», «Villa Mira»), tutti caratterizzati dal soddisfacimento di finalità di interesse generale, ma non costituenti opere che il Comune ha reputato necessarie al fine dell’urbanizzazione dell’ambito entro il quale ricadono, tanto da non averle prese in considerazione ai fini del calcolo della relativa dotazione di standard.
Si tratta, in altri termini, di compendi immobiliari rispetto ai quali lo strumento urbanistico ha sostanzialmente operato una ricognizione, qualificandoli come attrezzature con funzioni di interesse generale, ma non quali opere indispensabili per assicurare i servizi necessari alla comunità insediata.
Da ciò derivano due considerazioni.
Sotto un primo profilo, poiché l’intervento oggetto del presente giudizio non è posto a servizio dell’urbanizzazione del territorio comunale, o di una porzione di questo, esso non dà luogo a un’opera di urbanizzazione, pur rientrando nelle categorie astrattamente indicate all’articolo 16, comma 8, del d.P.R. n. 380 del 2001.
E invero, perché un’opera sia qualificabile come opera di urbanizzazione secondaria è necessario che essa sia direttamente funzionale a un ben preciso insediamento urbano. E ciò in considerazione della circostanza che “le opere di urbanizzazione secondaria hanno tendenzialmente una dimensione comunale o infra-comunale, in quanto finalizzate a migliorare il grado di fruibilità di uno specifico e circoscritto insediamento urbano mediante la creazione da parte dell’ente locale di determinate strutture di supporto per servizi fruibili da quella comunità”.
Conseguentemente, un centro ospedaliero contemplato dallo strumento urbanistico quale attrezzatura con funzioni di interesse generale, ma non previsto quale dotazione di standard a servizio di un ambito territoriale, di per sé non è qualificabile come opera di urbanizzazione secondaria.
Sotto altro, concorrente, profilo, la circostanza che –come detto– il Piano di Governo del Territorio si sia limitato a riconoscere la presenza sul territorio e l’interesse generale di una congerie assai diversificata di opere esistenti, indicandole con una medesima classificazione, senza però prenderle in considerazione quali dotazioni di servizi necessarie alla collettività, implica che tali opere debbano bensì reputarsi conformi allo strumento urbanistico, ma non attuative delle relative previsioni. Si tratta infatti di opere che non devono, ma possono essere presenti sul territorio comunale, per cui, laddove le attività che in esse si svolgono dovessero essere dismesse dai privati, non insorgerebbe l’obbligo per l’Amministrazione di assicurare in altro modo la soddisfazione delle dotazioni di servizi in favore della comunità insediata.
La validità della predetta distinzione tra opere meramente conformi, o specificamente attuative, del piano è stata, del resto, anche di recente ribadita dalla giurisprudenza, la quale ha esplicitamente affermato che la semplice riconduzione all’astratta tipologia di opera di urbanizzazione secondaria non può considerarsi sufficiente ai fini dell’esenzione del contributo, essendo necessario altresì che l’intervento sia attuativo di una specifica previsione di piano.
E, in questo senso, non può ritenersi pertinente il richiamo, operato dalla ricorrente, alla sentenza della IV Sezione del Consiglio di Stato 12.05.2011, n. 2870, al fine di sostenere che qualunque opera rientrante astrattamente nel novero delle opere di urbanizzazione, e realizzata in conformità allo strumento urbanistico, debba beneficiare dell’esenzione. La fattispecie decisa dal Consiglio di Stato riguardava, infatti, la costruzione di un’opera che corrispondeva a una puntuale previsione dello strumento urbanistico, il quale destinava specificamente un’area a servizi ospedalieri e sanitari.
Come detto, nel caso oggetto del presente giudizio, l’opera ricade, invece, in una zona avente una destinazione generica ad attrezzature con funzioni di interesse generale, in relazione alla quale il Comune ha operato una ricognizione di strutture esistenti, pur classificandole come di interesse generale, assicurando, per questa via, la mera compatibilità delle stesse con lo strumento urbanistico, senza però sancirne la necessità in relazione alle esigenze attinenti alle dotazioni di servizi in favore della comunità insediata.
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... per l'accertamento della non debenza del contributo di costruzione per l'esecuzione dell'intervento di ristrutturazione edilizia oggetto del permesso di costruire n. 39/2013 e per la conseguente condanna del Comune di Bosisio Parini alla restituzione delle somme versate a tale titolo dall’Associazione ricorrente, maggiorate degli interessi legali maturati dalla data della domanda giudiziale all'effettiva restituzione;
...
1. La ricorrente Associazione “La nostra famiglia” (di seguito anche: l’Associazione) è un ente ecclesiastico civilmente riconosciuto, avente carattere di organizzazione non lucrativa di utilità sociale (ONLUS), che gestisce, nel territorio del Comune di Bosisio Parini, l’Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico “Eugenio Medea” e un centro di riabilitazione, operando, per entrambe tali strutture, in regime di accreditamento con l’Azienda sanitaria della Provincia di Lecco.
2. L’Associazione ha chiesto al Comune il rilascio di un permesso di costruire per la ristrutturazione edilizia di un padiglione dell’Istituto “Eugenio Medea”.
In data 03.10.2013, l’Amministrazione ha comunicato l’emanazione del titolo edilizio, chiedendo tuttavia alla parte istante di produrre il calcolo analitico degli oneri dovuti per l’intervento, da corrispondersi prima del ritiro del permesso di costruire.
L’Associazione ha a questo punto prodotto le proprie controdeduzioni, ritenendo di non essere tenuta al versamento del contributo di costruzione.
A seguito di interlocuzioni tra le parti, la Giunta comunale, con deliberazione del 01.04.2015, n. 37, ha infine ribadito di ritenere dovuta la corresponsione degli oneri per il rilascio del titolo edilizio. L’Ufficio tecnico comunale ha quindi emesso la nota del 15.04.2015, con la quale è stato chiesto all’Associazione il versamento, a titolo di contributo di costruzione, dell’importo complessivo di euro 188.329,57; somma di cui la ricorrente ha chiesto e ottenuto la rateizzazione, riservandosi tuttavia di agire in giudizio per contestare la sussistenza dell’obbligazione.
3. L’Associazione ha quindi proposto il presente ricorso, con il quale ha chiesto a questo Giudice di accertare e dichiarare che nessun contributo è dovuto per la realizzazione dell’intervento di ristrutturazione, condannando conseguentemente il Comune alla restituzione delle somme già versate dalla ricorrente, maggiorate degli interessi legali dal giorno della domanda giudiziale, previo annullamento –occorrendo– degli atti comunali specificati in epigrafe.
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7. Il ricorso è infondato, per le ragioni che si espongono di seguito.
8. L’Associazione sostiene di non essere tenuta al versamento degli oneri per la realizzazione dell’intervento di ristrutturazione edilizia, in base alle previsioni dell’articolo 17, comma 3, lett. c), del decreto del Presidente della Repubblica 06.06.2011, n. 380; disposizione, questa, per la quale il contributo di costruzione non è dovuto “per gli impianti, le attrezzature, le opere pubbliche o di interesse generale realizzate dagli enti istituzionalmente competenti nonché per le opere di urbanizzazione, eseguite anche da privati, in attuazione di strumenti urbanistici”.
La ricorrente ritiene l’intervento pienamente riconducibile entro il perimetro applicativo di entrambe fattispecie contemplate dalla previsione normativa ora richiamata. Le opere sarebbero, infatti, annoverabili tra “gli impianti, le attrezzature, le opere pubbliche o di interesse generale realizzate dagli enti istituzionalmente competenti” (primo motivo di ricorso) e, comunque, costituirebbero anche “opere di urbanizzazione, eseguite anche da privati, in attuazione di strumenti urbanistici” (secondo motivo).
Sotto altro profilo, la parte allega la violazione dell’articolo 3 della legge n. 241 del 1990, nonché il vizio di eccesso di potere per carenza di istruttoria, carenza di motivazione e contraddittorietà, poiché l’Amministrazione non avrebbe illustrato le ragioni per le quali ha ritenuto di non aderire alle argomentazioni dell’Associazione in ordine al ricorrere di un’ipotesi di esonero dal versamento del contributo di costruzione (terzo motivo di ricorso).
9. Il Collegio ritiene, per ragioni di ordine logico, di dover prendere le mosse da quest’ultima censura.
9.1 La doglianza non può trovare accoglimento, per la ragione dirimente che la questione concernente la determinazione dell’an e del quantum del contributo di costruzione comporta l’esplicazione, da parte dell’Amministrazione, di un’attività priva di profili di discrezionalità (v., tra le ultime: Cons. Stato, Sez. IV, 18.05.2016, n. 2011) e attinente a posizioni giuridiche di diritto soggettivo (ex multis: Cons. Stato, Sez. IV, 21.08.2013, n. 4208). Conseguentemente, sono radicalmente inconfigurabili i vizi di difetto di istruttoria e di motivazione (Cons. Stato, Sez. IV, 10.03.2015, n. 1211).
E ciò in quanto le operazioni di corretta quantificazione della misura del contributo “si esauriscono in una mera operazione materiale che, se errata, può comportare soltanto la violazione dei criteri fissati dalla normativa ovvero dall'amministrazione con norme di natura regolamentare e, quindi, la sussistenza del solo vizio di violazione di legge, potendo l'interessato, sulla base dei predetti criteri generali, contestare l'erroneità della quantificazione operata dall'amministrazione, evidenziando ad esempio l'erroneità dei calcoli ovvero dei presupposti di fatto o di diritto” (Cons. Stato, Sez. V, 29.07. 2000, n. 4217; nello stesso senso: TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 08.09.2011, n. 2189).
9.2 Il terzo motivo di ricorso va quindi respinto.
10. Può passarsi, a questo punto, alla trattazione dei primi due mezzi, con i quali –come detto– l’Associazione allega di versare in entrambe le fattispecie contemplate dall’articolo 17, comma 3, lett. c), del d.P.R. n. 380 del 2001, e di aver pertanto diritto all’esenzione dal contributo di costruzione.
11. Al riguardo, mette conto anzitutto di ricordare che nell’ordinamento giuridico vige la regola generale dell’onerosità del permesso di costruire.
Si tratta di un principio introdotto dall’articolo 1 della legge 28.01.1977, n. 10 –in base al quale “Ogni attività comportante trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio comunale partecipa agli oneri ad essa relativi (...)”– e oggi sancito dall’articolo 11, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001, ove si conferma l’onerosità del permesso.
A fronte di tale regime generale, la disciplina primaria stabilisce una serie di ipotesi, indicate all’articolo 17 del d.P.R. n. 380 del 2001, di riduzione o di esonero dal contributo di costruzione. Tali ultime previsioni normative –secondo gli orientamenti espressi dalla giurisprudenza– sono tuttavia da ritenere “tassative e di stretta interpretazione”, proprio in quanto “derogatorie rispetto alla regola della normale onerosità del permesso” (Cons. Stato, Sez. IV, 11.02.2016, n. 595) e, inoltre, perché qualificabili come esenzioni tributarie, come tali costituenti eccezioni al principio costituzionale di capacità contributiva (TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, 23.10.2014, n. 1111).
12. Poste tali considerazioni, deve rilevarsi che –come sopra detto– l’articolo 17, comma 3, lett. c) del d.P.R. n. 380 del 2001, invocato dalla ricorrente, contempla anzitutto, quali trasformazioni edificatorie esonerate dal contributo di costruzione, “gli impianti, le attrezzature, le opere pubbliche o di interesse generale realizzate dagli enti istituzionalmente competenti”.
12.1 Al riguardo, la giurisprudenza ha chiarito che, per integrare la fattispecie normativa, è necessario il concorso di due requisiti, l’uno di carattere oggettivo e l’altro di carattere soggettivo.
Per effetto del primo, la costruzione deve riguardare opere pubbliche o di interesse generale; per effetto del secondo, le opere devono essere eseguite da un ente istituzionalmente competente (ex multis: Cons. Stato, Sez. V, 11.01.2006, n. 51; Id. 20.10.2004, n. 6818; Id., 10.07.2000, n. 3860).
La ratio della norma –è stato inoltre rilevato– è anzitutto quella di agevolare l'esecuzione di opere destinate al soddisfacimento di interessi pubblici o dalle quali la collettività possa comunque trarre una utilità (Cons. Stato, n. 51 del 2006, cit.). Il legislatore ha quindi inteso evitare “l'imposizione degli oneri concessori al soggetto che interviene per l'istituzionale attuazione del pubblico interesse”; imposizione che “sarebbe altrimenti intimamente contraddittoria, poiché verrebbe a gravare, sia pure indirettamente, sulla stessa comunità che dovrebbe avvantaggiarsi dal loro pagamento” (così ancora Cons. Stato, n. 51 del 2006, cit.).
12.2 In tale prospettiva, la giurisprudenza ha altresì chiarito –con riferimento al requisito soggettivo– che per “enti istituzionalmente competenti” debbano intendersi i soggetti pubblici, ovvero anche i soggetti privati, purché l’opera sia realizzata per conto di un ente pubblico.
In particolare, con riferimento a questa seconda ipotesi, “l’esenzione spetta soltanto qualora (come avviene nella concessione di opera pubblica e in altre analoghe figure organizzatorie) lo strumento contrattuale utilizzato consenta formalmente di imputare la realizzazione del bene direttamente all’ente per conto del quale il privato abbia operato. (cfr. ex multis V Sez. n. 536 del 1999 e n. 1901 del 2000). In altri termini, l’esenzione spetta solo se il privato abbia agito quale organo indiretto dell’amministrazione, come appunto nella concessione o nella delega” (Cons. Stato, n. 595 del 2016, cit.).
E –come pure rilevato dalla giurisprudenza– l’esattezza della soluzione in base alla quale si richiede che l’opera sia realizzata direttamente da enti pubblici ovvero da soggetti che agiscono per conto di enti pubblici è confermata non soltanto “dall'endiadi: "opere pubbliche o di interesse generale", che rinvia ad una figura soggettiva pubblica, ma dal fatto che nella sola seconda parte della proposizione normativa, concernente le opere di urbanizzazione, la disposizione reca la specifica indicazione: "eseguite anche da privati". Ne esce quindi caricata di ulteriore valore semantico la locuzione: "enti istituzionalmente competenti", che non può riferirsi che ad enti pubblici o a soggetti che agiscono per conto degli stessi” (Cons. Stato, n. 51 del 2006, cit.).
12.3 Poste tali coordinate ermeneutiche, deve ritenersi che, nel caso oggetto del presente giudizio, sia riscontrabile soltanto il requisito oggettivo richiesto dalla previsione normativa, ma non anche il requisito soggettivo.
E’ infatti indubitabile che l’intervento di ristrutturazione dell’Istituto di ricovero e cura costituisca un’opera di interesse generale (anche alla luce delle previsioni di piano, delle quali si tratterà nello scrutinare il secondo motivo di ricorso).
Non può, invece, ritenersi che l’Associazione “La nostra famiglia” sia qualificabile quale “ente istituzionalmente competente”.
Si tratta, infatti, di un soggetto che non ha natura pubblica e che non ha agito per conto di una pubblica amministrazione. E la mera circostanza che l’Istituto operi in regime di accreditamento con il servizio sanitario nazionale non comporta, di per sé, l’esistenza di un rapporto organizzatorio con la pubblica amministrazione, tale da determinare la riferibilità dell’opera realizzata a un ente pubblico.
Sotto altro profilo, il Collegio ritiene altresì non dirimente, al fine di qualificare l’Associazione come “ente istituzionalmente competente”, la circostanza che si tratti di un soggetto privo di finalità lucrative.
L’assenza di scopo di lucro è, infatti, una circostanza che attiene unicamente alla funzionalità interna della persona giuridica, la quale non potrà redistribuire gli eventuali utili derivanti dall’attività svolta. Si tratta, tuttavia, di un elemento che, in sé considerato, non è sufficiente a determinare la riferibilità dell’opera a un ente pubblico, che è quanto richiesto dalla norma al fine di rendere operativa l’esenzione.
Tale conclusione trova conferma anche nella giurisprudenza del Consiglio di Stato, la quale ha evidenziato che la natura di ONLUS del soggetto che realizza l’intervento non soddisfa il prescritto requisito soggettivo, laddove –come avviene anche nel caso oggetto del presente giudizio– le opere sono destinate a rimanere nella disponibilità del privato, e non sono vincolate neppure a vedere conservata nel tempo la loro funzione (Cons. Stato, n. 51 del 2006, cit.).
12.4 In definitiva, alla luce delle considerazioni sin qui esposte, il primo motivo di ricorso deve essere respinto.
13. E’ altresì infondato il secondo motivo, con il quale la ricorrente afferma che l’intervento rientrerebbe comunque nella seconda fattispecie contemplata dall’articolo 17, comma 3, lett. c), del d.P.R. n. 380 del 2001, in quanto annoverabile tra le “opere di urbanizzazione, eseguite anche da privati, in attuazione di strumenti urbanistici”.
13.1 Al riguardo, deve rilevarsi che la disposizione normativa richiede, ai fini dell’esenzione, non soltanto che si sia in presenza di un’opera di urbanizzazione, ma che questa sia altresì realizzata in attuazione di strumenti urbanistici.
Nel caso oggetto del presente giudizio, l’Istituto di ricovero e cura gestito dalla ricorrente è bensì astrattamente riconducibile nel novero delle opere di urbanizzazione secondaria –ai sensi dell’articolo 16, comma 8, del d.P.R. n. 380 del 2001– in quanto rientrante tra le “attrezzature sanitarie”, ma non è stato realizzato in attuazione dello strumento urbanistico.
13.2 In particolare, risulta agli atti del giudizio che l’opera ricade in Zona F2, destinata a ospitare “Servizi tecnologici e di interesse generale” e disciplinata dall’articolo 53 delle NTA del Piano delle Regole; zona ove sono localizzate “attrezzature pubbliche e/o private con funzioni di interesse generale”.
Al riguardo, la difesa comunale ha ben evidenziato che gli spazi per attrezzature pubbliche e collettive prescritti dall’articolo 9 della legge regionale n. 12 del 2005 sono classificati dallo strumento urbanistico non quale Zona F2, ma come “ZONA F1 (aree di servizi di uso pubblico e interesse comune)”, soggetta alla disciplina dell’articolo 52 delle NTA del Piano delle Regole. Solo tali spazi sono, quindi, specificamente destinati a standard urbanistici.
Al contrario, le aree classificate come Zona F2 non sono state prese in considerazione dallo strumento urbanistico al fine della verifica della dotazione di aree di uso pubblico a servizio di insediamenti residenziali e non danno luogo a standard urbanistici. Si tratta, infatti, di aree che comprendono compendi immobiliari aventi varia destinazione («Ambiti per servizi tecnologici», «Complesso socio-assistenziale, sanitario, ospedaliero “La Nostra Famiglia”», «Crossodromo Bodrone», «Villa Mira»), tutti caratterizzati dal soddisfacimento di finalità di interesse generale, ma non costituenti opere che il Comune ha reputato necessarie al fine dell’urbanizzazione dell’ambito entro il quale ricadono, tanto da non averle prese in considerazione ai fini del calcolo della relativa dotazione di standard.
Si tratta, in altri termini, di compendi immobiliari rispetto ai quali lo strumento urbanistico ha sostanzialmente operato una ricognizione, qualificandoli come attrezzature con funzioni di interesse generale, ma non quali opere indispensabili per assicurare i servizi necessari alla comunità insediata.
Da ciò derivano due considerazioni.
13.3 Sotto un primo profilo, poiché l’intervento oggetto del presente giudizio non è posto a servizio dell’urbanizzazione del territorio comunale, o di una porzione di questo, esso non dà luogo a un’opera di urbanizzazione, pur rientrando nelle categorie astrattamente indicate all’articolo 16, comma 8, del d.P.R. n. 380 del 2001.
E invero, perché un’opera sia qualificabile come opera di urbanizzazione secondaria è necessario che essa sia direttamente funzionale a un ben preciso insediamento urbano. E ciò in considerazione della circostanza che “le opere di urbanizzazione secondaria hanno tendenzialmente una dimensione comunale o infra-comunale, in quanto finalizzate a migliorare il grado di fruibilità di uno specifico e circoscritto insediamento urbano mediante la creazione da parte dell’ente locale di determinate strutture di supporto per servizi fruibili da quella comunità” (Cons. Stato, n. 595 del 2016, cit.).
Conseguentemente, un centro ospedaliero contemplato dallo strumento urbanistico quale attrezzatura con funzioni di interesse generale, ma non previsto quale dotazione di standard a servizio di un ambito territoriale, di per sé non è qualificabile come opera di urbanizzazione secondaria.
13.4 Sotto altro, concorrente, profilo, la circostanza che –come detto– il Piano di Governo del Territorio si sia limitato a riconoscere la presenza sul territorio e l’interesse generale di una congerie assai diversificata di opere esistenti, indicandole con una medesima classificazione, senza però prenderle in considerazione quali dotazioni di servizi necessarie alla collettività, implica che tali opere debbano bensì reputarsi conformi allo strumento urbanistico, ma non attuative delle relative previsioni. Si tratta infatti di opere che non devono, ma possono essere presenti sul territorio comunale, per cui, laddove le attività che in esse si svolgono dovessero essere dismesse dai privati, non insorgerebbe l’obbligo per l’Amministrazione di assicurare in altro modo la soddisfazione delle dotazioni di servizi in favore della comunità insediata.
13.5 La validità della predetta distinzione tra opere meramente conformi, o specificamente attuative, del piano è stata, del resto, anche di recente ribadita dalla giurisprudenza, la quale ha esplicitamente affermato che la semplice riconduzione all’astratta tipologia di opera di urbanizzazione secondaria non può considerarsi sufficiente ai fini dell’esenzione del contributo, essendo necessario altresì che l’intervento sia attuativo di una specifica previsione di piano (Cons. Stato, Sez. IV, 18.05.2016, n. 2011; TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, 23.10.2014, n. 1111).
E, in questo senso, non può ritenersi pertinente il richiamo, operato dalla ricorrente, alla sentenza della IV Sezione del Consiglio di Stato 12.05.2011, n. 2870, al fine di sostenere che qualunque opera rientrante astrattamente nel novero delle opere di urbanizzazione, e realizzata in conformità allo strumento urbanistico, debba beneficiare dell’esenzione. La fattispecie decisa dal Consiglio di Stato riguardava, infatti, la costruzione di un’opera che corrispondeva a una puntuale previsione dello strumento urbanistico, il quale destinava specificamente un’area a servizi ospedalieri e sanitari.
Come detto, nel caso oggetto del presente giudizio, l’opera ricade, invece, in una zona avente una destinazione generica ad attrezzature con funzioni di interesse generale, in relazione alla quale il Comune ha operato una ricognizione di strutture esistenti, pur classificandole come di interesse generale, assicurando, per questa via, la mera compatibilità delle stesse con lo strumento urbanistico, senza però sancirne la necessità in relazione alle esigenze attinenti alle dotazioni di servizi in favore della comunità insediata.
13.6 Alla luce delle considerazioni sin qui esposte, si conferma quindi il rigetto anche del secondo motivo di impugnazione.
14. In conclusione, l’intero ricorso deve essere respinto (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 03.11.2016 n. 2011 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L’onerosità del titolo edilizio abilitativo «riguarda un principio della disciplina un tempo urbanistica e oggi ricompresa fra le funzioni legislative concorrenti sotto la rubrica “governo del territorio”», e anche le deroghe al principio (elencate all’art. 17 del TUE), in quanto legate a quest’ultimo da un rapporto di coessenzialità, partecipano della stessa natura di principio fondamentale.
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6.1.‒ La questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, commi 20 e 21, primo trattino, della legge reg. Liguria n. 12 del 2015 , è fondata.
Con tali disposizioni il legislatore regionale esonera dal contributo di costruzione due categorie di intervento che secondo la legge statale devono invece restare soggette a contribuzione, nei termini fissati dal TUE: gli interventi sul patrimonio edilizio esistente che determinano un aumento della superficie agibile dell’edificio o delle singole unità immobiliari, quando l’incremento della superficie agibile all’interno delle unità immobiliari sia inferiore a 25 metri quadrati, e quando le variazioni di superficie derivino da mera eliminazione di muri divisori; gli interventi di frazionamento di unità immobiliari che determinino un numero di unità immobiliari inferiore al doppio di quelle esistenti, sia pure con aumento di superficie agibile.
A seconda delle loro concrete caratteristiche costruttive, questi interventi (qualificati genericamente dal legislatore regionale come «interventi sul patrimonio edilizio esistente») possono rientrare nella nozione di «manutenzione straordinaria», come definita agli artt. 3, comma 1, lettera b) e 6, comma 2, lettera a) del TUE, o in quella di «ristrutturazione edilizia», come definita dall’art. 3, comma 1, lettera d) del TUE.
La disciplina statale prevede per la prima (ove ricorrano i presupposti dell’art. 17, comma 4, del TUE) una riduzione del contributo alla sola parte corrispondente alla incidenza delle opere di urbanizzazione, e per la seconda la regola del pagamento del contributo per intero, salvi casi particolari di esonero, come quello della ristrutturazione di edifici unifamiliari (art. 17, comma 3, lettera b, del TUE), o di riduzione, come quello della ristrutturazione di immobili dismessi o in via di dismissione (art. 17, comma 4-bis, del TUE).
Le fattispecie di esonero introdotte dalle norme regionali impugnate vanno al di là di queste ipotesi e contrastano, dunque, con i principi fondamentali della materia.
L’onerosità del titolo abilitativo «riguarda infatti un principio della disciplina un tempo urbanistica e oggi ricompresa fra le funzioni legislative concorrenti sotto la rubrica “governo del territorio”» (sentenza n. 303 del 2003), e anche le deroghe al principio (elencate all’art. 17 del TUE), in quanto legate a quest’ultimo da un rapporto di coessenzialità, partecipano della stessa natura di principio fondamentale (sentenze n. 1033 del 1988 e n. 13 del 1980)
(Corte Costituzionale, sentenza 03.11.2016 n. 231).

settembre 2016

EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: Sulla corretta costituzione del fondo [almeno l’8% delle somme riscosse per oneri di urbanizzazione secondaria incrementato di una quota non inferiore all’8 per cento: a) del valore delle opere di urbanizzazione realizzate direttamente dai soggetti interessati a scomputo totale o parziale del contributo relativo agli oneri di urbanizzazione secondaria; b) del valore delle aree cedute per la realizzazione delle opere di urbanizzazione secondaria; c) di ogni altro provento destinato per legge o per atto amministrativo alla realizzazione di opere di urbanizzazione secondaria] destinato alla realizzazione delle attrezzature per servizi religiosi.
L
a questione si pone soltanto quando in seguito a convenzioni, atti unilaterali d’obbligo o altri accordi comunque denominati, il soggetto attuatore di interventi edilizi/urbanistici realizza opere di urbanizzazione secondaria (a scomputo), ovvero ceda aree standards (per realizzare opere di urbanizzazione secondarie) in luogo della loro monetizzazione, ed il comune non abbia ulteriori introiti derivante da oneri di urbanizzazione secondaria ovvero da monetizzazione di aree perché la dotazione del fondo previsto dalla legge regionale 12/2005 possa raggiungere almeno l’8 per cento del valore complessivo degli oneri di urbanizzazione secondaria e delle cessioni delle aree standars, secondo i parametri di quantificazione dettati dalla legge regionale (art. 73).
Ebbene, nel suddetto caso il fondo stesso può (anzi deve) essere incrementato con risorse che il comune avrebbe potuto utilizzare per realizzare le suddette opere (con l'esclusione di mutui, dell'avanzo vincolato per legge ed altre risorse comunque vincolate per determinate spese).
L'incremento del fondo, nel bilancio, dovrà avvenire quando le opere realizzate dal privato saranno consegnate al comune, ovvero nel caso di inadempimento del privato, quando saranno incassati gli introiti della fideiussione che garantisce le obbligazioni della convenzione o dell'atto unilaterale d'obbligo.
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Il Sindaco del comune di Lallio (BG) ha formulato una richiesta di parere in ordine alla possibilità di iscrivere nel bilancio di previsione delle quote relative all’8% degli oneri di urbanizzazione secondaria da destinare in apposito fondo per la realizzazione di attrezzature di interesse comune per servizi religiosi anche se gli stessi non siano stati definitivamente incassati ed accertati.
La richiesta è presentata con riferimento ad una particolare fattispecie, ovvero a quella in cui la realizzazione di opere di urbanizzazione secondaria o di standards qualitativi siano realizzati in virtù di accordi (o atti unilaterali d’obbligo) con l’amministrazione da parte del soggetto attuatore di un intervento edilizio, ai sensi della legge regionale 12/2005 e successive modificazioni ed integrazioni, e non siano stati versati gli oneri di urbanizzazione secondaria in quanto scomputati a causa dell’intervento da realizzare.
Ovviamente la sezione di controllo non si esprime in ordine alla legittimità o meno degli strumenti di attuazione del PGT così come declinati in concreto dall’amministrazione comunale nella rappresentazione del caso in esame, ma si sofferma soltanto sugli aspetti che riguardano la correttezza contabile delle operazioni che il comune deve compiere per stanziare nel fondo l’8% del valore delle opere di urbanizzazione secondaria non versate dal privato, perché il soggetto attuatore ha realizzato interventi a scomputo degli oneri di urbanizzazione secondaria dovuti.
L’art. 73 della legge regionale 12/2005, infatti, stabilisce non solo che l’8% degli introiti dovuti per opere di urbanizzazioni secondarie devono essere destinate al fondo per le attrezzature di interesse comune per i servizi religiosi ma sancisce anche che il fondo di cui sopra, deve essere incrementato di una quota non inferire al 8% del valore delle opere di urbanizzazione realizzate direttamente dal privato a scomputo degli oneri di urbanizzazione secondaria e del valore delle aree cedute per la realizzazione delle suddette opere e di ogni altro provento destinato per legge o atto amministrativo alla realizzazione di opere di urbanizzazione secondarie.
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Ritenuto che la richiesta sia soggettivamente ammissibile in quanto proveniente dal rappresentante legale dell’ente ed oggettivamente ammissibile in quanto interessa una materia compresa nel perimetro della contabilità pubblica trattandosi di norma che impone all’amministrazione l’incremento di un fondo da iscrivere in bilancio e che riguarda il modo il come ed il quando, l’amministrazione debba finanziare l’incremento stesso, qualora il soggetto privato realizzi opere a scomputo di oneri urbanizzazione secondaria ai sensi dell’art. 73 della legge regionale 12/2005 ovvero debba finanziare l’8% del valore delle aree cedute (e quindi non monetizzate) per la realizzazione di standards relativi ad opere di urbanizzazione secondaria.
Per comodità espositiva si riporta, per quel che interessa, l’art. 73 della L.R. suddetta: “1. In ciascun comune, almeno l'8 per cento delle somme riscosse per oneri di urbanizzazione secondaria è ogni anno accantonato in apposito fondo, risultante in modo specifico nel bilancio di previsione, destinato alla realizzazione delle attrezzature indicate all’articolo 71, nonché per interventi manutentivi, di restauro e ristrutturazione edilizia, ampliamento e dotazione di impianti, ovvero all'acquisto delle aree necessarie. Tale fondo è determinato con riguardo a tutti i permessi di costruire rilasciati e alle denunce di inizio attività presentate nell’anno precedente in relazione a interventi a titolo oneroso ed è incrementato di una quota non inferiore all’8 per cento:
   a) del valore delle opere di urbanizzazione realizzate direttamente dai soggetti interessati a scomputo totale o parziale del contributo relativo agli oneri di urbanizzazione secondaria;
   b) del valore delle aree cedute per la realizzazione delle opere di urbanizzazione secondaria;
   c) di ogni altro provento destinato per legge o per atto amministrativo alla realizzazione di opere di urbanizzazione secondaria
”.
Esame nel merito
Il quesito assume significato, ovviamente, solo nei limiti e per i motivi appena indicati, ovvero qualora non sia avvenuto nessun versamento (ovvero un versamento parziale) di denaro nelle casse del comune, e si è in presenza di obbligazioni convenzionali dirette alla realizzazione di opere da parte del soggetto attuatore a scomputo di oneri (di urbanizzazione secondaria, ovvero alla cessione di aree a standards (non monetizzate) per la realizzazione di opere di urbanizzazione secondarie.
In breve, la questione si pone soltanto quando in seguito a convenzioni, atti unilaterali d’obbligo o altri accordi comunque denominati, il soggetto attuatore di interventi edilizi/urbanistici realizza opere di urbanizzazione secondaria (a scomputo), ovvero ceda aree standards (per realizzare opere di urbanizzazione secondarie) in luogo della loro monetizzazione, ed il comune non abbia ulteriori introiti derivante da oneri di urbanizzazione secondaria ovvero da monetizzazione di aree perché la dotazione del fondo previsto dalla legge regionale 12/2005 possa raggiungere almeno l’8 per cento del valore complessivo degli oneri di urbanizzazione secondarie e delle cessioni delle aree standars, secondo i parametri di quantificazione dettati dalla legge regionale (art. 73).
Nel caso l’ente versi nella situazione appena rappresentata, il fondo stesso può (anzi deve) essere incrementato con risorse che il comune avrebbe potuto utilizzare per realizzare le suddette opere (con l’esclusione di mutui, dell’avanzo vincolato per legge ed altre risorse comunque vincolate per determinate spese).
L’incremento del fondo, nel bilancio, dovrà avvenire quando le opere realizzate dal privato saranno consegnate al comune, ovvero nel caso di inadempimento del privato, quando saranno incassati gli introiti della fideiussione che garantisce le obbligazioni della convenzione o dell’atto unilaterale d’obbligo (Corte dei Conti, Sez. controllo Lombardia, parere 26.09.2016 n. 256).

agosto 2016

EDILIZIA PRIVATAOSSERVATORIO VIMINALE/ Oneri, palla al consiglio. Competenza frutto di coerenza sistematica. URBANIZZAZIONE/ L'organo per la determinazione/adeguamento.
Qual è l'organo competente alla determinazione/adeguamento degli oneri di urbanizzazione?

L'art. 42 del decreto legislativo n. 267/2000 stabilisce che il consiglio è l'organo di indirizzo e controllo politico-amministrativo, a cui sono attribuite una serie di competenze elencate in dettaglio nella stessa disposizione normativa.
In particolare, la lettera b) prevede in linea generale la competenza del consiglio in materia di programmi, bilanci, piani territoriali ed urbanistici ecc., mentre la lett. f) assegna a tale organo competenze in materia di istituzione e ordinamento dei tributi, con esclusione della determinazione delle relative aliquote e la disciplina generale delle tariffe per la fruizione dei beni e dei servizi.
La giunta comunale, a cui sono assegnate funzioni di tipo esecutivo–attuativo, in base al successivo art. 48, comma 2, compie tutti gli atti rientranti ai sensi dell'articolo 107, commi 1 e 2, nelle funzioni degli organi di governo, che non siano riservati dalla legge al consiglio e che non ricadano nelle competenze, previste dalle leggi o dallo statuto, del sindaco o degli organi di decentramento; collabora con il sindaco nell'attuazione degli indirizzi generali del consiglio; riferisce annualmente al consiglio sulla propria attività e svolge attività propositive e di impulso nei confronti dello stesso.
Circa il caso di specie, il dpr 06.06.2001, n. 380, all'art. 16, comma 4, prevede espressamente che l'incidenza degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria è stabilita con deliberazione del consiglio comunale in base alle tabelle parametriche che la regione definisce per classi di comuni in relazione a una serie di parametri ivi indicati. Il comma 5 del citato art. 16 stabilisce, altresì, che nel caso di mancata definizione delle tabelle parametriche da parte della regione e fino alla definizione delle tabelle stesse, i comuni provvedono, in via provvisoria, sempre con deliberazione del consiglio comunale secondo i parametri di cui al comma 4, fermo restando quanto previsto dal comma 4-bis.
È evidente, pertanto, che la competenza a determinare gli oneri di urbanizzazione ricade esclusivamente sul consiglio comunale. Riguardo agli aggiornamenti degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria, il comma 6 del medesimo art. 16 del dpr 06.06.2001, n. 380, si limita a stabilire che i «comuni» provvedono ogni cinque anni, in conformità alle relative disposizioni regionali, in relazione ai riscontri e prevedibili costi delle opere di urbanizzazione primaria, secondaria e generale.
Il Consiglio di stato, con sentenza n. 7140/05 del 15/12/2005, ha affermato che il contributo per il rilascio del permesso di costruire imposto dall'art. 16 del dpr 06.06.2001, n. 380, commisurato agli oneri di urbanizzazione, ha carattere generale perché prescinde totalmente dall'esistenza o meno delle singole opere di urbanizzazione e ha natura di prestazione patrimoniale imposta. Lo stesso Consesso ha citato altresì, per la natura tributaria di tale prestazione, la decisione del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana 05.05.1999, n. 203.
Pertanto, benché la giurisprudenza non risulti sempre univoca nell'individuare l'organo a cui compete l'adozione della deliberazione di adeguamento degli oneri urbanistici, indipendentemente dalla effettiva natura della prestazione (patrimoniale o tributaria) la competenza non può che essere ricondotta al consiglio comunale. Infatti, l'articolo 42 del Tuoel affida al consiglio la competenza in ordine a tributi e tariffe ed esercita l'ipotetica discrezionalità, laddove venga riconosciuta dalla legge, che non può essere demandata a un organo esecutivo quale la giunta.
Nel caso specifico, la competenza all'aggiornamento degli oneri di urbanizzazione dovrebbe, comunque, essere ricondotta al consiglio anche per coerenza sistematica alle varie disposizioni contenute nell'articolo 16 del dpr n. 380/2001 che al comma 4 e al comma 5 affidano al consiglio comunale il compito di determinarne l'incidenza (articolo ItaliaOggi del 19.08.2016).

giugno 2016

EDILIZIA PRIVATA: Oggetto: Parere in merito all'assoggettabilità al contributo di costruzione degli impianti fotovoltaici destinati alla produzione di energia elettrica da commercializzare – Comune di Montalto di Castro (Regione Lazio, parere 14.06.2016 n. 312998 di prot.).

maggio 2016

EDILIZIA PRIVATA: La ricostruzione di una porzione edificio crollata a seguito di incendio (quale ristrutturazione edilizia) sconta il versamento del contributo di costruzione.
L'intervento in discorso è volto unicamente alla ricostruzione del fabbricato totalmente crollato a causa dell'incendio accidentale e non comporta alcuna alterazione di sagoma e di superficie, né la modifica della destinazione d'uso di cui all'originaria concessione edilizia (e successive varianti).
Tuttavia, non coglie nel segno il primo motivo, con cui la ricorrente ha dedotto che l’incendio verificatosi sarebbe da annoverare tra le “pubbliche calamità” individuate dalla lett. d) dell’art. 17, comma 3, del DPR 380/2001 come motivo di esenzione dal pagamento del contributo di costruzione, e ciò in relazione all’ordinanza emessa dal dirigente del settore edilizia.
Tale provvedimento, all’opposto, è stato adottato alla luce del fatto che i fabbricati risultavano “ammalorati ed interessati da dissesto strutturale”: il che ha prospettato “condizioni che non consentono l’utilizzo in sicurezza delle unità immobiliari costituenti le porzioni di capannone in lato nord/ovest ed il lato nord/est, poste in aderenza alla porzione di capannone all’interno del quale si è sviluppato l’incendio”.
Si è, pertanto, disposto il “ripristino delle condizioni minime di sicurezza delle unità immobiliari interessate dall’incendio mediante eliminazione delle macerie e delle parti pericolanti, con delimitazione della zona mediante opportune opere provvisionali atte ad interdire l’accesso alle zone pericolose”, nonché la “verifica degli impianti elettrici e di adduzione gas, e di tutte le eventuali diramazioni interessanti le unità immobiliari”.
Si è, quindi, trattato di un episodio grave e dannoso per l’impresa, ma non certo catastrofico, le cui conseguenze nocive sono risultate arginabili mediante l’attuazione di normali operazioni di messa in sicurezza; né, tantomeno, risultano essere stati adottati piani di emergenza o evacuazione dei residenti, a conferma del fatto che non è stata messa a immediato repentaglio –se non in via del tutto potenziale– la pubblica incolumità.

Peraltro, l’infondatezza del primo motivo è, indirettamente, avvalorata dal tenore della seconda censura proposta, anch’essa infondata, con cui la ricorrente ha dedotto che l’assentito intervento integrerebbe (solo) una manutenzione straordinaria.
La Sezione ha più volte ribadito che nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella “demolizione e ricostruzione parziale o totale nel rispetto della volumetria preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica”, e ciò ai sensi dell’art. 27, comma 1, della legge regionale 12/2005, ai quali, inoltre, è direttamente correlata, ai fini del calcolo del costo di costruzione, la disciplina di cui al successivo art. 44, con eventuali riduzioni in funzione delle modalità esecutive della ristrutturazione.

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... per l'annullamento del provvedimento emesso in data 11.04.2015 dal responsabile del settore governo del territorio del Comune di Monza -sportello unico dell’edilizia– con cui è stato comunicato il rilascio del permesso di costruire (a seguito di domanda presentata dalla ricorrente in data 26.11.2014), e ciò nella parte in cui è stato richiesto il versamento del contributo di costruzione di importo pari a € 257.377,54; della comunicazione di conclusione del procedimento del 13.01.2015 e della deliberazione di Giunta comunale n. 43 del 03.11.2008, con cui è stato approvato l’aggiornamento degli oneri di urbanizzazione e del costo base di costruzione.
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Con ricorso ritualmente proposto la società Nu.Gu. e Ra. s.r.l. ha impugnato, chiedendone l’annullamento, il provvedimento emesso in data 11.04.2015 dal responsabile del settore governo del territorio del Comune di Monza –sportello unico dell’edilizia– con cui è stato comunicato il rilascio del permesso di costruire (a seguito di domanda presentata dalla ricorrente in data 26.11.2014), e ciò nella parte in cui è stato richiesto il versamento del contributo di costruzione di importo pari a € 257.377,54, nonché la comunicazione di conclusione del procedimento del 13.01.2015 e la deliberazione di Giunta comunale n. 43 del 03.11.2008, con cui è stato approvato l’aggiornamento degli oneri di urbanizzazione e del costo base di costruzione.
La società ricorrente ha esposto di essere “proprietaria di una parte dell’edificio sito nel Comune di Monza, in Via ... n. 1-5”, avente “destinazione produttiva –inserito dall'attuale PGT in Area D1 “Area per insediamenti produttivi esistenti, di contenimento della capacità edificatoria”– realizzato in virtù di concessione edilizia n. 102 del 16/07/1985 rilasciata dall'Amministrazione comunale sia alla società Nu.Gu. e Ra. s.r.l. sia al signor Ed.Fo., a cui hanno avuto seguito due concessioni edilizie in variante” (cfr. pag. 2).
Ha soggiunto che “in data 20/09/2012, proprio presso i locali dell'edificio produttivo in discorso, è divampato accidentalmente un incendio che ha comportato il crollo della porzione di fabbricato”, il che ha reso necessaria, da parte dell’Amministrazione, l’adozione, in data 24.09.2012, di un’ordinanza di ripristino delle condizioni minime di sicurezza delle unità interessate dall’incendio “per scongiurare pericoli per la pubblica incolumità, in considerazione della gravità dell'evento che ha comportato l'assoluta inagibilità dei locali” (cfr. pag. 3).
Al termine dei lavori di bonifica e rimozione dei rifiuti, la ricorrente, “conformemente alle disposizioni dirigenziali, ha presentato in data 26.11.2014, presso lo Sportello Unico Edilizia del Comune di Monza, istanza di permesso di costruire per la (ricostruzione di porzione di fabbricato produttivo esistente della superficie coperta di mq. 3468,96 oltre una tettoia della superficie di mq 363.68” (cfr., ancora, pag. 3), cui è seguito il rilascio del permesso di costruire oggetto di impugnazione nella parte relativa alla prescritta corresponsione del costo di costruzione.
La legittimità di tale prescrizione è stata contestata sull’assunto che “l’intervento in discorso è volto unicamente alla ricostruzione del fabbricato totalmente crollato a causa dell'incendio del 20.09.2012 e non comporta alcuna alterazione di sagoma e di superficie, né la modifica della destinazione d'uso di cui all'originaria concessione edilizia (e successive varianti). A ciò si aggiunga che le realizzazioni in argomento prevedono il mantenimento della rete fognaria esistente, con il semplice adeguamento della stessa alla normativa attuale” (cfr. pag. 4).
A fondamento dell’impugnazione sono stati dedotti i seguenti motivi:
   - 1°) violazione degli artt. 16, comma 1 e 17, comma 3 del DPR 380/2001; eccesso di potere per travisamento dei presupposti di fatto e di diritto, ingiustizia manifesta.
Ad avviso della ricorrente “posto che, secondo la disciplina generale, il contributo di costruzione è eventuale e commisurato all'incidenza degli oneri di urbanizzazione nonché al costo di costruzione, come meglio si vedrà in seguito, l’art. 17, comma 3, lett. d), del D.P.R. 380/2001 lo esclude, in ogni caso, per gli interventi da realizzare in attuazione di norme o provvedimenti emanati a seguito di pubbliche calamità. Come precisato dalla disposizione normativa appena richiamata, in conseguenza di eventi calamitosi (ovverosia di eventi con effetti disastrosi) che coinvolgono la collettività –quale è, per l'appunto, l’incendio accidentale verificatosi presso i locali del fabbricato produttivo, che ha condotto l'Amministrazione ad adottare immediati provvedimenti a tutela della sicurezza e della pubblica incolumità– i successivi interventi effettuati e da effettuare sono, per legge, esonerati dal carico contributivo” (cfr. pag. 5).
   - 2°) violazione degli artt. 44 e 45 della legge regionale 12/2005, degli artt. 16, 17, comma 3 e 22, comma 7 del DPR 380/2001; eccesso di potere per travisamento dei presupposti di fatto e di diritto, difetto d’istruttoria e illogicità manifesta.
La ricorrente ha censurato il fatto che l’Amministrazione avrebbe chiesto il pagamento di oneri per un intervento di ripristino di parte dell’edificio crollato, “in relazione al quale la società proprietaria in passato ha già provveduto alla relativa corresponsione per la sua realizzazione” (cfr. pagg. 6–7), ignorando che il “criterio discretivo (…) per stabilire l’assoggettabilità o meno di una realizzazione edilizia al pagamento degli oneri di urbanizzazione è la tipologia di intervento e i riflessi che lo stesso ha sull’area coinvolta, in termini di trasformazione o aggravio del carico urbanistico della stessa” (cfr. pag. 7).
In altri termini, l’ordinamento positivo non prevedrebbe alcun automatismo nell’applicazione degli oneri concessori, tale principio trovando conferma negli “incisi “se dovuti” contenuti nella disposizione di cui all’art. 44 della L.R. Lombardia n. 12/2005” oltre che nell’art. 22 del testo unico dell’edilizia, che al comma 7 ammette l’esenzione dall’obbligo di pagamento per gli interventi qualificabili come “manutenzione straordinaria” ai sensi dell’art. 3 del citato testo unico, come modificato dal D.L. 133/2014, convertito nella legge 164/2014: fattispecie che si attaglierebbe al caso di specie (cfr. pag. 8).
   - 3°) violazione dell’art. 3 della legge 241/1990, degli artt. 41 e 43 della Costituzione e dei principi di buona Amministrazione.
La ricorrente ha, infine, dedotto che l’impugnato provvedimento “non contiene nemmeno l’espressa indicazione delle operazioni di calcolo che hanno condotto all'individuazione di quel determinato ammontare ed in presenza delle quali la giurisprudenza ritiene adempiuto l'onere motivazionale” (cfr. pag. 11).
Si è costituito in giudizio il Comune di Monza (01.07.2015), eccependo, nella memoria del 20.7.2015, l’inammissibilità del ricorso in riferimento agli ulteriori provvedimenti impugnati in via presupposta, i quali non sarebbero lesivi della sfera giuridica della società ricorrente; nel merito ha opposto che “l’evento definito dal ricorrente come "calamitoso" non è né tale né, tantomeno, "pubblico" in quanto, come si evidenzia dagli atti di controparte, non ha assunto proporzioni tali da coinvolgere una pluralità indefinita di soggetti, ma è rimasto circoscritto al capannone della ricorrente ed a quello confinante, ed è stato fronteggiato con gli ordinari mezzi di intervento dei VV.FT., Polizia, ecc., senza che fosse necessario far intervenire, ad esempio, la Protezione Civile la quale, invece, è sempre chiamata a svolgere la propria funzione laddove vi siano eventi effettivamente riconducibili alla pubblica calamità”, e che, comunque, la messa in sicurezza oggetto dell’ordinanza comunale rientrerebbe nell’ordinaria amministrazione (cfr. pag. 6); ha, inoltre, contestato “il tentativo di controparte di qualificare come manutenzione straordinaria l'intervento per il quale è stata presentata dalla stessa ricorrente, domanda di permesso di costruire” (cfr. pag. 10), che, invece, integrerebbe una ristrutturazione edilizia; che, infine, la ricorrente sarebbe stata “perfettamente a conoscenza delle previsioni normative che impongono il versamento del contributo di costruzione nei casi di rilascio di permesso di costruire. nonché della deliberazione di Consiglio Comunale n. 43 del 03/11/2008 di aggiornamento degli oneri di urbanizzazione e aggiornamento del costo base di costruzione” (cfr. pag. 14).
Con ordinanza 27.07.2015 n. 977 la Sezione ha ritenuto di riservarsi nel merito sulle questioni oggetto del giudizio, concedendo “la misura cautelare subordinatamente alla prestazione, da parte della ricorrente, di una garanzia bancaria o assicurativa con clausola “a prima richiesta” in favore del Comune di Monza, per un importo pari a quello indicato nel provvedimento impugnato”.
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Nel merito, il ricorso è infondato e va, pertanto, respinto.
Non coglie nel segno il primo motivo, con cui la ricorrente ha dedotto che l’incendio verificatosi in data 20.09.2012 sarebbe da annoverare tra le “pubbliche calamità” individuate dalla lett. d) dell’art. 17, comma 3, del DPR 380/2001 come motivo di esenzione dal pagamento del contributo di costruzione, e ciò in relazione all’ordinanza emessa in data 24.09.2012 dal dirigente del settore edilizia.
Tale provvedimento, all’opposto, è stato adottato alla luce del fatto che i fabbricati risultavano “ammalorati ed interessati da dissesto strutturale”: il che ha prospettato “condizioni che non consentono l’utilizzo in sicurezza delle unità immobiliari costituenti le porzioni di capannone in lato nord/ovest ed il lato nord/est, poste in aderenza alla porzione di capannone all’interno del quale si è sviluppato l’incendio”.
Si è, pertanto, disposto il “ripristino delle condizioni minime di sicurezza delle unità immobiliari interessate dall’incendio mediante eliminazione delle macerie e delle parti pericolanti, con delimitazione della zona mediante opportune opere provvisionali atte ad interdire l’accesso alle zone pericolose”, nonché la “verifica degli impianti elettrici e di adduzione gas, e di tutte le eventuali diramazioni interessanti le unità immobiliari”.
Si è, quindi, trattato di un episodio grave e dannoso per l’impresa, ma non certo catastrofico, le cui conseguenze nocive sono risultate arginabili mediante l’attuazione di normali operazioni di messa in sicurezza; né, tantomeno, risultano essere stati adottati piani di emergenza o evacuazione dei residenti, a conferma del fatto che non è stata messa a immediato repentaglio –se non in via del tutto potenziale– la pubblica incolumità.
Peraltro, l’infondatezza del primo motivo è, indirettamente, avvalorata dal tenore della seconda censura proposta, anch’essa infondata, con cui la ricorrente ha dedotto che l’assentito intervento integrerebbe (solo) una manutenzione straordinaria.
La Sezione ha più volte ribadito (cfr., tra le tante, la sentenza 18.05.2010, n. 1566) che nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella “demolizione e ricostruzione parziale o totale nel rispetto della volumetria preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica”, e ciò ai sensi dell’art. 27, comma 1, della legge regionale 12/2005, ai quali, inoltre, è direttamente correlata, ai fini del calcolo del costo di costruzione, la disciplina di cui al successivo art. 44, con eventuali riduzioni in funzione delle modalità esecutive della ristrutturazione.
Nella specie, poi, il Comune di Monza si è dato una puntuale regolamentazione mediante l’aggiornamento degli oneri di urbanizzazione e del costo base di costruzione, approvato con la deliberazione di G.C. n. 43 del 03.11.2008 (impugnata dalla società ricorrente, ma senza articolare alcuna specifica censura), la quale ha previsto che per gli interventi di ristrutturazione comportanti demolizione e ricostruzione si applichino gli oneri di urbanizzazione relativi alle nuove costruzioni (dettagliati nell’allegato B).
Conseguentemente, l’espressione contenuta nella nota del 13.01.2015 (in cui il responsabile dello sportello unico dell’edilizia ha fatto cenno al “calcolo dell’eventuale contributo di costruzione”) non può essere enfatizzata alla luce della piana applicazione della normativa primaria e secondaria, richiamata dall’Amministrazione nella motivazione del permesso di costruire (il che determina l’infondatezza del terzo motivo di ricorso).
In conclusione, il ricorso va respinto (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 25.05.2016 n. 1079 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

aprile 2016

EDILIZIA PRIVATA: OSSERVATORIO VIMINALE/ Oneri, decide il consiglio. Contributi urbanistici, assemblea competente. Non conta la natura effettiva (patrimoniale o tributaria) della prestazione.
È il consiglio comunale o la giunta l'organo competente alla determinazione/adeguamento degli oneri di urbanizzazione?

L'art. 42 del decreto legislativo n. 267/2000 stabilisce che il consiglio è l'organo di indirizzo e controllo politico-amministrativo, a cui sono attribuite una serie di competenze elencate in dettaglio nella stessa disposizione normativa.
In particolare, la lettera b) prevede in linea generale la competenza del consiglio in materia di programmi, bilanci, piani territoriali e urbanistici ecc., mentre la lett. f) assegna a tale organo competenze in materia di istituzione e ordinamento dei tributi, con esclusione della determinazione delle relative aliquote e la disciplina generale delle tariffe per la fruizione dei beni e dei servizi.
La giunta comunale, a cui sono assegnate funzioni di tipo esecutivo-attuativo, in base al successivo art. 48, comma 2, compie tutti gli atti rientranti ai sensi dell'articolo 107, commi 1 e 2, nelle funzioni degli organi di governo, che non siano riservati dalla legge al consiglio e che non ricadano nelle competenze, previste dalle leggi o dallo statuto, del sindaco o degli organi di decentramento; collabora con il sindaco nell'attuazione degli indirizzi generali del consiglio; riferisce annualmente al consiglio sulla propria attività e svolge attività propositive e di impulso nei confronti dello stesso.
In merito alla fattispecie in esame, il dpr 06.06.2001, n. 380, all'art. 16, comma 4, prevede espressamente che l'incidenza degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria è stabilita con deliberazione del consiglio comunale in base alle tabelle parametriche che la regione definisce per classi di comuni in relazione a una serie di parametri ivi indicati.
Il comma 5 del citato art. 16 stabilisce, altresì, che nel caso di mancata definizione delle tabelle parametriche da parte della regione e fino alla definizione delle tabelle stesse, i comuni provvedono, in via provvisoria, sempre con deliberazione del consiglio comunale secondo i parametri di cui al comma 4, fermo restando quanto previsto dal comma 4-bis. Appare pacifico, dunque, che la competenza a determinare gli oneri di urbanizzazione ricada esclusivamente sul consiglio comunale.
Riguardo agli aggiornamenti degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria, il comma 6 del medesimo art. 16 del dpr 06.06.2001, n. 380, si limita a stabilire che i «comuni» provvedono ogni cinque anni, in conformità alle relative disposizioni regionali, in relazione ai riscontri e prevedibili costi delle opere di urbanizzazione primaria, secondaria e generale. Il Consiglio di Stato con sentenza n. 7140/05 del 15.12.2005 ha affermato che «il contributo per il rilascio del permesso di costruire imposto dall'art. 16 del dpr 06.06.2001, n. 380 e commisurato agli oneri di urbanizzazione, ha carattere generale perché prescinde totalmente dall'esistenza o meno delle singole opere di urbanizzazione e ha natura di prestazione patrimoniale imposta». Lo stesso Consesso ha citato altresì, per la natura tributaria di tale prestazione, la decisione del Consiglio di giustizia amministrativa per la regione Siciliana 05.05.1999, n. 203.
Pertanto, benché la giurisprudenza non risulti sempre univoca nell'individuare l'organo a cui compete l'adozione della deliberazione di adeguamento degli oneri urbanistici, indipendentemente dalla effettiva natura della prestazione (patrimoniale o tributaria) la competenza non può non essere ricondotta al consiglio comunale. Infatti, l'articolo 42 del Tuel affida al consiglio la competenza in ordine a tributi e tariffe ed esercita l'ipotetica discrezionalità, laddove venga riconosciuta dalla legge, che non può essere demandata a un organo esecutivo quale la giunta.
Nel caso specifico, la competenza all'aggiornamento degli oneri di urbanizzazione dovrebbe, comunque, essere ricondotta al consiglio anche per coerenza sistematica alle varie disposizioni contenute nell'articolo 16 del dpr n. 380/2001 che al comma 4 e al comma 5 affidano al consiglio comunale il compito di determinarne l'incidenza (articolo ItaliaOggi del 22.04.2016).

EDILIZIA PRIVATA: Oggetto: Oneri aggiuntivi ex art. 16, comma 4, lett. d-ter), DPR n. 380/2001 (Regione Lombardia, Direzione Generale Territorio, Urbanistica e Difesa del Suolo, risposta e-mail del 14.04.2016).

EDILIZIA PRIVATA: L’art. 16 del D.P.R. n. 380/2001 stabilisce, al primo comma, che il rilascio del permesso di costruire comporta la corresponsione di un contributo commisurato all'incidenza degli oneri di urbanizzazione, nonché al costo di costruzione.
Presupposto per la debenza del costo di costruzione è che l’intervento rientri nell’ambito di quelli per i quali l’art. 10 del medesimo del D.P.R. n. 380/2001 prevede il titolo abilitativo del permesso di costruire.
In tal senso deve essere interpretato anche il comma 10, dell’art. 16 del D.P.R. n. 380/2001, secondo il quale “nel caso di interventi su edifici esistenti il costo di costruzione è determinato in relazione al costo degli interventi stessi, così come individuati dal comune in base ai progetti presentati per ottenere il permesso di costruire. Al fine di incentivare il recupero del patrimonio edilizio esistente, per gli interventi di ristrutturazione edilizia di cui all'articolo 3, comma 1, lettera d), i Comuni hanno comunque la facoltà di deliberare che i costi di costruzione ad essi relativi siano inferiori ai valori determinati per le nuove costruzioni”.
Questo comma rileva l’esistenza di interventi di ristrutturazione edilizia soggetti al pagamento dell’onere, ma deve essere interpretato nel senso che, in caso di interventi di ristrutturazione, il costo di costruzione è dovuto solo qualora le opere medesime richiedano il titolo abilitativo del permesso di costruire in conformità a quanto previsto dall’art. 10, comma 1, lett. c) del D.P.R. n. 380/2001, ovverosia per quelle opere di ristrutturazione che “che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino modifiche della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d'uso, nonché gli interventi che comportino modificazioni della sagoma di immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22.01.2004, n. 42”; mentre il costo di costruzione non deve essere corrisposto per gli interventi di ristrutturazione realizzabili con d.i.a..
Significativi dell’esattezza di tale interpretazione si rivelano il comma 5 dell’art. 22 del D.P.R. n. 380/2001, che assoggetta al pagamento del costo di costruzione gli interventi effettuati con d.i.a. solo nel caso in cui questa sia sostitutiva del permesso di costruire nelle ipotesi previste nel comma 3, tra le quali si trova l’ipotesi degli interventi di ristrutturazione assoggettati al regime del permesso di costruire ai sensi del già indicato art. 10, comma 1, lettera c), D.P.R. n. 380/2001.
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La giurisprudenza ha precisato che per le opere di ristrutturazione edilizia (soggette al regime del permesso di costruire), il pagamento degli concessori è dovuto solo nel caso in cui l'intervento abbia determinato un aumento del carico urbanistico.
E’ stato ancora precisato che, ai fini della corresponsione o meno degli oneri d'urbanizzazione in caso di intervento su un fabbricato già autorizzato, l'unico legittimo presupposto dell’imposizione è costituito dalla sussistenza o meno dell'eventuale maggiore carico urbanistico, dovendosi considerare illegittima la richiesta del pagamento di tali maggiori oneri se non si verifica la variazione del carico urbanistico.
Il fondamento del contributo di urbanizzazione, invero, non consiste nel titolo edilizio in sé, ma nella necessità di ridistribuire i costi sociali delle opere di urbanizzazione, facendoli gravare su quanti beneficiano delle utilità derivanti dalla presenza delle medesime, secondo modalità eque per la comunità.
Anche nel caso di modificazione della destinazione d'uso, cui si correli un maggiore carico urbanistico, è integrato il presupposto che giustifica l'imposizione del pagamento della differenza tra gli oneri di urbanizzazione dovuti per la destinazione originaria e quelli, se più elevati, dovuti per la nuova destinazione impressa; il mutamento, pertanto, è rilevante quando sussiste un passaggio tra due categorie funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico, qualificate sotto il profilo della differenza del regime contributivo in ragione di diversi carichi urbanistici.
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Le modifiche della disposizione interna degli ambienti, il rifacimento di pavimenti e controsoffitti, così come l’adeguamento o la realizzazione di impianti igienico-sanitari privati, idraulici o elettrici, non comportano la necessità del permesso di costruire, mancando la configurazione di un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente con “modifiche della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti” o “mutamenti della destinazione d'uso” (peraltro rilevanti solo se relativi a immobili compresi nelle zone omogenee A) o “modificazioni della sagoma” (peraltro solo sugli immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22.01.2004, n. 42).
Anzi le opere poste in essere appaiono addirittura rientrare nell’ambito della manutenzione straordinaria di cui art. 3, comma 1, lett. b), del D.P.R. n. 380/2001.
Gli interventi effettuati, inoltre, per la loro natura non hanno comportato alcuna variazione del carico urbanistico, né tale aspetto è stato sollevato dal Comune, trattandosi di mere opere di rifacimento interno, senza cambi di destinazione.
Gli oneri concessori richiesti non risultavano, pertanto dovuti, per due ragioni, ciascuna delle quali autonomamente sufficiente; ovverosia perché le opere poste in essere non rientrano nel regime abilitativo del permesso di costruire e in quanto le stesse non hanno comportato l’aumento del carico urbanistico.
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... per l'accertamento del diritto della ricorrente alla restituzione degli importi versati al Comune di Marcianise a titolo di costo di costruzione in relazione a taluni interventi edilizi eseguiti presso il Centro Commerciale Campania;
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1) In primo luogo il Collegio intende puntualizzare di trovarsi in una ipotesi di giurisdizione esclusiva, vertendosi in materia di diritti soggettivi, in quanto l'art. 133, lett. f), del c.p.a. devolve al giudice amministrativo "le controversie aventi ad oggetto gli atti ed i provvedimenti delle pubbliche amministrazioni in materia urbanistica ed edilizia".
La qualificazione in termini di diritto soggettivo delle situazioni giuridiche qui coinvolte, deriva dalla circostanza che, pur in presenza di contestazione circa la quantificazione o la debenza degli oneri connessi al permesso di costruire, ci si limita a censurare la misura del contributo imposto, non l'esercizio del potere al rilascio del titolo edilizio (Cons. Stato, Sez. IV, 29.10.2015, n. 4950).
2) In secondo luogo, il Collegio rileva l’infondatezza dell’eccezione di carenza di legittimazione attiva sollevata dal Comune, e fondata sull’assunto della mancata dimostrazione della parte ricorrente di essere titolare dell’immobile in questione; eccezione, peraltro, formulata in modo del tutto generico.
La società ricorrente, infatti, seppure non ha versato in atti formale documentazione attestante la sua proprietà dell’immobile, ha comprovato (né la circostanza è stata specificamente contestata) di aver essa presentato le C.I.L. per l’effettuazione dei lavori in questione; e in virtù di tale circostanza di essere stata tenuta al pagamento degli oneri di costruzione: ma è appunto tale situazione ad essere, allora, sufficiente a radicare la sua legittimazione attiva all’azione e il suo interesse a ricorrere.
3) Nel merito il ricorso si palesa fondato.
L’art. 16 del D.P.R. n. 380/2001 stabilisce, al primo comma, che il rilascio del permesso di costruire comporta la corresponsione di un contributo commisurato all'incidenza degli oneri di urbanizzazione, nonché al costo di costruzione.
Presupposto per la debenza del costo di costruzione è che l’intervento rientri nell’ambito di quelli per i quali l’art. 10 del medesimo del D.P.R. n. 380/2001 prevede il titolo abilitativo del permesso di costruire.
In tal senso deve essere interpretato anche il comma 10, dell’art. 16 del D.P.R. n. 380/2001, secondo il quale “nel caso di interventi su edifici esistenti il costo di costruzione è determinato in relazione al costo degli interventi stessi, così come individuati dal comune in base ai progetti presentati per ottenere il permesso di costruire. Al fine di incentivare il recupero del patrimonio edilizio esistente, per gli interventi di ristrutturazione edilizia di cui all'articolo 3, comma 1, lettera d), i Comuni hanno comunque la facoltà di deliberare che i costi di costruzione ad essi relativi siano inferiori ai valori determinati per le nuove costruzioni”.
Questo comma rileva l’esistenza di interventi di ristrutturazione edilizia soggetti al pagamento dell’onere, ma deve essere interpretato nel senso che, in caso di interventi di ristrutturazione, il costo di costruzione è dovuto solo qualora le opere medesime richiedano il titolo abilitativo del permesso di costruire in conformità a quanto previsto dall’art. 10, comma 1, lett. c) del D.P.R. n. 380/2001, ovverosia per quelle opere di ristrutturazione che “che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino modifiche della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d'uso, nonché gli interventi che comportino modificazioni della sagoma di immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22.01.2004, n. 42”; mentre il costo di costruzione non deve essere corrisposto per gli interventi di ristrutturazione realizzabili con d.i.a..
Significativi dell’esattezza di tale interpretazione si rivelano il comma 5 dell’art. 22 del D.P.R. n. 380/2001, che assoggetta al pagamento del costo di costruzione gli interventi effettuati con d.i.a. solo nel caso in cui questa sia sostitutiva del permesso di costruire nelle ipotesi previste nel comma 3, tra le quali si trova l’ipotesi degli interventi di ristrutturazione assoggettati al regime del permesso di costruire ai sensi del già indicato art. 10, comma 1, lettera c), D.P.R. n. 380/2001.
3.1) Inoltre, la giurisprudenza ha precisato che per le opere di ristrutturazione edilizia (soggette al regime del permesso di costruire), il pagamento degli concessori è dovuto solo nel caso in cui l'intervento abbia determinato un aumento del carico urbanistico (Cons. Stato Sez. IV, 29.10.2015, n. 4950; Cons. di Stato, Sez. IV, 29.04.2004, n. 2611).
E’ stato ancora precisato che, ai fini della corresponsione o meno degli oneri d'urbanizzazione in caso di intervento su un fabbricato già autorizzato, l'unico legittimo presupposto dell’imposizione è costituito dalla sussistenza o meno dell'eventuale maggiore carico urbanistico, dovendosi considerare illegittima la richiesta del pagamento di tali maggiori oneri se non si verifica la variazione del carico urbanistico (Cons. Stato Sez. V, 16.06.2009, n. 3847; Cons. Stato, Sez. IV 29.04.2004 n. 2611; Cons. Stato, Sez. V, 15.09.1997, n. 959, Cons. Stato, Sez. V, 21.01.1992, n. 61 e 27.01.1990 n. 693).
Il fondamento del contributo di urbanizzazione, invero, non consiste nel titolo edilizio in sé, ma nella necessità di ridistribuire i costi sociali delle opere di urbanizzazione, facendoli gravare su quanti beneficiano delle utilità derivanti dalla presenza delle medesime, secondo modalità eque per la comunità.
Anche nel caso di modificazione della destinazione d'uso, cui si correli un maggiore carico urbanistico, è integrato il presupposto che giustifica l'imposizione del pagamento della differenza tra gli oneri di urbanizzazione dovuti per la destinazione originaria e quelli, se più elevati, dovuti per la nuova destinazione impressa; il mutamento, pertanto, è rilevante quando sussiste un passaggio tra due categorie funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico, qualificate sotto il profilo della differenza del regime contributivo in ragione di diversi carichi urbanistici (Cons. Stato Sez. V, 30.08.2013, n. 4326; Consiglio Stato, sez. IV, 28.07.2005, n. 4014).
3.2) Nel caso specie, gli interventi di cui si discute, anche a voler ammettere, come sostiene il Comune, che potessero rientrare nelle opere di ristrutturazione, non sarebbero comunque da ricomprendere tra quegli interventi che, ai sensi dell’art. 10, comma 1, lettera c), D.P.R. n. 380/2001, richiedevano il permesso di costruire o, in alternativa, la d.i.a. cosiddetta sostitutiva.
Le modifiche della disposizione interna degli ambienti, il rifacimento di pavimenti e controsoffitti, così come l’adeguamento o la realizzazione di impianti igienico-sanitari privati, idraulici o elettrici, non comportano infatti, come previsto da quest’ultimo articolo, la necessità del permesso di costruire, mancando la configurazione di un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente con “modifiche della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti” o “mutamenti della destinazione d'uso” (peraltro rilevanti solo se relativi a immobili compresi nelle zone omogenee A) o “modificazioni della sagoma” (peraltro solo sugli immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22.01.2004, n. 42).
Anzi le opere poste in essere appaiono addirittura rientrare nell’ambito della manutenzione straordinaria di cui art. 3, comma 1, lett. b), del D.P.R. n. 380/2001.
La riprova della circostanza che gli interventi in questione non necessitassero del permesso di costruire, per essere invece soggetti al regime delle comunicazioni effettuate dalla ricorrente, è, per vero, nello stesso comportamento del Comune, atteso che, in caso contrario, avrebbe dovuto contestare alla medesima parte ricorrente la necessità del titolo abilitativo concessorio per la realizzazione degli interventi e non limitarsi a richiedere gli oneri concessori.
Gli interventi effettuati, inoltre, per la loro natura non hanno comportato alcuna variazione del carico urbanistico, né tale aspetto è stato sollevato dal Comune, trattandosi di mere opere di rifacimento interno, senza cambi di destinazione.
Gli oneri concessori richiesti non risultavano, pertanto dovuti, per due ragioni, ciascuna delle quali autonomamente sufficiente; ovverosia perché le opere poste in essere non rientrano nel regime abilitativo del permesso di costruire e in quanto le stesse non hanno comportato l’aumento del carico urbanistico.
3.3) Per quanto indicato, quindi, il ricorso va accolto, e, conformemente alla domanda formulata in giudizio, va dichiarato che gli oneri in questione non risultano dovuti, e, pertanto, qualora siano stati effettivamente versati, gli stessi andranno restituiti dal Comune alla parte ricorrente.
A quest’ultimo riguardo, infatti, pur essendo state allegate agli atti le disposizioni date agli istituti bancari in merito al pagamento, non è allegata agli atti la prova dell’avvenuta successiva effettiva corresponsione, per cui, a fronte della pur generica contestazione della circostanza da parte del Comune, il Collegio allo stato, non può disporne la restituzione.
Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta al Collegio, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cassazione civile, sez. II, 22.03.1995 n. 3260 e, per quelle più recenti, Cassazione civile, sez. V, 16.05.2012 n. 7663).
Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso (TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, sentenza 07.04.2016 n. 1769 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

marzo 2016

EDILIZIA PRIVATA: E’ evidentemente illegittima la pretesa dell’Amministrazione Comunale di addossare al titolare di un permesso edilizio, rilasciato oltre cinque anni prima, l’ulteriore carico finanziario derivante (a ben vedere) dal meccanismo di aggiornamento del contributo di costruzione.
Nella fattispecie, effettivamente, il provvedimento comunale impugnato -recante in oggetto “Recupero delle somme non versate a titolo di contributo di costruzione relativamente al permesso di costruire n. 09 del 16.04.2009 P.E. 65/2007”- accolla ex post alla ricorrente, in ragione del titolo edilizio rilasciato oltre cinque anni prima, ulteriori oneri concessori.
Il Tribunale ritiene di escludere che si sia di fronte all’esercizio di un potere di autotutela volto a correggere meri errori di determinazione o calcolo compiuti all’epoca del rilascio del permesso di costruire.
A ben vedere, l’attività comunale appare -invece- orientata ad addossare al privato successivamente al rilascio del titolo edilizio costi supplementari derivanti dal meccanismo legale di adeguamento degli oneri concessori (e, in particolare, della componente costituita dal costo di costruzione).
Tale meccanismo consente di aggiornare gli importi ricorrendo, con riferimento alla voce relativa agli oneri di urbanizzazione, “ai riscontri e prevedibili costi delle opere di urbanizzazione primaria, secondaria e generale” (cfr. art. 16, sesto comma, D.P.R. 06.06.2001 n. 380) o, in relazione alla voce relativa al costo di costruzione, facendo “riferimento ai costi massimi ammissibili per l'edilizia agevolata” su determinazione regionale, e in assenza di quest’ultima “in ragione dell'intervenuta variazione dei costi di costruzione accertata dall'ISTAT” (cfr. art. 16, nono comma, D.P.R. 06.06.2001 n. 380).
Il procedimento di revisione mira dunque ad adeguare l’importo degli oneri concessori a fenomeni di natura sostanzialmente inflattiva -legati all’aumento generalizzato dei costi di urbanizzazione o costruzione- in maniera da far corrispondere a permessi edilizi rilasciati in epoche diverse un impegno economico sostanzialmente uniforme sui singoli istanti.
Secondo l’orientamento consolidato della giurisprudenza amministrativa, fondato sullo stesso tenore letterale dell’art. 16 del D.P.R. 06.06.2001 n. 380 (“la quota di contributo relativa agli oneri di urbanizzazione è corrisposta al Comune all'atto del rilascio del permesso di costruire” e “la quota di contributo relativa al costo di costruzione, determinata all'atto del rilascio”), i contributi concessori devono essere stabiliti al momento del rilascio del permesso edilizio; a tale momento occorre dunque avere riguardo per la determinazione della entità dell’onere facendo applicazione della normativa vigente al momento del rilascio del titolo edilizio.
Da tale affermazione di principio si trae il corollario della irretroattività delle determinazioni comunali a carattere regolamentare con cui vengono stabiliti i criteri generali e le nuove tariffe e modalità di calcolo per gli oneri concessori ribadendosi l'integrale applicazione del principio “tempus regit actum” e, quindi, la irrilevanza ed ininfluenza di disposizioni tariffarie sopravvenute rispetto al momento del rilascio della concessione edilizia.
Di conseguenza, deve ritenersi che i provvedimenti comunali che dispongono l'adeguamento degli oneri concessori (sia con riferimento alla voce relativa agli oneri di urbanizzazione, sia in relazione alla voce inerente al costo di costruzione) possano trovare applicazione esclusivamente per i permessi rilasciati a far tempo dall'epoca di adozione dell'atto deliberativo (avente carattere regolamentare), e non anche per quelli rilasciati in epoca anteriore.
Questo Tribunale ritiene, sulla base del dato normativo e in conformità dell’orientamento giurisprudenziale consolidato da cui non vi sono ragioni di discostarsi, che non solo la determinazione degli oneri concessori debba avvenire sulla base delle tariffe vigenti ma che la stessa non possa essere richiesta che una tantum al momento del rilascio del permesso edilizio senza possibilità di esigersi pagamenti per annualità successive al rilascio del titolo.

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Né può condividersi la tesi del Comune resistente secondo cui, nel particolare caso di specie, si tratterebbe della rettifica di un mero errore di calcolo nella determinazione del quantum della voce relativa al costo di costruzione compiuto dagli Uffici comunali al momento della liquidazione, in quanto non corrispondente alle determinazioni regionali direttamente vigenti al momento del rilascio del permesso di costruire n. 9 del 16.04.2009.
E’ agevole, infatti, rilevare in proposito che le previsioni normative vigenti in “subiecta materia” (art. 16, sesto e nono comma, del D.P.R. 06.06.2001 n. 380 e 2, secondo comma, della Legge Regionale Pugliese 01.02.2007 n. 1, statuente che: “I Comuni hanno facoltà di applicare al costo base per l’edilizia agevolata, come determinato al comma 1, i criteri per il calcolo del contributo relativo al costo di costruzione di cui all’Allegato A della presente legge, motivando adeguatamente le eventuali riduzioni o incrementi sia in relazione alle situazioni di bilancio comunale sia in relazione ai costi di costruzione effettivamente praticati in loco”) contemplano espressamente ed inequivocabilmente il necessario esercizio di un potere regolamentare/tariffario da parte dell’Ente Comune (in ordine alla quantificazione della misura dei contributi concessori, vuoi per la componente relativa agli oneri di urbanizzazione, vuoi per la componente inerente il costo di costruzione), che -con ogni evidenza- non può avere effetto retroattivo ed impedisce (prima della sua concreta esplicazione) la diretta applicabilità delle determinazioni regionali modificative degli importi del costo di costruzione dovuto per le nuove edificazioni.
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... per l'annullamento della nota prot. n. 7259 del 23.09.2014 a firma del Responsabile del Settore Servizi Tecnici, notificata in data 01.10.2014, con la quale il Comune di Arnesano, in rettifica dell’ammontare del contributo correlato al costo costruzione a suo tempo richiesto per il rilascio del permesso di costruire n. 9 del 16.04.2009, ha intimato alla Società ricorrente il pagamento della somma di € 9.948,60;
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La Società ricorrente impugna la nota prot. n. 7259 del 23.09.2014 a firma del Responsabile del Settore Servizi Tecnici, notificata in data 01.10.2014, con la quale il Comune di Arnesano, in rettifica dell’ammontare del contributo correlato al costo costruzione a suo tempo richiesto per il rilascio del permesso di costruire n. 9 del 16.04.2009 (impianto carburanti), le ha intimato il pagamento (entro il termine di sessanta giorni) della somma di € 9.948,60, nonché ogni altro atto presupposto, connesso e/o consequenziale tra cui in particolare la nota del Responsabile del Settore Servizi Tecnici prot. n. 5428 dell’08.07.2014.
Chiede, altresì, l’accertamento e la declaratoria dell’inesistenza del credito vantato dal Comune di Arnesano a mezzo degli atti sopra indicati.
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Il ricorso è fondato nel merito e va accolto.
Con la presente impugnativa la Società ricorrente assume (essenzialmente) che il Comune di Arnesano abbia (illegittimamente) rideterminato retroattivamente l’importo del contributo correlato al costo di costruzione, a distanza di oltre cinque anni dal rilascio del permesso di costruire n. 9 del 16.04.2009, ultimata l’opera edilizia e saldati il pagamento degli oneri richiesti.
La doglianza merita di essere condivisa.
Osserva il Collegio che, effettivamente, il provvedimento comunale impugnato -recante in oggetto “Recupero delle somme non versate a titolo di contributo di costruzione relativamente al permesso di costruire n. 09 del 16.04.2009 P.E. 65/2007”- accolla ex post alla ricorrente, in ragione del titolo edilizio rilasciato oltre cinque anni prima, ulteriori oneri concessori.
Il Tribunale, in seguito alla lettura del provvedimento contestato, ritiene di escludere che si sia di fronte all’esercizio di un potere di autotutela volto a correggere meri errori di determinazione o calcolo compiuti all’epoca del rilascio del permesso di costruire.
A ben vedere, l’attività comunale appare -invece- orientata ad addossare al privato successivamente al rilascio del titolo edilizio costi supplementari derivanti dal meccanismo legale di adeguamento degli oneri concessori (e, in particolare, della componente costituita dal costo di costruzione).
Tale meccanismo consente di aggiornare gli importi ricorrendo, con riferimento alla voce relativa agli oneri di urbanizzazione, “ai riscontri e prevedibili costi delle opere di urbanizzazione primaria, secondaria e generale” (cfr. art. 16, sesto comma, D.P.R. 06.06.2001 n. 380) o, in relazione alla voce relativa al costo di costruzione, facendo “riferimento ai costi massimi ammissibili per l'edilizia agevolata” su determinazione regionale, e in assenza di quest’ultima “in ragione dell'intervenuta variazione dei costi di costruzione accertata dall'ISTAT” (cfr. art. 16, nono comma, D.P.R. 06.06.2001 n. 380).
Il procedimento di revisione mira dunque ad adeguare l’importo degli oneri concessori a fenomeni di natura sostanzialmente inflattiva -legati all’aumento generalizzato dei costi di urbanizzazione o costruzione- in maniera da far corrispondere a permessi edilizi rilasciati in epoche diverse un impegno economico sostanzialmente uniforme sui singoli istanti.
Secondo l’orientamento consolidato della giurisprudenza amministrativa, fondato sullo stesso tenore letterale dell’art. 16 del D.P.R. 06.06.2001 n. 380 (“la quota di contributo relativa agli oneri di urbanizzazione è corrisposta al Comune all'atto del rilascio del permesso di costruire” e “la quota di contributo relativa al costo di costruzione, determinata all'atto del rilascio”), i contributi concessori devono essere stabiliti al momento del rilascio del permesso edilizio; a tale momento occorre dunque avere riguardo per la determinazione della entità dell’onere facendo applicazione della normativa vigente al momento del rilascio del titolo edilizio.
Da tale affermazione di principio si trae il corollario della irretroattività delle determinazioni comunali a carattere regolamentare con cui vengono stabiliti i criteri generali e le nuove tariffe e modalità di calcolo per gli oneri concessori ribadendosi l'integrale applicazione del principio “tempus regit actum” e, quindi, la irrilevanza ed ininfluenza di disposizioni tariffarie sopravvenute rispetto al momento del rilascio della concessione edilizia (Cfr. “ex multis”: TAR Puglia Lecce, III Sezione, 15.01.2013 n. 49).
Di conseguenza, deve ritenersi che i provvedimenti comunali che dispongono l'adeguamento degli oneri concessori (sia con riferimento alla voce relativa agli oneri di urbanizzazione, sia in relazione alla voce inerente al costo di costruzione) possano trovare applicazione esclusivamente per i permessi rilasciati a far tempo dall'epoca di adozione dell'atto deliberativo (avente carattere regolamentare), e non anche per quelli rilasciati in epoca anteriore.
Questo Tribunale ritiene, sulla base del dato normativo e in conformità dell’orientamento giurisprudenziale consolidato da cui non vi sono ragioni di discostarsi, che non solo la determinazione degli oneri concessori debba avvenire sulla base delle tariffe vigenti ma che la stessa non possa essere richiesta che una tantum al momento del rilascio del permesso edilizio senza possibilità di esigersi pagamenti per annualità successive al rilascio del titolo (Cfr. “ex multis”: TAR Puglia Lecce, III Sezione, 15.01.2013 n. 49).
E’, pertanto, evidentemente illegittima la pretesa dell’Amministrazione Comunale di Arnesano di addossare al titolare di un permesso edilizio rilasciato oltre cinque anni prima l’ulteriore carico finanziario derivante (a ben vedere) dal meccanismo di aggiornamento.
Né può condividersi la tesi del Comune resistente secondo cui, nel particolare caso di specie, si tratterebbe della rettifica di un mero errore di calcolo nella determinazione del quantum della voce relativa al costo di costruzione compiuto dagli Uffici comunali al momento della liquidazione, in quanto non corrispondente alle determinazioni regionali direttamente vigenti al momento del rilascio del permesso di costruire n. 9 del 16.04.2009.
E’ agevole, infatti, rilevare in proposito che le previsioni normative vigenti in “subiecta materia” (art. 16, sesto e nono comma, del D.P.R. 06.06.2001 n. 380 e 2, secondo comma, della Legge Regionale Pugliese 01.02.2007 n. 1, statuente che: “I Comuni hanno facoltà di applicare al costo base per l’edilizia agevolata, come determinato al comma 1, i criteri per il calcolo del contributo relativo al costo di costruzione di cui all’Allegato A della presente legge, motivando adeguatamente le eventuali riduzioni o incrementi sia in relazione alle situazioni di bilancio comunale sia in relazione ai costi di costruzione effettivamente praticati in loco”) contemplano espressamente ed inequivocabilmente il necessario esercizio di un potere regolamentare/tariffario da parte dell’Ente Comune (in ordine alla quantificazione della misura dei contributi concessori, vuoi per la componente relativa agli oneri di urbanizzazione, vuoi per la componente inerente il costo di costruzione), che -con ogni evidenza- non può avere effetto retroattivo ed impedisce (prima della sua concreta esplicazione) la diretta applicabilità delle determinazioni regionali modificative degli importi del costo di costruzione dovuto per le nuove edificazioni.
In conclusione, per le ragioni esposte, vista l’illegittimità del provvedimento impugnato, il ricorso deve essere accolto (TAR Puglia-Lecce, Sez. III, sentenza 01.03.2016 n. 404 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

febbraio 2016

EDILIZIA PRIVATA: Non assimilabili tipologie eterogenee. Oneri di urbanizzazione ai raggi X.
Laddove il comune introduca nell'ambito della zonizzazione destinazioni particolari, come quella a impianti sportivi, deve tenere conto della relativa tipologia ai fini della determinazione dei parametri per la quantificazione degli oneri di urbanizzazione, non potendo procedere ad assimilare tipologie edilizie del tutto eterogenee.

Ad affermarlo sono stati i giudici della III Sez. del TAR Toscana con la sentenza 29.02.2016 n. 372.
I giudici amministrativi fiorentini erano chiamati ad esprimersi circa l'annullamento del provvedimento di un comune nella parte in cui con riferimento a una istanza di sanatoria edilizia presentata da una srl, richiedeva il «versamento dell'oblazione di cui [ai sensi di legge]» e il «versamento degli oneri di cui agli artt. 119-121 della Lrt 1/2005 (...)»; nonché di ogni altro atto amministrativo, presupposto, inerente, conseguente e/o comunque connesso, ove lesivo; nonché, per l'annullamento del permesso di costruire in sanatoria rilasciato dal comune nella parte in cui determinava l'oblazione e gli oneri di urbanizzazione dovuti dalla Srl; nonché, per l'annullamento, ove lesiva, della delibera del consiglio comunale recante approvazione nuovo regolamento per il pagamento degli oneri di urbanizzazione e del costo di costruzione, e dunque per l'accertamento della minore somma dovuta dalla ricorrente in ordine all'istanza di sanatoria de qua e, conseguentemente, per l'accertamento del diritto della ricorrente ad ottenere il rimborso della maggiore somma indebitamente corrisposta dalla medesima, oltre interessi.
Secondo i giudici toscani, quanto alla contestazione della somma richiesta a titolo di oblazione per le opere oggetto di sanatoria questa abbia rilevanza penale. Trattasi, infatti, di strutture che, in quanto destinate a soddisfare bisogni non meramente provvisori e transeunti, non possono ritenersi precarie (Consiglio di stato, sez. VI, 01/12/2014, n. 5934). E che, inoltre, nemmeno possono considerarsi come opere accessorie rispetto ad un bene principale in quanto si tratta di elementi che nel loro insieme concorrono a costituire (ciascuno per la propria funzione) il complesso sportivo.
Nella sentenza in commento si sottolineava inoltre, come, ai sensi dell'art. 16, comma 4, del dpr 380 del 2001, l'incidenza degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria è stabilita dal consiglio comunale in relazione, fra l'altro, alle destinazioni di zona previste dagli strumenti urbanistici vigenti.
Pertanto, poiché circa la contestazione relativa alle somme richieste a titolo di contributo di urbanizzazione, che la destinazione ad impianti sportivi, ai giudici amministrativi non appariva in alcun modo assimilabile a quella turistico ricettiva ai fini della determinazione degli oneri, essendo diverso il carico urbanistico indotto dalle due tipologie di uso del territorio (articolo ItaliaOggi Sette del 04.04.2016).

EDILIZIA PRIVATA: Contributo di costruzione: deve essere fissato al momento del rilascio del titolo edilizio.
Se i contributi concessori (per entrambe le componenti, e, quindi, sia con riferimento alla voce relativa agli oneri di urbanizzazione che in relazione alla voce inerente al costo di costruzione) devono essere determinati e liquidati, secondo la lettera della norma, al momento del rilascio del permesso di costruire, “a tale momento occorre dunque avere riguardo per l’entità dell’onere, facendo applicazione della normativa vigente al momento del rilascio del titolo edilizio”: pertanto, “la determinazione del contributo di costruzione deve avvenire sulla base dei parametri vigenti al momento del rilascio del permesso di costruire”.
Ciò significa che i provvedimenti comunali di adeguamento dei contributi concessori (sia oneri di urbanizzazione che costo di costruzione) possono trovare applicazione esclusivamente “per i permessi rilasciati a far tempo dall’epoca di adozione dell’atto deliberativo e non anche per quelli rilasciati in epoca anteriore”, dovendosi ritenere, sulla base del dato normativo e in conformità dell’orientamento giurisprudenziale consolidato (da cui non vi sono ragioni di discostarsi), che “non solo la determinazione degli oneri debba avvenire sulla base delle tariffe vigenti, ma che la stessa non possa essere richiesta che una tantum al momento del rilascio del permesso edilizio”, salvo l’ipotesi, da un lato, del (doveroso) esercizio (entro il termine prescrizionale) del potere di autotutela volto a correggere eventuali meri errori di determinazione o calcolo, compiuti all’epoca del rilascio del permesso di costruire, e, dall’altro, della “riliquidazione …. quando vi sia rilascio di nuovo titolo edilizio in relazione alla scadenza dell'efficacia temporale del precedente e per il completamento con mutamento di destinazione d'uso delle opere assentite in origine” (così Consiglio di Stato che ha affermato la legittimità del “ricalcolo degli oneri già corrisposti per la prima concessione” -decaduta ai sensi dell’art. 15, comma 3, del D.P.R. n. 380/2001- “applicando anche ad essi la nuova disciplina (fermo restando, come è ovvio, lo scomputo delle somme già corrisposte), ….. nella sola ipotesi in cui le opere assentite col secondo permesso comportino un mutamento di destinazione d’uso ovvero una variazione essenziale del manufatto con passaggio da una categoria urbanistica ad altra funzionalmente autonoma, in tale caso giustificandosi col maggior carico urbanistico conseguente il ricalcolo degli oneri dovuto).
Di conseguenza, una volta che la determinazione degli oneri concessori sia correttamente avvenuta sulla base delle tabelle vigenti all’epoca del rilascio del permesso di costruire, né ricorra la seconda ipotesi (di legittimo “ricalcolo”) appena illustrata, non può che rivelarsi illegittima la pretesa dell’Amministrazione di addossare ex post al titolare del permesso edilizio rilasciato anni prima l’ulteriore carico finanziario derivante dal meccanismo di aggiornamento.
D’altro canto, la convenienza a realizzare o meno l’intervento edilizio non può prescindere da una valutazione degli oneri concessori quale significativa componente del costo complessivo dello stesso; per cui, un adeguamento del contributo ex post si tradurrebbe in un’alea insopportabile per chi, qualora a conoscenza di una diversa e maggiore entità del contributo, si sarebbe magari astenuto dall’iniziativa economica intrapresa.

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1. - Il ricorso è fondato.
Fondato ed assorbente è il primo motivo di gravame, con il quale i ricorrenti assumono (essenzialmente) che, con le impugnate note (prot. n. 7287 del 24.09.2014 e prot. n. 8219 del 29.10.2014), il Comune di Arnesano abbia (illegittimamente) rideterminato retroattivamente l’importo del contributo correlato al costo di costruzione, a distanza di ben sette anni dal rilascio dei permessi di costruire n. 19 del 23.04.2007 e n. 58 del 17.10.2007, ad avvenuto saldo del pagamento degli oneri richiesti, in violazione dell’art. 16 del D.P.R. n. 380/2001 e dell’art. 2 della L.R. n. 1/2007.
1.1 - Osserva il Collegio che l’art. 16 del D.P.R n. 380/2001 stabilisce che “la quota di contributo relativa agli oneri di urbanizzazione va corrisposta al comune all’atto del rilascio del permesso di costruire e, su richiesta dell’interessato, può essere rateizzata” (comma 2), mentre “la quota di contributo relativa al costo di costruzione, determinata all’atto del rilascio, è corrisposta in corso d’opera, con le modalità e le garanzie stabilite dal comune, non oltre sessanta giorni dalla ultimazione della costruzione” (comma 3).
Se i contributi concessori (per entrambe le componenti, e, quindi, sia con riferimento alla voce relativa agli oneri di urbanizzazione che in relazione alla voce inerente al costo di costruzione) devono essere determinati e liquidati, secondo la lettera della norma, al momento del rilascio del permesso di costruire, “a tale momento occorre dunque avere riguardo per l’entità dell’onere, facendo applicazione della normativa vigente al momento del rilascio del titolo edilizio” (TAR Puglia, Lecce, III, 27.09.2013, n. 2058): pertanto, “la determinazione del contributo di costruzione deve avvenire sulla base dei parametri vigenti al momento del rilascio del permesso di costruire” (TAR Puglia, Lecce, III, 15.05.2013, n. 1103, in tal senso anche Consiglio di Stato, IV, 12.06.2014, n. 3010; idem, 19.03.2015, n. 1504).
Ciò significa che i provvedimenti comunali di adeguamento dei contributi concessori (sia oneri di urbanizzazione che costo di costruzione) possono trovare applicazione esclusivamente “per i permessi rilasciati a far tempo dall’epoca di adozione dell’atto deliberativo e non anche per quelli rilasciati in epoca anteriore” (TAR Puglia, Lecce, III, cit., n. 48/2013), dovendosi ritenere, sulla base del dato normativo e in conformità dell’orientamento giurisprudenziale consolidato (da cui non vi sono ragioni di discostarsi), che “non solo la determinazione degli oneri debba avvenire sulla base delle tariffe vigenti, ma che la stessa non possa essere richiesta che una tantum al momento del rilascio del permesso edilizio” (TAR Lecce, III, cit., n. 1103/2013), salvo l’ipotesi, da un lato, del (doveroso) esercizio (entro il termine prescrizionale) del potere di autotutela volto a correggere eventuali meri errori di determinazione o calcolo, compiuti all’epoca del rilascio del permesso di costruire, e, dall’altro, della “riliquidazione …. quando vi sia rilascio di nuovo titolo edilizio in relazione alla scadenza dell'efficacia temporale del precedente e per il completamento con mutamento di destinazione d'uso delle opere assentite in origine” (così Consiglio di Stato, IV, 19.03.2015, n. 1504, con relativo richiamo a Consiglio di Stato, IV, 27.04.2012, n. 2471, che ha affermato la legittimità del “ricalcolo degli oneri già corrisposti per la prima concessione” -decaduta ai sensi dell’art. 15, comma 3, del D.P.R. n. 380/2001- “applicando anche ad essi la nuova disciplina (fermo restando, come è ovvio, lo scomputo delle somme già corrisposte), ….. nella sola ipotesi in cui le opere assentite col secondo permesso comportino un mutamento di destinazione d’uso ovvero una variazione essenziale del manufatto con passaggio da una categoria urbanistica ad altra funzionalmente autonoma, in tale caso giustificandosi col maggior carico urbanistico conseguente il ricalcolo degli oneri dovuto (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 29.04.2004, nr. 2611; Cons. Stato, sez. V, 25.05.2004, nr. 6289; id., 23.01.2004, nr. 174; id., 29.01.2004, nr. 295; id., 24.09.2001, nr. 1427)”).
Di conseguenza, una volta che la determinazione degli oneri concessori sia correttamente avvenuta sulla base delle tabelle vigenti all’epoca del rilascio del permesso di costruire, né ricorra la seconda ipotesi (di legittimo “ricalcolo”) appena illustrata, non può che rivelarsi illegittima la pretesa dell’Amministrazione di addossare ex post al titolare del permesso edilizio rilasciato anni prima l’ulteriore carico finanziario derivante dal meccanismo di aggiornamento.
D’altro canto, la convenienza a realizzare o meno l’intervento edilizio non può prescindere da una valutazione degli oneri concessori quale significativa componente del costo complessivo dello stesso; per cui, un adeguamento del contributo ex post si tradurrebbe in un’alea insopportabile per chi, qualora a conoscenza di una diversa e maggiore entità del contributo, si sarebbe magari astenuto dall’iniziativa economica intrapresa (TAR Puglia-Lecce, Sez. III, sentenza 17.02.2016 n. 326 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Oneri di urbanizzazione. Destinazione e qualificazione delle entrate derivanti dai permessi di costruzione e dalle relative sanzioni.
Un sindaco ha chiesto un parere in merito alla possibilità di continuare a destinare i proventi da concessioni edilizie e relative sanzioni al finanziamento delle spese di manutenzione ordinaria del patrimonio comunale contabilmente inserite nella spesa corrente.
I magistrati contabili della Lombardia hanno ricordato che l’allocazione in bilancio e la conseguente corretta utilizzazione delle entrate derivanti dai contributi per il rilascio dei permessi di costruire è stata oggetto di ripetute modifiche da parte del legislatore.
Di recente, la legge n. 208/2015, entrata in vigore il giorno 01.01.2016, è intervenuta in materia, stabilendo che “per gli anni 2016 e 2017, i proventi delle concessioni edilizie e delle sanzioni previste dal testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 06.06.2001, n. 380, fatta eccezione per le sanzioni di cui all’articolo 31, comma 4-bis, del medesimo testo unico” –le quali, per espressa previsione del successivo comma 4-ter, spettano al comune e sono destinate esclusivamente alla demolizione ed alla rimessione in pristino delle opere abusive, nonché all’acquisizione ed all’attrezzatura di aree destinate a verde pubblico–, “possono essere utilizzati per una quota pari al 100 per cento per spese di manutenzione ordinaria del verde, delle strade e del patrimonio comunale, nonché per spese di progettazione delle opere pubbliche” (art. 1, comma 737).
Tale disposizione contiene una specifica previsione facoltizzante, circa la destinazione dell’entrata, di cui l’ente, nella propria autonomia, potrà dunque avvalersi negli anni 2016 e 2017 e viene a configurare un’espressa disciplina, parzialmente derogatoria rispetto al regime ordinario d’imputazione di detti proventi, che tuttavia conferma a contrario, sotto il profilo concettuale, la tendenziale annoverabilità degli stessi, quantomeno pro parte, fra quelli di parte capitale (tanto che per destinare integralmente tali entrate a spese di parte corrente il legislatore ha ritenuto necessario dettare una disposizione ad hoc) (commento tratto da www.self-entilocali.it).
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Il Sindaco del Comune di Cernusco sul Naviglio (MI) –dopo aver ricordato il contenuto precettivo:
   a) dell’
art. 49, comma 7, della legge n. 449 del 1997 (che ammette la destinazione di alcuni proventi delle concessioni edilizie e delle relative sanzioni al finanziamento delle spese di manutenzione del patrimonio comunale);
   b) dell’art. 2, comma 8, della legge n. 244 del 2007 (che ha invece stabilito, per gli anni 2008, 2009 e 2010, la possibilità di destinare i proventi delle concessioni edilizie e delle relative sanzioni, nella misura non superiore al cinquanta per cento, al finanziamento delle spese correnti e, in misura non superiore al venticinque per cento, esclusivamente alle spese di manutenzione ordinaria del verde, delle strade e del patrimonio comunale);
   c) dell’art. 2, comma 41, della legge n. 11 del 2010 (recte: del decreto legge n. 225 del 2010, convertito con modificazioni dalla legge n. 11 del 2010); dell’art. 10, comma 4-ter, del decreto legge n. 35 del 2013, convertito con modificazioni dalla legge n. 64 del 2013, e dell’art. 1, comma 536, della legge n. 190 del 2014 (che hanno progressivamente prorogato la vigenza di tale previsione sino a tutto il 2015)– ha posto alla Sezione il seguente quesito:
  
se, in mancanza di analoga previsione per il 2016, in considerazione della (asseritamente) non abrogata previsione di cui all’art. 49, comma 7, della legge n. 449 del 1997, sia possibile per l’ente continuare a destinare i proventi da concessioni edilizie e relative sanzioni, secondo la previsione da ultimo riportata, al finanziamento delle spese di manutenzione ordinaria del patrimonio comunale contabilmente inserite nella spesa corrente.
...
1.- In via preliminare, la Sezione precisa che la decisione di procedere ad una determinata spesa attiene al merito dell’azione amministrativa e rientra, pertanto, nella piena ed esclusiva discrezionalità e responsabilità dell’ente; spetta altresì all’ente procedere alle attività amministrative e giuscontabili conseguenti alla qualificazione della spesa, oggetto del presente parere.
2.- Ciò posto, si osserva che la richiesta attiene ad un complesso normativo già ampiamente scandagliato dalle Sezioni regionali di questa Corte (v., sistematicamente, la
deliberazione 27.11.2013 n. 123 della Sezione regionale di controllo per la Basilicata e la deliberazione n. 168/2013/PAR della Sezione regionale di controllo per il Piemonte). A fini di chiarezza e coerenza sistematica, è necessario muovere da quanto affermato nelle richiamate deliberazioni.
In esse, in particolare, s’era già rilevato che l’allocazione in bilancio e la conseguente corretta utilizzazione delle entrate derivanti dai contributi per il rilascio dei permessi di costruire è stata oggetto di ripetute modifiche da parte del legislatore. Prima dell’attuale “contributo per permesso di costruire”, i Comuni riscuotevano infatti gli “oneri di urbanizzazione” previsti dalla legge n. 10 del 1977, che subordinava la concessione edilizia alla corresponsione di un contributo commisurato all'incidenza delle spese di urbanizzazione, nonché al costo di costruzione (art. 3).
I proventi delle concessioni erano versati in un conto corrente vincolato presso la tesoreria del comune ed erano espressamente destinati alla realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria, al risanamento di complessi edilizi compresi nei centri storici, all'acquisizione delle aree da espropriare per la realizzazione dei programmi pluriennali di cui all'art. 13, “nonché, nel limite massimo del 30 per cento, a spese di manutenzione ordinaria del patrimonio comunale” (art. 12, come modificato dall’art. 16-bis del decreto legge n. 318 del 1986, convertito con modificazioni dalla legge n. 488 del 1986).
L’art. 49, comma 7, della legge n. 449 del 1997, senza novellare il testo del predetto art. 12, ha stabilito, come s’è visto, che i proventi delle concessioni edilizie e delle sanzioni “di cui all'articolo 18 della legge 28.01.1977, n. 10, e successive modificazioni” (cioè relative ai lavori assentiti prima dell’entrata in vigore della predetta legge) e “all'articolo 15 della medesima legge, come sostituito ai sensi dell'articolo 2 della legge 28.02.1985, n. 47” (relative cioè, in generale, alle opere soggette al novellato regime concessorio) potevano essere destinati “anche” al finanziamento di spese di manutenzione del patrimonio comunale. Tale previsione non fissava alcun limite all’impiego e non indicava la natura, ordinaria o straordinaria, della manutenzione.
In quel contesto si era già chiarito che tale ultima disposizione, in virtù di un’interpretazione logico-sistematica (basata sulla locuzione “anche”), permetteva nella sostanza un superamento delle soglie d’impiego di cui all’art. 12 della legge n. 10 del 1977 e quindi veniva ad affiancarsi ad essa (v. ancora quanto ricordato dalla Sezione regionale di controllo per la Basilicata nella
deliberazione 27.11.2013 n. 123).
3.- L’art. 136, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001 ha successivamente abrogato espressamente, nel ridisciplinare interamente la materia, anche l’art. 12 della legge n. 10 del 1977; l’art. 16, comma 1, ha al contempo introdotto il contributo per il rilascio del permesso di costruire, commisurato all’incidenza degli oneri di urbanizzazione, nonché al costo di costruzione. Tale contributo –come emerge dall’ermeneusi congiunta dell’art. 12, primo comma, e dell’art. 16, secondo comma, del medesimo testo unico– mira in primis a bilanciare il costo derivante all’ente dal consumo del territorio, sub specie in particolare della realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria necessarie ad inserire il realizzando immobile nel tessuto urbano (fatto sta che è rimessa al privato la facoltà di realizzare parte di tali opere a scomputo del predetto contributo).
In definitiva, come questa Sezione ha già avuto modo di rilevare, la natura del contributo di costruzione è pertanto assimilabile a quella dei precedenti oneri, poiché il pagamento di entrambi è motivato dal rilascio della concessione, ora permesso, ad eseguire interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio (deliberazione n. 1/pareri/2004).
A parere di altre Sezioni regionali di questa Corte e condivise da questa Sezione l’intervento normativo organico di settore, rappresentato dal citato testo unico, ha determinato la tacita abrogazione –in via consequenziale– anche del citato art. 49, comma 7, della legge n. 449 del 1997, in quanto nel sistema normativo così ridefinito gli espressi riferimenti normativi contenuti nel predetto comma 7 venivano inevitabilmente a “cadere nel vuoto”; ciò ha determinato l’ulteriore conseguenza, in mancanza di una diversa ed espressa previsione di legge, del venir meno della relativa facoltà, ivi stabilita, di destinazione dei proventi riscossi a titolo di contributi per il rilascio del permesso di costruire (v. ancora Sezione regionale di controllo per la Basilicata,
deliberazione 27.11.2013 n. 123; Sezione controllo Piemonte, deliberazione n. 168/2013/SRCPIE/PAR).
Tale interpretazione trova altresì conferma nella circolare 07.04.2004, n. 39656, della Ragioneria Generale dello Stato, la quale ha affermato che, alla luce del novellato quadro normativo, “
i proventi derivanti dalle concessioni edilizie non sono più soggetti al vincolo di destinazione per chiara espressione di volontà del legislatore, che ha voluto attribuire agli enti locali piena discrezionalità nell'utilizzo di tali risorse, evidenziandone così la loro natura tributaria”.
Tale constatazione, privando del presupposto interpretativo l’argomentazione avanzata dall’ente nella formulazione della richiesta di parere, già di per sé permette di risolvere la relativa questione di diritto; tuttavia, interpretando in termini sostanziali detta richiesta, questa Sezione ritiene di dover prendere posizione circa la destinazione a bilancio di dette entrate, questione effettivamente oggetto del dubbio del comune istante; ciò implica la necessità di esaminare la natura giuridica di tali entrate e la relativa disciplina giuridica complessiva.
4.– Al riguardo, si deve ricordare che, in conseguenza del venir meno di un’espressa destinazione, s’era in quel contesto sottolineato che l’entrata derivante dal rilascio dei permessi di costruire finisse per confluire nel totale delle entrate –ed in particolare, s’è ritenuto, in quelle di natura tributaria– che intrinsecamente sono destinate a finanziare il totale delle spese, secondo il principio dell’unità di bilancio (art. 162, comma 2, T.U.E.L.), con l’ulteriore conseguenza della riallocazione di queste risorse, in considerazione del venir meno del predetto vincolo legislativo di destinazione di cui all’art. 12 della legge n. 10 del 1977 e ss.mm.ii., tra quelle che contribuiscono complessivamente a determinare gli equilibri di bilancio ex art. 193, comma 3, del T.U.E.L. (cfr. ancora questa Sezione, deliberazione 1/parere/2004; cfr. altresì la predetta circolare della Ragioneria Generale dello Stato ed il Principio contabile n. 2, par. 20, dei “Principi contabili per gli Enti locali” elaborati nel 2004, principio che ha ritenuto detta entrata ascrivibile al Titolo I dell’Entrata, cioè alle entrate tributarie).
Peraltro, se tale allocazione da un lato, in quel medesimo contesto, ha portato a considerare astrattamente l’entrata come liberamente disponibile per il finanziamento (anche) di spese correnti, dall’altro, essa non ha fatto venir meno la natura intrinsecamente aleatoria e irripetibile della risorsa stessa, natura che trova una conferma nella specifica forma di accertamento per essa prevista dei Principi contabili del 2004 (accertamento effettuato sulla base degli introiti effettivi); pertanto tale risorsa, anche nel sistema derivante dall’entrata in vigore del d.P.R. n. 380 del 2001, non avrebbe comunque potuto essere destinata a finanziare spese correnti consolidate e ripetibili, come ripetutamente rilevato anche da questa Sezione (v. fra le ultime, sul punto, le deliberazioni nn. 382/2015/PRSE; 360/2015/PRSE; 160/2015/PRSE; 155/2015/PRSE; 152/2015/PRSE).
5.– Sul punto il legislatore è successivamente intervenuto più volte ed ha delineato un complessivo orientamento, composto dal susseguirsi di disposizioni aventi un’efficacia temporalmente limitata, che deve essere in questa sede attentamente valutato:
   a) già con l’art. 1, comma 43, della legge n. 311 del 2004, il legislatore ha infatti ritenuto opportuno reintrodurre limiti all’utilizzo dei proventi delle concessioni edilizie per il finanziamento delle spese correnti, stabilendo che “(i) proventi delle concessioni edilizie e delle sanzioni previste dal testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 06.06.2001, n. 380, possono essere destinati al finanziamento delle spese correnti entro il limite del 75 per cento per l’anno 2005 e del 50 per cento per il 2006”;
   b) con l’art. 1, comma 713, della legge n. 296 del 2006 ha poi stabilito che dette entrate, per l'anno 2007, potessero essere utilizzate per una quota non superiore al 50 per cento per il finanziamento di spese correnti e per una quota non superiore ad un ulteriore 25 per cento esclusivamente per spese di manutenzione ordinaria del patrimonio comunale;
   c) con l’art. 2, comma 8, della legge n. 244 del 2007
ha infine disposto che detti proventi, per gli anni 2008, 2009 e 2010, potessero essere utilizzati per una quota non superiore al 50 per cento per il finanziamento di spese correnti e per una quota non superiore ad un ulteriore 25 per cento esclusivamente per spese di manutenzione ordinaria del verde, delle strade e del patrimonio comunale;
   d) l’efficacia di tale ultima disposizione è stata successivamente estesa agli anni 2011 e 2012 dal comma 41 dell'art. 2 del decreto legge n. 225 del 2010, convertito con modificazioni dalla legge n. 10 del 2011; agli anni 2013 e 2014 dal comma 4-ter dell’art. 10 del decreto legge n. 35 del 2013, convertito con modificazioni dalla legge n. 64 del 2013, ed in ultimo a tutto il 2015 dal comma 536 dell'art. 1 della legge n. 190 del 2014.
Al contempo, il comma 3 dell’art. 4 della legge n. 10 del 2013 –con una previsione entrata in vigore il 16.02.2013 e tuttavia già abrogata a far data dal 01.01.2015 ad opera dell’art. 77, comma 1, lett. g), del decreto legislativo n. 118 del 2011, come modificato dal decreto legislativo n. 126 del 2014– ha stabilito, con una disposizione d’indole generale, che “
(l)e maggiori entrate derivanti dai contributi per il rilascio dei permessi di costruire e dalle sanzioni previste dal testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 06.06.2001, n. 380, sono destinate alla realizzazione di opere pubbliche di urbanizzazione, di recupero urbanistico e di manutenzione del patrimonio comunale in misura non inferiore al 50 per cento del totale annuo”.
Tale ultima disposizione, sia pure già espressamente abrogata ad opera del legislatore, è stata fatta oggetto d’interpretazione da parte delle Sezioni regionali di controllo di questa Corte (v. in particolar modo Sezione controllo Piemonte, deliberazione n. 168/2013/PAR).
In quella sede s’è chiarito che,
in assenza di una proroga delle disposizioni prima richiamate (facoltizzanti l’impiego di detti proventi per la parziale copertura della spesa corrente), si sarebbe necessariamente determinata l’impossibilità di procedure ad un’imputazione siffatta: infatti l’obbligo di destinare i proventi a sole spese di investimento sarebbe derivato direttamente dall’art. 162, comma 6, del T.U.E.L., nel testo all’epoca vigente, e dall’art. 9, comma 1, lett. b), dalla legge n. 243 del 2012, il quale stabilisce l’obbligo di perseguire un equilibrio di bilancio inteso non solo come saldo non negativo, in termini di competenza e di cassa, tra le entrate finali e le spese finali, ma anche quale saldo non negativo, sempre in termini di competenza e di cassa, tra le entrate correnti e le spese correnti, incluse le quote di capitale delle rate di ammortamento dei prestiti.
Ne conseguiva che
il richiamato comma 3 dell’art. 4 della legge n. 10 del 2013 veniva qualificato in definitiva come una previsione vincolante una quota dei proventi in parola a “determinate spese correlate al tipo di entrata, ma pur sempre nell’ambito di una destinazione complessiva a spese di investimento; in quest’ottica ne conseguiva ulteriormente, secondo quanto affermato dalla Sezione regionale, che il riferimento a spese di “manutenzione del patrimonio comunale, in quella previsione contenuto, dovesse essere comunque interpretato nel senso di riferirsi, per avere interventi effettivamente così finanziabili, ad opere “di manutenzione straordinaria del patrimonio”.
Tale ultima interpretazione –successivamente, come s’è detto, privata di base legale in virtù dell’abrogazione del richiamato comma 3 dell’art. 4– è comunque indice –unitamente al predetto orientamento legislativo, letto a contrario– di un’evoluzione del quadro normativo nel senso del progressivo riconoscimento, ai proventi collegati all’assentimento dell’attività edificatoria, della natura di entrata di parte capitale.
6.- Tuttavia
tale complessiva qualificazione, valida nel suo significato generale, deve essere declinata in maniera più analitica, a parere di questa Sezione, a seconda delle diverse componenti in cui concretamente si articola l’entrata derivante dal rilascio dei permessi di costruire, componenti mantenute distinte, come si vedrà, anche dal principio 3.11. dell’Allegato 4/2 al decreto legislativo n. 118 del 2011.
In effetti, secondo quanto già affermato da questa Corte (v. Sezione regionale di controllo per il Veneto, deliberazione n. 219/2015/PAR) –peraltro sulla scorta anche dell’ampia giurisprudenza amministrativa resa in materia (v. in generale TAR Lombardia, Brescia, sez. I, 03.05.2014, n. 464; Consiglio di Stato, Sez. IV, 20.12.2013, n. 6160; TAR Lombardia, Brescia, sez. II, 25.03.2011, n. 469; Consiglio di Stato, sez. V, 23.01.2006, n. 159)– va specificamente rilevato che il contributo collegato all’assentimento dell’attività edilizia si compone invero di due distinti elementi:
  
uno, di natura contributiva, afferente alle spese per l’urbanizzazione del territorio, e che costituisce pertanto una modalità di concorso del privato agli “oneri sociali” derivanti dall’incremento del carico urbanistico;
  
l’altro, di natura impositiva, conseguente invece all’aumento della capacità contributiva del titolare dell’opera, in ragione dell’incremento, in virtù dell’assentimento dell’attività edilizia, del patrimonio immobiliare detenuto da quest’ultimo soggetto; mentre il contributo sul costo di costruzione consiste in una prestazione patrimoniale ascrivibile alla categoria dei tributi locali, in quanto il prelievo non si basa, come nel caso degli oneri di urbanizzazione, sui costi collettivi derivanti dall’insediamento di un nuovo edificio, ma sull’incremento di ricchezza immobiliare determinato dall’intervento edilizio stesso, gli oneri propriamente di urbanizzazione sono invece ascrivibili alla categoria dei “corrispettivi di diritto pubblico” e sono, conseguentemente, dovuti in ragione dell’obbligo del privato di partecipare ai costi delle opere di trasformazione del territorio di cui in definitiva si giova.
Come s’è detto, tale natura “corrispettiva” emerge con evidenza da più indici normativi, sia derivanti dalla possibilità di scomputare le opere pubbliche realizzate dal privato dagli oneri dovuti, sia connessi alla possibilità di escludere specifiche attività edilizie, in determinate ipotesi, dal versamento dal contributo sul costo di costruzione, ma non dal versamento degli oneri di urbanizzazione (v. le ipotesi contemplate dagli artt. 17 e 18, da un lato, e dall’art. 19, dall’altro, del d.P.R. n. 380 del 2001; cfr. altresì l’art. 43, comma 2-ter, della legge della Regione Lombardia n. 12 del 2005).
Quanto alla corretta allocazione in bilancio e utilizzazione delle entrate derivanti dal rilascio dei permessi di costruire, in generale e sul presupposto dell’assenza di specifiche normative applicabili, non può dunque che muoversi dal riconoscimento di tale natura duale dell’entrata, peraltro affermata, nell’àmbito dell’armonizzazione, anche dal principio 3.11. dell’Allegato 4/2 al decreto legislativo n. 118 del 2011, come modificato dal decreto legislativo n. 126 del 2014, il quale correttamente evidenzia che “(l)'obbligazione per i permessi di costruire è articolata in due quote”:
(l)a prima (oneri di urbanizzazione) è immediatamente esigibile, ed è collegata al rilascio del permesso al soggetto richiedente, salva la possibilità di rateizzazione (eventualmente garantita da fidejussione),
la seconda (costo di costruzione) è esigibile nel corso dell'opera ed, in ogni caso, entro 60 giorni dalla conclusione dell'opera” medesima, con le relative conseguenze in tema d’accertamento ed imputazione (infatti “la prima quota è accertata e imputata nell'esercizio in cui avviene il rilascio del permesso, la seconda è accertata a seguito della comunicazione di avvio lavori e imputata all'esercizio in cui, in ragione delle modalità stabilite dall'ente, viene a scadenza la relativa quota”; cfr. al riguardo anche gli artt. 38, comma 7-bis, e 43 ss. della legge della Regione Lombardia n. 12 del 2005).
Alla luce di tale considerazione, sempre in generale e sul presupposto dell’assenza di specifiche normative applicabili (cioè nell’ottica in cui è stata emessa la richiesta di parere),
si deve conseguentemente rilevare che le entrate connesse al versamento degli oneri di urbanizzazione hanno necessariamente natura di entrate di parte capitale, derivando in definitiva dal “consumo” del suolo, cioè dall’irreversibile (almeno in linea tendenziale) impiego di un bene pubblico, ed essendo intrinsecamente destinate alla realizzazione di opere, volte al razionale e salubre impiego dello stesso, destinate comunque ad incrementare il “patrimonio immobiliare” dell’ente, sub specie di realizzazione (diretta o indiretta) di beni rientranti nelle categorie, a seconda delle evenienze, del demanio (ad es. strade, piazze, acquedotti, v. gli artt. 822, secondo comma, e 824 c.c.), o del patrimonio indisponibile (v. al riguardo l’art. 826, terzo comma, c.c.).
In tali ipotesi infatti si verte nell’ambito di entrate naturalmente destinate all’incremento dei beni annoverabili nel “patrimonio” latamente inteso dell’ente e che, come tali, devono essere rappresentate nel bilancio; in particolare la naturale allocazione di tali entrate è dunque tra le risorse di parte capitale, ordinariamente utilizzabili solo per spese di investimento, salvo le eccezioni di legge (art. 162, comma 6, del T.U.E.L.; v. per la nozione d’investimento l’art. 3, comma 18, della legge n. 350 del 2003).
Quanto invece alle entrate connesse al versamento dei contributi sul costo di costruzione, la natura tributaria delle stesse le fa invece necessariamente riconfluire, come già rilevato da questa Sezione nella deliberazione n. 1/pareri/2014, nel totale delle entrate che, come tali, in virtù del principio dell’unità di bilancio (art. 162, comma 2, del T.U.E.L.), finiscono coll’esser destinate a finanziare il totale delle spese, con l’ulteriore conseguenza della riallocazione di queste risorse tra quelle che contribuiscono complessivamente a determinare gli equilibri di bilancio ex art. 193, comma 3, del T.U.E.L.
La diversa modalità d’accertamento e d’imputazione delle due “quote dell’entrata induce a ritenere che non vi sia invero rischio di commistione fra le stesse (v. ancora il principio 3.11. dell’Allegato 4/2 al decreto legislativo n. 118 del 2011, come modificato dal decreto legislativo n. 126 del 2014).
Discorso analogo –sempre sui medesimi presupposti prima indicati– deve essere fatto anche per le entrate connesse alle sanzioni in materia edilizia, stante la natura intrinsecamente “accessoria” delle stesse rispetto alla disciplina sostanziale la cui violazione risulta tramite esse sanzionata (arg. ex Corte costituzionale, sentenze nn. 350 e 365 del 1991; 307 e 362 del 2003): da un’attenta ricostruzione del dato normativo s’evince infatti come alcune di tali sanzioni si ricollegano alla realizzazione di opere di “straordinaria amministrazione”, di modo che seguono la propria intrinseca natura di entrate latamente di parte capitale (cfr. ad es. gli artt. 31, comma 4-ter, e 33, comma 6, del d.P.R. n. 380 del 2001), mentre altre svolgono funzioni diverse, di deterrenza o di oblazione (v. gli artt. 33, comma 2; 34, comma 2; 36, comma 2; 37, commi 1, 2, 3, 4 e 5; 38, comma 1 del d.P.R. n. 380 del 2001), che necessariamente le avvicinano a quel fenomeno impositivo/tributario che genera entrate destinate a coprire, per il principio dell’unità del bilancio, la generalità delle spese.
7.- Peraltro, la recente legge n. 208 del 2015, entrata in vigore il giorno 01.01.2016, è intervenuta in materia, stabilendo che "
(p)er gli anni 2016 e 2017, i proventi delle concessioni edilizie e delle sanzioni previste dal testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 06.06.2001, n. 380, fatta eccezione per le sanzioni di cui all'articolo 31, comma 4-bis, del medesimo testo unico” –le quali, per espressa previsione del successivo comma 4-ter, spettano al comune e sono destinate esclusivamente alla demolizione ed alla rimessione in pristino delle opere abusive, nonché all'acquisizione ed all'attrezzatura di aree destinate a verde pubblico–, “possono essere utilizzati per una quota pari al 100 per cento per spese di manutenzione ordinaria del verde, delle strade e del patrimonio comunale, nonché per spese di progettazione delle opere pubbliche” (art. 1, comma 737).
Tale disposizione contiene una specifica previsione facoltizzante, circa la destinazione dell’entrata, di cui l’ente, nella propria autonomia, potrà dunque avvalersi negli anni 2016 e 2017 e viene a configurare un’espressa disciplina, parzialmente derogatoria rispetto al regime ordinario d’imputazione di detti proventi, che tuttavia conferma a contrario, sotto il profilo concettuale, la tendenziale annoverabilità degli stessi, quantomeno pro parte, fra quelli di parte capitale (tanto che per destinare integralmente tali entrate a spese di parte corrente il legislatore ha ritenuto necessario dettare una disposizione ad hoc).
8.- Spetta al Comune di Cernusco sul Naviglio, sulla base dei principi espressi dalla giurisprudenza contabile, oltre che da questo stesso parere, valutare la fattispecie concreta al fine di addivenire, nel caso di specie, al migliore esercizio possibile del proprio potere di autodeterminazione in riferimento alla corretta copertura della spesa, nel rispetto del quadro legislativo ratione temporis di volta in volta applicabile, anche in considerazione della natura propria dello specifico intervento concretamente realizzato (Corte dei Conti, Sez. controllo Lombardia, parere 09.02.2016 n. 38).

dicembre 2015

EDILIZIA PRIVATA: OGGETTO: Oneri di urbanizzazione secondaria – destinazione della quota spettante alle chiese ed altri edifici per servizi religiosi - Parere (Regione Emilia Romagna, parere 04.12.2015 n. 862614 di prot.).

novembre 2015

EDILIZIA PRIVATA: Gli oneri di urbanizzazione sono dovuti dall’intestatario della concessione o da colui al quale essa è volturata e relativi eredi, ovvero da chi esegue le opere di trasformazione urbana, ma non anche dall’acquirente dell’immobile.
Ai sensi dell'art. 16, d.P.R. 06.06.2001 n. 380, il contributo afferente al permesso di costruire, commisurato all'incidenza degli oneri di urbanizzazione nonché al costo di costruzione, è determinato e liquidato all'atto del rilascio del titolo edilizio.
Il contributo per oneri di urbanizzazione è, in particolare, un corrispettivo di diritto pubblico, di natura non tributaria, posto a carico del concessionario a titolo di partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione e in proporzione all'insieme dei benefici che la nuova costruzione ne ritrae, senza alcun vincolo di scopo in relazione alla zona interessata alla trasformazione urbanistica e indipendentemente dalla concreta utilità che il concessionario può conseguire dal titolo edificatorio e dall'ammontare delle spese effettivamente occorrenti per la realizzazione delle opere stesse; fatto costitutivo di detta obbligazione è il rilascio del permesso di costruire ed è a tale momento che occorre aver riguardo per la determinazione dell'entità del contributo.
Il contributo di urbanizzazione è invece commisurato al costo delle opere di urbanizzazione da realizzarsi concretamente nella zona, e differisce dal contributo da pagare all'atto del rilascio della concessione di costruzione, che ha natura contributiva, rappresentando un corrispettivo delle spese che la collettività si addossa per il conferimento al privato della facoltà di edificazione e dei vantaggi che il concessionario ottiene per effetto della trasformazione; trattandosi di due istituti diversi ne derivano oneri diversi, l'uno relativo al costo sostenuto per rendere urbanizzata ed edificabile la singola area, l'altro relativo ad un contributo, di carattere tributario, volto alla realizzazione del generale assetto urbanistico del territorio comunale.
Secondo una ricostruzione diffusa in sede giurisprudenziale trattasi, per entrambi gli oneri, di obbligazioni reali, dotate, in quanto tali, di ambulatorietà passiva. Si afferma, infatti, che il presupposto di esigibilità dell'onere relativo al costo di costruzione non risiede solo nella materiale esecuzione delle opere ma anche nella concreta fruizione del titolo e comunque le obbligazioni per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione vanno trattate alla stregua di oneri reali, ovvero di obbligazioni propter rem che circolano con il bene cui accedono, sicché nel caso di trasferimento del bene, esse gravano sull'acquirente.
Tale orientamento è stato propugnato anche in seconde cure, nel senso quindi che trattasi in sostanza di obbligazioni connotate dall'inerenza alla cosa, anziché alla persona cui è rilasciato il permesso di costruire, sicché tutti coloro che partecipano alla costruzione e la utilizzano sono solidalmente obbligati verso il Comune al pagamento degli oneri in questione.
Ritiene il Collegio, tuttavia, di aderire al diverso orientamento giurisprudenziale, secondo cui è più coerente con il complessivo assetto della normativa oltre che intrinsecamente più razionale affermarsi che gli oneri di urbanizzazione sono dovuti dall’intestatario della concessione o da colui al quale essa è volturata e relativi eredi, ovvero da chi esegue le opere di trasformazione urbana, ma non anche dall’acquirente dell’immobile.
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... per l'annullamento:
1) ordinanza ingiunzione prot. 42850 del 22.06.2015, dell’importo rispettivamente di € 88.196,08, per omesso e/o ritardato pagamento del costo di costruzione relativo al permesso di costruire nr. 07/2007 rilasciato in favore del sig. Ca.Gi. e poi volturato in favore dei signori Mo.An.Ma. e Za.Gi. ed il permesso di costruire in sanatoria nr. 139/2009;
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Con ricorso notificato il 18.09.2015 e ritualmente depositato il 14 ottobre successivo, la sig.ra Im.Sc. ha impugnato l’ordinanza, meglio distinta in epigrafe, con la quale il Comune di Battipaglia le ingiungeva il pagamento di € 88.196,08, per omesso e/o ritardato versamento del costo di costruzione relativo al permesso di costruire nr. 07/2007 rilasciato in favore del sig. Ca.Gi. e poi volturato in favore dei signori Mo.An.Ma. e Za.Gi. ed il permesso di costruire in sanatoria nr. 139/2009. Avverso tale atto l’istante ha dedotto i seguenti vizi:
1) violazione e falsa applicazione artt. 7 e 8 L. n. 241/1990 e dell’art. 16 del T.U. edilizia. Violazione del principio del contraddittorio;
2) violazione art. 3 L. 07.08.1990 n. 241. Eccesso di potere per travisamento dei fatti e falso presupposto; per difetto di istruttoria per carenza assoluta di motivazione.
In particolare, la ricorrente ha rilevato che, essendo acquirente a titolo particolare mercé rogito notarile del 16/07/2010) di un appartamento posto all’interno del fabbricato già realizzato, la pretesa del Comune, peraltro mai precedentemente avanzata nei suoi riguardi, sarebbe infondata, in quanto non sarebbe soggetto obbligato al pagamento degli oneri di urbanizzazione dovuti al momento del rilascio della concessione edilizia.
Il Comune di Battipaglia, ancorché ritualmente intimato, non si è costituito in giudizio.
All’odierna camera di consiglio del 05.11.2015, il ricorso, è stato trattenuto in decisione semplificata, rese edotte le parti, sussistendone i presupposti di legge.
Il ricorso è fondato.
L’impugnato provvedimento postula la responsabilità solidale della ricorrente, quale attuale proprietaria di uno dei cespiti realizzati in virtù dei titoli edilizi su menzionati, al pagamento dei relativi oneri di urbanizzazione e costo di costruzione.
Occorre premettere che, ai sensi dell'art. 16, d.P.R. 06.06.2001 n. 380, il contributo afferente al permesso di costruire, commisurato all'incidenza degli oneri di urbanizzazione nonché al costo di costruzione, è determinato e liquidato all'atto del rilascio del titolo edilizio (Consiglio di Stato, sez. IV, 19.03.2015, n. 1504).
Il contributo per oneri di urbanizzazione è, in particolare, un corrispettivo di diritto pubblico, di natura non tributaria, posto a carico del concessionario a titolo di partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione e in proporzione all'insieme dei benefici che la nuova costruzione ne ritrae, senza alcun vincolo di scopo in relazione alla zona interessata alla trasformazione urbanistica e indipendentemente dalla concreta utilità che il concessionario può conseguire dal titolo edificatorio e dall'ammontare delle spese effettivamente occorrenti per la realizzazione delle opere stesse; fatto costitutivo di detta obbligazione è il rilascio del permesso di costruire ed è a tale momento che occorre aver riguardo per la determinazione dell'entità del contributo (Consiglio di Stato, sez. V, 30.04.2014, n. 2261).
Il contributo di urbanizzazione è invece commisurato al costo delle opere di urbanizzazione da realizzarsi concretamente nella zona, e differisce dal contributo da pagare all'atto del rilascio della concessione di costruzione, che ha natura contributiva, rappresentando un corrispettivo delle spese che la collettività si addossa per il conferimento al privato della facoltà di edificazione e dei vantaggi che il concessionario ottiene per effetto della trasformazione; trattandosi di due istituti diversi ne derivano oneri diversi, l'uno relativo al costo sostenuto per rendere urbanizzata ed edificabile la singola area, l'altro relativo ad un contributo, di carattere tributario, volto alla realizzazione del generale assetto urbanistico del territorio comunale (Consiglio di Stato, sez. IV, 15.09.2014, n. 4685).
Secondo una ricostruzione diffusa in sede giurisprudenziale trattasi, per entrambi gli oneri, di obbligazioni reali, dotate, in quanto tali, di ambulatorietà passiva. Si afferma, infatti, che il presupposto di esigibilità dell'onere relativo al costo di costruzione non risiede solo nella materiale esecuzione delle opere ma anche nella concreta fruizione del titolo e comunque le obbligazioni per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione vanno trattate alla stregua di oneri reali, ovvero di obbligazioni propter rem che circolano con il bene cui accedono, sicché nel caso di trasferimento del bene, esse gravano sull'acquirente (TAR Napoli, sez. VIII, 16.04.2014, n. 2170).
Tale orientamento è stato propugnato anche in seconde cure, nel senso quindi che trattasi in sostanza di obbligazioni connotate dall'inerenza alla cosa, anziché alla persona cui è rilasciato il permesso di costruire, sicché tutti coloro che partecipano alla costruzione e la utilizzano sono solidalmente obbligati verso il Comune al pagamento degli oneri in questione (Cons. Stato, sez. V, n. 6333, del 12.07.2011).
Ritiene il Collegio, tuttavia, di aderire al diverso orientamento giurisprudenziale, secondo cui è più coerente con il complessivo assetto della normativa oltre che intrinsecamente più razionale affermarsi che gli oneri di urbanizzazione sono dovuti dall’intestatario della concessione o da colui al quale essa è volturata e relativi eredi, ovvero da chi esegue le opere di trasformazione urbana, ma non anche dall’acquirente dell’immobile (TAR Napoli, Sez. III, 12.04.2007/18.07.2007, n. 6793).
Il ricorso va conclusivamente accolto, ritenuta assorbita ogni altra censura, di guisa che dell’atto impugnato, nei limiti di interesse, occorre disporre l’annullamento (TAR Campania-Salerno, Sez. I, sentenza 19.11.2015 n. 2453 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ottobre 2015

EDILIZIA PRIVATAOneri di urbanizzazione: quando sono dovuti gli oneri da impatto acustico?
Per il Consiglio di Stato gli oneri da impatto acustico sono dovuti solo qualora l’intervento assentito non sia compatibile con la regolamentazione predisposta in materia.

Mentre con riferimento agli oneri di urbanizzazione “è pacifica la relazione con l’aggravio del carico urbanistico e con la necessità di predisporre i servizi utili all’effettivo utilizzo di un determinato immobile da edificare”, gli oneri aggiuntivi da impatto acustico “sono dovuti soltanto nel caso in cui l’intervento assentito non sia compatibile con la regolamentazione predisposta in materia”.
Lo ha precisato il Consiglio di Stato, IV Sez., con la sentenza 29.10.2015 n. 4950.
IL CASO. Nel caso esaminato dal Collegio, all’esito del procedimento istruttorio inerente alla realizzazione del nuovo edificio, l’Amministrazione ha chiesto il pagamento dell’importo di 26.620 euro a compensazione delle spese da sostenere per gli interventi di mitigazione acustica resi necessari dalla nuova edificazione.
A ben vedere –osserva Palazzo Spada- non c’è correlazione con la destinazione finale del fabbricato e, cioè, con l’aggravio o meno del relativo carico urbanistico: ciò che interessa è che la titolare del titolo edilizio corrisponda il quantum necessario al Comune per intervenire sull’infrastruttura stradale in modo da consentire il rispetto dei vincoli acustici imposti dalle normative di settore”.
La corresponsione degli oneri da impatto acustico costituisce la modalità di reperimento delle risorse necessarie all’Amministrazione per poter procedere all’intervento sulla rete viaria (commento tratto da www.casaeclima.com).

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MASSIMA
... per la riforma della sentenza del TAR Piemonte-Torino: Sezione II n. 2033/2014, resa tra le parti, concernente accertamento della non debenza degli oneri di urbanizzazione
...
4. Con il terzo motivo di appello, il Comune di Torino ritiene erronea la sentenza del TAR nella parte in cui ha equiparato gli oneri di urbanizzazione agli oneri aggiuntivi da impatto acustico, affermandone la non debenza da parte della sig.ra Cu..
Nello specifico, parte appellante non considera sussistente, diversamente da quanto affermato dal giudice di primo grado, il nesso fra l’aggravio del carico urbanistico e gli oneri relativi all’impatto acustico dell’intervento: questi ultimi esulerebbero dalla preesistenza o meno di edifici in un determinato ambito interessato da un intervento edilizio e, quindi, un maggiore o minore carico urbanistico non dovrebbe determinare il versamento o meno degli oneri in questione.
Inoltre, in seguito al confronto avvenuto con la proprietaria dell’immobile in sede istruttoria, il Comune aveva evidenziato che l’unica modalità di riduzione dell’impatto acustico, al di sotto dei limiti consentiti dalla regolazione, avrebbe imposto all’Amministrazione di intervenire sulla rete viaria: dunque, gli oneri aggiuntivi di cui trattasi avrebbero una differente ratio rispetto agli oneri di urbanizzazione.
4.1 Il motivo è fondato e va accolto.
Il Collegio ritiene di condividere le prospettazioni di parte appellante relative al versamento degli oneri da impatto acustico, in quanto, la loro corresponsione costituisce la modalità di reperimento delle risorse necessarie all’Amministrazione per poter procedere all’intervento sulla rete viaria.
Il giudice di primo grado, in effetti, equiparando gli oneri di urbanizzazione agli oneri aggiuntivi da impatto acustico, ha ritenuto che la loro giustificazione si potesse riscontrare nell’incremento del carico urbanistico.
In realtà,
mentre, con riferimento ai primi, è pacifica la relazione con l’aggravio del carico urbanistico e con la necessità di predisporre i servizi utili all’effettivo utilizzo di un determinato immobile da edificare, i secondi sono dovuti soltanto nel caso in cui l’intervento assentito non sia compatibile con la regolamentazione predisposta in materia.
Nel caso di specie, infatti, all’esito del procedimento istruttorio inerente alla realizzazione del nuovo edificio, l’Amministrazione, in conformità alle disposizioni contenute nella l.reg. n. 52 del 2000 e nel regolamento comunale n. 318 del 2006, ha chiesto il pagamento dell’importo di euro 26.620,00 a compensazione delle spese da sostenere per gli interventi di mitigazione acustica resi necessari dalla nuova edificazione.
A ben vedere, dunque, non c’è correlazione con la destinazione finale del fabbricato e, cioè, con l’aggravio o meno del relativo carico urbanistico:
ciò che interessa è che la titolare del titolo edilizio corrisponda il quantum necessario al Comune per intervenire sull’infrastruttura stradale in modo da consentire il rispetto dei vincoli acustici imposti dalle normative di settore.
5. Alla luce delle suesposte argomentazioni, l’appello, parzialmente fondato, va accolto in parte e, conseguentemente, la sentenza impugnata va riformata nei sensi e nei limiti di cui in motivazione (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 29.10.2015 n. 4950 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Le controversie sulla debenza o meno del contributo per il rilascio di una concessione edilizia e sul suo ammontare, devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo dall’art. 16 l. 28.01.1977 n. 10, riguardando diritti soggettivi, non sottostanno ai termini decadenziali propri dei giudizi impugnatori e possono essere attivate nei normali termini di prescrizione”.
La giurisdizione esclusiva è stata confermata anche in seguito all’introduzione del c.p.a. che all’art. 133, lett. f), devolve al Giudice Amministrativo “le controversie aventi ad oggetto gli atti ed i provvedimenti delle pubbliche amministrazioni in materia urbanistica ed edilizia”.
La qualificazione delle situazioni giuridiche coinvolte in termini di diritto soggettivo, derivano dalla circostanza secondo cui, in caso di contestazione circa la quantificazione o la debenza degli oneri connessi al permesso di costruire, ci si limita a censurare la misura del contributo imposto, non l’esercizio del potere al rilascio del titolo edilizio.
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Il contributo per oneri di urbanizzazione è un corrispettivo di diritto pubblico, di natura non tributaria, posto a carico del costruttore a titolo di partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione in proporzione all’insieme dei benefici che la nuova costruzione ne ritrae
”.
In effetti,
gli oneri di urbanizzazione sono dovuti se ed in quanto l’intervento edilizio comporti un incremento della domanda di servizi nella zona coinvolta dalla costruzione: le opere di urbanizzazione, distinte in primarie e secondarie, si caratterizzano per essere necessarie, rispettivamente, all’utilizzo degli edifici e alla vita di relazione degli abitanti di un territorio.
Ciò posto,
se rispetto ad una zona circoscritta sono già state sostenute le spese necessarie a fornire i suddetti servizi ai cittadini ivi residenti, un intervento edilizio che non implichi un maggior carico urbanistico nella medesima zona, non può determinare la necessità di una nuova spesa per fornire i medesimi servizi già predisposti: diversamente ragionando, si giungerebbe ad affermare la duplicazione di costi a fronte dell’unicità dei servizi. All’opposto, se l’intervento edilizio assentito imponesse un incremento del carico urbanistico nella zona interessata, gli oneri di urbanizzazione dovrebbero essere versati in vista della predisposizione degli strumenti idonei a far fronte ad un incremento di dette esigenze urbanistiche.
In sostanza,
gli oneri di urbanizzazione si caratterizzano per avere natura compensativa rispetto alle spese di cui l’amministrazione si fa carico per rendere accessibile e pienamente utilizzabile un nuovo o rinnovato edificio, purché vi sia una nuova destinazione, dato che non può essere chiesto due volte il pagamento per gli stessi interventi di sistemazione e adeguamento del contesto urbanistico.
Sul punto, il Collegio condivide il costante orientamento giurisprudenziale secondo cui “
in caso di ristrutturazione edilizia, il pagamento degli oneri di urbanizzazione è dovuto solo nel caso in cui l’intervento abbia determinato un aumento del carico urbanistico”.
Da ultimo, il Collegio non ritiene rilevante l’affermazione di parte appellante circa il mancato versamento degli oneri di urbanizzazione al momento dell’originaria costruzione dell’edificio di proprietà della sig.ra Cu.. In effetti,
l’indagine relativa all’incremento del carico urbanistico di un determinato insediamento non può coinvolgere anche il regime contributivo riferibile all’edificio originario.

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... per la riforma della sentenza del TAR Piemonte-Torino: Sezione II n. 2033/2014, resa tra le parti, concernente accertamento della non debenza degli oneri di urbanizzazione
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1. L’oggetto del presente giudizio afferisce alla verifica circa la sussistenza dell’obbligo di versamento degli oneri di urbanizzazione, da parte del privato, in presenza di un intervento di sostituzione edilizia che non determini un incremento del carico urbanistico preesistente.
2. Preliminarmente va esaminata l’eccezione, respinta in primo grado e riproposta in sede di impugnazione, con cui l’Amministrazione appellante afferma l’inammissibilità del ricorso di primo grado: secondo il Comune, infatti, l’intervento assentito rientrerebbe nell’ambito della disciplina prevista dall’art. 3 D.P.R. n. 380/2001 per le nuove costruzioni e, di conseguenza, sarebbe soggetto alla normativa sul contributo di urbanizzazione.
Tale premessa avrebbe dovuto condurre all’individuazione del nesso sussistente fra la normativa regionale in tema di oneri di urbanizzazione (D.C.R. n. 179 C.R. 4170 in data 26.05.1977) ed il permesso di costruire rilasciato in favore della sig.ra Cu., al fine di affermare la necessità di previa impugnazione, entro i termini, del permesso di costruire, in presenza di contestazioni relative all’ammontare degli oneri di urbanizzazione.
Per altro verso, con riferimento all’ammontare degli oneri aggiuntivi per l’impatto acustico, parte appellante afferma che è mancata, in primo grado, la pregiudiziale impugnazione del provvedimento di compatibilità acustica nel quale sono stati quantificati i relativi oneri.
2.1 Il motivo è infondato e va respinto.
Sul punto, il Collegio ritiene di condividere le argomentazioni proposte dal giudice di prime cure, che evidenzia l’illogicità dell’iter processuale ipotizzato dall’Amministrazione appellante: in effetti non pare ragionevole sostenere “che parte ricorrente avrebbe dovuto impugnare provvedimenti a sé favorevoli [...] solo perché essi hanno costituito la necessaria occasione per la determinazione degli oneri”. In effetti il contenzioso introdotto con il ricorso della sig.ra Cu. inerisce all’an ed al quantum debeatur a titolo di oneri di urbanizzazione ed oneri aggiuntivi, non, invece, all’ammissibilità del progetto proposto dall’odierna appellata.
Sul punto, inoltre, la giurisprudenza di questo Consiglio ha già avuto modo di precisare che “
le controversie sulla debenza o meno del contributo per il rilascio di una concessione edilizia e sul suo ammontare, devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo dall’art. 16 l. 28.01.1977 n. 10, riguardando diritti soggettivi, non sottostanno ai termini decadenziali propri dei giudizi impugnatori e possono essere attivate nei normali termini di prescrizione” (cfr. Cons. di Stato, Sez. V, 06.12.1999 n. 2056; id. 15.02.2001, n. 790).
La giurisdizione esclusiva è stata confermata anche in seguito all’introduzione del c.p.a. che all’art. 133, lett. f), devolve al Giudice Amministrativo “le controversie aventi ad oggetto gli atti ed i provvedimenti delle pubbliche amministrazioni in materia urbanistica ed edilizia”. La qualificazione delle situazioni giuridiche coinvolte in termini di diritto soggettivo, derivano dalla circostanza secondo cui, in caso di contestazione circa la quantificazione o la debenza degli oneri connessi al permesso di costruire, ci si limita a censurare la misura del contributo imposto, non l’esercizio del potere al rilascio del titolo edilizio.
Non può affermarsi, dunque, con riferimento al presente giudizio, il suo carattere impugnatorio e, correlativamente, non troveranno ingresso le disposizioni processuali inerenti ai termini di decadenza, poiché la domanda giudiziale è soggetta al solo termine di prescrizione.
3. Con il secondo motivo di appello l’Amministrazione comunale afferma l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui sostiene l’inammissibilità di oneri di urbanizzazione in presenza di un intervento edilizio che diminuisca il carico urbanistico.
In particolare, nel caso di specie, nonostante l’intervento assentito non determini un incremento di S.L.P. complessiva e non modifichi la destinazione d’uso preesistente, si sarebbe in presenza di una creazione di un organismo edilizio del tutto nuovo per sagoma, numero di piani, distribuzione interna, posizionamento e realizzazione di piani interrati.
Inoltre, l’assoggettamento dell’intervento al rilascio del permesso di costruire e la sua ascrivibilità nel novero delle “nuove costruzioni”, condurrebbero ad assoggettare l’immobile agli oneri di urbanizzazione. Per altro verso, tali oneri non potrebbero dirsi nemmeno già scontati da quelli sopportati all’origine, stante la vetustà del fabbricato che esclude ex se l’avvenuto versamento degli oneri concessori, la cui disciplina risale alla l. n. 10 del 1977.
3.1 Il motivo è infondato e va respinto.
Sul punto il Collegio ritiene di condividere integralmente le argomentazioni fornite dal giudice di prime cure, secondo cui “
il contributo per oneri di urbanizzazione è un corrispettivo di diritto pubblico, di natura non tributaria, posto a carico del costruttore a titolo di partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione in proporzione all’insieme dei benefici che la nuova costruzione ne ritrae”.
In effetti,
gli oneri di urbanizzazione sono dovuti se ed in quanto l’intervento edilizio comporti un incremento della domanda di servizi nella zona coinvolta dalla costruzione: le opere di urbanizzazione, distinte in primarie e secondarie, si caratterizzano per essere necessarie, rispettivamente, all’utilizzo degli edifici e alla vita di relazione degli abitanti di un territorio.
Ciò posto,
se rispetto ad una zona circoscritta sono già state sostenute le spese necessarie a fornire i suddetti servizi ai cittadini ivi residenti, un intervento edilizio che non implichi un maggior carico urbanistico nella medesima zona, non può determinare la necessità di una nuova spesa per fornire i medesimi servizi già predisposti: diversamente ragionando, si giungerebbe ad affermare la duplicazione di costi a fronte dell’unicità dei servizi. All’opposto, se l’intervento edilizio assentito imponesse un incremento del carico urbanistico nella zona interessata, gli oneri di urbanizzazione dovrebbero essere versati in vista della predisposizione degli strumenti idonei a far fronte ad un incremento di dette esigenze urbanistiche.
In sostanza,
gli oneri di urbanizzazione si caratterizzano per avere natura compensativa rispetto alle spese di cui l’amministrazione si fa carico per rendere accessibile e pienamente utilizzabile un nuovo o rinnovato edificio, purché vi sia una nuova destinazione, dato che non può essere chiesto due volte il pagamento per gli stessi interventi di sistemazione e adeguamento del contesto urbanistico.
Sul punto, il Collegio condivide il costante orientamento giurisprudenziale secondo cui “
in caso di ristrutturazione edilizia, il pagamento degli oneri di urbanizzazione è dovuto solo nel caso in cui l’intervento abbia determinato un aumento del carico urbanistico” (Cons. di Stato, Sez. IV, 29.04.2004, n. 2611).
Da ultimo, il Collegio non ritiene rilevante l’affermazione di parte appellante circa il mancato versamento degli oneri di urbanizzazione al momento dell’originaria costruzione dell’edificio di proprietà della sig.ra Cu.. In effetti,
l’indagine relativa all’incremento del carico urbanistico di un determinato insediamento non può coinvolgere anche il regime contributivo riferibile all’edificio originario.
Gli elementi su indicati consentono, in definitiva, di condividere gli argomenti del giudice di prime cure e rigettare le censure sollevate sul punto dall’Amministrazione appellante (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 29.10.2015 n. 4950 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

settembre 2015

EDILIZIA PRIVATA: OGGETTO: Determinazione incidenza degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria. Art. 16, comma 4, lett. d-ter), DPR n. 380/2001 [lettera aggiunta dall'art. 17, comma 1, lett. g), legge 11.11.2014 n. 164 di conversione, con modificazioni, del d.l. 11.09.2014 n. 133] (Regione Lombardia - Area Affari Istituzionali - Presidenza, risposta e-mail del 23.09.2015).

luglio 2015

EDILIZIA PRIVATA: OGGETTO: Ristrutturazione edilizia fabbricato artigianale/industriale: modalità di calcolo oneri di urbanizzazione (Regione Lombardia - DC Legale, Controlli, Istituzionale, Prevenzione, Corruzione - Presidenza, risposta e-mail del 15.07.2015).

EDILIZIA PRIVATAOccorre premettere, quanto al riferimento temporale della disciplina applicabile in materia di an e quantum del contributo concessorio, che secondo consolidato orientamento di questo Consiglio di Stato il contributo di concessione va determinato con riferimento alla disciplina, legislativa e regolamentare, vigente al momento del rilascio del titolo edilizio, che segna il perfezionamento della fattispecie concessoria (o autorizzatoria, a seconda della tipologia di titolo edilizio).
L’orientamento, per un verso, è fondato sulle previsioni normative che correlano la determinazione e, in parte, anche la corresponsione del contributo di concessione (nelle sue varie componenti), all’atto di rilascio del titolo edilizio, e, per altro verso, è espressione del principio generale sancito dall’art. 11 disp. prel. cod. civ., secondo cui ciascun fatto genetico di effetti giuridici è sottoposto, salva diversa previsione normativa, alla legge del tempo in cui viene in essere (se, poi, gli effetti giuridici sono costituiti da un rapporto giuridico di durata, lo ius superveniens, a seconda delle varie ipotesi, potrà incidere anche sulla disciplina del rapporto).
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Alla qualificazione delle opere come intervento di ristrutturazione edilizia consegue che dal contributo per gli oneri di urbanizzazione deve essere scomputato l’importo imputabile al carico urbanistico generato dall’edificio preesistente.
In linea generale, giova al riguardo rimarcare che, mentre la quota del contributo di costruzione commisurata al costo di costruzione risulta ontologicamente connessa alla tipologia e all’entità (superficie e volumetria) dell’intervento edilizio e assolve alla funzione di permettere all’Amministrazione comunale il recupero delle spese sostenute dalla collettività di riferimento per la trasformazione del territorio consentita al privato istante (ossia, a compensare la c.d. compartecipazione comunale all’incremento di valore della proprietà immobiliare del costruttore, a seguito della nuova edificazione), la quota del contributo di costruzione commisurata agli oneri di urbanizzazione assolve alla prioritaria funzione di compensare la collettività per il nuovo ulteriore carico urbanistico che si riversa sulla zona, con la precisazione che per aumento del carico urbanistico deve intendersi tanto la necessità di dotare l’area di nuove opere di urbanizzazione, quanto l’esigenza di utilizzare più intensamente quelle già esistenti.
È, pertanto, pienamente condivisibile il principio, ripetutamente affermato dalla giurisprudenza amministrativa, secondo cui, qualora il progetto riguardi la ristrutturazione di un edificio esistente, il suo impatto è destinato ad incidere su una zona già urbanizzata, per cui la sua incidenza sarà data dalla consistenza del nuovo intervento, detratto l’impatto di quanto già esistente, con conseguente sussistenza del correlativo onere contributivo in ragione del solo incremento del carico urbanistico.

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6.1. Merita, in particolare, accoglimento il primo motivo di appello principale, di cui sopra sub § 2.a), con cui si deduce l’erronea esclusione del diritto allo scomputo del contributo per oneri di urbanizzazione assolto in relazione all’edificio preesistente (nel caso di specie, virtualmente, trattandosi di edificio costruito nel 1952), basata sul rilievo che si verterebbe in fattispecie di costruzione nuova, e non già di ristrutturazione mediante demolizione e ricostruzione.
Occorre premettere, quanto al riferimento temporale della disciplina applicabile in materia di an e quantum del contributo concessorio, che secondo consolidato orientamento di questo Consiglio di Stato (v., ex plurimis, Cons. St., Sez. IV, 07.06.2012, n. 3379; Cons. St., Sez. IV, 25.06.2010, n. 4109; Cons. St., Sez. V, 13.06.2003, n. 3332) il contributo di concessione va determinato con riferimento alla disciplina, legislativa e regolamentare, vigente al momento del rilascio del titolo edilizio, che segna il perfezionamento della fattispecie concessoria (o autorizzatoria, a seconda della tipologia di titolo edilizio).
L’orientamento, per un verso, è fondato sulle previsioni normative che correlano la determinazione e, in parte, anche la corresponsione del contributo di concessione (nelle sue varie componenti), all’atto di rilascio del titolo edilizio, e, per altro verso, è espressione del principio generale sancito dall’art. 11 disp. prel. cod. civ., secondo cui ciascun fatto genetico di effetti giuridici è sottoposto, salva diversa previsione normativa, alla legge del tempo in cui viene in essere (se, poi, gli effetti giuridici sono costituiti da un rapporto giuridico di durata, lo ius superveniens, a seconda delle varie ipotesi, potrà incidere anche sulla disciplina del rapporto).
Nel caso di specie, ai fini dell’individuazione della disciplina applicabile, si dovrà, pertanto, aver riguardo a quella vigente al momento dell’emissione/rilascio della concessione n. 89/2005 (marzo-aprile 2005).
Orbene, l’art. 59 l. urb. prov. –emanato nell’esplicazione della potestà legislativa primaria della Provincia autonoma di Bolzano in materia urbanistica, ai sensi dell’art. 8, n. 5) dello Statuto di autonomia– definisce come interventi di ristrutturazione edilizia «quelli rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo per sagoma, superficie, dimensione e tipologia in tutto o in parte diverso dal precedente», aggiungendo che «tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione, la modifica e l’inserimento di nuovi elementi ed impianti», e sancendo, nel secondo comma, la prevalenza delle disposizioni dello stesso art. 59 sulle previsioni dei piani urbanistici comunali e dei regolamenti edilizi (in parte qua, l’attuale formulazione normativa coincide con quella vigente all’epoca del rilascio della concessione edilizia de qua).
Il terzo comma del citato art. 59 –come sostituito dall’art. 25 l. prov. 31.03.2003, n. 5, nella formulazione anteriore all’entrata in vigore dell’art. 14, comma 3, l. prov. 02.07.2007, n. 3– prevede(va), poi, che «il recupero di edifici siti in zone residenziali non soggette a un piano di attuazione (quale, pacificamente, la zona di ubicazione dell’edificio in questione; n.d.e.) può essere effettuato anche tramite interventi di ristrutturazione edilizia ai sensi del comma 1, lett. d)», nel rispetto delle distanze, della cubatura (urbanisticamente rilevante) e dell’altezza dell’edificio preesistente.
La citata previsione normativa, ai fini della qualificazione dell’intervento edilizio come ristrutturazione mediante demolizione e ricostruzione, a differenza dalla disciplina statale di cui all’art. 3, comma 1, lett. d), d.P.R. n. 380 del 2001 [olim, art. 31, lett. d), l. n. 347 del 1978], non postula dunque la fedele ricostruzione con il rispetto anche della sagoma dell’edificio preesistente, ma sancisce la continuità tra i due manufatti alla sola condizione del rispetto di distanze, volumetria ed altezza (peraltro, anche nell’ordinamento statale, con la recente novella apportata dal d.l. 21.06.2013, n. 69, convertito nella legge 09.08.2013, n. 98, all’art. 3 del d.P.R. n. 380 del 2001 è stata eliminata la condizione del rispetto della sagoma dell’edificio preesistente).
La previsione provinciale trova la sua ratio giustificatrice nella circostanza che, a cagione della sua particolare conformazione geomorfologica, solo una parte esigua del territorio provinciale è suscettibile di utilizzazione edificatoria, e nella conseguente filosofia di risparmio del territorio che permea la locale legislazione urbanistica, tesa, per quanto possibile, a concentrare gli interventi edilizi nell’ambito del territorio già edificato ed a rivalorizzare le volumetrie esistenti (v., sulla riportata ricostruzione della disciplina provinciale in materia, la recente sentenza 07.05.2015, n. 2294, di questa Sezione).
Ne deriva l’inconcludenza dei precedenti giurisprudenziali invocati dall’appellato Comune, relativi alla –all’epoca– in parte qua diversa disciplina statale.
Atteso il comprovato rispetto dei parametri della cubatura (urbanisticamente rilevante) e dell’altezza dell’edificio preesistente (v. la copiosa documentazione planimetrica in atti, compresi gli allegati alla consulenza tecnica d’ufficio espletata in primo grado), l’intervento edilizio assentito con la concessione edilizia n. 89/2005 deve, pertanto, qualificarsi come ristrutturazione edilizia ai sensi dell’art. 59, comma 1, lett. d), e comma 3, l. urb. prov..
Peraltro, lo stesso rilascio della menzionata concessione edilizia per i lavori in questione, per un volumetria fuori terra di 56.009 mc (a fronte di un volume preesistente di 57.741 mc; v. risultanze della c.t.u.) implica per necessità logica la sussunzione, da parte della stessa Amministrazione comunale, dell’intervento in questione sub specie di ristrutturazione edilizia mediante demolizione e ricostruzione, in quanto, diversamente, il rilascio del titolo edilizio sarebbe rimasto precluso dall’indice di fabbricabilità di 3,5 mc/mq stabilito dal p.u.c. –indice che, tenuto conto della superficie del lotto, avrebbe consentito l’edificazione entro il limite di soli 21.500 mc–, con la conseguenza che la tesi difensiva del Comune, volta a qualificare l’intervento come nuova costruzione, si risolve in un’inammissibile protestatio contra factum proprium, lesiva dell’affidamento riposto dall’originaria ricorrente nella qualificazione dell’intervento edilizio operata dalla stessa Amministrazione, immanente al rilascio della concessione edilizia negli esposti termini.
Alla qualificazione delle opere come intervento di ristrutturazione edilizia consegue che dal contributo per gli oneri di urbanizzazione deve essere scomputato l’importo imputabile al carico urbanistico generato dall’edificio preesistente.
In linea generale, giova al riguardo rimarcare che, mentre la quota del contributo di costruzione commisurata al costo di costruzione risulta ontologicamente connessa alla tipologia e all’entità (superficie e volumetria) dell’intervento edilizio e assolve alla funzione di permettere all’Amministrazione comunale il recupero delle spese sostenute dalla collettività di riferimento per la trasformazione del territorio consentita al privato istante (ossia, a compensare la c.d. compartecipazione comunale all’incremento di valore della proprietà immobiliare del costruttore, a seguito della nuova edificazione), la quota del contributo di costruzione commisurata agli oneri di urbanizzazione assolve alla prioritaria funzione di compensare la collettività per il nuovo ulteriore carico urbanistico che si riversa sulla zona, con la precisazione che per aumento del carico urbanistico deve intendersi tanto la necessità di dotare l’area di nuove opere di urbanizzazione, quanto l’esigenza di utilizzare più intensamente quelle già esistenti.
È, pertanto, pienamente condivisibile il principio, ripetutamente affermato dalla giurisprudenza amministrativa, secondo cui, qualora il progetto riguardi la ristrutturazione di un edificio esistente, il suo impatto è destinato ad incidere su una zona già urbanizzata, per cui la sua incidenza sarà data dalla consistenza del nuovo intervento, detratto l’impatto di quanto già esistente, con conseguente sussistenza del correlativo onere contributivo in ragione del solo incremento del carico urbanistico (v. in tal senso, ex plurimis, da ultimo, Cons. St., Sez. V, 13.05.2014, n. 2437).
Nell’ordinamento urbanistico provinciale tale principio è, ormai, espressamente recepito dall’art. 66, comma 4-bis, l. urb. prov., inserito dall’art. 15, comma 2, l. prov. 02.07.2007, n. 3, che testualmente recita: «In caso di interventi su edifici esistenti, ivi compresa la loro demolizione e ricostruzione, sono dovuti gli oneri di urbanizzazione in ragione dell’incremento del carico urbanistico. I comuni con regolamento di cui all’art. 73, comma 2, stabiliscono i relativi criteri, tenendo conto dell’aumento della superficie utile e dei cambiamenti della destinazione d’uso».
Orbene, risalendo la costruzione dell’originaria costruzione (ex-Hotel Bristol) al 1952, ossia ad un’epoca in cui non vigeva ancora l’istituto del contributo concessorio, introdotto nell’ordinamento urbanistico provinciale di Bolzano con la l. prov. 03.01.1978, n. 1 (mentre la compartecipazione dei privati alle opere di urbanizzazione aveva trovato una sua prima definizione nel d.P.G.P. 23.06.1970, n. 20), il relativo onere deve ritenersi assolto virtualmente, giacché, in difetto di un’imputazione virtuale del pregresso, alla sopravvenuta disciplina impositiva verrebbe data un’inammissibile applicazione retroattiva.
Né l’edificio preesistente rientrava in una delle fattispecie esentate dal contributo –per previsione legislativa o degli strumenti urbanistici–, per le quali sarebbe escluso il diritto allo scomputo, attesa l’incidenza della nuova costruzione, a destinazione d’uso non esentata, per intero sul carico urbanistico.
Ne consegue che nella determinazione del contributo concessorio per la demo-ricostruzione del preesistente edificio deve detrarsi l’onere riferibile al carico urbanistico generato dall’edificio preesistente, sicché, alla luce delle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio, nulla è dovuto dall’odierna appellante per il volume fuori terra, attesa l’eccedenza del carico preesistente, virtualmente assolto, rispetto a quello di cui al progetto assentito (v., in particolare, pp. 13 e 28 della relazione depositata dal c.t.u. l’11.04.2013).
Ne deriva, altresì, l’illegittimità dell’art. 2, comma 4, del Regolamento comunale per la determinazione del contributo di urbanizzazione, approvato con deliberazione del Consiglio comunale n. 83 del 25.11.2004, vigente all’epoca del rilascio della concessione edilizia –che statuisce testualmente: «In caso di demolizione e ricostruzione di edifici realizzati prima dell’entrata in vigore del regolamento comunale di determinazione degli oneri di urbanizzazione, approvato con deliberazione del Consiglio comunale n. 148 del 30.07.1975, il contributo di urbanizzazione è interamente dovuto. Ai fini del presente regolamento per demolizione e ricostruzione si intende qualunque intervento che comporti la demolizione totale o parziale dei muri perimetrali dell’edificio esistente, fatta salva la fedele ricostruzione della struttura»–, ponendosi tale disposizione regolamentare in contrasto con la sopra ricostruita disciplina legislativa degli interventi di ricostruzione-demolizione e col principio di irretroattività sancito dall’art. 11 disp. prel. cod. civ..
In riforma dell’impugnata sentenza, s’impongono dunque le consequenziali statuizioni di annullamento della citata disposizione regolamentare e di accertamento dell’insussistenza della pretesa contributiva fatta valere dal Comune con riguardo alla volumetria fuori terra.
6.2. L’accoglimento del primo motivo d’appello, cui consegue la non debenza del contributo di urbanizzazione per il volume fuori terra, comporta l’assorbimento del secondo motivo d’appello sub § 2.b), che censura il regolamento comunale sotto altri profili, ormai irrilevanti ai fini decisori (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 02.07.2015 n. 3298 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).

giugno 2015

EDILIZIA PRIVATAAi sensi dell’art. 16, comma 1, del T.U. n. 380 del 2001, “il rilascio del permesso di costruire comporta la corresponsione di un contributo commisurato all’incidenza degli oneri di urbanizzazione nonché al costo di costruzione”.
Questo significa che il pagamento degli oneri contributivi rappresenta il contenuto di un’obbligazione accessoria, posta a carico di chi abbia (già) ottenuto un titolo edilizio. Una volta adempiuto al pagamento, al privato istante non resta quindi che procedere al ritiro materiale della medesima (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 13.05.2014 n. 2434, secondo cui l’obbligazione sorge con il rilascio del titolo ampliativo ed è a tale momento che occorre avere riguardo per la determinazione dell’entità del contributo).
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A ciò si aggiunga che, com’è noto, a seguito delle innovazioni apportate dall’art. 5, comma 2, lett. a), n. 3, del d.l. 13.05.2011 n. 70, convertito in legge 12.07.2011 n. 106, in omaggio alla regola generale di semplificazione amministrativa codificata nell’art. 20 della legge 07.08.1990 n. 241, è stato espressamente esteso al procedimento di rilascio del permesso di costruire il regime del silenzio-assenso, fatte salve le deroghe previste in ipotesi di vincoli ambientali, paesaggistici e culturali.
Sicché, una volta inutilmente decorso il termine per la definizione del procedimento di rilascio del titolo edilizio, pari a 90 o 100 giorni (ossia 60 giorni per la conclusione dell’istruttoria più 30 o, in caso di preavviso di rigetto, 40 giorni per la determinazione finale), senza che sia stato opposto motivato diniego, salvo eventuali sospensioni dovute a modifiche progettuali od interruzioni dovute ad integrazioni documentali, sulla domanda di permesso di costruire deve intendersi formato il titolo abilitativo tacito, ai sensi dell’art. 20, comma 8, T.U. 06.06.2001 n. 380.
Ed allora, anche a non volersi attribuire alla nota 18.03.2013 n. 12556 (con cui il ricorrente è stato invitato a pagare gli oneri concessori) valore e significato di provvedimento di rilascio del titolo in conformità alla domanda avanzata, è evidente che al 19.11.2014 –data di adozione del provvedimento di rigetto– era ampiamente decorso il termine di formazione del silenzio-assenso, decorrente dal 06.06.2014 –data di presentazione delle integrazioni progettuali–, non risultando in atti né l’esistenza di vincoli ambientali, paesaggistici e culturali sull’area, né l’adozione di una “motivata risoluzione del responsabile del procedimento” di particolare complessità dell’affare, ai fini del raddoppio dei termini ex comma 7.
Va pertanto dichiarato illegittimo l’atto con cui il comune ha negato il rilascio del titolo edilizio dopo la sua formazione tacita, potendo, in tale ipotesi, essere adottato soltanto un provvedimento di ritiro in autotutela, ove sussistano gli altri presupposti richiesti per l’adozione di atti di secondo grado, da accertarsi con le stesse forme e con le stesse modalità procedimentali previste per l’adozione dell’atto da annullare.

... per l'annullamento:
- della nota 16.05.2014 n. 23161, con cui il comune di Corigliano Calabro ha disposto la sospensione interlocutoria del procedimento amministrativo volto all’ottenimento di un permesso di costruire per la realizzazione di un edificio a destinazione mista, residenziale e commerciale, in contrada San Francesco
- del provvedimento 19.11.2014 n. 54974, recante il rigetto della domanda di permesso di costruire;
...    
Col ricorso introduttivo del giudizio, la ditta istante impugna, per violazione di legge ed eccesso di potere, la nota 16.05.2014 n. 23161, con cui il comune di Corigliano Calabro, in seguito ad una diffida inoltrata dal proprietario di una porzione di terreno limitrofa che lamentava una questione di confini, ha disposto la sospensione interlocutoria del procedimento amministrativo volto all’ottenimento di un permesso di costruire per la realizzazione di un edificio a destinazione mista, residenziale e commerciale, in contrada San Francesco.
Il comune intimato si è costituito per resistere.
...
Sulla base di tale premesse, parte ricorrente sostiene per un verso che, al momento del provvedimento di diniego, il procedimento edilizio si era oramai positivamente concluso con la comunicazione ed il pagamento degli importi dovuti per oneri concessori e, per altro verso, che non sussiste dubbio circa la natura di lotto intercluso del proprio fondo, avendo ciò costituito oggetto di un parere favorevole della regione Calabria, reso su precisa richiesta del comune.
Tanto esposto, occorre precisare che, ai sensi dell’art. 16, comma 1, del T.U. n. 380 del 2001, “il rilascio del permesso di costruire comporta la corresponsione di un contributo commisurato all’incidenza degli oneri di urbanizzazione nonché al costo di costruzione”.
Questo significa che il pagamento degli oneri contributivi rappresenta il contenuto di un’obbligazione accessoria, posta a carico di chi abbia (già) ottenuto un titolo edilizio. Una volta adempiuto al pagamento, al privato istante non resta quindi che procedere al ritiro materiale della medesima (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 13.05.2014 n. 2434, secondo cui l’obbligazione sorge con il rilascio del titolo ampliativo ed è a tale momento che occorre avere riguardo per la determinazione dell’entità del contributo).
A ciò si aggiunga che, com’è noto, a seguito delle innovazioni apportate dall’art. 5, comma 2, lett. a), n. 3, del d.l. 13.05.2011 n. 70, convertito in legge 12.07.2011 n. 106, in omaggio alla regola generale di semplificazione amministrativa codificata nell’art. 20 della legge 07.08.1990 n. 241, è stato espressamente esteso al procedimento di rilascio del permesso di costruire il regime del silenzio-assenso, fatte salve le deroghe previste in ipotesi di vincoli ambientali, paesaggistici e culturali.
Sicché, una volta inutilmente decorso il termine per la definizione del procedimento di rilascio del titolo edilizio, pari a 90 o 100 giorni (ossia 60 giorni per la conclusione dell’istruttoria più 30 o, in caso di preavviso di rigetto, 40 giorni per la determinazione finale), senza che sia stato opposto motivato diniego, salvo eventuali sospensioni dovute a modifiche progettuali od interruzioni dovute ad integrazioni documentali, sulla domanda di permesso di costruire deve intendersi formato il titolo abilitativo tacito, ai sensi dell’art. 20, comma 8, T.U. 06.06.2001 n. 380 (cfr. TAR Campania, Napoli, Sez. VIII, 29.05.2014 n. 2972).
Ed allora, anche a non volersi attribuire alla nota 18.03.2013 n. 12556 (con cui il ricorrente è stato invitato a pagare gli oneri concessori) valore e significato di provvedimento di rilascio del titolo in conformità alla domanda avanzata, è evidente che al 19.11.2014 –data di adozione del provvedimento di rigetto– era ampiamente decorso il termine di formazione del silenzio-assenso, decorrente dal 06.06.2014 –data di presentazione delle integrazioni progettuali–, non risultando in atti né l’esistenza di vincoli ambientali, paesaggistici e culturali sull’area, né l’adozione di una “motivata risoluzione del responsabile del procedimento” di particolare complessità dell’affare, ai fini del raddoppio dei termini ex comma 7.
Va pertanto dichiarato illegittimo l’atto con cui il comune ha negato il rilascio del titolo edilizio dopo la sua formazione tacita, potendo, in tale ipotesi, essere adottato soltanto un provvedimento di ritiro in autotutela, ove sussistano gli altri presupposti richiesti per l’adozione di atti di secondo grado (cfr. TAR Campania, Napoli, Sez. VIII, 29.05.2014 n. 2972; TAR Sicilia, Catania, 07.04.2005 n. 572), da accertarsi con le stesse forme e con le stesse modalità procedimentali previste per l’adozione dell’atto da annullare (cfr. TAR Calabria, Reggio Calabria, 06.04.2000 n. 304) (TAR Calabria-Catanzaro, Sez. II, sentenza 17.06.2015 n. 1095 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

maggio 2015

EDILIZIA PRIVATANon è il solo rilascio del titolo edilizio a determinare l’obbligo di versamento degli oneri concessori, dato che rileva anche l’esecuzione dell’attività edilizia assentita, con la conseguenza che “ove ci sia stata voltura a favore di terzi del titolo edilizio da parte dell'originario titolare, unita al mancato avvio da parte di costui di alcuna attività edificatoria, l'intestatario iniziale della concessione deve essere ritenuto libero da ogni obbligo pecuniario nei confronti dell'ente concedente per oneri concessione e per contributo di costruzione”, in considerazione del rilievo che l’avvenuta voltura del titolo edilizio accettata dal Comune, estingue il rapporto con l’originario dante causa, perché la voltura del titolo edilizio opera “come una novazione soggettiva liberatoria del debitore originario per accettazione del Comune”.
... per l'annullamento:
A) quanto al ricorso introduttivo:
- richiesta di accertamento della insussistenza in capo al Comune di Tezze sul Brenta del credito di € 4.885,41 di cui il medesimo Comune si è dichiarato titolare nei confronti della signora T.G. ed ha chiesto il pagamento alla ricorrente con lettera del 24.05.2012 prot. n. 6321 e successiva lettera del 30.05.2013 prot. 6774;
- richiesta di accertamento della insussistenza in capo al Comune di Tezze sul Brenta del credito di € 235,93 di cui il medesimo Comune si è dichiarato titolare nei confronti della signora T.G. per interessi maturati sulla somma di € 4.885,41 e di cui ha chiesto il pagamento mediante cartella di pagamento n. 12420140004298334 emessa da Equitalia Nord spa e notificata dalla medesima in data 09.06.2014;
- richiesta di annullamento della cartella di pagamento n. 12420140004298334 emessa da Equitalia Nord spa e notificata dalla medesima Equitalia Nord spa alla signora T.G. in data 09.06.2014;
...
La ricorrente ha ottenuto dal Comune di Tezze sul Brenta il permesso di costruire n. 7925 del 02.01.2004 per realizzare un fabbricato residenziale.
Il Comune ha determinato nella somma di € 4.885,41 l’importo del contributo per costi di costruzione che sono stati regolarmente versati.
In data 16.02.2004 i terreni sono stati venduti alla ditta “l’immobiliare Srl” prima che iniziassero i lavori, e l’11.03.2004, il Comune ha effettuato la voltura del permesso di costruire.
Con nota del 24.05.2012, il Comune ha chiesto alla ricorrente il pagamento di ulteriori somme a titolo di contributo per il costo di costruzione, a causa del mutamento di orientamento interpretativo consolidatosi in giurisprudenza circa la necessità di applicare la misura minima del 5% prevista dall’art. 16 del DPR 06.06.2001, n. 380, in luogo di quella del 2,5% prevista dalla normativa regionale da ritenersi implicitamente abrogata per effetto della sopravvenuta norma statale di principio.
La ricorrente ha prodotto memorie al Comune deducendo di non essere tenuta al pagamento perché il titolo edilizio era stato volturato a terzi, senza ottenere alcun riscontro.
Con cartella di pagamento n. 12420140004298334 notificata il 09.06.2014, Equitalia ha chiesto la somma di € 5.365,36, di cui 4.885,41 per mancato pagamento del contributo di costruzione, ed € 235,93 per interessi e il resto per spese di esazione.
...
Il ricorso è fondato per la censura, che ha carattere assorbente, contenuta nel primo motivo del ricorso introduttivo e dei motivi aggiunti.
Infatti nel caso all’esame l’ulteriore richiesta di pagamento degli oneri non poteva essere rivolta nei confronti della ricorrente che ha ceduto i terreni e ha provveduto a volturare il titolo edilizio in favore di un soggetto terzo prima dell’inizio dei lavori.
Sul punto è sufficiente richiamare l’orientamento giurisprudenziale, che il Collegio condivide, secondo cui non è il solo rilascio del titolo edilizio a determinare l’obbligo di versamento degli oneri concessori, dato che rileva anche l’esecuzione dell’attività edilizia assentita, con la conseguenza che “ove ci sia stata voltura a favore di terzi del titolo edilizio da parte dell'originario titolare, unita al mancato avvio da parte di costui di alcuna attività edificatoria, l'intestatario iniziale della concessione deve essere ritenuto libero da ogni obbligo pecuniario nei confronti dell'ente concedente per oneri concessione e per contributo di costruzione” (cfr. Tar Sicilia, Catania, Sez. I 12.10.2010, n. 4104; id. 26.03.2009 n. 60; Tar Toscana, Sez. III, 12.06.2012 n. 1126), in considerazione del rilievo che l’avvenuta voltura del titolo edilizio accettata dal Comune, estingue il rapporto con l’originario dante causa, perché la voltura del titolo edilizio opera “come una novazione soggettiva liberatoria del debitore originario per accettazione del Comune” (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 30.11.2011, n. 6033; Consiglio Giust. Amm. Sic., 13.10.2011, n. 666; Tar Veneto, Sez. II, 16.06.2011, n. 1042, punto 5.2 in diritto; Tar Puglia, Lecce, Sez. II, 14.07.2003, n. 4731; Tar Campania, Napoli, Sez. V, 12.03.2008, n. 1220).
In definitiva il ricorso deve essere accolto per il primo dei motivi del ricorso introduttivo e dei motivi aggiunti che, comportando l’accertamento che la ricorrente non è il soggetto passivo della pretesa creditoria che il Comune ha avanzato con le note del 25.05.2012 e del 30.05.2013, e quindi l’annullamento degli atti impugnati perché rivolti nei confronti della ricorrente anziché nei confronti della Società in cui favore è stato volturato il titolo edilizio ed ha eseguito i lavori, ha carattere assorbente delle ulteriori censure, con le quali la ricorrente contesta nel merito la pretesa creditoria del Comune, ed anche della domanda di risarcimento, formulata espressamente in via subordinata all’eventuale reiezione di tutte le censure proposte (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 06.05.2015 n. 485 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

aprile 2015

EDILIZIA PRIVATA: Il contributo di costruzione posto a carico del costruttore trova causa nell’utilità che questi ne ritrae.
Trattandosi di principio di portata generale la deroga alla onerosità del titolo edilizio non può che ricorrere nelle sole ipotesi tassativamente previste dalla legge da intendersi di stretta interpretazione.
Ciò premesso si rileva che il pagamento del contributo di cui al citato art. 27 della L.R. n. 31/2002, ai sensi del successivo art. 30, comma 1, lett. a), è escluso unicamente “per gli interventi, anche residenziali, da realizzare nel territorio rurale in funzione della conduzione del fondo e delle esigenze dell'imprenditore agricolo a titolo principale, ai sensi dell'art. 12 della L. 09.05.1975, n. 153, ancorché in quiescenza”.
Ne deriva che ai fini del rilascio della concessione gratuita occorre il concomitante concorso di due requisiti: sul piano soggettivo, la qualità di imprenditore agricolo a titolo principale secondo la definizione di cui all’art. 12 della L. n. 153/1975; sul piano oggettivo, il nesso di preordinazione funzionale delle opere alla conduzione del fondo.
La ricorrenza di una soltanto di dette condizioni non può, quindi, ritenersi requisito sufficiente a determinare la gratuità dell’intervento edilizio.
La pretesa esenzione non può, quindi, trovare applicazione nei confronti di soggetti differenti dall’imprenditore agricolo a titolo principale e deve essere debitamente documentata al momento in cui l’interessato richiede il titolo abilitativo per l’intervento edilizio.
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In base al prevalente orientamento giurisprudenziale “la controversia sulla quantificazione del contributo di costruzione involge l'apprezzamento del diritto soggettivo alla determinazione dell'obbligazione contributiva. Attività questa, non autoritativa, vincolata, da eseguirsi secondo criteri predeterminati o tabelle parametriche in ragione della natura paratributaria del contributo” con la conseguenza che “trova campo elettivo d'applicazione, specie con riguardo alle norme che prevedono l'esonero e la riduzione del pagamento del contributo, il criterio interpretativo delle norme c.d. "a fattispecie esclusiva", proprio delle disposizioni tributarie. Ossia l'interprete, oltre a doversi attenere alla littera legis, deve individuare il criterio in base al quale è stata disposto il beneficio che deroga all'ordinario regime paratributario, al fine di non estenderne l'applicazione oltre i casi espressamente preveduti”.

La censura è infondata.
Sul punto occorre precisare che il contributo di costruzione posto a carico del costruttore trova causa nell’utilità che questi ne ritrae.
Trattandosi di principio di portata generale la deroga alla onerosità del titolo edilizio non può che ricorrere nelle sole ipotesi tassativamente previste dalla legge da intendersi di stretta interpretazione (Cons. di St., Sez. V, 07.05.2013, n. 2467).
Ciò premesso si rileva che il pagamento del contributo di cui al citato art. 27 della L.R. n. 31/2002, ai sensi del successivo art. 30, comma 1, lett. a), è escluso unicamente “per gli interventi, anche residenziali, da realizzare nel territorio rurale in funzione della conduzione del fondo e delle esigenze dell'imprenditore agricolo a titolo principale, ai sensi dell'art. 12 della L. 09.05.1975, n. 153, ancorché in quiescenza”.
Ne deriva che ai fini del rilascio della concessione gratuita occorre il concomitante concorso di due requisiti: sul piano soggettivo, la qualità di imprenditore agricolo a titolo principale secondo la definizione di cui all’art. 12 della L. n. 153/1975; sul piano oggettivo, il nesso di preordinazione funzionale delle opere alla conduzione del fondo.
La ricorrenza di una soltanto di dette condizioni non può, quindi, ritenersi requisito sufficiente a determinare la gratuità dell’intervento edilizio (Cons. di St., sez. V, 14.05.2013, n. 2009).
La pretesa esenzione non può, quindi, trovare applicazione nei confronti di soggetti differenti dall’imprenditore agricolo a titolo principale e deve essere debitamente documentata al momento in cui l’interessato richiede il titolo abilitativo per l’intervento edilizio (TAR Puglia, Lecce, Sez. III, 18.09.2013, n. 1939).
Nel caso di specie in capo al ricorrente difetta la prescritta qualifica.
La Comunità Montana Valli del Nure e dell’Arda, infatti, a richiesta dell’Amministrazione, ha certificato la qualifica di IAP in capo a E.M. “in qualità di socio amministratore (persona giuridica) della predetta Società Agricola E.G. e C. Società Semplice e non in quanto ditta individuale (persona giuridica) coincidente con la persona fisica”.
La circostanza che l’intervento edilizio sia relativo ad opere assentite in forza di titolo richiesto dalla (e rilasciato alla) persona fisica determina l’insussistenza del presupposto legittimante l’invocata esclusione dal pagamento del contributo di costruzione.
L’esenzione in questione è ulteriormente inibita a causa della natura del fabbricato da realizzarsi atteso che non possiede il prescritto carattere rurale ma, come sostenuto dall’Amministrazione, deve classificarsi quale abitazione di lusso.
L’art. 9, comma 3, lett. e), del D.L. n. 557/1993, infatti, precisa che “i fabbricati ad uso abitativo, che hanno le caratteristiche delle unità immobiliari urbane appartenenti alle categorie A/1 ed A/8, ovvero le caratteristiche di lusso previste dal decreto del Ministro dei lavori pubblici 02.08.1969, adottato in attuazione dell'articolo 13 della legge 02.07.1949, n. 408, e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 218 del 27.08.1969, non possono comunque essere riconosciuti rurali”.
Ai sensi dell’art. 5 del D.M. Lavori Pubblici 02.08.1969, sono considerate abitazioni di lusso “le case composte di uno o più piani costituenti unico alloggio padronale aventi superficie utile complessiva superiore a mq. 200 (esclusi i balconi, le terrazze, le cantine, le soffitte, le scale e posto macchine) ed aventi come pertinenza un'area scoperta della superficie di oltre sei volte l'area coperta”.
L’abitazione in questione è riconducibile a tale tipologia poiché ha superficie utile pari a mq. 232,11 (oltre mq. 158,40 non residenziali, mq. 56,44 per autorimessa e mq. 198,91 di porticati) e non può, pertanto, beneficare di alcuna esenzione.
Con il medesimo capo di impugnazione il ricorrente afferma ulteriormente che la circostanza che l’immobile presenti caratteristiche tali da essere riconducibile agli immobili di lusso potrebbe determinare il mancato riconoscimento della ruralità del fabbricato ai soli fini fiscali senza ricaduta alcuna sul regime del contributo di costruzione.
La doglianza è infondata in ragione della peculiare natura del contributo di costruzione.
Deve a tal proposito rilevarsi che in base al prevalente orientamento giurisprudenziale “la controversia sulla quantificazione del contributo di costruzione involge l'apprezzamento del diritto soggettivo alla determinazione dell'obbligazione contributiva. Attività questa, non autoritativa, vincolata, da eseguirsi secondo criteri predeterminati o tabelle parametriche in ragione della natura paratributaria del contributo (cfr., Tar Lombardia, sez. Brescia, 24.08.2012 n. 1467; Cons. St., sez. V, 14.12.1994 n. 1471)” con la conseguenza che “trova campo elettivo d'applicazione, specie con riguardo alle norme che prevedono l'esonero e la riduzione del pagamento del contributo, il criterio interpretativo delle norme c.d. "a fattispecie esclusiva", proprio delle disposizioni tributarie. Ossia l'interprete, oltre a doversi attenere alla littera legis, deve individuare il criterio in base al quale è stata disposto il beneficio che deroga all'ordinario regime paratributario, al fine di non estenderne l'applicazione oltre i casi espressamente preveduti” (TAR Liguria, Sez. I, 30.09.2014, n. 1401).
La posizione illustrata, dalla quale la Sezione non ha motivo di discostarsi, è coerente con il principio di stretta interpretazione cui devono soggiacere i casi di esonero dal contributo di concessione (TAR Campania, Napoli, Sez. II, 29.01.2015, n. 516) (TAR Emilia Romagna-Parma, sentenza 30.04.2015 n. 121 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATASecondo l’orientamento consolidato della giurisprudenza, fondato sul tenore letterale dell’art. 16 del D.P.R. 06.06.2001 n. 380 (“la quota di contributo relativa agli oneri di urbanizzazione è corrisposta al Comune all'atto del rilascio del permesso di costruire” e “la quota di contributo relativa al costo di costruzione, determinata all'atto del rilascio...”), i contributi concessori devono essere stabiliti al momento del rilascio del permesso edilizio; a tale momento occorre dunque avere riguardo per la determinazione della entità dell’onere facendo applicazione della normativa vigente al momento del rilascio del titolo edilizio.
Da tale affermazione di principio si trae il corollario della irretroattività delle determinazioni comunali a carattere regolamentare con cui vengono stabiliti i criteri generali e le nuove tariffe e modalità di calcolo per gli oneri concessori ribadendosi l'integrale applicazione del principio “tempus regit actum” e, quindi, la irrilevanza ed ininfluenza di disposizioni tariffarie sopravvenute rispetto al momento del rilascio della concessione edilizia.
Di conseguenza, deve ritenersi che le delibere comunali che dispongono l'adeguamento degli oneri concessori possano trovare applicazione esclusivamente per i permessi rilasciati a far tempo dall'epoca di adozione dell'atto deliberativo e non anche per quelli rilasciati in epoca anteriore.
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Deve ritenersi, sulla base del dato normativo e in conformità dell’orientamento giurisprudenziale consolidato da cui non vi sono ragioni di discostarsi, che non solo la determinazione degli oneri debba avvenire sulla base delle tariffe vigenti ma che la stessa non possa essere richiesta che una tantum al momento del rilascio del permesso edilizio senza possibilità di esigersi pagamenti per annualità successive al rilascio del titolo.
E’ pertanto evidentemente illegittima la pretesa dell’Amministrazione intimata di addossare al titolare di un permesso edilizio rilasciato anni prima l’ulteriore carico finanziario derivante dal meccanismo di aggiornamento posto che la determinazione degli oneri concessori al momento del rilascio era stata -a quanto risulta dagli atti di causa- correttamente determinata sulla base delle tabelle vigenti all’epoca.
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Per ragione di completezza, si precisa che, anche qualificando come conseguenza del potere di autotutela la richiesta di integrazione degli oneri, la pretesa risulterebbe illegittima in quanto esercitata patentemente in violazione dell’art. 21-nonies Legge 07.08.1990 n. 241 e ss.mm. posto che:
- non risulta chiaramente il vizio originario da rimuovere, limitandosi il Comune genericamente a richiamare le norme e le tabelle succedutesi nel tempo;
- non viene comparato in motivazione l’interesse pubblico con l’interesse del destinatario, tenendo conto dell'affidamento ingeneratosi nel privato;
- in particolare non viene data alcuna motivazione in relazione al tempo trascorso, circa quattro anni, tra la determinazione originaria e la successiva rideterminazione, tenendo conto che lo stesso art. 21-nonies della Legge n. 241/1990 prescrive che il potere di ritiro venga esercitato “entro un ragionevole termine”.

Il ricorso è fondato nel merito e va accolto.
Con la presente impugnativa il ricorrente si duole che il Comune di Castro abbia rideterminato retroattivamente l’importo del contributo concessorio, a distanza di (circa) quattro anni dal rilascio del permesso di costruire n. 24 del 15.06.2009, ultimata l’opera edilizia e saldati il pagamento degli oneri richiesti.
La doglianza merita di essere condivisa.
Osserva il Collegio che il provvedimento dirigenziale impugnato (prot. n. 2374 del 16.04.2013) -recante in oggetto: “Rideterminazione e recupero contributo di costruzione. Comunicazione e messa in mora”- accolla ex post al ricorrente, in ragione del titolo edilizio rilasciato (circa) quattro anni prima, ulteriori oneri concessori rinviando a quanto stabilito nella deliberazione 30.11.2012 n. 64 del Consiglio Comunale di Castro (e nella determinazione dirigenziale n. 282 del 31.12.2012).
In tale deliberazione, preso atto che è operante un meccanismo legislativo (cfr. art. 16 D.P.R. n. 380/2001, art. 2 L.R. n. 1/2007) di adeguamento automatico del contributo concessorio, il Consiglio Comunale di Castro ha invitato l’Ufficio competente a porre in essere tutte le necessarie attività tecnico-amministrative finalizzate al recupero della differenza tra il contributo concessorio riscosso e quello dovuto in relazione alle pratiche edilizie pervenute a far data del 01.01.2007.
In base a tale direttiva, il Responsabile del Settore Tecnico del Comune di Castro ha dunque richiesto il “conguaglio” (a seguito della rideterminazione in base a nuovi parametri stabiliti ex post) degli oneri concessori versati dal ricorrente in relazione al permesso di costruire n. 24 del 15.06.2009, in misura pari ad € 4.293,03 per l’aggiornamento del contributo di costruzione.
Il Tribunale, in seguito alla lettura dei provvedimenti contestati, ritiene di escludere che si sia di fronte all’esercizio di un potere di autotutela volto a correggere eventuali errori di determinazione o calcolo, peraltro nemmeno chiaramente evidenziati in atti, compiuti all’epoca del rilascio del permesso di costruire.
L’attività comunale appare invece orientata ad addossare al privato successivamente al rilascio del titolo edilizio costi supplementari derivanti dal meccanismo legale di adeguamento degli oneri concessori.
Tale meccanismo consente di aggiornare gli importi ricorrendo, con riferimento alla voce relativa agli oneri di urbanizzazione, “ai riscontri e prevedibili costi delle opere di urbanizzazione primaria, secondaria e generale” (cfr. art. 16, sesto comma, D.P.R. 06.06.2001 n. 380) o, in relazione alla voce relativa al costo di costruzione, facendo “riferimento ai costi massimi ammissibili per l'edilizia agevolata” su determinazione regionale, e in assenza di quest’ultima “in ragione dell'intervenuta variazione dei costi di costruzione accertata dall'ISTAT” (Cfr.: art. 16, nono comma, D.P.R. 06.06.2001 n. 380).
Il procedimento di revisione mira dunque ad adeguare l’importo degli oneri concessori a fenomeni di natura sostanzialmente inflattiva -legati all’aumento generalizzato dei costi di urbanizzazione o di costruzione- in maniera da far corrispondere a permessi edilizi rilasciati in epoche diverse un impegno economico sostanzialmente uniforme sui singoli istanti.
Secondo l’orientamento consolidato della giurisprudenza, fondato sullo stesso tenore letterale dell’art. 16 del D.P.R. 06.06.2001 n. 380 (“la quota di contributo relativa agli oneri di urbanizzazione è corrisposta al Comune all'atto del rilascio del permesso di costruire” e “la quota di contributo relativa al costo di costruzione, determinata all'atto del rilascio...”), i contributi concessori devono essere stabiliti al momento del rilascio del permesso edilizio; a tale momento occorre dunque avere riguardo per la determinazione della entità dell’onere facendo applicazione della normativa vigente al momento del rilascio del titolo edilizio.
Da tale affermazione di principio si trae il corollario della irretroattività delle determinazioni comunali a carattere regolamentare con cui vengono stabiliti i criteri generali e le nuove tariffe e modalità di calcolo per gli oneri concessori ribadendosi l'integrale applicazione del principio “tempus regit actum” e, quindi, la irrilevanza ed ininfluenza di disposizioni tariffarie sopravvenute rispetto al momento del rilascio della concessione edilizia (Cfr. ex multis: TAR Puglia Lecce, III Sezione, 15.01.2013 n. 49).
Di conseguenza, deve ritenersi che le delibere comunali che dispongono l'adeguamento degli oneri concessori possano trovare applicazione esclusivamente per i permessi rilasciati a far tempo dall'epoca di adozione dell'atto deliberativo e non anche per quelli rilasciati in epoca anteriore.
Nel caso di specie, si deve poi osservare che la determinazione degli oneri non solo avviene sulla base di parametri posteriori al titolo edilizio -e quindi in via retroattiva- ma che altresì la stessa pretesa comunale appare fondata sulla convinzione errata che sia possibile esigere periodicamente la richiesta di integrazione del pagamento ogni volta che l’importo tariffario venga modificato, posto che tale rideterminazione appare nella specie ancorata alle tabelle approvate anche per gli anni successivi a quello di rilascio del titolo edilizio.
Deve invece ritenersi, sulla base del dato normativo e in conformità dell’orientamento giurisprudenziale consolidato da cui non vi sono ragioni di discostarsi, che non solo la determinazione degli oneri debba avvenire sulla base delle tariffe vigenti ma che la stessa non possa essere richiesta che una tantum al momento del rilascio del permesso edilizio senza possibilità di esigersi pagamenti per annualità successive al rilascio del titolo (Cfr. ex multis: TAR Puglia Lecce, III Sezione, 15.01.2013 n. 49).
E’ pertanto evidentemente illegittima la pretesa dell’Amministrazione intimata di addossare al titolare di un permesso edilizio rilasciato anni prima l’ulteriore carico finanziario derivante dal meccanismo di aggiornamento posto che la determinazione degli oneri concessori al momento del rilascio era stata -a quanto risulta dagli atti di causa- correttamente determinata sulla base delle tabelle vigenti all’epoca.
Per ragione di completezza, si precisa che, anche qualificando come conseguenza del potere di autotutela la richiesta di integrazione degli oneri, la pretesa risulterebbe illegittima in quanto esercitata patentemente in violazione dell’art. 21-nonies Legge 07.08.1990 n. 241 e ss.mm. posto che:
- non risulta chiaramente il vizio originario da rimuovere, limitandosi il Comune genericamente a richiamare le norme e le tabelle succedutesi nel tempo;
- non viene comparato in motivazione l’interesse pubblico con l’interesse del destinatario, tenendo conto dell'affidamento ingeneratosi nel privato;
- in particolare non viene data alcuna motivazione in relazione al tempo trascorso, circa quattro anni, tra la determinazione originaria e la successiva rideterminazione, tenendo conto che lo stesso art. 21-nonies della Legge n. 241/1990 prescrive che il potere di ritiro venga esercitato “entro un ragionevole termine”.
In conclusione, per le ragioni esposte, vista l’illegittimità dei provvedimenti impugnati, il ricorso deve essere accolto (TAR Puglia-Lecce, Sez. III, sentenza 21.04.2015 n. 1302 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

marzo 2015

EDILIZIA PRIVATA: I commi da 8 a 10 dell’articolo 44 della l.r. 11.03.2005, n. 12 hanno previsto speciali criteri di calcolo degli oneri di urbanizzazione solo con riferimento alle ristrutturazioni edilizie “non comportanti demolizione e ricostruzione”.
Ne deriva, a contrario, che gli interventi di ricostruzione preceduti da demolizione totale o parziale siano assoggettati al contributo concessorio previsto per le nuove costruzioni.
Tale conclusione è, oggi, ulteriormente avvalorata dal nuovo comma 10-bis dell’articolo 44 della l.r. n. 12/2005 –introdotto dall’articolo 17, comma 3, della l.r. 18.04.2012, n. 7– il quale prevede che “I comuni, nei casi di ristrutturazione comportante demolizione e ricostruzione ed in quelli di integrale sostituzione edilizia possono ridurre, in misura non inferiore al cinquanta percento, ove dovuti, i contributi per gli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria”.
La disposizione si fonda infatti sull’evidente presupposto che gli interventi in questione siano, in linea di principio, soggetti all’integrale assolvimento della quota di contributo di costruzione commisurata agli oneri di urbanizzazione, e prevede, per il futuro, la possibilità per i comuni di ridurre la misura della relativa quota di contributo di costruzione.
Essa, quindi, comprova ulteriormente la soggezione degli interventi di ricostruzione previa demolizione dell’esistente, realizzati anteriormente alla novella, all’integrale corresponsione degli oneri di urbanizzazione.
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6.2 Ciò posto, quanto alla determinazione dell’entità dell’intervento, deve condividersi quanto rappresentato dalla difesa comunale, la quale correttamente evidenzia come i commi da 8 a 10 dell’articolo 44 della legge regionale 11.03.2005, n. 11 abbiano previsto speciali criteri di calcolo degli oneri di urbanizzazione solo con riferimento alle ristrutturazioni edilizie “non comportanti demolizione e ricostruzione”.
Ne deriva, a contrario, che –come già chiarito dalla giurisprudenza formatasi sulle disposizioni richiamate– gli interventi di ricostruzione preceduti da demolizione totale o parziale siano assoggettati al contributo concessorio previsto per le nuove costruzioni (v. Cons. Stato, Sez. IV, 22.05.2012, n. 2969, che conferma la sentenza di questa Sezione del 18.05.2010, n. 1566).
Tale conclusione è, oggi, ulteriormente avvalorata dal nuovo comma 10-bis dell’articolo 44 della legge regionale n. 12 del 2005 –introdotto dall’articolo 17, comma 3, della legge regionale 18.04.2012, n. 7– il quale prevede che “I comuni, nei casi di ristrutturazione comportante demolizione e ricostruzione ed in quelli di integrale sostituzione edilizia possono ridurre, in misura non inferiore al cinquanta percento, ove dovuti, i contributi per gli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria”.
La disposizione –introdotta successivamente alla d.i.a. oggetto del presente giudizio, e dunque non applicabile in ogni caso in questa sede– si fonda infatti sull’evidente presupposto che gli interventi in questione siano, in linea di principio, soggetti all’integrale assolvimento della quota di contributo di costruzione commisurata agli oneri di urbanizzazione, e prevede, per il futuro, la possibilità per i comuni di ridurre la misura della relativa quota di contributo di costruzione.
Essa, quindi, comprova ulteriormente la soggezione degli interventi di ricostruzione previa demolizione dell’esistente, realizzati anteriormente alla novella, all’integrale corresponsione degli oneri di urbanizzazione (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 23.03.2015 n. 780 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il contributo di costruzione costituisce un corrispettivo di diritto pubblico previsto dal Legislatore a titolo di partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione, ovvero un contributo speciale che ha la propria causa giuridica nelle maggiori spese che l’Amministrazione pubblica deve accollarsi in dipendenza della costruzione dell’edificio e del connesso utilizzo, da parte dei detentori del bene, dei servizi e degli spazi circostanti.
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E'
pacifico in giurisprudenza che il pagamento degli oneri di urbanizzazione è dovuto solo nel caso in cui l’intervento abbia determinato un aumento del carico urbanistico, dovendosi perciò ritenere illegittima la richiesta del pagamento di tali maggiori oneri se non si verifica la variazione del carico urbanistico.
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Espone in fatto parte ricorrente di aver presentato SCIA al Comune di Brusciano il 10/7/2013 n. 13740 per manutenzione straordinaria e cambio d’uso del complesso produttivo in Brusciano alla Via ... n. 102 su terreno di cui al fl.3 p.lla 53 di mq. 30.900. Con nota n. 15247 del 12/08/2013 veniva comunicato l’avvio del procedimento di rigetto ma veniva chiarito che la destinazione d’uso di assemblaggio ed esposizione di macchine per agricoltura e movimentazione era compatibile con la destinazione D1 aree industriali, artigianali e commerciali. Con la nota impugnata sono state accolte le deduzioni ed è stato richiesto il pagamento di € 168.802,65 quale contributo di costruzione in ragione del cambio di destinazione d’uso per volume edificato in zona agricola.
Il Comune di Brusciano si è costituito in giudizio per dedurre circa la legittimità della richiesta di pagamento per avvenuto cambio di destinazione d’uso in quanto il lotto non avrebbe sempre avuto la destinazione D1.
Con ordinanza resa in fase cautelare il Tribunale sospendeva il provvedimento impugnato; parte ricorrente ha successivamente depositato copia della comunicazione inviata al Comune di inizio dei lavori di manutenzione straordinaria.
...
1. Con il ricorso in esame parte ricorrente richiede l’annullamento in parte qua della nota impugnata quanto alla richiesta del contributo di costruzione lamentando la violazione dell’art. 3 della Legge n. 241/1990 e degli artt. 16 e ss. del DPR n. 380/2001, nonché l’eccesso di potere.
2. Con riguardo alla vicenda in oggetto la Sezione è dell’avviso di dover preliminarmente chiarire in punto di fatto che, con riguardo al complesso produttivo per il quale sono stati richiesti € 168.082,65 quali “oneri di urbanizzazione/contributo di costruzione” a seguito della SCIA del 10/7/2013, già in data 26/07/2012 era stato rilasciato Permesso di costruire in sanatoria n. 39/2012 con pagamento di € 25.405,90 quali contributo di costruzione.
E’ poi il caso di rammentare che detto contributo costituisce un corrispettivo di diritto pubblico previsto dal Legislatore a titolo di partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione, ovvero un contributo speciale che ha la propria causa giuridica nelle maggiori spese che l’Amministrazione pubblica deve accollarsi in dipendenza della costruzione dell’edificio e del connesso utilizzo, da parte dei detentori del bene, dei servizi e degli spazi circostanti.
3. Ora, avuto riguardo alla censura della presunta illegittimità della richiesta di pagamento degli oneri, si ritiene che il ricorso risulti fondato quanto meno con riguardo alle aree esterne che non risultano essere state interessate da opere edilizie e che, in base alla SCIA citata, sono state al più oggetto di lavori di manutenzione straordinaria di limitata consistenza rimanendo zona di parcheggio delle macchine finite.
Peraltro è pacifico in giurisprudenza (cfr. TAR Campania, Salerno, II, 10.03.2014, n. 552; TAR Piemonte, I, 13.12.2013, n. 1346; II, 16.09.2013, n. 1009; Cons. Stato, IV, 29.04.2004, n. 2611) che il pagamento degli oneri di urbanizzazione è dovuto solo nel caso in cui l’intervento abbia determinato un aumento del carico urbanistico, dovendosi perciò ritenere illegittima la richiesta del pagamento di tali maggiori oneri se non si verifica la variazione del carico urbanistico; questa non risulta essere avvenuta nel caso di specie, non risultando né la quantità né la qualità delle infrastrutture necessarie a supportare il nuovo insediamento.
3.1 Il provvedimento impugnato merita dunque di essere annullato “in parte qua” nella misura in cui la richiesta di pagamento per le aree esterne non è stata giustificata dalla sussistenza di opere di urbanizzazione primaria ex novo; la stessa relazione depositata agli atti dall’Amministrazione resistente e datata 03/02/2015 ha riguardo a fatti antecedenti al citato Permesso di costruire n. 39 del 2012 per il quale era stato corrisposto il contributo di costruzione, ma –ed è quel che più conta– non prova che vi è stato aumento di volumetria e che si è determinata una modifica della destinazione produttiva, in altri termini non si riscontra in atti che vi sia stata modifica dei parametri e del carico urbanistico.
4. Ciò premesso, il Collegio ritiene che il ricorso vada accolto con conseguente annullamento in parte qua del provvedimento oggetto di impugnazione (TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 12.03.2015 n. 1531 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

novembre 2014

EDILIZIA PRIVATA1. Sulla natura delle controversie in materia di oneri di urbanizzazione.
Le controversie in tema di oneri di urbanizzazione e di costo di costruzione introducono un giudizio su un rapporto involgente posizioni di diritto soggettivo, che, come tale, sfugge ai termini decadenziali del giudizio impugnatorio ed è attivabile nell’ordinario termine di prescrizione.
2. Sulle condizioni di operatività dell'esonero dal contributo per le opere da realizzare in zona agricola in funzione della conduzione del fondo e delle esigenze dell'imprenditore agricolo ex art. 9, co. 1, lett. a), legge n. 10/1977.
L’esonero dal contributo per il rilascio della concessione edilizia relativamente alle opere da realizzare nelle zone agricole in funzione della conduzione del fondo e delle esigenze dell'imprenditore agricolo a titolo principale previsto dall’art. 9, co. 1, lett. a), della legge n. 10/1977, subordinava la gratuità della concessione a due condizioni: la destinazione dell’opera alla conduzione del fondo la titolarità della qualifica di imprenditore agricolo a titolo principale, per tale dovendosi intendere “l'imprenditore che dedichi alla attività agricola almeno due terzi del proprio tempo di lavoro complessivo e che ricavi dall'attività medesima almeno due terzi del proprio reddito globale da lavoro risultante dalla propria posizione fiscale”, la cui sussistenza è onere del ricorrente dimostrare.
3. Rilevanza anche dei volumi interrati ai fini del computo degli oneri di urbanizzazione.
Ove non si tratti di opere di modeste dimensioni e con destinazione delle stesse ad usi episodici o meramente complementari, o comunque escluse dagli strumenti urbanistici, anche i locali interrati producono carico urbanistico e rilevano ai fini del computo degli oneri di urbanizzazione.

3.1. Le censure, che saranno esaminate congiuntamente, sono infondate.
3.1.1. L’art. 9, co. 1, lett. a), della legge n. 10/1977, applicabile ratione temporis, prevedeva l’esonero dal contributo per il rilascio della concessione edilizia relativamente alle opere da realizzare nelle zone agricole in funzione della conduzione del fondo e delle esigenze dell'imprenditore agricolo a titolo principale, ai sensi dell'art. 12 della legge n. 153/1975.
Come si vede, la norma subordinava la gratuità della concessione a due condizioni, una oggettiva, ovvero la destinazione dell’opera alla conduzione del fondo, e l’altra soggettiva, ovvero la titolarità della qualifica di imprenditore agricolo a titolo principale, per tale dovendosi intendere “l'imprenditore che dedichi alla attività agricola almeno due terzi del proprio tempo di lavoro complessivo e che ricavi dall'attività medesima almeno due terzi del proprio reddito globale da lavoro risultante dalla propria posizione fiscale”, secondo la definizione dettata dall’art. 12 l. n. 153/1975 cit.; ed anche a voler ammettere che lo scantinato abusivo per cui è causa debba presumersi destinato a contribuire alla conduzione del fondo di proprietà del ricorrente, nella specie è proprio il requisito soggettivo a fare difetto: non solo, infatti, il ricorrente medesimo non ne ha dimostrato la sussistenza, come sarebbe stato suo onere (cfr. da ultimo Cons. Stato, sez. V, 09.04.2013, n. 1935), ma la documentazione in atti attesta il contrario (basti esaminare la nota di trascrizione dell’atto d’obbligo del 12.04.1991, ove il ricorrente è qualificato come “infermiere professionale”, circostanza palesemente incompatibile con il contestuale possesso della qualità di imprenditore agricolo a titolo principale.
Del pari, gli altri soggetti menzionati nella nota vi sono qualificati, rispettivamente come “bidella” la signora D.V., moglie del ricorrente, e “pensionato” il signor F.G.).
3.1.2. Quanto alla debenza o meno del contributo di concessione per la realizzazione di locali interrati, ai sensi dell’art. 18 delle N.T.A. del P.R.G. di San Giuliano Terme, non può dubitarsi del fatto che la disposizione dianzi citata, nell’indicare al punto 5 i volumi rilevanti ai fini della individuazione delle caratteristiche quantitative delle opere realizzabili nel territorio comunale, vi comprenda anche i volumi interrati, di modo che il successivo rinvio alle “superfici utili” indicate al precedente punto 4 non può essere inteso ai soli piani fuori terra, come pretenderebbe il ricorrente in virtù di una interpretazione rigidamente letterale, ma a tutte le superfici utili di calpestio, ivi incluse quelle interrate e con la sola eccezione prevista dallo strumento urbanistico per le superfici –fuori terra o interrate– aventi specifiche destinazioni pertinenziali (autorimesse e locali tecnici, le cui caratteristiche non ha il manufatto realizzato dal ricorrente, oltretutto di dimensioni oggettivamente non esigue).
Diversamente, la menzione dei volumi interrati al punto 5 resterebbe priva di effetti, in aperto contrasto, peraltro, con il principio invalso secondo cui, ove non si tratti di opere di modeste dimensioni e con destinazione delle stesse ad usi episodici o meramente complementari, o comunque escluse dagli strumenti urbanistici, anche i locali interrati producono carico urbanistico e rilevano ai fini del computo degli oneri di urbanizzazione (fra le altre, cfr. Cons. Stato, sez. V, 15.02.2001, n. 790; id., sez. IV, 03.05.2000, n. 2614).
Conferma ne sia che lo stesso ricorrente, nell’istanza di condono, definisce “superficie utile” di 50,04 mq quella del manufatto in questione, salvo invocare le agevolazioni di legge previste per la destinazione all’attività agricola (massima tratta da www.ricerca-amministrativa.it - TAR Toscana, Sez. III, sentenza 21.11.2014 n. 1826 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La società titolare di concessione per lo sfruttamento delle sorgenti di acqua minerale laddove chiede al comune il rilascio di concessioni edilizie per la realizzazione di un nuovo padiglione dello stabilimento termale deve versare il contributo di costruzione.
Con il ricorso introduttivo del giudizio la società <Terme di Montepulciano s.p.a.>, titolare di concessione per lo sfruttamento delle sorgenti di acqua minerale in località S. Albino, espone di aver ottenuto dal Comune di Montepulciano il rilascio di concessioni edilizie per la realizzazione di un nuovo padiglione dello stabilimento termale (n. 234 del 1994, n. 21 del 1995, n. 213 del 1995).
La società ricorrente riferisce altresì di aver chiesto e ottenuto dall’Amministrazione comunale la sospensione del pagamento degli oneri concessori, nell’attesa dell’esito del contenzioso relativo alla loro debenza, garantendo la sospensione stessa dal rilascio di polizze fideiussorie.
Con la presenta azione la società ricorrente chiede l’accertamento della non debenza degli oneri concessori relativi alle opere edili autorizzate, ciò ai sensi dell’art. 9, comma 1, lett. f), della legge n. 10 del 1977, nonché dell’obbligo dell’Amministrazione di restituire le somme versate in acconto e di svincolare le garanzie fideiussorie.
Il Comune di Montepulciano non si è costituito in giudizio.
...
Il ricorso non può essere accolto.
L’art. 9, comma 1, lett. f), della legge n. 10 del 1977 richiede, affinché un certo intervento edilizio risulti gratuito (cfr., da ultimo, la sentenza della Sezione n. 1596 del 2014), la ricorrenza di due requisiti, da un lato il <requisito oggettivo> (deve trattarsi della edificazione di opera pubblica o di interesse generale) e dall’altro il <requisito soggettivo> (essere opere realizzate da “enti istituzionalmente competenti”).
Nella specie i suddetti requisiti non paiono sussistere.
In particolare deve evidenziarsi che il soggetto richiedente è una società per azioni, che ha un oggetto sociale commerciale (mirando al “commercio sotto qualsiasi forma delle acque delle fonti e dei fanghi”: cfr. statuto societario sub doc. 1 di parte ricorrente) e che quindi non può rientrare nel concetto normativo di “enti istituzionalmente competenti”; è vero che la giurisprudenza estende l’applicazione dell’invocato art. 9, comma 1, lett. f), della legge n. 10 del 1977 anche oltre i confini soggettivi dell’ente pubblico, ma richiedendo che il soggetto privato non agisca per fini di lucro e abbia un “legame istituzionale con l’azione amministrativa volta alla cura di interessi pubblici” (Cons. Stato, sez. 4^, 28.10.2011, n. 5799; id. 08.11.2011, n. 5903), elementi assenti nella fattispecie.
Qui si è in presenza di una società lucrativa che vuole “realizzare un nuovo padiglione” nel proprio stabilimento termale, attività edificatoria che non può dirsi sottratta al pagamento degli oneri concessori
(TAR Toscana, Sez. III, sentenza 11.11.2014 n. 1758 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ottobre 2014

EDILIZIA PRIVATA: Nel caso di mutamento di destinazione d'uso, anche senza opere, da artigianale a commerciale, trattandosi di un cambiamento implicante il passaggio ad una categoria funzionale autonoma, avente diverso carico urbanistico va rilevato che ai sensi dell'art. 19, d.P.R. n. 380 del 2001, il sopravvenuto mutamento della destinazione d'uso, anche in assenza di interventi, comporta comunque l'insorgenza del presupposto imponibile per la debenza del contributo dovuto, compreso quello relativo al costo di costruzione.
Ciò a maggior ragione se, come nel caso in esame, il cambio di destinazione è avvenuto con opere. E’ noto come il contributo relativo al costo di costruzione sia il corrispettivo dovuto in presenza di una trasformazione edilizia che, indipendentemente dall'esecuzione fisica di opere, si riveli produttiva di vantaggi economici per il suo autore; situazione, questa, che si verifica anche nel caso di mutamento d'uso, intendendo per tale ogni variazione anche di semplice uso che comporti un passaggio tra due categorie funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico e che determini comunque un aumento del c.d. carico urbanistico.
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In caso di cambio di destinazione d'uso l'obbligo di corrispondere il contributo concessorio è un principio enucleabile dall'art. 10, ultimo comma, della legge n. 10/1977, ribadito dall'art. 25, ultimo comma, della legge n. 47/1985, la cui "ratio", come chiarito dalla giurisprudenza, è da ricercare nell'esigenza "di evitare che, quando la nuova tipologia assegnata all'immobile avrebbe comportato all'origine un più oneroso regime contributivo urbanistico, attraverso la modifica della destinazione il contributo possa essere evaso in tutto o in parte a vantaggio del richiedente".
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Nella specie, il mutamento di destinazione d'uso attuato dal ricorrente ha comportato il passaggio della tipologia di intervento da una classe contributiva originaria e meno "pesante" (artigianale) ad un'altra tipologia (commerciale), non solo diversa ma anche più gravosa in termini di carico urbanistico.
Si è trattato, cioè, di un cambio di destinazione d'uso intervenuto tra categorie autonome, quella artigianale e quella commerciale, che ha comportato un aumento del carico urbanistico con conseguente mutamento degli "standard".
Presupposto, questo, sufficiente a giustificare la richiesta di contributo per oneri di urbanizzazione.
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I provvedimenti relativi alla determinazione degli oneri concessori e dell'oblazione non necessitano di motivazione in ordine alla somma indicata, in quanto risultano da un mero calcolo materiale da effettuarsi sulla base di puntuali indicazioni normative, senza che in proposito residui un margine di discrezionalità.
Non è pertanto configurabile, a carico dell'Amministrazione, un onere di specificare le ragioni della decisione adottata, sicché l'interessato può solo contestare l'erroneità dei conteggi effettuati dall'ente.

1.2 Con riguardo alla qualificazione delle modifiche oggetto dell’istanza come mero cambio di destinazione d’uso con opere, la tesi di parte ricorrente non può essere condivisa. Difatti, nel caso di mutamento di destinazione d'uso, anche senza opere, da artigianale a commerciale, trattandosi di un cambiamento implicante il passaggio ad una categoria funzionale autonoma, avente diverso carico urbanistico va rilevato che ai sensi dell'art. 19, d.P.R. n. 380 del 2001, il sopravvenuto mutamento della destinazione d'uso, anche in assenza di interventi, comporta comunque l'insorgenza del presupposto imponibile per la debenza del contributo dovuto, compreso quello relativo al costo di costruzione (Tar Veneto 26.11.2012 1445).
Ciò a maggior ragione se, come nel caso in esame, il cambio di destinazione è avvenuto con opere. E’ noto come il contributo relativo al costo di costruzione sia il corrispettivo dovuto in presenza di una trasformazione edilizia che, indipendentemente dall'esecuzione fisica di opere, si riveli produttiva di vantaggi economici per il suo autore; situazione, questa, che si verifica anche nel caso di mutamento d'uso, intendendo per tale ogni variazione anche di semplice uso che comporti un passaggio tra due categorie funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico e che determini comunque un aumento del c.d. carico urbanistico (CdS Sez. IV 14.10.2011 n. 5539).
1.3 Riguardo l’affermazione di parte ricorrente per cui gli oneri avrebbero dovuto essere rapportati al cambio di destinazione d’uso e non alla nuova costruzione, il Collegio osserva come, in caso di cambio di destinazione d'uso l'obbligo di corrispondere il contributo concessorio sia un principio enucleabile dall'art. 10, ultimo comma, della legge n. 10/1977, ribadito dall'art. 25, ultimo comma, della legge n. 47/1985, la cui "ratio", come chiarito dalla giurisprudenza, è da ricercare nell'esigenza "di evitare che, quando la nuova tipologia assegnata all'immobile avrebbe comportato all'origine un più oneroso regime contributivo urbanistico, attraverso la modifica della destinazione il contributo possa essere evaso in tutto o in parte a vantaggio del richiedente" (CdS sez. V, 07.12.2010, n. 8620, 30.08.2013 n. 426).
Né la delibera di Consiglio Comunale n. 177 del 28.05.1979, citata dal ricorrente e allegata al ricorso, può essere interpretata nel senso di superare tale fondamentale principio, nella parte in cui prescrive l’abbattimento del costo di costruzione del 50% in caso di ristrutturazione con cambio di destinazione d’uso e senza modifica di strutture portanti.
Ancora, non possono essere applicati gli oneri di urbanizzazione previsti nella delibera di Giunta Comunale n. 2449 del 29.11.1994 per il caso di ristrutturazione edilizia con cambio di destinazione. Difatti, la presenza di un cambio di destinazione d’uso da artigianale a commerciale, con il corredato aumento di carico urbanistico che caratterizza quest’ultima destinazione, indubbiamente lascia la possibilità all’Amministrazione di valutare se, ai fini della determinazione degli oneri, risulti prevalente il cambio di destinazione o il tipo di intervento (si veda in materia il condivisibile ragionamento in Tar Piemonte 27.03.2013 n. 381).
Come nota il Comune, in caso contrario si creerebbe un cortocircuito logico che renderebbe i cambi di destinazione senza opere, in presenza di aumento di carico urbanistico, più costosi di quelli con opere, qualora quest’ultimi fossero riconducibili allo sconto previsto per le ristrutturazioni dalla citata delibera 177/1979. Correttamente, il Comune ha quindi qualificato il cambio di destinazione da artigianale a commerciale come “nuova costruzione”, anche tenuto che la precedente costruzione, con destinazione artigianale non era tenuta al pagamento del costo di costruzione, con conseguente pagamento degli oneri “per differenza” ai sensi dell’art. 2 lett. f) del Regolamento Comunale.
1.4 Nella specie, il mutamento di destinazione d'uso attuato dal ricorrente ha comportato il passaggio della tipologia di intervento da una classe contributiva originaria e meno "pesante" (artigianale) ad un'altra tipologia (commerciale), non solo diversa ma anche più gravosa in termini di carico urbanistico. Si è trattato, cioè, di un cambio di destinazione d'uso intervenuto tra categorie autonome, quella artigianale e quella commerciale, che ha comportato un aumento del carico urbanistico con conseguente mutamento degli "standard". Presupposto, questo, sufficiente a giustificare la richiesta di contributo per oneri di urbanizzazione.
2 Ancora, con riguardo all’affermato calcolo errato dell’oblazione per avere computato metri cubi in eccesso, va specificato che i provvedimenti relativi alla determinazione degli oneri concessori e dell'oblazione non necessitano di motivazione in ordine alla somma indicata, in quanto risultano da un mero calcolo materiale da effettuarsi sulla base di puntuali indicazioni normative, senza che in proposito residui un margine di discrezionalità. Non è pertanto configurabile, a carico dell'Amministrazione, un onere di specificare le ragioni della decisione adottata, sicché l'interessato può solo contestare l'erroneità dei conteggi effettuati dall'ente (da ultimo Tar Lazio Roma 18.02.2014 n. 2015).
Nel caso in esame, i calcoli effettuati dal Comune sono contestati con calcoli di parte (depositati unitamente al ricorso) che risultano generici, dato che il Comune medesimo ha depositato la documentazione fornita dal ricorrente per la sanatoria, ove i vani dei quali il ricorrente chiede lo scorporo in quanto ingressi comuni ad altre parti di edificio non sono stati indicati e scorporati (tavole 7 e 9). Il calcolo è stato quindi correttamente effettuato sulla base della documentazione presentata dal ricorrente medesimo, in allegato all’istanza di sanatoria (TAR Marche, sentenza 06.10.2014 n. 816 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

luglio 2014

EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICAMentre il pagamento degli oneri di urbanizzazione si risolve in un contributo per la realizzazione delle opere stesse, senza che insorga un vincolo di scopo in relazione alla zona in cui è inserita l’area interessata all’imminente trasformazione edilizia, la monetizzazione sostitutiva della cessione degli standard afferisce al reperimento delle aree necessarie alla realizzazione delle opere di urbanizzazione secondaria all’interno della specifica zona di intervento.
E ciò vale ad evidenziare la diversità ontologica della monetizzazione rispetto al contributo di concessione di talché, sotto il versante processuale, non si può utilizzare lo strumento dell’azione di accertamento per determinare l’importo di tale obbligazione pecuniaria.
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La norma regionale impone al richiedente il titolo edilizio di reperire gli standard necessari per l’ampliamento aggiuntivo richiesto. In via alternativa, lo stesso richiedente può provvedere alla monetizzazione degli standard mediante pagamento “di una somma commisurata al costo di acquisizione di altre aree equivalenti per estensione e comparabili per ubicazione e destinazione a quelle per le quali sussiste l’obbligo di cessione”.
In estrema sintesi, in base alla norma in questione il richiedente il titolo edilizio o trasferisce al Comune le aree necessarie per il soddisfacimento degli standard o consegna una somma di danaro idonea per acquisire tali aree: tale monetizzazione va, cioè, necessariamente quantificata con riferimento “al costo di acquisizione” di aree equivalenti.
Nella determinazione delle somme da corrispondere per tale monetizzazione, cioè, il Comune deve fare specifico riferimento alle somme occorrenti per “acquisire” le aree necessarie per realizzare gli standard, cioè deve effettuare un calcolo puntuale ed articolato di quanto dovrebbe in concreto spendere per acquisire al suo patrimonio le aree necessarie, comprensive, ad esempio, di tutte le spese (cioè sia delle spese vive, che dell’attività lavorativa del personale del Comune) per acquisire sul libero mercato delle aree “equivalenti per estensione e comparabili per ubicazione e destinazione a quelle per le quali sussiste l’obbligo di cessione”.
In definiva, nella quantificazione di tale monetizzazione il Comune deve effettuare in concreto (e non in astratto come sembra abbia fatto nel caso in esame) un calcolo preciso di tutte le spese che dovrebbe sopportare per acquisire sul libero mercato delle aree “equivalenti”, in modo tale da rendere nella sostanza equivalente per il soggetto interessato la scelta tra il procedere alla diretta acquisizione delle aree ed la loro cessione al Comune o il procedere al pagamento della relativa “monetizzazione”, dato che eventuali costi aggiuntivi non debbono e non possono in alcun modo gravare sulla collettività, ma debbono essere posti necessariamente a carico del soggetto che altera il corretto rispetto degli standard.
Mentre non può di certo ritenersi ammissibile al riguardo la possibilità per il Comune di quantificare tali costi ipotizzando il ricorso per l’acquisizione di tale aree allo strumento espropriativo, dato che i soggetti proprietari di tali aree, eventualmente da espropriare, non possono in alcun modo subire una lesione dei loro intessi in relazione ad un’attività costruttiva realizzata da soggetti terzi per soddisfare interessi privati e non pubblici. Non può quindi ritenersi che, in via alternativa, il Comune possa considerare le spese necessarie per acquisire le aree necessarie non sul libero mercato, ma attraverso lo strumento pubblicistico dell’esproprio.
Ciò detto, sembra evidente l’erroneità del procedimento logico seguito nel caso di specie dal Comune e denunciato con il gravame, dato che l’Amministrazione ha determinato “in astratto” il valore delle aree (quantificandole in una somma di poco superiore alle € 100 al mq., senza previamente accertare i valori di mercato nella zona), maggiorandola di somme (costo dell’infrastruttura da realizzare e costo della progettazione dell’opera pubblica) non previste dalla normativa sopra richiamata.

Con il ricorso in esame -come sopra esposto- sono state nella sostanza contestate la modalità di determinazione da parte del Comune di Montesilvano della monetizzazione degli standard.
...
Con la deliberazione impugnata il Consiglio comunale di Montesilvano ha nella sostanza determinato in via generale i criteri per la monetizzazione degli standard, integrando e modificando la precedente propria deliberazione consiliare n. 3 del 29.01.2013, nei termini seguenti: ha ritenuto che tale monetizzazione avrebbe dovuto essere determinata aggiungendo al costo per l’acquisizione delle aree (determinato in € 109/mq) -da moltiplicarsi per un coefficiente correttivo rapportato all’indice di fabbricabilità territoriale- anche i seguenti costi:
a) il costo dell’infrastruttura da realizzare (pari a € 96,90/mq);
b) il costo della progettazione dell’opera pubblica (pari a € 7,90/mq).
Con i primi due motivi di ricorso -che possono esaminarsi congiuntamente- la società ricorrente ha dedotto che con la previsione di tali due voci aggiuntive per un verso si era violata L.R. Abruzzo 15.10.2012, n. 49, in quanto tale normativa concede ai soggetti l’alternativa tra la cessione delle aree e l’equivalente valore monetario, e per altro verso si era violato l’art. 23 della Costituzione, dato che era stato imposto un ulteriore contributo di urbanizzazione non previsto da alcuna norma di legge.
Tali doglianze, aventi carattere pregiudiziale ed assorbente, sono fondate.
Va al riguardo premesso che relativamente all’impugnativa di tale atto generale, avente natura discrezionale, sussiste di certo la giurisdizione di questo Tribunale, dal momento che la posizione giuridica soggettiva del privato ha l’indubbia consistenza dell’interesse legittimo.
Mentre -come è già stato autorevolmente precisato (Cons. St., sez. IV, 23.12.2013 n. 6211)- non si può utilizzare in questa sede lo strumento dell’azione di accertamento per la monetizzazione sostitutiva della cessione degli standard, ammessa al contrario solo per contestare la legittimità del contributo concessorio di cui all'art. 3 della L. 28.01.1977, n. 10. Si è, invero, al riguardo già chiarito che “mentre il pagamento degli oneri di urbanizzazione si risolve in un contributo per la realizzazione delle opere stesse, senza che insorga un vincolo di scopo in relazione alla zona in cui è inserita l’area interessata all’imminente trasformazione edilizia, la monetizzazione sostitutiva della cessione degli standard afferisce al reperimento delle aree necessarie alla realizzazione delle opere di urbanizzazione secondaria all’interno della specifica zona di intervento; e ciò vale ad evidenziare la diversità ontologica della monetizzazione rispetto al contributo di concessione di talché, sotto il versante processuale, non si può utilizzare lo strumento dell’azione di accertamento per determinare l’importo di tale obbligazione pecuniaria".
Ciò chiarito, va evidenziato che la norma regionale sopra ricordata impone al richiedente il titolo edilizio di reperire gli standard necessari per l’ampliamento aggiuntivo richiesto. In via alternativa, lo stesso richiedente può provvedere alla monetizzazione degli standard mediante pagamento “di una somma commisurata al costo di acquisizione di altre aree equivalenti per estensione e comparabili per ubicazione e destinazione a quelle per le quali sussiste l’obbligo di cessione”.
In estrema sintesi, in base alla norma in questione il richiedente il titolo edilizio o trasferisce al Comune le aree necessarie per il soddisfacimento degli standard o consegna una somma di danaro idonea per acquisire tali aree: tale monetizzazione va, cioè, necessariamente quantificata con riferimento “al costo di acquisizione” di aree equivalenti.
Nella determinazione delle somme da corrispondere per tale monetizzazione, cioè, il Comune deve fare specifico riferimento alle somme occorrenti per “acquisire” le aree necessarie per realizzare gli standard, cioè deve effettuare un calcolo puntuale ed articolato di quanto dovrebbe in concreto spendere per acquisire al suo patrimonio le aree necessarie, comprensive, ad esempio, di tutte le spese (cioè sia delle spese vive, che dell’attività lavorativa del personale del Comune) per acquisire sul libero mercato delle aree “equivalenti per estensione e comparabili per ubicazione e destinazione a quelle per le quali sussiste l’obbligo di cessione”.
In definiva, nella quantificazione di tale monetizzazione il Comune deve effettuare in concreto (e non in astratto come sembra abbia fatto nel caso in esame) un calcolo preciso di tutte le spese che dovrebbe sopportare per acquisire sul libero mercato delle aree “equivalenti”, in modo tale da rendere nella sostanza equivalente per il soggetto interessato la scelta tra il procedere alla diretta acquisizione delle aree ed la loro cessione al Comune o il procedere al pagamento della relativa “monetizzazione”, dato che eventuali costi aggiuntivi non debbono e non possono in alcun modo gravare sulla collettività, ma debbono essere posti necessariamente a carico del soggetto che altera il corretto rispetto degli standard.
Mentre non può di certo ritenersi ammissibile al riguardo la possibilità per il Comune di quantificare tali costi ipotizzando il ricorso per l’acquisizione di tale aree allo strumento espropriativo, dato che i soggetti proprietari di tali aree, eventualmente da espropriare, non possono in alcun modo subire una lesione dei loro intessi in relazione ad un’attività costruttiva realizzata da soggetti terzi per soddisfare interessi privati e non pubblici. Non può quindi ritenersi che, in via alternativa, il Comune possa considerare le spese necessarie per acquisire le aree necessarie non sul libero mercato, ma attraverso lo strumento pubblicistico dell’esproprio.
Ciò detto, sembra evidente l’erroneità del procedimento logico seguito nel caso di specie dal Comune e denunciato con il gravame, dato che l’Amministrazione ha determinato “in astratto” il valore delle aree (quantificandole in una somma di poco superiore alle € 100 al mq., senza previamente accertare i valori di mercato nella zona), maggiorandola di somme (costo dell’infrastruttura da realizzare e costo della progettazione dell’opera pubblica) non previste dalla normativa sopra richiamata.
Alla luce delle suesposte considerazioni il ricorso in esame deve, conseguentemente, essere accolto e, per l’effetto, deve essere annullato nella sua totalità l’atto impugnato, data l’erroneità dell’intero procedimento logico seguito dal Comune per procedere alla monetizzazione in parola. Mentre restano al riguardo ovviamente salvi gli ulteriori provvedimenti che l’Amministrazione andrà ad adottare in merito, attenendosi ai criteri sopra indicati.
Con riferimento a quanto sopra esposto ed a quanto al riguardo chiarito dal Giudice di appello (Cons. St., sez. IV, 23.12.2013 n. 6211), vanno infine dichiarate inammissibili le richieste di rideterminazione da parte di questo Tribunale del corrispettivo dovuto per la mancata cessione delle aree di standard e l’accertamento del diritto della ricorrente alla restituzione delle somme non dovute indebitamente versate a titolo di monetizzazione; mentre resta assorbita l’ultima della doglianze dedotte, che presuppone la legittimità dell’atto deliberativo in questione (TAR Abruzzo-Pescara, sentenza 15.07.2014 n. 346 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La Corte costituzionale ha affermato "che, invero, gli oneri di concessione potrebbero, in teoria, essere ancorati alle tariffe vigenti, alternativamente, al momento in cui l'abuso è iniziato, al momento in cui l'immobile abusivo è completato, al momento dell'entrata in vigore della normativa statale sul condono, al momento dell'entrata in vigore della normativa regionale sul condono, al momento in cui è stata effettuata la richiesta di condono o, infine, al momento del perfezionamento del procedimento di sanatoria” e “che, in tale contesto di pluralità di soluzioni, la scelta del legislatore regionale di privilegiare l'interesse pubblico all'adeguatezza della contribuzione ai costi reali da sostenere rispetto a quello, ad esso antitetico, del cittadino alla sua piena previsione dei costi al momento della formazione del consenso -ugualmente meritevole di protezione- sembra essere il frutto di una scelta discrezionale implicante un bilanciamento di interessi che può solo essere effettuato dal legislatore”.
Sulla scorta di tali parametri, è quindi del tutto coerente il richiamo a una giurisprudenza amministrativa che afferma che l’obbligazione di pagamento degli oneri concessori sorge con il rilascio della concessione edilizia e la giurisprudenza è concorde nel ritenere che la determinazione del contributo dovuto per gli oneri in questione debba essere riferita al momento in cui sorge l’obbligazione, dove si prosegue affermando che “in tale contesto, il considerevole lasso di tempo decorso tra la presentazione della domanda di sanatoria ed il rilascio della concessione non può essere utilmente valorizzato nell’ottica della individuazione di decorrenze del termine per la formazione del silenzio-assenso (e, così, del decorso della prescrizione) diverse da quelle normativamente indicate né per sollecitare una non meglio specificata ‘giusta mediazione’ che tenga conto delle tariffe eventualmente più favorevoli esistenti all’epoca della presentazione della domanda di sanatoria (quanto a quelle vigenti al momento di realizzazione dell’opera abusiva, lo stesso ricorrente riconosce che sarebbe ingiusto agevolare il responsabile)”.
Occorre peraltro evidenziare come appaia ardua l’omologazione tra l’obbligazione nascente dal rilascio del titolo abilitativo in via ordinaria e quella derivante dalla sua adozione in sanatoria, come espressamente notato dalla giurisprudenza.
Si è così affermato che “I contributi di cui all’articolo 11 della L. 10/1977, ed all’art. 1 della L.R. 71/1978, a differenza di altre fattispecie normative, non vengono determinati in via dichiaratamente provvisoria al momento della domanda dell’interessato e quindi non sono necessariamente richiesti salvo conguaglio, come ad esempio nella fattispecie della domanda di concessione in sanatoria (art. 35 L. 47/1995).
La determinazione dei contributi de quibus è stato infatti collocato temporalmente dal legislatore al termine di un lungo e complesso procedimento che ha alla base una espressa dettagliata e circostanziale domanda del privato, cui fa seguito una complessa istruttoria da parte dell’Amministrazione nel corso della quale l’Amministrazione stessa può chiedere all’interessato tutti i chiarimenti e gli ulteriori elementi di cui abbia bisogno.
Il momento del rilascio della concessione non è quindi equiparabile sotto nessun profilo al momento della domanda di concessione in sanatoria.
In quest’ultimo caso l’Amministrazione si trova di fronte ad una attività già posta in essere dal richiedente e ad una richiesta di legittimazione a posteriori di tale attività e non può quindi che riservarsi ad un momento futuro il controllo sulla corrispondenza tra il fatto compiuto e la domanda.
Del tutto diversa è la situazione della concessione in via ordinaria in cui si tratta di legittimare una attività allo stato ancora inesistente ed in cui l’Amministrazione, prima di rimuovere l’ostacolo a tale attività, ha il potere ed il dovere di verifica e di accertamento sotto ogni profilo della legittimità della richiesta del privato.”
Sulla scorta di tale ontologica differenza, la posizione più recente della Sezione è andata nel senso di escludere un automatismo nell’adeguamento temporale alle tariffe successive. Si è allora detto che la determinazione del contributo di concessione in sanatoria, in adesione al consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui “ai sensi dell'art. 37 l. 28.02.1985 n. 47 e dell'art. 3 l. 28.01.1977 n. 10, la determinazione del contributo di concessione in sanatoria deve effettuarsi con riferimento alle tariffe vigenti al momento della domanda, risultando irrilevante la verifica della regolare formazione del silenzio–assenso sulla relativa domanda.”
A tale impostazione si è attenuto il primo giudice, espressamente evidenziando come “nel caso di condono edilizio, gli oneri di concessione vanno rapportati al momento di ultimazione dell’opera e della presentazione della domanda di sanatoria, e non al momento del rilascio del titolo concessorio”.
Le ragioni così espresse vanno anche in questa sede valorizzate, in quanto coerenti con le differenti funzioni delle obbligazioni collegate al rilascio, in via ordinaria o di sanatoria, del titolo abilitativo e legate alla posizione rispettiva delle parti, anche per valorizzare la prevedibilità degli oneri connessi all’edificazione.

Con un unico motivo di diritto, il Comune appellante lamenta violazione o falsa applicazione dell’art. 37 della legge n. 47 del 1985 e del principio di corrispondenza tra oneri di urbanizzazione e carico urbanistico indotto dall’edificazione.
Premesso che la giurisprudenza amministrativa ha avuto modo di evidenziare che sulla questione della definizione del momento cui ancorare la determinazione degli oneri di concessione non è ravvisabile un orientamento interpretativo consolidato da cui possa ricavarsi un principio fondamentale della legislazione statale secondo cui gli oneri stessi debbano essere determinati con riferimento alle tariffe vigenti alla data di entrata in vigore della legge di sanatoria, il Comune evidenzia come rispetto alla pluralità di soluzioni possibili non può non tenersi in considerazione l'interesse pubblico all'adeguatezza della contribuzione ai costi reali da sostenere rispetto a quello, a esso antitetico, del cittadino alla sua piena previsione dei costi al momento della formazione del consenso alla realizzazione dell’opera, facendo quindi prevalere la disciplina esistente in tale momento.
La censura non può essere accolta.
La posizione teorica espressa dal Comune ha sicuramente un suo fondamento, anche in relazione alla valutazione operata dal giudice delle leggi sulla situazione in esame. Infatti, la Corte costituzionale ha affermato (sentenza 17.03.2010 n. 105) “che, invero, gli oneri di concessione potrebbero, in teoria, essere ancorati alle tariffe vigenti, alternativamente, al momento in cui l'abuso è iniziato, al momento in cui l'immobile abusivo è completato, al momento dell'entrata in vigore della normativa statale sul condono, al momento dell'entrata in vigore della normativa regionale sul condono, al momento in cui è stata effettuata la richiesta di condono o, infine, al momento del perfezionamento del procedimento di sanatoria” e “che, in tale contesto di pluralità di soluzioni, la scelta del legislatore regionale di privilegiare l'interesse pubblico all'adeguatezza della contribuzione ai costi reali da sostenere rispetto a quello, ad esso antitetico, del cittadino alla sua piena previsione dei costi al momento della formazione del consenso -ugualmente meritevole di protezione- sembra essere il frutto di una scelta discrezionale implicante un bilanciamento di interessi che può solo essere effettuato dal legislatore”.
Sulla scorta di tali parametri, è quindi del tutto coerente il richiamo a una giurisprudenza amministrativa che afferma (Consiglio di Stato, Sez. IV, 24.05.2011, n. 3116) che l’obbligazione di pagamento degli oneri concessori sorge con il rilascio della concessione edilizia e la giurisprudenza è concorde nel ritenere che la determinazione del contributo dovuto per gli oneri in questione debba essere riferita al momento in cui sorge l’obbligazione, dove si prosegue affermando che “in tale contesto, il considerevole lasso di tempo decorso tra la presentazione della domanda di sanatoria ed il rilascio della concessione non può essere utilmente valorizzato nell’ottica della individuazione di decorrenze del termine per la formazione del silenzio-assenso (e, così, del decorso della prescrizione) diverse da quelle normativamente indicate né per sollecitare una non meglio specificata ‘giusta mediazione’ che tenga conto delle tariffe eventualmente più favorevoli esistenti all’epoca della presentazione della domanda di sanatoria (quanto a quelle vigenti al momento di realizzazione dell’opera abusiva, lo stesso ricorrente riconosce che sarebbe ingiusto agevolare il responsabile)”.
Occorre peraltro evidenziare come appaia ardua l’omologazione tra l’obbligazione nascente dal rilascio del titolo abilitativo in via ordinaria e quella derivante dalla sua adozione in sanatoria, come espressamente notato dalla giurisprudenza. Si è così affermato (da ultimo, CGARS, 27.05.2008 n. 466) che “I contributi di cui all’articolo 11 della L. 10/1977, ed all’art. 1 della L.R. 71/1978, a differenza di altre fattispecie normative, non vengono determinati in via dichiaratamente provvisoria al momento della domanda dell’interessato e quindi non sono necessariamente richiesti salvo conguaglio, come ad esempio nella fattispecie della domanda di concessione in sanatoria (art. 35 L. 47/1995).
La determinazione dei contributi de quibus è stato infatti collocato temporalmente dal legislatore al termine di un lungo e complesso procedimento che ha alla base una espressa dettagliata e circostanziale domanda del privato, cui fa seguito una complessa istruttoria da parte dell’Amministrazione nel corso della quale l’Amministrazione stessa può chiedere all’interessato tutti i chiarimenti e gli ulteriori elementi di cui abbia bisogno.
Il momento del rilascio della concessione non è quindi equiparabile sotto nessun profilo al momento della domanda di concessione in sanatoria.
In quest’ultimo caso l’Amministrazione si trova di fronte ad una attività già posta in essere dal richiedente e ad una richiesta di legittimazione a posteriori di tale attività e non può quindi che riservarsi ad un momento futuro il controllo sulla corrispondenza tra il fatto compiuto e la domanda.
Del tutto diversa è la situazione della concessione in via ordinaria in cui si tratta di legittimare una attività allo stato ancora inesistente ed in cui l’Amministrazione, prima di rimuovere l’ostacolo a tale attività, ha il potere ed il dovere di verifica e di accertamento sotto ogni profilo della legittimità della richiesta del privato
.”
Sulla scorta di tale ontologica differenza, la posizione più recente della Sezione è andata nel senso di escludere un automatismo nell’adeguamento temporale alle tariffe successive. Si è allora detto (Consiglio di Stato, sez. IV, 03.10.2012 n. 5201) che la determinazione del contributo di concessione in sanatoria, in adesione al consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui “ai sensi dell'art. 37 l. 28.02.1985 n. 47 e dell'art. 3 l. 28.01.1977 n. 10, la determinazione del contributo di concessione in sanatoria deve effettuarsi con riferimento alle tariffe vigenti al momento della domanda, risultando irrilevante la verifica della regolare formazione del silenzio–assenso sulla relativa domanda.”
A tale impostazione si è attenuto il primo giudice, espressamente evidenziando come “nel caso di condono edilizio, gli oneri di concessione vanno rapportati al momento di ultimazione dell’opera e della presentazione della domanda di sanatoria, e non al momento del rilascio del titolo concessorio”.
Le ragioni così espresse vanno anche in questa sede valorizzate, in quanto coerenti con le differenti funzioni delle obbligazioni collegate al rilascio, in via ordinaria o di sanatoria, del titolo abilitativo e legate alla posizione rispettiva delle parti, anche per valorizzare la prevedibilità degli oneri connessi all’edificazione (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 07.07.2014 n. 3425 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

giugno 2014

EDILIZIA PRIVATA: Maggiorazione costo di costruzione di cui all’art. 16, comma 3, del D.P.R. n. 380/2001 a’ sensi dell’art. 5, comma 10, della L.R. 28.11.2014 n. 31.
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Per quei comuni che non avessero ancora provveduto a deliberare, ecco un fac-simile di testo liberamente modificabile.

maggio 2014

EDILIZIA PRIVATA: Se è vero che l’obbligo giuridico del titolare di una concessione edilizia di corrispondere il contributo ai sensi della l. n. 10/1977 è rappresentato dal rilascio della concessione edilizia medesima, sicché a tale momento occorre avere riguardo per la determinazione dell’entità del contributo, è anche vero che laddove il rilascio del titolo sia artatamente differito nel tempo senza alcuna motivazione, al solo fine di far ricadere l’atto nella più onerosa regolamentazione del contributo di concessione -medio termine intervenuta ad opera dello stesso ente tenuto al rilascio del titolo- principi di correttezza, trasparenza ed imparzialità impongono che di tale disciplina sopravvenuta non si debba tenere conto.
Invero, in presenza di un affidamento giuridicamente tutelabile correlato alla comunicazione del provvedimento recante la liquidazione dell’importo definitivo degli oneri stessi, senza nemmeno una previsione di provvisorietà, il rapporto tra le parti deve ritenersi definito, restando puro atto formale il rilascio materiale del titolo (concessione edilizia).
Dirimente è la mancanza del generale richiamo nella quantificazione degli oneri di una previsione espressa di provvisorietà, che consente, in applicazione dei canoni ermeneutici, di ritenere definitivo l’impegno delle parti riferito alla somma dovuta per gli oneri di urbanizzazione, inizialmente fissata.
Ne consegue che nella situazione di cui si discute, caratterizzata da un procedimento protrattosi nel tempo per meri ritardi dell’amministrazione, conclusosi a distanza di circa cinque anni dalla presentazione della domanda, ove il rilascio della concessione venga ancor più ritardata e senza alcuna valida ragione al solo scopo di consentire la richiesta di un ben più elevato contributo di concessione, non può ritenersi legittima la richiesta del maggiore importo per effetto dell’applicazione retroattiva di una disposizione innovativa del sistema previgente.
E’, infatti, indubbio che, nel caso in esame, la nuova disciplina è intervenuta allorquando il procedimento era concluso in tutti i suoi aspetti, sia per quanto riguarda l’aspetto tecnico-urbanistico della pratica, sia per quanto concerne la determinazione degli oneri e il relativo pagamento.

L’appello è fondato e deve essere accolto.
La fattispecie all’esame presenta delle peculiarità che consentono di ritenere il ricorso fondato sul primo assorbente motivo.
Se è vero, infatti, come affermato nell’impugnata sentenza, che l’obbligo giuridico del titolare di una concessione edilizia di corrispondere il contributo ai sensi della l. n. 10/1977 è rappresentato dal rilascio della concessione edilizia medesima, sicché a tale momento occorre avere riguardo per la determinazione dell’entità del contributo, è anche vero che laddove il rilascio del titolo sia artatamente differito nel tempo senza alcuna motivazione, al solo fine di far ricadere l’atto nella più onerosa regolamentazione del contributo di concessione -medio termine intervenuta ad opera dello stesso ente tenuto al rilascio del titolo- principi di correttezza, trasparenza ed imparzialità impongono che di tale disciplina sopravvenuta non si debba tenere conto.
Invero, in presenza di un affidamento giuridicamente tutelabile correlato alla comunicazione del provvedimento recante la liquidazione dell’importo definitivo degli oneri stessi, senza nemmeno una previsione di provvisorietà, il rapporto tra le parti deve ritenersi definito, restando puro atto formale il rilascio materiale del titolo (concessione edilizia).
Dirimente è la mancanza del generale richiamo nella quantificazione degli oneri di una previsione espressa di provvisorietà, che consente, in applicazione dei canoni ermeneutici, di ritenere definitivo l’impegno delle parti riferito alla somma dovuta per gli oneri di urbanizzazione, inizialmente fissata.
Ne consegue che nella situazione di cui si discute, caratterizzata da un procedimento protrattosi nel tempo per meri ritardi dell’amministrazione, conclusosi a distanza di circa cinque anni dalla presentazione della domanda, ove il rilascio della concessione venga ancor più ritardata e senza alcuna valida ragione al solo scopo di consentire la richiesta di un ben più elevato contributo di concessione, non può ritenersi legittima la richiesta del maggiore importo per effetto dell’applicazione retroattiva di una disposizione innovativa del sistema previgente.
E’, infatti, indubbio che, nel caso in esame, la nuova disciplina è intervenuta allorquando il procedimento era concluso in tutti i suoi aspetti, sia per quanto riguarda l’aspetto tecnico-urbanistico della pratica, sia per quanto concerne la determinazione degli oneri e il relativo pagamento.
Quanto alla circostanza evidenziata in sentenza che il Comune può sempre intervenire modificando gli oneri e chiedendo integrazioni, non è significativa nella presente controversia, in cui non vi sono stati errori nei conteggi o errori nella iniziale fissazione degli importi per oneri di urbanizzazione, ma si controverte della applicazione retroattiva della nuova determinazione degli oneri, malgrado il procedimento di rilascio della concessione edilizia si fosse già perfezionato in vigenza della precedente disciplina (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 13.05.2014 n. 2434 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Differenza tra costo di costruzione e oneri di urbanizzazione.
In merito al costo di costruzione, preme rammentare che, secondo l’attuale sistema normativo (art. 16 del DPR 380/2001 che ricalca l’art. 6 della legge 10/1977, il costo di costruzione costituisce una prestazione patrimoniale di natura sostanzialmente paratributaria, essendo volta a colpire l’incremento di ricchezza derivante dall’attività edilizia svolta, a differenza degli oneri di urbanizzazione, che attengono invece all’incremento del carico urbanistico.
In merito al costo di costruzione, preme rammentare che, secondo l’attuale sistema normativo (art. 16 del DPR 380/2001 che ricalca l’art. 6 della legge 10/1977 e l’art. 48 della legge regionale della Lombardia n. 12/2005), il costo di costruzione costituisce una prestazione patrimoniale di natura sostanzialmente paratributaria, essendo volta a colpire l’incremento di ricchezza derivante dall’attività edilizia svolta, a differenza degli oneri di urbanizzazione, che attengono invece all’incremento del carico urbanistico (così, fra le tante, le sentenze del Consiglio di Stato, sez. IV, n. 6160 e 6161 del 2013, docc. 16 e 17 della ricorrente, di cui si tratterà più diffusamente nel prosieguo, oltre a TAR Sicilia, Catania, sez. I, 19.09.2013, n. 2249).
In altri termini, come del resto indicato espressamente nelle citate decisioni del giudice amministrativo d’appello, il costo di costruzione è dovuto in relazione ai “vantaggi economici”, connessi alla trasformazione edilizia (massima tratta da www.lexambiente.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 13.05.2014 n. 1248 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La rideterminazione del contributo sul costo di costruzione effettuata dal Comune il 17.10.2013, a oltre quattro anni dal rilascio del permesso di costruire (13.07.2009), corrisponde al ristabilimento dell’esatto contenuto di un’obbligazione di diritto pubblico. L’esigenza di rimediare a un precedente errore di diritto (applicazione della normativa regolamentare non più in vigore) giustifica l’intervento in autotutela.
Le ragioni di interesse pubblico sono implicite nel recupero di un importo dovuto ex lege, a maggior ragione nel caso del contributo sul costo di costruzione, che può essere assimilato a un tributo locale e fuoriesce, come si è visto sopra, da logiche di compensazione.
Poiché ai contributi concessori si applica l’ordinario termine di prescrizione decennale, decorrente in mancanza di altri elementi dalla data di rilascio del titolo edilizio, la richiesta di conguaglio risulta legittima.
L’affidamento del privato può trovare tutela solo in via gradata, nella forma della rateizzazione del debito, qualora l’esborso immediato dell’intero non sia economicamente sostenibile.

(i) la rideterminazione del contributo sul costo di costruzione effettuata dal Comune il 17.10.2013, a oltre quattro anni dal rilascio del permesso di costruire (13.07.2009), corrisponde al ristabilimento dell’esatto contenuto di un’obbligazione di diritto pubblico. L’esigenza di rimediare a un precedente errore di diritto (applicazione della normativa regolamentare non più in vigore) giustifica l’intervento in autotutela.
Le ragioni di interesse pubblico sono implicite nel recupero di un importo dovuto ex lege, a maggior ragione nel caso del contributo sul costo di costruzione, che può essere assimilato a un tributo locale e fuoriesce, come si è visto sopra, da logiche di compensazione.
Poiché ai contributi concessori si applica l’ordinario termine di prescrizione decennale, decorrente in mancanza di altri elementi dalla data di rilascio del titolo edilizio (v. CS Sez. VI 31.05.2013 n. 2996), la richiesta di conguaglio risulta legittima. L’affidamento del privato può trovare tutela solo in via gradata, nella forma della rateizzazione del debito, qualora l’esborso immediato dell’intero non sia economicamente sostenibile (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 03.05.2014 n. 464 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

aprile 2014

EDILIZIA PRIVATA: Le controversie in tema di determinazione e quantificazione degli oneri concessori sono relative ad atti paritetici adottati dalla Pubblica amministrazione ed ineriscono diritti soggettivi di natura patrimoniale, per cui alcuna decadenza può ritenersi maturata per effetto della mancata contestazione dell’atto con cui a suo tempo gli oneri sono stati indicati come dovuti.
Inoltre deve escludersi che l’intervenuto pagamento dei contributi connessi al rilascio di un permesso di costruire possa costituire in qualche modo acquiescenza sulla debenza delle relative somme, precludendone la tutela giurisdizionale contro gli atti relativi.
Va difatti osservato al riguardo che il pagamento delle predette somme non denota l’univoca intenzione di rinunciare a contestare la loro liquidazione, né a richiederne il rimborso, in tutto o in parte, dovendo esso piuttosto essere considerato quale espressione della connaturale esigenza dell’attività imprenditoriale edilizia di dare avvio, senza indugi, alla realizzazione dell’opera progettata. Oltretutto è da considerare che il pagamento senza riserva del contributo urbanistico non può comportare acquiescenza rispetto all’atto di liquidazione, dal momento che il permesso di costruire non può essere rilasciato ove non ne sia stato effettuato il versamento.

Con l’ordinanza ingiunzione n. 11 del 2.01.2006 oggetto di contestazione il Comune di Telese, ha ingiunto alla ricorrente, per il rilascio in suo favore della concessione edilizia n. 32 dell’11.04.1995, il pagamento della complessiva somma di euro 97.893,05 cosi determinata: euro 39.698,32 quale importo dovuto a titolo di “oneri di costruzione”, euro 39.698,32 quale maggiorazione per sanzioni, euro 18.486,91 per interessi di mora, ed euro 9,50 per spese postali.
E’ da precisare che la Concessione edilizia n. 32 citata quantificava il contributo dovuto per oneri di urbanizzazione nella misura di lire 50.897.870, dando atto dell’intervenuto versamento della prima rata di lire 5.897.870, e si riservava di applicare il contributo relativo agli oneri di costruzione di cui all’art 6 della legge n. 10/1977.
Preliminarmente non può accedersi all’eccezione sollevata dal Comune secondo cui la società ricorrente, avendo ottemperato al versamento della prima rata degli oneri di urbanizzazione, avrebbe riconosciuto di essere obbligata agli esborsi per cui è causa e per tale ragione sarebbe privata della legittimazione a contestarne la debenza.
Si è innanzi chiarito che le controversie in tema di determinazione e quantificazione degli oneri concessori sono relative ad atti paritetici adottati dalla Pubblica amministrazione ed ineriscono diritti soggettivi di natura patrimoniale, per cui alcuna decadenza può ritenersi maturata per effetto della mancata contestazione dell’atto con cui a suo tempo gli oneri sono stati indicati come dovuti.
Inoltre deve escludersi che l’intervenuto pagamento dei contributi connessi al rilascio di un permesso di costruire possa costituire in qualche modo acquiescenza sulla debenza delle relative somme, precludendone la tutela giurisdizionale contro gli atti relativi.
Va difatti osservato al riguardo che il pagamento delle predette somme non denota l’univoca intenzione di rinunciare a contestare la loro liquidazione, né a richiederne il rimborso, in tutto o in parte, dovendo esso piuttosto essere considerato quale espressione della connaturale esigenza dell’attività imprenditoriale edilizia di dare avvio, senza indugi, alla realizzazione dell’opera progettata. Oltretutto è da considerare che il pagamento senza riserva del contributo urbanistico non può comportare acquiescenza rispetto all’atto di liquidazione, dal momento che il permesso di costruire non può essere rilasciato ove non ne sia stato effettuato il versamento (Tar Lazio Roma sez. II 17.05.2005 n. 3488; Cons. St. sez. V 26.03.1996 n. 296; Cons. St. sez. V 26.03.1996 n. 296)
(TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, sentenza 16.04.2014 n. 2170 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Per il credito circa la quota afferente il costo di costruzione vige il termine ordinario di prescrizione decennale di cui all’art. 2946 c.c., che, ai sensi dell’art. 2936 c.c. comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere.
Quanto al dies a quo di decorrenza del termine prescrizionale in esame si osserva che una parte della giurisprudenza di merito sostiene che il diritto alla corresponsione della quota parte degli oneri relativi al contributo di costruzione può essere fatto valere dal Comune, in caso di inadempimento, una volta che siano decorsi sessanta giorni dalla data di ultimazione dei lavori. Ciò in quanto l’art. 16, comma 3, stabilisce che la quota di contributo relativa al costo si costruzione è corrisposta in corso d’opera e comunque non oltre sessanta giorni dall’ultimazione della costruzione.
Sicché si sostiene che è da questa data, o da quella successiva in cui l’opera è stata effettivamente ultimata, e non prima, che il diritto di credito diventa esigibile ed il Comune può farlo valere ed azionarlo legittimamente nei confronti del soggetto obbligato.
D’altra parte si è affermato che, poiché in base all'art. 11, l. 28.01.1977 n. 10 la quota del contributo relativo al costo di costruzione deve essere determinata all'atto del rilascio della concessione edilizia, il rilascio della concessione coincide con il momento in cui sorge l'obbligazione contributiva. Ed infatti, la disposizione dell'art. 11 della legge n. 10 del 1977, in tema di "Versamento del contributo afferente alla concessione", stabilisce che: "La quota di contributo di cui al precedente articolo 6 è determinata all'atto del rilascio della concessione ed è corrisposta in corso d'opera con le modalità e le garanzie stabilite dal comune e, comunque, non oltre sessanta giorni dalla ultimazione delle opere".
Da tale norma si desume, invero, che il fatto costitutivo dell'obbligo giuridico del titolare della concessione edilizia, di versare il contributo previsto, è rappresentato dal rilascio della concessione medesima, ed è a tale momento, quindi, che occorre aver riguardo per la determinazione dell'entità del contributo, divenendo il relativo credito certo, liquido o agevolmente liquidabile ed esigibile.
Sulla base di tale orientamento alcun rilievo può assumere la circostanza che il Comune sia sia espressamente riservato la facoltà di stabilire modalità e garanzie per il pagamento del contributo, atteso che l'atto di imposizione non ha carattere autoritativo ma si risolve in un mero atto ricognitivo e contabile, applicativo di precedenti provvedimenti di carattere generale, e la sua mancata tempestiva adozione non implica alcun potere dell'Amministrazione di differire il suo diritto di credito, configurandosi piuttosto come mancato esercizio del diritto stesso, idoneo a far decorrere il periodo di prescrizione.

A diverse conclusioni deve pervenirsi quanto all’eccezione di prescrizione ordinaria del credito azionato dall’amministrazione con l’ordinanza ingiunzione in questione avente ad oggetto la corresponsione del contributo di costruzione.
Si è innanzi anticipato che, nella determinazione delle somme dovute a titolo di oneri concessori, l’amministrazione non esercita poteri autoritativi discrezionali ma compie attività di mero accertamento della fattispecie in base ai parametri fissati da leggi e da regolamenti, per cui le relative controversie rientrano nella categoria di quelle aventi ad oggetto atti paritetici, inerenti diritti soggettivi (Cons. St. Sez., sez. V, 17.10.2002, n. 5678).
Per il credito in questione vige pertanto il termine ordinario di prescrizione decennale di cui all’art. 2946 c.c., che, ai sensi dell’art. 2936 c.c. comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere.
Quanto al dies a quo di decorrenza del termine prescrizionale in esame si osserva che una parte della giurisprudenza di merito sostiene che il diritto alla corresponsione della quota parte degli oneri relativi al contributo di costruzione può essere fatto valere dal Comune, in caso di inadempimento, una volta che siano decorsi sessanta giorni dalla data di ultimazione dei lavori. Ciò in quanto l’art. 16, comma 3, stabilisce che la quota di contributo relativa al costo si costruzione è corrisposta in corso d’opera e comunque non oltre sessanta giorni dall’ultimazione della costruzione.
Sicché si sostiene che è da questa data, o da quella successiva in cui l’opera è stata effettivamente ultimata, e non prima, che il diritto di credito diventa esigibile ed il Comune può farlo valere ed azionarlo legittimamente nei confronti del soggetto obbligato (TAR Potenza Basilicata sez. I, 08.03.2013 n. 126; TAR Catanzaro Calabria sez. I 14.04.2011 n. 522; TAR Cagliari Sardegna sez. II 14.01.2008 n. 9; Tar Napoli Campania sez. II 11.07.2006 n. 7392; Tar Perugia Umbria 23.06.2003 n. 512).
D’altra parte si è affermato che, poiché in base all'art. 11, l. 28.01.1977 n. 10 la quota del contributo relativo al
costo di costruzione deve essere determinata all'atto del rilascio della concessione edilizia, il rilascio della concessione coincide con il momento in cui sorge l'obbligazione contributiva. Ed infatti, la disposizione dell'art. 11 della legge n. 10 del 1977, in tema di "Versamento del contributo afferente alla concessione", stabilisce che: "La quota di contributo di cui al precedente articolo 6 è determinata all'atto del rilascio della concessione ed è corrisposta in corso d'opera con le modalità e le garanzie stabilite dal comune e, comunque, non oltre sessanta giorni dalla ultimazione delle opere".
Da tale norma si desume, invero, che il fatto costitutivo dell'obbligo giuridico del titolare della concessione edilizia, di versare il contributo previsto, è rappresentato dal rilascio della concessione medesima, ed è a tale momento, quindi, che occorre aver riguardo per la determinazione dell'entità del contributo, divenendo il relativo credito certo, liquido o agevolmente liquidabile ed esigibile (cfr. Cons. St. Sez. IV 06.06.2008, n. 2686 Consiglio Stato sez. V 13.06.2003 n. 3332; Consiglio Stato sez. IV 16.01.2009; TAR Catania Sicilia sez. I 02.10.2003 n. 1502).
Sulla base di tale orientamento alcun rilievo può assumere la circostanza che il Comune sia sia espressamente riservato la facoltà di stabilire modalità e garanzie per il pagamento del contributo, atteso che l'atto di imposizione non ha carattere autoritativo ma si risolve in un mero atto ricognitivo e contabile, applicativo di precedenti provvedimenti di carattere generale, e la sua mancata tempestiva adozione non implica alcun potere dell'Amministrazione di differire il suo diritto di credito, configurandosi piuttosto come mancato esercizio del diritto stesso, idoneo a far decorrere il periodo di prescrizione
(TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, sentenza 16.04.2014 n. 2170 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Quanto alla natura degli oneri concessori, la prevalente giurisprudenza, condivisa da questo Collegio, in un primo momento solo con riguardo agli oneri di urbanizzazione, e più di recente anche con riferimento al costo di costruzione, ne ha affermato la natura di obbligazioni c.d. “reali” o propter rem caratterizzate pertanto dalla stretta inerenza alla res e destinate a circolare unitamente ad essa per il carattere dell’ambulatorietà che le contraddistingue.
Sulla base di tali argomentazioni la Cassazione ha difatti affermato che l'obbligazione del pagamento degli oneri di urbanizzazione è un’obbligazione propter rem, e che colui che realizza opere di trasformazione edilizia ed urbanistica, valendosi di concessione rilasciata al suo dante causa, ha verso il Comune gli stessi obblighi che gravano sull'originario concessionario ed è con lui solidalmente obbligato per il pagamento degli oneri di urbanizzazione.
Anche il giudice amministrativo, in relazione all’obbligazione assunta di provvedere alla realizzazione delle opere di urbanizzazione, ha chiarito che essa deve qualificarsi "propter rem" nel senso che essa va adempiuta non solo da colui che ha stipulato la convenzione edilizia, ma anche da colui, se soggetto diverso, che richiede la concessione edilizia e da colui che realizza opere di trasformazione edilizia ed urbanistica, valendosi della concessione edilizia rilasciata al suo dante causa. L’obbligazione in solido per il pagamento degli oneri di urbanizzazione e la natura reale dell'obbligazione in esame riguarda dunque i soggetti che stipulano la convenzione, quelli che richiedono la concessione, e quelli che realizzano l'edificazione, ed i loro aventi causa.
Le argomentazioni addotte a sostegno della qualificazione come obbligazioni propter rem degli oneri di urbanizzazione sono state poi estese anche agli oneri relativi al costo di costruzione nel senso che: “nulla vieta dal punto di vista logico prima che giuridico che alle identiche conclusioni debba pervenirsi in ordine alla parte del contributo commisurato al costo di costruzione; questo, infatti, in uno con gli oneri di urbanizzazione costituisce “il contributo” per il rilascio per permesso di costruire (già c.e.) con conseguente e doverosa disciplina unitaria ai fini che qui interessano delle due voci in cui si viene a scomporre".
Tale orientamento, che trova condivisione da parte di questo Collegio, ha trovato riscontro da ultimo in una più recente decisione del Consiglio di Stato secondo cui il presupposto di esigibilità dell’onere relativo al costo di costruzione non risiede solo nella materiale esecuzione delle opere ma anche nella concreta fruizione del titolo e comunque: “le obbligazioni per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione vanno trattate alla stregua di oneri reali, ovvero di obbligazioni propter rem che circolano con il bene cui accedono, sicché nel caso di trasferimento del bene, esse gravano sull’acquirente”.
Trattasi in sostanza di obbligazioni connotate dall’inerenza alla cosa, anziché alla persona cui è rilasciato il permesso di costruire, sicché tutti coloro che partecipano alla costruzione e la utilizzano sono solidalmente obbligati verso il Comune al pagamento degli oneri in questione.

Sotto altro profilo nemmeno fondata può dirsi l’eccezione di carenza di legittimazione passiva sollevata dalla società ricorrente, argomentata sul presupposto che gli oneri sarebbero stati già assolti dalla società titolare della concessione edilizia originaria che aveva realizzato il fabbricato senza tuttavia portarlo a ultimazione, e che, a suo dire, sarebbe per questo l’unico soggetto legittimato passivo nei confronti dell’amministrazione intimata.
Al riguardo è da rilevare che la circostanza secondo cui gli oneri di costruzione in oggetto sarebbero stati assolti dalla società titolare della originaria concessione edilizia, è stata decisamente contestata in atti dal Comune, ed è restata così a livello di mera asserzione del tutto sfornita di prova.
A ciò deve aggiungersi che, quanto alla natura degli oneri concessori, la prevalente giurisprudenza, condivisa da questo Collegio, in un primo momento solo con riguardo agli oneri di urbanizzazione (Cassazione civile, sez. III, 17.06.1996, n. 5541), e più di recente anche con riferimento al costo di costruzione (TAR Bari Puglia, 11/09/2008, n. 2078, sez. III), ne ha affermato la natura di obbligazioni c.d. “reali” o propter rem caratterizzate pertanto dalla stretta inerenza alla res e destinate a circolare unitamente ad essa per il carattere dell’ambulatorietà che le contraddistingue.
Sulla base di tali argomentazioni la Cassazione ha difatti affermato che l'obbligazione del pagamento degli oneri di urbanizzazione è un’obbligazione propter rem, e che colui che realizza opere di trasformazione edilizia ed urbanistica, valendosi di concessione rilasciata al suo dante causa, ha verso il Comune gli stessi obblighi che gravano sull'originario concessionario ed è con lui solidalmente obbligato per il pagamento degli oneri di urbanizzazione (Cass. Civile Sez. III, 17.06.1996, n. 5541; Sez. II 27.08.2002, n. 12571).
Anche il giudice amministrativo, in relazione all’obbligazione assunta di provvedere alla realizzazione delle opere di urbanizzazione, ha chiarito che essa deve qualificarsi "propter rem" nel senso che essa va adempiuta non solo da colui che ha stipulato la convenzione edilizia, ma anche da colui, se soggetto diverso, che richiede la concessione edilizia e da colui che realizza opere di trasformazione edilizia ed urbanistica, valendosi della concessione edilizia rilasciata al suo dante causa. L’obbligazione in solido per il pagamento degli oneri di urbanizzazione e la natura reale dell'obbligazione in esame riguarda dunque i soggetti che stipulano la convenzione, quelli che richiedono la concessione, e quelli che realizzano l'edificazione, ed i loro aventi causa (TAR Sicilia Catania, sez. I, 29.10.2004, n. 3011).
Le argomentazioni addotte a sostegno della qualificazione come obbligazioni propter rem degli oneri di urbanizzazione sono state poi estese anche agli oneri relativi al costo di costruzione nel senso che: “nulla vieta dal punto di vista logico prima che giuridico che alle identiche conclusioni debba pervenirsi in ordine alla parte del contributo commisurato al costo di costruzione; questo, infatti, in uno con gli oneri di urbanizzazione costituisce “il contributo” per il rilascio per permesso di costruire (già c.e.) con conseguente e doverosa disciplina unitaria ai fini che qui interessano delle due voci in cui si viene a scomporre" (CGA 18.05. 2007, n. 395; cfr. Tar Puglia Bari sez. III n. 2078 dell’11.09.2008; nello stesso senso Tar Abruzzo L’Aquila n. 879 del 23.10.2003).
Tale orientamento, che trova condivisione da parte di questo Collegio, ha trovato riscontro da ultimo in una più recente decisione del Consiglio di Stato secondo cui il presupposto di esigibilità dell’onere relativo al costo di costruzione non risiede solo nella materiale esecuzione delle opere ma anche nella concreta fruizione del titolo e comunque: “le obbligazioni per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione vanno trattate alla stregua di oneri reali, ovvero di obbligazioni propter rem che circolano con il bene cui accedono, sicché nel caso di trasferimento del bene, esse gravano sull’acquirente” (cfr. Cons. Stato sez.V, n. 6333 del 12.07.2011).
Trattasi in sostanza di obbligazioni connotate dall’inerenza alla cosa, anziché alla persona cui è rilasciato il permesso di costruire, sicché tutti coloro che partecipano alla costruzione e la utilizzano sono solidalmente obbligati verso il Comune al pagamento degli oneri in questione
(TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, sentenza 16.04.2014 n. 2170 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

marzo 2014

COMPETENZE GESTIONALI - EDILIZIA PRIVATASebbene in giurisprudenza sia stata, anche di recente, affermata la competenza della Giunta in materia di adeguamento degli oneri di urbanizzazione e del costo di costruzione, reputa il collegio di aderire all’opposto orientamento che ritiene sussistente la competenza del Consiglio comunale.
In tal senso depone il tenore letterale dell’art. 16, comma 4, del D.P.R. n. 380/2001 che riconosce espressamente la competenza del Consiglio comunale in materia, affermando che: “L’incidenza degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria è stabilita con deliberazione del consiglio comunale in base alle tabelle parametriche che la regione definisce per classi di comuni…”. La suddetta competenza è ribadita dal successivo comma 5 per il caso in cui la regione non provveda alla definizione della tabelle parametriche e dal successivo art. 19 recante la disciplina del contributo di costruzione per opere o impianti non destinati alla residenza, alle quali è ascrivibile l’intervento assentito in favore della esponente.
Deve ancora osservarsi che le menzionate disposizioni contenute nel D.P.R. n. 380/2001 non rivestono portata derogatoria bensì confermativa della disciplina sulle attribuzioni del Consiglio comunale come normate all’art. 42 del d.lgs. n. 267/2000 atteso che, ai sensi della lettera f), comma 2, del disposto normativo in esame, il Consiglio ha competenza anche in materia di “istituzione e ordinamento dei tributi, con esclusione della determinazione delle relative aliquote; disciplina generale delle tariffe per la fruizione dei beni e dei servizi”, e non v’è dubbio che, anche a prescindere dalla controversa natura giuridica degli oneri in questione, si tratti di prestazioni patrimoniali imposte la cui disciplina, secondo un risalente principio giuridico, spetta all’organo elettivo della comunità di riferimento, nella specie rappresentato dal Consiglio comunale.
Né per sostenere la tesi della competenza della Giunta comunale vale opporre che nel caso di specie si tratterebbe di un mero adeguamento degli importi degli oneri dovuti poiché, in senso contrario, deve osservarsi che l’art. 16 del DPR n. 380/2001 non distingue tra determinazione degli oneri e loro aggiornamento, limitandosi ad indicare nel consiglio l’organo competente a provvedere in materia, in linea con la previsione generale di cui all’art. 42, comma 2, lett. f), del d.lgs. n. 267/2000.
Al contempo la tesi della competenza della Giunta non può fondatamente essere sostenuta facendo valere il carattere sostanzialmente vincolato del procedimento di adeguamento periodico degli oneri di urbanizzazione e del costo di costruzione, atteso che, in realtà, si tratta di decisioni comunque caratterizzate dall’esercizio di poteri discrezionali che, per l’ampia latitudine delle valutazioni di merito implicate e per le ricadute dirette sui diritti dominicali degli appartenenti alle comunità di riferimento, non possono non essere esercitati dal Consiglio in quanto unico organo competente in materia di istituzione ed ordinamento di tributi e di disciplina delle tariffe per la fruizione dei servizi.
Che si tratti di esercizio di poteri discrezionali è confermato sia dal tenore delle disposizioni normative pertinenti che dal contenuto delle delibere in concreto assunte dalla Giunta e contestate dalla ricorrente.
Ed infatti, ai sensi dell’art. 16, comma 6, del DPR. n. 380/2001 “Ogni cinque anni i comuni provvedono ad aggiornare gli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria, in conformità alle relative disposizioni regionali, in relazione ai riscontri e prevedibili costi delle opere di urbanizzazione primaria, secondaria e generale”; nella specie non risulta che la regione Molise abbia assunto alcuna decisione in materia di adeguamento degli oneri di urbanizzazione sicché l’attività posta in essere dalla Giunta non si rivela come meramente attuativa degli indirizzi regionali in materia.
Inoltre la norma prevede che l’aggiornamento debba essere eseguito “in relazione ai riscontri e prevedibili costi delle opere di urbanizzazione primaria, secondaria e generale”, secondo cioè parametri tutt’altro che oggettivi ed univoci, implicando stime di carattere presuntivo e probabilistico certamente opinabili, tant’è che, nel caso di specie, la Giunta nell’esercizio di un potere ampiamente discrezionale, ha ritenuto di ancorare l’aggiornamento al parametro della rivalutazione in ragione della variazione intervenuta nei costi delle summenzionate opere di urbanizzazione, peraltro pervenendo in tal modo ad un incremento di ben il 348 per cento degli oneri di urbanizzazione.
Ora è evidente che la scelta di un criterio, non imposto dalla legge e neppure dagli indirizzi regionali, nella specie non adottati, e quindi espressione di una valutazione discrezionale e che comporta, al contempo, un incremento degli oneri di urbanizzazione di oltre il 300%, non può ragionevolmente essere sottratto alla competenza del Consiglio in quanto organo responsabile della istituzione dei tributi e della disciplina generale delle tariffe per la fruizione dei servizi, qual è l’attività di realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria.

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... per l'annullamento
   - del provvedimento del 1/10/2012, prot. n. 6811, a firma del Responsabile dell’Area G.S.T. con il quale si comunica l’accoglimento dell’istanza presentata dalla ricorrente in data 25/01/20012 con prot. n. 663 e volta ad ottenere il rilascio del permesso di costruire, subordinandone il rilascio alla consegna della ricevuta di versamento dei diritti di segreteria pari ad Euro 6.990,00, del contributo corrispondente alla incidenza degli oneri di urbanizzazione pari ad Euro 21.018,57 e del costo di costruzione pari ad Euro 28.469,61 nonché della marca da bollo da Euro 14,62, nonché
   - della delibera di Giunta n. 69 del 18/06/2012 avente ad oggetto “Adeguamento costo oneri di urbanizzazione”, della delibera di Giunta n. 70 del 18/06/2012 avente ad oggetto “Adeguamento tariffe costo di costruzione” e della delibera di Giunta n. 72 del 18/06/2012 avente ad oggetto “Aggiornamento ed istituzione nuovi diritti di segreteria. Provvedimenti” e di ogni atto successivo, consequenziale e, comunque, connesso.
...
La società ricorrente riferisce di avere presentato in data 25.01.2012 istanza per il rilascio di un permesso di costruire avente ad oggetto la realizzazione di un capannone artigianale in zona P.I.P. previamente acquistata dal Comune di Santa Croce di Magliano e che, nelle more dell’istruttoria, la Giunta Comunale con delibere nn. 69, 70, 72 adottate il 18.06.2012 ha provveduto ad adeguare il costo degli oneri di urbanizzazione, le tariffe relative al costo di costruzione ed ad aggiornare ed istituire nuovi diritti di segreteria.
L’accoglimento dell’istanza di rilascio del permesso di costruire è stato così condizionato al pagamento di un importo complessivo di euro 56.467,18 che l’esponente assume sproporzionato e comunque determinato in forza di delibere adottate da organo incompetente essendo la materia riservata alla competenza del Consiglio Comunale ai sensi del combinato disposto di cui agli art. 16, comma 4, del DPR n. 380/2001 e 42, comma 2, lett. f), del d.lgs. n. 267/2000.
Lamenta, al contempo, che i provvedimenti impugnati sarebbero affetti da violazione di legge in tema di aggiornamento degli oneri urbanistici; violazione dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990; eccesso di potere per difetto ed erronea motivazione; erroneità di istruttoria; travisamento dei fatti; erronea valutazione dei presupposti; manifesta ingiustizia; eccesso di potere.
...
Il ricorso è fondato.
Con ordinanza n. 7/2013 il collegio ha accolto la domanda cautelare ritenendo fondata la dedotta censura di difetto di competenza della Giunta nella determinazione del contributo relativo agli oneri di urbanizzazione, al costo di costruzione ed ai diritti di segreteria.
La successiva fase di merito del giudizio non ha introdotto elementi in fatto o in diritto nuovi sicché l’orientamento espresso dal collegio in sede cautelare deve, in questa sede, essere confermato.
Sebbene, infatti, in giurisprudenza sia stata, anche di recente, affermata la competenza della Giunta in materia di adeguamento degli oneri di urbanizzazione e del costo di costruzione (cfr. TAR Campania, II, n. 4206/2013), reputa il collegio di aderire all’opposto orientamento che ritiene sussistente la competenza del Consiglio comunale (TAR Lecce, III, n. 2765/2010).
In tal senso depone il tenore letterale dell’art. 16, comma 4, del D.P.R. n. 380/2001 che riconosce espressamente la competenza del Consiglio comunale in materia, affermando che: “L’incidenza degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria è stabilita con deliberazione del consiglio comunale in base alle tabelle parametriche che la regione definisce per classi di comuni…”. La suddetta competenza è ribadita dal successivo comma 5 per il caso in cui la regione non provveda alla definizione della tabelle parametriche e dal successivo art. 19 recante la disciplina del contributo di costruzione per opere o impianti non destinati alla residenza, alle quali è ascrivibile l’intervento assentito in favore della esponente.
Deve ancora osservarsi che le menzionate disposizioni contenute nel D.P.R. n. 380/2001 non rivestono portata derogatoria bensì confermativa della disciplina sulle attribuzioni del Consiglio comunale come normate all’art. 42 del d.lgs. n. 267/2000 atteso che, ai sensi della lettera f), comma 2, del disposto normativo in esame, il Consiglio ha competenza anche in materia di “istituzione e ordinamento dei tributi, con esclusione della determinazione delle relative aliquote; disciplina generale delle tariffe per la fruizione dei beni e dei servizi”, e non v’è dubbio che, anche a prescindere dalla controversa natura giuridica degli oneri in questione, si tratti di prestazioni patrimoniali imposte la cui disciplina, secondo un risalente principio giuridico, spetta all’organo elettivo della comunità di riferimento, nella specie rappresentato dal Consiglio comunale.
Né per sostenere la tesi della competenza della Giunta comunale vale opporre che nel caso di specie si tratterebbe di un mero adeguamento degli importi degli oneri dovuti poiché, in senso contrario, deve osservarsi che l’art. 16 del DPR n. 380/2001 non distingue tra determinazione degli oneri e loro aggiornamento, limitandosi ad indicare nel consiglio l’organo competente a provvedere in materia, in linea con la previsione generale di cui all’art. 42, comma 2, lett. f), del d.lgs. n. 267/2000.
Al contempo la tesi della competenza della Giunta non può fondatamente essere sostenuta facendo valere il carattere sostanzialmente vincolato del procedimento di adeguamento periodico degli oneri di urbanizzazione e del costo di costruzione, atteso che, in realtà, si tratta di decisioni comunque caratterizzate dall’esercizio di poteri discrezionali che, per l’ampia latitudine delle valutazioni di merito implicate e per le ricadute dirette sui diritti dominicali degli appartenenti alle comunità di riferimento, non possono non essere esercitati dal Consiglio in quanto unico organo competente in materia di istituzione ed ordinamento di tributi e di disciplina delle tariffe per la fruizione dei servizi.
Che si tratti di esercizio di poteri discrezionali è confermato sia dal tenore delle disposizioni normative pertinenti che dal contenuto delle delibere in concreto assunte dalla Giunta e contestate dalla ricorrente.
Ed infatti, ai sensi dell’art. 16, comma 6, del DPR. n. 380/2001 “Ogni cinque anni i comuni provvedono ad aggiornare gli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria, in conformità alle relative disposizioni regionali, in relazione ai riscontri e prevedibili costi delle opere di urbanizzazione primaria, secondaria e generale”; nella specie non risulta che la regione Molise abbia assunto alcuna decisione in materia di adeguamento degli oneri di urbanizzazione sicché l’attività posta in essere dalla Giunta non si rivela come meramente attuativa degli indirizzi regionali in materia.
Inoltre la norma prevede che l’aggiornamento debba essere eseguito “in relazione ai riscontri e prevedibili costi delle opere di urbanizzazione primaria, secondaria e generale”, secondo cioè parametri tutt’altro che oggettivi ed univoci, implicando stime di carattere presuntivo e probabilistico certamente opinabili, tant’è che, nel caso di specie, la Giunta nell’esercizio di un potere ampiamente discrezionale, ha ritenuto di ancorare l’aggiornamento al parametro della rivalutazione in ragione della variazione intervenuta nei costi delle summenzionate opere di urbanizzazione, peraltro pervenendo in tal modo ad un incremento di ben il 348 per cento degli oneri di urbanizzazione.
Ora è evidente che la scelta di un criterio, non imposto dalla legge e neppure dagli indirizzi regionali, nella specie non adottati, e quindi espressione di una valutazione discrezionale e che comporta, al contempo, un incremento degli oneri di urbanizzazione di oltre il 300%, non può ragionevolmente essere sottratto alla competenza del Consiglio in quanto organo responsabile della istituzione dei tributi e della disciplina generale delle tariffe per la fruizione dei servizi, qual è l’attività di realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria.
Analoghe considerazioni valgono per la variazione del costo di costruzione.
Deve premettersi che l’art. 16, comma 9, del D.P.R. n. 380/2001 se, da un lato, afferma che “Nei periodi intercorrenti tra le determinazioni regionali, ovvero in eventuale assenza di tali determinazioni, il costo di costruzione è adeguato annualmente, ed autonomamente, in ragione dell’intervenuta variazione dei costi di costruzione accertata dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT)”, dall’altro, la medesima disposizione prosegue precisando che “Il contributo afferente al permesso di costruire comprende una quota di detto costo variabile dal 5 per cento al 20 per cento, che viene determinata dalle regioni in funzione delle caratteristiche e delle tipologie delle costruzioni e della loro destinazione ed ubicazione”.
Anche in questo caso, come si evince dalla parte motiva della delibera di Giunta n. 70/2012, la Regione Molise non ha più provveduto ad aggiornare il costo di costruzione a partire dalla delibera di Giunta n. 4724 del 27.11.1995, ed ha inoltre stabilito con delibera di Giunta n. 5548 del 05.12.1994 che la quota relativa al costo di costruzione compresa nel contributo per la concessione, variabile tra un minimo del 5 per cento ed un massimo del 20 per cento, venga definito autonomamente dalle amministrazioni comunali.
Nella specie la Giunta comunale con la delibera n. 70/2012 ha deciso di fissare tale quota nel 5 per cento del costo di costruzione risultante dal predetto adeguamento.
Così facendo, tuttavia, se ha da un lato applicato un parametro vincolato nell’aggiornamento del costo di costruzione, ancorandolo alla variazione accertata dall’ISTAT, dall’altra ha operato una scelta di merito in ordine alla determinazione della percentuale del costo di costruzione, rilevante ai fini della determinazione del contributo afferente il permesso di costruire, fissandola nel 5 per cento, decisione che, in quanto ampiamente discrezionale, non poteva non essere rimessa alla decisione del Consiglio comunale.
Analoghe considerazioni valgono, infine, per la delibera di Giunta n. 72 del 2012 avente ad oggetto “Aggiornamento ed istituzione nuovi diritti di segreteria. Provvedimenti”, atteso che nell’ambito della disciplina generale delle tariffe per la fruizione dei servizi di cui all’art. 42, comma 2, lett. f), del d.lgs. n. 267/2000, non può non essere rimessa al Consiglio comunale la decisione in ordine alla istituzione di nuovi diritti di segreteria “alla luce dell’evolversi del quadro normativo in materia di edilizia”, sicché anche tale delibera deve ritenersi affetta da illegittimità per vizio di incompetenza con la conseguenza che, al pari delle prime due, merita di essere annullata.
Da tali considerazioni discende che l’esercizio del potere di adeguamento dei costi di urbanizzazione costituisce un potere discrezionale e come tale è attribuito, anche in applicazione dell’art. 42, comma 2, lett. f), del d.lgs. 267/2000, alla competenza dei consigli comunali, soprattutto nelle fattispecie in cui la Regione abbia omesso, come nel caso di specie, di adottare gli specifici atti di indirizzo previsti dall’art. 16, commi 6 e 9, del DPR n. 380/2001.
In conclusione il ricorso dev’essere accolto con riferimento al dedotto motivo di incompetenza della Giunta comunale, con conseguente annullamento delle delibere impugnate e della nota 01.10.2012 prot. n. 6811 nella parte in cui vengono determinati gli oneri di urbanizzazione, il costo di costruzione ed i diritti di segreteria, con obbligo del Comune di rideterminarsi sul punto nel rispetto delle regole di competenza (TAR Molise, sentenza 31.03.2014 n. 210 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La novazione soggettiva nei rapporti inerenti il titolo edilizio avviene con la voltura non essendo, invece, sufficiente, a realizzare tale effetto il mero acquisito dell’immobile. Tant’è che, secondo la giurisprudenza, del pagamento dei contributi di urbanizzazione risponde direttamente e per intero il titolare della concessione edilizia, essendo i successivi acquirenti estranei al rapporto che al riguardo si è instaurato col Comune.
Peraltro, la titolarità del permesso edilizio incide solo sul profilo passivo della obbligazione relativa al pagamento del contributo ma nulla, invece, ha a che vedere con l’azione di ripetizione dell’indebito.
Questa, infatti, trae fonte dal pagamento di un debito non dovuto ed inerisce esclusivamente al rapporto fra chi lo ha effettuato e chi lo ha ricevuto. Legittimato ad esigere la restituzione è, quindi, il soggetto che ha effettuato (a nome proprio) il pagamento rivelatosi privo di causa.
Nessuna rilevanza assume ai fini della legittimazione ad esercitare l’azione in discorso il fatto che l’onere economico del pagamento indebito sia poi stato trasferito da parte del solvens su un soggetto terzo. Infatti, il presupposto della azione di ripetizione, è esclusivamente quello del pagamento di un debito non dovuto e non quello dell’”arricchimento ai danni di altra persona” che è, invece, proprio della diversa azione di arricchimento senza causa.

... per l'annullamento del provvedimento prot. 61108 del 14.10.2010, notificato al difensore della ricorrente in data 18.10.2010, con il quale il Dirigente del Servizio Urbanistica del Comune di Pistoia ha respinto l’istanza presentata dalla ricorrente per il rimborso degli oneri di urbanizzazione pagati nell’intervento di ristrutturazione p.e. n. 2003/2008 in Pistoia, Viale ..., piano primo (v. DOC.1);
...
La Sig.ra Giuliana Vitale ha acquistato nel 2009 una porzione di fabbricato destinato a civile abitazione nel comune di Pistoia.
La sua dante causa, Sig.ra Vettori Antonella, prima della vendita aveva già presentato al predetto comune una d.i.a. per l’esecuzione di lavori di ristrutturazione e pagato i relativi oneri di urbanizzazione.
I predetti oneri, in forza di apposito patto contrattuale, sono stati poi posti a carico dell’acquirente che ha poi portato a termine i lavori.
La Sig.ra Vitale si è, tuttavia, avveduta che l’ammontare degli oneri di urbanizzazione richiesti dal Comune di Pistoia superava la somma effettivamente dovuta.
In particolare, il predetto ente, in applicazione della delibera consiliare n. 225 del 21/12/2007, aveva calcolato gli oneri sulla base della superficie lorda dell’intero fabbricato anziché prendere a riferimento la sola unità immobiliare interessata dal progetto di ristrutturazione.
Ritenendo, anche sulla scorta di precedenti pronunce di questo Tribunale Amministrativo, tale sistema di calcolo palesemente illegittimo, la Sig.ra Vitale ha intentato azione di ripetizione dell’indebito contro il Comune di Pistoia per ottenere la ripetizione delle somme pagate in eccesso a titolo di oneri di urbanizzazione.
Nel costituirsi in giudizio il Comune di Pistoia ha preliminarmente eccepito la carenza di legittimazione attiva della ricorrente osservando che l’azione di ripetizione potrebbe essere esercitata solo da chi ha eseguito il pagamento non dovuto e, quindi, nella specie, dalla Sig.ra Vettori che ha versato alla tesoreria comunale le somme richieste a titolo di oneri di urbanizzazione.
Al riguardo la ricorrente ha replicato di essere subentrata, per effetto dell’acquisto dell’immobile, in tutti i rapporti attivi e passivi facenti capo al titolo edilizio. Sicché, così come l’obbligo di pagare gli oneri concessori (qualora questi fossero ancora insoluti) si sarebbe trasferito su di lei, allo stesso modo, essa sarebbe divenuta titolare dell’azione di ripetizione di quanto indebitamente corrisposto a tale titolo dalla sua dante causa.
Gli argomenti dedotti dalla ricorrente per contrastare l’eccezione formulata dal Comune non appaiono, tuttavia, convincenti.
Occorre in primo luogo osservare che la novazione soggettiva nei rapporti inerenti il titolo edilizio avviene con la voltura non essendo, invece, sufficiente, a realizzare tale effetto il mero acquisito dell’immobile. Tant’è che, secondo la giurisprudenza, del pagamento dei contributi di urbanizzazione risponde direttamente e per intero il titolare della concessione edilizia, essendo i successivi acquirenti estranei al rapporto che al riguardo si è instaurato col Comune (Cons. Stato, V, 26/06/1996 n. 793).
Peraltro, la titolarità del permesso edilizio incide solo sul profilo passivo della obbligazione relativa al pagamento del contributo ma nulla, invece, ha a che vedere con l’azione di ripetizione dell’indebito.
Questa, infatti, trae fonte dal pagamento di un debito non dovuto ed inerisce esclusivamente al rapporto fra chi lo ha effettuato e chi lo ha ricevuto. Legittimato ad esigere la restituzione è, quindi, il soggetto che ha effettuato (a nome proprio) il pagamento rivelatosi privo di causa (Cassazione civile sez. III, 01.12.2009 n. 25276; TAR Napoli Campania sez. V, 05.04.2011 n. 1916).
Nessuna rilevanza assume ai fini della legittimazione ad esercitare l’azione in discorso il fatto che l’onere economico del pagamento indebito sia poi stato trasferito da parte del solvens su un soggetto terzo. Infatti, il presupposto della azione di ripetizione, è esclusivamente quello del pagamento di un debito non dovuto e non quello dell’”arricchimento ai danni di altra persona” che è, invece, proprio della diversa azione di arricchimento senza causa.
Il ricorso deve essere, quindi, dichiarato inammissibile per difetto di legittimazione attiva (TAR Toscana, Sez. III, sentenza 12.03.2014 n. 493 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

febbraio 2014

EDILIZIA PRIVATAIl “contributo per il rilascio del permesso di costruire”, disciplinato dall’art. 16 del DPR n. 380 del 2001, è inteso dalla giurisprudenza, anche di questa Sezione, come “corrispettivo di diritto pubblico”, che rappresenta una “forma di partecipazione alle spese pubbliche con caratteri atipici, ma sempre collegata all’attività di trasformazione del territorio”; proprio questa sua funzione giustifica la ripetizione del contributo nel caso di mancato utilizzo del permesso di costruire, giacché in questa ipotesi non vi è stata alcuna attività di trasformazione del territorio e quindi non è dovuta alcuna partecipazione alla spesa pubblica correlata.
Può tuttavia accadere, come nella specie, che pur non essendo state realizzate le opere di cui al permesso di costruire, siano stati tuttavia posti in essere significativi interventi modificativi del territorio, come sbancamenti e ingenti movimenti terra, propedeutici alle edificazioni poi non realizzate. In ipotesi siffatte, venendo meno attraverso la rinuncia e/o la decadenza del titolo edilizio, la ragione giustificativa che da un punto di vista giuridico sorreggeva la trasformazione territoriale, l’Amministrazione comunale può ben vantare una pretesa alla rimessione in pristino, cioè alla eliminazione delle trasformazioni territoriali realizzate e non più sorrette dal permesso di costruire.
Si tratta di effetti giuridici che conseguono congiuntamente dalla perdita di efficacia del permesso di costruire: da un lato il diritto alla ripetizione degli oneri concessori correlati ad opere che non si edificheranno più, dall’altro l’obbligo di ripristino della situazione di fatto anteriore rispetto all’avvio delle opere attuative del titolo edilizio.
Proprio la congiunta scaturigine giustifica il collegamento tra le due fattispecie, a garanzia del congiunto adempimento, e cioè giustifica che il Comune trattenga gli oneri riscossi fino alla rimessione in pristino stato o comunque alla determinazione degli oneri conseguenti alla rimessione in pristino medesima. Così che solo una volta azzerata l’incidenza sul territorio delle trasformazioni conseguenti all’esecuzione del titolo edilizio sarà possibile procedere alla ripetizione degli oneri versati.

Con il sesto mezzo di cui ai motivi aggiunti parte ricorrente rileva che il condizionamento, effettuato dall’Amministrazione, della restituzione degli oneri concessori di cui al permesso di costruire n. 7567 alla rimessione in pristino, con eliminazione delle trasformazioni effettuate in attuazione dello stesso permesso n. 7567, sarebbe illegittimo perché privo di fondamento normativo e comunque sproporzionato.
La censura è infondata.
Il “contributo per il rilascio del permesso di costruire”, disciplinato dall’art. 16 del DPR n. 380 del 2001, è inteso dalla giurisprudenza, anche di questa Sezione, come “corrispettivo di diritto pubblico”, che rappresenta una “forma di partecipazione alle spese pubbliche con caratteri atipici, ma sempre collegata all’attività di trasformazione del territorio” (TAR Toscana, sez. 3^, 11.08.2004, n. 3181); proprio questa sua funzione giustifica la ripetizione del contributo nel caso di mancato utilizzo del permesso di costruire, giacché in questa ipotesi non vi è stata alcuna attività di trasformazione del territorio e quindi non è dovuta alcuna partecipazione alla spesa pubblica correlata.
Può tuttavia accadere, come nella specie, che pur non essendo state realizzate le opere di cui al permesso di costruire, siano stati tuttavia posti in essere significativi interventi modificativi del territorio, come sbancamenti e ingenti movimenti terra, propedeutici alle edificazioni poi non realizzate. In ipotesi siffatte, venendo meno attraverso la rinuncia e/o la decadenza del titolo edilizio, la ragione giustificativa che da un punto di vista giuridico sorreggeva la trasformazione territoriale, l’Amministrazione comunale può ben vantare una pretesa alla rimessione in pristino, cioè alla eliminazione delle trasformazioni territoriali realizzate e non più sorrette dal permesso di costruire.
Si tratta di effetti giuridici che conseguono congiuntamente dalla perdita di efficacia del permesso di costruire: da un lato il diritto alla ripetizione degli oneri concessori correlati ad opere che non si edificheranno più, dall’altro l’obbligo di ripristino della situazione di fatto anteriore rispetto all’avvio delle opere attuative del titolo edilizio. Proprio la congiunta scaturigine giustifica il collegamento tra le due fattispecie, a garanzia del congiunto adempimento, e cioè giustifica che il Comune trattenga gli oneri riscossi fino alla rimessione in pristino stato o comunque alla determinazione degli oneri conseguenti alla rimessione in pristino medesima. Così che solo una volta azzerata l’incidenza sul territorio delle trasformazioni conseguenti all’esecuzione del titolo edilizio sarà possibile procedere alla ripetizione degli oneri versati.
Nella specie non risulta che parte ricorrente abbia inteso farsi carico della rimessione in pristino e neppure che abbia avviato con l’Amministrazione un dialogo per stabilire l’ammontare dei costi dell’attività di ripristino, dialogo necessario proprio per determinare in misura corretta gli oneri ripristinatori e scongiurare le sproporzioni che parte ricorrente paventa (TAR Toscana, Sez. III, sentenza 11.02.2014 n. 288 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: In materia di contributi derivanti dal rilascio di concessione edilizia sussiste la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e tale giurisdizione sussiste anche quando attiene alla richiesta, mediante cartella esattoriale, di pagamento del contributo per gli oneri di urbanizzazione e conseguenti sanzioni; sebbene, infatti, l'art. 16 della l. 28.01.1977 n. 10 sia stato abrogato dall'art. 136, comma 2, d.P.R. 06.06.2001, n. 380, a decorrere dal 30.06.2003, ai sensi dell'art. 3, d.l. 20.06.2002, n. 122, conv., con modificazioni, in l. 01.08.2002, n. 185, le controversie in materia di oneri di urbanizzazione devono ritenersi tuttora attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di urbanistica e di edilizia ai sensi dell'art. 34 d.lgs. n. 80 del 1998, non avendo tra l'altro detti oneri natura tributaria, bensì natura di corrispettivo di diritto pubblico avente la funzione di partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione.
Invero, atteso che le controversie che hanno ad oggetto la legittimità o meno del contributo relativo a concessione edilizia vertono sull'esistenza o sulla misura di una obbligazione direttamente stabilita dalla legge, l'atto con cui l'Amministrazione comunale provvede in merito alla determinazione del contributo concessorio non ha natura autoritativa e la posizione del soggetto nei cui confronti è richiesto il pagamento, è di diritto soggettivo e non di interesse legittimo;ì.
Conseguentemente la giurisdizione del giudice amministrativo in materia ha per oggetto tutte le controversie inerenti all'an e al quantum della pretesa contributiva del comune, (mentre la competenza dell'a.g.o. è limitata alle sole questioni inerenti all'esperibilità del recupero in executivis del credito contributivo); con l'ulteriore precisazione che oggi, dopo l'entrata in vigore dell'art. 7 della L. 21.07.2000, n. 207, tale giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo comprende anche i giudizi avverso l'ordinanza-ingiunzione emessa dal Comune ai sensi dell'art. 2 del r.d. 14.04.1910, n. 639.
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L'Amministrazione non ha l'obbligo, a fronte del ritardato pagamento degli oneri concessori, di escutere la fideiussione, evitando in tal modo di applicare la sanzione.
Infatti la fideiussione che accompagna la rateizzazione del pagamento degli oneri di urbanizzazione non ha la finalità di agevolare l'adempimento del soggetto obbligato al pagamento, bensì costituisce una garanzia personale prestata unicamente nell'interesse dell'amministrazione, sulla quale non incombe alcun obbligo di preventiva escussione del fideiussore.
Invero, la garanzia sussidiaria serve a scongiurare che il Comune possa irrimediabilmente perdere una entrata di diritto pubblico, ma non alleggerisce affatto la posizione del soggetto tenuto al pagamento, né attenua i doveri di diligenza sullo stesso incombenti, né estingue di per sé l'obbligazione principale.

L’eccezione è infondata.
Va chiarito che in materia di contributi derivanti dal rilascio di concessione edilizia sussiste la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e tale giurisdizione sussiste anche quando attiene alla richiesta, mediante cartella esattoriale, di pagamento del contributo per gli oneri di urbanizzazione e conseguenti sanzioni; sebbene, infatti, l'art. 16 della l. 28.01.1977 n. 10 sia stato abrogato dall'art. 136, comma 2, d.P.R. 06.06.2001, n. 380, a decorrere dal 30.06.2003, ai sensi dell'art. 3, d.l. 20.06.2002, n. 122, conv., con modificazioni, in l. 01.08.2002, n. 185, le controversie in materia di oneri di urbanizzazione devono ritenersi tuttora attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di urbanistica e di edilizia ai sensi dell'art. 34 d.lgs. n. 80 del 1998, non avendo tra l'altro detti oneri natura tributaria, bensì natura di corrispettivo di diritto pubblico avente la funzione di partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione; invero, atteso che le controversie che hanno ad oggetto la legittimità o meno del contributo relativo a concessione edilizia vertono sull'esistenza o sulla misura di una obbligazione direttamente stabilita dalla legge, l'atto con cui l'Amministrazione comunale provvede in merito alla determinazione del contributo concessorio non ha natura autoritativa e la posizione del soggetto nei cui confronti è richiesto il pagamento, è di diritto soggettivo e non di interesse legittimo; conseguentemente la giurisdizione del giudice amministrativo in materia ha per oggetto tutte le controversie inerenti all'an e al quantum della pretesa contributiva del comune, (mentre la competenza dell'a.g.o. è limitata alle sole questioni inerenti all'esperibilità del recupero in executivis del credito contributivo); con l'ulteriore precisazione che oggi, dopo l'entrata in vigore dell'art. 7 della L. 21.07.2000, n. 207, tale giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo comprende anche i giudizi avverso l'ordinanza-ingiunzione emessa dal Comune ai sensi dell'art. 2 del r.d. 14.04.1910, n. 639 (cfr., TAR Napoli (Campania) sez. II, 18/11/2008, 19792).
Il presente giudizio ha, quindi, ad oggetto anche diritti soggettivi e si traduce nell’accertamento in concreto della doverosità della corresponsione dei contributi concessori e dell’esatta quantificazione degli stessi.
Ne deriva che non ha alcuna incidenza su tale aspetto l’omessa impugnazione del decreto di ingiunzione di pagamento.
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Il Collegio ritiene che il ricorso sia infondato.
La L. 108/1996 non ha, infatti, abrogato l’art. 3 L. 47/1985, ma si è limitata a definire gli interessi abnormi risultanti da liberi accordi o convenzioni tra privati, non anche quelli definiti dalla legge, come è avvenuto nel caso di specie. Nessuna violazione della norma in parola emerge, anche perché l’amministrazione si è limitata, nella determinazione degli interessi applicati in sede di determinazione delle rate di pagamento, ad applicare gli interessi al tasso legale in vigore al momento del rilascio della concessione edilizia.
Le somme dovute poi ai sensi dell’art. 3 L. 47/1985 non costituiscono, peraltro, interessi, ma sono qualificati espressamente come sanzioni, corrispondenti a percentuali di aumento del contributo concessorio, in relazione ai giorni di ritardo.
La società ricorrente ha, peraltro, dedotto che l’amministrazione, in omaggio ai principi di buona fede e correttezza, avrebbe dovuto prima escutere la polizza fideiussoria e poi emettere il provvedimento sanzionatorio.
L’assunto è infondato, in quanto questo Tar ha già chiarito che l'Amministrazione non ha l'obbligo, a fronte del ritardato pagamento degli oneri concessori, di escutere la fideiussione, evitando in tal modo di applicare la sanzione. Infatti la fideiussione che accompagna la rateizzazione del pagamento degli oneri di urbanizzazione non ha la finalità di agevolare l'adempimento del soggetto obbligato al pagamento, bensì costituisce una garanzia personale prestata unicamente nell'interesse dell'amministrazione, sulla quale non incombe alcun obbligo di preventiva escussione del fideiussore; invero, la garanzia sussidiaria serve a scongiurare che il Comune possa irrimediabilmente perdere una entrata di diritto pubblico, ma non alleggerisce affatto la posizione del soggetto tenuto al pagamento, né attenua i doveri di diligenza sullo stesso incombenti, né estingue di per sé l'obbligazione principale (cfr., TAR Milano (Lombardia) sez. II, 21/07/2009, n. 4405)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 06.02.2014 n. 389 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

gennaio 2014

EDILIZIA PRIVATA: Parere in merito al ricalcolo del contributo di costruzione nel caso di realizzazione di opere autorizzate con precedente permesso di costruire e non eseguite. Art. 15, comma 3, DPR 380/2001 - Comune di Oriolo Romano (Regione Lazio, parere 21.01.2014 n. 33492 di prot.).

EDILIZIA PRIVATALa concessione edilizia comporta la corresponsione di un contributo commisurato all'incidenza delle spese di urbanizzazione, nonché al costo di costruzione, in quanto ogni attività di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio partecipa agli oneri ad essa relativi. Esso ha natura, quindi, di corrispettivo di diritto pubblico.
La quantificazione dei contributi dovuti dal soggetto in cui favore è rilasciata la concessione è ordinariamente effettuata all'atto del rilascio della concessione medesima, ma il Comune, anche in seguito, ben può effettuare la rideterminazione dell'ammontare del contributo dovuto dal concessionario, in quanto il potere è espressione del generale principio di autotutela che può essere legittimamente esercitato ogni qual volta l'amministrazione si renda conto di essere incorsa, per qualsiasi ragione, in errore nella liquidazione o nel calcolo del contributo.
Ed invero, è stato inoltre ritenuto che, poiché l'eventuale errore nella determinazione dei costi di costruzione e degli oneri di urbanizzazione configura un indebito oggettivo da parte dell'intestatario della concessione, la sola preclusione alla azionabilità del credito effettivamente dovuto è la prescrizione del diritto alla percezione degli oneri nel loro integrale ammontare.

La concessione edilizia comporta la corresponsione di un contributo commisurato all'incidenza delle spese di urbanizzazione, nonché al costo di costruzione, in quanto ogni attività di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio partecipa agli oneri ad essa relativi (cfr., Cons. St., sez. V, 06.05.1997, n. 462). Esso ha natura, quindi, di corrispettivo di diritto pubblico.
La quantificazione dei contributi dovuti dal soggetto in cui favore è rilasciata la concessione è ordinariamente effettuata all'atto del rilascio della concessione medesima, ma il Comune, anche in seguito, ben può effettuare la rideterminazione dell'ammontare del contributo dovuto dal concessionario, in quanto il potere è espressione del generale principio di autotutela (cfr. TAR Veneto, II, 01.02.2011, nn. 181 e 189; Cons. St.,V, 30.09.1998, n. 1144) che può essere legittimamente esercitato ogni qual volta l'amministrazione si renda conto di essere incorsa, per qualsiasi ragione, in errore nella liquidazione o nel calcolo del contributo.
Ed invero, è stato inoltre ritenuto che, poiché l'eventuale errore nella determinazione dei costi di costruzione e degli oneri di urbanizzazione configura un indebito oggettivo da parte dell'intestatario della concessione, la sola preclusione alla azionabilità del credito effettivamente dovuto è la prescrizione del diritto alla percezione degli oneri nel loro integrale ammontare (TAR Lombardia, Milano, sez. II, 06.11.2002, n. 4267) (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 17.01.2014 n. 50 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

dicembre 2013

EDILIZIA PRIVATA: Ai sensi del comma 6-ter dell'art. 19 della legge 07.08.1990, n. 241 "Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi" le denuncie di inizio attività "non costituiscono provvedimenti taciti".
Il legislatore ha fatto dunque proprio l’avviso dell'Adunanza plenaria 29.07.2011 n. 15 per cui "la denuncia di inizio attività non è un provvedimento amministrativo a formazione tacita e non dà luogo in ogni caso ad un titolo costitutivo, ma costituisce un atto privato volto a comunicare l'intenzione di intraprendere un'attività direttamente ammessa dalla legge".
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L'obbligo di corrispondere gli oneri di urbanizzazione ed il costo di costruzione deve essere agganciato non al tempo della presentazione della denuncia di inizio attività, ma al sorgere della giuridica possibilità di realizzare legittimamente l’intervento e quindi al momento dell’intervenuta efficacia della d.i.a. per decorso del termine o intervenuto accertamento della conformità alla disciplina urbanistica vigente.
La determinazione dell'importo dei contributi dovuti per le opere da realizzarsi è dunque connessa all'effettiva possibilità di effettuare l'intervento edilizio. Ciò, onde evitare l’insorgenza di un obbligo di pagamento anche nel caso in cui, nel termine di trenta giorni l'amministrazione intervenga con l'ordine motivato di blocco dei lavori, è dunque evidente che la determina dei contributi urbanistici deve essere effettuata tenendo conto dei parametri di calcolo in vigore al momento dell’operatività della detta denuncia.
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Quando il privato ha parcellizzato l’intervento attraverso uno stillicidio di molteplici DIA (nel caso ben cinque) tutte concernenti i medesimi spazi, è evidente che il contributo cui dovrà soggiacere non potrà che essere quello corrispondente all’assetto finale dell’immobile, onde evitare che una sapiente regia nella segmentazione dei lavori finisca per risolversi in un abuso del diritto in danno dell’Amministrazione.

Come la Sezione ha più volte avuto modo di ricordare, ai sensi del comma 6-ter dell'art. 19 della legge 07.08.1990, n. 241 "Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi" (introdotto con l'articolo 6, co. 1°, lettera c), del D.L. 13.08.2011, n. 138) le denuncie di inizio attività "non costituiscono provvedimenti taciti". Il legislatore ha fatto dunque proprio l’avviso dell'Adunanza plenaria 29.07.2011 n. 15 per cui "la denuncia di inizio attività non è un provvedimento amministrativo a formazione tacita e non dà luogo in ogni caso ad un titolo costitutivo, ma costituisce un atto privato volto a comunicare l'intenzione di intraprendere un'attività direttamente ammessa dalla legge".
In linea generale, l'efficacia abilitativa alla realizzazione dell'intervento edilizio non era conseguente all'iniziativa del privato ma alla giuridica possibilità di realizzare le opere.
Pertanto l'obbligo di corrispondere gli oneri di urbanizzazione ed il costo di costruzione deve essere agganciato non al tempo della presentazione della denuncia di inizio attività, ma al sorgere della giuridica possibilità di realizzare legittimamente l’intervento e quindi al momento dell’intervenuta efficacia della d.i.a. per decorso del termine o intervenuto accertamento della conformità alla disciplina urbanistica vigente.
La determinazione dell'importo dei contributi dovuti per le opere da realizzarsi è dunque connessa all'effettiva possibilità di effettuare l'intervento edilizio. Ciò, onde evitare l’insorgenza di un obbligo di pagamento anche nel caso in cui, nel termine di trenta giorni l'amministrazione intervenga con l'ordine motivato di blocco dei lavori, è dunque evidente che la determina dei contributi urbanistici deve essere effettuata tenendo conto dei parametri di calcolo in vigore al momento dell’operatività della detta denuncia (cfr. Cons. Stato Sez. IV 13.05.2010 n. 2922).
Fino al momento dell'attribuzione di efficacia, secondo momento di realizzazione della fattispecie precettiva, la vicenda procedimentale non è ancora conclusa, ed è quindi ancora possibile, ed anzi doveroso, dare risalto agli eventi esterni sopravvenuti, quale è il mutamento dei parametri di calcolo (come nel caso di specie), o anche il sopraggiungere di una nuova disciplina urbanistica).
In conseguenza del principio che precede, quando poi, come nel caso particolare, il privato abbia parcellizzato l’intervento attraverso uno stillicidio di molteplici DIA (nel caso ben cinque) tutte concernenti i medesimi spazi, è evidente che il contributo cui dovrà soggiacere non potrà che essere quello corrispondente all’assetto finale dell’immobile, onde evitare che una sapiente regia nella segmentazione dei lavori finisca per risolversi in un abuso del diritto in danno dell’Amministrazione
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 20.12.2013 n. 6161 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La quota di contributo commisurata al costo di costruzione costituisce una prestazione di natura tributaria e paratributaria, collegata alla produzione di ricchezza dei singoli che è generata dallo sfruttamento del territorio.
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Il contributo relativo al costo di costruzione è dovuto anche in presenza di una trasformazione edilizia che, indipendentemente dall'esecuzione fisica di opere, si rivela produttiva di vantaggi economici ad essa connessi, situazione che si verifica per il mutamento di destinazione o comunque per ogni variazione anche di semplice uso che comporti un passaggio tra due categorie funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico.
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Il settimo comma, primo periodo, dell'art. 64 della L.R. Lombardia 11.03.2005 n. 12 prevede che: “La realizzazione degli interventi di recupero di cui al presente capo comporta la corresponsione …. del contributo commisurato al costo di costruzione, calcolati sulla volumetria o sulla superficie lorda di pavimento resa abitativa secondo le tariffe approvate e vigenti in ciascun comune per le opere di nuova costruzione”.
In sostanza, la quantificazione degli oneri di urbanizzazione e del contributo riferito al costo di costruzione per il recupero dei sottotetti è agganciata da un lato alla “superficie lorda di pavimento resa abitativa”, e dall’altro alle “tariffe approvate e vigenti” per le opere di nuova costruzione.
In tal senso il TAR ha ragione quanto ha escluso la legittimità di un conteggio che tenga conto della “superficie complessiva”, cioè la superficie utile più quella non residenziale di cui all’art. 2 del D.M. 10.05.1977 n. 10.
Infatti, in applicazione del principio ermeneutico generale della prevalenza della norma speciale sulla norma generale è esatto l’assunto per cui in materia di oneri di urbanizzazione relativi al recupero dei sottotetti, deve farsi esclusivo riferimento al più ristretto ambito spaziale individuato al settimo comma dell'art. 64 della L.R..
Pertanto, in base al vecchio brocardo “ubi lex voluit dixit”, se il legislatore regionale ha prescritto che gli oneri di urbanizzazione ed il costo di costruzione debbono essere computati con riferimento alla “volumetria o sulla superficie lorda di pavimento resa abitativa”, ha intenzionalmente inteso porre una fattispecie peculiare derogatoria del regime generale di cui agli artt. 44 e 48 della L.R. n. 12/2005.
Tuttavia, al fine del calcolo del costo di costruzione per gli interventi in questione deve dunque escludersi che possano essere conteggiate come fattori di moltiplicazione le superfici non destinate anche indirettamente ai fini residenziali quali i locali di pertinenza del fabbricato ad uso comune quali androni, deposito biciclette e carrozzine, deposito rifiuti, corridoi e disimpegni dei solai delle cantine ed ecc..
Tuttavia il richiamo alle “tariffe vigenti” di cui all’art. 64, co. 7, della detta L.R. implica che per la determinazione del costo di costruzione per le nuove costruzioni -sia pure con riferimento alle sole superfici lorde di pavimento rese abitative- debba farsi diretto rinvio all’art. 48 della L.R. n. 12/2005, ed al d.m. 10.05.1977.
In altre parole, l'interpretazione della preposizione "calcolati sulla volumetria o sulla superficie lorda di pavimento resa abitativa secondo le tariffe approvate vigenti per ciascun Comune per le opere di nuova costruzione" deve essere coerente con il precedente art. 48 ed implica che il calcolo del costo di costruzione dei recuperi edilizi dei sottotetti deve essere computato utilizzando da un lato la volumetria o la superficie s.l.p. resa abitativa e dall’altro le tabelle comunali per le nuove costruzioni di cui all'art. 48 della L.R. n. 12/2005.
Esattamente l’Amministrazione appellante ricorda, in linea di principio, che la quota di contributo commisurata al costo di costruzione costituisce una prestazione di natura tributaria e paratributaria, collegata alla produzione di ricchezza dei singoli che è generata dallo sfruttamento del territorio (cfr. Cons. Stato, sez. V, 21.04.2006 n. 2258; Cons. Stato Sez. V 06.05.1997 n. 462; Cons. Stato Sez. VI 18.01.2012 n. 177). Infatti il contributo relativo al costo di costruzione è dovuto anche in presenza di una trasformazione edilizia che, indipendentemente dall'esecuzione fisica di opere, si rivela produttiva di vantaggi economici ad essa connessi, situazione che si verifica per il mutamento di destinazione o comunque per ogni variazione anche di semplice uso che comporti un passaggio tra due categorie funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico (cfr. Consiglio di Stato Sez. IV 14/10/2011 n. 5539).
Nello specifico però, il settimo comma, primo periodo, dell'art. 64 della L.R. Lombardia 11.03.2005 n. 12 prevede che: “La realizzazione degli interventi di recupero di cui al presente capo comporta la corresponsione …. del contributo commisurato al costo di costruzione, calcolati sulla volumetria o sulla superficie lorda di pavimento resa abitativa secondo le tariffe approvate e vigenti in ciascun comune per le opere di nuova costruzione”.
In sostanza, la quantificazione degli oneri di urbanizzazione e del contributo riferito al costo di costruzione per il recupero dei sottotetti è agganciata da un lato alla “superficie lorda di pavimento resa abitativa”, e dall’altro alle “tariffe approvate e vigenti” per le opere di nuova costruzione.
In tal senso il TAR ha ragione quanto ha escluso la legittimità di un conteggio che tenga conto della “superficie complessiva”, cioè la superficie utile più quella non residenziale di cui all’art. 2 del D.M. 10.05.1977 n. 10.
Infatti, in applicazione del principio ermeneutico generale della prevalenza della norma speciale sulla norma generale è esatto l’assunto per cui in materia di oneri di urbanizzazione relativi al recupero dei sottotetti, deve farsi esclusivo riferimento al più ristretto ambito spaziale individuato al settimo comma dell'art. 64 della L.R..
Pertanto, in base al vecchio brocardo “ubi lex voluit dixit”, se il legislatore regionale ha prescritto che gli oneri di urbanizzazione ed il costo di costruzione debbono essere computati con riferimento alla “volumetria o sulla superficie lorda di pavimento resa abitativa”, ha intenzionalmente inteso porre una fattispecie peculiare derogatoria del regime generale di cui agli artt. 44 e 48 della L.R. n. 12/2005.
La Società, nella memoria del 03.10.2013, esattamente ricorda come tale individuazione è del tutto coerente sia con le finalità generali di recupero di patrimonio edilizio ai fini abitativi, sia con riferimento al fatto che non possano computarsi tutte le superfici non residenziali che spesso non appartengono nemmeno all’esecutore dell’intervento.
Al riguardo, al fine del calcolo del costo di costruzione per gli interventi in questione deve dunque escludersi che possano essere conteggiate come fattori di moltiplicazione le superfici non destinate anche indirettamente ai fini residenziali quali i locali di pertinenza del fabbricato ad uso comune quali androni, deposito biciclette e carrozzine, deposito rifiuti, corridoi e disimpegni dei solai delle cantine ed ecc. (ma al riguardo vedi anche infra).
Tuttavia il richiamo alle “tariffe vigenti” di cui all’art. 64, co. 7, della detta L.R. implica che per la determinazione del costo di costruzione per le nuove costruzioni -sia pure con riferimento alle sole superfici lorde di pavimento rese abitative- debba farsi diretto rinvio all’art. 48 della L.R. n. 12/2005, ed al d.m. 10.05.1977.
In altre parole, l'interpretazione della preposizione "calcolati sulla volumetria o sulla superficie lorda di pavimento resa abitativa secondo le tariffe approvate vigenti per ciascun Comune per le opere di nuova costruzione" deve essere coerente con il precedente art. 48 ed implica che il calcolo del costo di costruzione dei recuperi edilizi dei sottotetti deve essere computato utilizzando da un lato la volumetria o la superficie s.l.p. resa abitativa e dall’altro le tabelle comunali per le nuove costruzioni di cui all'art. 48 della L.R. n. 12/2005.
Solo in relazione a quest’ultimo limitato profilo il primo motivo del Comune può, per tale parte, essere accolto
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 20.12.2013 n. 6160 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl contributo per oneri di urbanizzazione costituisce un corrispettivo di diritto pubblico previsto dal legislatore a titolo di partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione, ovvero un contributo speciale che ha la propria causa giuridica nelle maggiori spese che l’amministrazione pubblica deve accollarsi in dipendenza della costruzione dell’edificio e del connesso utilizzo, da parte dei detentori del bene, dei servizi e degli spazi circostanti.
Pertanto, è consolidato in giurisprudenza il principio secondo cui, in caso di ristrutturazione edilizia, il pagamento degli oneri di urbanizzazione è dovuto solo nel caso in cui l’intervento abbia determinato un aumento del carico urbanistico.
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L’intervento assentito dal Comune prevede la demolizione di un fabbricato di civile abitazione unifamiliare di quattro piani fuori terra e la successiva edificazione di un nuovo fabbricato sempre di civile abitazione unifamiliare di pari volumetria, composto da due piani fuori terra oltre seminterrato.
L’edificio risultante dalla ristrutturazione conserva la stessa volumetria e la stessa destinazione d’uso dell’edificio precedente, non determinando, quindi, alcuna modifica dei parametri e del carico urbanistico. Inconferente, ai fini del carico urbanistico, è la modifica di sagoma e prospetti.
Ne consegue che non sono dovuti gli oneri di urbanizzazione.

... per l'annullamento del provvedimento di determinazione degli oneri di urbanizzazione primaria/secondaria e di costruzione, emanato dal Comune di Meina, nella persona del responsabile del servizio tecnico, in data 11.02.2000 e in pari data notificato al ricorrente (rif. pratica edilizia n. 11/1999);
...
Il ricorso è fondato.
Il contributo per oneri di urbanizzazione costituisce un corrispettivo di diritto pubblico previsto dal legislatore a titolo di partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione, ovvero un contributo speciale che ha la propria causa giuridica nelle maggiori spese che l’amministrazione pubblica deve accollarsi in dipendenza della costruzione dell’edificio e del connesso utilizzo, da parte dei detentori del bene, dei servizi e degli spazi circostanti.
Pertanto, è consolidato in giurisprudenza il principio secondo cui, in caso di ristrutturazione edilizia, il pagamento degli oneri di urbanizzazione è dovuto solo nel caso in cui l’intervento abbia determinato un aumento del carico urbanistico (TAR Piemonte, sez. I, 26.11.2003 n. 1675 e, da ultimo, TAR Piemonte, sez. II, 16.09.2013 n. 1009; Cons. Stato, sez. IV, 29.04.2004, n. 2611).
Nel caso di specie, la documentazione versata in atti dal ricorrente sembra obbiettivamente escludere che l’intervento edilizio abbia comportato un aumento del carico urbanistico.
L’intervento assentito dal Comune prevede la demolizione di un fabbricato di civile abitazione unifamiliare di quattro piani fuori terra e la successiva edificazione di un nuovo fabbricato sempre di civile abitazione unifamiliare di pari volumetria, composto da due piani fuori terra oltre seminterrato (cfr. relazione tecnica sub doc. 1 di parte ricorrente).
L’edificio risultante dalla ristrutturazione conserva la stessa volumetria e la stessa destinazione d’uso dell’edificio precedente, non determinando, quindi, alcuna modifica dei parametri e del carico urbanistico.
Inconferente, ai fini del carico urbanistico, è la modifica di sagoma e prospetti.
Ne consegue che non sono dovuti gli oneri di urbanizzazione.
Il ricorso è quindi fondato e va accolto. Per l’effetto, va disposto l’annullamento dell’atto impugnato nella parte relativa all’indicazione e alla quantificazione degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria, e va inoltre condannata l’amministrazione comunale a restituire al ricorrente l’importo degli oneri da questi indebitamente versato, in misura pari all’equivalente in Euro dell’importo di Lire 23.118.503, con gli interessi legali dalla data della domanda (07.04.2000) fino al saldo (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 13.12.2013 n. 1346 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

novembre 2013

APPALTI FORNITURE E SERVIZI - EDILIZIA PRIVATA1)– Non può escludersi la generale ammissibilità di mezzi di adempimento diversi dal pagamento nel caso di transazioni commerciali tra ente locale e privati, originate da contratti di servizi e forniture, ai sensi dell’art. 2, comma 4, del “Codice degli appalti pubblici” (D.Lgs.vo n. 163/2006). (In questo senso, è stato ritenuto che la disposizione ex art. 35, comma 3-bis, del D.L. n. 1/2012, sia applicabile anche agli EE.LL.).
La compensazione dei crediti commerciali non prescritti, certi, liquidi ed esigibili, con debiti tributari, trova le limitazioni contenute nelle specifiche norme in materia, non derogabili, che la ammettono su istanza del creditore o su sua specifica richiesta.
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2)- Nel caso della procedura di riequilibrio pluriennale non si rinvengono indicazioni specifiche, quali quelle prescritte per la procedura di dissesto, che impongano una particolare procedura di pagamento dei debiti, che possano essere ricondotte al principio della “par condicio creditorum”. (Nel parere si segnala, comunque, la disposizione contenuta all’art. 6 del D.L. n. 35/2013, che può fornire indicazioni di carattere generale e, dunque, non circoscritto alle sola ipotesi del riequilibrio pluriennale, sul corretto criterio di pagamento dei debiti delle pubbliche amministrazioni).
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3)- Allo stato attuale della legislazione e fino a tutto il 2014, l’utilizzo delle risorse rivenienti dalle concessioni edilizie e dalle sanzioni previste dal DPR n. 380/2001, fermo il presupposto che le spese non siano consolidate e ripetitive e che l’entrata sia accertata sulla base degli introiti effettivi, nel rispetto dei principi di sana gestione, continua a essere disciplinato nel modo previsto dalla legge n. 244/2007, ancora non trovando applicazione il nuovo vincolo di destinazione impresso dall’art. 4 comma 3, della legge n. 228 del 24/12/2012.
Permane pertanto la possibilità di utilizzare, per la quota del 50%, le entrate rivenienti nei contributi per permesso di costruzione per la pulizia delle strade e per fronteggiare il debito fuori bilancio dell’Ente nei confronti di creditori che abbiano effettuato interventi per l’emergenza neve e per la manutenzione delle strade comunali.

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Con la nota in epigrafe il Commissario Straordinario del Comune di San Fele, dopo aver premesso che l’Ente ha adottato un piano di riequilibrio finanziario pluriennale, pone i seguenti quesiti:
I- con riferimento alle norme in materia di compensazione di crediti non prescritti, certi, liquidi ed esigibili, maturati al 31.12.2012 nei confronti dei Comuni, si chiede se anche l’Ente possa legittimamente avvalersi di tale facoltà nei rapporti con i privati, anche allo scopo di prevenire danni da ritardo nei pagamenti ai propri creditori;
I.1- se, nel caso di risposta affermativa, sia corretto approvare preventivamente un atto di indirizzo/direttiva di Giunta per i responsabili dei settori e degli uffici;
II- se vi sono, e quali sono, le corrette azioni da intraprendere per non violare il principio della par condicio creditorum nell’attuazione della procedura di riequilibrio finanziario pluriennale;
III- se le entrate derivanti dai contributi per permesso di costruzione possano legittimamente essere destinate a fronteggiare il debito dell’Ente nei confronti di creditori che abbiano effettuato interventi per l’emergenza neve e per la manutenzione delle strade comunali (prestazioni di servizi).
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(... segue) (Corte dei Conti, Sez. controllo Basilicata, deliberazione 27.11.2013 n. 123).

EDILIZIA PRIVATA: Le controversie sull'ammontare dei contributi di concessione edilizia involgono diritti soggettivi; per cui il relativo pagamento non comporta acquiescenza alla liquidazione dei contributi medesimi e non preclude la tutela giurisdizionale contro gli atti relativi, dovendo piuttosto essere considerato quale espressione della connaturale esigenza dell'attività imprenditoriale edilizia di dare avvio, senza indugi, alla realizzazione dell'opera progettata.
In via preliminare, va disattesa l’eccezione di irricevibilità e/o inammissibilità del ricorso, sollevata dal resistente Comune di Agrigento, in quanto è noto che le relative controversie sono soggette all’ordinario termine di prescrizione e non a quello decadenziale (cfr., da ultimo, TAR Sicilia–Catania sez. I - 26.09.2013, n. 2287).
Peraltro, le controversie sull'ammontare dei contributi di concessione edilizia involgono diritti soggettivi; per cui il relativo pagamento non comporta acquiescenza alla liquidazione dei contributi medesimi e non preclude la tutela giurisdizionale contro gli atti relativi, dovendo piuttosto essere considerato quale espressione della connaturale esigenza dell'attività imprenditoriale edilizia di dare avvio, senza indugi, alla realizzazione dell'opera progettata (in tal senso, Cons. Stato, sez. V, 12.10.1990, n. 716; TAR Sicilia–Palermo – sez. I, 30.09.2002, n. 2715) (TAR Sicilia-Palermo, Sez. III, sentenza 08.11.2013 n. 2066 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ottobre 2013

EDILIZIA PRIVATA: La qualificazione di un intervento edilizio assentito non dipende dal nomen juris impiegato dall’Autorità comunale, ma deve essere compiuta in base a criteri essenziali.
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A proposito della “ristrutturazione” e del “restauro e risanamento conservativo”, la giurisprudenza individua il tratto differenziale tra le due tipologie di interventi nella presenza o meno di modifiche strutturali incidenti sulla sagoma e sul volume dell’edificio, ovvero nella presenza o meno di un incremento del complessivo carico urbanistico derivante dall’edificio, sicché l’elemento decisivo, ai fini della qualificazione di un intervento come ristrutturazione edilizia, è costituito non tanto dal dato formale del coinvolgimento delle strutture portanti o delle pareti perimetrali dell’immobile, quanto da quello sostanziale del conseguimento di un maggiore “peso” urbanistico sul territorio, a causa di aumenti di volume, di modifiche di sagoma o di incrementi del complessivo carico urbanistico rispetto al preesistente.
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In relazione agli interventi che danno titolo al rilascio della concessione edilizia a titolo gratuito, l’elemento di discriminazione tra la concessione onerosa e la concessione gratuita, o tra interventi assoggettati al regime di concessione e opere soggette a mera autorizzazione, deve essere individuato nella modifica o meno del carico urbanistico, che costituisce il limite della differenza di regime giuridico.

Quanto, innanzi tutto, al carattere oneroso o gratuito dell’intervento edilizio in questione, il Collegio ritiene che non si possa prescindere dal preliminare accertamento della reale portata dell’intervento medesimo, alla luce dell’orientamento che vuole che la qualificazione di un intervento edilizio assentito non dipende dal nomen juris impiegato dall’Autorità comunale, ma deve essere compiuta in base a criteri essenziali (v. Cons. Stato, Sez. V, 05.06.1991 n. 883).
Orbene, a proposito della “ristrutturazione” e del “restauro e risanamento conservativo”, la giurisprudenza individua il tratto differenziale tra le due tipologie di interventi nella presenza o meno di modifiche strutturali incidenti sulla sagoma e sul volume dell’edificio, ovvero nella presenza o meno di un incremento del complessivo carico urbanistico derivante dall’edificio, sicché l’elemento decisivo, ai fini della qualificazione di un intervento come ristrutturazione edilizia, è costituito non tanto dal dato formale del coinvolgimento delle strutture portanti o delle pareti perimetrali dell’immobile, quanto da quello sostanziale del conseguimento di un maggiore “peso” urbanistico sul territorio, a causa di aumenti di volume, di modifiche di sagoma o di incrementi del complessivo carico urbanistico rispetto al preesistente (v. Cons. Stato, Sez. IV, 19.11.2012 n. 5818).
Nella fattispecie, in particolare, l’aggravio di carico urbanistico viene fatto discendere dall’Amministrazione comunale dall’incremento di alloggi che l’intervento determina, aggravio la cui sussistenza la ricorrente invero non contesta, senza tener conto però della circostanza che, in relazione agli interventi che danno titolo al rilascio della concessione edilizia a titolo gratuito, l’elemento di discriminazione tra la concessione onerosa e la concessione gratuita, o tra interventi assoggettati al regime di concessione e opere soggette a mera autorizzazione, deve essere individuato nella modifica o meno del carico urbanistico, che costituisce il limite della differenza di regime giuridico (v., tra le altre, TAR Marche 12.02.1998 n. 250).
Ne consegue che, dovendosi ascrivere l’intervento edilizio in questione alla categoria della “ristrutturazione” –nonostante il diverso nomen iuris utilizzato–, correttamente l’Amministrazione ha preteso la corresponsione del contributo ex art. 3 della legge n. 10 del 1977 (TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. I, sentenza 23.10.2013 n. 649 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Per costante giurisprudenza, mentre hanno natura regolamentare i provvedimenti previsti dagli artt. 5 e 6 della legge n. 10 del 1977, con i quali le regioni e i consigli comunali stabiliscono i criteri generali per la determinazione del contributo, hanno invece natura di atti paritetici tutti i restanti atti con i quali, in applicazione dei criteri legislativi e regolamentari stabiliti, l’ente locale quantifica le somme dovute e le pone a carico del titolare della concessione, con la conseguenza che, ove si eccettuino le impugnative degli atti regolamentari recanti i criteri generali suindicati, tutte le altre controversie relative all’an e al quantum del contributo riguardano diritti soggettivi delle parti in relazione ai quali l’Amministrazione è sfornita di potestà autoritativa, dovendo compiere un’attività di mero accertamento in base ai parametri normativi prefissati, e allora, vertendosi in tema di diritti soggettivi e non di interessi legittimi, la censura della concreta quantificazione degli oneri soggiace solo e soltanto al vizio di violazione di legge, non certamente ad un vizio sintomatico dell’eccesso di potere quale quello del difetto di motivazione.
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La giurisprudenza ha chiarito che il contributo diviene certo, liquido (o agevolmente liquidabile) ed esigibile fin dal momento della formazione del titolo edilizio, con la conseguenza che è da allora che inizia a maturare il credito accessorio per interessi ai sensi dell’art. 1282 cod.civ.; non trattandosi, dunque, di interessi moratori, quanto piuttosto di interessi corrispettivi, legittimamente l’Amministrazione resistente ha a suo tempo preteso il pagamento di simili accessori secondo le modalità contestate dalla ricorrente.
Si tratta, del resto, di conclusione coerente con quell’indirizzo giurisprudenziale che dalla disciplina della legge n. 10 del 1977 fa scaturire che il fatto costitutivo dell’obbligo giuridico del titolare della concessione edilizia di versare il dovuto é rappresentato dal rilascio della concessione stessa, sicché è a quel momento che occorre avere riguardo non solo per la determinazione del contributo, ma anche per l’individuazione della decorrenza del termine di prescrizione, divenendo il relativo credito –a tale data– certo, liquido (o agevolmente liquidabile) ed esigibile, e ciò anche perché, pur in presenza del potere del Comune di stabilire modalità e garanzie per il pagamento del contributo, l’atto di imposizione non ha carattere autoritativo, ma si risolve in un mero atto ricognitivo e contabile, applicativo di precedenti provvedimenti di carattere generale, per cui la mancata tempestiva adozione dello stesso non implica alcuna facoltà dell’Amministrazione di differire la riscossione del suo diritto di credito, configurandosi piuttosto come mancato esercizio del diritto stesso, idoneo a far decorrere il termine di prescrizione.

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Il ricorrente lamenta che l’ingiunzione di pagamento ex art. 2 del r.d. n. 639 del 1910 non è stata vidimata e resa esecutiva dal pretore –ora giudice unico–, così come prescriverebbe detta disposizione.
La censura, però, non tiene conto della previsione dell’art. 229 del d.lgs. n. 51 del 1998 (“Il potere del pretore di rendere esecutivi atti emanati da autorità amministrative è soppresso e gli atti sono esecutivi di diritto”) e, quindi, del sopraggiunto venir meno di una simile formalità.

E’ infondata anche la questione incentrata, sotto più profili, sulla carente motivazione degli atti censurati.
Occorre ricordare infatti che, per costante giurisprudenza (v., tra le altre, Cons. Stato, Sez. V, 29.07.2000 n. 4217), mentre hanno natura regolamentare i provvedimenti previsti dagli artt. 5 e 6 della legge n. 10 del 1977, con i quali le regioni e i consigli comunali stabiliscono i criteri generali per la determinazione del contributo, hanno invece natura di atti paritetici tutti i restanti atti con i quali, in applicazione dei criteri legislativi e regolamentari stabiliti, l’ente locale quantifica le somme dovute e le pone a carico del titolare della concessione, con la conseguenza che, ove si eccettuino le impugnative degli atti regolamentari recanti i criteri generali suindicati, tutte le altre controversie relative all’an e al quantum del contributo riguardano diritti soggettivi delle parti in relazione ai quali l’Amministrazione è sfornita di potestà autoritativa, dovendo compiere un’attività di mero accertamento in base ai parametri normativi prefissati, e allora, vertendosi in tema di diritti soggettivi e non di interessi legittimi, la censura della concreta quantificazione degli oneri soggiace solo e soltanto al vizio di violazione di legge, non certamente ad un vizio sintomatico dell’eccesso di potere quale quello del difetto di motivazione.
Quanto, poi, agli interessi legali pretesi dall’Amministrazione comunale, la ricorrente lamenta che li si sia fatti decorrere dal 26.05.1997, benché la comunicazione della debenza del contributo fosse avvenuta solo nell’ottobre 1999 e la prima quantificazione del relativo importo fosse stata operata solo nel marzo 2000, sicché difetterebbero i presupposti legali per l’applicazione di interessi di mora ad una somma il cui ritardato versamento si assume imputabile esclusivamente al creditore.
In realtà –osserva il Collegio– la giurisprudenza ha chiarito (v. TAR Campania, Napoli, Sez. II, 18.07.2011 n. 3889) che il contributo diviene certo, liquido (o agevolmente liquidabile) ed esigibile fin dal momento della formazione del titolo edilizio, con la conseguenza che è da allora che inizia a maturare il credito accessorio per interessi ai sensi dell’art. 1282 cod.civ.; non trattandosi, dunque, di interessi moratori, quanto piuttosto di interessi corrispettivi, legittimamente l’Amministrazione resistente ha a suo tempo preteso il pagamento di simili accessori secondo le modalità contestate dalla ricorrente.
Si tratta, del resto, di conclusione coerente con quell’indirizzo giurisprudenziale che dalla disciplina della legge n. 10 del 1977 fa scaturire che il fatto costitutivo dell’obbligo giuridico del titolare della concessione edilizia di versare il dovuto é rappresentato dal rilascio della concessione stessa, sicché è a quel momento che occorre avere riguardo non solo per la determinazione del contributo, ma anche per l’individuazione della decorrenza del termine di prescrizione, divenendo il relativo credito –a tale data– certo, liquido (o agevolmente liquidabile) ed esigibile, e ciò anche perché, pur in presenza del potere del Comune di stabilire modalità e garanzie per il pagamento del contributo, l’atto di imposizione non ha carattere autoritativo, ma si risolve in un mero atto ricognitivo e contabile, applicativo di precedenti provvedimenti di carattere generale, per cui la mancata tempestiva adozione dello stesso non implica alcuna facoltà dell’Amministrazione di differire la riscossione del suo diritto di credito, configurandosi piuttosto come mancato esercizio del diritto stesso, idoneo a far decorrere il termine di prescrizione (v., in questi termini, Cons. Stato, Sez. IV, 29.09.2011 n. 5413).
Un’ultima ragione di doglianza è legata alla circostanza che l’ingiunzione di pagamento ex art. 2 del r.d. n. 639 del 1910 non è stata vidimata e resa esecutiva dal pretore –ora giudice unico–, così come prescriverebbe detta disposizione. La censura, però, non tiene conto della previsione dell’art. 229 del d.lgs. n. 51 del 1998 (“Il potere del pretore di rendere esecutivi atti emanati da autorità amministrative è soppresso e gli atti sono esecutivi di diritto”) e, quindi, del sopraggiunto venir meno di una simile formalità (TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. I, sentenza 23.10.2013 n. 649 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Indipendentemente dall’esecuzione di opere edilizie, la richiesta di pagamento degli oneri di urbanizzazione deve ritenersi legittima ogni qual volta si verifichi una variazione, in aumento, del carico urbanistico (cioè la richiesta di una maggiore dotazione di servizi, quali, ad es. rete viaria, parcheggi, verde, fognature, ecc.), giacché in tale evenienza sussiste il presupposto che giustifica la corresponsione, quanto meno, della differenza tra gli oneri di urbanizzazione dovuti per la destinazione originaria e quelli, se maggiori, dovuti per la nuova destinazione impressa all'immobile.
Al riguardo la giurisprudenza amministrativa ha ripetutamente affermato che, indipendentemente dall’esecuzione di opere edilizie, la richiesta di pagamento degli oneri di urbanizzazione deve ritenersi legittima ogni qual volta si verifichi una variazione, in aumento, del carico urbanistico (cioè la richiesta di una maggiore dotazione di servizi, quali, ad es. rete viaria, parcheggi, verde, fognature, ecc.), giacché in tale evenienza sussiste il presupposto che giustifica la corresponsione, quanto meno, della differenza tra gli oneri di urbanizzazione dovuti per la destinazione originaria e quelli, se maggiori, dovuti per la nuova destinazione impressa all'immobile (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 29.04.2004 n. 2611; id. Sez. V, 15.09.1997 n. 959; TAR Roma, Sez. II-ter, 17.03.2012 n. 2604; TAR Bari, Sez. III, 22.02.2006, n. 571; TAR Milano, Sez. II, 02.10.2003 n. 4502; TAR Bologna, Sez. II, 19.02.2001 n. 157 e 07.05.1999, n. 259) (TAR Marche, sentenza 15.10.2013 n. 699 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATACostruzioni. Pagamento richiesto in base al carico urbanistico.
Oneri e contributo, gratuiti soltanto i lavori edilizi minori. Sempre esonerata la manutenzione.
Gli interventi edilizi minori sono gratuiti. Per la manutenzione ordinaria e straordinaria degli immobili non viene richiesto il contributo di costruzione. Mentre la nuova costruzione produce, sempre, un incremento del carico urbanistico sull'area di intervento ed è quindi un intervento oneroso.

Ma non è il solo titolo edilizio a distinguere i lavori soggetti al contributo da quelli esenti. Di recente, infatti, sono stati considerati onerosi anche gli interventi che comportano un aumento delle superfici utili di calpestio (Corte di giustizia amministrativa sentenza 05.09.2013, n. 741) pur in assenza di aumento di cubatura (Consiglio di Stato, Sez. V, n. 999/1999).
L'articolo 16 del Testo unico dell'edilizia (Dpr 380/2001) precisa che per il rilascio del permesso di costruire l'interessato è tenuto a versare all'amministrazione comunale un contributo di costruzione che si compone di due voci, l'incidenza degli oneri di urbanizzazione e il costo di costruzione. Attraverso la quota degli oneri di urbanizzazione del contributo di costruzione, il titolare del permesso di costruire è chiamato a partecipare ai costi sociali delle opere di urbanizzazione, le quali, quindi, si ridistribuiscono e gravano su coloro che beneficeranno delle utilità del nuovo intervento. La quota per costo di costruzione si giustifica per l'aumentata capacità contributiva del titolare.
Gli interventi a pagamento
L'onerosità del titolo abilitativo va ravvisata ogniqualvolta un nuovo intervento edilizio produca un aggravio del carico urbanistico sul territorio. È quindi il caso delle ristrutturazioni mediante demolizione e ricostruzione: questi interventi, portando alla definizione di un bene nella sostanza nuovo, producono di regola un incremento del carico urbanistico pari a quello delle nuove costruzioni (Tar Lombardia, Sezione II, n. 4455/2009). Il tipo di permesso necessario per l'esecuzione degli interventi di ristrutturazione non incide sull'obbligatorietà del contributo: esso dovrà, quindi, essere corrisposto anche se la ristrutturazione è soggetta a semplice Scia.
I lavori gratuiti
Sono gratuiti gli interventi minori, quali le opere di manutenzione ordinaria, straordinaria e di risanamento conservativo. Le modifiche interne ad unità abitative, come apertura di porte interne o spostamento di pareti, sono in particolare gratuite sempre che non comportino la modifica dei parametri urbanistici quali la superficie utile.
Inoltre, secondo il Testo unico il contributo di costruzione non è dovuto per gli interventi da realizzare in zona agricola, funzionali alla conduzione del fondo e alle esigenze dell'imprenditore agricolo.
Tra le fattispecie gratuite, poi, l'articolo 17 annovera gli interventi di ristrutturazione e di ampliamento di edifici unifamiliari, in misura non superiore al 20%. Sul punto l'interpretazione giurisprudenziale è fortemente restrittiva: sono stati considerati onerosi, infatti, gli interventi su immobili familiari destinati allo svolgimento di attività produttive o con destinazione mista abitativa e produttiva, come i bed & breakfast: in questi casi, la giurisprudenza vi ha scorto un fine di lucro incompatibile con lo scopo della norma che tende -tramite la gratuità- a favorire il miglioramento delle esigenze abitative dei nuclei familiari (Tar Marche, sezione I, sentenza 10.05.2012, n. 310; Tar Campania sezione I, sentenza 08.01.2013, n. 25).
Sono gratuite, poi, le opere pubbliche o di interesse generale realizzate dagli enti istituzionalmente competenti nonché per le opere di urbanizzazione, eseguite anche da privati, in attuazione di strumenti urbanistici. Nell'ambito delle opere di urbanizzazione, la Legge Tognoli (legge 122/1989) fa rientrare i parcheggi che, pertanto, non sono soggetti a contributo concessorio (Tar Campania, Sezione II, sentenza 24.05.2013, n. 2745).
Sono gratuiti anche gli interventi da realizzare in attuazione di norme speciali a seguito di pubbliche calamità nonché gli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili o comunque volti alla conservazione, al risparmio e all'uso razionale dell'energia.
Sempre l'articolo 17 del Dpr 380 prevede, poi, due ipotesi di riduzione del contributo di costruzione:
- edilizia abitativa convenzionata;
- realizzazione della prima abitazione.
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La mappa
LE ECCEZIONI - I casi di esenzione o riduzione parziale dal contributo di costruzione
CONTRIBUTO RIDOTTO
01 | EDILIZIA CONVENZIONATA
Contributo limitato alla sola quota degli oneri di urbanizzazione per affitti calmierati
02 | PRIMA CASA
Contributo equivalente a quanto previsto per l'edilizia residenziale pubblica
ESENTI DA CONTRIBUTO DI COSTRUZIONE
01 | INTERVENTI IN ZONA AGRICOLA
Il contributo non è dovuto solo se gli interventi sono funzionali:
- alla conduzione del fondo, e
- alle esigenze dell'imprenditore agricolo
02 | RISTRUTTURAZIONE E AMPLIAMENTO DI EDIFICI UNIFAMILIARI
Il contributo non è dovuto per gli ampliamenti in misura inferiore al 20% dell'edificio
03 | OPERE PUBBLICHE
Realizzate da enti istituzionalmente competenti
04 | OPERE DI URBANIZZAZIONE
Niente contributo per le opere eseguite, anche da privati, in attuazione di strumenti urbanistici
05 | FONTI RINNOVABILI
«Gratuita» anche l'installazione di strumenti volti alla produzione di energia o all'uso razionale dell'energia
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La determinazione. Per Dia e Scia autoliquidazione del privato. Dieci anni di tempo per opporsi ai conteggi.
LA RINUNCIA/ Si ha diritto alla restituzione delle somme versate quando si cambia idea e il progetto autorizzato resta sulla carta.

Il contributo di costruzione viene calcolato dal Comune prima di rilasciare il permesso di costruire. Sono i Comuni a determinare l'ammontare della quota di oneri di urbanizzazione (sulla base delle tabelle parametriche definite dalla Regione) mentre la quota di costo di costruzione è fissata dalle Regioni.
Per gli interventi edilizi autorizzabili tramite titoli autocertificati (Scia e Dia) il contributo è calcolato dal soggetto che richiede il titolo, il quale tramite modelli di calcolo predisposti dal Comune, si autoliquida gli oneri dovuti. Resta fermo, poi, il potere del Comune di valutare la congruità dell'autoliquidazione effettuata dal privato e, eventualmente, richiedere integrazioni.
La determinazione degli oneri dovuti per il singolo intervento può essere contestata da parte del privato. Il soggetto si può opporre ai calcoli aritmetici eseguiti dall'amministrazione: il ricorso, in tal caso, riguarda il diritto soggettivo alla corretta quantificazione degli oneri dovuti e può essere proposto nel termine di prescrizione decennale (Consiglio di Stato, Sezione IV, sentenza 24.09.2012, n. 5080).
Viceversa, se si contesta la ragione del credito il termine di decadenza torna ad essere quello ordinario di 60 giorni. Se ad esempio è in discussione la legittimità di una tabella parametrica di un Comune che assoggetta al pagamento degli oneri gli spostamenti interni di pareti, il rapporto tra le parti non può essere considerato paritetico (ci si oppone, infatti, l'esercizio di un potere) con la conseguenza che il ricorso contro la determinazione dell'onere dovrà essere proposto nell'ordinario termine decadenziale di 60 giorni.
Cosa succede se, dopo aver versato il contributo, il privato non realizzi più (o realizzi solo parzialmente) l'opera assentita? Ciò può accadere sia per mutamento di decisione da parte del titolare del permesso sia per intervenuto decorso dei termini di inizio o fine lavori, sia infine per il sopravvenire di previsioni urbanistiche contrastanti con le opere autorizzate e non ancora realizzate. In tal caso, sorge in capo all'interessato il diritto alla restituzione di quanto versato all'amministrazione. Il contributo, infatti, è connesso all'incremento del carico urbanistico nell'area: se l'intervento non viene realizzato non si realizza il presupposto del contributo, con la conseguenza che quanto versato è stato indebitamente percepito dall'amministrazione comunale e di tale somma il privato può richiederne la restituzione (Tar Lombardia - Brescia, Sezione I, 30.01.2011, n. 188).
L'obbligo giuridico di corrispondere il contributo sorge, infatti, con il rilascio della concessione edilizia, non venendo in rilievo né la già intervenuta realizzazione di opere di urbanizzazione (Consiglio di Stato, sezione V, sentenza 22.02.2011, n. 1108), né la mancata realizzazione delle opere assentite(Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 30.07.2012 n. 4320).
Il termine di prescrizione del diritto alla restituzione inizia a decorrere dal momento in cui il privato comunica la propria intenzione di non procedere con l'edificazione (Tar Lombardia, Sezione II, 24.03.2010, n. 728) o a partire dalla data in cui sia intervenuta la decadenza della concessione per la mancata realizzazione delle opere (Tar Campania-Salerno, Sezione II, sentenza 05.05.2013, n. 513).
Parimenti, anche il diritto dell'amministrazione a sollecitare il pagamento non versato o a richiedere eventuali maggiorazioni degli importi dovuti, soggiace allo stesso termine decennale di impugnazione, decorso il quale scatta la prescrizione (Tar Campania, Sezione IV, sentenza 22.05.2013, n. 2634).
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Senza opere. A decidere sono i piani comunali. Il cambio d'uso può far scattare il pagamento.
Il mutamento di destinazione d'uso di un immobile può risultare oneroso. La quantificazione dipende da una serie di fattori di natura urbanistica.
La disciplina del mutamento d'uso, a livello nazionale, è principalmente contenuta nell'articolo 10 del Dpr 380/2001 (Testo unico edilizia), che tuttavia affida alle Regioni il compito di stabilire quali mutamenti d'uso, connessi o non connessi a trasformazioni fisiche dei fabbricati, sono subordinati a permesso di costruire o a denuncia di inizio attività. Le Regioni, a loro volta, normalmente demandano l'identificazione delle specifiche ricadute delle singole tipologie di mutamento d'uso agli strumenti urbanistici comunali.
In materia, interviene, anche, l'articolo 19 dello stesso Dpr che, con riguardo alle opere non destinate alla residenza, specifica che, qualora la loro destinazione d'uso venga modificata nei dieci anni successivi alla fine dei lavori, il contributo di costruzione è dovuto nella misura massima corrispondente alla nuova destinazione, calcolata al momento della variazione.
La materia non ha, dunque, una disciplina unitaria sull'intero territorio nazionale. Comunque,l'evoluzione giurisprudenziale consente di individuare alcuni principi consolidati.
Innanzitutto, il mutamento d'uso di un fabbricato in favore di una determinata destinazione è ammesso solo se questa rientra in quelle consentite per l'area dallo strumento urbanistico generale: prima di procedere ad un cambio d'uso occorre, quindi, verificare la compatibilità della funzione rispetto alla regolamentazione comunale.
Per quanto attiene al profilo economico, il mutamento sarà oneroso se c'è passaggio tra categorie urbanistiche funzionalmente autonome, sia che si tratti di mutamenti d'uso con opere, sia che si tratti di mutamenti senza opere.
Come recentemente ribadito dalla giurisprudenza, infatti, il fondamento del contributo di urbanizzazione non consiste nel titolo edilizio in sé, ma nella necessità di ridistribuire i costi sociali delle opere di urbanizzazione su quanti ne beneficiano, con la conseguenza che, nel caso di modificazione della destinazione d'uso cui si correli un maggiore carico urbanistico, è integrato il presupposto per il pagamento della differenza tra gli oneri dovuti per la destinazione originaria e quelli, se più elevati, dovuti per la nuova destinazione (Consiglio di Stato, sentenza 30.08.2013, n. 4326).
Alla luce di questo principio, un cambio d'uso, ancorché senza opere, che determina un maggior carico urbanistico, può configurare il presupposto per il pagamento del contributo con conseguente necessità di pagare la differenza tra gli oneri di urbanizzazione già corrisposti e quelli, se più elevati, dovuti per la nuova destinazione.
Il mutamento d'uso può, inoltre, implicare l'adeguamento della dotazione di aree a standard. La giurisprudenza ha ritenuto legittima la disposizione di uno strumento urbanistico che condiziona i cambi d'uso con opere alla cessione o alla monetizzazione delle aree a standard aggiuntive (Tar Lombardia, sentenza 22.07.2010, n. 3256) (articolo Il Sole 24 Ore del 14.10.2013).

EDILIZIA PRIVATA: L'obbligazione di corrispondere gli oneri di urbanizzazione ha per oggetto una prestazione pecuniaria, da eseguire al domicilio del creditore, senza che su quest’ultimo gravi alcun onere di preventiva sollecitazione o avvertenza.
In assenza di inadempimenti imputabili all’Amministrazione idonei a configurare a suo carico una responsabilità "da contatto" oppure di natura precontrattuale, non può farsi riferimento all’art. 1227 c.c. essendo tale disposizione riferibile solo alle obbligazioni di carattere risarcitorio e non a quelle (anche di contenuto pecuniario) di natura sanzionatoria, come nel caso in esame.
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L'applicazione della sanzione pecuniaria non deve essere preceduta dalla comunicazione di avvio del relativo procedimento, trattandosi dell’applicazione ex lege di una sanzione pecuniaria connessa al ritardato pagamento del contributo dovuto per il rilascio della concessione edilizia.

L’appello è infondato e va rigettato.
Con l’appello in esame la società ricorrente ha chiesto la riforma della sentenza del Tar Abruzzo che ha respinto il ricorso proposto avverso il provvedimento con cui il comune di L’Aquila ha applicato nei suoi confronti la sanzione prevista dall'art. 3 della L. n. 47/1985, per il ritardato pagamento degli oneri relativi al rilascio di una concessione edilizia.
I dedotti motivi d’appello vanno respinti, alla stregua dell’ormai consolidato orientamento della sezione.
Con decisioni C.S. n. 1250/2005, n. 6345/2005, n. 4025/2007 e n. 5395/2011 è stato, infatti, precisato che:
- l’obbligazione di corrispondere gli oneri di urbanizzazione ha per oggetto una prestazione pecuniaria, da eseguire al domicilio del creditore, senza che su quest’ultimo gravi alcun onere di preventiva sollecitazione o avvertenza;
- in assenza di inadempimenti imputabili all’Amministrazione idonei a configurare a suo carico una responsabilità "da contatto" oppure di natura precontrattuale, non può farsi riferimento all’art. 1227 c.c. essendo tale disposizione riferibile solo alle obbligazioni di carattere risarcitorio e non a quelle (anche di contenuto pecuniario) di natura sanzionatoria, come nel caso in esame.
L'applicazione della sanzione pecuniaria poi non doveva essere preceduta dalla comunicazione di avvio del relativo procedimento, trattandosi dell’applicazione ex lege di una sanzione pecuniaria connessa al ritardato pagamento del contributo dovuto per il rilascio della concessione edilizia.
Per il principio tempus regit actum, va disattesa la istanza dell’appellante in ordine all’applicazione dell’art. 27, comma 17, della legge 448/2001 che prevede una riduzione della sanzione irrogata dal Comune ai sensi dell’art. 3 della legge 47/1985.
Per quanto considerato, l'appello deve essere respinto, perché infondato (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 09.10.2013 n. 4966 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

settembre 2013

EDILIZIA PRIVATA: Complesso multisala cinematografiche, diniego esclusione dal contributo di concessione spazi promiscui e parcheggi.
In funzione dell'inesistenza di un vincolo di pertinenzialità esclusiva con l'attività di pubblico spettacolo cinematografico non possono escludersi dal computo della volumetria i c.d. spazi "promiscui", ossia ingressi, uscite, atrii, servizi igienici, salvo che non ne sia possibile una delimitazione fisica e strutturale tale da renderli funzionali ai soli spettatori delle proiezioni cinematografiche.
Inoltre, poiché non sussiste, né è stato comprovato, un vincolo d'asservimento esclusivo degli spazi a parcheggio alla sola attività di spettacolo cinematografico, non può invocarsi una relazione di pertinenzialità tra i parcheggi e le sale cinematografiche, quindi, non possono essere esclusi dal calcolo della volumetria gli spazi adibiti a parcheggio
(massima tratta da www.lexambiente.it - Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 30.09.2013 n. 4859 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAAi fini del rilascio delle concessioni edilizie, la volumetria necessaria per la realizzazione di sale cinematografiche non concorre alla determinazione della volumetria complessiva in base alla quale sono calcolati gli oneri di concessione.
E "per sala cinematografica si intende qualunque spazio, al chiuso o all'aperto, adibito a pubblico spettacolo cinematografico".
Poi, l'art. 22 d.lgs. 28/2004 ha demandato alle Regioni l'onere di disciplinare "...le modalità di autorizzazione alla realizzazione, trasformazione ed adattamento di immobili da destinare a sale ed arene cinematografiche, nonché alla ristrutturazione o all'ampliamento di sale e arene già in attività, anche al fine di razionalizzare la distribuzione sul territorio delle diverse tipologie di strutture cinematografiche...", ed il comma 2 ha dettagliato la descrizione tipologica delle aree destinate a pubblici spettacoli cinematografici, tra le quali, per quanto qui interessa, alla lettera c) ha incluso anche le "... multisala, (ossia) l'insieme di due o più sale cinematografiche adibite a programmazioni multiple accorpate in uno stesso immobile sotto il profilo strutturale, e tra loro comunicanti".

L'art. 20 del d.l. 14.01.1994, n. 26, convertito con modificazioni nella legge 01.03.1994, n. 153 (recante "Interventi urgenti in favore del cinema") -nel quadro di disposizioni tese ad agevolare "...la trasformazione, la ristrutturazione e l'adeguamento strutturale e tecnologico delle sale esistenti anche ai fini del rispetto della normativa sulla sicurezza dei locali di pubblico spettacolo e di quella sull'abolizione delle barriere architettoniche, nonché per l'installazione e la ristrutturazione di impianti e di servizi accessori alle sale, per l'installazione di casse automatiche computerizzate, per la realizzazione di nuove sale, per il ripristino di sale non più in attività e per l'acquisto dei locali per l'esercizio cinematografico e per i servizi connessi..." (comma 1)-, ha previsto, al comma 7, che: "Ai fini del rilascio delle concessioni edilizie, la volumetria necessaria per la realizzazione di sale cinematografiche non concorre alla determinazione della volumetria complessiva in base alla quale sono calcolati gli oneri di concessione".
L'ambito della fattispecie agevolativa deve essere, pertanto, raccordato all'identificazione tipologica del suo oggetto, come enucleabile anzitutto dall'art. 2, comma 8, del d.lgs. 22.01.2004 n. 28 (recante "Riforma della disciplina in materia di attività cinematografiche, a norma dell'articolo 10 della legge 06.07.2002, n. 137"), a tenore del quale: "Per sala cinematografica si intende qualunque spazio, al chiuso o all'aperto, adibito a pubblico spettacolo cinematografico".
Peraltro, il successivo art. 22, nel demandare alle Regioni di disciplinare "...le modalità di autorizzazione alla realizzazione, trasformazione ed adattamento di immobili da destinare a sale ed arene cinematografiche, nonché alla ristrutturazione o all'ampliamento di sale e arene già in attività, anche al fine di razionalizzare la distribuzione sul territorio delle diverse tipologie di strutture cinematografiche...", al comma 2 ha dettagliato la descrizione tipologica delle aree destinate a pubblici spettacoli cinematografici, tra le quali, per quanto qui interessa, alla lettera c) ha incluso anche le "... multisala, (ossia) l'insieme di due o più sale cinematografiche adibite a programmazioni multiple accorpate in uno stesso immobile sotto il profilo strutturale, e tra loro comunicanti" (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 30.09.2013 n. 4859 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: M. Grisanti, Il "malloppo" degli oneri di urbanizzazione deve essere restituito ai cittadini (19.09.2013 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: La deliberazione del Consiglio Comunale che fissa gli oneri concessori (ai sensi dell’art. 16 del DPR 380/2001) è un atto autoritativo, da impugnarsi nell’ordinario termine di decadenza di sessanta giorni, stante la previsione degli articoli 29 e 41 del D.Lgs. 104/2010 (“Codice del processo amministrativo”).
Tale termine decorre, nel caso di atti a contenuto generale quali le delibere consiliari di aggiornamento degli oneri di urbanizzazione, dalla scadenza del termine di pubblicazione della delibera, ai sensi del già citato art. 41, comma 2°, del D.Lgs. 104/2010.

Al riguardo, il Collegio, ad un più approfondito esame rispetto a quanto rilevato in sede di cognizione sommaria, non può che condividere la tesi fatta propria da parte resistente.
In effetti, è indubbio che i due motivi articolati con l’odierno ricorso si appuntino proprio sulla delibera n. 23/2002, per la quale (come già evidenziato nella sentenza n. 2080/2012, pronunciata dalla Sezione in un caso analogo a quello all’odierno esame), deve trovare applicazione l’indirizzo giurisprudenziale, ribadito anche di recente dal Supremo giudice amministrativo (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 28.05.2012, n. 3122 e 03.05.2006, n. 2463), secondo cui la deliberazione del Consiglio Comunale che fissa gli oneri concessori (ai sensi dell’art. 16 del DPR 380/2001) è un atto autoritativo, da impugnarsi nell’ordinario termine di decadenza di sessanta giorni, stante la previsione degli articoli 29 e 41 del D.Lgs. 104/2010 (“Codice del processo amministrativo”).
Tale termine decorre, nel caso di atti a contenuto generale quali le delibere consiliari di aggiornamento degli oneri di urbanizzazione, dalla scadenza del termine di pubblicazione della delibera, ai sensi del già citato art. 41, comma 2°, del D.Lgs. 104/2010 (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 18.09.2013 n. 2174 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Quando è dovuto il contributo per lavori di riqualificazione?
Il contributo di urbanizzazione non è dovuto per la realizzazione di lavori di “riqualificazione immobile industriale” qualora questi non comportino un aumento del carico urbanistico. In presenza di un insediamento già in possesso di analoghe caratteristiche funzionali (l’immobile era già adibito a usi industriali) l’Amministrazione, per poter legittimamente esigere il contributo per gli oneri di urbanizzazione, deve dare contezza degli indici o, comunque, delle condizioni da cui si evince il maggior carico urbanistico derivante dagli interventi.

Nel giudizio in esame una società utilizzatrice di un complesso industriale, già sede di una fabbrica di ceramiche, ha contestato la pretesa del Comune di ottenere il pagamento, in sede di rilascio del permesso di costruire, di oneri di urbanizzazione per la realizzazione dei lavori di riqualificazione dell’immobile, consistenti in semplici opere di manutenzione straordinaria, senza alterazione delle superfici e della volumetria dell’unità immobiliare.
Il TAR Torinese accoglie il ricorso, ritenendo non dovuti il contributo, in quanto le opere in questione non comportano un incremento del carico urbanistico, già considerato al momento del rilascio dei titoli edilizi per la costruzione e l’ampliamento dell’impianto industriale.
Osserva in proposito che il contributo per oneri di urbanizzazione è un corrispettivo di diritto pubblico, di natura non tributaria, posto a carico del costruttore a titolo di partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione in proporzione all’insieme dei benefici che la nuova costruzione ne ritrae.
Il presupposto imponibile per il pagamento dei contributi di urbanizzazione va ravvisato nella domanda di una maggiore dotazione di servizi (rete viaria, fognature, ecc.) nell’area di riferimento, che sia indotta dalla destinazione d’uso concretamente impressa all’immobile.
L’entità degli oneri di urbanizzazione è in buona sostanza legata alla concreta esistenza di una variazione del carico urbanistico.
E’ quindi possibile che un intervento di ristrutturazione e mutamento di destinazione d’uso possa non comportare aggravi di carico urbanistico e pertanto non siano dovuti oneri di urbanizzazione, come al contrario è altrettanto possibile che al mutamento di destinazione di uso nell’ambito della stessa categoria urbanistica, faccia seguito un maggior carico urbanistico indotto dalla realizzazione di quanto assentito e correlativamente siano dovuti gli oneri concessori.
Nel caso di specie il Collegio ha ritenuto che il rifacimento dei servizi (bagni, spogliatoi) e la realizzazione di nuovi impianti tecnici (centrale termica, centrale frigorifera, impianto di scarico acque bianche, impianto di scarico acque nere, impianto antincendio) non abbia comportato un incremento del carico urbanistico, tenendo anche conto che le opere di “riqualificazione” interessano un immobile avente già in precedenza destinazione industriale.
Dal punto di vista della motivazione poi, essendo in presenza di un immobile già adibito ad usi industriali, l’Amministrazione, al fine di per poter legittimamente esigere il contributo per gli oneri di urbanizzazione, avrebbe dovuto dare contezza degli indici o, comunque, delle condizioni da cui si evince il maggior carico urbanistico derivante dagli interventi.
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Esito
Accoglie il ricorso
Precedenti conformi sulla natura degli oneri di urbanizzazione e sulla proporzionalità rispetto ai benefici della nuova costruzione
TAR Piemonte Torino Sez. II, 27.03.2013, n. 381; TAR Piemonte Torino Sez. II, 14.02.2013, n. 214 TAR Puglia Bari, sez. III, 10.02.2011 n. 243.
Precedenti conformi sulla natura degli oneri di urbanizzazione
Cons. Stato Sez. IV, 21.08.2013, n. 4208; TAR Campania Napoli Sez. VIII, 12.01.2012, n. 108; TAR Campania Salerno Sez. II, 21.11.2011, n. 1895.
Precedenti conformi sul possibile aumento di carico urbanistico per opere di ristrutturazione e cambio di destinazione d’uso
TAR Lazio Roma, sez. II, 14.11.2007, n. 11213
Precedenti conformi sull’onere motivazionale in capo all’amministrazione
TAR Piemonte, Sez. II, 02.03.2012, n. 355; TAR Piemonte, Sez. II, 24.08.2012, n. 1467; TAR Lombardia Milano, sez. IV, 04.05.2009 n. 3604 (commento tratto da www.ipsoa.it - TAR Piemonte, Sez. II, sentenza 16.09.2013 n. 1009 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il contributo per oneri di urbanizzazione è un corrispettivo di diritto pubblico, di natura non tributaria, posto a carico del costruttore a titolo di partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione in proporzione all’insieme dei benefici che la nuova costruzione ne ritrae.
Il presupposto imponibile per il pagamento dei contributi di urbanizzazione va ravvisato nella domanda di una maggiore dotazione di servizi (rete viaria, fognature, ecc.) nell’area di riferimento, che sia indotta dalla destinazione d’uso concretamente impressa all’immobile: poiché l’entità degli oneri di urbanizzazione è in buona sostanza correlata alla variazione del carico urbanistico, è ben possibile che un intervento di ristrutturazione e mutamento di destinazione d’uso possa non comportare aggravi di carico urbanistico e, quindi, l’obbligo della relativa corresponsione degli oneri; al contrario è altrettanto possibile che in caso di mutamento di destinazione di uso nell’ambito della stessa categoria urbanistica, faccia seguito un maggior carico urbanistico indotto dalla realizzazione di quanto assentito e correlativamente siano dovuti gli oneri concessori.
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In presenza di un insediamento già in possesso di analoghe caratteristiche funzionali (l’immobile era, come detto, già sede di una fabbrica di ceramiche) l’Amministrazione –per poter legittimamente esigere il contributo per gli oneri di urbanizzazione– deve dare contezza degli indici o, comunque, delle condizioni da cui si evince il maggior carico urbanistico addebitabile alla predetta destinazione.
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L'Amministrazione comunale ha evidenziato, solo nelle memorie difensive, che la debenza ex novo degli oneri di urbanizzazione sarebbe stata cagionata dallo stato di abbandono che avrebbe caratterizzato lo stabilimento industriale (inattivo da circa 20 anni) “azzerando” il precedente “carico urbanistico derivante dal suo uso”.
Tali argomentazioni, soprattutto in mancanza di precisi elementi esposti al riguardo nel provvedimento impugnato, non possono essere condivise.

Con il ricorso in epigrafe la società ricorrente, utilizzatrice, in virtù di contratto di locazione finanziaria immobiliare, di un complesso industriale già sede di una fabbrica di ceramiche, ha lamentato l’illegittimità dell’imposizione da parte del Comune di Bene Vagienna, in sede di rilascio del permesso di costruire, del pagamento di oneri di urbanizzazione per la realizzazione dei lavori di riqualificazione dell’immobile che, consistendo in semplici opere di manutenzione straordinaria e mantenendo inalterate superfici e volumetria dell’unità immobiliare, non avrebbero comportato, a suo parere, a differenza di quanto ritenuto dall’Amministrazione, un incremento del carico urbanistico, già considerato al momento del rilascio dei titoli edilizi per la costruzione e l’ampliamento dell’impianto industriale nel 1973 e nel 1980.
Tale censura è fondata e meritevole di accoglimento.
Va ribadito sul tema che il contributo per oneri di urbanizzazione è un corrispettivo di diritto pubblico, di natura non tributaria, posto a carico del costruttore a titolo di partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione in proporzione all’insieme dei benefici che la nuova costruzione ne ritrae (cfr. per tutti TAR Puglia Bari, sez. III, 10.02.2011 n. 243).
Il presupposto imponibile per il pagamento dei contributi di urbanizzazione va ravvisato nella domanda di una maggiore dotazione di servizi (rete viaria, fognature, ecc.) nell’area di riferimento, che sia indotta dalla destinazione d’uso concretamente impressa all’immobile: poiché l’entità degli oneri di urbanizzazione è in buona sostanza correlata alla variazione del carico urbanistico, è ben possibile che un intervento di ristrutturazione e mutamento di destinazione d’uso possa non comportare aggravi di carico urbanistico e, quindi, l’obbligo della relativa corresponsione degli oneri; al contrario è altrettanto possibile che in caso di mutamento di destinazione di uso nell’ambito della stessa categoria urbanistica, faccia seguito un maggior carico urbanistico indotto dalla realizzazione di quanto assentito e correlativamente siano dovuti gli oneri concessori (TAR Lazio Roma, sez. II, 14.11.2007, n. 11213).
Nella fattispecie non affiorano elementi utili a comprovare che il rifacimento dei servizi (bagni, spogliatoi) e la realizzazione di nuovi impianti tecnici (centrale termica, centrale frigorifera, impianto di scarico acque bianche, impianto di scarico acque nere, impianto antincendio) sia stata accompagnata da un’alterazione del carico urbanistico, tenendo conto che la “riqualificazionede qua interessa un immobile avente già in precedenza destinazione industriale.
In ogni caso, come affermato di recente (cfr. sentenze di questa Sezione 02/03/2012 n. 355; 24/08/2012 n. 1467) in presenza di un insediamento già in possesso di analoghe caratteristiche funzionali (l’immobile era, come detto, già sede di una fabbrica di ceramiche) l’Amministrazione –per poter legittimamente esigere il contributo per gli oneri di urbanizzazione– avrebbe dovuto dare contezza degli indici o, comunque, delle condizioni da cui si evinceva il maggior carico urbanistico addebitabile alla predetta destinazione (cfr. TAR Lombardia Milano, sez. IV – 04/05/2009 n. 3604).
Nel caso concreto l’Amministrazione ha evidenziato, invece, solo nelle memorie difensive che la debenza ex novo degli oneri di urbanizzazione sarebbe stata cagionata dallo stato di abbandono che avrebbe caratterizzato lo stabilimento industriale (inattivo da circa 20 anni) “azzerando” il precedente “carico urbanistico derivante dal suo uso”.
Tali argomentazioni, soprattutto in mancanza di precisi elementi esposti al riguardo nel provvedimento impugnato, non possono essere condivise.
Alla luce delle argomentazioni che precedono il ricorso deve essere, dunque, accolto, con conseguente annullamento dell’atto impugnato nella parte relativa alla richiesta da parte del Comune degli oneri di urbanizzazione, accertamento della non spettanza dei detti oneri per l’intervento di “riqualificazione” di cui è causa ed assorbimento di ogni altra doglianza (TAR Piemonte, Sez. II, sentenza 16.09.2013 n. 1009 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALI - EDILIZIA PRIVATAAi sensi dell’art. 11, comma secondo, L. n. 10/1977 (il cui contenuto risulta trasfuso nell’articolo 16, comma secondo, D.P.R. n. 380/2001), infatti, <<la quota di contributo di cui al precedente articolo 6 è determinata all'atto del rilascio della concessione>>.
Alla luce di tale inequivoca disposizione, pertanto, la disciplina normativa applicabile per la determinazione degli oneri di urbanizzazione non può essere quella vigente all’epoca di realizzazione dell’abuso edilizio, ma quella vigente alla data di rilascio della concessione in sanatoria.
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Non sussiste la dedotta censura di incompetenza, né che si faccia riferimento alla disciplina generale di cui all’articolo 32 della legge n. 142/1990, né a quella particolare in materia di determinazione degli oneri concessori (di cui all’art. 7 della legge n. 537/1993).
In relazione alla prima norma, si deve infatti evidenziare che la stessa attribuisce alla competenza del consiglio comunale una serie di atti fondamentali, riservando alla competenza residuale della giunta municipale tutti quelli non espressamente attribuiti al primo.
Orbene, a prescindere da ogni questione sulla natura tributaria o meno degli oneri di urbanizzazione (che peraltro non è assolutamente pacifica né in dottrina, né giurisprudenza, laddove gli stessi vengono configurati come <<corrispettivi di diritto pubblico, di natura non tributaria>>, si deve osservare che comunque, ai sensi dell’articolo 32, comma secondo, lett. g), L. n. 142/1990, il semplice aggiornamento tariffario non rientra tra le competenze del consiglio comunale, per cui deve ritenersi attribuito alla competenza della giunta municipale.
In relazione alla seconda norma (riguardante specificamente la materia dell’aggiornamento ed adeguamento dei contributi concessori), si deve parimenti rilevare che la stessa non riproduce la previsione di cui all’art. 10, comma primo, L. n. 10/1977 (che attribuisce alla competenza del consiglio comunale la determinazione di tali oneri, in base a parametri stabiliti dalla Regione), ma si limita ad affermare che gli oneri di urbanizzazione <<sono aggiornati ogni quinquennio dai comuni ….>>, senza alcuna ulteriore specificazione circa l’organo comunale competente, per cui si deve ritenere che (coerentemente con la previsione di carattere generale di cui all’art. 32 L. n. 142/1990), tale funzione spetti alla competenza (residuale) della giunta municipale.

1. Il ricorso, come già ritenuto da questo Tribunale in sede cautelare, è fondato nei soli limiti in cui è diretto a contestare la legittimità della richiesta, contenuta nei provvedimenti impugnati, di pagamento del costo di costruzione, per la somma di lire 2.899.000.
È invece infondato, e deve essere respinto, nella residua parte (concernente gli oneri di urbanizzazione nell’importo richiesto di lire 4.412.000).
In relazione alla illegittimità della richiesta di pagamento del costo di costruzione, si deve infatti osservare che, nella specie, si tratta pacificamente di manufatto avente destinazione industriale, per il quale sono quindi dovuti i soli oneri di urbanizzazione.
Al riguardo, non può sussistere alcun dubbio, alla luce del chiaro tenore testuale dell’invocata disposizione normativa di cui all’articolo 10, comma primo, L. n. 10/1977 (il cui contenuto risulta ora trasfuso nell’articolo 19, comma primo, D.P.R. n. 380/2001), secondo cui <<La concessione relativa a costruzioni o impianti destinati ad attività industriali o artigianali dirette alla trasformazione di beni ed alla presentazione di servizi comporta la corresponsione di un contributo pari alla incidenza delle opere di urbanizzazione, di quelle necessarie al trattamento e allo smaltimento dei rifiuti solidi, liquidi e gassosi e di quelle necessarie alla sistemazione dei luoghi ove ne siano alterate le caratteristiche. …>>.
In tal senso, del resto, depone il convergente orientamento della giurisprudenza di questa Sezione (cfr. TAR Campania, Napoli, Sez. II, 07/01/2010, n. 9), nonché del Supremo Consesso della giustizia amministrativa (cfr. C.d.S., Sez. V, 19/06/2012, n. 3561).
Per quanto riguarda invece il pagamento degli oneri di urbanizzazione, si deve osservare che l’intimata amministrazione comunale, contrariamente a quanto ritenuto dalla parte ricorrente, ha fatto correttamente riferimento alle applicate delibere di aggiornamento del Commissario Prefettizio e della Giunta Municipale (rispettivamente, n. 7/94 e n. 91/95) e non alla deliberazione del Consiglio Regionale n. 119/1 del 28.07.1977.
Ai sensi dell’art. 11, comma secondo, L. n. 10/1977 (il cui contenuto risulta trasfuso nell’articolo 16, comma secondo, D.P.R. n. 380/2001), infatti, <<la quota di contributo di cui al precedente articolo 6 è determinata all'atto del rilascio della concessione>>.
Alla luce di tale inequivoca disposizione, pertanto, la disciplina normativa applicabile per la determinazione degli oneri di urbanizzazione non può essere quella vigente all’epoca di realizzazione dell’abuso edilizio, ma quella vigente alla data di rilascio della concessione in sanatoria (cfr., in tali sensi, C.G.A.R.S., 21.03.2007, n. 244, secondo cui <<Il contributo di urbanizzazione ex art. 11, comma 2, l. 28.01.1977 n. 10, deve essere determinato al momento del rilascio della concessione ed è quindi a tale momento che occorre avere riguardo per la determinazione dell'entità del contributo facendo perciò applicazione della normativa vigente al momento del rilascio del provvedimento concessorio>>).
Correttamente, pertanto, il Comune di Brusciano ha fatto riferimento alla normativa vigente alla data della richiesta di pagamento degli oneri di urbanizzazione di cui alla nota sindacale n. 9318 del 30.06.1998 (vale a dire, per l’appunto, alla delibera del commissario prefettizio n. 7/94 ed alla delibera della giunta municipale n. 91/95).
Tali delibere non sono state dunque applicate retroattivamente ad una fattispecie pregressa (come dedotto con la terza e la quarta censura), ma ad una situazione determinatasi successivamente alla loro adozione, per cui non vi è alcuna violazione del principio di irretroattività degli atti amministrativi.
Inoltre, contrariamente a quanto denunciato con la seconda censura, l’amministrazione ha esplicitato i parametri utilizzati per la quantificazione degli oneri concessori, individuandoli nelle tabelle parametriche regionali ed in quelli indicati dalla delibera di Giunta Comunale n. 91/95 (cfr. nota prot. n. 14343 del 07/10/1998, in atti), ed ha altresì chiarito che si è tenuto conto degli acconti eventualmente versati (laddove la richiesta di pagamento risulta effettuata <<a saldo>> degli oneri dovuti, come espressamente indicato nell’impugnata nota sindacale n. 9318 del 30.06.1998).
Non sussiste, infine, la dedotta censura di incompetenza (di cui al quinto ed ultimo motivo di ricorso), né che si faccia riferimento alla disciplina generale di cui all’articolo 32 della legge n. 142/1990, né a quella particolare in materia di determinazione degli oneri concessori (di cui all’art. 7 della legge n. 537/1993).
In relazione alla prima norma, si deve infatti evidenziare che la stessa attribuisce alla competenza del consiglio comunale una serie di atti fondamentali, riservando alla competenza residuale della giunta municipale tutti quelli non espressamente attribuiti al primo.
Orbene, a prescindere da ogni questione sulla natura tributaria o meno degli oneri di urbanizzazione (che peraltro non è assolutamente pacifica né in dottrina, né giurisprudenza, laddove gli stessi vengono configurati come <<corrispettivi di diritto pubblico, di natura non tributaria>>: cfr. TAR Lombardia, Brescia, Sez. II, 02.03.2012, n. 355; TAR Campania, Salerno, Sez. II, n. 700/2011; TAR Puglia, Bari, sez. III, 10.02.2011, n. 243), si deve osservare che comunque, ai sensi dell’articolo 32, comma secondo, lett. g), L. n. 142/1990, il semplice aggiornamento tariffario non rientra tra le competenze del consiglio comunale, per cui deve ritenersi attribuito alla competenza della giunta municipale (cfr. C.d.S., sez. V, 13.03.2002, n. 1491).
In relazione alla seconda norma (riguardante specificamente la materia dell’aggiornamento ed adeguamento dei contributi concessori), si deve parimenti rilevare che la stessa non riproduce la previsione di cui all’art. 10, comma primo, L. n. 10/1977 (che attribuisce alla competenza del consiglio comunale la determinazione di tali oneri, in base a parametri stabiliti dalla Regione), ma si limita ad affermare che gli oneri di urbanizzazione <<sono aggiornati ogni quinquennio dai comuni ….>>, senza alcuna ulteriore specificazione circa l’organo comunale competente, per cui si deve ritenere che (coerentemente con la previsione di carattere generale di cui all’art. 32 L. n. 142/1990), tale funzione spetti alla competenza (residuale) della giunta municipale.
In conclusione, il ricorso in esame è fondato nei soli suindicati limiti (concernenti la richiesta di pagamento del costo di costruzione per la somma di lire 2.899.000) ed entro tali limiti deve essere accolto, con conseguente annullamento, in parte qua, dell’impugnata nota sindacale prot. n. 9318 del 30.06.1998 (TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 06.09.2013 n. 4206 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAConcessioni, storia a sé. Controversie, termini decadenziali a 10 anni. Sentenza del Tar Emilia sul pagamento dei contributi di rilascio.
Le controversie relative al pagamento di contributi per il rilascio delle concessioni edilizie non sottostanno ai termini decadenziali propri dei giudizi impugnatori e possono essere attivate nei normali termini di prescrizione, poiché riguardano diritti soggettivi concernenti un rapporto obbligatorio pecuniario e non interessi legittimi.

Lo ha stabilito prima sezione del TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. I, con sentenza 06.09.2013 n. 601.
Pertanto, nel caso di contributi di concessione i termini decadenziali risultano essere decennali.
I giudici bolognesi hanno, poi, osservato, in ossequio anche alla più recente giurisprudenza amministrativa, che è perfettamente ammissibile l'utilizzo dello strumento processuale dell'azione di accertamento (cfr. Tar Potenza Basilicata, sez. I, 08.03.2013, n. 126) e della conseguente condanna alla restituzione degli importi eventualmente dovuti perché indebitamente pagati.
È stato inoltre osservato che, per costante giurisprudenza (si veda Tar Lombardia, Milano, Sez. IV, 10.06.2010 n. 1787; Tar Lombardia, Brescia, 07.11.2005 n. 1115), il fondamento del contributo di urbanizzazione non consiste nel titolo edilizio in sé, ma nella necessità di redistribuire i costi sociali delle opere di urbanizzazione, facendoli gravare su quanti beneficiano delle utilità derivanti dalla presenza delle medesime –secondo modalità eque per la comunità– con la conseguenza che anche nel caso di modificazione della destinazione d'uso cui si correli un maggiore carico urbanistico è integrato il presupposto che giustifica l'imposizione del pagamento della differenza tra gli oneri di urbanizzazione dovuti per la destinazione originaria e quelli, se più elevati, dovuti per la nuova destinazione impressa; il mutamento, pertanto, è rilevante allorquando sussiste un passaggio tra due categorie funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico, qualificate sotto il profilo della differenza del regime contributivo in ragione di diversi carichi urbanistici.
Al contrario qualora il mutamento di destinazione d'uso non determina l'incremento del carico urbanistico il pagamento dei relativi oneri non è dovuto, essendo privo di causa (articolo ItaliaOggi Sette del 23.09.2013).

EDILIZIA PRIVATALe controversie relative al pagamento di contributi per il rilascio delle concessioni edilizie riguardano diritti soggettivi concernenti un rapporto obbligatorio pecuniario e non interessi legittimi: esse non sottostanno, pertanto, ai termini decadenziali propri dei giudizi impugnatori e possono essere attivate nei normali termini di prescrizione che, nel caso di contributi di concessione, risultano essere decennali.
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Il fondamento del contributo di urbanizzazione non consiste nel titolo edilizio in sé ma nella necessità di redistribuire i costi sociali delle opere di urbanizzazione, facendoli gravare su quanti beneficiano delle utilità derivanti dalla presenza delle medesime –secondo modalità eque per la comunità–, con la conseguenza che anche nel caso di modificazione della destinazione d’uso cui si correli un maggiore carico urbanistico è integrato il presupposto che giustifica l’imposizione del pagamento della differenza tra gli oneri di urbanizzazione dovuti per la destinazione originaria e quelli, se più elevati, dovuti per la nuova destinazione impressa; il mutamento, pertanto, è rilevante allorquando sussiste un passaggio tra due categorie funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico, qualificate sotto il profilo della differenza del regime contributivo in ragione di diversi carichi urbanistici.
Al contrario qualora il mutamento di destinazione d’uso non determina l’incremento del carico urbanistico il pagamento dei relativi oneri non è dovuto, essendo privo di causa.

... per l'accertamento del diritto delle Società ricorrenti alla restituzione degli importi dalle stesse corrisposti al Comune di Cattolica per oneri di urbanizzazione e monetizzazione di due posti auto per il rilascio del permesso di costruire per il cambio di destinazione d'uso da "commercio al dettaglio" - B 2.1- ad “artigianato dei servizi alla persona" B3.1 di n. 2 unità immobiliari ubicate in Cattolica;
...
Le società ricorrenti, rispettivamente proprietaria del fabbricato e conduttrice dell’immobile, presentavano una richiesta di rilascio di permesso di costruzione per ottenere il cambio di destinazione d’uso da “negozio” a “centro benessere-solarium”.
Su richiesta del Comune provvedevano al pagamento della somma quantificata dallo stesso per “monetizzazione” di numero due posti auto “P3”.
Ritenendo non dovuto il pagamento dei suddetti oneri con il presente ricorso hanno chiesto la restituzione delle somme pagate, oltre agli interessi legali.
Si è costituito in giudizio il Comune intimato che ha controdedotto alle avverse doglianze, ed ha eccepito l’inammissibilità del ricorso sotto vari profili e, comunque, concluso per il rigetto dello stesso.
La causa è stata trattenuta in decisione all’odierna udienza.
Va, preliminarmente, respinta l’eccezione di difetto di legittimazione passiva, sulla quale insiste il comune con la memoria di costituzione in quanto il pagamento non sarebbe stato effettuato dagli attuali ricorrenti.
Va, infatti, rilevato che la richiesta del permesso di costruzione è stata avanzata dall’attuale ricorrente così come il titolo edilizio è stato alla stessa rilasciato.
Anche il pagamento degli oneri quantificati dal Comune, quale condizione per il rilascio del titolo edilizio, è stato richiesto all’attuale ricorrente.
La circostanza che il pagamento sia avvenuto, su incarico dei ricorrenti e, quindi, quale pagamento riferibile alle società ricorrenti (quindi in nome e per conto), accettato dal Comune, da parte di una terza società (che le ricorrenti indicano quale conduttrice) non significa che il pagamento non sia riferibile, quale pagamento rappresentativo, ai titolare del permesso di costruzione ai quali, quindi, spetta l’azione per la restituzione di quanto eventualmente indebitamente corrisposto.
Va, altresì, respinta l’eccezione di tardività dell’azione proposta. Infatti, le controversie relative al pagamento di contributi per il rilascio delle concessioni edilizie riguardano diritti soggettivi concernenti un rapporto obbligatorio pecuniario (TAR Potenza Basilicata, sez. I, 08.03.2013, n. 126) e non interessi legittimi: esse non sottostanno, pertanto, ai termini decadenziali propri dei giudizi impugnatori e possono essere attivate nei normali termini di prescrizione (Cons. di Stato, Sez. IV, 04.11.2011, n. 5852 e Sez. V, 06.12.1999, n. 2056) che, nel caso di contributi di concessione, risultano essere decennali (Consiglio di Stato, sez. VI, 31.05.2013, n. 2996).
A tal fine, pertanto, è perfettamente ammissibile l’utilizzo dello strumento processuale dell’azione di accertamento (TAR Potenza Basilicata, sez. I, 08.03.2013, n. 126) e della conseguente condanna la restituzione degli importi eventualmente dovuti perché indebitamente pagati.
Nel merito in linea di diritto va osservato che, per costante giurisprudenza (v. TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, 10.06.2010 n. 1787; TAR Lombardia, Brescia, 07.11.2005 n. 1115), il fondamento del contributo di urbanizzazione non consiste nel titolo edilizio in sé ma nella necessità di redistribuire i costi sociali delle opere di urbanizzazione, facendoli gravare su quanti beneficiano delle utilità derivanti dalla presenza delle medesime –secondo modalità eque per la comunità–, con la conseguenza che anche nel caso di modificazione della destinazione d’uso cui si correli un maggiore carico urbanistico è integrato il presupposto che giustifica l’imposizione del pagamento della differenza tra gli oneri di urbanizzazione dovuti per la destinazione originaria e quelli, se più elevati, dovuti per la nuova destinazione impressa; il mutamento, pertanto, è rilevante allorquando sussiste un passaggio tra due categorie funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico, qualificate sotto il profilo della differenza del regime contributivo in ragione di diversi carichi urbanistici.
Al contrario qualora il mutamento di destinazione d’uso non determina l’incremento del carico urbanistico il pagamento dei relativi oneri non è dovuto, essendo privo di causa.
Nel caso concreto, come previsto nel titolo edilizio, il cambio di destinazione è avvenuto dalla categoria B2.1. “Commercio al dettaglio”, alla categoria B3.1. “Artigianato dei servizi alla persona” per i quali è prevista la dotazione di parcheggi pertinenziali (P2 e P3).
L’articolo 3.3. delle Norme di Attuazione del PRG, prodotte in giudizio dal Comune, per quanto concerne la tabella di parcheggi pertinenziali, oggetto del presente giudizio, non prevede alcun incremento del carico urbanistico essendo previsto “1 p.a. ogni 40 mq. Di SC, tutti di tipo P3” per entrambi gli usi.
E’, infatti, lo stesso titolo edilizio che richiede la monetizzazione di due posti auto P3 per il cambio di destinazione d’uso in parola.
Come rilevato dalla giurisprudenza (TAR Bologna, sez. I, 239/2012), al cambio di destinazione d’uso segue la corresponsione di un contributo di urbanizzazione pari alla differenza tra gli oneri dovuti per la destinazione originaria e quelli eventualmente più elevati della nuova destinazione d’uso, risolvendosi altrimenti la riscossione di una somma maggiore in un pagamento privo di causa.
Poiché nel caso in esame tale presupposto non ricorre, non essendo previsti per i parcheggi P3, per il cambio di destinazione in parola, alcun incremento di carico urbanistico, sussiste l’obbligo di restituzione ai ricorrenti di quanto versato a tale titolo.
Detta somma andrà, poi, incrementata degli interessi legali dalla data di proposizione della domanda giudiziale fino al soddisfo (v. TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 12.12.2006 n. 2901) (TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. I, sentenza 06.09.2013 n. 601 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL’attività di autonoleggio va ascritta a quelle attività di produzione di servizi per la mobilità privata: la quale, come accade per la società appellante, operante sull’intero territorio nazionale, si realizza attraverso una complessa organizzazione imprenditoriale di mezzi e di personale con la quale si consente agli utenti di disporre di mezzi di trasporto, con o senza conducente, sulla base di un articolato tariffario giornaliero e/o chilometrico.
Circa la natura dell’attività esercitata, l’attività di autonoleggio, così come riconosciuto da condivisa giurisprudenza, va ascritta a quelle attività di produzione di servizi per la mobilità privata: la quale, come accade per la società appellante, operante sull’intero territorio nazionale, si realizza attraverso una complessa organizzazione imprenditoriale di mezzi e di personale con la quale si consente agli utenti di disporre di mezzi di trasporto, con o senza conducente, sulla base di un articolato tariffario giornaliero e/o chilometrico.
Diversamente dall’attività c.d. commerciale, dunque, la posizione dell’organizzazione imprenditoriale de qua rileva non per agevolare esclusivamente o prevalentemente la semplice circolazione e/o distribuzione di beni già individuati quanto a tipologia merceologica, ma determina la produzione di un nuovo bene, risultante dalla specificazione del complesso di attività materiali ed immateriali organizzate dall’impresa per la sua elaborazione, che l’utente acquista e può utilizzare al “servizio” del proprio bisogno di trasporto (personale, di rappresentanza, ecc.), unitamente con il complesso di utilità che solitamente fanno da corredo alla messa a disposizione dell’autoveicolo (conducente, tipologia di vettura, possibilità di sostituzione in caso di incidente, ecc.), senza che abbia rilievo, come sembra credere il primo Giudice, che la stessa impresa possa procedere periodicamente alla cessione (vendita, permuta, o altra formula di dismissione), dei veicoli ritenuti ormai non più adatti allo svolgimento ottimale dei servizi di trasporto per i quali sono stati acquisiti: sicché, senza prova alcuna che trattasi di attività prevalente, diversamente da quanto sembra opinare il primo Giudice, anche l’attività di dismissione così esercitata finisce per corroborare i tratti fisionomici dell’attività esercitata dalla Sicily by Car s.p.a. come attività industriale produttrice di servizi: in linea, così, con la definizione tipologica fornita dall’art. 2195 c.c., nonché correttamente rappresentato nello statuto della società e dal certificato rilasciato dall’Associa-zione industriali.
Dai superiori rilievi consegue, allora, che l’edificio autorizzato con la concessione edilizia n. 20/2007, per il fatto di essere destinato ad “uffici della Sicily by Car s.p.a.”, secondo la richiesta avanzata dalla stessa impresa, in considerazione della tipologia di attività esercitata doveva essere correttamente incluso, ai fini dell’applicazione dell’aliquota per il calcolo del contributo dovuto, nella categoria degli “insediamenti industriali” prevista dall’art. 45 della legge reg. n. 71/1978, e non già in quello delle attività commerciali, come erroneamente ritenuto dal primo Giudice: il quale, per il calcolo degli oneri di urbanizzazione sembra aver considerato -impregiudicata ogni altra considerazione sulla effettiva corrispondenza con quanto stabilito per le aree “C 4” dallo stesso PRG del Comune di Carini- piuttosto la destinazione dell’area, e non già, come avrebbe dovuto, la destinazione dell’edificio, così come determinata dalla tipologia industriale dell’attività esercitata dall’impresa (CGARS, sentenza 05.09.2013 n. 741 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

agosto 2013

EDILIZIA PRIVATAIl fondamento del contributo di urbanizzazione non consiste nel titolo edilizio in sé, ma nella necessità di ridistribuire i costi sociali delle opere di urbanizzazione, facendoli gravare su quanti beneficiano delle utilità derivanti dalla presenza delle medesime secondo modalità eque per la comunità con la conseguenza che, anche nel caso di modificazione della destinazione d'uso, cui si correli un maggiore carico urbanistico, è integrato il presupposto che giustifica l'imposizione del pagamento della differenza tra gli oneri di urbanizzazione dovuti per la destinazione originaria e quelli, se più elevati, dovuti per la nuova destinazione impressa; il mutamento, pertanto, è rilevante quando sussiste un passaggio tra due categorie funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico, qualificate sotto il profilo della differenza del regime contributivo in ragione di diversi carichi urbanistici.
Ai fini dell'insorgenza dell'obbligo di corresponsione degli oneri concessori, è rilevante il verificarsi di un maggior carico urbanistico quale effetto dell'intervento edilizio, sicché non è neanche necessario che la ristrutturazione interessi globalmente l'edificio -con variazioni riguardanti nella loro interezza le parti esterne ed interne del fabbricato- ma è soltanto sufficiente che ne risulti comunque mutata la realtà strutturale e la fruibilità urbanistica, con oneri conseguentemente riferiti all'oggettiva rivalutazione dell'immobile e funzionali a sopportare l'aggiuntivo carico "socio-economico" che l'attività edilizia comporta, anche quando l'incremento dell'impatto sul territorio consegua solo a marginali lavori.

Osserva la Sezione che il fondamento del contributo di urbanizzazione non consiste nel titolo edilizio in sé, ma nella necessità di ridistribuire i costi sociali delle opere di urbanizzazione, facendoli gravare su quanti beneficiano delle utilità derivanti dalla presenza delle medesime secondo modalità eque per la comunità con la conseguenza che, anche nel caso di modificazione della destinazione d'uso, cui si correli un maggiore carico urbanistico, è integrato il presupposto che giustifica l'imposizione del pagamento della differenza tra gli oneri di urbanizzazione dovuti per la destinazione originaria e quelli, se più elevati, dovuti per la nuova destinazione impressa; il mutamento, pertanto, è rilevante quando sussiste un passaggio tra due categorie funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico, qualificate sotto il profilo della differenza del regime contributivo in ragione di diversi carichi urbanistici (Consiglio Stato, sez. IV, 28.07.2005, n. 4014).
Ai fini dell'insorgenza dell'obbligo di corresponsione degli oneri concessori, è rilevante il verificarsi di un maggior carico urbanistico quale effetto dell'intervento edilizio, sicché non è neanche necessario che la ristrutturazione interessi globalmente l'edificio -con variazioni riguardanti nella loro interezza le parti esterne ed interne del fabbricato- ma è soltanto sufficiente che ne risulti comunque mutata la realtà strutturale e la fruibilità urbanistica, con oneri conseguentemente riferiti all'oggettiva rivalutazione dell'immobile e funzionali a sopportare l'aggiuntivo carico "socio-economico" che l'attività edilizia comporta, anche quando l'incremento dell'impatto sul territorio consegua solo a marginali lavori.
Rileva ancora il Collegio che l'art. 10 della l. n. 10/1977, sotto la rubrica "concessione relativa ad opere od impianti non destinati alla residenza" prescriveva, al comma 1, ai fini della determinazione del contributo per gli oneri di urbanizzazione, che “La concessione relativa a costruzioni o impianti destinati ad attività industriali o artigianali dirette alla trasformazione di beni ed alla presentazione di servizi comporta la corresponsione di un contributo pari alla incidenza delle opere di urbanizzazione, di quelle necessarie al trattamento e allo smaltimento dei rifiuti solidi, liquidi e gassosi e di quelle necessarie alla sistemazione dei luoghi ove ne siano alterate le caratteristiche. La incidenza di tali opere è stabilita con deliberazione del consiglio comunale in base a parametri che la regione definisce con i criteri di cui alle lettere a) e b) del precedente art. 5, nonché in relazione ai tipi di attività produttiva” e, al comma 3, che “Qualora la destinazione d'uso delle opere indicate nei commi precedenti, nonché di quelle nelle zone agricole previste dal precedente articolo 9, venga comunque modificata nei dieci anni successivi all'ultimazione dei lavori, il contributo per la concessione è dovuto nella misura massima corrispondente alla nuova destinazione, determinata con riferimento al momento della intervenuta variazione
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 30.08.2013 n. 4326 - link a www.giustizia-amministrativa).

EDILIZIA PRIVATAIn caso di cambio di destinazione d'uso l'obbligo di corrispondere il contributo concessorio è principio enucleabile dall'art. 10, ultimo comma, della legge n. 10/1977, ribadito dall'art. 25, ultimo comma, della legge n. 47/1985, la cui “ratio”, come chiarito dalla giurisprudenza, è da ricercare nell'esigenza "di evitare che, quando la nuova tipologia assegnata all'immobile avrebbe comportato all'origine un più oneroso regime contributivo urbanistico, attraverso la modifica della destinazione il contributo possa essere evaso in tutto o in parte a vantaggio del richiedente".
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Qualora la concessione edilizia sia stata rilasciata senza l'onere di contributi di urbanizzazione ex art. 18, u.c., l. 28.01.1977 n. 10 è poi legittima la richiesta del Comune di quei contributi per il rilascio di concessione edilizia in sanatoria relativa a interventi in variante rispetto al progetto originario essendo stato determinato un incremento del peso urbanistico.

Osserva la Sezione che, in caso di cambio di destinazione d'uso l'obbligo di corrispondere il contributo concessorio è principio enucleabile dall'art. 10, ultimo comma, della legge n. 10/1977, ribadito dall'art. 25, ultimo comma, della legge n. 47/1985, la cui “ratio”, come chiarito dalla giurisprudenza, è da ricercare nell'esigenza "di evitare che, quando la nuova tipologia assegnata all'immobile avrebbe comportato all'origine un più oneroso regime contributivo urbanistico, attraverso la modifica della destinazione il contributo possa essere evaso in tutto o in parte a vantaggio del richiedente" (Cons. di Stato, sez. V, 07.12.2010, n. 8620).
E, nella specie, il mutamento di destinazione d'uso attuato dalla ricorrente ha comportato il passaggio della tipologia di intervento da una classe contributiva originaria e meno "pesante" (industriale, appunto) ad un'altra tipologia (commerciale), non solo diversa ma anche più gravosa in termini di carico urbanistico. Si è trattato, cioè, di un cambio di destinazione d'uso intervenuto tra categorie autonome, quella industriale e quella commerciale, che ha comportato un aumento del carico urbanistico con conseguente mutamento degli “standard”. Presupposto, questo, sufficiente, per giurisprudenza unanime, a giustificare la richiesta di contributo per oneri di urbanizzazione.
Trattandosi in ogni caso di un supplemento di contributo urbanistico, l'importo dovuto dalla società ricorrente doveva in ogni caso essere pari alla differenza tra il contributo previsto per la nuova destinazione direzionale ricreativa e quello relativo alla precedente destinazione industriale, ove integralmente versato.
Ma nel caso che occupa, essendo la prima licenza per lavori edilizi anteriore alla entrata in vigore della l. n. 10/1977, non era dovuta la corresponsione di oneri, anche ai sensi dell’art. 18 della legge stessa, e non era scomputabile alcuna somma in precedenza pagata a tale titolo da quanto dovuto a seguito dell’effettuato mutamento di destinazione d’uso.
Prima della entrata in vigore di detta legge non era infatti previsto il pagamento di alcun onere di urbanizzazione o per costo di costruzione, introdotti con gli artt. 5 e 6 della legge suddetta, ed essi non potevano essere stati virtualmente scontati.
Del resto la giurisprudenza è da tempo orientata nel senso che qualora la concessione edilizia sia stata rilasciata senza l'onere di contributi di urbanizzazione ex art. 18, u.c., l. 28.01.1977 n. 10 è poi legittima la richiesta del Comune di quei contributi per il rilascio di concessione edilizia in sanatoria relativa a interventi in variante rispetto al progetto originario (Consiglio Stato, sez. V, 04.09.2000, n. 4662) essendo stato determinato un incremento del peso urbanistico
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 30.08.2013 n. 4326 - link a www.giustizia-amministrativa).

EDILIZIA PRIVATA: L’obbligo di versamento degli importi dovuti a titolo di oneri di urbanizzazione è correlato all’aggravamento del carico urbanistico determinato dalla realizzazione di interventi edilizi sul territorio; quindi, la realizzazione di opere aventi superficie e volumetria minore rispetto a quelle già assentite, determinando esse un carico urbanistico minore, non costituisce titolo per richiedere un supplemento degli importi già versati dalla parte.
In questo senso depone anche quella giurisprudenza che ritiene parzialmente ripetibili le somme versate dall’operatore a titolo di contributo di costruzione qualora le opere realizzate abbiano consistenza volumetrica inferiore rispetto a quella assentita.

Ritiene il Collegio che il ricorso sia fondato.
Va invero osservato, in punto di fatto, che la domanda di accertamento di conformità che ha dato origine ai fatti di causa riguarda opere (un capannone industriale ed una abitazione) realizzate in difformità da concessione edilizia; e che tale difformità consiste nella realizzazione di superficie e volume inferiori rispetto a quelli originariamente assentiti.
Si tratta pertanto di interventi che, nella loro consistenza reale, hanno determinato la produzione di un carico urbanistico inferiore rispetto a quello che sarebbe conseguito dalle opere previste dal titolo rilasciato; per le quali peraltro erano stati regolarmente versati dall’interessata gli importi dovuti a titolo di oneri urbanizzazione primaria e secondaria e smaltimento rifiuti.
Ciò precisato, va rilevata, in punto di diritto, l’illegittimità della richiesta formulata dal Comune di versamento di ulteriori importi, sempre a titolo di oneri di urbanizzazione primaria e secondaria e smaltimento rifiuti, in sede di rilascio della concessione edilizia in sanatoria ai sensi dell’art. 13 della legge n. 47/1985.
Va invero osservato che l’obbligo di versamento degli importi dovuti a titolo di oneri di urbanizzazione è correlato all’aggravamento del carico urbanistico determinato dalla realizzazione di interventi edilizi sul territorio (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 16.06.2009 n. 3847); e che quindi la realizzazione di opere aventi superficie e volumetria minore rispetto a quelle già assentite, determinando esse un carico urbanistico minore, non costituisce titolo per richiedere un supplemento degli importi già versati dalla parte .
In questo senso depone anche quella giurisprudenza che ritiene parzialmente ripetibili le somme versate dall’operatore a titolo di contributo di costruzione qualora le opere realizzate abbiano consistenza volumetrica inferiore rispetto a quella assentita (cfr. TAR Lombardia Brescia, sez. I, 13.01.2011 n. 188; TAR Lombardia Milano, sez. II, 24.04.2010 n. 728).
Per queste ragioni, la domanda della ricorrente deve essere accolta e per l’effetto il Comune di Castano Primo va condannato alla restituzione della somma indebitamente percepita, pari ad € 9.991,67 alla quale vanno aggiunti, ai sensi dell’art. 2033 c.c., gli interessi legali da calcolarsi a decorrere dal giorno di versamento (il Comune deve invero considerarsi in mala fede, avendo la ricorrente adeguatamente esposto, prima del pagamento, le ragioni per le quali la richiesta di supplemento doveva considerarsi infondata) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 30.08.2013 n. 2092 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATANessuna norma preclude all’imprenditore del settore sanitario di perseguire il profitto, né può influire al riguardo la presenza di incisivi controlli pubblici sull’attività esercitata.
E’ corretto, pertanto, affermare che l’attività sanitaria, se svolta da soggetto non istituzionalmente dovuto, presenta i caratteri oggettivi dell’industrialità e, quindi, deve essere assoggettata al relativo trattamento più favorevole.
Invero, alla concessione edilizia relativa ad un immobile destinato a casa di cura privata spetta la parziale esenzione dal contributo urbanistico, prevista dall’articolo 10 della legge 28.01.1977 n. 10, per le concessioni relative a costruzioni o impianti destinati ad attività industriali o artigianali dirette alla trasformazione di beni ed alla prestazione di servizi.
Tanto dal momento che “l’attività imprenditoriale diretta alla prestazione di servizi sanitari è a pieno titolo un’attività industriale, giusta la definizione di attività industriale che si ricava dall’art. 2195 cod. civ.”.

L’appellante lamenta, quindi, violazione dell’art. 37 della legge n. 45/1985, in relazione agli artt. 3 e 10 della legge n. 10/1977, laddove la norma prevede che “il versamento dell’oblazione non esime i soggetti di cui all’art. 31, primo e terzo comma, dalla corresponsione al Comune, ai fini del rilascio della concessione, del contributo previsto dall’art. 3 della legge n. 10/1977…”.
L’appellante assume che, ai sensi della richiamata normativa, l’autore di un abuso edilizio sarebbe obbligato a versare il contributo di costruzione nella sua totalità e insiste nel sostenere che chiunque gestisca attività imprenditoriali in materia sanitaria o, comunque, in un settore in cui entri in campo, in modo diretto o indiretto, la salute del cittadino, solo per questo egli non debba essere ascritto alla categoria degli imprenditori, e assumerne i relativi diritti, oneri e doveri.
La tesi risulta non condivisibile e, come già evidenziato, alquanto originale nella ritenuta applicabilità per le case di cura private.
L’art. 10 della legge 28.01.1977 n. 10 presenta, invero, un dettato chiaro e la sua applicabilità alle case di cura private non richiede esegesi particolari né interpretazioni analogiche, essendo sufficiente soffermarsi sul dettato letterale, nella considerazione che nessuna norma preclude all’imprenditore del settore sanitario di perseguire il profitto, né può influire al riguardo la presenza di incisivi controlli pubblici sull’attività esercitata.
E’ corretto, pertanto, affermare che l’attività sanitaria, se svolta da soggetto non istituzionalmente dovuto, presenta i caratteri oggettivi dell’industrialità e, quindi, deve essere assoggettata al relativo trattamento più favorevole.
Al riguardo, è utile anche richiamare l’orientamento di questa Sezione, secondo cui alla concessione edilizia relativa ad un immobile destinato a casa di cura privata spetta la parziale esenzione dal contributo urbanistico, prevista dall’articolo 10 della legge 28.01.1977 n. 10, per le concessioni relative a costruzioni o impianti destinati ad attività industriali o artigianali dirette alla trasformazione di beni ed alla prestazione di servizi.
Tanto dal momento che “l’attività imprenditoriale diretta alla prestazione di servizi sanitari è a pieno titolo un’attività industriale, giusta la definizione di attività industriale che si ricava dall’art. 2195 cod. civ.” (Consiglio di Stato, Sez. V, 16.01.1992, n. 46 e 12.06.2007, n. 6328) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 26.08.2013 n. 4267 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Le controversie inerenti la contestazione degli oneri di urbanizzazione, nel corso delle quali non vengano dedotte censure derivanti da atti generali autoritativi relativi alla determinazione degli oneri presupposti di quello impugnato, attengono a posizioni di diritto soggettivo, azionabili nel termine di prescrizione, innanzi al giudice amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva.
Detti oneri non hanno, infatti, natura tributaria, bensì costituiscono un corrispettivo di diritto pubblico avente la funzione di partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione, atteso che le controversie che hanno ad oggetto la legittimità o meno del contributo relativo a concessione edilizia vertono sull'esistenza o sulla misura di un’obbligazione direttamente stabilita dalla legge.
La determinazione dell'"an" e del "quantum" dell'oblazione e del contributo per oneri di urbanizzazione e per costo di costruzione ha natura paritetica, giacché si tratta di un mero accertamento dell'obbligazione contributiva, effettuato dalla p.a. in base a rigidi parametri prefissati dalla legge e dai regolamenti in tema di criteri impositivi, nei cui riguardi essa è sfornita di potestà autoritativa.
Per questo le relative controversie, proprio in quanto concernono i diritti soggettivi delle parti di detta obbligazione, sono devolute alla giurisdizione esclusiva del g.a. di cui all’art. 133, primo co., lett. f). L'accertamento di un rapporto di credito prescinde dall'esistenza di atti della p.a. e non è soggetta alle regole delle impugnazioni e dei termini di decadenza propri degli atti amministrativi; in applicazione di tale principio, va quindi esclusa la configurabilità dell'istituto dell'acquiescenza rispetto alla liquidazione del contributo.
Del resto, in tal senso si è pronunciato il Giudice della giurisdizione, per il quale la giurisdizione del giudice amministrativo in materia ha per oggetto tutte le controversie inerenti la pretesa contributiva del Comune in tale ambito.

... per l'annullamento della sentenza breve del TAR FRIULI VENEZIA GIULIA-TRIESTE: SEZIONE I n. 00486/2012, resa tra le parti, concernente appello avverso sentenza con cui il giudice amministrativo ha dichiarato il difetto di giurisdizione - emissione da parte di Equitalia di una cartella di pagamento relativa ad oneri di urbanizzazione primaria.
...
L’appello è fondato.
Le controversie inerenti la contestazione degli oneri di urbanizzazione, nel corso delle quali non vengano dedotte censure derivanti da atti generali autoritativi relativi alla determinazione degli oneri presupposti di quello impugnato, attengono, infatti, a posizioni di diritto soggettivo, azionabili nel termine di prescrizione, innanzi al giudice amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva.
Detti oneri non hanno, infatti, natura tributaria, bensì costituiscono un corrispettivo di diritto pubblico avente la funzione di partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione, atteso che le controversie che hanno ad oggetto la legittimità o meno del contributo relativo a concessione edilizia vertono sull'esistenza o sulla misura di un’obbligazione direttamente stabilita dalla legge.
La determinazione dell'"an" e del "quantum" dell'oblazione e del contributo per oneri di urbanizzazione e per costo di costruzione ha natura paritetica, giacché si tratta di un mero accertamento dell'obbligazione contributiva, effettuato dalla p.a. in base a rigidi parametri prefissati dalla legge e dai regolamenti in tema di criteri impositivi, nei cui riguardi essa è sfornita di potestà autoritativa.
Per questo le relative controversie, proprio in quanto concernono i diritti soggettivi delle parti di detta obbligazione, sono devolute alla giurisdizione esclusiva del g.a. di cui all’art. 133, primo co., lett. f). L'accertamento di un rapporto di credito prescinde dall'esistenza di atti della p.a. e non è soggetta alle regole delle impugnazioni e dei termini di decadenza propri degli atti amministrativi; in applicazione di tale principio, va quindi esclusa la configurabilità dell'istituto dell'acquiescenza rispetto alla liquidazione del contributo (cfr. Consiglio di Stato sez. V 28.05.2012 n. 3122; Consiglio di Stato sez. IV 10.03.2011 n. 1565; Consiglio Stato sez. V 13.10.2010 n. 7466).
Del resto, in tal senso si è pronunciato il Giudice della giurisdizione, per il quale la giurisdizione del giudice amministrativo in materia ha per oggetto tutte le controversie inerenti la pretesa contributiva del Comune in tale ambito (cfr. Cass., sez. un., 13.12.2002 n. 1791; Cassazione civile, sez. un., 20.10.2006 n. 22514) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 21.08.2013 n. 4208 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La regola, posta dalla L. 10/1977 in linea con la Legge Urbanistica, della onerosità della concessione edilizia, comporta che il concessionario è tenuto al pagamento di un contributo commisurato all’incidenza delle spese di urbanizzazione nonché al costo di costruzione. Il proprietario, infatti, deve assumere gli oneri relativi alle opere di urbanizzazione primaria e di una quota parte delle opere di urbanizzazione secondaria relativa alla lottizzazione o di quelle opere che siano necessarie per allacciare la zona ai pubblici servizi, in proporzione all’entità e alle caratteristiche degli insediamenti delle lottizzazioni.
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Il contributo per il rilascio del permesso di costruire ha natura di prestazione patrimoniale imposta, di carattere non tributario, ed ha carattere generale, prescindendo totalmente o meno delle singole opere di urbanizzazione, venendo altresì determinato indipendentemente sia dall'utilità che il concessionario ritrae dal titolo edificatorio, sia dalle spese effettivamente occorrenti per realizzare dette opere.

Vanno quindi esaminate le censure riguardanti il contributo richiesto a titolo di “oneri di trasformazione territoriale”.
Al riguardo va premesso che la regola, posta dalla L. 10/1977 in linea con la Legge Urbanistica, della onerosità della concessione edilizia, comporta che il concessionario è tenuto al pagamento di un contributo commisurato all’incidenza delle spese di urbanizzazione nonché al costo di costruzione. Il proprietario, infatti, deve assumere gli oneri relativi alle opere di urbanizzazione primaria e di una quota parte delle opere di urbanizzazione secondaria relativa alla lottizzazione o di quelle opere che siano necessarie per allacciare la zona ai pubblici servizi, in proporzione all’entità e alle caratteristiche degli insediamenti delle lottizzazioni (Cons. Stato, Sez. IV, 06.07.2009, n. 4330; Sez. V, 30.09.1998, n. 1348; Sez. V, 10.06.1998, n. 807).
Analoga disciplina prevede l’art. 19 D.P.R. 380/2001 per le opere o impianti destinati ad attività industriali o artigianali dirette alla trasformazione di beni ed alla prestazione di servizi, per le quali la norma impone “la corresponsione di un contributo pari alla incidenza delle opere di urbanizzazione, di quelle necessarie al trattamento e allo smaltimento dei rifiuti solidi, liquidi e gassosi e di quelle necessarie alla sistemazione dei luoghi ove ne siano alterate le caratteristiche. La incidenza di tali opere è stabilita con deliberazione del consiglio comunale in base a parametri che la regione definisce con i criteri di cui al comma 4, lettere a) e b) dell'articolo 16, nonché in relazione ai tipi di attività produttiva”.
Secondo l’art. 30 della L.R. 6/1979 “Per determinare l'incidenza delle opere di urbanizzazione inerenti gli insediamenti industriali ed artigianali, il Comune assume il costo-base di urbanizzazione stabilito nella tabella H) e riferito a metro quadro di superficie utile calcolato al piano (…). Il costo-base di urbanizzazione dedotto dalla suddetta tabella H) viene successivamente moltiplicato per i coefficienti stabiliti nella tabella D) e per quelli della tabella I) relativa al tipo di intervento ed al tipo di attività produttiva”.
Gli enti locali devono quantificare il costo di urbanizzazione secondo i principi posti dalla normativa statale e regionale, nell’ambito delle rispettive competenze, vigendo in materia la riserva di legge posta dall’art. 23 Cost. con riferimento alle prestazioni patrimoniali imposte, quale quelle in esame.
Per pacifica giurisprudenza, infatti, il contributo per il rilascio del permesso di costruire ha natura di prestazione patrimoniale imposta, di carattere non tributario, ed ha carattere generale, prescindendo totalmente o meno delle singole opere di urbanizzazione, venendo altresì determinato indipendentemente sia dall'utilità che il concessionario ritrae dal titolo edificatorio, sia dalle spese effettivamente occorrenti per realizzare dette opere (cfr. Cons. Stato, sez. V, 15.12.2005, nr. 7140; id., 06.05.1997, nr. 462)
(TAR Puglia-Bari, Sez. I, sentenza 08.08.2013 n. 1237 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L’obbligazione di pagamento degli oneri di urbanizzazione ha, infatti, natura causale, essendo strettamente connessa all’attività di trasformazione del territorio ed alle spese che gravano sulla comunità per la realizzazione delle infrastrutture e dei servizi resi necessari da tale attività, al punto che l’Amministrazione comunale è tenuta alla restituzione delle somme percepite a tale titolo nel caso di rinuncia o di inutilizzazione della concessione edilizia e che gli impegni di pagamento si concretizzano proprio nel momento in cui il permesso di costruire viene rilasciato.
Come riconosciuto dalla giurisprudenza amministrativa maggioritaria, l’obbligazione di pagamento degli oneri di urbanizzazione ha, infatti, natura causale, essendo strettamente connessa all’attività di trasformazione del territorio ed alle spese che gravano sulla comunità per la realizzazione delle infrastrutture e dei servizi resi necessari da tale attività (cfr. TAR Campania, Napoli, Sez. VIII, 12.01.2012, n. 108; TAR Piemonte, Sez. I, 01.02.2006 n. 711), al punto che l’Amministrazione comunale è tenuta alla restituzione delle somme percepite a tale titolo nel caso di rinuncia o di inutilizzazione della concessione edilizia (cfr. Cons. St., Sez. V, 23.06.2003 n. 3714) e che gli impegni di pagamento si concretizzano proprio nel momento in cui il permesso di costruire viene rilasciato (cfr. TAR Puglia, Bari, Sez. III, 28.03.2012 n. 617) (TAR Piemonte, Sez. II, sentenza 06.08.2013 n. 980 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

luglio 2013

EDILIZIA PRIVATA: Il computo degli oneri di urbanizzazione non è attività autoritativa e la contestazione sulla relativa corresponsione è proponibile nel termine di prescrizione decennale a prescindere dall'impugnazione dei provvedimenti adottati o dal sollecito a provvedere in via di autotutela.
Trattasi infatti di determinazione che obbedisce a prescrizioni desumibili da tabelle, in ordine alla quale l'Amministrazione comunale si limita ad applicare i detti parametri, aventi anche per essa natura cogente, con conseguente esclusione di qualsivoglia discrezionalità.
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Per reperire una definizione di ristrutturazione edilizia è necessario richiamare l'art. 3, d.P.R. 06.06.2001 n. 380 che definisce ristrutturazione gli interventi di trasformazione di organismi edilizi preesistenti in misura tale anche da condurre alla realizzazione di un organismo edilizio in tutto diverso dal precedente, mentre considera come “nuova costruzione” tutti gli interventi di trasformazione del territorio non rientranti nelle categorie precedentemente descritte dalla medesima disposizione.
L'elemento discretivo tra le due categorie, ai sensi dell'art. 3 citato, risiede, dunque, nel fatto che nei casi di ristrutturazione vi è preesistenza di un manufatto, elemento invece non richiesto nei casi di nuova costrizione in cui la trasformazione concerne più propriamente il "solo" territorio.
Per quanto attiene al soppalco, lo stesso, se non di modeste dimensioni, per la sua struttura e funzione, comporta un aumento della superficie utile e rientra nelle ipotesi di ristrutturazione edilizia.
Nel caso di specie, è emerso nitidamente che è stata mutata la destinazione d’uso di un sottotetto al primo piano da uffici ad abitazione del custode con ampliamento della volumetria dello stesso e sono stati realizzati due soppalchi di non modeste dimensioni.
Ne deriva che gli interventi edilizi realizzati rientrano nelle ipotesi di ristrutturazione edilizia, richiamate dall’art. 5, co. 1, lett. a), della legge regionale.
Ne deriva che erroneamente l’amministrazione ha calcolato gli oneri concessori applicando il comma 2 della legge regionale, che, invece, si riferisce alle nuove costruzioni, mentre avrebbe dovuto tener conto della superficie virtuale ottenuta dividendo il costo complessivo delle opere oggetto di concessione per il costo unitario stabilito annualmente con il decreto ministeriale previsto dall'articolo 6 della legge 28.01.1977, n. 10.

In via preliminare, il Collegio ritiene di aderire all’orientamento di quella parte della giurisprudenza amministrativa, la quale ha precisato che il computo degli oneri di urbanizzazione non è attività autoritativa e la contestazione sulla relativa corresponsione è proponibile nel termine di prescrizione decennale a prescindere dall'impugnazione dei provvedimenti adottati o dal sollecito a provvedere in via di autotutela; trattasi infatti di determinazione che obbedisce a prescrizioni desumibili da tabelle, in ordine alla quale l'Amministrazione comunale si limita ad applicare i detti parametri, aventi anche per essa natura cogente, con conseguente esclusione di qualsivoglia discrezionalità (cfr., Consiglio di Stato sez. IV, 28.11.2012, n. 6033).
Ciò premesso, in relazione al calcolo dei contributi concessori la legge della Regione Lombardia 60/1977 e successive modifiche, prevede espressamente che per le costruzioni o gli impianti destinati alle attività industriali o artigianali nonché alle attività turistiche, commerciali e direzionali, gli oneri sono calcolati al metro quadrato di superficie lorda complessiva di pavimento, compresi i piani seminterrati e interrati la cui destinazione d'uso comporti una permanenza anche temporanea di persone.
Per gli interventi di restauro, risanamento conservativo e ristrutturazione, gli oneri di urbanizzazione, se dovuti, sono riferiti alla superficie virtuale ottenuta dividendo il costo complessivo delle opere oggetto di concessione per il costo unitario stabilito annualmente con il decreto ministeriale previsto dall'articolo 6 della legge 28.01.1977, n. 10, quando si tratta di edifici con destinazione diversa da quella residenziale.
Tanto premesso in punto di fatto, per vagliare la fondatezza del ricorso, occorre, quindi, verificare se gli interventi edilizi realizzati dalla società ricorrente, su edificio con destinazione diversa da quella residenziale, siano da qualificare come nuova superficie (secondo l’assunto dell’amministrazione) ovvero come ristrutturazione o risanamento conservativo (secondo la ricostruzione della società ricorrente).
E’ emerso in maniera incontestata che la società ricorrente ha realizzato un mutamento di destinazione d’uso di un sottotetto al primo piano da uffici ad abitazione del custode per ampliamento della stessa, ha installato due soppalchi metallici, uno di superficie pari a mq. 70 e l’altro di estensione pari ad una preesistente soletta in cemento armato.
A parer della società ricorrente, tali interventi edilizi rappresenterebbero una ristrutturazione o un’ipotesi di risanamento conservativo, in quanto le presunte maggiori superfici utili realizzate non sarebbero destinate ad attività commerciali, ma solo al deposito di merci.
Per reperire una definizione di ristrutturazione edilizia è necessario richiamare l'art. 3, d.P.R. 06.06.2001 n. 380 che definisce ristrutturazione gli interventi di trasformazione di organismi edilizi preesistenti in misura tale anche da condurre alla realizzazione di un organismo edilizio in tutto diverso dal precedente, mentre considera come “nuova costruzione” tutti gli interventi di trasformazione del territorio non rientranti nelle categorie precedentemente descritte dalla medesima disposizione. L'elemento discretivo tra le due categorie, ai sensi dell'art. 3 citato, risiede, dunque, nel fatto che nei casi di ristrutturazione vi è preesistenza di un manufatto, elemento invece non richiesto nei casi di nuova costrizione in cui la trasformazione concerne più propriamente il "solo" territorio (si veda sul punto anche, TAR Napoli Campania sez. VIII, 19.04.2012, n. 1827).
Per quanto attiene al soppalco, lo stesso, se non di modeste dimensioni, per la sua struttura e funzione, comporta un aumento della superficie utile e rientra nelle ipotesi di ristrutturazione edilizia (cfr., Consiglio di Stato sez. VI, 08.02.2013, n. 720).
Nel caso di specie, è emerso nitidamente che è stata mutata la destinazione d’uso di un sottotetto al primo piano da uffici ad abitazione del custode con ampliamento della volumetria dello stesso e sono stati realizzati due soppalchi di non modeste dimensioni.
Ne deriva che gli interventi edilizi realizzati rientrano nelle ipotesi di ristrutturazione edilizia, richiamate dall’art. 5, co. 1, lett. a), della legge regionale.
Ne deriva che erroneamente l’amministrazione ha calcolato gli oneri concessori applicando il comma 2 della legge regionale, che, invece, si riferisce alle nuove costruzioni, mentre avrebbe dovuto tener conto della superficie virtuale ottenuta dividendo il costo complessivo delle opere oggetto di concessione per il costo unitario stabilito annualmente con il decreto ministeriale previsto dall'articolo 6 della legge 28.01.1977, n. 10 (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 26.07.2013 n. 2008 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATASussiste l'inconfigurabilità di vizi di difetto di motivazione con riferimento alla determinazione della somma degli oneri di urbanizzazione, in quanto essa risulta da un mero calcolo materiale da effettuarsi sulla base di puntuali indicazioni normative, senza che in proposito residui un margine di discrezionalità.
Non è pertanto configurabile a carico dell’amministrazione, nella redazione di tali atti aventi natura paritetica, un onere di specificare le ragioni della decisione adottata, sicché l'interessato può solo contestare l'erroneità dei conteggi effettuati dall'ente.

Orbene, sul punto deve richiamarsi la consolidata giurisprudenza amministrativa in ordine alla inconfigurabilità di vizi di difetto di motivazione con riferimento alla determinazione della somma degli oneri di urbanizzazione, in quanto essa risulta “da un mero calcolo materiale da effettuarsi sulla base di puntuali indicazioni normative, senza che in proposito residui un margine di discrezionalità. Non è pertanto configurabile a carico dell’amministrazione, nella redazione di tali atti aventi natura paritetica, un onere di specificare le ragioni della decisione adottata, sicché l'interessato può solo contestare l'erroneità dei conteggi effettuati dall'ente” (in tal senso, Tar Toscana, sez. III, 18.12.2001, n. 2037; Tar Campania, Salerno, 21.07.2005, n. 1319; TAR Lazio, Sez. II, 18.02.2005, n. 1410; TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 05.05.2004, n. 1620; TAR Puglia, Lecce, Sez. I, 29.03.2000 n. 1911; TAR Puglia Bari, sez. III, 03.06.2009, n. 1376; TAR Campania Napoli, sez. VIII, 17.09.2009, n. 4983) (TAR Lazio-Roma, Sez. II-bis, sentenza 18.07.2013 n. 7228 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

maggio 2013

EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: Oggetto: applicazione art. 43, comma 2-bis e seguenti della l.r. 12/2005 (Regione Lombardia - Direzione Generale Agricoltura - Sviluppo di Sistemi Forestali, Agricoltura di Montagna, Uso e Tutela del Suolo Agricolo, nota 16.05.2013 n. 34319 di prot.).
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... con la presente si forniscono chiarimenti interpretativi in ordine all’applicazione della maggiorazione del contributo di costruzione nel caso di rilascio di titoli abilitativi relativi all’attuazione di piani di lottizzazioni, piani di intervento integrato o altre iniziative comunali, alla base dei quali vi sia una convenzione con l’operatore privato approvata dall’amministrazione comunale in data antecedente il 12.04.2009 (data di entrata in vigore della norma, ovvero tre mesi dal 12/01/2009 data di pubblicazione sul B.U.R.L. della d.g.r. n. 8757/2008). (... continua).

EDILIZIA PRIVATA: Oneri di edificazione in area agricola.
Per interventi di nuova edificazione, a destinazione turistico-residenziale, ancorché realizzati in via eccezionale e derogatoria in zona agricola o a prevalente vocazione rurale, l’incidenza degli oneri di urbanizzazione, proprio in funzione della più marcata ed evidente incidenza dei suddetti interventi sul territorio e in vista della necessaria maggiore infrastrutturazione, non possono comportare scostamenti dai coefficienti relativi ad altri usi di natura residenziale.
D’altro canto è di intuitiva evidenza che per interventi di nuova edificazione, a destinazione turistico-residenziale, ancorché realizzati in via eccezionale e derogatoria in zona agricola o a prevalente vocazione rurale, l’incidenza degli oneri di urbanizzazione, proprio in funzione della più marcata ed evidente incidenza dei suddetti interventi sul territorio e in vista della necessaria maggiore infrastrutturazione, non possono comportare scostamenti dai coefficienti relativi ad altri usi di natura residenziale (massima tratta da www.lexambiente.it - Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 16.05.2013 n. 2673 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAI contributi concessori devono essere stabiliti al momento del rilascio del permesso edilizio; a tale momento occorre dunque avere riguardo per la determinazione della entità dell’onere facendo applicazione della normativa vigente al momento del rilascio del titolo edilizio.
Da tale affermazione di principio si trae il corollario della irretroattività delle determinazioni comunali a carattere regolamentare con cui vengono stabiliti i criteri generali, le nuove tariffe e le modalità di calcolo per gli oneri di urbanizzazione ribadendosi l'integrale applicazione del principio tempus regit actum e quindi la irrilevanza ed ininfluenza di disposizioni tariffarie sopravvenute rispetto al momento del rilascio della concessione edilizia.
Di conseguenza deve ritenersi che le delibere comunali che dispongono l'adeguamento degli oneri di urbanizzazione possano trovare applicazione esclusivamente per i permessi rilasciati a far tempo dall'epoca di adozione dell'atto deliberativo e non anche per quelli rilasciati in epoca anteriore.

Secondo l’orientamento consolidato della giurisprudenza, fondato sullo stesso tenore letterale dell’art. 16 DPR 380/2001 (“la quota di contributo relativa agli oneri di urbanizzazione è corrisposta al Comune all'atto del rilascio del permesso di costruire” e “la quota di contributo relativa al costo di costruzione, determinata all'atto del rilascio...”) i contributi concessori devono essere stabiliti al momento del rilascio del permesso edilizio; a tale momento occorre dunque avere riguardo per la determinazione della entità dell’onere facendo applicazione della normativa vigente al momento del rilascio del titolo edilizio.
Da tale affermazione di principio si trae il corollario della irretroattività delle determinazioni comunali a carattere regolamentare con cui vengono stabiliti i criteri generali, le nuove tariffe e le modalità di calcolo per gli oneri di urbanizzazione ribadendosi l'integrale applicazione del principio tempus regit actum e quindi la irrilevanza ed ininfluenza di disposizioni tariffarie sopravvenute rispetto al momento del rilascio della concessione edilizia.
Di conseguenza deve ritenersi che le delibere comunali che dispongono l'adeguamento degli oneri di urbanizzazione possano trovare applicazione esclusivamente per i permessi rilasciati a far tempo dall'epoca di adozione dell'atto deliberativo e non anche per quelli rilasciati in epoca anteriore (TAR Puglia-Lecce, Sez. III, sentenza 15.05.2013 n. 1103 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: In ordine alla gratuità degli interventi in zona agricola, l’art. 9, comma 1, lett. a), della l. n. 10 del 1977 (oggi art. 17, co. 3, lett. a), t.u. edilizia) prevede una duplice condizione:
a) che la zona di intervento abbia nello strumento urbanistico destinazione agricola;
b) che l’intervento sia funzionale allo sfruttamento agricolo del fondo.
Non è sufficiente quindi la destinazione agricola dell’area interessata dalla costruzione, essendo, invece, necessaria la concorrenza della destinazione della costruzione allo sfruttamento del fondo che presuppone la qualità soggettiva del richiedente, di imprenditore agricolo a titolo principale.
In ordine al requisito soggettivo, poi, la giurisprudenza è univoca nell’interpretazione restrittiva della norma, sì da delimitarne l’ambito esclusivamente all’imprenditore agricolo a titolo principale ai sensi dell’art. 12, l. 09.05.1975, n. 153.
La gratuità della concessione edilizia è, dunque, prevista ove concorrano qualità soggettive del richiedente, che deve essere imprenditore agricolo a titolo principale, e qualità oggettive del fabbricato da erigersi.

In ordine alla gratuità degli interventi in zona agricola, l’art. 9, comma 1, lett. a), della l. n. 10 del 1977 (oggi art. 17, co. 3, lett. a), t.u. edilizia), rinviando all’art. 12 della l. 09.05.1975, n. 153 (successivamente abrogato dall’art. 1 del d.lgs. 29.03.2004 n. 99 a sua volta modificato dall’art. 1 d.lgs. 27.05.2005, n. 101), prevede una duplice condizione:
a) che la zona di intervento abbia nello strumento urbanistico destinazione agricola;
b) che l’intervento sia funzionale allo sfruttamento agricolo del fondo.
Non è sufficiente quindi la destinazione agricola dell’area interessata dalla costruzione, essendo, invece, necessaria la concorrenza della destinazione della costruzione allo sfruttamento del fondo che presuppone la qualità soggettiva del richiedente, di imprenditore agricolo a titolo principale.
In ordine al requisito soggettivo, poi, la giurisprudenza è univoca nell’interpretazione restrittiva della norma, sì da delimitarne l’ambito esclusivamente all’imprenditore agricolo a titolo principale ai sensi dell’art. 12, l. 09.05.1975, n. 153 (cfr. Cons. Stato, sez. V, 02.09.1990, n. 682; TAR Sicilia, Catania, sez. I, 03.10.2005, n. 1533; Palermo, sez. I, 15.07.2004, n. 1554).
La gratuità della concessione edilizia è, dunque, prevista ove concorrano qualità soggettive del richiedente, che deve essere imprenditore agricolo a titolo principale, e qualità oggettive del fabbricato da erigersi.
Nel caso non sussistevano tali requisiti soggettivi, in disparte ogni considerazione sul tipo di costruzione, consistente nell’ampliamento di una villa residenziale destinata ad abitazione permanente, che per struttura è ben lontana da potersi ritenere destinata a scopi agricoli.
Quanto all’asserita applicabilità della esenzione al fabbricato da destinare ad abitazione dell’imprenditore agricolo, in disparte la questione di principio sull’ammissibilità della interpretazione estensiva di una norma derogatoria, nel caso non poteva trovare ingresso l’esenzione non avendo mai la ricorrente provato la qualità di imprenditore agricolo ai sensi della richiamata l. n. 153 del 1975, che deve coesistere con la destinazione dell’intervento alla destinazione agricola.
In conclusione, il Sindaco legittimamente ha richiesto il pagamento degli oneri contemplati dall’art. 3 della l. 28.01.1977, n. 10 per il rilascio della concessione edilizia in questione, in mancanza di allegazione da parte dell’istante della documentazione attestante il possesso dei requisiti per beneficiare di siffatta esenzione (in termini, Cons. Stato, sez. V, 02.09.1990, n. 682) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 14.05.2013 n. 2609 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATARISTRUTTURAZIONI/ Dia salva dai rincari. L'urbanizzazione alla data dell'istanza.
Se il Comune aumenta gli oneri di urbanizzazione per gli interventi edilizi, non può farne le spese chi ha già presentato la Dia per ristrutturare l'immobile.

È quanto emerge dalla sentenza 13.05.2013 n. 2593, pubblicata dalla IV Sez. del Consiglio di Stato, che rovescia la sentenza del Tar Lombardia.
Tempus regit actum
L'amministrazione deve restituire la somma cautelativamente versata dall'azienda «a seguito di illegittima richiesta», ma evita il risarcimento del danno grazie alla buona fede: l'ente locale ha aderito all'orientamento interpretativo prevalente al momento in cui il consiglio comunale ha deliberato il rincaro.
Il punto è che la Dia costituisce in pratica un'autocertificazione con cui il privato attesta che al momento della dichiarazione sussistono le condizioni stabilite dalla legge per la realizzazione dell'intervento: sulla denuncia la pubblica amministrazione svolge poi un'eventuale attività di controllo; si può allora ben comprendere come l'attività di verifica dell'ente debba avere come esclusivo riferimento la normativa vigente al momento della presentazione dell'istanza e non la normativa sopravvenuta. Che dunque diventa irrilevante, compreso il caso del rincaro degli oneri.
Legittimo affidamento
Va detto poi che deve essere tutelato il legittimo affidamento del privato che deve poter programmare la sua attività economica con un minimo di certezza: passa dunque la tesi dell'azienda che fa i lavori all'immobile laddove sostiene che la determinazione dei contributi urbanistici da parte dell'amministrazione costituisce un'attività di tipo «paritetico e non autoritativo»; insomma: è evidente che in caso di rideterminazione o modifica unilaterale dell'onere dovuto la pubblica amministrazione non può limitarsi ad emettere un atto sostitutivo.
L'amministrazione può avere titolo a rideterminare l'importo soltanto se il precedente conteggio è stato frutto di un errore essenziale e riconoscibile ai sensi dell'articolo 1427 cc e seguenti. Pesa a favore dell'impresa il principio generale di tutela dell'affidamento dei privati, che è considerato un canone incluso nell'ordinamento giuridico comunitario. Spese compensate dei due gradi di giudizio a causa della giurisprudenza oscillante (articolo ItaliaOggi Sette del 26.08.2013).

EDILIZIA PRIVATA: Afferma il Collegio che la misura degli oneri di urbanizzazione deve essere definita sulla base dell’impatto urbanistico del progetto, secondo la tabella in vigore nel comune interessato.
Qualora il progetto riguardi la ristrutturazione di un edificio esistente il suo impatto è destinato ad incidere su una zona già urbanizzata per cui la sua incidenza sarà data dalla consistenza del nuovo intervento detratto l’impatto di quanto già esistente (sostanzialmente in termini C. di S., V, 21.04.2006, n. 2258: “la determinazione dell’onere dovuto per il rilascio della concessione costituisce, dunque, il risultato di un calcolo materiale, essendo la misura concreta direttamente collegata dalla legge al carico urbanistico accertato secondo parametri rigorosamente stabiliti”).
Da tale affermazione consegue che qualora il comune ometta, come l’odierno appellato, di determinare specificamente la misura del contributo da corrispondere per interventi di ristrutturazione edilizia, quest’ultimo dovrà essere determinato secondo il principio appena esposto.
Non giova, evidentemente, invocare una consuetudine alla quale non può essere attribuita efficacia normativa e nemmeno può essere data rilevanza a considerazioni attinenti la particolare fruttuosità economica dell’operazione che il Comune deve, se del caso, tenere presenti in sede di determinazione delle tabelle.

Rimane da decidere l’ultima censura.
L’appellante sottolinea, condivisibilmente, che la sua argomentazione non è stata rettamente intesa dal primo giudice il quale ha argomentato la pronuncia di rigetto sulla base di una divergenza, fra l’appellante e l’Amministrazione, in ordine alla determinazione della superficie sulla cui base calcolare il contributo, mentre la divergenza riguarda il sistema di calcolo seguito dall’Amministrazione.
L’appellante ribadisce quindi che illegittimamente le delibere comunali impugnate hanno determinato nella stessa misura il contributo per opere di urbanizzazione dovuto in caso di nuova edificazione ed in caso di ristrutturazione dell’esistente osservando inoltre che anche a prescindere da tale argomentazione il Comune appellato avrebbe male determinato, in concreto, il contributo, avendo omesso di detrarre dal computo definitivo la somma corrispondente agli oneri relativi al manufatto già edificato, interessato dal progetto di ristrutturazione.
Osserva il Collegio che la doglianza può essere affrontata sotto quest’ultimo profilo, che meglio descrive l’illegittimità nella quale sarebbe incorsa l’Amministrazione.
Infatti, assumere l’obbligo, per l’Amministrazione, di tenere conto del già costruito all’atto della determinazione del contributo dovuto per un intervento di ristrutturazione delinea la compiuta disciplina della materia, stabilendo il discrimine fra intervento di nuova costruzione ed intervento di ristrutturazione.
In sostanza, la stessa appellante afferma che in caso di ristrutturazione il contributo dovuto è pari a quello previsto per la nuova edificazione, detratto quanto corrispondente al maggior onere urbanistico provocato dall’edificio preesistente.
Tale argomentazione è condivisa dal Collegio.
Deve essere rilevato come in realtà l’esattezza della tesi non sia contestata dal Comune appellato il quale nella relazione depositata in esecuzione della sentenza parziale di cui in narrativa ha espressamente ammesso che “l’applicazione del contributo venne all’epoca effettuata senza conguaglio, ritenendo che questo dovesse essere in effetti calcolato in base alla quota percentuale fissata dal Comune per gli interventi di nuova costruzione e non di ristrutturazione in base alla considerazione che la struttura fu interessata da importanti interventi di ristrutturazione inoltre gli oneri allora vigenti non prevedevano un diverso importo per i casi di ristrutturazione bensì una sola tariffa.”
Prosegue la relazione affermando che “resta inteso che tale modalità operativa era una consuetudine ed una facoltà ammessa per legge pertanto gli importi degli oneri dovuti non furono calcolati a conguaglio proprio in ragione del fatto che la variazione della destinazione era anche finalizzata a stipulare contratti locativi che avrebbero garantito una forte redditività immobiliare al gruppo bancario”.
Lo stesso Comune quindi ammette che la decisione di non considerare, nella determinazione del contributo, il già costruito era stata basata su una consuetudine, legittimata dall’evidente convenienza economica dell’operazione immobiliare in progetto.
E’ evidente che tali considerazioni non possono avere rilievo.
Afferma il Collegio che la misura degli oneri di cui si tratta deve essere definita sulla base dell’impatto urbanistico del progetto, secondo la tabella in vigore nel comune interessato.
Qualora il progetto riguardi la ristrutturazione di un edificio esistente il suo impatto è destinato ad incidere su una zona già urbanizzata per cui la sua incidenza sarà data dalla consistenza del nuovo intervento detratto l’impatto di quanto già esistente (sostanzialmente in termini C. di S., V, 21.04.2006, n. 2258: “la determinazione dell’onere dovuto per il rilascio della concessione costituisce, dunque, il risultato di un calcolo materiale, essendo la misura concreta direttamente collegata dalla legge al carico urbanistico accertato secondo parametri rigorosamente stabiliti”).
Da tale affermazione consegue che qualora il comune ometta, come l’odierno appellato, di determinare specificamente la misura del contributo da corrispondere per interventi di ristrutturazione edilizia, quest’ultimo dovrà essere determinato secondo il principio appena esposto.
Non giova, evidentemente, invocare una consuetudine alla quale non può essere attribuita efficacia normativa e nemmeno può essere data rilevanza a considerazioni attinenti la particolare fruttuosità economica dell’operazione che il Comune deve, se del caso, tenere presenti in sede di determinazione delle tabelle (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 13.05.2014 n. 2437 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Premesso che il contributo di costruzione è posto a carico del costruttore a titolo di partecipazione del concessionario ai costi delle opere di urbanizzazione in proporzione all'insieme dei benefici che la nuova costruzione ne ritrae, la deroga alla onerosità della concessione ricorre nelle ipotesi tassativamente previste dalla legge e, per quanto attiene in particolare la lettera f) dell’art. 9, l. citata, se ricorrano due requisiti che devono entrambi concorrere per fondare lo speciale regime di gratuità della concessione, l'uno di tipo soggettivo, per effetto del quale le opere devono essere eseguite da un ente istituzionalmente competente e l'altro di carattere oggettivo per effetto del quale la costruzione deve riguardare opere pubbliche o di interesse generale.
Nella fattispecie difettano entrambi i requisiti. Invero, il titolare della concessione edilizia non riveste lo status di soggetto pubblico o equiparato, essendo invece una società privata che svolge un’attività commerciale, e l'intervento realizzato non costituisce espletamento di un'attività istituzionale o di interesse pubblico, essendo le opere edilizie in questione (un complesso ricettivo per anziani) palesemente finalizzate ad assecondare le finalità di lucro proprie del soggetto di diritto privato.
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Deve escludersi la configurazione dell’intervento edilizio quale attrezzatura socio–sanitaria e, quindi, quale opera di urbanizzazione secondaria.
Infatti, trattasi di un complesso immobiliare di circa 16.000 metri cubi da destinare a “residenze e servizi per anziani”, della superficie di metri quadrati 22.710, articolata in 36 mono-alloggi e 36 camere multiple dotate di bagni e servizio autonomo di cucina.
Dal punto di vista strutturale va, quindi, evidenziata una prevalente configurazione di tipo ricettivo o residenziale, piuttosto che quella di una struttura sanitaria, essendo quest’ultima caratterizzata dalla prevalenza di spazi destinati alla prestazione di servizi propriamente sanitari, mentre, nel caso i servizi ambulatoriali raggiungono complessivamente i 300 metri quadri, a fronte dei servizi residenziali che coprono in tutto una superficie pari a 6.700 metri quadrati.
Non sussistono, quindi, le caratteristiche che consentano di annoverare la struttura tra quelle sanitarie in senso proprio, mancando la prevalenza di spazi destinati alla prestazione di servizi propriamente sanitari.
Ne consegue che l’intervento edilizio non è assolutamente assimilabile ad una struttura sanitaria e non costituisce di conseguenza opera di urbanizzazione.
Peraltro, le opere di urbanizzazione secondaria sono caratterizzate dalla destinazione prioritaria all’uso della generalità degli utenti o, comunque, ad essere messe a disposizione dell'intera collettività, anche se dietro pagamento di un corrispettivo fissato dal Comune in misura tale che consenta il godimento da parte della collettività indifferenziata degli utenti.
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L'art. 10 della legge 28.01.1977 n. 10 distingue, ai fini della determinazione del contributo del costo di costruzione, gli edifici o gli impianti destinati ad attività industriale e artigianale dirette alla trasformazione dei beni e alla prestazione di servizi, dalle costruzioni od impianti destinati ad attività turistiche, commerciali o direzionali, prevedendo per i primi manufatti le agevolazioni contributive ed escludendole per i secondi.
La concessione edilizia qui in questione non rientra tra gli impianti destinati ad attività produttive.
Ad escludere la configurazione di un complesso alberghiero come un'attività produttiva è proprio il dettato normativo sopra indicato che menziona espressamente gli impianti turistici tra i manufatti per i quali il legislatore in base ad una scelta insindacabile ha ritenuto non possa farsi luogo alla concessione del beneficio de quo e non v'è dubbio che l'esistenza di un siffatto dato normativo è di per sé preclusivo di quale che sia interpretazione estensiva.
E questo a prescindere dall'utilizzo dei normali canoni ermeneutici per cui riesce veramente difficile equiparare un complesso di immobili destinati ad un'attività ricettizia ad un'attività industriale di produzione di beni e servizi.

Il Comune di Firenze rilasciava alla società “La Fontenuova s.r.l.” concessione edilizia per la realizzazione di un complesso immobiliare da destinare a “residenza e servizi per anziani” (concessione edilizia n. 163 del 2000), determinando gli oneri ed i contributi di cui alla l. 28.01.1977, n. 10 in lire 517.886.416 per urbanizzazioni primarie; lire 222.628.002 per urbanizzazioni secondarie; lire 1.156.335.850 per contributo sul costo di costruzione.
La società Fontenuova con ricorso al TAR Toscana gravava la suddetta concessione edilizia, assumendone la gratuità ai sensi dell’art. 9, lett. f), della l. n. 10 del 1977 e, in subordine, la parziale gratuità, con esenzione dal solo costo di costruzione ai sensi dell’art. 10, della medesima legge n. 10 del 1977.
Con sentenza n. 1819 del 06.12.2001, il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana respingeva il ricorso, non ravvisando nella concessione edilizia di cui trattasi le caratteristiche previste dalla legge per le ipotesi di gratuità totale o parziale.
La società La Fontenuova ha proposto appello avverso la suddetta sentenza di cui chiede l’annullamento o la riforma perché erronea alla stregua dei seguenti motivi:
- violazione dell’articolo 9, lettera f), della l. n. 10 del 1977, che prevede l’esenzione del contributo per le concessioni rilasciate per la realizzazione di opere pubbliche o di interesse generale da parte degli enti istituzionalmente competenti, ovvero nel caso di opere di urbanizzazioni eseguite anche da privati in attuazione di strumenti urbanistici generali;
- violazione dell’art. 10, comma 1, della l. n. 10 del 1977, che esenta dal pagamento del costo di costruzione le concessioni edilizie volte alla realizzazione di strutture destinate ad un’attività di tipo industriale.
...
L’art. 9, lettera f), della l. 28.01.1977, n. 10 -richiamata dalla società appellante a sostegno del gravame- stabilisce che “Il contributo di cui al precedente articolo 3 non è dovuto (…) f) per gli impianti, le attrezzature, le opere pubbliche o di interesse generale realizzate dagli enti istituzionalmente competenti nonché per le opere di urbanizzazione, eseguite anche da privati, in attuazione di strumenti urbanistici”.
Premesso che il contributo di costruzione è posto a carico del costruttore a titolo di partecipazione del concessionario ai costi delle opere di urbanizzazione in proporzione all'insieme dei benefici che la nuova costruzione ne ritrae (cfr., Cons. Stato Sez. V, 21.04.2006 n. 2258), la deroga alla onerosità della concessione ricorre nelle ipotesi tassativamente previste dalla legge e, per quanto attiene in particolare la lettera f) dell’art. 9, l. citata, se ricorrano due requisiti che devono entrambi concorrere per fondare lo speciale regime di gratuità della concessione, l'uno di tipo soggettivo, per effetto del quale le opere devono essere eseguite da un ente istituzionalmente competente e l'altro di carattere oggettivo per effetto del quale la costruzione deve riguardare opere pubbliche o di interesse generale (cfr. Sez. V, 20.10.2004 n. 6818; Sez. VI, 05.06.2007 n.2981; Cons. Stato Sez. IV, 02.03.2011, n. 1332).
Nella fattispecie difettano entrambi i requisiti.
Il titolare della concessione edilizia non riveste lo status di soggetto pubblico o equiparato, essendo invece una società privata che svolge un’attività commerciale, e l'intervento realizzato non costituisce espletamento di un'attività istituzionale o di interesse pubblico, essendo le opere edilizie in questione (un complesso ricettivo per anziani) palesemente finalizzate ad assecondare le finalità di lucro proprie del soggetto di diritto privato.
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Sotto altro profilo deve escludersi la configurazione dell’intervento quale attrezzatura socio–sanitaria e, quindi, quale opera di urbanizzazione secondaria.
L’intervento edilizio di cui trattasi consiste, infatti, in un complesso immobiliare di circa 16.000 metri cubi da destinare a “residenze e servizi per anziani” realizzato su un’area di particolare pregio paesaggistico sita in Firenze, della superficie di metri quadrati 22.710, articolata in 36 mono-alloggi e 36 camere multiple dotate di bagni e servizio autonomo di cucina.
Dal punto di vista strutturale va, quindi, evidenziata una prevalente configurazione di tipo ricettivo o residenziale, piuttosto che quella di una struttura sanitaria, essendo quest’ultima caratterizzata dalla prevalenza di spazi destinati alla prestazione di servizi propriamente sanitari, mentre, nel caso i servizi ambulatoriali raggiungono complessivamente i 300 metri quadri, a fronte dei servizi residenziali che coprono in tutto una superficie pari a 6.700 metri quadrati.
Non sussistono, quindi, le caratteristiche che consentano di annoverare la struttura tra quelle sanitarie in senso proprio, mancando la prevalenza di spazi destinati alla prestazione di servizi propriamente sanitari.
Ne consegue che l’intervento edilizio non è assolutamente assimilabile ad una struttura sanitaria e non costituisce di conseguenza opera di urbanizzazione.
Peraltro, le opere di urbanizzazione secondaria sono caratterizzate dalla destinazione prioritaria all’uso della generalità degli utenti o, comunque, ad essere messe a disposizione dell'intera collettività, anche se dietro pagamento di un corrispettivo fissato dal Comune in misura tale che consenta il godimento da parte della collettività indifferenziata degli utenti.
Caratteristiche che non ricorrono nel caso della struttura realizzata dalla società appellante.
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L'art. 10 della legge 28.01.1977 n. 10 distingue, ai fini della determinazione del contributo del costo di costruzione, gli edifici o gli impianti destinati ad attività industriale e artigianale dirette alla trasformazione dei beni e alla prestazione di servizi, dalle costruzioni od impianti destinati ad attività turistiche, commerciali o direzionali, prevedendo per i primi manufatti le agevolazioni contributive ed escludendole per i secondi.
La concessione edilizia qui in questione non rientra tra gli impianti destinati ad attività produttive.
Ad escludere la configurazione di un complesso alberghiero come un'attività produttiva è proprio il dettato normativo sopra indicato che menziona espressamente gli impianti turistici tra i manufatti per i quali il legislatore in base ad una scelta insindacabile ha ritenuto non possa farsi luogo alla concessione del beneficio de quo e non v'è dubbio che l'esistenza di un siffatto dato normativo è di per sé preclusivo di quale che sia interpretazione estensiva.
E questo a prescindere dall'utilizzo dei normali canoni ermeneutici per cui riesce veramente difficile equiparare un complesso di immobili destinati ad un'attività ricettizia ad un'attività industriale di produzione di beni e servizi (cfr., Cons. Stato, sez. IV, n. 4488 del 12.07.2010)
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 07.05.2013 n. 2467 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L'obbligazione di corrispondere il contributo per il rilascio della concessione edilizia ha origine legale e rinviene il suo fatto costitutivo nell'attribuzione al richiedente, mediante il titolo concessorio, dello ius aedificandi avente ad oggetto il progetto assentito dall'Amministrazione.
Sicché, la disciplina regolatrice della suddetta obbligazione, anche nei suoi aspetti quantitativi, non può che essere individuata sulla scorta del principio di diritto intertemporale in base al quale tempus regit actum, ovvero con riferimento alle norme ed ai criteri di computo vigenti alla data di rilascio della concessione.
A tale conclusione interpretativa è del resto pervenuta la stessa pregressa giurisprudenza, avendo essa affermato che "ai sensi dell'art. 1 della legge 28.01.1977 n. 10, il rilascio della concessione edilizia si configura come fatto costitutivo dell'obbligo giuridico del concessionario di corrispondere il contributo ed è a tale momento che occorre riferirsi per la determinazione dell'entità del contributo stesso in base ai parametri normativi allora vigenti".

Come è noto, l'obbligazione di corrispondere il contributo per il rilascio della concessione edilizia ha origine legale e rinviene il suo fatto costitutivo nell'attribuzione al richiedente, mediante il titolo concessorio, dello ius aedificandi avente ad oggetto il progetto assentito dall'Amministrazione.
Consegue immediatamente, da tale rilievo, che la disciplina regolatrice della suddetta obbligazione, anche nei suoi aspetti quantitativi, non può che essere individuata sulla scorta del principio di diritto intertemporale in base al quale tempus regit actum, ovvero con riferimento alle norme ed ai criteri di computo vigenti alla data di rilascio della concessione.
A tale conclusione interpretativa è del resto pervenuta la stessa pregressa giurisprudenza, avendo essa affermato che "ai sensi dell'art. 1 della legge 28.01.1977 n. 10, il rilascio della concessione edilizia si configura come fatto costitutivo dell'obbligo giuridico del concessionario di corrispondere il contributo ed è a tale momento che occorre riferirsi per la determinazione dell'entità del contributo stesso in base ai parametri normativi allora vigenti" (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 1071 del 25.10.1993) (TAR Campania-Salerno, Sez. I, sentenza 02.05.2013 n. 1026 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

aprile 2013

EDILIZIA PRIVATA: Elettrosmog. Legittimità contributo per il costo di costruzione di una stazione radio base.
E' legittima la richiesta del contributo per il costo di costruzione di una stazione radio base, in applicazione del regolamento comunale.
L’installazione di stazioni radio base, seppur sottoposta al procedimento autorizzatorio semplificato previsto dal codice delle comunicazioni, costituisce comunque un’attività edilizia che, qualora il codice stesso non prevedesse alcunché, richiederebbe il rilascio del permesso di costruire, con obbligo di pagamento del connesso contributo.
In altri termini, la semplificazione introdotta dal d.lgs. n. 259/2003 opera esclusivamente sul piano procedimentale, ma non comporta che l’installazione delle stazioni radio base sia esclusa dal contributo previsto dal legislatore per tutte le attività edilizie assoggettate a permesso di costruire.
Non è corretto il riferimento all’art. 93 del d.lgs. n. 259/2003, il quale, laddove introduce il divieto per le Pubbliche Amministrazioni di imporre oneri o canoni che non siano stabiliti per legge, si limita a prevedere una riserva di legge per l’imposizione di nuovi oneri o canoni, ferme restando le leggi in materia edilizia (art. 16 del d.p.r. n. 380/2001), quest’ultime, dunque, subordinano le attività soggette a permesso di costruire al pagamento del contributo relativo al costo di costruzione.
Non depone in senso contrario l’art. 17, comma 3, del d.p.r. n. 380/2001, il quale esonera dal predetto contributo le opere di interesse generale e le opere di urbanizzazione, sempre che le stesse siano espressamente previste negli strumenti urbanistici. Invero tale norma non dispone un’esenzione generalizzata, ma subordinata alla specifica previsione dell’opera nello strumento urbanistico.
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Il contributo relativo al costo di costruzione trova fondamento in specifiche norme sull’attività edilizia, comprendente le modifiche dell’assetto del territorio prodotte, come nel caso di specie, dall’installazione di stazioni radio base.
Su tale aspetto, oggetto della disciplina di cui al d.p.r. n. 380/2001, non interferiscono le suddette direttive, riguardanti questioni procedimentali che non escludono la potestà del Comune di esigere i contributi economici connessi alla trasformazione del territorio.
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E' legittima la previsione regolamentare che quantifica nella misura di euro 380.000,00 il costo medio di realizzazione di un impianto di telefonia sul quale viene applicata la percentuale del costo di costruzione pari al 10%.
Invero, qualora il costo di realizzazione della stazione radio base della ricorrente fosse superiore a quello indicato dall’art. 14 del regolamento, la stessa non riceverebbe alcun pregiudizio dall’applicazione della norma, in quanto l’auspicato riferimento dell’Amministrazione al costo effettivo esporrebbe la società istante ad un più elevato onere economico.
Né appare sproporzionata la percentuale applicata dal Comune di Carrara (10%), a fronte dell’art. 16 del d.p.r. n. 380/2001 e dell’art. 121 della L.R. n. 1/2005, i quali demandano all’Ente la determinazione discrezionale di una quota variabile dal 5% al 20% del costo di costruzione.

Con la prima censura la ricorrente sostiene che il manufatto in questione, essendo assimilabile alle opere di urbanizzazione primaria e rivestendo interesse generale, è esonerato, per effetto dell’art. 17 del d.p.r. n. 380/2001 e dell’art. 124 della L.R. n. 1/2005, dal pagamento del costo di costruzione, come è confermato dall’art. 93 del d.lgs. n. 259/2003, che vieta l’imposizione di oneri o canoni per l’impianto di reti o per l’esercizio dei servizi di comunicazione elettronica.
Il rilievo è infondato.
L’installazione di stazioni radio base, seppur sottoposta al procedimento autorizzatorio semplificato previsto dal codice delle comunicazioni, costituisce comunque un’attività edilizia che, qualora il codice stesso non prevedesse alcunché, richiederebbe il rilascio del permesso di costruire, con obbligo di pagamento del connesso contributo. In altri termini, la semplificazione introdotta dal d.lgs. n. 259/2003 opera esclusivamente sul piano procedimentale, ma non comporta che l’installazione delle stazioni radio base sia esclusa dal contributo previsto dal legislatore per tutte le attività edilizie assoggettate a permesso di costruire.
Pertanto emerge l’infondatezza del riferimento, da parte della deducente, all’art. 93 del d.lgs. n. 259/2003, il quale, laddove introduce il divieto per le Pubbliche Amministrazioni di imporre oneri o canoni che non siano stabiliti per legge, si limita a prevedere una riserva di legge per l’imposizione di nuovi oneri o canoni, ferme restando le leggi in materia edilizia (art. 16 del d.p.r. n. 380/2001 e art. 119 della L.R. n. 1/2005); quest’ultime subordinano le attività soggette a permesso di costruire al pagamento del contributo relativo al costo di costruzione e legittimano quindi gli atti impugnati (TAR Toscana, I, 11.09.2008, n. 1950).
Non depone in senso contrario l’art. 17, comma 3, del d.p.r. n. 380/2001, il quale esonera dal predetto contributo le opere di interesse generale e le opere di urbanizzazione, sempre che le stesse siano espressamente previste negli strumenti urbanistici. Invero tale norma non dispone un’esenzione generalizzata, ma subordinata alla specifica previsione dell’opera nello strumento urbanistico; previsione che, nel caso in esame, non sussiste.
Ad analoghe conclusioni si presta l’art. 124 della L.R. n. 1/2005, il quale esonera dall’obbligo del pagamento del contributo gli impianti, le opere di interesse pubblico e le opere di urbanizzazione, ancorché eseguite da privati, alla condizione che vi sia una convenzione tra gli stessi ed il Comune.
Tuttavia, non è stata sottoscritta alcuna convenzione dalla ricorrente e dal Comune di Carrara, con la conseguenza che non sussistono i presupposti di applicazione nemmeno della norma regionale.
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La terza doglianza è incentrata sulla violazione delle direttive 2002/19/CE, 2002/20/CE e 2002/22/CE, le quali, ispirate ai principi di semplificazione, trasparenza e celerità dei procedimenti autorizzatori, non contemplano oneri a carico dei gestori.
Il rilievo non ha pregio.
Il contributo relativo al costo di costruzione trova fondamento in specifiche norme sull’attività edilizia, comprendente le modifiche dell’assetto del territorio prodotte, come nel caso di specie, dall’installazione di stazioni radio base. Su tale aspetto, oggetto della disciplina di cui al d.p.r. n. 380/2001, non interferiscono le suddette direttive, riguardanti questioni procedimentali che non escludono la potestà del Comune di esigere i contributi economici connessi alla trasformazione del territorio.
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Con il quarto motivo l’esponente deduce che l’art. 14 del contestato regolamento comunale quantifica arbitrariamente, senza approfondimenti istruttori e in modo indifferenziato, astratto e aprioristico, nella misura di euro 380.000, il costo medio di realizzazione di un impianto di telefonia sul quale viene applicata la percentuale del costo di costruzione pari al 10%.
La censura è inammissibile.
La ricorrente non ha specificato in alcun modo il costo di realizzazione del proprio impianto, omettendo così di fornire prova circa la natura concretamente lesiva, nei suoi confronti, della contestata quantificazione del contributo.
Invero, qualora il costo di realizzazione della stazione radio base della ricorrente fosse superiore a quello indicato dall’art. 14 del regolamento, la stessa non riceverebbe alcun pregiudizio dall’applicazione della norma, in quanto l’auspicato riferimento dell’Amministrazione al costo effettivo esporrebbe la società istante ad un più elevato onere economico.
Né appare sproporzionata la percentuale applicata dal Comune di Carrara (10%), a fronte dell’art. 16 del d.p.r. n. 380/2001 e dell’art. 121 della L.R. n. 1/2005, i quali demandano all’Ente la determinazione discrezionale di una quota variabile dal 5% al 20% del costo di costruzione
(TAR Toscana, Sez. I, sentenza 11.04.2013 n. 539 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L’importo degli oneri di urbanizzazione per interventi su edifici preesistenti non deve essere necessariamente inferiore a quello previsto per le nuove costruzioni, poiché gli oneri sono correlati alla carico urbanistico derivante dalla trasformazione che interviene sulle preesistenze; tali conseguenze possono comportare anche variazione degli standard ed in determinati casi causano addirittura impatti superiori a quelli derivanti da nuove costruzioni, ciò soprattutto ove la nuova destinazione abbia un rilievo quantitativamente e qualitativamente del tutto differente.
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La gratuità della concessione, ora contenuta negli artt. 6 e 17 d.P.R. n. 380/2001, è connessa all’interesse generale perseguito ed è evidente che una scuola per disabili inserita in zona destinata ad attrezzature pubbliche e sociali doveva beneficiare di quella esenzione dal contributo costo di costruzione e dagli oneri di urbanizzazione, ove poi fosse la stessa mano pubblica chiamata a realizzare l’opera, ponendo così a carico della fiscalità generale le spese per l’effettuazione di quelle opere di urbanizzazione accessorie alla nuova costruzione.

Come rilevato dallo stesso appellante, l’importo degli oneri di urbanizzazione per interventi su edifici preesistenti non deve essere necessariamente inferiore a quello previsto per le nuove costruzioni, poiché gli oneri sono correlati alla carico urbanistico derivante dalla trasformazione che interviene sulle preesistenze; tali conseguenze possono comportare anche variazione degli standard ed in determinati casi causano addirittura impatti superiori a quelli derivanti da nuove costruzioni, ciò soprattutto ove la nuova destinazione abbia un rilievo quantitativamente e qualitativamente del tutto differente, come nel caso di specie.
Infatti si è passati da un edificio destinato a scopi di istruzione per persone diversamente abili con una frequenza pari a poche decine di alunni, ad un immobile sede di uno dei tour operators tra i maggiori in Italia, con un numero di addetti che non può essere paragonato al numero di insegnanti e di scolari del passato -senza smentite si è insinuato un dato di alcune centinaia di unità- con la conseguente necessità della creazione di un parcheggio, elemento questo sufficientemente descrittivo delle modificazioni di carico urbanistico della zona adiacente.
Ma deve essere ancora aggiunto che per la scuola si era fatta applicazione del disposto di cui all’art. 9, lett. f), L. 10/1977, ossia dell’esenzione dai contributi concessori previsti per impianti, attrezzature ed opere pubbliche e di interesse generale realizzate dagli enti istituzionalmente competenti; la gratuità della concessione, ora contenuta negli artt. 6 e 17 d.P.R. n. 380/2001, è connessa all’interesse generale perseguito ed è evidente che una scuola per disabili inserita in zona destinata ad attrezzature pubbliche e sociali doveva beneficiare di quella esenzione dal contributo costo di costruzione e dagli oneri di urbanizzazione, ove poi fosse la stessa mano pubblica chiamata a realizzare l’opera, ponendo così a carico della fiscalità generale le spese per l’effettuazione di quelle opere di urbanizzazione accessorie alla nuova costruzione (Cons. Stato, V, 29.09.1997 n. 1067; id., 20.11.1989 n. 752).
L’attuale destinazione dell’edificio è invece volta a fini tipicamente imprenditoriali ed appare allora del tutto corretto che Alpitour Italia non possa ora giovarsi della gratuità di una concessione edilizia al tempo rilasciata per fini essenzialmente pubblici; è evidente che un abbattimento, sia pure parziale, degli oneri di urbanizzazione verrebbe a costituire una sorta di socializzazione indiretta dei costi derivanti da investimenti privati, la quale non trova copertura alcuna nella normativa urbanistica, sia vigente, sia abrogata (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 09.04.2013 n. 1918 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

marzo 2013

EDILIZIA PRIVATA: Un Ente ecclesiastico (che ha tra gli scopi statutari l’attività d’istruzione scolastica, è un ente senza fini di lucro ed ha ottenuto il riconoscimento di scuola paritaria) nel costruire una nuova scuola deve versare il contributo di costruzione.
L’azione di ripetizione degli oneri rientra nell’ambito del diritto soggettivo all’esatta quantificazione del contributo concessorio, e la controversia appartiene per legge alla giurisdizione del GA ed è soggetta a termini di prescrizione decennale.
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Il contributo di costruzione rappresenta una compartecipazione comunale all'incremento di valore della proprietà immobiliare del costruttore a seguito della nuova edificazione.
Mentre il contributo per gli oneri di urbanizzazione ha funzione recuperatoria delle spese sostenute dalla collettività comunale riguardo alla trasformazione del territorio assentita al singolo, il contributo per costo di costruzione, che è rapportato alle caratteristiche e alla tipologia delle costruzioni e non è alternativo ad altro valore di genere diverso, afferisce alla mera attività costruttiva in sé valutata.
L'obbligazione contributiva per costo di costruzione, dunque, è fondata sulla produzione di ricchezza connessa all'utilizzazione edificatoria del territorio ed alle potenzialità economiche che ne derivano e, pertanto, ha natura essenzialmente paratributaria.
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L'art. 9, lettera f), della legge n. 10/1977 subordina la gratuità della concessione ad un requisito oggettivo ed uno soggettivo: deve trattarsi di opere pubbliche o di interesse pubblico da cui la collettività possa trarre un utile ovvero la cui fruizione in via diretta o indiretta soddisfi interessi generali.
I destinatari del beneficio sono dunque certamente in prima battuta gli enti pubblici, per loro natura "istituzionalmente competenti", alla cura dell’interesse generale loro affidato, ma accanto a questi si rinvengono nell’ordinamento anche altri soggetti che agiscono per la cura dello stesso interesse generale.
Sul piano oggettivo è pacifico che l’opera in costruzione abbia la destinazione a scuola paritaria (doc. 6 ricorso) e che la legge n. 62/2000 ai sensi dell’art. 1, comma 3, afferma che “le scuole paritarie svolgono un servizio pubblico”.
Ulteriore elemento che corrobora l’elemento oggettivo è costituito dalla delibera comunale (doc. 2) che dichiara espressamente che l’opera in questione rientra nel nuovo Polo educativo per Albenga, accertando così definitivamente la destinazione a scuola dell’immobile.
Tuttavia, per riconoscere l’esonero dal contributo ai sensi della disciplina sul pagamento degli oneri di concessione occorre la contemporanea presenza anche del requisito soggettivo, cioè deve trattarsi di opera eseguita da un ente istituzionalmente competente.
La giurisprudenza è sempre stata molto attenta a distinguere le ipotesi in cui l’attività attuata portasse ad un'utilità pubblica alla collettività, da iniziative private che avessero invece un più o meno diretto scopo di lucro, talora mascherato da interesse generale.
Qualora, come nel caso di specie, la realizzazione dell’opera d’interesse pubblico non avvenga da parte degli enti istituzionalmente competenti, cioè da parte di soggetti cui sia demandata in via istituzionale la realizzazione di opere d’interesse generale, ma da parte di privati si è distinta in giurisprudenza l’ipotesi dei concessionari dell'ente pubblico, purché le opere fossero inerenti all'esercizio del rapporto concessorio.
Nel caso di realizzazione da parte di privati, deve dunque sussistere un ben preciso vincolo relazionale tra il soggetto abilitato a operare nell'interesse pubblico e il materiale esecutore della costruzione, e tale vincolo deve contrassegnare fin dall'inizio (cioè, fin dalla richiesta del titolo edilizio) la realizzazione dell'assentito intervento edificatorio, al fine di ottenere l'esenzione dal contributo di costruzione.
La correlazione indicata dalla norma tra gli elementi dell'"ente istituzionalmente competente" e della "realizzazione" dell’opera d’interesse generale non può essere infatti dilatata al punto da esporre l'amministrazione comunale a richieste di sgravio contributivo, in conformità a utilizzazioni intervenute e concordate in un secondo momento, frutto dell'attività imprenditoriale o commerciale dell'impresa costruttrice e comunque del tutto esulanti dagli specifici intenti realizzativi iniziali, e questo seppur l'intervento edilizio riguardi zone tendenzialmente destinate ad interventi edificatori di interesse generale. Non si può, in definitiva, recuperare ex post il legame tra soggetti realizzatori e finalità pubbliche che, seppur con moduli organizzatori non del tutto tipizzati, deve contraddistinguere l'intervento edilizio ab initio.
Nel caso di specie tuttavia siamo di fronte ad un Ente ecclesiastico che ha tra gli scopi statutari l’attività d’istruzione scolastica; è un ente senza fini di lucro ed ha ottenuto il riconoscimento di scuola paritaria.
Resta la vexata quaestio esistente tra scuola pubblica e privata nell’ambito del perimetro circoscritto dall’art. 33 della Costituzione.
Se infatti è pacifico il diritto di istituzione di scuole ed istituti d’istruzione privati, ciò deve avvenire senza oneri a carico dello Stato, laddove l’esenzione dei contributi di concessione costituirebbe un onere improprio per la collettività che non beneficerebbe delle somme così non incassate dal comune.
Inoltre la scuola privata, imponendo il pagamento di rette per la frequenza non sarebbe accessibile a tutti e, quindi, diversamente dalla scuola pubblica, avrebbe uno scopo di lucro che impedirebbe di beneficiare dell’esonero dai contributi, anche qualora, come nel caso di specie la ricorrente dimostri la mancanza di un fine speculativo o lucrativo nell’attività esercitata.
Secondo la giurisprudenza è indubbio che la disposizione invocata (art. 9 L. 10/1977) deve ritenersi di stretta interpretazione, in quanto introduce talune ipotesi di deroga alla previsione generale la quale assoggetta a contributo tutte le opere che comportino trasformazione del territorio.
Secondo il TAR Veneto, l'opera, per conseguire il beneficio, deve essere necessariamente realizzata da un Ente pubblico, non spettando lo stesso per le opere eseguite da soggetti privati, quale che sia la rilevanza sociale dell'attività esercitata nella o con l'opera edilizia alla quale la concessione si riferisce.
In ogni caso, ammettendo l'iniziativa di un privato, questo deve agire per conto di un Ente pubblico, come nell'istituto della concessione di opera pubblica o in altre analoghe figure organizzatorie ove l'intervento è realizzato da soggetti non animati dallo scopo di lucro o che accompagnano tale obiettivo con un legame istituzionale con l'azione dell'amministrazione per la cura degli interessi della collettività.
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Per enti istituzionalmente competenti alla realizzazione di opere pubbliche o di interesse pubblico debbano intendersi enti pubblici ovvero altri soggetti che realizzino l'opera per conto di un ente pubblico come nel caso di concessionario di opera pubblica o altre analoghe figure organizzatorie (cfr. ad es. Cons. Stato sez. IV, 10.05.2005, n. 2226; ed sez. V, 12.07.2005, n. 3774; e, casi questi, in cui è stato escluso il diritto all'esenzione, anche sulla base del rilievo che l'opera non era rivolta alla collettività in senso generale, ma tendeva al soddisfacimento di interessi privatistici o comunque alle esigenze di un numero limitato di persone - v. sent. CdS V n. 3774/2005 ovvero che l'opera era destinata a rimanere nella piena disponibilità del privato esecutore, senza alcun vincolo atto a preservare la funzione nel tempo).

... per l'annullamento del provvedimento di richiesta pagamento contributi concessori per il ritiro del permesso di costruire.
...
Il ricorso non è fondato.
Preliminarmente va confermato che l’azione di ripetizione degli oneri rientra nell’ambito del diritto soggettivo all’esatta quantificazione del contributo concessorio, e la controversia appartiene per legge alla giurisdizione del GA (Tar Campania Na II n. 4356/2011) ed è soggetta a termini di prescrizione decennale (Tar Sicilia Pa II n. 1554/2011).
Nel caso di specie, comunque, il ricorso è tempestivo anche relativamente ai termini di decadenza decorrenti dal rilascio del titolo edilizio avvenuto il 07.04.2009.
La richiesta avanzata dalla parte riguarda l’esonero dal pagamento richiesto e in parte già incassato dal comune del contributo di costruzione, che rappresenta una compartecipazione comunale all'incremento di valore della proprietà immobiliare del costruttore a seguito della nuova edificazione (cfr. TAR Abruzzo Pescara - 18/10/2010 n. 1142).
Mentre il contributo per gli oneri di urbanizzazione ha funzione recuperatoria delle spese sostenute dalla collettività comunale riguardo alla trasformazione del territorio assentita al singolo, il contributo per costo di costruzione, unica voce qui in discussione, che è rapportato alle caratteristiche e alla tipologia delle costruzioni e non è alternativo ad altro valore di genere diverso, afferisce alla mera attività costruttiva in sé valutata.
L'obbligazione contributiva per costo di costruzione, dunque, è fondata sulla produzione di ricchezza connessa all'utilizzazione edificatoria del territorio ed alle potenzialità economiche che ne derivano e, pertanto, ha natura essenzialmente paratributaria (TAR Campania Salerno, sez. II - 11/06/2002 n. 459).
Tornando al merito della controversia, il Collegio è a conoscenza della giurisprudenza che si è formata sull'applicabilità in concreto della previsione di cui all'art. 9 , lettera f) richiamato.
Ma proprio la necessità di verificare, di volta in volta, l’esistenza delle condizioni stabilite dalla legge per consentire l’esonero dal pagamento degli oneri convince il Collegio della non fondatezza del ricorso nel caso di specie.
L'art. 9, lettera f), della legge n. 10/1977 subordina infatti la gratuità della concessione ad un requisito oggettivo ed uno soggettivo: deve trattarsi di opere pubbliche o di interesse pubblico da cui la collettività possa trarre un utile ovvero la cui fruizione in via diretta o indiretta soddisfi interessi generali.
I destinatari del beneficio sono dunque certamente in prima battuta gli enti pubblici, per loro natura "istituzionalmente competenti", alla cura dell’interesse generale loro affidato, ma accanto a questi si rinvengono nell’ordinamento anche altri soggetti che agiscono per la cura dello stesso interesse generale.
Sul piano oggettivo è pacifico che l’opera in costruzione abbia la destinazione a scuola paritaria (doc. 6 ricorso) e che la legge n. 62/2000 ai sensi dell’art. 1, comma 3, afferma che “le scuole paritarie svolgono un servizio pubblico”.
Ulteriore elemento che corrobora l’elemento oggettivo è costituito dalla delibera comunale (doc. 2) che dichiara espressamente che l’opera in questione rientra nel nuovo Polo educativo per Albenga, accertando così definitivamente la destinazione a scuola dell’immobile.
Tuttavia, per riconoscere l’esonero dal contributo ai sensi della disciplina sul pagamento degli oneri di concessione occorre la contemporanea presenza anche del requisito soggettivo, cioè deve trattarsi di opera eseguita da un ente istituzionalmente competente.
La giurisprudenza, anche di questo Tribunale (Tar Liguria, I sez. n. 3565 del 09.12.2009) è sempre stata molto attenta a distinguere le ipotesi in cui l’attività attuata portasse ad un'utilità pubblica alla collettività, da iniziative private che avessero invece un più o meno diretto scopo di lucro, talora mascherato da interesse generale.
Qualora, come nel caso di specie, la realizzazione dell’opera d’interesse pubblico non avvenga da parte degli enti istituzionalmente competenti, cioè da parte di soggetti cui sia demandata in via istituzionale la realizzazione di opere d’interesse generale, ma da parte di privati si è distinta in giurisprudenza l’ipotesi dei concessionari dell'ente pubblico, purché le opere fossero inerenti all'esercizio del rapporto concessorio.
Nel caso di realizzazione da parte di privati, deve dunque sussistere un ben preciso vincolo relazionale tra il soggetto abilitato a operare nell'interesse pubblico e il materiale esecutore della costruzione, e tale vincolo deve contrassegnare fin dall'inizio (cioè, fin dalla richiesta del titolo edilizio) la realizzazione dell'assentito intervento edificatorio, al fine di ottenere l'esenzione dal contributo di costruzione.
La correlazione indicata dalla norma tra gli elementi dell'"ente istituzionalmente competente" e della "realizzazione" dell’opera d’interesse generale non può essere infatti dilatata al punto da esporre l'amministrazione comunale a richieste di sgravio contributivo, in conformità a utilizzazioni intervenute e concordate in un secondo momento, frutto dell'attività imprenditoriale o commerciale dell'impresa costruttrice e comunque del tutto esulanti dagli specifici intenti realizzativi iniziali, e questo seppur l'intervento edilizio riguardi zone tendenzialmente destinate ad interventi edificatori di interesse generale. Non si può, in definitiva, recuperare ex post il legame tra soggetti realizzatori e finalità pubbliche che, seppur con moduli organizzatori non del tutto tipizzati, deve contraddistinguere l'intervento edilizio ab initio (così Cons. di St., V, 02.12.2002, n. 6618).
Nel caso di specie tuttavia siamo di fronte ad un Ente ecclesiastico che ha tra gli scopi statutari l’attività d’istruzione scolastica; è un ente senza fini di lucro ed ha ottenuto il riconoscimento di scuola paritaria.
Resta la vexata quaestio esistente tra scuola pubblica e privata nell’ambito del perimetro circoscritto dall’art. 33 della Costituzione.
Se infatti è pacifico il diritto di istituzione di scuole ed istituti d’istruzione privati, ciò deve avvenire senza oneri a carico dello Stato, laddove l’esenzione dei contributi di concessione costituirebbe un onere improprio per la collettività che non beneficerebbe delle somme così non incassate dal comune.
Inoltre la scuola privata, imponendo il pagamento di rette per la frequenza non sarebbe accessibile a tutti e, quindi, diversamente dalla scuola pubblica, avrebbe uno scopo di lucro che impedirebbe di beneficiare dell’esonero dai contributi (Tar Piemonte I 10.03.2007 n. 1164), anche qualora, come nel caso di specie la ricorrente dimostri la mancanza di un fine speculativo o lucrativo nell’attività esercitata.
Secondo la giurisprudenza è indubbio che la disposizione invocata (art. 9 L. 10/1977) deve ritenersi di stretta interpretazione, in quanto introduce talune ipotesi di deroga alla previsione generale la quale assoggetta a contributo tutte le opere che comportino trasformazione del territorio (cfr. TAR Puglia Bari, sez. III - 11/06/2010 n. 2420).
Secondo il TAR Veneto, (sez. II - 16/06/2011 n. 1047), l'opera, per conseguire il beneficio, deve essere necessariamente realizzata da un Ente pubblico, non spettando lo stesso per le opere eseguite da soggetti privati, quale che sia la rilevanza sociale dell'attività esercitata nella o con l'opera edilizia alla quale la concessione si riferisce (Consiglio di Stato, sez. V - 15/12/2005 n. 7140; TAR Lombardia Milano, sez. II - 17.09.2009 n. 4672).
In ogni caso, ammettendo l'iniziativa di un privato, questo deve agire per conto di un Ente pubblico, come nell'istituto della concessione di opera pubblica o in altre analoghe figure organizzatorie ove l'intervento è realizzato da soggetti non animati dallo scopo di lucro o che accompagnano tale obiettivo con un legame istituzionale con l'azione dell'amministrazione per la cura degli interessi della collettività (Consiglio di Stato, sez. IV - 10/05/2005 n. 2226).
Così circoscritta la vicenda, il Collegio è dell’avviso che il contributo debba essere pagato dall’ente ricorrente.
La giurisprudenza -espressasi con riferimento all'art. 9, l. n. 10/1977- ha affermato che per enti istituzionalmente competenti alla realizzazione di opere pubbliche o di interesse pubblico debbano intendersi enti pubblici ovvero altri soggetti che realizzino l'opera per conto di un ente pubblico come nel caso di concessionario di opera pubblica o altre analoghe figure organizzatorie (cfr. ad es. Cons. Stato sez. IV, 10.05.2005, n. 2226; ed sez. V, 12.07.2005, n. 3774; e, casi questi, in cui è stato escluso il diritto all'esenzione, anche sulla base del rilievo che l'opera non era rivolta alla collettività in senso generale, ma tendeva al soddisfacimento di interessi privatistici o comunque alle esigenze di un numero limitato di persone - v. sent. CdS V n. 3774/2005 ovvero che l'opera era destinata a rimanere nella piena disponibilità del privato esecutore, senza alcun vincolo atto a preservare la funzione nel tempo (CdS IV 11.01.2006, n. 51) (TAR Liguria, Sez. I, sentenza 28.03.2013 n. 552 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAGli oneri di urbanizzazione sono considerati un corrispettivo di diritto pubblico, di natura non tributaria, posto a carico del costruttore a titolo di partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione in proporzione ai benefici che la nuova costruzione ne ritrae, cosicché il tipo di uso offre la giustificazione giuridica all’an debeatur, mentre le modalità concrete dell’uso danno la ragione del quantum.
Ne deriva che il fatto da cui in concreto nasce l’obbligo di corrispondere gli “oneri“ anzidetti è l’aumento del carico urbanistico, derivi esso dalla realizzazione di interventi edilizi o da mutamenti di destinazione d’uso (anche in assenza di opere). La quota per oneri di urbanizzazione compensa, in altri termini, l’aggravamento del carico urbanistico della zona, indotto dal nuovo insediamento.
L’incremento del peso insediativo non consegue, infatti, soltanto agli interventi di ristrutturazione generale e globale di un edificio, ma anche alle ristrutturazioni meno marcate, che comunque trasformino la realtà strutturale e la fruibilità urbanistica dell’immobile. In tal caso la necessità di sottoporre la concessione al pagamento dei contributi è riferita all’oggettiva rivalutazione dell’immobile ed è funzionale a sopportare il carico socio-economico che la realizzazione comporta sotto il profilo urbanistico.
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L’intervento in concreto realizzato, che ha consentito di trasformare un fienile in un unità abitativa composta da soggiorno con angolo cottura, due camere da letto, servizio igienico e relativo disimpegno, al quale è possibile accedere con una rampa scale esterna, comporta, invero, aggravi di carico urbanistico identici a quelli derivanti da nuove costruzioni.

... per l'annullamento della non debenza da parte del sig. Battaglia delle somme (pari ad euro 11.774,78) che il Comune di Avigliana ha richiesto con lettera prot. 7847/2005 del 01/04/2005 a titolo di integrazione del contributo di urbanizzazione per il condono edilizio per cambio di destinazione d'uso di parte di un immobile da fienile a civile abitazione;
...
In via generale, osserva, invero, il Collegio che, secondo la posizione interpretativa maggiormente affermata in giurisprudenza, da cui non v’è motivo di discostarsi, gli oneri di urbanizzazione sono considerati un corrispettivo di diritto pubblico, di natura non tributaria, posto a carico del costruttore a titolo di partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione in proporzione ai benefici che la nuova costruzione ne ritrae, cosicché il tipo di uso offre la giustificazione giuridica all’an debeatur, mentre le modalità concrete dell’uso danno la ragione del quantum (cfr. C.d.S., V, 21.04.2006, n. 2258; idem 27.02.1998, n. 201; idem 23.05.1997, n. 529).
Ne deriva che il fatto da cui in concreto nasce l’obbligo di corrispondere gli “oneri“ anzidetti è l’aumento del carico urbanistico, derivi esso dalla realizzazione di interventi edilizi o da mutamenti di destinazione d’uso (anche in assenza di opere). La quota per oneri di urbanizzazione compensa, in altri termini, l’aggravamento del carico urbanistico della zona, indotto dal nuovo insediamento.
L’incremento del peso insediativo non consegue, infatti, soltanto agli interventi di ristrutturazione generale e globale di un edificio, ma anche alle ristrutturazioni meno marcate, che comunque trasformino la realtà strutturale e la fruibilità urbanistica dell’immobile (cfr. TAR Emilia Romagna, Parma, 19.02.2008, n. 100). In tal caso la necessità di sottoporre la concessione al pagamento dei contributi è riferita all’oggettiva rivalutazione dell’immobile ed è funzionale a sopportare il carico socio-economico che la realizzazione comporta sotto il profilo urbanistico (cfr. C.d.S., V, 03.03.2002, n. 1180).
Orbene, ciò precisato, non v’è dubbio che la ristrutturazione in questione, seppur realizzata mediante limitati interventi di carattere edilizio, abbia comportato un effettivo aumento del carico urbanistico.
A tal proposito il Collegio non può, peraltro, che condividere l’inquadramento operato dall’ente civico ai fini della corresponsione degli oneri di urbanizzazione, dato che l’intervento condonato, avendo portato alla creazione di un organismo radicalmente diverso, dal punto di vista del carico urbanistico, da quello preesistente e avendo, anzi, dato origine ad un’unità immobiliare autonoma, pare ragionevolmente riconducibile alla categoria n. 1 degli interventi a carattere “residenziale” di cui alla D.G.C. n. 231/2004.
L’intervento in concreto realizzato, che ha consentito di trasformare un fienile in un unità abitativa composta da soggiorno con angolo cottura, due camere da letto, servizio igienico e relativo disimpegno, al quale è possibile accedere con una rampa scale esterna, comporta, invero, aggravi di carico urbanistico identici a quelli derivanti da nuove costruzioni (per un’ipotesi similare dal punto di vista del “risultato” edilizio ottenuto vedasi TAR Lombardia Brescia, 21.07.2009, n. 4455).
A nulla rileva, peraltro, che, ai fini del condono, le opere realizzate siano state ascritte alla tipologia 3 (“Opere di ristrutturazione edilizia come definite dall'articolo 3, comma 1, lettera d, del d.P.R. 06.06.2001, n. 380 realizzate in assenza o in difformità dal titolo abilitativo edilizio”) dell’allegato 1 del d.l. 30.09.2003, n. 269, dato che da un’attenta lettura delle disposizioni di tale decreto si evince che il legislatore non ha assolutamente inteso prevedere una corrispondenza diretta tra tipologia d’illecito commesso e misura degli oneri di concessione, ma ha stabilito un criterio diverso, che non può che essere applicato tenendo conto della funzione tipica assolta dagli oneri di urbanizzazione.
La tabella D avente ad oggetto la “Misura dell’anticipazione degli oneri di concessione” individua, infatti, solo due categorie di interventi edilizi ovvero le “Nuove costruzioni e ampliamenti” e le “Ristrutturazioni e modifiche della destinazione d’uso”, diversamente da quanto stabilisce, invece, la tabella C per la “misura dell’oblazione”, che tiene conto della tipologia d’illecito concretamente commesso.
Ad avviso del Collegio, è da ritenersi, dunque, rimessa al prudente apprezzamento tecnico-discrezionale delle singole Amministrazioni la valutazione in ordine alla riconducibilità dell’intervento realizzato all’una o all’altra delle due macro-categorie dianzi indicate ai fini della corresponsione degli oneri di urbanizzazione, in ragione dell’effettiva incidenza sul carico antropico provocata dalle opere per cui è stato chiesto il condono.
La deliberazione giuntale n. 231/2004, con cui vengono determinati gli importi degli oneri di urbanizzazione per le opere del condono in questione, laddove fa riferimento al concetto di unità immobiliare autonoma o potenzialmente tale, pare, peraltro, pienamente rispondente alla definizione di “nuova costruzione” fornita dall’art. 2 legge regionale n. 33/2004 recante disposizioni regionali per l’attuazione della sanatoria edilizia ove si legge, per l’appunto, che “ai fini della presente legge si intende per nuova costruzione il manufatto che risulti realizzato in forma autonoma non connesso o pertinente ad altro manufatto esistente”.
Contrariamente a quanto ritenuto dal ricorrente, essa non introduce alcuna nuova fattispecie di opere edilizie rispetto a quelle ordinarie, con buona pace, dunque, del rispetto di quanto al riguardo stabilito dall’art. 32, comma 10, del d.l. n. 269 del 2003 e dell’art. 5 della l.r. dianzi citata e delle fattispecie residenziali ordinarie contemplate dalla D.G.C. n. 59 dell’08.06.1995, laddove la linea di discrimine viene, invero, individuata tra interventi di nuova costruzione e interventi di ristrutturazione ovvero attuati su volumi preesistenti.
Ne deriva che, tenuto conto del risultato complessivo dell’intervento condonato (diversa strutturazione e fruibilità dell’immobile) e del correlato aumento del peso insediativo, l’Amministrazione ha legittimamente provveduto a calcolare il quantum dovuto dal signor Battaglia applicando la misura degli oneri stabilita per gli interventi di nuova costruzione, nel cui ambito rientrano quelli che, come quello realizzato, generano unità immobiliari autonome (TAR Piemonte, Sez. II, sentenza 27.03.2013 n. 381 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALe somme pagate a titolo di contributi per oneri di urbanizzazione relativamente ad una concessione edilizia sono ripetibili se la concessione non sia stata utilizzata.
L’obbligo di restituzione sorge nella data in cui sia intervenuta la decadenza della concessione per la mancata realizzazione delle opere di cui al progetto approvato.
Spettano gli interessi legali. Al contrario, trattandosi di un debito di valuta, indebito oggettivo, e non di valore, la rivalutazione non spetta.

Come affermato dalla giurisprudenza, le somme pagate a titolo di contributi per oneri di urbanizzazione relativamente ad una concessione edilizia sono ripetibili se la concessione non sia stata utilizzata.
L’obbligo di restituzione sorge nella data in cui sia intervenuta la decadenza della concessione per la mancata realizzazione delle opere di cui al progetto approvato (cfr. Cons. Stato sezione V 22.02.1998 n. 1145, Cons. St., sez. V, 22.02.1988, n. 105, ma vedi anche Tar Lazio II-bis 2294/2008).
Il Comune non si è costituito e, pertanto, le allegazioni di parte ricorrente non trovano smentita in merito alla mancata realizzazione dell’opera.
Quanto alla somma versata, di cui si chiede la restituzione con interessi e rivalutazioni, la ricorrente allega copie dei bonifici eseguiti a mezzo istituto bancario dai quali si evince l’esatto importo di cui chiede la restituzione.
Ciò premesso il Collegio, in accoglimento del ricorso, dichiara il diritto della ricorrente alla restituzione dei contributi concessori versati a far data dal giorno della intervenuta archiviazione del titolo edilizio per mancata realizzazione dell’opera in progetto.
Condanna, pertanto, l’amministrazione comunale al pagamento della somma di euro 4.994,00, oltre interessi legali, da calcolarsi dalla data della domanda di restituzione proposta, ovvero dal 20.01.2012, come risulta dal timbro del protocollo sulla istanza presentata al Comune e fino all’effettivo soddisfo (cfr. Tar Lazio, II-bis, 2294/2008).
Trattandosi di un debito di valuta, indebito oggettivo, e non di valore, la richiesta rivalutazione non spetta (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 20.05.2011, n. 3027) (TAR Campania-Salerno, Sez. II, sentenza 05.03.2013 n. 513 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

febbraio 2013

EDILIZIA PRIVATA: Ai fini della riliquidazione o meno degli oneri di urbanizzazione, l’unico legittimo presupposto imponibile è costituito dalla sussistenza o meno dell’eventuale maggiore carico urbanistico provocato dalla variante, introdotta in un fabbricato già autorizzato, sicché è illegittima la richiesta di pagamento solo se non si verifica la variazione del carico urbanistico, che invece nella specie è pienamente riscontrabile poiché muta la destinazione dell’intero fabbricato.
In diritto costituisce giurisprudenza pacifica (così Cons. Stato, V, 20.06.2001, n. 3251) che ai fini della riliquidazione o meno degli oneri di urbanizzazione, l’unico legittimo presupposto imponibile è costituito dalla sussistenza o meno dell’eventuale maggiore carico urbanistico provocato dalla variante, introdotta in un fabbricato già autorizzato, sicché è illegittima la richiesta di pagamento solo se non si verifica la variazione del carico urbanistico, che invece nella specie è pienamente riscontrabile poiché muta la destinazione dell’intero fabbricato (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 15.02.2013 n. 918 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

gennaio 2013

EDILIZIA PRIVATA: Il termine di 36 mesi ex art. 35, comma 18, della l. n. 47/1985, trascorso il quale si prescrive l'eventuale diritto al conguaglio delle somme dovute a titolo di oblazione, decorre dalla presentazione della domanda di concessione edilizia in sanatoria, ma, ovviamente, solo se questa sia corredata da tutti i documenti richiesti dalla legge per la sua definizione; altrimenti, il termine in parola deve intendersi decorrente dalla data di integrazione della documentazione da allegare alla domanda.
Posto, invero, che per gli oneri di urbanizzazione e costo di costruzione il dies a quo decorre dal rilascio della concessione edilizia, e, quindi, da un momento in cui sono esattamente noti tutti gli elementi utili alla determinazione dell'entità del contributo, relativamente al conguaglio dell'oblazione dovuta in caso di condono edilizio, il dies a quo non può, cioè, coincidere con la presentazione della domanda che risulti sfornita della documentazione all'uopo richiesta e necessaria ai fini della corretta e definitiva determinazione dell'entità dell'oblazione; cosicché la decorrenza del termine di prescrizione presuppone -tanto in favore dell'amministrazione per l'eventuale conguaglio, quanto in favore del privato per l'eventuale rimborso- che la pratica di sanatoria edilizia sia definita in tutti i suoi aspetti e siano, per l'effetto, precisamente determinabili, alla stregua dei parametri stabiliti dalla legge, l'an e il quantum dell'obbligazione gravante sul privato; ciò che riflette puntualmente la ratio sottesa all'art. 2935 cod. civ., secondo il quale, in generale, la prescrizione non può decorrere se non dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere.
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Quanto alle somme dovute a titolo di contributo per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione, deve osservarsi che il termine per far valere il diritto al relativo conguaglio, disciplinato dall'art. 37 della l. n. 47/1985, soggiace, come esattamente argomentato anche da parte ricorrente, al termine ordinario di prescrizione decennale, atteso che il termine speciale di 36 mesi, fissato dal precedente art. 35, comma 18, concerne esclusivamente l'oblazione.
Tale prescrizione decennale decorre, poi, dal momento in cui il diritto può essere fatto valere (ex art. 2935 cod. civ.), ossia dall'emanazione della concessione edilizia in sanatoria o, in alternativa, dalla scadenza del termine perentorio di 24 mesi dalla presentazione della domanda, spirato il quale "quest'ultima si intende accolta ove l'interessato provveda al pagamento di tutte le somme eventualmente dovute a conguaglio".

Vale anzitutto premettere, in punto di diritto, che il termine di 36 mesi ex art. 35, comma 18, della l. n. 47/1985, trascorso il quale si prescrive l'eventuale diritto al conguaglio delle somme dovute a titolo di oblazione, decorre, bensì, dalla presentazione della domanda di concessione edilizia in sanatoria, ma, ovviamente, solo se questa sia corredata da tutti i documenti richiesti dalla legge per la sua definizione; altrimenti, il termine in parola deve intendersi decorrente dalla data di integrazione della documentazione da allegare alla domanda (cfr. TAR Campania, Napoli, sez. VIII, 09.02.2012, n. 695; TAR Puglia, Lecce, sez. I, 05.03.2008, n. 735; TAR Campania, Salerno, sez. II, 18.03.2008, n. 306; 17.06.2008, n. 1962; 26.11.2008, n. 3912; 26.01.2009, n. 165; TAR Sicilia, Palermo, sez. I, 18.12.2008, n. 1752; TAR Lazio, Roma, sez. II, 15.04.2009, n. 6852; Latina, 03.03.2010, n. 204).
Posto, invero, che per gli oneri di urbanizzazione e costo di costruzione il dies a quo decorre dal rilascio della concessione edilizia, e, quindi, da un momento in cui sono esattamente noti tutti gli elementi utili alla determinazione dell'entità del contributo, relativamente al conguaglio dell'oblazione dovuta in caso di condono edilizio, il dies a quo non può, cioè, coincidere con la presentazione della domanda che risulti sfornita della documentazione all'uopo richiesta e necessaria ai fini della corretta e definitiva determinazione dell'entità dell'oblazione; cosicché la decorrenza del termine di prescrizione presuppone -tanto in favore dell'amministrazione per l'eventuale conguaglio, quanto in favore del privato per l'eventuale rimborso- che la pratica di sanatoria edilizia sia definita in tutti i suoi aspetti e siano, per l'effetto, precisamente determinabili, alla stregua dei parametri stabiliti dalla legge, l'an e il quantum dell'obbligazione gravante sul privato; ciò che riflette puntualmente la ratio sottesa all'art. 2935 cod. civ., secondo il quale, in generale, la prescrizione non può decorrere se non dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere (cfr. TAR Campania, Salerno, sez. II, 02.03.2010, n. 1552; 03.06.2010, n. 8224; TAR Sardegna, Cagliari, sez. II, 17.11.2010, n. 2600).
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Quanto, poi, alle somme dovute a titolo di contributo per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione, deve osservarsi che il termine per far valere il diritto al relativo conguaglio, disciplinato dall'art. 37 della l. n. 47/1985, soggiace, come esattamente argomentato anche da parte ricorrente, al termine ordinario di prescrizione decennale, atteso che il termine speciale di 36 mesi, fissato dal precedente art. 35, comma 18, concerne esclusivamente l'oblazione (cfr. TAR Campania, Salerno, sez. II, 08.10.2004, n. 1896; TAR Lombardia, Milano, sez. II, 20.03.2007, n. 458; TAR Trentino Alto Adige, Trento, 09.12.2010, n. 234).
Tale prescrizione decennale decorre, poi, dal momento in cui il diritto può essere fatto valere (ex art. 2935 cod. civ.), ossia dall'emanazione della concessione edilizia in sanatoria o, in alternativa, dalla scadenza del termine perentorio di 24 mesi dalla presentazione della domanda, spirato il quale "quest'ultima si intende accolta ove l'interessato provveda al pagamento di tutte le somme eventualmente dovute a conguaglio"
(TAR Campania-Salerno, Sez. I, sentenza 31.01.2013 n. 302 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL'adeguamento degli oneri di urbanizzazione non comporta che i Comuni possono ritenersi autorizzati ad applicare gli stessi retroattivamente alle concessioni edilizie già rilasciate ed assoggettate agli oneri a quel tempo vigenti, fatti salvi i casi di espresse riserve al riguardo.
Le delibere comunali che dispongono l'adeguamento degli oneri di urbanizzazione, cioè, possono trovare applicazione esclusivamente per le concessioni rilasciate a far tempo dalla loro adozione, e non anche per quelle rilasciate in epoca anteriore.
In applicazione di siffatto principio l'aggiornamento degli oneri di urbanizzazione disposto con atto successivo e con effetto retroattivo sarebbe legittimo solo nelle fattispecie nelle quali nella concessione edilizia fosse stata inserita una espressa clausola "salvo conguaglio".

La ricorrente si duole anche del fatto che la modifica delle tabelle parametriche sia stata applicata anche in relazione a concessioni edilizie rilasciate prima della sua approvazione, con violazione del principio della irretroattività degli effetti degli atti amministrativi.
In realtà, come giustamente rileva la difesa dell’amministrazione, la giurisprudenza amministrativa ha più volte affermato che l'adeguamento degli oneri di urbanizzazione non comporta che i Comuni possono ritenersi autorizzati ad applicare gli stessi retroattivamente alle concessioni edilizie già rilasciate ed assoggettate agli oneri a quel tempo vigenti, fatti salvi i casi di espresse riserve al riguardo (cfr: C.G.A., sez. giurisdizionale, n. 186 del 21.03.2007).
Le delibere comunali che dispongono l'adeguamento degli oneri di urbanizzazione, cioè, possono trovare applicazione esclusivamente per le concessioni rilasciate a far tempo dalla loro adozione, e non anche per quelle rilasciate in epoca anteriore (TAR Sicilia, Palermo, Sez. II, 17.11.2009 n. 1798).
In applicazione di siffatto principio –al quale il Collegio ritiene di dovere aderire- l'aggiornamento degli oneri di urbanizzazione disposto con atto successivo e con effetto retroattivo sarebbe legittimo solo nelle fattispecie nelle quali nella concessione edilizia fosse stata inserita una espressa clausola "salvo conguaglio"
(TAR Sardegna, Sez. II, sentenza 30.01.2013 n. 75 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Gli oneri di urbanizzazione.
DOMANDA:
Dall’esercizio 2013 cessa (non risulta alcuna proroga) la deroga concessa dall’art. 2, comma 8, della legge 244/2007 (legge finanziaria) per l’utilizzo per spese correnti (massimo 50%) e manutenzioni del patrimonio comunale (massimo 25%).
Si chiede se il gettito degli oneri di urbanizzazione del 2013 dovrà essere destinato esclusivamente a opere di urbanizzazione primarie e secondarie oppure è consentito anche un utilizzo per spese in conto capitale diverse (ad. Esempio acquisto mobili, attrezzature, ecc.)
RISPOSTA:
Facendo riferimento alla questione posta, si fa presente quanto segue. Dal 2013 le entrate derivanti da oneri di urbanizzazione dovranno essere destinate, per intero, solo al finanziamento di investimenti, cioè di spese impegnabili al titolo II.
Non esiste un vincolo di destinare queste risorse all’esclusivo finanziamento di opere di urbanizzazione primarie o secondarie (21.01.2013 - tratto da www.ancirisponde.ancitel.it).

EDILIZIA PRIVATA: Art. 1, c. 3 d.P.R. n. 380/2001 – Esonero dal contributo di costruzione – Immobile destinato ad attività produttiva – Applicabilità – Esclusione.
L’art. 17 d.P.R. 380/2001 prescrive, al comma 3, che “il contributo di costruzione non è dovuto: (…) b) per gli interventi di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore al 20%, di edifici unifamiliari”: nell’ipotesi di immobile destinato allo svolgimento di attività produttive, non ricorre tuttavia la ratio per l'esonero dal relativo pagamento (cfr. TAR Marche, Sez. I, 10.05.2012, n. 310); tale beneficio è rivolto infatti solo a quelle situazioni in cui l'intervento edilizio non è destinato a fini di lucro, ma esclusivamente a migliorare la funzionalità e l'usabilità dell'immobile ad esclusivo vantaggio della famiglia che ci vive e delle relative esigenze abitative.
Contributo di costruzione – Doverosità in astratto – Amministrazione – Obbligo di verificare, in concreto, la sussistenza dei presupposti per l'esigibilità – Interventi di ristrutturazione senza incrementi di volumi e superfici e senza cambiamenti della originaria destinazione d'uso – Verifica dell'incidenza incrementativa sul carico urbanistico.
La doverosità in astratto del contributo di costruzione non vale ad esimere l'Amministrazione dall'obbligo di verificare, nel caso concreto, la sussistenza dei presupposti per poter esigere il contributo di costruzione, avuto riguardo alla natura e alla funzione tipica assolta da ciascuna delle sue due componenti.
Per quanto concerne in particolare gli oneri di urbanizzazione, la relativa quota costituisce un corrispettivo di diritto pubblico, di natura non tributaria, posto a carico del costruttore a titolo di partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione in proporzione ai benefici che la nuova costruzione ne ritrae, sicché, il fatto da cui in concreto nasce l'obbligo di corrispondere gli "oneri" anzidetti è l'aumento del carico urbanistico.
Tale incremento può conseguire anche ad interventi di ristrutturazione senza incrementi di volumi e di superficie e senza cambiamenti della originaria destinazione d’uso; è compito dell’Amministrazione tuttavia, quale presupposto per l’esigibilità del contributo, verificare attentamente l’incidenza incrementativa delle suddette opere sul carico urbanistico preesistente e dare congrua giustificazione delle conclusioni raggiunte (TAR Campania-Salerno, Sez. I, sentenza 08.01.2013 n. 25 - link a www.ambientediritto.it).

anno 2012

EDILIZIA PRIVATA: Mentre il pagamento degli oneri di urbanizzazione si risolve in un contributo per la realizzazione delle opere stesse, senza che insorga un vincolo di scopo in relazione alla zona in cui è inserita l’area interessata all’imminente trasformazione edilizia, la monetizzazione sostitutiva della cessione degli standard afferisce al reperimento delle aree necessarie alla realizzazione delle opere di urbanizzazione secondaria all’interno della specifica zona di intervento.
Invero, mentre il pagamento degli oneri di urbanizzazione si risolve in un contributo per la realizzazione delle opere stesse, senza che insorga un vincolo di scopo in relazione alla zona in cui è inserita l’area interessata all’imminente trasformazione edilizia, la monetizzazione sostitutiva della cessione degli standard afferisce al reperimento delle aree necessarie alla realizzazione delle opere di urbanizzazione secondaria all’interno della specifica zona di intervento; e ciò vale ad evidenziare la diversità ontologica della monetizzazione rispetto al contributo di concessione, di talché, sotto il versante processuale, non si può utilizzare lo strumento dell’azione di accertamento ammesso per contestare la legittimità del contributo ex art. 3 o comunque la insussistenza di tale obbligazione pecuniaria ancorché già assolta (cfr. Sez. IV, 16/02/2011, n. 1013) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 28.12.2012 n. 6706 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa natura paritetica dell’atto di determinazione del contributo di costruzione consente che l’Amministrazione possa apportarvi rettifiche (sia in favore del privato che in senso contrario), purché ciò avvenga nei limiti della prescrizione del relativo diritto di credito.
Trattasi infatti, nel caso di specie, di una determinazione che “obbedisce” a prescrizioni desumibili da tabelle, in ordine alla quale l’amministrazione comunale si limita ad applicare i detti parametri, (conseguentemente per la stessa rivestenti natura cogente) laddove è esclusa qualsivoglia discrezionalità applicativa (è appena il caso di rilevare che ad analoghi approdi perviene la giurisprudenza amministrativa in ogni ipotesi di impugnazione di atti paritetici - ivi compresa la indebita corresponsione di una retribuzione non dovuta al pubblico dipendente- il che dimostra la coerenza della impostazione sistematica secondo la quale la pariteticità dell’atto e l’assenza di discrezionalità ne legittima o addirittura ne impone la revisione ove affetta da errore, con il solo limite della maturata prescrizione del credito).
La originaria determinazione, pertanto, può essere sempre rivisitata, ove la si assuma affetta da errore (e fermo restando la necessità che detta originaria erroneità della determinazione iniziale sussista effettivamente), e ciò sia laddove essa abbia indicato un importo inferiore al dovuto, che laddove abbia quantificato un importo superiore e, pertanto, non dovuto.
Si rammenta in particolare la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato secondo cui “le controversie relative alla determinazione dei contributi urbanistici involgono l'accertamento di diritti soggettivi che traggono origine direttamente da fonti normative, per cui sono proponibili, a prescindere dall'impugnazione di provvedimenti dell'amministrazione, nel termine di prescrizione“.

A tale proposito va affermato che è certamente infondata la tesi –contenuta nel primo motivo di gravame- secondo cui (a pretesa tutela della buona fede e dell’affidamento riposto dal privato nella più risalente determinazione degli oneri adottata dall’amministrazione appellata) sarebbe preclusa la rideterminazione degli oneri concessori da parte dell’amministrazione comunale se non nella ipotesi di meri errori di calcolo ictu oculi percepibili, a tutela dell’affidamento in buona fede riposto dal privato nella quantificazione operata in sede di prima determinazione.
Al contrario di quanto affermato dall’appellante, infatti, rileva la più attenta giurisprudenza (ex multis: Consiglio di Stato sez. V 17.09.2010 n. 6950) che, la natura paritetica dell’atto di determinazione consente che l’Amministrazione possa apportarvi rettifiche (sia in favore del privato che in senso contrario), purché ciò avvenga nei limiti della prescrizione del relativo diritto di credito (tra le tante, TAR Torino Piemonte sez. I 01.03.2010 n. 1302: il computo degli oneri di urbanizzazione non è attività autoritativa e la contestazione sulla relativa corresponsione è proponibile nel termine di prescrizione decennale a prescindere dall'impugnazione dei provvedimenti adottati o dal sollecito a provvedere in via di autotutela).
Trattasi infatti, nel caso di specie, di una determinazione che “obbedisce” a prescrizioni desumibili da tabelle, in ordine alla quale l’amministrazione comunale si limita ad applicare i detti parametri, (conseguentemente per la stessa rivestenti natura cogente) laddove è esclusa qualsivoglia discrezionalità applicativa (è appena il caso di rilevare che ad analoghi approdi perviene la giurisprudenza amministrativa in ogni ipotesi di impugnazione di atti paritetici - ivi compresa la indebita corresponsione di una retribuzione non dovuta al pubblico dipendente- il che dimostra la coerenza della impostazione sistematica secondo la quale la pariteticità dell’atto e l’assenza di discrezionalità ne legittima o addirittura ne impone la revisione ove affetta da errore, con il solo limite della maturata prescrizione del credito).
La originaria determinazione, pertanto, può essere sempre rivisitata, ove la si assuma affetta da errore (e fermo restando la necessità che detta originaria erroneità della determinazione iniziale sussista effettivamente), e ciò sia laddove essa abbia indicato un importo inferiore al dovuto, che laddove abbia quantificato un importo superiore e, pertanto, non dovuto.
Si rammenta in particolare la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato secondo cui “le controversie relative alla determinazione dei contributi urbanistici involgono l'accertamento di diritti soggettivi che traggono origine direttamente da fonti normative, per cui sono proponibili, a prescindere dall'impugnazione di provvedimenti dell'amministrazione, nel termine di prescrizione“ (Consiglio Stato, sez. V, 04.05.1992, n. 360).
Non si rinviene nel caso di specie una posizione del privato tutelabile nei termini prospettati nell’atto di appello (né sono applicabili alla fattispecie i principi predicabili in ipotesi di esercizio del potere di autotutela, che non può ricorrere laddove, come nel caso in esame, ci si trovi al cospetto di atti paritetici).
In via teorica peraltro, come chiarito dallo stesso primo giudice, le ragioni del privato restano tutelate in ipotesi di tardiva rideterminazione “in peius” in quanto questi potrebbe prospettare una lesione alla propria buona fede ed all’affidamento riposto nella “originaria determinazione” successivamente rettificata ascrivibile ad una responsabilità colposa dell’Amministrazione (il che, comunque, non è avvenuto nel presente giudizio).
Il primo motivo di censura deve pertanto essere respinto, e può affermarsi che ben legittimamente poteva il Comune procedere alla avversata rideterminazione e riquantificazione (il che, come meglio si chiarirà immediatamente di seguito, non esclude che la stessa sia immune da vizi)
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 28.11.2012 n. 6033 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAAi sensi dell'art. 2 d.m. 10.05.1977, recante norme per la determinazione del costo di costruzione di nuovi edifici, concorrono a determinare il costo di costruzione il 60% del totale delle superfici non residenziali destinate a servizi e accessori.
Pertanto legittimamente nel calcolo del contributo vengono inclusi, in detta superficie, spazi seminterrati adibiti a manovra delle auto ed accesso ai box essendo riconducibili, stante la loro caratteristica di volumi seminterrati nella categoria dei locali indicati nell'art. 2, lett. c), del predetto decreto avuto riguardo alla funzione consimile degli androni, in tale disposizione previsti, e dei citati spazi di manovra e di accesso, consistenti nel rendere possibile la comunicazione tra la strada e altri locali.

Quanto infatti al profilo della impugnazione investente il “merito” della rideterminazione ritiene il Collegio di doverne affermare la parziale fondatezza.
Il secondo caposaldo della impugnazione, infatti, poggia su un duplice presupposto: la non condivisibilità della rideterminazione del costo di costruzione tenendo conto delle superfici dei corselli di manovra per l’accesso alle autorimesse (mq. 625,35) e la porzione dell’atto gravato relativo alla originaria –asseritamente errata- omessa considerazione di “altre superfici non residenziali pari a mq 579,19”.
Come è agevole riscontrare, la doglianza in realtà introduce due distinte tematiche, che dovranno essere affrontate separatamente.
Quanto alla prima di esse (id est: doverosa ricomprensione dei tornelli di accesso alle autorimesse), il Collegio concorda con la statuizione del primo giudice e ritiene che -per quanto di interesse avuto riguardo ai successivi capi della presente decisione- il gravame sia infondato (non potendo ovviamente incidere sulla questione la deliberazione del Consiglio Regionale dell’Emilia Romagna del 04.02.2010 in quanto non afferente alla detta problematica -ma concernente più in generale la inquadrabilità dei parcheggi pertinenziali tra le opere di urbanizzazione sulla quale di seguito pure ci si soffermerà partitamente- ed in ogni caso non avente portata retroattiva).
La questione si fonda sulla interpretazione del disposto di cui all’art. 2 del Decreto ministeriale 10.05.1977, n. 312400 (“La superficie complessiva, alla quale, ai fini della determinazione del costo di costruzione dell'edificio, si applica il costo unitario a metro quadrato, è costituita dalla somma della superficie utile abitabile di cui al successivo art. 3 e dal 60% del totale delle superfici non residenziali destinate a servizi ed accessori (Snr), misurate al netto di murature, pilastri, tramezzi, sguinci e vani di porte e finestre (Sc = Su + 60% Snr).
Le superfici per servizi ed accessori riguardano:
a) cantinole, soffitte, locali motore ascensore, cabine idriche, lavatoi comuni, centrali termiche, ed altri locali a stretto servizio delle residenze;
b) autorimesse singole o collettive;
c) androni di ingresso e porticati liberi;
d) logge e balconi.
I porticati di cui al punto c) sono esclusi dal computo della superficie complessiva qualora gli strumenti urbanistici ne prescrivano l'uso pubblico
.”)
Il Collegio non ravvisa ragione di discostarsi dal consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui (Consiglio Stato sez. V 25.10.1989 n. 679) “ai sensi dell'art. 2 d.m. 10.05.1977, recante norme per la determinazione del costo di costruzione di nuovi edifici, concorrono a determinare il costo di costruzione il 60% del totale delle superfici non residenziali destinate a servizi e accessori. Pertanto legittimamente nel calcolo del contributo vengono inclusi, in detta superficie, spazi seminterrati adibiti a manovra delle auto ed accesso ai box essendo riconducibili, stante la loro caratteristica di volumi seminterrati nella categoria dei locali indicati nell'art. 2, lett. c), del predetto decreto avuto riguardo alla funzione consimile degli androni, in tale disposizione previsti, e dei citati spazi di manovra e di accesso, consistenti nel rendere possibile la comunicazione tra la strada e altri locali.”.
E ciò secondo una ineccepibile interpretazione logica della detta disposizione, che non collide con la tesi secondo cui (Consiglio Stato, sez. V, 18.10.1981 n. 445) “ai fini della individuazione delle superfici non residenziali per servizi e accessori, computabili per la determinazione del costo di costruzione, l'art. 2, comma 2, d.m. 10.05.1977 (richiamato integralmente dal d.m. 09.05.1978) ha una struttura chiaramente esaustiva, quanto meno delle tipologie, che debbono ritenersi incluse nel predetto computo, -nelle quali non è dato far rientrare anche le scale-.”.
La affermata esaustività della indicazione ivi contenuta, infatti, non contrasta con la logica ricomprensione “categoriale” di superfici indispensabili alla utilizzazione di quelle espressamente menzionate nel d.M..
Alla stregua di tale condivisibile ed armonica interpretazione ritiene il Collegio che sia infondata la doglianza incentrata sulla tassatività della prescrizione contenuta nella citata norma, che, per le già chiarite ragioni deve essere intesa secondo un criterio “categoriale” e fondata su “tipologie” (e le autorimesse sono ivi espressamente contemplate, ragion per cui la indicazione deve essere estesa anche ai corselli di manovra di accesso ai garage interrati)
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 28.11.2012 n. 6033 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il diritto di scomputo dalla somma dovuta a titolo di oneri concessori non può configurarsi in assenza quantomeno di una anche informale accettazione dell'opera di urbanizzazione realizzata o promossa dal costruttore, con la ineluttabile conseguenza che, in assenza di qualsivoglia partecipazione consensuale dell'Ente, anche solo ex post, gli oneri contributivi, così come determinati, devono essere integralmente corrisposti.
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● l'art. 16 d.P.R. n. 380/2001 prevede la corresponsione di un contributo composto da due quote distinte: gli oneri di urbanizzazione, che non sono dovuti se il titolare del permesso si obbliga a realizzare direttamente tali opere, ed il costo di costruzione, che, invece, essendo una percentuale rapportata non ad opere da fare per la collettività, ma ai costi di costruzione per tipologia edilizia, adeguati annualmente, non sono suscettibili di entrare nel meccanismo dello scomputo, ma non per questo è possibile ricavare la regola fiscale di un pagamento pecuniario; l'indisponibilità dei costi di costruzione è nel senso che essi sono previsti e quantificati per legge, ma la forma del pagamento, con compensazione o meno, è rimessa all'accordo tra le parti;
● ai sensi dell'art. 11, comma 2, d.P.R. n. 380 del 2001, a scomputo totale o parziale della quota dovuta per oneri di urbanizzazione, il titolare del permesso di costruire può obbligarsi a realizzare direttamente le opere di urbanizzazione, con le modalità e le garanzie stabilite dal Comune. Dall'inequivoco tenore letterale della norma si desume che il titolare del permesso non può realizzare le opere di sua iniziativa, ovvero limitandosi ad inviare una richiesta di autorizzazione, mai riscontrata al Comune, essendo invece necessario che l'Amministrazione disciplini espressamente le modalità di esecuzione delle opere e le necessarie garanzie;
● l'autorizzazione all'esecuzione diretta di opere di urbanizzazione a scomputo dei relativi oneri normalmente viene rilasciata attraverso la concessione edilizia -attualmente art. 45 della l.reg. Lombardia 11.03.2005 n. 12- ma di per sé potrebbe intervenire anche successivamente, in base alle valutazioni degli uffici comunali che vigilano sull'attività edilizia.

Quanto all’ultima censura di merito formulata –in ordine alla quale non colgono nel segno le obiezioni di parte appellata con le quali se ne sostiene la inammissibilità per genericità e tardività, avendo l’appellante introdotto il petitum già nel mezzo di primo grado- essa pare al Collegio senz’altro accoglibile.
Invero l’appellante ha chiesto che venga affermato il diritto della stessa ad ottenere lo scomputo dagli oneri di urbanizzazione secondaria determinati ex lege e quantificati dal Comune (e concorrenti a determinare il contributo di costruzione), dell’onere direttamente sostenuto per eseguire le corrispondenti opere (id est: i parcheggi ed il verde attrezzato).
Escluso che la stessa si riferisse al costo di costruzione, e preso atto della incontestata affermazione che la omessa quantificazione di tali oneri direttamente sopportati discenda dalla circostanza che ad una compiuta determinazione degli stessi potrebbe procedersi soltanto a seguito del collaudo dell’opera da parte del Comune (ex multis: “Il diritto di scomputo dalla somma dovuta a titolo di oneri concessori non può configurarsi in assenza quantomeno di una anche informale accettazione dell'opera di urbanizzazione realizzata o promossa dal costruttore, con la ineluttabile conseguenza che, in assenza di qualsivoglia partecipazione consensuale dell'Ente, anche solo ex post, gli oneri contributivi, così come determinati, devono essere integralmente corrisposti” -TAR Campania Napoli, sez. VIII, 17.09.2009, n. 4983-) cadono le eccezioni di genericità ed indeterminatezza prospettate dall’appellata amministrazione comunale.
Nel merito, pare al Collegio che la richiesta di parte appellante, oltre a rientrare pacificamente nella giurisdizione di questo Collegio, sia strettamente aderente alla previsione normativa contenuta nell’art. 16, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001, (“la quota di contributo relativa agli oneri di urbanizzazione è corrisposta al comune all'atto del rilascio del permesso di costruire e, su richiesta dell'interessato, può essere rateizzata. A scomputo totale o parziale della quota dovuta, il titolare del permesso può obbligarsi a realizzare direttamente le opere di urbanizzazione, nel rispetto dell'articolo 2, comma 5, della legge 11.02.1994, n. 109, e successive modificazioni, con le modalità e le garanzie stabilite dal comune, con conseguente acquisizione delle opere realizzate al patrimonio indisponibile del comune”): ovviamente, nei limiti in cui siano state seguite le procedure che consentono la operatività di tale meccanismo compensativo (ex multis si vedano:
● ”l'art. 16 d.P.R. n. 380/2001 prevede la corresponsione di un contributo composto da due quote distinte: gli oneri di urbanizzazione, che non sono dovuti se il titolare del permesso si obbliga a realizzare direttamente tali opere, ed il costo di costruzione, che, invece, essendo una percentuale rapportata non ad opere da fare per la collettività, ma ai costi di costruzione per tipologia edilizia, adeguati annualmente, non sono suscettibili di entrare nel meccanismo dello scomputo, ma non per questo è possibile ricavare la regola fiscale di un pagamento pecuniario; l'indisponibilità dei costi di costruzione è nel senso che essi sono previsti e quantificati per legge, ma la forma del pagamento, con compensazione o meno, è rimessa all'accordo tra le parti” -TAR Abruzzo Pescara, sez. I, 18.10.2010, n. 1142-;
● ”ai sensi dell'art. 11, comma 2, d.P.R. n. 380 del 2001, a scomputo totale o parziale della quota dovuta per oneri di urbanizzazione, il titolare del permesso di costruire può obbligarsi a realizzare direttamente le opere di urbanizzazione, con le modalità e le garanzie stabilite dal Comune. Dall'inequivoco tenore letterale della norma si desume che il titolare del permesso non può realizzare le opere di sua iniziativa, ovvero limitandosi ad inviare una richiesta di autorizzazione, mai riscontrata al Comune, essendo invece necessario che l'Amministrazione disciplini espressamente le modalità di esecuzione delle opere e le necessarie garanzie (il che non è accaduto nel caso di specie)” -TAR Calabria Catanzaro, sez. II, 08.04.2011, n. 501-;
● “l'autorizzazione all'esecuzione diretta di opere di urbanizzazione a scomputo dei relativi oneri normalmente viene rilasciata attraverso la concessione edilizia -attualmente art. 45 della l. reg. Lombardia 11.03.2005 n. 12- ma di per sé potrebbe intervenire anche successivamente, in base alle valutazioni degli uffici comunali che vigilano sull'attività edilizia” -TAR Lombardia Brescia, sez. I, 12.07.2010, n. 2481-).
Entro tali limiti, il motivo di appello è fondato e va accolto, potendosi affermare il diritto dell’appellante allo scomputo richiesto dal contributo di urbanizzazione (con esclusione, ovviamente, del costo di costruzione) degli oneri relativi alla esecuzione delle opere di urbanizzazione secondaria
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 28.11.2012 n. 6033 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Pur dovendosi normalmente commisurare gli oneri concessori al momento in cui il titolo abilitativo viene rilasciato, giusta la giurisprudenza citata dalla difesa del Comune, nella specie detta regola deve trovare di necessità un contemperamento, attesa l’operatività del principio generale, immanente al sistema processuale, non solo amministrativo, secondo il quale il tempo necessario per pervenire ad una decisione nel merito non può andare a detrimento di chi ha ragione.
Pur dovendosi normalmente commisurare gli oneri concessori al momento in cui il titolo abilitativo viene rilasciato, giusta la giurisprudenza citata dalla difesa del Comune, nella specie detta regola deve trovare di necessità un contemperamento, attesa l’operatività del principio generale, immanente al sistema processuale, non solo amministrativo, secondo il quale il tempo necessario per pervenire ad una decisione nel merito non può andare a detrimento di chi ha ragione.
Nella specie, alcuni dati risaltano incontrovertibili: che il ricorrente ha chiesto il rilascio della concessione edilizia nel 2000; che ha integrato detta richiesta nel 2001; che il nulla osta sindacale è stato rilasciato nello stesso 2001; che non è seguito il rilascio della concessione edilizia, perché detto nulla osta è stato annullato dall’organo tutorio statale; che detto annullamento, ritualmente impugnato dinanzi agli organi della giustizia amministrativa, è stato infine dichiarato illegittimo e, a sua volta, annullato dal Consiglio di Stato nel 2009; che, dopo detta sentenza, il ricorrente, all’uopo interpellato dal Comune, ha chiesto di poter proseguire proprio il procedimento, scaturito dall’istanza del 2000, arrestatosi per effetto dell’intervento della Soprintendenza, reputato illegittimo dal Consiglio di Stato.
Orbene, la pretesa del Comune di Battipaglia, d’applicare alla determinazione degli oneri concessori la disciplina, fissata con deliberazione consiliare dell’ottobre 2010, significherebbe svuotare di significato il principio generale di cui sopra, il cui scopo consiste nell’impedire che il decorso del tempo necessario all’emissione della decisione possa vanificare la satisfattività, sotto ogni aspetto, della pronuncia.
Di tale principio, del resto, ha implicitamente ma sicuramente fatto applicazione la sentenza della Terza Sezione del TAR Puglia–Bari (n. 1139/2011), richiamata a supporto delle argomentazioni spiegate in ricorso, allorquando in parte motiva i Giudici hanno osservato: “Non è quindi revocabile in dubbio che l’amministrazione potesse provvedere in modo favorevole ai richiedenti già alla data del primo diniego poi annullato”, dovendo quindi l’Amministrazione quantificare gli oneri dovuti, secondo il regime vigente a tale data.
Analogamente, nella specie, gli oneri concessori andranno quantificati dal Comune, secondo il regime vigente al momento della proposizione del ricorso al TAR, avverso il provvedimento della Soprintendenza, di annullamento del nulla osta sindacale del 25.07.2001, dovendo appunto gli effetti favorevoli della sentenza del C. di S. retroagire alla data di esercizio dell’azione, a tutela degli effetti conformativi del giudicato di annullamento del provvedimento della Soprintendenza, che aveva determinato l’illegittimo arresto del procedimento volto al rilascio del titolo abilitativo in materia edilizia.
L’argomento è dirimente, e vale a superare anche la, pur pertinente, osservazione di parte ricorrente, secondo cui il Comune ben avrebbe potuto, in ogni caso, concludere il procedimento in questione, nel tempo intercorrente tra la domanda dello stesso ricorrente (dell’11–14.06.2010), di voler coltivare l’originaria istanza e la successiva emanazione della delibera consiliare, di rideterminazione degli oneri concessori (del 06.10.2010), in tal modo impedendo che lo stesso ricorrente dovesse corrispondere un importo maggiorato, a titolo di pagamento degli oneri in questione.
L’accoglimento della domanda principale, di annullamento, in parte qua, degli atti impugnati, assorbe quella subordinata, di risarcimento del danno, la quale va quindi dichiarata improcedibile, per sopravvenuta carenza d’interesse (TAR Campania-Salerno, Sez. I, sentenza 21.11.2012 n. 2097 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il contributo per oneri di urbanizzazione è un corrispettivo di diritto pubblico, di natura non tributaria, posto a carico del costruttore a titolo di partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione in proporzione all’insieme dei benefici che la nuova costruzione ne ritrae.
Il presupposto imponibile per il pagamento dei contributi di urbanizzazione va ravvisato nella domanda di una maggiore dotazione di servizi (rete viaria, fognature, ecc.) nell’area di riferimento, che sia indotta dalla destinazione d’uso concretamente impressa all’alloggio: poiché l’entità degli oneri di urbanizzazione è in buona sostanza correlata alla variazione del carico urbanistico, è ben possibile che un intervento di ristrutturazione e mutamento di destinazione d’uso possa non comportare aggravi di carico urbanistico e quindi l’obbligo della relativa corresponsione degli oneri; al contrario è altrettanto possibile che in caso di mutamento di destinazione di uso nell’ambito della stessa categoria urbanistica, faccia seguito un maggior carico urbanistico indotto dalla realizzazione di quanto assentito e correlativamente siano dovuti gli oneri concessori.
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Nella fattispecie non affiorano elementi utili a comprovare che la nuova modalità di utilizzo dei locali sia stata accompagnata da un’alterazione del carico urbanistico, tenendo conto che l’aggregazione di cui si discute ha interessato due appartamenti aventi già in precedenza destinazione direzionale.
In ogni caso, in presenza di un insediamento già in possesso di analoghe caratteristiche funzionali (nella fattispecie, i locali incorporati erano adibiti ad ufficio) l’amministrazione –per poter legittimamente esigere il contributo per gli oneri di urbanizzazione– deve dare contezza degli indici o, comunque, delle condizioni da cui si evinca il maggior carico urbanistico addebitabile alla nuova destinazione.
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La giurisprudenza è dell’avviso che gli interventi edilizi che alterino, anche sotto il profilo della distribuzione interna, l’originaria consistenza fisica di un immobile e comportino l’inserimento di nuovi impianti e la modifica e ridistribuzione dei volumi, non si configurano né come manutenzione straordinaria, né come restauro o risanamento conservativo, ma rientrano nell’ambito della ristrutturazione edilizia.
In altre parole, affinché sia ravvisabile un intervento di ristrutturazione edilizia è sufficiente che risultino modificati la distribuzione della superficie interna e dei volumi, ovvero l’ordine in cui risultavano disposte le diverse porzioni dell'edificio, per il solo fine di rendere più agevole la destinazione d’uso esistente: anche in questi casi si configurano il rinnovo degli elementi costitutivi dell’edificio ed un’alterazione dell’originaria fisionomia e consistenza fisica dell'immobile, incompatibili con i concetti di manutenzione straordinaria e di risanamento conservativo che presuppongono la realizzazione di opere che lascino inalterata la struttura dell'edificio e la distribuzione interna della sua superficie.
Nella fattispecie le modifiche effettuate inducono ad ascrivere l’intervento edilizio nel genus della ristrutturazione, poiché si assiste alla riallocazione e al rinnovato dimensionamento di alcuni vani esistenti (taluni dei quali adibiti a nuove funzioni come “sterilizzazione” e “deposito”) nonché al rifacimento degli impianti tecnologici e dei servizi igienici. Sono quindi ravvisabili i tratti distintivi della ristrutturazione, per il duplice elemento del recupero dello spazio e della diversità e “non alterità” dell’organismo che si viene a realizzare rispetto a quello originario, dato che gli ambienti mantengono una sostanziale omogeneità rispetto ai precedenti quanto ai loro principali caratteri identificativi (collocazione, sagoma, altezza, volumetria): in buona sostanza si compie una modifica totale o parziale dell’edificio, che in positivo è rappresentata dalla creazione di un organismo “diverso” dal precedente, ed in negativo dal fatto che per effetto delle opere non vengono sensibilmente alterati i volumi, le superfici, le dimensioni o la tipologia del fabbricato.
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L’obbligazione contributiva per costo di costruzione è a-causale e si correla alla produzione di ricchezza connessa all’utilizzazione edificatoria del territorio ed alle potenzialità economiche che ne derivano e, pertanto, ha natura essenzialmente paratributaria.
Il contributo afferente al costo di costruzione, a norma dell’art. 6 della L. 10/1977, è determinato in rapporto alle caratteristiche, alle tipologie delle costruzioni e delle loro destinazioni ed ubicazioni (oggi occorre fare riferimento all’art. 16 del D.P.R. 380/2001).
Ne deriva, quindi, che nell’ipotesi di rinnovo degli elementi costitutivi di un immobile mediante la realizzazione di opere, sussiste il presupposto per il pagamento della parte di contributo afferente al costo di costruzione, da riferire al dato oggettivo della ristrutturazione dell’edificio.

I ricorrenti lamentano l’erronea determinazione del contributo di urbanizzazione da parte dell’amministrazione in sede di rilascio del titolo abilitativo.
Nell’ambito di un tipico giudizio di accertamento, è opportuno esaminare separatamente i presupposti per l’applicazione degli oneri di urbanizzazione e del costo di costruzione.
Sottolinea anzitutto il Collegio che –contrariamente a quanto affermato dal Comune resistente– parte ricorrente ha lamentato (classificando il proprio intervento come restauro e risanamento conservativo - pag. 4 del gravame introduttivo) l’assenza di un maggiore carico urbanistico a seguito dell’ampliamento dello studio dentistico originario.
Va ribadito sul tema che il contributo per oneri di urbanizzazione è un corrispettivo di diritto pubblico, di natura non tributaria, posto a carico del costruttore a titolo di partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione in proporzione all’insieme dei benefici che la nuova costruzione ne ritrae (cfr. per tutti TAR Puglia Bari, sez. III – 10/02/2011 n. 243). Il presupposto imponibile per il pagamento dei contributi di urbanizzazione va ravvisato nella domanda di una maggiore dotazione di servizi (rete viaria, fognature, ecc.) nell’area di riferimento, che sia indotta dalla destinazione d’uso concretamente impressa all’alloggio: poiché l’entità degli oneri di urbanizzazione è in buona sostanza correlata alla variazione del carico urbanistico, è ben possibile che un intervento di ristrutturazione e mutamento di destinazione d’uso possa non comportare aggravi di carico urbanistico e quindi l’obbligo della relativa corresponsione degli oneri; al contrario è altrettanto possibile che in caso di mutamento di destinazione di uso nell’ambito della stessa categoria urbanistica, faccia seguito un maggior carico urbanistico indotto dalla realizzazione di quanto assentito e correlativamente siano dovuti gli oneri concessori (TAR Lazio Roma, sez. II – 14/11/2007 n. 11213).
Nella fattispecie non affiorano elementi utili a comprovare che la nuova modalità di utilizzo dei locali sia stata accompagnata da un’alterazione del carico urbanistico, tenendo conto che l’aggregazione di cui si discute ha interessato due appartamenti aventi già in precedenza destinazione direzionale. In ogni caso, come sostenuto di recente (cfr. sentenze Sezione 02/03/2012 n. 355; 24/08/2012 n. 1467) in presenza di un insediamento già in possesso di analoghe caratteristiche funzionali (i locali incorporati erano adibiti ad ufficio) l’amministrazione –per poter legittimamente esigere il contributo per gli oneri di urbanizzazione– avrebbe dovuto dare contezza degli indici o, comunque, delle condizioni da cui si evinceva il maggior carico urbanistico addebitabile alla nuova destinazione (cfr. TAR Lombardia Milano, sez. IV – 04/05/2009 n. 3604).
Nel caso concreto la difesa dell’amministrazione ha evidenziato –nella memoria finale– che il raddoppio delle sale dedicate a gabinetto dentistico provoca una maggiore domanda di servizi, senza tuttavia raffrontare la situazione attuale (studio dentistico ampliato) con quella concretamente preesistente. Al riguardo non è sufficiente il paragone con una media struttura di vendita (la quale avrebbe maggiore capacità di attrazione di clientela di due esercizi di vicinato sommati tra loro): si tratta infatti di una struttura del settore commerciale (soggetta ad una disciplina specifica sugli standard necessari) caratterizzata da una superficie ben maggiore (oltre 250 mq.).
Deve in conclusione ritenersi indebitamente preteso l’importo di € 15.312,81, da restituire alla parte ricorrente.
A differenti conclusioni deve pervenirsi con riguardo al costo di costruzione.
Come ha già sottolineato questo Tribunale (cfr. sentenza sez. I – 19/04/2011 n. 582) la giurisprudenza è dell’avviso che gli interventi edilizi che alterino, anche sotto il profilo della distribuzione interna, l’originaria consistenza fisica di un immobile e comportino l’inserimento di nuovi impianti e la modifica e ridistribuzione dei volumi, non si configurano né come manutenzione straordinaria, né come restauro o risanamento conservativo, ma rientrano nell’ambito della ristrutturazione edilizia (cfr. TAR Molise – 27/03/2009 n. 99; Consiglio di Stato, sez. V – 17/12/1996 n. 1551).
In altre parole, affinché sia ravvisabile un intervento di ristrutturazione edilizia è sufficiente che risultino modificati la distribuzione della superficie interna e dei volumi, ovvero l’ordine in cui risultavano disposte le diverse porzioni dell'edificio, per il solo fine di rendere più agevole la destinazione d’uso esistente: anche in questi casi si configurano il rinnovo degli elementi costitutivi dell’edificio ed un’alterazione dell’originaria fisionomia e consistenza fisica dell'immobile, incompatibili con i concetti di manutenzione straordinaria e di risanamento conservativo che presuppongono la realizzazione di opere che lascino inalterata la struttura dell'edificio e la distribuzione interna della sua superficie (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V – 18/10/2002 n. 5775; Consiglio di Stato, sez. V – 23/05/2000 n. 2988).
Nella fattispecie le modifiche effettuate inducono ad ascrivere l’intervento edilizio nel genus della ristrutturazione, poiché (dall’analisi della planimetria in atti) si assiste alla riallocazione e al rinnovato dimensionamento di alcuni vani esistenti (taluni dei quali adibiti a nuove funzioni come “sterilizzazione” e “deposito”) nonché al rifacimento degli impianti tecnologici e dei servizi igienici. Sono quindi ravvisabili i tratti distintivi della ristrutturazione, per il duplice elemento del recupero dello spazio e della diversità e “non alterità” dell’organismo che si viene a realizzare rispetto a quello originario, dato che gli ambienti mantengono una sostanziale omogeneità rispetto ai precedenti quanto ai loro principali caratteri identificativi (collocazione, sagoma, altezza, volumetria): in buona sostanza si compie una modifica totale o parziale dell’edificio, che in positivo è rappresentata dalla creazione di un organismo “diverso” dal precedente, ed in negativo dal fatto che per effetto delle opere non vengono sensibilmente alterati i volumi, le superfici, le dimensioni o la tipologia del fabbricato (sentenza TAR Brescia – 11/06/2004 n. 646).
Posta questa premessa, osserva il Collegio che l’obbligazione contributiva per costo di costruzione è a-causale e si correla alla produzione di ricchezza connessa all’utilizzazione edificatoria del territorio ed alle potenzialità economiche che ne derivano e, pertanto, ha natura essenzialmente paratributaria (TAR Campania Salerno, sez. II – 11/06/2002 n. 459). Il contributo afferente al costo di costruzione, a norma dell’art. 6 della L. 10/1977, è determinato in rapporto alle caratteristiche, alle tipologie delle costruzioni e delle loro destinazioni ed ubicazioni (oggi occorre fare riferimento all’art. 16 del D.P.R. 380/2001). Ne deriva, quindi, che nell’ipotesi di rinnovo degli elementi costitutivi di un immobile mediante la realizzazione di opere, sussiste il presupposto per il pagamento della parte di contributo afferente al costo di costruzione, da riferire al dato oggettivo della ristrutturazione dell’edificio (sentenza Sezione 02/03/2012 n. 355): pertanto l’esazione è stata correttamente pretesa dal Comune.
In conclusione il ricorso è parzialmente fondato e deve essere accolto nella parte in cui il Comune ha erroneamente richiesto la quota di oneri di urbanizzazione (€ 15.312,81), che devono essere restituiti. Sulla somma vanno calcolati gli interessi i quali decorrono –trattandosi di azione di ripetizione di indebito– dalla data di proposizione della domanda giudiziale, dovendosi presumere la buona fede dell’amministrazione resistente in assenza di dimostrazione contraria, mentre non spetta la rivalutazione monetaria trattandosi di indebito oggettivo il quale genera solo l’obbligazione di restituzione degli interessi a norma dell’art. 2033 del c.c. (cfr. TAR Lombardia Milano, sez. II – 05/05/2004 n. 1620; TAR Lazio Roma, sez. I – 19/01/1999 n. 99; Consiglio di Stato, sez. V – 30/10/1997 n. 1207). Non spetta alcuna altra somma a titolo risarcitorio, in difetto della dimostrazione di danni ulteriori e diversi (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 20.11.2012 n. 1818 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La determinazione degli oneri concessori costituisce il risultato di un calcolo materiale, operato sulla base di parametri rigorosamente stabiliti dalla legge, dalla disciplina regolamentare e dalle disposizioni applicative degli enti territoriali competenti, senza che in proposito residui alcun margine di discrezionalità in capo alla p.a., a carico della quale pertanto non è configurabile alcuno specifico onere motivazionale.
Con l’ultimo mezzo, viene reiterata la censura relativa alla carenza di motivazione a base del calcolo dei costi di costruzione pretesi dal Comune per le varianti in corso d’opera.
Secondo la appellante, insufficiente sarebbe il richiamo del primo giudice al carattere non autoritativo e in qualche modo automatico del calcolo dei contributi concessori, ben diversi potendo essere gli effetti a seconda di quali siano la modalità e i criteri di calcolo applicati dall’Amministrazione comunale: donde il dovere di quest’ultima di esplicitare con congrua motivazione i parametri e criteri di calcolo applicati.
La doglianza è infondata, dovendosi ribadire il consolidato orientamento secondo cui la determinazione degli oneri concessori costituisce il risultato di un calcolo materiale, operato sulla base di parametri rigorosamente stabiliti dalla legge, dalla disciplina regolamentare e dalle disposizioni applicative degli enti territoriali competenti, senza che in proposito residui alcun margine di discrezionalità in capo alla p.a., a carico della quale pertanto non è configurabile alcuno specifico onere motivazionale (cfr. ex plurimis Cons. Stato, sez. V, 09.02.2001, nr. 584).
Ne discende che, ove non persuasa della correttezza del calcolo operato dal Comune, sarebbe spettato alla società appellante indicare come e perché l’applicazione dei parametri suindicati portava a un risultato diverso da quello ritenuto dall’Amministrazione (ciò che, per vero, la stessa società ha fatto –e con parziale successo– con riguardo agli oneri di urbanizzazione), non potendo invece limitarsi a lamentare genericamente un difetto di motivazione sul punto
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 19.11.2012 n. 5818 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il contributo relativo al costo di costruzione (art. 6, legge n. 10/1977), definibile acausale, è riconducibile all'attività costruttiva ex se considerata e, correlandosi direttamente all'uso edificatorio del suolo ed ai potenziali vantaggi economici che ne discendono, è sostanzialmente configurabile alla stregua dei prelievi di natura paratributaria ed è sempre dovuto in presenza di una trasformazione edilizia del territorio ed in conseguenza della produzione di ricchezza connessa alla sua utilizzazione.
Al contrario l'imposizione del contributo di urbanizzazione (art. 5, L. n. 10/1977) -il quale non ha natura di controprestazione in rapporto sinallagmatico, rispetto al rilascio della concessione edilizia, ma è assimilabile ai corrispettivi di diritto pubblico di natura non tributaria, che svolgono funzione recuperatoria non commisurata né all'utile dell'operazione né al vantaggio del concessionario– presenta natura causale e risponde ad una diversa ratio, che va individuata nella necessità di ridistribuire i costi sociali delle opere di urbanizzazione, facendoli gravare sugli interessati che beneficiano delle utilità derivanti dalla presenza delle opere medesime, in modo più equo per la comunità.
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Da quanto sopra discende che, nell'ipotesi di variazione di destinazione d'uso di un immobile senza la realizzazione di opere, mentre non sussiste il presupposto per il pagamento della parte di contributo afferente al costo di costruzione, da riferire al dato oggettivo della realizzazione dell'edificio, per la parte, invece, che attiene agli oneri di urbanizzazione, può sussistere il presupposto del pagamento, occorrendo avere riguardo all'eventuale aumento del carico urbanistico indotto dalla nuova destinazione d'uso del manufatto, dovendosi ritenere, per contro, che tali oneri non siano dovuti ove non sia riscontrabile alcuna variazione in aumento del carico urbanistico.
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Il cambio di destinazione d'uso, da locale a uso industriale a locale ad uso commerciale, ha certamente conferito all'immobile di proprietà della società ricorrente un'utilizzazione autonoma e produttiva, in relazione alla quale si giustifica il pagamento delle spese di urbanizzazione derivanti dal maggior carico urbanistico che esso comporta per effetto della nuova destinazione.
Invero, la giurisprudenza ha più volte affermato che la richiesta di pagamento degli oneri di urbanizzazione, in sede di rilascio della concessione edilizia, deve ritenersi illegittima ogni volta che non sia ravvisabile un aumento del carico urbanistico a seguito del realizzato intervento edilizio; e, correlativamente, legittima nel caso in cui si sia verificata una variazione in aumento del carico medesimo, giacché in tale evenienza sussiste il presupposto che giustifica l'imposizione al titolare del pagamento della differenza tra gli oneri di urbanizzazione dovuti per la destinazione originaria e quelli, se maggiori, dovuti per la nuova destinazione impressa all'immobile.

Con riferimento alle ulteriori censure va premesso che a fronte della modificazione della destinazione d'uso di un manufatto edilizio, la possibilità dello stesso di essere assoggettato a sanatoria (o condono edilizio) è subordinata al pagamento degli oneri concessori, vale a dire alla corresponsione di un contributo commisurato sia all'incidenza delle spese di urbanizzazione, sia al costo di costruzione.
In proposito, la giurisprudenza ha chiarito che il contributo relativo al costo di costruzione (art. 6, legge n. 10/1977), definibile acausale, è riconducibile all'attività costruttiva ex se considerata e, correlandosi direttamente all'uso edificatorio del suolo ed ai potenziali vantaggi economici che ne discendono, è sostanzialmente configurabile alla stregua dei prelievi di natura paratributaria ed è sempre dovuto in presenza di una trasformazione edilizia del territorio ed in conseguenza della produzione di ricchezza connessa alla sua utilizzazione; al contrario l'imposizione del contributo di urbanizzazione (art. 5, L. n. 10/1977) -il quale non ha natura di controprestazione in rapporto sinallagmatico, rispetto al rilascio della concessione edilizia, ma è assimilabile ai corrispettivi di diritto pubblico di natura non tributaria, che svolgono funzione recuperatoria non commisurata né all'utile dell'operazione né al vantaggio del concessionario (cfr. Cass. Civ., Sez. I, 27.09.1994, n. 7874)– presenta natura causale e risponde ad una diversa ratio, che va individuata nella necessità di ridistribuire i costi sociali delle opere di urbanizzazione, facendoli gravare sugli interessati che beneficiano delle utilità derivanti dalla presenza delle opere medesime, in modo più equo per la comunità (cfr. TAR Veneto, 17.06.2002, n. 2877; id., Sez. II, 12.05.1994, n. 394; TAR Salerno, Sez. II, 23.05.2003, n. 548; TAR Toscana, Sez. III, 11.08.2004, n. 3181).
Da quanto sopra discende che, nell'ipotesi di variazione di destinazione d'uso di un immobile senza la realizzazione di opere, mentre non sussiste il presupposto per il pagamento della parte di contributo afferente al costo di costruzione, da riferire al dato oggettivo della realizzazione dell'edificio, per la parte, invece, che attiene agli oneri di urbanizzazione, può sussistere il presupposto del pagamento, occorrendo avere riguardo all'eventuale aumento del carico urbanistico indotto dalla nuova destinazione d'uso del manufatto, dovendosi ritenere, per contro, che tali oneri non siano dovuti ove non sia riscontrabile alcuna variazione in aumento del carico urbanistico (cfr. TAR Veneto, Sez. II, 13.11.2001, n. 3699).
Con riferimento al caso specifico va rilevato che il cambio di destinazione d'uso, da locale a uso industriale a locale ad uso commerciale, ha certamente conferito all'immobile di proprietà della società ricorrente un'utilizzazione autonoma e produttiva, in relazione alla quale si giustifica il pagamento delle spese di urbanizzazione derivanti dal maggior carico urbanistico che esso comporta per effetto della nuova destinazione (cfr. TAR Veneto Sez. II Sent., 12.07.2007, n. 2438; TAR Lazio sez. II 17.05.2005, n. 3844).
Invero, la giurisprudenza ha più volte affermato che la richiesta di pagamento degli oneri di urbanizzazione, in sede di rilascio della concessione edilizia, deve ritenersi illegittima ogni volta che non sia ravvisabile un aumento del carico urbanistico a seguito del realizzato intervento edilizio; e, correlativamente, legittima nel caso in cui si sia verificata una variazione in aumento del carico medesimo, giacché in tale evenienza sussiste il presupposto che giustifica l'imposizione al titolare del pagamento della differenza tra gli oneri di urbanizzazione dovuti per la destinazione originaria e quelli, se maggiori, dovuti per la nuova destinazione impressa all'immobile (confr. Cons. Stato, Sez. IV, 29.04.2004, n. 2611; id., Sez. V, 15.09.1997, n. 959; TAR Milano, Sez. II, 02.10.2003, n. 4502; TAR Bologna, Sez. II, 19.02.2001, n. 157 e 07.05.1999, n. 259; TAR Veneto, n. 2877/2002, cit.).
Nel caso di specie, l’incremento del carico urbanistico costituisce dato pacifico, al pari della sussistenza dell’obbligo di pagamento degli oneri di urbanizzazione, risultando controverso unicamente il metodo di liquidazione degli stessi
(TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 14.11.2012 n. 1221 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Secondo il combinato disposto degli articoli 11 e 12 della legge 28.10.1977, n. 10, gli oneri di urbanizzazione devono essere corrisposti al Comune “all’atto del rilascio della concessione” e sono destinati, tra l’altro, “alla realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria”.
Sul punto, la giurisprudenza amministrativa ha avuto modo di chiarire che gli oneri di urbanizzazione hanno natura di corrispettivo di diritto pubblico in funzione della partecipazione dei privati ai costi delle opere di urbanizzazione e sono dovuti anche al di là di un nesso di stretta inerenza delle opere di urbanizzazione rispetto alle singole aree.
Il pagamento di tali contributi non comporta la nascita, in capo al titolare del concessione edilizia, di un diritto, azionabile nei confronti della pubblica amministrazione, alla realizzazione e completamento delle opere di urbanizzazione che maggiormente interessano la sua costruzione, posto che il Comune può discrezionalmente utilizzare i predetti introiti per il completamento o la manutenzione delle opere di urbanizzazione di qualsiasi parte del territorio.
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La pretesa della ricorrente di ottenere l’ultimazione dei lavori sulla strada che conduce alla sua proprietà, nella specie consistenti nella bitumatura e nella realizzazione del marciapiede, non corrisponde ad un interesse legittimo differenziato e qualificato ad un bene della vita, con la conseguente carenza di legittimazione attiva a proporre il ricorso in epigrafe.
Tale soluzione è pacifica nella giurisprudenza amministrativa in tema di manutenzione e completamento delle strade. In proposito, il Consiglio di Stato ha avuto modo di chiarire che “l’interesse di ogni cittadino a che l'amministrazione comunale provveda alla diligente manutenzione e custodia di tutti i beni pubblici (e, tra essi, le strade), non è tutelabile in via amministrativa né giurisdizionale (fatti salvi i casi di azioni popolari), fronteggiando esso un mero dovere imposto in capo alla p.a. per il vantaggio della collettività non soggettivizzata, sicché non si è in presenza di un interesse legittimo differenziabile, ma al cospetto di interesse semplice e di fatto, rientrante come tale nell'area del giuridicamente irrilevante”.
Con specifico riguardo al completamento delle opere di urbanizzazione, di recente, il TAR Lazio ha affermato che a fronte della domanda del privato volta ad ottenere il completamento delle opere di urbanizzazione, non corrisponde un obbligo per l’amministrazione di adottare, ai sensi dell’art. 2 della legge 07.08.1990 n. 241, un provvedimento espresso in relazione a tale pretesa, non essendo il richiedente titolare di alcun interesse legittimo pretensivo differenziato e qualificato, non differenziandosi la sua posizione da quella di tutti gli altri cittadini e soggetti dell’ordinamento alla corretta e tempestiva esecuzione delle opere di urbanizzazione.

Il ricorso è palesemente inammissibile.
Ad avviso della ricorrente, l’illegittimità della condotta del Comune deriverebbe dal notevole ritardo nell’esecuzione dei lavori di completamento della strada su cui si affaccia la propria casa di abitazione, in violazione dei principi costituzionali di buon andamento ed imparzialità dell’azione amministrativa nonché delle disposizioni della L. 10/1977.
In particolare, secondo la tesi della ricorrente, le norme dettate dalla l. 10/1977 non consentirebbero “l’arbitrario rinvio della realizzazione delle opere da parte del Comune” e, posto che l’articolo 12 stabilisce che i proventi delle concessioni sono destinati alle opere di urbanizzazione, quest’ultimo sarebbe obbligato “non solo a realizzare dette opere ma anche a procedervi in un lasso di tempo ragionevole”.
Ad avviso del Collegio, gli assunti non sono condivisibili.
In via preliminare, occorre osservare che il lotto di proprietà della ricorrente ricade, sin dal tempo del rilascio della concessione edilizia, nella zona B di completamento residenziale. Per l’effetto, è da ritenere che l’area in questione fosse, fin dagli inizi della vicenda, servita dalle opere di urbanizzazione primaria, ivi comprese adeguate ed efficienti strade residenziali.
Ove le opere di urbanizzazione non fossero state completate, secondo l’assunto della ricorrente, sarebbe stato illegittimo l’inserimento in zona B del lotto della medesima, con conseguente illegittimità della concessione edilizia alla stessa rilasciata per la costruzione della propria casa di abitazione.
Nella specie le opere di urbanizzazione, e segnatamente la strada pubblica, erano state realizzate ed erano funzionali (come risulta dalla documentazione fotografica depositata dalla stessa ricorrente) ancorché non fossero stati eseguiti i lavori di sistemazione definitiva che pretende la ricorrente: bitumatura della strada e realizzazione dei marciapiedi.
La decisione sulla realizzazione di queste opere di completamento e finitura di una strada pienamente agibile e funzionale, al pari della realizzazione degli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria di qualsiasi immobile o bene pubblico, rientra nella discrezionalità del competente organo comunale che la esercita, alla luce delle disponibilità di bilancio ed alla luce della scala di priorità degli interventi, con valutazioni non sindacabili in sede di legittimità.
Secondo il combinato disposto degli articoli 11 e 12 della legge 28.10.1977, n. 10, gli oneri di urbanizzazione devono essere corrisposti al Comune “all’atto del rilascio della concessione” e sono destinati, tra l’altro, “alla realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria”.
Sul punto, la giurisprudenza amministrativa ha avuto modo di chiarire che gli oneri di urbanizzazione hanno natura di corrispettivo di diritto pubblico in funzione della partecipazione dei privati ai costi delle opere di urbanizzazione e sono dovuti anche al di là di un nesso di stretta inerenza delle opere di urbanizzazione rispetto alle singole aree ( v. Cons. Stato, sez. V, del 20.04.2009, n. 2359).
Il pagamento di tali contributi non comporta la nascita, in capo al titolare del concessione edilizia, di un diritto, azionabile nei confronti della pubblica amministrazione, alla realizzazione e completamento delle opere di urbanizzazione che maggiormente interessano la sua costruzione, posto che il Comune può discrezionalmente utilizzare i predetti introiti per il completamento o la manutenzione delle opere di urbanizzazione di qualsiasi parte del territorio.
Pertanto è priva di rilievo l’affermazione della ricorrente in ordine all’improcrastinabilità della realizzazione delle finiture della strada che serve il suo lotto.
Come innanzi rilevato la pretesa della ricorrente di ottenere l’ultimazione dei lavori sulla strada che conduce alla sua proprietà, nella specie consistenti nella bitumatura e nella realizzazione del marciapiede, non corrisponde ad un interesse legittimo differenziato e qualificato ad un bene della vita, con la conseguente carenza di legittimazione attiva a proporre il ricorso in epigrafe.
Tale soluzione è pacifica nella giurisprudenza amministrativa in tema di manutenzione e completamento delle strade. In proposito, il Consiglio di Stato, sezione V, con la sentenza del 29.11.2004, n. 7773, ha avuto modo di chiarire che “l’interesse di ogni cittadino a che l'amministrazione comunale provveda alla diligente manutenzione e custodia di tutti i beni pubblici (e, tra essi, le strade), non è tutelabile in via amministrativa né giurisdizionale (fatti salvi i casi di azioni popolari), fronteggiando esso un mero dovere imposto in capo alla p.a. per il vantaggio della collettività non soggettivizzata, sicché non si è in presenza di un interesse legittimo differenziabile, ma al cospetto di interesse semplice e di fatto, rientrante come tale nell'area del giuridicamente irrilevante”.
Con specifico riguardo al completamento delle opere di urbanizzazione, di recente, il TAR Lazio, sez. II, con la sentenza del 04.05.2011, n. 3838, ha affermato che a fronte della domanda del privato volta ad ottenere il completamento delle opere di urbanizzazione, non corrisponde un obbligo per l’amministrazione di adottare, ai sensi dell’art. 2 della legge 07.08.1990 n. 241, un provvedimento espresso in relazione a tale pretesa, non essendo il richiedente titolare di alcun interesse legittimo pretensivo differenziato e qualificato, non differenziandosi la sua posizione da quella di tutti gli altri cittadini e soggetti dell’ordinamento alla corretta e tempestiva esecuzione delle opere di urbanizzazione (TAR Sardegna, Sez. II, sentenza 08.11.2012 n. 925 -
link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAPer un verso, come tale, la determinazione dell'an e del quantum del contributo concessorio non ha natura autoritativa, giacché si tratta di un mero accertamento dell'obbligazione contributiva, effettuato dalla p.a. in base a rigidi parametri prefissati dalla legge e dai regolamenti in tema di criteri impositivi, nei cui riguardi essa è sfornita di potestà autoritative; conseguentemente, la posizione del soggetto nei cui confronti è richiesto il pagamento è di diritto soggettivo, non di interesse legittimo e l'impugnazione del provvedimento del Comune è soggetta all'ordinario termine di prescrizione.
Per un altro verso, ai sensi dell'art. 28, l. 24.11.1981 n. 689, applicabile ex art. 12 della stessa legge a tutte le sanzioni amministrative di tipo affittivo, il termine di prescrizione della sanzione irrogata per ritardato pagamento del contributo dovuto per gli oneri di urbanizzazione e per il costo di costruzione è di cinque anni, e decorre dal giorno in cui è stata commessa la violazione.

Preliminarmente, a superamento delle infondate eccezioni di inammissibilità formulate dalla difesa comunale, va ribadito che le controversie in materia di oneri d'urbanizzazione, costo di costruzione e relative sanzioni per l'eventuale ritardato pagamento, comprese quelle attinenti a domanda di condono e relativa oblazione, sono attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e vertono sull'esistenza o sulla misura di un'obbligazione direttamente stabilita dalla legge.
In tale contesto per un verso, come tale, la determinazione dell'an e del quantum del contributo concessorio non ha natura autoritativa, giacché si tratta di un mero accertamento dell'obbligazione contributiva, effettuato dalla p.a. in base a rigidi parametri prefissati dalla legge e dai regolamenti in tema di criteri impositivi, nei cui riguardi essa è sfornita di potestà autoritative; conseguentemente, la posizione del soggetto nei cui confronti è richiesto il pagamento è di diritto soggettivo, non di interesse legittimo e l'impugnazione del provvedimento del Comune è soggetta all'ordinario termine di prescrizione.
Per un altro verso, ai sensi dell'art. 28, l. 24.11.1981 n. 689, applicabile ex art. 12 della stessa legge a tutte le sanzioni amministrative di tipo affittivo, il termine di prescrizione della sanzione irrogata per ritardato pagamento del contributo dovuto per gli oneri di urbanizzazione e per il costo di costruzione è di cinque anni, e decorre dal giorno in cui è stata commessa la violazione (cfr., tra le altre, TAR Basilicata, 39/04/2008 n. 141; TAR Campania, Salerno, Sez, II, 22.04.2005 n. 647; TAR Calabria, Catanzaro, Sez. II, 08.10.2001 n. 1514; TAR Sicilia, Catania, Sez. I, 08.05.2006 n. 701 e 08.03.2012, n. 600) (TAR Calabria-Reggio Calabria, sentenza 26.10.2012 n. 641 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL’art. 34 del D.Lgs. 31.03.1998 n. 80 (come sostituito dalla L. 21.07.2000 n. 205 ed in seguito alla sentenza della Corte Costituzionale 06.07.2004 n. 204), nel devolvere alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie aventi per oggetto atti e provvedimenti dell’Amministrazione in materia urbanistica ed edilizia, comprende la totalità degli aspetti dell’uso del territorio, nessuno escluso: sicché, come già previsto dall’art. 16 della L. 28.01.1977 n. 10, devono ritenersi rientranti in tale giurisdizione anche le controversie relative alla determinazione, liquidazione e corresponsione degli oneri concessori che involgono diritti soggettivi delle parti, considerato anche che il contributo per oneri di urbanizzazione costituisce un corrispettivo posto a carico del costruttore a titolo di partecipazione del concessionario ai costi delle opere di urbanizzazione (in proporzione all’insieme dei benefici che la nuova costruzione ne ritrae) connesso al rilascio della concessione edilizia e pertanto discendente dall’adozione di un provvedimento amministrativo.
In altri termini, la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo sulle controversie attinenti alla corresponsione dei suddetti oneri concessori discende dallo stretto collegamento funzionale tra il rilascio delle suddette concessioni edilizie ed i contributi conseguenti a carico del privato, trattandosi appunto di pretesa del Comune fondata su provvedimenti amministrativi non gravati e divenuti inoppugnabili.
Tali argomentazioni sono state svolte anche dalla Corte di Cassazione, secondo cui “la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo sussiste anche a prescindere dall'instaurazione di una controversia in via di impugnazione diretta del provvedimento amministrativo, di concessione o di determinazione del contributo, purché fra la controversia ed il provvedimento vi sia uno stretto collegamento funzionale”, aggiungendo inoltre che “rientrano quindi nell'ambito della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie in genere aventi ad oggetto l'inadempimento di obblighi nascenti da una concessione. Né rileva che il rapporto concessorio si sia esaurito per decorrenza del termine di durata di esso, poiché la riserva di giurisdizione operata dalla norma a favore del giudice amministrativo riguarda il rapporto di concessione indipendentemente dal fatto che esso sia ancora in vita o sia cessato, purché la controversia ponga in discussione il rapporto nel suo momento genetico o funzionale”.

Invero il Collegio ritiene che non sussistano ragioni valide per discostarsi dal prevalente orientamento giurisprudenziale (già ritenuta da questo Tribunale in fattispecie analoghe: cfr. TAR Salerno, sez. II, nn. 580, 581, 582, 583, e 594/2011) secondo cui l’art. 34 del D.Lgs. 31.03.1998 n. 80 (come sostituito dalla L. 21.07.2000 n. 205 ed in seguito alla sentenza della Corte Costituzionale 06.07.2004 n. 204), nel devolvere alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie aventi per oggetto atti e provvedimenti dell’Amministrazione in materia urbanistica ed edilizia, comprende la totalità degli aspetti dell’uso del territorio, nessuno escluso (TAR Campania, Napoli, Sez. I, 26.06.2008 n. 6283, TAR Campania, Salerno, 04.04.2008 n. 475, TAR Piemonte, 17.07.2008 n. 1646): sicché, come già previsto dall’art. 16 della L. 28.01.1977 n. 10, devono ritenersi rientranti in tale giurisdizione anche le controversie relative alla determinazione, liquidazione e corresponsione degli oneri concessori che involgono diritti soggettivi delle parti, considerato anche che il contributo per oneri di urbanizzazione costituisce un corrispettivo posto a carico del costruttore a titolo di partecipazione del concessionario ai costi delle opere di urbanizzazione (in proporzione all’insieme dei benefici che la nuova costruzione ne ritrae) connesso al rilascio della concessione edilizia e pertanto discendente dall’adozione di un provvedimento amministrativo (Consiglio di Stato, Sez. V, 21.04.2006 n. 2258).
In altri termini, la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo sulle controversie attinenti alla corresponsione dei suddetti oneri concessori discende dallo stretto collegamento funzionale tra il rilascio delle suddette concessioni edilizie ed i contributi conseguenti a carico del privato, trattandosi appunto di pretesa del Comune fondata su provvedimenti amministrativi non gravati e divenuti inoppugnabili.
Tali argomentazioni sono state svolte anche dalla Corte di Cassazione, secondo cui “la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo sussiste anche a prescindere dall'instaurazione di una controversia in via di impugnazione diretta del provvedimento amministrativo, di concessione o di determinazione del contributo, purché fra la controversia ed il provvedimento vi sia uno stretto collegamento funzionale”, aggiungendo inoltre che “rientrano quindi nell'ambito della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie in genere aventi ad oggetto l'inadempimento di obblighi nascenti da una concessione. Né rileva che il rapporto concessorio si sia esaurito per decorrenza del termine di durata di esso, poiché la riserva di giurisdizione operata dalla norma a favore del giudice amministrativo riguarda il rapporto di concessione indipendentemente dal fatto che esso sia ancora in vita o sia cessato, purché la controversia ponga in discussione il rapporto nel suo momento genetico o funzionale” (Cassazione civile, Sezioni Unite, 20.11.2007 n. 24009).
Il Collegio ritiene inoltre che le conclusioni esposte in ordine alla sussistenza della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo sulle controversie relative ad oneri concessori non mutano a seconda della natura giuridica pubblica o privata del ricorrente, con la conseguenza che appare del tutto indifferente la circostanza che nel presente giudizio a ricorrere sia il Comune di Salerno e non un privato
(TAR Campania-Salerno, Sez. I, sentenza 24.09.2012 n. 1676 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Nelle controversie aventi a oggetto gli obblighi di pagamento dei contributi afferenti alle concessioni ed ai permessi edilizi, il giudizio non ha carattere impugnatorio, ancorché esso sia proposto, formalmente, come contestazione di una determinazione amministrativa, in quanto mira ad accertare la sussistenza o la misura del credito vantato dal Comune.
Ne deriva che il ricorso può essere correttamente proposto nel termine di prescrizione del diritto e, dunque, anche dopo che siano trascorsi più di sessanta giorni dalla conoscenza, da parte dell’interessato, dell’atto con cui l’amministrazione ha quantificato i contestati contributi, richiedendone il pagamento.

Costituisce indirizzo consolidato, dal quale la Sezione non ravvisa ragione per discostarsi, che, nelle controversie aventi a oggetto gli obblighi di pagamento dei contributi afferenti alle concessioni ed ai permessi edilizi, il giudizio non ha carattere impugnatorio, ancorché esso sia proposto, formalmente, come contestazione di una determinazione amministrativa, in quanto mira ad accertare la sussistenza o la misura del credito vantato dal Comune.
Ne deriva che il ricorso può essere correttamente proposto nel termine di prescrizione del diritto e, dunque, anche dopo che siano trascorsi più di sessanta giorni dalla conoscenza, da parte dell’interessato, dell’atto con cui l’amministrazione ha quantificato i contestati contributi, richiedendone il pagamento (cfr. C.d.S., sez. IV, 04.11.2011, n. 585, e 02.03.2011, n. 1365; C.d.S., sez. V, 06.11.2007, n. 623; 21.04.2006, n. 2258; 10.07.2003, n. 4102)
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 24.09.2012 n. 5080 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La procedura. Decisivo il peso dell'insediamento. Soggette al versamento anche le aree scoperte.
INDUSTRIA E COMMERCIO/ Il Tar Emilia Romagna: per i depositi all'aria aperta occorre fare riferimento all'attività commerciale svolta in prevalenza.

Anche il semplice utilizzo di un'area scoperta può comportare il pagamento di oneri urbanizzatori.
È quanto precisato di recente dal TAR Emilia-Romagna-Bologna, Sez. II, sentenza 12.09.2012 n. 557, con riferimento a un permesso di costruire per una struttura destinata da un concessionario di autovetture a deposito a cielo aperto e vendita di veicoli nuovi e usati.
Il titolare della concessionaria aveva impugnato il provvedimento comunale di determinazione della quota di contributo afferente al costo di costruzione e di revisione in aumento della quota relativa agli oneri di urbanizzazione secondaria, nonché l'ingiunzione di pagamento. Il ricorrente denunciava la violazione delle tabelle comunali per il calcolo degli oneri urbanistici, perché effettuata con riferimento a quelle (più onerose) per le "attività commerciali" e non a quelle (inferiori) per i "depositi a cielo aperto", così come previsto per la zona interessata dalle norme di attuazione del Prg (piano regolatore generale). Inoltre il titolare contestava anche la mancata comunicazione di avvio del procedimento (articoli 7 e 8 della legge n. 241/1990).
I giudici hanno innanzitutto disatteso quest'ultima censura, perché hanno classificato l'atto di determinazione del contributo non come un provvedimento in autotutela dell'amministrazione, ma come un atto con il quale il Comune determina (e in questo caso rettifica) i contributi urbanistici, che chiunque richieda un titolo edilizio è tenuto a pagare prima del rilascio del permesso di costruire. Si tratta di atti che non rivestono natura provvedimentale, incidendo su posizioni di diritto soggettivo, ed hanno carattere vincolato, rendendo inutile la partecipazione del soggetto coinvolto.
Il Tar ha considerato infondato anche il motivo con cui la società ricorrente ha ritenuto illegittima la rideterminazione degli oneri concessori in base ai valori per le attività commerciali, piuttosto che a quelli dei depositi a cielo aperto. La sentenza osserva come l'intervento non consista nella realizzazione di un edificio strumentale ad una attività produttiva inerente il deposito a cielo aperto di autoveicoli, bensì nella realizzazione di un complesso funzionale all'attività commerciale di vendita di autoveicoli che vede, quale ulteriore attività collaterale a quella principale di concessionaria della casa automobilistica, anche l'utilizzo di parte dell'area quale deposito a cielo aperto di vetture.
Quindi è del tutto legittimo che l'amministrazione comunale, in sede di corretta determinazione dei contributi urbanistici, debba necessariamente individuare e calcolare l'importo sulla base di quanto prevedono le relative tabelle in relazione all'esatta qualificazione del complessivo intervento assentito e, quindi, anche in modo corrispondente all'effettiva qualificazione dell'attività svolta dal ricorrente nel nuovo edificio oggetto di concessione edilizia.
Poiché l'attività svolta è quella della vendita di autoveicoli nuovi e usati, i contributi devono essere calcolati secondo le tabelle proprie di ciascuna categoria di uso presente nell'intervento realizzato.
Nella specie, pertanto, in riferimento all'edificio assentito, è dovuto sia il contributo per oneri di costruzione (essendo esenti, secondo la normativa urbanistica locale, solo gli interventi destinati ad usi produttivi), sia il contributo per oneri di urbanizzazione, commisurato, alla attività commerciale effettivamente svolta nell'edificio (articolo Il Sole 24 Ore del 26.11.2012).

ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA: La proroga della scadenza di un termine che cade in un giorno festivo al successivo giorno non festivo rappresenta un principio di carattere generale, disciplinato dalla vigente legislazione.
Infatti, la previsione, d’ordine generale, della suesposta proroga è contenuta nel secondo e terzo comma dell’art. 2963 del codice civile che stabilisce, con riferimento alle modalità di computo del termine di prescrizione, che: “non si computa il giorno nel corso del quale cade il momento iniziale del termine e la prescrizione si verifica con lo spirare dell’ultimo istante del giorno finale. Se il termine scade in un giorno festivo, è prorogato di diritto al giorno seguente non festivo”.
Il principio della posticipazione ipso iure al primo giorno seguente non festivo è, altresì, evidenziato dall’art. 1187 del codice civile, in tema di obbligazioni, che sancisce, al secondo comma, che “la disposizione relativa alla proroga del termine che scade in giorno festivo si osserva se non vi sono usi diversi” e dall’art. 155, commi terzo e quarto, del c.p.c. secondo cui “i giorni festivi si computano nel termine. Se il giorno di scadenza è festivo, la scadenza è prorogata di diritto al primo giorno seguente non festivo”.
La vigente normativa, infine, disciplina anche le eccezioni al suddetto principio: l’articolo 2964 del codice civile, infatti, stabilisce i casi in cui la regola generale sopra riportata non si applica e cioè i casi di norme aventi ad oggetto l’interruzione e la sospensione della prescrizione.
Quanto sopra risulta anche confermato da consolidati orientamenti giurisprudenziali secondo cui “il principio fissato dall’art. 2963, terzo comma, del codice civile, secondo il quale se il termine scade in un giorno festivo, è prorogato di diritto al giorno seguente non festivo, configura un principio generale, applicabile, in assenza di diversa previsione anche in materia di decadenza, atteso che l’art. 2964 dichiara inapplicabili alla decadenza soltanto le norme relative alla interruzione e alla sospensione della prescrizione”.
In conclusione, in relazione a quanto sin qui detto non sembra esservi dubbio che il principio della posticipazione ipso iure al primo giorno non festivo del termine che cade in un giorno festivo sia applicabile anche alla fattispecie de qua, atteso che il disposto dell’art. 155, comma 4, del c.p.c. e dell’art. 2963 del c.c. trovano applicazione anche nel procedimento di controllo, essendo espressione di un principio di carattere generale e che l’esercizio del potere di controllo di legittimità sulle autorizzazioni paesaggistiche attribuito all’Amministrazione statale, ai sensi dell’art. 159 del D.Lgs. n. 42 del 2004, è sottoposto al termine decadenziale di sessanta giorni decorrente dalla ricezione della documentazione completa.
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6. Nel merito il Collegio osserva che, contrariamente a quanto sostenuto dal giudice di primo grado, la proroga della scadenza di un termine che cade in un giorno festivo al successivo giorno non festivo rappresenta un principio di carattere generale, disciplinato dalla vigente legislazione.
Infatti, la previsione, d’ordine generale, della suesposta proroga è contenuta nel secondo e terzo comma dell’art. 2963 del codice civile che stabilisce, con riferimento alle modalità di computo del termine di prescrizione, che: “non si computa il giorno nel corso del quale cade il momento iniziale del termine e la prescrizione si verifica con lo spirare dell’ultimo istante del giorno finale. Se il termine scade in un giorno festivo, è prorogato di diritto al giorno seguente non festivo”.
Il principio della posticipazione ipso iure al primo giorno seguente non festivo è, altresì, evidenziato dall’art. 1187 del codice civile, in tema di obbligazioni, che sancisce, al secondo comma, che “la disposizione relativa alla proroga del termine che scade in giorno festivo si osserva se non vi sono usi diversi” e dall’art. 155, commi terzo e quarto, del c.p.c. secondo cui “i giorni festivi si computano nel termine. Se il giorno di scadenza è festivo, la scadenza è prorogata di diritto al primo giorno seguente non festivo”.
La vigente normativa, infine, disciplina anche le eccezioni al suddetto principio: l’articolo 2964 del codice civile, infatti, stabilisce i casi in cui la regola generale sopra riportata non si applica e cioè i casi di norme aventi ad oggetto l’interruzione e la sospensione della prescrizione.
Quanto sopra risulta anche confermato da consolidati orientamenti giurisprudenziali secondo cui “il principio fissato dall’art. 2963, terzo comma, del codice civile, secondo il quale se il termine scade in un giorno festivo, è prorogato di diritto al giorno seguente non festivo, configura un principio generale, applicabile, in assenza di diversa previsione anche in materia di decadenza, atteso che l’art. 2964 dichiara inapplicabili alla decadenza soltanto le norme relative alla interruzione e alla sospensione della prescrizione” (Cassazione Civile, Sez. V, sent. n. 15832 del 13.08.2004).
In conclusione, in relazione a quanto sin qui detto non sembra esservi dubbio che il principio della posticipazione ipso iure al primo giorno non festivo del termine che cade in un giorno festivo sia applicabile anche alla fattispecie de qua, atteso che il disposto dell’art. 155, comma 4, del c.p.c. e dell’art. 2963 del c.c. trovano applicazione anche nel procedimento di controllo, essendo espressione di un principio di carattere generale (Cons. di Stato, Sez. VI, 18.03.2011, n. 1661; Cass. Civ., Sez. II, 01.12.2010, n. 24375) e che l’esercizio del potere di controllo di legittimità sulle autorizzazioni paesaggistiche attribuito all’Amministrazione statale, ai sensi dell’art. 159 del D.Lgs. n. 42 del 2004, è sottoposto al termine decadenziale di sessanta giorni decorrente dalla ricezione della documentazione completa.
7. Per quanto sin qui esposto l’appello è da ritenersi fondato e va, pertanto, accolto e, per l’effetto, in riforma della sentenza di primo grado va respinto il ricorso di primo grado (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 07.09.2012 n. 4752) - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: I contributi di costruzione. I chiarimenti che arrivano dal Consiglio di Stato. La data di Scia e Dia fissa il prezzo degli oneri. Niente aumenti dopo la presentazione dell'istanza.
GLI INTERVENTI MAGGIORI/ Solo per il permesso di costruire i conteggi vengono differiti fino all'approvazione del progetto.

L'obbligo di pagare gli oneri di urbanizzazione per gli interventi edilizi non dipende solo dal rilascio del provvedimento autorizzatorio, ma sorge anche in caso di presentazione di una denuncia di inizio di attività edilizia o di una Scia (segnalazione certificata di inizio attività), insieme all'inoltro della segnalazione o alla presentazione della denuncia. L'obbligo, infatti, è correlato all'aumento del carico urbanistico, quindi all'attività di trasformazione del territorio. È alla disciplina vigente al momento di presentazione della Scia o della denuncia che l'amministrazione dovrà fare riferimento per calcolare gli oneri dovuti, senza considerare mutamenti tariffari successivamente intervenuti o richiedere conguagli.
Un principio, quest'ultimo, affermato dal Consiglio di Stato, Sez. IV, con la sentenza 04.09.2012 n. 4669.
In caso di rilascio del permesso di costruire, invece, l'obbligo di pagamento sorge con l'approvazione del progetto, anche se questo passaggio avviene a distanza di anni dalla domanda, e si dovrà fare riferimento alle tariffe vigenti in questo momento e non a quelle, eventualmente più favorevoli, in vigore alla data di presentazione della domanda (Consiglio di Stato, sezione IV, pronunce n. 3116 e n. 1752 del 2011).
Le origini
Il principio di onerosità della concessione edilizia è stato introdotto dalla legge Bucalossi (la n. 10/1977) e poi trasfuso nell'articolo 16 del testo unico dell'edilizia (il Dpr 380/2001); norma della quale la giurisprudenza ha progressivamente definito i contenuti e la portata, chiarendone gli aspetti più problematici.
Per orientamento ormai consolidato (da ultimo Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 30.07.2012, n. 4320) il contributo per il rilascio del permesso di costruire ha natura di prestazione patrimoniale pubblicistica ed obbligatoria, di tipo non tributario (Consiglio di Stato, sezione V, sentenza 20.04.2009, n. 2359). Si tratta di una prestazione a carattere generale, non disponibile dalle parti, poiché prescinde dalla effettiva realizzazione dell'intervento urbanizzatorio (Consiglio di Stato, sezione V, 22.02.2011, n. 1108). Ad esempio, è stato escluso che potesse omettersi il pagamento degli oneri concessori a fronte di un asserito inadempimento del Comune della "controprestazione" pattuita, che nel caso specifico consisteva nella costruzione di una strada indispensabile per assicurare l'accesso al suolo interessato dal permesso di costruire (Consiglio di Stato, sezione V, pronuncia 15.12.2005, n. 7140).
Il presupposto del contributo viene individuato nell'incremento del "carico urbanistico", quello, cioè, che viene prodotto da un nuovo insediamento o dall'ampliamento di uno preesistente, per l'aumento delle persone insediate e la correlata domanda di ulteriori strutture ed opere collettive (strade, fognature, eccetera) in una determinata area.
La quantificazione del contributo è del tutto indipendente sia dalle spese effettivamente occorrenti all'amministrazione per realizzare le opere di urbanizzazione, sia dall'immediata utilità che il proprietario dell'area riceve in conseguenza di un formale titolo edificatorio, ovvero dalla possibilità di eseguire l'intervento costruttivo in forza di Dia o Scia.
L'aggiornamento
Gli oneri di urbanizzazione devono essere aggiornati ogni cinque anni dai Comuni, in conformità alle relative disposizioni regionali e in relazione ai riscontri dei prevedibili costi delle opere di urbanizzazione primaria, secondaria e generale. Quindi, una volta intervenuta la delibera comunale di aggiornamento, ogni trasformazione edilizia può essere assoggettata solo al pagamento degli oneri di urbanizzazione tabellari previsti dal provvedimento comunale vigente e applicati in relazione alla tipologia e localizzazione del manufatto, oppure all'entità della trasformazione urbanistica (Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 24.12.2009, n. 8757).
La delibera del Consiglio comunale con la quale vengono determinati gli oneri di urbanizzazione è considerata dalla giurisprudenza un atto autoritativo e, come tale, è soggetta all'ordinario termine di decadenza ai fini della sua impugnazione (60 giorni). Viceversa, nel caso in cui non vengano dedotte censure nei confronti della delibera, ma ci si limiti a contestare la concreta quantificazione del contributo di urbanizzazione e il suo ammontare, le controversie riguardano posizioni di diritto soggettivo e sono azionabili nel termine di prescrizione di cinque anni innanzi al giudice amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva (Consiglio di Stato, sezione V, 28.05.2012, n. 3122; sezione IV, 10.03.2011, n. 1565).
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I punti fermi della giurisprudenza
01 | L'OBBLIGO DI PAGARE SCATTA CON LA CONCESSIONE
Il rilascio della concessione edilizia si configura come fatto costitutivo dell'obbligo del concessionario di pagare il contributo per oneri di urbanizzazione. Il privato deve contribuisce così alle spese affrontate dal Comune per le opere indispensabili affinché l'area diventi idonea all'insediamento autorizzato e grazie alle quali l'area acquista un beneficio economicamente rilevante. Il contributo va calcolato secondo i parametri vigenti al momento del rilascio della concessione - Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 30.07.2012, n. 4320
02 | CON LA DIA IL PAGAMENTO È IMMEDIATO
Nel caso di presentazione di una denuncia di inizio di attività edilizia (Dia), l'obbligo di pagare gli oneri di urbanizzazione e il costo di costruzione sussiste all'atto della presentazione della Dia stessa. L'importo è in relazione alla situazione esistente al momento della presentazione della domanda - Consiglio di Stato, sezione V, sentenza 28.05.2012 n. 3122
03 | AL TAR I RICORSI CONTRO IL CALCOLO DEI VERSAMENTI
La delibera del Consiglio comunale con la quale vengono determinati i contributi concessori per gli interventi edilizi è da considerarsi un atto autoritativo e, come tale, è soggetta all'ordinario termine di decadenza ai fini della sua impugnazione. Al contrario, le controversie sulla contestazione degli oneri di urbanizzazione attengono a posizioni di diritto soggettivo azionabili davanti al giudice amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva nel termine di prescrizione - Consiglio di Stato, sezione V, sentenza 28.05.2012 n. 3122
04 | PER STABILIRE GLI IMPORTI NON SERVE LA MOTIVAZIONE
La determinazione del contributo e degli oneri di urbanizzazione costituisce atto vincolato, che va effettuato sulla base di parametri prestabiliti e pertanto non richiede una specifica motivazione sulla determinazione delle somme
Consiglio di Stato, sezione V, sentenza 01.09.2011, n. 4906
05 | VALORI DA INDIVIDUARE IN BASE ALL'ATTIVITÀ SVOLTA
L'ente locale deve necessariamente individuare e calcolare il quantum contributivo sulla base di quanto prevedono le tabelle e in relazione all'esatta qualificazione del complessivo intervento assentito. Il calcolo va quindi effettuato anche in modo corrispondente all'effettiva qualificazione dell'attività svolta nel nuovo edificio oggetto di concessione edilizia e di contribuzione urbanistica - Tar Emilia-Romagna, Bologna, sezione II, sentenza 12.09.2012, n. 557
06 | TERRAZZI, SOFFITTE E CANTINE ESCLUSI DAI CONTEGGI
Il calcolo degli oneri di urbanizzazione va effettuato tenendo conto anche delle "superfici di calpestio", ma per esse devono intendersi solo quelle utili, costituite dalla somma delle aree di pavimento dei singoli vani utilizzati per le attività e destinazioni d'uso. Vanno escluse dal conteggio le aree destinate ai porticati, ai pilotis, alle logge, ai balconi, ai terrazzi, ai locali cantina, soffitte e ai locali sottotetto non agibili.
Queste esclusioni sono coerenti con il presupposto per l'insorgenza dell'obbligo di versare gli oneri di urbanizzazione, e cioè che vi sia un effettivo aggravio del carico urbanistico dovuto alla incidenza dell'intervento edilizio, che deve essere ragionevolmente considerato non nell'insieme delle superfici "di calpestio", ma di quelle utili, le sole in grado di comportare un maggior incremento del carico urbanistico - Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 15.07.2009, n. 4439
07 | ININFLUENTE LO SVILUPPO URBANISTICO DELL'AREA
Gli oneri di urbanizzazione stabiliti in via generale sono dovuti a prescindere dalla situazione urbanizzativa delle zone in cui ricadono i singoli interventi, in quanto essi adempieno all'esigenza di una partecipazione patrimoniale da parte dei privati al pregiudizio economico gravante sulla collettività comunale per effetto della trasformazione del territorio - Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 24.12.2009, n. 8757
08 | SI PAGA SOLO SULLA BASE DEL PROGETTO PRESENTATO
L'imponibile per la liquidazione degli oneri d'urbanizzazione deve essere valutato sulla base delle tariffe esistenti al momento della domanda del permesso di costruire e con esclusivo riguardo all'immobile così come definito e autorizzato, risultando irrilevanti le istanze edilizie quando ad esse non abbia fatto seguito il titolo abilitativo - Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 22.03.2011, n. 1752
09 | IMPORTI CONTESTABILI ANCHE SENZA IMPUGNARE L'ATTO
L'azione giudiziaria, volta alla declaratoria dell'insussistenza o di una diversa entità del debito contributivo per oneri di urbanizzazione, è esperibile a prescindere dall'impugnazione o dall'esistenza dell'atto con cui è preteso il pagamento del contributo, trattandosi di un giudizio d'accertamento di un rapporto obbligatorio pecuniario, proponibile nel termine di prescrizione - Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 22.03.2011, n. 1752 (articolo Il Sole 24 Ore del 26.11.2012).

EDILIZIA PRIVATA: Gli oneri urbanizzativi devono essere determinati con riguardo alla disciplina vigente al momento della presentazione della d.i.a..
La denuncia di inizio attività non è un provvedimento amministrativo a formazione tacita e non dà luogo in ogni caso ad un titolo costitutivo, ma costituisce un atto privato volto a comunicare l'intenzione di intraprendere un'attività direttamente ammessa dalla legge.
Tale lettura, in senso non provvedimentale, è stata peraltro immediatamente fatta propria dal legislatore il quale, introducendo il comma 6-ter dell’art. 19 della legge 07.08.1990, n. 241 “Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi” tramite l'articolo 6, comma 1, lettera c), del D.L. 13.08.2011, n. 138, ha espressamente qualificato tali atti come “non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili”.
In questo senso, appare consequenziale e condivisibile la ricostruzione della natura del silenzio tenuto dall’amministrazione (sempre come ritenuto dalla citata Consiglio di Stato ad. plen. 29.07.2011 n. 15), per cui “il passaggio del tempo non produce un titolo costitutivo avente valore di assenso ma impedisce l'inibizione di un'attività già intrapresa in un momento anteriore”.
In tal modo, appare chiaro che l’efficacia del titolo formatosi in base all’atto del privato (rectius, la modalità abilitativa alla realizzazione dell’intervento edilizio) si determina indipendentemente dal mancato esercizio del potere di interdizione da parte della pubblica amministrazione, trattandosi di fattispecie che operano su piani giuridici diversi.
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Sussiste l’immediato sorgere dell’obbligo di corrispondere gli oneri di urbanizzazione ed il costo di costruzione in relazione alla situazione esistente al momento della presentazione della d.i.a..
Tra l'altro, la vicenda deve ritenersi confermata anche dalla particolare disciplina della d.i.a. contenuta nella l.r. 12/2005 (art. 42, commi 2 e 3) che prevede, da un lato, che il calcolo dei dovuti oneri di urbanizzazione e costo di costruzione sia allegato già al momento della presentazione della denuncia di inizio attività e, in secondo luogo, disponendo che il pagamento sia effettuato con le modalità previste dalla vigente normativa che, per gli oneri di urbanizzazione, impone l’adempimento entro trenta giorni successivi alla presentazione della denuncia di inizio attività, rendendo quindi impermeabile la disciplina ai mutamenti disciplinari successivi.

Con ricorso iscritto al n. 2569 del 2010, Nova Domus Italia s.r.l. propone appello avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sezione seconda, n. 13 del giorno 11 gennaio 2010 con la quale è stato respinto il ricorso proposto contro il Comune di Milano per l'annullamento della nota pg. 90611/2008 del Comune di Milano, Sportello Unico dell’Edilizia, in data 30.01.2008, avente ad oggetto: “Denuncia di inizio attività per ristrutturazione edilizia con demolizione e ricostruzione in via Carbonera Azzo n. 1, pratica n. 10740/2007, P.G. 1111435000/2007 – Integrazione del contributo di costruzione”.
Dinanzi al giudice di prime cure, la Nuova Domus Italia s.r.l. aveva impugnato il provvedimento con il quale il Comune aveva disposto il conguaglio del contributo di costruzione relativo alla d.i.a., presentata in data 30.01.2008, relativa ad un intervento via Carbonera Azzo n. 1, in esecuzione della deliberazione del consiglio comunale n. 73/2007, divenuta esecutiva in data 08.01.2008, che aveva aggiornato in aumento gli oneri di urbanizzazione dovuti per gli interventi edilizi.
La ricorrente riteneva che l’integrazione richiesta fosse illegittima per violazione degli artt. 42, 44 e 48 della L.R. 12/2005 e degli artt. 16 e 23 del D.P.R. 380/01 ed eccesso di potere in quanto gli oneri urbanizzativi dovrebbero essere determinati con riguardo alla disciplina vigente al momento della presentazione della domanda. Chiedeva quindi il risarcimento dei danni per la stipulazione della fideiussione richiesta dal Tribunale in sede cautelare.
La difesa comunale ha invece sostenuto la legittimità del provvedimento comunale in quanto, dovendo ritenersi che la d.i.a. produca effetti decorsi trenta giorni dalla sua presentazione al Comune, tutte le sopravveninenze normative intercorse tra la presentazione e l’efficacia debbono essere applicate al procedimento.
Il ricorso veniva deciso con la sentenza appellata. In essa, il TAR riteneva infondate le censure proposte, considerando la DIA, indifferentemente alla considerazione della sua natura come atto di autorizzazione implicita o come atto privato, fosse comunque soggetta alle modifiche normative fino al momento della compiuta efficacia, ossia fino alla data di possibile esercizio del potere interdittivo dell’amministrazione.
...
Il giudice di prime cure ha affrontato il tema delle sopravvenienze normative intercorse tra la presentazione della DIA e la sua efficacia evidenziando come “la DIA, indipendentemente dalla qualifica giuridica assegnata –punto su cui come noto si contrappongono due differenti orientamenti che sostengono rispettivamente la natura di autorizzazione implicita (Cons. Stato sez IV 5811/2008) e di atto privato (Cons. Stato sez. VI 717/2009)– produce effetti al trentesimo giorno dalla sua presentazione, purché, come già affermato da questa Sezione, sia completa di tutti gli elementi richiesti dalla legge (sentenza n. 5737/2008).
Nello spatium deliberandi dei trenta giorni dalla presentazione della denuncia, periodo durante il quale l’Amministrazione ha un compito di controllo, a conclusione del quale può esercitare poteri inibitori dei lavori non ancora avviati, le eventuali modifiche normative devono trovare applicazione, in quanto il procedimento non è ancora perfezionato e la DIA non può produrre effetti: vige allora il principio del tempus regit actum, per cui l'Amministrazione è tenuta ad applicare la normativa in vigore al momento dell'adozione del provvedimento definitivo, quand'anche sopravvenuta, e non già, salvo che espresse norme statuiscano diversamente, quella in vigore al momento dell'avvio del procedimento.
Tale posizione è stata ampiamente espressa da questa Sezione nella sentenza richiamata dalla difesa comunale (n. 588/2006), in cui si è affermato il principio secondo cui “le innovazioni normative introdotte medio tempore non sono irrilevanti, giacché un intervento edilizio, ancorché conforme alla normativa vigente al tempo della denuncia, ben può essere interdetto ove non sia più in linea con la normativa sopravvenuta, entrata in vigore (o destinata a entrare in vigore) prima del compimento del trentesimo giorno dalla presentazione della denuncia stessa.”
E il principio della “sensibilità” della DIA alle modifiche legislative nei trenta giorni tra la presentazione e l’inizio dell’efficacia, deve trovare applicazione anche rispetto ad eventuali variazioni delle disposizioni regolamentari, tra cui la disciplina pianificatoria e le tariffe degli oneri. Pare quindi corretta la posizione dell’Amministrazione Comunale laddove ritiene che la nuova disciplina introdotta con un atto deliberativo che produce effetti dall'08.01.2008 vada applicato anche alle DIA per le quali non è decorso il termine di trenta giorni
”.
L’impostazione seguita dal giudice di prime cure non appare però in linea con i più recenti arresti giurisprudenziali e con le disposizioni legislative successive che, sebbene non applicabili ratione temporis, servono a meglio illuminare il tema della disciplina applicabile alla fattispecie.
Occorre, infatti, rilevare come questo Consiglio abbia posto fine al dibattito sulla natura dei titoli abilitativi non provvedimentali in edilizia con la sentenza dell’Adunanza plenaria 29.07.2011 n. 15 dove, a seguito di un’attenta ricostruzione delle diverse posizioni sostenute, raffrontate al quadro normativo in evoluzione, si è affermato che “la denuncia di inizio attività non è un provvedimento amministrativo a formazione tacita e non dà luogo in ogni caso ad un titolo costitutivo, ma costituisce un atto privato volto a comunicare l'intenzione di intraprendere un'attività direttamente ammessa dalla legge”.
Tale lettura, in senso non provvedimentale, è stata peraltro immediatamente fatta propria dal legislatore il quale, introducendo il comma 6-ter dell’art. 19 della legge 07.08.1990, n. 241 “Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi” tramite l'articolo 6, comma 1, lettera c), del D.L. 13.08.2011, n. 138, ha espressamente qualificato tali atti come “non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili”.
In questo senso, appare consequenziale e condivisibile la ricostruzione della natura del silenzio tenuto dall’amministrazione (sempre come ritenuto dalla citata Consiglio di Stato ad. plen. 29.07.2011 n. 15), per cui “il passaggio del tempo non produce un titolo costitutivo avente valore di assenso ma impedisce l'inibizione di un'attività già intrapresa in un momento anteriore”. In tal modo, appare chiaro che l’efficacia del titolo formatosi in base all’atto del privato (rectius, la modalità abilitativa alla realizzazione dell’intervento edilizio) si determina indipendentemente dal mancato esercizio del potere di interdizione da parte della pubblica amministrazione, trattandosi di fattispecie che operano su piani giuridici diversi.
Deve quindi convenirsi con l’appellante in merito all’immediato sorgere dell’obbligo di corrispondere gli oneri di urbanizzazione ed il costo di costruzione in relazione alla situazione esistente al momento della presentazione della domanda, vicenda che deve ritenersi confermata anche dalla particolare disciplina della denuncia di inizio attività contenuta nella legge regionale (art. 42, commi 2 e 3, della legge regionale Lombardia n. 12 del giorno 11.03.2005 “Legge per il governo del territorio”) che prevede, da un lato, che il calcolo dei dovuti oneri di urbanizzazione e costo di costruzione sia allegato già al momento della presentazione della denuncia di inizio attività e, in secondo luogo, disponendo che il pagamento sia effettuato con le modalità previste dalla vigente normativa che, per gli oneri di urbanizzazione, impone l’adempimento entro trenta giorni successivi alla presentazione della denuncia di inizio attività, rendendo quindi impermeabile la disciplina ai mutamenti disciplinari successivi (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 04.09.2012 n. 4669 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATASia nella precedente che nell’attuale normativa in effetti (articoli 3, 5, 6 della L. 10/1977 e 16 del D.P.R. 380/2001) alle nuove edificazioni e agli altri interventi –comunque soggetti a titolo abilitativo– corrisponde il pagamento di un contributo commisurato all’incidenza degli oneri di urbanizzazione, nonché al costo di costruzione. La natura giuridica del predetto contributo è quella di prestazione patrimoniale imposta, anche indipendentemente dall'utilità specifica del singolo concessionario, comunque tenuto a concorrere alla spesa pubblica per le infrastrutture che debbono accompagnare ogni nuovo insediamento edificatorio.
In particolare il contributo per oneri di urbanizzazione è un corrispettivo di diritto pubblico, di natura non tributaria, posto a carico del costruttore a titolo di partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione in proporzione all’insieme dei benefici che la nuova costruzione ne ritrae. Il presupposto imponibile per il pagamento dei contributi di urbanizzazione va ravvisato nella domanda di una maggiore dotazione di servizi (rete viaria, fognature, ecc.) nell’area di riferimento, che sia indotta dalla destinazione d’uso concretamente impressa all’alloggio, in quanto una diversa utilizzazione rispetto a quella stabilita nell’originario titolo abilitativo può determinare una variazione quantitativa e qualitativa del carico urbanistico.
In termini generali, il fondamento del contributo di urbanizzazione –da versare al momento del rilascio di una concessione edilizia– non consiste nell'atto amministrativo in sé bensì nella necessità di ridistribuire i costi sociali delle opere di urbanizzazione, facendoli gravare sugli interessati che beneficiano delle utilità derivanti dalla presenza delle medesime, secondo modalità eque per la comunità.
L'entità degli oneri di urbanizzazione è in buona sostanza correlata alla variazione del carico urbanistico, sicché è ben possibile che un intervento di ristrutturazione e mutamento di destinazione d'uso possa non comportare aggravi di carico urbanistico e quindi l'obbligo della relativa corresponsione degli oneri; al contrario è altrettanto possibile che in caso di mutamento di destinazione di uso nell'ambito della stessa categoria urbanistica, faccia seguito un maggior carico urbanistico indotto dalla realizzazione di quanto assentito e correlativamente siano dovuti gli oneri concessori.
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In presenza di un insediamento già capace di rispondere a bisogni collettivi (come la struttura preesistente adibita ad orfanatrofio) l’amministrazione –per poter legittimamente esigere il contributo per gli oneri di urbanizzazione– deve dare contezza degli indici o, comunque, delle condizioni da cui si evince il maggior carico urbanistico addebitabile al richiesto mutamento di destinazione.
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Pacifica è la diversa natura degli oneri di urbanizzazione rispetto ai costi di costruzione, i quali rappresentano una compartecipazione comunale all’incremento di valore della proprietà immobiliare del costruttore a seguito della nuova edificazione.
Mentre il contributo per gli oneri di urbanizzazione ha funzione recuperatoria delle spese sostenute dalla collettività comunale in relazione alla trasformazione del territorio assentita al singolo, il contributo per costo di costruzione, che è rapportato alle caratteristiche ed alla tipologia delle costruzioni e non è alternativo ad altro valore di genere diverso, afferisce alla mera attività costruttiva in sé valutata: l’obbligazione contributiva per costo di costruzione, dunque, è a-causale ed appare soffermarsi sulla produzione di ricchezza connessa all’utilizzazione edificatoria del territorio ed alle potenzialità economiche che ne derivano e, pertanto, ha natura essenzialmente paratributaria. Il contributo afferente al costo di costruzione, a norma dell’art. 6 della L. 10/1977, è determinato in rapporto alle caratteristiche, alle tipologie delle costruzioni e delle loro destinazioni ed ubicazioni (oggi occorre fare riferimento all’art. 16 del D.P.R. 380/2001).
Ne deriva, quindi, che nell’ipotesi di variazione di destinazione d’uso di un immobile accompagnata dalla realizzazione di opere, sussiste il presupposto per il pagamento della parte di contributo afferente al costo di costruzione, da riferire al dato oggettivo della risistemazione dell’edificio.

Passando all’esame della prospettazione principale, parte ricorrente sostiene che la trasformazione di un orfanatrofio in scuola dell’obbligo non determina un mutamento di destinazione d’uso rilevante ai fini urbanistici edilizi, dato che si tratta di servizi assimilabili, collocati all’interno della stessa categoria funzionale; aggiunge che le opere realizzate non determinano uno stravolgimento dell’organismo edilizio esistente, bensì il consolidamento, ripristino e rinnovo di alcuni elementi costitutivi (pavimenti e solai) e l’inserimento di accessori (ascensore, servo scala, servizi igienici, etc.): l’intervento è ascrivibile nella categoria del restauro e risanamento conservativo, non soggetto al pagamento di contributi.
La tesi è parzialmente fondata.
Deve essere vagliata preliminarmente la deduzione di parte ricorrente tesa a mettere in luce l’assenza di un maggiore carico urbanistico a seguito della realizzazione della nuova struttura.
Sia nella precedente che nell’attuale normativa in effetti (articoli 3, 5, 6 della L. 10/1977 e 16 del D.P.R. 380/2001) alle nuove edificazioni e agli altri interventi –comunque soggetti a titolo abilitativo– corrisponde il pagamento di un contributo commisurato all’incidenza degli oneri di urbanizzazione, nonché al costo di costruzione. La natura giuridica del predetto contributo è quella di prestazione patrimoniale imposta, anche indipendentemente dall'utilità specifica del singolo concessionario, comunque tenuto a concorrere alla spesa pubblica per le infrastrutture che debbono accompagnare ogni nuovo insediamento edificatorio (Consiglio di Stato, sez. VI – 25/08/2009 n. 5059).
In particolare il contributo per oneri di urbanizzazione è un corrispettivo di diritto pubblico, di natura non tributaria, posto a carico del costruttore a titolo di partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione in proporzione all’insieme dei benefici che la nuova costruzione ne ritrae (cfr. per tutti TAR Puglia Bari, sez. III – 10/02/2011 n. 243). Il presupposto imponibile per il pagamento dei contributi di urbanizzazione va ravvisato nella domanda di una maggiore dotazione di servizi (rete viaria, fognature, ecc.) nell’area di riferimento, che sia indotta dalla destinazione d’uso concretamente impressa all’alloggio, in quanto una diversa utilizzazione rispetto a quella stabilita nell’originario titolo abilitativo può determinare una variazione quantitativa e qualitativa del carico urbanistico (Sentenza Sezione 11/06/2004 n. 646; TAR Lombardia Milano, sez. II – 02/10/2003 n. 4502; Consiglio Stato, sez. V – 25/05/1995 n. 822).
In termini generali, il fondamento del contributo di urbanizzazione –da versare al momento del rilascio di una concessione edilizia– non consiste nell'atto amministrativo in sé bensì nella necessità di ridistribuire i costi sociali delle opere di urbanizzazione, facendoli gravare sugli interessati che beneficiano delle utilità derivanti dalla presenza delle medesime, secondo modalità eque per la comunità. L'entità degli oneri di urbanizzazione è in buona sostanza correlata alla variazione del carico urbanistico, sicché è ben possibile che un intervento di ristrutturazione e mutamento di destinazione d'uso possa non comportare aggravi di carico urbanistico e quindi l'obbligo della relativa corresponsione degli oneri; al contrario è altrettanto possibile che in caso di mutamento di destinazione di uso nell'ambito della stessa categoria urbanistica, faccia seguito un maggior carico urbanistico indotto dalla realizzazione di quanto assentito e correlativamente siano dovuti gli oneri concessori (TAR Lazio Roma, sez. II – 14/11/2007 n. 11213).
Nella fattispecie non affiorano elementi utili a comprovare che il mutamento di destinazione d'uso sia stato accompagnato da un’alterazione del carico urbanistico. Al contrario la stessa amministrazione comunale afferma di aver concesso una riduzione dell’80% rispetto a quanto dovuto in applicazione della tabella C.3 allegata alla L.r. 60-61/1977 (seppur motivato dalla natura di interesse generale dell’opera).
In ogni caso, come sostenuto di recente (cfr. sentenza Sezione 02/03/2012 n. 355) in presenza di un insediamento già capace di rispondere a bisogni collettivi (come la struttura preesistente adibita ad orfanatrofio) l’amministrazione –per poter legittimamente esigere il contributo per gli oneri di urbanizzazione– avrebbe dovuto dare contezza degli indici o, comunque, delle condizioni da cui si evinceva il maggior carico urbanistico addebitabile al richiesto mutamento di destinazione (cfr. TAR Lombardia Milano, sez. IV – 04/05/2009 n. 3604).
Non avendo evidenziato la ricorrenza, nel caso concreto (mediante raffronto tra la destinazione originaria e quella attuale) del presupposto del pagamento richiesto –ossia della variazione in aumento della domanda di servizi– deve ritenersi indebitamente preteso l’importo di € 39.280,38, da restituire alla parte ricorrente.
Pacifica è la diversa natura degli oneri di urbanizzazione rispetto ai costi di costruzione, i quali rappresentano una compartecipazione comunale all’incremento di valore della proprietà immobiliare del costruttore a seguito della nuova edificazione (cfr. TAR Abruzzo Pescara – 18/10/2010 n. 1142).
Mentre il contributo per gli oneri di urbanizzazione ha funzione recuperatoria delle spese sostenute dalla collettività comunale in relazione alla trasformazione del territorio assentita al singolo, il contributo per costo di costruzione, che è rapportato alle caratteristiche ed alla tipologia delle costruzioni e non è alternativo ad altro valore di genere diverso, afferisce alla mera attività costruttiva in sé valutata: l’obbligazione contributiva per costo di costruzione, dunque, è a-causale ed appare soffermarsi sulla produzione di ricchezza connessa all’utilizzazione edificatoria del territorio ed alle potenzialità economiche che ne derivano e, pertanto, ha natura essenzialmente paratributaria (TAR Campania Salerno, sez. II – 11/06/2002 n. 459). Il contributo afferente al costo di costruzione, a norma dell’art. 6 della L. 10/1977, è determinato in rapporto alle caratteristiche, alle tipologie delle costruzioni e delle loro destinazioni ed ubicazioni (oggi occorre fare riferimento all’art. 16 del D.P.R. 380/2001).
Ne deriva, quindi, che nell’ipotesi di variazione di destinazione d’uso di un immobile accompagnata dalla realizzazione di opere, sussiste il presupposto per il pagamento della parte di contributo afferente al costo di costruzione, da riferire al dato oggettivo della risistemazione dell’edificio. Deve dunque essere assoggettato ad imposizione il complessivo valore aggiunto del fabbricato destinato a nuova struttura ricettiva, e la base di calcolo è stata correttamente individuata in € 49.280,30 €.
In conclusione il ricorso è parzialmente fondato e deve essere accolto nella parte in cui il Comune ha erroneamente preteso la quota di oneri di urbanizzazione (€ 39.280,38), che devono essere restituiti. Sulla somma vanno calcolati gli interessi i quali decorrono –trattandosi di azione di ripetizione di indebito– dalla data di proposizione della domanda giudiziale, dovendosi presumere la buona fede dell’amministrazione resistente in assenza di dimostrazione contraria, mentre non spetta la rivalutazione monetaria trattandosi di indebito oggettivo il quale genera solo l’obbligazione di restituzione degli interessi a norma dell’art. 2033 del c.c. (cfr. TAR Lombardia Milano, sez. II – 05/05/2004 n. 1620; TAR Lazio Roma, sez. I – 19/01/1999 n. 99; Consiglio di Stato, sez. V – 30/10/1997 n. 1207) (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 24.08.2012 n. 1467 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAAlle nuove edificazioni e agli altri interventi –comunque soggetti a titolo abilitativo– corrisponde il pagamento di un contributo commisurato all’incidenza degli oneri di urbanizzazione, nonché al costo di costruzione. La natura giuridica del predetto contributo è quella di prestazione patrimoniale imposta, anche indipendentemente dall’utilità specifica del singolo concessionario, comunque tenuto a concorrere alla spesa pubblica per le infrastrutture che debbono accompagnare ogni nuovo insediamento edificatorio.
Il contributo per oneri di urbanizzazione è un corrispettivo di diritto pubblico, di natura non tributaria, posto a carico del costruttore a titolo di partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione in proporzione all’insieme dei benefici che la nuova costruzione ne ritrae.
Dalla natura di prestazione obbligatoriamente dovuta discende che il privato non può esimersi dal pagamento del contributo, e che l’amministrazione può riesaminare la pratica anche dopo il rilascio del titolo che abilita l’intervento edilizio: le vicende che coinvolgono il permesso di costruire si sviluppano in autonomia, senza interferire con le questioni che incidono su “an” e “quantum” dell’obbligazione pecuniaria. Per tale ragione l’amministrazione ha legittimamente fatto ricorso “ex post” al potere di autotutela, pochi mesi dopo l’emissione del titolo autorizzatorio e con largo anticipo rispetto al compimento del termine prescrizionale (di 10 anni).

Sia nell’attuale normativa che in quella pregressa (art. 16 del D.P.R. 380/2001 e artt. 3, 5, 6 della L. 10/1977) alle nuove edificazioni e agli altri interventi –comunque soggetti a titolo abilitativo– corrisponde il pagamento di un contributo commisurato all’incidenza degli oneri di urbanizzazione, nonché al costo di costruzione. La natura giuridica del predetto contributo è quella di prestazione patrimoniale imposta, anche indipendentemente dall’utilità specifica del singolo concessionario, comunque tenuto a concorrere alla spesa pubblica per le infrastrutture che debbono accompagnare ogni nuovo insediamento edificatorio (Consiglio di Stato, sez. VI – 25/08/2009 n. 5059).
Il contributo per oneri di urbanizzazione è un corrispettivo di diritto pubblico, di natura non tributaria, posto a carico del costruttore a titolo di partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione in proporzione all’insieme dei benefici che la nuova costruzione ne ritrae (cfr. per tutti TAR Puglia Bari, sez. III – 10/02/2011 n. 243).
Dalla natura di prestazione obbligatoriamente dovuta discende che il privato non può esimersi dal pagamento del contributo, e che l’amministrazione può riesaminare la pratica anche dopo il rilascio del titolo che abilita l’intervento edilizio: le vicende che coinvolgono il permesso di costruire si sviluppano in autonomia, senza interferire con le questioni che incidono su “an” e “quantum” dell’obbligazione pecuniaria. Per tale ragione l’amministrazione ha legittimamente fatto ricorso “ex post” al potere di autotutela, pochi mesi dopo l’emissione del titolo autorizzatorio e con largo anticipo rispetto al compimento del termine prescrizionale (di 10 anni) (TAR Marche – 31/01/2007 n. 8) (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 10.08.2012 n. 1446 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL’art. 9 della L. 10/1977 rubricato “Cessione gratuita” statuisce al comma 1 che il contributo di cui al precedente articolo 3 non è dovuto tra l’altro “per gli interventi di restauro, di risanamento conservativo, di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore al 20 per cento, di edifici unifamiliari” (lett. d).
Come appare evidente, l'esenzione dal pagamento dei contributi di cui si discute ha la funzione di agevolare i proprietari di alloggi unifamiliari, presumendo il legislatore che gli interventi sugli stessi non abbiano carattere di lucro, ma la sola funzione di migliorare le condizioni di abitabilità degli edifici medesimi, indipendentemente dalla loro dimensione.
La disposizione è diretta dunque a promuovere le opere di adeguamento dei manufatti alle necessità abitative del singolo nucleo familiare, circoscrivendone l’operatività agli interventi che non mutino sostanzialmente l’entità strutturale e la dimensione spaziale dell’immobile e non ne elevino (in modo apprezzabile) il valore economico.
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L’esenzione dal contributo di costruzione per il caso di interventi di ristrutturazione di edifici unifamiliari entro il limite di ampliamento del 20%, costituisce oggetto di una previsione di carattere eccezionale (applicabile in un ambito di stretta interpretazione ancorato ai parametri predefiniti dal legislatore): la ratio è di natura sociale ed è diretta sostanzialmente ad apprestare uno strumento di tutela e di salvaguardia alla piccola proprietà immobiliare per gli interventi funzionali all’adeguamento dell’immobile alle necessità abitative del nucleo familiare.
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Per edifici "unifamiliari" in mancanza di ulteriori specificazioni, sono da intendere quelli strutturalmente destinati all'uso "abitativo" di un "solo" nucleo familiare, indipendentemente dalle dimensioni dell’edificio stesso.

Con il motivo principale i ricorrenti si dolgono della violazione dell’art. 9, lett. f), della L. 10/1977, che esonera dal versamento del contributo gli interventi di ristrutturazione ed ampliamento degli edifici unifamiliari nella misura del 20%; a loro avviso infatti:
• la norma invocata, nell’indicare la percentuale di ampliamento, non fa riferimento né al volume né alle superfici;
• la relazione tecnica dell’Arch. Comencini dà conto dell’incremento volumetrico di 151,01 mc., inferiore al 20% dell’esistente;
• anche se si utilizza come parametro la superficie utile di calpestio ex art. 2 del DM 801/1977 l’intervento provoca un ampliamento del 19,1%;
• è stato inopinatamente creato un nuovo criterio ibrido che non trova alcun supporto normativo, facendosi riferimento alla superficie dei vani principali (con esclusione degli accessori) esistenti e di risultanza;
• non si registra alcuna variazione di destinazione d’uso all’interno di una stessa categoria.
La doglianza è priva di pregio.
L’art. 9 della L. 10/1977 rubricato “Cessione gratuita” statuisce al comma 1 che il contributo di cui al precedente articolo 3 non è dovuto tra l’altro “per gli interventi di restauro, di risanamento conservativo, di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore al 20 per cento, di edifici unifamiliari” (lett. d). Come appare evidente, l'esenzione dal pagamento dei contributi di cui si discute ha la funzione di agevolare i proprietari di alloggi unifamiliari, presumendo il legislatore che gli interventi sugli stessi non abbiano carattere di lucro, ma la sola funzione di migliorare le condizioni di abitabilità degli edifici medesimi, indipendentemente dalla loro dimensione (Consiglio di Stato, sez. IV – 11/10/2006 n. 6065). La disposizione è diretta dunque a promuovere le opere di adeguamento dei manufatti alle necessità abitative del singolo nucleo familiare, circoscrivendone l’operatività agli interventi che non mutino sostanzialmente l’entità strutturale e la dimensione spaziale dell’immobile e non ne elevino (in modo apprezzabile) il valore economico.
In linea generale, come già accennato al par. 1.2, la partecipazione del privato al costo delle opere di urbanizzazione è dovuta allorquando l’intervento determini un incremento del peso insediativo con un’oggettiva rivalutazione dell’immobile, sicché l'onerosità del permesso di costruire è funzionale a sopportare il carico socio economico che la realizzazione comporta sotto il profilo urbanistico. Alla luce di tale considerazione la giurisprudenza (cfr. TAR Campania Napoli, sez. VIII – 09/05/2012 n. 2136) ha statuito che l’esenzione dal contributo di costruzione per il caso di interventi di ristrutturazione di edifici unifamiliari entro il limite di ampliamento del 20%, costituisce oggetto di una previsione di carattere eccezionale (applicabile in un ambito di stretta interpretazione ancorato ai parametri predefiniti dal legislatore): la ratio è di natura sociale ed è diretta sostanzialmente ad apprestare uno strumento di tutela e di salvaguardia alla piccola proprietà immobiliare per gli interventi funzionali all’adeguamento dell’immobile alle necessità abitative del nucleo familiare.
I delineati presupposti non risultano sussistere nella fattispecie all’esame del Collegio. Dal raffronto tra stato di fatto e di progetto (cfr. doc. 6 Comune) emerge come la porzione di fabbricato effettivamente abitata sia interessata da un significativo incremento di volume (da 468,60 mc. a 747,90) e di superficie (da 111,69 mq. a 206,87), con l’intera soffitta che viene recuperata in piano abitabile con accesso autonomo dotato di 4 locali (2 camere da letto, 1 bagno e 1 guardaroba). Non è condivisibile l’impostazione dei ricorrenti laddove (per dimostrare la conformità al parametro normativo) prendono in esame il volume e la superficie dell’intero edificio, poiché lo spirito della norma (già descritto) è quello di incentivare i modesti interventi posti in essere dai nuclei unifamiliari: il carattere “unifamiliare” deve essere quindi mantenuto dopo l’ampliamento/ristrutturazione, mentre nella fattispecie è stata creata (come si evince anche dalla previsione di un accesso ad hoc) un’ulteriore autonoma unità abitativa, con conseguente mutamento della realtà strutturale e della fruibilità urbanistica dell’organismo edilizio oggetto di trasformazione.
In definitiva la disposizione invocata opera soltanto per gli edifici "unifamiliari" e, in mancanza di ulteriori specificazioni, tali sono quelli strutturalmente destinati all'uso "abitativo" di un "solo" nucleo familiare, indipendentemente dalle dimensioni dell’edificio stesso (TAR Marche – 31/01/2007 n. 8) (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 10.08.2012 n. 1446 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa questione dell'adeguatezza o meno della motivazione con cui il Comune ha esplicitato i criteri di calcolo applicati è destinata a risultare recessiva rispetto a quella della correttezza o meno di tali criteri: al riguardo, infatti, va richiamato il consolidato indirizzo giurisprudenziale secondo cui la determinazione degli oneri di urbanizzazione si correla a una precisa disciplina normativa, di modo che i provvedimenti applicativi di essa non richiedono di per sé alcuna puntuale motivazione allorché le scelte dell'Amministrazione si conformino a detti criteri.
La società ricorrente impugna la suddetta nota n. 1617 del 02.02.1993, deducendo , sotto un primo profilo, che la rideterminazione assunta dal Comune risulterebbe del tutto carente di motivazione circa la rinnovata qualificazione dell’intervento, essendosi l’amministrazione limitata ad asserire: “un supplemento di istruttoria ha dimostrato che la riduzione sugli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria era stata applicata erroneamente”.
Sul punto, è opportuno sottolineare come la questione dell'adeguatezza o meno della motivazione con cui il Comune ha esplicitato i criteri di calcolo applicati è destinata a risultare recessiva rispetto a quella della correttezza o meno di tali criteri: al riguardo, infatti, va richiamato il consolidato indirizzo giurisprudenziale secondo cui la determinazione degli oneri di urbanizzazione si correla a una precisa disciplina normativa, di modo che i provvedimenti applicativi di essa non richiedono di per sé alcuna puntuale motivazione allorché le scelte dell'Amministrazione si conformino a detti criteri (cfr. Cons. St., Sez. IV, 27.04.2012, n. 2471; Sez. V, 09.02.2001, nr. 584).
Nel caso che qui occupa, inoltre, il Comune ha esplicitato in corso di giudizio le ragioni che lo hanno indotto alla riqualificazione dell’intervento, sottolineando –senza incontrare in proposito specifica contestazione– che l’intervento ha comportato un diverso carico urbanistico, non solo quantitativo ma anche qualitativo, per la destinazione commerciale di parte dell’immobile. Ha quindi tratto da tale elemento un argomento decisivo per escludere la modesta entità e frammentarietà dell’intervento.
La delibera C. C. n. 75 del 14.07.1977 norme generali punto 2) prevede che “agli interventi caratterizzati da modesta entità o da frammentarietà come ad esempio gli ampliamenti, i completamenti, i restauri e le ristrutturazioni che non comportano carico aggiuntivo di popolazione, oltreché gli interventi singoli in zone (già dotate in tutto o in parte di urbanizzazione) si applica, per le opere di urbanizzazione primaria e secondaria, un contributo forfetario di un terzo del valore stimato in modo sintetico per le zone di espansione”.
Orbene, le deduzioni svolte dall’amministrazione consentono di escludere la sussistenza del requisito che giustifica l’applicazione del contributo in misura contingentata, ovvero l’invarianza del carico urbanistico.
Che tale fattore non sia rimasto immutato è circostanza riconosciuta anche dalla parte ricorrente (cfr. pag. 10 ricorso introduttivo).
D’altra parte, avendo ad oggetto il giudizio in corso l’accertamento negativo del diritto di credito azionato dal comune, incombe sull'attore l'onere di provare, ai sensi dell'art. 2697 c.c., i fatti costituenti il fondamento della pretesa azionata (cfr. TAR Latina Lazio sez. I, 04.07.2007, n. 477).
Nell'ambito di siffatto giudizio di accertamento, in cui le posizioni possedute ed azionate hanno consistenza di diritto soggettivo, il giudice dispone di soli poteri acquisitivi e non dispositivi; sicché, egli non può sostituirsi alle parti ricercando e/o allegando lui le prove dei fatti su cui è stato fondato il diritto azionato. Grava sull'interessato l'onere di comprovare le ragioni fondanti i fatti da lui allegati; il giudice, dal suo canto, potrà solo avvalersi di mezzi ausiliari (c.t.u., verificazioni) utili al fine della valutazione di elementi probatori già acquisiti o della soluzione di questioni che comportino specifiche conoscenze tecniche che vanno oltre il senso comune.
Alla luce dei principi enunciati, non essendo stato allegato nessun elemento di prova dei presupposti della riduzione degli oneri, in conseguenza del carattere modesto dell’intervento edilizio, la determinazione assunta dal Comune sul punto non appare censurabile.
Sotto questo primo profilo, il ricorso non può trovare accoglimento (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 03.08.2012 n. 971 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATADevesi ritenere legittima la condotta dell'amministrazione che, valutando la tipologia di lavori edilizi posti in essere, ritenga di qualificare ed istruire come istanza di concessione in sanatoria (art. 13 l. 28.02.1985 n. 47) la domanda formalmente presentata come concessione in variante ai sensi dell'art. 15 l. n. 47/1985.
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L'entità del contributo per oneri di urbanizzazione deve essere individuata con riferimento al momento in cui viene rilasciata la concessione edilizia in sanatoria e in cui, quindi, sorge l'obbligazione.

La ricorrente contesta l’atto impugnato anche con riguardo alla determinazione degli oneri dovuti in relazione alla variante del 22.11.1988.
La censura si fonda sull’asserita irrazionalità della determinazione –che quantifica l’oblazione prevista dall’art. 13 L. 47/1985- in quanto afferente a vicenda non ancora conclusa, per non essere stato presentato il progetto di sanatoria e per non essere stati acquisiti tutti gli elementi necessari ad una completa rappresentazione delle opere realizzate.
La stessa nota n. 1617 del 02.02.1993 contiene l’espressa riserva di “rideterminare gli oneri stessi in base al progetto di sanatoria che dovrà essere presentato”.
Sussisterebbe, pertanto, assoluta incertezza circa l’entità effettiva dell’oblazione e il titolo della richiesta avanzata in tal senso dal Comune.
Dalle difese della parte resistente si ricava che il Comune, sul presupposto -non contestato- che le opere eseguite in variante sono abusive, perché prive di concessione, ha inteso valutare ed esaminare la domanda di variante “a titolo di sanatoria”.
Della menzionata riqualificazione la ricorrente non ha interesse a dolersi. Si tratta, peraltro, di procedura ammissibile, dovendosi ritenere legittima la condotta dell'amministrazione che, valutando la tipologia di lavori edilizi posti in essere, ritenga di qualificare ed istruire come istanza di concessione in sanatoria (art. 13 l. 28.02.1985 n. 47) la domanda formalmente presentata come concessione in variante ai sensi dell'art. 15 l. n. 47/1985 (cfr. TAR Toscana Sez. III, 07-11-1998, n. 374).
Nondimeno, il contenuto dell’atto impugnato appare sul punto non adeguatamente motivato, in quanto recante conteggi non supportati da alcun dato oggettivo di riferimento e da alcuna tavola progettuale, alla cui successiva acquisizione si riserva la rideterminazione degli oneri stessi: nella nota è infatti precisato che: “le somme riferite alla variante potranno essere rideterminate in base al progetto di sanatoria che dovrà essere presentato dalla società AL.E.RO.”.
L’iter seguito dal Comune, poi, non appare in linea con le disposizioni normative vigenti in materia, stando alle quali l’intervento del Comune, ai fini della determinazione in via definitiva del relativo importo, fa seguito alla disamina della domanda di concessione o di autorizzazione e ai necessari correlati accertamenti. Solo all’esito degli stessi, il sindaco “determina in via definitiva l'importo dell'oblazione e rilascia, salvo in ogni caso il disposto dell'articolo 37, la concessione o l'autorizzazione in sanatoria” (art. 35 L. 47/1985).
Analogo principio è sinteticamente espresso dall’art. 13, comma 3, L. 47/1985, ove si dispone che “il rilascio della concessione in sanatoria è subordinato al pagamento, a titolo di oblazione, del contributo di concessione in misura doppia...”.
L’interpretazione che la giurisprudenza fornisce di tali disposizioni è nel senso che l'entità del contributo per oneri di urbanizzazione deve essere individuata con riferimento al momento in cui viene rilasciata la concessione edilizia in sanatoria e in cui, quindi, sorge l'obbligazione (TAR Lazio sez. II, 04.05.2011, n. 3854; Tar Lazio, sez. II-ter, n. 1059 del 2009; Cons. Stato, Sez. V, 26.03.2003, n. 1564).
L’amministrazione è quindi tenuta ad effettuare adeguati accertamenti istruttori sulla pratica di sanatoria, a determinarsi sulla stessa e a riformulare, alla luce del relativo esito, il conteggio degli oneri dovuti ai sensi dell’art. 13 L. 47/1985 (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 03.08.2012 n. 971 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il rilascio della concessione edilizia si configura come fatto costitutivo dell’obbligo giuridico del concessionario di corrispondere il relativo contributo per oneri di urbanizzazione, ossia per gli oneri affrontati dall’ente locale per le opere indispensabili affinché l’area acquisti attitudine al recepimento dell’insediamento del tipo assentito e per le quali l’area acquista un beneficio economicamente rilevante, da calcolarsi secondo i parametri vigenti a tale momento; il contributo per oneri di urbanizzazione è quindi dovuto per il solo rilascio della concessione, senza che neanche rilevi, ad esclusione dell’obbligo, la già intervenuta realizzazione di opere di urbanizzazione.
Il contributo per il rilascio del permesso di costruire ha natura di prestazione patrimoniale imposta, di carattere non tributario, ed ha carattere generale, prescindendo totalmente o meno delle singole opere di urbanizzazione, venendo altresì determinato indipendentemente sia dall’utilità che il concessionario ritrae dal titolo edificatorio, sia dalle spese effettivamente occorrenti per realizzare dette opere.
Ne discende che, attesa la natura non sinallagmatica e il regime interamente pubblicistico che connota il contributo de quo, la sua disciplina vincola anche il giudice, al quale è impedito di configurare autonomamente ipotesi di non debenza della specifica prestazione patrimoniale diverse da quelle autoritativamente individuate dal legislatore.

Ed invero, ai sensi dell’art. 1 della legge 28.01.1977, nr. 10 (e, oggi, dell’art. 16 del d.P.R. 06.06.2001, nr. 380), il rilascio della concessione edilizia si configura come fatto costitutivo dell’obbligo giuridico del concessionario di corrispondere il relativo contributo per oneri di urbanizzazione, ossia per gli oneri affrontati dall’ente locale per le opere indispensabili affinché l’area acquisti attitudine al recepimento dell’insediamento del tipo assentito e per le quali l’area acquista un beneficio economicamente rilevante, da calcolarsi secondo i parametri vigenti a tale momento; il contributo per oneri di urbanizzazione è quindi dovuto per il solo rilascio della concessione, senza che neanche rilevi, ad esclusione dell’obbligo, la già intervenuta realizzazione di opere di urbanizzazione (cfr. Cons. Stato, sez. V, 22.02.2011, nr. 1108; Cons. Stato, sez. IV, 24.12.2009, nr. 8757).
Per altrettanto pacifica giurisprudenza, il contributo per il rilascio del permesso di costruire ha natura di prestazione patrimoniale imposta, di carattere non tributario, ed ha carattere generale, prescindendo totalmente o meno delle singole opere di urbanizzazione, venendo altresì determinato indipendentemente sia dall’utilità che il concessionario ritrae dal titolo edificatorio, sia dalle spese effettivamente occorrenti per realizzare dette opere (cfr. Cons. Stato, sez. V, 15.12.2005, nr. 7140; id., 06.05.1997, nr. 462).
Ne discende che, attesa la natura non sinallagmatica e il regime interamente pubblicistico che connota il contributo de quo, la sua disciplina vincola anche il giudice, al quale è impedito di configurare autonomamente ipotesi di non debenza della specifica prestazione patrimoniale diverse da quelle autoritativamente individuate dal legislatore (cfr. Cons. Stato, sez. V, 20.04.2009, nr. 2359) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 30.07.2012 n. 4320 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL’art. 17, co. 3, lett. b), del d.P.R. 380/2001 stabilisce che il contributo di costruzione non è dovuto "per gli interventi di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore al 20%, di edifici unifamiliari”.
La norma in questione non stabilisce le caratteristiche dell’edificio unifamiliare, per cui la giurisprudenza è unanime nell'affermare che la ratio di tale disposizione è quella di favorire l'edificio unifamiliare in quanto tale ossia come immobile destinato ad un solo nucleo familiare, situazione ritenuta dal legislatore meritevole, per gli interventi di ristrutturazione, di un trattamento economico differenziato rispetto alle altre tipologie edilizie.
Pertanto, per fruire dell'esenzione, stando alla lettera della norma l'immobile deve essere in toto destinato ad esclusiva residenza abitativa di un unico nucleo familiare.
La giurisprudenza ha anche precisato che, ai fini dell'esonero dall'obbligo contributivo, la destinazione ad esclusiva residenza abitativa di un solo nucleo familiare deve preesistere rispetto all'intervento di ristrutturazione, e deve permanere anche dopo tale intervento: il manufatto oggetto dell'intervento deve essere, inoltre, ante opera, unifamiliare.
La circostanza che l’immobile sia stato reso unifamiliare pressoché coevamente alla richiesta di ampliamento e ristrutturazione, e che il Comune ritiene operazione in frode alla legge, non è tale per il Collegio, in quanto ciò che rileva ai fini dell’applicazione della norma in questione non è, come ritiene il Comune intimato, che l’immobile sia nato come edificio unifamiliare quanto che lo sia al momento in cui viene richiesto il beneficio previsto dalla norma che esenta dal pagamento degli oneri concessori.

Il ricorso, come chiarito in fatto, verte sull’applicazione dell’art. 17, co. 3, lett. b), del d.P.R. 380/2001, norma che stabilisce che il contributo di costruzione non è dovuto "per gli interventi di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore al 20%, di edifici unifamiliari”.
La ricorrente, che si è assoggetta al pagamento degli oneri con riserva di ripetizione, assume, infatti, di trovarsi nella condizione di fatto e di diritto per beneficiare di detta norma, mentre l’amministrazione nega tale diritto ritenendo che nella specie difetterebbe il requisito /presupposto della unifamiliarità dell’edificio, posto che per tali devono intendersi gli edifici non solo funzionalmente ma anche strutturalmente unifamiliari, ossia tali ab origine e non per effetto dell’intervento programmato.
Intervento nella specie identificabile con l’operazione complessa costituita, secondo l’amministrazione, dall’artificiosa scissione di un unico titolo in due distinti e pressoché contestuali titoli edilizi.
L’edificio in questione, infatti, in origine composto da due unità abitative è stato reso dapprima unifamiliare e poi, senza soluzione di continuità, ampliato e ristrutturato, al fine di eludere la norma che regola l’onerosità del titolo edilizio.
Il Collegio non ritiene tuttavia che la tesi del Comune meriti di essere condivisa, per le ragioni che seguono.
La norma in questione, innanzitutto, non stabilisce le caratteristiche dell’edificio unifamiliare, per cui la giurisprudenza è unanime nell'affermare che la ratio di tale disposizione è quella di favorire l'edificio unifamiliare in quanto tale ossia come immobile destinato ad un solo nucleo familiare, situazione ritenuta dal legislatore meritevole, per gli interventi di ristrutturazione, di un trattamento economico differenziato rispetto alle altre tipologie edilizie (Tar Lombardia, sez. II, 10.10.1996 n. 1480).
Pertanto, per fruire dell'esenzione, stando alla lettera della norma l'immobile deve essere in toto destinato ad esclusiva residenza abitativa di un unico nucleo familiare (Tar Lombardia, Brescia, 27.08.2004 n. 939).
La giurisprudenza ha anche precisato che, ai fini dell'esonero dall'obbligo contributivo, la destinazione ad esclusiva residenza abitativa di un solo nucleo familiare deve preesistere rispetto all'intervento di ristrutturazione, e deve permanere anche dopo tale intervento: il manufatto oggetto dell'intervento deve essere, inoltre, ante opera, unifamiliare (Tar Marche, 12.02.1998 n. 250).
Ebbene, nel caso di specie tali presupposti ricorrevano tutti in favore della richiedente, poiché prima dell’intervento di ampliamento e ristrutturazione l’immobile era stato reso unifamiliare in forza della d.i.a. del 22.01.2008, con cui era stata attuata l’aggregazione delle due preesistenti unità immobiliari e creato l’edificio unifamiliare destinato alla residenza della ricorrente, che all’uopo ha provveduto alle necessarie variazioni catastali e, come sopra rilevato, al contestuale trasferimento della propria residenza.
L’assunto del Comune, che tale intervento, in quanto realizzato attraverso l’artificio della scissione, pressoché contestuale, dell’unica autorizzazione edilizia in due distinti titoli edilizi, deve ritenersi elusivo della legge (nella specie dell’art. 17, comma 3, lett. b), del d.P.R. 380/2001) e quindi inidoneo ad avvalersi del relativo beneficio è destituito di giuridico fondamento.
La tesi del comune di Casciago sarebbe, infatti condivisibile se il legislatore avesse dato una definizione di edificio unifamiliare basata su elementi oggettivi (limite di superficie o di volume o di vani o di quant’altro possa definire oggettivamente il concetto di piccola proprietà, escludendo tipologie di lusso o comunque immobili di grandi dimensioni) e tale non fosse, perché eccedente detti limiti, l’immobile della ricorrente, posto che altrimenti per unifamiliare deve intendersi l’immobile catastalmente allibrato come unica unità immobiliare destinata alla residenza di un solo nucleo familiare.
Ogni altra distinzione, compresa quella della destinazione “strutturale” che il Comune intimato pretende di applicare alla fattispecie, senza spiegare quali concreti elementi l’immobile debba possedere per appartenere a tale categoria, è, infatti, non solo arbitraria ma, proprio perché indefinita nei suoi elementi costitutivi, inapplicabile a fattispecie concrete.
La circostanza che l’immobile sia stato reso unifamiliare pressoché coevamente alla richiesta di ampliamento e ristrutturazione, e che il Comune ritiene operazione in frode alla legge, non è tale per il Collegio, in quanto ciò che rileva ai fini dell’applicazione della norma in questione non è, come ritiene il Comune intimato, che l’immobile sia nato come edificio unifamiliare quanto che lo sia al momento in cui viene richiesto il beneficio previsto dalla norma che esenta dal pagamento degli oneri concessori.
E questa situazione di fatto e di diritto sussisteva, nella specie, proprio sulla base di un intervento non solo edilizio ma anche catastale e di modifica della residenza che la ricorrente aveva posto in essere prima di avviare l’intervento di cui alla d.i.a. del 22.01.2008 (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 24.07.2012 n. 2070 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Oneri di urbanizzazione.
Il beneficio dell’esonero dalla corresponsione del contributo concessorio afferente ai costi di costruzione ed urbanizzazione, previsto per gli immobili nei quali si svolge attività industriale dall’art. 10, comma 1, della Legge n. 10/1977, concerne strettamente i fabbricati complementari ed asserviti alle esigenze proprie di un impianto industriale e non già quegli edifici che non sono di per sé destinati alla produzione di beni industriali, ovvero quelle opere edilizie comunque suscettibili di essere utilizzate al servizio di qualsiasi attività economica.
È, pertanto, da escludere l’applicabilità del trattamento contributivo di favore a magazzini per deposito e commercio ove non siano “collegati ad altro stabile adibito alla attività produttiva”.
Conclusivamente, il beneficio dell’esonero dalla corresponsione del contributo così come previsto dall’art. 10, comma 1, della Legge n. 10/1977 per gli immobili nei quali si svolge attività industriale, concerne solo e soltanto i fabbricati complementari e/o asserviti alle esigenze proprie di un impianto industriale o artigianale e non quegli edifici privi di tale nesso sostanziale e suscettibili di essere utilizzati al servizio di qualsiasi attività economica.
Comunque, grava esclusivamente sull’interessato l’onere della dimostrazione dell’esistenza del nesso di complementarietà delle opere da costruire con le esigenze proprie di un impianto industriale.

Invero, l’art. 10, comma 1, della Legge n. 10/1977 (ora art. 19 del T.U. dell’edilizia) dispone espressamente al primo comma che: “Il permesso di costruire relativo a costruzioni o impianti destinati ad attività industriali o artigianali dirette alla trasformazione di beni ed alla prestazione di servizi comporta la corresponsione di un contributo pari alla incidenza delle opere di urbanizzazione (…)”.
La predetta disposizione pone oggettivamente il problema della corretta individuazione degli impianti o costruzioni riconducibili alla attività industriale o artigianale, in quanto la terminologia utilizzata dal legislatore richiama espressamente la prestazione di servizi e non solo la trasformazione di beni, quest’ultima tipicamente caratterizzante il settore produttivo.
Così, potrebbe ipotizzarsi che un’attività volta esclusivamente ad una prestazione di servizi a terzi, pur scollegata da qualsivoglia attività industriale o artigianale diretta alla trasformazione di beni, rientri nel trattamento contributivo di maggior favore previsto dalla richiamata norma, come prospettato dall’appellante.
Ritiene il Collegio che una siffatta opzione ermeneutica non sia sostenibile.
La norma, infatti, appare oggettivamente orientata a distinguere i due trattamenti contributivi in ragione delle attività svolte.
Ed in questo senso vengono espressamente individuate e distinte le attività industriali o artigianali da quelle turistiche, commerciali e direzionali.
Ne consegue che l’elemento discriminante tra i due regimi contributivi è direttamente incentrato, in principalità, sulla tipologia di attività economica svolta, da cui non può comunque prescindersi ai fini dell’applicazione della norma.
Pertanto, l’applicazione del regime contributivo di maggior favore deve essere necessariamente riconosciuta solo in presenza di un’ attività industriale o artigianale, ovvero di un’ attività ad essa comunque collegata da un nesso di stretta funzionalità o complementarietà.
In questo senso, del resto, si è già espressa più volte la giurisprudenza della Sezione, precisando che il beneficio dell’esonero dalla corresponsione del contributo concessorio afferente ai costi di costruzione ed urbanizzazione, previsto per gli immobili nei quali si svolge attività industriale dall’art. 10, comma 1, della Legge n. 10/1977, concerne strettamente i fabbricati complementari ed asserviti alle esigenze proprie di un impianto industriale e non già quegli edifici che non sono di per sé destinati alla produzione di beni industriali, ovvero quelle opere edilizie comunque suscettibili di essere utilizzate al servizio di qualsiasi attività economica (cfr. decisioni 21.10.1998, n. 1512; 05.09.1995, n. 1266; 13.07.1994, n. 752).
È, pertanto, da escludere l’applicabilità del trattamento contributivo di favore a magazzini per deposito e commercio ove non siano “collegati ad altro stabile adibito alla attività produttiva” (cfr. Cons. Stato, sez. V, 13.07.1994, n. 752).
Conclusivamente, il beneficio dell’esonero dalla corresponsione del contributo così come previsto dall’art. 10, comma 1, della Legge n. 10/1977 per gli immobili nei quali si svolge attività industriale, concerne solo e soltanto i fabbricati complementari e/o asserviti alle esigenze proprie di un impianto industriale o artigianale e non quegli edifici privi di tale nesso sostanziale e suscettibili di essere utilizzati al servizio di qualsiasi attività economica.
Tanto premesso in via di principio, osserva il Collegio come nel caso di specie l’immobile considerato non sia affatto complementare o comunque strettamente connesso ad uno stabilimento industriale o artigianale. Invero, l’attività economica svolta nel deposito per cui è causa, consistente nell’immagazzinamento, conservazione, movimentazione e deposito di merci e materiali a favore di terzi, non risulta oggettivamente complementare ad un ciclo produttivo di uno specifico impianto industriale o artigianale.
Riprova ne è il fatto che l’appellante, non solo non dimostra minimamente un qualsiasi collegamento tra il deposito per cui è causa ed un’attività industriale o artigianale, ma addirittura riconosce che la società “non svolge alcuna attività complementare”, bensì “un'unica attività corrispondente al suo precipuo ed esclusivo oggetto sociale” che, come emerge dalla visura depositata in giudizio, consiste nel deposito, conservazione, preparazione, movimentazione fisica, distribuzione e trasporto di merci.
E sul punto, la giurisprudenza della Sezione ha già avuto modo di precisare che grava esclusivamente sull’interessato l’onere della dimostrazione dell’esistenza del nesso di complementarietà delle opere da costruire con le esigenze proprie di un impianto industriale (cfr. decisione n. 1266 del 05.09.1995).
Ne consegue che l’immobile per cui è causa non può essere soggetto al regime contributivo agevolato previsto dall’art. 10, comma 1, della L. n. 10/1977, come correttamente ritenuto dall’Amministrazione comunale resistente (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 19.06.2012 n. 3561 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl Collegio ritiene di aderire all’orientamento giurisprudenziale secondo il quale sia gli oneri di urbanizzazione che il costo di costruzione gravanti sul titolare di una concessione edilizia abbiano natura giuridica di corrispettivi di diritto pubblico, e vadano, quindi, inquadrati nell’ambito delle prestazioni patrimoniali imposte, con la conseguenza che non può prescindersi da un’espressa previsione di legge.
Ciò comporta che, “non offrendo la legge, che ne disciplina il regime, alcun indicatore normativo speciale che faccia ritenere comunque applicabile la disciplina civilistica della solidarietà derivante dalla fattispecie dell’accollo, la parte cedente che non ha iniziato l’edificazione e quindi non abbia realizzato, neppure in minima parte, la costruzione degli edifici, viene a trovarsi liberata, in virtù della voltura del titolo edilizio, dall’obbligo di corrispondere gli oneri di concessione ed il contributo di costruzione di cui alla L. n. 10 del 1977, non essendosi verificato il presupposto di esigibilità del credito pubblico, ovvero la materiale trasformazione urbanistica del territorio”.
Laddove, invece, il presupposto di esigibilità del credito, ossia l’edificazione, abbia avuto consistenza in capo al dante causa ed al cessionario, sia il dante causa che il cessionario sono solidarmente tenuti nei confronti dell’amministrazione al pagamento degli oneri concessori, in quanto, in tal caso, l’identico fenomeno urbanistico ed edilizio ha tratto origine da due coautori.

... va rilevato che il problema da affrontare è se la voltura dell’originario permesso di costruire implichi che il dante causa del titolo edificatorio non sia più tenuto al pagamento degli oneri concessori.
Sull’argomento, la giurisprudenza è divisa e non sussiste un univoco orientamento.
Il Collegio ritiene di aderire all’orientamento giurisprudenziale secondo il quale sia gli oneri di urbanizzazione che il costo di costruzione gravanti sul titolare di una concessione edilizia abbiano natura giuridica di corrispettivi di diritto pubblico, e vadano, quindi, inquadrati nell’ambito delle prestazioni patrimoniali imposte, con la conseguenza che non può prescindersi da un’espressa previsione di legge.
Ciò comporta che, “non offrendo la legge, che ne disciplina il regime, alcun indicatore normativo speciale che faccia ritenere comunque applicabile la disciplina civilistica della solidarietà derivante dalla fattispecie dell’accollo, la parte cedente che non ha iniziato l’edificazione e quindi non abbia realizzato, neppure in minima parte, la costruzione degli edifici, viene a trovarsi liberata, in virtù della voltura del titolo edilizio, dall’obbligo di corrispondere gli oneri di concessione ed il contributo di costruzione di cui alla L. n. 10 del 1977, non essendosi verificato il presupposto di esigibilità del credito pubblico, ovvero la materiale trasformazione urbanistica del territorio” (Cons. Giust. Amm. Sic., 13.10.2011, n. 666).
Laddove, invece, il presupposto di esigibilità del credito, ossia l’edificazione, abbia avuto consistenza in capo al dante causa ed al cessionario, sia il dante causa che il cessionario sono solidarmente tenuti nei confronti dell’amministrazione al pagamento degli oneri concessori, in quanto, in tal caso, l’identico fenomeno urbanistico ed edilizio ha tratto origine da due coautori (cfr., TAR Sicilia, Catania, sez. I, 26.03.2009, n. 602) (TAR Toscana, Sez. III, sentenza 12.06.2012 n. 1126 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il fatto costitutivo dell'obbligo giuridico del titolare della concessione edilizia di versare il contributo previsto è rappresentato dal rilascio della concessione medesima ed è a tale momento, quindi, che occorre aver riguardo per la determinazione dell'entità del contributo, risultando irrilevante, a tal fine, la precedente espressione del parere della commissione edilizia.
La vicenda contenziosa concerne la determinazione degli oneri concessori a fronte di un sensibile ritardo dell’amministrazione nel rilascio della concessione edilizia.
La domanda di tutela è stata introdotta molto tempo prima delle note vicende -prima giurisprudenziali, e poi normative- che hanno condotto alla risarcibilità degli interessi legittimi, e sì è concretizzata in una domanda di annullamento (parziale) e di condanna dell’amministrazione alla restituzione di somme indebitamente corrisposte, in forza del principio –affermato nella domanda– che gli oneri concessori debbano calcolarsi al momento del favorevole esame del progetto da parte della Commissione edilizia e non a quello del (tardivo) rilascio della concessione, vieppiù ove di rilevi un comportamento dell’amministrazione scientemente preordinato a lucrare l’esponenziale incremento nel tempo degli oneri concessori.
In tali termini inquadrata, il giudice di prime cure, correttamente, ha respinto la domanda.
La Sezione ha già avuto modo di chiarire, alla luce del disposto normativo di cui all’art. 11 della legge 10/1977, che il fatto costitutivo dell'obbligo giuridico del titolare della concessione edilizia di versare il contributo previsto è rappresentato dal rilascio della concessione medesima ed è a tale momento, quindi, che occorre aver riguardo per la determinazione dell'entità del contributo, risultando irrilevante, a tal fine, la precedente espressione del parere della commissione edilizia (Cfr. sez. IV, 25/06/2010, n. 4109).
Ciò è di per se sufficiente ad escludere l’illegittimità dell’azione amministrativa, finanche ove sia provata la sussistenza di un colposo ritardo nell’emanazione della concessione.
Altra cosa è la liceità dell’inerzia procedimentale che si assume serbata dall’amministrazione. E’ ben possibile che episodi di ingiustificata lentezza, di aggravio procedimentale o di inefficienza abbiano dilatato oltre modo i tempi di rilascio della concessione, determinando l’esponenziale crescita degli oneri gravanti sull’istante, ma tale comportamento, ove sussistente, può essere vagliato dal giudice amministrativo solo a fronte dell’esperimento di un’azione risarcitoria, nel rispetto dei termini e delle modalità che per la sua introduzione l’ordinamento pretende.
Nel caso di specie, come condivisibilmente sottolineato dal giudice di prime cure, un’azione risarcitoria non è stata proposta, neanche a seguito delle sopravvenienze normative che ne hanno cristallizzato l’esperibilità.
Né può procedersi alla valutazione dei profili colposi della condotta della P.A. ai fini di una eventuale e futura azione risarcitoria –come pure sollecitato dall’appellante– poiché si tratterebbe in ogni caso di un accertamento che esula dalle domande ritualmente poste nel giudizio, tese invece a stigmatizzare l’illegittimità della quantificazione ai fini della ripetizione dell’indebito (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 07.06.2012 n. 3379 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Le controversie inerenti la contestazione degli oneri di urbanizzazione, solo qualora non vengano dedotte censure derivanti da atti generali autoritativi di determinazione degli oneri presupposti di quello impugnato, attengono a posizioni di diritto soggettivo azionabili innanzi al G.A. in sede di giurisdizione esclusiva nel termine di prescrizione.
Pertanto, quando si intenda contestare l’applicazione del contributo per vizi derivanti da atti autoritativi generali, presupposti di quello impugnato, in relazione ai quali la posizione dell’interessato è qualificabile di interesse legittimo, perché il motivo dedotto è l’illegittimità dell’assoggettamento, anche nel quantum, all’onere di urbanizzazione di una concessione edilizia, il ricorso deve essere proposto entro il termine di decadenza.

Come correttamente ritenuto dai giudici di prime cure, la deliberazione n. 58/1992 del Consiglio comunale di Sarzana è da considerarsi un atto autoritativo e, come tale, soggetto all’ordinario termine di decadenza ai fini della sua impugnazione.
Le controversie inerenti la contestazione degli oneri di urbanizzazione, solo qualora non vengano dedotte censure derivanti da atti generali autoritativi di determinazione degli oneri presupposti di quello impugnato, attengono a posizioni di diritto soggettivo azionabili innanzi al G.A. in sede di giurisdizione esclusiva nel termine di prescrizione.
Pertanto, quando si intenda contestare l’applicazione del contributo per vizi derivanti da atti autoritativi generali, presupposti di quello impugnato, in relazione ai quali la posizione dell’interessato è qualificabile di interesse legittimo, perché il motivo dedotto è l’illegittimità dell’assoggettamento, anche nel quantum, all’onere di urbanizzazione di una concessione edilizia, il ricorso deve essere proposto entro il termine di decadenza.
Nella specie l’impugnativa, laddove è stata proposta in relazione al fatto che la determinazione degli oneri concessori avrebbe fatto seguito alla illegittimità della deliberazione comunale, recante i criteri di definizione degli oneri stessi, avrebbe dovuto essere proposta nel prescritto termine decadenziale (Consiglio di Stato, Sez. V, 03.05.2006, n. 2463)
E altresì da considerare che l’eventuale disapplicazione della delibera comunale avrebbe comportato una violazione di principi di rango costituzionale, in quanto avrebbe minato “la certezza dell’azione amministrativa, esponendola per un lasso di tempo decennale alla impugnazione di atti autoritativi e creando disparità di trattamento in situazioni identiche” (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 28.05.2012 n. 3122 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La mancata quantificazione del contributo di urbanizzazione non costituisce un requisito di legittimità del titolo edilizio, in quanto il procedimento di determinazione del contributo di urbanizzazione è diverso e autonomo rispetto al procedimento di rilascio del titolo edilizio, sia perché persegue finalità sue proprie, sia perché si conclude con un provvedimento diverso da quello concessivo del titolo a costruire, che è autonomamente impugnabile e suscettivo di annullamento senza ripercussioni sulla concessione.
Secondo condivisibile indirizzo pretorio, la mancata quantificazione del contributo di urbanizzazione non costituisce un requisito di legittimità del titolo edilizio, in quanto il procedimento di determinazione del contributo di urbanizzazione è diverso e autonomo rispetto al procedimento di rilascio del titolo edilizio, sia perché persegue finalità sue proprie, sia perché si conclude con un provvedimento diverso da quello concessivo del titolo a costruire, che è autonomamente impugnabile e suscettivo di annullamento senza ripercussioni sulla concessione (Consiglio di Stato, Sez. IV, 21.04.2009 n. 2438 e 31.01.1995 n. 37) (TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, sentenza 23.05.2012 n. 2400 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl generale principio di correlare gli oneri di urbanizzazione al carico urbanistico, la ristrutturazione edilizia comporta tale dovere allorché sussista tale carico, che va riscontrato anche in caso di divisione e frazionamento di immobile che da uno si trasforma in due unità, con distinti ingressi e servizi.
Anche in tale ipotesi, consistente nella divisione e frazionamento di una unità immobiliare in due o più unità, stante l’autonoma utilizzabilità delle stesse, si realizza un aumento dell’impatto sul territorio e sono dovuti i relativi oneri.
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Ai fini dell'insorgenza dell'obbligo di corresponsione degli oneri concessori, è rilevante il verificarsi di un maggior carico urbanistico quale effetto dell'intervento edilizio, sicché non è neanche necessario che la ristrutturazione interessi globalmente l'edificio -con variazioni riguardanti nella loro interezza le parti esterne ed interne del fabbricato- ma è soltanto sufficiente che ne risulti comunque mutata la realtà strutturale e la fruibilità urbanistica, con oneri conseguentemente riferiti all'oggettiva rivalutazione dell'immobile e funzionali a sopportare l'aggiuntivo carico «socio-economico» che l'attività edilizia comporta, anche quando l'incremento dell'impatto sul territorio consegua solo a marginali lavori dovuti ad una divisione o frazionamento dell'immobile in due unità o fra due o più proprietari

La giurisprudenza di questo Consesso ha già chiarito che il generale principio di correlare gli oneri di urbanizzazione al carico urbanistico, la ristrutturazione edilizia comporta tale dovere allorché sussista tale carico, che va riscontrato anche in caso di divisione e frazionamento di immobile che da uno si trasforma in due unità, con distinti ingressi e servizi (così Consiglio di Stato, IV, 29.04.2004, n. 2611; per esempio, nel senso che in caso di mutamento di destinazione d'uso siano dovuti gli oneri concessori, Consiglio Stato, sez. IV, 28.07.2005, n. 4014).
Anche in tale ipotesi, consistente nella divisione e frazionamento di una unità immobiliare in due o più unità, stante l’autonoma utilizzabilità delle stesse, si realizza un aumento dell’impatto sul territorio e sono dovuti i relativi oneri.
D’altronde, che i lavori realizzati abbiano prodotto due distinte e, come tali, fruibili, unità immobiliari costituisce ammissione della stessa parte appellante.
Ai fini dell'insorgenza dell'obbligo di corresponsione degli oneri concessori, è rilevante il verificarsi di un maggior carico urbanistico quale effetto dell'intervento edilizio, sicché non è neanche necessario che la ristrutturazione interessi globalmente l'edificio -con variazioni riguardanti nella loro interezza le parti esterne ed interne del fabbricato- ma è soltanto sufficiente che ne risulti comunque mutata la realtà strutturale e la fruibilità urbanistica, con oneri conseguentemente riferiti all'oggettiva rivalutazione dell'immobile e funzionali a sopportare l'aggiuntivo carico «socio-economico» che l'attività edilizia comporta, anche quando l'incremento dell'impatto sul territorio consegua solo a marginali lavori dovuti ad una divisione o frazionamento dell'immobile in due unità o fra due o più proprietari (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 17.05.2012 n. 2838 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALe controversie in tema di oneri di urbanizzazione e di costo di costruzione introducono un giudizio su un rapporto prescindendo dalla impugnazione di atti. Ed infatti tutte le controversie, concernenti l’an e il quantum delle somme dovute a titolo di contributo in dipendenza di norme di legge e regolamentari, attengono a diritti soggettivi azionabili nei termini di prescrizione; pertanto alcuna acquiescenza può opporsi in materia di diritti soggettivi patrimoniali, il cui versamento, ove non dovuto, è suscettibile in ogni caso di legittimare un’azione di ripetizione dell’indebito oggettivo ai sensi dell’art. 2041 cod. civ..
L’amministrazione, nella determinazione delle somme dovute a titolo di contributo non esercita poteri autoritativi discrezionali ma compie attività di mero accertamento della fattispecie in base ai parametri fissati da leggi e da regolamenti. Le relative controversie, dunque, rientrano nella categoria di quelle aventi ad oggetto atti paritetici, inerenti diritti soggettivi e non sono sottoposte ai termini decadenziali propri dei giudizi impugnatori.
Inoltre, le controversie concernenti la determinazione, liquidazione e corresponsione degli oneri concessori già devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi dell'art. 16 l. 28.01.1977 n. 10, abrogato a seguito dell’entrata in vigore del D.Lgs. 104/2010, rientrano oggi nella previsione dell’art. 133, lett. f), del codice del processo amministrativo secondo cui sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, tra l'altro: "le controversie aventi ad oggetto gli atti e i provvedimenti delle pubbliche amministrazioni in materia urbanistica e edilizia, concernente tutti gli aspetti dell'uso del territorio".
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La partecipazione del privato al costo delle opere di urbanizzazione è dovuta allorquando l’intervento determini un incremento del peso insediativo con un’oggettiva rivalutazione dell’immobile, sicché l’onerosità del permesso di costruire è funzionale a sopportare il carico socio economico che la realizzazione comporta sotto il profilo urbanistico.
Tale principio opera ed è valevole anche per gli interventi di ristrutturazione che comportino un aumento del carico urbanistico di zona, sicché la giurisprudenza ha ravvisato l’onerosità del titolo in caso di interventi comportanti un incremento di unità abitative, oppure un incremento della superficie utile pur in assenza di aumento della cubatura, nonché per il caso di alterazione dei parametri edilizi e per quelle ristrutturazioni che mutino la realtà strutturale e la fruibilità urbanistica dell’organismo edilizio oggetto di trasformazione.
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L’esenzione dal contributo di costruzione di cui all’art. 17, comma 3, lett. b, del d.p.r. n. 380/2001 per il caso di interventi di ristrutturazione di edifici unifamiliari entro il limite di ampliamento del 20%, costituisce oggetto di una previsione di carattere eccezionale, la cui ratio è di natura sociale ed è diretta sostanzialmente ad apprestare uno strumento di tutela e di salvaguardia della piccola proprietà immobiliare per gli interventi funzionali all’adeguamento dell’immobile alle necessità abitative del nucleo familiare. In tal caso rileva innanzitutto la destinazione unifamiliare del fabbricato nonché la natura dell’intervento edilizio quale di “ristrutturazione e di ampliamento non superiore al 20%” quale limite entro il quale è ammessa l’operatività dell’esonero in parola.
La disposizione intende evidentemente incentivare le opere atte ad adeguare le case unifamiliari alle necessità abitative del nucleo familiare, circoscrivendone l’operatività agli interventi che non mutino l’entità strutturale e la dimensione spaziale dell’immobile e non ne trasformino il valore economico.
Trattandosi di una norma di natura eccezionale, l’applicazione della fattispecie va circoscritta in un ambito di stretta interpretazione ancorato ai parametri predefiniti dal legislatore per cui deve escludersi che la disposizione in esame possa trovare applicazione in ogni ipotesi di ristrutturazione con demolizione e ricostruzione a parità di volume, entro il limite di ampliamento fissato dal legislatore.
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La Corte Costituzionale ha osservato che, ai fini del riconoscimento dell’esonero dal versamento del contributo di costruzione, il concetto di ristrutturazione mal si presta a comprendere la fattispecie della demolizione accompagnata dalla ricostruzione dell'edificio sullo stesso suolo “essendo caratterizzata da elementi (territoriali e costruttivi) e da risultato che le conferiscono fisionomia autonoma e differenziata” ed ha ritenuto quindi pienamente giustificata la previsione dell'esonero limitatamente alle ipotesi di ristrutturazioni ed ampliamenti e non anche alle ipotesi di integrale ricostruzione.
Tale accezione interpretativa è stata altresì ribadita più di recente dalla giurisprudenza amministrativa che ha chiarito che la gratuità va limitata agli interventi edilizi su edifici aventi destinazione residenziale e non anche su quelli con destinazione agricola, sicché deve escludersi che la esenzione in argomento possa trovare spazio nella fattispecie in esame relativa ad un intervento di demolizione e di utilizzazione ad uso abitativo per un’unica unità immobiliare della rispettiva volumetria di due preesistenti fabbricati rurali.

Per consolidata giurisprudenza le controversie in tema di oneri di urbanizzazione e di costo di costruzione introducono un giudizio su un rapporto prescindendo dalla impugnazione di atti. Ed infatti tutte le controversie, concernenti l’an e il quantum delle somme dovute a titolo di contributo in dipendenza di norme di legge e regolamentari, attengono a diritti soggettivi azionabili nei termini di prescrizione; pertanto alcuna acquiescenza può opporsi in materia di diritti soggettivi patrimoniali, il cui versamento, ove non dovuto, è suscettibile in ogni caso di legittimare un’azione di ripetizione dell’indebito oggettivo ai sensi dell’art. 2041 cod. civ..
L’amministrazione, nella determinazione delle somme dovute a titolo di contributo non esercita poteri autoritativi discrezionali ma compie attività di mero accertamento della fattispecie in base ai parametri fissati da leggi e da regolamenti. Le relative controversie, dunque, rientrano nella categoria di quelle aventi ad oggetto atti paritetici, inerenti diritti soggettivi e non sono sottoposte ai termini decadenziali propri dei giudizi impugnatori (Cons. St. Sez. , sez. V, 17.10.2002, n. 5678).
Inoltre, le controversie concernenti la determinazione, liquidazione e corresponsione degli oneri concessori già devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi dell'art. 16 l. 28.01.1977 n. 10, abrogato a seguito dell’entrata in vigore del D.Lgs. 104/2010, rientrano oggi nella previsione dell’art. 133, lett. f), del codice del processo amministrativo secondo cui sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, tra l'altro: "le controversie aventi ad oggetto gli atti e i provvedimenti delle pubbliche amministrazioni in materia urbanistica e edilizia, concernente tutti gli aspetti dell'uso del territorio" (Cons. St., Sez. V, 10.07.2003 n. 4102; Cons. St., Sez. V, 19.07.2004 n. 5197).
Ciò premesso, nel presente giudizio si discute circa l’applicabilità nella fattispecie del beneficio di cui all’art. 17, comma 3, lett. b, del d.p.r. n. 380/2001 a tenore del quale il contributo di costruzione non è dovuto per gli interventi di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore al 20%, di edifici unifamiliari.
Come noto, la partecipazione del privato al costo delle opere di urbanizzazione è dovuta allorquando l’intervento determini un incremento del peso insediativo con un’oggettiva rivalutazione dell’immobile, sicché l’onerosità del permesso di costruire è funzionale a sopportare il carico socio economico che la realizzazione comporta sotto il profilo urbanistico (cfr. C.d. S. sez. V, 03.03.2002 n. 1180; C.d.S. sez. V. 29.04.2004 n. 2611).
Tale principio opera ed è valevole anche per gli interventi di ristrutturazione che comportino un aumento del carico urbanistico di zona, sicché la giurisprudenza ha ravvisato l’onerosità del titolo in caso di interventi comportanti un incremento di unità abitative (cfr. Tar Lombardia, Milano 21.07.2009 n. 4455), oppure un incremento della superficie utile pur in assenza di aumento della cubatura (cfr. C.d.S, sez. V, 27.08.1999 n. 999), nonché per il caso di alterazione dei parametri edilizi (cfr. Tar Piemonte, sez. I, 04.12.1997 n. 821) e per quelle ristrutturazioni che mutino la realtà strutturale e la fruibilità urbanistica dell’organismo edilizio oggetto di trasformazione (cfr. Tar Emilia, Parma 19.02.2008 n. 100).
Tanto premesso occorre considerare che l’esenzione dal contributo di costruzione di cui all’art. 17, comma 3, lett. b, del d.p.r. n. 380/2001 per il caso di interventi di ristrutturazione di edifici unifamiliari entro il limite di ampliamento del 20%, costituisce oggetto di una previsione di carattere eccezionale, la cui ratio è di natura sociale ed è diretta sostanzialmente ad apprestare uno strumento di tutela e di salvaguardia della piccola proprietà immobiliare per gli interventi funzionali all’adeguamento dell’immobile alle necessità abitative del nucleo familiare. In tal caso rileva innanzitutto la destinazione unifamiliare del fabbricato nonché la natura dell’intervento edilizio quale di “ristrutturazione e di ampliamento non superiore al 20%” quale limite entro il quale è ammessa l’operatività dell’esonero in parola.
La disposizione intende evidentemente incentivare le opere atte ad adeguare le case unifamiliari alle necessità abitative del nucleo familiare, circoscrivendone l’operatività agli interventi che non mutino l’entità strutturale e la dimensione spaziale dell’immobile e non ne trasformino il valore economico.
Trattandosi di una norma di natura eccezionale, l’applicazione della fattispecie va circoscritta in un ambito di stretta interpretazione ancorato ai parametri predefiniti dal legislatore per cui deve escludersi che la disposizione in esame possa trovare applicazione in ogni ipotesi di ristrutturazione con demolizione e ricostruzione a parità di volume, entro il limite di ampliamento fissato dal legislatore.
Nel caso in esame il permesso di costruire n. 328/2006 che si intende assoggettare a gratuità ai sensi dell’art. 17, comma 3, lett. b cit., è stato rilasciato al ricorrente M.G. dal Comune di Castelvolturno per un intervento di ristrutturazione edilizia consistente nella demolizione di due preesistenti fabbricati rurali e nella realizzazione di un unico immobile con destinazione abitativa.
Il Comune, nella memoria del 15.03.2012, ha escluso che un siffatto intervento possa rientrare nella ipotesi di gratuità invocata dal ricorrente e riferibile alle sole ristrutturazioni edilizie c.d. “leggere” ossia miranti a conservare il patrimonio edilizio esistente.
Il Comune ha infatti precisato che, come evincesi dai grafici e dalle riproduzioni fotografiche allegate in atti quali gli elaborati prodotti a sostegno della richiesta di rilascio del permesso di costruire, l’intervento è consistito in una ristrutturazione edilizia c.d. “pesante” per aver comportato la realizzazione di un organismo in tutto diverso dal precedente con conseguente incremento del carico urbanistico di zona rapportato alla sostituzione di fabbricati rurali diruti ed inutilizzati con un'unica unità immobiliare tipo “villetta” composta da piano terra e primo piano.
Ciò premesso rileva il Collegio che la disciplina invocata a sostegno del ricorso non è applicabile agli interventi di demolizione e ricostruzione di un fabbricato preesistente. In tal senso si è espressa chiaramente la Corte Costituzionale nella sentenza 26.06.1991 n. 296 pronunciata rispetto alla analoga previgente previsione di cui all'art. 9, lett. d), della legge 28.01.1977 n. 10 -di cui l’art. 17 d.p.r., comma 3, lett. b), costituisce analoga riproduzione- che esonerava dal contributo "gli interventi di restauro, di risanamento conservativo, di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore al venti per cento, di edifici unifamiliari".
Ivi la Corte Costituzionale con una sentenza interpretativa di rigetto ha escluso l’illegittimità della norma, prospettata dal Tar Friuli Venezia Giulia rispetto all’art. 9 cit., nella parte in cui non comprendeva nella previsione di esenzione dal contributo per il rilascio della concessione, accanto all'ipotesi di ristrutturazione ed ampliamento nei limiti del venti per cento, anche quella della “integrale ricostruzione del fabbricato demolito”.
La Corte ha al riguardo osservato che, ai fini del riconoscimento dell’esonero in questione, il concetto di ristrutturazione mal si presta a comprendere la fattispecie della demolizione accompagnata dalla ricostruzione dell'edificio sullo stesso suolo “essendo caratterizzata da elementi (territoriali e costruttivi) e da risultato che le conferiscono fisionomia autonoma e differenziata” ed ha ritenuto quindi pienamente giustificata la previsione dell'esonero limitatamente alle ipotesi di ristrutturazioni ed ampliamenti e non anche alle ipotesi di integrale ricostruzione.
Tale accezione interpretativa è stata altresì ribadita più di recente dalla giurisprudenza amministrativa che ha chiarito che la gratuità va limitata agli interventi edilizi su edifici aventi destinazione residenziale e non anche su quelli con destinazione agricola (cfr C.d.S. 6290/2004), sicché deve escludersi che la esenzione in argomento possa trovare spazio nella fattispecie in esame relativa ad un intervento di demolizione e di utilizzazione ad uso abitativo per un’unica unità immobiliare della rispettiva volumetria di due preesistenti fabbricati rurali (TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, sentenza 08.05.2012 n. 2136 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il termine di prescrizione (decennale) per la riscossione del contributo di concessione dovuto decorre dall'emanazione della concessione edilizia.
Tali arresti giurisprudenziali costituiscono, peraltro, puntuale applicazione del principio di cui all’art. 2935 c.c., secondo cui la prescrizione decorre dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere. L'obbligazione di pagamento degli oneri concessori sorge, infatti, con il rilascio della concessione edilizia e la giurisprudenza è concorde nel ritenere che la determinazione del contributo dovuto per gli oneri in questione debba essere riferita al momento in cui sorge l'obbligazione.
Il collegio ritiene che il ricorso sia fondato per l’assorbente censura relativa all’insussistenza, conseguente al decorso del termine decennale di prescrizione, del potere esercitato dal comune nel disporre la rideterminazione del contributo e nel richiedere il conguaglio.
Per giurisprudenza costante, infatti, il termine di prescrizione (decennale) per la riscossione del contributo di concessione dovuto decorre dall'emanazione della concessione edilizia (Cons. Stato, sez. IV, 16.01.2009, n. 216; 06.06.2008, n. 2686; sez. V, 13.06.2003, n. 3332).
Tali arresti giurisprudenziali costituiscono, peraltro, puntuale applicazione del principio di cui all’art. 2935 c.c., secondo cui la prescrizione decorre dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere. L'obbligazione di pagamento degli oneri concessori sorge, infatti, con il rilascio della concessione edilizia e la giurisprudenza è concorde nel ritenere che la determinazione del contributo dovuto per gli oneri in questione debba essere riferita al momento in cui sorge l'obbligazione.
Essendo, dunque, trascorsi oltre tredici anni dal rilascio della concessione edilizia (avvenuto il 07.08.1986) ed oltre dodici anni dalla notificazione della stessa (dell’11.05.1987), alla data dell’emanazione del provvedimento impugnato (26.10.1999) il credito doveva in ogni caso ritenersi estinto per prescrizione, ai sensi del combinato disposto degli artt. 2934, 2935 e 2946 c.c., non essendo intervenuto alcun atto interruttivo della prescrizione decennale e non potendo, quindi, il comune intimato richiederne il pagamento (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 07.05.2012 n. 1274 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa determinazione degli oneri di urbanizzazione si correla a una precisa disciplina normativa, di modo che i provvedimenti applicativi di essa non richiedono di per sé alcuna puntuale motivazione allorché le scelte dell’Amministrazione si conformino a detti criteri.
Per ciascun titolo concessorio gli oneri dovuti sono calcolati applicando la normativa e i parametri vigenti al momento in cui esso è rilasciato, esclusa quindi ogni ultrattività della disciplina in vigore all’epoca del rilascio del titolo originario.
La tesi del Comune, che ha operato un ricalcolo degli oneri già corrisposti per la prima concessione applicando anche ad essi la nuova disciplina (fermo restando, come è ovvio, lo scomputo delle somme già corrisposte), trova un aggancio nella pregressa giurisprudenza in materia, secondo cui un tale ricalcolo è legittimo nella sola ipotesi in cui le opere assentite col secondo permesso comportino un mutamento di destinazione d’uso ovvero una variazione essenziale del manufatto con passaggio da una categoria urbanistica ad altra funzionalmente autonoma, in tale caso giustificandosi col maggior carico urbanistico conseguente il ricalcolo degli oneri dovuto.

Innanzi tutto, è opportuno sottolineare come la questione dell’adeguatezza o meno della motivazione con cui il Comune ha esplicitato i criteri di calcolo applicati è destinata a restare recessiva rispetto a quella della correttezza o meno di tali criteri: al riguardo, infatti, va richiamato il consolidato indirizzo giurisprudenziale secondo cui la determinazione degli oneri di urbanizzazione si correla a una precisa disciplina normativa, di modo che i provvedimenti applicativi di essa non richiedono di per sé alcuna puntuale motivazione allorché le scelte dell’Amministrazione si conformino a detti criteri (cfr. Cons. Stato, sez. V, 09.02.2001, nr. 584).
Nel caso che qui occupa, non è dubbio che il Comune odierno appellante abbia fin dal primo grado depositato documentazione illustrativa dei criteri applicati per la commisurazione degli oneri richiesti per la concessione edilizia rilasciata nel 2003; di modo che, a prescindere da ogni approfondimento circa la conoscenza o conoscibilità di tali criteri da parte della società destinataria, l’eventuale correttezza degli stessi rileverebbe nel senso dell’irrilevanza del vizio ex art. 21-octies della legge 07.08.1990, nr. 241, in considerazione della natura vincolata dell’atto.
Di conseguenza, la questione centrale del presente giudizio attiene alle modalità con cui deve avvenire il calcolo degli oneri di urbanizzazione in sede di rilascio di un nuovo permesso di costruire dopo che quello originario è decaduto ai sensi dell’art. 15, comma 3, del d.P.R. 06.06.2001, nr. 380 (e, prima, dell’art. 4 della legge 28.01.1977, nr. 10).
Più specificamente, l’ipotesi che qui interessa è quella in cui una parte del manufatto assentito col primo titolo concessorio sia stato effettivamente realizzato, e gli oneri relativi siano stati integralmente pagati, di modo che il nuovo provvedimento abilitativo ha a oggetto solo il completamento dell’opera.
In un caso del genere, sembra pacifico (e sul punto le parti convengono) che non possa addivenirsi ad alcuna duplicazione, non essendo possibile accollare all’istante per due volte gli oneri relativi alle medesime opere.
Al di là di ciò, alla Sezione non paiono altrettanto scontati gli ulteriori due assunti su cui si regge la prospettazione del ricorso introduttivo (condivisa dal primo giudice): e cioè che, in occasione del rilascio del secondo permesso, non sia possibile calcolare gli oneri dovuti in base alla disciplina eventualmente innovativa che sia sopravvenuta dopo il rilascio del primo titolo ad aedificandum, e che in ogni caso detti oneri debbano sempre essere limitati a quelli inerenti la parte di opere non realizzata nei termini e oggetto del secondo permesso, escluso ogni “ricalcolo” degli oneri già corrisposti.
Quanto al primo profilo, il Collegio reputa del tutto ragionevole –anche in applicazione del principio tempus regit actum– che per ciascun titolo concessorio gli oneri dovuti siano calcolati applicando la normativa e i parametri vigenti al momento in cui esso è rilasciato, esclusa quindi ogni ultrattività della disciplina in vigore all’epoca del rilascio del titolo originario (poi decaduto).
Per quanto concerne il secondo aspetto, una rigorosa accettazione della tesi dell’odierna appellata porterebbe, nella specie, a un sostanziale azzeramento degli oneri dovuti, dal momento che –come già accennato– la nuova concessione edilizia rilasciata nel 2003 concerne unicamente opere interne e di finitura, essendo stato già illo tempore l’immobile interamente realizzato nella sua struttura.
La tesi del Comune, che invece ha operato un ricalcolo degli oneri già corrisposti per la prima concessione applicando anche ad essi la nuova disciplina (fermo restando, come è ovvio, lo scomputo delle somme già corrisposte), trova un aggancio nella pregressa giurisprudenza in materia, secondo cui un tale ricalcolo è legittimo nella sola ipotesi in cui le opere assentite col secondo permesso comportino un mutamento di destinazione d’uso ovvero una variazione essenziale del manufatto con passaggio da una categoria urbanistica ad altra funzionalmente autonoma, in tale caso giustificandosi col maggior carico urbanistico conseguente il ricalcolo degli oneri dovuto (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 29.04.2004, nr. 2611; Cons. Stato, sez. V, 25.05.2004, nr. 6289; id., 23.01.2004, nr. 174; id., 29.01.2004, nr. 295; id., 24.09.2001, nr. 1427).
Orbene, non risulta specificamente contestato dalla parte privata l’assunto dell’Amministrazione appellante secondo cui la nuova richiesta di permesso di costruire comportava, oltre che la realizzazione di opere interne, anche un rilevante mutamento di destinazione d’uso dell’immobile rispetto al progetto originario (tale essendo, nella prospettazione del Comune, la ragione del ricalcolo degli oneri dovuti); e, anzi, la circostanza trova conferma nella stessa documentazione depositata in primo grado, dalla quale è dato evincere che effettivamente la diversa distribuzione degli spazi interni comportava anche una diversa ripartizione tra i locali a destinazione residenziale e quelli a destinazione direzionale, con conseguente variazione del carico urbanistico rispetto a quello originario.
Dal che consegue l’infondatezza delle censure articolate nel ricorso introduttivo, con riguardo sia all’indebita duplicazione degli oneri percepiti sia all’assenza di ogni giustificazione a sostegno del ricalcolo delle somme già corrisposte (fermo restando che esula dalla presente sede la verifica della correttezza del calcolo in concreto compiuto dall’Amministrazione, non risultando formulata alcuna specifica censura sul punto) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 27.04.2012 n. 2471 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATASulla prescrizione -o meno- di ogni diritto dell’amministrazione a richiedere somme integrative a distanza di oltre vent’anni dall’inoltro della domanda di sanatoria e dal pagamento dell’oblazione autoliquidata.
Il Collegio ritiene fondato il ricorso in base all’assorbente censura con la quale si deduce l’intervenuta prescrizione di ogni diritto dell’amministrazione a richiedere somme integrative a distanza di oltre vent’anni dall’inoltro della domanda di sanatoria e dal pagamento dell’oblazione autoliquidata.
In proposito, vanno in questa sede richiamate sinteticamente le disposizioni di legge che disciplinano la prescrizione delle pretese creditorie dei Comuni in tema di sanatoria edilizia: da un lato, è stato stabilito dall’art. 35, co. 12, della L. 47/1985 in trentasei mesi il termine di prescrizione “breve” per richiedere integrazioni o conguagli dell’oblazione; mentre, dall’altra parte, soggiace all’ordinario termine di prescrizione decennale il diritto dell’ente pubblico a richiedere eventuali maggiorazioni degli oneri concessori. Si richiama, sul punto, la seguente giurisprudenza, anche di questa Sezione: Tar Catania, I, 1633/2007, 1987/2007, 4363/2010 e 557/2011; Tar Trentino Alto Adige 234/2010; Tar Latina 1043/2009 e 1249/2008.
Il Collegio non ignora la più recente giurisprudenza del giudice d’appello (sentenza C.G.A. n. 320/2011) in base alla quale il termine di prescrizione breve (trentasei mesi) del diritto al conguaglio previsto dall’art. 35, co. 12, per la sanatoria disciplinata dalla L. 47/1985, non inizia a decorrere prima che la documentazione da allegare alla domanda sia completa.
Tuttavia, non può esser sottaciuto il fatto che nel caso di specie –a fronte di una domanda di sanatoria presentata dalla ricorrente nell’anno 1986– il Comune si sia attivato per esaminare l’istanza e richiedere integrazione dei documenti solo in data 16.12.2009, cioè a distanza di oltre ventitre anni. Ciò consente di affermare che, da una parte, ogni diritto ai conguagli richiesti sia definitivamente estinto per l’avvenuta decorrenza del termine ordinario di prescrizione decennale; né dall’altra parte potrebbe predicarsi una diversa soluzione, perché sarebbe contrario ad ogni principio buon andamento, efficienza e trasparenza dell’azione amministrativa consentire in ogni tempo –anche a distanza di molti anni- all’ente pubblico di formulare una tardiva richiesta di integrazione documentale, all’evidente fine di scongiurare il decorso di una prescrizione di fatto già ampiamente maturata. Si ritiene, in altri termini, che la richiesta proveniente dal Comune, avente ad oggetto l’integrazione della documentazione necessaria al rilascio della sanatoria edilizia, utile al fine di impedire il perfezionarsi della prescrizione breve del diritto al conguaglio dell’oblazione, non possa intervenire a distanza di oltre vent’anni, quando già ogni pretesa risulta comunque “coperta” dal decorso della prescrizione ordinaria decennale.
In conclusione, allora, possono dirsi pacificamente decorsi sia il termine breve di trentasei mesi che condiziona il conguaglio dell’oblazione, sia quello ordinario decennale che determina l’impossibilità giuridica di ridefinire gli oneri concessori. Le pretese del Comune resistente vanno in conclusione dichiarate prescritte, non rinvenendosi peraltro negli scritti difensivi alcuna confutazione in ordine all’eccepita prescrizione (TAR Sicilia-Catania, Sez. I, sentenza 24.04.2012 n. 1118 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La difformità tra gli interventi oggetto di concessione edilizia e quelli effettivamente realizzati legittima la richiesta di pagamento dei maggiori oneri concessori.
E' legittimo il provvedimento con cui un Comune, a distanza di cinque anni dal rilascio di una concessione edilizia, chiede il pagamento di maggiori oneri concessori in ragione di riscontrate difformità tra l'oggetto della concessione e quanto effettivamente realizzato.
La ricorrente, ditta operante nel settore delle costruzioni e titolare di una concessione edilizia, ha impugnato il provvedimento con cui la società concessionaria del Comune incaricata per la riscossione ha ingiunto alla medesima il pagamento di maggiori oneri concessori.
Ha esposto che, a fondamento del contestato provvedimento, vi erano gli esiti della verifica svolta sulla correttezza degli oneri concessori determinati a suo tempo dalla civica P.A. e versati dalla deducente in sede di rilascio di concessione edilizia e successiva variante.
In considerazione di tanto, ha eccepito, oltre al resto, la violazione dei principi in materia di autotutela amministrativa, sia in relazione al periodo di tempo ragionevole entro il quale la P.A. avrebbe potuto esercitare il potere, sia con riguardo alla omessa comparazione dei contrapposti interessi.
Il ricorso è stato rigettato.
Il G.A. di Ancona, in primis, ha rilevato come nella vicenda non fosse configurabile l’esercizio del potere di autotutela da parte del Comune, trattandosi di controversia afferente diritti soggettivi.
Pertanto, ferma restando la facoltà per il destinatario dell’atto con cui gli viene chiesto il pagamento degli oneri concessori di agire eventualmente nei riguardi del creditore per violazione del principio di buona fede, il giudicante ha evidenziato come, in linea di principio, il pagamento degli stessi oneri potesse essere chiesto dalla P.A. nel termine di prescrizione decennale.
Al contempo, l’adito TAR ha rilevato la legittimità dell’operato della società concessionaria che, in luogo di un eventuale riesame della decisione assunta a suo tempo dal Comune, aveva chiesto il pagamento di maggiori oneri concessori in virtù di una nuova verifica dei dati progettuali.
Di conseguenza, il Collegio, con riferimento al merito della vicenda, ha chiarito come la richiesta di pagamento di maggiori oneri concessori fosse derivata dalla circostanza per cui alcune porzioni degli immobili realizzati erano state erroneamente considerate come superfici non residenziali e, dunque, non computate secondo le percentuali previste dalla normativa di riferimento.
Invero, ha precisato che il contributo introdotto dalla L. n. 10/1977 -poi confermato dall’attuale T.U. n. 380/2001- ha due componenti, gli oneri di urbanizzazione, il cui calcolo deve aver riguardo al volume dell’edificio realizzato e il costo di costruzione da determinarsi in base alla superficie.
Conseguentemente, avuto riguardo al vano tecnico dell’ascensore di uno dei fabbricati realizzati, lo stesso doveva essere computato, atteso che, ai sensi dell’art. 11, Regolamento Regione Marche n. 6/1977, solo i vani tecnici che fuoriescono dalla linea di gronda dell’edificio non possono essere considerati ai fini della determinazione del volume complessivo: nella specie, si trattava di locale situato al piano interrato e che dunque non fuoriusciva dalla linea di gronda.
Inoltre, ha osservato come negli elaborati grafici versati agli atti, quello che la ricorrente aveva qualificato come “sottotetto non abitabile” (e dunque volume tecnico), fosse in realtà parte integrante del primo piano dell’edificio; pertanto, l’altezza del primo piano era stata correttamente calcolata dalla società di riscossione.
Per quanto riguarda la riduzione delle unità immobiliari complessive, il G.A. marchigiano ha chiarito che se ciò non aveva implicato aumento di superficie o di volume, aveva invece inciso sulla classe di maggiorazione da applicare, essendo stato realizzato un appartamento avente superficie superiore a 110 mq.
Infine, anche per quanto attiene alle taverne, i calcoli eseguiti dalla società di riscossione sono stati ritenuti corretti stante l’evidente differenza fra cantina e taverna.
Difatti, nella variante all’originaria concessione, poiché i locali interessati risultavano indicati espressamente come taverne (munite per lo più di servizi igienici), gli stessi sono stati ritenuti a servizio della residenza e dovevano essere computati al 50% (art. 11, Regolamento regionale n. 6/1977).
Alla stregua di tanto, il TAR di Ancona, reputando corretti i calcoli effettuati dalla società concessionaria, ha respinto il gravame, per l’effetto confermando il provvedimento di accertamento e richiesta in pagamento dei maggiori oneri concessori (commento tratto da www.ipsoa.it - TAR Marche, sentenza 20.04.2012 n. 289 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Alle nuove edificazioni e agli altri interventi comunque soggetti a titolo abilitativo corrisponde il pagamento di un contributo commisurato all'incidenza degli oneri di urbanizzazione, che presenta carattere generale e prescinde dall’esistenza o meno delle singole opere di urbanizzazione.
Esso, in sostanza, assume la natura di prestazione patrimoniale imposta e viene determinato senza tener conto né dell’utilità specifica che riceve il beneficiario del titolo edilizio e, neppure, delle spese effettivamente necessarie per l’esecuzione delle opere di urbanizzazione relative al titolo assentito.
La concreta determinazione degli oneri dovuti per il conseguimento del titolo edilizio costituisce, dunque, il risultato di un calcolo materiale, la cui misura è direttamente collegata all’applicazione dei parametri prestabiliti, per cui deve escludersi, stante la natura vincolata dell’attività espletata, che l’atto di specificazione del quantum debeatur debba essere motivato.

Come più volte affermato dalla giurisprudenza (cfr. ex multis, Consiglio di Stato, sez. VI - 25/08/2009 n. 5059; C.G.A., Sez. Giur. - 19.12.2008, n. 1131; Cons. Stato, Sez. V - 21.04.2006 n. 2258; nonché Cons. Stato, Sez. V, 06.05.1997, n. 462), sia nella precedente che nell'attuale normativa (articoli 3, 5, 6 della L.n. 10/1977, 16 del d.P.R. n. 380/2001) alle nuove edificazioni e agli altri interventi comunque soggetti a titolo abilitativo, corrisponde il pagamento di un contributo commisurato all'incidenza degli oneri di urbanizzazione, che presenta carattere generale e prescinde dall’esistenza o meno delle singole opere di urbanizzazione.
Esso, in sostanza, assume la natura di prestazione patrimoniale imposta e viene determinato senza tener conto né dell’utilità specifica che riceve il beneficiario del titolo edilizio e, neppure, delle spese effettivamente necessarie per l’esecuzione delle opere di urbanizzazione relative al titolo assentito (cfr. da ultimo TAR Lombardia, Brescia, sez. II, 02.03.2012, n. 355; TAR Puglia, Bari, sez. III, 10.02.2011, n. 243; TAR Abruzzo, Pescara, 18.10.2010, n. 1142; TAR Lazio, Roma, sez. II, 14.11.2007, n. 11213).
La concreta determinazione degli oneri dovuti per il conseguimento del titolo edilizio costituisce, dunque, il risultato di un calcolo materiale, la cui misura è direttamente collegata all’applicazione dei parametri prestabiliti, per cui deve escludersi, stante la natura vincolata dell’attività espletata, che l’atto di specificazione del quantum debeatur debba essere motivato
(TAR Lombardia-Milano, Sez, II, sentenza 13.04.2012 n. 1101 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL’obbligo gravante sui Comuni di procedere alla revisione periodica dei contributi urbanistici va coniugato col rispetto del divieto di applicazione retroattiva nei confronti delle concessioni edilizie già in precedenza rilasciate.
Ma il principio di irretroattività riguarda le concessioni già rilasciate, per le quali il regime degli oneri economici è già definito in base alla regolamentazione vigente al momento della loro emissione, e fa sì che non si possano applicare retroattivamente criteri di determinazione dei contributi introdotti in epoca successiva al rilascio del titolo.

Va premesso che l’istituto dell’adeguamento periodico dei contributi urbanistici (per opere di urbanizzazione e per costo di costruzione) della cui applicazione si discute oggi ha subìto diversi rimaneggiamenti nel corso degli anni ad opera del legislatore regionale (l’art. 34 della L.R. 37/1985 è stato infatti modificato prima dall’art. 14 della L.R. 19/1994, poi dall’art. 24 della L.R. 25/1997, ed infine dall’art. 17, co. 12, della L.R. 4/2003); il testo attualmente vigente così recita: “L'adeguamento degli oneri di urbanizzazione di cui all'articolo 5 della legge 28.01.1977, n. 10 e del costo di costruzione di cui all'articolo 6 della medesima legge sostituito dall'articolo 7 della legge 24.12.1993, n. 537, è determinato dai comuni entro il 30 ottobre di ogni anno.
I comuni sono tenuti ad applicare gli oneri di concessione aggiornati dal 1° gennaio dell'anno successivo. Nelle more della determinazione dell'adeguamento degli oneri di cui al presente articolo, le concessioni edilizie sono rilasciate con salvezza del conguaglio degli oneri stessi
”.
In relazione a tale norma, la giurisprudenza ha costantemente affermato che l’obbligo gravante sui Comuni di procedere alla revisione periodica dei contributi urbanistici va coniugato col rispetto del divieto di applicazione retroattiva nei confronti delle concessioni edilizie già in precedenza rilasciate (in tal senso, CGA parere a sezioni riunite 392/1995; CGA sentenza 67/2007; CGA sentenza 364/2007; Tar Palermo 559/2008; Tar Catania 305/1993 e 787/1996).
Ma, come attentamente evidenzia la difesa del Comune resistente, il principio di irretroattività riguarda le concessioni già rilasciate, per le quali il regime degli oneri economici è già definito in base alla regolamentazione vigente al momento della loro emissione, e fa sì che non si possano applicare retroattivamente criteri di determinazione dei contributi introdotti in epoca successiva al rilascio del titolo.
Nella fattispecie in esame –è importante sottolinearlo- la questione invece è diversa, in quanto la concessione non era stata ancora rilasciata quando è stata approvata ed è entrata in vigore la recentissima deliberazione consiliare 86/2010 che ha aggiornato l’entità dei contributi.
La peculiare vicenda, allora, potrebbe trovare soluzione con l’ausilio dei principi interpretativi contenuti nella citata sentenza del CGA n. 462/2008. Va premesso che la sentenza in questione ha definito un contenzioso sorto perché il Comune aveva, in origine, determinato gli oneri dovuti dal concessionario sulla base dei criteri vigenti alla data di deposito della domanda e di svolgimento dell’attività istruttoria, ed aveva poi in un secondo momento richiesto al concessionario una integrazione, facendo applicazione delle tariffe aggiornate vigenti nell’anno in cui la concessione era stata effettivamente rilasciata.
In tale contesto il giudice d’appello ha precisato che il principio tempus regit actum applicato alle questioni del tipo oggi in esame implica l’applicazione del regime tariffario vigente al momento del rilascio della concessione ed il conseguente divieto di applicazione retroattiva di disposizioni sopravvenute (anche se di poco) rispetto a tale evento. Tale divieto discenderebbe dal principio generale di irretroattività degli atti amministrativi sancito nell’art. 15 delle “preleggi”, e sarebbe stato confermato con specifico riguardo alla materia in esame dall’art. 14 della L.R. 19/1994 che ha modificato il testo dell’art. 34 della L.R. 37/1985.
Più in particolare, posto che la legge regionale pospone l’efficacia delle delibere di adeguamento degli oneri urbanistici al primo gennaio dell’anno successivo a quello di deliberazione, secondo la sentenza in esame le tariffe aggiornate possono essere applicate solo alle concessioni rilasciate a far data dal primo gennaio, e non a quelle rilasciate in precedenza.
Riguardo al momento di determinazione degli oneri urbanistici, la decisione in esame precisa che la individuazione del quantum dovuto debba essere fatta dall’amministrazione prima (ed in funzione) del rilascio del titolo (cfr. art. 11 della L. 10/1977).
Con riguardo poi alla possibilità per i Comuni di rilasciare le concessioni con la clausola di “riserva di conguaglio” prevista dall’ultimo periodo della norma in esame (nel testo risultante dalla L.R. 4/2003), la sentenza ha ulteriormente precisato che si tratta di un conguaglio da applicare nelle sole ipotesi in cui la rideterminazione degli oneri sia effettuata dal Consiglio comunale al di là del termine del 30 ottobre (o, in ipotesi, anche ad anno solare già iniziato), trattandosi di termine non perentorio ma ordinatorio. La funzione del conguaglio sarebbe, quindi, solo quella di rendere applicabili all’anno di competenza le tariffe aggiornate; non già quella di renderle applicabili in via retroattiva.
Schematizzando e riassumendo i principi appena esposti, emerge il seguente sistema:
a) le tariffe aggiornate in un determinato anno, riguardanti gli oneri urbanistici, non possono essere applicate alle concessioni precedentemente rilasciate;
b) le stesse deliberazioni consiliari di aggiornamento hanno efficacia ex lege dal primo gennaio dell’anno successivo a quello di deliberazione, e si applicano quindi alle concessioni rilasciate successivamente alla suddetta data;
c) le deliberazioni di aggiornamento possono essere eventualmente approvate anche dopo il termine (che ha carattere ordinatorio) del 30 ottobre di ogni anno stabilito dalla legge, ed anche il tal caso avranno efficacia dal successivo primo gennaio;
d) nella ipotesi sub c, se la delibera interviene dopo il 30 ottobre e ad anno successivo già iniziato, il Comune rilascia la concessione in base alle tariffe previgenti, ma gode del diritto a richiedere il conguaglio per applicare gli oneri tardivamente aggiornati; in tal caso si deroga (in via eccezionale) al principio di irretroattività (TAR Sicilia-Catania, Sez. I, sentenza 12.04.2012 n. 989 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il fondamento del contributo di urbanizzazione non consiste nel titolo edilizio in sé, ma nella necessità di redistribuire i costi sociali delle opere di urbanizzazione, facendoli gravare su quanti beneficiano delle utilità derivanti dalla presenza delle medesime –secondo modalità eque per la comunità–, con la conseguenza che anche nel caso di modificazione della destinazione d’uso cui si correli un maggiore carico urbanistico è integrato il presupposto che giustifica l’imposizione del pagamento della differenza tra gli oneri di urbanizzazione dovuti per la destinazione originaria e quelli, se più elevati, dovuti per la nuova destinazione impressa.
Il mutamento, pertanto, è rilevante allorquando sussiste un passaggio tra due categorie funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico, qualificate sotto il profilo della differenza del regime contributivo in ragione di diversi carichi urbanistici, sicché la circostanza che le modifiche di destinazione d’uso non siano eventualmente soggette al previo titolo abilitativo non comporta ipso iure l’esenzione dagli oneri di urbanizzazione e quindi la gratuità dell’operazione.

Osserva preliminarmente il Collegio che, per costante giurisprudenza (v. TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, 10.06.2010 n. 1787; TAR Lombardia, Brescia, 07.11.2005 n. 1115), il fondamento del contributo di urbanizzazione non consiste nel titolo edilizio in sé, ma nella necessità di redistribuire i costi sociali delle opere di urbanizzazione, facendoli gravare su quanti beneficiano delle utilità derivanti dalla presenza delle medesime –secondo modalità eque per la comunità–, con la conseguenza che anche nel caso di modificazione della destinazione d’uso cui si correli un maggiore carico urbanistico è integrato il presupposto che giustifica l’imposizione del pagamento della differenza tra gli oneri di urbanizzazione dovuti per la destinazione originaria e quelli, se più elevati, dovuti per la nuova destinazione impressa; il mutamento, pertanto, è rilevante allorquando sussiste un passaggio tra due categorie funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico, qualificate sotto il profilo della differenza del regime contributivo in ragione di diversi carichi urbanistici, sicché la circostanza che le modifiche di destinazione d’uso non siano eventualmente soggette al previo titolo abilitativo non comporta ipso iure l’esenzione dagli oneri di urbanizzazione e quindi la gratuità dell’operazione.
Quanto, poi, alla possibilità che, nell’esercizio della loro potestà di pianificazione del territorio, le Amministrazioni comunali individuino categorie di destinazione d’uso ulteriori e diverse rispetto a quelle previste dalla legislazione statale e regionale, la giurisprudenza si è espressa in modo affermativo, sia con riferimento ai casi in cui il legislatore regionale abbia lasciato agli enti locali un rilevante ambito di autodeterminazione in merito, sia con riferimento all’attuale regime delle autonomie locali in tema di attività di pianificazione urbanistica, che ben può implicare anche la suddivisione in più sottocategorie o sottofunzioni, laddove ciò sia giustificato da significative diversità del carico urbanistico e implichi di conseguenza differenti modulazioni di calcolo del contributo concessorio (v. Cons. Stato, Sez. IV, 13.07.2010 n. 4546) (TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. I, sentenza 05.04.2012 n. 239 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl fondamento del contributo di urbanizzazione non consiste nel titolo edilizio in sé, ma nella necessità di redistribuire i costi sociali delle opere di urbanizzazione, facendoli gravare su quanti beneficiano delle utilità derivanti dalla presenza delle medesime –secondo modalità eque per la comunità–, con la conseguenza che anche nel caso di modificazione della destinazione d’uso cui si correli un maggiore carico urbanistico è integrato il presupposto che giustifica l’imposizione del pagamento della differenza tra gli oneri di urbanizzazione dovuti per la destinazione originaria e quelli, se più elevati, dovuti per la nuova destinazione impressa; il mutamento, pertanto, è rilevante allorquando sussiste un passaggio tra due categorie funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico, qualificate sotto il profilo della differenza del regime contributivo in ragione di diversi carichi urbanistici, sicché la circostanza che le modifiche di destinazione d’uso non siano eventualmente soggette al previo titolo abilitativo non comporta ipso iure l’esenzione dagli oneri di urbanizzazione e quindi la gratuità dell’operazione.
Quanto, poi, alla possibilità che, nell’esercizio della loro potestà di pianificazione del territorio, le Amministrazioni comunali individuino categorie di destinazione d’uso ulteriori e diverse rispetto a quelle previste dalla legislazione statale e regionale, la giurisprudenza si è espressa in modo affermativo, sia con riferimento ai casi in cui il legislatore regionale abbia lasciato agli enti locali un rilevante ambito di autodeterminazione in merito, sia con riferimento all’attuale regime delle autonomie locali in tema di attività di pianificazione urbanistica, che ben può implicare anche la suddivisione in più sottocategorie o sottofunzioni, laddove ciò sia giustificato da significative diversità del carico urbanistico e implichi di conseguenza differenti modulazioni di calcolo del contributo concessorio.

Per costante giurisprudenza (v. TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, 10.06.2010 n. 1787; TAR Lombardia, Brescia, 07.11.2005 n. 1115), il fondamento del contributo di urbanizzazione non consiste nel titolo edilizio in sé, ma nella necessità di redistribuire i costi sociali delle opere di urbanizzazione, facendoli gravare su quanti beneficiano delle utilità derivanti dalla presenza delle medesime –secondo modalità eque per la comunità–, con la conseguenza che anche nel caso di modificazione della destinazione d’uso cui si correli un maggiore carico urbanistico è integrato il presupposto che giustifica l’imposizione del pagamento della differenza tra gli oneri di urbanizzazione dovuti per la destinazione originaria e quelli, se più elevati, dovuti per la nuova destinazione impressa; il mutamento, pertanto, è rilevante allorquando sussiste un passaggio tra due categorie funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico, qualificate sotto il profilo della differenza del regime contributivo in ragione di diversi carichi urbanistici, sicché la circostanza che le modifiche di destinazione d’uso non siano eventualmente soggette al previo titolo abilitativo non comporta ipso iure l’esenzione dagli oneri di urbanizzazione e quindi la gratuità dell’operazione.
Quanto, poi, alla possibilità che, nell’esercizio della loro potestà di pianificazione del territorio, le Amministrazioni comunali individuino categorie di destinazione d’uso ulteriori e diverse rispetto a quelle previste dalla legislazione statale e regionale, la giurisprudenza si è espressa in modo affermativo, sia con riferimento ai casi in cui il legislatore regionale abbia lasciato agli enti locali un rilevante ambito di autodeterminazione in merito, sia con riferimento all’attuale regime delle autonomie locali in tema di attività di pianificazione urbanistica, che ben può implicare anche la suddivisione in più sottocategorie o sottofunzioni, laddove ciò sia giustificato da significative diversità del carico urbanistico e implichi di conseguenza differenti modulazioni di calcolo del contributo concessorio (v. Cons. Stato, Sez. IV, 13.07.2010 n. 4546) (TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. I, sentenza 05.04.2012 n. 239 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa prescrizione decennale del diritto del Comune ad ottenere il pagamento del contributo concessorio inizia a decorrere dalla data di presentazione della domanda di condono.
Secondo consolidata giurisprudenza il silenzio-accoglimento si perfeziona anche se mancano i presupposti per l'accoglimento della domanda e addirittura -come affermato dalla IV sezione del Consiglio di Stato 20.05.1999, n. 858- per le "domande dirette alla concessione di costruzione in sanatoria relative a opere compiute oltre la data dell'01.10.1983, essendo il compimento delle opere abusive entro la predetta data requisito necessario ai fini del rilascio di provvedimento ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 35 della legge 28.02.1985 n. 47, ma non per il mero verificarsi della fattispecie complessa di silenzio-accoglimento" (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 14.04.1993, n. 496, id. 26.10.1994, n. 1385, id. 07.12.1995, n. 1672, id. 24.03.1997, n. 286), e che il silenzio assenso così formatosi può essere rimosso solo mediante l'esercizio del potere di annullamento di ufficio da parte del Comune (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 24.03.1997, n. 286), misura di autotutela che consente di contemperare il ripristino della legalità con l'esigenza, pure avvertita dal legislatore, di rendere effettivamente praticabile l'istituto del silenzio accoglimento (così Cons. St., V, n. 4114/2006).
Il Collegio osserva che, per quanto riguarda l’asserito difetto di motivazione in cui sarebbe incorso il Giudice di primo grado, per non avere indicato le ragioni per le quali è giunto alla determinazione di ritenere che nella specie si fosse formato il silenzio-assenso e fosse intervenuta la prescrizione decennale del diritto del Comune di pretendere il pagamento del contributo concessorio, dalla documentazione acquisita in giudizio si ricava che le circostanze dedotte dal ricorrente a sostegno dell’avvenuta formazione del silenzio–assenso risultavano comprovate (il ricorrente aveva infatti prodotto in giudizio sia la copia della domanda di condono edilizio, sia la copia delle attestazioni dei versamenti della intera oblazione).
Non gravava pertanto sul TAR l’onere di fornire una motivazione particolare in ordine alla sussistenza dei presupposti per la formazione del silenzio–assenso. Non pare tuttavia inutile aggiungere che, come correttamente osserva l’appellato, la censura muove dall’assunto che il termine decennale di prescrizione debba decorrere non già dal compimento dei due anni successivi alla presentazione della domanda di condono, ma dalla data del pagamento dell’ultima rata del condono edilizio (pagamento eseguito il 04.10.1986).
Sennonché tale presupposto è errato dato che l’art. 35, comma 18, della l. n. 47/1985 dispone chiaramente che “decorso il termine perentorio di ventiquattro mesi dalla presentazione della domanda, quest'ultima si intende accolta ove l'interessato provveda al pagamento di tutte le somme eventualmente dovute a conguaglio ed alla presentazione all'ufficio tecnico erariale della documentazione necessaria all'accatastamento…”. Il “dies a quo” dal quale far decorrere il termine decennale di prescrizione va quindi individuato nella data della presentazione della domanda di condono (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 12.03.2012 n. 1364 
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EDILIZIA PRIVATAIn materia di prescrizione degli oneri di urbanizzazione e dei contributi commisurati al costo di costruzione, in assenza di diversa disposizione normativa, il termine prescrizionale è quello ordinario decennale.
In materia di prescrizione degli oneri di urbanizzazione e dei contributi commisurati al costo di costruzione, in assenza di diversa disposizione normativa, il termine prescrizionale è quello ordinario decennale (tra le tante, TAR Campania Napoli, sez. VIII, 14.01.2011, n. 152). E’ evidente che se fosse condivisibile la tesi comunale, sarebbe praticamente impossibile l’operatività del suddetto meccanismo prescrizionale, atteso che il debitore sarebbe costituito in mora automaticamente allo spirare del termine ultimo di pagamento, senza la necessità di alcuna attivazione da parte dell’amministrazione creditrice.
Deve inoltre rilevarsi che il modo di costituzione in mora del debitore (ex persona, art. 1219, primo comma, c.c., o ex re, art. 1219, secondo comma, n. 3), stesso codice), rileva ai soli fini del risarcimento del danno e del regolamento del rischio per il perimento della cosa oggetto della prestazione e dell’impossibilità sopravvenuta (art. 1221 c.c.), ma non incide sul decorso della prescrizione. Se è vero che la messa in mora del debitore, ex art. 1219, primo comma, interrompe senz’altro la prescrizione (art. 2943, ultimo comma, c.c.), non è vera l’implicazione secondo cui quando non occorre la messa in mora (mora ex re) non occorra interrompere la prescrizione. Il decorso della prescrizione opera indifferentemente per entrambe le tipologie di obbligazioni dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere (art. 2935 c.c.).
Il fatto che le obbligazioni nei confronti delle pubbliche amministrazioni siano di regola eseguibili al domicilio del creditore (portabili) non ha nessuna incidenza, dunque, sul decorso e sul regime interruttivo della prescrizione (TAR Campania-Napoli, Sez. III, sentenza 12.03.2012 n. 1237 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in tema di oneri concessori sussiste anche quando la domanda del privato è diretta ad ottenere la restituzione di quanto si assume indebitamente versato ovvero trattenuto dalla P.A..
Tanto perché gli oneri concessori versati al Comune sono ripetibili sulla base della mera circostanza che la concessione edilizia non è stata utilizzata, anche a prescindere dall'intervento di un atto amministrativo di accertamento.
Nella fattispecie, infatti, trova piena applicazione l'art. 34 D.Lg.vo n. 80/1998 (poi sostituito dall'art. 7 L. n. 205/2000) che ha attribuito alla giurisdizione esclusiva del Giudice Amministrativo tutte le controversie, aventi per oggetto qualsiasi iniziativa della Pubblica Amministrazione in materia di urbanistica e di edilizia.
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A norma dell'art. 4, comma 6, della legge 10/1977 (ora art. 11 D.L.vo 380/2001), la concessione edilizia è trasferibile ai successori o aventi causa. In tal modo le norme riconoscono esplicitamente la natura <reale> del titolo edilizio, che viene, pertanto, rilasciato in ragione della titolarità di una situazione giuridica soggettiva ontologicamente ricollegata ad un determinato bene immobile.
Non è poi lecito dubitare che le somme pagate a titolo di contributi per oneri di urbanizzazione relativamente ad una concessione edilizia sono ripetibili se la concessione non sia stata utilizzata.
Ne consegue inevitabilmente il principio secondo cui sussiste una intrinseca connessione tra l'abilitazione all’esercizio dell'attività di edificazione ed il rapporto obbligatorio relativo ai contributi di urbanizzazione e di costruzione.
Ciò significa che il venir meno della titolarità della concessione e quindi del diritto di edificazione in capo all'originario concessionario con il trasferimento dei relativi diritti in testa al subentrante, destinatario della volturazione e titolare quindi dello ius aedificandi, di norma e salva diversa ed esplicita pattuizione tra cedente e cessionario, comportano anche il trasferimento a carico ed a favore di quest'ultimo, dal momento della volturazione, di tutti indistintamente i diritti e gli obblighi connessi e/o derivanti dalla concessione stessa.
Insomma, se, come detto, esiste una connessione innegabile tra ius aedificandi e diritti ed obblighi relativi agli oneri concessori, tali diritti e tali obblighi, salva esplicita deroga, non possono perpetuarsi in capo al soggetto originario concessionario che ha alienato il terreno interessato dalla trasformazione dopo il rilascio della concessione, quest’ultima volturata ad un nuovo soggetto, che è proprio quello e solo quello che poi in concreto può esercitare lo ius aedificandi.
D’altra parte, se è vero che, una volta intervenuta la volturazione della concessione edilizia, legittimato passivo rispetto alle misure repressive di lavori eventualmente condotti in difformità dalla concessione è soltanto il terzo subentrante e non l'originario titolare della concessione edilizia, lo stesso principio non può non affermarsi anche rispetto alle obbligazioni pecuniarie connesse alla concessione edilizia volturata dopo il suo rilascio e derivanti dall’avvenuto, o meno, concreto utilizzo della concessione stessa.
Né può pervenirsi a conclusione diversa solo perché la giurisprudenza ha ritenuto che la voltura della concessione comporta una <novazione soggettiva> della stessa.
Tale affermazione non incide, infatti, sul dato incontestabile che la concessione edilizia non ha natura <personale>, ma <reale>, nel senso che suo presupposto è comunque una situazione soggettiva attiva del richiedente in relazione ad un bene determinato e che da tale natura discende la possibilità di trasferimento della stessa insieme con l'area, subordinato ad un provvedimento di voltura che rappresenta un mero accertamento del fatto del subingresso di un nuovo soggetto nel rapporto giuridico originario.
Nella suindicata prospettiva, se è vero che l'atto di volturazione non comporta la corresponsione di ulteriori contributi concessori che restano quelli fissati in occasione del rilascio del titolo originario, è altrettanto vero che tali oneri, sia per la parte adempiuta che per quella non ancora adempiuta, salva diversa pattuizione recepita dall’Amministrazione, si trasferiscono automaticamente al subentrante, sia perché non rilevano sotto il profilo dell'intuitus personae, inerendo ad un atto che non ha carattere personale, sia perché connessi alla capacità di disporre del diritto di edificazione, nella specie in concreto non esercitato dal subentrante.
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Nel caso della voltura della concessione edilizia, non essendo la prestazione oggetto dell'obbligazione contributiva caratterizzata in senso personale, si ha in realtà una modificazione dell'oggetto del rapporto, con l'effetto della liberazione da ogni diritto ed obbligo del primitivo concessionario in concomitanza con la perdita del diritto ed edificare.
Nel caso in esame, pertanto, la ricorrente, ove avesse effettivamente realizzato il progetto, sarebbe stata sicuramente tenuta a corrispondere le altre rate di contributo; alla stessa stregua, non avendo edificato, ove non esista un patto contrario, ha diritto alla ripetizione degli oneri che in relazione alla concessione sono stati pagati.
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Tanto basta per l’accoglimento del ricorso e per l’affermazione dell’obbligo del Comune di provvedere in relazione alla domanda proposta dalla ricorrente, innanzitutto verificando se, per ipotesi, dall’atto di cessione emerga la diversa volontà di conservare in capo alla cedente il diritto al rimborso dei contributi già versati in caso di mancato utilizzo della concessione e, in caso di esito negativo di tale indagine, restituendo quanto versato alla cessionaria.

... avverso il silenzio opposto dal Comune alla richiesta della ricorrente di restituzione delle somme versate per oneri concessori inerenti alla concessione edilizia volturata in suo favore e dalla stessa rinunziata.
...
1- Col ricorso in esame l’Associazione IPERVEN ha nella sostanza impugnato il comportamento inerte opposto dal Comune intimato alla sua richiesta di restituzione delle somme pagate dalla sua dante causa (Circolo nautico di Torre Annunziata) in relazione alla concessione edilizia n. 15 del 16.09.1992, a suo tempo volturata in suo favore e successivamente da essa stessa rinunziata.
A tale ricostruzione del ricorso si perviene nella fattispecie applicando il principio consolidato secondo il quale il giudice amministrativo -fermo restando il principio di specificità enucleato dall'art. 6 R.D. 17.08.1907 n. 642- è legittimato ad operare un'interpretazione dei motivi e del petitum formalmente dedotti, avendo riguardo sia alle censure espressamente enunciate sia a quelle non esposte in un titolo ad hoc che possono, però, essere desunte dall'esposizione dei fatti e dal contesto del ricorso (Cfr. Cons. Stato, VI Sez. 27.09.1977 n. 777 e 28.09.2000 n. 5194, IV Sez. 05.07.1989 n. 457 , V Sez., 21.10.1992 n. 1026).
Dalla lettura dell’atto introduttivo del giudizio emerge, infatti, che la parte ricorrente si duole principalmente della mancata risposta alla sua richiesta di restituzione di quanto corrisposto e ancora detenuto dal Comune sine titulo, sicché è da ritenere che nella fattispecie sussistano i presupposti per l'applicazione dell'art. 21-bis della legge 06.12.1971, n. 1034, come novellato dall'art. 2 della legge 21.07.2000 n. 205.
D’altra parte, allo stato degli atti non sarebbe possibile pronunciare né positivamente né negativamente sulla (per la verità pure formulata) domanda di accertamento del diritto alla restituzione e di conseguente condanna del Comune, in quanto manca la prova –che evidentemente la parte ricorrente avrebbe dovuto fornire– circa l’inesistenza nell’accordo di cessione della concessione edilizia di una qualche (per la verità, inusuale) clausola che conservi il diritto della cedente all’ eventuale restituzione dei contributi già versati.
D’altra parte, nella fattispecie, non appare ostativo all'esperimento del rimedio del silenzio-rifiuto la circostanza che oggetto sostanziale del ricorso risulti, prima facie, un <diritto soggettivo>, qual è la pretesa patrimoniale alla restituzione di somme indebitamente versate, in quanto, a ben considerare, la peculiarità del caso di specie consiste proprio nel fatto che sussiste la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in ordine al rapporto cui inerisce la richiesta rimasta inevasa (Cons. Stato Sez. V 10.02.2004 n. 497).
Nel caso in esame, attraverso l’impugnazione del silenzio, la parte ricorrente mira innanzitutto e soprattutto a far cessare il comportamento inerte del Comune ed a costringere lo stesso a pronunciarsi sulla base della documentazione in suo possesso, ivi incluso l’atto di cessione della concessione.
Ad ogni modo, la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in tema di oneri concessori sussiste anche quando la domanda del privato è diretta ad ottenere la restituzione di quanto si assume indebitamente versato ovvero trattenuto dalla P.A. (cfr. ex multis Consiglio di Stato Sez. V n. 4102/2003, vedi pure più in generale Consiglio di Stato Sez. V n. 6821/2004).
Tanto perché gli oneri concessori versati al Comune sono ripetibili sulla base della mera circostanza che la concessione edilizia non è stata utilizzata, anche a prescindere dall'intervento di un atto amministrativo di accertamento (Cfr. Cons. Stato Sez. V 22.02.1998 n. 1145, TAR Marche, 11.05.1995, n. 228).
Nella fattispecie, infatti, trova piena applicazione l'art. 34 D.Lg.vo n. 80/1998 (poi sostituito dall'art. 7 L. n. 205/2000) che ha attribuito alla giurisdizione esclusiva del Giudice Amministrativo tutte le controversie, aventi per oggetto qualsiasi iniziativa della Pubblica Amministrazione in materia di urbanistica e di edilizia.
2- Passando all’esame del merito del ricorso, il Collegio ricorda che, a norma dell'art. 4, comma 6, della legge 10/1977 (ora art. 11 D.L.vo 380/2001), la concessione edilizia è trasferibile ai successori o aventi causa. In tal modo le norme riconoscono esplicitamente la natura <reale> del titolo edilizio, che viene, pertanto, rilasciato in ragione della titolarità di una situazione giuridica soggettiva ontologicamente ricollegata ad un determinato bene immobile.
Come già notato, non è poi lecito dubitare che (Cons. St., sez. V 22.02.1988, n. 105) le somme pagate a titolo di contributi per oneri di urbanizzazione relativamente ad una concessione edilizia sono ripetibili se la concessione non sia stata utilizzata (TAR Abruzzo Pescara 15.12.2006 n. 890).
Ne consegue inevitabilmente il principio secondo cui sussiste una intrinseca connessione tra l'abilitazione all’esercizio dell'attività di edificazione ed il rapporto obbligatorio relativo ai contributi di urbanizzazione e di costruzione (cfr. Cons. Stato Sez. V 12.06.1995, n. 894).
Ciò significa che il venir meno della titolarità della concessione e quindi del diritto di edificazione in capo all'originario concessionario con il trasferimento dei relativi diritti in testa al subentrante, destinatario della volturazione e titolare quindi dello ius aedificandi, di norma e salva diversa ed esplicita pattuizione tra cedente e cessionario, comportano anche il trasferimento a carico ed a favore di quest'ultimo, dal momento della volturazione, di tutti indistintamente i diritti e gli obblighi connessi e/o derivanti dalla concessione stessa.
Insomma, se, come detto, esiste una connessione innegabile tra ius aedificandi e diritti ed obblighi relativi agli oneri concessori, tali diritti e tali obblighi, salva esplicita deroga, non possono perpetuarsi in capo al soggetto originario concessionario che ha alienato il terreno interessato dalla trasformazione dopo il rilascio della concessione, quest’ultima volturata ad un nuovo soggetto, che è proprio quello e solo quello che poi in concreto può esercitare lo ius aedificandi.
D’altra parte, se è vero che, una volta intervenuta la volturazione della concessione edilizia, legittimato passivo rispetto alle misure repressive di lavori eventualmente condotti in difformità dalla concessione è soltanto il terzo subentrante e non l'originario titolare della concessione edilizia (TAR Lombardia, Milano, sez. II 18.02.1984 n. 66), lo stesso principio non può non affermarsi anche rispetto alle obbligazioni pecuniarie connesse alla concessione edilizia volturata dopo il suo rilascio e derivanti dall’avvenuto, o meno, concreto utilizzo della concessione stessa.
Né può pervenirsi a conclusione diversa solo perché la giurisprudenza ha ritenuto che la voltura della concessione comporta una <novazione soggettiva> della stessa.
Tale affermazione non incide, infatti, sul dato incontestabile che la concessione edilizia non ha natura <personale>, ma <reale>, nel senso che suo presupposto è comunque una situazione soggettiva attiva del richiedente in relazione ad un bene determinato e che da tale natura discende la possibilità di trasferimento della stessa insieme con l'area, subordinato ad un provvedimento di voltura che rappresenta un mero accertamento del fatto del subingresso di un nuovo soggetto nel rapporto giuridico originario.
Nella suindicata prospettiva, se è vero che l'atto di volturazione non comporta la corresponsione di ulteriori contributi concessori che restano quelli fissati in occasione del rilascio del titolo originario (cfr. Cons. Stato sez. V. n. 616/1988 citata), è altrettanto vero che tali oneri, sia per la parte adempiuta che per quella non ancora adempiuta, salva diversa pattuizione recepita dall’Amministrazione, si trasferiscono automaticamente al subentrante, sia perché non rilevano sotto il profilo dell'intuitus personae, inerendo ad un atto che non ha carattere personale, sia perché connessi alla capacità di disporre del diritto di edificazione, nella specie in concreto non esercitato dal subentrante.
Tutto quanto sopra induce il Collegio a ritenere che, nel caso della voltura della concessione edilizia, non essendo la prestazione oggetto dell'obbligazione contributiva caratterizzata in senso personale, si ha in realtà una modificazione dell'oggetto del rapporto, con l'effetto della liberazione da ogni diritto ed obbligo del primitivo concessionario in concomitanza con la perdita del diritto ed edificare.
Nel caso in esame, pertanto, la ricorrente, ove avesse effettivamente realizzato il progetto, sarebbe stata sicuramente tenuta a corrispondere le altre rate di contributo; alla stessa stregua, non avendo edificato, ove non esista un patto contrario, ha diritto alla ripetizione degli oneri che in relazione alla concessione sono stati pagati.
3- Tanto basta per l’accoglimento del ricorso e per l’affermazione dell’obbligo del Comune di provvedere in relazione alla domanda proposta dalla ricorrente, innanzitutto verificando se, per ipotesi, dall’atto di cessione emerga la diversa volontà di conservare in capo alla cedente il diritto al rimborso dei contributi già versati in caso di mancato utilizzo della concessione e, in caso di esito negativo di tale indagine, restituendo quanto versato alla cessionaria (TAR Campania-Napoli, Sez. V, sentenza 12.03.2012 n. 1220 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La ristrutturazione edilizia con demolizione e fedele ricostruzione presuppone una volumetria che si suppone già dotata delle necessarie opere di urbanizzazione.
Inoltre, il contributo per oneri di urbanizzazione costituisce un corrispettivo di diritto pubblico previsto dal legislatore a titolo di partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione, ovvero un contributo speciale che ha la propria causa giuridica nelle maggiori spese che l’amministrazione pubblica deve accollarsi in dipendenza della costruzione dell’edificio e del connesso utilizzo, da parte dei detentori del bene, dei servizi e degli spazi circostanti.
Ne deriva che la cubatura preesistente va esentata dal pagamento di esso qualora, come nel caso in esame, non si sia verificato un cambiamento di destinazione d’uso o il frazionamento dell’originaria struttura in più appartamenti, e cioè qualora il manufatto realizzato non renda necessarie nuove opere di urbanizzazione o un più intenso utilizzo delle urbanizzazioni esistenti.

Il permesso in sanatoria rilasciato dal Comune di Portoferraio assume ad oggetto la fedele ricostruzione del preesistente manufatto (documento n. 8 depositato in giudizio dal Comune): gli atti impugnati fanno infatti riferimento alla volumetria corrispondente a quella demolita (mc. 291,30) e non anche alla variante avente ad oggetto l’ampliamento del piano terra (il cui iter non risulta concluso).
Pertanto, non rilevando un aumento di superficie, del volume o del numero delle unità abitative, o una modifica di destinazione d’uso, l’intervento edilizio in questione non produce un incremento del carico urbanistico.
Invero, la ristrutturazione edilizia con demolizione e fedele ricostruzione presuppone una volumetria che si suppone già dotata delle necessarie opere di urbanizzazione (TAR Lombardia, Milano, II, 23.07.2009, n. 4455).
Inoltre, il contributo per oneri di urbanizzazione costituisce un corrispettivo di diritto pubblico previsto dal legislatore a titolo di partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione, ovvero un contributo speciale che ha la propria causa giuridica nelle maggiori spese che l’amministrazione pubblica deve accollarsi in dipendenza della costruzione dell’edificio e del connesso utilizzo, da parte dei detentori del bene, dei servizi e degli spazi circostanti.
Ne deriva che la cubatura preesistente va esentata dal pagamento di esso qualora, come nel caso in esame, non si sia verificato un cambiamento di destinazione d’uso o il frazionamento dell’originaria struttura in più appartamenti, e cioè qualora il manufatto realizzato non renda necessarie nuove opere di urbanizzazione o un più intenso utilizzo delle urbanizzazioni esistenti (TAR Trentino Alto Adige, Bolzano, 06.03.2000, n. 59) (TAR Toscana, Sez. III, sentenza 12.03.2012 n. 496 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl contributo per oneri di urbanizzazione è un corrispettivo di diritto pubblico, di natura non tributaria, posto a carico del costruttore a titolo di partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione in proporzione all’insieme dei benefici che la nuova costruzione ne ritrae. Il presupposto imponibile per il pagamento dei contributi di urbanizzazione va ravvisato nella domanda di una maggiore dotazione di servizi (rete viaria, fognature, ecc.) nell’area di riferimento, che sia indotta dalla destinazione d’uso concretamente impressa all’alloggio, in quanto una diversa utilizzazione rispetto a quella stabilita nell’originario titolo abilitativo può determinare una variazione quantitativa e qualitativa del carico urbanistico.
In termini generali, il fondamento del contributo di urbanizzazione –da versare al momento del rilascio di una concessione edilizia– non consiste nell'atto amministrativo in sé bensì nella necessità di ridistribuire i costi sociali delle opere di urbanizzazione, facendoli gravare sugli interessati che beneficiano delle utilità derivanti dalla presenza delle medesime, secondo modalità eque per la comunità. L'entità degli oneri di urbanizzazione è in buona sostanza correlata alla variazione del carico urbanistico, sicché è ben possibile che un intervento di ristrutturazione e mutamento di destinazione d'uso possa non comportare aggravi di carico urbanistico e quindi l'obbligo della relativa corresponsione degli oneri; al contrario è altrettanto possibile che in caso di mutamento di destinazione di uso nell'ambito della stessa categoria urbanistica, faccia seguito un maggior carico urbanistico indotto dalla realizzazione di quanto assentito e correlativamente siano dovuti gli oneri concessori.
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Pacifica è la diversa natura degli oneri di urbanizzazione rispetto ai costi di costruzione, i quali rappresentano una compartecipazione comunale all’incremento di valore della proprietà immobiliare del costruttore a seguito della nuova edificazione.
Mentre quindi il contributo per gli oneri di urbanizzazione ha funzione recuperatoria delle spese sostenute dalla collettività comunale in relazione alla trasformazione del territorio assentita al singolo, il contributo per costo di costruzione, che è rapportato alle caratteristiche ed alla tipologia delle costruzioni e non è alternativo ad altro valore di genere diverso, afferisce alla mera attività costruttiva in sé valutata: l’obbligazione contributiva per costo di costruzione, dunque, è a-causale ed appare soffermarsi sulla produzione di ricchezza connessa all’utilizzazione edificatoria del territorio ed alle potenzialità economiche che ne derivano e, pertanto, ha natura essenzialmente paratributaria. Il contributo afferente al costo di costruzione, a norma dell’art. 6 della L. 10/1977, è determinato in rapporto alle caratteristiche, alle tipologie delle costruzioni e delle loro destinazioni ed ubicazioni (oggi occorre fare riferimento all’art. 16 del D.P.R. 380/2001).

Sia nella precedente che nell’attuale normativa in effetti (articoli 3, 5, 6 della L. 10/1977 e 16 del D.P.R. 380/2001) alle nuove edificazioni e agli altri interventi –comunque soggetti a titolo abilitativo– corrisponde il pagamento di un contributo commisurato all’incidenza degli oneri di urbanizzazione, nonché al costo di costruzione. La natura giuridica del predetto contributo è quella di prestazione patrimoniale imposta, anche indipendentemente dall'utilità specifica del singolo concessionario, comunque tenuto a concorrere alla spesa pubblica per le infrastrutture che debbono accompagnare ogni nuovo insediamento edificatorio (Consiglio di Stato, sez. VI – 25/08/2009 n. 5059).
In particolare il contributo per oneri di urbanizzazione è un corrispettivo di diritto pubblico, di natura non tributaria, posto a carico del costruttore a titolo di partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione in proporzione all’insieme dei benefici che la nuova costruzione ne ritrae (cfr. per tutti TAR Puglia Bari, sez. III – 10/02/2011 n. 243). Il presupposto imponibile per il pagamento dei contributi di urbanizzazione va ravvisato nella domanda di una maggiore dotazione di servizi (rete viaria, fognature, ecc.) nell’area di riferimento, che sia indotta dalla destinazione d’uso concretamente impressa all’alloggio, in quanto una diversa utilizzazione rispetto a quella stabilita nell’originario titolo abilitativo può determinare una variazione quantitativa e qualitativa del carico urbanistico (Sentenza Sezione 11/06/2004 n. 646; TAR Lombardia Milano, sez. II – 02/10/2003 n. 4502; Consiglio Stato, sez. V – 25/05/1995 n. 822).
In termini generali, il fondamento del contributo di urbanizzazione –da versare al momento del rilascio di una concessione edilizia– non consiste nell'atto amministrativo in sé bensì nella necessità di ridistribuire i costi sociali delle opere di urbanizzazione, facendoli gravare sugli interessati che beneficiano delle utilità derivanti dalla presenza delle medesime, secondo modalità eque per la comunità. L'entità degli oneri di urbanizzazione è in buona sostanza correlata alla variazione del carico urbanistico, sicché è ben possibile che un intervento di ristrutturazione e mutamento di destinazione d'uso possa non comportare aggravi di carico urbanistico e quindi l'obbligo della relativa corresponsione degli oneri; al contrario è altrettanto possibile che in caso di mutamento di destinazione di uso nell'ambito della stessa categoria urbanistica, faccia seguito un maggior carico urbanistico indotto dalla realizzazione di quanto assentito e correlativamente siano dovuti gli oneri concessori (TAR Lazio Roma, sez. II – 14/11/2007 n. 11213).
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Nella fattispecie, come ha correttamente rilevato parte ricorrente, non affiorano elementi utili a comprovare che il mutamento di destinazione d'uso sia stato accompagnato da un’alterazione del carico urbanistico. Al contrario la Società Astoria ha dato conto delle riflessioni racchiuse nell’allegato B alla deliberazione consiliare n. 52/2001, ove in sede di controdeduzioni all’osservazione presentata (nell’ambito della procedura di variante urbanistica semplificata che ha reso possibile l’intervento) si dichiara che “si tratta di trasformazione di destinazione d’uso di un albergo esistente il cui carico urbanistico non può essere certo aggravato, né tanto meno la viabilità” e che “l’intervento non è che la trasformazione della destinazione d’uso di un edificio esistente senza modificare l’aspetto esteriore, né tanto meno la sagoma, la superficie, … è opera di urbanizzazione”. In secondo luogo la ricorrente ha evidenziato come la categoria non sia mutata (con la trasformazione da albergo a casa di cura) permanendo una struttura ricettiva dotata di circa 100 posti letto quando in precedenza l’albergo ospitava 49 camere (cfr. relazione tecnica alla D.I.A. del 18/12/1998). Lo stesso punto 7 della convenzione urbanistica così si esprime “pur ricadendo la struttura sanitaria … in zona totalmente urbanizzata, inoltre dotata dei parcheggi previsti dalla normativa specifica in materia … si ritiene necessario migliorare l’arredo urbano”.
In presenza di un insediamento capace di rispondere a bisogni collettivi (come la struttura preesistente) l’amministrazione –per poter legittimamente esigere il contributo per gli oneri di urbanizzazione– avrebbe dovuto dare contezza degli indici o, comunque, dei presupposti da cui si evinceva il maggior carico urbanistico addebitabile al richiesto mutamento di destinazione (cfr. TAR Lombardia Milano, sez. IV – 04/05/2009 n. 3604).
Non avendo evidenziato la ricorrenza, nel caso concreto (mediante raffronto tra la destinazione originaria e quella attuale) del presupposto del pagamento richiesto –ossia della variazione in aumento del carico urbanistico– deve ritenersi indebitamente preteso l’importo di € 31.492,43 per sanzione ex art. 13 della L. 47/1985, da restituire alla parte ricorrente.
Pacifica è la diversa natura degli oneri di urbanizzazione rispetto ai costi di costruzione, i quali rappresentano una compartecipazione comunale all’incremento di valore della proprietà immobiliare del costruttore a seguito della nuova edificazione (cfr. TAR Abruzzo Pescara – 18/10/2010 n. 1142).
Mentre quindi il contributo per gli oneri di urbanizzazione ha funzione recuperatoria delle spese sostenute dalla collettività comunale in relazione alla trasformazione del territorio assentita al singolo, il contributo per costo di costruzione, che è rapportato alle caratteristiche ed alla tipologia delle costruzioni e non è alternativo ad altro valore di genere diverso, afferisce alla mera attività costruttiva in sé valutata: l’obbligazione contributiva per costo di costruzione, dunque, è a-causale ed appare soffermarsi sulla produzione di ricchezza connessa all’utilizzazione edificatoria del territorio ed alle potenzialità economiche che ne derivano e, pertanto, ha natura essenzialmente paratributaria (TAR Campania Salerno, sez. II – 11/06/2002 n. 459). Il contributo afferente al costo di costruzione, a norma dell’art. 6 della L. 10/1977, è determinato in rapporto alle caratteristiche, alle tipologie delle costruzioni e delle loro destinazioni ed ubicazioni (oggi occorre fare riferimento all’art. 16 del D.P.R. 380/2001).
Ne deriva, quindi, che nell’ipotesi di variazione di destinazione d’uso di un immobile accompagnata dalla realizzazione di opere, sussiste il presupposto per il pagamento della parte di contributo afferente al costo di costruzione, da riferire al dato oggettivo della ristrutturazione dell’edificio (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 02.03.2012 n. 355 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATASia ai sensi del previgente art. 11, comma 2, L. n. 10/1977, sia ai sensi del vigente art. 16, comma 3, DPR n. 380/2001 “la quota del contributo relativa al costo di costruzione, determinata all’atto di rilascio, è corrisposta in corso d’opera, con le modalità e garanzie stabilite dal Comune non oltre 60 giorni dall’ultimazione della costruzione”.
Pertanto, merita adesione l’orientamento giurisprudenziale secondo cui per il credito a titolo di costo di costruzione il dies a quo del termine ordinario prescrizionale non decorre dalla data stabilita in concessione per l’ultimazione dei lavori, ma da quella in cui l’opera è stata effettivamente ultimata, tenuto conto che di questo elemento di fatto deve essere data contezza all'Amministrazione da parte del privato. Sicché, in difetto di tale elemento, il termine prescrizionale non decorre nei confronti dell’Amministrazione creditrice in quanto il contributo relativo al costo di costruzione non può essere esigibile prima della scadenza del sessantesimo giorno dall'ultimazione delle opere, ai sensi dell'art. 11, comma 2, L. n. 10/1977 (ora sostituito dall’art. 16, comma 3, DPR n. 380/2001), per cui solo la scadenza di detto termine può determinare il dies a quo di decorrenza della prescrizione decennale del diritto, tenuto pure conto dell’art. 2935 C.C., secondo cui, in generale, la prescrizione non può decorrere se non dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere.

Sia ai sensi del previgente art. 11, comma 2, L. n. 10/1977, sia ai sensi del vigente art. 16, comma 3, DPR n. 380/2001 “la quota del contributo relativa al costo di costruzione, determinata all’atto di rilascio, è corrisposta in corso d’opera, con le modalità e garanzie stabilite dal Comune non oltre 60 giorni dall’ultimazione della costruzione”.
Pertanto, merita adesione l’orientamento giurisprudenziale (TAR Catanzaro I,. n. 522 del 14.04.2011; TAR Napoli, II, n. 3147 dell’08.06.2009; TAR Sardegna, II, n. 9 del 14.01.2008; TAR Umbria, n. 512 del 23.06.2003), secondo cui per il credito a titolo di costo di costruzione il dies a quo del termine ordinario prescrizionale non decorre dalla data stabilita in concessione per l’ultimazione dei lavori, ma da quella in cui l’opera è stata effettivamente ultimata, tenuto conto che di questo elemento di fatto deve essere data contezza all'Amministrazione da parte del privato. Sicché, in difetto di tale elemento, il termine prescrizionale non decorre nei confronti dell’Amministrazione creditrice in quanto il contributo relativo al costo di costruzione non può essere esigibile prima della scadenza del sessantesimo giorno dall'ultimazione delle opere, ai sensi dell'art. 11 comma 2, L. n. 10/1977 (ora sostituito dall’art. 16, comma 3, DPR n. 380/2001), per cui solo la scadenza di detto termine può determinare il dies a quo di decorrenza della prescrizione decennale del diritto, tenuto pure conto dell’art. 2935 C.C., secondo cui, in generale, la prescrizione non può decorrere se non dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere.
Pertanto, poiché il ricorrente oltre a non aver comunicata l’ultimazione dei lavori (circostanza esplicitamente dedotta dal Responsabile del Servizio Urbanistica del Comune di Pomarico nella nota prot. n. 6740 del 07.12.2011 e non smentita dal ricorrente, per cui, nella specie, va applicato il principio di non contestazione di cui al vigente art. 115, comma 1, C.P.C., previsto anche dall’art. 64, comma 2, Cod. Proc. Amm.), non ha provato la conoscenza da parte del Comune resistente dell’ultimazione delle opere assentite o anche l’ultimazione dei lavori 10 anni prima della ricezione della nota Responsabile Servizio Urbanistica Comune di Pomarico prot. n. 2586 del 5.5.2011, deve ritenersi non prescritto il diritto al pagamento del costo di costruzione, la cui quantificazione di 2.891,49 € non è stata contestata dal ricorrente (TAR Basilicata, sentenza 15.02.2012 n. 71 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La concessione edilizia è normalmente onerosa, tranne le tassative ipotesi di gratuità. Gli oneri di urbanizzazione sono previsti, infatti, a carico del costruttore, quale prestazione patrimoniale, a titolo di partecipazione di al costo delle opere di urbanizzazione connesse alle esigenze della collettività che scaturiscono dagli interventi di edificazione e dal maggior carico urbanistico che si realizza per effetto della costruzione. Detti oneri prescindono dall'esistenza o meno delle opere di urbanizzazione e vengono determinati indipendentemente sia dall'utilità che il concessionario ritrae dal titolo edificatorio, sia dalle spese effettivamente occorrenti per realizzare siffatte opere. La partecipazione del privato a tali spese, quando ottiene la concessione a costruire, si atteggia quindi come assunzione di una quota dei costi della vocazione edificatoria impressa al territorio, e trova giustificazione nel beneficio, economicamente rilevante in termini di valore del suolo, che il privato medesimo riceve per effetto della concreta attuabilità del suo progetto di costruzione.
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La determinazione del contributo di costruzione deve avvenire esclusivamente sulla base delle norme di legge che dettano i criteri di calcolo, “norme che vanno rigorosamente rispettate anche in osservanza del principio di cui all’art. 23 della Costituzione, secondo il quale nessuna prestazione patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge”. La determinazione degli oneri, dunque, è il risultato di un calcolo materiale operato sulla base di parametri rigorosamente stabiliti dalla legge e dalle disposizioni applicative degli enti territoriali competenti, che deve essere quantificato delle tariffe in vigore al momento del rilascio del titolo abilitativo.

La concessione edilizia è normalmente onerosa, tranne le tassative ipotesi di gratuità che, nella specie, non sussistono e non vengono, comunque, invocate. Gli oneri di urbanizzazione sono previsti, infatti, a carico del costruttore, quale prestazione patrimoniale, a titolo di partecipazione di al costo delle opere di urbanizzazione connesse alle esigenze della collettività che scaturiscono dagli interventi di edificazione e dal maggior carico urbanistico che si realizza per effetto della costruzione. Detti oneri prescindono dall'esistenza o meno delle opere di urbanizzazione e vengono determinati indipendentemente sia dall'utilità che il concessionario ritrae dal titolo edificatorio, sia dalle spese effettivamente occorrenti per realizzare siffatte opere. La partecipazione del privato a tali spese, quando ottiene la concessione a costruire, si atteggia quindi come assunzione di una quota dei costi della vocazione edificatoria impressa al territorio, e trova giustificazione nel beneficio, economicamente rilevante in termini di valore del suolo, che il privato medesimo riceve per effetto della concreta attuabilità del suo progetto di costruzione (giurisprudenza uniforme cfr., tra le tante, Cons. St., sez. IV, 21.04.2009, n. 2581 e sez. V, 23.01.2006, n. 159).
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La determinazione del contributo di costruzione deve avvenire esclusivamente sulla base delle norme di legge che dettano i criteri di calcolo, “norme che vanno rigorosamente rispettate anche in osservanza del principio di cui all’art. 23 della Costituzione, secondo il quale nessuna prestazione patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge” (Cons. St., sez. V, 21.04.2006 n. 2258). La determinazione degli oneri, dunque, è il risultato di un calcolo materiale operato sulla base di parametri rigorosamente stabiliti dalla legge e dalle disposizioni applicative degli enti territoriali competenti, che deve essere quantificato delle tariffe in vigore al momento del rilascio del titolo abilitativo (TAR Sicilia-Catania, Sez. I, sentenza 02.02.2012 n. 279 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl permesso di costruire ha natura non ricettizia e i suoi effetti iniziano a decorrere dal momento della sua adozione e non dal momento della notifica al richiedente.
Conseguentemente, è dal momento della comunicazione con la quale il richiedente viene avvisato che il permesso di costruire è stato rilasciato che decorre il termine per il pagamento del contributo di costruzione e quindi nasce l’obbligo impositivo (e non dalla data di ritiro materiale del provvedimento).

Con il secondo mezzo si sostiene che il permesso di costruire è un atto ricettizio ex lege: a tale conclusione si perviene ove si consideri che il legislatore statale e regionale ha parlato di “rilascio” del titolo edilizio, il che implicherebbe la “traditio” del provvedimento dall’autorità adottante al soggetto beneficiario.
La conseguenza della tesi della natura ricettizia sarebbe costituita dal fatto che solo con l’integrale conoscenza del provvedimento concessorio il soggetto sarebbe in grado di valutare pienamente la soddisfazione del proprio interesse e solo da questo momento sorgerebbero gli obblighi giuridici tra cui vi è, principalmente, quello di pagare gli oneri di urbanizzazione.
Poiché alla ricorrente il provvedimento è stato rilasciato il giorno 09.03.2005 presso la sede dell’ente territoriale sarebbe illegittima la pretesa dell’amministrazione di equiparare il semplice avviso (dal 16.02.2005) di disponibilità del provvedimento presso gli uffici con il rilascio del medesimo. L’avviso di mora e la richiesta di pagamento della sanzione sarebbero pertanto illegittimi in quanto la società ricorrente ha esattamente adempiuto al pagamento degli oneri a fare data dalla conoscenza del provvedimento avvenuta con il suo ritiro il 09.03.2005.
La doglianza è infondata in quanto il Collegio intende aderire al quella parte della giurisprudenza amministrativa che ritiene che il permesso di costruire abbia natura non ricettizia e i suoi effetti inizino a decorrere dal momento della sua adozione e non dal momento della notifica al richiedente.
A tal proposito occorre premettere che l’art. 15 del d.p.r. 06.06.2001 n. 380, prevede che: a) nel permesso di costruire siano indicati i termini di inizio e di ultimazione dei lavori; b) che, in particolare, il termine per l’inizio dei lavori non possa essere superiore ad un anno dal “rilascio” del titolo, laddove quello di ultimazione non possa superare i tre anni dall'inizio dei lavori; c) che, decorsi tali termini, il permesso decada di diritto per la parte non eseguita, a meno che, anteriormente alla scadenza venga richiesta (e conseguita) una proroga.
La disposizione in esame fa, dunque, decorrere il termine “dal rilascio del titolo” (e non dalla sua successiva comunicazione all’interessato), ciò che induce un corposo filone giurisprudenziale (con l’assenso di parte della dottrina) alla tesi della non ricettizietà (confermata, per un verso, dalla ratio della previsione –preordinata a tutelare l’interesse pubblico a che il rilascio di titoli edilizi non seguiti dalla pronta ed effettiva realizzazione delle opere progettate non precluda l’immutazione degli assetti programmatori del territorio– e, per altro verso, dal tenore dell’attuale art. 21-bis della l. n. 241 del 1990, il quale, recependo sul punto le elaborazioni pretorie, considera recettizi solo i provvedimenti limitativi della sfera del destinatario, legittimando l’argomentazione a contrario per quelli ampliativi).
In tali sensi sono, in via esemplificativa: Cass., sez. I, 30.11.2006, n. 25536; TAR Liguria, 11.03.2003, n. 279; TAR Sardegna, 10.11.1992, n. 1429; Cons. Stato, sez. V, 02.07.1993, n. 770 e TAR Lazio Latina, 09.07.2007, n. 482. Va poi aggiunto che, a norma dell'art. 31 della l. 17.08.1942, n. 1150, la decorrenza dei termini dipendeva dalla effettiva conoscenza del provvedimento concessorio, mentre nel vigore della attuale disciplina la decorrenza è ancorata alla data di “rilascio” e non più di “ritiro”.
E’ pertanto dal momento della comunicazione con la quale il richiedente viene avvisato che il permesso di costruire è stato rilasciato che decorre il termine per il pagamento del contributo di costruzione e quindi nasce l’obbligo impositivo (TAR Emilia Romagna-Parma, sentenza 25.01.2012 n. 62 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Se il termine di prescrizione per la riscossione degli oneri concessori decorre dalla data di emanazione del provvedimento, non può ragionevolmente ritenersi che il termine per il pagamento decorra da una data diversa.
L’art. 16 del D.P.R. 380 del 2001 (Contributo per il rilascio del permesso di costruire), che corrisponde agli artt. 3, 5 comma 1 e 6, commi 1, 4 e 5 della legge 28.01.1977, n. 10, dopo aver previsto (comma 1) che “il rilascio del permesso di costruire comporta la corresponsione di un contributo commisurato all'incidenza degli oneri di urbanizzazione nonché al costo di costruzione, secondo le modalità indicate nel presente articolo”, stabilisce (comma 2) che “la quota di contributo relativa agli oneri di urbanizzazione è corrisposta al comune all'atto del rilascio del permesso di costruire e, su richiesta dell'interessato, può essere rateizzata…….
La questione dunque si incentra sull’interpretazione dell’espressione “all’atto del rilascio”, che dalla legge è lasciata genericamente vaga, in quanto la disposizione in questione non individua con esattezza se il rilascio (e quindi, il momento di decorrenza del termine per il pagamento degli oneri concessori) coincida col momento della emanazione della concessione edilizia, o con quello della notifica/comunicazione ovvero ancora, come sostenuto dalla ricorrente, dal momento della sua “efficacia”.
Sulla questione il collegio esprime le seguenti considerazioni.
Il termine “rilascio” lo si rinviene anche nell’art. 12 del D.P.R. 380 del 2001 (“Presupposti per il rilascio del permesso di costruire”) e nelle disposizioni successive.
In particolare l’art. 15 del D.P.R. 380/2001 stabilisce al comma 2 che “il termine per l'inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno dal rilascio del titolo”, rilascio che, in base all’art. 20, viene fatto coincidere con la sua emanazione, in quanto “il provvedimento finale, che lo sportello unico provvede a notificare all'interessato, e' adottato dal dirigente o dal responsabile dell'ufficio”……
In realtà in giurisprudenza la questione non è pacifica, in quanto, a fronte di un orientamento che nega la recettizietà della concessione, “essendo di per sé idonea a produrre gli effetti suoi propri fin dalla data della sua emanazione indipendentemente dalla comunicazione all'interessato“ (così TAR Liguria, sez. I, 11.03.2003, n. 279), esistono altri orientamenti favorevoli a far coincidere il rilascio con la consegna del provvedimento all’interessato, nelle forme facenti fede, almeno ai fini del decorso del termine di decadenza per l’inizio e l’ultimazione dei lavori (TAR Liguria, sez. I, 17.02.2011, n. 322; TAR Salerno, sez. II, 16.12.2009, n. 7923; TAR Catania, sez. I, 07.04.2009, n. 678).
Il collegio ritiene che questo secondo orientamento sia fortemente influenzato dalla opportunità di evitare al destinatario del provvedimento concessorio di incorrere in una decadenza per un fatto in qualche modo ascrivibile all’amministrazione procedente, in quanto la stessa deve mettere in condizione il privato richiedente di venire a conoscenza del contenuto del provvedimento concessorio, al fine di poter procedere con i lavori entro gli effettivi termini di legge (termini che non sarebbero effettivi se si facessero decorrere dalla data di emanazione della concessione edilizia).
È invece più coerente con il sistema ritenere che determinati effetti automatici del provvedimento, indipendenti dall’apporto del destinatario dello stesso, dipendano dalla data di materiale emissione del provvedimento amministrativo. Tra questi effetti, vi è anche il decorso del termine per il pagamento degli oneri concessori, che sono calcolati dal Comune e collegati direttamente alla venuta in essere del permesso di costruire.
In questo senso la liquidazione dei contributi per oneri concessori discende direttamente e automaticamente dal rilascio della concessione edilizia, la quale si configura quale fatto costitutivo dell’obbligo giuridico del concessionario di corrispondere quanto determinato a titolo di contributo (in questi termini, CGA, 13.12.2010 n. 1483), e non con la successiva ed eventuale attuazione di esso, in quanto la realizzazione delle opere assentite può difettare per fatto del concessionario.
Coerentemente con questo, in giurisprudenza si è detto che l'ordinario termine di prescrizione decennale per la riscossione degli oneri di urbanizzazione decorre dalla data di emanazione del provvedimento concessorio (cfr. Tar Napoli, sez. II, 20.07.2007 n. 6891; id., 11.07.2006, n. 7392; Tar Catanzaro 22.11.2000 n. 1439; Tar Pescara 10.05.2002 n. 477).
Se dunque il termine di prescrizione per la riscossione degli oneri concessori decorre dalla data di emanazione del provvedimento, non può ragionevolmente ritenersi che il termine per il pagamento decorra da una data diversa, anche per le ragioni sopra esposte (TAR Sicilia-Palermo, Sez. II, sentenza 18.01.2012 n. 126 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2011

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATAOneri di urbanizzazione - Bonifica dei siti inquinati - Art. 21, comma 5, Legge Regione Lombardia n. 26/2003 - Agevolazione (dimezzamento oneri di urbanizzazione secondaria), per interventi sui siti di interesse nazionale - Art. 21, comma 7, Legge Regione Lombardia n. 26/2003 - Scomputo totale degli oneri di urbanizzazione secondaria se il sito è acquistato nell'ambito di una procedura concorsuale o di esecuzione giudiziale - L'incentivazione di cui al comma 7 rappresenta rimodulazione di quella di cui al comma 5.
L'art. 21, L.R. Lombardia n. 26/2003, recante "Bonifica e ripristino ambientale dei siti inquinati" prevede, al comma 5, una forma di agevolazione (dimezzamento degli oneri di urbanizzazione secondaria), per gli interventi effettuati sui siti di interesse nazionale, come individuati dall'art. 1, comma 4, L. n. 426/1998, caratterizzati da fenomeni di inquinamento di particolare gravità e di rilevante allarme per la salute pubblica; al successivo comma 7 dell'art. 21 richiamato è prevista una ulteriore agevolazione, a favore dei medesimi soggetti di cui al comma 5 (ossia, chi effettua interventi di bonifica sui siti di interesse nazionale), vale a dire lo scomputo totale degli oneri di urbanizzazione secondaria se il sito è acquistato nell'ambito di una procedura concorsuale o di esecuzione giudiziale.
Non si tratta di fattispecie separata, ma della stessa incentivazione di cui al comma 5, che al comma 7 è rimodulata in modo da rendere ancora più conveniente, per gli operatori interessati, l'effettuazione di opere di bonifica (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 29.12.2011 n. 3366 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Lombardia, Necessita aggiornare il costo di costruzione entro il 31.12.2011 il cui effetto sarà efficace a decorrere dall'01.01.2012: ecco il fac-simile di determinazione (file 1 - file 2).
ATTENZIONE: se non si adotta la determinazione di aggiornamento entro la suddetta scadenza per tutto il 2012 si dovrà applicare il medesimo costo di costruzione vigente nell'anno 2011 (cfr. art. 48, comma 2, della L.R. n. 12/2005).
ALCUNE CONSIDERAZIONI: lo scorso 06.12.2011 l'ISTAT ha pubblicato la nuova rilevazione relativa al 3° trimestre 2011 per cui -ad oggi- il dato ufficiale ISTAT è quello relativo alla variazione del mese di agosto 2011, mentre quello di settembre 2011 è ufficioso e, come tale, non utilizzabile (N.B.: per controllare il dato in tempo reale cliccare qui).
Pertanto, poiché il dato ufficioso di settembre 2011 sarà ufficiale solamente col prossimo aggiornamento trimestrale che sarà pubblicato l'anno prossimo,
si può già sin d'ora adottare la determinazione di aggiornamento del costo di costruzione per l'anno 2012 senza aspettare gli ultimi giorni del mese corrente col rischio di dimenticarsene (e, quindi, perdere soldi per le casse comunali !!).
15.12.2011 - LA SEGRETERIA PTPL

EDILIZIA PRIVATA: Lombardia, Necessita aggiornare il costo di costruzione entro il 31.12.2011 il cui effetto sarà efficace a decorrere dall'01.01.2012: ecco il fac-simile di determinazione (file 1 - file 2).
ATTENZIONE: se non si adotta la determinazione di aggiornamento entro la suddetta scadenza per tutto il 2012 si dovrà applicare il medesimo costo di costruzione vigente nell'anno 2011 (cfr. art. 48, comma 2, della L.R. n. 12/2005).
ALCUNE CONSIDERAZIONI: ad oggi, il dato ufficiale ISTAT è quello relativo alla variazione del mese di maggio 2011, mentre quello di giugno 2011 è ufficioso e, come tale, non utilizzabile (N.B.: per controllare il dato in tempo reale cliccare qui).
Pertanto,
si consiglia di adottare la determinazione di aggiornamento del costo di costruzione, per l'anno 2012, verso la fine di dicembre 2011 poiché è verosimile che entro il 31.12.2011 possa essere pubblicato dall'ISTAT il dato ufficiale relativo a giugno 2011 ed avere, così, un valore maggiore (rispetto a maggio 2011) della variazione ISTAT per il calcolo del costo di costruzione (e, quindi, non perdere soldi per le casse comunali ...).
05.12.2011 - LA SEGRETERIA PTPL

EDILIZIA PRIVATALa giurisprudenza amministrativa, a motivo della natura di azione di accertamento e condanna della domanda giudiziale volta ad ottenere il rimborso degli oneri concessori, opina che l’azione possa essere esperita anche senza la previa impugnazione della concessione edilizia.
Si è infatti condivisibilmente affermato che “L'azione volta alla declaratoria del diritto a vedersi restituite le maggiori somme versate al Comune a titolo di oneri concessori può essere proposta a prescindere dall'impugnazione o dall'esistenza dell'atto con il quale viene richiesto il pagamento, trattandosi di un giudizio di accertamento di un rapporto obbligatorio pecuniario” e altresì che la domanda di restituzione degli oneri concessori “può essere proposta nel termine della prescrizione ordinaria ed indipendentemente dall'impugnazione di atti”, per cui riguardando diritti soggettivi perfetti può essere proposta nell’ordinario termine di prescrizione anziché in quello di decadenza che astringe l’impugnazione di atti.
Si è in tale ottica da ultimo affermato che “la relativa controversia (devoluta alla giurisdizione del giudice amministrativo già dall'art. 16 della l. 28.01.977 n. 10) è un giudizio di carattere civile relativo all'esistenza o all'entità di un'obbligazione legale”.
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L’art. 7 della L. 25.03.1982, n. 94 che reca il regime di gratuità dell’autorizzazione edilizia –per gli immobili vincolati, della concessione– non distingue tra uso residenziale ed uso diverso degli immobili e si applica indistintamente a qualsivoglia intervento di restauro e risanamento conservativo stando alla “applicazione della citata norma che non distingue tra edifici residenziali o meno”.
Il regime della autorizzazione edilizia gratuita si sensi dell'art. 7 l. 25.03.1982 n. 94, trova applicazione anche per gli interventi di restauro e risanamento conservativo, così come definiti dall'art. 31, lett. c), l. 05.08.1978 n. 457, siano essi afferenti ad edifici residenziali in senso stretto ovvero ad edifici non residenziali, ma comunque idonei allo svolgimento di attività umane” .
L'art. 7, comma 1, l. 25.03.1982 n. 94, secondo cui gli interventi di risanamento conservativo sono sottoposti ad autorizzazione gratuita, trova applicazione non solo nel caso in cui il risanamento concerna immobili destinati ad uso residenziale, ma, anche per gli edifici adibiti ad altri usi (nella specie uso commerciale).
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Sulle somme da restituire a titolo di oneri concessori non spetta la rivalutazione monetaria ma solo gli interessi: infatti, la domanda di rivalutazione monetaria avanzata con riferimento all'indebito pagamento di oneri di urbanizzazione deve essere respinta tenuto conto che l'obbligazione di restituzione dell'indebito genera, ai sensi dell'art. 2033 c.c., esclusivamente l'obbligazione accessoria di interessi.

Deve in primo luogo scrutinarsi l’eccezione di inammissibilità della domanda volta ad ottenere la restituzione degli oneri concessori versati per il rilascio della concessione edilizia del 1985 sollevata dal Comune nella memoria dell’08.04.2011 sul rilievo che detta concessione non è stata impugnata.
L’eccezione non ha pregio e va disattesa poiché la giurisprudenza amministrativa a motivo della natura di azione di accertamento e condanna della domanda giudiziale volta ad ottenere il rimborso degli oneri in questione opina che l’azione possa essere esperita anche senza la previa impugnazione della concessione edilizia.
Si è infatti condivisibilmente affermato che “L'azione volta alla declaratoria del diritto a vedersi restituite le maggiori somme versate al Comune a titolo di oneri concessori può essere proposta a prescindere dall'impugnazione o dall'esistenza dell'atto con il quale viene richiesto il pagamento, trattandosi di un giudizio di accertamento di un rapporto obbligatorio pecuniario” (TAR Puglia – Lecce, Sez. I. 07.04.2009, n. 686) e altresì che la domanda di restituzione degli oneri concessori “può essere proposta nel termine della prescrizione ordinaria ed indipendentemente dall'impugnazione di atti” (TAR Lazio, Sez. II, 17.05.2005, n. 3844), per cui riguardando diritti soggettivi perfetti può essere proposta nell’ordinario termine di prescrizione anziché in quello di decadenza che astringe l’impugnazione di atti (TAR Campania – Napoli IV, 13.09.2004 n. 11949).
Si è in tale ottica da ultimo affermato che “la relativa controversia (devoluta alla giurisdizione del giudice amministrativo già dall'art. 16 della l. 28.01.977 n. 10) è un giudizio di carattere civile relativo all'esistenza o all'entità di un'obbligazione legale” (TAR Lombardia – Brescia, Sez. I, 02.11.2010, n. 4519).
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Secondo pacifica giurisprudenza, condivisa dal Tribunale e contrariamente al lontano precedente di cui a TAR Piemonte, Sez. I, n. 87/1994 dal quale il Collegio dissente, l’art. 7 della L. 25.03.1982, n. 94 che reca il regime di gratuità dell’autorizzazione edilizia –per gli immobili vincolati, della concessione– non distingue tra uso residenziale ed uso diverso degli immobili e si applica indistintamente a qualsivoglia intervento di restauro e risanamento conservativo stando alla “applicazione della citata norma che non distingue tra edifici residenziali o meno” (TAR Toscana, Sez. II, 31.01.2000, n. 22).
Ancor più significativamente il Giudice amministrativo, nel precedente correttamente segnalato dalla difesa della ricorrente, ha avuto modo di precisare che “Il regime della autorizzazione edilizia gratuita si sensi dell'art. 7 l. 25.03.1982 n. 94, trova applicazione anche per gli interventi di restauro e risanamento conservativo, così come definiti dall'art. 31, lett. c), l. 05.08.1978 n. 457, siano essi afferenti ad edifici residenziali in senso stretto ovvero ad edifici non residenziali, ma comunque idonei allo svolgimento di attività umane” (TAR Liguria, Sez. I, 25.11.1999, n. 495; contra TAR Piemonte, sez. I, 03.03.1994, n. 87).
Segnala il Collegio che il cennato principio di gratuità era stato già espresso dal Consiglio di Stato che aveva chiarito che “L'art. 7, comma 1, l. 25.03.1982 n. 94, secondo cui gli interventi di risanamento conservativo sono sottoposti ad autorizzazione gratuita, trova applicazione non solo nel caso in cui il risanamento concerna immobili destinati ad uso residenziale, ma, anche per gli edifici adibiti ad altri usi (nella specie uso commerciale)” (Consiglio di Stato, Sez. V, 24.07.1993, n. 799).
In accoglimento del presente motivo deve dunque dichiararsi che illegittimamente il Comune di Torino ha preteso in sede di rilascio della C.E. n. 396/1985 il costo di costruzione e gli oneri di urbanizzazione per la porzione di immobile destinata a terziario.
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Si è affermato che sulle somme da restituire a titolo di oneri concessori non spetta la rivalutazione monetaria ma solo gli interessi: “La domanda di rivalutazione monetaria avanzata con riferimento all'indebito pagamento di oneri di urbanizzazione deve essere respinta tenuto conto che l'obbligazione di restituzione dell'indebito genera, ai sensi dell'art. 2033 c.c., esclusivamente l'obbligazione accessoria di interessi” (Consiglio di Stato, Sez. IV, 24.7.1993, n. 799; TAR Emilia – Romagna, Parma, 07.04.1998, n. 149; da ult. TAR Lombardia – Brescia, Sez. I, 02.11.2010, n. 4519)
(TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 01.12.2011 n. 1262 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: CONSIGLIO DI STATO/ Concessioni edilizie. Il costo di costruzione segue l'immobile.
Il costo di costruzione? Segue l'immobile, non le persone. Chi chiede la concessione edilizia ma poi la cede a un terzo non può essere «inseguito» come debitore dal Comune per il pagamento dell'onere: è escluso, infatti, che si configuri una responsabilità solidale tra chi ha soltanto chiesto il titolo abilitativo e chi lo ha concretamente utilizzato.
È quanto emerge dalla sentenza 30.11.2011 n. 6333 della V Sez. del Consiglio di stato.
Si conclude con la netta sconfitta dell'ente locale la controversia che riguarda un'area edificabile in un comune brianzolo.
Ha sbagliato l'amministrazione per anni a «perseguitare» il cittadino chiedendogli il versamento di una somma in realtà non dovuta (la vicenda, fra l'altro, ha origine quasi trentacinque anni orsono). In base all'articolo 3 della legge 10/1977 la concessione edilizia comporta la corresponsione di un contributo commisurato all'incidenza delle spese di urbanizzazione e al costo di costruzione.
Dottrina e giurisprudenza sono concordi nel ritenere che il costo di costruzione è una prestazione patrimoniale di natura impositiva e trova la sua ratio nell'incremento patrimoniale che il titolare del permesso di costruire consegue in dipendenza dell'intervento edilizio: la condizione di esigibilità, quindi, è la sussistenza di un titolo abilitativo valido ed efficace e la concreta fruizione del titolo da parte del concessionario, vale a dire la circostanza che la costruzione risulti effettivamente realizzata; deve pertanto essere escluso che chi ha chiesto la voltura della concessione edilizia a un terzo subito dopo l'ottenimento possa essere ritenuto soggetto obbligato per legge al versamento del contributo commisurato al costo di costruzione: il cittadino del comune brianzolo, nella specie, non ha nemmeno ritirato il titolo.
Deve infine essere smentita anche l'ipotesi di una responsabilità solidale successiva alla voltura della concessione: la solidarietà, infatti, si configura quando più debitori sono per legge o per titolo obbligati tutti per la stessa prestazione (articolo 1292 Cc), sicché non c'è solidarietà se manca in uno dei soggetti, pur astrattamente collegati al rapporto, la qualità di debitore.
Nel nostro caso è l'effettiva fruizione del titolo edilizio che rappresenta il fatto costitutivo della fonte dell'obbligazione pecuniaria: chi non ha utilizzato il titolo non assume neppure la qualifica di soggetto coobbligato e, dunque, non è tenuto al pagamento (articolo ItaliaOggi del 16.02.2012).

EDILIZIA PRIVATANessun obbligo solidale di pagamento del contributo per il costo di costruzione in capo al venditore che non ha usufruito della concessione edilizia.
L’art. 3 della l. n. 10/1977 stabilisce che la concessione edilizia comporta la corresponsione di un contributo commisurato all’incidenza delle spese di urbanizzazione e al costo di costruzione.
La più accreditata dottrina e la giurisprudenza hanno chiarito che il costo di costruzione è una prestazione patrimoniale di natura impositiva e trova la sua ratio nell’incremento patrimoniale che il titolare del permesso di costruire consegue in dipendenza dell’intervento edilizio. Essa, pertanto, postula quale condizione di esigibilità la sussistenza di un titolo abilitativo valido ed efficace e la concreta fruizione del titolo da parte del concessionario, ovvero la effettiva attività di edificazione.
La causa giuridica del pagamento è, dunque, nella fruizione dell’atto abilitativo all’edificazione a mezzo della effettiva realizzazione dell’intervento assentito. La suddetta natura trova conferma nella disposizione dell’art. 11 della l. n. 10/1977 e del vigente l’art. 16 del T.U. dell’edilizia, che stabiliscono che la quota di contributo per costo di costruzione, determinata al momento del rilascio della concessione, deve essere corrisposta in corso d’opera o comunque non oltre 60 giorni dall’ultimazione delle opere.
Ne consegue che qualora il richiedente il titolo edilizio, non abbia mai usufruito della concessione edilizia (nel caso di specie non ha mai nemmeno ritirato il titolo, avendone chiesto la voltura) non è soggetto obbligato per legge a pagare il contributo commisurato al costo di costruzione (massima tratta da www.gazzettaamministrativa.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 30.11.2011 n. 6333 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La realizzazione dei parcheggi obbligatori è esonerata dall'onere di pagamento del contributo di urbanizzazione.
Il parcheggio eseguito da privato se collegato alle disposizioni pianificatorie generali dettate dai comuni non è soggetto al contributo di urbanizzazione. Il Consiglio di Stato ha respinto il ricorso presentato da un comune che chiedeva a una società di costruzioni la restituzione delle somme percepite a titolo di contributo di concessione edilizia.
Il collegio ricorda che la realizzazione dei parcheggi obbligatori è esonerata dall'onere di pagamento del contributo di urbanizzazione, mentre quelli costruiti in aree private per libera scelta speculativa di un imprenditore rappresentano una modificazione edilizia del territorio realizzata su domanda del soggetto interessato, assimilabile a tutte le altre forme di edificazione soggette quindi a concessione e ai relativi oneri. In questo caso però l’opera è stata eseguita in attuazione di strumenti urbanistici: la pertinenzialità con l’atto pubblico di costituzione di vincolo a parcheggio è quindi indiscutibile.

La disposizione che governa la fattispecie è quella di cui all’art. 11, comma 1, della legge 24.03.1989, n. 122 che così prevede: “Le opere e gli interventi previsti dalla presente legge costituiscono opere di urbanizzazione anche ai sensi dell'articolo 9, primo comma, lettera f) , della legge 28.01.1977, n. 10”.
Il richiamo ivi contenuto a tale ultima disposizione (“il contributo di concessione non è dovuto: per gli impianti, le attrezzature, le opere pubbliche o di interesse generale realizzate dagli enti istituzionalmente competenti nonché per le opere di urbanizzazione, eseguite anche da privati, in attuazione di strumenti urbanistici”) consente di ricomprendere i parcheggi in tale esenzione.
Tale disposizione, peraltro, non risulta abrogata –come inesattamente sostenuto dall’appellante amministrazione- ma è stata riconfermata nella sua validità dal d.p.r. 06.06.2001 n. 380.
La pertinenzialità del parcheggio eseguito (come da progetto) dall’appellata è evidente in relazione all’atto di destinazione contenuto nell’ atto pubblico di costituzione di vincolo a parcheggio del 07.02.2001 né sussiste– o è stato anche soltanto prospettato- elemento alcuno che possa indurre a dubitare della costituzione del vincolo mercé il soprarichiamato atto pubblico.
Si rammenta peraltro che per pacifica e risalente giurisprudenza di questo Consiglio di Stato la realizzazione dei parcheggi obbligatori è esonerata dall'onere di pagamento del contributo di urbanizzazione (Consiglio Stato, sez. V, 14.10.1992, n. 987) mentre di converso si è rilevato che i parcheggi costruiti in aree private per libera scelta speculativa di un imprenditore rappresentano una modificazione edilizia del territorio realizzata su domanda del soggetto interessato, assimilabile a tutte le altre forme di edificazione soggette a concessione e ai relativi oneri (Consiglio Stato, sez. V, 22.12.2005, n. 7344) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 22.11.2011 n. 6154 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Oneri di urbanizzazione: rileva la tipologia dell'attività che vi verrà svolta.
Ai fini della determinazione degli oneri di urbanizzazione rileva non già l'immobile in sé considerato, bensì la tipologia economica dell'attività che in esso viene svolta in quanto quest'ultima consente di spiegare la qualità dello scambio di utilità e vantaggi che si realizza tra la collettività locale e il concessionario che realizza la ristrutturazione edilizia dell'immobile, al cui interno si svolgerà una determinata attività economica.
Dal punto di vista della determinazione degli oneri di urbanizzazione, infatti, ciò che rileva non è l’immobile in sé considerato, ma la tipologia economica dell’attività che in esso viene svolta.
È la tipologia economica dell’attività svolta che consente di spiegare la qualità dello scambio di utilità e vantaggi che si realizza tra la collettività locale, di cui è espressione politico–amministrativa il Comune, e il concessionario che realizza la ristrutturazione edilizia dell’immobile, al cui interno si svolgerà una determinata attività economica.
Per determinare i parametri da applicare è logico cercare di analizzare quale è la caratterizzazione complessiva e prevalente dell’attività economica che viene condotta nell’immobile. Ed è del tutto normale nell’assetto organizzativo di attività di produzione industriale che nei complessi immobiliari con tale vocazione siano inseriti uffici, con compiti di direzione, progettazione, controllo contabile e finanziario, ecc., che svolgono funzioni chiaramente strumentali e funzionali rispetto alla produzione del bene industriale destinato poi alla fase di commercializzazione
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 11.11.2011 n. 5974 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Oneri di urbanizzazione, rileva la tipologia dell'attività che vi verrà svolta.
Ai fini della determinazione degli oneri di urbanizzazione rileva non già l'immobile in sé considerato, bensì la tipologia economica dell'attività che in esso viene svolta in quanto quest'ultima consente di spiegare la qualità dello scambio di utilità e vantaggi che si realizza tra la collettività locale e il concessionario che realizza la ristrutturazione edilizia dell'immobile, al cui interno si svolgerà una determinata attività economica. Dal punto di vista della determinazione degli oneri di urbanizzazione, infatti, ciò che rileva non è l' immobile in sé considerato, ma la tipologia economica dell'attività che in esso viene svolta.
È la tipologia economica dell'attività svolta che consente di spiegare la qualità dello scambio di utilità e vantaggi che si realizza tra la collettività locale, di cui è espressione politico-amministrativa il Comune, e il concessionario che realizza la ristrutturazione edilizia dell'immobile, al cui interno si svolgerà una determinata attività economica.
Per determinare i parametri da applicare è logico cercare di analizzare quale è la caratterizzazione complessiva e prevalente dell'attività economica che viene condotta nell'immobile.
Ed è del tutto normale nell'assetto organizzativo di attività di produzione industriale che nei complessi immobiliari con tale vocazione siano inseriti uffici, con compiti di direzione, progettazione, controllo contabile e finanziario, ecc., che svolgono funzioni chiaramente strumentali e funzionali rispetto alla produzione del bene industriale destinato poi alla fase di commercializzazione.
Il giudice di primo grado ha dunque correttamente cercato di verificare, su basi analitiche certe, quale fosse in concreto la tipologia dell'attività economica svolta nell'immobile in questione.
La relazione tecnica redatta dal progettista, ha fornito sufficienti elementi per far ritenere che nella porzione immobiliare in questione si svolge in via prevalente un'attività direttamente e strumentalmente collegata al ciclo produttivo, trattandosi di spazi destinati ad "uffici dei responsabili di tale attività.... strettamente connessi con l'attività di ricerca ed integrati all'interno del complesso produttivo" (commento tratto da www.ispoa.it -
Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 11.11.2011 n. 5974 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il rilascio del permesso di costruire obbliga alla corresponsione di un contributo commisurato in parte all’incidenza degli oneri di urbanizzazione e in parte al costo di costruzione, avendo gli oneri di urbanizzazione lo scopo di ridistribuire i costi sociali delle opere rese necessarie dall’aggravamento del carico urbanistico che il nuovo intervento determina e atteggiandosi il costo di costruzione come l’espressione dell’incremento di valore della proprietà immobiliare privata per effetto dell’utilizzazione edificatoria del territorio; ove, però, il titolare del permesso di costruire si impegni a realizzare in tutto o in parte le opere di urbanizzazione, i relativi oneri vengono proporzionalmente scomputati dal contributo dovuto, tenendosi a tale fine conto delle percentuali di incidenza fissate a livello comunale sulla base delle apposite tabelle regionali.
Al diverso aspetto del reperimento delle aree necessarie alla realizzazione delle opere di urbanizzazione –ove imposto al privato– attiene poi la c.d. “monetizzazione” sostitutiva dell’obbligatoria cessione degli standard, che è dunque cosa diversa dallo “scomputo” spettante sugli oneri di urbanizzazione in conseguenza della realizzazione diretta delle relative opere.

A norma dell’art. 16 del d.P.R. n. 380 del 2001 (e del pregresso art. 3 della legge n. 10 del 1977), il rilascio del permesso di costruire (in precedenza, concessione edilizia) obbliga alla corresponsione di un contributo commisurato in parte all’incidenza degli oneri di urbanizzazione e in parte al costo di costruzione, avendo gli oneri di urbanizzazione –la cui incidenza è stabilita in sede locale sulla base di tabelle parametriche regionali– lo scopo di ridistribuire i costi sociali delle opere rese necessarie dall’aggravamento del carico urbanistico che il nuovo intervento determina e atteggiandosi il costo di costruzione come l’espressione dell’incremento di valore della proprietà immobiliare privata per effetto dell’utilizzazione edificatoria del territorio; ove, però, il titolare del permesso di costruire si impegni a realizzare in tutto o in parte le opere di urbanizzazione, i relativi oneri vengono proporzionalmente scomputati dal contributo dovuto, tenendosi a tale fine conto delle percentuali di incidenza fissate a livello comunale sulla base delle apposite tabelle regionali.
Al diverso aspetto del reperimento delle aree necessarie alla realizzazione delle opere di urbanizzazione –ove imposto al privato– attiene poi la c.d. “monetizzazione” sostitutiva dell’obbligatoria cessione degli standard, che è dunque cosa diversa dallo “scomputo” spettante sugli oneri di urbanizzazione in conseguenza della realizzazione diretta delle relative opere (v., tra le altre, Cons. Stato, Sez. IV, 16.02.2011 n. 1013)  (TAR Emilia Romagna-Parma, sentenza 08.11.2011 n. 380 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Concessioni e permessi edilizi, contenzioso solo creditizio. Il giudizio non ha ad oggetto la determinazione amministrativa.
Nelle controversie aventi a oggetto gli obblighi di pagamento dei contributi afferenti alle concessioni ed ai permessi edilizi, il giudizio non ha carattere impugnatorio, ancorché esso sia proposto, formalmente, come contestazione di una determinazione amministrativa, in quanto mira ad accertare la sussistenza o la misura del credito vantato dal Comune.
Costituisce indirizzo consolidato che, nelle controversie aventi a oggetto gli obblighi di pagamento dei contributi afferenti alle concessioni ed ai permessi edilizi, il giudizio non ha carattere impugnatorio, ancorché esso sia proposto, formalmente, come contestazione di una determinazione amministrativa, in quanto mira ad accertare la sussistenza o la misura del credito vantato dal Comune.
Ne deriva che il ricorso può essere correttamente proposto nel termine di prescrizione del diritto, e dunque anche dopo che siano trascorsi più di sessanta giorni dalla conoscenza, da parte dell'interessato, dell'atto con cui l'amministrazione ha quantificato i contestati contributi, richiedendone il pagamento.
Da ciò discende che nella specie alcuna rilevanza poteva avere, ai fini dell'esaminabilità nel merito delle censure svolte dal ricorrente, il dato storico della mancata impugnazione del pregresso atto determinativo degli oneri dovuti (commento tratto da www.ipsoa.it - Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 04.11.2011 n. 5852 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl costo di costruzione c'è. Dall'ingrosso al dettaglio, il commerciante paga. Sentenza del Consiglio di stato: l'onere rimane, anche senza lavori edilizi.
Il costo di costruzione previsto dagli oneri di urbanizzazione imposti ai commercianti dalla legge cosiddetta «Bucalossi» è dovuto in quota corrispondente anche se nei locali non sono stati effettuati interventi edilizi per consentire il passaggio dalla vendita all'ingrosso a quella al dettaglio.
Lo precisa la sentenza 14.10.2011 n. 5539 dalla IV Sez. del Consiglio di Stato.
Trasformazione e vantaggio. L'impresa che ha sede nell'area urbana destinata all'industria e all'artigianato è «pizzicata» dal Comune: il cambio di destinazione d'uso realizzato nei locali con il «via» alla vendita al dettaglio non risulta autorizzato nell'ambito della concessione ottenuta. Scatta così la rideterminazione degli oneri di urbanizzazione, primaria e secondaria. Che tuttavia il commerciante non contesta.
Ciò che non vuole pagare l'azienda, che per ironia della sorte vende prodotti per l'edilizia, sono i costi di costruzione. E la motivazione è che non sono stati realizzati lavori per aprire la vendita al pubblico: l'ampiezza della superficie «dedicata» non è cambiata. Ma la censura non coglie nel segno.
È vero: il contributo relativo al costo di costruzione di cui alla legge Bucalossi è riconducibile all'attività costruttiva considerata in sé. Ma attenzione, si tratta di un prelievo che ha natura paratributaria: il corrispettivo è comunque dovuto in presenza di una «trasformazione edilizia» produce vantaggi economici connessi all'utilizzazione. E ciò indipendentemente dall'esecuzione fisica di opere. Con il passaggio dall'ingrosso al dettaglio si verifica un mutamento d'uso rilevante nell'esercizio commerciale: si tratta, infatti, di due categorie funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico e la trasformazione determina comunque un aumento del cosiddetto «carico urbanistico».
Scorporo impossibile. La mancata realizzazione di opere edilizie all'interno dei locali è irrilevante. Il passaggio dall'ingrosso al dettaglio comporta maggiori oneri sociali delle opere di urbanizzazione e fa perciò insorgere il presupposto imponibile per la debenza del contributo concessorio comprensivo della quota relativa al costo di costruzione: ne consegue che l'utilizzatore del beneficio deve pagare la differenza tra gli oneri di urbanizzazione già corrisposti per la destinazione d'uso originaria e quelli, se più elevati come nel caso di specie, dovuti per la nuova destinazione impressa all'immobile.
E il contributo concessorio così rideterminato comprende necessariamente anche il costo di costruzione (articolo ItaliaOggi del 18.10.2011).

EDILIZIA PRIVATA: Natura giuridica ed esigibilità dei contributi per il rilascio del permesso di costruire ex art. 16 T.U. dell’edilizia.
La voltura del titolo edilizio implica la liberazione del cedente dall’obbligo di corrispondere gli oneri di urbanizzazione e il contributo di costruzione, laddove il cedente medesimo non abbia realizzato, neppure in minima parte, la costruzione degli edifici assentiti.
E’ questo il principio espresso dal C.G.A.R.S. con sentenza 13.10.2011 n. 666.
Il ricorrente aveva ottenuto, nel 1985, una concessione edilizia per la costruzione di 4 palazzine, senza dare inizio ad alcuna edificazione.
In seguito, aveva ceduto il terreno e l’annessa facoltà di edificare ad una società, la quale aveva costruito 3 delle 4 palazzine originariamente previste.
Pertanto, il comune chiedeva all’originario ricorrente-cedente il pagamento degli oneri di costruzione e di urbanizzazione, ritenendo che la cessione della concessione edilizia comportasse un vincolo di solidarietà delle parti della cessione.
Il TAR Catania adito, accoglieva il ricorso sottolineando come la voltura del titolo edilizio aveva determinato la liberazione del cedente dall’obbligo di corrispondere gli oneri di concessione ed il contributo di costruzione poiché quest’ultimo non aveva realizzato, neppure in minima parte, la costruzione degli edifici. Ed infatti ad avviso del T.A.R. di Catania, il presupposto di esigibilità di questi oneri doveva essere individuato nella materiale trasformazione urbanistica del territorio.
Avverso la sentenza proponeva appello il Comune.
Il C.G.A. adito, preliminarmente precisava come per gli oneri concessori in oggetto, trovava applicazione il termine di prescrizione decennale, e non quello quinquennale indicato dai giudici del primo grado.
Nel merito del ricorso, condivideva le motivazioni espresse dal TAR Catania, sottolineando come “L’esercizio del potere di edificare costituirebbe, dunque, il necessario presupposto di esigibilità del credito, non potendosi rimettere il sorgere dell’obbligazione al solo possesso del titolo edilizio”.
Inoltre, il Collegio effettuava una particolare analisi sulla natura pubblicistica dei contributi previsti dall’articolo 16 del T.U. dell’edilizia precisando che “La natura giuridica di corrispettivo di diritto pubblico di entrambi i contributi in questione comporta l’applicabilità del tutto recessiva dei principi civilistici dell’accollo, mancando tra l’altro un vincolo pattizio alla base, necessario ai sensi dell’art. 1273 c.c.
I contributi in questione vanno, dunque, più correttamente inquadrati nell’ambito delle prestazioni patrimoniali imposte, con la conseguenza che non può prescindersi da un’espressa previsione di legge.
In altri termini, pur non caratterizzandosi per la causa impositionis tipica dei tributi, bensì per la presenza dell’elemento formale dell’imposizione, trattandosi di prestazioni patrimoniali all'Ente autoritativamente determinate, va salvaguardata, nell’individuazione di tali corrispettivi di diritto pubblico, l’esigenza di rispettare l’art. 23 Cost., secondo il quale nessuna prestazione patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge.[…]
Ne consegue, in definitiva, che, non offrendo la legge, che ne disciplina il regime, alcun indicatore normativo speciale che faccia ritenere comunque applicabile la disciplina civilistica della solidarietà derivante dalla fattispecie dell’accollo, la parte cedente che non ha iniziato l’edificazione e quindi non abbia realizzato, neppure in minima parte, la costruzione degli edifici, viene a trovarsi liberata, in virtù della voltura del titolo edilizio, dall’obbligo di corrispondere gli oneri di concessione ed il contributo di costruzione di cui alla l. n. 10 del 1977, non essendosi verificato il presupposto di esigibilità del credito pubblico, ovvero la materiale trasformazione urbanistica del territorio
”.
In conclusione, secondo i giudici siciliani, il vincolo di solidarietà sussiste nella sola ipotesi in cui l’edificazione abbia avuto consistenza in capo al dante causa e al cessionario, in quanto in tal caso il presupposto di esigibilità degli oneri, e cioè la materiale trasformazione urbanistica del territorio, si realizza in capo ai due autori (commento tratto da www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAMutamento di destinazione d'uso - Oneri di urbanizzazione - Supplemento di contributo urbanistico - In caso di aumento del carico urbanistico - Legittimità.
In caso di mutamento della destinazione d'uso dell'immobile -nel caso di specie da residenza a studio medico- che comporti un incremento del carico urbanistico è legittima la richiesta della P.A. circa la corresponsione di un supplemento del contributo pari alla differenza tra il contributo previsto per la nuova destinazione e quello relativo alla precedente (cfr. TAR Milano, sent. n. 2989/2006, 1115/2005, 1100/2005, 145/2005) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 20.09.2011 n. 2236 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: OGGETTO: Assoggettabilità di un intervento edilizio al pagamento del contributo di costruzione.
Il Comune -in riferimento ad una Comunicazione pervenuta al Suo Ufficio per l’esecuzione di opere interne, manutenzione straordinaria, impiantistica, parziale modifica alle forature esterne e finiture interne ed esterne, ecc. su di un edificio che in precedenza, con una variazione catastale e senza esecuzione di opere edilizie, è stato trasformato da bifamiliare ad unifamiliare- chiede, in considerazione di quanto stabilito dall’art. 17, comma 3, del D.P.R. n. 380/2001 che inserisce nei casi di permesso di costruire gratuito interventi di ristrutturazione di edifici unifamiliari, se “gli interventi edilizi che prevedono l’accorpamento con opere di più unità immobiliari in un unico organismo (da bifamiliare ad unifamiliare) mantenendo la stessa destinazione d’uso (residenziale) sono qualificabili come interventi di ristrutturazione edilizia e sono comunque assoggettabili agli oneri di costruzione” (Regione Marche, parere 12.09.2011 n. 210/2011).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Quantificazione oneri concessori - Possibilità del privato di versare la maggiore somma da lui quantificata - Sussiste - Possibilità di revisione dell'importo per volontà unilaterale del privato - Non sussiste - Ratio.
2. Concessione di costruzione - Contributi - Pagamento - Ritardo - Escussione fideiussione - Obbligo della P.A. - Non sussiste - Ratio.
3. Concessione di costruzione - Contributi - Diritto di credito della P.A. - Termine di prescrizione decennale.
4. Concessione di costruzione - Contributi - Pagamento - Ritardo o omissione - Sanzioni pecuniarie - Termine di prescrizione quinquennale.
5. Concessione di costruzione - Contributi - Pagamento - Omissione - Sanzioni pecuniarie - Termine di prescrizione quinquennale - Dies a quo.
6. Oblazione e oneri concessori - Controversie in tema di corretta quantificazione - Attengono a diritti soggettivi delle parti - Configurabilità del vizio di difetto di motivazione - Non sussiste - Ratio.

1. Qualora si verta in tema di diritti disponibili, la parte promittente può liberamente assumere impegni patrimoniali a prescindere da un obbligo normativo o, comunque, più onerosi rispetto a quelli astrattamente previsti dalla legge (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 4015/2005, n. 1209/1999; TAR Milano, sent. n. 196/2010): in particolare, a fronte di un atto con cui il privato ha quantificato l'ammontare del contributo dovuto per il rilascio di un permesso di costruire ed ha assunto con la P.A. l'impegno a versare la somma così quantificata, non è, quindi, consentito alla parte promittente porre unilateralmente in discussione, in un momento successivo, quanto da essa stessa dichiarato e sottrarsi ad obblighi liberamente assunti, a meno che faccia valere una causa di invalidità o un motivo di risoluzione dell'accordo.
2. A fronte del ritardato pagamento degli oneri concessori, la P.A. non ha un obbligo di attivarsi nei confronti del garante per il recupero di quanto dovuto (cfr. TAR, Milano, sent. n. 4405/2009, n. 4306/2009; Cons. di Stato, sent. n. 4419/2007, n. 6345/2005; TAR Salerno, sent.n. 1936/2008).
Infatti, la fideiussione che accompagna la rateizzazione del pagamento degli oneri di urbanizzazione non ha la finalità di agevolare l'adempimento del soggetto obbligato al pagamento, bensì costituisce una garanzia personale prestata unicamente nell'interesse della P.A., sulla quale non incombe, quindi, alcun obbligo di preventiva escussione del fideiussore; la garanzia sussidiaria serve a scongiurare che il Comune possa irrimediabilmente perdere una entrata di diritto pubblico, ma non alleggerisce affatto la posizione del soggetto tenuto al pagamento, né attenua i doveri di diligenza sullo stesso incombenti, né estingue di per sé l'obbligazione principale (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 6345/2005).
3. Il diritto di credito della P.A. comunale avente ad oggetto il pagamento del contributo dovuto per il rilascio della concessione edilizia è soggetto all'ordinario termine decennale di prescrizione, decorrente dalla data di rilascio della concessione edilizia (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 2686/2008, n. 4302/2000).
4. Le sanzioni pecuniarie previste all'art. 42, D.P.R. n. 380/2001 per i casi di ritardato o omesso versamento del contributo di costruzione sono soggette -in mancanza di una diversa disciplina legale- al termine di prescrizione di cinque anni stabilito dall'art. 28, Legge n. 689/1981 (cfr. Cass. Civ., sent. n. 23633/2006; TAR Cagliari, sent. n. 70/2008; TAR, Salerno, sent. n. 647/2005; TAR Catanzaro, sent. n. 1514/2001; TAR Catania, sent. n. 701/2006).
5. In caso di omesso pagamento del contributo, il dies a quo del termine di prescrizione quinquennale va individuato nella scadenza del termine di 240 giorni successivi alla data prevista per il pagamento del contributo (cfr. TAR Potenza, sent. n. 141/2008).
6. Le controversie relative all'an ed al quantum delle somme dovute a titolo di oblazione e di oneri concessori, riservate dalla legge alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, riguardano diritti soggettivi delle parti, rispetto alle quali non è configurabile il vizio di difetto di motivazione: infatti, le operazioni di corretta quantificazione dell'oblazione e degli atti concessori si esauriscono in una mera operazione materiale che, se errata, può comportare soltanto la violazione dei criteri fissati dalla normativa ovvero dalla P.A. con norme di natura regolamentare e, quindi, la sussistenza del solo vizio di violazione di legge, potendo l'interessato, sulla base dei predetti criteri generali, contestare l'erroneità della quantificazione operata dalla P.A., evidenziando ad esempio l'erroneità dei calcoli ovvero dei presupposti di fatto o di diritto (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 4217/2000; TAR Milano, sent. n. 97/2011 e n. 4455/2009) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 08.09.2011 n. 2189 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La destinazione urbanistica della zona non rileva ai fini del cambio di destinazione d'uso dell’immobile ivi localizzato, che ha assunto una utilizzazione economica diversa (quella commerciale), che giustifica il pagamento delle spese di urbanizzazione ai sensi dell'art. 9, lett. b), della L. n. 10/1977.
Con il secondo motivo si sostiene che il cambio di destinazione d'uso dell'immobile, da magazzino ad attività commerciale, non avrebbe giustificato il pagamento delle spese di urbanizzazione per la nuova destinazione perché l'immobile ricadrebbe in zona M/2 destinata ad attrezzature di servizi generali e locali, e quindi, il mutamento di destinazione non era soggetto a concessione edilizia ma a mera autorizzazione.
La censura è infondata perché la destinazione urbanistica della zona non rileva ai fini del cambio di destinazione d'uso dell’immobile ivi localizzato, che ha assunto una utilizzazione economica diversa (quella commerciale), che giustifica il pagamento delle spese di urbanizzazione ai sensi dell'art. 9, lett. b), della L. n. 10/1977
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 01.09.2011 n. 4906 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl contributo per gli oneri di urbanizzazione è da qualificare in termini di corrispettivo di diritto pubblico, di natura non tributaria, posto a carico del costruttore a titolo di partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione in proporzione all'insieme dei benefici che la nuova costruzione ne ritrae; in particolare, tale contributo, assolve all'obiettivo di ridistribuire i costi sociali di tali opere avuto riguardo all'aggravamento del carico urbanistico che l'intervento considerato andrà a determinare nella specifica zona in cui è destinato a ricadere. Su tali basi si esclude, dunque, che il suddetto contributo sia dovuto in tutti quei casi in cui l'intervento non sia idoneo a determinare un aggravio del carico urbanistico della zona.
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Sulle somme versate in eccedenza per oneri di urbanizzazione l'amministrazione è tenuta a computare i soli interessi legali e non anche la rivalutazione monetaria; ciò in quanto l'obbligazione di restituzione in argomento genera, infatti, ai sensi dell'art. 2033 c.c. esclusivamente l'obbligazione accessoria di interessi legali ma non anche quella di rivalutazione monetaria, riconducibile alla diversa ipotesi di inadempimento dell’obbligazione pecuniaria.

Come evidenziato dalla consolidata giurisprudenza anche del giudice d’appello, il contributo per gli oneri di urbanizzazione è da qualificare in termini di corrispettivo di diritto pubblico, di natura non tributaria, posto a carico del costruttore a titolo di partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione in proporzione all'insieme dei benefici che la nuova costruzione ne ritrae; in particolare, tale contributo, assolve all'obiettivo di ridistribuire i costi sociali di tali opere avuto riguardo all'aggravamento del carico urbanistico che l'intervento considerato andrà a determinare nella specifica zona in cui è destinato a ricadere (Cons. St., sez. IV, 15.07.2009, n. 4439; Cons. St., sez. V, 26.03.2009, n. 1804; Cons. St., sez. V, 25.05.1995, n. 822).
Su tali basi si esclude, dunque, che il suddetto contributo sia dovuto in tutti quei casi in cui l'intervento non sia idoneo a determinare un aggravio del carico urbanistico della zona (cfr. TRGA - Sezione Autonoma di Bolzano, 06.03.2000, n. 59).
Tali principi sono stati recepiti dalla legislazione regionale e, infatti, l’art. 81, comma 5, della l.r. n. 61 del 1985, ha previsto che “in caso di modifiche della destinazione d' uso o di ampliamenti del volume o della superficie utile di calpestio, sia che si tratti di nuova concessione o di variante in corso d'opera, il contributo è riferito alla parte di nuova edificazione e, in caso di mutamento della destinazione d' uso, alla differenza fra il nuovo uso e il precedente”.
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É infatti noto che sulle somme versate in eccedenza per oneri di urbanizzazione l'amministrazione è tenuta a computare i soli interessi legali e non anche la rivalutazione monetaria (cfr. Cons. Stato, sez. V, 22.01.1987 n. 24; TAR Emilia Romagna, Bologna, sez. I, 07.03.1990 n. 190); ciò in quanto l'obbligazione di restituzione in argomento genera, infatti, ai sensi dell'art. 2033 c.c. esclusivamente l'obbligazione accessoria di interessi legali ma non anche quella di rivalutazione monetaria, riconducibile alla diversa ipotesi di inadempimento dell’obbligazione pecuniaria (cfr. Corte Cass. Civ., SS. UU., 05.07.1991 n. 7436; Cons. Stato, sez. V, 16.03.1987 n. 198, 27.12.1988 n. 852, 07.04.1989 n. 195, 16.05.1989 n. 291, 03.05.1991 n. 728, 31.10.1992 n. 1145 e 24.07.1993 n. 799; TAR Abruzzo, Pescara, 31.01.1994 n. 10; TAR Toscana, sez. Il, 22.06.1994 n. 225; TAR Molise, 20.12.1995 n. 284; TAR Marche, 22.02.1996 n. 259; TAR Lombardia, Milano, 04.07.1996 n. 1063) (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 12.08.2011 n. 1360 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAAnche le società possono configurarsi come imprenditori agricoli a titolo principale ed usufruire, quindi, dei benefici previsti per i soggetti rientranti in tale categoria. A questo riguardo va rilevato che il regolamento comunitario n. 797 del 1985, relativo al miglioramento dell’efficienza delle strutture agrarie, ricomprende esplicitamente nella sua sfera di applicazione anche le persone giuridiche, qualora rispondano a determinati requisiti fissati nello stesso regolamento e alla definizione, demandata alla legge nazionale, di imprenditore agricolo a titolo principale.
Orbene, nella legislazione italiana non è enunciata la nozione di imprenditore agricolo a titolo principale, con riferimento alle «persone diverse dalle persone fisiche». Come già rilevato da questo Consiglio in fattispecie analoga, in tale silenzio, sarebbe tuttavia illegittimo negare l'attribuzione di un beneficio a coloro, ivi comprese le società, che la stessa normativa comunitaria riconosce come potenziali titolari del diritto al conseguimento del beneficio medesimo.
Diversamente opinando si potrebbe verificare una disparità di trattamento all’interno della Comunità europea fra soggetti destinatari dello stesso beneficio.

La società ricorrente sostiene, in difformità a quanto ritenuto dal Comune di Menfi, di avere diritto, con riguardo alla struttura realizzata, all’esonero dal pagamento degli oneri concessori. L’esenzione dal contributo di concessione, prevista dalla lett. a) dell’art. 9 della l. 10/1977, come riproposto all’art. 17 D.P.R.380/2001, è posta in ragione della destinazione dell’immobile alla conduzione del fondo e alle esigenze dell’imprenditore agricolo a titolo principale. In tale categoria può e deve essere ricompreso –sussistendo gli altri presupposti- non solo l’imprenditore agricolo/persona fisica, ma anche tanto la persona giuridica.
La censura merita condivisione, secondo l’orientamento del Consiglio di Stato da cui la Sezione ritiene di non doversi discostare (cfr. Consiglio di Stato Sez. V, 30.08.2005 n. 4424), quantunque si registrano in primo grado differenti orientamenti che danno tuttavia atto della opinabilità di una diversa ricostruzione dell’istituto qui in evidenza (cfr. TAR Piemonte Torino, sez. I, 01.03.2010, n. 1302).
In primo luogo, come già anticipato in sede cautelare, dalla documentazione versata in atti risulta provata la natura “agricola” della società ricorrente, precondizione sottolineata dalla stessa Amministrazione al fine di dare applicazione alle norme di legge che consentono lo sgravio per il pagamento degli oneri quali contributo di concessione.
Né appare incontestabile la società ricorrente possa ritenersi imprenditore agricolo a titolo principale e professionale in quanto uno dei soci amministratori esercita attività dedica all’attività agricola –direttamente o nella qualità di socio- almeno del 50% del proprio tempo di lavoro complessivo e ricava in specie il 100% del proprio reddito globale di lavoro.
Come già premesso, sul punto centrale della questione –relativa all’ambito di operatività dell’art. 9, comma 1, lett. A) della l. 10/1977- il Consiglio di Stato, in contrario avviso al giudice di prime cure, ha chiarito che “anche le società possono configurarsi come imprenditori agricoli a titolo principale ed usufruire, quindi, dei benefici previsti per i soggetti rientranti in tale categoria (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 28.10.1996, n. 1156). A questo riguardo va rilevato che il regolamento comunitario n. 797 del 1985, relativo al miglioramento dell’efficienza delle strutture agrarie, ricomprende esplicitamente nella sua sfera di applicazione anche le persone giuridiche, qualora rispondano a determinati requisiti fissati nello stesso regolamento e alla definizione, demandata alla legge nazionale, di imprenditore agricolo a titolo principale.
Orbene, nella legislazione italiana (cfr. in particolare artt. 12 e 13 della L. 09.05.1975 n. 153; art. 8 della L. 10.05.1976 n. 352 e allegato all'art. 2 della L. reg. Piemonte 28.10.1986 n. 44) non è enunciata la nozione di imprenditore agricolo a titolo principale, con riferimento alle «persone diverse dalle persone fisiche». Come già rilevato da questo Consiglio in fattispecie analoga, in tale silenzio, sarebbe tuttavia illegittimo negare l'attribuzione di un beneficio a coloro, ivi comprese le società, che la stessa normativa comunitaria riconosce come potenziali titolari del diritto al conseguimento del beneficio medesimo.
Diversamente opinando si potrebbe verificare una disparità di trattamento all’interno della Comunità europea fra soggetti destinatari dello stesso beneficio. (cfr. Cons. Stato, VI Sez., 31.12.1987 n. 1057 e 21.11.1988 n. 1247; cfr. anche Cass. civ., I Sez., 20.04.1995 n. 4451 e Comm. centrale imposte sez. XVI, 07.07.1994 n. 2511)
”.
I principi appena esporsi hanno trovato riscontro anche in sede comunitaria, laddove si è affermato che una diversità di trattamento tra soggetti giuridici dell’ordinamento, basata esclusivamente sulle forme nelle quali queste sono costituite, sia contraria al principio di non discriminazione previsto dall’art. 40 n. 3 del trattato C.E.E. e come pertanto, l’art. 2, n. 5, del regolamento n. 797 del 1985 vada interpretato nel senso che non è concesso agli Stati membri, nel definire la nozione di imprenditore agricolo a titolo principale, di escludere da questa nozione le società di capitali per il solo motivo della loro forma giuridica (Corte giustizia C.E.E., II Sez., 15.10.1992 n. 162).
A ciò si aggiunge, come correttamente evidenziato dai ricorrenti, che con l’art. 2 D.Lgs. 99/2004 il legislatore ha stabilito che la ragione sociale o la denominazione sociale delle società, che hanno quale oggetto sociale l'esercizio esclusivo delle attività di cui all'articolo 2135 del codice civile, deve contenere l'indicazione di “società agricola”.
Nel caso in specie, dalla documentazione versata in atti (come già evidenziato in sede cautelare), non è revocabile in dubbio la natura agricola dell’azienda ricorrente. Il che postula, alla stregua di quanto evidenziato, la fondatezza della prima cesura articolata nel ricorso in esame (TAR Sicilia-Palermo, Sez. II, sentenza 05.08.2011 n. 1554 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il fatto costitutivo dell’obbligo giuridico del titolare della concessione edilizia, di versare il contributo previsto, è rappresentato dal rilascio della concessione medesima, ed è a tale momento, quindi, che occorre aver riguardo per la determinazione dell’entità del contributo, divenendo il relativo credito certo, liquido o agevolmente liquidabile ed esigibile.
Né alcun rilievo in senso contrario può assumere la circostanza che al Comune sia espressamente riconosciuta la facoltà di stabilire modalità e garanzie per il pagamento del contributo, atteso che l’atto di imposizione non ha carattere autoritativo ma si risolve in un mero atto ricognitivo e contabile, applicativo di precedenti provvedimenti di carattere generale, e la sua mancata tempestiva adozione non implica alcun potere dell’Amministrazione di differire il suo diritto di credito, configurandosi piuttosto come mancato esercizio del diritto stesso, idoneo a far decorrere il periodo di prescrizione.
Sicché, il dies a quo da cui far decorrere il termine decennale di prescrizione comincia decorrere dal momento stesso del rilascio della concessione edilizia.

I ricorrenti ... hanno eccepito l’avvenuta prescrizione del diritto di credito, tardivamente azionato dal Comune di Poggiomarino dopo oltre dieci anni dal rilascio dei titoli edilizi.
Il ricorso è fondato e va, pertanto, accolto.
Invero, sulla questione di diritto posta a base dell’odierna controversia, concernente l’individuazione del dies a quo da cui far decorrere il termine decennale di prescrizione, sono state formulate in giurisprudenza diverse soluzioni interpretative del quadro normativo di riferimento (artt. 1, 3, 4, 6 e 11, comma 2, della L. 28.01.1977 n. 10, vigente ratione temporis).
Secondo un primo indirizzo, seguito in passato anche da questa Sezione, la prescrizione del diritto al contributo, rapportato al costo di costruzione, comincia a decorrere dall’ultimazione delle opere, la cui prova deve essere fornita da chi intende avvalersi della prescrizione stessa, per cui il mancato assolvimento dell’onere pone a carico dell’inadempiente il protrarsi dell’esercitabilità dell’azione di recupero del credito, il cui termine prescrizionale non inizia decorrere (cfr. TAR Calabria, Catanzaro, Sezione II, 22.01.2007 n. 21; TAR Campania, Napoli, Sezione II, 30.06.2004 n. 9821 e 11.07.2006 n. 7392). Una diversa opzione ermeneutica, valorizzando il disposto dell’art. 4, comma 4, della L. n. 10/1977 –secondo cui l’opera deve essere comunque ultimata (abitabile o agibile), salvo proroga, entro tre anni dal rilascio della concessione– sostiene che, in mancanza di una specifica dichiarazione di ultimazione dei lavori, la prescrizione inizia a decorrere ma il dies a quo deve essere portato avanti di un triennio (cfr. in termini, con riguardo ad altri ricorsi proposti contro lo stesso Comune di Poggiomarino, TAR Campania, Sezione II, 23.10.1997 n. 2611 e 2612).
Secondo altro orientamento, riaffermato anche di recente dal Giudice d’appello, il detto termine di prescrizione comincia invece a decorrere dal momento stesso del rilascio della concessione edilizia (cfr. TAR Campania, Salerno, Sezione II, 04.04.2008 n. 474; Consiglio di Stato, Sezione V, 13.06.2003 n. 3332 e Sezione IV, 16.01.2009 n. 216, con cui è stata riformata la sopra citata sentenza di questa Sezione n. 7392/2006).
Il Collegio ritiene di aderire a quest’ultimo indirizzo, in quanto fornisce la più convincente ricostruzione interpretativa dell’insieme di previsioni normative sopra evocate.
La disposizione dell’art. 11 della legge n. 10 del 1977, in tema di Versamento del contributo afferente alla concessione, stabilisce quanto segue: “La quota di contributo di cui al precedente articolo 6 è determinata all’atto del rilascio della concessione ed è corrisposta in corso d’opera con le modalità e le garanzie stabilite dal comune e, comunque, non oltre sessanta giorni dalla ultimazione delle opere”.
Come condivisibilmente argomentato nell’ultima decisione citata del Consiglio di Stato (n. 216/2009), le cui considerazioni vanno integralmente richiamate, da tale norma si desume “che il fatto costitutivo dell’obbligo giuridico del titolare della concessione edilizia, di versare il contributo previsto, è rappresentato dal rilascio della concessione medesima, ed è a tale momento, quindi, che occorre aver riguardo per la determinazione dell’entità del contributo, divenendo il relativo credito certo, liquido o agevolmente liquidabile ed esigibile.
Né alcun rilievo in senso contrario può assumere la circostanza che al Comune sia espressamente riconosciuta la facoltà di stabilire modalità e garanzie per il pagamento del contributo, atteso che l’atto di imposizione non ha carattere autoritativo ma si risolve in un mero atto ricognitivo e contabile, applicativo di precedenti provvedimenti di carattere generale, e la sua mancata tempestiva adozione non implica alcun potere dell’Amministrazione di differire il suo diritto di credito, configurandosi piuttosto come mancato esercizio del diritto stesso, idoneo a far decorrere il periodo di prescrizione
” (TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 28.06.2011 n. 3456 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA1. Contributi concessori - Omesso o ritardato pagamento - Escussione fideiussione - Obbligo - Non sussiste - Ratio.
2. Giustizia amministrativa - Restituzione di somme indebitamente riscosse da parte della P.A. - Diritto del privato agli interessi legali - Sussiste - Dies a quo - Proposizione della domanda.
3. Concessione edilizia - Contributo di concessione - Provvedimento di liquidazione - Particolare motivazione - Non necessita - Ratio.

1. La P.A. non ha l'obbligo, a fronte del ritardato pagamento degli oneri concessori, di escutere la fideiussione, evitando in tal modo di applicare la sanzione: infatti, la fideiussione che accompagna la rateizzazione del pagamento degli oneri di urbanizzazione non ha la finalità di agevolare l'adempimento del soggetto obbligato al pagamento, bensì costituisce una garanzia personale prestata unicamente nell'interesse dell'amministrazione, sulla quale non incombe alcun obbligo di preventiva escussione del fideiussore (TAR Milano, sent. n. 7308/2010, n. 4405/2009).
2. Sulle somme indebitamente riscosse dal Comune relativamente al contributo concessorio spettano gli interessi legali dalla data della domanda, dovendosi presumere la buona fede della P.A. percipiente e trattandosi di pagamento di indebito oggettivo, il quale genera la sola obbligazione di restituzione con gli interessi a norma dell'art. 2033 c.c. (cfr. TAR Milano, sent. n. 1463/2004).
3. Ogni procedura amministrativa volta alla liquidazione ed al pagamento di oneri edilizi in senso lato attiene ad attività non autoritativa e si fonda sull'applicazione automatica di regole di calcolo previste da fonte normativa, senza alcun contenuto di discrezionalità per la P.A.: pertanto, non è necessaria una specifica motivazione, dal momento che i conteggi sono la risultante di un'operazione di calcolo matematico, effettuata sulla base di taluni parametri fissati da norme legislative e sub-legislative (cfr. TAR Brescia, sent. n. 2382/2009; TAR Parma, sent. n. 351/2010, TAR Milano, sent. n. 165/2006) (tratto da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 22.06.2011 n. 1627 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAOgni procedura amministrativa volta alla liquidazione ed al pagamento di oneri edilizi in senso lato non  necessita di una specifica motivazione, dal momento che i conteggi sono la risultante di un'operazione di calcolo matematico, effettuata sulla base di taluni parametri fissati da norme legislative e sub-legislative
Ogni procedura amministrativa volta alla liquidazione ed al pagamento di oneri edilizi in senso lato attiene ad attività non autoritativa e si fonda sull'applicazione automatica di regole di calcolo previste da fonte normativa, senza alcun contenuto di discrezionalità per l'amministrazione; pertanto non è necessaria una specifica motivazione, dal momento che i conteggi sono la risultante di un'operazione di calcolo matematico, effettuata sulla base di taluni parametri fissati da norme legislative e sub-legislative (TAR Lombardia Brescia, sez. I, 01.12.2009, n. 2382; TAR Emilia Romagna Parma, sez. I, 06.07.2010, n. 351)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 22.06.2011 n. 1627 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATASe è vero che l'atto di quantificazione dei contributi concessori ha carattere "paritetico", e quindi che non è espressione di discrezionalità, ciò non significa che il rapporto giuridico sottostante all’obbligazione per cui è causa abbia natura strettamente privatistica e risponda, in quanto tale, ai canoni civilistici.
Le norme civilistiche relative a contratti e obbligazioni si riferiscono, infatti, a rapporti in cui le parti sono titolari di diritti disponibili e godono di autonomia negoziale nel definire l'assetto dei rispettivi interessi e proprio tali caratteri giustificano la disciplina riguardante i vizi della volontà, la tutela dell'affidamento, gli effetti della condotta soggettiva nell' ambito dell' autoresponsabilità: tutti principi, questi, che postulano uno spazio di autonomia e che implicano l'esercizio di una volontà negoziale.
L'obbligazione relativa al pagamento degli oneri concessori è per contro di fonte legale e non negoziale: essa non deriva da un atto di volontà del Comune, ma direttamente dalla legge e dall'applicazione di rigidi parametri di calcolo definiti in via regolamentare.
L'obbligazione de qua trova, infatti, presupposto e fondamento in norme imperative, che impongono al titolare del permesso di costruire di versare di un contributo pubblico quale forma di compartecipazione ai costi per l'urbanizzazione del territorio.
Tale contributo risponde ad un interesse pubblico e configura un diritto indisponibile per l'Amministrazione.
Ne consegue che l'atto con il quale l'Ufficio quantifica gli oneri de quibus non ha natura costitutiva, ma è meramente ricognitivo di un credito preesistente, la cui determinazione ha contenuto vincolato essendo effettuata sulla base di parametri generali predeterminati.
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Non è fondato l'assunto secondo cui gli oneri concessori non potrebbero essere ricalcolati dopo il rilascio del permesso di costruire, se inizialmente liquidati in modo erroneo.
Ciò in quanto, come già chiarito, l’atto con il quale l'Amministrazione comunale quantifica i contributi in esame ha carattere puramente ricognitivo e contabile, in quanto l'ammontare del credito è predeterminato sulla base di rigidi criteri di calcolo definiti con atto regolamentare.
Anche dopo il rilascio della concessione edilizia, pertanto, il Comune può provvedere al corretto riconteggio del contributo dovuto, a prescindere da un'espressa riserva in tal senso, in quanto il credito esiste indipendentemente dall'atto contabile che lo quantifica: la rettifica è pertanto consentita ogni qual volta sia ravvisabile un errore, dovuto a qualsiasi ragione, nella liquidazione o nel calcolo del contributo concessorio.
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Erroneo è l'assunto dei ricorrenti secondo cui il Comune sarebbe vincolato "al contenuto della propria manifestazione di volontà a titolo di autoresponsabilità per l'affidamento incolpevole ingenerato nel soggetto obbligato", posto che l'atto di quantificazione degli oneri concessori non è, in senso proprio, una manifestazione di volontà dell'Amministrazione ma il risultato di un mero calcolo matematico, effettuato sulla base di parametri oggettivi noti e comunque ben conoscibili dall'obbligato.
Ne consegue che l'atto comunale di liquidazione dei contributi non è suscettibile di far sorgere alcun legittimo affidamento in capo al privato, sia in ordine all’an dell’obbligazione (salvo il caso speciale di esonero previsto dalla legge) sia in ordine al quantum, in quanto l'oggettività dei parametri da applicare rende vincolato il conteggio, consentendone a priori la conoscibilità e la verificabilità da parte dell' interessato.
Inoltre, se è vero che il pagamento rappresenta la modalità principale di estinzione del debito, è altrettanto vero che l'effetto estintivo si verifica se il pagamento è conforme al titolo e solo il pagamento in conformità al titolo fondativo del credito determina l'estinzione dell'obbligazione, laddove il pagamento parziale determina solo l'estinzione parziale della pretesa dell'Amministrazione, che conserva il diritto all'eventuale conguaglio fino allo spirare del termine di prescrizione del corrispondente diritto.
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Il credito in esame (ndr: contributo di costruzione in più rispetto a quanto quantificato e comunicato in prima istanza) si prescrive nel termine ordinario decennale, decorrente dal rilascio del titolo edilizio.
Il richiamo dei ricorrenti al termine di prescrizione quinquennale di cui all'art. 2948 c.c è quindi erroneo, in quanto la facoltà riconosciuta al privato di rateizzare il pagamento dei contributi concessori comporta solo una dilazione del pagamento, ma non vale a qualificare il credito come prestazione periodica, essendo la prestazione in questione legata ad un unico fatto genetico costituito dal rilascio del titolo edilizio.
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L'obbligazione (ndr: versamento contributo di costruzione) grava sul soggetto che ottiene il titolo edilizio e/o su quello (eventualmente diverso) che materialmente realizza l'opera, in quanto il contributo concessorio è dovuto in funzione della realizzazione di un dato intervento edilizio comportante un aumento del carico urbanistico, e quindi del beneficiario del titolo edilizio.
L'originario titolare della concessione edilizia può liberarsi, peraltro, com’è noto, dall'obbligo di pagamento nel caso in cui alieni il terreno da edificare -ovvero l'edificio in costruzione- cedendo il relativo titolo edilizio mediante apposita volturazione. Con la "volturazione" il Comune autorizza l'acquirente a subentrare nella titolarità del permesso di costruire e nello stesso tempo accetta l'accollo degli oneri concessori da parte dell'acquirente stesso, con liberazione del precedente titolare (cfr. TAR Puglia Lecce, Sez. II, 14.07.2003, n. 4731, secondo cui la volturazione assume il significato di adesione del Comune alla convenzione in base alla quale l'acquirente si accolla il debito del venditore relativo agli oneri concessori, nonché il significato di manifestazione della volontà di liberare il debitore originario; inoltre TAR Campania-Napoli, Sez. V, 12.03.2008, n. 1220, secondo cui il venir meno della titolarità della concessione in capo all'originario concessionario, a seguito della volturazione al subentrante, comporta anche il trasferimento a carico ed a favore di quest'ultimo, dal momento della volturazione, di tutti indistintamente i diritti e gli obblighi connessi e/o derivanti dalla concessione stessa.)
L'obbligazione de qua è dunque un'obbligazione ambulatoria in quanto segue la titolarità del permesso di costruire: il rapporto obbligatorio sorge in capo all'originario titolare della concessione edilizia e si trasferisce poi su coloro ai quali la concessione stessa venga volturata, poiché con la volturazione questi ultimi subentrano nel diritto all'edificazione.
Peraltro, una volta che la costruzione venga ultimata e sia stato esercitato il diritto all'edificazione, il titolo edilizio esaurisce la propria funzione e viene meno anche l'ambulatorietà dell'obbligazione, che di norma si esaurisce con il pagamento degli oneri ad opera del titolare della concessione. Obbligato al pagamento dei contributi concessori -e dell'eventuale conguaglio- resta quindi il soggetto che ha esercitato i diritti derivanti dal permesso di costruire, salvo che, con apposita convenzione, avente valore tra le parti, l'onere venga pattiziamente trasferito agli aventi causa del costruttore.
Invero, "l'acquirente a titolo particolare di un fabbricato già realizzato non è, in difetto di accollo, obbligato al pagamento degli oneri di urbanizzazione, a suo tempo dovuti al momento del rilascio al venditore della relativa concessione edilizia, secondo le ordinarie regole della successione, per cui le obbligazioni si trasmettono all'erede del debitore e non anche al predetto acquirente".

Con il secondo motivo i ricorrenti sostengono che, in mancanza di un'espressa riserva di conguaglio all'atto dell'originaria quantificazione, l'Ufficio Tecnico comunale non poteva ricalcolare l'importo degli oneri concessori, neppure in applicazione dei corretti criteri parametrici, in quanto il Comune di Legnaro, applicando i principi civilistici invocati nel motivo di censura, sarebbe rimasto vincolato alla propria originaria dichiarazione di volontà a titolo di autoresponsabilità per “l'affidamento incolpevole" ingenerato nei privati.
A sostegno di tale tesi i ricorrenti invocano principi e norme civilistiche relative ai contratti e alle obbligazioni private, che tuttavia, a giudizio del Collegio, non sono pertinenti alla natura del rapporto che sottostà alle obbligazioni per cui è causa, e che per tale ragione non possono essere utilmente applicati alla fattispecie.
Se è vero, infatti, come riconosce anche la difesa del Comune intimato, che l'atto di quantificazione dei contributi concessori ha carattere "paritetico", e quindi che non è espressione di discrezionalità, ciò non significa che il rapporto giuridico sottostante all’obbligazione per cui è causa abbia natura strettamente privatistica e risponda, in quanto tale, ai canoni civilistici.
Le norme civilistiche relative a contratti e obbligazioni si riferiscono, infatti, a rapporti in cui le parti sono titolari di diritti disponibili e godono di autonomia negoziale nel definire l'assetto dei rispettivi interessi e proprio tali caratteri giustificano la disciplina riguardante i vizi della volontà, la tutela dell'affidamento, gli effetti della condotta soggettiva nell' ambito dell' autoresponsabilità: tutti principi, questi, che postulano uno spazio di autonomia e che implicano l'esercizio di una volontà negoziale.
L'obbligazione relativa al pagamento degli oneri concessori è per contro (cfr. sul punto C.d.S. Sez. V 13.06.2003 n. 3333) di fonte legale e non negoziale: essa non deriva da un atto di volontà del Comune, ma direttamente dalla legge e dall'applicazione di rigidi parametri di calcolo definiti in via regolamentare.
L'obbligazione de qua trova, infatti, presupposto e fondamento in norme imperative, che impongono al titolare del permesso di costruire di versare di un contributo pubblico quale forma di compartecipazione ai costi per l'urbanizzazione del territorio.
Tale contributo risponde ad un interesse pubblico e configura un diritto indisponibile per l'Amministrazione.
Ne consegue che l'atto con il quale l'Ufficio quantifica gli oneri de quibus non ha natura costitutiva, ma è meramente ricognitivo di un credito preesistente, la cui determinazione ha contenuto vincolato essendo effettuata sulla base di parametri generali predeterminati (cfr. C.d.S. Sez. V 13.06.2003 n. 3333).
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I caratteri peculiari dell'indicata obbligazione rendono quindi inapplicabili in giudizio i principi civilistici invocati dai ricorrenti.
In ordine agli specifici profili di censura va inoltre rilevato, quanto segue.
Non è innanzitutto fondato l'assunto secondo cui gli oneri concessori non potrebbero essere ricalcolati dopo il rilascio del permesso di costruire, se inizialmente liquidati in modo erroneo.
Ciò in quanto, come già chiarito, l’atto con il quale l'Amministrazione comunale quantifica i contributi in esame ha carattere puramente ricognitivo e contabile, in quanto l'ammontare del credito è predeterminato sulla base di rigidi criteri di calcolo definiti con atto regolamentare.
Anche dopo il rilascio della concessione edilizia, pertanto, il Comune può provvedere al corretto riconteggio del contributo dovuto, a prescindere da un'espressa riserva in tal senso, in quanto il credito esiste indipendentemente dall'atto contabile che lo quantifica: la rettifica è pertanto consentita ogni qual volta sia ravvisabile un errore, dovuto a qualsiasi ragione, nella liquidazione o nel calcolo del contributo concessorio (Cons. St., Sez. V, 06.05.1997, n. 458).
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Erroneo è conseguentemente l'assunto dei ricorrenti secondo cui il Comune sarebbe vincolato "al contenuto della propria manifestazione di volontà a titolo di autoresponsabilità per l'affidamento incolpevole ingenerato nel soggetto obbligato", posto che, anche qui come già chiarito, l'atto di quantificazione degli oneri concessori non è, in senso proprio, una manifestazione di volontà dell'Amministrazione ma il risultato di un mero calcolo matematico, effettuato sulla base di parametri oggettivi noti e comunque ben conoscibili dall'obbligato.
Ne consegue che l'atto comunale di liquidazione dei contributi non è suscettibile di far sorgere alcun legittimo affidamento in capo al privato, sia in ordine all’an dell’obbligazione (salvo il caso speciale di esonero previsto dalla legge) sia in ordine al quantum, in quanto l'oggettività dei parametri da applicare rende vincolato il conteggio, consentendone a priori la conoscibilità e la verificabilità da parte dell' interessato.
Inoltre, se è vero che il pagamento rappresenta la modalità principale di estinzione del debito, è altrettanto vero che l'effetto estintivo si verifica se il pagamento è conforme al titolo e solo il pagamento in conformità al titolo fondativo del credito determina l'estinzione dell'obbligazione, laddove il pagamento parziale determina solo l'estinzione parziale della pretesa dell'Amministrazione, che conserva il diritto all'eventuale conguaglio fino allo spirare del termine di prescrizione del corrispondente diritto.
Inappropriato è quindi il richiamo fatto dai ricorrenti alle norme codicistiche in materia di errore e di annullabilità del negozio per vizi del consenso (artt. 1427 e ss del codice civile), poiché quelle norme ineriscono alla sola materia dei contratti, laddove invece l'obbligazione al pagamento degli oneri concessori è, come chiarito, di fonte legale e di contenuto vincolato attenendo ad una prestazione di diritto pubblico non disponibile.
La disciplina civilistica dell'errore quale vizio del consenso è pertanto, parimenti inappropriata e quindi inconferente.
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Con il terzo motivo i ricorrenti eccepiscono la prescrizione del diritto del Comune al pagamento dei contributi concessori, sostenendo che nella specie la prescrizione di tale diritto sarebbe quinquennale ex art 2945 c.c. e che quindi, all’atto della notifica del provvedimento impugnato, il diritto al conguaglio sarebbe stato prescritto.
L'eccezione è tuttavia infondata, in quanto (cfr. C.d.S. Sez. V 13.06.2003 n. 3333; TAR Campania-Salerno Sez. II - 04.04.2008 n. 474; TAR Puglia-Lecce, sez. I, 02.04.2007, n. 1382) il credito in esame si prescrive nel termine ordinario decennale, decorrente dal rilascio del titolo edilizio, costituito nella fattispecie dalla concessione edilizia n. 230/2001 del 08.10.2001.
La prescrizione non è dunque, nella specie, ancora maturata.
Il richiamo dei ricorrenti al termine di prescrizione quinquennale di cui all'art. 2948 c.c è quindi erroneo, in quanto la facoltà riconosciuta al privato di rateizzare il pagamento dei contributi concessori comporta solo una dilazione del pagamento, ma non vale a qualificare il credito come prestazione periodica, essendo la prestazione in questione legata ad un unico fatto genetico costituito dal rilascio del titolo edilizio.
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Con il quarto e ultimo motivo i ricorrenti eccepiscono infine il loro difetto di legittimazione passiva sostenendo che il pagamento degli oneri concessori costituisce un'obbligazione propter rem e dunque "accede" alla proprietà del bene: la relativa obbligazione si sarebbe dunque trasferita agli acquirenti delle singole unità immobiliari del condominio costruito dalla società, che ne sarebbero i beneficiari e in quanto tali debitori del conguaglio.
L'assunto non ha pregio per le ragioni che seguono.
Inconferente è, in primo luogo, il richiamo al regime delle convenzioni di lottizzazione, per le quali si pone il diverso problema della successione negli obblighi convenzionali relativi alla realizzazione delle opere di urbanizzazione. Nella fatti specie si tratta, infatti, del debito per il pagamento dei contributi concessori "tabellari" per un intervento diretto.
L'art. 81 della L.R. n. 61/1985 (applicabile ratione temporis), stabilisce che "la quota del contributo relativa agli oneri di urbanizzazione è corrisposta al Comune all’atto del ritiro della concessione" e che "la quota relativa al costo di costruzione è determinata all’atto del rilascio della concessione ed è corrisposta in corso d'opera ... e comunque non oltre 60 giorni dall'ultimazione delle opere". Negli stessi termini dispone ora l'art. 16 del D.P.R. n. 380/2001.
L'obbligazione, come correttamente sostiene la difesa della parte resistente, grava dunque sul soggetto che ottiene il titolo edilizio e/o su quello (eventualmente diverso) che materialmente realizza l'opera, in quanto il contributo concessorio è dovuto in funzione della realizzazione di un dato intervento edilizio comportante un aumento del carico urbanistico, e quindi del beneficiario del titolo edilizio.
L'originario titolare della concessione edilizia può liberarsi, peraltro, com’è noto, dall'obbligo di pagamento nel caso in cui alieni il terreno da edificare -ovvero l'edificio in costruzione- cedendo il relativo titolo edilizio mediante apposita volturazione. Con la "volturazione" il Comune autorizza l'acquirente a subentrare nella titolarità del permesso di costruire e nello stesso tempo accetta l'accollo degli oneri concessori da parte dell'acquirente stesso, con liberazione del precedente titolare (cfr. TAR Puglia Lecce, Sez. II, 14.07.2003, n. 4731, secondo cui la volturazione assume il significato di adesione del Comune alla convenzione in base alla quale l'acquirente si accolla il debito del venditore relativo agli oneri concessori, nonché il significato di manifestazione della volontà di liberare il debitore originario; inoltre TAR Campania-Napoli, Sez. V, 12.03.2008, n. 1220, secondo cui il venir meno della titolarità della concessione in capo all'originario concessionario, a seguito della volturazione al subentrante, comporta anche il trasferimento a carico ed a favore di quest'ultimo, dal momento della volturazione, di tutti indistintamente i diritti e gli obblighi connessi e/o derivanti dalla concessione stessa.)
L'obbligazione de qua è dunque un'obbligazione ambulatoria in quanto segue la titolarità del permesso di costruire: il rapporto obbligatorio sorge in capo all'originario titolare della concessione edilizia e si trasferisce poi su coloro ai quali la concessione stessa venga volturata, poiché con la volturazione questi ultimi subentrano nel diritto all'edificazione.
Peraltro, una volta che la costruzione venga ultimata e sia stato esercitato il diritto all'edificazione, il titolo edilizio esaurisce la propria funzione e viene meno anche l'ambulatorietà dell'obbligazione, che di norma si esaurisce con il pagamento degli oneri ad opera del titolare della concessione. Obbligato al pagamento dei contributi concessori -e dell'eventuale conguaglio- resta quindi il soggetto che ha esercitato i diritti derivanti dal permesso di costruire, salvo che, con apposita convenzione, avente valore tra le parti, l'onere venga pattiziamente trasferito agli aventi causa del costruttore.
Invero, "l'acquirente a titolo particolare di un fabbricato già realizzato non è, in difetto di accollo, obbligato al pagamento degli oneri di urbanizzazione, a suo tempo dovuti al momento del rilascio al venditore della relativa concessione edilizia, secondo le ordinarie regole della successione, per cui le obbligazioni si trasmettono all'erede del debitore e non anche al predetto acquirente" (Cons. St., Sez. V, 26.03.1996, n. 294; TAR Campania Salerno, Sez. II, 26.09.2007, n. 1928)
(TAR Veneto, Sez. II, sentenza 16.06.2011 n. 1042 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L'eventuale erronea determinazione degli oneri connessi al rilascio della concessione edilizia non determina l'illegittimità della concessione stessa.
L'eventuale erronea determinazione degli oneri connessi al rilascio della concessione edilizia non determina l'illegittimità della concessione stessa, e non giustifica quindi la pretesa al suo annullamento giurisdizionale, in quanto il procedimento di determinazione del contributo di urbanizzazione è diverso e autonomo rispetto al procedimento di rilascio della relativa concessione di costruzione, sia perché persegue finalità sue proprie, sia perché si conclude con un provvedimento diverso da quello concessivo del titolo a costruire (Consiglio Stato, sez. IV, 31.01.1995, n. 37).
Anche a seguito dell’entrata in vigore del nuovo T.U sull’edilizia, la giurisprudenza ha ribadito che il procedimento di rilascio del permesso di costruire e quello di determinazione dei contributi continuano ad avere natura distinta ed autonoma, pur essendo necessaria la determinazione del contributo di costruzione prima del rilascio della concessione edilizia (C.d.S sez. IV, 11.05.2007, n. 2325).
Da ciò consegue che il pagamento può intervenire successivamente, anche a rate, e l’erronea determinazione della somma dovuta per oneri non incide sulla legittimità della concessione edilizia e sul diritto dell’Amministrazione di richiedere eventuali conguagli o sul diritto dell’interessato di chiedere la restituzione di quanto eventualmente pagato in eccesso
(TAR Sardegna, Sez. II, sentenza 08.06.2011 n. 550 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA: GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA – TERMINI PROCESSUALI – EQUIPARAZIONE DEL SABATO AI GIORNI FESTIVI – ESTENSIONE AI TERMINI COMPUTABILI A RITROSO – ESCLUSIONE – art. 52 c.p.a.
  
GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA – DEPOSITO DI MEMORIE E DOCUMENTI AI FINI DELL’UDIENZA DI DISCUSSIONE – PERENTORIETÀ DEI TERMINI – art. 54 c.p.a.
  
GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA – REVOCAZIONE – RICORSO – OMESSA INDICAZIONE DEI VIZI – INAMMISSIBILITÀ – art. 395 c.p.c.; art. 106 c.p.a.
  
GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA – DECISIONE FONDATA SU RAGIONI MANIFESTE O SU ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI CONSOLIDATI – CONDANNA DELLA PARTE SOCCOMBENTE A UNA SOMMA DI DENARO – art. 26 c.p.a.
  
Il sabato è equiparato ai giorni festivi ai soli fini del compimento degli atti processuali svolti fuori dell’udienza che scadono in tale giornata, come la notifica e il deposito di atti processuali; ai sensi dell’art. 52, 5° comma, cod. proc. amm. l’equiparazione non vale però per i termini che si computano a ritroso (quali il termine per il deposito dei documenti o delle memorie, in vista dell’udienza di discussione).
  
I termini per il deposito delle memorie o dei documenti, ai sensi dell’art. 54 cod. proc. amm. sono perentori, perché stabiliti a garanzia del contraddittorio e della corretta organizzazione del lavoro del giudice.
  
È inammissibile il ricorso per revocazione nel quale non sia indicata alcuna delle cause di revocazione previste dall’art. 395 c.p.c..
  
Ai sensi dell’art. 26 cod. proc. amm., la parte soccombente, quando la decisione sia fondata su ragioni manifeste o su orientamenti giurisprudenziali consolidati, può essere condannata al pagamento in favore dell’altra parte di una somma di denaro equitativamente determinata, a titolo di indennizzo per il danno lecito da processo (nella specie, il collegio, in assenza di elementi contrari, ha condannato la parte ricorrente ad una somma pari a quella liquidata per spese di giudizio).
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GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA – RICORSO GIURISDIZIONALE – TERMINE – COMPUTO – CRITERIO – INDIVIDUAZIONE
  
GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA – RICORSO GIURISDIZIONALE – TERMINE – SABATO – EQUIPARAZIONE AI GIORNI FESTIVI – LIMITE
  
GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA – RICORSO GIURISDIZIONALE – TERMINE – SABATO – EQUIPARAZIONE AI GIORNI FESTIVI – APPLICABILITÀ SOLO AI TERMINI CHE SI CALCOLANO IN AVANTI, E NON ANCHE A QUELLI A RITROSO
  
GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA – RICORSO GIURISDIZIONALE – TERMINE – PER IL DEPOSITO DI DOCUMENTI, MEMORIE E REPLICHE – INDIVIDUAZIONE
  
Nel caso in cui la legge indica un termine processuale riferendosi ad un certo numero di giorni liberi, il suddetto numero di giorni esclude tanto il dies a quo quanto il dies ad quem.
  
Ai sensi dell’art. 155, comma 5, c.p.c., aggiunto dall’art. 2 comma 1, l. 28.12.2005 n. 263 ed applicabile anche al processo amministrativo, il sabato è da considerarsi equiparato ai giorni festivi, ma limitatamente agli atti processuali scadenti di sabato e da compiersi fuori dell’udienza, mentre resta giorno lavorativo per l’attività degli ufficiali giudiziari e per gli addetti all’ufficio ricorsi.
  
Nel processo amministrativo la regola fissata dall’art. 155, comma 5, c.p.c. in ordine all’equiparazione del sabato ai giorni festivi, vale solo per i termini che si calcolano in avanti, e non anche per quelli che si calcolano a ritroso, atteso che l’art. 52, comma 5, c.p.a. estende al sabato solo la proroga dei termini che scadono di giorno festivo, con la conseguenza che un termine a ritroso, che scada di sabato, non va anticipato al venerdì e, ove scada di domenica, va anticipato al sabato, e non al venerdì.
  
Ai sensi dell’art. 73, comma 1°, c.p.a. le parti possono produrre documenti nel termine perentorio di quaranta giorni liberi prima dell’udienza, di trenta giorni liberi per le memorie e di venti giorni liberi per le repliche, ma se l’ultimo giorno libero cade in un giorno festivo il deposito va anticipato a pena di esclusione al giorno precedente; peraltro, ai sensi del precedente art. 52, comma 4°, c.p.a., detta regola non si applica per i termini a ritroso che scadono di sabato
(massima tratta da www.scuolagiuridica.it).
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6. Preliminare la sezione deve esaminare l’eccezione, sollevata dalla difesa del comune, di tardività della memoria difensiva depositata dalla parte ricorrente il giorno lunedì 18.04.2011.
6.1. L’eccezione è fondata.
6.2. In ordine alla individuazione dei termini del processo amministrativo ed ai criteri di computo degli stessi, in virtù del rinvio operato dall’art. 39, co. 1, c.p.a. trova applicazione la disciplina dettata dal codice di procedura civile salve le deroghe tipizzate dal c.p.a..
Ai fini del computo dei termini si estende al processo amministrativo la disciplina dettata dall’art. 155 c.p.c.; il c.p.a. aggiunge a tale disciplina alcune precisazioni in tema di giorno festivo e di sabato.
Quanto al caso in cui il giorno di scadenza sia festivo, la proroga di diritto al primo giorno seguente non festivo opera non solo per i termini legali, ma anche per quelli fissati dal giudice (art. 52, co. 3, c.p.a.); inoltre, nel caso di termini che si computano a ritroso (come per i giorni liberi prima dell’udienza), la scadenza viene anticipata al giorno antecedente non festivo (art. 52, co. 4, c.p.a. che recepisce un consolidato indirizzo della giurisprudenza, cfr. Cass., 12.12.2003, n. 19041); è altresì pacifico che quando la legge indica il termine riferendosi ad un certo numero di giorni liberi, il suddetto numero di giorni esclude tanto il dies a quo quanto il dies ad quem (cfr., fra le tante, Cass., 12.12.2003, n. 19041 cit.; 20.05.2002, n. 7331).
Il sabato è stato equiparato ai festivi (in virtù della novella di cui all’art. 2, co. 11, d.l. n. 263 del 2005, in vigore dal 01.03.2006); l’equiparazione opera però al solo fine del compimento degli atti processuali svolti fuori dell’udienza che scadono di sabato, onde consentire agli avvocati di procedere ai relativi adempimenti, concernenti i termini di notifica e deposito che scadono di sabato, il successivo lunedì; a tutti gli altri effetti il sabato è considerato giorno lavorativo, anche per quanto attiene, dunque, alle attività di ufficiali giudiziari e di addetti agli uffici ricorsi, come dispone espressamente l’art. 155 c.p.c. (tanto emerge implicitamente dal decreto del presidente del Consiglio di Stato n. 83 del 2010 che ha disciplinato, con decorrenza 01.10.2010, gli orari di apertura al pubblico dell’ufficio ricevimento ricorsi e delle segreterie delle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato).
Il c.p.a. esplicita l’applicabilità della disciplina sul sabato anche al processo amministrativo (art. 52, co. 5, c.p.a., in tal senso si era già espressa la preferibile giurisprudenza, cfr. Cons. St., sez. IV, 18.02.2008, n. 446).
Questa regola, però, vale solo per i termini che si calcolano in avanti, e non anche per i termini che si calcolano a ritroso; infatti l’art. 52, co. 5, c.p.a. estende al sabato solo la <<proroga di cui al comma 3>>, ossia la proroga dei giorni che scadono di giorno festivo, e dunque non anche il meccanismo di anticipazione di cui al co. 4; ne consegue che se un termine a ritroso scade di sabato, esso non va anticipato al venerdì, così come se il termine a ritroso scade di domenica, va anticipato al sabato e non al venerdì.
6.3. Le parti possono presentare memorie e repliche in vista dell’udienza di discussione; prima del codice le parti potevano produrre documenti fino a venti giorni liberi anteriori al giorno fissato per l’udienza e presentare memorie fino a dieci giorni liberi (art. 23, co. 4, l. Tar).
6.3.1. Il nuovo codice ha allungato tali termini, per meglio garantire lo studio degli atti processuali ad opera del giudice e delle parti ed ha aggiunto l’istituto delle repliche (ammesso dalla precedente prassi); pertanto le parti possono produrre documenti fino a quaranta giorni liberi prima dell’udienza, memorie fino a trenta giorni liberi e repliche fino a venti giorni liberi (art. 73, co. 1, c.p.a.); lo scopo della previsione è quello di consentire alla controparte di disporre dei termini ivi previsti per visionare altrui documenti e memorie.
Stante la su enucleata ratio legis, prima del codice si è affermato che se l’ultimo giorno libero cade in giorno festivo, il deposito va anticipato al giorno precedente pena la tardività della produzione (cfr. Cons. giust. amm. 30.03.2009, n. 215); tanto è ora sancito espressamente dal c.p.a. secondo cui per i termini computati a ritroso, quali quelli in esame, la scadenza è anticipata al giorno antecedente non festivo, ma la regola, come già visto, non si applica per i termini a ritroso che scadono di sabato (art. 52, co. 4, c.p.a.).
6.3.2. Prima del codice era disputata la natura perentoria o meno dei termini per il deposito di documenti e memorie prevalendo da ultimo la tesi che, quantomeno avuto riguardo al termine per le memorie, questo fosse perentorio integrando un precetto di ordine pubblico processuale a garanzia dell’interesse del giudice a conoscere in tempo utile gli atti processuali (cfr., da ultimo, Cons. St., sez. V, n. 5245 del 2009; sez. VI, n. 4699 del 2008).
La questione ha trovato espressa soluzione nel c.p.a. a tenore del quale la presentazione tardiva di memorie o documenti può essere eccezionalmente autorizzata dal collegio, su richiesta di parte, quando la produzione nel termine di legge risulta estremamente difficile; in ogni caso va assicurato il pieno rispetto del diritto delle controparti al contraddittorio sugli atti tardivamente depositati (art. 54, co. 1, c.p.a.).
Se ne desume che:
   a) i termini di deposito di documenti, memorie e repliche sono imposti a pena di decadenza;
   b) il deposito tardivo è possibile solo se c’è un autorizzazione del collegio che si atteggia a rimessione in termini per errore scusabile, come ipotesi speciale di essa, di cui condivide i presupposti; 
   c) va comunque garantito il contraddittorio.
La giurisprudenza successiva all’entrata in vigore del codice ha ribadito che tali termini sono perentori a garanzia del contraddittorio e della corretta organizzazione del lavoro del giudice (cfr. Cons. St., sez. V, 01.04.2011, n. 2032; sez. V, 29.03.2011, n. 1910; sez. VI, 16.02.2011, n. 984).
6.4. Facendo applicazione dei su esposti principi al caso di specie, risulta evidente che il deposito della memoria difensiva della società ricorrente, avvenuto lunedì 18.04.2011 in vista dell’udienza di discussione della presente controversia fissata per il giorno 17.03.2011, è tardivo perché effettuato oltre il termine ultimo per legge individuato nel giorno sabato 16.04.2011.
6.5. Dall’assodata tardività della memoria depositata dalla società ricorrente, dalla insussistenza dei presupposti per la concessione dell’errore scusabile (alla luce dei rigorosi principi da ultimo enucleati dall’adunanza plenaria di questo Consiglio n. 3 del 2010), nonché dalla natura meramente illustrativa delle comparse conclusionali, discende l’inutilizzabilità processuale della memoria depositata il 18.04.2011, in ordine all’integrazione o specificazione di fatti costitutivi di domande ed eccezioni non ritualmente proposte, con tutte le ulteriori conseguenze connesse all’applicazione dell’art. 26 c.p.a. (cfr. Cons. St., sez. V, 01.04.2011, n. 2032; 29.03.2011, n. 1926) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 31.05.2011 n. 3252 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA - PUBBLICO IMPIEGO: La quota di contributo afferente al costo di costruzione va dunque determinata all’atto del rilascio della concessione edilizia o del permesso di costruzione, ma deve essere versata nel corso della costruzione e comunque nei sessanta giorni dalla sua ultimazione.
La data del rilascio della concessione edilizia o del permesso di costruzione è il momento in cui sorge l’obbligazione contributiva rapportata al costo di costruzione, e pertanto è da quella stessa data che l’amministrazione comunale può far valere il suo diritto di credito, ossia esercitare il potere di accertamento dell’importo dovuto, con conseguente decorrenza della prescrizione (decennale) del diritto medesimo il quale, sin dal momento dell’adozione del provvedimento ampliativo della sfera del richiedente la concessione o il permesso di costruzione, è certo, liquido o agevolmente liquidabile ed esigibile.
La suddetta obbligazione è di tipo “acausale”, perché connessa alla mera utilizzazione edificatoria del territorio, e perciò ritenuta di natura paratributaria, a differenza dell’obbligazione per oneri di urbanizzazione che deve, invece, ritenersi “causale” ed ha natura di corrispettivo di diritto pubblico di natura non tributaria, dovuto dal titolare della concessione edilizia per la partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione connessi all’edificazione.
In ogni caso, per entrambe le obbligazioni il rilascio della concessione edilizia o del permesso di costruzione rappresenta il momento costitutivo dell’obbligo giuridico -incombente sul beneficiario del provvedimento autorizzatorio- di corrispondere le somme dovute per il contributo di costruzione.
Con la conseguenza che l’omessa contestuale determinazione di tale contributo o di una delle due voci che lo compongono (oneri di urbanizzazione e costo di costruzione) realizza, sin dal momento del rilascio del titolo abilitativo all’edificazione, una lesione attuale e concreta alla finanza comunale, venendo a mancare, in capo all’ente locale, la disponibilità piena ed immediata di entrate contributive ad esso spettanti.
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Nel nuovo ordinamento delle autonomie locali –art. 58 della legge 08.06.1990 n. 142– è previsto che l’azione di responsabilità si prescrive col decorso del quinquennio “dalla commissione del fatto”.
Tale espressione deve essere intesa nel senso che non è sufficiente a dare inizio al periodo prescrizionale il semplice compimento della condotta trasgressiva degli obblighi di servizio dalla quale non sia ancora scaturito alcun nocumento all’ente pubblico, posto che l’elemento “fatto” comprende non solo la condotta del soggetto ma anche l’evento dannoso che ad essa consegue.
Un indirizzo interpretativo del tutto analogo è stato poi adottato a proposito dell’art. 1, secondo comma, della legge 14.01.1994, n. 20 (come sostituito con legge 20.12.1996, n. 639) -per il quale il diritto al risarcimento del danno si prescrive in ogni caso in 5 anni, decorrenti dalla data in cui si è verificato il “fatto dannoso” (ovvero, in caso d’occultamento doloso del danno, dalla data della sua scoperta)–, affermandosi che ai fini dell’individuazione del “dies a quo” della prescrizione, ai sensi del citato art. 1 l. n. 20/1994 occorre avere riguardo alla fattispecie costituita da condotta ed evento dannoso, che si completa al verificarsi di quest’ultimo, vale a dire del depauperamento dell’amministrazione o dell’ente.
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L
’adeguamento annuo del costo di costruzione secondo l’indice ISTAT ... rientra indiscutibilmente nell’ambito del procedimento autorizzatorio di cui sopra, trattandosi di adempimento strettamente connesso all’esatto computo del contributo dovuto in relazione al permesso di costruire.
An
che per tale adempimento l’ordinaria competenza a provvedere (appartenesse e) appartenga al Responsabile della Unità Operativa interessata, più che al Responsabile dell’Area di riferimento (“Servizi per la Collettività ed il Territorio”) o agli organi deliberativi dell’Ente.
D’altro canto, l’aggiornamento in questione si risolve in una operazione di calcolo da effettuarsi sulla base di un parametro -la variazione ISTAT- fissato da prescrizioni legislative (statali e regionali) alla stregua delle quali si sarebbe dovuto provvedere automaticamente anno per anno, senza alcuna possibilità di valutazioni ed apprezzamenti discrezionali da parte degli organi di governo comunali trattandosi, invero, di adeguamento comunque obbligatorio per legge.
Sul punto le disposizioni di riferimento
, vale a dire l’art. 16, comma 9, del d.P.R. n. 380/2001 –testualmente riproduttivo, in parte qua, dell’art. 6, comma 3, della legge n. 10 del 1977– e l’art. 29, comma 3, della legge regionale Emilia Romagna n. 31 del 2002, risultano univocamente chiare e vincolanti nel prevedere che nei periodi intercorrenti tra le determinazioni regionali il costo di costruzione è adeguato annualmente dai Comuni “in ragione dell'intervenuta variazione dei costi di costruzione accertata dall'Istituto nazionale di statistica”, con l’ulteriore rilevante precisazione, nella norma statale appena citata, che all’adeguamento si procede anche “in eventuale assenza di tali determinazioni” ed “autonomamente”.

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Il mancato aggiornamento del costo di costruzione configura una condotta omissiva dell’odierno convenuto qualificabile, se non come dolosa, certamente come gravemente colposa.
Osserva il Collegio come nella fattispecie in esame difettino i profili del c.d. dolo “erariale” o “contrattuale” non risultando il comportamento del sig. ... improntato a consapevole volontà del medesimo di agire in violazione dei propri doveri d’ufficio e di arrecare un ingiusto pregiudizio all’Ente.
Nella condotta del sunnominato ricorrono, tuttavia, gli elementi della colpa grave, ove si consideri, anzitutto, che l’aggiornamento annuale del costo di costruzione postulava un dovere particolarmente pregnante e puntuale di diligenza nell’adempimento di tale obbligo, specie per i connessi rilevanti riflessi sulle finanze del Comune.
L’inadempienza si è protratta per svariati anni senza che il convenuto abbia mai adottato, nell’ambito dell’autonomia di competenze non meramente esecutive di cui in precedenza si è fatto cenno, alcuna concreta, documentata iniziativa di natura “operativa”, o anche solo “sollecitatoria” e/o “propositiva”, volta a definire la vicenda dell’adeguamento ISTAT di cui si discute; vicenda, occorre ribadirlo, coinvolgente, in via diretta ed immediata, l’importante attività gestionale in materia di edilizia privata propriamente riservata all’Unità Operativa (“Urbanistica–Edilizia Privata–Ambiente”) della quale il sig. ... era Responsabile.
In altre parole, viene qui in rilievo la prolungata, ingiustificata inerzia del convenuto in ordine all’adeguamento del costo di costruzione, inerzia da ritenersi e valutarsi quale espressione di inescusabile e macroscopica superficialità nella cura dell’attività gestoria di un settore comunale, quello dell’edilizia privata, di assoluto rilievo.
Il Collegio ritiene dunque sussistente una condotta gravemente colposa del sig. ..., direttamente causativa del danno alle finanze comunali perseguito in questa sede.

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Non si può non evidenziare come abbia fatto assoluto difetto, nella vicenda in esame, l’esercizio da parte dei dirigenti succedutisi nella carica di Responsabile dell’Area n. 3 (“Servizi per la Collettività ed il Territorio”) dei propri poteri di direttiva, di impulso e di controllo, quando non sostitutivi, in relazione alla specifica attività svolta dall’Unità Operativa “Urbanistica–Edilizia Privata–Ambiente”.
R
esta il fatto che l’assenza di una qualunque iniziativa da parte dei vari soggetti comunali (in primis Consiglio, Giunta e dirigenti Responsabili dell’Area 3), comunque coinvolti dalla discussa problematica in ragione delle rispettive attribuzioni, ha consentito che la grave anomalia gestionale rappresentata dal mancato adeguamento del costo di costruzione si protraesse per diversi anni in una situazione di persistente inazione dell’amministrazione; situazione che ha senza dubbio contribuito al progressivo formarsi dell’ingente danno per cui è causa.
I
l mancato intervento degli altri soggetti comunali interessati, concretizzatosi anch’esso in una continuata ed assolutamente ingiustificabile inerzia, pur non facendo venire meno la responsabilità per colpa grave dell’odierno convenuto assuma, tuttavia, concorrente rilevanza nella produzione dell’evento dannoso.
Tale apporto concausale, valutato con riguardo all’insieme delle accennate condotte “inattive”, appare complessivamente stimabile, per la notevole incidenza che esso ha avuto sul protrarsi per anni dell’inadempimento dell’obbligo di adeguamento del costo di costruzione, nella misura del 75 per cento, con corrispondente riduzione al 25 per cento della percentuale di responsabilità restante a carico del sig. ....

1) L’ipotesi di danno erariale sottoposta all’esame della Corte è costituita –secondo la prospettazione accusatoria- dalle minori entrate, per il complessivo importo di € 386.711,64, derivanti al Comune di Vergato dal mancato adeguamento annuale, relativamente al periodo 2000–2009, del costo di costruzione ai fini della determinazione della quota di contributo per il rilascio della concessione edilizia o del permesso di costruire nuovi edifici.
Per tale evento dannoso è stato chiamato in giudizio il sig. ..., quale responsabile del Settore Urbanistica e Ambiente dal 1999 al 2001 e, poi, della Unità Operativa “Urbanistica–Edilizia Privata–Ambiente” fino al 29.07.2009.
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2) Ai fini della migliore comprensione della causa è opportuno premettere un breve excursus delle norme in materia edificatoria coinvolte nella fattispecie.
2.a) Si deve quindi partire dalla legge 28.01.1977, n. 10 sull’edificabilità dei suoli, che all’art. 1 stabiliva che “Ogni attività comportante trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio comunale partecipa agli oneri ad essa relativi e la esecuzione delle opere è subordinata a concessione da parte del sindaco, ai sensi della presente legge” soggiungendo, all’art. 3, che “la concessione comporta la corresponsione di un contributo commisurato all’incidenza delle spese di urbanizzazione nonché al costo di costruzione”.
Per il successivo art. 5 della legge n. 10 del 1977 appena citata, “l'incidenza degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria, previsti dall'articolo 4 della legge 29.09.1964, n. 847, modificato dall'articolo 44 della legge 22.10.1971, n. 865, nonché dalle leggi regionali, è stabilita, ai fini del precedente articolo 3, con deliberazione del consiglio comunale in base alle tabelle parametriche che la regione definisce, entro 120 giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, per classi di comuni in relazione…(comma 1).
Fino all'approvazione delle tabelle di cui al precedente comma i comuni continuano ad applicare le disposizioni adottate in attuazione della legge 06.08.1967, n. 765 (comma 2).
Nel caso di mancata definizione delle tabelle parametriche da parte della regione entro il termine stabilito nel primo comma e fino alla definizione delle tabelle stesse, i comuni provvedono, in via provvisoria, con deliberazione del consiglio comunale (comma 3)
”.
Infine, l’art. 6 (nel testo sostituito dall’art. 7 l. 24.12.1993 n. 537) della medesima legge prevedeva che “il costo di costruzione di cui all'articolo 3 della presente legge per i nuovi edifici è determinato periodicamente dalle regioni con riferimento ai costi massimi ammissibili per l'edilizia agevolata, definiti dalle stesse regioni a norma della lettera g) del primo comma dell'art. 4 della L. 05.08.1978, n. 457” (comma 1), soggiungendo che “con gli stessi provvedimenti di cui al primo comma, le regioni identificano classi di edifici con caratteristiche superiori a quelle considerate nelle vigenti disposizioni di legge per l'edilizia agevolata, per le quali sono determinate maggiorazioni del detto costo di costruzione in misura non superiore al 50 per cento” (comma 2) e disponendo, altresì, che “nei periodi intercorrenti tra le determinazioni regionali di cui al primo comma, ovvero in eventuale assenza di tali determinazioni, il costo di costruzione è adeguato annualmente, ed autonomamente, in ragione dell'intervenuta variazione dei costi di costruzione accertata dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT)” (comma 3).
2.b) I sopra citati artt. 1, 3, 5 e 6 (nonché gli artt. 4, 7, 8, 9, 10, 11, 12 e 16) della legge n. 10 del 1977 sono stati, poi, espressamente abrogati dall'art. 136, commi 1 e 2, del d.P.R. 06.06.2001, n. 380 – “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia (Testo A)”, a decorrere dal 30.06.2003, ai sensi dell'art. 2, del decreto-legge 20.06.2002, n. 122, conv., con modificazioni, in legge 01.08.2002, n. 185.
Per quel che occupa, il predetto Testo unico, definite la natura e le caratteristiche del permesso di costruire (v. artt. 10–15), rilasciato “dal dirigente o responsabile del competente ufficio comunale nel rispetto delle leggi, dei regolamenti e degli strumenti urbanistici” (v. art. 13, comma 1), all’art. 16, ha raccolto le disposizioni (legge 28.01.1977, n. 10, articoli 3; 5, comma 1; 6, commi 1, 4 e 5; 11; legge 05.08.1978, n. 457, art. 47; legge 24.12.1993, n. 537, art. 7; legge 29.09.1964, n. 847, articoli 1, comma 1, lettere b) e c), e 4; legge 22.10.1971, n. 865, art. 44; legge 11.03.1988, n. 67, art. 17; decreto legislativo 05.02.1997, n. 22, art. 58, comma 1; legge 23.12.1998, n. 448, art. 61, comma 2) sul “contributo per il rilascio del permesso di costruire” tra le quali vanno segnalate le seguenti:
- “Salvo quanto disposto dall'articolo 17, comma 3, il rilascio del permesso di costruire comporta la corresponsione di un contributo commisurato all'incidenza degli oneri di urbanizzazione nonché al costo di costruzione, secondo le modalità indicate nel presente articolo” (comma 1);
- “La quota di contributo relativa agli oneri di urbanizzazione è corrisposta al comune all'atto del rilascio del permesso di costruire e, su richiesta dell'interessato, può essere rateizzata…” (comma 2);
- “La quota di contributo relativa al costo di costruzione, determinata all'atto del rilascio, è corrisposta in corso d'opera, con le modalità e le garanzie stabilite dal comune, non oltre sessanta giorni dalla ultimazione della costruzione” (comma 3);
- “Il costo di costruzione per i nuovi edifici è determinato periodicamente dalle regioni con riferimento ai costi massimi ammissibili per l'edilizia agevolata, definiti dalle stesse regioni a norma della lettera g) del primo comma dell'articolo 4 della legge 05.08.1978, n. 457. Con lo stesso provvedimento le regioni identificano classi di edifici con caratteristiche superiori a quelle considerate nelle vigenti disposizioni di legge per l'edilizia agevolata, per le quali sono determinate maggiorazioni del detto costo di costruzione in misura non superiore al 50 per cento. Nei periodi intercorrenti tra le determinazioni regionali, ovvero in eventuale assenza di tali determinazioni, il costo di costruzione è adeguato annualmente, ed autonomamente, in ragione dell'intervenuta variazione dei costi di costruzione accertata dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT). Il contributo afferente al permesso di costruire comprende una quota di detto costo, variabile dal 5 per cento al 20 per cento, che viene determinata dalle regioni in funzione delle caratteristiche e delle tipologie delle costruzioni e della loro destinazione ed ubicazione” (comma 9).
2.c) Da ultimo, la legge regionale Emilia Romagna 25.11.2002, n. 31 (“Disciplina generale dell’edilizia") ha disposto, all’art. 27 (“Contributo di costruzione”), che: “Fatti salvi i casi di riduzione o esonero di cui all'art. 30, il proprietario dell'immobile o colui che ha titolo per chiedere il rilascio del permesso o per presentare la denuncia di inizio attività è tenuto a corrispondere un contributo commisurato all'incidenza degli oneri di urbanizzazione nonché al costo di costruzione” (comma 1); “Il contributo di costruzione è quantificato dal Comune per gli interventi da realizzare attraverso il permesso di costruire ovvero dall'interessato per quelli da realizzare con denuncia di inizio attività” (comma 2); “La quota di contributo relativa agli oneri di urbanizzazione è corrisposta al Comune all'atto del rilascio del permesso ovvero all'atto della presentazione della denuncia di inizio attività. Il contributo può essere rateizzato, a richiesta dell'interessato” (comma 3); “La quota di contributo relativa al costo di costruzione è corrisposta in corso d'opera, secondo le modalità e le garanzie stabilite dal Comune” (comma 4).
Al successivo art. 29, la stessa legge regionale ha stabilito che “Il costo di costruzione per i nuovi edifici è determinato almeno ogni cinque anni dal Consiglio regionale con riferimento ai costi parametrici per l'edilizia agevolata. Il contributo afferente al titolo abilitativo comprende una quota di detto costo, variabile dal 5 per cento al 20 per cento, che viene determinata con l'atto del Consiglio regionale in funzione delle caratteristiche e delle tipologie delle costruzioni e della loro destinazione e ubicazione” (comma 1), e “Nei periodi intercorrenti tra le determinazioni regionali, il costo di costruzione è adeguato annualmente dai Comuni, in ragione dell'intervenuta variazione dei costi di costruzione accertata dall'Istituto nazionale di statistica” (comma 3).
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3) In base alla delineata cornice normativa, la quota di contributo afferente al costo di costruzione va dunque determinata all’atto del rilascio della concessione edilizia o del permesso di costruzione, ma deve essere versata nel corso della costruzione e comunque nei sessanta giorni dalla sua ultimazione.
Secondo giurisprudenza amministrativa ormai consolidata,
la data del rilascio della concessione edilizia o del permesso di costruzione è il momento in cui sorge l’obbligazione contributiva rapportata al costo di costruzione, e pertanto è da quella stessa data che l’amministrazione comunale può far valere il suo diritto di credito, ossia esercitare il potere di accertamento dell’importo dovuto, con conseguente decorrenza della prescrizione (decennale) del diritto medesimo il quale, sin dal momento dell’adozione del provvedimento ampliativo della sfera del richiedente la concessione o il permesso di costruzione, è certo, liquido o agevolmente liquidabile ed esigibile (cfr. Consiglio di Stato – Sez. IV, 06.06.2008 n. 2686; Sez. IV, 05.04.2006 n. 7219; Sez. V, 13.06.2003 n. 3332; TAR Marche Ancona, 01.04.2004 n. 143; TAR Abruzzo Pescara, 10.05.2002 n. 477; TAR Calabria Catanzaro, 06.02.1996 n. 180).
Come ancora precisato dal giudice amministrativo,
la suddetta obbligazione è di tipo “acausale”, perché connessa alla mera utilizzazione edificatoria del territorio, e perciò ritenuta di natura paratributaria, a differenza dell’obbligazione per oneri di urbanizzazione che deve, invece, ritenersi “causale” ed ha natura di corrispettivo di diritto pubblico di natura non tributaria, dovuto dal titolare della concessione edilizia per la partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione connessi all’edificazione (cfr. TAR Lombardia Brescia, 03.12.2007 n. 1268; TAR Toscana Firenze, Sez. III, 11.08.2004 n. 3181).
In ogni caso, per entrambe le obbligazioni il rilascio della concessione edilizia o del permesso di costruzione rappresenta il momento costitutivo dell’obbligo giuridico -incombente sul beneficiario del provvedimento autorizzatorio- di corrispondere le somme dovute per il contributo di costruzione (cfr. Consiglio di Stato – Sezione IV, 06.06.2008 n. 2686).
Con la conseguenza che l’omessa contestuale determinazione di tale contributo o di una delle due voci che lo compongono (oneri di urbanizzazione e costo di costruzione) realizza, sin dal momento del rilascio del titolo abilitativo all’edificazione, una lesione attuale e concreta alla finanza comunale, venendo a mancare, in capo all’ente locale, la disponibilità piena ed immediata di entrate contributive ad esso spettanti.
Analogamente è a dire, in termini di attualità ed effettività del pregiudizio, con riguardo all’errata determinazione del contributo in misura inferiore al dovuto; ciò anche a voler prescindere dal carattere di definitività attribuito da una certa giurisprudenza alla determinazione del quantum della obbligazione contributiva a carico del privato, con esclusione della possibilità per l’amministrazione comunale che abbia erroneamente liquidato l’ammontare del contributo, di richiedere successivamente, in via di autotutela, un importo a titolo di conguaglio (cfr. Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, decisione n. 1007/2000).
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4) Si può ora passare ad esaminare la questione della prescrizione dell’azione di responsabilità eccepita dalla difesa del convenuto.
Sul punto è appena da ricordare che
nel nuovo ordinamento delle autonomie locali –art. 58 della legge 08.06.1990 n. 142– è previsto che l’azione di responsabilità si prescrive col decorso del quinquennio “dalla commissione del fatto”.
Tale espressione, secondo giurisprudenza di questa Corte, deve essere intesa nel senso che non è sufficiente a dare inizio al periodo prescrizionale il semplice compimento della condotta trasgressiva degli obblighi di servizio dalla quale non sia ancora scaturito alcun nocumento all’ente pubblico, posto che l’elemento “fatto” comprende non solo la condotta del soggetto ma anche l’evento dannoso che ad essa consegue (cfr. Sez. II, 03.02.1999 n. 28/A; Sez. giurisd. reg. Lazio, 25.09.2000 n. 1544/R).
Un indirizzo interpretativo del tutto analogo è stato poi adottato a proposito dell’art. 1, secondo comma, della legge 14.01.1994, n. 20 (come sostituito con legge 20.12.1996, n. 639) -per il quale il diritto al risarcimento del danno si prescrive in ogni caso in cinque anni, decorrenti dalla data in cui si è verificato il “fatto dannoso” (ovvero, in caso d’occultamento doloso del danno, dalla data della sua scoperta)–, affermandosi che ai fini dell’individuazione del “dies a quo” della prescrizione, ai sensi del citato art. 1 l. n. 20/1994 occorre avere riguardo alla fattispecie costituita da condotta ed evento dannoso, che si completa al verificarsi di quest’ultimo, vale a dire del depauperamento dell’amministrazione o dell’ente (cfr. Corte dei Conti – Sezioni II, 19.10.1998 n. 212/A).
Tanto premesso, ritiene il Collegio di non poter condividere la tesi di parte attrice secondo la quale si tratterebbe, nella specie, di illecito permanente caratterizzato dal protrarsi nel tempo della condotta antidoverosa la quale dovrebbe, perciò, essere considerata una condotta unica continuata, con conseguente spostamento “in avanti”, sino alla sua cessazione, del "dies a quo" per l'inizio del computo del termine prescrizionale.
In realtà, la contestata vicenda di danno, pur nella sua sostanziale unitarietà, risulta articolata in segmenti temporali corrispondenti ai singoli anni controversi (2000–2009), cui le specifiche minori entrate sono state riferite.
D’altra parte, il criterio -poi confermato dalla Procura attrice– per mezzo del quale il Comune di Vergato è pervenuto alla determinazione del danno in discussione è consistito proprio nel calcolare il mancato adeguamento del costo di costruzione anno per anno, a partire dal 2000 fino al 2009, individuando l’ammontare delle minori entrate per ogni singolo esercizio finanziario ed il loro ammontare complessivo (pari a € 386.711,64).
La decorrenza della prescrizione della domanda risarcitoria va quindi stabilita tenendo conto del criterio appena evidenziato, ovvero avendo riguardo al danno come perdita di entrate contributive subita dal Comune in riferimento ad ogni specifico anno oggetto di contestazione.
Resta da aggiungere che, non sussistendo nella fattispecie alcun occultamento doloso,
il mancato adeguamento automatico del costo di costruzione era comunque rilevabile, e dunque obiettivamente conoscibile, già all’interno di ogni esercizio finanziario di riferimento, attraverso le normali procedure di controllo e di revisione previste dal T.U.EE.LL. (d.lgs. n. 267/2000).
Ne discende, ad avviso del Collegio, che il “dies a quo” del termine prescrizionale deve essere fatto coincidere, anno per anno, con la chiusura dell’esercizio finanziario di riferimento, e pertanto, poiché il primo atto interruttivo del termine prescrizionale (quinquennale) va individuato nell’invito a dedurre emesso il 16.03.2010 dalla Procura attrice, la pretesa risarcitoria azionata da quest’ultima risulta prescritta in relazione al danno per le minori entrate contributive riferite agli anni 2000, 2001, 2002, 2003 e 2004.
L’accertata parziale prescrizione del danno nei termini appena specificati conduce a ritenere assorbita, relativamente e limitatamente agli anni sopra indicati (2000–2004), ogni ulteriore questione dedotta in atti.
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5) Quanto, invece, alla parte restante del danno, costituita dalla perdita di entrate contributive realizzata nel periodo dall'01.01.2005 all’ottobre 2009, occorre prendere le mosse dalla considerazione che tale periodo ricade interamente sotto il vigore del citato Testo unico dell’edilizia (d.P.R. n. 380 del 2001).
Questo corpo normativo è stato emanato –unitamente al d.lgs. 06.06.2001 n. 378, recante “Disposizioni legislative in materia edilizia. (Testo B)” e al d.P.R. 06.06.2001 n. 379 recante “Disposizioni regolamentari in materia edilizia. (Testo C)”- in esecuzione delle norme e dei principi di cui alla legge 08.03.1999, n. 50 (“Delegificazione e testi unici di norme concernenti procedimenti amministrativi – Legge di semplificazione 1998”), che prevedeva, in attuazione dell'art. 20, comma 1, della legge 15.03.1997, n. 59 (c.d. “legge Bassanini”), l’emanazione di regolamenti (ai sensi dell'art. 17, comma 2, della legge 23.08.1988, n. 400) per la delegificazione e la semplificazione dei procedimenti amministrativi (art. 1), nonché il riordino delle norme legislative e regolamentari disciplinanti varie fattispecie e materie “mediante l'emanazione di testi unici riguardanti materie e settori omogenei, comprendenti, in un unico contesto e con le opportune evidenziazioni, le disposizioni legislative e regolamentari” (art. 7).
Le norme del d.P.R. n. 380 del 2001 che interessano in particolare ai fini dell’odierno giudizio sono già state riportate al punto 2.b) della presente esposizione in diritto, cui si rinvia.
Qui preme osservare che le norme anzidette hanno ripreso i contenuti sostanziali delle preesistenti disposizioni della legge n. 10 del 1977 in coerenza, peraltro, ai limiti di intervento del legislatore delegato come segnati dai principi e criteri direttivi fissati dall’art. 7, comma 2, della legge n. 50 del 1999, tra cui il “coordinamento formale delle disposizioni vigenti, apportando, nei limiti di detto coordinamento, le modifiche necessarie per garantire la coerenza logica e sistematica della normativa anche al fine di adeguare e semplificare il linguaggio normativo” (v. art. 7, comma 2, lett. d).
In altre parole, il legislatore delegato, con l’emanazione del Testo unico in oggetto, ha realizzato un unico quadro normativo delle preesistenti disposizioni nella materia che occupa, effettuando un’opera di ricognizione, coordinamento e razionalizzazione delle stesse senza, comunque, introdurre innovazioni sostanziali rispetto al sistema normativo previgente.
Ad avviso del Collegio, in un siffatto contesto non appare quindi configurabile alcuna radicale discontinuità delle disposizioni de quibus raccolte nel Testo unico n. 380 del 2001 rispetto a quelle della legge n. 10 del 1977 sulla edificabilità dei suoli, tale da poter giustificare, per quanto qui interessa, dubbi ed incertezze applicative in ordine alla determinazione del contributo afferente al costo di costruzione.
Ciò anche a voler considerare l’aspetto innovativo riferito alla sostituzione della concessione edilizia con il “permesso di costruire”, che tuttavia non ha comportato modifiche di rilevanza sostanziale alla disciplina del costo di costruzione, come del resto può desumersi dal raffronto tra le sopra riportate disposizioni degli artt. 3 (“contributo per il rilascio della concessione”) e 6 (“determinazione del costo di costruzione”) della legge n. 10 del 1977 e le corrispondenti disposizioni dell’art. 16 (“contributo per il rilascio del permesso di costruire”) del d.P.R. n. 380 del 2001 nonché degli artt. 27 (“contributo di costruzione”) e 29 (“costo di costruzione”) della legge Emilia Romagna n. 31 del 2002.
Al riguardo, peraltro, non appare superfluo osservare che nel presente giudizio oggetto di contestazione non è un (ipotetico) “cattivo” uso del potere abilitativo del Comune in ordine all’attività edificatoria, bensì il mancato aggiornamento ISTAT, negli anni sopra specificati (2005–2009), del costo di costruzione da determinarsi (ed effettivamente determinato) all’atto del rilascio dei provvedimenti di autorizzazione a costruire; provvedimenti -giova sottolinearlo– che in questa sede non hanno formato oggetto di alcuna censura.
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6) Passando al merito degli addebiti mossi a carico dell’odierno convenuto, occorre anzitutto soffermarsi sulla collocazione dell’Unità Operativa “Urbanistica–Edilizia Privata–Ambiente” all’interno del sistema di organizzazione del Comune come ridefinito (con deliberazione di giunta n. 120 del 02.11.2000) a seguito dell’entrata in vigore del decreto legislativo 18.08.2000 n. 267 (T.U. Enti Locali), ed ordinato per “Aree” comprendenti, a loro interno, più Unità Operative.
Orbene, la suddetta Unità Operativa “Urbanistica–Edilizia Privata–Ambiente”, della quale il sig. ... è stato Responsabile dal 2001 al luglio 2009, rappresenta un’articolazione dell’Area n. 3 – “Servizi per la Collettività ed il Territorio” comprendente, oltre alla menzionata Unità, anche le Unità Operative "Attività Produttive-Sportello unico-Turismo (escluso quello culturale)", "Lavori Pubblici e manutenzione” e "Polizia Municipale-Protezione civile".
Come desumibile dalla documentazione in atti (v. Statuto del Comune e Piani Esecutivi di Gestione), l’Unità Operativa in questione, sostitutiva (dall’anno 2001) del Settore “Urbanistica e Ambiente”, ancorché costituisca, così come le altre Unità Operative, una struttura interna (all’Area n. 3) di tipo non apicale, risulta comunque dotata, negli specifici ambiti di competenza, di autonomia funzionale e gestionale per il conseguimento degli obiettivi programmati, con imputazione dei relativi capitoli di bilancio (42035 - oneri su costo di costruzione; 42036 – oneri di urbanizzazione primaria; 42037 – oneri di urbanizzazione secondaria…).
D’altra parte, giusta quanto precisato dal Comune di Vergato, e come sottolineato dalla Procura attrice, senza alcuna contestazione difensiva sul punto, il geom. ..., anche dopo la “trasformazione” del Settore “Urbanistica e Ambiente” in Unità Operativa “Urbanistica–Edilizia Privata–Ambiente”, all’esito allo svolgimento “delle attività istruttorie di natura tecnica in materia urbanistica ed edilizia” provvedeva “autonomamente all’adozione del provvedimento finale” (v. “Prospetto dotazione organica del servizio” trasmesso con nota sindacale 08.01.2010, prot. n. 213), in piena continuità con le funzioni di Responsabile di Settore precedentemente esplicate.
In altre parole, anche successivamente alla creazione -unitamente alla figura dei relativi Responsabili- delle “Aree”, individuate come “strutture operative di massima dimensione, finalizzate a garantire l’efficacia dell’intervento nell’ambito di materie aventi caratteristiche omogenee” (v. Statuto del Comune di Vergato) ed articolate, a loro volta, in Unità Operative, l’intero procedimento abilitativo edilizio, e quindi la determinazione del contributo di costruzione (oneri di urbanizzazione e costo di costruzione) in sede di rilascio del permesso di costruzione, continuava a fare capo, in via diretta, al geom. ..., nella sua qualità di Responsabile della Unità Operativa “Urbanistica–Edilizia Privata–Ambiente”.
Tanto chiarito, va subito aggiunto che
l’adeguamento annuo del costo di costruzione secondo l’indice ISTAT, disciplinato dalla normativa dianzi richiamata (v. art. 16 d.P.R. n. 380/2001; artt. 27 e 29 l.reg. Emilia Romagna n. 31/2002), rientra indiscutibilmente nell’ambito del procedimento autorizzatorio di cui sopra, trattandosi di adempimento strettamente connesso all’esatto computo del contributo dovuto in relazione al permesso di costruire.
Appare perciò evidente, ad avviso del Collegio, che
anche per tale adempimento l’ordinaria competenza a provvedere (appartenesse e) appartenga al Responsabile della Unità Operativa interessata, più che al Responsabile dell’Area di riferimento (“Servizi per la Collettività ed il Territorio”) o agli organi deliberativi dell’Ente.
D’altro canto,
l’aggiornamento in questione si risolve in una operazione di calcolo da effettuarsi sulla base di un parametro -la variazione ISTAT- fissato da prescrizioni legislative (statali e regionali) alla stregua delle quali si sarebbe dovuto provvedere automaticamente anno per anno, senza alcuna possibilità di valutazioni ed apprezzamenti discrezionali da parte degli organi di governo comunali trattandosi, invero, di adeguamento comunque obbligatorio per legge.
Sul punto
le disposizioni di riferimento, vale a dire l’art. 16, comma 9, del d.P.R. n. 380/2001 –testualmente riproduttivo, in parte qua, dell’art. 6, comma 3, della legge n. 10 del 1977– e l’art. 29, comma 3, della legge regionale Emilia Romagna n. 31 del 2002, risultano univocamente chiare e vincolanti nel prevedere che nei periodi intercorrenti tra le determinazioni regionali il costo di costruzione è adeguato annualmente dai Comuni “in ragione dell'intervenuta variazione dei costi di costruzione accertata dall'Istituto nazionale di statistica”, con l’ulteriore rilevante precisazione, nella norma statale appena citata, che all’adeguamento si procede anche “in eventuale assenza di tali determinazioni” ed “autonomamente.
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7) Per quanto precede, ritiene il Collegio che nella fattispecie in esame, riguardo al mancato adeguamento annuale del costo di costruzione, si sia verificata una situazione di illegittima omissione a provvedere da parte del Comune.
Omissione in primo luogo imputabile al geom. ... il quale, nella sua veste di Responsabile della competente Unità Operativa, avrebbe dovuto dare piena e continuativa attuazione, anche dopo l’entrata in vigore del Testo Unico dell’edilizia, alla delibera del Consiglio Comunale n. 58 del 29.09.1999 (di recepimento della deliberazione del Consiglio Regionale n. 1108 in data 29.03.1999) aggiornando annualmente, con propria determinazione, il costo di costruzione, così come stabilito al punto 4) del dispositivo della delibera medesima; adempimento, del resto, di non particolare complessità, già curato dall’odierno convenuto in riferimento all’anno 2001 mediante l’adozione della determinazione n. 58 del 20.12.2000.
Né il contestato inadempimento può trovare valida giustificazione nel documento denominato “Appunti per una discussione della Giunta in merito alla pianificazione urbanistica comunale e ai primi adempimenti conseguenti alla nuova legge di disciplina dell’attività edilizia” allegato dalla difesa del convenuto.
Trattasi infatti, come anche sottolineato dall’Organo requirente, di documento –senza data e senza alcuna sottoscrizione- del quale non è affatto chiara la provenienza, privo comunque di qualsiasi valenza autoritativa e decisoria ed inidoneo, pertanto, ad esplicare efficacia vincolante nei confronti del convenuto, e ciò a fronte –è bene ripeterlo- sia del perdurante obbligo, normativamente espresso, di adeguare annualmente il costo di costruzione, sia del menzionato atto deliberativo comunale (delib. cons. n. 58 del 29.09.1999) che poneva tale incombente a carico del “Capo Settore Urbanistica” (ora Unità Operativa “Urbanistica–Edilizia Privata–Ambiente”).
Incombente, peraltro, mai revocato, né formalmente né implicitamente, ed anzi ribadito, con richiamo testuale ai precedenti e sottostanti provvedimenti regionale (delib. cons. n. 1108/1999) e comunale (delib. cons. n. 58/1999), dalla deliberazione di giunta n. 105 in data 08.10.2009 con la quale, nel prendere atto “…della necessità di procedersi all’aggiornamento del costo di costruzione ai sensi della deliberazione di Consiglio Regionale n. 1108/1999 e della deliberazione di Consiglio Comunale n. 58/1999, alla luce delle intervenute variazioni dei costi di costruzione accertata dall’ISTAT”, si disponeva che il Responsabile della U.O. “Urbanistica Edilizia Privata e Ambiente” avrebbe provveduto “all’aggiornamento annuale ed autonomo del predetto costo di costruzione, secondo le modalità di cui alla deliberazione di CR n. 1108/1999”.
Il che sta a confermare, con tutta evidenza, la piena e perdurante validità ed efficacia delle due suindicate delibere (regionale e comunale) del 1999 anche oltre l’entrata in vigore del Testo unico dell’edilizia.
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8) In sostanza, dunque, il mancato aggiornamento del costo di costruzione configura, ai fini del presente giudizio, una condotta omissiva dell’odierno convenuto qualificabile, se non come dolosa, certamente come gravemente colposa.
A questo riguardo, osserva il Collegio come
nella fattispecie in esame difettino i profili del c.d. dolo “erariale” o “contrattuale, peraltro solo adombrato dalla Procura attrice, non risultando il comportamento del sig. ... improntato a consapevole volontà del medesimo di agire in violazione dei propri doveri d’ufficio e di arrecare un ingiusto pregiudizio all’Ente.
Nella condotta del sunnominato ricorrono, tuttavia, gli elementi della colpa grave, ove si consideri, anzitutto, che l’aggiornamento annuale del costo di costruzione -operazione, come già detto, di relativa semplicità- postulava un dovere particolarmente pregnante e puntuale di diligenza nell’adempimento di tale obbligo, specie per i connessi rilevanti riflessi sulle finanze del Comune.
Va inoltre evidenziato che
l’inadempienza si è protratta per svariati anni senza che il convenuto abbia mai adottato, nell’ambito dell’autonomia di competenze non meramente esecutive di cui in precedenza si è fatto cenno, alcuna concreta, documentata iniziativa di natura “operativa”, o anche solo “sollecitatoria” e/o “propositiva”, volta a definire la vicenda dell’adeguamento ISTAT di cui si discute; vicenda, occorre ribadirlo, coinvolgente, in via diretta ed immediata, l’importante attività gestionale in materia di edilizia privata propriamente riservata all’Unità Operativa (“Urbanistica–Edilizia Privata–Ambiente”) della quale il sig. ... era Responsabile.
In altre parole,
viene qui in rilievo la prolungata, ingiustificata inerzia del convenuto in ordine all’adeguamento del costo di costruzione, inerzia da ritenersi e valutarsi quale espressione di inescusabile e macroscopica superficialità nella cura dell’attività gestoria di un settore comunale, quello dell’edilizia privata, di assoluto rilievo.
Per quanto sin qui dedotto,
il Collegio ritiene dunque sussistente una condotta gravemente colposa del sig. ..., direttamente causativa, nella misura che si andrà a specificare, del danno alle finanze comunali perseguito in questa sede.
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9) Ciò posto, la condotta omissiva del sunnominato va però collocata in un certo contesto fattuale, del quale occorre tenere debitamente conto ai fini della delimitazione della responsabilità posta a carico del convenuto medesimo.
In particolare, con riferimento alla questione che ne occupa, non risulta che i già menzionati “Appunti per una discussione della Giunta in merito alla pianificazione urbanistica comunale e ai primi adempimenti conseguenti alla nuova legge di disciplina dell’attività edilizia” –ove risulta annotato, a proposito del contributo di costruzione, che “Anche in questo caso non sono necessarie, ora, scelte particolari; occorre infatti attendere le nuove determinazione del consiglio regionale e quindi le tabelle per contributi e oneri rimangono quelle in vigore. E' facoltà del Consiglio Comunale l'adeguamento del costo di costruzione sulla semplice base dei dati ISTAT.”- siano stati poi tradotti in formali deliberati del Comune contenenti disposizioni o indicazioni in ordine all’adeguamento del costo di costruzione.
In realtà, allo stato degli atti, nel periodo intercorso tra la determinazione n. 58 del 28.12.2000 (oggetto: Aggiornamento costo di costruzione) adottata dal geom. ... e la delibera giuntale n. 105 in data 08.10.2009 (oggetto: “Aggiornamento ISTAT costo di costruzione”) conseguente alla relazione in pari data dell’arch. ... - subentrata al geom. ... nella responsabilità dell’Unità Operativa Urbanistica–Edilizia Privata–Ambiente-, nessun organo comunale, elettivo e non, risulta in alcun modo essersi formalmente attivato, nell’ambito dell’esercizio delle proprie peculiari competenze, perché le modalità dell’adeguamento ISTAT del costo di costruzione ricevessero certa e sollecita definizione nel vigore della nuova normativa statale e regionale (d.P.R. n. 380/2001 e l.reg. Emilia Romagna n. 31/2002);
fermo restando comunque, come già sottolineato, l’obbligo, non la mera facoltà, del Comune di provvedere a tale adeguamento.
D’altra parte,
anche ammesso e non concesso (stante il chiaro dettato normativo) che fosse effettiva facoltà del Consiglio Comunale deliberare, sulla base di una valutazione politica e discrezionale, in ordine all’adeguamento o meno del costo di costruzione, in ogni caso una tale decisione avrebbe dovuto essere formalizzata con uno specifico atto consiliare (con piena assunzione della conseguente responsabilità); il che non è avvenuto, né le delibere di adozione di variante al PRG (n. 39 dell’11-04-2003; n. 48 del 28-04-2003; n. 35 del 21-04-2009) richiamate nella memoria di costituzione del convenuto (vedasi pag. 6), ed alla stessa allegate, esprimono alcuna volontà politico-amministrativa di mantenere fermo il costo anzidetto.
Non si può, inoltre, non evidenziare come abbia fatto assoluto difetto, nella vicenda in esame, l’esercizio da parte dei dirigenti succedutisi nella carica di Responsabile dell’Area n. 3 (“Servizi per la Collettività ed il Territorio”) dei propri poteri di direttiva, di impulso e di controllo, quando non sostitutivi, in relazione alla specifica attività svolta dall’Unità Operativa “Urbanistica–Edilizia Privata–Ambiente”.
In conclusione, al di là di ipotizzabili profili di responsabilità la cui valutazione appartiene prioritariamente alla competenza della Procura Requirente,
resta il fatto che l’assenza di una qualunque iniziativa da parte dei vari soggetti comunali (in primis Consiglio, Giunta e dirigenti Responsabili dell’Area 3), comunque coinvolti dalla discussa problematica in ragione delle rispettive attribuzioni, ha consentito che la grave anomalia gestionale rappresentata dal mancato adeguamento del costo di costruzione si protraesse per diversi anni in una situazione di persistente inazione dell’amministrazione; situazione che ha senza dubbio contribuito al progressivo formarsi dell’ingente danno per cui è causa.
Tutto ciò risulta ancora più evidente se si considera che, a distanza di anni dall’entrata in vigore della nuova normativa sull’edilizia, è bastata la relazione dell’08.10.2009 dell’arch. ... per attivare il potere deliberativo della Giunta e provvedere all’aggiornamento del costo di costruzione (vedasi deliberazione n. 105 in data 08.10.2009) senza, peraltro, che nel frattempo il Consiglio Regionale avesse adottato alcuna nuova determinazione in materia.
Del resto, e vale la pena di rimarcarlo, nella menzionata relazione si espone testualmente che “
Le procedure di approvazione dell'aggiornamento cambiano secondo indirizzi interni ai Comuni, che non si è potuto riscontrare, a volte delibera di giunta, altre volte determina del responsabile urbanistica-edilizia, ma il riscontro dell'aggiornamento si è potuto avere in quasi tutti i comuni. Tuttavia la scrivente si è premurata di contattare la Regione, dalla quale ha ricevuto rassicurazioni sulla non rilevanza relativamente alla procedura di approvazione, ma certezza sull'obbligo dei comuni di procedere all'aggiornamento” (vedasi pag. 4), a riprova del fatto che se in precedenza i vari organi comunali avessero prestato, ognuno nell’ambito delle proprie prerogative, maggiore cura e attenzione circa la corretta applicazione della procedura di calcolo del costo di costruzione, l’ammontare del danno sarebbe risultato di gran lunga inferiore a quello poi accertato, o forse non si sarebbe realizzato.
Ritiene pertanto il Collegio che nella dedotta vicenda
il mancato intervento degli altri soggetti comunali interessati, concretizzatosi anch’esso in una continuata ed assolutamente ingiustificabile inerzia, pur non facendo venire meno la responsabilità per colpa grave dell’odierno convenuto assuma, tuttavia, concorrente rilevanza nella produzione dell’evento dannoso.
Tale apporto concausale, valutato con riguardo all’insieme delle accennate condotte “inattive”, appare complessivamente stimabile, per la notevole incidenza che esso ha avuto sul protrarsi per anni dell’inadempimento dell’obbligo di adeguamento del costo di costruzione, nella misura del 75 per cento, con corrispondente riduzione al 25 per cento della percentuale di responsabilità restante a carico del sig. ....
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10) Si pone, a questo punto, il problema della quantificazione del danno derivato al Comune dal mancato adeguamento annuale del costo di costruzione; ciò limitatamente al periodo gennaio 2005–ottobre 2009, essendo il periodo precedente coperto, come già detto, da prescrizione.
Al riguardo si deve tornare a rilevare che il danno in questione è costituito dalle minori entrate contributive conseguenti al minor importo, rispetto al dovuto, del costo di costruzione quale determinato dallo stesso geom. ... nell’ambito del rilascio dei permessi di costruire relativi alle pratiche edilizie definite anno per anno.
Pratiche che come già evidenziato nel corso della presente esposizione, e come anche osservato in citazione dalla Procura attrice, non hanno formato oggetto, né in sede amministrativa né in questa sede giurisdizionale, di alcuna contestazione sotto alcun altro profilo diverso dal mancato adeguamento ISTAT del costo di costruzione.
Ne consegue che i rilievi formulati dalla difesa del convenuto per il periodo dal 2005 in poi, e riportati al punto 6) della parte narrativa della presente sentenza (cui si rimanda), appaiono non risolutivi per quanto qui ci occupa, siccome involgenti aspetti e problematiche dei titoli abilitativi a costruire (quali attività edilizie dovessero scontare il costo di costruzione, quali fossero a costo pieno, quali a costo ridotto, quali esenti; …diversità dei costi da scontare a seconda delle varie tipologie di attività…inapplicabilità di alcun tipo di adeguamento del costo di costruzione per i permessi di costruire dei nuovi edifici ad uso terziario; diversa disciplina per le pratiche relative alle ristrutturazioni e alle DIA…) che non possono influire sull’accertamento del quantum del costo di costruzione non introitato dal Comune a causa della mancata applicazione, anno per anno, del meccanismo adeguativo previsto dalla normativa in materia.
Ciò in quanto il dato sostanziale su cui l’Amministrazione ha computato, ai fini risarcitori, l’adeguamento annuale ISTAT è il costo di costruzione, comprendente l’aumento (non aggiornato) a suo tempo applicato, quale risultato del relativo procedimento tecnico all’uopo utilizzato proprio dal geom. ... nelle varie pratiche edilizie come trattate e definite dallo stesso e che non possono ora, in questa sede, essere sottoposte ad una verifica generalizzata stante, tra l’altro, l’assoluta mancanza di indicazione, riguardo alle stesse, di ulteriori circostanze ed elementi concreti e specifici che sarebbe stato onere del convenuto allegare.
A tale proposito, giova richiamare testualmente alcuni passaggi della nota prot. n. 7924 del 14.06.2010 inviata dal Comune di Vergato alla Procura Regionale, ove si precisa -in ordine alle modalità di calcolo del danno erariale– “che il calcolo è stato disposto in relazione alle somme effettivamente accertate per ciascun esercizio finanziario a titolo di costo di costruzione (capitolo di entrata 4035-000 tit. 4 cat. 5, risorsa 44217), pertanto già separato dall'introito per oneri di urbanizzazione (che compongono la voce complessiva del contributo di costruzione dovuto dal cittadino).
Per quanto concerne le osservazioni in ordine alla legittimazione della richiesta del costo di costruzione di cui alla memoria difensiva (e quindi alla differenziazione tra edifici residenziali e terziari, alle verifiche relative alla data di presentazione della pratica, alla distinzione tra nuove costruzioni e ristrutturazioni) si precisa che il calcolo è stato effettuato utilizzando come base sostanziale gli accertamenti tecnici e l'istruttoria già compiuta dal dipendente in ordine rispettivamente alla ricorrenza del titolo legittimante la richiesta del costo di costruzione, alla definizione dei parametri temporali di applicazione ed alla definizione della base di calcolo (vale a dire presupponendo in via esclusiva che l'applicazione del costo di costruzione fosse erronea solo nella quantificazione dell'importo unitario).
Diversamente opinando si dovrebbe ipotizzare una verifica caso per caso con conseguente riesame istruttorio di ciascuna pratica del periodo interessato, con conseguente paralisi delle attività ordinarie dell'Ente. Per questo motivo la formulazione del calcolo del danno erariale (pari ad euro 386.711,64) è stata determinata dall'applicazione per ciascun anno della % di aumento ISTAT effettivamente dovuta e non applicata. Da tale somma è stato scomputato l'aumento percentuale formalmente praticato con decorrenza 2001 (come di seguito specificato). Per la medesima ragione nella quantificazione del danno non si è tenuto in considerazione l'asserito arrotondamento eseguito dal dipendente a € 500,00, posto che lo stesso non risulta formalizzato in alcun atto…
”.
La stessa Amministrazione comunale ha inoltre prodotto un prospetto -a firma del Sindaco– di quantificazione delle minori entrate contributive accertate anno per anno, nel quale sono esposti, per il periodo che qui interessa (2005-2009), i seguenti dati:
- esercizio 2005: “entrata accertata = € 303.674,06; atto di aggiornamento - determina URB 58/2000; cc corretto = € 556,59; ISTAT annuo = 4,3900%; ISTAT totale = € 119,7452%; ISTAT totale = 19,7452%; aumento % ISTAT formalmente applicato = 1,8500%; entrata accertata depurata dell’aumento formalmente applicato = € 298.158,13; aumento applicato su totale accertato = € 5.515,9255; aumento effettivamente dovuto su totale accertato = € 58.871,8626; minore entrata = € 53.355,9371”;
- esercizio 2006: “entrata accertata = € 296.041,52; atto di aggiornamento - determina URB 58/2000; cc corretto = € 577,55; ISTAT annuo = 3,7700%; ISTAT totale = € 124,2596%; ISTAT totale = 24.2596%; aumento % ISTAT formalmente applicato = 1,8500%; entrata accertata depurata dell’aumento formalmente applicato = € 290.693,69; aumento applicato su totale accertato = € 5.377,8332; aumento effettivamente dovuto su totale accertato = € 70.521,0503; minore entrata = € 65.143,2170”;
- esercizio 2007: “entrata accertata = € 254.035,98; atto di aggiornamento - determina URB 58/2000; cc corretto = € 595,58; ISTAT annuo = 3,1200%; ISTAT totale = € 128,1365%; ISTAT totale = 28,1365%; aumento % ISTAT formalmente applicato = 1,8500%; entrata accertata depurata dell’aumento formalmente applicato = € 249.421,68; aumento applicato su totale accertato = € 4.614,3011; aumento effettivamente dovuto su totale accertato = € 70.178,4628; minore entrata = € 65.564,1617”;
- esercizio 2008; “entrata accertata = € 206.657,90; atto di aggiornamento - determina URB 58/2000; cc corretto = € 625,36; ISTAT annuo = 5,000%; ISTAT totale = € 134,5433%; ISTAT totale = 34,5433%; aumento % ISTAT formalmente applicato = 1,8500%; entrata accertata depurata dell’aumento formalmente applicato = € 202.904,17; aumento applicato su totale accertato = € 3.753,7272; aumento effettivamente dovuto su totale accertato = € 70.089,7899; minore entrata = € 66.336,0627”;
- esercizio 2009: “entrata accertata = € 128.047,80; atto di aggiornamento – sino ad aggiornamento (DGC 105/2009-DA3 145/2009); cc corretto = € 654,38; ISTAT annuo = 4,6400%; ISTAT totale = € 140,7861%; ISTAT totale = 40,7861%; aumento % ISTAT formalmente applicato = 1,8500%; entrata accertata depurata dell’aumento formalmente applicato = € 125.721,94; aumento applicato su totale accertato = € 2.325,8560; aumento effettivamente dovuto su totale accertato = € 51.277,0846; minore entrata = € 48.951,2286”.
Ebbene, ritiene il Collegio che i dati appena riportati diano sufficientemente conto del complessivo importo, determinato per arrotondamento in € 299.000, del danno derivato al Comune da minori entrate contributive per mancato adeguamento del costo di costruzione relativamente alle pratiche edilizie definite dall’odierno convenuto nel periodo gennaio 2005–ottobre 2009.
Né d’altra parte, a fronte di tali dati oggettivamente accertati, il convenuto medesimo ha allegato elementi probatori contrari, certi e concreti idonei a dimostrare quanto dedotto nella memoria di costituzione sul fatto che “per moltissime pratiche le entrate introitate dal Comune sono state addirittura superiori a quelle che avrebbe potuto pretendere con l'applicazione rigorosa della l.r. 31/2002 …., è pacifico che il danno richiesto non sia corretto, ma sia molto maggiore di quello effettivamente e se del caso sussistente subito dall'amministrazione” ed “addirittura c'è ragione di credere che il Comune di Vergato non abbia registrato alcuna perdita” (vedasi pag. 26 della memoria difensiva).
Da quanto sopra considerato discende, dunque, che la quota parte di danno addebitabile al sig. ..., pari al 25 per cento dell’importo di € 299.000, risulta fissata in € 74.750.
Inoltre, sempre ad avviso del Collegio, ricorrono i presupposti per un moderato esercizio del potere riduttivo dell’addebito tenuto conto, in particolare, delle circostanze di incertezza amministrativa nel cui contesto il geom. ... ebbe ad operare all’epoca dei fatti di causa; tale riduzione appare equamente calcolabile nella misura del 20 per cento, con susseguente determinazione dell’addebito nel conclusivo importo (arrotondato) pari a € 60.000, comprensivo degli accessori maturati sino alla presente sentenza.
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11) Conclusivamente, va quindi affermata la responsabilità amministrativa dell’odierno convenuto sig. ... per i fatti di cui è causa, con conseguente condanna dello stesso al risarcimento in favore del Comune di Vergato della somma di € 60.0000 (sessantamila), cui devono aggiungersi gli interessi legali dalla data di deposito della presente sentenza sino al saldo; salvo a tenere conto in sede di esecuzione, nella sopra specificata misura del 25 per cento, di quanto eventualmente altrimenti recuperato dal predetto Comune, in via di autotutela ed a titolo di conguaglio, nei confronti dei beneficiari dei provvedimenti autorizzatori edilizi in relazione ai quali, nel periodo di riferimento (2005-ottobre 2009), non si è provveduto alla determinazione del costo di costruzione nella misura aggiornata (Corte dei Conti, Sez. giurisdiz. Emilia Romagna, sentenza 31.05.2011 n. 265).

EDILIZIA PRIVATAL’obbligazione di pagamento degli oneri concessori sorge con il rilascio della concessione edilizia e la giurisprudenza è concorde nel ritenere che la determinazione del contributo dovuto per gli oneri in questione debba essere riferita al momento in cui sorge l’obbligazione.
Il considerevole lasso di tempo decorso tra la presentazione della domanda di sanatoria ed il rilascio della concessione non può essere utilmente valorizzato nell’ottica della individuazione di decorrenze del termine per la formazione del silenzio-assenso (e, così, del decorso della prescrizione) diverse da quelle normativamente indicate né per sollecitare una non meglio specificata “giusta mediazione” che tenga conto delle tariffe eventualmente più favorevoli esistenti all’epoca della presentazione della domanda di sanatoria.

L’obbligazione di pagamento degli oneri concessori sorge con il rilascio della concessione edilizia e la giurisprudenza è concorde nel ritenere che la determinazione del contributo dovuto per gli oneri in questione debba essere riferita al momento in cui sorge l’obbligazione.
In tale contesto, il considerevole lasso di tempo decorso tra la presentazione della domanda di sanatoria ed il rilascio della concessione non può essere utilmente valorizzato nell’ottica della individuazione di decorrenze del termine per la formazione del silenzio-assenso (e, così, del decorso della prescrizione) diverse da quelle normativamente indicate né per sollecitare una non meglio specificata “giusta mediazione” che tenga conto delle tariffe eventualmente più favorevoli esistenti all’epoca della presentazione della domanda di sanatoria (quanto a quelle vigenti al momento di realizzazione dell’opera abusiva, lo stesso ricorrente riconosce che sarebbe ingiusto agevolare il responsabile) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 24.05.2011 n. 3116 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo sulle controversie relative ad oneri concessori non muta a seconda della natura giuridica pubblica o privata del ricorrente.
I giudici del Tribunale amministrativo di Napoli ritengono che non sussistano ragioni valide per discostarsi dall’orientamento giurisprudenziale già espresso dalla stessa Sezione su tale argomento (TAR Campania, Napoli, Sez. VIII, 07.05.2009 n. 2423 e n. 2424; 17.09.2009 n. 4993 e n. 4994) secondo cui l’art. 34 del D.Lgs. 31.03.1998 n. 80 (come sostituito dalla L. 21.07.2000 n. 205 ed in seguito alla sentenza della Corte Costituzionale 06.07.2004 n. 204), nel devolvere alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie aventi per oggetto atti e provvedimenti dell’amministrazione in materia urbanistica ed edilizia, comprende la totalità degli aspetti dell’uso del territorio, nessuno escluso (TAR Campania, Napoli, Sez. I, 26.06.2008 n. 6283, TAR Campania, Salerno, 04.04.2008 n. 475, TAR Piemonte, 17.07.2008 n. 1646).
Peraltro, continuano i giudici amministrativi campani, tale previsione è contenuta anche nell’art. 133, lett. f), del codice del processo amministrativo, secondo cui sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, tra l’altro, “le controversie aventi ad oggetto gli atti e i provvedimenti delle pubbliche amministrazioni in materia urbanistica e edilizia, concernente tutti gli aspetti dell'uso del territorio”.
Sicché, come già previsto dall’art. 16 della L. 28.01.1977 n. 10, rientrano in tale giurisdizione anche le controversie relative alla determinazione, liquidazione e corresponsione degli oneri concessori che risultano, infatti, connessi al rilascio del titolo abilitativo e pertanto discendono dall’adozione di un provvedimento amministrativo (Consiglio di Stato, Sez. V, 21.04.2006 n. 2258).
In altri termini, spiegano i giudici partenopei, la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo sulle controversie attinenti alla corresponsione dei suddetti oneri concessori discende dallo stretto collegamento funzionale tra il rilascio delle concessioni edilizie ed i contributi conseguenti a carico del privato, trattandosi appunto di pretesa del Comune fondata su provvedimenti amministrativi non gravati e divenuti inoppugnabili.
Tali argomentazioni sono state svolte anche dalla Corte di Cassazione, secondo cui “la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo sussiste anche a prescindere dall'instaurazione di una controversia in via di impugnazione diretta del provvedimento amministrativo, di concessione o di determinazione del contributo, purché fra la controversia ed il provvedimento vi sia uno stretto collegamento funzionale”, aggiungendo inoltre che “rientrano quindi nell'ambito della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie in genere aventi ad oggetto l'inadempimento di obblighi nascenti da una concessione. Né rileva che il rapporto concessorio si sia esaurito per decorrenza del termine di durata di esso, poiché la riserva di giurisdizione operata dalla norma a favore del giudice amministrativo riguarda il rapporto di concessione indipendentemente dal fatto che esso sia ancora in vita o sia cessato, purché la controversia ponga in discussione il rapporto nel suo momento genetico o funzionale” (Cassazione civile, Sezioni Unite, 20.11.2007 n. 24009).
Gli stessi giudici concludono, infine, che le conclusioni esposte in ordine alla sussistenza della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo sulle controversie relative ad oneri concessori non mutano a seconda della natura giuridica pubblica o privata del ricorrente, con la conseguenza che appare del tutto indifferente la circostanza che nel giudizio in commento a ricorrere fosse un Comune e non un privato (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it - TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, sentenza 19.05.2011 n. 2781 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl beneficio dell'esonero dal contributo di costruzione concerne solo i fabbricati complementari ed asserviti alle esigenze proprie di un impianto industriale, e non le opere edilizie comunque suscettibili di essere utilizzate al servizio di qualsiasi attività economica.
La giurisprudenza ha chiarito che (Consiglio Stato, sez. IV, 25.06.2010 , n. 4109) ai sensi dell'art. 10, l. 28.01.1977 n. 10, trasfuso nell'art. 19, t.u. sull'edilizia approvato con d.P.R. 06.06.2001 n. 380, il beneficio dell'esonero dal contributo di costruzione concerne solo i fabbricati complementari ed asserviti alle esigenze proprie di un impianto industriale, e non le opere edilizie comunque suscettibili di essere utilizzate al servizio di qualsiasi attività economica.
In merito, sebbene la ricorrente non abbia dato prova certa della connessione tra gli edifici per unità artigianali e le abitazioni dei custodi, un indice di tale nesso risulta dal contenuto degli atti dedotti in giudizio ed in particolare dalla richiesta unitaria delle somme da pagare.
D’altro canto neppure il Comune ha dato prova della presunta mancanza di un rapporto pertinenziale tra le opere, che richiede l’analisi della cartografia allegata alla richiesta di permesso oppure l’esame dello stato di fatto delle opere realizzate, se non sono state successivamente modificate.
Ne consegue che il provvedimento impugnato dev’essere annullato con riferimento all’applicazione del costo di costruzione con obbligo del Comune di provvedere al riesame dell’applicazione del costo di costruzione alla luce del principio giurisprudenziale sopra indicato (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 17.05.2011 n. 1265 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Sono devolute alla giurisdizione esclusiva del g.a le controversie concernenti la determinazione, liquidazione e corresponsione degli oneri concessori.
Per consolidata giurisprudenza le controversie in tema di oneri di urbanizzazione e di costo di costruzione introducono un giudizio su un rapporto prescindendo dalla impugnazione di atti (Cons. St., Sez. V, 19.07.2004 n. 5197): tutte le controversie concernenti, l’an e il quantum delle somme dovute a titolo di contributo in dipendenza di norme di legge e regolamentari attengono a diritti soggettivi azionabili nei termini di prescrizione (Cons. St., Sez. V, 10.07.2003 n. 4102), giacché, l’amministrazione, nella determinazione delle somme dovute a titolo di contributo non esercita poteri autoritativi discrezionali ma compie attività di mero accertamento della fattispecie in base ai parametri fissati da leggi e da regolamenti.
Le relative controversie, dunque, rientrano nella categoria di quelle attinenti l'impugnativa di atti paritetici, investe diritti soggettivi e non è sottoposta ai termini decadenziali propri dei giudizi impugnatori (Cons. St. Sez. V, 17.10.2002, n. 5678).
Inoltre, le controversie concernenti la determinazione, liquidazione e corresponsione degli oneri concessori già devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi dell'art. 16 l. 28.01.1977 n. 10, abrogato a seguito dell’entrata in vigore del D.Lgs. 104/2010, rientrano oggi nella previsione dell’art. 133, lett. f), del codice del processo amministrativo secondo cui sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, tra l'altro, "le controversie aventi ad oggetto gli atti e i provvedimenti delle pubbliche amministrazioni in materia urbanistica e edilizia, concernente tutti gli aspetti dell'uso del territorio" (massima tratta da www.dirittodegliappaltipubblici.it - TAR Sicilia-Catania, Sez. I, sentenza 12.05.2011 n. 1159 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Competenza e giurisdizione - Giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo - Questioni attinenti all'an e al quantum dell'oblazione e del contributo per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione - Sussiste - Ratio.
2. Concessione in sanatoria - Oneri concessori - Provvedimento di liquidazione - Particolare motivazione - Non necessita.

1. In materia di determinazione dell'an e del quantum dell'oblazione e del contributo per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione per opere soggette a permesso di costruire in sanatoria -che si presenta come attività di natura paritetica, effettuata dalla P.A. in base a rigidi parametri, prefissati da leggi e regolamenti vertenti sui criteri impositivi e senza l'esplicazione di potestà autoritativa- sussiste la giurisdizione esclusiva del G.A., proprio in quanto si tratta di controversie concernenti le rispettive posizioni di diritto soggettivo ed obbligo delle parti del rapporto giuridico in questione (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 7466/2010, n. 1388/1996).
2. La determinazione degli oneri previsti per il rilascio del titolo in sanatoria non necessita di particolare motivazione, in quanto costituisce il risultato di un calcolo materiale, essendo la misura concreta direttamente ricollegata dalla legge al carico urbanistico accertato, secondo parametri rigorosamente stabiliti (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 584/2011; TAR Catania, sent. n. 2847/2010; TAR Parma, sent. n. 351/2010; TAR Roma, sent. n. 3862/2009; TAR Milano, sent. n. 1065/2006) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 27.04.2011 n. 1069 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa determinazione degli oneri previsti per il rilascio del titolo in sanatoria non necessita di particolare motivazione, in quanto costituisce il risultato di un calcolo materiale, essendo la misura concreta direttamente ricollegata dalla legge al carico urbanistico accertato, secondo parametri rigorosamente stabiliti.
Secondo un costante orientamento giurisprudenziale, condiviso da questo TAR, la determinazione degli oneri previsti per il rilascio del titolo in sanatoria non necessita di particolare motivazione, in quanto costituisce il risultato di un calcolo materiale, essendo la misura concreta direttamente ricollegata dalla legge al carico urbanistico accertato, secondo parametri rigorosamente stabiliti (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 09.02.2001, n. 584; TAR Sicilia Catania, sez. I, 07.07.2010, n. 2847; TAR Emilia Romagna Parma, sez. I, 06.07.2010, n. 351; TAR Lazio Roma, sez. II, 15.04.2009, n. 3862; TAR Campania Napoli, sez. VIII, 03.09.2008, n. 10035; TAR Abruzzo Pescara, sez. I, 20.02.2008, n. 113; TAR Lombardia Milano, sez. II, 26.04.2006, n. 1065; TAR Campania Salerno, sez. II, 04.07.2005, n. 1082; TAR Calabria, 24.06.1994, n. 758; TAR Lombardia, Brescia, 16.04.1992, n. 425) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 27.04.2011 n. 1069 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL'entità del contributo dovuto per oneri concessori va individuato nel momento in cui viene rilasciata la concessione edilizia, poiché il costo da considerare ai fini della commisurazione dei relativi oneri non può essere che quello del momento in cui sorge l'obbligazione, che è appunto quello del rilascio della concessione e a tale data occorre avere riguardo per determinare l'entità del contributo con applicazione della normativa vigente al momento del rilascio della concessione medesima.
E ciò vale anche per una concessione edilizia in sanatoria in quanto la stessa è una normale concessione edilizia, che però viene rilasciata dopo l'inizio dei lavori e con effetto sanante dell'attività già compiuta e riguardante opere nuove ed autonome già abusivamente realizzate.

Il chiaro disposto dell'art. 35 della L. n. 47/1985 individua nel momento di presentazione dell'istanza di concessione in sanatoria il riferimento temporale per calcolare la misura dell'oblazione e nell'avvenuto pagamento della stessa un requisito di procedibilità della istanza medesima.
A diversa conclusione deve pervenirsi con riguardo alla determinazione degli oneri concessori. Invero, qui -diversamente dalle somme da corrispondersi a titolo di oblazione- il momento di calcolo degli oneri concessori va individuato, non già nella data di presentazione della domanda di condono, ma in quella di rilascio del provvedimento concessorio, tenuto conto che, ai sensi dell'art. 3 della legge n. 10/1977, la concessione (e non la semplice domanda) comporta "la corresponsione di un contributo commisurato all'incidenza delle spese di urbanizzazione, nonché al costo di costruzione".
In tal senso è l'elaborazione giurisprudenziale (CdS, V, 06.12.1999, n. 2056; id. 22.09.1999, n. 1113), secondo cui l'entità del contributo dovuto per oneri concessori va individuato nel momento in cui viene rilasciata la concessione edilizia, poiché il costo da considerare ai fini della commisurazione dei relativi oneri non può essere che quello del momento in cui sorge l'obbligazione, che è appunto quello del rilascio della concessione e a tale data occorre avere riguardo per determinare l'entità del contributo con applicazione della normativa vigente al momento del rilascio della concessione medesima (cfr., ex multis, Cons. di Stato V 25.10.1993, n. 1071, Cons. di Stato V 26.10.1987, n. 661, Cons. di Stato V 12.05.1987 n. 278, Cons. di Stato V 04.08.1986, n. 401; TAR Lazio, II-bis, 04.01.2005 n. 54).
Ciò si spiega in quanto la concessione in sanatoria è una normale concessione edilizia, che però viene rilasciata dopo l'inizio dei lavori e con effetto sanante dell'attività già compiuta e riguardante opere nuove ed autonome già abusivamente realizzate (TAR Sardegna, Sez. I, sentenza 31.03.2011 n. 286 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Richiesta di pagamento del costo di costruzione - Cambio di destinazione d'uso - Nuova destinazione ammessa dalle N.T.A. - Categorie edilizie autonome - Vincolo di strumentalità - Irrilevanza - Legittimità.
Se il cambio di destinazione d'uso di un immobile, ancorché compatibile nella medesima zona omogenea, è intervenuto tra categorie edilizie funzionalmente autonome e non omogenee, e, quindi, ha integrato una modificazione edilizia con effetti incidenti sul carico urbanistico, è soggetta al regime oneroso, indipendentemente dalla tipologia delle opere.
Di conseguenza, risultando altresì irrilevante la rappresenta strumentalità della nuova destinazione di parte delle aree (espositiva) alla pregressa destinazione sussistente nella restante parte di edificio (produttiva), risulta legittima la richiesta di pagamento del costo di costruzione impugnata
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 16.03.2011 n. 740 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il credito del comune per oneri concessori è assoggettato al regime di prescrizione ordinaria decennale.
La mancanza dei documenti richiesti per la concessione del condono edilizio impedisce il formarsi del silenzio assenso?
Risulta fondata l’eccezione di prescrizione sollevata dalle ricorrenti e riferita al credito vantato dal Comune per gli oneri concessori dovuti; al riguardo la giurisprudenza è concorde nell’assoggettare tale credito al regime di prescrizione ordinaria decennale: “il ricorrente ha dedotto l’illegittimità della richiesta dell’ulteriore integrazione a titolo di oneri concessori. Al riguardo é sufficiente ribadire le motivazioni appena prospettate sub III, con la precisazione, che neanche con il regime procedurale della l. 47/1985 si é mai dubitato che operi la prescrizione decennale del conguaglio, stante che il termine breve, come chiarito, riguarda la sola oblazione.” (Tar Catania, I, 1633/2007; analogamente Tar Lecce, 3820/2005); “La prescrizione degli oneri concessori soggiace all'ordinario termine decennale di prescrizione, decorrente dall'atto del rilascio della concessione.” (Tar Lecce, 3394/2004).
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A margine va solo chiarito che la prescrizione è da considerare maturata sia se il relativo termine viene fatto decorrere dalla data di presentazione della domanda di sanatoria; sia se si ha riguardo al momento in cui si è formato tacitamente il titolo edilizio richiesto. A tale ultimo riguardo, infatti, va chiarito che –come si postula nel secondo motivo di ricorso– la concessine in sanatoria si è formata per silentium, essendo decorsi i ventiquattro mesi prescritti a tal fine dall’art. 35 della L. 47/1985, che decorrono dal momento di presentazione della domanda, a nulla rilevando l’eventuale incompletezza della documentazione presentata.
Questa Sezione ha già avuto modo di precisare infatti che: “Secondo la prima disposizione [art. 35 della L. 47/1985, n.d.r.], la mancanza dei documenti richiesti per la concessione del condono edilizio non impedisce il perfezionamento dell'assenso per silenzio fino al momento in cui gli stessi vengano prodotti.
La produzione dei documenti, infatti, non costituisce requisito per la formazione del silenzio assenso; diversamente, la legge avrebbe espressamente previsto la formazione del silenzio assenso decorsi 24 mesi dalla presentazione della domanda munita di tutti gli allegati ad eccezione unicamente nell'ipotesi di immobili vincolati, nel qual caso il termine decorre dal rilascio del nulla osta degli enti di tutela, con conseguente procedibilità ed ammissibilità della domanda ancorché carente documentalmente (TAR Catania, I, 20.01.2004 n. 49; 11.03.2005, n. 418). (…) Il silenzio assenso così formatosi può essere rimosso solo mediante l'esercizio del potere di annullamento di ufficio da parte del Comune (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 24.03.1997, n. 286), misura di autotutela che consente di contemperare il ripristino della legalità con l'esigenza, pure avvertita dal legislatore, di rendere effettivamente praticabile l'istituto del silenzio accoglimento (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 07.12.1995, n. 1672)
.” (Tar Catania, I, 1633/2007) (TAR Sicilia-Catania, Sez. I, sentenza 07.03.2011 n. 557 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Determinazione degli oneri concessori - Motivazione - Necessità - Esclusione - Fondamento.
I provvedimenti relativi alla determinazione degli oneri concessori non necessitano di motivazione in ordine alla somma indicata, in quanto risultano da un mero calcolo materiale da effettuarsi sulla base di puntuali indicazioni normative, senza che in proposito residui un margine di discrezionalità.
Non è pertanto configurabile a carico dell’amministrazione, nella redazione di tali atti aventi natura paritetica, un onere di specificare le ragioni della decisione adottata, sicché l'interessato può solo contestare l'erroneità dei conteggi effettuati dall'ente (in tal senso, Tar Toscana, sez. III, 18.12.2001, n. 2037; Tar Campania, Salerno, 21.07.2005, n. 1319; TAR Lazio, Sez. II, 18.02.2005, n. 1410; TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 05.05.2004, n. 1620; TAR Puglia, Lecce, Sez. I, 29.03.2000 n. 1911; TAR Puglia Bari, sez. III, 03.06.2009, n. 1376; TAR Campania Napoli, sez. VIII, 17.09.2009, n. 4983) (TAR Sicilia-Palermo, Sez. II, sentenza 03.03.2011 n. 396 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Cambio d'uso gratis solo se non cresce il carico urbanistico. L'esenzione degli oneri «segue» la necessità della dotazione di servizi.
Il cambio d'uso non è sempre "gratuito", ma non solo. Il pagamento del contributo di costruzione è uno degli snodi critici della materia edilizia e, nel corso degli anni, una nutrita giurisprudenza ha chiarito gli aspetti più problematici della materia, specie per quel che riguarda la natura giuridica del contributo, le varie ipotesi di esenzione e i presupposti per il suo pagamento in relazione alla tipologia dell'intervento che si intende realizzare.
La definizione di «carico».
A quest'ultimo riguardo il Tar Lombardia-Brescia, Sez. I, con la recente sentenza 03.03.2011 n. 375, affronta una delle questioni di maggior rilievo nella materia, quella del cambio di destinazione d'uso, anche se attuato in assenza di interventi costruttivi, qualora questo determini comunque un aumento del cosiddetto «carico urbanistico».
Questo concetto non è definito dalla legislazione vigente, ma la giurisprudenza della Cassazione l'ha individuato come «l'effetto che viene prodotto dall'insediamento primario come domanda di strutture ed opere collettive, in dipendenza del numero delle persone insediate su di un determinato territorio» (Sezioni unite penali, 20.03.2003, sentenza n. 12878).
In altri termini, poiché ogni insediamento umano è costituito da un elemento primario (abitazioni, uffici, opifici, negozi, eccetera), è necessario proporzionare questo primo elemento a quello cosiddetto secondario o di servizio (opere pubbliche in genere, uffici pubblici, parchi, strade, fognature, elettrificazione, servizio idrico, condutture di erogazione del gas), in relazione al numero degli abitanti insediati e alle caratteristiche delle attività svolte in quello stesso territorio.
Proprio partendo da questa considerazione, i giudici bresciani, richiamando propri precedenti orientamenti (n. 145/2005, n. 646/2004 e n. 34/1998) rilevano come il presupposto imponibile per il pagamento dei contributi di urbanizzazione vada ravvisato nella domanda di una maggiore dotazione di servizi nel l'area di riferimento (rete viaria, fognature eccetera), che sia indotta dalla destinazione d'uso concretamente impressa al manufatto. Questo perché una diversa utilizzazione dell'edificio rispetto a quella stabilita nel l'originario titolo abilitativo può determinare una variazione quantitativa e qualitativa del carico urbanistico.
Il pagamento degli oneri si giustifica quindi con la necessità di ridistribuire –in modo equo per la comunità– i costi sociali delle opere di urbanizzazione, facendoli gravare sugli interessati che beneficiano delle utilità derivanti dalla loro presenza. Il contributo di urbanizzazione infatti, secondo il Consiglio di Stato (sezione V, n. 2359/2009 e n. 2258/2006), pur non avendo natura tributaria, costituisce comunque «un corrispettivo di diritto pubblico posto a carico del costruttore, connesso al rilascio della concessione edilizia, a titolo di partecipazione del concessionario ai costi delle opere di urbanizzazione in proporzione all'insieme dei benefici che la nuova costruzione ne ritrae».
Il mutamento rilevante.
Da questi elementi la sentenza del Tar Lombardia fa derivare che il presupposto imponibile si verifica in tutti i casi di «mutamento rilevante» della destinazione d'uso dalla quale derivi un maggior carico urbanistico, con conseguente necessità per l'interessato di pagare la differenza tra gli oneri di urbanizzazione già corrisposti per la destinazione d'uso originaria e quelli, se più elevati, dovuti per la nuova destinazione impressa al l'immobile (ad esempio, la trasformazione di un albergo in un edificio residenziale).
Quanto al concetto di «mutamento rilevante», la pronuncia chiarisce un elemento importante, specificando che lo stesso sussiste in tutti i casi di «passaggio tra due categorie funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico, qualificate sotto il profilo della differenza del regime contributivo in ragione di diversi carichi urbanistici, cosicché la circostanza che le modifiche di destinazione d'uso senza opere non sono soggette a preventiva concessione o autorizzazione sindacale non comporta ipso jure l'esenzione dagli oneri di urbanizzazione e quindi la gratuità dell'operazione».
Di conseguenza, ciò che assume rilievo ai fini del pagamento non è la necessità o meno di un titolo abilitativo per l'attività di trasformazione edilizia che si vuole realizzare (permesso di costruire o Dia): il presupposto impositivo si può verificare anche nel caso di mutamento di destinazione d'uso del fabbricato di tipo «funzionale», cioè senza alcuna esecuzione di opere (si veda anche anche Tar Campania-Napoli n. 6271/2008, citata nella scheda a destra)  (articolo Il Sole 24 Ore del 04.07.2011).

EDILIZIA PRIVATA: Quantificazione degli oneri di urbanizzazione.
Le controversie sull'esatta quantificazione dei contributi dovuti per il rilascio delle concessioni edilizie/permessi di costruire attengono a diritti patrimoniali che non dipendono dall'esercizio di una potestà autoritativa e discrezionale; tali controversie sono devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo già dall'art. 16 della l. 28.01.1977 n. 10, sono giudizi di carattere civile relativi all'esistenza o all'entità di un'obbligazione legale e sono azionabili negli ordinari tempi di prescrizione.
Il presupposto imponibile per il pagamento dei contributi di urbanizzazione va ravvisato nella domanda di una maggiore dotazione di servizi (rete viaria, fognature, ecc.) nell’area di riferimento, che sia indotta dalla destinazione d’uso concretamente impressa all’alloggio, in quanto una diversa utilizzazione rispetto a quella stabilita nell’originario titolo abilitativo può determinare una variazione quantitativa e qualitativa del carico urbanistico (Cfr. TAR Milano-Brescia, Sez. I, 11.06.2004 n. 646; TAR Lombardia-Milano, Sez. II, 02.10.2003 n. 4502; Cons. Stato, sez. V, 25.05.1995 n. 822).
Il fondamento del contributo di urbanizzazione –da versare al momento del rilascio di una concessione edilizia– non consiste quindi nell'atto amministrativo in sé, bensì nella necessità di ridistribuire i costi sociali delle opere di urbanizzazione, facendoli gravare sugli interessati che beneficiano delle utilità derivanti dalla presenza delle medesime, secondo modalità eque per la comunità (Cfr. TAR Veneto, Sez. II, 13.11.2001 n. 3699).
Anche nel caso della modificazione della destinazione d'uso cui si correla un maggior carico urbanistico, è integrato il presupposto che giustifica l’imposizione al titolare del pagamento della differenza tra gli oneri di urbanizzazione dovuti per la destinazione originaria e quelli, se più elevati, dovuti per la nuova destinazione impressa; il mutamento è rilevante allorquando sussiste un passaggio tra due categorie funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico, qualificate sotto il profilo della differenza del regime contributivo in ragione di diversi carichi urbanistici, cosicché la circostanza che le modifiche di destinazione d’uso senza opere non sono soggette a preventiva concessione o autorizzazione sindacale non comporta ipso jure l’esenzione dagli oneri di urbanizzazione e, quindi, la gratuità dell’operazione (Cfr. TAR Milano-Brescia, Sez. I, 23.01.1998 n. 34) (alla stregua del principio nella specie è stato ritenuto legittimo l’atto con il quale era stato chiesto il pagamento della differenza del contributo concessorio in relazione al mutamento di destinazione d'uso -da industriale a commerciale- del fabbricato) (massima tratta da www.regione.piemonte.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 03.03.2011 n. 375 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Oneri concessori: non ha carattere impugnatorio il giudizio proposto avverso il provvedimento con cui vengono determinati.
Nelle controversie aventi per oggetto gli obblighi di pagamento dei contributi afferenti le concessioni e i permessi edilizi, il giudizio non ha carattere impugnatorio, ancorché esso sia proposto, formalmente, come contestazione di una determinazione amministrativa, in quanto mira ad accertare la sussistenza o la misura del credito vantato dal Comune; ne deriva che il ricorso può essere correttamente proposto nel termine di prescrizione del diritto, e dunque anche dopo che siano trascorsi più di sessanta giorni dalla conoscenza, da parte dell’interessato, dell’atto con cui l’amministrazione ha quantificato i contestati contributi, richiedendone il pagamento (massima tratta da www.dirittodegliappaltipubblici.it - Consiglio di Stato Sez. IV, sentenza 02.03.2011 n. 1365 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAA prescindere dall’utilizzo dei normali canoni ermeneutici, riesce veramente difficile equiparare un complesso di immobili destinati ad un’attività turistico-alberghiera ad un’attività industriale di produzione di beni e servizi.
L’art. 10 della legge 28.01.1977 n. 10 distingue, ai fini della determinazione del contributo del costo di costruzione, gli edifici o gli impianti destinati ad attività industriale e artigianale dirette alla trasformazione dei beni e alla prestazione di servizi, dalle costruzioni od impianti destinati ad attività turistiche, commerciali o direzionali, prevedendo per i primi manufatti le agevolazioni contributive ed escludendole per i secondi.
Ora, ad escludere la configurazione di un complesso alberghiero come un'attività produttiva è proprio il dettato normativo sopra indicato che menziona espressamente gli impianti turistici tra i manufatti per i quali il legislatore in base ad una scelta insindacabile ha ritenuto non possa farsi luogo alla concessione del beneficio de quo e non v’è dubbio che l’esistenza di un siffatto dato normativo è di per sé preclusivo di quale che sia interpretazione estensiva.
Parte appellante fa leva al riguardo sulla normativa regionale che valorizza nei sensi propugnati dalla stessa Società le strutture preposte allo svolgimento di attività turistica, ma una siffatta circostanza non giova a cambiare i termini della questione, attesa la valenza recessiva della normativa regionale a fronte della norma statale posta a salvaguardia di un regime giuridico del rapporto in questione da intendersi in modo unitario su tutto il territorio nazionale.
E questo a prescindere dall’utilizzo dei normali canoni ermeneutici per cui riesce veramente difficile equiparare un complesso di immobili destinati ad un’attività turistico-alberghiera ad un’attività industriale di produzione di beni e servizi (cfr., questa Sezione n. 4488 del 12/07/2010)
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 02.03.2011 n. 1332 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Contributi e oneri - Rimborso della differenza tra oneri concessori versati per il terziario e minori oneri dovuti per l'abitativo - Impossibilità.
Una volta che l'intervento edilizio sia stato realizzato in base a permesso di costruire chiesto dall'interessato e questi ne abbia successivamente mutata la destinazione d'uso, non è dovuto alcun rimborso della differenza tra oneri concessori versati per il terziario e (minori) oneri dovuti per l'abitativo: infatti, nessuna norma prevede la restituzione degli oneri
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 11.02.2011 n. 468 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl contributo di costruzione è il corrispettivo del diritto di costruire e quando il diritto di costruire non è esercitato viene meno il titolo in forza del quale il Comune ha incassato il contributo di costruzione. Questo principio vale anche quando il titolo edilizio è stato utilizzato soltanto in parte, nel qual caso esso viene meno pro quota.
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Nel caso di restituzione del contributo di concessione, quando il diritto a costruire non è esercitato (in tutto o in parte), gli interessi legali devono essere riconosciuti, con decorrenza dal momento in cui il credito è liquido ed esigibile.
Il contributo di costruzione è il corrispettivo del diritto di costruire e quando il diritto di costruire non è esercitato viene meno il titolo in forza del quale il Comune ha incassato il contributo di costruzione.
Questo principio vale anche quando il titolo edilizio è stato utilizzato soltanto in parte, nel qual caso esso viene meno pro quota (Tar Lombardia, Milano, sez. II, sentenza n. 728 del 24/03/2010: il diritto alla restituzione sorge non solamente nel caso in cui la mancata realizzazione delle opere sia totale, ma anche ove il permesso di costruire sia stato utilizzato soltanto parzialmente, tenuto conto che sia la quota degli oneri di urbanizzazione che la quota relativa al costo di costruzione sono correlati, sia pure sotto profili differenti, all'oggetto della costruzione. L'avvalimento solo parziale delle facoltà edificatorie consentite da un permesso di costruire comporta dunque il sorgere, in capo al titolare, del diritto alla rideterminazione del contributo ed alla restituzione della quota di esso che è stata calcolata con riferimento alla porzione non realizzata).
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Gli interessi legali devono essere riconosciuti. Si versa, infatti, in presenza di interessi corrispettivi (art. 1282 c.c.), che sono fondati sulla naturale fecondità del denaro, e che prescindono pertanto da profili di colpa, che rileverebbero in presenza di interessi con funzione risarcitoria quali quelli moratori (art. 1224 c.c.).
Quanto alla loro decorrenza, la norma generale dell’art. 1282 c.c. prevede che gli interessi decorrano dal momento in cui il credito è liquido ed esigibile. In base alla teoria generale, credito esigibile è quello che non è sottoposto a condizione sospensiva o termine in favore del debitore; credito liquido è quello il cui ammontare è certo o accertabile mediante operazioni di mero conteggio aritmetico.
Nel caso in esame, posto che non vi possono essere questioni sulla esigibilità del credito, non ve ne sono neanche sulla liquidità dello stesso, in quanto la determinazione del credito degli oneri di urbanizzazione è frutto di un mero calcolo aritmetico fondato sull’applicazione dei criteri predeterminati previsti dalla legge. Ne consegue che il credito in esame era liquido fin dalla data in cui è sorto.
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E’ vero che il credito di restituzione del contributo di costruzione pagato in misura maggiorata non è un credito di valore, ma un credito di valuta in cui la rivalutazione è possibile soltanto se si prova il maggior danno ex art. 1224 co. 2 c.c., qui del tutto pretermesso dall’esposizione dei ricorrenti.
Ma è anche vero che Cass. civ., sezioni unite, sentenza 18.07.2008 n. 19499, ha sostenuto che nelle obbligazioni pecuniarie, in difetto di discipline particolari dettate da norme speciali, il maggior danno di cui all'art. 1224 c.c., comma 2, rispetto a quello già coperto dagli interessi moratori è, in via generale, riconoscibile in via presuntiva, per qualunque creditore che ne domandi il risarcimento, nella eventuale differenza, a decorrere dalla data di insorgenza della mora, tra il tasso del rendimento medio annuo netto dei titoli di Stato di durata non superiore a dodici mesi ed il saggio degli interessi legali determinato per ogni anno ai sensi dell'art. 1284 c.c., comma 1, salva la possibilità per il debitore di provare che il creditore non ha subito un maggior danno o che lo ha subito in misura inferiore e per il creditore di provare il maggior danno effettivamente subito.
Nel caso in esame, in cui nessuna delle parti in causa si è preoccupata di provare alcunché sulla esistenza o meno di un maggior danno va applicato pertanto il criterio presuntivo appena citato.
Per escludere la rivalutazione automatica non è sufficiente affermare (come aveva fatto in passato Tar Marche 296/2004) che si tratterebbe di indebito oggettivo, ai sensi dell'art. 2033 c.c., in quanto anche l’indebito oggettivo non è altro che “una obbligazione pecuniaria di fonte legale (art. 2033 c.c.) assoggettata alla disciplina propria di tali obbligazioni, in particolare alla disposizione dell'art. 1224 c.c. in tema di interessi moratori e risarcimento del maggior danno per il ritardo nell'adempimento” (Cass. civ, sez. lav., 4833/2009).
Dalle somme dovute a titolo di rivalutazione monetaria va defalcata la somma percepita a titolo di interessi legali, in quanto –non trattandosi di credito di lavoro– non è consentito il cumulo tra interessi e rivalutazione
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 31.01.2011 n. 188 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA1. Contributi e oneri concessori - Mutamenti di destinazione d'uso - Necessità.
2. Contributi e oneri concessori - Previsione di distinte sottocategorie di destinazioni d'uso con diversi importi dei contributi concessori - Legittimità.

1. La necessità di corrispondere i contributi concessori anche per i mutamenti di destinazione d'uso è principio enucleabile dall'art. 10, ultimo comma, della Legge n. 10 del 1977, al fine di evitare che, quando la nuova tipologia assegnata all'immobile avrebbe comportato all'origine un più oneroso regime contributivo urbanistico, attraverso la modifica della destinazione il contributo possa essere evaso in tutto o in parte a vantaggio del richiedente e, di contro, con l'aggravio urbanistico già valutato in sede di fissazione di quel regime contributivo.
2. Deve ritenersi legittima la suddivisione delle categorie di destinazione d'uso in più sottocategorie o sottofunzioni, con diversa onerosità dal punto di vista dei contributi di costruzione, laddove ciò sia giustificato da significative diversità del carico urbanistico implicato dall'una o dall'altra di esse, tale da giustificare diverse modulazioni di calcolo del contributo concessorio (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 26.01.2011 n. 240 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: CONTRIBUTI E ONERI CONCESSORI – IN OCCASIONE DI MUTAMENTI DI DESTINAZIONI D’USO – SONO DOVUTI – PREVISIONE DI DISTINTE SOTTOCATEGORIE DI DESTINAZIONI D’USO CON DIVERSI IMPORTI DEI CONTRIBUTI CONCESSORI – LEGITTIMITA’.
La necessità di corrispondere i contributi concessori anche peri i mutamenti di destinazione d’uso è principio enucleabile dall’art. 10, ultimo comma, della legge n. 10 del 1977, al fine di evitare che, quando la nuova tipologia assegnata all’immobile avrebbe comportato all’origine un più oneroso regime contributivo urbanistico, attraverso la modifica della destinazione il contributo possa essere evaso in tutto o in parte a vantaggio del richiedente e, di contro, con l’aggravio urbanistico già valutato in sede di fissazione di quel regime contributivo.
Deve ritenersi legittima la suddivisione delle categorie di destinazione d’uso in più sottocategorie o sottofunzioni, con diversa onerosità dal unto di vista dei contributi di costruzione, laddove ciò sia giustificato da significative diversità del carico urbanistico implicato dall’una o dall’altra di esse, tale da giustificare diverse modulazioni di calcolo del contributo concessorio (massima tratta da www.amministrazioneincammino.luiss.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 26.01.2011 n. 240 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il contributo di costruzione è il corrispettivo del diritto di costruire e quando il diritto di costruire non è esercitato viene meno il titolo in forza del quale il Comune ha incassato il contributo di costruzione. Questo principio vale anche quando il titolo edilizio è stato utilizzato soltanto in parte, nel qual caso esso viene meno pro quota.
Il privato, sulle somme indebitamente riscosse dalla P.A., ha diritto agli interessi legali i quali, qualora non vi siano elementi che escludano la buona fede dell'Amministrazione, spettano dalla data della domanda.
Nel caso di restituzione del contributo di costruzione indebitamente versato, spetta anche la rivalutazione monetaria dalla quale va defalcata la somma percepita a titolo di interessi legali, in quanto –non trattandosi di credito di lavoro– non è consentito il cumulo tra interessi e rivalutazione.

Il contributo di costruzione è il corrispettivo del diritto di costruire e quando il diritto di costruire non è esercitato viene meno il titolo in forza del quale il Comune ha incassato il contributo di costruzione.
Questo principio vale anche quando il titolo edilizio è stato utilizzato soltanto in parte, nel qual caso esso viene meno pro quota (TAR Lombardia, Milano, sez. II, sentenza n. 728 del 24/03/2010: "il diritto alla restituzione sorge non solamente nel caso in cui la mancata realizzazione delle opere sia totale, ma anche ove il permesso di costruire sia stato utilizzato soltanto parzialmente, tenuto conto che sia la quota degli oneri di urbanizzazione che la quota relativa al costo di costruzione sono correlati, sia pure sotto profili differenti, all'oggetto della costruzione. L'avvalimento solo parziale delle facoltà edificatorie consentite da un permesso di costruire comporta dunque il sorgere, in capo al titolare, del diritto alla rideterminazione del contributo ed alla restituzione della quota di esso che è stata calcolata con riferimento alla porzione non realizzata").
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Secondo TAR Lombardia, Milano, sez. II, 728/2010: "il privato, sulle somme indebitamente riscosse dalla P.A., ha diritto agli interessi legali i quali, qualora non vi siano elementi che escludano la buona fede dell'Amministrazione, spettano dalla data della domanda".
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E’ vero che il credito di restituzione del contributo di costruzione pagato in misura maggiorata non è un credito di valore, ma un credito di valuta in cui la rivalutazione è possibile soltanto se si prova il maggior danno ex art. 1224 co. 2 c.c., qui del tutto pretermesso dall’esposizione dei ricorrenti.
Ma è anche vero che Cass. civ., sezioni unite, sentenza 18.07.2008 n. 19499 ha sostenuto che nelle obbligazioni pecuniarie, in difetto di discipline particolari dettate da norme speciali, il maggior danno di cui all'art. 1224 c.c., comma 2, rispetto a quello già coperto dagli interessi moratori è, in via generale, riconoscibile in via presuntiva, per qualunque creditore che ne domandi il risarcimento, nella eventuale differenza, a decorrere dalla data di insorgenza della mora, tra il tasso del rendimento medio annuo netto dei titoli di Stato di durata non superiore a dodici mesi ed il saggio degli interessi legali determinato per ogni anno ai sensi dell'art. 1284 c.c., comma 1, salva la possibilità per il debitore di provare che il creditore non ha subito un maggior danno o che lo ha subito in misura inferiore e per il creditore di provare il maggior danno effettivamente subito (in motivazione la Corte ha anche precisato che: non sussistono d'altro canto i paventati pericoli che i debiti di valuta ricevano in tal modo una disciplina identica a quella propria dei debiti di valore, con sostanziale pretermissione del principio nominalistico di cui all'art. 1277 cod. civ.; o che le conseguenze dell'inadempimento finiscano per divenire, per qualsiasi credito di denaro, identiche a quelle "speciali" che l'art. 429 c.p.c., comma 3, contempla per i crediti di lavoro; ovvero che sia sostanzialmente disapplicato il principio dell'onere della prova di cui all'art. 2697 cod. civ..
Sul primo punto va infatti osservato che il rispetto del principio nominalistico non è affatto incompatibile con la rilevanza delle variazioni del potere d'acquisto della moneta. Solo che, mentre nei debiti di valore la considerazione di quella variazione è insita nel procedimento di determinazione quantitativa della prestazione in quanto il denaro vale solo a misurare e ad esprimere un valore necessariamente attuale, nei debiti di valuta essa può invece rilevare esclusivamente sub specie damni (…) Neppure è possibile che si creino confusioni di sorta sul piano processuale, posto che nei debiti di valore (tipica l'obbligazione di risarcimento del danno) la rivalutazione non va neppure domandata, essendo il giudice tenuto d'ufficio alla liquidazione in valori monetari attuali; mentre nei debiti di valuta vanno chiesti sia gli interessi moratori sia il maggior danno (anche da svalutazione, secondo l'impreciso ma corrente lessico giudiziario; e tuttavia, più esattamente, da intervenuta impossibilità, per fatto del debitore, che il creditore si sottraesse agli effetti della svalutazione), risultando altrimenti inficiata da vizio di ultrapetizione la sentenza che riconoscesse gli uni o l'altro.
Quanto alla temuta possibilità che i crediti pecuniari ordinari e quelli di lavoro finiscano con l'essere trattati allo stesso modo, s'è già rilevato che per i crediti di cui all'art. 429 c.p.c., comma 3 interessi e svalutazione si cumulano, mentre nei debiti di valuta il maggior danno anche da svalutazione è dovuto, ex art. 1224 c.c., comma 2, solo per la parte che non sia già coperta dagli interessi moratori. Quanto alla pretesa disapplicazione dell'art. 2697 cod. civ. che deriverebbe dal ritenere presunta ma, rectius, normale una modalità di impiego del denaro tale da consentire al creditore di sottrarsi agli effetti della svalutazione, è stato da tempo chiarito come, in definitiva, è nel rapporto tra normalità ed anormalità, tra regola ed eccezione che si rinviene il criterio teorico pratico della ripartizione dell'onere della prova, il quale non costituisce un istituto giuridico in sé concluso, ma un modo di osservare l'esperienza giuridica.
E la giurisprudenza ha quindi fatto ricorso, tutte le volte che il modello legale prefissato non risultava appagante in relazione alle posizioni delle parti riguardo ai singoli temi probatori, allo schema della presunzione in modo talora così tipico e costante da creare, in definitiva, vere e proprie regole di giudizio. Col risultato non già di invertire l'onere della prova, ma di distribuirlo in senso conforme alla realtà dell'esperienza positiva.
Ebbene, è senz'altro conforme alla realtà dell'esperienza positiva che il denaro sia speso in relazione alla sua primaria destinazione allo scambio, ovvero impiegato in rassicuranti forme remunerative tali da garantire un rendimento superiore al tasso di inflazione, qual è quello dei titoli di stato, costantemente eccedente l'incremento dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati rilevati dall'Istat).
Nel caso in esame, in cui nessuna delle parti in causa si è preoccupata di provare alcunché sulla esistenza o meno di un maggior danno va applicato pertanto il criterio presuntivo appena citato.
Per escludere la rivalutazione automatica non è sufficiente affermare (come aveva fatto in passato TAR Marche 296/2004) che si tratterebbe di indebito oggettivo, ai sensi dell'art. 2033 c.c., in quanto anche l’indebito oggettivo non è altro che “una obbligazione pecuniaria di fonte legale (art. 2033 c.c.) assoggettata alla disciplina propria di tali obbligazioni, in particolare alla disposizione dell'art. 1224 c.c. in tema di interessi moratori e risarcimento del maggior danno per il ritardo nell'adempimento” (Cass. civ, sez. lav., 4833/2009).
Dalle somme dovute a titolo di rivalutazione monetaria va defalcata la somma percepita a titolo di interessi legali, in quanto –non trattandosi di credito di lavoro– non è consentito il cumulo tra interessi e rivalutazione
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 17.01.2011 n. 66 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: E' corretto il calcolo del contributo di costruzione effettuato dall'Amministrazione comunale in base alle aliquote vigenti al momento del rilascio della concessione: ciò prescinde dalle eventuali responsabilità del Comune nel ritardo nel rilasciare il provvedimento amministrativo rispetto al termine legale entro cui doveva concludersi il procedimento.
Se vi sono state davvero responsabilità nel ritardo nel rilasciare il titolo edilizio, e se da questo ritardo è derivata l’applicazione di tariffe del contributo di costruzione più pesanti, ciò può essere fatto valere con una azione di responsabilità per danni, ma non pretendendo che il rilascio del titolo fosse affiancato da tariffe non più vigenti, e di cui mancano norme apposite per sostenerne la pretesa ultrattività.

Ogni provvedimento amministrativo deve essere emesso in base alle norme vigenti nel momento in cui viene emanato (TAR Lombardia, Milano, sez. II, sentenza n. 426 del 25/02/2008: “l'art. 11 della legge n. 10 del 28/01/1977 prevede espressamente che la quota di contributo per oneri di urbanizzazione primaria e secondaria sia corrisposta al comune all'atto del rilascio della concessione e che la quota di contributo per il costo di costruzione sia determinata all'atto del rilascio della concessione. Tale norma è stata costantemente interpretata dalla giurisprudenza nel senso che l'obbligazione di pagamento sorge al momento della quantificazione della obbligazione stessa. Ne deriva che è corretto il calcolo della quota di tali contributi effettuato dall'Amministrazione in base alle aliquote vigenti al momento del rilascio della concessione”), ciò prescinde dalle eventuali responsabilità del Comune nel ritardo nel rilasciare il provvedimento amministrativo rispetto al termine legale entro cui doveva concludersi il procedimento (il Comune deduce che il rilascio del titolo edilizio è stato ritardato dalla necessità di procedere ad istruttoria, ipotesi che d’altronde è tipizzata dalla legge e che consente di sospendere il termine per il rilascio del provvedimento).
Se vi sono state davvero responsabilità nel ritardo nel rilasciare il titolo edilizio, e se da questo ritardo è derivata l’applicazione di tariffe del contributo di costruzione più pesanti, ciò può essere fatto valere con una azione di responsabilità per danni, ma non pretendendo che il rilascio del titolo fosse affiancato da tariffe non più vigenti, e di cui mancano norme apposite per sostenerne la pretesa ultrattività.
E’ il caso di rilevare che adesso una disposizione di questo tipo esiste, perché l’art. 38, co. 7-bis, l.r. 12/2005 (introdotto dalla l.r. 4/2008), stabilisce che “l’ammontare degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria dovuti è determinato con riferimento alla data di presentazione della richiesta del permesso di costruire, purché completa della documentazione prevista”, ma una disposizione derogatoria dei principi generali di tal fatta non esisteva nel momento (circa dieci anni prima) in cui venne rilasciata la concessione edilizia oggetto di giudizio e non può essere creata in via interpretativa.
Questo Tribunale, nella sede di Milano, si è d’altronde già pronunciato sulla norma dell’art. 38, co. 7-bis, ed ha ritenuto tale disposizione non applicabile a casi pregressi, in quanto “per effetto della modifica apportata dalla l.r. n. 4 del 2008, che ha introdotto nell'art. 38 il comma 7-bis , per il permesso di costruire, gli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria vengono determinati alla data di presentazione della richiesta del permesso di costruire, purché vi sia la completezza documentale. Da ciò si deduce che prima della modifica legislativa gli oneri andassero determinati al momento del rilascio del titolo, mentre a seguito della modifica legislativa la determinazione è anticipata all'atto della presentazione della richiesta del permesso” (TAR Lombardia, Milano, sez. II, 2029/2009)
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 17.01.2011 n. 66 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL'atto di volturazione non comporta la corresponsione di ulteriori contributi concessori che restano quelli fissati in occasione del rilascio del titolo originario ma tali oneri, per la parte non ancora adempiuta, si trasferiscono al subentrante, sia perché non rilevano sotto il profilo dell'intuitus personae, inerendo ad un atto che non ha carattere personale, sia perché connessi alla capacità di disporre del diritto di edificazione in concreto esercitato dal terzo.
La giurisprudenza amministrativa ha chiarito che l'atto di volturazione non comporta la corresponsione di ulteriori contributi concessori che restano quelli fissati in occasione del rilascio del titolo originario ma tali oneri, per la parte non ancora adempiuta, si trasferiscono al subentrante, sia perché non rilevano sotto il profilo dell'intuitus personae, inerendo ad un atto che non ha carattere personale, sia perché connessi alla capacità di disporre del diritto di edificazione in concreto esercitato dal terzo (TAR Abruzzo, L'Aquila, 16.10.1998 n. 783) (TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, sentenza 14.01.2011 n. 152 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAQuanto al regime prescrizionale degli oneri di urbanizzazione e dei contributi commisurati al costo di costruzione, in assenza di diversa disposizione normativa il termine è quello ordinario decennale.
Quanto al regime prescrizionale degli oneri di urbanizzazione e dei contributi commisurati al costo di costruzione, la giurisprudenza amministrativa ha precisato che, in assenza di diversa disposizione normativa, il termine è quello ordinario decennale (TAR Campania, Salerno, 30.12.2003 n. 2599) (TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, sentenza 14.01.2011 n. 152 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2010

EDILIZIA PRIVATA: Lombardia, Necessita aggiornare il costo di costruzione entro il 31.12.2010 il cui effetto sarà efficace a decorrere dall'01.01.2011: ecco il fac-simile di determinazione (file 1 - file 2).
ATTENZIONE: se non si adotta la determinazione di aggiornamento entro la suddetta scadenza per tutto il 2011 si dovrà applicare il medesimo costo di costruzione vigente nell'anno 2010 (cfr. art. 48, comma 2, della L.R. n. 12/2005).
Alcune considerazioni: è uscito pochi giorni fa il dato ufficiale della variazione ISTAT relativo al mese di agosto 2010 (ultimo dato disponibile).
Quindi, si può procedere -senza indugio- ad adottare la determinazione di aggiornamento del costo di costruzione poiché da qui a fine mese non uscirà un nuovo indice ISTAT.

EDILIZIA PRIVATALa casa del custode -di superficie assai modesta rispetto all’intero immobile (artigianale)– non assolve alla funzione principale di spazio abitativo ma serve a consentire un diffuso controllo e una costante vigilanza sui capannoni utilizzati per la lavorazione, lo stoccaggio ed il deposito dei materiali: a fronte di una destinazione principale di tipo produttivo il contributo di costruzione deve essere calcolato con i criteri del produttivo e non del residenziale.
Il Collegio aderisce alla prospettazione di parte ricorrente, la quale ha evidenziato che la casa –di superficie assai modesta rispetto all’intero immobile (artigianale)– non assolve alla funzione principale di spazio abitativo ma serve a consentire un diffuso controllo e una costante vigilanza sui capannoni utilizzati per la lavorazione, lo stoccaggio ed il deposito dei materiali: a fronte di una destinazione principale di tipo produttivo il contributo doveva essere calcolato con i criteri ad essa associati.
In proposito il Collegio richiama la pronuncia del TAR Milano, sez. I – 24/07/2003 n. 3639, la quale ha statuito che “… la censura relativa alla errata applicazione del costo di costruzione per la piccola parte di edificio destinato a casa del custode è fondata, in quanto il Comune non poteva non tenere conto del carattere strettamente pertinenziale di essa. Il rapporto pertinenziale, anche se non espressamente enunciato in sede di domanda, andava ricavato dalla consistenza dell’immobile e dal rapporto tra le varie superfici; in ogni caso avrebbe dovuto formare oggetto di indagine istruttoria”.
La fattispecie è analoga a quella affrontata dal Collegio, e l’amministrazione non ha sollevato obiezioni alla dedotta limitata estensione del manufatto in rapporto alla struttura produttiva. In questo contesto, il fatto che la casa del custode abbia una propria ed autonoma destinazione di tipo residenziale non è sufficiente a determinare l’assoggettamento al corrispondente contributo.
Non è neppure condivisibile l’astratta asserzione per cui l’abitazione del proprietario non sarebbe necessaria ai fini della gestione aziendale, quando la sua prossimità e connessione con l’attività e la sua attitudine ad ospitare una sola famiglia (cfr. tavola 5 prodotta in atti dalla ricorrente) conferma l’opinione opposta.
Ne consegue che, con riguardo al costo di costruzione, dovrà essere rimborsato il contributo, salvo l’importo correttamente corrisposto per la parte riferita alla destinazione artigianale.
Sulla somma così calcolata dovranno essere aggiunti gli interessi legali ex art. 2033 del codice civile: essi –non essendovi elementi per escludere la buona fede dell'amministrazione– spettano dalla data della domanda giudiziale fino al saldo (cfr. TAR Lombardia Milano, sez. II – 24/03/2010 n. 728; sez. II – 18/05/2010 n. 1550) (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 17.12.2010 n. 4864 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Oneri concessori - Beneficio della riduzione - Presupposti per il riconoscimento - Demolizione e costruzione di un singolo nuovo edificio - Modifica dell’assetto urbanistico precedente - Esclusione del beneficio - Art. 26 L.R. Friuli Venezia Giulia n. 18/1986 - Art. 31, 1° co. lett. e) L. n. 457/1978.
Il riconoscimento dell’eccezionale beneficio della riduzione degli oneri concessori, ai sensi dell’art. 26 della legge regionale del Friuli Venezia Giulia n. 18 del 1986, laddove espressamente richiama il concetto di ristrutturazione urbanistica di cui all’art. 31, 1° co. lett. e) della legge nazionale n. 457 del 1978, deve intendersi comunque limitato al solo caso in cui l’intervento progettato non sia un intervento di ristrutturazione edilizia ma risulti essere un intervento di ben più ampia portata e cioè rivolto a sostituire l’esistente tessuto urbanistico-edilizio con altro diverso mediante un insieme sistematico di opere edilizie che determinano anche la modificazione del disegno dei lotti, degli isolati e della rete stradale.
Deve, pertanto, trattarsi di un intervento di per se stesso complesso e di vaste proporzioni (ben diverso, ripetesi, da quello riferibile alla ristrutturazione ovvero alla nuova costruzione di un singolo fabbricato) che come tale modifichi tutto il “tessuto” urbanistico ed edilizio della zona determinando così una variazione molto significativa della stessa, proprio sotto il profilo dell’assetto urbanistico precedente.
Di conseguenza, è da escludere che il riconoscimento di tale beneficio possa intendersi correlato alla realizzazione di un semplice intervento di demolizione e costruzione di un singolo nuovo edificio il cui progetto, sia pure modellato alle caratteristiche tipiche della zona, non preveda altresì la realizzazione di ulteriori opere di urbanizzazione mirate alla sostituzione di tutto o di una rilevante parte del tessuto urbanistico della specifica zona da recuperare (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 16.12.2010 n. 8948 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Lombardia, Necessita aggiornare il costo di costruzione entro il 31.12.2010 il cui effetto sarà efficace a decorrere dall'01.01.2011: ecco il fac-simile di determinazione (file 1 - file 2).
ATTENZIONE: se non si adotta la determinazione di aggiornamento entro la suddetta scadenza per tutto il 2011 si dovrà applicare il medesimo costo di costruzione vigente nell'anno 2010 (cfr. art. 48, comma 2, della L.R. n. 12/2005).
Alcune considerazioni: ad oggi, il dato ufficiale ISTAT è quello relativo alla variazione del mese di maggio 2010, mentre quello di giugno 2010 è ufficioso e, come tale, non utilizzabile.
Abbiamo scritto all'ISTAT di Roma e ci hanno risposto come segue:
L'ultimo comunicato contenente il dato provvisorio di Giugno e' stato pubblicato il 13.09.2010 al seguente link:
http://www.istat.it/salastampa/comunicati/non_calendario/20100913_00/
Pur non disponendo di un calendario per questo tipo di uscite, presumo che la pubblicazione dei 3 mesi successivi (e quindi anche del dato definitivo di giugno) avverrà entro la fine del 2010.
Cordiali saluti
Luigi Di Gennaro

Pertanto,
si consiglia di adottare la determinazione di aggiornamento del costo di costruzione, per l'anno 2011, verso la fine di dicembre 2010 poiché è verosimile che, entro il 31.12.2010, possa essere pubblicato dall'ISTAT il dato ufficiale relativo a giugno 2010 ed avere, così, un valore maggiore (rispetto a maggio 2010) della variazione ISTAT per il calcolo del costo di costruzione (e, quindi, non perdere soldi per le casse comunali ...).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Contributi concessori - Omesso o ritardato pagamento - Procedimento sanzionatorio - Comunicazione di avvio del procedimento - Necessità - Non sussiste - Ratio.
2. Contributi concessori - Omesso o ritardato pagamento - Escussione fideiussione - Obbligo - Non sussiste.
3. Abusi edilizi - Sanzioni pecuniarie - Produzione di interessi legali - Legittimità - Ratio.

1. Nei procedimenti sanzionatori per omesso o ritardato pagamento dei contributi concessori, non è dovuta comunicazione di avvio del procedimento, attesa la natura vincolata dei provvedimenti afflittivi e l'automatica messa in mora del debitore per effetto del mancato pagamento alla scadenza, per cui nessun avviso di avvio del procedimento è dovuto al debitore stesso (cfr. TAR Sardegna, sent. n. 70/2008 e Cons. di Stato, sent. n. 4419/2007).
2. Nei procedimenti sanzionatori per omesso o ritardato pagamento dei contributi concessori, la garanzia fideiussoria, se da un lato vale certamente a rafforzare la posizione della P.A. quale creditore pecuniario, dall'altro non impone però a quest'ultima la preventiva escussione del fideiussore né esclude un'attenuazione dell'obbligo del debitore principale e neppure vale a trasformare l'obbligazione di quest'ultimo in una sorta di obbligazione sussidiaria rispetto a quella del fideiussore (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 2581/2009 e n. 4419/2007; TAR Brescia, sent. 519/2010; TAR Milano, sent. n. 4405/2009 e n. 4306/2009).
3. E' legittima la produzione di interessi legali sulle sanzioni, considerato che il credito per queste ultime è comunque un credito liquido ed esigibile, produttivo come tale di interessi legali secondo la generale previsione dell'art. 1282 c.c., senza contare che, in mancanza del pagamento degli interessi, il ritardo nel versamento delle sanzioni andrebbe soltanto a danno della P.A. (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 8345/2003) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 22.11.2010 n. 7308 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAGli oneri economici gravanti sul titolare di una concessione edilizia non sorgono per effetto del mero rilascio del titolo, ma sono geneticamente connessi all’effettiva attività di trasformazione del territorio.
Gli oneri economici gravanti sul titolare di una concessione edilizia non sorgono per effetto del mero rilascio del titolo, ma sono geneticamente connessi all’effettiva attività di trasformazione del territorio; lo si ricava dalle norme dell’art. 11 della L. 10/1977 laddove prevedono che il versamento del costo di costruzione deve avvenire in corso d’opera e non oltre sessanta giorni dalla conclusione dei lavori, mentre gli oneri di urbanizzazione sono versati al momento del rilascio del titolo edilizio, salvo che non sia pattuita la realizzazione diretta delle opere di urbanizzazione a carico del concessionario.
In proposito, la giurisprudenza è solita affermare che “l'obbligazione assunta di provvedere alla realizzazione delle opere di urbanizzazione da colui che stipula una convenzione edilizia è propter rem, ma nel senso che essa va adempiuta non solo da colui che tale convenzione ha stipulato, ma anche da colui, se soggetto diverso, che richiede la concessione edilizia (vedi Cassazione civile sez. I, 20.12.1994, n. 10947; nonché Cassazione civile, sez. II, 26.11.1988 n. 6382); ovvero nel senso che colui che realizza opere di trasformazione edilizia ed urbanistica, valendosi della concessione edilizia rilasciata al suo dante causa, ha nei confronti del Comune gli stessi obblighi che gravano sull'originario concessionario, ed è con quest'ultimo solidalmente obbligato per il pagamento degli oneri di urbanizzazione (vedi Cassazione civile sez. III, 17.06.1996, n. 5541)” (Tar Catania 3011/2004), e che “Gli oneri relativi alle opere di urbanizzazione costituiscono una obbligazione "propter rem": pertanto colui che realizza opere di trasformazione edilizia od urbanistica valendosi della concessione edilizia rilasciata al suo dante causa, ha nei confronti del Comune gli stessi obblighi che gravano sull'originario concessionario ed è con quest'ultimo solidamente obbligato per il pagamento degli oneri di urbanizzazione. Nulla vieta dal punto di vista logico prima che giuridico che alle identiche conclusioni debba pervenirsi in ordine alla parte del contributo commisurato al costo di costruzione; questo, infatti, in uno con gli oneri di urbanizzazione costituisce "il contributo" per il rilascio per permesso di costruire (già c.e.) con conseguente e doverosa disciplina unitaria ai fini che qui interessano delle due voci in cui si viene a scomporre” (Tar Bari 2078/2008).
Più di recente, questa Sezione (cfr. sentenza 602/2009) ha avuto modo di pronunciarsi ulteriormente sulla questione, operando dei distinguo più sottili che la hanno portata a precisare che “la solidarietà [fra titolare della concessione edilizia e cessionario del titolo, n.d.r.] potrebbe dunque sussistere solo laddove il presupposto di esigibilità del credito, ossia l’edificazione, abbia avuto consistenza in capo al dante causa ed al cessionario, in quanto, in tal caso, l’identico fenomeno urbanistico ed edilizio ha tratto origine da due coautori”.
Si è tratta, quindi, ex adverso la ulteriore conclusione che, ove ci sia stata voltura a favore di terzi del titolo edilizio da parte dell’originario titolare, unita al mancato avvio da parte di costui di alcuna attività edificatoria, l’intestatario iniziale della concessione deve essere ritenuto libero da ogni obbligo pecuniario nei confronti dell’ente concedente per oneri concessione e per contributo di costruzione, e libero altresì da ogni responsabilità per eventuali abusi edilizi realizzati dal cessionario (TAR Sicilia-Catania, Sez. II, sentenza 12.10.2010 n. 4104 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL'entità del contributo dovuto per oneri concessori va individuato nel momento in cui viene rilasciata la concessione edilizia, poiché il costo da considerare ai fini della commisurazione dei relativi oneri non può essere che quello del momento in cui sorge l'obbligazione, che è appunto quello del rilascio della concessione ed a tale data occorre avere riguardo per determinare l'entità del contributo con applicazione della normativa vigente al momento del rilascio della concessione medesima.
Il chiaro disposto dell’art. 39 della L. n. 724/1994 individua nel momento di presentazione dell'istanza di concessione in sanatoria il riferimento temporale per calcolare la misura dell’oblazione e nell’avvenuto pagamento della stessa un requisito di procedibilità della istanza medesima.
A diversa conclusione deve pervenirsi con riguardo alla determinazione degli oneri concessori. Invero, qui -diversamente dalle somme da corrispondersi a titolo di oblazione– il momento di calcolo degli oneri concessori va individuato, non già nella data di presentazione della domanda di condono, ma in quella di rilascio del provvedimento concessorio, tenuto conto che, ai sensi dell'art. 3 della legge n. 10/1977, la concessione (e non la semplice domanda) comporta "la corresponsione di un contributo commisurato all'incidenza delle spese di urbanizzazione, nonché al costo di costruzione".
In tal senso è l'elaborazione giurisprudenziale (CdS, V, 06.12.1999, n. 2056; id. 22.09.1999, n. 1113), secondo cui l'entità del contributo dovuto per oneri concessori va individuato nel momento in cui viene rilasciata la concessione edilizia, poiché il costo da considerare ai fini della commisurazione dei relativi oneri non può essere che quello del momento in cui sorge l'obbligazione, che è appunto quello del rilascio della concessione e a tale data occorre avere riguardo per determinare l'entità del contributo con applicazione della normativa vigente al momento del rilascio della concessione medesima (cfr., ex multis, Cons. di Stato V 25.10.1993, n. 1071, Cons. di Stato V 26.10.1987, n. 661, Cons. di Stato V 12.05.1987 n. 278, Cons. di Stato V 04.08.1986, n. 401; TAR Lazio, II-bis, 04.01.2005 n. 54).
Ed invero secondo l’art. 17, comma 8, della L.R. n. 4/2003, entrata in vigore nelle more procedurali, “gli oneri di urbanizzazione ed il contributo sul costo di costruzione relativo alle opere per le quali è stata presentata istanza di condono edilizio ai sensi dell’art. 39 della legge 23.12.1994, n. 724…….. sono quelli vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge….”. Ciò si spiega in quanto la concessione in sanatoria è una normale concessione edilizia, che però viene rilasciata dopo l’inizio dei lavori e con effetto sanante dell’attività già compiuta e riguardante opere nuove ed autonome già abusivamente realizzate (TAR Sicilia-Catania, Sez. I, sentenza 20.09.2010 n. 3748 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Piano di lottizzazione - Oneri concessori relativi a concessioni edilizie - Rideterminazione e conguaglio - C.d. monetizzazione - Nozione - Titolo convenzionale - L.R. Lombardia n. 60/1977 (norme di attuazione della L. n. 10/1977).
La c.d. monetizzazione -consistente nel pagamento di una somma di denaro in alternativa alla cessione gratuita di aree necessarie per le opere di urbanizzazione- è prevista dalla legge regionale lombarda 05.12.1977 n. 60 (norme di attuazione della legge 20.01.1977 n. 10) con esclusivo riferimento alla lottizzazione di aree edificabili.
Dalla disciplina in questione (in particolare art. 12, lett. a), ne discende che la monetizzazione, per un verso, presuppone un intervento subordinato al piano di lottizzazione (o a piano attuativo assimilabile); per altro verso ha fonte in un atto convenzionale (preordinato all’esecuzione del piano), che precede -essendone il presupposto- il rilascio delle singole concessioni edilizie.
Queste ultime non scontano, all’atto del rilascio, altro onere che il contributo di concessione nella sua duplice componente (oneri di urbanizzazione e quota commisurata al costo di costruzione), salvi i casi di gratuità totale o parziale. Mentre, l’art. 9 della stessa legge regionale n. 60 del 1977 (il quale si limita a disporre che il rilascio della concessione sia subordinato, ove occorra, alla “cessione al comune, a valore di esproprio o senza corrispettivo nei casi specifici previsti dalle normative vigenti, delle aree necessarie alla realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria, pertinenti all’intervento”) non legittima la monetizzazione in sede di rilascio della concessione edilizia; tanto meno quando la monetizzazione sia già stata definita in via convenzionale.
In altro termini, non v’è spazio, né in sede di rilascio della concessione edilizia, né in sede di rideterminazione o rettifica degli oneri concessori, per una monetizzazione volta a supplire alla (presunta) carenza di standard che non sia stata considerata in sede di (nel momento della) pianificazione attuativa.
Nel caso in esame esiste un titolo convenzionale che legittima la pretesa del Comune nei soli limiti pattuiti, risolvendosi ogni ulteriore imposizione non preventivamente deliberata (dagli organi competenti) e concordata (tra le parti) in una violazione contrattuale (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 17.09.2010 n. 6950 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Permesso di costruire - Contributi - In caso di variante - Criterio di computo.
2. Permesso di costruire - Contributi - Contributo di urbanizzazione - Nozione.

1. In caso di richiesta di variante edilizia, il nuovo provvedimento (da rilasciarsi con il medesimo procedimento previsto per l'adozione del permesso di costruire) è in posizione di sostanziale collegamento con quello originario, ravvisandosi, in tale rapporto di complementarietà e accessorietà, la caratteristica distinta del detto permesso in variante, che giustifica le peculiarità del regime giuridico cui è sottoposto sul piano sostanziale e procedimentale; pertanto, il contributo per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione deve essere calcolato sommando le opere dei due titoli edilizi e scomputando quanto già pagato al momento del rilascio del titolo originario.
2. Atteso che il presupposto per il pagamento del contributo di urbanizzazione è costituito dall'aumento del carico urbanistico, va tenuto presente che il concetto di carico urbanistico' non è definito dalla vigente legislazione, ma è in concreto preso in considerazione in vari istituti di diritto urbanistico, la cui nozione deriva dall'osservazione che ogni insediamento umano è costituito da un elemento c.d. primario (abitazioni, uffici, opifici, negozi) e da uno secondario di servizio (opere pubbliche in genere, strade, fognature, elettrificazione, servizio idrico, etc.) che deve essere proporzionato all'insediamento primario (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 08.09.2010 n. 5168 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Ogni volta che un’opera comporta un mutamento della situazione di fatto che permette un aumento dell’utilizzo di un immobile con aggravio per i servizi esistenti, si verifica un aumento del carico urbanistico e, quindi, si verifica il presupposto per il pagamento degli oo.uu..
La giurisprudenza ha chiarito che presupposto per il pagamento degli oneri è costituito dall’aumento del carico urbanistico. Il concetto di "carico urbanistico" non è definito dalla vigente legislazione, ma è in concreto preso in considerazione in vari istituti di diritto urbanistico.
Come reiteratamente affermato, questa nozione deriva dall'osservazione che ogni insediamento umano è costituito da un elemento cd. primario (abitazioni, uffici, opifici,negozi) e da uno secondario di servizio (opere pubbliche in genere, strade, fognature, elettrificazione, servizio idrico, etc.) che deve essere proporzionato all'insediamento primario (Cass. pen Sez. III 11.07.2007 n. 27045).
Ogni volta che un’opera comporta un mutamento della situazione di fatto che permette un aumento dell’utilizzo di un immobile con aggravio per i servizi esistenti, si verifica un aumento del carico urbanistico (TAR Lombadia-Milano, Sez. IV, sentenza 08.09.2010 n. 5168 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa traslazione della proprietà (o di altro diritto idoneo) dell’area comporta l’assoggettamento dell’avente causa all’obbligazione relativa agli oneri concessori solo ed in quanto questi acquista la posizione legittimante all’ottenimento della concessione, al cui rilascio è correlato l’assolvimento degli oneri stessi.
L’obbligazione consistente nel pagamento del contributo ex legge n. 10/1977 non costituisce un onere reale né rappresenta un’obbligazione propter rem, cioè un debito pecuniario che si trasferisce, automaticamente e forzosamente, su coloro che subentrano nella proprietà dell’area trasformata e/o edificata per effetto del rilascio della concessione qualora, all’atto del rilascio stesso, il contributo non sia stato in tutto o in parte assolto.

L’obbligazione relativa al pagamento del contributo dovuto per le trasformazioni urbanistiche ed edilizie che il Comune abbia facultato a realizzare attraverso il rilascio della concessione edilizia ai sensi della L. 28.01.1977, n. 10 è un’obbligazione personale, nel senso che essa grava su coloro dai quali la concessione stessa sia stata richiesta ed ai quali venga quindi accordata (i proprietari dell’area o coloro che abbiano titolo a domandarla: cfr. l’art. 4 della L. n. 10/1977).
Qualora la proprietà (o la titolarità di altro diritto idoneo al rilascio della concessione) sia trasferita prima che il richiedente l’abbia ottenuta, l’avente causa subentra anche nella posizione di aspirante al rilascio e, quindi, nella titolarità della concessione poi a lui rilasciata; e solo in questo caso l’obbligazione relativa al versamento del contributo compete al nuovo proprietario (o al nuovo titolare del diritto idoneo).
In definitiva, la traslazione della proprietà (o di altro diritto idoneo) dell’area comporta l’assoggettamento dell’avente causa all’obbligazione relativa agli oneri concessori solo ed in quanto questi acquista la posizione legittimante all’ottenimento della concessione, al cui rilascio è correlato l’assolvimento degli oneri stessi.
L’obbligazione consistente nel pagamento del contributo ex legge n. 10/1977 non costituisce un onere reale né rappresenta un’obbligazione propter rem, cioè un debito pecuniario che si trasferisce, automaticamente e forzosamente, su coloro che subentrano nella proprietà dell’area trasformata e/o edificata per effetto del rilascio della concessione qualora, all’atto del rilascio stesso, il contributo non sia stato in tutto o in parte assolto (cfr. l’art. 11 della L. n. 10/1977, sopra citato).
Sia gli oneri reali che le obbligazioni propter rem [ammesso che le due categorie siano tra loro distinte: il che viene negato da un’autorevole dottrina] costituiscono figure tipiche, o numerus clausus; la loro esistenza deriva, cioè, esclusivamente, da specifiche norme, vuoi civilistiche che pubblicistiche, le quali prevedano che soggetto passivo dell’obbligazione sia o divenga colui che del bene è o diviene proprietario (o, talvolta, possessore). Nessuna disposizione in tal senso è dato, assolutamente, rinvenire nella legge n. 10/1977.
Peraltro, trattandosi di vincolo o peso gravante sulla proprietà di un immobile (l’area trasformata o edificata in virtù della concessione edilizia), una previsione legislativa in tal senso avrebbe dovuto, imprescindibilmente, essere inserita e/o coordinata col regime civilistico della trascrizione di cui agli artt. 2643 e ss. del c.c.. Del che, pure, non v’è traccia nella legge n. 10/1977 (TAR Marche, sentenza 05.08.2010 n. 3266 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il contributo di cui alla l. 10/1977 prescinde totalmente dall’esistenza delle opere di urbanizzazione inerenti la nuova costruzione e deve essere corrisposto dal titolare della concessione edilizia quale che sia il livello di urbanizzazione dell’area oggetto della concessione edilizia, trattandosi non di un corrispettivo volto a rimborsare un costo, bensì di un diverso onere generalizzato a carattere contributivo paratributario mirante alla realizzazione dell’assetto urbanistico del territorio comunale nel suo complesso.
Il contributo per il rilascio della concessione edilizia (ora permesso di costruire) imposto dalla legge 28.01.1977, n. 10 (art. 3; v. ora art. 16 d.P.R. 06.06.2001, n. 380) e commisurato agli oneri di urbanizzazione, ha carattere generale perché prescinde totalmente dall’esistenza, o meno, delle singole opere di urbanizzazione; esso ha natura di prestazione patrimoniale imposta e viene determinato indipendentemente sia dall’utilità che il concessionario trae dal titolo edificatorio sia dalle spese effettivamente occorrenti per realizzare dette opere (Cons. St., sez. V, 15.12.2005, 7140).
Infatti, il contributo di cui alla l. 10/1977 prescinde totalmente dall’esistenza delle opere di urbanizzazione inerenti la nuova costruzione e deve essere corrisposto dal titolare della concessione edilizia quale che sia il livello di urbanizzazione dell’area oggetto della concessione edilizia, trattandosi non di un corrispettivo volto a rimborsare un costo, bensì di un diverso onere generalizzato a carattere contributivo paratributario mirante alla realizzazione dell’assetto urbanistico del territorio comunale nel suo complesso.
In termini generali, il fondamento del contributo di urbanizzazione -da versare al momento del rilascio di una concessione edilizia- non consiste nell’atto amministrativo in sé bensì nella necessità di ridistribuire i costi sociali delle opere di urbanizzazione, facendoli gravare sugli interessati che beneficiano delle utilità derivanti dalla presenza delle medesime, secondo modalità eque per la comunità (TAR Brescia, 07.11.2005, 115).
Alla luce, dunque, sia del chiaro disposto dell’art. 10 l. n. 10/1977, sia della predetta natura tributaria della componente in esame del contributo, deve ritenersi infondata la tesi dei ricorrenti, secondo cui l’aver già eseguito, in occasione del rilascio di una precedente concessione, le opere di urbanizzazione primaria esime gli stessi dal pagamento degli oneri di urbanizzazione al momento del rilascio di successive concessioni (TAR Puglia-Lecce, Sez. I, sentenza 21.07.2010 n. 1786 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Applicabilità del contributo di costruzione previsto all’art. 16 D.P.R. 380/2001 a caso specifico.
E’ chiesto parere in merito all’applicabilità del contributo di costruzione previsto all’art. 16 D.P.R. 380/2001 al caso specifico del rilascio di permesso di costruire richiesto da un coltivatore diretto e finalizzato al recupero, per l’esercizio di attività agrituristica, di una porzione dell’unico fabbricato rurale facente parte dell’azienda agricola, localizzato in centro abitato, zona RR totalmente o parzialmente edificata a prevalente tipologia rurale (Regione Piemonte, parere n. 72/2010 - link a www.regione.piemonte.it).

EDILIZIA PRIVATASecondo il Consiglio di Stato è corretta la decisione del Giudice che esclude che il ricorrente possa usufruire dell'esenzione dal pagamento degli oneri concessori, in ordine alla realizzazione di un edificio da adibire a ristorante, self-service, bar e pizzeria, atteso che tale attività, non rientrando nelle attività industriali o artigianali, non può beneficiare di tale esenzione.
L’art. 10 della legge 28.01.1977 n. 10 (c.d. legge Bucalossi) distingue, ai fini della determinazione del contributo di costruzione, gli edifici o impianti destinati ad attività industriale e artigianale dirette alla trasformazione dei beni e alla prestazione di servizi, dalle costruzioni od impianti destinati ad attività turistiche, commerciali o direzionali, prevedendo per i primi manufatti le agevolazioni contributive ed escludendole per i secondi.
Ora, parte interessata rivendica l’applicazione della norma di favore di cui al primo comma del citato art. 10, asserendo come l’attività svolta nell’immobile oggetto della concessione edilizia sarebbe di tipo industriale o artigianale; ma al riguardo il Collegio deve rilevare che nella specie non sussiste il presupposto di fatto e di diritto per farsi luogo al riconoscimento della chiesta esenzione dall’onere contributivo in discussione.
Invero, come pacificamente risulta dalle risultanze documentali, la concessione edilizia per cui è causa è stata rilasciata per la realizzazione di un edificio destinato ad ospitare un’attività di ristorante, self-service, bar e pizzeria; ed è dunque con esclusivo riferimento a tali tipologie di attività che occorre indagare in ordine alla natura dell’impresa che in tale fabbricato si va ad esercitare, ai fini della sussistenza o meno in capo alla Società ricorrente del diritto all’esenzione qui rivendicato.
Ora, se si vuole dare consistenza al contenuto delle attività sopra descritte, quanto all’accezione logica e naturale del concetto di commercio, deve convenirsi come è correlata ad un’attività di ristorante, self-service, bar e pizzeria l’effettuazione di operazioni di scambio di beni o prodotti e non v’è dubbio che un’attività di vendita di tal genere è certamente prevalente rispetto al confezionamento dei prodotti oggetto di scambio.
Un riscontro di tale differenziazione tra attività di tipo industriale e attività di tipo commerciale è ravvisabile, poi, come peraltro già messo in luce dal primo giudice, nelle definizioni recate dall’art. 2195 codice civile, lì dove si distingue un’attività industriale diretta alla produzione di beni o di servizi ed un’attività intermediaria nella circolazione dei beni, qual è, appunto, quella commerciale.
L’appellante, a sostegno della sua pretesa all’esenzione in questione, adduce la circostanza per cui nella specie l’impresa di ristorazione non si limita alla vendita dei prodotti, ma si occupa della elaborazione delle vivande e in ciò stesso si dovrebbe ravvisare un’attività (artigianale o industriale) qualificabile come produttiva di un servizio.
La tesi, per quanto suggestiva, non appare condivisibile, venendo, in particolare, smentita dal fatto che la preparazione dei prodotti attiene ad una fase del tutto eventuale e meramente propedeutica e che viene comunque assorbita dall’attività di distribuzione dei prodotti, che è e rimane la connotazione naturale e prevalente dell’attività di ristorazione ed in relazione alla quale il soggetto gestore dell’attività imprenditoriale in questione consegue il suo utile economico.
Se così è, dunque, deve convenirsi che nella specie non appare sussistente in capo all’appellante la condicio juris della presenza di un’attività industriale o artigianale, indispensabile per farsi luogo all’esenzione dal contributo concessorio ai sensi del più volte citato art. 10 della legge n. 10/1977, di talché devono condividersi le conclusioni cui è pervenuto il Tar (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 12.07.2010 n. 4488 - link a ww
w.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Determinazione contributo di costruzione - Art. 64 L.R. Lombardia n. 12/2005 - Interpretazione - Superficie lorda di pavimento resa abitativa - Accolto.
Il costo di costruzione per un intervento di ristrutturazione per il recupero del sottotetto deve essere calcolato sulla base della superficie lorda di pavimento resa abitativa, così come dispone l'art. 64 L.R. n. 12/2005, e non in relazione alla superficie complessiva che include alcune porzioni di fabbricato diverse da quelle rese abitative, in quanto la disposizione regionale sopracitata prevede espressamente questo come parametro di riferimento, ed il rinvio operato da tale disposizione alle opere di nuova costruzione riguarda solo le tariffe e non la superficie da prendere come riferimento (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 07.07.2010 n. 2779 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATASPECIALE REGIME DI GRATUITA' DELLA CONCESSIONE EDILIZIA.
1. Concessione - Regime di gratuità - Casi - Presupposti necessari.
2. Opere di urbanizzazione - Contributo - Esenzione - Disciplina - Applicazione della specifica normativa - Conseguenze.

1. Lo speciale regime di gratuità della concessione edilizia deriva dal requisito di carattere oggettivo, attinente al carattere pubblico o comunque di interesse generale delle opere da realizzare e da un requisito di carattere soggettivo, nel senso che le opere debbono essere eseguite da un ente istituzionalmente competente, ovvero da soggetti anche privati che non agiscano per scopo di lucro ovvero abbiano un legame istituzionale con l'azione dell'Amministrazione volta alla cura di interessi pubblici (Cons. Stato, sez. IV, 29-05-2009 n. 3359).
2. Non ricade nell'esenzione dal contributo per le opere di urbanizzazione, eseguite anche da privati, in attuazione di strumenti urbanistici, di cui all'art. 88 co. 1, L.R. n. 61/1985, l'opera costruita da privati per l'esercizio della propria attività (lucrativa o non) d'impresa, e ciò indipendentemente dalla rilevanza sociale dell'attività stessa; si tratta infatti di norma di stretta interpretazione, in quanto introduce ipotesi di deroga alla regola generale, la quale assoggetta a contributo tutte le opere che comportino trasformazione del territorio, in relazione agli oneri che la collettività, in dipendenza di esse, è chiamata a sopportare (Cons. Stato, sez. V, 12-07-2005 n. 3774) (massima tratta da http://mondolegale.it - TAR Veneto, Sez. II, sentenza 01.07.2010 n. 2779 - link a ww
w.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Convenzione Urbanistica attuativa di P.I.I. - Struttura cinematografica - Art. 20 D.L. n. 26/1994 - Oneri di urbanizzazione e costo di costruzione - Agevolazione - Interpretazione.
L'art. 20, c. 7, D.L. 14.01.1994 n. 26 convertito con L. n. 153 dell'01.03.1994, recante "interventi urgenti a favore del cinema", e relativo ad un particolare sistema di agevolazione nel rilascio delle concessioni edilizie, in forza del quale la volumetria necessaria per realizzare le sale cinematografiche non è computata nella determinazione della volumetria complessiva in base alla quale sono calcolati gli "oneri di concessione" (così testualmente definiti dalla legge) deve essere interpretato con riferimento ai soli oneri di urbanizzazione in quanto la volumetria degli edifici assume rilevanza esclusivamente in sede di quantificazione degli oneri di urbanizzazione ma non acquista rilievo alcuno allorché è determinato il costo di costruzione, che è commisurato al computo metrico estimativo dell'opera, considerata nel suo complesso.
Peraltro un'interpretazione di tale norma estensiva dell'agevolazione anche al contributo sul costo di costruzione, finirebbe di fatto per introdurre un regime di gratuità del permesso di costruire relativamente alle sale cinematografiche, che, andando in deroga alla regola generale dell'onerosità, avrebbe richiesto un'espressa previsione della gratuità dell'intervento da parte del legislatore così come è stato espressamente previsto dallo stesso negli altri casi di gratuità di determinati interventi edilizi (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 28.06.2010 n. 2644 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl mutamento della destinazione del fabbricato da residenziale a terziario, realizzato senza opere edilizie, non è soggetto a concessione edilizia ma resta pur sempre subordinato al pagamento dei maggiori oneri di urbanizzazione.
In ipotesi di variazione di destinazione d'uso di un immobile non accompagnata dalla realizzazione di opere, non sussiste il presupposto per il pagamento della parte di contributo afferente al costo di costruzione, da riferire al dato oggettivo della realizzazione dell'edificio
(ndr: fattispecie ante L.R. n. 12/2005).
Questo Tribunale (TAR Lombardia, Milano, sez. II, 17.02.1999 n. 611) ha escluso che sia soggetto al rilascio della concessione in sanatoria il cambio di destinazione d’uso in assenza di opere edilizie (c.d. cambio di destinazione d’uso funzionale).
E’ infatti noto che, secondo giurisprudenza consolidata, il mutamento di destinazione d’uso degli immobili non accompagnato da lavori edili costituisce espressione dello ius utendi e non dello ius aedificandi ed è pertanto escluso dall’ambito delle attività soggette a concessione edilizia (cfr., ex pluribus, CdS V 18/01/1988 n. 8; id., IV 23/11/1985 n. 551; id., 01/10/1993 n. 818; TAR Lombardia I n. 1782/1996, II nn. 66/88, 596/1993, 439/1995, 664/96, 127/1997, 1184/1998, III n. 441/1993).
La fattispecie non si presta quindi ad essere disciplinata dall’art. 13 della l. n. 47/1985, così come ha disposto il Comune.
Il mutamento della destinazione del fabbricato da residenziale a terziario, realizzato senza opere edilizie, non è quindi soggetto a concessione, ma resta pur sempre subordinato al pagamento dei maggiori oneri contributivi.
Infatti non esiste un collegamento necessario tra il rilascio di un titolo concessorio in sanatoria ed il pagamento degli oneri di urbanizzazione. La giurisprudenza (TAR Lombardia, Brescia, 10.03.2005, n. 145) ha chiarito che il fondamento del contributo di urbanizzazione non consiste nell'atto amministrativo in sé bensì nella necessità di ridistribuire i costi sociali delle opere di urbanizzazione, facendoli gravare sugli interessati che beneficiano delle utilità derivanti dalla presenza delle medesime, secondo modalità eque per la comunità (cfr. TAR Veneto, sez. II – 13/11/2001 n. 3699).
Pertanto, anche nel caso della modificazione della destinazione d'uso cui si correla un maggior carico urbanistico, è integrato il presupposto che giustifica l’imposizione al titolare del pagamento della differenza tra gli oneri di urbanizzazione dovuti per la destinazione originaria e quelli, se più elevati, dovuti per la nuova destinazione impressa: il mutamento è rilevante allorquando sussiste un passaggio tra due categorie funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico, qualificate sotto il profilo della differenza del regime contributivo in ragione di diversi carichi urbanistici, cosicché la circostanza che le modifiche di destinazione d’uso senza opere non sono soggette a preventiva concessione o autorizzazione sindacale non comporta ipso jure l’esenzione dagli oneri di urbanizzazione e quindi la gratuità dell’operazione (cfr., in tal senso, TAR Lombardia, Brescia 23/01/1998 n. 34).
Analogamente l’art. 5 c. 2 della L.R. 60/1977 stabilisce che le modificazioni delle destinazioni d'uso comportano, per quanto attiene all'incidenza degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria, un contributo commisurato sia alla eventuale maggior somma determinata in relazione alla nuova destinazione rispetto a quella che sarebbe dovuta per la destinazione precedente.
Tuttavia, a differenza di quanto effettuato dal Comune, non può applicarsi la quantificazione degli oneri prevista dall’art. 13 della L. 47/1985, che prevede il raddoppio degli oneri di urbanizzazione, in quanto il pagamento di tale contributo prescinde dal rilascio del titolo abilitativo in sanatoria.
Ne consegue che il provvedimento comunale deve essere annullato con riferimento alle somme pagate a titolo di oneri di urbanizzazione in quanto l’amministrazione ha provveduto alla quantificazione secondo disposizioni non applicabili al caso di specie e dovrà provvedere ad una nuova determinazione conformandosi a quanto previsto dall’art. 5, c. 2, della L.R. 60/1977.
Deve inoltre accogliersi il motivo di ricorso nella parte in cui contesta il pagamento del contributo di costruzione.
Questa sezione ha infatti stabilito che in ipotesi di variazione di destinazione d'uso di un immobile non accompagnata dalla realizzazione di opere, “non sussiste il presupposto per il pagamento della parte di contributo afferente al costo di costruzione, da riferire al dato oggettivo della realizzazione dell'edificio” (TAR Lombardia, Milano, sez. IV, 04.05.2009 n. 3604; TAR Lazio Roma, sez. II, 17.05.2005, n. 3844).
Infatti, il contributo relativo al costo di costruzione (art. 6 L. 28.01.1977 n. 10) è riconducibile all'attività costruttiva ex se considerata e, correlandosi direttamente all'uso edificatorio del suolo e ai potenziali vantaggi economici che ne discendono, è sostanzialmente configurabile alla stregua dei prelievi di natura paratributaria ed è dovuto solo in presenza di una trasformazione edilizia del territorio e in conseguenza della produzione di ricchezza connessa alla sua utilizzazione.
Avendo nel caso in questione la ricorrente provveduto, verosimilmente, al pagamento del costo di costruzione al momento del rilascio della concessione con destinazione residenziale si deve escludere la debenza di questa voce contribuitiva per il cambiamento di destinazione d’uso senza opere (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 10.06.2010 n. 1787 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa costruzione di una sala cinematografica è esente dal versamento degli oo.uu..
L'art. 20, commi 7 e 8, del D.L. 14.01.1994 n. 26, convertito in legge 01.03.1994 n. 153, è chiaro nel senso che “ai fini del rilascio delle concessioni edilizie, la volumetria necessaria per la realizzazione di sale cinematografiche non concorre alla determinazione della volumetria complessiva in base alla quale sono calcolati gli oneri di concessione”.
Pertanto non soltanto nelle due ipotesi previste (ripristino e trasformazione), secondo parte appellante, dalla delibera regionale, ma nella fattispecie principale –della costruzione della multisala cinematografica- non concorre (vi è esenzione) al calcolo della volumetria complessiva per il calcolo degli oneri di concessione (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 21.05.2010 n. 3229 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Le controversie sul contributo di concessione (ora contributo di costruzione), devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo a partire dalla legge 28.01.1977 n. 10 (art. 16), introducono un giudizio sul rapporto, che prescinde dall’impugnazione di atti.
La determinazione del contributo è, infatti, cosa diversa ed autonoma rispetto al rilascio del permesso di costruire, sia perché persegue finalità sue proprie, sia perché si conclude con un atto -concettualmente diverso da quello concessivo del titolo a costruire- che può essere contestato e caducato in sede giurisdizionale senza ripercussioni sul titolo edilizio.
Ciò dipende dalla natura del contributo, che, pur non avendo carattere strettamente tributario, si configura come corrispettivo di diritto pubblico connesso al rilascio della concessione edilizia, a titolo di partecipazione del concessionario ai costi delle opere di urbanizzazione in proporzione ai benefici che la nuova costruzione ne ritrae.
Si tratta, più specificamente, di una prestazione patrimoniale imposta (dovuta cioè a prescindere dall’utilità che riceve il concessionario e dalle spese effettivamente necessarie per l’esecuzione delle opere di urbanizzazione: da determinarsi sulla base delle norme che regolano i relativi criteri di conteggio, le quali sono cogenti sia per il contribuente (tenuto nei limiti di ciò che la legge dispone, in osservanza del principio enunciato dall’art. 23 Cost.), sia per l’Amministrazione (che non può richiedere importi diversi, in eccesso o in difetto, da quelli dovuti per legge).
Ciò implica, tra l’altro, che:
   (a) relativamente al contributo, il rapporto tra titolare del permesso edilizio e Amministrazione ha carattere paritetico, e non autoritativo, con conseguente esigenza di determinare ciò che è dovuto per legge, restando improponibili le censure tipiche dell’impugnativa dei provvedimenti amministrativi volte a far valere i c.d. vizi sintomatici dell’eccesso di potere;
   (b) la c.d. “’impugnazione” dell’atto di determinazione del contributo per vizi propri (per es., computo errato), comportando la lesione di un diritto (e non di un interesse legittimo), è proponibile nei termini di prescrizione;
   (c) in caso di errore (per difetto) nella liquidazione del contributo la P.A. può parimenti pretenderne l’integrazione (o il conguaglio) nel termine di prescrizione, così come a prescrizione è soggetta l’azione di ripetizione dell’interessato che, dopo avere pagato il contributo, ne chieda la restituzione -totale o parziale- per indebito oggettivo.
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... per l'annullamento del provvedimento 26/27.10.2007, prot. n. 17310, emesso dal responsabile dell’Area Tecnica, con cui il Comune ha rideterminato il contributo di costruzione per gli interventi edilizi eseguiti sull’area del complesso produttivo “ex Mellin” ed ha ingiunto alla ricorrente il pagamento di € 615.883,31 quale maggior somma dovuta a tale titolo; con la condanna del Comune al risarcimento del danno.
...
1. La Società ricorrente, già proprietaria dell’area denominata ex Mellin e dei sovrastanti immobili, siti in zona D1 “industriale e artigianale di completamento”, nel periodo 2003~2007 ha realizzato su detti immobili, successivamente alienati a terzi, interventi di ristrutturazione, sulla base di diverse denunce di inizio attività.
2. In base ad un accordo sostitutivo di provvedimento, ex art. 11 legge n. 241/1990, recepito con delibera consiliare 29.06.2005 n. 15, ha inoltre realizzato opere di urbanizzazione primaria (tratti di viabilità interna ed esterna al complesso industriale), a totale proprio carico e, a scomputo del contributo concessorio, interventi edilizi (rifacimento del tetto e opere di adeguamento igienico sanitario e impiantistico) su un edificio scolastico di proprietà comunale.
3. A due anni di distanza dall’accordo il Comune ha avviato un procedimento di riesame delle pratiche edilizie, finalizzato alla corretta qualificazione dell’intervento (cfr. avviso in data 26.05.2007, prot. n. 8477).
4. Al termine del contraddittorio procedimentale, con l’impugnato provvedimento 26/27.10.2007, emesso dal responsabile dell’Area Tecnica, il Comune ha riqualificato l’intervento, ha rideterminato il contributo di costruzione applicando la tariffa relativa agli interventi di nuova costruzione (anziché di ristrutturazione), ed ha ingiunto alla Società il pagamento di € 615.883,31 quale maggior somma dovuta a tale titolo.
5. La Società ha impugnato il provvedimento sulla base di tre motivi di ricorso, chiedendone l’annullamento, con la condanna del Comune al risarcimento del danno; danno concretatosi “nei costi tecnici, progettuali e di esecuzione che la ricorrente ha dovuto sostenere [per] le opere oggetto dell’accordo… completate e già in uso …” (ricorso, pag. 25), nonché (memoria 29.04.2010, pag. 24) per la stipula della polizza fideiussoria e le spese legali.
6. Con ordinanza 19.12.2007 n. 1971 la Sezione ha accolto la domanda cautelare per motivi esclusivamente attinenti al periculum in mora, subordinandola alla prestazione di garanzia fideiussoria.
7. Ciò premesso, il Collegio osserva quanto segue.
Con il primo motivo la Società assume che, essendo stati eseguiti gli interventi di ristrutturazione negli anni 2003-2006, sulla base di titoli edilizi consolidati, e per giunta confluiti nell’accordo sostitutivo, il Comune non avrebbe avuto alcun potere di procedere ad una nuova istruttoria volta alla riqualificazione dell’intervento, tanto meno dopo il silenzio-assenso formatosi sulle domande di agibilità presentate dalla ricorrente e dalla sua avente causa.
8. Con il secondo motivo assume che il Comune non avrebbe potuto rideterminarsi unilateralmente in difformità da quanto concordato in sede di accordo sostitutivo ex art. 11 legge 241/1990; che dal provvedimento impugnato non è dato evincere quale sia l’interesse pubblico che avrebbe indotto il Comune a riliquidare gli oneri concessori discostandosi da quanto pattuito; che l’art. 11, quarto comma, della legge 241/1990 prevede sì il recesso dall’accordo, ma solo per sopravvenuti motivi di interesse pubblico e previo indennizzo.
9. Con il terzo motivo assume che la ristrutturazione è una tipologia di intervento che comprende anche la demolizione e la ricostruzione parziale o totale nel rispetto della volumetria preesistente; nel caso di specie le opere realizzate in base a d.i.a. rientrerebbero appunto nella nozione di ristrutturazione, essendo la s.l.p. dell’edificio realizzato inferiore a quella dell’edificio originario; viceversa, il provvedimento impugnato, emesso in base a pareri redatti da professionisti esterni e ad una sentenza del TAR Marche, non recherebbe alcuna motivazione che dimostri un ipotetico errore di calcolo atto a giustificare, nell’esercizio dell’autotutela, una quantificazione degli oneri diversa da quella convenuta tra le parti in sede di accordo sostitutivo.
10. Il ricorso, cui resiste il Comune, è infondato.
Va premesso che le controversie sul contributo di concessione (ora contributo di costruzione), devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo a partire dalla legge 28.01.1977 n. 10 (art. 16), introducono un giudizio sul rapporto, che prescinde dall’impugnazione di atti.
11. La determinazione del contributo è, infatti, cosa diversa ed autonoma rispetto al rilascio del permesso di costruire, sia perché persegue finalità sue proprie, sia perché si conclude con un atto -concettualmente diverso da quello concessivo del titolo a costruire- che può essere contestato e caducato in sede giurisdizionale senza ripercussioni sul titolo edilizio (cfr. Cons. Stato IV 21.04.2009 n. 2438).
12. Ciò dipende dalla natura del contributo, che, pur non avendo carattere strettamente tributario, si configura come corrispettivo di diritto pubblico connesso al rilascio della concessione edilizia, a titolo di partecipazione del concessionario ai costi delle opere di urbanizzazione in proporzione ai benefici che la nuova costruzione ne ritrae (Cons. Stato 2^, 21.11.2007 n. 11073 e 10060/2004).
13. Si tratta, più specificamente, di una prestazione patrimoniale imposta (dovuta cioè a prescindere dall’utilità che riceve il concessionario e dalle spese effettivamente necessarie per l’esecuzione delle opere di urbanizzazione: Cons. Stato V, 21.04.2006 n. 2258), da determinarsi sulla base delle norme che regolano i relativi criteri di conteggio, le quali sono cogenti sia per il contribuente (tenuto nei limiti di ciò che la legge dispone, in osservanza del principio enunciato dall’art. 23 Cost.), sia per l’Amministrazione (che non può richiedere importi diversi, in eccesso o in difetto, da quelli dovuti per legge).
14. Ciò implica, tra l’altro, che:
   (a) relativamente al contributo, il rapporto tra titolare del permesso edilizio e Amministrazione ha carattere paritetico, e non autoritativo, con conseguente esigenza di determinare ciò che è dovuto per legge, restando improponibili le censure tipiche dell’impugnativa dei provvedimenti amministrativi volte a far valere i c.d. vizi sintomatici dell’eccesso di potere (TAR Milano 2^, 13.07.1998 nn. 1817 e 1820);
   (b) la c.d. “’impugnazione” dell’atto di determinazione del contributo per vizi propri (per es., computo errato), comportando la lesione di un diritto (e non di un interesse legittimo), è proponibile nei termini di prescrizione (Cons. Stato V, 03.05.2006 n. 2463);
   (c) in caso di errore (per difetto) nella liquidazione del contributo la P.A. può parimenti pretenderne l’integrazione (o il conguaglio) nel termine di prescrizione (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 06.06.2008 n. 2686; Sez. 2^, 21.11.2007 n. 11073 e 10060/2004), così come a prescrizione è soggetta l’azione di ripetizione dell’interessato che, dopo avere pagato il contributo, ne chieda la restituzione -totale o parziale- per indebito oggettivo.
15. Nel caso in esame, non sono dunque pertinenti le censure di difetto di motivazione, specie se riferite al provvedimento del Comune come atto di autotutela assunto in difetto di un interesse pubblico specificamente individuato (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 18.05.2010 n. 1566 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Contributo di concessione - Controversie sul contributo - Autonomia rispetto al rilascio del permesso di costruire - Sussiste.
2. Contributo di concessione - Natura giuridica.
3. Contributo di concessione - Natura giuridica - È prestazione patrimoniale imposta - Conseguenze.
4. Contributo di concessione - Interventi di ricostruzione preceduti da demolizione totale o parziale - Applicabilità del contributo previsto per le nuove costruzioni.

1. Le controversie sul contributo di concessione, ora contributo di costruzione, devolute alla giurisdizione esclusiva del G.A., introducono un giudizio sul rapporto, che prescinde dall'impugnazione di atti: la determinazione del contributo è, infatti, cosa diversa ed autonoma rispetto al rilascio del permesso di costruire, sia perché persegue finalità sue proprie, sia perché si conclude con un atto - concettualmente diverso da quello concessivo del titolo a costruire - che può essere contestato e caducato in sede giurisdizionale senza ripercussioni sul titolo edilizio (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 2438/2009).
2. Il contributo di concessione, pur non avendo carattere strettamente tributario, si configura come corrispettivo di diritto pubblico connesso al rilascio della concessione edilizia, a titolo di partecipazione del concessionario ai costi delle opere di urbanizzazione in proporzione ai benefici che la nuova costruzione ne ritrae (Cons. Stato 2^, 21.11.07 n. 11073 e 10060/2004).
3. Il contributo di concessione ha natura di prestazione patrimoniale imposta, da determinarsi sulla base delle norme che regolano i relativi criteri di conteggio, le quali sono cogenti sia per il contribuente, sia per la P.A.: da ciò discende, da un lato, che relativamente al contributo, il rapporto tra titolare del permesso edilizio e P.A. ha carattere paritetico, e non autoritativo, con conseguente esigenza di determinare ciò che è dovuto per legge, restando improponibili le censure tipiche dell'impugnativa dei provvedimenti amministrativi volte a far valere i c.d. vizi sintomatici dell'eccesso di potere (cfr. TAR Milano, sent. n. 1817/1998 e n. 1820/1998); dall'altro, che la c.d. "'impugnazione" dell'atto di determinazione del contributo per vizi propri, per esempio computo errato, comportando la lesione di un diritto, è proponibile nei termini di prescrizione (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 2463/2006); infine, che in caso di errore nella liquidazione del contributo, la P.A. può parimenti pretenderne l'integrazione o il conguaglio nel termine di prescrizione (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 2686/2008 e n. 11073/2007), così come a prescrizione è soggetta l'azione di ripetizione dell'interessato che, dopo avere pagato il contributo, ne chieda la restituzione -totale o parziale- per indebito oggettivo.
4. Ai sensi dell'art. 44, comma 10, L.R. 12/2005 gli interventi di ricostruzione preceduti da demolizione totale o parziale scontano il contributo concessorio previsto per le nuove costruzioni (cfr. TAR Milano, sent. n. 4455/2009) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 18.05.2010 n. 1566 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il contributo per gli oneri di urbanizzazione si ritiene non dovuto ogni qual volta l’intervento non sia idoneo a determinare un aggravio del carico urbanistico della zona.
Il contributo per gli oneri di urbanizzazione ha ordinariamente funzione sostitutiva delle relative opere; in particolare, assolve all’obiettivo di ridistribuire i costi sociali delle stesse avuto riguardo all’aggravamento del carico urbanistico che l’intervento considerato andrà a determinare nella specifica zona in cui è destinato a ricadere. Si ritiene infatti generalmente non dovuto ogni qual volta l’intervento stesso non sia idoneo a determinare un aggravio del carico urbanistico della zona (cfr. sul punto da ultimo Tar Campania, Napoli, 26.06.2008 n.6271).
Che per espressa prescrizione di legge il quantum di tali oneri venga determinato attraverso tabelle che assumono tra i parametri di riferimento anche le destinazioni di zona previste dallo strumento urbanistico generale, non è dubitabile. Tuttavia, il presupposto della richiamata disciplina è l’ontologica coincidenza tra la destinazione di zona e la destinazione d’uso del manufatto da realizzarsi; coincidenza dalla quale in regime ordinario non può prescindersi, pena l’illegittimità del titolo autorizzatorio cui il computo degli oneri si riconnette.
Siffatto presupposto, tuttavia, può rivelarsi insussistente in ipotesi di condono extra ordinem.
In tali casi, invero, oggetto di sanatoria è l’opera in sé considerata, quand’anche in contrasto con la destinazione della zona in cui è stata realizzata. Il titolo autorizzatorio viene eccezionalmente rilasciato –a certe condizioni- proprio in assenza della conformità del manufatto alle previsioni dello strumento urbanistico generale; in particolare ai parametri e alle destinazioni di zona. In buona sostanza, alle norme dettate per l’edificazione della zona stessa.
Proprio tali deroghe giustificano il rimedio e le procedure straordinari.
Se, pertanto, il principio ispiratore della normativa di settore è quello della corrispettività tra oneri di urbanizzazione e costi delle relative opere connesse all’edificazione, in ipotesi di non coincidenza tra la destinazione dell’intervento e quella della zona in cui lo stesso è stato realizzato (come nella fattispecie in esame), è necessario rintracciare un criterio correttivo che consenta di evitare distorsioni nell’ottica di sistema; che consenta cioè di salvaguardare l’intento perequativo e la corrispettività sottesi all’obbligo di contribuzione –diretta o indiretta- correlato alla realizzazione di nuovi interventi edilizi.
Per preservare, dunque, il sostanziale collegamento tra il contributo concretamente dovuto e la specifica entità edilizia cui esso si riferisce, intesa nella sua natura, destinazione e consistenza non rimane che un opzione: dovrà aversi riguardo non già alle astratte tipologie consentite dalla destinazione di zona bensì alla destinazione in concreto attuata dal manufatto, posto che –si ribadisce- oggetto di condono è proprio l’immobile in sé considerato, avulso dal contesto in cui lo stesso sia venuto a collocarsi.
Non vi osta il dato normativo (la legge sul condono opera un mero rinvio alla legge n. 10/1977 per il pagamento degli oneri e questa non fornisce i criteri per l’applicazione delle tabelle ivi contemplate alla peculiare fattispecie della non coincidenza tra destinazione d’uso e destinazione di zona); e diversamente opinando si perverrebbe ad un risultato in contrasto con il richiamato principio della corrispettività: si farebbero gravare sul singolo intervento non già i costi rapportati all’aumento del carico insediativo determinato dall’intervento stesso, bensì i costi di urbanizzazione dell’intera zona in relazione ad una destinazione (nel caso di specie artigianale-produttiva) che resterebbe comunque estranea alla zona de qua. Questa, invero, nel suo complesso, conserverebbe la destinazione originaria.
In buona sostanza risulterebbe tradito proprio il principio ispiratore di tutta la disciplina e la quantificazione degli oneri di urbanizzazione finirebbe per assumere –al pari dell’oblazione- una valenza sanzionatoria estranea allo spirito della legge. Come già rimarcato, le disposizioni in materia di condono (più specificamente l’art. 37 della legge n. 47/1985 e la Circolare Ministero LL.PP. n. 2241 del 17.06.1995) operano un mero rinvio alle norme della legge n. 10/1977 in materia di oneri di urbanizzazione da corrispondersi in aggiunta all’oblazione; di tali disposizioni, pertanto, mutuano inevitabilmente la ratio della corrispettività
(TAR Puglia-Bari, Sez. II, sentenza 05.05.2010 n. 1735 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Nel caso di condono edilizio, il momento rispetto al quale va calcolato l’importo degli oneri di urbanizzazione è quello di presentazione della domanda di condono e non già in quello di rilascio della concessione stessa.
Nel caso di concessione in sanatoria  ex art. 31 della legge n. 47/1985 la costruzione precede e non segue il rilascio del titolo, sicché la giurisprudenza ha individuato il momento rispetto al quale va calcolato l’importo degli oneri di urbanizzazione in quello di presentazione della domanda di condono e non già in quello di rilascio della concessione stessa, preso in considerazione dalla legge n. 10/1977 (e oggi dal T.U. edilizia) in relazione però all’ordinario regime edilizio (cfr. C.d.S., Sez. V, 17.09.2002, n. 4716) (TAR Puglia-Bari, Sez. II, sentenza 05.05.2010 n. 1735 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl contributo per gli oneri di urbanizzazione ha ordinariamente funzione sostitutiva delle relative opere; in particolare, assolve all’obiettivo di ridistribuire i costi sociali delle stesse avuto riguardo all’aggravamento del carico urbanistico che l’intervento considerato andrà a determinare nella specifica zona in cui è destinato a ricadere. Si ritiene infatti generalmente non dovuto ogni qual volta l’intervento stesso non sia idoneo a determinare un aggravio del carico urbanistico della zona.
In caso di abuso edilizio sanato col "condono edilizio", se il principio ispiratore della normativa del versamento degli oo.uu. è quello della corrispettività tra oneri di urbanizzazione e costi delle relative opere connesse all’edificazione, in ipotesi di non coincidenza tra la destinazione dell’intervento e quella della zona in cui lo stesso è stato realizzato è necessario rintracciare un criterio correttivo che consenta di evitare distorsioni nell’ottica di sistema; che consenta cioè di salvaguardare l’intento perequativo e la corrispettività sottesi all’obbligo di contribuzione –diretta o indiretta- correlato alla realizzazione di nuovi interventi edilizi: dovrà aversi riguardo non già alle astratte tipologie consentite dalla destinazione di zona bensì alla destinazione in concreto attuata dal manufatto, posto che –si ribadisce- oggetto di condono è proprio l’immobile in sé considerato, avulso dal contesto in cui lo stesso sia venuto a collocarsi.
Deve invero osservarsi che il contributo per gli oneri di urbanizzazione ha ordinariamente funzione sostitutiva delle relative opere; in particolare, assolve all’obiettivo di ridistribuire i costi sociali delle stesse avuto riguardo all’aggravamento del carico urbanistico che l’intervento considerato andrà a determinare nella specifica zona in cui è destinato a ricadere. Si ritiene infatti generalmente non dovuto ogni qual volta l’intervento stesso non sia idoneo a determinare un aggravio del carico urbanistico della zona (cfr. sul punto da ultimo Tar Campania, Napoli, 26.06.2008 n. 6271).
Che per espressa prescrizione di legge il quantum di tali oneri venga determinato attraverso tabelle che assumono tra i parametri di riferimento anche le destinazioni di zona previste dallo strumento urbanistico generale, non è dubitabile. Tuttavia, il presupposto della richiamata disciplina è l’ontologica coincidenza tra la destinazione di zona e la destinazione d’uso del manufatto da realizzarsi; coincidenza dalla quale in regime ordinario non può prescindersi, pena l’illegittimità del titolo autorizzatorio cui il computo degli oneri si riconnette.
Siffatto presupposto, tuttavia, può rivelarsi insussistente in ipotesi di condono extra ordinem.
In tali casi, invero, oggetto di sanatoria è l’opera in sé considerata, quand’anche in contrasto con la destinazione della zona in cui è stata realizzata. Il titolo autorizzatorio viene eccezionalmente rilasciato –a certe condizioni- proprio in assenza della conformità del manufatto alle previsioni dello strumento urbanistico generale; in particolare ai parametri e alle destinazioni di zona. In buona sostanza, alle norme dettate per l’edificazione della zona stessa.
Proprio tali deroghe giustificano il rimedio e le procedure straordinari.
Se, pertanto, il principio ispiratore della normativa di settore è quello della corrispettività tra oneri di urbanizzazione e costi delle relative opere connesse all’edificazione, in ipotesi di non coincidenza tra la destinazione dell’intervento e quella della zona in cui lo stesso è stato realizzato (come nella fattispecie in esame), è necessario rintracciare un criterio correttivo che consenta di evitare distorsioni nell’ottica di sistema; che consenta cioè di salvaguardare l’intento perequativo e la corrispettività sottesi all’obbligo di contribuzione –diretta o indiretta- correlato alla realizzazione di nuovi interventi edilizi.
Per preservare, dunque, il sostanziale collegamento tra il contributo concretamente dovuto e la specifica entità edilizia cui esso si riferisce, intesa nella sua natura, destinazione e consistenza non rimane che un opzione: dovrà aversi riguardo non già alle astratte tipologie consentite dalla destinazione di zona bensì alla destinazione in concreto attuata dal manufatto, posto che –si ribadisce- oggetto di condono è proprio l’immobile in sé considerato, avulso dal contesto in cui lo stesso sia venuto a collocarsi.
Non vi osta il dato normativo (la legge sul condono opera un mero rinvio alla legge n. 10/1977 per il pagamento degli oneri e questa non fornisce i criteri per l’applicazione delle tabelle ivi contemplate alla peculiare fattispecie della non coincidenza tra destinazione d’uso e destinazione di zona); e diversamente opinando si perverrebbe ad un risultato in contrasto con il richiamato principio della corrispettività: si farebbero gravare sul singolo intervento non già i costi rapportati all’aumento del carico insediativo determinato dall’intervento stesso, bensì i costi di urbanizzazione dell’intera zona in relazione ad una destinazione (nel caso di specie artigianale-produttiva) che resterebbe comunque estranea alla zona de qua. Questa, invero, nel suo complesso, conserverebbe la destinazione originaria.
In buona sostanza risulterebbe tradito proprio il principio ispiratore di tutta la disciplina e la quantificazione degli oneri di urbanizzazione finirebbe per assumere –al pari dell’oblazione- una valenza sanzionatoria estranea allo spirito della legge. Come già rimarcato, le disposizioni in materia di condono (più specificamente l’art. 37 della legge n. 47/1985 e la Circolare Ministero LL.PP. n. 2241 del 17.06.1995) operano un mero rinvio alle norme della legge n. 10/1977 in materia di oneri di urbanizzazione da corrispondersi in aggiunta all’oblazione; di tali disposizioni, pertanto, mutuano inevitabilmente la ratio della corrispettività (TAR Puglia-Bari, Sez. II, sentenza 05.05.2010 n. 1734 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Gli oneri concessori sono a carico di chi richiede l'autorizzazione edilizia e non dell'acquirente dell'opera realizzata in base al titolo.
E’ invero pacifico (art. 4 legge n. 10/1977) che gli oneri di costruzione connessi al rilascio di una concessione edilizia debbano essere assolti da colui che chiede l’autorizzazione e, successivamente, realizza le opere di trasformazione edilizia ed urbanistica assentite, ovvero dai suoi successori o aventi causa nella titolarità del titolo edilizio subentrati nell’esercizio dell’attività edificatoria, restando infondata la pretesa di rivolgere la richiesta di tale adempimento ai soggetti acquirenti delle opere realizzate in forza dell’autorizzazione edilizia (cfr: Cass. Civ., III, 17.06.1996 n. 5541) (TAR Sardegna, Sez. II, sentenza 04.05.2010 n. 1079 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA Quesito 1 - Quanto alla determinazione degli oneri di urbanizzazione in sede di rilascio di concessione edilizia (Geometra Orobico n. 2/2010).

EDILIZIA PRIVATAAggiornamento oneri di urbanizzazione.
Il quesito è posto in materia di aggiornamento dell’entità degli oneri di urbanizzazione (Regione Piemonte, parere n. 24/2010 - link a www.regione.piemonte.it).

EDILIZIA PRIVATA: Installazione impianti per produzione energia.
Vengono posti due quesiti inerenti al tema –frequentatissimo in questo periodo di tempo– dell’installazione di impianti per la produzione di energia mediante l’impiego di fonti rinnovabili, con particolare riguardo al titolo abilitativo ed alla gratuità dell’intervento (Regione Piemonte, parere n. 11/2010 - link a www.regione.piemonte.it).

EDILIZIA PRIVATA: Applicabilità riduzione nel calcolo del contributo di costruzione.
E’ chiesto parere in merito all’eventuale applicabilità di riduzioni nel calcolo del contributo di costruzione nel caso di edificio interessato da domanda di permesso di costruire per mutamento di destinazione d’uso con opere edilizie (Regione Piemonte, parere n. 10/2010 - link a www.regione.piemonte.it).

EDILIZIA PRIVATA: Ristrutturazione edilizia attuata con demolizione e ricostruzione. Onerosità.
Si chiede parere in merito all’onerosità –ovvero all’eventuale gratuità– di un intervento di ristrutturazione edilizia da attuarsi mediante demolizione e ricostruzione di un fabbricato preesistente (...continua) (Regione Piemonte, parere n. 1/2010 - tratto da www.regione.piemonte.it).

EDILIZIA PRIVATA: Oneri di urbanizzazione secondaria - Perequazione urbanistica - Significato.
Gli oneri di urbanizzazione secondaria e la cessione di aree rientrano anche nel concetto di perequazione urbanistica, nel senso che attraverso queste voci si determina il giusto prezzo dovuto dai proprietari per il riconoscimento dei diritti edificatori.
Certamente una frazione dell'importo va commisurata (secondo l'impostazione tradizionale) alle opere e alle aree pubbliche necessarie al fine di garantire alla nuova edificazione un ambito territoriale dotato di adeguati servizi, ma i proprietari che edificano devono pagare un prezzo anche per il fatto che attraverso l'assegnazione dei diritti edificatori l'ente pubblico sacrifica beni collettivi (quali l'ambiente, il paesaggio, la naturalità degli spazi liberi, la qualità della vita urbana, il minore livello di traffico e di inquinamento) e impone ad altri proprietari di non edificare per non compromettere in modo eccessivo i suddetti beni su scala comunale (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 21.04.2010 n. 1580 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Ai fini del calcolo del contributo concessorio dovuto per il condono edilizio rileva l’incremento del carico urbanistico derivante dall’abuso edilizio nel suo insieme, ovvero la partecipazione dell’immobile, nella nuova conformazione, all’utilità derivante dall’urbanizzazione esistente.
Ai fini del calcolo del contributo concessorio dovuto per il condono edilizio rileva l’incremento del carico urbanistico derivante dall’abuso edilizio nel suo insieme, ovvero la partecipazione dell’immobile, nella nuova conformazione, all’utilità derivante dall’urbanizzazione esistente: ciò giustifica la contestata richiesta economica dell’amministrazione, finalizzata a far partecipare il concessionario ai costi delle opere di urbanizzazione in proporzione ai benefici che la costruzione, nell’assetto condonato, ne ritrae; non rileva in senso contrario la realizzazione, ultimata da tempo, delle opere di urbanizzazione (Cons. Stato, IV, 24/12/2009, n. 8757) (TAR Toscana, Sez. III, sentenza 06.04.2010 n. 928 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Permesso di costruire in sanatoria ex D.Lgs. n. 269/2003 - Contributo di urbanizzazione e costo di costruzione - Tariffe vigenti - Art. 6 L.R. n. 31/2004 - Legittimità costituzionale.
In relazione al fatto se gli oneri di urbanizzazione ed il costo di costruzione dovuti ai fini della sanatoria debbano essere commisurati alle tariffe vigenti al momento del deposito dell'istanza di sanatoria o a quelle vigenti al tempo del rilascio del titolo edilizio, dispone l'art. 4, c. 6, L.R. 03.11.2004 n. 31 nel senso che la determinazione deve effettuarsi tenendo conto del regime tariffario in vigore al momento di adozione del permesso di sanatoria, essendo stata tale soluzione interpretativa ritenuta costituzionalmente legittima (v. ordinanza Corte Cost. n. 105/2010) in quanto la scelta normativa della Regione Lombardia rappresenta "un bilanciamento di interessi che può solo essere effettuato dal legislatore" (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 30.03.2010 n. 833 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Contributo di costruzione - Obbligo di restituzione, da parte della P.A. delle somme corrisposte - Sussiste laddove il privato rinunci al permesso di costruire o sia intervenuta la decadenza del titolo edilizio.
2. Contributo di costruzione - Obbligo di restituzione, da parte della P.A. delle somme corrisposte - In caso di utilizzo soltanto parziale del permesso di costruire per realizzazione di parte delle opere edilizie previste - Sussiste per la quota di contributo di costruzione che è stata calcolata con riferimento alle opere non realizzate.
3. Contributo di costruzione - Obbligo di restituzione, da parte della P.A. delle somme corrisposte - Decorrenza del termine di prescrizione - Dalla data in cui il titolare comunica all'Amministrazione la propria intenzione di rinunciare al titolo abilitativo o dalla data di adozione, da parte della P.A. del provvedimento che dichiara la decadenza del permesso di costruire.
4. Restituzione di somme indebitamente riscosse da parte della P.A. - Diritto del privato agli interessi legali - Sussiste.
5. Risarcimento del maggior danno rispetto agli interessi legali richiesto a colui che abbia ricevuto in buona fede un pagamento indebito - Va valutato con riguardo al periodo successivo alla presentazione della domanda di restituzione delle somme indebitamente pagate.

1. Quando il privato rinunci al permesso di costruire o anche quando sia intervenuta la decadenza del titolo edilizio -per scadenza dei termini iniziali o finali o per il sopravvenire di previsioni urbanistiche introdotte o dallo strumento urbanistico o da norme legislative o regolamentari, contrastanti con le opere autorizzate e non ancora realizzate- sorge in capo alla P.A. l'obbligo di restituzione delle somme corrisposte a titolo di contributo per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione e, conseguentemente, il diritto del privato a pretenderne la restituzione, in quanto il contributo concessorio è strettamente connesso all'attività di trasformazione del territorio. Pertanto, ove tale circostanza non si verifichi, il relativo pagamento risulta privo di causa, cosicché l'importo versato va restituito.
2. Il diritto alla restituzione sorge non solamente nel caso in cui la mancata realizzazione delle opere sia totale, ma anche ove il permesso di costruire sia stato utilizzato soltanto parzialmente, tenuto conto che sia la quota degli oneri di urbanizzazione che la quota relativa al costo di costruzione sono correlati, sia pure sotto profili differenti, all'oggetto della costruzione.
L'avvalimento solo parziale delle facoltà edificatorie consentite da un permesso di costruire comporta dunque il sorgere, in capo al titolare, del diritto alla rideterminazione del contributo ed alla restituzione della quota di esso che è stata calcolata con riferimento alla porzione non realizzata.
3. Ai sensi dell'art. 2935 c.c. il termine di prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere e, dunque, dalla data in cui il titolare comunica all'Amministrazione la propria intenzione di rinunciare al titolo abilitativo o dalla data di adozione, da parte della P.A. del provvedimento che dichiara la decadenza del permesso di costruire per scadenza dei termini iniziali o finali o per l'entrata in vigore delle previsioni urbanistiche contrastanti.
4. Il privato, sulle somme indebitamente riscosse dalla P.A., ha diritto agli interessi legali i quali, qualora non vi siano elementi che escludano la buona fede dell'Amministrazione, spettano dalla data della domanda.
5. Il risarcimento del maggior danno, rispetto agli interessi legali, richiesto a colui che abbia ricevuto in buona fede un pagamento indebito ai sensi dell'art. 2033 c.c., riguarda il periodo successivo alla presentazione della domanda, essendo irrilevante l'allegazione e la dimostrazione di aver dovuto fare ricorso ad oneroso credito bancario in periodo precedente la presentazione della domanda di restituzione (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 24.03.2010 n. 728 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAAllorché il privato rinunci al permesso di costruire o anche quando sia intervenuta la decadenza del titolo edilizio sorge in capo alla p.a. l’obbligo di restituzione delle somme corrisposte a titolo di contributo per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione e conseguentemente il diritto del privato a pretenderne la restituzione.
Il diritto alla restituzione sorge non solamente nel caso in cui la mancata realizzazione delle opere sia totale ma anche ove il permesso di costruire sia stato utilizzato solo parzialmente.
L’avvalimento solo parziale delle facoltà edificatorie consentite da un permesso di costruire comporta il sorgere in capo al titolare del diritto alla rideterminazione del contributo ed alla restituzione della quota di esso che è stata calcolata con riferimento alla porzione non realizzata.
Il termine di prescrizione, nel restituire la quota di contributo di costruzione versata per mancata edificazione, comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere, e, dunque, dalla data in cui il titolare comunica alla amministrazione la propria intenzione di rinunciare al titolo abilitativo o dalla data di adozione da parte della p.a. del provvedimento che dichiara la decadenza del permesso di costruire per scadenza dei termini iniziali o finali o per l’entrata in vigore delle previsioni urbanistiche contrastanti.
Sulle somme indebitamente riscosse dalla p.a., la ricorrente ha diritto agli interessi legali, che, non essendovi elementi per escludere la buona fede dell’amministrazione, spettano dalla data della domanda.
La giurisprudenza è concorde nel ritenere che, allorché il privato rinunci al permesso di costruire o anche quando sia intervenuta la decadenza del titolo edilizio -per scadenza dei termini iniziali o finali o per il sopravvenire di previsioni urbanistiche introdotte o dallo strumento urbanistico o da norme legislative o regolamentari, contrastanti con le opere autorizzate e non ancora realizzate- sorga in capo alla p.a. l’obbligo di restituzione delle somme corrisposte a titolo di contributo per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione e conseguentemente il diritto del privato a pretenderne la restituzione (cfr. TAR Abruzzo, Pescara, 15.12.2006, n. 890; Cons. Stato, sez. V, 22.02.1988, n. 105). Il contributo concessorio è, difatti, strettamente connesso all’attività di trasformazione del territorio, quindi, ove tale circostanza non si verifichi, il relativo pagamento risulta privo di causa cosicché l’importo versato va restituito (Cons. Stato, sez. V, 12.06.1995, n. 894; Tar Lazio, Roma, sez. II-bis, 12.03.2008, n. 2294).
Il Collegio è dell’avviso che il diritto alla restituzione sorga non solamente nel caso in cui la mancata realizzazione delle opere sia totale ma anche ove il permesso di costruire sia stato utilizzato solo parzialmente, come è accaduto nel caso di specie in cui è stato edificato solamente un capannone industriale e non anche un edificio uso ufficio, come, invece, previsto nel titolo edilizio.
Sia la quota per oneri di urbanizzazione -che compensa l’aggravio del carico urbanistico della zona indotto dalla nuova costruzione- che la quota per costo di costruzione -che si giustifica per l'aumentata capacità contributiva del titolare ed è pertanto commisurata al valore economico del costo di costruzione, determinato sulla base di parametri generali– sono, difatti, correlati, sia pur sotto profili differenti, all’oggetto della costruzione: la realizzazione solamente di uno dei due edifici oggetto del permesso di costruire non può che comportare una riduzione dell’aggravio del carico urbanistico della zona e manifestare una minore capacità contributiva rispetto all’ipotesi in cui entrambe le opere assentite fossero edificate.
L’avvalimento solo parziale delle facoltà edificatorie consentite da un permesso di costruire comporta, pertanto, il sorgere in capo al titolare, del diritto alla rideterminazione del contributo ed alla restituzione della quota di esso che è stata calcolata con riferimento alla porzione non realizzata.
Ai sensi dell’art. 2935 c.c., il termine di prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere, e, dunque, dalla data in cui il titolare comunica alla amministrazione la propria intenzione di rinunciare al titolo abilitativo o dalla data di adozione da parte della p.a. del provvedimento che dichiara la decadenza del permesso di costruire per scadenza dei termini iniziali o finali o per l’entrata in vigore delle previsioni urbanistiche contrastanti.
Il Collegio non condivide quindi la posizione assunta dalla amministrazione, non potendo la prescrizione iniziare a decorrere da un momento, quello del rilascio del titolo edilizio, in cui il diritto alla restituzione del contributo non è ancora sorto non essendosi ancora verificati i fatti impeditivi della edificazione sopra richiamati.
Il principio affermato nella sentenza del Consiglio di Stato, 13.06.2003, n. 3332, richiamata dalla difesa dell’amministrazione comunale non trova quindi applicazione nel caso di specie: tale pronuncia, nell’individuare nel rilascio della concessione edilizia il momento da cui inizia a decorrere la prescrizione, fa, difatti, riferimento ad un diritto differente rispetto a quello oggetto della presente controversia, cioè quello del Comune al pagamento del contributo.
Sulle somme indebitamente riscosse dalla p.a., la ricorrente ha diritto agli interessi legali, che, non essendovi elementi per escludere la buona fede dell’amministrazione, spettano dalla data della domanda.
Non spetta, invece, il risarcimento del maggior danno.
L'eventuale maggior danno, rispetto agli interessi legali, richiesto a colui che abbia ricevuto in buona fede un pagamento indebito, ai sensi dell'art. 2033 c.c., riguarda il periodo successivo alla presentazione della domanda; irrilevante, di conseguenza, è l'allegazione e dimostrazione di aver dovuto far ricorso ad oneroso credito bancario in periodo precedente la presentazione della domanda di restituzione (Cassazione civile, sez. lav., 13.04.2007, n. 8921).
La documentazione allegata dalla ricorrente non può, quindi, ritenersi sufficiente ad assolvere l’onere della prova in quanto dimostra una situazione di difficoltà economica della società ed il ricorso al credito bancario in un momento antecedente al 16.10.2001, data in cui la società ricorrente ha domandato al Comune la restituzione dei quanto indebitamente corrisposto
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 24.03.2010 n. 728 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Oneri di urbanizzazione - Contestazione vertente sulla quantificazione - Giurisdizione esclusiva del G.A. - Sussiste - Pretesa del privato diretta alla esatta determinazione del contributo dovuto - Si atteggia come diritto soggettivo.
Una contestazione che verta sulla quantificazione degli oneri di urbanizzazione, rientranti nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi dell'art. 16 della L. n. 10/1977, e la pretesa del privato diretta alla esatta determinazione del contributo dovuto, si atteggia come diritto soggettivo, la cui azionabilità non è subordinata né all'impugnativa di un atto amministrativo formale, né all'osservanza del termine perentorio di decadenza, bensì di quello ordinario di prescrizione (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 11.03.2010 n. 584 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Esenzione del contributo di costruzione - Art. 17 d.P.R. 380/2001 - Concetto di imprenditore agricolo - Richiamo all’art. 9 L. n. 10/1977 - Riforma in senso estensivo dell’art. 2135 c.c. - Estraneità - Nozioni parallele di impresa agricola.
Con l’art. 17 del d.P.R. n. 380/2001, il legislatore, pur in presenza di una pressoché coeva riforma in senso estensivo del concetto di imprenditore agricolo dettato dall’art. 2135 c.c., ha persistito nel richiamare una risalente normativa dettata in specifico per l’agricoltura (art. 9 L. n. 10/1977) e non la rinnovata e generalizzata nozione di imprenditore agricolo.
Non è infatti precluso che l’ordinamento mantenga più parallele nozioni di “impresa agricola” in ragione delle diverse finalità per cui detta nozione viene definita; l’esenzione dal contributo di costruzione si collega ragionevolmente al ritenuto minor impatto sul carico urbanistico che ovviamente potrà assumere caratteristiche del tutto differenti a seconda della natura più o meno intensiva dell’attività, e conseguentemente dal maggior o minore impatto ambientale che essa comporta (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 01.03.2010 n. 1302 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATALa cartella esattoriale costituisce uno strumento in cui viene enunciata una pregressa richiesta di natura sostanziale e non possiede alcuna autonomia. Pertanto deve essere impugnata dinanzi al giudice competente a decidere in ordine al rapporto cui la cartella stessa è funzionale, a nulla valendo che l'atto non contenga una puntuale indicazione della fonte del credito fatto valere.
In particolare, la cognizione della controversia attinente la richiesta, mediante cartella esattoriale, di pagamento del contributo per gli oneri di urbanizzazione e conseguenti sanzioni, appartiene alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, prevista dall'art. 16 l. 28.01.1977 n. 10.

Può quindi passarsi alla disamina del ricorso per motivi aggiunti con il quale il ricorrente ha impugnato la cartella esattoriale notificatagli da Equitalia Nomos in data 10.07.2009, con la quale viene richiesto il pagamento di € 10.088,10.
Va respinta l’eccezione di difetto di giurisdizione sollevato, con la memoria depositata in data 03.12.2009, dalla difesa dell’Amministrazione.
Invero, la cartella esattoriale costituisce uno strumento in cui viene enunciata una pregressa richiesta di natura sostanziale e non possiede alcuna autonomia. Pertanto deve essere impugnata dinanzi al giudice competente a decidere in ordine al rapporto cui la cartella stessa è funzionale, a nulla valendo che l'atto non contenga una puntuale indicazione della fonte del credito fatto valere (cfr. Cons. giust. amm. 14.09.2009 n. 790, TAR Lazio sez. II 26.06.2009 n. 6253 e Cass. SS. UU. 08.02.2008 n. 3001).
In particolare, la cognizione della controversia attinente la richiesta, mediante cartella esattoriale, di pagamento del contributo per gli oneri di urbanizzazione e conseguenti sanzioni, appartiene alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, prevista dall'art. 16 l. 28.01.1977 n. 10 (cfr. Cass. Civ., SS. UU., 20.10.2006 n. 22514) (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 11.01.2010 n. 5 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: P.R.G. del Comune. Applicazione norme di attuazione in assenza di disposizioni normative nazionali e regionali.
Vengono chiesti quattro distinti pareri su specifiche questioni in materia edilizia.
1- Con il primo quesito il Comune segnala che “in passato è stato permesso il recupero di strutture adibite a fienili o altro in zona centro storico, purché chiuse su tre lati (così veniva detto verbalmente); le norme del piano riportano: “nel centro storico è concessa la ristrutturazione edilizia di tipo A per l’utilizzazione per fini abitativi delle strutture tecniche originariamente destinate al servizio agricolo, con l’esclusione delle tettoie, quando tali strutture tecniche siano sostanzialmente incorporate nel nucleo abitativo preesistente”.
Il Comune chiede di sapere “in che cosa differisce una struttura tecnica da portico” e se “la chiusura su tre lati è conditio sine qua non”.
Segnala, altresì, il Comune che “spesso ci si è trovati di fronte a fabbricati accatastati in un modo (esempio in classe A4), generalmente prima di una compravendita, e in realtà si tratta di fabbricati utilizzati come fienile o magazzini e non si trova in Comune un’adeguata pratica di cambio di destinazione d’uso”.
A tal proposito, chiede il Comune di sapere “come occorre comportarsi in tali casi, se occorre prendere atto della pratica di accatastamento oppure richiedere una pratica di cambio di destinazione d’uso”.
2- Il Comune richiedente segnala che le norme di P.R.G.C. recitano: “Non sarà ammessa in alcun caso la realizzazione di recinzioni cieche per nuove delimitazioni fondiarie” e “In tutte le zone indicate dal Piano regolatore generale le recinzioni verso le vie pubbliche e gli spazi pubblici ad uso pubblico e le vie private debbono essere “a giorno” e non superare l’altezza massima di mt. 2. Esse dovranno essere costruite nella parte fuori terra da uno zoccolo in muratura di mattoni o in calcestruzzo di altezza non superiore a mt. 0,50 dal suolo, sormontato da rete metallica o da cancellata metallica, tali da consentire il massimo di visibilità trasversale. Possono essere concesse autorizzazioni in deroga, a quanto prescritto in caso di restauro e completamento di recinzioni esistenti o muri divisori esistenti, quando non si abbiano, ad esclusivo giudizio della Commissione Edilizia, a riscontrare ragioni negative da carattere tecnico ed estetico”.
Chiede, dunque, il Comune di sapere se “una recinzione costituita da un muro alto 1,60 mt. con delle vedute a semiluna, situata sul confine tra una zona compromessa e aree agricole possa essere di danno a diritti di terzi”.
3- Con il terzo quesito, il Comune chiede di sapere se “è possibile la realizzazione di una scala per accedere ad un edificio a confine con una piazza pubblica o queste vengono considerate alla stregua di strade pubbliche e come tale anche una semplice scala deve arretrare di x metri”.
4- Con il quarto quesito, il Comune chiede di sapere
se “nel caso di oneri pagati per una ristrutturazione che successivamente, per vari motivi, non si vuole più eseguire, l’Ente Comunale è tenuto a restituire la somma versata per il rilascio degli oneri (Regione Piemonte, parere n. 2/2010 - link a www.regione.piemonte.it).

EDILIZIA PRIVATA: Ristrutturazione edilizia attuata con demolizione e ricostruzione. Onerosità.
Si chiede parere in merito all’onerosità –ovvero all’eventuale gratuità– di un intervento di ristrutturazione edilizia da attuarsi mediante demolizione e ricostruzione di un fabbricato preesistente (
Regione Piemonte, parere n. 1/2010 - tratto da www.regione.piemonte.it).

anno 2009

EDILIZIA PRIVATAContributo di costruzione per realizzazione impianto fotovoltaico.
Viene richiesto a questo Servizio un parere in ordine all’esonero dal contributo di costruzione previsto per gli impianti relativi alle fonti rinnovabili di energia (Regione Piemonte, parere n. 116/2009 - tratto da www.regione.piemonte.it).

EDILIZIA PRIVATA: Lombardia, Necessita aggiornare il costo di costruzione entro il 31.12.2009 i cui effetti esplicheranno efficacia a decorrere dall'01.01.2010: ecco il fac-simile di determinazione (file 1 - file 2).
ATTENZIONE: se non si adotta la determinazione di aggiornamento entro la suddetta scadenza per tutto il 2010 si dovrà applicare il medesimo costo di costruzione vigente nell'anno 2009 (cfr. art. 48, comma 2, della L.R. n. 12/2005).
Inoltre, è inutile aspettare la fine di dicembre 2009 per adottare la determinazione nell'intento di avere una maggiore variazione ISTAT (da far valere per il 2010) poiché "
l'indice di costo di costruzione di un fabbricato residenziale, su proroga concessa da Eurostat, è in corso di cambio base (2005=100), pertanto è sospesa la pubblicazione degli indici per tutti i mesi del 2009. Il rilascio avverrà presumibilmente a gennaio 2010 con la nuova base" (comunicato ISTAT).
Pertanto, è meglio adottare subito la determinazione de qua prima di dimenticarsi ...

EDILIZIA PRIVATA: Applicazione artt. 16-17 D.P.R. 380/2001 in area agricola.
E’ chiesto parere in merito all’applicazione degli artt. 16 e 17 del D.P.R. n. 380/2001 in area agricola.
Il Comune richiedente presenta, in particolare, tre quesiti del seguente tenore:
1) con riferimento ai requisiti delle figure professionali operanti in agricoltura, si chiede di chiarire quali siano i casi di esenzione al pagamento del contributo di costruzione di cui all’art. 17, comma 3, lettera a) del D.P.R. n. 380/2001 e s.m.i.;
2) in caso di applicazione del contributo di costruzione in area agricola, si chiede di chiarire quali siano i parametri da utilizzare per il calcolo degli oneri di urbanizzazione e del costo di costruzione di cui all’art. 16 del D.P.R. 380/2001 e s.m.i.;
3) in caso di applicazione del contributo di costruzione in area agricola, si chiede di chiarire se sia comunque richiesta la presentazione dell’atto di impegno previsto dall’art. 25, comma 7, della L.R. 56/1977 e s.m.i. (Regione Piemonte, parere n. 110/2009 - tratto da www.regione.piemonte.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Concessione edilizia - Ipotesi di gratuità - Non sussiste.
2. Concessione edilizia - Agibilità - Diniego - Legittimità.
3. Concessione edilizia - Oneri - Costo di costruzione - Attività industriali - Esclusione.

1. L'esenzione dal pagamento dei contributi di costruzione, prevista dall'art. 9, comma 1, lett. f), l. 28.01.1977 n. 10, spetta solo con riferimento alle opere realizzate per il raggiungimento delle finalità istituzionali di una pubblica amministrazione e che pertanto, anche se eseguite da un soggetto privato in regime di concessione o altro istituto analogo, sono destinate a pervenire nel patrimonio dell'amministrazione stessa; di conseguenza, se invece una società, anche se costituita da un ente pubblico per il conseguimento di sue finalità, realizza una struttura al fine di utilizzarla nell'ambito della sua attività d'impresa, viene a mancare la stessa ratio della concessone dell'esenzione, che è quella di evitare una contribuzione a carico di un'opera destinata a soddisfare esclusivamente interessi generali (Consiglio Stato, sez. V, 02.10.2008, n. 4761).
2. Dal momento che il procedimento di agibilità di un edificio riguarda non solo il controllo delle condizioni di sicurezza, ma presuppone anche che il procedimento edilizio sia completo, è legittimo il diniego comunale opposto nell'ipotesi in cui l'obbligazione patrimoniale degli oneri non sia stata adempiuta.
3. Le opere edilizie destinate ad attività industriali o artigianali dirette alla trasformazione di beni ed alla prestazione di servizi, tra le quali rientrano le attività imprenditoriali dirette alla prestazione di servizi sanitari sono escluse dal pagamento del costo di costruzione (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 17.09.2009 n. 4672 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Permesso di costruire intoccabile. Il comune non può esentare i cittadini dal pagare gli oneri.
Parere della Corte dei conti per il Piemonte fa chiarezza sulle disponibilità degli enti locali.

Un comune non può esentare i cittadini dal pagamento degli oneri correlati al permesso di costruire, nemmeno se la possibile esenzione è finalizzata alla promozione del territorio locale. Infatti, dalle disposizioni contenute nel testo unico in materia edilizia (il dpr n. 380/2001), si evince chiaramente che l'onerosità delle trasformazioni urbanistico-edilizie costituisce la regola e non un'eccezione. Il principio-cardine secondo il quale non può procedersi ad un'esenzione dei citati oneri, infatti, sta nell'evidenza che il peso economico-finanziario di un'operazione di trasformazione edilizia non può essere a carico della collettività (vale a dire le minori entrate che da tale operazione si riflettono sul bilancio comunale), ma deve ricadere sul soggetto che la richiede, perché è da questa operazione che egli ne trae benefici.
È quanto ha ammesso a chiare lettere la sezione regionale di controllo della Corte dei Conti per il Piemonte, nel testo del parere 15.09.2009 n. 40, con il quale ha fatto chiarezza sulla eventuale disponibilità dell'ente locale sulle entrate derivanti dal rilascio del permesso di costruire, ai sensi dell'articolo 16 del citato Testo unico sull'edilizia. Disponibilità che, nel caso di specie, si tradurrebbe in una sorta di «condono» sul permesso di costruire per quei soggetti che trasformano fabbricati per avviarne una struttura turistico-ricettiva.
IL PARERE
Nei fatti oggetto della pronuncia della magistratura contabile piemontese in osservazione, il comune di Moriondo Torinese ha formulato una richiesta di parere riguardante un'iniziativa di promozione del territorio. Nell'istanza, l'amministrazione comunale intendeva prevedere l'esenzione dal pagamento degli oneri per le ristrutturazioni ed altri interventi di recupero su fabbricati da destinare a «bed & breakfast». Un beneficio, quello nelle intenzioni del comune, che sarebbe stato subordinato all'effettiva apertura della struttura entro un congruo termine dalla conclusione dei lavori ed al mantenimento di tale destinazione per un lasso di tempo determinato, pena la decadenza dal beneficio. Stante così il quadro dell'operazione che il comune intendeva avviare, il vertice dello stesso richiedeva alla Corte dei conti di volersi pronunciare in merito alla «liceità contabile» dell'iniziativa».
LA RISPOSTA DELLA CORTE
Nessuna esenzione è possibile, ha risposto la Corte dei conti. Con riguardo, infatti, al testo unico in materia edilizia, all'articolo 16 si stabilisce che “il rilascio del permesso di costruire comporta la corresponsione di un contributo commisurato all'incidenza degli oneri di urbanizzazione, nonché al costo di costruzione», secondo modalità che la stessa norma di legge definisce chiaramente.
Il semplice richiamo a questa norma, si legge nel testo del parere in esame, mette in evidenza un particolare fondamentale. Vale a dire che l'onerosità delle trasformazioni urbanistico-edilizie costituisce la regola e non certo un'eccezione. Una regola, si ammette, che ha la sua ratio nel principio secondo il quale il peso economico-finanziario derivante da una trasformazione urbanistico-edilizia non deve gravare interamente sulla comunità locale, che dovrà farsi carico delle relative minori entrate nei capitoli del bilancio comunale, bensì sul soggetto che effettua la trasformazione, dalla quale egli non può che trarne benefici (articolo ItaliaOggi 02.10.2009, pag. 14).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Pagamento a favore di un ente pubblico - reversale di incasso - predisposizione anticipata - non necessaria.
2. Sanzioni ex art. 3 L. 47/1985 - sollecitazione ad adempiere - non necessaria.

1. Per effettuare un pagamento a favore di un ente pubblico non è necessaria alcuna reversale di incasso predisposta dagli uffici.
In base al principio contenuto ancora nell'art. 197, comma 2, del RD 12.02.1911 n. 297 (in seguito nuovamente codificato nell'art. 24, comma 4, del Dlgs. 25.02.1995 n. 77 e ora nell'art. 180, comma 4, del Dlgs. 18.08.2000 n. 267) il tesoriere deve accettare la riscossione di ogni somma versata in favore dell'ente, anche senza la preventiva emissione di un ordinativo di incasso (è poi compito del tesoriere dare immediata comunicazione all'ente dell'avvenuto pagamento richiedendo la conferma o la regolarizzazione).
La mancata predisposizione in via anticipata delle reversali di incasso da parte degli uffici comunali non costituisce rifiuto illegittimo di ricevere il pagamento ai sensi degli art. 1206-1207 cc.
2. La natura sanzionatoria delle misure ex art. 3 della legge 47/1985 impone che l'ente pubblico stabilisca in modo chiaro le obbligazioni del privato e che quest'ultimo sia messo in condizione di adempiere. Non è necessario invece che il privato sia sollecitato ad adempiere o agevolato in altro modo.
Pertanto, se il rapporto con l'amministrazione è trasparente e il privato è puntualmente informato delle scadenze delle rate degli oneri concessori non servono ulteriori atti di impulso diretti a provocare l'adempimento.
Parimenti non è necessaria la preventiva escussione del fideiussore, a meno che un obbligo in questo senso non sia stato espressamente assunto dall'amministrazione (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 11.09.2009 n. 1688 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAVanno ricondotte al comune, e non alla regione, le scelte urbanistiche, in esito alle quali i mutamenti di destinazione d'uso possono essere soggetti a concessione. E' legittimo quindi, il provvedimento con cui un comune ha stabilito l'obbligo di pagare il contributo per oneri di urbanizzazione, in corrispondenza del cambio di destinazione d'uso di un immobile (da abitazione ad ufficio), effettuato senza opere edilizie.
La questione sottoposta all’esame del Collegio riguarda la valenza –sul piano urbanistico– del mutamento di destinazione d’uso di unità o complessi immobiliari, senza effettuazione di opere edilizie e della possibilità, o meno, di ritenere dovuti per interventi del tipo indicato i contributi per oneri di urbanizzazione, anche quando la normativa regionale non richieda per gli interventi stessi il titolo abilitativo, una volta denominato “concessione edilizia” e –nel nuovo testo unico– “permesso di costruire”.
Sia nella precedente che nell’attuale normativa in effetti (articoli 3, 5, 6 della legge 28.01.1977, n. 10 e 16 del D.P.R. 06.06.2001, n. 380) alle nuove edificazioni e ad altri interventi, comunque soggetti ai titoli abilitativi sopra specificati, corrisponde il pagamento di un contributo, commisurato all’incidenza degli oneri di urbanizzazione, nonché al costo di costruzione.
La natura giuridica del predetto contributo è quella di prestazione patrimoniale imposta, anche indipendentemente dall’utilità specifica del singolo concessionario, comunque tenuto a concorrere alla spesa pubblica per le infrastrutture –strade, fognature, illuminazione, parcheggi, ma anche scuole, uffici, centri commerciali ecc.– che debbono accompagnare ogni nuovo insediamento edificatorio (cfr. in tal senso, per il principio, Cons. St., sez. V, 06.05.1997, n. 462. 16.04.1986, n. 225 e 06.10.1986, n. 504). E’ anche evidente che la destinazione d’uso degli immobili condiziona le esigenze infrastrutturali, da tempo individuate dalla normativa sotto forma di standards urbanistici, in base al D.M. 02.04.1968, n. 1444 e all’art. 41-quinquies della legge 17.08.1942, n. 1150, nel testo introdotto dall’art. 17 della legge 06.08.1967, n. 765. In connessione con i principi generali, sopra sommariamente enunciati, è stato a lungo dibattuto in giurisprudenza il problema dei mutamenti di destinazione d’uso degli immobili, effettuabili senza opere edilizie, essendo evidente –pur in assenza di una materiale trasformazione del territorio– la non irrilevanza dei mutamenti in questione sul piano urbanistico (tenuto conto in particolare delle differenti dotazioni di standards, riconducibili alle varie tipologie d’uso degli immobili stessi, anche inseriti nella medesima zona territoriale omogenea: cfr. al riguardo Cons. St., sez. IV, 29.05.2008, n. 2561).
L’art. 25, u.c., della legge 28.02.1985, n. 47 (ora trasfuso nell’art. 10, comma 2, del T.U., approvato con D.P.R. n. 380/2001 cit.) ha rinviato la soluzione della complessa tematica in ambito locale, disponendo che siano le leggi regionali a stabilire “quali mutamenti, connessi o non connessi a trasformazioni fisiche, dell’uso di immobili o di loro parti” dovessero essere subordinati a concessione (oggi permesso di costruire) e quali a mera autorizzazione (potendosi identificare con tale terminologia –non del tutto propria, data la natura comunque autorizzatoria dei titoli abilitativi in questione: cfr. al riguardo, per il principio, Corte Cost. 21.04.1983, n. 127– i mutamenti di destinazione d’uso di minore impatto sul territorio, assimilabili agli interventi edilizi, di norma non soggetti ad oneri).
In rapporto alle diverse normative, conseguentemente emanate dalle Regioni, alcune linee di indirizzo sono state espresse dalla Corte Costituzionale, che –con sentenze nn. 73 in data 11.02.1991 (riferita all’art. 76, comma 1 della legge della Regione Veneto 27.06.1985, n. 61) e 259 del 23.07.1997, riferita all’art. 2, comma 1, della legge della Regione Emilia Romagna 08.11.1988, n. 46)– ha indicato i seguenti principi:
a) riconducibilità al Comune, e non alla Regione, delle scelte urbanistiche, in esito alle quali i mutamenti di destinazione d’uso possono essere soggetti a concessione;
b) riconoscimento per la Regione, in forza della competenza concorrente che le è propria, del compito di stabilire criteri e modalità, cui i Comuni debbono attenersi in sede di predisposizione degli strumenti urbanistici;
c) non assoggettabilità con legge regionale dei mutamenti di destinazione d’uso senza opere a concessione, anziché a semplice autorizzazione, per l’intero territorio comunale.
Nella situazione in esame, si tratta di stabilire i corretti parametri applicativi della legge della Regione Lombardia 15.01.2001, n. 1, che all’art. 2, comma 2 dispone quanto segue: “I mutamenti di destinazione d’uso di immobili, conformi alle previsioni urbanistiche comunali e non comportanti la realizzazione di opere edilizie, sono soggetti esclusivamente a preventiva comunicazione dell’interessato al Comune, ad esclusione di quelli riguardanti unità immobiliari o parti di esse, la cui superficie lorda di pavimento non sia superiore a 150 metri quadrati, per i quali la comunicazione non è richiesta”.
Il precedente art. 1 della medesima legge regionale prevede, altresì, che i Comuni indichino nello strumento urbanistico le destinazioni d’uso non ammissibili nelle diverse aree omogenee e definiscano nello strumento urbanistico le necessarie variazioni del fabbisogno di standards, relativamente ai mutamenti d’uso ammissibili attuati con opere edilizie, ovvero anche non comportanti la realizzazione di tali opere, se riferiti ad uso commerciale “non costituente esercizio di vicinato”.
Una interpretazione costituzionalmente orientata della citata legge –tenuto conto dei principi in precedenza esposti– non può comunque escludere un autonomo apprezzamento comunale, in merito all’impatto urbanistico di qualsiasi mutamento di destinazione d’uso ed implica dunque, ad avviso del Collegio, che i mutamenti in questione –anche ove effettuabili senza opere e compatibili con la destinazione di zona, per immobili di non minimale consistenza (oltre 150 mq)– non siano soggetti a specifico assenso comunale e non possano essere inibiti a chi vi abbia interesse: quanto sopra, tuttavia, non senza che sia possibile integrare la riscossione dei contributi, corrispondenti agli oneri di urbanizzazione, da parte dei Comuni interessati, cui competono la valutazione e l’eventuale integrazione degli standards urbanistici presenti sul territorio, ove gli assetti originari finiscano per subire variazioni di rilievo (come nel caso in cui una zona a prevalente vocazione abitativa finisca per trasformarsi –fenomeno non raro in aree centrali dei nuclei urbani– in zona ad uso prioritario di tipo direzionale, con esigenze diverse, ad esempio, in tema di parcheggi ed altri servizi connessi).
Se è vero, infatti, che la Regione non potrebbe imporre ai Comuni la sottoposizione dei mutamenti di destinazione d’uso al medesimo titolo abilitativo, previsto per le nuove costruzioni (Corte Cost. nn. 73/1991 e 259/1997 cit.), è anche vero che la Regione stessa non avrebbe titolo per precludere alle Amministrazioni comunali –preposte all’individuazione delle destinazioni, compatibili con le singole aree omogenee, nonché alla relativa disciplina– l’acquisizione dei contributi per oneri di urbanizzazione, nella misura per legge dovuta (a norma, per quanto qui interessa, dell’art. 4 della legge regionale 05.12.1977, n. 60).
Nella situazione in esame, pertanto, legittimamente il Comune appellato ha richiesto l’integrazione del contributo, ovvero la differenza fra l’ammontare dovuto per oneri di urbanizzazione, corrispondenti all’uso ufficio, e la minor somma già in precedenza corrisposta per l’uso abitativo: quanto sopra, non quale nuova autorizzazione a titolo oneroso, ma quale mera commutazione, ammissibile ex lege, della tipologia di riferimento dell’autorizzazione originaria (cfr. anche al riguardo, per il principio, art. 19, comma 3, del D.Lgs. 06.06.2001, n. 378, nonché –per un caso solo parzialmente diverso– Cons. St., sez. IV, 14.04.2006, n. 2163).
Una diversa linea interpretativa potrebbe comportare una generalizzata elusione dell’ammontare del contributo di cui trattasi da parte di costruttori ed altri operatori economici, interessati a versare il contributo stesso nella misura minore, potendo poi usufruire di un gratuito mutamento di destinazione d’uso, il cui maggior carico infrastrutturale determinerebbe un onere, gravante in via esclusiva sulla finanza pubblica.
Non appare contrastante con la logica delle conclusioni, in precedenza raggiunte, la diversa regolamentazione dei mutamenti di destinazione d’uso, che riguardino singole unità immobiliari di superficie inferiore a 150 mq.: una liberalizzazione circoscritta a queste ultime appare, infatti, giustificata sia dall’indifferenza, sul piano urbanistico, di nuovi insediamenti direzionali di così modesta entità (in corrispondenza, per lo più, a studi professionali con limitato numero di addetti), sia da una certa “intercambiabilità” di destinazione, che è sembrato opportuno riservare a dette articolazioni immobiliari minori, più facilmente integrabili nel territorio (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 25.08.2009 n. 5059 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La regola fondamentale in materia di quantificazione degli oneri di urbanizzazione è che la scelta tecnico-discrezionale dell’Amministrazione deve precedere, e non seguire, il rilascio della concessione edilizia, in quanto gli effetti e gli oneri derivanti dalla stessa devono essere ben noti al richiedente, il quale, tenuto conto dell’esborso economico da affrontare, potrebbe anche rinunziare al programma costruttivo ipotizzato.
Alla luce del consolidato e condiviso orientamento giurisprudenziale, seguito anche da questo TAR (per tutte e solo per citare le più recenti CGA, sez. giur., 14.01.2009, n. 7 e 02.03.2007, n. 64; TAR Sicilia Palermo, I, 16.01.2007, n. 726, 21.08.2006, n. 1832, 02.01.2004, n. 1, 03.04.2002, n. 879), la regola fondamentale in materia di quantificazione degli oneri di urbanizzazione è che la scelta tecnico-discrezionale dell’Amministrazione deve precedere e non seguire il rilascio della concessione edilizia, in quanto gli effetti e gli oneri derivanti dalla stessa devono essere ben noti al richiedente, il quale, tenuto conto dell’esborso economico da affrontare, potrebbe anche rinunziare al programma costruttivo ipotizzato.
Ne deriva la illegittimità di richieste di integrazione successive al rilascio della concessione edilizia, che esporrebbero il privato a conseguenze idonee ad incidere pesantemente sulla sua sfera economica, nella considerazione, fra l’altro, della necessità di garantire la correttezza del rapporto intercorrente tra la Pubblica Amministrazione ed il privato, soprattutto allorquando la tempestiva conoscenza degli oneri discrezionalmente imposti possa indirizzare in un senso, piuttosto che in un altro, le scelte dell’operatore economico.
Nelle numerose sentenze, con le quali questa Sezione si è pronunciata sulla delineata questione (tra le tante, nn. 405/1993, 588/1995, 1358/1996, 2117/1997, 865/2002 e 1/2004), si è, in particolare, osservato che il termine del 31 dicembre di ogni anno, prescritto dall’art. 34 della l.r. n. 37/1985, nel testo vigente all’epoca dei fatti di causa, per l’aggiornamento da parte dei Comuni degli oneri di urbanizzazione, non è perentorio, cosicché risultano legittime le quantificazioni disposte con atto successivo.
Tale aggiornamento può, però, avere effetto sulle concessioni edilizie già rilasciate, soltanto qualora nelle stesse fosse stata espressamente inserita la clausola della salvezza dell’eventuale conguaglio.
In assenza di tale previsione, una eventuale riquantificazione degli oneri di urbanizzazione può, pertanto, ammettersi, solo nel caso di correzione di errori riconoscibili, sulla base di parametri certi e predefiniti.

Nella specie, il Comune resistente dopo avere adeguato “ora per allora” gli oneri di urbanizzazione, ha illegittimamente preteso il pagamento di una integrazione delle somme già quantificate e versate dalla ricorrente per una concessione edilizia rilasciata in precedenza senza la previsione, seppur ipotetica, di successivi conguagli.
Sulla base dei principi esposti, mentre non risultano illegittimi in sé le deliberazioni comunali di adeguamento retroattivo degli oneri concessori, in quanto intervenute sotto la vigenza dell’originaria versione dell’art. 34 della l.r. n. 35/1985, è illegittimo l’impugnato provvedimento di richiesta del pagamento di un conguaglio degli oneri concessori già quantificati e versati
(TAR Sicilia-Palermo, Sez. I, sentenza 11.08.2009 n. 1406 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il pagamento dei contributi connessi al rilascio di una concessione edilizia, da parte di un soggetto che ne reclama il beneficio della gratuità, non costituisce di per sé acquiescenza circa la debenza delle relative somme.
Il pagamento dei contributi connessi al rilascio di una concessione edilizia, da parte di un soggetto che ne reclama il beneficio della gratuità, non costituisce di per sé acquiescenza circa la debenza delle relative somme, anche nel caso in cui l’interessato non abbia formulato al riguardo alcuna riserva di ripetizione della somma pretesa dal Comune a tale titolo, dovendosi piuttosto considerare detto pagamento quale espressione della connaturale esigenza dell’attività imprenditoriale edilizia di dare avvio, senza indugi, alla realizzazione dell’intervento progettato.
Dalle suddette considerazioni discende correlativamente la possibilità, per tale soggetto, di svolgere azione di accertamento del proprio diritto alla restituzione dei contributi urbanistici che ritiene di avere corrisposto in tutto o in parte indebitamente all’amministrazione comunale concessionaria (v. ex multis TAR Lazio -RM- Sez. II, 17/05/2005 n. 3844; TAR Puglia –LE- Sez. I, 12/02/2002 n. 739) (TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. II, sentenza 31.07.2009 n. 1131 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAFattispecie in materia di ristrutturazione - Oneri (equiparazione agli interventi nuova costruzione).
È legittima la delibera in cui vengono equiparati gli oneri per gli interventi di ristrutturazione mediante demolizione e ricostruzione a quelli previsti per gli interventi di nuova costruzione, in misura doppia rispetto a quella prevista per gli interventi di ristrutturazione.
L’entità degli oneri di urbanizzazione è correlata alla variazione del carico urbanistico, sicché è ben possibile che un intervento di ristrutturazione mediante demolizione e ricostruzione possa comportare aggravi di carico urbanistico identici a quelli derivanti da nuove costruzioni.
Un intervento di ristrutturazione globale di un edificio, attuato mediante demolizione e ricostruzione porta, invero, alla realizzazione di un organismo edilizio sostanzialmente nuovo: non appare quindi illogico ritenere che un intervento così radicale determini, di regola, un incremento del carico urbanistico pari a quello legato alla realizzazione di una nuova costruzione (massima tratta da www.studiospallino.it - TAR Lombardia-Milano, sentenza 21.07.2009 n. 4455 - link a www.giustizia-amministrativa.it).).

EDILIZIA PRIVATAL’amministrazione comunale deve porre l’interessato in condizione di ricostruire i passaggi logici con i quali è pervenuta alla quantificazione dell'importo del contributo di costruzione.
Per giurisprudenza costante, “le controversie relative all'an ed al quantum delle somme dovute a titolo di oblazione e di oneri concessori, riservate dalla legge alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, riguardano diritti soggettivi delle parti, rispetto alle quali non è configurabile il vizio di difetto di motivazione. Ciò nella considerazione che le operazioni di corretta quantificazione dell'oblazione e degli atti concessori si esauriscono in una mera operazione materiale che, se errata, può comportare soltanto la violazione dei criteri fissati dalla normativa ovvero dall'amministrazione con norme di natura regolamentare e, quindi, la sussistenza del solo vizio di violazione di legge, potendo l'interessato, sulla base dei predetti criteri generali, contestare l'erroneità della quantificazione operata dall'amministrazione, evidenziando ad esempio l'erroneità dei calcoli ovvero dei presupposti di fatto o di diritto” (Cons. Stato, sez. V, 29.07.2000 n. 4217).
Per quanto non sussista un obbligo di motivazione, l’amministrazione deve, comunque, porre l’interessato in condizione di ricostruire i passaggi logici con i quali è pervenuta all'importo del contributo, sulla base dei prefissati criteri generali
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 23.07.2009 n. 4455 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA 1. Oblazione e oneri concessori - Controversie in tema di corretta quantificazione - Attengono a diritti soggettivi delle parti - Configurabilità del vizio di difetto di motivazione - Non sussiste - Configurabilità del vizio di violazione di legge - Sussiste.
2. Ristrutturazione - Frazionamento di un immobile - Dotazione di servizi accessori ad uso abitativo e spazi pertinenziali - Incremento del carico urbanistico - Sussiste.
3. Ristrutturazione globale di un immobile - Calcolo del contributo per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione - Legittimità del calcolo rapportato anche alla superficie utile esistente e funzionalmente necessaria alla creazione del nuovo complesso immobiliare - Sussiste.
4. Ristrutturazione mediante demolizione e ricostruzione - Oneri di urbanizzazione - Irragionevolezza della equiparazione delle tariffe con quelle previste per le nuove costruzioni - Non sussiste - Obbligo di particolare motivazione - Non sussiste.

1. Le controversie relative all'an ed al quantum delle somme dovute a titolo di oblazione e di oneri concessori, riservate dalla legge alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, riguardano diritti soggettivi delle parti, rispetto alle quali non è configurabile il vizio di difetto di motivazione. Ciò nella considerazione che le operazioni di corretta quantificazione dell'oblazione e degli atti concessori si esauriscono in una mera operazione materiale che, se errata, può comportare soltanto la violazione dei criteri fissati dalla normativa ovvero dall'amministrazione con norme di natura regolamentare e, quindi, la sussistenza del solo vizio di violazione di legge, potendo l'interessato, sulla base dei predetti criteri generali, contestare l'erroneità della quantificazione operata dall'amministrazione, evidenziando ad esempio l'erroneità dei calcoli ovvero dei presupposti di fatto o di diritto.
2. Laddove l'intervento progettato vada ascritto alla ristrutturazione -compreso il caso in cui si alteri anche solo sotto il profilo della distribuzione interna l'originaria consistenza fisica di un immobile- occorre dotare gli appartamenti, ricavati dal frazionamento mediante strutture murarie, dei servizi accessori ad uso abitativo e di spazi pertinenziali, con il conseguente incremento del carico urbanistico.
3. Ove si versi in un'ipotesi di ristrutturazione globale dell'immobile è legittima la pretesa del Comune di calcolare il contributo per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione in relazione non solo all'incremento di superficie utile ma, altresì, alla superficie utile già esistente ma funzionalmente necessaria alla creazione di siffatto nuovo e diversamente articolato complesso immobiliare.
4. L'equiparazione delle tariffe degli oneri di urbanizzazione dovuti per gli interventi di ristrutturazione mediante demolizione e ricostruzione a quelle previste per le nuove costruzioni non è irragionevole, tanto è vero che la giurisprudenza ha, persino, ritenuto che il contributo per oneri di urbanizzazione, in caso di ristrutturazione del patrimonio edilizio, potrebbe essere maggiore a quello dovuto per la realizzazione di nuove costruzioni.
La previsione di una medesima tariffa per gli interventi di nuova costruzione e quelli di ristrutturazione mediante demolizione e ricostruzione non necessita, quindi, di una particolare motivazione (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 23.07.2009 n. 4455 -  link a
www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL’equiparazione delle tariffe dovute per gli interventi di ristrutturazione mediante demolizione e ricostruzione a quelle previste per le nuove costruzioni non è irragionevole, tanto è vero che la giurisprudenza ha ritenuto che il contributo per oneri di urbanizzazione, in caso di ristrutturazione del patrimonio edilizio, potrebbe essere maggiore a quello dovuto per la realizzazione di nuove costruzioni.
L'entità degli oneri di urbanizzazione è correlata alla variazione del carico urbanistico, sicché è ben possibile che un intervento di ristrutturazione mediante demolizione e ricostruzione possa comportare aggravi di carico urbanistico identici a quelli derivanti da nuove costruzioni.
Un intervento di ristrutturazione globale di un edificio, attuato mediante demolizione e ricostruzione porta, invero, alla realizzazione di un organismo edilizio sostanzialmente nuovo: non appare quindi illogico ritenere che un intervento così radicale determini, di regola, un incremento del carico urbanistico pari a quello legato alla realizzazione di una nuova costruzione.
La ristrutturazione con demolizione e ricostruzione, invero, ha, di regola, ad oggetto immobili che versano in condizioni tali da consentirne un utilizzo nullo o, comunque, ridotto rispetto a quello che verrà posto in essere in conseguenza dell’intervento edilizio.
A ciò si aggiunga il rilievo che, di regola, l’edificio che viene demolito per la sua vetustà non ha comportato, proprio per l’epoca in cui è stato realizzato, alcuna contribuzione in termini di opere di urbanizzazione, a fronte di un’innegabile incidenza sul carico urbanistico.
L’equiparazione delle tariffe dovute per gli interventi di ristrutturazione mediante demolizione e ricostruzione a quelle previste per le nuove costruzioni non è, dunque, irragionevole, tanto è vero che la giurisprudenza ha, persino, ritenuto che il contributo per oneri di urbanizzazione, in caso di ristrutturazione del patrimonio edilizio, potrebbe essere maggiore a quello dovuto per la realizzazione di nuove costruzioni (Cons. Stato, sez. V, 27.09.1990, n. 692) che ha affermato la legittimità di una deliberazione regionale con la quale l'intervento di ristrutturazione che comporti un aumento delle abitazioni, sia assoggettato ad un maggior pagamento a titolo di oneri di urbanizzazione rispetto ad una nuova edificazione, tenuto conto che il costo delle opere di urbanizzazione può essere maggiore nel primo caso).
La previsione di una medesima tariffa per gli interventi di nuova costruzione e quelli di ristrutturazione mediante demolizione e ricostruzione non necessita, quindi, di una particolare motivazione, essendo, comunque, evincibili le ragioni sottese a tale scelta.
Rimane comunque fermo il principio secondo cui il contributo di urbanizzazione trova causa nell’obbligatoria partecipazione del concessionario agli oneri che gravano sull’amministrazione locale per l’urbanizzazione dell’area interessata da un nuovo intervento edilizio, sul presupposto che alla realizzazione dell'opera assentita conseguano nella zona maggiori carichi urbanistici (Cons. Stato V, 27.12.1988 n. 852).
L’applicazione negli interventi di ristrutturazione mediante demolizione e ricostruzione della tariffa prevista dalla delibera comunale n. 73/2007, fissata nella stessa misura prevista per gli interventi di nuova costruzione, è, pertanto, giustificata unicamente laddove gli oneri di urbanizzazione siano dovuti: se non è, dunque, illogico ritenere che, di regola, agli interventi di demolizione e ricostruzione consegua un incremento del peso insediativo, tuttavia, nell’ipotesi –che non ricorre, però, nel caso di specie– in cui non vi sia, invece, alcuna alterazione degli elementi cui è correlato il carico urbanistico, in mancanza del presupposto giustificativo per l'imposizione degli oneri di urbanizzazione, l’amministrazione non potrà pretendere la corresponsione di somme a tale titolo.
Attesa l’incidenza sul carico urbanistico degli interventi di ristrutturazione mediante demolizione e ricostruzione, maggiore rispetto a quella degli interventi di semplice ristrutturazione, la previsione di oneri di urbanizzazione in misura doppia nel primo caso, rispetto al secondo, non è affatto illogica (sempre che, in concreto, una tale incidenza di realizzi).
La circostanza che la demolizione e ricostruzione sia ricompresa nella definizione di ristrutturazione edilizia dal d.P.R. n. 327/2001 non preclude, poi, all’amministrazione di differenziare i due interventi ai fini della determinazione degli oneri di urbanizzazione, in considerazione della loro differente incidenza sul carico urbanistico (differenziazione ripresa, d’altro canto, dall’art. 44, l. Regione Lombardia n. 12/2005).
Né il fatto che gli oneri di urbanizzazione siano stati assolti in passato, con riferimento ad un differente immobile, fa venir meno l’obbligo di concorrere agli oneri sociali legati all'incremento del carico urbanistico dovuto al nuovo intervento edilizio di ristrutturazione del fabbricato preesistente
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 23.07.2009 n. 4455 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Comune di Nurachi - Esenzione dal pagamento del contributo per permesso di costruzione (Corte dei Conti, Sez. regionale di controllo Sardegna, parere 22.06.2009 n. 19 - link a www.corteconti.it).
Il Comune intende assumere l’esonero dal pagamento del contributo per permesso di costruzione come incentivo per i privati proprietari, affinché provvedano ad interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, recupero, restauro, risanamento e ristrutturazione dei propri immobili ubicati nel centro storico, questa Sezione deve formulare alcune osservazioni.
A termini della normativa statale, tutti gli interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio sono subordinati al permesso di costruire e il rilascio del relativo provvedimento da parte dell’amministrazione comunale comporta la corresponsione di un contributo (contributo per il rilascio del permesso di costruire) commisurato all’incidenza degli oneri di urbanizzazione, nonché al costo di costruzione (D.P.R. 06.06.2001 n. 380, testo unico delle disposizione legislative e regolamenti in materia edilizia, nel quale sono confluite tra le altre le disposizioni per la edificabilità dei suoli di cui alla legge 28.01.1977 n. 10 ).
Alle Regioni si demanda l’individuazione degli interventi che in relazione all’incidenza sul territorio e sul carico urbanistico siano da sottoporre al preventivo rilascio del permesso di costruire o alla denuncia di inizio di attività. Si prevede, inoltre, che sia il Comune a determinare l’incidenza degli oneri sulla base di tabelle parametriche predefinite dalla Regione per classi di comuni (v. art. 10 e 16 cit. T.U sull’edilizia).
Le ipotesi di riduzione o esonero dal contributo di costruzione, costituendo eccezione alla regola generale dell’onerosità della concessione edilizia, sono individuate tassativamente dal Legislatore (v. art. 17 cit. T.U. sull’ edilizia; v. in tal senso costante giurisprudenza tra cui C.d.S. sez. v n. 617/2003 e n. 596/2004 ; Tar Veneto sez. II n. 604/2008).
Nell’esercizio della sua competenza primaria in materia di edilizia e urbanistica (legge costituzionale 26.02.1948 n. 3, art.3) la Regione Sardegna ha recepito il principio generale dell’onerosità della concessione edilizia facendo salvi i casi espressamente previsti (v. art. 3 legge reg. 11.10.1985 n. 23). Il Legislatore regionale, inoltre, assumendo specifiche disposizioni di “tutela e valorizzazione dei centri storici della Sardegna” (legge reg. 13.10.1998 n. 29) ha disposto lo stanziamento di specifiche risorse finanziarie da destinare a misure incentivanti e agevolative, consistenti principalmente in contributi finanziari da erogarsi per la realizzazione degli interventi di risanamento.
In proposito, va puntualizzato che all’adozione di interventi agevolativi, fino all’esonero totale, come nel caso di specie, dal pagamento degli oneri concessori di cui si tratta (permesso di costruzione), può procedersi solo in forza di espresse previsioni che ne disciplinano il regime, trattandosi di obbligazioni non disponibili da parte del Comune, se non nei limiti assentiti dalla fonte normativa primaria.

EDILIZIA PRIVATA: Oblazione art. 36 T.U. Edilizia – Contributo di costruzione.
Viene chiesto se l’oblazione di cui all’art. 36 T.U. edilizia (di importo pari al doppio del contributo di costruzione) già ricomprenda –oppure no– il contributo di costruzione predetto (Regione Piemonte, parere n. 61/2009 - link a www.regione.piemonte.it).

EDILIZIA PRIVATAAi fini della corresponsione o meno degli oneri d'urbanizzazione in caso di intervento su un fabbricato già autorizzato, l'unico legittimo presupposto imponibile è costituito dalla sussistenza o meno dell'eventuale maggiore carico urbanistico, con conseguente illegittimità della richiesta del pagamento di tali maggiori oneri se non si verifica la variazione del carico urbanistico.
Il Collegio non ha motivi per discostarsi dall’orientamento di questo Consiglio secondo cui ai fini della corresponsione o meno degli oneri d'urbanizzazione in caso di intervento su un fabbricato già autorizzato, l'unico legittimo presupposto imponibile è costituito dalla sussistenza o meno dell'eventuale maggiore carico urbanistico, con conseguente illegittimità della richiesta del pagamento di tali maggiori oneri se non si verifica la variazione del carico urbanistico (Cons. Stato, Sez. IV 29.04.2004 n. 2611; Sez. V 15.09.1997, n. 959, 21.01.1992, n. 61 e 27.01.1990 n. 693).
Peraltro, a tali fini, non si deve tenere conto esclusivamente di una ristrutturazione generale e globale di un edificio, con necessari interventi esterni e interni, ma anche di ristrutturazioni che comunque trasformino la realtà strutturale e la fruibilità urbanistica dell'immobile, con conseguente necessità della sottoposizione della relativa concessione al pagamento dei contributi, riferiti alla avvenuta oggettiva rivalutazione dell'immobile, e funzionali a sopportare il carico socio-economico che la realizzazione comporta sotto il profilo urbanistico (V. la decisione della Sezione 03.03.2003, n. 1180).
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Nella specie si prevede la demolizione di tre preesistenti fabbricati, composti da un edificio residenziale a tre piani di vecchia costruzione ed in pessimo stato di manutenzione e due piccoli bassi fabbricati fatiscenti adibiti ad autorimessa e a deposito attrezzi giardino (secondo quanto risulta dalla relazione tecnico-descrittiva del progetto, versata in atti).
Sono stati progettati due nuovi edifici a destinazione residenziale (di cui uno a tre piani e l’altro a 4 piani sul piano pilotis per un totale di 11 alloggi) con diversa collocazione sul lotto rispetto a quanto demolito e realizzazione di un’autorimessa interrata, con incremento della cubatura complessiva.
E’ ammesso anche dal ricorrente che si è verificato un aumento del carico urbanistico, ma la questione da risolvere consiste nello stabilire se gli oneri di urbanizzazione debbano essere corrisposti in relazione all’intero intervento edilizio assentito (come ritenuto dal Comune con l’avallo del TAR) o limitatamente all’ampliamento di cubatura rispetto a quella a suo tempo realizzata con la preesistente edificazione con la medesima destinazione residenziale e che ora è demolita (secondo la tesi del ricorrente).
Il Collegio ritiene condivisibile nella fattispecie il criterio seguito dall’Amministrazione di assoggettare a contribuzione l’intero intervento edilizio assentito, atteso che esso si configura come edificazione del tutto nuova in quanto le due costruzioni assentite non avevano alcun riferimento con i tre fabbricati demoliti essendo diversamente ubicate, strutturate su un maggior numero di piani ed adibite ad uso esclusivamente residenziale.
E’ inoltre da considerare che i precedenti fabbricati possedevano un carico urbanistico del tutto irrilevante in quanto il fabbricato ad uso residenziale era “vecchio ed in pessimo stato di manutenzione” e i due piccoli bassi adibiti ad autorimessa e deposito attrezzi giardino erano “fatiscenti” (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 16.06.2009 n. 3847 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Attività industriale - Onere ecologico - Oneri di urbanizzazione - Differenza - Parametrazione all’incidenza della specifica attività industriale - Attività industriali di prima classe - Applicazione generalizzata della quota di contributo in misura massima - Illegittimità.
La quota di contributo aggiuntivo (cd. onere ecologico) trova la sua ratio nella necessità di attribuire il dovuto rilievo alle esternalità negative prodotte nell’ambito dell’attività industriale, secondo criteri predeterminati ed effettivamente parametrati alla diversa incidenza connessa alla tipologia di attività svolta.
Ciò che rileva con riferimento al contributo in esame, infatti, a differenza degli oneri connessi al carico urbanistico, è l’incidenza dell’attività industriale svolta sul contesto nel quale va ad impattare, lì dove, invece, gli oneri concessori sono da riconnettere al maggior carico urbanistico determinato dall’intervento edilizio.
Ne deriva l’illegittimità dell’applicazione generalizzata della quota di contributo in misura massima per le attività industriali ricomprese nella prima classe, senza tener conto della distinzione degli impianti destinati a lavorazioni “altamente sensibili” rispetto a quelli che non implicano un elevato rischio di incidente rilevante (TAR Veneto, Sez. II,  sentenza 10.06.2009 n. 1709 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: La costruzione di una cappella cimiteriale non è esente dal pagamento degli oneri di urbanizzazione.
L'eventuale esenzione necessita della concomitanza di due requisiti: per effetto del primo la costruzione deve riguardare opere pubbliche o di interesse generale; per effetto del secondo le opere debbono essere eseguite da un ente istituzionalmente competente
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L’esenzione dal pagamento degli oneri di urbanizzazione richiede l’esistenza di due presupposti che debbono entrambi concorrere, l’uno di carattere oggettivo e l’altro di carattere soggettivo.
Per effetto del primo la costruzione deve riguardare opere pubbliche o di interesse generale; per effetto del secondo le opere debbono essere eseguite da un ente istituzionalmente competente. La ratio di tale norma è, infatti, quella di agevolare l’esecuzione di opere destinate al soddisfacimento di interessi pubblici (Consiglio di Stato, Sezione V, 11.01.2006, n. 51).
La Cappella realizzata dall’interessata non può rientrare tra le previsioni di cui alla detta lettera f) tanto dal punto di vista soggettivo quanto da quello oggettivo.
La Cappella, se fosse stata costruita direttamente dal Comune, sarebbe certamente rientrata tra le opere pubbliche realizzate da ente istituzionalmente competente per il soddisfacimento dell’interesse dell’intera collettività.
Alla stessa conclusione si sarebbe pervenuti se il Comune avesse istituito apposito ente per assicurare a tutti i cittadini la possibilità di essere seppelliti e se questo avesse realizzato l’opera.
In conclusione l’opera, se destinata al soddisfacimento del bisogno di tutta la collettività, indistintamente considerata, realizzata direttamente dalla pubblica amministrazione o da un organismo all’uopo creato, ha i requisiti per beneficiare dell’esenzione. Ciò nella considerazione che, se così non fosse, si assisterebbe ad un notevole appesantimento dell’operato dell’amministrazione che attraverso una partita di giro finirebbe col recuperare apparentemente la quota di spese sostenute per l’urbanizzazione della zona interessata dall’edificazione. E chiaramente non avrebbe senso che un settore dell’amministrazione che realizza un’opera pubblica in una zona urbanizzata da altro suo settore rimborsi a quest’ultimo la quota parte delle spese sostenute per la ripetuta urbanizzazione.
Altro discorso va fatto quando un soggetto diverso da quello che la lettera f) definisce istituzionalmente competente realizzi un’opera destinata ad essere utilizzata solo ed esclusivamente dai suoi associati. Detto soggetto, costituito per realizzare l’interesse di una categoria ben definita di persone persegue un interesse apprezzabile non generale ma particolare, e può agire o meno per finalità di lucro. Tale ultima finalità non rileva assolutamente, essendo preponderante la prima, consistente nel perseguimento dell’interesse di un gruppo di persone definibili sulla scorta delle previsioni del suo statuto.
Il perseguimento di un interesse particolare comporta che la Confraternita, che voglia realizzare un immobile nell’interesse degli associati utilizzando un’area cimiteriale, debba corrispondere un contributo commisurato all’incidenza delle spese di urbanizzazione sostenute dalla collettività. Sarebbe ingiustificato, infatti, che il gruppo di soggetti rappresentati dalla Confraternita utilizzassero gratuitamente le opere di urbanizzazione realizzate dalla collettività, non essendo condivisibile la deduzione della ricorrente secondo la quale nulla sarebbe dovuto in presenza di aree già urbanizzate.
Non esiste nemmeno il presupposto oggettivo considerato che l’opera eseguita dall’interessata non è qualificabile in alcun modo tra le opere di urbanizzazione che l’ultima parte di detta lettera f) individua tra quelle che i privati eseguono in attuazione di strumenti urbanistici (strade previste da un piano di lottizzazione ad esempio) (
CGARS, sentenza 10.06.2009 n. 534 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Quesiti sulla gratuità ovvero onerosità degli interventi edilizi.
Lombardia, l'interpretazione autentica della l.r. n. 12/2005 circa il versamento degli oneri di urbanizzazione e costo di costruzione in relazione ad alcune fattispecie edilizie (Regione Lombardia, Direzione Generale Territorio e Urbanistica, nota 09.06.2009 n. 11538 di prot.).

EDILIZIA PRIVATA: La regola fondamentale in materia di quantificazione degli oneri di urbanizzazione è che la scelta tecnico discrezionale dell’Amministrazione deve precedere e non seguire il rilascio della concessione edilizia, in quanto gli effetti e gli oneri derivanti dalla stessa devono essere ben noti al richiedente, il quale, tenuto conto dell’esborso economico da affrontare, potrebbe anche rinunziare al programma costruttivo ipotizzato.
Alla luce del consolidato e condiviso orientamento giurisprudenziale, seguito anche da questo TAR (per tutte e solo per citare le più recenti CGA, sez. giur., 14.01.2009, n. 7 e 02.03.2007, n. 64; TAR Sicilia Palermo, I, 16.01.2007, n. 726, 21.08.2006, n. 1832, 02.01.2004, n. 1, 03.04.2002, n. 879), la regola fondamentale in materia di quantificazione degli oneri di urbanizzazione è che la scelta tecnico discrezionale dell’Amministrazione deve precedere e non seguire il rilascio della concessione edilizia, in quanto gli effetti e gli oneri derivanti dalla stessa devono essere ben noti al richiedente, il quale, tenuto conto dell’esborso economico da affrontare, potrebbe anche rinunziare al programma costruttivo ipotizzato.
Ne deriva la illegittimità di richieste di integrazione successive al rilascio della concessione edilizia, che esporrebbero il privato a conseguenze idonee ad incidere pesantemente sulla sua sfera economica, nella considerazione, fra l’altro, della necessità di garantire la correttezza del rapporto intercorrente tra la Pubblica Amministrazione ed il privato, soprattutto allorquando la tempestiva conoscenza degli oneri discrezionalmente imposti possa indirizzare in un senso, piuttosto che in un altro, le scelte dell’operatore economico.
Nelle numerose sentenze, con le quali questa Sezione si è pronunciata sulla delineata questione (tra le tante, nn. 405/1993, 588/1995, 1358/1996, 2117/1997, 865/2002 e 1/2004), si è, in particolare, osservato che il termine del 31 dicembre di ogni anno, prescritto dall’art. 34 della l.r. n. 37/1985, nel testo vigente all’epoca dei fatti di causa, per l’aggiornamento da parte dei Comuni degli oneri di urbanizzazione, non è perentorio, cosicché risultano legittime le quantificazioni disposte con atto successivo.
Tale aggiornamento può, però, avere effetto sulle concessioni edilizie già rilasciate, soltanto qualora nelle stesse fosse stata espressamente inserita la clausola della salvezza dell’eventuale conguaglio.
In assenza di tale previsione, una eventuale riquantificazione degli oneri di urbanizzazione può, pertanto, ammettersi, solo nel caso di correzione di errori riconoscibili, sulla base di parametri certi e predefiniti (TAR Sicilia-Palermo, Sez. I, sentenza 04.06.2009 n. 992 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: OGGETTO: Applicazione del contributo di costruzione di cui all’art. 16 del D.P.R. n. 380/2001.
Il Comune chiede un parere sulla corretta applicazione del contributo di costruzione di cui all’art. 16 del D.P.R. 06.06.2001, n. 380, relativamente ad un caso specifico che illustra sommariamente nel quesito e sul quale questo Servizio non può comunque pronunciarsi, non avendone conoscenza e non essendogli ciò consentito dalla D.G.R. n. 769 del 27.06.2006 (in BUR n. 70 del 07.07.2006), che è l’atto in base al quale i Servizi della Giunta regionale esercitano l’attività di consulenza giuridica a favore degli Enti locali delle Marche (Regione Marche, parere 03.06.2009 n. 116/2009).

EDILIZIA PRIVATA: Il privato che costruisce non ha titolo a pretendere dal Comune il rimborso delle spese effettivamente sostenute per ovviare ad eventuali carenze delle opere di urbanizzazione, se non quando ciò sia stato concordato col Comune, a titolo di “scomputo” o sotto altra forma, in sede di rilascio della concessione edilizia.
Nulla esclude che il concessionario si obblighi (o resti obbligato) in termini più onerosi rispetto a quelli astrattamente previsti dalla legge.

In base alla giurisprudenza in materia, il contributo concessorio, commisurato agli oneri di urbanizzazione, ha carattere generale, in quanto prescinde totalmente dall’esistenza o meno delle singole opere di urbanizzazione; ed ha natura di prestazione patrimoniale imposta, in quanto è determinato senza tener conto dell’utilità che riceve il beneficiario del provvedimento di concessione, né delle spese effettivamente necessarie per l’esecuzione delle opere di urbanizzazione relative alla concessione assentita (Cons. Stato V, 21.04.2006 n. 2258).
Si tratta infatti di un contributo paratributario, ossia di un corrispettivo di diritto pubblico dovuto dal beneficiario della concessione edilizia, a titolo di partecipazione -in proporzione all’insieme dei benefici che la nuova costruzione ne ritrae- ai costi delle opere di urbanizzazione sostenuti dal Comune per realizzare il generale assetto urbanistico del territorio comunale (Cons. Stato n. 2258/2006 cit.; Cons. Stato 2^, 21.11.07 n. 11073 e 10060/2004).
Ne deriva, per un verso, che il contributo è dovuto nella misura determinata ex lege a prescindere dalla completezza dello stato di urbanizzazione e dalla effettiva disponibilità dei (di tutti i) servizi, primari e secondari, nella zona in cui deve essere realizzata la nuova costruzione; per altro verso, che, laddove vi sia carenza o insufficienza di urbanizzazione, le opere necessarie ben possono essere poste o rimanere a carico del privato, salva la possibilità di uno “scomputo” con le modalità ed alle condizioni previste dalla legge.
In altri termini, il privato che costruisce non ha titolo a pretendere dal Comune il rimborso delle spese effettivamente sostenute per ovviare ad eventuali carenze delle opere di urbanizzazione, se non quando ciò sia stato concordato col Comune, a titolo di “scomputo” o sotto altra forma, in sede di rilascio della concessione edilizia.
La legge non conferisce il diritto a rimborsi “a piè di lista” quando l’interessato provveda direttamente ad allacciare la propria costruzione alle reti dei servizi.
L’art. 16 del d.p.r. 06.06.2001 n. 380 (testo unico in materia edilizia) prevede che il titolare del permesso di costruire, a scomputo totale o parziale della quota di contributo relativa agli oneri di urbanizzazione, “possa obbligarsi” a realizzare direttamente le opere di urbanizzazione, “con le modalità e le garanzie stabilite dal comune” e “con conseguente acquisizione delle opere realizzate al patrimonio indisponibile del comune”.
La legge regionale lombarda 11.03.2005 n. 12 (legge per il governo del territorio) prevede all’art. 46 che a scomputo totale o parziale del contributo gli interessati “possono essere autorizzati” a realizzare direttamente una o più opere di urbanizzazione primaria o secondaria.
Ciò postula un ambito di valutazioni discrezionali di competenza del Comune, cui spetta verificare se l’opera di urbanizzazione sia effettivamente necessaria nell’interesse della collettività, ovvero se debba essere eseguita nel solo interesse dell’operatore privato per rendere tecnicamente fattibile l'intervento (con la conseguenza che solo nel primo caso, e non anche nel secondo, si tratterà di un'opera ammissibile a scomputo degli oneri di urbanizzazione: cfr. Cons. Stato IV, 21.04.2008 n. 1811, 28.07.2005 n. 4014).
D’altro canto, vertendosi in materia di diritti disponibili, nulla esclude che il rapporto tra Comune e beneficiario della concessione edilizia (ora permesso di costruire) sia regolato in termini diversi, e che il concessionario si obblighi (o resti obbligato) in termini più onerosi rispetto a quelli astrattamente previsti dalla legge (Cons. Stato V, 29.09.1999 n. 1209) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 12.05.2009 n. 3717 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAConcessione - Contributo - Determinazione - Ha natura di prestazione patrimoniale imposta prescindendo totalmente dall'esistenza o meno delle singole opere di urbanizzazione - Ha natura di contributo paratributario Ratio.
Il contributo concessorio, commisurato agli oneri di urbanizzazione, ha carattere generale, in quanto prescinde totalmente dall'esistenza o meno delle singole opere di urbanizzazione; ed ha natura di prestazione patrimoniale imposta, in quanto è determinato senza tener conto dell'utilità che riceve il beneficiario del provvedimento di concessione, né delle spese effettivamente necessarie per l'esecuzione delle opere di urbanizzazione relative alla concessione assentita (4).
Si tratta infatti di un contributo paratributario, ossia di un corrispettivo di diritto pubblico dovuto dal beneficiario della concessione edilizia, a titolo di partecipazione -in proporzione all'insieme dei benefici che la nuova costruzione ne ritrae- ai costi delle opere di urbanizzazione sostenuti dal Comune per realizzare il generale assetto urbanistico del territorio comunale (5).
Ne deriva, per un verso, che il contributo è dovuto nella misura determinata ex lege a prescindere dalla completezza dello stato di urbanizzazione e dalla effettiva disponibilità dei (di tutti i) servizi, primari e secondari, nella zona in cui deve essere realizzata la nuova costruzione; per altro verso, che, laddove vi sia carenza o insufficienza di urbanizzazione, le opere necessarie ben possono essere poste o rimanere a carico del privato, salva la possibilità di uno "scomputo" con le modalità ed alle condizioni previste dalla legge.
In altri termini, il privato che costruisce non ha titolo a pretendere dal Comune il rimborso delle spese effettivamente sostenute per ovviare ad eventuali carenze delle opere di urbanizzazione, se non quando ciò sia stato concordato col Comune, a titolo di "scomputo" o sotto altra forma, in sede di rilascio della concessione edilizia  (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 12.05.2009 n. 3717 - link a http://mondolegale.it).
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(4) Cons. Stato, sez. V, 21-04-2006 n. 2258.
(5) Cons. Stato, sez. II, 21-11-2007 n. 11073; Cons. Stato, sez. II, n. 10060/2004.

EDILIZIA PRIVATA: Contributo concessorio commisurato agli oneri di urbanizzazione - Natura di contributo paratributario, ossia di corrispettivo di diritto pubblico commisurato al beneficio che tra il privato dal titolo abilitativo edilizio - Sussiste.
Il contributo concessorio commisurato agli oneri di urbanizzazione ha natura di contributo paratributario, ossia di corrispettivo di diritto pubblico dovuto dal beneficiario della concessione edilizia, a titolo di partecipazione -in proporzione all'insieme dei benefici che la nuova costruzione ne ritrae- ai costi delle opere di urbanizzazione sostenuti dal Comune per realizzare il generale assetto urbanistico del territorio comunale (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 12.05.2009 n. 3717 -  link a
www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAConcessione - Contributo - Pagamento - Fallimento della richiedente - "Onere ecologico" - Natura - Va fatto valere quale credito del fallimento e non già dell'intera massa fallimentare - Fattispecie.
L'"onere ecologico" pur avendo natura di prestazione patrimoniale imposta, analogamente rispetto agli oneri di urbanizzazione, va fatto valere quale credito del fallimento e non già dell'intera massa fallimentare e ciò nel rispetto generale del principio di "par condicio creditorum".
Nel caso di specie la ricorrente ha impugnato il provvedimento del Settore Interventi Urbanistici Sportello Unico Edilizia e imprese con il quale è stato ingiunto al Fallimento -della ricorrente- il pagamento del contributo pari all'incidenza delle opere necessarie al trattamento e allo smaltimento dei rifiuti solidi, liquidi e gassosi e di quelle necessarie alla sistemazione dei luoghi ove ne siano alterate le caratteristiche. Che questa sia l'interpretazione corretta si evince anche dal fatto che l'art. 2752, Cod. Civ., nel prevedere il privilegio dei crediti dello Stato e subordinatamente degli Enti locali (III comma) sui beni mobili del debitore, ha altresì specificato che deve trattarsi di imposte, tasse e tributi dei Comuni previsti dalla legge per la finanza locale e dalle norme relative all'imposta comunale sulla pubblicità e sulle pubbliche affissioni.
La Corte di Cassazione ha interpretato restrittivamente tale disposizione, ritenendo che ove fosse consentito ampliare il novero del privilegio dei crediti per le imposte, tasse e tributi di Comuni e Province si dovrebbe altrimenti ritenere inutile la precisazione, contenuta nella stessa disposizione, che accorda il detto privilegio anche ai crediti previsti "dalle norme relative all'imposta comunale sulla pubblicità e ai diritti sulle pubbliche affissioni", specificazione non necessaria ove il riferimento alla legge per la finanza locale avesse dovuto intendersi relativo a qualsiasi legge istitutiva d'imposta, tassa e tributo dei comuni e delle province (1).
Ed ancora: "la circostanza che il legislatore, nell'art. 2752 co. 3, Cod. Civ., (che elenca le tasse e i tributi locati aventi valore di crediti privilegiati), abbia fatto riferimento ad una specifica imposta comunale (imposta comunale sulla pubblicità e ai diritti sulle pubbliche affissioni) esclude che il richiamo alla legge per la Finanza locale possa di per sé valere ad estendere il privilegio ad imposte, tasse o tributi dei Comuni e delle Province diverse da quella ivi specificata" (Cassazione Civile citata) (TAR Emilia Romagna-Parma, sentenza 11.05.2009 n. 186 - link a http://mondolegale.it).
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(1) Cass. Civ., sez. V, 29-03-2006 n. 7309.

EDILIZIA PRIVATAQuesito 3 - In merito ai criteri da osservare per la riqualificazione degli oneri di urbanizzazione in seguito ad una variante essenziale (Geometra Orobico n. 2/2009).

EDILIZIA PRIVATA: Oneri di urbanizzazione.
La regola fondamentale in materia di quantificazione degli oneri di urbanizzazione è che la scelta tecnico discrezionale dell’Amministrazione deve precedere e non seguire il rilascio della concessione edilizia, in quanto gli effetti e gli oneri derivanti dalla stessa devono essere ben noti al richiedente, il quale, tenuto conto dell’esborso economico da affrontare, potrebbe anche rinunziare al programma costruttivo ipotizzato.
Ne deriva la illegittimità di richieste di integrazione successive al rilascio della concessione edilizia, che esporrebbero il privato a conseguenze idonee ad incidere pesantemente sulla sua sfera economica, nella considerazione, fra l’altro, della necessità di garantire la correttezza del rapporto intercorrente tra la Pubblica Amministrazione ed il privato, soprattutto allorquando la tempestiva conoscenza degli oneri discrezionalmente imposti possa indirizzare in un senso, piuttosto che in un altro, le scelte dell’operatore economico (TAR Sicilia-Palermo, Sez. I, sentenza 29.04.2009 n. 774 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Oneri di urbanizzazione - Quantificazione - Richieste di integrazione successive al rilascio della concessione edilizia - Illegittimità.
La regola fondamentale in materia di quantificazione degli oneri di urbanizzazione è che la scelta tecnico discrezionale dell’Amministrazione deve precedere e non seguire il rilascio della concessione edilizia, in quanto gli effetti e gli oneri derivanti dalla stessa devono essere ben noti al richiedente, il quale, tenuto conto dell’esborso economico da affrontare, potrebbe anche rinunziare al programma costruttivo ipotizzato.
Ne deriva la illegittimità di richieste di integrazione successive al rilascio della concessione edilizia, che esporrebbero il privato a conseguenze idonee ad incidere pesantemente sulla sua sfera economica, nella considerazione, fra l’altro, della necessità di garantire la correttezza del rapporto intercorrente tra la Pubblica Amministrazione ed il privato, soprattutto allorquando la tempestiva conoscenza degli oneri discrezionalmente imposti possa indirizzare in un senso, piuttosto che in un altro, le scelte dell’operatore economico (TAR Sicilia-Palermo, Sez. I, sentenza 29.04.2009 n. 774 - link a www.
ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATAIl contributo per oneri di urbanizzazione è un corrispettivo di diritto pubblico, di natura non tributaria, messo a carico del concessionario a titolo di partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione e in proporzione all'insieme dei benefici che ne ricava la nuova costruzione.
La sua disciplina è dettata dalla legge e il giudice non può configurare ipotesi di esenzione diverse da quelle di legge.

E’ ben vero che, secondo la maggioritaria giurisprudenza amministrativa, dalla quale il Collegio non ha ragione di discostarsi, il contributo per oneri di urbanizzazione è un corrispettivo di diritto pubblico, di natura non tributaria, posto a carico del concessionario a titolo di partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione e in proporzione all'insieme dei benefici che la nuova costruzione ne ritrae (tra le molte, per tutte, Cons. St., sez. V, 23.05.1997, n. 529).
Siffatta peculiare forma di “corrispettività” trova d’altronde indiretta conferma nelle tassative previsioni (come l’abrogato art. 11 della L. n. 10/1977 e il vigente art. 17, comma 3, lett. c), del D.P.R. n. 380/2001) che contemplano ipotesi di scomputabilità totale o parziale del suddetto contributo (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 20.04.2009 n. 2359 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATATrasformazione urbanistico-edilizia. Variazione al P.R.G..
Viene posto il problema dell’assoggettabilità (o meno) al contributo di costruzione di un intervento di ristrutturazione urbanistica a fini residenziali di un immobile (di considerevole entità) utilizzato per collegio/convitto fino alla fine degli anni ottanta, da parte di una Congregazione religiosa, successivamente inutilizzato (Regione Piemonte, parere 37/2009 - link a www.regione.piemonte.it).

EDILIZIA PRIVATAIl costo di costruzione per i nuovi edifici non corrisponde alla spesa effettiva ma è definito dalla Regione con riferimento ai costi massimi ammissibili per l'edilizia agevolata ed è adeguato autonomamente dai comuni sulla base della variazione accertata dall'ISTAT.
In tale contesto il concetto di “costo documentato di costruzione” previsto dal successivo comma 4 per gli interventi con destinazione commerciale e turistico-alberghiero-ricettiva non è rappresentato dal costo che i privati ritengono di dover sostenere per effetto dei propri rapporti con gli appaltatori o con i fornitori ma costituisce un costo standard, omogeneo sul territorio comunale, e definito secondo criteri certi.
Il prezziario della Camera di Commercio è utile a questo scopo, come le altre banche dati provenienti da organismi affidabili.

In base all’art. 48, commi 1 e 2, della LR 12/2005 il costo di costruzione per i nuovi edifici non corrisponde alla spesa effettiva ma è definito dalla Regione con riferimento ai costi massimi ammissibili per l'edilizia agevolata ed è adeguato autonomamente dai comuni sulla base della variazione accertata dall'ISTAT.
In tale contesto il concetto di “costo documentato di costruzione” previsto dal successivo comma 4 per gli interventi con destinazione commerciale e turistico-alberghiero-ricettiva non è rappresentato dal costo che i privati ritengono di dover sostenere per effetto dei propri rapporti con gli appaltatori o con i fornitori ma costituisce un costo standard, omogeneo sul territorio comunale, e definito secondo criteri certi. Il prezziario della Camera di Commercio è utile a questo scopo, come le altre banche dati provenienti da organismi affidabili.
Di “costo reale degli interventi” si parla solo nel comma 6 a proposito degli interventi di ristrutturazione edilizia non comportanti demolizione e ricostruzione, ma anche in questo caso non può essere esclusa la possibilità di una direttiva regionale o comunale di omogeneizzazione delle voci di costo
(TAR Lombardia-Brescia, sentenza 15.04.2009 n. 859 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Contributo concessorio - Artificioso frazionamento delle opere a fini elusori - Illegittimità.
E’ inammissibile l’artificioso frazionamento delle opere edili al fine di eludere la disciplina del contributo concessorio (TAR Marche, Sez. I, sentenza 15.04.2009 n. 224 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: E' legittimo l'operato del comune che, in presenza di una diversità di destinazione d'uso dell'immobile, determina la liquidazione dei contributi urbanistici in base ai parametri previsti per la categoria di destinazione prevalente.
Risulta che l’unità immobiliare, prima destinata a negozio (attività commerciale), è stata frazionata e trasformata internamente (con opere) al fine di adibirla in parte ad uffici ed in parte ad ambulatorio veterinario.
Ciò posto l’intervento di cui si tratta si configura come modifica della destinazione d’uso con opere.
In tal caso l'esistenza di un’attività edilizia finalizzata alla modificazione dell’edificio comporta uno iatus con la precedente situazione consentendo l'imposizione di contributi ( si veda C. St. V 1208 del 30.10.1997; V Sez. 06.06.1996 n. 666, che affermano essere è legittimo l'operato del Comune che, in presenza di una diversità di destinazione d'uso dell'immobile, determina la liquidazione in base ai parametri previsti per la categoria di destinazione prevalente; TAR Brescia, n. 251/23.04.2001 che afferma la rilevanza ai fini della determinazione dei contributi urbanistici, della destinazione d’uso degli immobili, in quanto gli oneri sottesi all' intervento edilizio sono giustificati dai costi e dai vantaggi reciproci che derivano alla collettività e al concessionario dalla trasformazione del territorio).
In giurisprudenza è stato poi ripetutamente affermato che il mutamento della destinazione d'uso necessita di concessione edilizia e comporta l'obbligo di corrispondere al comune il contributo nella misura rapportata alla nuova destinazione.
Inoltre la legislazione nazionale e regionale in materia di contributi lasciano alla Regione ampi margini di discrezionalità nell’individuazione dei presupposti degli oneri di urbanizzazione e non prevedono l’esenzione degli interventi edilizi di trasformazione di volumi preesistenti ( Si veda C. St. IV, n. 2163/2006).
Occorre ricordare che la nozione del contributo per oneri di urbanizzazione, in giurisprudenza (cfr. Consiglio di Stato, V Sez., 23.05.1997 n. 529) è definita come "un corrispettivo di diritto pubblico, di natura non tributaria, posto a carico del costruttore a titolo di partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione in proporzione all'insieme dei benefici che la nuova costruzione ne ritrae, cosicché l'uso dà la giustificazione giuridica dell'an debeatur, mentre le modalità dell'uso danno la ragione del quantum".
La causa giuridica della debenza del contributo va ricercata quindi anche nell'utilità che la nuova costruzione trae dalle opere di urbanizzazione già esistenti (sent. TAR BZ n. 59/2000).
Quindi, anche con riferimento a quanto elaborato in giurisprudenza (cfr. CS, Sez. V, 23.05.1997 n. 529) i contributi di urbanizzazione non sono strettamente riferiti all’impatto del singolo intervento, essendo rimessa all’autorità preposta l’individuazione della tipologia degli interventi edilizi da assoggettare al contributo in relazione all’insieme dei benefici connessi all’urbanizzazione complessiva, ivi compresa quella preesistente, relativa all’intera zona (TAR Emilia-Romagna, Sez. II, sentenza 06.04.2009 n. 395 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa regola fondamentale in materia di quantificazione degli oneri di urbanizzazione è che la scelta tecnico discrezionale dell’Amministrazione deve precedere e non seguire il rilascio della concessione edilizia, in quanto gli effetti e gli oneri derivanti dalla stessa devono essere ben noti al richiedente, il quale, tenuto conto dell’esborso economico da affrontare, potrebbe anche rinunziare al programma costruttivo ipotizzato.
Pertanto, è illegittima la richiesta di integrazione versamento oneri successivamente al rilascio della concessione edilizia.

Va detto del consolidato e condiviso orientamento giurisprudenziale, seguito anche da questo TAR (per tutte e solo per citare le più recenti CGA, sez. giur., 14.01.2009 n. 7 e 02.03.2007 n. 64; TAR Sicilia-Palermo, I, 07.03.2007 n. 726, 21.08.2006 n. 1832, 02.01.2004 n. 1, 03.04.2002 n. 879), secondo il quale la regola fondamentale in materia di quantificazione degli oneri di urbanizzazione è che la scelta tecnico discrezionale dell’Amministrazione deve precedere e non seguire il rilascio della concessione edilizia, in quanto gli effetti e gli oneri derivanti dalla stessa devono essere ben noti al richiedente, il quale, tenuto conto dell’esborso economico da affrontare, potrebbe anche rinunziare al programma costruttivo ipotizzato.
Ne deriva la illegittimità di richieste di integrazione successive al rilascio della concessione edilizia, che esporrebbero il privato a conseguenze idonee ad incidere pesantemente sulla sua sfera economica, nella considerazione, fra l’altro, della necessità di garantire la correttezza del rapporto intercorrente tra la Pubblica Amministrazione ed il privato, soprattutto allorquando la tempestiva conoscenza degli oneri discrezionalmente imposti possa indirizzare in un senso, piuttosto che in un altro, le scelte dell’operatore economico (TAR Sicilia-Palermo, Sez. I, sentenza 01.04.2009 n. 600 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: G. Dalla Pria, Restituzione degli oneri concessori e decorrenza degli interessi legali nel diniego di sanatoria dell’illecito urbanistico (link a www.lexitalia.it).

EDILIZIA PRIVATALa costruzione di un edificio non destinato all’esercizio del culto, bensì destinato ad ospitare la sede di una associazione religiosa, non può ritenersi che tale opera rientrante tra quelle qualificate come opere di urbanizzazione secondaria, per cui legittimamente il comune ha assoggettato la sua realizzazione al pagamento degli oneri concessori.
Va premesso che l’art. 4, secondo comma, lettera e), della legge 29.09.1964 n. 847 individua come opere di urbanizzazione secondaria le “chiese ed altri edifici religiosi” per le quali la successiva legge n. 10 del 1977 prevede, secondo determinate condizioni, l’esonero dal pagamento dei contributi.
Occorre, pertanto, verificare se la costruzione della sede della Associazione ricorrente, oggetto della concessione edilizia impugnata in parte qua, possa rientrare tra quelle opere di carattere religioso, ossia destinate all’esercizio del culto, per le quali la norma prevede l’esenzione dal pagamento dei contributi concessori.
La risposta a tale quesito non può che essere negativa, solo si si consideri che la sede della Associazione dei Testimoni di Geova non può certo qualificarsi quale luogo di culto o edificio religioso, ma ha prettamente una destinazione di carattere direzionale dal punto di vista urbanistico. Pertanto, trattandosi nel caso in esame della costruzione di un edificio non destinato all’esercizio del culto, bensì destinato ad ospitare la sede di una associazione religiosa, non può ritenersi che tale opera rientri tra quelle qualificate come opere di urbanizzazione secondaria, per cui legittimamente il Comune di Cerea ha assoggettato la sua realizzazione al pagamento degli oneri concessori (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 30.03.2009 n. 985 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Oneri di urbanizzazione - Controversie - Giurisdizione esclusiva del G.A. - Sussiste - Ratio.
2. Abusi - Condono edilizio - Oblazione - Controversie - Giurisdizione esclusiva del G.A. - Sussiste.
3. Oneri di urbanizzazione - Natura del contributo.
4. Oneri di urbanizzazione - Determinazione dell'aumento delle tariffe - Competenza - Spetta alla Giunta comunale
5. Abusi - Condono edilizio - Oblazione - Tardività e incompletezza del versamento - Equivale a mancata presentazione della domanda di condono.

1. La materia degli oneri di urbanizzazione e dei costi di costruzione appartengono alla giurisdizione esclusiva del G.A. sin dall'art. 6 L. 10/1997; a seguito dell'abrogazione di tale norma ad opera dell'art. 136 D.P.R. 380/2001 le pretese restitutorie relative a tali materie rientrano nell'ambito della giurisdizione esclusiva del G.A. prevista dall'art. 34 D.Lgs. 80/1998, in quanto essa ha per oggetto gli atti ed i provvedimenti delle pubbliche amministrazioni in materia urbanistica ed edilizia e comprende la totalità degli aspetti dell'uso del territorio (cfr. TAR Salerno, sent. n. 474/2008; TAR Potenza, sent. n. 141/2008).
2. Per le medesime considerazioni di cui sopra, rientrano nell'ambito della giurisdizione esclusiva del G.A. anche la materia delle sanzioni edilizie e delle controversie relative all'oblazione dovuta per il condono edilizio (cfr. Cassaz. Civ., sent. n. 9389/2004; TAR Roma, sent. n. 11906/2007).
3. Il contributo relativo agli oneri di urbanizzazione non ha natura tributaria, ma costituisce, comunque, un corrispettivo di diritto pubblico posto a carico del costruttore, connesso al rilascio della concessione edilizia, a titolo di partecipazione del concessionario ai costi delle opere di urbanizzazione in proporzione all'insieme dei benefici che la nuova costruzione ne ritrae (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 2258/2006).
4. La determinazione dell'aumento delle tariffe degli oneri di urbanizzazione previsti per il condono edilizio dalla L.R. 31/2004 non rientra tra le competenze del Consiglio Comunale bensì tra quelle della Giunta Comunale, la cui competenza ha carattere residuale.
5. In tema di condono edilizio, poiché la corresponsione dell'oblazione dovuta va effettuata interamente nei termini previsti, pena l'applicazione delle sanzioni di cui all'art. 40 L. 47/1985 -compresa quella penale- ne consegue che, trascorso inutilmente l'ultimo termine utile per l'adempimento di tale obbligo da parte dell'interessato, non gli è più consentito integrare o eseguire il versamento, sicché egli si viene a trovare in una situazione del tutto analoga a quella della mancata presentazione della domanda di condono (cfr. Cassaz. Pen, SS. UU., sent. n. 714/1997) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 20.03.2009 n. 1951).

EDILIZIA PRIVATA: Contributo di costruzione - Condono - L.R. 31/2004 - Determinazione oneri con riferimento alle tariffe vigenti all'atto del perfezionamento del procedimento di sanatoria - Questione di legittimità costituzionale - Non manifestamente infondata - Trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale.
Non è manifestamente infondata, in relazione agli articoli 3, 97 e 117 comma terzo della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 4, sesto comma, della legge 03.11.2004 n. 31 della Regione Lombardia nella parte in cui prevede che gli oneri di urbanizzazione ed il contributo sul costo di costruzione dovuti ai fini della sanatoria sono determinati applicando le tariffe vigenti all'atto del perfezionamento del procedimento di sanatoria.
Il TAR ha ritenuto che l'assunzione come termine di riferimento delle tariffe vigenti nel momento del rilascio del titolo anziché quelle vigenti al momento dell'entrata in vigore della legge di sanatoria appare in contrasto con i seguenti articoli della Costituzione:
- art. 117, terzo comma: nelle materie di legislazione concorrente è riservata allo Stato la determinazione dei princìpi fondamentali, tra i quali va annoverato quello, dettato dalla legislazione speciale sul condono edilizio, che àncora la misura del contributo alle disposizioni vigenti all'entrata in vigore delle leggi di settore via via emanate;
- art. 97: in quanto nelle fattispecie di condono di abusi edilizi, soggette a disciplina uniforme quanto alla data-limite stabilita per la commissione dell'abuso e per la presentazione della domanda di condono (rispettivamente, 31.03.2003 e 10.12.2004: cfr. art. 32, commi 25 e 32 d.l. 269/2003), nonché quanto al termine di decorrenza per la formazione del titolo tacito (31.10.2005: cfr. comma 37 stesso articolo), non appare conforme ai principi di buon andamento e di imparzialità della pubblica amministrazione lasciare che, nei singoli casi, l'entità degli oneri dipenda da due variabili -casuali o governate ad arte- quali la scelta dei tempi nell'aggiornamento delle tariffe e la tempestività nella evasione delle pratiche di condono;
- art. 3: non sarebbe conforme al principio di uguaglianza che abusi edilizi suscettibili di sanatoria, uguali per natura e data di compimento, siano assoggettati ad oneri di diverso importo in applicazione delle tariffe vigenti nei diversi momenti di conclusione dei singoli procedimenti;
- i principi di certezza e di affidamento, immanenti nell'ordinamento nazionale e comunitario, anch'essi riconducibili all'art. 97 Cost., secondo cui il privato deve essere posto in grado di conoscere anticipatamente a quali oneri, esborsi, conseguenze sia esposta la propria azione, anche laddove gli sia offerta la possibilità di riparare abusi edilizi con una autodenuncia (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, ordinanza collegiale 20.03.2009 n. 53 -  link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Contributo di costruzione - Quantificazione - Momento determinante - L.R. 12/2005 e L.R. 4/2008 - Criteri.
Il contributo di costruzione va liquidato, ex art. 43, L.R. 12/2005, in base alle disposizioni vigenti alla data di rilascio del permesso edilizio; tuttavia, ex art. 38, comma 7-bis, L.R. 12/2005 - aggiunto dall'art. 1, comma 1, lett. ss), L.R. 4/2008, qualora la richiesta di permesso di costruire sia completa della documentazione prevista, l'ammontare degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria dovuti va determinato con riferimento alla data di presentazione della richiesta stessa (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 09.03.2009 n. 1767 -  link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: OGGETTO: Richiesta di parere circa l’onerosità o meno dei permessi di costruire per interventi edilizi di ristrutturazione di edifici ex rurali.
Il Comune chiede se alla luce delle disposizioni del Testo unico per l’edilizia di cui al D.P.R. n. 380/2001, un intervento di ristrutturazione edilizia di un edificio colonico unifamiliare, che ha perso tutti i requisiti di ruralità, da parte di un privato cittadino non imprenditore agricolo, sia oneroso o gratuito e se i pareri che il Servizio legislativo e affari istituzionali della Giunta regionale ha espresso sull’applicazione dell’art. 9, lett. d), della legge n. 10/1977 in data 20.06.1991, prot. n. 124, e in data 09.03.1989, prot. n. 60, dei quali allega copia, siano tuttora validi (Regione Marche, parere 27.02.2009 n. 110/2009).

EDILIZIA PRIVATA: Concessione di costruzione - Criteri e principi generali - Verifica legittimazione del richiedente - Onere del Comune - Sussiste - Limiti.
L'Amministrazione Comunale, nel corso dell'istruttoria sul rilascio della concessione edilizia, deve verificare che esista il titolo per intervenire sull'immobile per il quale è chiesta la concessione edilizia -anche se questa è sempre rilasciata facendo salvi i diritti dei terzi- e se il titolo non viene provato è legittimo che il rilascio della concessione venga negato. Tale principio è desumibile dall'art. 4, comma 1, Legge 10/1977, secondo cui la concessione è data dal sindaco al proprietario dell'area o a chi abbia titolo per richiederla, come confermato dall'art. 11, comma 1, D.P.R. n. 380/2001, in base al quale il permesso di costruire è rilasciato al proprietario dell'immobile o a chi abbia titolo per richiederlo. Pertanto, la verifica del possesso del titolo a costruire costituisce un presupposto la cui mancanza impedisce alla P.A. di procedere oltre nell'esame del progetto, anche se deve escludersi un obbligo del Comune di effettuare complessi accertamenti diretti a ricostruire tutte le vicende riguardanti l'immobile in oggetto, con particolare riferimento all'inesistenza di servitù o di altri vincoli reali che potrebbero limitare l'attività edificatoria dell'immobile (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 4703/2007) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 06.02.2009 n. 1157 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALombardia, l'interpretazione autentica della l.r. n. 12/2005 circa il versamento degli oneri di urbanizzazione sia nel caso di permesso di costruire sia nel caso di d.i.a. (Regione Lombardia, Direzione Generale Territorio e Urbanistica, nota 29.01.2009 n. 1983 di prot.).

EDILIZIA PRIVATA: F. Barchielli, La decadenza del titolo ed il ricalcolo del contributo di costruzione (sulla decadenza del permesso di costruire e sui conseguenti effetti riguardo al contributo di costruzione già versato all’Amministrazione nei casi in cui il privato presenti una nuova istanza di titolo edilizio, rinunci all’edificazione senza aver iniziato i lavori, oppure rinunci dopo avere comunque effettuato una rilevante alterazione dell’assetto del territorio) (link a www.urbanisticatoscana.it).

EDILIZIA PRIVATA: F. Barchielli, Sul rilascio del permesso di costruire a titolo gratuito (una ricognizione della normativa e della giurisprudenza riguardo ai casi in cui è consentito il rilascio del permesso di costruire senza obbligo di corrispondere il contributo di costruzione) (link a www.urbanisticatoscana.it).

EDILIZIA PRIVATAFattispecie in materia di ristrutturazione - Oneri (elemento temporale di rifermento).
Gli oneri concessori vanno calcolati facendo riferimento non alla destinazione d’uso pregressa, ma alla destinazione d’uso risultante dalla ristrutturazione, una volta qualificato l’intervento in questione come ristrutturazione.
Infatti, la funzione del contributo di costruzione sta nel fatto che la costruzione progettata partecipa alle utilità derivanti dalla presenza delle opere di urbanizzazione già realizzate dal Comune e l’uso di queste ultime dà la giustificazione giuridica dell’”an debeatur”, mentre le modalità dell’uso danno la ragione del "quantum debeatur" (Consiglio Stato, sez. V, 23.05.1997, n. 529).
Pertanto, se il "quantum debeatur" è determinato dalle modalità attraverso cui l’edificio ristrutturato usa le opere di urbanizzazione già realizzate dall’autorità comunale, a tal fine non può che rilevare la destinazione d’uso conseguenza della ristrutturazione e non quella originaria, perché sarà la destinazione d’suo creata dalla ristrutturazione che concretamente insisterà sul territorio e sfrutterà le opere di urbanizzazione realizzate dall’autorità comunale (nello stesso senso sembra essere da ultimo Tar Campania, Napoli, sez. VIII, 03.09.2008, n. 10035) (massima tratta da www.studiospallino.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 14.01.2009 n. 93 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Oneri concessori - Voltura concessione edilizia - Carenza di legittimazione attiva - Inammissibilità - Non sussiste.
2. Ristrutturazione - Oneri di urbanizzazione calcolati sulla destinazione d'uso pregressa - Illegittimità.
3. Credito per oneri di urbanizzazione in parte non dovuti - Debito per contributo di costruzione in parte non versato - Compensazione - Non opera.
4. Oneri di urbanizzazione in parte non dovuti - Ripetizione dell'indebito - Interessi legali - Malafede della P.A. accipiens - Non sussiste.

1. Non è illegittimo per carenza di legittimazione attiva il ricorso presentato da una società ricorrente per la ripetizione di oneri di urbanizzazione non dovuti versati dalla propria dante causa, in quanto la voltura della concessione edilizia comporta il passaggio in capo alla ricorrente non solo dello ius edificandi, ma del complesso dei diritti ed obblighi che derivano dalla concessione, compreso il diritto all'eventuale restituzione del contributo concessorio indebitamente pagato, con riconoscimento esclusivo in capo ad un unico soggetto, l'attuale titolare della concessione edilizia, delle utilità che dipendono da tale titolo edilizio.
2. In relazione ad un intervento di ristrutturazione con cambio di destinazione d'uso da direzionale/commerciale a residenziale/artigianale gli oneri concessori devono essere calcolati facendo riferimento non alla destinazione d'uso pregressa, ma alla destinazione d'uso risultante dalla ristrutturazione in quanto la funzione degli oneri di urbanizzazione consiste nel fatto che la costruzione partecipi alle utilità derivanti dalla presenza delle opere di urbanizzazione già realizzate dal Comune, le cui modalità d'uso, da parte dell'edificio ristrutturato, determinano il quantum debeatur a titolo di contributo. Di conseguenza, non può che rilevare la destinazione d'uso conseguenza della ristrutturazione, e non quella originaria, perché sarà la destinazione d'uso creata dalla ristrutturazione che concretamente insisterà sul territorio e sfrutterà le opere di urbanizzazione esistenti.
3. Il credito della ricorrente per oneri di urbanizzazione indebitamente versati in eccesso ed il debito vantato dal Comune per il costo di costruzione non integralmente corrisposto dalla titolare del titolo edilizio non si possono compensare perché hanno una natura giuridica completamente diversa, e la natura del credito per il costo di costruzione è di ostacolo alla sua compensabilità con il debito per il pagamento degli oneri di urbanizzazione. In particolare, mentre l'obbligazione per oneri di urbanizzazione, in quanto forma di partecipazione alle spese pubbliche per la trasformazione del territorio, ha natura causale legata allo sfruttamento, da parte di chi costruisce, delle opere infrastrutturali presenti sul territorio realizzate dal Comune, il costo di costruzione, essendo un'obbligazione priva di causa, accollata al titolare della concessione per il semplice fatto che esso costruisca, ha natura tributaria, con la conseguenza che le obbligazioni tributarie si possono estinguere per compensazione solo nei casi espressamente disciplinati dal legislatore (in quanto, nella situazione normativa attuale, non è stata ancora emanata la disciplina di attuazione per rendere la compensazione principio generale nell'ordinamento tributario).
4. Poiché l'errata quantificazione degli oneri di urbanizzazione da parte del Comune è avvenuta prima dell'adozione della circolare che ha recepito l'orientamento di utilizzare, ai fini di tale calcolo, i parametri della destinazione d'uso finale (sebbene la concessione edilizia sia stata rilasciata successivamente), non sussiste la malafede della P.A. nel momento in cui ha ricevuto l'indebito pagamento degli oneri concessori, con la conseguenza che sulla somma dovuta a titolo di indebito gli interessi legali sono dovuti soltanto dalla data in cui è stata avanzata la richiesta di restituzione, ai sensi dell'art. 2033 c.c., e non dal momento in cui è avvenuto il pagamento (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 14.01.2009 n. 93 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa scelta tecnico-discrezionale dell’Amministrazione nel quantificare gli oneri di urbanizzazione da versare deve precedere e non seguire il rilascio del provvedimento autorizzatorio, essendo di ordine generale che siano ben noti al richiedente gli effetti e gli oneri derivanti dal provvedimento, senza che possano ammettersi ripensamenti successivi, che esporrebbero il privato a conseguenze idonee ad incidere pesantemente sulla sua sfera economica.
La possibilità di correggere il tiro degli oneri connessi al provvedimento adottato é limitato all’emendamento di errori riconoscibili sulla base di parametri certi e predefiniti.

In tema di monetizzazione degli oneri di costruzione, regola fondamentale è che la scelta tecnico discrezionale dell’Amministrazione preceda e non segua il rilascio del provvedimento autorizzatorio, essendo di ordine generale che siano ben noti al richiedente gli effetti e gli oneri derivanti dal provvedimento, senza che possano ammettersi ripensamenti successivi, che esporrebbero il privato a conseguenze idonee ad incidere pesantemente sulla sua sfera economica, nella considerazione, fra l’altro, della esigenza del corretto rapporto privato/Autorità, ogni qual volta la tempestiva conoscenza degli oneri discrezionalmente imposti possa indirizzare in un senso piuttosto che in un altro le scelte dell’operatore economico.
La possibilità di correggere il tiro degli oneri connessi al provvedimento adottato é limitato all’emendamento di errori riconoscibili, sulla base di parametri certi e predefiniti, senza potersi estendere a facoltà discrezionali esclusivamente rimesse alle scelte dell’Amministrazione ed a cui, eventualmente, l’adozione del provvedimento favorevole al privato deve essere condizionata, prima ancora che, in forza del provvedimento favorevole, ovvero l’oggetto su cui originariamente ricadeva l’interesse pretensivo, abbia subito la sua naturale trasformazione in bene della vita, acquisito (per effetto di tale provvedimento) alla sfera soggettiva del richiedente.
Pur essendo corretta, peraltro, in linea di principio la tesi espressa nell’appello principale, secondo cui la presentazione di un progetto di variante e di completamento delle opere già previste nella concessione in precedenza accordata e scaduta, è sufficiente a legittimare il ripensamento dell’Amministrazione, ed una differente considerazione del carico urbanistico -trattandosi di concessione che rimette in gioco, interamente, le precedenti scelte- l’equivoco in cui è incorso il Comune consiste nel trarre, dal precedente giurisprudenziale dallo stesso citato, il convincimento che il carico urbanistico possa essere legittimamente valutato in relazione all’intera opera (ivi compresa quella già quasi interamente realizzata sulla base del progetto originario) dovendosi, al contrario, accertare, l’entità dell’aggravio, in rapporto all’opera “nuova” costituita dalla variante e dal completamento successivo alla scadenza della concessione originaria (escluso quanto, dell’oggetto in precedenza assentito, sia stato, pressoché, interamente realizzato) (CGARS, sentenza 14.01.2009 n. 7 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 2 del 12.01.2009, "Linee guida per la maggiorazione del contributo di costruzione per il finanziamento di interventi estensivi delle superfici forestali (art. 43, comma 2-bis, l.r. n. 12/2005)" (deliberazione G.R. 22.12.2008 n. 8757 - link a www.infopoint.it).

EDILIZIA PRIVATAQuesito 8 - Sui criteri per l'applicabilità degli oneri di urbanizzazione agli atti autorizzatori in sanatoria dei mutamenti d'uso senza opere, mutamenti c.d. "funzionali" (Geometra Orobico n. 1/2009).

anno 2008

EDILIZIA PRIVATAApplicazione calcolo oneri di urbanizzazione.
Occorre premettere che il Comune richiedente dà per scontato il fatto che –in assenza di diverse e più precise determinazioni operate al riguardo dalle norme e dalle tabelle comunali relative agli oneri di urbanizzazione– vanno fatte rientrare nella categoria delle attività produttive le cliniche e le case di riposo private ai fini dell’applicazione degli oneri di urbanizzazione; occorre considerare d’altro canto che la tabella regionale, spesso tradotta di peso nella disciplina comunale in materia (senza, cioè, modificazione né precisazione alcuna), costruisce varie sottocategorie di attività produttive, a cui corrispondono misure diverse degli oneri di urbanizzazione.
Tutto ciò premesso, viene chiesto di indicare il criterio più corretto di applicazione degli oneri di urbanizzazione da corrispondere per la realizzazione ex novo di una casa di riposo privata (Regione Piemonte, parere n. 175/2008 - link a www.regione.piemonte.it).

EDILIZIA PRIVATA: Oneri su ampliamento di costruzione.
Viene chiesto parere in ordine al dovere, o meno, del Comune di pretendere la corresponsione degli oneri di urbanizzazione relativi alla ricostruzione –operata con intervento di “sostituzione edilizia” su area limitrofa all’originario sedime di insistenza– di edificio residenziale distrutto da un incendio, restando fuori discussione l’obbligo di corrispondere gli oneri medesimi in ragione dell’ampliamento ammesso dal P.R.G. in occasione della ricostruzione (Regione Piemonte, parere n. 171/2008 - tratto da www.regione.piemonte.it).

EDILIZIA PRIVATAAggiornamento oneri urbanizzazione.
Il Comune di XXX, chiede se l’aggiornamento degli oneri di urbanizzazione in base alle variazioni ISTAT, senza modificazione dei contenuti, sia di competenza del Consiglio ovvero della Giunta comunale e se l’aggiornamento annuale del costo di costruzione, in assenza di specifico regolamento comunale, possa essere effettuato con determinazione dirigenziale ovvero rientri fra le competenze consiliari o giuntali (Regione Piemonte, parere n. 152/2008 - link a www.regione.piemonte.it).

EDILIZIA PRIVATASanatoria intervento accertamento edilizio.
Viene chiesto chiarimento in ordine all’applicazione dell’articolo 36, comma 2, del Testo Unico dell’Edilizia (D.P.R. 380/2001) per quanto attiene alla determinazione dell’oblazione di cui alla norma predetta (Regione Piemonte, parere n. 134/2008 - link a www.regione.piemonte.it).

EDILIZIA PRIVATAProblematiche su istanza di costruzione in zona agricola.
Viene posto un quesito in ordine all’esenzione dal contributo di costruzione prevista dall’art. 17, c. II, lett. a) del D.P.R. 380/2001, recante Testo Unico dell’edilizia.
Il caso concreto è il seguente.
Una società semplice, avente quale oggetto sociale l’attività agricola, ha presentato istanza di permesso di costruire volta alla realizzazione di strutture rurali, oltre che di tre abitazioni. La società è composta di tre soci, dei quali uno solo ha la qualifica di imprenditore agricolo professionale.
Il Comune territorialmente competente chiede di conoscere se tutte tre le residenze potranno beneficiare dell’esonero dal contributo concessorio di cui al citato art. 17, c. II, lett. a) D.P.R. 380/2001, a mente del quale il contributo di costruzione non è dovuto “per gli interventi da realizzare nelle zone agricole, ivi comprese le residenze, in funzione della conduzione del fondo e delle esigenze dell’imprenditore agricolo a titolo principale” (Regione Piemonte, parere n. 70/2008 - link a www.regione.piemonte.it).

EDILIZIA PRIVATA: Costruzione di edifici a risparmio energetico - Incentivi ex art. 1, c. 351, L. n. 296/2006 (Finanziaria 2007) - Comune - Obbligo dello scomputo del contributo statale dal prezzo di vendita dell’immobile - Illegittimità - Riduzione degli oneri di urbanizzazione condizionata allo scomputo del risparmio dal prezzo di vendita - Legittimità.
Le disposizioni di cui all’art. 1, c. 351, della L. 27.12.2006, n. 296 sono volte ad incentivare la costruzione di edifici con caratteristiche tali da consentire un significativo risparmio energetico, nell’ambito di una politica di contenimento dei costi sociali derivanti dall’inappropriato ed eccessivo uso di simili risorse. L’agevolazione economica è direttamente ricollegata alla realizzazione dei nuovi edifici, e quindi i beneficiari sono individuati nei soggetti che ne promuovono la costruzione, mentre nulla è previsto circa l’eventuale trasferimento del beneficio agli acquirenti, i quali concorrono a definire il corrispettivo della cessione del bene sulla base delle comuni regole del libero mercato, anche in ragione dei risparmi di spesa conseguenti al minore fabbisogno di energia; il che rende illegittima la decisione comunale che impone lo scomputo del contributo statale dal prezzo di vendita degli alloggi, in quanto l’Amministrazione locale incide così sul riparto di spese e incentivi, individuando di fatto un beneficiario diverso da quello indicato dalla normativa statale, che per il resto ha rimesso ogni ulteriore questione all’autonomia privata delle parti. Non è invece censurabile l’obbligo dello scomputo della somma corrispondente ai minori oneri che, in applicazione del regolamento comunale per il risparmio energetico, siano dovuti per le opere di urbanizzazione secondaria. L’Amministrazione comunale, infatti, introducendo il beneficio per favorire la c.d. “efficienza energetica” nelle abitazioni civili, ha legittimamente inteso stimolare i cittadini, con un risparmio di spesa, all’acquisto di alloggi aventi tali caratteristiche (TAR Emilia Romagna-Parma, Sez. I, sentenza 04.11.2008 n. 423 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATASulle superfici da computare per la determinazione del costo di costruzione.
Quanto al mancato calcolo delle superfici non residenziali destinate a servizi comuni ed accessori, osserva il comune che gli immobili in questione sono privi di cantinole, soffitte, lavatoi comuni, cabine idriche, centrali termiche, astrattamente utili ai fini del computo ex art. 2 d.m. ll.pp. 801/1977, e che i cd. androni, in concreto, sono costituiti da spazi assai esigui di consistenza irrisoria ai fini dell’incremento del costo di costruzione e costituenti un tutt’uno con i vani scala.
A quest’ultimo proposito, appunto, le scale sono escluse dal computo delle superfici non residenziali per servizi ed accessori computabili per la determinazione del costo di costruzione (cfr. TAR Lombardia, 21/01/1984 n. 84); di conseguenza, sono prive di incidenza sul costo di costruzione dell’edificio (cfr. Mod. 7-bis allegato all’art. 11 del d.m. ll.pp. 801/1977)
(TAR Basilicata, sentenza 29.10.2008 n. 721 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAOneri di costruzione - Esenzione - Qualifica di Agricolo Professionale - Sopravvenienza - E' irrilevante.
La sopravvenienza della qualifica di Imprenditore Agricolo Professionale (IAP) o alla società non modifica la situazione e non costituisce neppure causa di esenzione per la parte del contributo di costruzione a suo tempo non corrisposta. Considerata la natura eccezionale della gratuità del permesso di costruire non è possibile ipotizzare una fattispecie a formazione progressiva che ne estenda la portata sotto il profilo temporale trasformando in gratuite fattispecie originariamente onerose. Questa conclusione risulta indirettamente confermata dal fatto che è invece prevista la perdita del beneficio della gratuità qualora le opere realizzate a fini agricoli cambino destinazione d'uso nei 10 anni dall'ultimazione dei lavori (v. art. 52 comma 3 della LR 12/2005 e art. 19 comma 3 del DPR 380/2001). Poiché il cambio di destinazione può essere determinato dalla cessazione dell'attività agricola, il cui svolgimento è necessario ai fini del mantenimento della qualifica di IAP, si può osservare che i fatti sopravvenuti rilevano solo quando fanno venire meno i presupposti (oggettivi o soggettivi) dell'esenzione. Rileva pertanto l'eventuale perdita della qualifica di IAP successiva al rilascio del permesso di costruire ma non l'acquisto tardivo (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, sentenza 17.10.2008 n. 1332 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL’omessa indicazione e/o quantificazione del contributo di costruzione, nel permesso di costruire, è circostanza inidonea a determinare l’illegittimità del provvedimento.
Anche l'eventuale erronea determinazione degli oneri connessi al rilascio del permesso di costruire non determina, in ogni caso, l'illegittimità del titolo stesso e non giustifica la pretesa al suo annullamento giurisdizionale; ciò in quanto il procedimento di determinazione del contributo di urbanizzazione è diverso e autonomo rispetto al procedimento di rilascio del permesso di costruire, sia perché persegue finalità sue proprie, sia perché si conclude con un provvedimento che, diverso da quello concessivo del titolo a costruire, è autonomamente impugnabile e suscettivo di annullamento senza ripercussioni sul titolo abilitativo alla costruzione.

Il Collegio –a voler ammettere che il contributo sia dovuto, trattandosi di attività edilizia rivolta al recupero filologico di edificio preesistente, per il quale sussistono tutte le opere di urbanizzazione in loco- ritiene l’omessa indicazione e/o quantificazione del contributo di costruzione, nel permesso di costruire, circostanza inidonea a determinare l’illegittimità del provvedimento.
Infatti, anche l'eventuale erronea determinazione degli oneri connessi al rilascio del permesso di costruire non determinerebbe, in ogni caso, l'illegittimità del titolo stesso e non giustificherebbe la pretesa al suo annullamento giurisdizionale; ciò in quanto il procedimento di determinazione del contributo di urbanizzazione è diverso e autonomo rispetto al procedimento di rilascio del permesso di costruire, sia perché persegue finalità sue proprie, sia perché si conclude con un provvedimento che, diverso da quello concessivo del titolo a costruire, è autonomamente impugnabile e suscettivo di annullamento senza ripercussioni sul titolo abilitativo alla costruzione (Consiglio Stato, sez. IV, 31.01.1995, n. 37)
(TAR Campania-Napoli, Sez. IV, sentenza 03.09.2008 n. 10036 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAFattispecie in materia di ristrutturazione - Oneri di urbanizzazione.
Sulla base del generale principio che correla gli oneri di urbanizzazione al carico urbanistico, costituisce intervento di ristrutturazione edilizia comportante il pagamento di tale contributo la divisione ed il frazionamento di un’unità immobiliare in due o più unità qualora, a seguito di tale operazione e stante l’autonoma utilizzabilità delle stesse, si realizzi un aumento del carico urbanistico (C.d.S., sez. IV, 29/04/2004 n. 2611; TAR Toscana, sez. III, 22/01/2007 n. 62; TAR Lazio –RM- 04/01/2006 n. 36) (massima tratta da www.studiospallino.it - TAR Emilia Romagna-Parma, Sez. I, sentenza 15.07.2008 n. 352 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il contributo di urbanizzazione ex art. 11, comma 2, della L. 28.01.1977 n. 10 deve essere determinato al momento del rilascio della concessione ed è quindi a tale momento che occorre avere riguardo per la determinazione della entità del contributo facendo perciò applicazione della normativa vigente al momento del rilascio del provvedimento concessorio.
Sussiste la irretroattività delle determinazioni comunali a carattere regolamentare con cui vengono stabiliti i criteri generali e le nuove tariffe e/o modalità di calcolo per gli oneri di urbanizzazione ribadendosi l’integrale applicazione del principio tempus regit actum e, quindi, la irrilevanza ed ininfluenza di disposizioni tariffarie sopravvenute (anche se di poco) rispetto al momento del rilascio della concessione edilizia.

Costituisce orientamento consolidato della giurisprudenza la affermazione che il contributo di urbanizzazione ex art. 11, secondo comma, della L. 28.01.1977 n. 10 deve essere determinato al momento del rilascio della concessione ed è quindi a tale momento che occorre avere riguardo per la determinazione della entità del contributo facendo perciò applicazione della normativa vigente al momento del rilascio del provvedimento concessorio (Sez. V 25.10.1993 n. 1071, 12.07.1996 n. 850, 06.12.1999 n. 2058, Sez. IV 19.07.2004 n. 5197).
Da tale affermazione di principio è stato tratto il corollario della irretroattività delle determinazioni comunali a carattere regolamentare con cui vengono stabiliti i criteri generali e le nuove tariffe e/o modalità di calcolo per gli oneri di urbanizzazione ribadendosi l’integrale applicazione del principio tempus regit actum e, quindi, la irrilevanza ed ininfluenza di disposizioni tariffarie sopravvenute (anche se di poco) rispetto al momento del rilascio della concessione edilizia (C.G.A. 07.08.2003 n. 289) (CGARS, sentenza 27.05.2008 n. 466 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAFattispecie in materia di ristrutturazione - Oneri di urbanizzazione.
In base all’art. 3, l. n. 10 del 1977, la concessione edilizia, ora permesso di costruire, comporta la corresponsione di un contributo commisurato all’incidenza delle spese di urbanizzazione ed al costo di costruzione e tale obbligo è esteso, ex art. 9 della legge, agli interventi di restauro, risanamento e ristrutturazione che comportino aumento delle superfici e mutamento delle destinazioni d’uso: ai fini della riliquidazione degli oneri di urbanizzazione, costituisce legittimo presupposto la sussistenza di un eventuale maggior carico urbanistico provocato dall’intervento eseguito in un fabbricato già autorizzato ed, in tale ambito, non deve tenersi conto esclusivamente di ristrutturazioni generali e globali di un edificio con necessari interventi esterni ed interni, ma anche di ristrutturazioni che comunque trasformino la realtà strutturale e la fruibilità urbanistica dell’immobile, con la connessa necessità di sottoporre le relative concessioni al pagamento dei contributi riferiti all’avvenuta oggettiva rivalutazione dell’immobile e funzionali a sostenere il carico socio-economico che la realizzazione comporta sotto il profilo urbanistico (C.d.S. sez. IV 29.04.2004 n. 2611) (massima tratta da www.studiospallino.it - TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. I, sentenza 21.03.2008 n. 1109 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: OGGETTO: Contributo per il rilascio dei permesso di costruire (artt. 16 e 19 del D.P.R. n. 380/2001).
Il Comune fa presente che “nell’anno 2002 è stata rilasciata la Concessione Edilizia per la realizzazione di un intervento soggetto al contributo di cui agli articoli 16 e 19 del D.P.R. n. 380/2001 e che “relativamente al costo di costruzione l’importo da pagare è stato determinato sulla base di apposita perizia giurata a firma del tecnico progettista e trasmessa dal richiedente”.
Il Comune aggiunge che “a seguito di successivi accertamenti è emersa la non corrispondenza tra le opere oggetto di Concessione Edilizia (e successive varianti) e quelle oggetto della richiamata perizia” e che “in conseguenza di ciò la parte interessata ha trasmesso nuova perizia giurata, congruente con le opere autorizzate, il cui importo è superiore a quello stimato con la perizia precedentemente trasmessa”.
Rileva che “quanto sopra comporta una maggiore quantificazione del costo di costruzione da corrispondere” al Comune e chiede pertanto se “alla maggiore somma da richiedere all’interessato a seguito dell’applicazione dell’aliquota del 10% all’importo delle opere, così come rideterminato con la nuova perizia giurata, vanno applicate le sanzioni previste dall’art. 42 del D.P.R. 380/2001” e se sul maggiore importo così determinato vanno altresì applicati “gli interessi”.
Comunica che l’orientamento del Capo Area Tecnica del Comune è il seguente: “non applicazione delle sanzioni previste all’art. 42 del D.P.R. 380/2001 in quanto gli originari importi, anche se sulla base di un’erronea perizia giurata inviata dall’interessato per il calcolo del costo di costruzione, sono stati comunque corrisposti nei termini e con le modalità indicate dall’Ente prima del rilascio della Concessione Edilizia” e “applicazione degli interessi al tasso legale sul maggiore importo calcolato per il periodo che va dal rilascio della originaria Concessione Edilizia all’attualità” (Regione Marche, parere 10.01.2008 n. 78/2008).

EDILIZIA PRIVATALa determinazione dell’onere dovuto per il rilascio della concessione costituisce il risultato di un calcolo materiale, essendo la misura concreta direttamente collegata dalla legge al carico urbanistico accertato secondo parametri rigorosamente stabiliti (per cui deve escludersi, stante la natura tecnica dell’attività in materia, che il provvedimento debba essere motivato).
Per quanto concerne la dedotta carenza di motivazione in ordine all’ammontare dell’importo richiesto a titolo di oneri concessori merita di essere evidenziato che la determinazione dell’onere dovuto per il rilascio della concessione costituisce il risultato di un calcolo materiale, essendo la misura concreta direttamente collegata dalla legge al carico urbanistico accertato secondo parametri rigorosamente stabiliti (per cui deve escludersi, stante la natura tecnica dell’attività in materia, che il provvedimento debba essere motivato) (cfr. CdS, sez. V, 21.04.2006, n. 2258) (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 13.03.2008 n. 604 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAFattispecie in materia di ristrutturazione - Esenzione dagli oneri di urbanizzazione.
L'art. 9, l. n. 10 del 1977 prevede l'esenzione dal pagamento degli oneri di costruzione, contemplando alcune specifiche ipotesi, fra le quali quelle degli interventi di restauro, di risanamento conservativo, di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore al 20 per cento, di edifici unifamiliari (lettera d).
Non rientra in quest'ultima fattispecie, l'intervento edilizio comprendente tre unità abitative sia pur riconducibili alla proprietà ad uno o a più soggetti (massima tratta da www.studiospallino.it - TAR Sicilia-Catania, Sez. I, sentenza 13.03.2008 n. 472 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAQualora non c'è trasformazione del territorio in forza di una rilasciata concessione edilizia, il relativo pagamento del contributo di costruzione si appalesa come privo di causa cosicché l’eventuale importo versato deve essere restituito.
Va precisato che la restituzione dei contributi (oo.uu. + costo di costruzione) deve ammettersi anche nella ipotesi di decadenza della concessione edilizia già rilasciata, intervenuta in conseguenza della non tempestiva realizzazione del progetto assentito e del sopravvenire di nuove previsioni urbanistiche che lo rendono definitivamente irrealizzabile.

E’ stato rilevato in decisioni della giurisprudenza anche remote, che gli obblighi contributivi di cui all’art. 3 e 4 l. n. 10 del 1977 devono essere correlati alla disposizione di cui al precedente articolo 1 della medesima legge il quale riferisce il pagamento degli oneri concessori ad una precisa circostanza di fatto: la esplicazione di una attività trasformativa del territorio.
Pertanto qualora tale circostanza non si verifica, il relativo pagamento si appalesa come privo di causa cosicché l’eventuale importo versato deve essere restituito (TAR Lombardia, Sez. II, 18.12.1987 n. 482 e, per più recente affermazione del principio, cfr. C.d.S., V Sezione, 12.06.1995 n. 894).
Va precisato che la restituzione dei contributi deve ammettersi anche nella ipotesi di decadenza della concessione edilizia già rilasciata, intervenuta in conseguenza della non tempestiva realizzazione del progetto assentito e del sopravvenire di nuove previsioni urbanistiche che lo rendono definitivamente irrealizzabile.
Ciò perché la sopravvenienza della nuova normativa urbanistica, contraria a quella sotto la cui vigenza era stata rilasciata la concessione edilizia, impedisce definitivamente e senza possibilità di ulteriori proroghe della concessione edilizia decaduta, la utilizzabilità dello stesso provvedimento che aveva assentito la edificazione nella zona.
Va dunque riconosciuto il diritto della ricorrente alla parziale restituzione dei contributi già versati a titolo di oneri di urbanizzazione quale risulta derivato, nella sua esatta misura, dalla parziale decadenza della concessione edilizia n. 286 notificata il 30.12.1978 (rilasciata alla ricorrente per la realizzazione di tre villini) ed intervenuta dopo la realizzazione di un solo villino, che la ricorrente asserisce di avere già eseguito.
Va perciò statuito il conseguente obbligo del Comune di Subiaco di restituire alla avente diritto le somme riferite agli importi che risultano indebitamente trattenuti.
In conseguenza della stessa decadenza della concessione edilizia va riconosciuto anche il diritto alla restituzione delle somme riferibili al costo di costruzione, il quale contributo realizza anch’esso l’obbligo della onerosità della concessione sancito dall’art. 3 l. n. 47/1985 sempre, tuttavia, in riferimento al compimento di una attività di trasformazione del territorio effettivamente avvenuta.
Sulle somme dal Comune riscosse per contributi che risulteranno da restituire spettano alla ricorrente gli interessi legali dalla data della domanda di restituzione.
Trattasi di una fattispecie di indebito oggettivo il quale genera la sola obbligazione di restituzione con gli interessi, a norma dell’art. 2033 cod. civ. che gli stessi interessi fa decorrere dalla data della domanda ripetitiva dell’indebito nella ipotesi di buona fede del percettore che deve ritenersi nel caso di specie ricorrere
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-bis, sentenza 12.03.2008 n. 2294 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL'insorgenza dell’obbligo di corresponsione degli oneri concessori è correlata al verificarsi o meno di un maggiore carico urbanistico quale effetto dell’intervento edilizio, sicché non è necessario che la ristrutturazione interessi globalmente l’edificio –con variazioni riguardanti nella loro interezza le parti esterne ed interne del fabbricato–, ma è sufficiente che ne risulti comunque mutata la realtà strutturale e la fruibilità urbanistica, con oneri conseguentemente riferiti all’oggettiva rivalutazione dell’immobile e funzionali a sopportare l’aggiuntivo carico “socio-economico” che l’attività edilizia comporta, anche quando l’incremento dell’impatto sul territorio consegua solo a marginali lavori dovuti ad una divisione o frazionamento dell’immobile tra più proprietari.
Quanto ai presupposti per l’insorgenza dell’obbligo di corresponsione degli oneri concessori, è stato ripetutamente riconosciuto in giurisprudenza che rilevante in tal senso è il verificarsi o meno di un maggiore carico urbanistico quale effetto dell’intervento edilizio, sicché non è necessario che la ristrutturazione interessi globalmente l’edificio –con variazioni riguardanti nella loro interezza le parti esterne ed interne del fabbricato–, ma è sufficiente che ne risulti comunque mutata la realtà strutturale e la fruibilità urbanistica, con oneri conseguentemente riferiti all’oggettiva rivalutazione dell’immobile e funzionali a sopportare l’aggiuntivo carico “socio-economico” che l’attività edilizia comporta, anche quando l’incremento dell’impatto sul territorio consegua solo a marginali lavori dovuti ad una divisione o frazionamento dell’immobile tra più proprietari (v. Cons. Stato, Sez. V, 03.03.2003 n. 1180; Sez. IV, 29.04.2004 n. 2611).
La circostanza, quindi, che l’intervento di ristrutturazione edilizia del fabbricato della società ricorrente abbia determinato un aumento delle unità residenziali (da 8 a 11) giustifica la pretesa dell’Amministrazione comunale, pur a fronte di una superficie utile che per questa parte risulta invariata, tenuto conto della maggiore dotazione di servizi che l’opera assentita determina nell’area in cui viene realizzata (TAR Emilia Romagna-Parma, sentenza 19.02.2008 n. 100 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAFattispecie in materia di ristrutturazione -  Oneri (calcolo).
Appare legittimo l’operato del Comune che, in assenza di computo metrico estimativo delle opere di ristrutturazione, ha riferito gli oneri di urbanizzazione alla superficie reale interessata dall’intervento, applicando l’importo unitario al metro quadro, previsto dalle tabelle comunali per gli interventi di ristrutturazione, alla superficie dichiarata dalla ricorrente nell’istanza di condono (massima tratta da www.studiospallino.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 28.01.2008 n. 225 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: OGGETTO: Contributo per il rilascio dei permesso di costruire (artt. 16 e 19 del D.P.R. n. 380/2001).
Il Comune fa presente che “nell’anno 2002 è stata rilasciata la Concessione Edilizia per la realizzazione di un intervento soggetto al contributo di cui agli articoli 16 e 19 del D.P.R. n. 380/2001 e che “relativamente al costo di costruzione l’importo da pagare è stato determinato sulla base di apposita perizia giurata a firma del tecnico progettista e trasmessa dal richiedente”.
Il Comune aggiunge che “a seguito di successivi accertamenti è emersa la non corrispondenza tra le opere oggetto di Concessione Edilizia (e successive varianti) e quelle oggetto della richiamata perizia” e che “in conseguenza di ciò la parte interessata ha trasmesso nuova perizia giurata, congruente con le opere autorizzate, il cui importo è superiore a quello stimato con la perizia precedentemente trasmessa”.
Rileva che “quanto sopra comporta una maggiore quantificazione del costo di costruzione da corrispondere” al Comune e chiede pertanto se “alla maggiore somma da richiedere all’interessato a seguito dell’applicazione dell’aliquota del 10% all’importo delle opere, così come rideterminato con la nuova perizia giurata, vanno applicate le sanzioni previste dall’art. 42 del D.P.R. 380/2001” e se sul maggiore importo così determinato vanno altresì applicati “gli interessi”.
Comunica che l’orientamento del Capo Area Tecnica del Comune è il seguente: “non applicazione delle sanzioni previste all’art. 42 del D.P.R. 380/2001 in quanto gli originari importi, anche se sulla base di un’erronea perizia giurata inviata dall’interessato per il calcolo del costo di costruzione, sono stati comunque corrisposti nei termini e con le modalità indicate dall’Ente prima del rilascio della Concessione Edilizia” e “applicazione degli interessi al tasso legale sul maggiore importo calcolato per il periodo che va dal rilascio della originaria Concessione Edilizia all’attualità” (Regione Marche, parere 10.01.2008 n. 78/2008).

EDILIZIA PRIVATAApplicazione oneri di urbanizzazione.
Con richiesta in data 14.01.2008, il Comune XXX pone un quesito in merito ad una fattispecie concreta, relativa all’applicazione degli oneri di urbanizzazione.
Segnala, infatti, il Comune che una ditta svolgente l’attività di “autonoleggio con conducente per il trasporto di persone”, aveva presentato presso gli Uffici Comunali un’istanza di condono edilizio avente ad oggetto il mutamento della destinazione d’uso, con opere edilizie, di un capannone agricolo in fabbricato adibito al deposito degli automezzi –pulmini e pullman appartenenti alla ditta in questione- con uffici e strutture accessorie all’attività svolta dalla predetta ditta.
In fase istruttoria, il Comune aveva richiesto alcune integrazioni alla pratica di condono edilizio presentata e aveva, altresì, comunicato che “gli oneri di urbanizzazione da corrispondere sarebbero stati determinati considerando l’attività in questione di tipo commerciale”.
Il titolare della ditta in oggetto, tuttavia, ha successivamente contestato al Comune l’applicazione degli oneri relativi all’attività commerciale, sostenendo che l’attività svolta nel caso concreto rientra a pieno titolo tra le attività artigianali, come definite dalla Legge n. 443/1985, e che la ditta risulta iscritta all’Albo Artigiano.
Il Comune XXX chiede, dunque, se l’attività svolta dalla ditta in oggetto possa effettivamente essere considerata artigiana o non debba, piuttosto, essere ritenuta attività commerciale, con applicazione dei relativi oneri di urbanizzazione (Regione Piemonte, parere n. 2/2008 - link a www.regione.piemonte.it).

anno 2007

EDILIZIA PRIVATA: Sul ricalcolo, eventuale, del contributo di costruzione se i lavori edili non sono terminati nel termine concesso e sulla restituzione del contributo di costruzione versato e non dovuto.
Il superamento dei termini per l’inizio e l’ultimazione dei lavori (e la conseguenziale decadenza del titolo edilizio precedentemente rilasciato) non impone sempre e comunque il rimborso del contributo rilasciato, ma è possibile il rilascio di un nuovo titolo edificatorio che venga ad integrare una sostanziale continuazione dell’attività di realizzazione già realizzata e che deve essere accompagnato dal ricalcolo del contributo di costruzione dovuto, solo ove se ne prospetti la necessità e, quindi, in presenza di particolari circostanze di fatto e giuridiche (modifica dell’importo del contributo) che rendano necessario procedere ad una nuova quantificazione di quanto dovuto a titolo di oneri concessori.
L'obbligo di restituzione, da parte di un comune, dei contributi di concessione non dovuti comporta il sorgere dell'obbligazione accessoria avente ad oggetto la corresponsione degli interessi legali sulle somme indebitamente percepite a partire, presumendosi la buona fede del percettore, dalla data di richiesta della restituzione, ma non anche della rivalutazione monetaria, essendo quest'ultima riconducibile alla diversa ipotesi di inadempimento di un'obbligazione pecuniaria (TAR Campania Salerno, sez. II, 05.04.2006, n. 432; TAR Lombardia Milano, sez. II, 05.05.2004, n. 1620) (TAR Puglia-Lecce, Sez. III, sentenza 20.12.2007 n. 4300 - link a www.giutizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl contributo di edificazione di cui all'art. 3 l. 28.01.1977 n. 10, è strettamente connesso al concreto esercizio della facoltà di edificare, per cui non è dovuto in caso di rinuncia o di mancato utilizzo della concessione.
Il ricalcolo dei contributi di concessione è precluso unicamente nei casi di proroga del termini per l’inizio e la ultimazione dei lavori di costruzione, mentre il rinnovo e l’emissione di nuova concessione edilizia comporta un nuovo calcolo dei contributi di concessione nella percentuale dovuta al momento del rilascio della concessione e riferita al costo di costruzione vigente in quella data.
E' alla data del rilascio della concessione edilizia che occorre far riferimento per la determinazione del contributo

Le controversie sulla debenza o meno del contributo per il rilascio di una concessione edilizia e sul suo ammontare, devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo dall'art. 16 della l. 28.01.1977 n. 10 (cfr. anche art. 4 legge 205/2000), riguardando diritti soggettivi, non sottostanno ai termini decadenziali propri dei giudizi impugnatori e possono essere attivate nei normali termini di prescrizione. Per cui, il Comune, può attivarsi per richiedere, a seguito di nuovi calcoli, eventuali contributi integrativi a copertura degli importi dovuti per contributi al costo di costruzione o per oneri di urbanizzazione previsti da prescrizioni normative, da regolamenti comunali o da clausole contrattuali.
Inoltre, è già stato sottolineato da questo Collegio che il rilascio di una concessione edilizia è subordinato all’esistenza delle opere di urbanizzazione o all’impegno dell’attuazione delle stesse. Il rilascio della concessione edilizia presuppone, pertanto, l’esistenza di tali opere rispettivamente obbliga il richiedente la concessione edilizia a corrispondere al Comune tutti i contributi previsti appunto da prescrizioni normative, regolamentari o contrattuali.
Qualsiasi indicazione inerente l’avvenuto adempimento di tali pagamenti contenuta nella concessione edilizia rispettivamente nella licenza d’uso (che di regola non sono che clausole di rito) non libera il debitore (cioè non sono da considerarsi quietanze liberatorie di un obbligo, che soggiace comunque unicamente ai termini prescrizionali e non di decadenza). Resta, pertanto, la facoltà del Comune di richiedere entro i termini di prescrizione, cioè, entro il periodo di dieci anni dal rilascio della concessione edilizia, ulteriori contributi di concessione ancora dovuti dal concessionario.
Il contributo di edificazione di cui all'art. 3 l. 28.01.1977 n. 10, è strettamente connesso al concreto esercizio della facoltà di edificare, per cui non è dovuto in caso di rinuncia o di mancato utilizzo della concessione (Consiglio Stato, sez. V, 12.06.1995, n. 894).
Il ricalcolo dei contributi di concessione è precluso unicamente nei casi di proroga del termini per l’inizio e la ultimazione dei lavori di costruzione, mentre il rinnovo e l’emissione di nuova concessione edilizia comporta un nuovo calcolo dei contributi di concessione nella percentuale dovuta al momento del rilascio della concessione e riferita al costo di costruzione vigente in quella data (Il rinnovo della concessione edilizia è atto radicalmente diverso dalla proroga del termine di scadenza della concessione stessa; infatti, mentre il rinnovo della concessione presuppone la sopravvenuta inefficacia dell'originario titolo concessorio e costituisce, a tutti gli effetti, una nuova concessione, la proroga è atto sfornito di propria autonomia che accede all'originaria concessione ed opera semplicemente uno spostamento in avanti del suo termine finale di efficacia (TAR Lazio-Roma, sez. II, 06.11.2006, n. 11809).
Costituisce giurisprudenza pacifica che il fatto costitutivo dell'obbligo giuridico del titolare di una concessione edilizia di corrispondere i relativi contributi è rappresentato dal rilascio della concessione, con la conseguenza che è a tale momento che occorre aver riguardo per la determinazione del contributo (cfr. C.d.S., Sez. V, 25.10.1993, n. 1071 e 06.12.1999, n. 2056, C.d.S. Sez. VI, 18.03.2004 n. 1435).
Il contributo di urbanizzazione, da pagare all'atto del rilascio della concessione di costruzione, ha natura contributiva, rappresentando un corrispettivo delle spese per la collettività si addossa per il conferimento al privato della facoltà di edificazione e dei vantaggi che il concessionario ottiene per effetto della trasformazione, mentre la quota del contributo commisurata al costo di costruzione ha natura tipicamente tributaria e si configura come una vera e propria imposta (TAR Campania Salerno, 25.02.1993, n. 102).
Il contributo introdotto in materia edilizia dalla legge n. 10 del 1977 ha natura di entrata di diritto pubblico e quindi di tributo e si classifica nella categoria dei tributi speciali “contributi” (Consiglio Stato, sez. V, 17.12.1984, n. 920)
(T.R.G.A. Trentino Alto Adige-Bolzano, sentenza 04.12.2007 n. 351 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAFattispecie in materia di ristrutturazione - Oneri di urbanizzazione.
Costante giurisprudenza ha affermato che il contributo per oneri di urbanizzazione ha funzione sostitutiva delle opere di urbanizzazione e quindi assolve alla funzione di ridistribuire i costi sociali delle relative opere facendole gravare sui soggetti che ne usufruiscono.
L’entità degli oneri è correlata alla variazione del carico urbanistico, sicché è ben possibile che un intervento di ristrutturazione e mutamento di destinazione d’uso possa comportare aggravi di carico urbanistico e quindi l’obbligo della relativa corresponsione degli oneri (si veda Consiglio di Stato, sez. V, n. 120 del 1991); al contrario è altrettanto possibile che in caso di mutamento di destinazione d’uso nell’ambito della stessa categoria urbanistica, faccia seguito un maggior carico urbanistico indotto dalla realizzazione di quanto assentito e correlativamente siano dovuti gli oneri accessori (Tar Lombardia, Milano, sez. II, n. 4502 del 2003).
In sostanza, il mero riferimento al passaggio tra una destinazione all’altra nell’ambito della stessa categoria urbanistica non implica automaticamente la non dovutezza degli oneri, dovendosi accertare se non vi sia stato effettivamente mutamento del carico urbanistico (massima tratta da www.studiospallino.it - TAR Lazio-Roma, Sez. II, sentenza 14.11.2007 n. 11213 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Non sono assoggettabili al contributo commisurato al costo di costruzione i parcheggi obbligatori ai sensi dell'art. 18 della legge 06.08.1967 n. 765.
In sede di rilascio della concessione edilizia, non sono assoggettabili al contributo commisurato al costo di costruzione i parcheggi obbligatori ai sensi dell'art. 18 della legge 06.08.1967 n. 765 (Sez. V, sent. n. 987 del 14-10-1992, Comune di Milano c. Soc. Naver Immobiliare) che ha aggiunto l’art. 41-sexies poi sostituito dall’art. 2 citato: ”Nelle nuove costruzioni ed anche nelle aree di pertinenza delle costruzioni stesse, debbono essere riservati appositi spazi per parcheggi in misura non inferiore ad un metro quadrato per ogni 10 metri cubi di costruzione (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 22.10.2007 n. 3336 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAModalità aggiornamento oneri di urbanizzazione.
Il Comune XXX ha proposto al Servizio di consulenza regionale alcuni quesiti attinenti alle procedure ed alle modalità di aggiornamento degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria da parte del Comune, aggiornamento previsto dall’art. 16, c. VI, D.P.R. 06.06.2001 n. 380 (T.U. Edilizia).
In particolare i quesiti riguardano:
- l’individuazione dell’organo comunale deputato all’aggiornamento quinquennale degli oneri di urbanizzazione;
- la possibilità di introdurre riduzioni degli oneri di urbanizzazioni oltre ai casi espressamente contemplati dalle leggi statali;
- l’eventuale possibilità, per il Comune, di dotarsi di regolamento disciplinante il contributo di costruzione.
Inoltre, il Comune XXX chiede chiarimenti in merito alla procedura per la modifica del regolamento edilizio imposta dalla D.C.R. 11 gennaio 2007 n. 98-1247, punto 1.3. dell’"allegato” (Regione Piemonte, parere n. 76/2007 - link a www.regione.piemonte.it).

EDILIZIA PRIVATA: OGGETTO: Applicazione dell’art. 9, primo comma, lett. d), della legge 28.01.1977, n. 10 (ora art. 17, comma 3, lett. b) del D.P.R. 06.06.2001, n. 380).
Il Comune fa notare che la quinta sezione del Consiglio di Stato ha pronunciato la decisione n. 9672 del 1998 (rectius: n. 6289 dei 2004), che allega in copia, con la quale si è “dato ragione ad un comune che aveva imposto il pagamento del contributo di costruzione per un intervento di ristrutturazione su un edificio ex agricolo, unifamiliare, senza alcun incremento di unità immobiliari”.
Il Comune ritiene che l’intervento oggetto del contendere avrebbe dovuto essere esente dal contributo di costruzione, così come disposto dall’art. 17, comma 3, lett. b), del D.P.R. 06.06.2001, n. 380 (già art. 9, primo comma, lett. d), della legge 28.01.1977, n. 10).
Chiede quindi, alla luce della predetta decisione del Consiglio di Stato, “quali indirizzi intraprendere per interventi analoghi” e, “in particolare se il cambio di destinazione da ex utilizzo “agricolo” dell’immobile inteso quale vecchia abitazione del colono, ad edificio “residenziale”, determina o meno un provvedimento oneroso anche nel caso in cui l’intervento, pur prevedendo l’estensione dei locali uso abitativo anche al piano terra, mantiene un uso unifamiliare” (Regione Marche, parere 05.06.2007 n. 54/2007).

EDILIZIA PRIVATA: Gli oneri di urbanizzazione ed il costo di costruzione differiscono solamente per le modalità di adempimento, mentre invece coincidono quanto al momento che determina la nascita della obbligazione, ancorata, in ambedue i casi, alla data del rilascio della concessione edilizia.
Tale conclusione da un lato esclude che possano essere applicate tabelle parametriche diverse da quelle vigenti a quel momento, ma esclude altresì la possibilità per la Amministrazione che abbia erroneamente determinato l’ammontare del contributo di richiedere al privato successivamente un importo a titolo di conguaglio.

Costituisce orientamento consolidato della giurisprudenza la affermazione che il contributo di urbanizzazione ex art. 11, secondo comma, della L. 28.01.1977 n. 10 deve essere determinato al momento del rilascio della concessione ed è quindi a tale momento che occorre avere riguardo per la determinazione della entità del contributo facendo perciò applicazione della normativa vigente al momento del rilascio del provvedimento concessorio (Sez. V 25.10.1993 n. 1071, 12.07.1996 n. 850, 06.12.1999 n. 2058, Sez. IV 19.07.2004 n. 5197).
Da tale affermazione di principio è stato tratto il corollario della irretroattività delle determinazioni comunali a carattere regolamentare con cui vengono stabiliti i criteri generali e le nuove tariffe e/o modalità di calcolo per gli oneri di urbanizzazione ribadendosi l’integrale applicazione del principio tempus regit actum e quindi la irrilevanza ed ininfluenza di disposizioni tariffarie sopravvenute (anche se di poco) rispetto al momento del rilascio della concessione edilizia (C.G.A.R.S. 07.08.2003 n. 289).
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Invero è pacifico tra le parti che l’importo è stato determinato dal Comune all’atto del rilascio della concessione senza alcuna riserva di successivo conguaglio e che tale importo è stato integralmente corrisposto.
In proposito va osservato che l’articolo 11 della L. 10/1977 recepito dall’art. 1 della legge regionale 71/1978 (applicabile ratione temporis) stabilisce al primo e secondo comma che il contributo di urbanizzazione è corrisposto all’atto del rilascio della concessione salvo scomputo secondo modalità da concordare, mentre il contributo concernente il costo di costruzione, determinato con riferimento alla data del rilascio, può essere corrisposto in corso d’opera secondo determinate modalità e garanzie.
Risulta quindi testualmente stabilito che le due tipologie di contributi possono differire solo per le modalità di adempimento, mentre invece coincidono quanto al momento che determina la nascita della obbligazione, ancorata, in ambedue i casi, alla data del rilascio della concessione edilizia.
Tale conclusione da un lato esclude che possano essere applicate tabelle parametriche diverse da quelle vigenti a quel momento, ma esclude altresì la possibilità per la Amministrazione che abbia erroneamente determinato l’ammontare del contributo di richiedere al privato successivamente un importo a titolo di conguaglio.
In effetti, richiamando il carattere delle controversie de quibus di cui è pacificamente riconosciuta la natura paritetica, appare difficilmente sostenibile che la Amministrazione, in sede di autotutela, possa richiedere a conguaglio somme da essa erroneamente non pretese nel momento in cui l’Amministrazione stessa procedeva a determinare il quantum della obbligazione a carico del privato.
In linea più generale va infatti riconosciuto che l’esercizio dell’autotutela in vicende aventi ad oggetto non tanto la legittimità degli atti, quanto il rapporto di credito e debito derivante dalla applicazione di una determinata normativa, non può non risultare condizionato dalle disposizioni di carattere civilistico che disciplinano il sorgere modificarsi ed estinguersi dei reciproci diritti ed obblighi.
Se infatti è esatto che in tali vicende l’Amministrazione, pur rimanendo depositaria di pubblici interessi, interviene tuttavia senza esercitare poteri autoritativi, ma alla stessa stregua di un soggetto privato, ne consegue che anche la classica autotutela amministrativa può trovare cittadinanza solo compatibilmente con il regime paritetico nel quale l’Amministrazione stessa opera.
Tale principio risulta già sostanzialmente riconoscibile nella giurisprudenza attuale in materia di ripetizione di somme corrisposte erroneamente a pubblici dipendenti. La affermazione che in tal caso l’interesse pubblico è in re ipsa e che non occorre alcuna specifica motivazione corrisponde in realtà al principio civilistico che, all’art. 2033 c.c., disciplina l’indebito oggettivo (cfr., in questo senso, C.d.S.,VI, 10.02.1999, n. 120; C.d.S., VI, 20.02.2002, n. 1045; C.d.S., V, 14.05.2003, n. 2560; C.d.S., V, 23.03.2004, n. 1535; C.d.S., 23.11.2004, n. 7680).
Nel caso di specie la situazione appare rovesciata in quanto l’Amministrazione non ha erroneamente corrisposto una somma superiore rispetto a quanto era tenuta a versare, bensì ha richiesto una somma inferiore rispetto a quanto aveva il potere di esigere.
Applicando a questa fattispecie i canoni civilistici si premette innanzitutto che ai sensi del citato articolo 11 della legge 10/1977 la determinazione dell’obbligazione pecuniaria era a carico esclusivamente dell’Amministrazione creditrice.
Si premette altresì che l’Amministrazione, ancorché erroneamente, ha tuttavia unilateralmente determinato l’importo che poi è stato richiesto al privato e da questi integralmente soddisfatto.
Sul piano strettamente civilistico il pagamento rappresenta peraltro la modalità principale di estinzione delle obbligazioni, salva la possibile rilevanza ostativa di una causa di violenza, dolo o errore. Escluse le prime due categorie, l’unica che, in ipotesi, potrebbe venire in considerazione è l’errore, la cui disciplina, peraltro, così come enucleabile dagli artt. 1427 e segg. del codice civile, non sembrerebbe attagliarsi alla posizione dell’Amministrazione in veste di creditore.
L’errore infatti per acquisire rilevanza in tema di adempimento delle obbligazioni dovrebbe rivestire i caratteri della essenzialità e della riconoscibilità.
Quanto alla riconoscibilità (art. 1431 c.c.), è lecito dubitare della ricorrenza di tale carattere considerando che la determinazione del contenuto dell’obbligazione incombe all’Amministrazione ed in particolare all’ente locale territoriale che istituzionalmente provvede alla disciplina dei criteri generali ed all’applicazione concreta dei medesimi alle singole fattispecie.
In tale situazione, salvo casi macroscopici di evidenza ictu oculi, non ricorrenti nella fattispecie in esame, è difficile ipotizzare che l’eventuale errore dell’Amministrazione sia riconoscibile dal privato il quale, del tutto naturalmente, viene indotto a prestare affidamento alla correttezza dell’autoliquidazione del proprio credito da parte della stessa Amministrazione creditrice.
Infine, non va dimenticato che la giurisprudenza, sia civile che amministrativa, sottolinea come in generale la riconoscibilità dell’errore deve essere oggettiva e quindi percepibile da qualsiasi terzo, il che si verifica quando l’errore cada sulla esistenza di un fatto.
La riconoscibilità non potrebbe invece avere carattere soggettivo e riferirsi ad errori di valutazione o di apprezzamento (sia di fatti che della portata di norme giuridiche) perché ciò implicherebbe valutazioni soggettive non obiettivamente percepibili da terzi (v. Cass. Sez. Un. 08.01.1981 n. 180, Cass. 01.03.1995 n. 2340, 29.08.1996 n. 7626, C.d.S. Sez. VI 21.05.2001 n. 2807).
Non sembra dubbio che nel caso di specie l’errore consista, se mai, nel valutare in un certo modo la applicabilità temporale di determinate disposizioni.
D’altra parte, va altresì considerato che nella specie l’errore in cui è incorsa l’Amministrazione non è un errore di fatto o un errore di calcolo ex art. 1430 c.c., bensì un tipico errore di diritto consistente nell’applicazione (per gli oneri di urbanizzazione) di tariffe relative ad un periodo antecedente rispetto a quelle applicabili, ovvero nel riconoscimento (per il costo di costruzione) di un abbattimento percentuale delle medesime, abbattimento non più applicabile ratione temporis.
Orbene, com’è noto, la disciplina dell’errore di diritto è valutata con minore favore dal legislatore civilistico poiché tale errore rileva, ex art. 1429 n. 4 c.c., solo allorché sia stato la ragione unica o principale del contratto.
Nella specie ciò non appare predicabile, essendo evidente che la ragione determinante dell’obbligazione risiede da un lato nell’interesse pubblico generale ad una corretta urbanizzazione del territorio e, dall’altro, all’interesse privato particolare della realizzazione dello sfruttamento edilizio della proprietà fondiaria.
Esclusa quindi la rilevanza dell’errore, sia perché non riconoscibile sia perché comunque non essenziale, e sottolineato ancora una volta che la determinazione dell’ammontare dell’obbligazione è posta dalla legge a carico dell’Amministrazione creditrice, ne discende che la medesima rimane vincolata al contenuto della propria manifestazione di volontà a titolo di autoresponsabilità per l’affidamento incolpevole ingenerato nel soggetto obbligato.
Con l’ulteriore conseguenza che se l’obbligato adempie in buona fede (rectius: senza poter ragionevolmente riconoscere l’errore in cui eventualmente sia incorsa l’Amministrazione che ha operato la liquidazione del quantum debeatur) l’obbligazione richiestagli, l’esatto adempimento, alla stregua dei principi generali, estingue defi-nitivamente l’obbligazione.
L’appellante, peraltro, a sostegno della propria tesi richiama due precedenti della Sez. V 25.04.1966 n. 426 e 06.05.1997 n. 458.
Nel primo di questi il potere di revisione nella materia de qua viene apoditticamente ricondotto al generale potere di autotutela e ciò indipendentemente dalla sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi o dalla insorgenza di nuovi fatti.
Nella specie la Amministrazione aveva erroneamente sottovalutato la capacità inquinante di un impianto industriale.
Nella seconda decisione il tema è stato invece affrontato con maggiore approfondimento sistematico.
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Dopo aver richiamato il precedente della Sezione dianzi citato, la decisione 458/1997 afferma che, in base alla lettera ed alla ratio dell’art. 11 L. 10/1977 “il momento in cui viene rilasciata al concessione individua il termine ultimo di pagamento del contributo, ma non già il tempo oltre il quale resterebbe preclusa all’Amministrazione comunale la facoltà di stabilire o rideterminare la misura del credito”.
Ciò premesso, la decisione prosegue negando che nella materia de qua sia possibile applicare in via analogica principi dettati in materia pensionistica.
Assume poi che nel settore fiscale non sarebbero ricavabili principi ostativi al potere di revisione del contributo in autotutela, come sarebbe dimostrato dai poteri di accertamento e rettifica attribuiti alla Amministrazione e la cui limitazione, con termini di decadenza più o meno brevi, sarebbe bilanciato anche da brevi termini di decadenza a carico del contribuente per le corrispondenti impugnative.
La decisione, quindi, rilevato che la giurisprudenza qualifica come paritetico l’atto con cui viene richiesto il contributo ed ammette l’interessato a contestarne l’importo nel termine ordinario di prescrizione afferma che, coerentemente, analogo potere dovrebbe essere riconosciuto all’Amministrazione. Se poi si volesse individuare un termine decadenziale a carico dell’Amministrazione lo stesso dovrebbe, se mai, essere ricercato per analogia e potrebbe essere ricavato dal limite prescrizionale di 36 mesi posto dall’art. 35 della L. 47/1985 al potere dell’Amministrazione di chiedere il conguaglio in relazione alle domande di concessione in sanatoria.
Le tesi esposte nella anzidetta decisione, benché acutamente sostenute, non appaiono peraltro al Collegio completamente soddisfacenti.
Innanzitutto la vicenda va precisata nei suoi termini concreti.
I contributi di cui all’articolo 11 della L. 10/1977, ed all’art. 1 della L.R. 71/1978, a differenza di altre fattispecie normative, non vengono determinati in via dichiaratamente provvisoria al momento della domanda dell’interessato e quindi non sono necessariamente richiesti salvo conguaglio, come ad esempio nella fattispecie della domanda di concessione in sanatoria (art. 35 L. 47/1995).
La determinazione dei contributi de quibus è stato infatti collocato temporalmente dal legislatore al termine di un lungo e complesso procedimento che prende le mosse da una dettagliata e circostanziata domanda del privato, cui fa seguito una complessa istruttoria da parte dell’Amministrazione, nel corso della quale l’Amministrazione stessa può chiedere all’interessato tutti i chiarimenti e gli ulteriori elementi di cui abbia bisogno.
Il momento del rilascio della concessione non è quindi equiparabile sotto nessun profilo al momento della domanda di concessione in sanatoria. In quest’ultimo caso l’Amministrazione si trova di fronte ad una attività già posta in essere dal richiedente e ad una richiesta di legittimazione a posteriori di tale attività e non può quindi che riservarsi ad un momento futuro il controllo sulla corrispondenza tra il fatto compiuto e la domanda.
Del tutto diversa è la situazione della concessione in via ordinaria in cui si tratta di legittimare una attività allo stato ancora inesistente ed in cui l’Amministrazione, prima di rimuovere l’ostacolo a tale attività, ha il potere ed il dovere di verifica e di accertamento sotto ogni profilo della legittimità della richiesta del privato.
Così inquadrata la fattispecie sembra più agevole dedurne le conseguenze ai fini che qui interessano.
Innanzitutto il collegamento normativo tra momento del rilascio della concessione e determinazione dei contributi evidenzia il parallelismo tra la attività di controllo e verifica operata dalla Amministrazione innanzitutto sulla domanda concessoria del privato, e, in concomitanza, sul corrispondente ammontare dei contributi che di conseguenza il richiedente è tenuto a corrispondere all’atto del rilascio del titolo abilitativo.
Se ciò è esatto, sembrerebbe che il legislatore, quanto meno a regime, abbia riconosciuto all’Amministrazione il potere ed il corrispondente dovere di effettuare il controllo e la verifica e di stabilire il quantum dovuto preventivamente al rilascio della concessione.
Pertanto non sembra del tutto convincente la affermazione contenuta nella citata decisione della Sez. V n. 458/1997 secondo cui l’art. 11 disciplinerebbe soltanto il momento del pagamento del contributo al fine di consentire al Comune la realizzazione delle opere di urbanizzazione.
In proposito il Collegio osserva innanzitutto che il pagamento del contributo al Comune presuppone necessariamente la predeterminazione del quantum e non può ovviamente essere effettuato se non a seguito della anzidetta previa determinazione.
Tale determinazione, d’altro canto, non può essere effettuata altro che dal Comune medesimo.
Il secondo comma dell’art. 11 relativo al contributo stabilisce infatti che “la quota … è determinata all’atto del rilascio della concessione ed è corrisposta nel corso d’opera”.
Per il contributo relativo ad oneri di urbanizzazione il primo comma dell’art. 11 si limita invece a stabilire che “la quota … è corrisposta al Comune all’atto del rilascio della concessione”.
Dalla differente dizione letterale non sembra peraltro condurre a ritenere un regime differenziato tra il contributo per costo di costruzione e quello per oneri di urbanizzazione.
In ambedue i casi l’importo dovuto dal privato deve essere predeterminato dall’Amministrazione.
Ciò risulta in modo inequivocabile dal rinvio operato nel primo e secondo comma dell’art. 11 rispettivamente ai precedenti articoli 5 e 6 rubricati “Determinazione degli oneri di concessione” e “Determinazione del costo di costruzione”.
Pertanto il Collegio ritiene che da una esegesi sistematica del primo e secondo comma dell’art. 11, in relazione anche ai precedenti articoli 5 e 6, risulti che il legislatore abbia voluto disporre che la Amministrazione, prima di rilasciare la concessione, determini gli oneri da porre a carico al privato e ne richieda il pagamento integrale al momento del rilascio del titolo abilitativo, salve le ipotesi di rateizzazione o scomputo espressamente previste dal primo e secondo comma del medesimo articolo 11 L. 10/1977 (v. C.d.S. Sez. VI 18.03.2004 n. 1435, C.d.S. Sez. V 13.03.2003 n. 3332), ovvero salvo espressa riserva di conguaglio (C.G.A. parere SS.RR. 392/1995 e Sez. Giur. 131/1996) riserva nella specie peraltro inesistente.
Pertanto, contrariamente a quanto ritenuto nella decisione invocata dall’appellante, in questo caso la verifica, l’accertamento e la determinazione del debito a carico del privato non è posposta dalla legge al pagamento di un importo provvisorio, ma, al contrario, è testualmente collocata in un momento anteriore e cioè in concomitanza, come già osservato, con il controllo e la verifica della domanda di concessione edilizia rispetto alla quale costituisce un corollario consequenziale e ne presuppone, di regola, la determinazione del quantum in via definitiva
(CGARS, sentenza 18.05.2007 n. 365 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATASono esenti dal versamento degli oo.uu. quelle superfici necessarie alla realizzazione delle sale cinematografiche ivi compresa la volumetria per gli ingressi, le uscite, le biglietterie, i servizi igienici e le cabine di proiezione.
Non sono, invece, esentate dal pagamento degli oneri concessori gli altri locali contestualmente realizzati e destinati al tempo libero e quelli comunque a destinazione promiscua con dette ulteriori attività nonché quelli diretti ad offrire un ulteriore servizio a favore degli spettatori o per lo svolgimento di un’attività commerciale o di ristorazione ma non strettamente necessari per l’attività cinematografica.

L’articolo 20, comma settimo, del D.L. 14.01.1994, n. 26, convertito in legge 01.03.1994, n. 153, precisa che “ai fini del rilascio delle concessioni edilizie, la volumetria necessaria per la realizzazione di sale cinematografiche non concorre alla determinazione della volumetria complessiva in base alla quale sono calcolati gli oneri di concessione”.
Nel caso in esame, dalla documentazione prodotta in atti dalla parte, risultano, invece, corrisposti, perché pretesi dal Comune, gli oneri per l’intera superficie dell’intervento edilizio.
Il Comune, pertanto, dovrà restituire l’importo percepito in eccedenza, in violazione della citata normativa.
A tal fine il Comune dovrà scomputare dalla superficie complessiva dell’intervento quelle necessarie alla realizzazione delle sale cinematografiche ivi compresa la volumetria per gli ingressi, le uscite, le biglietterie, i servizi igienici e le cabine di proiezione.
Non sono, invece, esentate dal pagamento degli oneri concessori gli altri locali contestualmente realizzati e destinati al tempo libero e quelli comunque a destinazione promiscua con dette ulteriori attività nonché quelli diretti ad offrire un ulteriore servizio a favore degli spettatori o per lo svolgimento di un’attività commerciale o di ristorazione ma non strettamente necessari per l’attività cinematografica (TAR per la Campania–Napoli, sez. 4^, n. 10364 del 09.06.2004) (TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. II, sentenza 04.05.2007 n. 444 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Sull'(illegittimo) artificioso frazionamento di un intervento edilizio in più interventi (susseguentesi nel tempo) per non versare il contributo di costrizione.
Con successiva censura, contenuta nell’unico motivo di cui al ricorso introduttivo e riproposta con i motivi aggiunti depositati il 23.06.2006, la ricorrente, con riferimento alla DIA del 14.12.2005 (P.E. n. 85/05), si duole del fatto che gli interventi siano stati qualificati dal Comune resistente di ristrutturazione edilizia e soggetti, quindi, al pagamento dei relativi contributi determinati in euro 112.076,65.
La doglianza non è fondata.
Al riguardo, è necessario precisare quanto segue:
- il complesso produttivo di che trattasi (ex Fantic Motor) era, a suo tempo, costituito da un’unica unità immobiliare che la ricorrente ha sottoposto, nel tempo, a vari interventi di natura edilizia;
- nel maggio 2004, la società deducente ha chiesto il rilascio del permesso di costruire (P.E. n. 40/2004) –negato dal Comune- per la ristrutturazione e l’ampliamento del complesso industriale di che trattasi con l’intenzione di dividerlo in due unità immobiliare;
- successivamente, nel luglio 2005, la ricorrente ha presentato una nuova denuncia di inizio attività (P.E. n. 46/2005), sempre relativamente all’intero complesso industriale, qualificando le relative opere, in parte, di ristrutturazione e, per il resto, di manutenzione straordinaria e ha, di conseguenza, determinato i relativi contributi da corrispondere al Comune resistente. In ragione di ciò, la deducente ha stipulato, con il Comune interessato ai sensi dell’art. 35 delle NTA, una convenzione con la quale si è obbligata, tra l’altro, a realizzare opere di urbanizzazione primaria (lavori di collegamento dell’intero quartiere produttivo con la strada provinciale Briantea 342 Como–Bergamo) per un importo di euro 45.094,84;
- il Comune resistente, tuttavia, con nota n. 6068 del 22.07.2005, ha sospeso l’esecuzione degli interventi cui alla predetta DIA (P.E. n. 46/2005) sul presupposto che le opere, considerate nel loro insieme, avrebbero dovuto essere qualificate di ristrutturazione edilizia e non di manutenzione straordinaria;
- in ragione di ciò, la ricorrente ha presentato una nuova DIA qualificando le opere in argomento di ristrutturazione edilizia e di ampliamento eliminando, quindi, il riferimento alla “manutenzione straordinaria”;
- le opere di che trattasi non sono state completate dalla ricorrente la quale, nel dicembre 2005, ha depositato due nuove DIA (P.E. n. 84/2005 e n. 85/2005), sostitutive della precedente P.E. n. 46/2005, consistente la prima (n. 84/2005) in opere di ristrutturazione edilizia e di ampliamento del c.d. lotto B e la seconda (n. 85/2005) di manutenzione straordinaria del lotto A;
- le opere relative alla P.E. n. 85/2005, consistenti nella chiusura di un terrapieno e nella demolizione di tavolati per la formazione di un servizio igienico, sono le stesse di cui alla precedente pratica n. 46/2005 (comprendente anche le opere di ristrutturazione ed ampliamento ora confluite nella P.E. n. 84/2005) che, come detto, non è stata portata a compimento dalla ricorrente.
Ciò premesso in fatto, il Collegio è dell’avviso che la qualificazione effettuata dal Comune resistente secondo cui le opere di che trattasi vanno ricomprese nella nozione di “ristrutturazione edilizia” sia corretta in quanto non risulta smentito che la ricorrente, con la presentazione in data 14.12.2005 della DIA in variante, ha inteso “frammentare” i singoli interventi che, con la P.E. n. 46/2005, erano stati previsti e presentati in maniera unitaria.
Ciò che, infatti, non è revocabile in dubbio, nel caso in esame, è che la ricorrente, attraverso una serie di interventi (da considerare nella loro unitarietà visto anche l’effetto che hanno determinato sul complesso industriale di che trattasi), ha suddiviso in due corpi distinti l’unità immobiliare “ex Fantic Motor” portando ad un organismo edilizio diverso da quello originario, anche se destinato alla stessa funzione produttiva.
La ricorrente, se l’analisi delle opere in argomento non viene limitata ai soli interventi di cui alla P.E. n. 85/2005, intende invero realizzare interventi che interessano l’intero immobile attraverso l’abbattimento dei muri perimetrali esterni, di quelli divisori interni, delle porte e delle finestre ivi esistenti che, insieme, alle opere di minore impatto sul complesso immobiliare (quelle cioè di cui alla P.E. n. 85/2005, ovvero chiusura di un terrapieno e demolizione di tavolati per la formazione di un servizio igienico), non possono che rientrare nella nozione di “ristrutturazione edilizia”.
L’eventuale scorporo degli interventi su una parte di immobile da quelli riguardanti altre parti dello stesso complesso produttivo e facenti parte di un progetto unico non può comportare la diversa qualificazione delle opere di che trattasi; tali interventi devono essere, infatti, visti in una prospettiva unitaria in quanto l’artificiosa frammentazione delle opere da realizzare sul complesso di che trattasi comporterebbe l’elusione della normativa che qualifica gli interventi edilizia e giustifica il conseguente assoggettamento a contribuzione in favore del Comune interessato.
Ciò posto, le opere realizzate dalla ricorrente vanno annoverate negli interventi di ristrutturazione edilizia di cui all’art. 27, comma 1, lett. d), della L.R. 12/2005, rivolti cioè a trasformare l’immobile di che trattasi mediante un insieme di opere che portano ad un organismo in tutto o in parte diverso dal precedente e del quale non rispettano gli elementi tipologici, formali e strutturali come nel caso di opere annoverabili nella nozione della manutenzione straordinaria
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 17.04.2007 n. 1775 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa concessione edilizia deve precisare l’importo degli eventuali oneri di urbanizzazione e costo di costruzione da versare per consentire all’interessato una consapevole valutazione dell’onere finanziario che va ad affrontare.
Il C.G.A.R.S., con sentenza n. 235 del 05.07.1996, ha avuto modo di affermare che “il provvedimento amministrativo che facoltizza il privato all’esercizio di una attività economica subordinatamente all’effettuazione di una controprestazione pecuniaria deve precisare l’importo di tale controprestazione, per consentire all’interessato una consapevole valutazione dell’onere finanziario che va ad affrontare...” ed ha ritenuto legittima la rideterminazione retroattiva degli oneri di urbanizzazione applicabili alle concessioni recanti la clausola “salvo conguaglio” ed invece illegittima la rideterminazione retroattiva del costo di costruzione non preventivamente accettata dall’interessato (TAR Sicilia-Palermo, Sez. I, sentenza 07.03.2007 n. 726 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAVa esclusa la possibilità di applicare tabelle parametriche diverse da quelle vigenti al momento di rilascio della concessione edilizia, ma va esclusa altresì la possibilità per la Amministrazione -che abbia erroneamente determinato l’ammontare del contributo- di richiedere al privato, successivamente, un importo a titolo di conguaglio.
Costituisce inoltre orientamento consolidato della giurisprudenza la affermazione che il contributo di urbanizzazione ex art. 11, secondo comma, della L. 28.01.1977 n. 10 deve essere determinato al momento del rilascio della concessione ed è quindi a tale momento che occorre avere riguardo per la determinazione della entità del contributo facendo perciò applicazione della normativa vigente al momento del rilascio del provvedimento concessorio (sez. V 25.10.1993 n. 1071, 12.07.1996 n. 850, 06.12.1999 n. 2058, sez. IV 19.07.2004 n. 5197).
Da tale affermazione di principio è stato tratto il corollario della irretroattività delle determinazioni comunali a carattere regolamentare con cui vengono stabiliti i criteri generali e nuove tariffe e/o modalità di calcolo per gli oneri di urbanizzazione ribadendosi l’integrale applicazione del principio tempus regit actum e quindi la irrilevanza ed ininfluenza di disposizioni tariffarie sopravvenute (anche se di poco) rispetto al momento del rilascio della concessione edilizia (C.G.A. 07.08.2003 n. 289).
- - - - - - - - - -
E' pacifico tra le parti che l’importo è stato determinato dal Comune all’atto del rilascio della concessione senza alcuna riserva di successivo conguaglio e che tale importo è stato integralmente corrisposto.
In proposito va osservato che l’articolo 11 della L. 10/1977 recepito dall’art. 1 della legge regionale 71/1978 (applicabile ratione temporis) stabilisce al primo e secondo comma che il contributo di urbanizzazione è corrisposto all’atto del rilascio della concessione salvo scomputo secondo modalità da concordare, mentre il contributo concernente il costo di costruzione, determinato con riferimento alla data del rilascio, può essere corrisposto in corso d’opera secondo determinate modalità e garanzie.
Risulta quindi testualmente stabilito che le due tipologie di contributi possono differire solo per le modalità di adempimento, mentre invece coincidono quanto al momento che determina la nascita della obbligazione, ancorata, in ambedue i casi, alla data del rilascio della concessione edilizia.
Tale conclusione da un lato esclude che possano essere applicate tabelle parametriche diverse da quelle vigenti a quel momento, ma esclude altresì la possibilità per la Amministrazione che abbia erroneamente determinato l’ammontare del contributo di richiedere al privato successivamente un importo a titolo di conguaglio.
In effetti, richiamando il carattere delle controversie de quibus di cui è pacificamente riconosciuta la natura paritetica, appare difficilmente sostenibile che la Amministrazione, in sede di autotutela, possa richiedere a conguaglio somme da essa erroneamente non pretese nel momento in cui l’Amministrazione stessa procedeva a determinare il quantum della obbligazione a carico del privato.
In linea più generale va infatti riconosciuto che l’esercizio dell’autotutela in vicende aventi ad oggetto non tanto la legittimità degli atti, quanto il rapporto di credito e debito derivante dalla applicazione di una determinata normativa, non può non risultare condizionato dalle disposizioni di carattere civilistico che disciplinano il sorgere modificarsi ed estinguersi dei reciproci diritti ed obblighi.
Se infatti è esatto che in tali vicende l’Amministrazione, pur rimanendo depositaria di pubblici interessi, interviene tuttavia senza esercitare poteri autoritativi, ma alla stessa stregua di un soggetto privato, ne consegue che anche la classica autotutela amministrativa può trovare cittadinanza solo compatibilmente con il regime paritetico nel quale l’Amministrazione stessa opera.
Tale principio risulta già sostanzialmente riconoscibile nella giurisprudenza attuale in materia di ripetizione di somme corrisposte erroneamente a pubblici dipendenti. La affermazione che in tal caso l’interesse pubblico è in re ipsa e che non occorre alcuna specifica motivazione corrisponde in realtà al principio civilistico che, all’art. 2033 c.c., disciplina l’indebito oggettivo (cfr., in questo senso, C.d.S., VI, 10.02.1999, n. 120; C.d.S., VI, 20.02.2002, n. 1045; C.d:S., V, 14.05.2003, n. 2560; C.d.S., V, 23.03.2004, n. 1535; C.d.S., 23.11.2004, n. 7680).
Nel caso di specie la situazione appare rovesciata in quanto l’Amministrazione non ha erroneamente corrisposto una somma superiore rispetto a quanto era tenuta a versare, bensì ha richiesto una somma inferiore rispetto a quanto aveva il potere di esigere.
Applicando a questa fattispecie i canoni civilistici si premette innanzitutto che ai sensi del citato articolo 11 della legge 10/1977 la determinazione dell’obbligazione pecuniaria era a carico esclusivamente dell’Amministrazione creditrice.
Si premette altresì che l’Amministrazione, ancorché erroneamente, ha tuttavia unilateralmente determinato l’importo che poi è stato richiesto al privato e da questi integralmente soddisfatto.
Sul piano strettamente civilistico il pagamento rappresenta peraltro la modalità principale di estinzione delle obbligazioni, salva la possibile rilevanza ostativa di una causa di violenza, dolo o errore. Escluse le prime due categorie, l’unica che, in ipotesi, potrebbe venire in considerazione è l’errore, la cui disciplina, peraltro, così come enu-cleabile dagli artt. 1427 e segg. del codice civile, non sembrerebbe attagliarsi alla posizione dell’Amministrazione in veste di creditore.
L’errore infatti per acquisire rilevanza in tema di adempimento delle obbligazioni dovrebbe rivestire i caratteri della essenzialità e della riconoscibilità.
Quanto alla riconoscibilità (art. 1431 c.c.), è lecito dubitare della ricorrenza di tale carattere considerando che la determinazione del contenuto dell’obbligazione incombe all’Amministrazione ed in particolare all’ente locale territoriale che istituzionalmente provvede alla disciplina dei criteri generali ed all’applicazione concreta dei medesimi alle singole fattispecie.
In tale situazione, salvo casi macroscopici di evidenza ictu oculi, non ricorrenti nella fattispecie in esame, è difficile ipotizzare che l’eventuale errore dell’Amministrazione sia riconoscibile dal privato il quale, del tutto naturalmente, viene indotto a prestare affidamento alla correttezza dell’autoliquidazione del proprio credito da parte della stessa dell’Amministrazione creditrice.
Infine, non va dimenticato che la giurisprudenza, sia civile che amministrativa, sottolinea come in generale la riconoscibilità dell’errore deve essere oggettiva e quindi percepibile da qualsiasi terzo, il che si verifica quando l’errore cada sulla esistenza di un fatto.
La riconoscibilità non potrebbe invece avere carattere soggettivo e riferirsi ad errori di valutazione o di apprezzamento (sia di fatti che della portata di norme giuridiche) perché ciò implicherebbe valutazioni soggettive non obiettivamente percepibili da terzi (v. Cass. Sez. Un. 08.01.1981 n. 180, Cass. 01.03.1995 n. 2340, 29.08.1996 n. 7626, C.d.S. sez. VI 21.05.2001 n. 2807).
Non sembra dubbio che nel caso di specie l’errore consista, se mai, nel valutare in un certo modo la applicabilità temporale di determinate disposizioni.
D’altra parte, va altresì considerato che nella specie l’errore in cui è incorsa l’Amministrazione non è un errore di fatto o un errore di calcolo ex art. 1430 c.c., bensì un tipico errore di diritto consistente nell’applicazione (per gli oneri di urbanizzazione) di tariffe relative ad un periodo antecedente rispetto a quelle applicabili, ovvero nel riconoscimento (per il costo di costruzione) di un abbattimento percentuale delle medesime, abbattimento non più applicabile ratione temporis.
Orbene, com’è noto, la disciplina dell’errore di diritto è valutata con minore favore dal legislatore civilistico poiché tale errore rileva, ex art. 1429 n. 4 c.c., solo allorché sia stato la ragione unica o principale del contratto.
Nella specie ciò non appare predicabile, essendo evidente che la ragione determinante dell’obbligazione risiede da un lato nell’interesse pubblico generale ad una corretta urbanizzazione del territorio e, dall’altro, all’interesse privato particolare della realizzazione dello sfruttamento edilizio della proprietà fondiaria.
Esclusa quindi la rilevanza dell’errore, sia perché non riconoscibile sia perché comunque non essenziale, e sottolineato ancora una volta che la determinazione dell’ammontare dell’obbligazione è posta dalla legge a carico dell’Amministrazione creditrice, ne discende che la medesima rimane vincolata al contenuto della propria manifestazione di volontà a titolo di autoresponsabilità per l’affidamento incolpevole ingenerato nel soggetto obbligato.
Con l’ulteriore conseguenza che se l’obbligato adempie in buona fede (rectius: senza poter ragionevolmente riconoscere l’errore in cui eventualmente sia incorsa l’Amministrazione che ha operato la liquidazione del quantum debeatur) l’obbligazione richiestagli, l’esatto adempimento, alla stregua dei principi generali, estingue definitivamente l’obbligazione.
L’appellante, peraltro, a sostegno della propria tesi richiama due precedenti della sez. V, 25.04.1966 n. 426 e 06.05.1997 n. 458.
Nel primo di questi il potere di revisione nella materia de qua viene apoditticamente ricondotto al generale potere di autotutela e ciò indipendentemente dalla sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi o dalla insorgenza di nuovi fatti.
Nella specie la Amministrazione aveva erroneamente sottovalutato la capacità inquinante di un impianto industriale.
Nella seconda decisione il tema è stato invece affrontato con maggiore approfondimento sistematico.
Dopo aver richiamato il precedente della Sezione dianzi citato, la decisione 458/1997 afferma che, in base alla lettera ed alla ratio dell’art. 11 L. 10/1977 “il momento in cui viene rilasciata al concessione individua il termine ultimo di pagamento del contributo, ma non già il tempo oltre il quale resterebbe preclusa all’Amministrazione comunale la facoltà di stabilire o rideterminare la misura del credito”.
Ciò premesso, la decisione prosegue negando che nella materia de qua sia possibile applicare in via analogica principi dettati in materia pensionistica.
Assume poi che nel settore fiscale non sarebbero ricavabili principi ostativi al potere di revisione del contributo in autotutela, come sarebbe dimostrato dai poteri di accertamento e rettifica attribuiti alla Amministrazione e la cui limitazione, con termini di decadenza più o meno brevi, sarebbe bilanciato anche da brevi termini di decadenza a carico del contribuente per le corrispondenti impugnative.
La decisione, quindi, rilevato che la giurisprudenza qualifica come paritetico l’atto con cui viene richiesto il contributo ed ammette l’interessato a contestarne l’importo nel termine ordinario di prescrizione afferma che, coerentemente, analogo potere dovrebbe essere riconosciuto all’Amministrazione. Se poi si volesse individuare un termine decadenziale a carico dell’Amministrazione lo stesso dovrebbe, se mai, essere ricercato per analogia e potrebbe essere ricavato dal limite prescrizionale di 36 mesi posto dall’art. 35 della L. 47/1985 al potere dell’Amministrazione di chiedere il conguaglio in relazione alle domande di concessione in sanatoria.
Le tesi esposte nella anzidetta decisione, benché acutamente sostenute, non appaiono peraltro al Collegio completamente soddisfacenti.
Innanzitutto la vicenda va precisata nei suoi termini concreti.
I contributi di cui all’articolo 11 della L. 10/1977, ed all’art. 1 della L.R. 71/1978, a differenza di altre fattispecie normative, non ven-gono determinati in via dichiaratamente provvisoria al momento della domanda dell’interessato e quindi non sono necessariamente richiesti salvo conguaglio, come ad esempio nella fattispecie della domanda di concessione in sanatoria (art. 35 L. 47/1995).
La determinazione dei contributi de quibus è stato infatti collocato temporalmente dal legislatore al termine di un lungo e complesso procedimento che prende le mosse da una dettagliata e circostanziata domanda del privato, cui fa seguito una complessa istruttoria da parte dell’Amministrazione, nel corso della quale l’Amministrazione stessa può chiedere interessato tutti i chiarimenti e gli ulteriori elementi di cui abbia bisogno.
Il momento del rilascio della concessione non è quindi equiparabile sotto nessun profilo al momento della domanda di concessione in sanatoria. In quest’ultimo caso l’Amministrazione si trova di fronte ad una attività già posta in essere dal richiedente e ad una richiesta di legittimazione a posteriori di tale attività e non può quindi che riservarsi ad un momento futuro il controllo sulla corrispondenza tra il fatto compiuto e la domanda.
Del tutto diversa è la situazione della concessione in via ordinaria in cui si tratta di legittimare una attività allo stato ancora inesistente ed in cui l’Amministrazione, prima di rimuovere l’ostacolo a tale attività, ha il potere ed il dovere di verifica e di accertamento sotto ogni profilo della legittimità della richiesta del privato.
Così inquadrata la fattispecie sembra più agevole dedurne le conseguenze ai fini che qui interessano.
Innanzitutto il collegamento normativo tra momento del rilascio della concessione e determinazione dei contributi evidenzia il parallelismo tra la attività di controllo e verifica operata dalla Amministrazione innanzitutto sulla domanda concessoria del privato, e, in concomitanza, sul corrispondente ammontare dei contributi che di conseguenza il richiedente è tenuto a corrispondere all’atto del rilascio del titolo abilitativo.
Se ciò è esatto, sembrerebbe che il legislatore, quanto meno a regime, abbia riconosciuto all’Amministrazione il potere ed il corrispondente dovere di effettuare il controllo e la verifica e di stabilire il quantum dovuto preventivamente al rilascio della concessione.
Pertanto non sembra del tutto convincente la affermazione contenuta nella citata decisione della sez. V n. 458/1997 secondo cui l’art. 11 disciplinerebbe soltanto il momento del pagamento del contributo al fine di consentire al Comune la realizzazione delle opere di urbanizzazione.
In proposito il Collegio osserva innanzitutto che il pagamento del contributo al Comune presuppone necessariamente la predeterminazione del quantum e non può ovviamente essere effettuato se non a seguito della anzidetta previa determinazione.
Tale determinazione, d’altro canto, non può essere effettuata altro che dal Comune medesimo.
Il secondo comma dell’art. 11 relativo al contributo stabilisce infatti che “la quota … è determinata all’atto del rilascio della con-cessione ed è corrisposta nel corso d’opera”.
Per il contributo relativo ad oneri di urbanizzazione il primo comma dell’art. 11 si limita invece a stabilire che “la quota … è corrisposta al Comune all’atto del rilascio della concessione”.
Dalla differente dizione letterale non sembra peraltro condurre a ritenere un regime differenziato tra il contributo per costo di costruzione e quello per oneri di urbanizzazione.
In ambedue i casi l’importo dovuto dal privato deve essere predeterminato dall’Amministrazione.
Ciò risulta in modo inequivocabile del rinvio operato nel primo e secondo comma dell’art. 11 rispettivamente ai precedenti articoli 5 e 6 rubricati “Determinazione degli oneri di concessione” e “Determinazione del costo di costruzione”.
Pertanto il Collegio ritiene che da una esegesi sistematica del primo e secondo comma dell’art. 11, in relazione anche ai precedenti articoli 5 e 6, risulti che il legislatore abbia voluto disporre che la Amministrazione, prima di rilasciare la concessione, determini gli oneri da porre a carico al privato e ne richieda il pagamento integrale al momento del rilascio del titolo abilitativo, salve le ipotesi di rateiz-zazione o scomputo espressamente previste dal primo e secondo comma del medesimo articolo 11 L. 10/1977 (v. C.d.S. sez. VI, 18.03.2004 n. 1435, C.d.S. sez. V, 13.03.2003 n. 3332), ovvero salvo espressa riserva di conguaglio (C.G.A. parere SS.RR. 392/1995 e Sez. Giur. 131/1996) riserva nella specie peraltro inesistente.
Pertanto, contrariamente a quanto ritenuto nella decisione invocata dall’appellante, in questo caso la verifica, l’accertamento e la determinazione del debito a carico del privato non è posposta dalla legge al pagamento di un importo provvisorio, ma, al contrario, è testualmente collocata in un momento anteriore e cioè in concomitanza, come già osservato, con il controllo e la verifica della domanda di con-cessione edilizia rispetto alla quale costituisce un corollario conse-quenziale e ne presuppone, di regola, la determinazione del quantum in via definitiva
(CGARS, sentenza 02.03.2007 n. 64 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2006
EDILIZIA PRIVATAOneri di urbanizzazione - Costo di costruzione - Natura.
L'obbligazione relativa agli oneri di urbanizzazione ha natura ben diversa da quella attinente al costo di costruzione: quest'ultima obbligazione, infatti, è definibile come acausale, in quanto connessa alla mera utilizzazione edificatoria del territorio, ed è ritenuta, perciò, di natura paratributaria.
La prima, invece, è un'obbligazione causale, con carattere di corrispettivo di diritto pubblico di natura non tributaria dovuto dal titolare della concessione edilizia per la partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione connessi all'edificazione (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 15.12.2006 n. 2989 - massima tratta da www.solom.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALe somme pagate a titolo di contributi per oneri di urbanizzazione relativamente ad una concessione edilizia sono ripetibili se la concessione non sia stata utilizzata; inoltre, sulla somma dovuta spettano, altresì, gli interessi che decorrono dal giorno in cui per il Comune sorge l’obbligo di restituzione, dies a quo che va individuato nella data in cui sia stata dichiarata la decadenza della concessione edilizia.
Così come chiarito dalla giurisprudenza (Cons. St, sez. V, 22.02.1988, n. 105), le somme pagate a titolo di contributi per oneri di urbanizzazione relativamente ad una concessione edilizia sono ripetibili se la concessione non sia stata utilizzata; inoltre, sulla somma dovuta spettano, altresì, gli interessi che decorrono dal giorno in cui per il Comune sorge l’obbligo di restituzione, dies a quo che va individuato nella data in cui sia stata dichiarata la decadenza della concessione edilizia.
Conseguentemente, in accoglimento della specifica richiesta formulata dalla società ricorrente il Comune di Silvi va condannato al pagamento degli interessi sulla somma predetta a decorrere dal 23.12.1994 (giorno in cui con atto 23 dicembre 1994, n. 30661, è stata dichiarata la decadenza della concessione assentita) fino al 30.04.1997 (data dell’avvenuto rimborso sulla somma in questione).
Il Comune va, altresì, condannato al pagamento dalla data della domanda degli ulteriori interessi sulle somme dovute
(TAR Abruzzo-Pescara, sentenza 15.12.2006 n. 890 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAConcessione edilizia - Magazzino ad uso industriale e parcheggio - Contributo di concessione - Richiesta restituzione parziale e domanda accessoria di pagamento interessi.
Debitamente comprovato in giudizio l'avvenuto versamento dovuto dalla ricorrente all'amministrazione comunale per la costruzione di un magazzino ad uso industriale, risulta essere legittima la richiesta della medesima ricorrente ad ottenere lo scomputo della somma pari alle opere di urbanizzazione direttamente realizzate dalla stessa (somma versata in eccesso) dagli oneri effettivamente dovuti.
E' altresì legittima la domanda accessoria di pagamento degli interessi ma la decorrenza degli interessi va fissata (ex art. 2033 c.c.) dalla data di proposizione della domanda giudiziale e non dalle date di pagamento dei ratei corrisposti, dovendosi presumere la buona fede del Comune percipiente (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 12.12.2006 n. 2901 - massima tratta da www.solom.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Chiarimenti in ordine al contributo di cui all'art. 3 della Bucalossi.
E' principio generale che il contributo di cui all’art. 3 della legge n. 10/1977:
- è strettamente connesso al concreto esercizio della facoltà di edificare, per cui non è dovuto in caso di rinuncia o di mancato utilizzo della concessione (Cons. Stato V 23.06.2003 n. 3714, rif. CS V 12.06.1995 n. 894);
- afferisce alla costruzione e non alla concessione (Cons. Stato V 12.06.1995 n. 894);
- non rappresenta il corrispettivo della concessione, ma la (obbligatoria) partecipazione agli esborsi che la collettività ha affrontato o deve affrontare in rapporto allo stato di urbanizzazione dell’area (Cass. SU 20.11.1996);
- va determinato con riferimento alla data di rilascio della concessione edilizia, che è il momento in cui sorge l'obbligazione contributiva (Cons. Stato V 21.10.1998 n. 1512, 06.12.1999 n. 2056) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 20.10.2006 n. 2061 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAFattispecie in materia di ristrutturazione - Esenzione dagli oneri di urbanizzazione.
Ai sensi dell’art. 17, 3° comma, lett. B), del d.P.R. 06.06.2001, n. 380, è soggetto agli oneri di concessione edilizia il permesso di costruire se gli interventi di restauro, risanamento conservativo e di ristrutturazione mutano la destinazione d’uso del fabbricato preesistente, anche se l’incremento di superficie e volume è inferiore al 20 per cento (Cons. St., Sez. V, 24.09.2001, n. 1427; 25.05.2004, n. 6289; TAR Toscana, 12.11.1984, n. 1398; TAR Marche, 12.02.1998, n. 250) (massima tratta da www.studiospallino.it - TAR Marche, Sez. I, sentenza 17.03.2006 n. 92 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2005

EDILIZIA PRIVATA: Costo di costruzione: opera non realizzata, ripristino e restituzione del contributo.
Il pagamento del contributo del costo di costruzione è sempre connesso, dalle norme che lo prevedono o lo menzionano, alla costruzione di un manufatto edilizio, ovvero alla realizzazione di un intervento di trasformazione su manufatti già esistenti, cosicché pur sempre l’obbligo appare connesso ad una costruzione o qualcosa a ciò assimilabile.
Se non si può escludere, in linea puramente teorica, che il Comune restituisca l’intero contributo versato ed intraprenda un’azione di danno nei confronti del responsabile (ex titolare della concessione edilizia decaduta o comunque non utilizzata), è indubbio che una simile strada si porrebbe in contrasto, da un lato, con il principio di ragionevolezza (e, forse con il criterio di efficacia dell’azione amministrativa), dall’altro con un generale criterio di economia dei mezzi.
Ove si mantenga la pretesa nei limiti della legittimità, invero, sembrerebbe molto più ragionevole:
a) provvedere ad una restituzione solo parziale, diffalcando dall’importo ricevuto una somma ritenuta adeguata e proporzionata all’entità dei lavori necessari per il ripristino dei luoghi e la ricomposizione ambientale da effettuare con materiale analogo a quello estratto, dopo avere sentito gli interessati sul punto;
b) subordinare la restituzione per intero alla realizzazione di lavori di ripristino, con le stesse modalità
(TAR Veneto, Sez. I, sentenza 21.12.2005 n. 4358 - link a www.altalex.com).

EDILIZIA PRIVATAIl contributo per il rilascio della concessione edilizia (ora permesso di costruire) imposto dalla legge 28.01.1977, n. 10 (art. 3; v. ora art. 16 d.P.R. 06.06.2001, n. 380) e commisurato agli oneri di urbanizzazione, ha carattere generale perché prescinde totalmente dall’esistenza, o meno, delle singole opere di urbanizzazione; esso ha natura di prestazione patrimoniale imposta e viene determinato indipendentemente sia dall’utilità che il concessionario ritrae dal titolo edificatorio sia dalle spese effettivamente occorrenti per realizzare dette opere.
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Per quanto riguarda il contributo di costruzione da corrispondere per la realizzazione di opere od impianti non destinati ad usi residenziali l’art. 10, legge 28.01.1977, n. 10 (v. ora art. 19 d.P.R. 06.06.2001, n. 380), prevede, al comma 1, una esenzione da tale contributo per le concessioni relative a costruzioni o impianti destinati ad attività <<industriali o artigianali dirette alla trasformazione di beni ed alla prestazione di servizi>>, mentre uguale esenzione non è prevista al comma 2 per la concessione relativa a costruzioni o impianti destinati <<ad attività turistiche, commerciali e direzionali>>.
Alla luce, dunque, sia del chiaro disposto dell’art. 10 L. n. 10/1977, sia della predetta natura tributaria della componente in esame del contributo, sia della tassatività dell’elencazione legislativa dei casi di esenzione o di concessione edilizia gratuita, deve ritenersi infondata la tesi dell’appellante, secondo cui il convenzionamento e la previsione dell’assunzione di determinati oneri di urbanizzazione, valgano di per sé ad escludere il pagamento degli oneri di urbanizzazione in sede di rilascio della concessione edilizia, potendo incidere finanche sull’obbligo tributario del pagamento del contributo afferente al costo di costruzione.
Il contributo controverso, dunque, come sostenuto dal Comune appellato, deve essere corrisposto nella misura prevista dall’art. 10, comma 2, L. n. 10/1977, in quanto le costruzioni della società ricorrente, odierna appellante, per la loro destinazione ad uso commerciale, non sono esenti dal pagamento di tale contributo.

Occorre premettere che il contributo per il rilascio della concessione edilizia (ora permesso di costruire) imposto dalla legge 28.01.1977, n. 10 (art. 3; v. ora art. 16 d.P.R. 06.06.2001, n. 380) e commisurato agli oneri di urbanizzazione, ha carattere generale perché prescinde totalmente dall’esistenza, o meno, delle singole opere di urbanizzazione; esso ha natura di prestazione patrimoniale imposta e viene determinato indipendentemente sia dall’utilità che il concessionario ritrae dal titolo edificatorio sia dalle spese effettivamente occorrenti per realizzare dette opere (cfr. Cons. St., sez. V, 06.05.1997, n. 462; per la natura tributaria di tale prestazione, v., altresì, C.G.A.R.S., 05.05.1999, n. 203).
Ora, per quanto riguarda il contributo di costruzione da corrispondere per la realizzazione di opere od impianti non destinati ad usi residenziali l’art. 10, legge 28.01.1977, n. 10 (v. ora art. 19 d.P.R. 06.06.2001, n. 380), prevede, al comma 1, una esenzione da tale contributo per le concessioni relative a costruzioni o impianti destinati ad attività <<industriali o artigianali dirette alla trasformazione di beni ed alla prestazione di servizi>>, mentre uguale esenzione non è prevista al comma 2 per la concessione relativa a costruzioni o impianti destinati <<ad attività turistiche, commerciali e direzionali>>.
Alla luce, dunque, sia del chiaro disposto dell’art. 10 L. n. 10/1977, sia della predetta natura tributaria della componente in esame del contributo, sia della tassatività dell’elencazione legislativa dei casi di esenzione o di concessione edilizia gratuita, deve ritenersi infondata la tesi dell’appellante, secondo cui il convenzionamento e la previsione dell’assunzione di determinati oneri di urbanizzazione, valgano di per sé ad escludere il pagamento degli oneri di urbanizzazione in sede di rilascio della concessione edilizia, potendo incidere finanche sull’obbligo tributario del pagamento del contributo afferente al costo di costruzione.
Il contributo controverso, dunque, come sostenuto dal Comune appellato, deve essere corrisposto nella misura prevista dall’art. 10, comma 2, L. n. 10/1977, in quanto le costruzioni della società ricorrente, odierna appellante, per la loro destinazione ad uso commerciale, non sono esenti dal pagamento di tale contributo (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 15.12.2005 n. 7140 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il contributo per il rilascio della concessione edilizia imposto dalla legge 28.01.1977, n. 10 e commisurato agli oneri di urbanizzazione, ha carattere generale perché prescinde totalmente dall’esistenza, o meno, delle singole opere di urbanizzazione; esso ha natura di prestazione patrimoniale imposta e viene determinato indipendentemente sia dall’utilità che il concessionario ritrae dal titolo edificatorio sia dalle spese effettivamente occorrenti per realizzare dette opere.
Ai fini dell’esenzione del contributo di costruzione, ex art. 9 l. 10/1977, occorre che l’opera sia pubblica o di interesse pubblico e sia realizzata da un ente pubblico, non competendo essa alle opere eseguite da soggetti privati, quale che sia la rilevanza sociale dell’attività da essi esercitata nella (o con la) opera edilizia alla quale la concessione si riferisce.

Il contributo per il rilascio della concessione edilizia (ora permesso di costruire) imposto dalla legge 28.01.1977, n. 10 (art. 3; v. ora art. 16 d.P.R. 06.06.2001, n. 380) e commisurato agli oneri di urbanizzazione, ha carattere generale perché prescinde totalmente dall’esistenza, o meno, delle singole opere di urbanizzazione; esso ha natura di prestazione patrimoniale imposta e viene determinato indipendentemente sia dall’utilità che il concessionario ritrae dal titolo edificatorio sia dalle spese effettivamente occorrenti per realizzare dette opere (cfr. Cons. St., sez. V, 06.05.1997, n. 462; per la natura tributaria di tale prestazione, v., altresì, C.G.A.R.S., 05.05.1999, n. 203).
Ora, per quanto riguarda il contributo di costruzione da corrispondere per la realizzazione di opere od impianti non destinati ad usi residenziali l’art. 10, legge 28.01.1977, n. 10 (v. ora art. 19 d.P.R. 06.06.2001, n. 380), prevede, al comma 1, una esenzione da tale contributo per le concessioni relative a costruzioni o impianti destinati ad attività <<industriali o artigianali dirette alla trasformazione di beni ed alla prestazione di servizi>>, mentre uguale esenzione non è prevista al comma 2 per la concessione relativa a costruzioni o impianti destinati <<ad attività turistiche, commerciali e direzionali>>.
Alla luce, dunque, sia del chiaro disposto dell’art. 10 L. n. 10/1977, sia della predetta natura tributaria della componente in esame del contributo, sia della tassatività dell’elencazione legislativa dei casi di esenzione o di concessione edilizia gratuita, deve ritenersi infondata la tesi dell’appellante, secondo cui il convenzionamento e la previsione dell’assunzione di determinati oneri di urbanizzazione, valgano di per sé ad escludere il pagamento degli oneri di urbanizzazione in sede di rilascio della concessione edilizia, potendo incidere finanche sull’obbligo tributario del pagamento del contributo afferente al costo di costruzione.
Il contributo controverso, dunque, come sostenuto dal Comune appellato, deve essere corrisposto nella misura prevista dall’art. 10, comma 2, L. n. 10/1977, in quanto le costruzioni della società ricorrente, odierna appellante, per la loro destinazione ad uso commerciale, non sono esenti dal pagamento di tale contributo.
Ai fini dell’esenzione del contributo di costruzione, ex art. 9 l. 10/1977, occorre che l’opera sia pubblica o di interesse pubblico e sia realizzata da un ente pubblico, non competendo essa alle opere eseguite da soggetti privati, quale che sia la rilevanza sociale dell’attività da essi esercitata nella (o con la) opera edilizia alla quale la concessione si riferisce (cfr. Cons. St., sez. V, 21.01.1997, n. 69; Cons. St., sez. V, 19.09.1995, n. 1313; C.G.A.R.S., 20.07.1999, n. 369); quanto, invece, all’esenzione dovuta (sempre ai sensi della citata lett. f) per le <<opere di urbanizzazione eseguite anche da privati, in attuazione di strumenti urbanistici>>, occorre che si tratti di opera di urbanizzazione specificamente indicata come tale nello strumento urbanistico, anche attuativo (cfr. Cons. St., sez. V, 21.01.1997, n. 69; Cons. St., sez. V, 01.06.1992, n. 489) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 15.12.2005 n. 7140 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl contributo per oneri di urbanizzazione è un corrispettivo di diritto pubblico, di natura non tributaria, posto a carico del costruttore a titolo di partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione in proporzione all’insieme dei benefici che la nuova costruzione ne ritrae, cosicché il tipo di uso offre la giustificazione giuridica all’an debeatur, mentre le modalità concrete dell’uso danno la ragione del quantum.
Il presupposto imponibile per il pagamento dei contributi di urbanizzazione va ravvisato nella domanda di una maggiore dotazione di servizi (rete viaria, fognature, ecc.) nell’area di riferimento, che sia indotta dalla destinazione d’uso concretamente impressa all’alloggio, in quanto una diversa utilizzazione rispetto a quella stabilita nell’originario titolo abilitativo può determinare una variazione quantitativa e qualitativa del carico urbanistico.
In termini generali, il fondamento del contributo di urbanizzazione –da versare al momento del rilascio di una concessione edilizia– non consiste nell'atto amministrativo in sé bensì nella necessità di ridistribuire i costi sociali delle opere di urbanizzazione, facendoli gravare sugli interessati che beneficiano delle utilità derivanti dalla presenza delle medesime, secondo modalità eque per la comunità.
Pertanto, anche nel caso di modificazione della destinazione d'uso cui si correla un maggior carico urbanistico, è integrato il presupposto che giustifica l’imposizione al titolare del pagamento della differenza tra gli oneri di urbanizzazione dovuti per la destinazione originaria e quelli, se più elevati, dovuti per la nuova destinazione impressa: il mutamento è rilevante allorquando sussiste un passaggio tra due categorie funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico, qualificate sotto il profilo della differenza del regime contributivo in ragione di diversi carichi urbanistici, cosicché la circostanza che le modifiche di destinazione d’uso senza opere non sono soggette a preventiva concessione o autorizzazione sindacale non comporta ipso jure l’esenzione dagli oneri di urbanizzazione e quindi la gratuità dell’operazione.
Un diverso ragionamento sarebbe evidentemente inaccettabile, dal momento che gli interessati sarebbero altrimenti indotti a chiedere ed ottenere una concessione edilizia che sconta il pagamento di un minor contributo per il basso carico urbanistico, per poi mutare liberamente la destinazione d'uso originaria senza pagare i più elevati oneri che derivano dal maggior carico urbanistico.
Se è comunque indispensabile l’esame della fattispecie concreta per accertare se il nuovo insediamento o la nuova opera abbia determinato un incremento nella domanda di strutture ed opere collettive, nella specie il mutamento di destinazione –da residenziale ad ufficio– è riconducibile ad una classe diversa e più onerosa della precedente tale che, se la concessione fosse stata richiesta fin dall’origine per la nuova destinazione, avrebbe comportato un diverso e meno favorevole regime contributivo urbanistico: ai fini del calcolo dei cd. standard, l’ufficio di un’attività d’impresa assume la consistenza di un distinto ed autonomo centro d'attrazione, non riconducibile alle esigenze di normale vivibilità delle zone residenziali, ed è pertanto fonte di un maggiore carico urbanistico.
In definitiva, a fronte dell’accertato mutamento di destinazione d’uso l’amministrazione ha legittimamente provveduto a calcolare di nuovo il quantum dovuto in relazione al diverso carico urbanistico

La censura è priva di pregio.
Ad avviso della costante giurisprudenza (Consiglio di Stato, sez. V – 26/07/1984 n. 592; TAR Catania–31/07/1979 n. 408), il contributo per oneri di urbanizzazione è un corrispettivo di diritto pubblico, di natura non tributaria, posto a carico del costruttore a titolo di partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione in proporzione all’insieme dei benefici che la nuova costruzione ne ritrae, cosicché il tipo di uso offre la giustificazione giuridica all’an debeatur, mentre le modalità concrete dell’uso danno la ragione del quantum (Consiglio di Stato, sez. V – 23/05/1997 n. 529).
Il presupposto imponibile per il pagamento dei contributi di urbanizzazione va ravvisato nella domanda di una maggiore dotazione di servizi (rete viaria, fognature, ecc.) nell’area di riferimento, che sia indotta dalla destinazione d’uso concretamente impressa all’alloggio, in quanto una diversa utilizzazione rispetto a quella stabilita nell’originario titolo abilitativo può determinare una variazione quantitativa e qualitativa del carico urbanistico (Sentenza Sezione 11/06/2004 n. 646; TAR Lombardia Milano, sez. II – 02/10/2003 n. 4502; Consiglio Stato, sez. V – 25/05/1995 n. 822).
In termini generali, il fondamento del contributo di urbanizzazione –da versare al momento del rilascio di una concessione edilizia– non consiste nell'atto amministrativo in sé bensì nella necessità di ridistribuire i costi sociali delle opere di urbanizzazione, facendoli gravare sugli interessati che beneficiano delle utilità derivanti dalla presenza delle medesime, secondo modalità eque per la comunità (cfr. TAR Veneto, sez. II – 13/11/2001 n. 3699).
Pertanto, anche nel caso di modificazione della destinazione d'uso cui si correla un maggior carico urbanistico, è integrato il presupposto che giustifica l’imposizione al titolare del pagamento della differenza tra gli oneri di urbanizzazione dovuti per la destinazione originaria e quelli, se più elevati, dovuti per la nuova destinazione impressa: il mutamento è rilevante allorquando sussiste un passaggio tra due categorie funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico, qualificate sotto il profilo della differenza del regime contributivo in ragione di diversi carichi urbanistici, cosicché la circostanza che le modifiche di destinazione d’uso senza opere non sono soggette a preventiva concessione o autorizzazione sindacale non comporta ipso jure l’esenzione dagli oneri di urbanizzazione e quindi la gratuità dell’operazione (cfr., in tal senso, sentenze Sezione 10/03/2005 n. 145 e 23/01/1998 n. 34).
Un diverso ragionamento sarebbe evidentemente inaccettabile, dal momento che gli interessati sarebbero altrimenti indotti a chiedere ed ottenere una concessione edilizia che sconta il pagamento di un minor contributo per il basso carico urbanistico, per poi mutare liberamente la destinazione d'uso originaria senza pagare i più elevati oneri che derivano dal maggior carico urbanistico.
Se è comunque indispensabile l’esame della fattispecie concreta per accertare se il nuovo insediamento o la nuova opera abbia determinato un incremento nella domanda di strutture ed opere collettive (TAR Piemonte, sez. I – 04/12/1997 n. 821; Consiglio di Stato, sez. V – 29/01/2004 n. 295), nella specie il mutamento di destinazione –da residenziale ad ufficio– è riconducibile ad una classe diversa e più onerosa della precedente tale che, se la concessione fosse stata richiesta fin dall’origine per la nuova destinazione, avrebbe comportato un diverso e meno favorevole regime contributivo urbanistico: ai fini del calcolo dei cd. standard, l’ufficio di un’attività d’impresa assume la consistenza di un distinto ed autonomo centro d'attrazione, non riconducibile alle esigenze di normale vivibilità delle zone residenziali, ed è pertanto fonte di un maggiore carico urbanistico (Consiglio Stato, sez. V – 19/05/1998 n. 626).
In definitiva, a fronte dell’accertato mutamento di destinazione d’uso l’amministrazione ha legittimamente provveduto a calcolare di nuovo il quantum dovuto in relazione al diverso carico urbanistico (TAR Lombardia-Brescia, sentenza 07.11.2005 n. 1115).

EDILIZIA PRIVATALa costruzione di una cappella privata, all'interno del cimitero comunale, sconta il pagamento degli oneri di urbanizzazione.
I due ricorsi si fondano sul postulato che in virtù dell’art. 9, lettera f, della L. n. 10/1977, per la costruzione di una Cappella Cimiteriale non sarebbe dovuto il pagamento dei predetti oneri atteso che le Confraternite è un Ente Ecclesiale non avente scopo di lucro,ma caratteristiche mutualistiche ed assistenziali.
Le Cappelle, secondo l’assunto di parte ricorrente, anche se non destinate a scopi propri dell’Amministrazione, soddisfano bisogni della collettività, anche se la gestione del manufatto Cimiteriale è svolta da privati.
L’iter logico giuridico seguito dalla ricorrente non è condivisibile.
Invero, l’art. 9 della L. n. 10/1977, alla lettera f), disposizione invocata dalla ricorrente per postulare l’esonero dai contributi e pretendere la restituzione del asseritamene indebito, statuisce che non sono dovuti gli oneri di urbanizzazione per: gli impianti, le attrezzature, le opere pubbliche o di interesse generale realizzate dagli enti istituzionalmente competenti nonché per le opere di urbanizzazione, eseguite anche da privati, in attuazione di strumenti urbanistici.
Nel caso all’esame del Collegio la Cappella non è sussumibile in nessuna delle fattispecie elencate nella norma surriportata.
Infatti, essa non può essere considerata opera pubblica realizzata da un Ente pubblico istituzionalmente competente, né opera di urbanizzazione realizzata da un privato in attuazione di uno strumento urbanistico, atteso che non risulta che il manufatto de quo sia previsto da alcun strumento urbanistico e neppure che la Confraternita lo abbia realizzato nel quadro di interventi, sia pure a cura di privati, di attuazione delle previsioni di uno strumento urbanistico.
Né dai ricorso o dalle allegazioni processuali è dato dedurre che la Cappella sia stata costruita dalla Confraternita in attuazione di un accordo ex L. n. 241/1990.
Né, ad avviso del Collegio, hanno pregio le considerazioni della ricorrente relative ad una rilevanza della natura non profit della Confraternita, né il presunto fine di interesse generale perseguito dal sodalizio nella realizzazione della Cappella.
Infatti il testo della lettera f) dell’art. 9 della L. n. 10/1977 esclude, per la sua stessa natura di norma di privilegio comportante un esenzione dall’obbligo di versare somme dovute ad un ente pubblico, qualunque interpretazione estensiva od analogica.
Né pur ricorrendo alle predette tipologie intepretative si potrebbe comunque pervenire all’esito intepretativo indicato dalla ricorrente, atteso che la Confraternita pur essendo un sodalizio che non persegue fini di lucro non realizza interessi generali, come ritiene la ricorrente, ma soddisfa un interesse dei confrati (TAR Sicilia-Catania, Sez. I, sentenza 03.05.2005 n. 788 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2004

EDILIZIA PRIVATALa sottoscritta convenzione –che si configura come un atto facente parte del procedimento che porta al rilascio della concessione edilizia– determina con l’accordo sottoscritto il contenuto dei relativi obblighi secondo i principi del codice civile, così come precisato nell’art. 11 della legge n. 241/1990. In particolare lo scomputo degli oneri di urbanizzazione e la sua misura sono stati oggetto di una determinazione consensuale che non può essere modificata unilateralmente.
E’ infatti giurisprudenza costante che l’art. 16, comma 2, del d.p.r. n. 380/2001 (che ha riprodotto l’art. 11, comma 1, della legge n. 10/1977 e che corrisponde sostanzialmente anche all’art. 26, comma 11, della legge regionale n. 52/1999 come modificato con la legge regionale n. 43/2003) consente al privato di eseguire direttamente le opere di urbanizzazione in alternativa al pagamento dei connessi oneri (con possibilità quindi di ottenerne poi lo scomputo da quanto deve pagare a titolo di oneri di urbanizzazione primaria e secondaria), ma tale facoltà ha effetto soltanto se la proposta del privato sia accettata dal Comune secondo le modalità e le garanzie dettate dal medesimo e con conseguente acquisizione delle opere al patrimonio indisponibile del comune.
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La concessione edilizia è normalmente onerosa, tranne le tassative ipotesi di gratuità (artt. 3-9 della legge n. 10/1977, trasfusi nel d.p.r. n. 380/2001 – art. 16).
Gli oneri di urbanizzazione (che unitamente al costo di costruzione sono gli elementi della onerosità) sono stati previsti dal legislatore a carico del costruttore, quale prestazione patrimoniale, a titolo di partecipazione di costui al costo delle opere di urbanizzazione connesse alle esigenze della collettività che scaturiscono dagli interventi di edificazione e dal maggior carico urbanistico che si realizza nella zona in ordine all’aumento della necessaria dotazione dei servizi (rete viaria, fognature, ecc.); esigenze, queste, cui prioritariamente doveva provvedere il comune appunto con questi proventi (art. 12 della legge n. 10/1977, norma non più riprodotta nella normativa successiva in ossequio al principio dell’autonomia degli enti locali ).
Detti oneri prescindono dall’esistenza o meno delle opere di urbanizzazione e vengono determinati indipendentemente sia dall’utilità che il concessionario ritrae dal titolo edificatorio sia dalle spese effettivamente occorrenti per realizzare siffatte opere. Infatti, ai sensi dell’art. 16, comma 4, del d.p.r. n. 380/2001 (e della normativa precedente), essi sono stabiliti dai comuni secondo tabelle parametriche definite dalla regione per classi di comuni (ampiezza e andamento demografico, caratteristiche geografiche, destinazioni di zona, limiti e rapporti minimi inderogabili di cui al d.m. n. 1444 del 02.04.1968).
I commi 7, 7-bis e 8 dello stesso art. 16 recano un elenco tassativo delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria cui sono connessi i relativi oneri. Essi sono dovuti anche in caso di modifica della destinazione d’uso dell’immobile, quando sia necessaria la concessione edilizia (ora: permesso di costruire), indipendentemente dalla realizzazione di nuove opere edilizie.
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La società ricorrente –che non può vantare un “diritto” allo scomputo, dal momento che la legge configura la facoltà di esecuzione diretta con possibilità di scomputo nei soli limiti accettati dalla controparte pubblica- era perfettamente consapevole che al momento della sottoscrizione della convenzione con il Comune dovevano essere precisati tutti i relativi obblighi, perché è in quel momento che si realizza l’incontro delle volontà delle parti contraenti nell’esercizio dell’autonomia negoziale; ed anche se alcuni contenuti dell’accordo sono proposti dall’Amministrazione in termini non modificabili dal privato, ciò non esclude che la parte privata che abbia sottoscritto la convenzione, conoscendone il contenuto e senza apporvi nessuna riserva, abbia inteso aderirvi e ne resti vincolata.
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Firmata la convenzione e non esistendo nell’ordinamento un “diritto allo scomputo”, le clausole relative e gli impegni assunti non possono unilateralmente essere rimessi in discussione, a meno di non invocare vizi della volontà o ipotesi di risoluzione del contratto (es.: per vizi della volontà o per eccessiva onerosità dell’accordo sottoscritto) nella specie non dedotti.
Dette opere sono finalizzate alla fruizione dell’area ad uso esclusivo della società ricorrente, che è un soggetto che svolgerà un’attività dalla quale ritrarrà necessariamente un utile d’impresa.
Nessuna delle opere realizzate dalla ricorrente sarà trasferita al Comune in quanto trattasi di svincoli di strade regionali o statali.
Non si può quindi fondatamente ritenere che il Comune, negando lo scomputo, si viene ad arricchire delle opere realizzate direttamente, perché, si ripete, trattasi opere tutte a beneficio della realizzazione dell’Autoporto e con nessun riflesso diretto (peraltro non dimostrato) per la collettività.
Viceversa, è proprio la realizzazione della nuova struttura e della creazione degli asseriti nuovi posti di lavoro che potrà determinare una futura, nuova urbanizzazione anche di carattere residenziale per coloro che vi lavorano, il che comporta che il Comune si dovrà addossare altri oneri di urbanizzazione per finalità pubbliche; ecco che si giustifica il fatto di non aver previsto, negli atti tutti della procedura, nessuno scomputo ulteriore rispetto a quello esplicitamente determinato nella misura di circa 160.000 euro.

1. La controversia ha ad oggetto la corretta quantificazione degli oneri di urbanizzazione, primaria e secondaria, dovuti per la realizzazione di un Autoporto nel Comune di Collesalvetti; la previsione dell’opera è la risultante di un accordo tra la Regione toscana e taluni enti locali (Provincia di Livorno e comuni di Livorno e di Collesalvetti) per la qualificazione di una determinata zona e la realizzazione di una piattaforma per lo stoccaggio delle auto provenienti dal porto di Livorno, e in relazione ad essa è stata anche prevista una variante urbanistica apposita.
Nel ricorso si lamenta in sostanza il mancato riconoscimento, da parte del Comune, di una maggiore quantità di opere di urbanizzazione, realizzate o realizzande direttamente dalla società titolare della concessione edilizia, da calcolare ai fini di un maggiore scomputo dagli oneri dovuti ai sensi dell’art. 16 del t.u. sull’edilizia (d.p.r. n. 380/2001).
In particolare si sostiene che anche le opere idrauliche, in quanto poste a servizio della collettività, devono essere considerate opere di urbanizzazione e quindi scomputate dagli oneri, come pure tutte le opere inerenti il piazzale. Si conclude quindi circa l’esistenza di un vero e proprio diritto ad ottenere lo scomputo di quanto realizzato direttamente.
2. Il ricorso non è fondato.
2.1. Va precisato che l’opera che sarà realizzata è di ingenti dimensioni (65 ettari) ed è costituita da un piazzale per lo stoccaggio delle autovetture (a detta del Comune, nel numero di 28.000) e da alcuni edifici, con rilevante impatto sia per l’impegno del suolo che per le ripercussioni sulla rete viaria e con creazione di 100 nuovi posti di lavoro, il che ha determinato la sua ammissione a finanziamento pubblico.
Per consentire la realizzazione dell’intervento il Comune di Collesalvetti, previ accordi di pianificazione con la Regione toscana, la Provincia di Livorno e il Comune di Livorno diretti a favorire la decongestione del porto di Livorno con la realizzazione della struttura in altra area, ha approvato una variante (delibera n. 48/2002) al proprio strumento urbanistico, variante che in tempi passati non era stata invece ammessa dalla regione stessa.
Anche per superare le difficoltà (pericolosità idraulica, viabilità) riscontrate a suo tempo dalla Regione, l’art. 31 delle N.T.A. della variante indica analiticamente le opere a carico del privato.
2.2. Nella convenzione sottoscritta in data 25.08.2003, accessiva alla concessione edilizia per la realizzazione dell’Autoporto, la società ricorrente quale “soggetto utilizzatore e realizzatore” dell’opera (definito anche come concessionario) si impegna (art. 3) a realizzare una serie di opere (finalizzate alla costruzione e gestione dell’Autoporto), tra le quali lo svincolo di accesso all’area sulla S.S. 206, l’adeguamento dello svincolo di Vicarello sulla S.S. Firenze-Pisa-Livorno, le opere di bonifica idraulica e geologica, secondo l’autorizzazione rilasciata dall’Autorità di bacino dell’Arno il 20.12.2002, ed altre opere.
Nell’art. 5 della convenzione è specificato che la società “si impegna e si obbliga a realizzare le opere di urbanizzazione primaria, oltre a quelle di allacciamento ai pubblici servizi secondo le normative igienico-sanitarie vigenti, così come individuate nell’elaborato grafico allegato alla presente convenzione”. E’ altresì previsto che “le opere di urbanizzazione realizzate all’interno dell’area dell’Autoporto rimangono in carico al soggetto utilizzatore e realizzatore che ha l’obbligo di assicurarne la funzionalità e la manutenzione”, mentre “le opere di urbanizzazione relative alla viabilità di accesso…e il primo lotto…dello svincolo di Vicarello e le altre poste all’esterno dell’area il Faldo richiamate nelle premesse saranno cedute gratuitamente all’ente concedente una volta realizzate e collaudate”.
Viene quindi concordato che “gli standard a parcheggio di cui al d.m. n. 1444/1968 e 122/1989 inseriti nell’Autoporto o a questo connessi sono classificati come parcheggi privati a uso pubblico e sono gestiti dal concessionario” e che “l’importo relativo alla realizzazione degli standard è di complessivi Euro 159.542,50 (pari a 3.250 mq. per Euro 49,09/mq.), dedotti dal computo metrico estimativo… che… saranno scomputati dagli oneri di urbanizzazione…”; quindi si precisa che “tutte le opere comprese nell’area sono subordinate al rilascio di concessione edilizia…soggetta al pagamento degli oneri di urbanizzazione primaria pari a Euro 1.183.140,01 e urbanizzazione secondaria pari a Euro 998.102,42 per complessivi Euro 2.181.242,43”.
A sua volta la concessione edilizia riporta l’ammontare di 159.542,5 euro quale solo “oggetto di scomputo dagli oneri di urbanizzazione”.
Nello stesso atto consensuale, poi, all’art. 6 è previsto che la società “a garanzia della perfetta osservanza degli obblighi oggetto della …convenzione e delle norme tecniche per l’esecuzione delle opere di urbanizzazione… costituisce apposita fideiussione per l’importo di Euro 4.362.484,00”; tale somma, come comunemente avviene, è esattamente il doppio di quanto dovuto per oneri concessori quantificati nel precedente art. 5.
2.3. Orbene, la detta convenzione –che si configura come un atto facente parte del procedimento che porta al rilascio della concessione edilizia– determina con l’accordo sottoscritto il contenuto dei relativi obblighi secondo i principi del codice civile, così come precisato nell’art. 11 della legge n. 241/1990. In particolare lo scomputo degli oneri di urbanizzazione e la sua misura sono stati oggetto di una determinazione consensuale che non può essere modificata unilateralmente.
E’ infatti giurisprudenza costante che l’art. 16, comma 2, del d.p.r. n. 380/2001 (che ha riprodotto l’art. 11, comma 1, della legge n. 10/1977 e che corrisponde sostanzialmente anche all’art. 26, comma 11, della legge regionale n. 52/1999 come modificato con la legge regionale n. 43/2003) consente al privato di eseguire direttamente le opere di urbanizzazione in alternativa al pagamento dei connessi oneri (con possibilità quindi di ottenerne poi lo scomputo da quanto deve pagare a titolo di oneri di urbanizzazione primaria e secondaria), ma tale facoltà ha effetto soltanto se la proposta del privato sia accettata dal Comune secondo le modalità e le garanzie dettate dal medesimo e con conseguente acquisizione delle opere al patrimonio indisponibile del comune.
La ricorrente sostiene che la sottoscrizione della convenzione non può costituire acquiescenza all’obbligo del pagamento e rinuncia a ogni altro scomputo, perché la mancata effettuazione dello scomputo doveroso sarebbe emersa soltanto a seguito della nota del Comune 09.09.2003 nella quale è contenuto il calcolo degli oneri dovuti; nella convenzione viceversa viene solo quantificata la cifra complessiva degli oneri di urbanizzazione, ma non è specificato che da detto importo non saranno detratti i costi per le opere di urbanizzazione eseguite direttamente; anzi l’approvazione, da parte del Comune, del computo metrico estimativo di dette opere redatto dal tecnico della ricorrente avrebbe indotto quest’ultima a ritenere accettato il doveroso scomputo, anche perché la realizzazione dell’intervento era stata prevista dalla variante urbanistica che poneva a carico del privato realizzatore ogni spesa necessaria per rendere attuabile l’intervento stesso; la contestuale richiesta di oneri per opere realizzate direttamente costituirebbe una indebita duplicazione.
La tesi non può essere condivisa.
La concessione edilizia è normalmente onerosa, tranne le tassative ipotesi di gratuità (artt. 3-9 della legge n. 10/1977, trasfusi nel d.p.r. n. 380/2001 – art. 16) che, nella specie, non vengono invocate.
Gli oneri di urbanizzazione (che unitamente al costo di costruzione sono gli elementi della onerosità) sono stati previsti dal legislatore a carico del costruttore, quale prestazione patrimoniale, a titolo di partecipazione di costui al costo delle opere di urbanizzazione connesse alle esigenze della collettività che scaturiscono dagli interventi di edificazione e dal maggior carico urbanistico che si realizza nella zona in ordine all’aumento della necessaria dotazione dei servizi (rete viaria, fognature, ecc.); esigenze, queste, cui prioritariamente doveva provvedere il comune appunto con questi proventi (art. 12 della legge n. 10/1977, norma non più riprodotta nella normativa successiva in ossequio al principio dell’autonomia degli enti locali ).
Detti oneri prescindono dall’esistenza o meno delle opere di urbanizzazione e vengono determinati indipendentemente sia dall’utilità che il concessionario ritrae dal titolo edificatorio sia dalle spese effettivamente occorrenti per realizzare siffatte opere (Cons. di Stato, V, n. 462/1977). Infatti, ai sensi dell’art. 16, comma 4, del d.p.r. n. 380/2001 (e della normativa precedente), essi sono stabiliti dai comuni secondo tabelle parametriche definite dalla regione per classi di comuni (ampiezza e andamento demografico, caratteristiche geografiche, destinazioni di zona, limiti e rapporti minimi inderogabili di cui al d.m. n. 1444 del 02.04.1968).
I commi 7, 7-bis e 8 dello stesso art. 16 recano un elenco tassativo delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria cui sono connessi i relativi oneri. Essi sono dovuti anche in caso di modifica della destinazione d’uso dell’immobile, quando sia necessaria la concessione edilizia (ora: permesso di costruire), indipendentemente dalla realizzazione di nuove opere edilizie (Cons. di Stato, V, n. 529/1977).
La ricorrente si sofferma molto nelle sue difese nel sostenere che le opere idrauliche che essa si è impegnata a realizzare sono da considerarsi opere di urbanizzazione (primaria o secondaria?), sia perché rivolte alle esigenze della collettività sia perché previste nella specifica variante che ha appunto consentito la realizzazione dell’intervento dell’Autoporto.
La tesi non può essere condivisa perché è indubbio che l’opera sia da ricomprendere tra le iniziative imprenditoriali private che, seppur prevista in uno strumento urbanistico, non per questo diventa opera pubblica o di pubblico interesse tale da fruire di particolari misure derogatorie rispetto al sistema legale della concessione edilizia onerosa. Al contrario, tutte le opere previste nello strumento urbanistico, alla cui esecuzione è subordinato il rilascio della concessione edilizia, sono state indicate al solo scopo di rendere tecnicamente possibile l’intervento stesso e non servono a rendere vivibile la zona nell’interesse della collettività ma nell’esclusivo interesse dell’imprenditore che realizzerà e gestirà l’opera con il consueto utile di impresa. Tali sono, oltre alle opere idrauliche, il piazzale di stoccaggio delle auto e gli interventi viari finalizzati, non ad una fruizione generale, ma solo al transito dei camion che trasportano le autovetture e quindi sempre per un interesse privato dell’impresa.
In ogni caso la società ricorrente –che non può vantare un “diritto” allo scomputo, dal momento che la legge configura la facoltà di esecuzione diretta con possibilità di scomputo nei soli limiti accettati dalla controparte pubblica- era perfettamente consapevole che al momento della sottoscrizione della convenzione con il Comune dovevano essere precisati tutti i relativi obblighi, perché è in quel momento che si realizza l’incontro delle volontà delle parti contraenti nell’esercizio dell’autonomia negoziale; ed anche se alcuni contenuti dell’accordo sono proposti dall’Amministrazione in termini non modificabili dal privato, ciò non esclude che la parte privata che abbia sottoscritto la convenzione, conoscendone il contenuto e senza apporvi nessuna riserva, abbia inteso aderirvi e ne resti vincolata (Cons. di Stato n. 33/2003).
Avvalorano la conclusione anche le N.T.A. della specifica Variante urbanistica comunale (non impugnata) che ha consentito la realizzazione dell’opera, ove si precisa (art. 31), al punto D1F (Autoporto Faldo), che “l’intervento è attuabile mediante concessione convenzionata contenente l’impegno a realizzare tutti gli interventi presenti nel progetto, i relativi costi…” (tra cui lo svincolo di accesso all’area sulla strada statale, adeguamento di altro svincolo viario, attivazione di tratto ferroviario, opere di bonifica idraulica e geologica) nonché, alla lettera f, che l’“atto d’obbligo” del titolare della concessione edilizia dovrà contenere, tra l’altro, l’impegno a “effettuare i versamenti relativi agli oneri concessori secondo gli importi all’uopo stabiliti”. La variante non è stata impugnata.
Nemmeno la invocata circostanza che l’intervento è oggetto di un finanziamento pubblico, previsto dal Patto territoriale di Livorno e dell’area livornese, approvato con decreti interministeriali nn. 983 e 996 del 1999, può valere a considerare il complesso intervento come tutta un’opera di urbanizzazione.
Da tutto ciò deriva che, firmata la convenzione e non esistendo nell’ordinamento un “diritto allo scomputo”, le clausole relative e gli impegni assunti non possono unilateralmente essere rimessi in discussione, a meno di non invocare vizi della volontà o ipotesi di risoluzione del contratto (es.: per vizi della volontà o per eccessiva onerosità dell’accordo sottoscritto) nella specie non dedotti.
Dette opere sono finalizzate alla fruizione dell’area ad uso esclusivo della società ricorrente, che è un soggetto che svolgerà un’attività dalla quale ritrarrà necessariamente un utile d’impresa.
Nessuna delle opere realizzate dalla ricorrente sarà trasferita al Comune in quanto trattasi di svincoli di strade regionali o statali.
Non si può quindi fondatamente ritenere che il Comune, negando lo scomputo, si viene ad arricchire delle opere realizzate direttamente, perché, si ripete, trattasi opere tutte a beneficio della realizzazione dell’Autoporto e con nessun riflesso diretto (peraltro non dimostrato) per la collettività. Viceversa, è proprio la realizzazione della nuova struttura e della creazione degli asseriti nuovi posti di lavoro che potrà determinare una futura, nuova urbanizzazione anche di carattere residenziale per coloro che vi lavorano, il che comporta che il Comune si dovrà addossare altri oneri di urbanizzazione per finalità pubbliche; ecco che si giustifica il fatto di non aver previsto, negli atti tutti della procedura, nessuno scomputo ulteriore rispetto a quello esplicitamente determinato nella misura di circa 160.000 euro.
Per tal parte il ricorso non può essere accolto
(TAR Toscana, Sez. III, sentenza 14.09.2004 n. 3782 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl contributo di cui all’art. 3 della legge n. 10 del 1977 non è dovuto per gli interventi edilizi di seguito elencati giacché, ad avviso del Collegio, tali opere rientrano nella nozione di manutenzione straordinaria:
1)- demolizione e rifacimento dei solai dell’androne e del vano scala “A”;
2)- utilizzazione del piano interrato sotto il vano scala per l’installazione della centrale idrica e del vano ascensore;
3)- demolizione della copertura a tetto e sua ricostruzione con solaio in latero-cemento e manto di tegole;
4)- modifica alla ripartizione interna di alcuni appartamenti;
6)- rifacimento degli intonaci e ripristino degli infissi, etc..
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Il contributo in discorso non è dovuto neppure per l’intervento edilizio sopra descritto al n. 5) giacché, ad avviso del Collegio, le relative opere (prolungamento ed ampliamento degli aggetti dei balconi) integrano un intervento di ristrutturazione edilizia che rientra nell’ipotesi di esenzione contemplata dalla lett. d) dell’art. 9 succitato (interventi di restauro, risanamento conservativo, ristrutturazione ed ampliamento, in misura non superiore al 20%, di edifici unifamigliari), in quanto trattasi di un intervento riguardante pur sempre ciascuna delle singole unità immobiliari abitate da una sola famiglia.
D’altra parte, se lo si riguardi come relativo all’intero edificio condominiale composto da più unità immobiliari, l’intervento di ristrutturazione di che trattasi deve essere, ad avviso del Collegio, esentato dal contributo, giacché da esso non deriva alcuna ulteriore incidenza sul carico urbanistico.

Il ricorso in esame è diretto all’annullamento, nella parte in cui impone il pagamento del contributo di cui all’art. 3 della legge n. 10 del 1977, di una concessione edilizia rilasciata al Condominio ricorrente per l’esecuzione dei seguenti lavori (descritti a pag. 2, cpv. II, della concessione impugnata):
1)- demolizione e rifacimento dei solai dell’androne e del vano scala “A”;
2)- utilizzazione del piano interrato sotto il vano scala per l’installazione della centrale idrica e del vano ascensore;
3)- demolizione della copertura a tetto e sua ricostruzione con solaio in latero-cemento e manto di tegole;
4)- modifica alla ripartizione interna di alcuni appartamenti;
5)- prolungamento ed ampliamento degli aggetti dei balconi;
6)- rifacimento degli intonaci e ripristino degli infissi, etc..
Il primo motivo di ricorso (sopra riassunto in “fatto”) sostiene (in stretta sintesi) che il pagamento di che trattasi non è dovuto, in applicazione dell’esenzione prevista dall’art. 9, lettere c), d), e), della succitata legge.
L’assunto di parte ricorrente è fondato.
Ed invero, la succitata norma prevede espressamente che il contributo di cui all’art. 3 della legge n. 10 del 1977 non è dovuto, sia per gli interventi di manutenzione straordinaria (lett. c), sia per le modifiche interne necessarie per migliorare le condizioni igieniche o statiche delle abitazioni e per la realizzazione dei volumi tecnici indispensabili per gli impianti tecnologici necessari per le esigenze delle abitazioni (lett. e).
Peraltro, l’art. 31, lett. b), della legge n. 457 del 1978 definisce come interventi di manutenzione straordinaria le opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, sempreché non alterino i volumi e le superfici delle singole unità immobiliari e non comportino variazione delle destinazioni d’uso.
Orbene, ai sensi delle norme sopra ricordate, il contributo di che trattasi non è dovuto per gli interventi edilizi sopra descritti ai nn. 1), 2), 3), 4) e 6), giacché, ad avviso del Collegio, tali opere rientrano nella nozione di manutenzione straordinaria come desumibile dalla lett. b) dell’art. 31 succitato (cfr.: TAR Marche, 21.11.1987 n. 527).
Il contributo in discorso non è dovuto neppure per l’intervento edilizio sopra descritto al n. 5), giacché, ad avviso del Collegio, le relative opere (prolungamento ed ampliamento degli aggetti dei balconi) integrano un intervento di ristrutturazione edilizia che rientra nell’ipotesi di esenzione contemplata dalla lett. d) dell’art. 9 succitato (interventi di restauro, risanamento conservativo, ristrutturazione ed ampliamento, in misura non superiore al 20%, di edifici unifamigliari), in quanto trattasi di un intervento riguardante pur sempre ciascuna delle singole unità immobiliari abitate da una sola famiglia (cfr.: TAR Brescia, 05.09.996 n. 904).
D’altra parte, se lo si riguardi come relativo all’intero edificio condominiale composto da più unità immobiliari, l’intervento di ristrutturazione di che trattasi deve essere, ad avviso del Collegio, esentato dal contributo, giacché da esso non deriva alcuna ulteriore incidenza sul carico urbanistico (cfr.: Cons. St., Sez. V, 08.02.1991 n. 120) (TAR Abruzzo-Pescara, sentenza 07.09.2004 n. 799 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Ai fini della riliquidazione o meno degli oneri di urbanizzazione, l’unico legittimo presupposto imponibile è costituito dalla sussistenza o meno dell’eventuale maggiore carico urbanistico provocato dall’intervento, introdotto in un fabbricato già autorizzato, e che, a tali fini, non si deve tenere conto esclusivamente di una ristrutturazione generale e globale di un edificio, con necessari interventi esterni e interni, ma anche di ristrutturazioni che comunque trasformino la realtà strutturale e la fruibilità urbanistica dell’immobile, con conseguente necessità della sottoposizione della relativa concessione al pagamento dei contributi, riferiti alla avvenuta oggettiva rivalutazione dell’immobile, e funzionali a sopportare il carico socio-economico che la realizzazione comporta sotto il profilo urbanistico.
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Sulla base del generale principio di correlare la dovutezza degli oneri al carico urbanistico, la ristrutturazione edilizia comporta il pagamento degli oneri di urbanizzazione allorché l’intervento abbia determinato un aumento del carico urbanistico, tenuto conto che il carico urbanistico sussiste anche allorquando l’intervento di ristrutturazione, comportante la divisione e il frazionamento di un immobile, conseguenti ad una scissione societaria per essere l’edificio adibito ad attività di impresa di due distinti soggetti (alla ripartizione per assegnazione ai soci dei beni comuni si applicano le disposizioni della divisione delle cose comuni, ai sensi dell’art. 2283 c.c., e tale principio vale anche in caso di divisione per scissione societaria), con l’apertura di due nuovi ingressi, per due distinte unità abitative, realizza un aumento dell’impatto sul territorio ed è pertanto sottoposto ai predetti oneri.
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L'imposizione di oneri integrativi di urbanizzazione è causata anche da interventi edilizi interni di diversa utilizzazione dell’area interessata, come nel caso di aumento del numero di unità abitative (da una a due), determinante una variazione quantitativa e qualitativa del carico urbanistico.

- Considerato che il giudice di primo grado ha rigettato il ricorso avverso il provvedimento che confermava la determinazione della dovutezza degli oneri di urbanizzazione in relazione all’intervento di ristrutturazione realizzato dalla ricorrente, a seguito di scissione societaria e conseguente divisione e frazionamento dell’immobile, ritenendo che concreti ristrutturazione edilizia la erezione di tramezzature e la modificazione degli ingressi;
- Considerato che l’appellante ripropone le censure, respinte in primo grado, con le quali sostiene che l’intervento che non comporti aumento delle unità immobiliari, consistente nella divisione in senso orizzontale o verticale del fabbricato, senza ulteriore apertura di ingressi (ma solo sfruttando i due ingressi originari) non comporti un ulteriore carico urbanistico;
- Considerato che ai fini della riliquidazione o meno degli oneri di urbanizzazione, l’unico legittimo presupposto imponibile è costituito dalla sussistenza o meno dell’eventuale maggiore carico urbanistico provocato dall’intervento, introdotto in un fabbricato già autorizzato, e che, a tali fini, non si deve tenere conto esclusivamente di una ristrutturazione generale e globale di un edificio, con necessari interventi esterni e interni, ma anche di ristrutturazioni che comunque trasformino la realtà strutturale e la fruibilità urbanistica dell’immobile, con conseguente necessità della sottoposizione della relativa concessione al pagamento dei contributi, riferiti alla avvenuta oggettiva rivalutazione dell’immobile, e funzionali a sopportare il carico socio-economico che la realizzazione comporta sotto il profilo urbanistico (in tal senso C. di Stato, V, 03.03.2003, n. 1180);
- Considerato e ritenuto che, sulla base del generale principio di correlare la dovutezza degli oneri al carico urbanistico, la ristrutturazione edilizia comporta il pagamento degli oneri di urbanizzazione allorché l’intervento abbia determinato un aumento del carico urbanistico, e considerato che il carico urbanistico sussiste anche allorquando l’intervento di ristrutturazione, comportante la divisione e il frazionamento di un immobile, conseguenti ad una scissione societaria per essere l’edificio adibito ad attività di impresa di due distinti soggetti (alla ripartizione per assegnazione ai soci dei beni comuni si applicano le disposizioni della divisione delle cose comuni, ai sensi dell’art. 2283 c.c., e tale principio vale anche in caso di divisione per scissione societaria), con l’apertura di due nuovi ingressi, per due distinte unità abitative, realizza un aumento dell’impatto sul territorio ed è pertanto sottoposto ai predetti oneri;
- Considerato e ritenuto che la imposizione di oneri integrativi di urbanizzazione è causata anche da interventi edilizi interni di diversa utilizzazione dell’area interessata, come nel caso di aumento del numero di unità abitative (da una a due), determinante una variazione quantitativa e qualitativa del carico urbanistico (in tal senso, C. Stato, V, 23.05.1997, n. 529) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 29.04.2004 n. 2611 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAAlcuni dei casi di gratuità, come gli interventi di restauro, manutenzione, risanamento conservativo, le ristrutturazioni senza nuovi volumi, le opere interne e gli ampliamenti di modesta entità, sono espressione di un principio, ricavabile del resto già dall’articolo 1 L. 10/1977 e costituente l’applicazione inversa della regola ivi enunciata, della gratuità della concessione per opere che non comportino nessun nuovo carico urbanistico per il comune.
Questo Consiglio ha già fatto applicazione del principio in sede consultiva con il parere n. 240 del 31.03.1982 della II Sezione, ritenendo applicabile l’esenzione di cui all’alinea “g”, relativo alle opere da realizzare in seguito a pubbliche calamità al caso, non espressamente previsto, della ricostruzione delle case distrutte; sul rilievo appunto che l’onerosità della concessione trova la sua ragion d’essere come corrispettivo delle spese che la collettività si addossa, con vantaggio del concessionario, in conseguenza della concessione edilizia, e che tale presupposto manca nel caso di ricostruzione di ciò che la calamità abbia distrutto.
Lo stesso va affermato, evidentemente, per il caso di costruzione in sostituzione di un edificio espropriato e distrutto per realizzare un’opera pubblica, per un volume non maggiore del precedente e nel territorio dello stesso comune.

Venendo alla questione principale, la legge 28.01.1977 n. 10 sull’edificabilità dei suoli, dopo avere all’articolo 1 enunciato la regola che «Ogni attività comportante trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio comunale partecipa agli oneri ad essa relativi» (agli oneri, s’intende, che le nuove costruzioni fanno gravare sulla collettività), e avere istituito all’articolo 3 il contributo per la concessione edilizia, commisurato all’incidenza delle spese di urbanizzazione nonché al costo di costruzione e meglio specificato poi negli articoli 5 e 6, nell’articolo 9 elenca i casi di concessione gratuita.
Alcuni dei casi di gratuità, come gli interventi di restauro, manutenzione, risanamento conservativo, le ristrutturazioni senza nuovi volumi, le opere interne e gli ampliamenti di modesta entità, sono espressione di un principio, ricavabile del resto già dall’articolo 1 e costituente l’applicazione inversa della regola ivi enunciata, della gratuità della concessione per opere che non comportino nessun nuovo carico urbanistico per il comune.
Questo Consiglio ha già fatto applicazione del principio in sede consultiva con il parere n. 240 del 31.03.1982 della II Sezione, ritenendo applicabile l’esenzione di cui all’alinea “g”, relativo alle opere da realizzare in seguito a pubbliche calamità al caso, non espressamente previsto, della ricostruzione delle case distrutte; sul rilievo appunto che l’onerosità della concessione trova la sua ragion d’essere come corrispettivo delle spese che la collettività si addossa, con vantaggio del concessionario, in conseguenza della concessione edilizia, e che tale presupposto manca nel caso di ricostruzione di ciò che la calamità abbia distrutto.
Lo stesso va affermato, evidentemente, per il caso di costruzione in sostituzione di un edificio espropriato e distrutto per realizzare un’opera pubblica, per un volume non maggiore del precedente e nel territorio dello stesso comune (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 23.01.2004 n. 174 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2003

EDILIZIA PRIVATALaddove l’obbligo contributivo sia stato già assolto in sede di intervento originario, l’eventuale ricostruzione dell’edificio dovuta a causa accidentale che ne abbia determinato la rovina, non comporta automaticamente l’assoggettamento dell’opera al pagamento di un nuovo contributo a titolo di quota di urbanizzazione.
Non essendovi propriamente (nuova) attività di trasformazione del territorio, già oggetto di edificazione, la ricostruzione dell’immobile distrutto non comporta, ex se, l’esigenza di far partecipare il privato all’urbanizzazione dell’area.
Resta salvo, ovviamente, il potere dell’amministrazione di imporre l’obbligo contributivo in caso di aumento del carico urbanistico conseguente alla ricostruzione dell’immobile, nel caso in cui l’attività di ricostruzione abbia comportato aumento della superficie o della volumetria o mutamento di destinazione d’uso, e cioè modifiche strutturali o funzionali capaci di incidere anche sull’assetto urbanistico dell’area.
La pubblica amministrazione, peraltro, laddove ritenga si sia determinato un incremento del carico urbanistico come conseguenza della realizzazione dell’intervento di ricostruzione che non abbia comportato nuova trasformazione del territorio, ha l’onere di motivare la propria determinazione con particolare riferimento all’esigenza di apprestare nuove infrastrutture a seguito delle modifiche intervenute.

Va precisato che, contrariamente a quanto ritenuto dalla ricorrente, l’intervento previsto comporta la ricostruzione dell’edificio principale preesistente, in massima parte distrutto a seguito di incendio, ed il suo rialzamento secondo quanto previsto dal regolamento urbanistico, la mancata ricostruzione di altri corpi di fabbrica; ne conseguono modifiche alla sagoma, planimetriche e volumetriche rispetto all’insieme delle costruzioni preesistenti.
Pertanto, l’intervento non può essere qualificato come ristrutturazione edilizia, ma va correttamente definiti come nuova edificazione.
Ciò nondimeno, non si tratta, automaticamente, di intervento soggetto al pagamento degli oneri di urbanizzazione.
Vero è che l’art. 19, comma 1, l.r.t. 14.10.1999 n. 52 ricollega l’obbligo del contributo di concessione a due diverse ipotesi, tra loro alternative, la prima delle quali è quella che l’intervento comporti nuova edificazione.
Ciò non toglie, tuttavia, che il legislatore regionale abbia inteso connettere l’obbligo contributivo all’esigenza di sottoporre qualsiasi nuova costruzione, in quanto diretta all’edificazione di un’area libera, alla partecipazione del privato alle spese di urbanizzazione primaria e secondaria che sarebbero state indotte dall’intervento realizzando in un’area priva delle necessarie strutture urbanistiche o che ne fosse già provvista.
In un caso o nell’altro, il principio sotteso all’obbligo contributivo è rinvenibile nell’esigenza che ai costi ricadenti sulla collettività per l’urbanizzazione dell’area, della quale il privato si avvale nel momento in cui decide di edificare, egli debba necessariamente contribuire in rapporto a quanto costruito.
Il contributo di urbanizzazione è infatti determinato nella misura corrispondente all’entità e qualità delle opere di urbanizzazione necessarie, il che ha portato ad affermarne la natura di corrispettivo, a differenza del contributo per il rilascio della concessione che costituisce una prestazione di natura tributaria (Tar Campania, Napoli, IV, 18.12.2001 n. 5500).
Peraltro, la quota di urbanizzazione è stata anche qualificata come tassa, in quanto essenzialmente corrispettivo di una prestazione resa o da rendere da parte dell’amministrazione o avente natura di corrispettivo di diritto pubblico (Tar Lombardia, Milano, II, 06.11.2002 n. 4267).
Si tratta, comunque, di una forma di partecipazione alle spese pubbliche con caratteri atipici, ma sempre collegata all’attività di trasformazione del territorio (C.S., V, 06.05.1997 n. 462).
Ne consegue che, laddove l’obbligo contributivo sia stato già assolto in sede di intervento originario, l’eventuale ricostruzione dell’edificio dovuta a causa accidentale che ne abbia determinato la rovina, non comporta automaticamente l’assoggettamento dell’opera al pagamento di un nuovo contributo a titolo di quota di urbanizzazione.
Non essendovi propriamente (nuova) attività di trasformazione del territorio, già oggetto di edificazione, la ricostruzione dell’immobile distrutto non comporta, ex se, l’esigenza di far partecipare il privato all’urbanizzazione dell’area.
Resta salvo, ovviamente, il potere dell’amministrazione di imporre l’obbligo contributivo in caso di aumento del carico urbanistico conseguente alla ricostruzione dell’immobile, nel caso in cui l’attività di ricostruzione abbia comportato aumento della superficie o della volumetria o mutamento di destinazione d’uso, e cioè modifiche strutturali o funzionali capaci di incidere anche sull’assetto urbanistico dell’area.
La pubblica amministrazione, peraltro, laddove ritenga si sia determinato un incremento del carico urbanistico come conseguenza della realizzazione dell’intervento di ricostruzione che non abbia comportato nuova trasformazione del territorio, ha l’onere di motivare la propria determinazione con particolare riferimento all’esigenza di apprestare nuove infrastrutture a seguito delle modifiche intervenute (TAR Toscana, Sez. II, sentenza 29.12.2003 n. 6289 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2002

EDILIZIA PRIVATAIn materia edilizia vige la regola generale dell’onerosità della concessione, essendo le ipotesi di gratuità della concessione contemplate in norme di carattere derogatorio ed eccezionale, e –come tali– di stretta interpretazione.
Analogo richiamo al regime di onerosità della concessione edilizia in sanatoria è contenuto nell'art. 37 L. 28.02.1985 n. 47, il cui primo comma stabilisce che il versamento dell’oblazione (allo Stato) non esime i concessionari dalla corresponsione al Comune del contributo previsto dall’art. 3 legge n. 10/1977, “ove dovuto”: ne consegue che anche detto inciso risulta disposizione di stretta interpretazione.
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In sede di rilascio di concessione in sanatoria, si giustifica la richiesta di pagamento di oneri di urbanizzazione quando si sia verificata, in dipendenza della realizzazione dell’intervento edilizio abusivo, una variazione in aumento del carico urbanistico: e la controversa ingiunzione di pagamento riguarda, per l’appunto, una fattispecie di condono edilizio per cambio di destinazione d’uso (da fienile a residenziale: cfr. quarto e sesto capoverso delle premesse), comportante all’evidenza un aumento di carico urbanistico nelle zone agricole interessate.

Innanzitutto, giova premettere che è principio pacifico in giurisprudenza, quello per cui in materia edilizia vige la regola generale dell’onerosità della concessione, essendo le ipotesi di gratuità della concessione contemplate in norme di carattere derogatorio ed eccezionale, e –come tali– di stretta interpretazione (cfr. Corte Cost. 23.06.1988, n. 714, TAR Trieste, 19.06.1993, n. 236, TAR Lazio, Latina, 01.08.1994, n. 752): sotto questo profilo si rivela, pertanto, esatta l’osservazione in tal senso svolta dal Comune, nella propria memoria conclusiva.
Analogo richiamo al regime di onerosità della concessione edilizia in sanatoria è contenuto nell'art. 37 L. 28.02.1985 n. 47 (cfr. TAR Toscana, Sez. I, 30.09.1993, n. 822), il cui primo comma stabilisce che il versamento dell’oblazione (allo Stato) non esime i concessionari dalla corresponsione al Comune del contributo previsto dall’art. 3 legge n. 10/1977, “ove dovuto”: ne consegue che anche detto inciso risulta disposizione di stretta interpretazione.
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Sotto altro profilo, la conclusione cui è pervenuto il Collegio risulta, altresì, avvalorata (vertendosi in ambito di giurisdizione esclusiva) da un concorrente ordine di motivazioni, consistente nel costante orientamento manifestato dal Giudice amministrativo, nel senso che, in sede di rilascio di concessione in sanatoria, si giustifica la richiesta di pagamento di oneri di urbanizzazione quando si sia verificata, in dipendenza della realizzazione dell’intervento edilizio abusivo, una variazione in aumento del carico urbanistico (cfr. Cons. Stato. Sez. V, 15.09.1997, n. 959; per questo TRGA: 25.05.1992, n. 198 e 04.07.1990, n. 320; da ultimo: TAR Emilia-Romagna, Sez. II, n. 157 del 2001): e la controversa ingiunzione di pagamento riguarda, per l’appunto, una fattispecie di condono edilizio per cambio di destinazione d’uso (da fienile a residenziale: cfr. quarto e sesto capoverso delle premesse), comportante all’evidenza un aumento di carico urbanistico nelle zone agricole interessate (TRGA Trentino Alto Adige-Trento, sentenza 02.07.2002 n. 214 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2000

EDILIZIA PRIVATAUn impianto destinato ad essiccazione e conservazione di cereali realizzato da un consorzio agrario costituito nella forma di società di capitali privata non costituisce opera pubblica in senso stretto perché esso rappresenta un edificio d'interesse sì collettivo, ma dei soli soci del consorzio stesso e solo indirettamente degli altri agricoltori: pertanto, non è esente dal versamento del contributo di urbanizzazione e costruzione.
L'esenzione dal contributo di urbanizzazione e costruzione, di cui all'art. 9, lett. f), l. 28.01.1977 n. 10, spetta esclusivamente alle opere pubbliche, ossia alle opere di pubblico interesse realizzate da enti pubblici, mentre non compete alle opere realizzate da soggetti privati, quale che sia la rilevanza sociale dell'attività dagli stessi esercitata nella o con l'opera cui la concessione edilizia si riferisce; pertanto, un impianto destinato ad essiccazione e conservazione di cereali realizzato da un consorzio agrario costituito nella forma di società di capitali privata, non costituisce opera pubblica in senso stretto, perché esso rappresenta un edificio d'interesse sì collettivo, ma dei soli soci del consorzio stesso e solo indirettamente degli altri agricoltori, fermo restando che detto consorzio non ha per scopo essenziale la costruzione di opere pubbliche (sez. V, 19.09.1995, n. 1313).
Tale indirizzo, a confutazione del quale non sono stati addotti argomenti persuasivi, merita di essere confermato.
Il paradigma normativo dell’art. 9, lett. f), della l. n. 10/1977, invero, prevede la gratuità della concessione edilizia per gli impianti, le attrezzature, le opere pubbliche o di interesse generale realizzate dagli enti istituzionalmente competenti nonché per le opere di urbanizzazione, eseguite anche da privati, in attuazione di strumenti urbanistici.
La prospettazione della parte ricorrente in primo grado si fonda essenzialmente sulla locuzione “opere…di interesse generale”, in relazione alle finalità di interesse pubblico perseguite dai consorzi agrari.
Il fatto, però, è che la fattispecie normativa, elevando ad oggetto della qualificazione “le opere pubbliche o di interesse generale realizzate dagli enti istituzionalmente competenti” ha inteso riferirsi agli enti pubblici, o comunque agli enti che agiscono per conto di enti pubblici (come ad esempio, i concessionari pubblici): in tal senso, la giurisprudenza del Consiglio di Stato è costante.
L’esattezza di tale soluzione è confermata, del resto, non soltanto dall’endiadi: “opere pubbliche o di interesse generale”, che rinvia ad una figura soggettiva pubblica, ma dal fatto che nella sola seconda parte della proposizione normativa, concernente le opere di urbanizzazione, la disposizione specifica: "eseguite anche da privati".
Ne esce quindi caricata di ulteriore valore semantico la locuzione: “enti istituzionalmente competenti”, che non può riferirsi che ad enti pubblici o a soggetti che agiscono per conto degli stessi.
Circa la natura dei consorzi agrari, che attualmente hanno personalità giuridica di diritto privato, può convenirsi sul fatto che essi concorrono al conseguimento di determinate finalità di pubblico interesse, ma ciò è comune a tutta la categoria dottrinale degli enti privati di interesse pubblico, caratterizzata dal fatto di essere sottoposti a vigilanza particolarmente penetrante o di essere inseriti in ordinamenti settoriali cui sono preposti amministrazioni o enti pubblici.
Resta però il fatto che nell’ordinamento giuridico vigente non esiste una categoria intermedia tra gli enti pubblici e quelli privati, in quanto gli enti qualificabili come enti privati di interesse pubblico rimangono pur sempre soggetti privati.
Tale rilievo è assorbente ai fini della decisione della presente controversia.
Il Consorzio agrario provinciale di Mantova, in quanto soggetto privato, non aveva titolo alla gratuità della concessione edilizia per l’impianto di stoccaggio di cereali, ai sensi dell’art. 9, lett. f), l. n. 10/1977 (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 06.10.2000 n. 5323 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA:  1. - Concessione – Contributi – Determinazione – Riferimento alla data di rilascio della concessione.
2. - Concessione – Contributi – Determinazione – Procedimento - Autonomia - Conseguenze - Rideterminazione - Possibilità.
3. – Concessione – Contributi – Determinazione - Variante essenziale concernente l'intera opera – Tariffe vigenti alla data del rilascio della variante - Applicabilità all'intero intervento edilizio.

1 - La determinazione degli oneri relativa alla concessione edilizia va effettuata con riferimento alle norme vigenti alla data del rilascio della concessione medesima, che è il momento in cui sorge l’obbligazione contributiva.
2. - Il procedimento di rilascio della concessione edilizia è autonomo da quello di imposizione dei conseguenti oneri; pertanto, gli oneri contributivi possono essere determinati successivamente al rilascio della concessione e rideterminati nella loro entità ogni qualvolta il calcolo effettuato dal Comune si sia rivelato errato per qualsiasi ragione.
3 – Il principio secondo il quale il contributo concessorio è commisurato, in caso di variante, al quid novi insito nella variante medesima, non è applicabile nell’ipotesi in cui sia stata richiesta una nuova concessione edilizia riferita non ad una parte residua ben identificata, non completata in tempo utile, ma all’intera opera, riprogettata sulla base di un diverso disegno, che non si limita ad aggiungere un quid pluris a ciò che è stato già assentito, ma investe globalmente l’intervento edilizio, integrandone una variante essenziale (ipotesi di generale riorganizzazione degli spazi interni già assentiti con la realizzazione di ulteriori ampliamenti e relativo aumento di superficie, nonché di volumi, ancorché non rilevanti sotto il profilo urbanistico, trattandosi di spazi interrati); conseguentemente devono essere applicate le tariffe vigenti per l’anno cui si riferisce tale ultima concessione anche alle parti edilizie già assentite, tenuto ovviamente conto di quanto già corrisposto in sede di contributo provvisorio (massima tratta da www.sentenzetoscane.it - TAR Toscana, Sez. I,  sentenza 23.02.2000 n. 321 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 1991

EDILIZIA PRIVATA: CONTRIBUTO PREVISTO PER IL RILASCIO - APPLICABILITA' ALL'IPOTESI DI INTEGRALE RICOSTRUZIONE DEL FABBRICATO DEMOLITO, ADIBITO AD ABITAZIONE UNIFAMILIARE SU AREA ADIACENTE - MANCATA PREVISIONE - LAMENTATA DISPARITA' DI TRATTAMENTO RISPETTO ALL'IPOTESI DI RISTRUTTURAZIONE ED AMPLIAMENTO DI EDIFICIO NEI LIMITI DEL VENTI PER CENTO - NON FONDATEZZA DELLA QUESTIONE.
La mancata inclusione nella previsione di esenzione dal contributo (per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione) per il rilascio della concessione edilizia, di regola onerosa, accanto all'ipotesi di ristrutturazione con ampliamento (limitato) dell'edificio, anche di quella della integrale ricostruzione del fabbricato demolito in area adiacente, appare giustificata in quanto ai fini delle agevolazioni di cui all'art. 9, lett. d), legge n. 10 del 1977, il concetto di "ristrutturazione" mal si presta a comprendere tale fattispecie.
La demolizione accompagnata da ricostruzione è infatti ipotesi diversa dalla "ristrutturazione" perché caratterizzata da elementi (territoriali e costruttivi) e da risultato che le conferiscono fisionomia autonoma e differenziata.
Né può ritenersi violato il principio della riserva di legge ex art. 23 Cost. essendo l'onerosità della concessione edilizia stabilita con legge (non fondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 9, lett. d), legge 28.01.1977, n. 10, sollevata in riferimento agli art. 3 e 23 Cost.).
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1. - Il giudice a quo ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 9, lett. d), della l. 28.01.1977, n. 10, nella parte in cui non comprende nella previsione di esenzione dal contributo per il rilascio della concessione, accanto all'ipotesi di ristrutturazione ed ampliamento nei limiti del venti per cento, anche quella della integrale ricostruzione del fabbricato demolito, adibito ad abitazione unifamiliare, su area adiacente.
Ha dedotto che tale esclusione contrasta con gli artt. 3 e 23 Cost., tenuto conto che la giurisprudenza ha ampliato il concetto di ristrutturazione fino a ricomprendervi ipotesi di ricostruzione del fabbricato sul medesimo suolo. Sarebbe irragionevole e priva di giustificazione la mancata estensione della gratuità della concessione all'ipotesi di ricostruzione del fabbricato demolito, adibito ad abitazione unifamiliare, su area immediatamente adiacente. La ricostruzione, infatti, non muterebbe lo stato del territorio e non comporterebbe nuovi carichi urbanistici sullo stesso.
2. - La questione è infondata.
In materia di concessioni edilizie, l'art. 3 della l. 28.01.1977, n. 10 ha stabilito la regola generale della onerosità, statuendo che la concessione comporta la corresponsione di un contributo commisurato all'incidenza delle spese di urbanizzazione e dal costo di costruzione.
Tale contributo, a norma dell'art. 12, è devoluto al comune ed è destinato alla realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria, al risanamento di complessi edilizi compresi nei centri storici, all'acquisizione delle aree da espropriare per l'attuazione dei programmi pluriennali previsti dall'art. 13, nonché a spese di manutenzione ordinaria del patrimonio comunale.
L'art. 9 della l. n. 10 del 1977 prevede talune ipotesi di concessione gratuita, stabilendo una serie di esenzioni dalla corresponsione del contributo, avuto riguardo allo scopo dell'attività consentita o al carattere dell'opera ovvero all'occasione dalla quale essa è stata determinata.
Si tratta di rationes particolari, devolute all'apprezzamento del legislatore circa il contenuto e le finalità delle ipotesi esentate.
Tali ipotesi, che si presentano tutte come deroghe alla regola della onerosità, sono state modificate e integrate dall'art. 7 del d.l. 23.01.1982, n. 9 (conv. nella l. 25.03.1982, n. 94), il quale -fra l'altro- ha assoggettato ad autorizzazione anziché a concessione, gl'interventi di manutenzione straordinaria e quelli di restauro e di risanamento conservativo di edifici abitativi, mutando così il carattere dell'atto di legittimazione.
L'art. 9, lett. d), della l. n. 10 del 1977 -prevedendo (nel suo testo originario) la concessione gratuita "per gl'interventi di restauro, di risanamento conservativo, di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore al venti per cento, di edifici unifamiliari"- ha introdotto un beneficio del tutto particolare che si pone come deroga non soltanto alla regola dell'onerosità, ma anche a quella dell'agevolazione posta dall'art. 9, lett. b).
Infatti, con tale disposizione era stata prevista la concessione gratuita "per gl'interventi di restauro, di risanamento conservativo e di ristrutturazione", purché non comportassero aumento delle superfici utili di calpestio e mutamento della destinazione d'uso e il concessionario s'impegnasse a praticare prezzi di vendita e canoni di locazione degli alloggi, concordati con il comune e a concorrere negli oneri di urbanizzazione.
Per gli edifici unifamiliari il legislatore, con la lett. d) dell'art. 9, facendo uso della sua discrezionalità, ha emanato una norma di maggior favore, estendendo l'agevolazione ad ipotesi di ampliamento (entro certi limiti) dell'edificio preesistente ed esonerando il concessionario dagl'impegni previsti alla lett. b).
Da tale ipotesi si differenzia nettamente quella, alla quale il giudice a quo ritiene debba estendersi la gratuità della concessione.
Invero, ai fini dell'agevolazione prevista dall'art. 9, lett. d), della l. n. 10 del 1977, il concetto di "ristrutturazione" mal si presta a comprendere la fattispecie della demolizione accompagnata dalla ricostruzione dell'edificio sullo stesso suolo.
La demolizione, poi, dell'edificio con la ricostruzione su suolo contiguo è sicuramente ipotesi normativa diversa dalla "ristrutturazione", essendo caratterizzata da elementi (territoriali e costruttivi) e da risultato che le conferiscono fisionomia autonoma e differenziata.
Appare pertanto pienamente giustificato il riferimento normativo dell'esonero soltanto alla prima e non alla seconda della previsioni.
Ne consegue l'infondatezza della censura di incostituzionalità.
3. - Parimenti infondata è la dedotta violazione dell'art. 23 Cost. -il quale statuisce che nessuna prestazione, personale o patrimoniale, può essere imposta se non in base alla legge- essendo l'onerosità della concessione edilizia stabilita con legge.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 9, lett. d), della legge 28.01.1977, n. 10 (Norme perla edificabilità dei suoli), sollevata in riferimento agli artt. 3 e 23 della Costituzione, dal Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli-Venezia Giulia, con l'ordinanza indicata in epigrafe (Corte Costituzionale, sentenza 26.06.1991 n. 296).