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56-DURC
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58-EDIFICIO UNIFAMILIARE
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62-INCARICHI PROFESSIONALI E PROGETTUALI
63-INCENTIVO PROGETTAZIONE (ora INCENTIVO FUNZIONI TECNICHE)
64-INDUSTRIA INSALUBRE
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66-L.R. 23/1997
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69-LICENZA EDILIZIA (necessità)
70-LOTTO EDIFICABILE - ASSERVIMENTO AREA - CESSIONE CUBATURA
71-LOTTO INTERCLUSO
72-MAPPE e/o SCHEDE CATASTALI (valore probatorio o meno)
73-MOBBING
74-MURO DI CINTA/RECINZIONE, DI CONTENIMENTO/SOSTEGNO, ECC.
75-OPERE PRECARIE
76-PARERE DI REGOLARITA' TECNICA, CONTABILE E DI LEGITTIMITA'
77-PATRIMONIO
78-PERGOLATO e/o GAZEBO e/o BERCEAU e/o DEHORS e/o POMPEIANA e/o PERGOTENDA e/o TETTOIA
79-PERMESSO DI COSTRUIRE (annullamento e/o impugnazione)
80-PERMESSO DI COSTRUIRE (decadenza)
81-PERMESSO DI COSTRUIRE (deroga)
82-PERMESSO DI COSTRUIRE (legittimazione richiesta titolo)
83-PERMESSO DI COSTRUIRE (parere commissione edilizia)
84-PERMESSO DI COSTRUIRE (prescrizioni)
85-PERMESSO DI COSTRUIRE (proroga)
86-PERMESSO DI COSTRUIRE (verifica in istruttoria dei limiti privatistici al rilascio)
87
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PERMESSO DI COSTRUIRE (volturazione)
88-
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90-PIANI PIANIFICATORI ED ATTUATIVI (aree a standard)
91-PIF (Piano Indirizzo Forestale)
92-PISCINE
93-PUBBLICO IMPIEGO
94-PUBBLICO IMPIEGO (quota annuale iscrizione ordine professionale)
95-RIFIUTI E BONIFICHE
96-
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97-RUDERI
98-
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dossier LEGITTIMAZIONE RICHIESTA P.d.C. (Permesso di Costruire)
anno 2022

EDILIZIA PRIVATAOnere di verifica del Comune sulla legittimazione a richiedere il permesso di costruire.
---------------
  
Edilizia – Permesso di costruire – Destinatari – Individuazione.
   Edilizia – Permesso di costruire – Legittimazione del richiedente – Verifica – Limiti.
   Ai sensi dell’art. 11, d.P.R. 06.06.2001, n. 380, il permesso di costruire può essere rilasciato non solo al proprietario dell’immobile, ma a chiunque abbia titolo per richiederlo, e tale ultima espressione va intesa nel senso più ampio di una legittima disponibilità dell’area, in base ad una relazione qualificata con il bene, sia essa di natura reale, o anche solo obbligatoria, purché, in questo caso, con il consenso del proprietario (1)
  
L’onere di verifica del Comune sulla legittimazione a richiedere il permesso di costruire, di cui all’art. 11, d.P.R. 06.06.2001, n. 380, assume connotati differenti a seconda che la detta legittimazione si fondi sulla titolarità di un diritto reale, ovvero attenga ad una disponibilità del bene a titolo diverso.
In tale ultimo caso (ad esempio, bene detenuto per effetto di contratto di locazione), l’Amministrazione è tenuta ad accertare la sussistenza del consenso del proprietario, con la conseguenza che, laddove questo difetti, non potrà procedere al rilascio del permesso di costruire.

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(1) Ha chiarito la Sezione che ciò comporta, per un verso, che chi richiede il titolo autorizzatorio edilizio deve comprovare la propria legittimazione all’istanza, per altro verso, che è onere del Comune ricercare la sussistenza di un titolo (di proprietà, di altri diritti reali, etc.) che fondi una relazione giuridicamente qualificata tra soggetto e bene oggetto dell’intervento, e che dunque possa renderlo destinatario di un provvedimento amministrativo autorizzatorio.
Tale verifica, tuttavia, deve compiersi secondo un criterio di ragionevolezza e secondo dati di comune esperienza, con la conseguenza che l’Amministrazione, quando venga a conoscenza dell’esistenza di contestazioni sul diritto di richiedere il titolo abilitativo, deve compiere le necessarie indagini istruttorie per verificare la fondatezza delle contestazioni, ma senza tuttavia assumere valutazioni di tipo civilistico sulla “pienezza” del titolo di legittimazione addotto dal richiedente (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 15.03.2022 n. 1827 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).
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SENTENZA
5. L’appello è infondato e deve essere, pertanto, respinto, con conseguente conferma della sentenza impugnata.
5.1. La giurisprudenza amministrativa ha già avuto modo di osservare (Cons. Stato, sez. IV, 19.07.2021, n. 5407, e 30.08.2018, n. 5115; sez. VI, 22.09.2014, n. 4776; sez. IV, 25.09.2014, n. 4818), che il permesso di costruire può essere rilasciato non solo al proprietario dell’immobile, ma a chiunque abbia titolo per richiederlo (così come previsto dall’art. 11, co. 1, DPR n. 380/2001), e tale ultima espressione va intesa nel senso più ampio di una legittima disponibilità dell’area, in base ad una relazione qualificata con il bene, sia essa di natura reale, o anche solo obbligatoria, purché, in questo caso, con il consenso del proprietario.
Si è precisato, inoltre, che, “il Comune, prima di rilasciare il titolo, ha sempre l’onere di verificare la legittimazione del richiedente, accertando che questi sia il proprietario dell’immobile oggetto dell’intervento costruttivo o che, comunque, ne abbia un titolo di disponibilità sufficiente per eseguire l’attività edificatoria” (Cons. Stato, sez. IV, n. 4818/2014 cit.; in senso conforme, sez. V, 04.04.2012, n. 1990).
Quanto ora esposto (ed il concetto di “sufficienza” riferito al titolo, elaborato dalla giurisprudenza) comporta, in generale, che:
   - per un verso, chi richiede il titolo autorizzatorio edilizio debba comprovare la propria legittimazione all’istanza;
   - per altro verso, è onere del Comune ricercare la sussistenza di un titolo (di proprietà, di altri diritti reali, etc.) che fonda una relazione giuridicamente qualificata tra soggetto e bene oggetto dell’intervento, e che dunque possa renderlo destinatario di un provvedimento amministrativo autorizzatorio.
Tale verifica, tuttavia, deve compiersi secondo un criterio di ragionevolezza e secondo dati di comune esperienza (Cons. giust. Amm., 11.05.2021, n. 413; Cons. Stato, sez. II, 30.09.2019, n. 6528), ma non comporta anche che l’Amministrazione debba comprovare prima del rilascio (ciò mediante oneri di ulteriore allegazione posti al richiedente o attraverso propri approfondimenti istruttori), la “pienezza” (nel senso di assenza di limitazioni) del titolo medesimo.
Ed infatti, ciò comporterebbe, in sostanza, l’attribuzione all’Amministrazione di un potere di accertamento della sussistenza (o meno) di diritti reali e del loro “contenuto” non ad essa attribuito dall’ordinamento.
In tal senso, laddove ricorrano limitazioni negoziali al diritto di costruire, l’Amministrazione, quando venga a conoscenza dell’esistenza di contestazioni sul diritto di richiedere il titolo abilitativo, deve compiere le necessarie indagini istruttorie per verificare la fondatezza delle contestazioni, ma senza tuttavia assumere valutazioni di tipo civilistico, appartenenti alla giurisdizione del giudice ordinario (Cons. Stato, sez. IV, n. 5407/2021 cit.).
Tuttavia –come si è già affermato– assume rilievo differente l’ipotesi in cui la legittimazione a richiedere l’autorizzazione edilizia si fondi sulla titolarità di un diritto reale, da quella in cui essa attenga ad una disponibilità del bene a titolo diverso.
In tale ultimo caso (ad esempio, bene detenuto per effetto di contratto di locazione), l’Amministrazione è tenuta ad accertare la sussistenza del consenso del proprietario, con la conseguenza che, laddove questo difetti, non potrà procedere al rilascio del permesso di costruire (Cons. Stato, sez. VI, 30.06.2021, n. 4919; sez. IV, n. 5115/2018 cit.)
5.2. Nel caso di specie, non sussistono i presupposti per il rilascio del permesso di costruire, ai sensi dell’art. 11 DPR n. 380/2001, così come elaborati dalla giurisprudenza.
Per un verso, la società richiedente non è titolare di alcun diritto reale, ma semplice locataria dell’immobile, il che già rende necessario un consenso espresso, inequivoco del proprietario, che invece ha manifestato la propria contrarietà all’intervento e di ciò il Comune era consapevole.
Per altro verso, laddove anche fosse possibile superare il dissenso espresso del proprietario, la stessa sussistenza di una “discordanza interpretativa” in ordine all’art. 6 del contratto di locazione -in disparte ogni considerazione in ordine all’esatto contenuto di questo, che la sentenza impugnata ha condivisibilmente ritenuto non permissivo di attività edilizia- rende evidente come la legittimazione di Un. a presentare l’istanza non fondi su basi chiare e certe inctu oculi, essendo invece necessarie interpretazioni del contenuto del contratto estranee alla competenza della pubblica amministrazione in sede di rilascio del titolo edilizio.
Per altro verso ancora, il Comune di Castel di Sangro –pur a conoscenza della volontà contraria del proprietario– ha ritenuto sia di procedere ad una istruttoria esulante dalle proprie competenze, sia, soprattutto, di fondare il rilascio del titolo solo, in buona sostanza, sulla base di una autocertificazione della medesima società istante, attestante la piena disponibilità dei suoli.
Da un lato, dunque, il Comune non ha proceduto ad accertamenti istruttori (ancorché questi, come si è detto, travalicassero le sue competenze in sede di rilascio di titolo edilizio); dall’altro lato, si è sostanzialmente rimesso alla “autorappresentazione” della sussistenza della propria legittimazione, rimessa ad una autocertificazione del richiedente il permesso di costruire.
Appare, dunque, evidente come, nel caso di specie, siano del tutto mancanti i presupposti di legittimazione, in capo alla società appellante, a richiedere il permesso di costruire.
Né può trovare accoglimento quanto rappresentato dall’appellante, laddove essa sostiene “l’inammissibilità del ricorso di primo grado poiché lo stesso era finalizzato a contestare titoli autorizzativi superati dalla citata SCIA in variante, che a sua volta non può costituire oggetto di domanda di annullamento”.
In disparte ogni valutazione sui precisi contenuti della citata SCIA, appare evidente come essa si ponga come comunicazione in ordine a “variante” su lavori precedentemente assentiti da permesso di costruire per il quale non sussisteva alcuna legittimazione alla richiesta; di modo che il sopravvenire della segnalazione non preclude affatto l’esame della legittimità del titolo, relativamente al quale si ritiene di poter agire (unilateralmente) in variante.
6. Alla luce di tutte le considerazioni esposte, l’appello deve essere respinto, con conseguente conferma della sentenza impugnata (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 15.03.2022 n. 1827 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL’art. 11 del d.p.r. n. 380/2001 prevede, al comma 1°, che il permesso di costruire è rilasciato al proprietario dell'immobile o a “chi abbia titolo” per richiederlo; allo stesso modo, l’art. 23 del richiamato testo normativo abilita alla presentazione della D.I.A. (oggi SCIA) per l’esecuzione di interventi edili minori il proprietario dell’immobile o “chi abbia titolo”.
Sul piano istruttorio l’Amministrazione comunale, cui è rimessa la delibazione di conformità urbanistica di ogni progetto edilizio, deve verificare, tra l’altro, che esista il titolo giuridico per realizzare l’intervento, la cui esistenza costituisce presupposto di legittimità sia degli interventi che implicano il rilascio del permesso di costruire sia per l’esecuzione di opere soggette a SCIA, anche se la giurisprudenza amministrativa ha da sempre escluso un obbligo del Comune di effettuare complessi accertamenti istruttori al fine di acclarare la mancanza di elementi che possano limitare il titolo abilitativo.
Più precisamente, in tale attività procedimentale, secondo una consolidata giurisprudenza condivisa dal Collegio, deve escludersi un obbligo del Comune di effettuare complessi accertamenti diretti a ricostruire tutte le vicende riguardanti la titolarità del bene o di verificare l’inesistenza di servitù o altri vincoli reali che potrebbero limitare l’attività edificatoria richiesta, atteso che il titolo edilizio è un atto amministrativo che rende semplicemente legittima l’attività edilizia nell’ordinamento pubblicistico e regola solo il rapporto che, in relazione a quell’attività, si pone in essere tra l’Autorità amministrativa che lo emette ed il soggetto a favore del quale è emesso, ma non attribuisce a favore di tale soggetto diritti soggettivi conseguenti all’attività stessa, la cui titolarità deve essere sempre verificata alla stregua della disciplina fissata dal diritto comune.
Il rilascio del titolo edilizio, inerendo come detto al rapporto pubblicistico amministrativo tra Pubblica Amministrazione e privato costruttore, non incide cioè sui rapporti tra privati ma lascia impregiudicati i diritti degli aventi diritto, titolari di posizioni giuridicamente rilevanti derivanti dalla (eventuale) violazione delle disposizioni del codice civile o dalle norme regolamentari integratrici, che dovranno però essere fatti valere nelle opportune sedi giudiziali ordinarie.
In tale contesto normativo l’espressione “fatti salvi i diritti dei terzi” contenuta nei titoli edilizi sta a significare appunto che l’Amministrazione certifica la conformità dell’intervento alla normativa edilizia e urbanistica, ma non ha responsabilità nel caso in cui, malgrado l’espletamento di una sommaria attività di verifica della legittimazione, l’intervento pregiudichi i diritti di un terzo, ad esempio un confinante, che per tutelarsi potrà ricorrere al giudice ordinario.
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7. Nel merito il ricorso è infondato.
Com’è noto, l’art. 11 del d.p.r. n. 380/2001 prevede, al comma 1°, che il permesso di costruire è rilasciato al proprietario dell'immobile o a “chi abbia titolo” per richiederlo; allo stesso modo, l’art. 23 del richiamato testo normativo abilita alla presentazione della D.I.A. (oggi SCIA) per l’esecuzione di interventi edili minori il proprietario dell’immobile o “chi abbia titolo”.
8. Sul piano istruttorio l’Amministrazione comunale, cui è rimessa la delibazione di conformità urbanistica di ogni progetto edilizio, deve verificare, tra l’altro, che esista il titolo giuridico per realizzare l’intervento, la cui esistenza costituisce presupposto di legittimità sia degli interventi che implicano il rilascio del permesso di costruire sia per l’esecuzione di opere soggette a SCIA, anche se la giurisprudenza amministrativa ha da sempre escluso un obbligo del Comune di effettuare complessi accertamenti istruttori al fine di acclarare la mancanza di elementi che possano limitare il titolo abilitativo (cfr. Consiglio di Stato, Sezione V, 15.03.2001 n. 1507; Consiglio di Stato, Sezione V, 07.07.2005 , n. 3730).
9. Più precisamente, in tale attività procedimentale, secondo una consolidata giurisprudenza condivisa dal Collegio, deve escludersi un obbligo del Comune di effettuare complessi accertamenti diretti a ricostruire tutte le vicende riguardanti la titolarità del bene o di verificare l’inesistenza di servitù o altri vincoli reali che potrebbero limitare l’attività edificatoria richiesta, atteso che il titolo edilizio è un atto amministrativo che rende semplicemente legittima l’attività edilizia nell’ordinamento pubblicistico e regola solo il rapporto che, in relazione a quell’attività, si pone in essere tra l’Autorità amministrativa che lo emette ed il soggetto a favore del quale è emesso, ma non attribuisce a favore di tale soggetto diritti soggettivi conseguenti all’attività stessa, la cui titolarità deve essere sempre verificata alla stregua della disciplina fissata dal diritto comune.
10. Il rilascio del titolo edilizio, inerendo come detto al rapporto pubblicistico amministrativo tra Pubblica Amministrazione e privato costruttore, non incide cioè sui rapporti tra privati ma lascia impregiudicati i diritti degli aventi diritto, titolari di posizioni giuridicamente rilevanti derivanti dalla (eventuale) violazione delle disposizioni del codice civile o dalle norme regolamentari integratrici, che dovranno però essere fatti valere nelle opportune sedi giudiziali ordinarie.
11. In tale contesto normativo l’espressione “fatti salvi i diritti dei terzi” contenuta nei titoli edilizi sta a significare appunto che l’Amministrazione certifica la conformità dell’intervento alla normativa edilizia e urbanistica, ma non ha responsabilità nel caso in cui, malgrado l’espletamento di una sommaria attività di verifica della legittimazione, l’intervento pregiudichi i diritti di un terzo, ad esempio un confinante, che per tutelarsi potrà ricorrere al giudice ordinario
(TAR Sardegna, Sez. I, sentenza 25.02.2022 n. 135 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il Comune deve accertare il requisito della legittimazione soggettiva del richiedente il titolo, non risolvere i conflitti di interesse tra le parti private.
La sentenza in esame resa dal Consiglio di Stato affronta (tra gli altri) il tema del rilascio del titolo edilizio e dei doveri che il Comune, in tale occasione, è tenuto a rispettare.
Innanzitutto pur apparendo con evidenza come il titolo edilizio sia capace di incidere, in termini negativi, nei confronti dei terzi (vicini-frontisti), occorre considerare che la P.A. non è tenuta ad effettuare una puntuale verifica in ordine al contenuto specifico del titolo giuridico sulla base del quale si fonda la richiesta di rilascio del permesso di costruzione (Cons. Stato, sez. IV, 31.12.2020, n. 8564).
D’altronde, le eventuali questioni interpretative che possono sorgere tra le parti private sono rimesse alla competenza del Giudice Ordinario.
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In linea di diritto, in sede di rilascio del titolo abilitativo edilizio –segnatamente, in sede di esame sull’effettiva disponibilità giuridica del bene oggetto dell’intervento edificatorio, limitando invero l’art. art. 11 d.P.R. 06.06.2001, n. 380, la legittimazione attiva all’ottenimento della concessione edilizia a chi sia munito di titolo giuridico sostanziale per richiederlo– sussiste bensì l’obbligo per il Comune di verificare il rispetto da parte dell’istante dei limiti privatistici, ma soltanto alla condizione che tali limiti siano effettivamente conosciuti o immediatamente conoscibili o non contestati, di modo che il controllo da parte dell’ente locale si traduca in una semplice presa d’atto dei limiti medesimi senza necessità di procedere ad un’accurata e approfondita disanima dei rapporti civilistici.
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4.4 L’appellante sostiene che in sede di esame sull’effettiva disponibilità del bene oggetto dell’intervento edificatorio non sussisterebbe l’obbligo per il Comune di verificare il rispetto dei limiti privatistici.
Osserva il Collegio che questo principio trova applicazione soltanto a condizione che questi limiti non siano effettivamente conosciuti o facilmente conoscibili, in caso contrario ben potendosi affermare la sussistenza di detto obbligo.
Un non troppo risalente arresto della Sezione, che anche questo Collegio condivide pienamente, ha accertato che “in linea di diritto, che secondo l’orientamento prevalente di questo Consiglio di Stato, condiviso dal collegio, in sede di rilascio del titolo abilitativo edilizio –segnatamente, in sede di esame sull’effettiva disponibilità giuridica del bene oggetto dell’intervento edificatorio, limitando invero l’art. art. 11 d.P.R. 06.06.2001, n. 380, rispettivamente il corrispondente art. 70 l.urb.prov. (emanata dalla Provincia autonoma di Bolzano nell’esercizio della potestà legislativa primaria in materia di urbanistica), la legittimazione attiva all’ottenimento della concessione edilizia a chi sia munito di titolo giuridico sostanziale per richiederlo– sussiste bensì l’obbligo per il Comune di verificare il rispetto da parte dell’istante dei limiti privatistici, ma soltanto alla condizione che tali limiti siano effettivamente conosciuti o immediatamente conoscibili o non contestati, di modo che il controllo da parte dell’ente locale si traduca in una semplice presa d’atto dei limiti medesimi senza necessità di procedere ad un’accurata e approfondita disanima dei rapporti civilistici” (Cons. Stato, sez. VI, n. 4861/2016) (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 14.02.2022 n. 1054 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl soggetto richiedente il rilascio di un titolo abilitativo edilizio (anche in sanatoria) deve fornire all’Amministrazione seri elementi per l’affermazione della propria legittimazione e, quindi -soprattutto se oggetto di specifica contestazione da parte di terzi- deve dare prova di essere il proprietario (o altro soggetto nei limiti in cui gli è riconosciuto il diritto di eseguire le opere) dell’area sulla quale insiste l’intervento edilizio.
La giurisprudenza amministrativa ha infatti chiarito che nei casi in cui v’è contenzioso in atto o una specifica contestazione da parte di terzi sul diritto dominicale, quale elemento legittimante la presentazione di domande relative al rilascio di titoli abilitativi edilizi, l’amministrazione deve compiere le indagini necessarie per verificare se tali contestazioni siano fondate e, se del caso, denegare o differire il rilascio del titolo se il richiedente non è in grado di fornire elementi seri a fondamento del suo diritto, pur senza necessariamente attendere la soluzione dell’eventuale relativo contenzioso civile.

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5. Il ricorso è infondato.
5.1. Per quel che qui rileva, ai sensi dell’art. 21 della l.r. n. 19/2009, “la domanda per il rilascio del permesso di costruire o la segnalazione certificata di inizio attività sono presentate dal proprietario dell'immobile o da altri soggetti nei limiti in cui è loro riconosciuto il diritto di eseguire le opere.
1-bis. Ai fini del rilascio o della formazione dei titoli abilitativi previsti dalla presente legge, i competenti uffici comunali sono tenuti ad acquisire d'ufficio i documenti, le informazioni e i dati, compresi quelli catastali, che siano in possesso delle pubbliche amministrazioni e non possono richiedere attestazioni, comunque denominate, o perizie sulla veridicità e sull'autenticità di tali documenti, informazioni e dati. I soggetti di cui al comma 1 possono in sede di istanza produrre tutti i documenti ritenuti utili all'acquisizione d'ufficio di cui al presente comma.
2. Si considerano tra i soggetti a cui è riconosciuto il diritto di eseguire opere edilizie ai sensi del comma 1, oltre il proprietario:
   a) il titolare di diritti di superficie, usufrutto, uso e abitazione e di altri diritti reali;
   b) l'affittuario di fondo rustico;
   c) il concessionario di beni demaniali;
   d) il titolare di diritti edificatori riconosciuti in un contratto o in altro atto giuridico riconosciuto dalla legge;
   e) il destinatario di ordini dell'autorità giudiziaria o amministrativa aventi a oggetto l'intervento
.”.
Alla luce del chiaro dettato normativo il soggetto richiedente il rilascio di un titolo abilitativo edilizio (anche in sanatoria) deve fornire all’Amministrazione seri elementi per l’affermazione della propria legittimazione e, quindi -soprattutto se oggetto di specifica contestazione da parte di terzi- deve dare prova di essere il proprietario (o altro soggetto nei limiti in cui gli è riconosciuto il diritto di eseguire le opere) dell’area sulla quale insiste l’intervento edilizio.
5.2. La giurisprudenza amministrativa ha infatti chiarito che nei casi in cui v’è contenzioso in atto o una specifica contestazione da parte di terzi sul diritto dominicale, quale elemento legittimante la presentazione di domande relative al rilascio di titoli abilitativi edilizi, l’amministrazione deve compiere le indagini necessarie per verificare se tali contestazioni siano fondate e, se del caso, denegare o differire il rilascio del titolo se il richiedente non è in grado di fornire elementi seri a fondamento del suo diritto, pur senza necessariamente attendere la soluzione dell’eventuale relativo contenzioso civile (cfr. Cons. di Stato n. 2991/2020).
5.3. Nel caso di specie, pur riconoscendo l’oggettiva contestazione dell’assetto proprietario dell’area in questione, la parte ricorrente non ha fornito -né al Comune nella sede propria procedimentale né nella presente sede giudiziaria- idonei e seri elementi per poter affermare la propria legittimazione alla presentazione della segnalazione certificata di inizio attività e della segnalazione certificata di agibilità.
Come ben messo in luce dalla difesa comunale nei propri scritti difensivi, emerge infatti che la ricorrente, pur essendo stata invitata a farlo con apposita comunicazione, non ha affatto comprovato il proprio titolo legittimante né ha dimostrato l’inconsistenza (o la pretestuosità) delle contestazioni della controinteressata circa la proprietà dell’area interessata dall’intervento (TAR Friuli Venezia Giulia, sentenza 17.01.2022 n. 17 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2021

EDILIZIA PRIVATAÈ stato affermato che “il promissario acquirente, in quanto titolare di un rapporto obbligatorio, si configura quale soggetto privo di una situazione soggettiva ed oggettiva di stabile collegamento con la zona coinvolta dalle prescrizioni del piano attuativo, che ove, illegittimamente assentite siano ritenute idonee ad arrecare pregiudizio ai valori urbanistici della zona medesima. Il suo interesse oppositivo al mutamento della disciplina urbanistica dell'area è un interesse di mero fatto meramente eventuale e certamente non attuale potendo venire meno anche sulla base della semplice rinuncia ad effettuare l'acquisto, non più ritenuto conveniente proprio in virtù della nuova disciplina urbanistica”.
E’ stato inoltre precisato che “La legittimazione del promissario acquirente all'impugnazione di atti costituenti esercizio del potere di pianificazione urbanistica, come dei provvedimenti adottati in materia edilizia, è stata riconosciuta in giurisprudenza solo entro ristretti limiti, ossia laddove nel contratto preliminare sia rinvenibile una clausola con cui il proprietario conferisca al promittente acquirente una specifica autorizzazione in tal senso, oppure qualora il promissario acquirente abbia acquisito la disponibilità materiale dell'immobile promesso in vendita per cui si trovi con esso in una relazione di collegamento tale che deponga per la sicura stipula del definitivo. Di recente si è difatti riconosciuta la legittimazione in argomento nel caso in cui il preliminare di compravendita si configuri come contratto c.d. "ad effetti anticipati" in virtù del quale, anticipandosi la consegna del bene, il promissario acquirente abbia acquisito la effettiva e materiale disponibilità dell'immobile”.
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La posizione della ricorrente appare quindi riconducibile a quella di promissario acquirente del bene.
Orbene tale posizione non è sufficiente, per la giurisprudenza maggioritaria, a legittimare la proposizione dell’impugnazione.
È stato, infatti, affermato che “il promissario acquirente, in quanto titolare di un rapporto obbligatorio, si configura quale soggetto privo di una situazione soggettiva ed oggettiva di stabile collegamento con la zona coinvolta dalle prescrizioni del piano attuativo, che ove, illegittimamente assentite siano ritenute idonee ad arrecare pregiudizio ai valori urbanistici della zona medesima. Il suo interesse oppositivo al mutamento della disciplina urbanistica dell'area è un interesse di mero fatto meramente eventuale e certamente non attuale potendo venire meno anche sulla base della semplice rinuncia ad effettuare l'acquisto, non più ritenuto conveniente proprio in virtù della nuova disciplina urbanistica” (TAR Campania, Napoli, VIII 07.03.2013 n. 1285).
E’ stato inoltre precisato che “La legittimazione del promissario acquirente all'impugnazione di atti costituenti esercizio del potere di pianificazione urbanistica, come dei provvedimenti adottati in materia edilizia, è stata riconosciuta in giurisprudenza solo entro ristretti limiti, ossia laddove nel contratto preliminare sia rinvenibile una clausola con cui il proprietario conferisca al promittente acquirente una specifica autorizzazione in tal senso, oppure qualora il promissario acquirente abbia acquisito la disponibilità materiale dell'immobile promesso in vendita per cui si trovi con esso in una relazione di collegamento tale che deponga per la sicura stipula del definitivo. Di recente si è difatti riconosciuta la legittimazione in argomento nel caso in cui il preliminare di compravendita si configuri come contratto c.d. "ad effetti anticipati" in virtù del quale, anticipandosi la consegna del bene, il promissario acquirente abbia acquisito la effettiva e materiale disponibilità dell'immobile” (TAR Campania Napoli 1285/2013 cit, Consiglio di Stato sez. IV, 12.04.2011, n. 2275; Consiglio di Stato, sez. IV, 15.02.2013 n. 917).
Nel caso di specie non solo la ricorrente non ha ottenuto la effettiva e materiale disponibilità dell’immobile ma neppure risulta in maniera chiara sotto quale profilo la stessa subirebbe un pregiudizio dall’approvazione della variante.
Invero posto che, comunque, anche nella nuova sistemazione dell’assetto portuale la ricorrente manterrebbe il diritto a conseguire i posti barca promessi, non si vede come tale variante possa avere leso gli interessi derivanti dal preliminare.
Il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile (TAR Liguria, Sez. II, sentenza 27.09.2021 n. 803 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Sulle condizioni in presenza delle quali deve ritenersi che un soggetto terzo, rispetto al proprietario del bene, sia legittimato a richiedere il rilascio del permesso di costruire su di esso ai sensi dell’art. 11 D.P.R. n. 380/2011.
L’art. 11 del D.P.R. n. 380/2001 consente il rilascio del permesso di costruire al proprietario dell’immobile o “a chi abbia titolo per richiederlo”, per tale dovendosi intendere, secondo quanto ripetutamente chiarito in giurisprudenza, colui che vanti la legittima disponibilità dell’area in base ad una relazione qualificata con il bene di natura reale, o anche solo obbligatoria, purché, in questo caso, con il consenso del proprietario.
In giurisprudenza si è pure sostenuto che tra i titoli di disponibilità sufficienti per eseguire l’attività edificatoria ben può farsi rientrare il preliminare di acquisto, ciò in quanto esso consente di ottenere la titolarità del bene con sentenza ex art. 2932 c.c..
In tali casi, all’istanza diretta ad ottenere il permesso di costruire può provvedere il promissario acquirente a condizione, tuttavia, che il preliminare contenga il consenso del proprietario in ordine all’effettuazione dei lavori edili e che il richiedente sia stato già immesso nel possesso e nel godimento dell’immobile oggetto d’intervento.
Si afferma, infatti, che la disponibilità e il possesso del bene in virtù di titolo “a domino” conferisce al promissario acquirente la legittimazione attiva per edificare poiché tali elementi (possesso e contratto preliminare) assurgono a proiezione del diritto di proprietà.
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8. – Conviene prendere le mosse dalla disamina dell’eccezione di inammissibilità del ricorso.
8.1. – L’art. 11 del D.P.R. n. 380/2001 consente il rilascio del permesso di costruire al proprietario dell’immobile o “a chi abbia titolo per richiederlo”, per tale dovendosi intendere, secondo quanto ripetutamente chiarito in giurisprudenza, colui che vanti la legittima disponibilità dell’area in base ad una relazione qualificata con il bene di natura reale, o anche solo obbligatoria, purché, in questo caso, con il consenso del proprietario (Cons. Stato, Sez. VI, 29.03.2021, n. 2627; Cons. Stato, Sez. VI, 22.09.2014 n. 4776; Sez. IV, 25.09.2014 n. 4818).
8.2. – In giurisprudenza si è pure sostenuto che tra i titoli di disponibilità sufficienti per eseguire l’attività edificatoria ben può farsi rientrare il preliminare di acquisto, ciò in quanto esso consente di ottenere la titolarità del bene con sentenza ex art. 2932 c.c. (cfr. TAR Sardegna, sez. II, 11/05/2017 n. 332).
In tali casi, all’istanza diretta ad ottenere il permesso di costruire può provvedere il promissario acquirente a condizione, tuttavia, che il preliminare contenga il consenso del proprietario in ordine all’effettuazione dei lavori edili (Cons. Stato, Sez. VI, n. 1947/2005; n. 144/2010; n. 4818/2014) e che il richiedente sia stato già immesso nel possesso e nel godimento dell’immobile oggetto d’intervento (Cons. Stato, Sez. IV, 12.04.2011, n. 2275; Cons. Stato, Sez. V, 24.08.2007, n. 4485; Cons. Stato, Sez. V, 18.06.1996 n. 718; TAR Campania, Napoli, sez. V, 12.01.2000 n. 45; TAR Sardegna, 19.05.2003, n. 618).
Si afferma, infatti, che la disponibilità e il possesso del bene in virtù di titolo “a domino” conferisce al promissario acquirente la legittimazione attiva per edificare poiché tali elementi (possesso e contratto preliminare) assurgono a proiezione del diritto di proprietà (Cons. Stato, Sez. V, 28.05.2001, n. 882).
8.3. – Nel caso di specie, a sostegno della propria legittimazione attiva rispetto alla presentazione dell’istanza di permesso di costruire, la società ricorrente ha richiamato, come accennato, il contratto preliminare del 29.07.2013, avente a oggetto la vendita del terreno su cui realizzare il progettato intervento di riqualificazione, stipulato con “Le Fo. s.r.l.” la quale, come si legge nel cit. contratto preliminare, specifica di avere la disponibilità del suddetto terreno in quanto promissaria acquirente di esso sulla base di un (altro) contratto preliminare (da essa) stipulato con la proprietaria S.p.A. Bi.Pe..
8.4. – Tanto appare sufficiente al Collegio per condividere, alla luce delle superiori coordinate giurisprudenziali, la dedotta inconfigurabilità, nel caso per cui è controversia, dei presupposti per il rilascio del titolo edilizio a beneficio della società ricorrente, atteso che non può darsi rilievo alla vantata disponibilità dell’area da parte di questa, anzitutto, siccome ancorata a un vincolo contrattuale che, per l’intensità che ne deriva, appare già in astratto di assai dubbia idoneità a fondare una relazione giuridicamente qualificata con il bene, essendo l’effetto traslativo della proprietà sull’area subordinato a un “doppio passaggio” che in parte sfugge al controllo della società ricorrente, trattandosi di res inter alios acta (il contratto preliminare tra la S.p.A. Pe. e la Fo. s.r.l.).
8.5. – Inoltre –ciò che pure appare dirimente– non è soddisfatta la condizione del rilascio del consenso del proprietario in ordine all’effettuazione dei lavori edili (Cons. Stato, Sez. VI, n. 1947/2005; n. 144/2010; n. 4818/2014), tale evidentemente non potendosi ritenere quello prestato alla ricorrente dalla società “Le Fo. s.r.l.” nel cit. contratto preliminare, non essendo quest’ultima titolare di alcun diritto reale sul terreno, rivestendo la qualità di (semplice) promissaria acquirente di esso.
8.6. – Sotto altro profilo, infine, neppure si configura il presupposto dell’immissione del richiedente nel possesso immediato del bene immobile (cd. “preliminare ad effetti anticipati”), non formando detto profilo oggetto di specifica pattuizione (e non essendo stato riscontrato, come visto supra, il possesso, neanche in via fattuale), sicché non può riconoscersi in capo alla società richiedente alcuna “disponibilità”, giuridica o fattuale, del terreno per cui è controversia, con la conseguenza che neppure appaiono sussistenti i requisiti oggettivi tali da far ritenere che il trasferimento di proprietà sia destinato a verificarsi con sufficienti margini di certezza (cfr., per esempio, Cons. Stato, Sez. V, 24.08.2007, n. 4485).
9. – Difettano, in conclusione, in capo alla società ricorrente, le condizioni in presenza delle quali deve ritenersi, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza, che un soggetto terzo rispetto al proprietario del bene sia legittimato a richiedere il rilascio del permesso di costruire su di esso ai sensi dell’art. 11 D.P.R. n. 380/2011.
10. – Non avendo, allora, la ricorrente società cooperativa alcun titolo idoneo a richiedere il permesso di costruire sul terreno in parola, essa non ha evidentemente alcun titolo a contestarne giudizialmente il diniego.
Il ricorso ed i relativi motivi aggiunti sono allora inammissibili per difetto di legittimazione attiva (TAR Campania-Salerno, Sez. I sentenza 02.04.2021 n. 839 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATANella promessa di vendita, quando venga convenuta la consegna del bene prima del perfezionamento del contratto definitivo, non si verifica un'anticipazione degli effetti traslativi, in quanto la disponibilità in tal modo conseguita dal promissario acquirente ha mera natura di detenzione, sia pur qualificata, collegata ad un contratto con effetti obbligatori, costitutivo di reciproci diritti di credito ad un fare (prestazione del successivo consenso); e non di possesso utile ad usucapionem: salva la dimostrazione di una sopraggiunta interversio possessionis nei modi di cui all'art. 1141, secondo comma, cod. civile.
Solo il possessore, infatti, e non anche il detentore, può usucapire il bene (e godere delle azioni di manutenzione e di nunciazione: artt. 1170 e 1171 cod. civ.); mentre, al promissario acquirente va riconosciuta una detenzione qualificata, esercitata nel proprio interesse, ma alieno nomine; in assenza dell'animus possidendi, escluso dalla consapevolezza che l'effetto traslativo non si è ancora prodotto.
In conclusione, anche in presenza del cd. preliminare ad effetti anticipati -che pure ha certo portata ben più pregnante del paradigmatico pactum de contraendo- è pur sempre il contratto definitivo, espressione di autonomia negoziale e non mero atto dovuto solvendi causa, a produrre l'effetto traslativo reale: restando esclusa la scissione tra titulus e modus adquirendi (eventualmente, anche mediante atto non negoziale), che era propria del diritto romano ed è tuttora vigente in taluni ordinamenti moderni, come quello tedesco.
Entro questa cornice concettuale, la consegna della cosa e l'anticipato pagamento del prezzo non sono incompatibili, in ultima analisi, con la figura del preliminare, né indice della natura definitiva della compravendita; quale che ne sia la giustificazione causale: se per clausola atipica, introduttiva di un'obbligazione aggiuntiva, o per collegamento negoziale (preliminare di compravendita, comodato e mutuo gratuito).
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2.§. Sulla domanda di usucapione
Il collegio non ritiene di doversi discostare dall’insegnamento giurisprudenziale secondo il quale “Nella promessa di vendita, infatti, quando venga convenuta la consegna del bene prima del perfezionamento del contratto definitivo, non si verifica un'anticipazione degli effetti traslativi, in quanto la disponibilità in tal modo conseguita dal promissario acquirente ha mera natura di detenzione, sia pur qualificata, collegata ad un contratto con effetti obbligatori, costitutivo di reciproci diritti di credito ad un fare (prestazione del successivo consenso); e non di possesso utile ad usucapionem: salva la dimostrazione di una sopraggiunta interversio possessionis nei modi di cui all'art. 1141, secondo comma, cod. civile (Cass., sez. unite, 27.03.2008, n. 7930).
Solo il possessore, infatti, e non anche il detentore, può usucapire il bene (e godere delle azioni di manutenzione e di nunciazione: artt. 1170 e 1171 cod. civ.); mentre, al promissario acquirente va riconosciuta una detenzione qualificata, esercitata nel proprio interesse, ma alieno nomine; in assenza dell'animus possidendi, escluso dalla consapevolezza che l'effetto traslativo non si è ancora prodotto.
In conclusione, anche in presenza del cd. preliminare ad effetti anticipati -che pure ha certo portata ben più pregnante del paradigmatico pactum de contraendo- è pur sempre il contratto definitivo, espressione di autonomia negoziale e non mero atto dovuto solvendi causa, a produrre l'effetto traslativo reale: restando esclusa la scissione tra titulus e modus adquirendi (eventualmente, anche mediante atto non negoziale), che era propria del diritto romano ed è tuttora vigente in taluni ordinamenti moderni, come quello tedesco.
Entro questa cornice concettuale, la consegna della cosa e l'anticipato pagamento del prezzo non sono incompatibili, in ultima analisi, con la figura del preliminare, né indice della natura definitiva della compravendita; quale che ne sia la giustificazione causale: se per clausola atipica, introduttiva di un'obbligazione aggiuntiva, o per collegamento negoziale (preliminare di compravendita, comodato e mutuo gratuito: in questo senso, Cass. sez. un. 7930/2008, cit.)
” (Cass, sez. I civile - 01.03.2010, n. 4863).
La domanda di accertamento di usucapione, sulla quale questo collegio può esprimersi solo in via incidentale, deve essere respinta (TAR Abruzzo-L'Aquila, sentenza 19.03.2021 n. 135 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Permesso di costruire – Art. 57 e s. L.R. Friuli Venezia Giulia n. 19 del 2009 – Parti comuni – Diritti di terzi – Sistema tavolare – Foglio reale – Proprietà esclusiva – Autorizzazione – Immutazione della destinazione.
I singoli comproprietari hanno la possibilità di apportare delle innovazioni dirette al miglioramento o all’uso più comodo o al maggior rendimento delle cose o parti comuni solo previa autorizzazione in tal senso da parte degli altri comproprietari, secondo le quote di maggioranza. Non può essere postulata la legittimità del permesso di costruire in ragione del fatto che trattandosi di parti comuni è consentito al comproprietario farne uso per il miglior rendimento della cosa, in caso di immutazione della destinazione del bene con modalità escludenti dal pari uso per il terzo comproprietario.
...
Permesso di costruire – Ingerenza dell’amministrazione nei rapporti tra privati – Legittimazione – Art. 11, c. 1, del DPR n. 380 del 2001.
Il Comune, in sede di rilascio del titolo edilizio, non è tenuto a svolgere verifiche complesse in ordine al regime proprietario dei beni né, tanto più, a risolvere conflitti tra parti private (il titolo viene rilasciato fatti salvi i diritti di terzi). Ciò non di meno, deve verificare la legittimazione dell’istante come impone l’articolo 11, c. 1, del DPR n. 380 del 2001.
La legittimità del suo operato va vagliata alla luce di quelle che sono le obiettive risultanze documentali per come evinte da registri pubblici, atti notarili o giudiziali
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 18.03.2021 n. 2329 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATAA norma dell’art. 11 del d.P.R. 06.06.2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia) il permesso di costruire [al pari degli altri titoli abilitativi] può essere rilasciato non solo al proprietario dell’immobile, ma a chiunque abbia “titolo per richiederlo”: espressione, quest’ultima, che la giurisprudenza ha identificato con la legittima disponibilità dell’area, in base ad una relazione qualificata con il bene, di natura reale, o anche solo obbligatoria, purché con il consenso del proprietario”.
È vero, cioè, che “la giurisprudenza tende ad allargare l’area dei soggetti abilitati includendovi, tra gli altri, l’usufruttuario; il promissario acquirente; il conduttore dell’immobile; il cessionario di cubatura, riducendo, per converso, sempre più l’area degli obblighi gravanti sull’amministrazione a fronte di una richiesta di permesso di costruire, limitati ad una preliminare verifica circa la legittimazione sostanziale del richiedente, senza che a tale dimostrazione debba seguire un’approfondita indagine circa le implicazioni di ordine civilistico”, con la precisazione, tuttavia, “che non si versi in ipotesi di conclamato dissenso tra comproprietari [ovvero tra il proprietario e il soggetto che ha la disponibilità del bene] in ordine all’intervento progettato”.
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1. La ricorrente società –conduttrice di un immobile, sito nel Comune di Sorrento, in virtù di contratto di locazione stipulato in data 21.09.2017 tra il locatore Ma.Ro. e altra società, alla quale la ricorrente è subentrata a seguito di cessione di ramo d’azienda– ha presentato la CILA prot. n. 8915 del 27.02.2020, ai sensi dell’articolo 6-bis del D.P.R. n. 380 del 2001, avente ad oggetto “interventi di manutenzione straordinaria di cui all’articolo 3, comma 1, lettera b), del d.P.R. n. 380/2001”, consistenti “in una piccola modifica interna mediante la realizzazione di tramezzature, con conseguenti adeguamenti degli impianti, pitturazioni interne e opere di finitura consequenziali”, su un edificio realizzato in forza del permesso di costruire n. 31 del 2016 e SCIA in variante prot. n. 25463 del 2017, attualmente adibito ad attività di affittacamere giusta SCIA commerciale prot. n. 25463 del 2017.
2. Il Comune di Sorrento - Dipartimento Antiabusivismo-Edilizia privata-Condono-SUAP-Urbanistica ha disposto:
   a) dapprima, con provvedimento prot. n. 11188 del 17.03.2020, la sospensione delle attività oggetto della CILA prot. n. 8915 del 27 febbraio 2020, fino alla produzione della documentazione mancante, relativa alla regolarità contributiva della ditta incaricata; a tale adempimento la ricorrente provvedeva con nota prot. n. 11465 del 23.03.2020;
   b) successivamente, con provvedimento prot. n. 17140 del 27.05.2020 in questa sede impugnato, la sospensione delle attività oggetto della medesima CILA prot. n. 8915 del 27.02.2020 e “di ogni altra eventuale attività”, fino alla produzione della documentazione mancante, relativa alla legittimazione della richiedente a effettuare l’intervento.
Segnatamente, l’Amministrazione rilevava che, ai sensi dell’articolo 9 del contratto di locazione, “il conduttore non potrà eseguire, in assenza del consenso scritto del locatore, alcun tipo di innovazione, miglioria, addizione, riparazione, sostituzione o variazione, con la sola eccezione degli interventi di manutenzione ordinaria”.
Infine, il Comune precisava che “le opere sono già state realizzate” (come risulta dalla comunicazione di fine lavori prot. n. 10804 del 12.03.2020), sicché “gli interventi eseguiti se non sarà fornito idoneo consenso scritto del locatore, assumeranno un carattere di abusività”.
3. La ricorrente ribadisce, in questa sede, la propria legittimazione alla presentazione della CILA in forza della disponibilità dell’immobile, che le deriva dal contratto di locazione, e contesta l’indagine svolta dall’Amministrazione in ordine all’interpretazione delle clausole del rapporto civilistico sottostante.
Rileva, inoltre, che in ogni caso dal contratto non emergerebbe un divieto assoluto all’esecuzione di lavori di manutenzione straordinaria in assenza di consenso scritto da parte del locatore, bensì un mero esonero in capo al locatore dal dover corrispondere un indennizzo per le migliorie apportate, ovvero il suo diritto di pretendere la rimessione in pristino alla scadenza del contratto stesso.
Richiama, infine, l’articolo 1592 del codice civile, nella parte in cui prevede che “salvo disposizioni particolari della legge o degli usi, il conduttore non ha diritto a indennità per i miglioramenti apportati alla cosa locata”, che dunque sarebbero sempre possibili.
...
7. Ciò premesso, come rappresentato anche dalla difesa comunale, “a norma dell’art. 11 del d.P.R. 06.06.2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia) il permesso di costruire [al pari degli altri titoli abilitativi] può essere rilasciato non solo al proprietario dell’immobile, ma a chiunque abbia “titolo per richiederlo”: espressione, quest’ultima, che la giurisprudenza ha identificato con la legittima disponibilità dell’area, in base ad una relazione qualificata con il bene, di natura reale, o anche solo obbligatoria, purché con il consenso del proprietario (cfr. in tal senso, fra le tante, Cons. Stato, IV, 23.02.2012, n. 983, 16.03.2012, n. 1488, 05.06.2012, n. 3300 e 08.06.2007, n. 3027)” (Consiglio di Stato, sezione VI, sentenza n. 4776 del 2014).
È vero, cioè, che “la giurisprudenza tende ad allargare l’area dei soggetti abilitati includendovi, tra gli altri, l’usufruttuario (Cons. St. Sez. IV n. 3027/2007); il promissario acquirente (Cons. St. Sez. VI n. 7847/2004); il conduttore dell’immobile (Cons. St. Sez. IV n. 1057/2011); il cessionario di cubatura (Cons. St. Sez. V n. 3637/2000), riducendo, per converso, sempre più l’area degli obblighi gravanti sull’amministrazione a fronte di una richiesta di permesso di costruire, limitati ad una preliminare verifica circa la legittimazione sostanziale del richiedente, senza che a tale dimostrazione debba seguire un’approfondita indagine circa le implicazioni di ordine civilistico”, con la precisazione, tuttavia, “che non si versi in ipotesi di conclamato dissenso tra comproprietari [ovvero tra il proprietario e il soggetto che ha la disponibilità del bene] in ordine all’intervento progettato (Cons. St. Sez. V n. 6529/2003)” (TAR Campania-Salerno, sezione II, sentenza n. 1500 del 2013).
Ebbene, nel caso in esame non vi è dubbio sul fatto che il proprietario non solo non ha dato il proprio consenso ai lavori, ma (come dichiarato dalla stessa ricorrente) ha addirittura sollecitato il Comune all’adozione dei provvedimenti qui impugnati, mediante nota del 02.03.2020 prot. n. 9322, con la quale segnalava all’Ente la realizzazione di “n. 3 servizi igienici, lo spostamento di alcune tramezzature e la realizzazione di una porta di comunicazione tra due ambienti”, così manifestando “per facta concludentia il proprio diniego a concedere il consenso scritto all’intervento edilizio realizzato dalla So.Re. S.r.l.” (pagina 7 del ricorso).
Quanto al richiamato articolo 9 del contratto di locazione, che ricalca nel contenuto le previsioni del codice civile, si deve osservare che la previsione dell’“insindacabile diritto del locatore a pretendere al termine del contratto la rimessa in pristino a spese del conduttore a perfetta regola d’arte” non contraddice affatto, ma anzi rafforza il generale divieto, previsto a carico del conduttore nel primo periodo del medesimo articolo, di eseguire innovazioni, migliorie, addizioni, riparazioni, sostituzioni o variazioni in assenza del consenso scritto del locatore.
Ne deriva la legittimità del provvedimento impugnato, con il quale il Comune di Sorrento ha disposto la sospensione di tutte le attività edilizie connesse con la pratica CILA prot. n. 8915 del 27.02.2020. Il ricorso deve, pertanto, essere respinto (TAR Campania-Napoli, Sez. VII, sentenza 09.03.2021 n. 1562 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIn giurisprudenza, “Non è rilevante che i lavori sull’immobile siano stati concordati con il Comune, quale proprietario–concedente, in sede di stipula del contratto locativo, posto che l’assenso del proprietario agli interventi edilizi sull'immobile locato incide sulla legittimità degli stessi sul piano meramente contrattuale, ma non ha effetti derogatori su cogenti disposizioni di legge, che attengono a tutt’altra cura amministrativa rispetto all’interesse locatizio. Una siffatta previsione non esime il conduttore dal munirsi, prima dell'esecuzione dei programmati interventi, di tutti i necessari titoli autorizzatori pubblici presso le competenti amministrazioni”.
Altresì, “La legittimazione del titolare di un diritto obbligatorio al rilascio del permesso di costruire è riconosciuta solo quando, per effetto del dedotto rapporto obbligatorio, l’interessato sia autorizzato in base ad un contratto o abbia documentato il previo consenso da parte del proprietario”.
Del resto, milita nel senso della decisione assunta dal Collegio, anche la qualificazione delle opere de quibus, in termini di opere precarie e facilmente amovibili, che viepiù avrebbe richiesto che la proprietaria, modificando il proprio precedente assenso, avesse esplicitato le ragioni, per le quali aveva, poi, deciso di ritirarlo: in giurisprudenza, “Ai sensi dell’art. 11 del d.P.R. n. 380 del 06.06.2011 (in base al quale il permesso di costruire è rilasciato al proprietario dell'immobile o a chi abbia titolo per richiederlo), l'istanza di autorizzazione edilizia in sanatoria può essere legittimamente richiesta anche dal promissario acquirente o dal conduttore e, più in generale, da tutti coloro che vi abbiano interesse (nella fattispecie, nella quale gli interventi abusivi interessati dalla sanatoria consistevano in mere opere interne, facilmente ripristinabili, si è anche precisata l'irrilevanza del consenso del proprietario)”.
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... per l’annullamento:
   A) del provvedimento, prot. num. 17780 del 14/11/2020, in forza del quale il dirigente dell’Area Tecnica del Comune di Sala Consilina ha rigettato la richiesta di permesso di costruire temporaneo, relativo ad una struttura provvisoria, in adiacenza al locale, ove la ricorrente esercita l’attività di ristorazione, e dalla stessa tenuto in locazione, unitamente all’area di ingresso, sul presupposto della mancanza d’assenso, da parte della controinteressata, proprietaria dell’immobile;
   B) per quanto occorra, del preavviso di diniego dell’08/07/2020, con il quale il Comune di Sala Consilina ha partecipato la possibilità d’evadere favorevolmente l’istanza, qualora la ricorrente avesse prodotto la dichiarazione d’assenso del proprietario;
...
È chiaro che la questione, oggetto del giudizio, ruota sulla legittimità, o meno, del provvedimento di diniego, opposto dal Comune alla ricorrente, circa la divisata installazione di una struttura precaria sull’area, prospiciente il locale, condotto in locazione, e motivato sul dissenso, circa il rilascio di tale titolo abilitativo (permesso di costruire temporaneo, ex art. 10 d.P.R. 380/2001), opposto dalla proprietaria del locale medesimo.
Ritiene il Tribunale che, nella specie, dirimenti si presentano tre considerazioni:
   - la prima, che il contratto di locazione, stipulato tra le parti, espressamente prevedeva l’impegno, per il conduttore, ad ottenere, a propria cura e spese, “tutti gli adeguamenti richiesti dalle vigenti disposizioni di legge in materia di sicurezza”, nonché “le autorizzazioni amministrative per i lavori da effettuarsi”;
   - la seconda, che il dissenso all’installazione della struttura temporanea de qua era, da parte della proprietaria, del tutto immotivato (“non intende prestare il suo assenso”);
   - la terza, che già in passato (nel 2017) il Comune aveva proceduto al rinnovo dell’autorizzazione, inizialmente concessa nel 2015; tanto, conformemente all’art. 6 del Regolamento comunale in materia, che pur prevedendo la temporaneità di autorizzazioni di tal fatta, non ne escludeva, in nessun caso, la possibilità di rinnovo.
Sicché, a fronte della previsione, in contratto, della possibilità, anzi dell’onere, per il conduttore, di richiedere, in prima persona, le autorizzazioni amministrative per i lavori, necessari ad adeguare il locale alle disposizioni in materia di sicurezza (cui possono essere agevolmente assimilate le disposizioni governative, in tema di prevenzione dal contagio da Covid-19), ritiene il Collegio che il Comune non avrebbe dovuto pretendere il consenso, della proprietaria, all’installazione della struttura in questione.
In giurisprudenza, cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 16/04/2015, n. 1942: “Non è rilevante che i lavori sull’immobile siano stati concordati con il Comune, quale proprietario–concedente, in sede di stipula del contratto locativo, posto che l’assenso del proprietario agli interventi edilizi sull'immobile locato incide sulla legittimità degli stessi sul piano meramente contrattuale, ma non ha effetti derogatori su cogenti disposizioni di legge, che attengono a tutt’altra cura amministrativa rispetto all’interesse locatizio. Una siffatta previsione non esime il conduttore dal munirsi, prima dell'esecuzione dei programmati interventi, di tutti i necessari titoli autorizzatori pubblici presso le competenti amministrazioni”.
Cfr. anche TAR Campania–Napoli, Sez. VIII, 03/07/2012, n. 3148: “La legittimazione del titolare di un diritto obbligatorio al rilascio del permesso di costruire è riconosciuta solo quando, per effetto del dedotto rapporto obbligatorio, l’interessato sia autorizzato in base ad un contratto o abbia documentato il previo consenso da parte del proprietario”.
Del resto, milita nel senso della decisione assunta dal Collegio, anche la qualificazione delle opere de quibus, in termini di opere precarie e facilmente amovibili, che viepiù avrebbe richiesto che la proprietaria, modificando il proprio precedente assenso, avesse esplicitato le ragioni, per le quali aveva, poi, deciso di ritirarlo: in giurisprudenza, cfr. anche TAR Sardegna, Sez. II, 17/02/2016, n. 160: “Ai sensi dell’art. 11 del d.P.R. n. 380 del 06.06.2011 (in base al quale il permesso di costruire è rilasciato al proprietario dell'immobile o a chi abbia titolo per richiederlo), l'istanza di autorizzazione edilizia in sanatoria può essere legittimamente richiesta anche dal promissario acquirente o dal conduttore e, più in generale, da tutti coloro che vi abbiano interesse (nella fattispecie, nella quale gli interventi abusivi interessati dalla sanatoria consistevano in mere opere interne, facilmente ripristinabili, si è anche precisata l'irrilevanza del consenso del proprietario)”.
Sotto il terzo dei precisati profili, non è chi non veda, poi, come il Comune, avendo già rinnovato, una volta, il titolo ad aedificandum, sia pur per il periodo massimo, previsto nel regolamento ad hoc, di anni due, ha sostanzialmente avallato l’interpretazione, secondo la quale detto termine massimo deve intendersi sempre applicabile, tuttavia salvo rinnovo.
Del resto, essendo prevista, comunque, la durata massima d’ogni singola autorizzazione, non corrisponde al vero quanto sostenuto dalla controinteressata, vale a dire che attraverso reiterati rinnovi si perverrebbe alla sostanziale perpetuità del p.d.c. in oggetto, dovendo ad ogni rinnovo l’Amministrazione vagliare la sussistenza dei requisiti, richiesti dalla disciplina legislativa e regolamentare in materia.
E, in ogni caso, tale argomento è del tutto assente, nella giustificazione del provvedimento impugnato, onde conferire allo stesso valore dirimente, ai fini della decisione, equivarrebbe ad autorizzare una motivazione postuma del diniego gravato.
In conformità a tali considerazioni, il ricorso va accolto ed il provvedimento gravato, consequenzialmente annullato (TAR Campania-Salerno, Sez. II, sentenza 25.01.2021 n. 201 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2020

EDILIZIA PRIVATALegittimazione a chiedere il rilascio del titolo edilizio da parte del comproprietario.
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Edilizia – Permesso di costruire – Istanza di rilascio – Comproprietario – Comunione legale - Condizione.
Se è vero che il soggetto legittimato alla richiesta del titolo abilitativo deve essere colui che abbia la totale disponibilità del bene (pertanto l’intera proprietà dello stesso e non solo una parte o quota di esso), non potendo riconoscersi legittimazione al semplice proprietario pro quota ovvero al comproprietario di un immobile, e ciò per l’evidente ragione che diversamente considerando il contegno tenuto da quest’ultimo potrebbe pregiudicare i diritti e gli interessi qualificati dei soggetti con cui condivida la propria posizione giuridica sul bene oggetto di provvedimento, tuttavia tali principi non sono applicabili per gli immobili che ricadono in comunione legale tra i coniugi (1).
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   (1) In materia edilizia, se è vero che il soggetto legittimato alla richiesta del titolo abilitativo deve essere colui che abbia la totale disponibilità del bene (pertanto l’intera proprietà dello stesso e non solo una parte o quota di esso), non potendo riconoscersi legittimazione al semplice proprietario pro quota ovvero al comproprietario di un immobile, e ciò per l’evidente ragione che diversamente considerando il contegno tenuto da quest’ultimo potrebbe pregiudicare i diritti e gli interessi qualificati dei soggetti con cui condivida la propria posizione giuridica sul bene oggetto di provvedimento, tuttavia tali principi non sono applicabili per gli immobili che ricadono in comunione legale tra i coniugi.
Quest’ultima, infatti, non è una comproprietà in cui ciascun compartecipante è titolare di una quota pari ad 1/2 del bene. Si tratta, invece, di un istituto particolare (cosiddetto di tipo “germanico”) senza quote. In sostanza, si può solo dire che tutti i soggetti sono comproprietari dell’intero bene. Pertanto, ciascun coniuge deve ritenersi legittimato a presentare anche uti singuli l’istanza ad aedificandum, avendo la stessa, peraltro, effetti favorevoli anche nei confronti del coniuge rimasto inerte.
La l. 23.12.1996, n. 662 (art. 2, comma 37) ha introdotto, tra le cause di improcedibilità e diniego delle domande di condono edilizio ex l. 23.12.1994, n. 724, il tardivo deposito dell’integrazione documentale oltre novanta giorni dalla espressa richiesta notificata dal Comune (art. 39, comma 4, l. n. 724 del 1994), termine ritenuto perentorio (Cass. pen., sez. III, 29.05.2019, n. 30561; id., 25.11.2008, n. 3583; id., 11.07.2000, n. 10969; Tar Toscana, sez. III, 16.01.2014, n. 75; Tar Sardegna 29.08.2003, n. 1043), la cui scadenza produce quindi l’effetto di rendere definitivamente improcedibile la domanda di sanatoria.
Inoltre, tale disciplina è applicabile anche alle domande di condono precedentemente presentate ai sensi della l. 28.02.1985, n. 47, per le quali non fosse maturato il silenzio-assenso a causa della carenza di integrazioni documentali necessarie, come previsto dall’art. 49, comma 7, l. 27.12.1997, n. 449 (Tar Napoli, sez. IV, 25.02.2016, n. 1032).
Tuttavia, l’improcedibilità della domanda deve essere oggetto di una statuizione espressa del Comune, con la conseguenza che finché questa non sopravviene la documentazione tardivamente prodotta dall’istante è sempre esaminabile e suscettibile di portare a determinazioni diverse; ciò in quanto la norma non è strutturata in modo da configurare una sorta di ipotesi di silenzio-rigetto né una consumazione del potere dell’amministrazione comunale (Consiglio di Stato, Sez. II, sentenza 12.03.2020 n. 1766 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).
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SENTENZA
1. Rileva il Collegio che il ricorso oggetto del presente giudizio è stato proposto dall’attuale appellante signor Au.An. avverso la concessione in sanatoria n. 1242 del 28.04.2003 rilasciata a favore degli appellati signori Ca..
Parte appellante deduce che il titolo edilizio era stato richiesto solo da un comproprietario, ovvero dal proprietario pro quota e nella specie dal signor Ca.Ar., mentre nessuna richiesta in tal senso era stata formalizzata dall’altro soggetto avente titolo (ovvero dalla signora Ma.Ma.).
2. In effetti, questo Consiglio, in tema di soggetto legittimato all’istanza di rilascio di titolo edilizio e proprietario pro quota, ha affermato inequivocabilmente che il soggetto legittimato alla richiesta del titolo abilitativo deve essere colui che abbia la totale disponibilità del bene, pertanto l’intera proprietà dello stesso e non solo una parte o quota di esso.
Non può invece riconoscersi legittimazione, al contrario, al semplice proprietario pro quota ovvero al comproprietario di un immobile, e ciò per l’evidente ragione che diversamente considerando il contegno tenuto da quest’ultimo potrebbe pregiudicare i diritti e gli interessi qualificati dei soggetti con cui condivida la propria posizione giuridica sul bene oggetto di provvedimento.
In caso di pluralità di proprietari del medesimo immobile, di conseguenza, la domanda di rilascio di titolo edilizio -sia esso o meno titolo in sanatoria di interventi già realizzati- dovrà necessariamente provenire congiuntamente da tutti i soggetti vantanti un diritto di proprietà sull’immobile, potendosi ritenere d’altra parte legittimato alla presentazione della domanda il singolo comproprietario solo ed esclusivamente nel caso in cui la situazione di fatto esistente sul bene consenta di supporre l’esistenza di una sorta di cd. pactum fiduciae intercorrente tra i vari comproprietari (cfr., da ultimo, Consiglio di Stato, Sez. IV, 07.09.2016, n. 3823).
Pertanto, deve sicuramente, conseguentemente, ritenersi illegittimo il titolo abilitativo rilasciato in base alla richiesta di un solo comproprietario, dovendo l’Amministrazione verificare la sussistenza, in capo al richiedente stesso, di un titolo idoneo di godimento sull’immobile ed accertare, altresì, la legittimazione soggettiva di quest’ultimo, la quale presuppone il consenso, anche tacito, dell’altro proprietario in regime di comunione.
Tuttavia, tali principi non sono applicabili per gli immobili che ricadono in comunione legale tra i coniugi, come appare la situazione nel caso di specie.
Occorre, quindi, trovare un principio in base al quale risolvere le diverse questioni che si possono porre, in quanto la comunione di un bene fra due soggetti non è una comproprietà in cui ciascun compartecipante è titolare di una quota pari ad 1/2 del bene. Si tratta, invece, di un istituto particolare (cosiddetto di tipo “germanico”) senza quote. In sostanza, si può solo dire che tutti i soggetti sono comproprietari dell’intero bene.
Questi sono i principi costantemente affermati, nella giurisprudenza di legittimità, relativamente, ad esempio, al pignoramento ed all’espropriazione coattiva di un bene in comunione, in quanto la comunione tra coniugi ha la peculiarità di essere senza quote o “a mani riunite”, nel senso che, pur essendo entrambi i coniugi contitolari al 50%, lo sono, tuttavia, sull’intero bene (o beni in caso di diversi cespiti) (cfr., ex multis, Cassazione civ., sez. III, 31.03.2016, n. 6230).
Anche sotto il profilo penale emerge la differenza tra bene in comproprietà e bene in comunione legale dei coniugi, proprio in tema di responsabilità di un coniuge per il fatto materialmente commesso dall’altro.
In tema di reati edilizi, infatti, la responsabilità di un coniuge per il fatto materialmente commesso dall’altro può essere rilevata sulla base di oggettivi elementi di valutazione quali il comune interesse all’edificazione, il regime di comunione dei beni, l’acquiescenza all’esecuzione dell’intervento, la presenza sul luogo di esecuzione dei lavori, l’espletamento di attività di controllo sull’esecuzione dei lavori, la presentazione di istanze o richieste concernenti l’immobile o l’esecuzione di attività indicative di una partecipazione all’attività illecita (cfr., ex multis, Cass. pen. Sez. III 14.11.2018, n. 51489).
Conseguentemente, poiché in tema di comunione legale dei beni, il singolo coniuge è proprietario non pro quota ma indistintamente dell’intero bene, deve ritenersi legittimato a presentare anche uti singuli l’istanza di sanatoria, avendo la stessa, peraltro, effetti favorevoli anche nei confronti del coniuge rimasto inerte, come legittimamente è avvenuto nel caso in esame.

EDILIZIA PRIVATAL’art. 11, comma 1, del Dpr n. 308/2001 stabilisce che il permesso di costruire è rilasciato al “proprietario dell’immobile o a chi abbia titolo per richiederlo”.
Orbene, per il rilascio del titolo abilitativo edilizio è sufficiente la titolarità di un diritto personale compatibile con l’intervento da realizzare; quindi ha titolo al rilascio dell’atto di assentimento anche colui che sia titolare di un diritto personale e abbia, per effetto di questo, la facoltà di eseguire i lavori.
Peraltro, non grava sull’amministrazione un particolare accertamento sulla misura dei diritti di terzi: l’amministrazione, invero, rilascia il titolo con la locuzione “salvi i diritti dei terzi” proprio perché è estraneo al suo potere di accertamento l’esame di eventuali limiti del richiedente all’esercizio dell’attività edificatoria.
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Con il primo ordine di censure, i ricorrenti deducono il difetto di legittimazione della società So.Le. srl a richiedere e conseguire il P. di C. in deroga poiché mero conduttore dell'immobile, non essendo neppure prevista nel contratto di locazione la potestà di richiedere titoli edilizi in deroga e per la realizzazione di un Centro diurno per l’accoglienza giornaliera di 20 utenti psichiatrici.
L’assunto è infondato.
L’art. 11, comma 1, del Dpr n. 308/2001 stabilisce che il permesso di costruire è rilasciato al “proprietario dell’immobile o a chi abbia titolo per richiederlo”. Orbene, secondo la recente sentenza del Consiglio di Stato, n. 568 del 2012, per il rilascio del titolo abilitativo edilizio è sufficiente la titolarità di un diritto personale compatibile con l’intervento da realizzare; quindi ha titolo al rilascio dell’atto di assentimento anche colui che sia titolare di un diritto personale e abbia, per effetto di questo, la facoltà di eseguire i lavori.
Peraltro, non grava sull’amministrazione un particolare accertamento sulla misura dei diritti di terzi: l’amministrazione, invero, rilascia il titolo con la locuzione “salvi i diritti dei terzi” proprio perché è estraneo al suo potere di accertamento l’esame di eventuali limiti del richiedente all’esercizio dell’attività edificatoria.
Nella specie, il contratto di locazione 24/02/2014, prevede espressamente la facoltà della conduttrice Sol Levante all’utilizzo di una parte dell’immobile “per adibirla a struttura sanitaria e/o socio sanitaria e/o socio assistenziale”, previa esecuzione a proprie spese dei “lavori di adattamento e di adeguamento normativo necessari per svolgere la suddetta attività”. All’art. 1, periodi 2 e 6, è chiaramente stabilito che “La porzione in oggetto viene concessa in locazione per essere destinata esclusivamente allo svolgimento di attività sanitaria e/o socio sanitaria e/o socio assistenziale” e che “Il locatore autorizza sin d’ora la conduttrice a richiedere i permessi, le concessioni, le autorizzazioni edilizie, sanitarie e quant’altro necessario” (TAR Puglia-Lecce, Sez. I, sentenza 13.02.2020 n. 192 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAOggetto: Chiarimenti in merito alla titolarità a richiedere o presentare un titolo edilizio (Regione Emilia Romagna, nota 03.02.2020 n. 79334 di prot.).

anno 2019

EDILIZIA PRIVATA: Legittimazione alla richiesta del permesso di costruire e controlli che competono al Comune.
In materia di sanatoria degli abusi edilizi la normativa di riferimento (art. 36 d.P.R. n. 380/2001) ammette la proposizione dell’istanza da parte non solo del proprietario ma anche del “responsabile dell’abuso”, tale dovendo intendersi lo stesso esecutore materiale ovvero chi abbia la disponibilità del bene al momento dell’emissione della misura repressiva, e quindi vi è una relativamente maggiore ampiezza della legittimazione a richiedere la sanatoria.
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La domanda volta al rilascio del permesso di costruire (inclusa quello in sanatoria) può essere presentata anche da persona diversa dal proprietario, purché il richiedente abbia titolo a disporre del suolo e vi sia la materiale disponibilità dell'area da parte dell'istante, anche se persona diversa dal proprietario, per cui è legittimato anche un soggetto, come il conduttore, che si trovi rispetto al bene immobile in un rapporto qualificato.
Deve quindi escludersi che il titolare di un diritto di servitù non abbia la legittimazione a chiedere il rilascio di un permesso di costruire per lavori da eseguire sul fondo servente, ponendosi esclusivamente un problema di limiti, cioè del rispetto dell’art. 1069 c.c. secondo il quale il proprietario del fondo dominante può effettuare sul fondo servente le sole opere necessarie per conservare la servitù.
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Per quanto riguarda poi i controlli che competono all’amministrazione in sede di rilascio del titolo abilitativo edilizio, sussiste l’obbligo per il Comune di verificare il rispetto da parte dell’istante dei limiti privatistici, a condizione che tali limiti siano effettivamente conosciuti o immediatamente conoscibili e/o non contestati, di modo che il controllo da parte dell’Ente locale si traduca in una semplice presa d’atto dei limiti medesimi senza necessità di procedere ad un’accurata e approfondita disanima dei rapporti civilistici, sicché l’amministrazione normalmente non è tenuta a svolgere indagini particolari in presenza di una richiesta edificatoria, salvo che sia manifestamente riconoscibile l’effettiva insussistenza della piena disponibilità del bene oggetto dell’intervento edificatorio in relazione al tipo di intervento richiesto.
L’accertamento demandato all’Ente locale va compiuto con “serietà e rigore” e la più recente giurisprudenza, superando l'indirizzo più risalente, è oggi allineata nel senso che l'Amministrazione, quando venga a conoscenza dell'esistenza di contestazioni sul diritto del richiedente il titolo abilitativo, debba compiere le necessarie indagini istruttorie per verificare la fondatezza delle contestazioni, senza però sostituirsi a valutazioni squisitamente civilistiche (che appartengono alla competenza dell’A.G.O.), arrestandosi dal procedere solo se il richiedente non sia in grado di fornire elementi prima facie attendibili
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2. Venendo al merito, il primo motivo di ricorso è infondato.
In materia di sanatoria degli abusi edilizi la normativa di riferimento (art. 36 d.P.R. n. 380/2001) ammette la proposizione dell’istanza da parte non solo del proprietario ma anche del “responsabile dell’abuso”, tale dovendo intendersi lo stesso esecutore materiale ovvero chi abbia la disponibilità del bene al momento dell’emissione della misura repressiva, e quindi vi è una relativamente maggiore ampiezza della legittimazione a richiedere la sanatoria (v., tra le altre, Cons. Stato, Sez. VI, 26.01.2015 n. 316; in tal senso TAR Lombardia, Milano, II, 18/06/2019 n. 1405).
In ogni caso la giurisprudenza (C.G.A.R.S. 09/07/2018 n. 395) afferma che la domanda volta al rilascio della concessione edilizia (inclusa quella in sanatoria) può essere presentata anche da persona diversa dal proprietario, purché il richiedente abbia titolo a disporre del suolo e vi sia la materiale disponibilità dell'area da parte dell'istante, anche se persona diversa dal proprietario, per cui è legittimato anche un soggetto, come il conduttore, che si trovi rispetto al bene immobile in un rapporto qualificato (tra le altre, Cons. Stato, sez. VI, 15.07.2010, n. 4557).
Deve quindi escludersi che il titolare di un diritto di servitù non abbia la legittimazione a chiedere il rilascio di un permesso di costruire per lavori da eseguire sul fondo servente, ponendosi esclusivamente un problema di limiti, cioè del rispetto dell’art. 1069 c.c. secondo il quale il proprietario del fondo dominante può effettuare sul fondo servente le sole opere necessarie per conservare la servitù.
Per quanto riguarda poi i controlli che competono all’amministrazione, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza amministrativa (da ultimo TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 21.01.2019 n. 70), in sede di rilascio del titolo abilitativo edilizio sussiste l’obbligo per il Comune di verificare il rispetto da parte dell’istante dei limiti privatistici, a condizione che tali limiti siano effettivamente conosciuti o immediatamente conoscibili e/o non contestati, di modo che il controllo da parte dell’Ente locale si traduca in una semplice presa d’atto dei limiti medesimi senza necessità di procedere ad un’accurata e approfondita disanima dei rapporti civilistici, sicché l’amministrazione normalmente non è tenuta a svolgere indagini particolari in presenza di una richiesta edificatoria, salvo che sia manifestamente riconoscibile l’effettiva insussistenza della piena disponibilità del bene oggetto dell’intervento edificatorio in relazione al tipo di intervento richiesto (Consiglio di Stato, sez. VI – 05/04/2018 n. 2121); l’accertamento demandato all’Ente locale va compiuto con “serietà e rigore”, e “la più recente giurisprudenza del Consiglio di Stato, superando l'indirizzo più risalente, è oggi allineata nel senso che l'Amministrazione, quando venga a conoscenza dell'esistenza di contestazioni sul diritto del richiedente il titolo abilitativo, debba compiere le necessarie indagini istruttorie per verificare la fondatezza delle contestazioni, senza però sostituirsi a valutazioni squisitamente civilistiche (che appartengono alla competenza dell’A.G.O.), arrestandosi dal procedere solo se il richiedente non sia in grado di fornire elementi prima facie attendibili” (Consiglio di Stato, sez. IV – 20/04/2018 n. 2397).
Nel caso di specie il Comune ha accertato che “la richiedente ha titolo per chiedere il suddetto permesso in qualità di proprietaria del mappale distinto col Fg. 33 n. 228 e di comproprietaria del fabbricato distinto col Fg. 33 n. 22, come risulta dalla documentazione agli atti” e che “il mappale distinto col Fg. 33 n. 21 è gravato da servitù di passo a favore del fabbricato distinto col Fg. 33 mappali nn. 22 e 247”.
Gli elementi in suo possesso, cioè la dichiarazione dell’esistenza della servitù di passo da parte dell’usufruttuario del fondo gravato e i dati fotografici in possesso dell’amministrazione costituiscono elementi prima facie attendibili, che giustificano il rilascio del suddetto titolo.
Non tocca infatti al Comune accertare l’estensione della suddetta servitù ed il suo eventuale aggravio, soprattutto alla luce del fatto che essa non è di fonte scritta e quindi di pronto e facile accertamento e del fatto che le differenze dimensionali tra la situazione precedente e quella successiva alle opere non risultano facilmente percepibili dal corredo fotografico delle parti, come d’altronde confermato anche dal CTU nella causa civile, il quale ha affermato che “sulla base della documentazione contenuta in atti, non è possibile infatti definire le consistenze della soletta prima dell’esecuzione delle opere, le foto non permettono di poter determinare metricamente la situazione quo ante” (citazione tratta dalla sentenza della Corte d’Appello di Milano, sentenza n. 1886/2019).
Ne consegue che neppure la previa contestazione in merito all’avvenuto ampliamento della servitù mediante usucapione, inviata dalla nuda proprietaria in contrasto con quanto affermato dall’usufruttuario dello stesso fondo e priva di elementi oggettivi chiari, può costituire valida causa di diniego di rilascio del permesso di costruire in sanatoria richiesto dall’autore dell’abuso.
A ciò si aggiunge che in entrambi i gradi del giudizio civile instaurato dall’altro nudo comproprietario -OMISSIS- -OMISSIS- il giudice civile, con riferimento alla realizzazione del muro di sostegno e della rampa di accesso, ha accertato che rientravano nelle opere di conservazione della servitù (v. sentenza della Corte d’Appello n. 1886/19 pag. 10) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 23.12.2019 n. 2728 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Poteri di controllo sulla legittimazione alla richiesta del titolo abilitativo.
Il TAR Brescia, con riferimento ai poteri di controllo sulla legittimazione alla richiesta del titolo abilitativo chiarisce che:
   - in base all’art. 11, comma 1, del DPR 380/2001, il permesso di costruire è rilasciato al proprietario dell'immobile o a chi abbia titolo per richiederlo, e tale ultima espressione va intesa nel senso più ampio di una legittima disponibilità dell’area, in base ad una relazione qualificata con il bene, sia essa di natura reale, o anche solo obbligatoria, purché, in questo caso, con il consenso del proprietario;
   - il controllo sulla legittimazione all’istanza del titolo abilitativo va esercitato con serietà e rigore, dovendo pertanto l’autorità pubblica accertare che l’istante sia il proprietario dell'immobile oggetto dell'intervento costruttivo o che, comunque, abbia un titolo di disponibilità sufficiente per eseguire l'attività edificatoria;
   - l’onere del Comune è dunque quello ricercare la sussistenza di un titolo (di proprietà, di altri diritti reali, etc.) che fonda una relazione giuridicamente qualificata tra soggetto e bene oggetto dell’intervento, e che possa renderlo destinatario di un provvedimento amministrativo autorizzatorio, senza che l’Ente locale debba comprovare –prima del rilascio– la “pienezza” (nel senso di assenza di limitazioni) del titolo medesimo, dato che ciò comporterebbe l’attribuzione all’amministrazione di un potere di accertamento della sussistenza (o meno) di diritti reali e del loro “contenuto”, ad essa non assegnato dall’ordinamento;
   - in sede di rilascio del titolo abilitativo edilizio sussiste l’obbligo per il Comune di verificare il rispetto da parte dell’istante dei limiti privatistici, a condizione che tali limiti siano effettivamente conosciuti o immediatamente conoscibili e/o non contestati, di modo che il controllo da parte dell’Ente locale si traduca in una semplice presa d’atto dei limiti medesimi senza necessità di procedere ad un’accurata e approfondita disanima dei rapporti civilistici, sicché l’amministrazione normalmente non è tenuta a svolgere indagini particolari in presenza di una richiesta edificatoria, salvo che sia manifestamente riconoscibile l’effettiva insussistenza della piena disponibilità del bene oggetto dell’intervento edificatorio in relazione al tipo di intervento richiesto;
   - l’accertamento demandato all’Ente locale va compiuto con serietà e rigore, e la più recente giurisprudenza, superando l'indirizzo più risalente, è oggi allineata nel senso che l'Amministrazione, quando venga a conoscenza dell'esistenza di contestazioni sul diritto del richiedente il titolo abilitativo, debba compiere le necessarie indagini istruttorie per verificare la fondatezza delle contestazioni, senza però sostituirsi a valutazioni squisitamente civilistiche (che appartengono alla competenza dell’A.G.O.), arrestandosi dal procedere solo se il richiedente non sia in grado di fornire elementi prima facie attendibili
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 21.01.2019 n. 70 - commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
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0.2 I controinteressati sostengono altresì che il ricorso è improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse in quanto, successivamente all’impugnata nota del 06/06/2011, il Comune ha avviato un secondo procedimento di verifica dei titoli abilitativi rilasciati ai controinteressati, concluso con nota 27/04/2012 che sospende ogni determinazione sino alla definizione del giudizio incardinato presso il giudice ordinario per l’accertamento della proprietà del mappale n. 92.
Detta nota –trasmessa anche all’indirizzo del ricorrente come si evince dalla corrispondenza intercorsa (si vedano i doc. 8 e 11 dei controinteressati)– non è stata ritualmente gravata, per cui il Sig. Ma. non può vantare alcun interesse alla decisione del ricorso.
Anche detta eccezione è fondata.
0.2a Come sostenuto dalla difesa dei controinteressati, in caso di annullamento del provvedimento 06/06/2011, il procedimento avviato per verificare la legittimità dei titoli abilitativi rilasciati rimarrebbe sospeso in forza della nota 27/04/2012, non contestata sede giurisdizionale. Si è peraltro già rilevato che il Sig. Ma. –nell’ambito del giudizio promosso dai controinteressati (e radicato presso questo TAR al n. 688/2013 r.g.)– ha accettato di attendere la risoluzione della controversia petitoria prima di dare esecuzione alle opere assentite sull’unità immobiliare (cfr. verbale d’udienza e ordinanza collegiale di questa Sezione 03/09/2013 n. 753).
0.2b Nella memoria di replica, parte ricorrente qualifica l’atto 27/04/2012 come “soprassessorio”, a mezzo del quale il Comune “ha deciso di non decidere” sospendendo il procedimento sino alla definizione del giudizio presso il Tribunale di Mantova per l’accertamento della proprietà del mappale 92.
0.2c Al riguardo, va obiettato anzitutto che è pienamente ammissibile la denuncia dell’illegittimità di un provvedimento soprassessorio, avvalendosi dei rimedi previsti per il silenzio amministrativo. Come ha statuito questo TAR (cfr. sez. II – 23/03/2016 n. 442) <<Se, infatti, il processo amministrativo non è più soltanto rivolto all’annullamento di un provvedimento, e alla necessità stabilita dalle norme sostanziali (art. 2 della L. 241/1990) di ottenere la conclusione del procedimento con un atto espresso ha fatto seguito la possibilità di equiparare in giudizio l’atto soprassessorio al silenzio (cfr. TAR Liguria – 28/09/2015 n. 753 e la giurisprudenza ivi richiamata) … l’atto soprassessorio, il quale determini una definitiva interruzione del procedimento, ha un contenuto sostanzialmente reiettivo dell'istanza del privato … nel rinviare il soddisfacimento dell'interesse pretensivo a un accadimento futuro e incerto nel quando, lo stesso determina un arresto a tempo indeterminato del procedimento amministrativo, ledendo in via immediata la posizione giuridica dell'interessato per cui, come tale, costituisce un'eccezione alla regola per la quale l’atto endo-procedimentale non è autonomamente impugnabile (cfr. TAR Sicilia Palermo, sez. II – 26/05/2015 n. 1243)>>. Più recentemente, e nello stesso senso, si segnala TAR Campania Salerno, sez. II – 10/07/2018 n. 1055.
0.2d Quanto all’ulteriore profilo, la declaratoria di improcedibilità di un gravame giurisdizionale è ancorata al rigido e inequivocabile accertamento dei suoi presupposti legittimanti nel processo amministrativo, e dunque può essere pronunciata al verificarsi di una situazione di fatto o di diritto nuova, che muta radicalmente la situazione esistente al momento della proposizione del ricorso: tale sopravvenienza, inoltre, deve essere tale da rendere certa e definitiva l'inutilità della sentenza, per aver fatto venir meno per il ricorrente qualsiasi residua utilità della pronuncia, anche soltanto strumentale o morale (cfr. Consiglio di Stato, sez. II – parere 13/11/2018 n. 2612; sentenza Sezione 01/03/2018 n. 247).
Va sul punto ribadito che la caducazione del provvedimento 06/06/2011 non si ripercuoterebbe automaticamente sull’atto 27/04/2012, non ritualmente contestato in giudizio, e dunque si perpetuerebbe comunque la sospensione del procedimento avviato per la rimozione in autotutela dei titoli edilizi pregressi.
1. In ogni caso, è opinione del Collegio che il ricorso sia anche infondato nel merito, per le ragioni sinteticamente illustrate di seguito:
   - in base all’art. 11, comma 1, del DPR 380/2001 il permesso di costruire è rilasciato al proprietario dell'immobile o a chi abbia titolo per richiederlo, e tale ultima espressione va intesa nel senso più ampio di una legittima disponibilità dell’area, in base ad una relazione qualificata con il bene, sia essa di natura reale, o anche solo obbligatoria, purché, in questo caso, con il consenso del proprietario (Consiglio di Stato, sez. IV – 28/03/2018 n. 1949, il quale ha precisato che “il Comune, prima di rilasciare il titolo, ha sempre l'onere di verificare la legittimazione del richiedente, accertando che questi sia il proprietario dell'immobile oggetto dell'intervento costruttivo o che, comunque, ne abbia un titolo di disponibilità sufficiente per eseguire l'attività edificatoria (Cons. Stato, sez. IV, n. 4818/2014 cit.; in senso conforme, sez. V, 04.04.2012 n. 1990)”;
   - il controllo sulla legittimazione all’istanza del titolo abilitativo va esercitato con serietà e rigore, dovendo pertanto l’autorità pubblica accertare che l’istante sia il proprietario dell'immobile oggetto dell'intervento costruttivo o che, comunque, abbia un titolo di disponibilità sufficiente per eseguire l'attività edificatoria (Consiglio di Stato, sez. IV – 25/05/2018 n. 3143);
   - l’onere del Comune è dunque quello ricercare la sussistenza di un titolo (di proprietà, di altri diritti reali, etc.) che fonda una relazione giuridicamente qualificata tra soggetto e bene oggetto dell’intervento, e che possa renderlo destinatario di un provvedimento amministrativo autorizzatorio, senza che l’Ente locale debba comprovare –prima del rilascio– la “pienezza” (nel senso di assenza di limitazioni) del titolo medesimo, dato che ciò comporterebbe l’attribuzione all’amministrazione di un potere di accertamento della sussistenza (o meno) di diritti reali e del loro “contenuto”, ad essa non assegnato dall’ordinamento;
   - in linea di diritto, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza amministrativa, in sede di rilascio del titolo abilitativo edilizio sussiste l’obbligo per il Comune di verificare il rispetto da parte dell’istante dei limiti privatistici, a condizione che tali limiti siano effettivamente conosciuti o immediatamente conoscibili e/o non contestati, di modo che il controllo da parte dell’Ente locale si traduca in una semplice presa d’atto dei limiti medesimi senza necessità di procedere ad un’accurata e approfondita disanima dei rapporti civilistici, sicché l’amministrazione normalmente non è tenuta a svolgere indagini particolari in presenza di una richiesta edificatoria, salvo che sia manifestamente riconoscibile l’effettiva insussistenza della piena disponibilità del bene oggetto dell’intervento edificatorio in relazione al tipo di intervento richiesto (Consiglio di Stato, sez. VI – 05/04/2018 n. 2121);
   - l’accertamento demandato all’Ente locale va compiuto con “serietà e rigore”, e “la più recente giurisprudenza del Consiglio di Stato, superando l'indirizzo più risalente, è oggi allineata nel senso che l'Amministrazione, quando venga a conoscenza dell'esistenza di contestazioni sul diritto del richiedente il titolo abilitativo, debba compiere le necessarie indagini istruttorie per verificare la fondatezza delle contestazioni, senza però sostituirsi a valutazioni squisitamente civilistiche (che appartengono alla competenza dell’A.G.O.), arrestandosi dal procedere solo se il richiedente non sia in grado di fornire elementi prima facie attendibili” (Consiglio di Stato, sez. IV – 20/04/2018 n. 2397);
   - nella fattispecie, l’amministrazione ha rilasciato i titoli abilitativi ai controinteressati alla luce delle dichiarazioni e dei documenti allegati alle pratiche edilizie dell’epoca;
   - nel momento in cui parte ricorrente ha segnalato (cfr. suo doc. 6) anomalie e vizi nell’emissione delle concessioni edilizie e in generale degli atti autorizzatori, il Comune si è attivato e ha approfondito la questione, nel contraddittorio delle parti;
   - l’instaurazione di un giudizio petitorio (che tra l’altro, nel processo di primo grado, ha visto il riconoscimento della pretesa dei controinteressati, a favore dei quali è stato accertato l’acquisto del mappale n. 92 per usucapione) ha correttamente indotto l’amministrazione ad arrestare il procedimento di verifica, in attesa dell’esito definitivo;
   - la controversia sulla proprietà dell’immobile coltivata in sede giudiziaria, che vede le parti su posizioni contrapposte, giustifica e legittima la scelta del Comune di attendere l’accertamento del giudice ordinario prima di assumere qualsiasi determinazione irreversibile sui titoli abilitativi rilasciati;
   - i vizi del certificato di agibilità non si ripercuotono automaticamente sugli atti autorizzatori presupposti, salvo l’esito dell’accertamento del diritto di proprietà sulla porzione di immobile.
2. In conclusione, il gravame proposto è in parte irricevibile e in parte improcedibile (e comunque è infondato nel merito).

anno 2018

ATTI AMMINISTRATIVI: Come è noto, le condizioni dell'azione giurisdizionale amministrativa sono rinvenibili nella legittimazione ad agire e nell'interesse a ricorrere, la prima intesa come titolarità di una situazione soggettiva qualificata, la seconda come vantaggio dall'accoglimento del ricorso ex art. 100 c.p.c., il che vale a qualificare la posizione dell'istante distinguendola da quella, indifferenziata, del quisque de populo.
Nel caso di specie, se può convenirsi in merito all’esistenza di un interesse della società che in tale senso argomenta in ordine al pregiudizio che assume possa derivarne alla propria posizione di promissario acquirente, tale posizione si qualifica come interesse di mero fatto.
Non è infatti sufficiente che dalla proposizione del gravame il ricorrente si proponga di conseguire una utilità o posizione di vantaggio che attiene ad uno specifico bene della vita, ma occorre anche, sul presupposto piano sostanziale, che l’interessato sia titolare di una posizione personale differenziata che lo ponga in relazione diretta con l’atto che intende contestare tale da collocarlo in una situazione differente dall'aspirazione alla mera ed astratta legittimità dell'azione amministrativa genericamente riferibile a tutti i consociati.

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5. Con il ricorso rubricato al n. RG 336/2018 le società La Pr. e Op. S.r.l. (promissaria acquirente del terreno di cui la prima è proprietaria) contestano il provvedimento del 28.12.2017 con cui il Comune di Siena ha respinto l’istanza di permesso di costruire nuovamente presentata.
6. Preliminarmente va esaminata l’eccezione, avanzata dalla difesa del Comune, di difetto di legittimazione attiva a ricorrere della Op. s.r.l. in quanto non titolare di alcuna posizione sostanziale che ne sorregga in giudizio l’azione proposta.
L’eccezione è fondata.
Come è noto, le condizioni dell'azione giurisdizionale amministrativa sono rinvenibili nella legittimazione ad agire e nell'interesse a ricorrere, la prima intesa come titolarità di una situazione soggettiva qualificata, la seconda come vantaggio dall'accoglimento del ricorso ex art. 100 c.p.c., il che vale a qualificare la posizione dell'istante distinguendola da quella, indifferenziata, del quisque de populo (Cons. Stato, sez. V, 29.03.2011 n. 1928; id., sez. IV n. 8364/2010; id., sez. VI n. 413/2010).
Nel caso di specie, se può convenirsi in merito all’esistenza di un interesse della società che in tale senso argomenta in ordine al pregiudizio che assume possa derivarne alla propria posizione di promissario acquirente, tale posizione si qualifica come interesse di mero fatto.
Non è infatti sufficiente che dalla proposizione del gravame il ricorrente si proponga di conseguire una utilità o posizione di vantaggio che attiene ad uno specifico bene della vita, ma occorre anche, sul presupposto piano sostanziale, che l’interessato sia titolare di una posizione personale differenziata che lo ponga in relazione diretta con l’atto che intende contestare tale da collocarlo in una situazione differente dall'aspirazione alla mera ed astratta legittimità dell'azione amministrativa genericamente riferibile a tutti i consociati (Cons. Stato, sez. IV, 22.01.2018 n. 389).
Ne segue che va dichiarato il difetto di legittimazione attiva della società Op. s.r.l. (TAR Toscana, Sez. III, sentenza 12.10.2018 n. 1309 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Rilascio titolo edilizio e mancata preliminare verifica comunale della legittimazione a richiederlo.
In presenza di contestazione della titolarità dominicale dell’area sulla quale il titolo edificatorio è destinato ad incidere, si rinvia ai consolidati principi elaborati dalla giurisprudenza secondo cui:
   - premesso che, in base all'art. 11, comma 1, del T.U. edilizia di cui al D.P.R. 380/2001, il permesso di costruire è rilasciato al proprietario dell'immobile o a chi abbia titolo per richiederlo, la legittimazione attiva a chiedere il rilascio di un titolo abilitativo edilizio si configura in capo non solo al proprietario del terreno, ma pure al soggetto titolare di altro diritto di godimento del fondo, che lo autorizzi a disporne al riguardo;
   - vi è il contestuale onere della P.A. di accertare con serietà e rigore siffatta legittimazione a chiedere il titolo edilizio, dovendo pertanto la P.A. accertare che l’istante sia il proprietario dell'immobile oggetto dell'intervento costruttivo o che, comunque, ne abbia un titolo di disponibilità sufficiente per eseguire l'attività edificatoria;
   - al riguardo, non si sono mai posti dubbi in ordine ai limiti legali, i quali, trovando applicazione generalizzata, concorrono a formare lo statuto generale dell'attività edilizia e non pongono problemi di conoscibilità all'amministrazione che è tenuta a considerarli sempre;
   - diversamente, per le limitazioni negoziali del diritto di costruire, la giurisprudenza in passato ha oscillato fra la soluzione che ne esclude ogni rilevanza, nel presupposto che all'amministrazione sia inibito qualsiasi sindacato anche indiretto sulla validità ed efficacia dei rapporti giuridici dei privati, e quella opposta che, invece, ammette che il Comune verifichi il rispetto dei limiti privatistici, purché siano immediatamente conoscibili, effettivamente e legittimamente conosciuti nonché del tutto incontestati, di guisa che il controllo si traduca in una semplice presa d'atto;
   - la più recente giurisprudenza del Consiglio di Stato, superando l'indirizzo più risalente, è oggi allineata nel senso che l'Amministrazione, quando venga a conoscenza dell'esistenza di contestazioni sul diritto del richiedente il titolo abilitativo, debba compiere le necessarie indagini istruttorie per verificare la fondatezza delle contestazioni, senza però sostituirsi a valutazioni squisitamente civilistiche (che appartengono alla competenza dell’A.G.O.), arrestandosi dal procedere solo se il richiedente non sia in grado di fornire elementi prima facie attendibili.
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1. Con unico argomento di censura, parte ricorrente lamenta che l’intimata Amministrazione comunale, nel rilasciare alla controinteressata Sa.Gi.Va. il titolo edificatorio n. 182/2008, abbia omesso di verificare l’effettiva disponibilità, in capo a quest’ultima, delle aree interessate dall’attività di trasformazione; in particolare, lamentando che una porzione di esse –con estensione di mq. 10 circa; e sulla quale insistono il muro e il cancello del finitimo villaggio turistico- ricadrebbe su parte del mappale 1151, di proprietà Br.–Du.Gi..
Pur a fronte delle sollecitazioni dalla parte ricorrente indirizzate all’Amministrazione comunale –e volte a promuovere una verifica del reale assetto dominicale dell’area interessata; con conseguente esercizio del potere di autotutela– l’Amministrazione non provvedeva nel senso auspicato da Br..
Come osservato da questo Tribunale in sede cautelare –e ribadito anche dalla controinteressata (cfr. memoria depositata in atti il 19.06.2018)– la titolarità dell’area de qua è, allo stato, controversa.
Quest’ultima, nel suindicato scritto difensivo, ha precisato:
   - di aver “arretrato il proprio cancello arretrato rispetto alla posizione autorizzata in prime cure, su un’area che pacificamente è di sua proprietà” (come accertato in sede civile dal CTU nominato Arch. Pa. nel ricorso per accertamento tecnico preventivo promosso dai proprietari dell’area fratelli Ta. e dalla loro madre Co.Is.);
   - che risulta essere stato promosso giudizio petitorio per l’accertamento dei confini, lungo tutta la proprietà, e non riguardante il solo ingresso oggetto delle opere edilizie qui contestate: il relativo giudizio risultando tuttora pendente innanzi alla Corte d’Appello di Brescia, iscritto a ruolo con il n. 1139/2015 (l’udienza di precisazione delle conclusioni si è tenuta in data 09.05.2018).
2. Impregiudicato, ovviamente, l’esito del petitorio –in ragione della ovvia appartenenza della cognizione in ordine ad esso all’A.G.O.– il perimetro cognitivo del presente giudizio concerne esclusivamente la verifica di legittimità dell’esercizio del potere sostanziatosi nel rilascio del contestato titolo ad aedificadum in favore della parte controinteressata.
E, in particolare, riguarda la legittima adozione di un permesso di costruire pur in presenza della rappresentata contestazione della titolarità dominicale di parte dell’area sulla quale il titolo edificatorio era destinato ad incidere.
Si rinvia, in proposito, ai consolidati principi elaborati dalla giurisprudenza (cfr. da ultimo Cons. Stato, sez. IV, 20.04.2018 n. 2397, 19.12.2016 n. 5363, 23.05.2016 n. 2116, 07.09.2016 n. 3823, 25.09.2014 n. 4818), secondo cui:
   - premesso che, in base all'art. 11, comma 1, del T.U. edilizia di cui al D.P.R. 380/2001, il permesso di costruire è rilasciato al proprietario dell'immobile o a chi abbia titolo per richiederlo, la legittimazione attiva a chiedere il rilascio di un titolo abilitativo edilizio si configura in capo non solo al proprietario del terreno, ma pure al soggetto titolare di altro diritto di godimento del fondo, che lo autorizzi a disporne al riguardo (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 15.07.2010 n. 4557, 02.09.2011 n. 4968);
   - vi è il contestuale onere della P.A. di accertare con serietà e rigore siffatta legittimazione a chiedere il titolo edilizio (arg. ex Cons. Stato, sez. IV, 07.09.2016 n. 3823), dovendo pertanto la P.A. accertare che l’istante sia il proprietario dell'immobile oggetto dell'intervento costruttivo o che, comunque, ne abbia un titolo di disponibilità sufficiente per eseguire l'attività edificatoria (cfr. Cons. Stato, sez. V, 04.04.2012 n. 1990);
   - al riguardo, non si sono mai posti dubbi in ordine ai limiti legali, i quali, trovando applicazione generalizzata, concorrono a formare lo statuto generale dell'attività edilizia e non pongono problemi di conoscibilità all'amministrazione che è tenuta a considerarli sempre;
   - diversamente, per le limitazioni negoziali del diritto di costruire, la giurisprudenza in passato ha oscillato fra la soluzione che ne esclude ogni rilevanza, nel presupposto che all'amministrazione sia inibito qualsiasi sindacato anche indiretto sulla validità ed efficacia dei rapporti giuridici dei privati (cfr. Cons. Stato, sez. V, 20.12.1993, n. 1341), e quella opposta che, invece, ammette che il Comune verifichi il rispetto dei limiti privatistici, purché siano immediatamente conoscibili, effettivamente e legittimamente conosciuti nonché del tutto incontestati, di guisa che il controllo si traduca in una semplice presa d'atto (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 12.03.2007 n. 1206);
   - la più recente giurisprudenza del Consiglio di Stato, superando l'indirizzo più risalente, è oggi allineata nel senso che l'Amministrazione, quando venga a conoscenza dell'esistenza di contestazioni sul diritto del richiedente il titolo abilitativo, debba compiere le necessarie indagini istruttorie per verificare la fondatezza delle contestazioni, senza però sostituirsi a valutazioni squisitamente civilistiche (che appartengono alla competenza dell’A.G.O.), arrestandosi dal procedere solo se il richiedente non sia in grado di fornire elementi prima facie attendibili.
3. Facendo applicazione dei su menzionati principi al caso di specie, è evidente che il Comune resistente ha omesso anche il minimo controllo sulla legittimazione dei richiedenti la concessione edilizia a disporre, in virtù di un titolo (legale, giudiziale ovvero negoziale), dell’intera area: compresa la porzione (insistente su una parte del mappale 1151) oggetto di formale e circostanziata opposizione all’intervento costruttivo manifestata in sede procedimentale dalla parte ricorrente.
4. In tali limiti, va dunque dato atto dell’illegittimità dell’avversato titolo edificatorio: impregiudicato, ovviamente, l’esito del giudizio petitorio pendente dinanzi alla competente A.G.O., a fronte del quale competerà comunque all’Autorità comunale nuovamente pronunziarsi in conformità dell’accertata consistenza ed estensione dominicale delle confinanti proprietà.
5. Quanto alla sospensione del titolo, gravata con motivi aggiunti in ragione della pretesa esorbitanza del provvedimento soprassessorio (concernente l’intero titolo ad aedificandum rispetto alla portata applicativa dell’ordinanza cautelare resa da a fronte dell’impugnazione di cui all’atto introduttivo del giudizio), va escluso che parte ricorrente vanti legittimazione alla sollecitazione del sindacato giurisdizionale, come, del resto, osservato con ordinanza di questa Sezione n. 288 del 04.05.2009 (con la quale si è osservato che, “sotto il profilo processuale l’utilizzo dei motivi aggiunti è improprio, in quanto la nuova controversia, pur essendo connessa a quella originaria, riguarda un provvedimento di segno opposto a quello impugnato dalla società ricorrente, con inversione della legittimazione e dell’interesse ad agire”).
I motivi aggiunti, conseguentemente, sono inammissibili (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 28.09.2018 n. 924 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Per quanto riguarda la presentazione della DIA si ritiene che l’espressione utilizzata dall’art. 42, comma 1, della LR 12/2005 (“il proprietario dell'immobile o chi abbia titolo per presentare la denuncia di inizio attività”) individui oltre al proprietario altre due categorie di soggetti.
In primo luogo coloro che dispongono di un diritto reale diverso dalla proprietà che conferisca il potere di modificare l’immobile attraverso interventi edilizi. Accanto a questi si possono considerare legittimati quanti dispongano di un diritto di natura personale da cui derivino aspettative edificatorie.
La promessa di vendita, e in generale il preliminare di compravendita, costituiscono sotto questo profilo titoli idonei, purché non vi sia una clausola con un divieto espresso che riservi al promittente venditore la facoltà di definire le questioni edilizie in attesa del contratto definitivo.
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8. Con il primo motivo di ricorso viene in rilievo la questione della legittimazione del geom. Fr.Da. a presentare la DIA.
Questo problema è alla base sia della censura del ricorrente, che lamenta la violazione dell’art. 42, comma 1, della LR 12/2005, sia dell’eccezione di inammissibilità formulata dai controinteressati, i quali sostengono che il ricorso avrebbe dovuto essere instaurato nei confronti della società Ed. 90 snc.
9. Per quanto riguarda la presentazione della DIA si ritiene che l’espressione utilizzata dall’art. 42, comma 1, della LR 12/2005 (“il proprietario dell'immobile o chi abbia titolo per presentare la denuncia di inizio attività”) individui oltre al proprietario altre due categorie di soggetti.
In primo luogo coloro che dispongono di un diritto reale diverso dalla proprietà che conferisca il potere di modificare l’immobile attraverso interventi edilizi. Accanto a questi si possono considerare legittimati quanti dispongano di un diritto di natura personale da cui derivino aspettative edificatorie. La promessa di vendita, e in generale il preliminare di compravendita, costituiscono sotto questo profilo titoli idonei (v. CS Sez. VI 03.12.2004 n. 7847), purché non vi sia una clausola con un divieto espresso che riservi al promittente venditore la facoltà di definire le questioni edilizie in attesa del contratto definitivo.
Nel caso in esame la promessa di vendita contiene tra i patti speciali una dichiarazione di disponibilità del promittente venditore a “firmare l’eventuale documentazione necessaria all’inoltro della pratica edilizia al Comune” e il consenso all’effettuazione di misurazioni e rilievi da parte del promissario acquirente. Queste formule possono essere interpretate come manifestazioni della volontà di trasferire immediatamente al promissario acquirente ogni potere circa l’edificazione: del resto la vendita di un lotto edificabile ha come finalità intrinseca, nota alle parti, proprio la realizzazione di un intervento edilizio.
Di conseguenza la disponibilità a firmare la documentazione va intesa come impegno del promittente venditore a favorire una rapida conclusione della procedura edilizia: a tale scopo il promittente venditore si impegna a presentare a proprio nome (o a controfirmare) una richiesta di permesso di costruire (o una DIA) nell’eventualità che l’amministrazione non accetti una simile richiesta formulata dal solo promissario acquirente.
In conclusione non vi è nella promessa di vendita alcun elemento che privi il promissario acquirente della legittimazione a presentare una DIA. Occorre poi sottolineare, trattandosi di promessa per persona da nominare, che qualora l’effettivo acquirente sia un terzo è comunque applicabile l’istituto della ratifica ex art. 2032 cc. e conseguentemente il nuovo proprietario può consolidare a proprio vantaggio gli effetti del titolo edificatorio. In concreto la funzione della ratifica è stata svolta dalla volturazione della DIA su richiesta della società Ed. 90 snc (v. sopra al punto 3)
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 19.07.2008 n. 830 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: E' principio pacifico in giurisprudenza quello secondo cui il Comune, nel procedimento di rilascio dei titoli edilizi, ha il potere e il dovere di verificare l'esistenza, in capo al richiedente, di tutti i presupposti per la loro emanazione e, in caso di opere che vadano ad incidere sul diritto di altri proprietari, è legittimo da parte dell'ente, esigere il consenso degli stessi.
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Anche nelle ipotesi di autorizzazioni in sanatoria, il Comune è tenuto a pretendere la produzione della dichiarazione di assenso del terzo pregiudicato -in ragione del suo interesse contrario alla sanatoria, che potrebbe risolversi in danno dello stesso- al solo fine di accertare il requisito della legittimazione del richiedente alla sanatoria e non per risolvere i conflitti di interesse tra le parti private in ordine all'assetto proprietario degli immobili interessati.
Ne consegue che, poiché nel caso in esame difetta, in capo al ricorrente, quale richiedente la sanatoria, il requisito di legittimazione consistente nella piena disponibilità delle aree oggetto dell’intervento, dato il dissenso espressamente manifestato anche da uno soltanto dei contitolari dell’area dove esso insiste, la sanatoria non poteva essere concessa.
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Del pari infondato è il secondo motivo.
Ed invero, dagli atti depositati emerge che il terrazzo in questione, già oggetto, per una parte, di una precedente sanatoria, sovrasta una parte comune e indivisa della proprietà dei signori Or. (foglio 24, mappale 489, sub 1), rimasta tale anche all’esito della divisione posta in essere per atto del notaio Fe. in data 04.11.1993; inoltre esso poggia su mura perimetrali comuni mediante strutture di cemento armato.
Non è possibile, quindi, sostenere che la costruzione non riguardi parti comuni dell’edificio, dal momento che, anche a voler ammettere che il terrazzo in questione sia di proprietà esclusiva del ricorrente, la sua realizzazione indubbiamente insiste su aree indivise e su muri condominiali.
Ciò posto, è principio pacifico in giurisprudenza quello secondo cui il Comune, nel procedimento di rilascio dei titoli edilizi, ha il potere e il dovere di verificare l'esistenza, in capo al richiedente, di tutti i presupposti per la loro emanazione e, in caso di opere che vadano ad incidere sul diritto di altri proprietari, è legittimo da parte dell'ente, esigere il consenso degli stessi (Cons. St., sez. V, 21.10.2003, n. 6529; Cons. St., sez. IV, 26.01.2009, n. 437).
Anche nelle ipotesi di autorizzazioni in sanatoria, il Comune è tenuto a pretendere la produzione della dichiarazione di assenso del terzo pregiudicato -in ragione del suo interesse contrario alla sanatoria, che potrebbe risolversi in danno dello stesso- al solo fine di accertare il requisito della legittimazione del richiedente alla sanatoria e non per risolvere i conflitti di interesse tra le parti private in ordine all'assetto proprietario degli immobili interessati (Cons. St., sez. IV, 07.09.2016, n. 3823; TAR Umbria Perugia, sez. I, 14.02.2011, n. 48; TAR Abruzzo Pescara, sez. I, 06.06.2009, n. 401; TAR Puglia, Lecce, sez. III, 18.12.2007, n. 4286).
Ne consegue che, poiché nel caso in esame difetta, in capo al ricorrente, quale richiedente la sanatoria, il requisito di legittimazione consistente nella piena disponibilità delle aree oggetto dell’intervento, dato il dissenso espressamente manifestato anche da uno soltanto dei contitolari dell’area dove esso insiste, la sanatoria non poteva essere concessa (TAR Marche, sentenza 15.05.2018 n. 375 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Con riferimento al promissario acquirente, un orientamento giurisprudenziale più restrittivo esclude che il contratto preliminare rappresenti un titolo idoneo al rilascio del permesso di costruire, non producendo effetti reali, ma soltanto obbligatori e facendo sorgere in capo alle parti solo l’obbligo di futura conclusione del contratto traslativo della proprietà.
Secondo un orientamento della giurisprudenza amministrativa più recente, il promissario acquirente è titolare di una posizione che lo abilita a richiedere l’approvazione di un progetto riguardante l’immobile da acquistare, dal momento che il contratto preliminare gli conferisce la possibilità, ai sensi dell’art. 2932 c.c., di agire in forma specifica nel caso di inadempimento del proprietario.
L’orientamento favorevole alla legittimazione del promissario acquirente si rafforza quando il contratto preliminare di compravendita gli attribuisca il diritto di richiedere il permesso di costruire, oppure quando il preliminare di vendita sia sottoscritto con trasferimento anticipato del possesso del bene.
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Ciò chiarito, ai sensi dell’art. 70, comma 1, della legge provinciale n. 13 del 1997: “La concessione è data dal sindaco a chi abbia il titolo per richiederla” (sul piano statale l’art. 11, comma 1, del D.P.R. 06.06.2001, n. 380 dispone analogamente che “Il permesso di costruire è rilasciato al proprietario dell’immobile o a chi ne abbia titolo per richiederlo”).
La norma richiede dunque che l’interessato dimostri di trovarsi con il bene oggetto della domanda di concessione edilizia in una relazione qualificata, che non deve necessariamente essere connessa a un diritto reale, ma può derivare anche da un rapporto giuridico obbligatorio.
Con particolare riferimento al promissario acquirente, un orientamento giurisprudenziale più restrittivo esclude che il contratto preliminare rappresenti un titolo idoneo al rilascio del permesso di costruire, non producendo effetti reali, ma soltanto obbligatori e facendo sorgere in capo alle parti solo l’obbligo di futura conclusione del contratto traslativo della proprietà (cfr. ex multis, Consiglio di Stato, Sez. IV, 23.09.1998, n. 1173 e Sez. V, 20.10.1994, n. 1200; TAR Campania, Napoli, Sez. IV, 30.06.2003, n. 7922 e Cassazione civile, Sez. II, 05.08.2010, n. 18251).
Secondo un orientamento della giurisprudenza amministrativa più recente, il promissario acquirente è titolare di una posizione che lo abilita a richiedere l’approvazione di un progetto riguardante l’immobile da acquistare, dal momento che il contratto preliminare gli conferisce la possibilità, ai sensi dell’art. 2932 c.c., di agire in forma specifica nel caso di inadempimento del proprietario (cfr, ex pluribus, Consiglio di Stato, Sez. VI, 03.12.2004, n. 7847 e TAR Liguria, Sez. I, 20.04.2016, n. 391).
L’orientamento favorevole alla legittimazione del promissario acquirente si rafforza quando il contratto preliminare di compravendita gli attribuisca il diritto di richiedere il permesso di costruire (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 18.01.2010, n. 144 e Sez. IV 27.04.2005, n. 1947; TAR Sardegna, Sez. II, 11.05.2017, n. 332, TAR Puglia, Bari, 18.06.2012, n. 1195 e TAR Lazio, Latina, 26.07.2005, n. 636), oppure quando il preliminare di vendita sia sottoscritto con trasferimento anticipato del possesso del bene (cfr. TAR Campania, Napoli, Sez. IV, 12.01.2000, n. 45).
Nel caso di specie, il contratto preliminare di compravendita, stipulato dalle ricorrenti il 15.07.2015, all’art. 4 così recita “La stipula del contratto definitivo dovrà avvenire entro sei (6) mesi dalla stipula del presente contratto e, se più tardi, in ogni caso, entro venti (20) giorni dal rilascio del parere positivo della commissione edilizia comunale riguardo alla domanda per il rilascio della concessione edilizia richiesta dalla promissaria acquirente. Per questo motivo la promissaria venditrice delega la promissaria acquirente a poter presentare presso il Comune di Bolzano domanda per il rilascio della concessione edilizia sul lotto oggetto del presente contratto preliminare, obbligandosi a firmare la domanda nonché ogni altro documento necessario e utile a tal fine”.
Il successivo art. 5 prevede poi che la consegna degli immobili oggetto del contratto preliminare avverrà “al momento della stipula del contratto definitivo”.
Osserva il Collegio che dall’art. 4 del richiamato contratto preliminare risulta in modo inequivocabile sia la volontà della proprietaria dei beni, società Me., di consentire alla società Zi. di richiedere un titolo edilizio, sia la volontà delle parti di stipulare il contratto definitivo solo nell’ipotesi in cui venga rilasciata la concessione edilizia.
Per tali ragioni, il Collegio ritiene che la società Zi. debba ritenersi legittimata a richiedere il rilascio della concessione edilizia, alla luce del più recente orientamento giurisprudenziale, che condivide
(TRGA Trentino Alto Adige-Bolzano, sentenza 06.03.2018 n. 73 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2017

EDILIZIA PRIVATALa giurisprudenza amministrativa ritiene che la concessione edilizia possa essere rilasciata al soggetto che dimostri di avere la disponibilità dell'area di riferimento in base a un diritto reale o ad una obbligazione.
Si è detto, in particolare che il contratto di comodato, intervenuto tra il proprietario dell'area ed il concessionario, instaura una relazione stabile (detenzione) con il bene oggetto del medesimo, sufficiente, come quella del locatario, per richiedere ed ottenere la concessione edilizia, salva l'opposizione del proprietario.
Alla luce della sopra richiamata giurisprudenza deve, pertanto, ritenersi illegittimo il provvedimento impugnato nella parte in cui dispone l’annullamento dell’autorizzazione edilizia sulla base della sola circostanza che l'istante rivesta la qualità di locatario, nonché nella parte in cui richiede per il rilascio della concessione edilizia in sanatoria presentata dal medesimo ricorrente.
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... per l’annullamento “dell’ordinanza prot. n. 6065 del 27.01.2004 a firma del Dirigente del VII Settore Urbanistica dell’U.T.C. del Comune di Caserta con la quale è stata annullata la concessione edilizia n. 126/01 e per l’effetto è stata ordinata la demolizione delle opere realizzate ritenute abusive ed il ripristino dello stato dei luoghi, in una agli atti preordinati, connessi e conseguenziali tra i quali precipuamente i verbali dell’ufficio Tecnico del Comune di Caserta”.
...
Sa.Fa. espone in fatto che, in accoglimento dell’istanza da egli presentata in data 07.08.2001, il Comune di Caserta aveva rilasciato in suo favore l’autorizzazione edilizia n. 126/2001 per l’esecuzione di lavori di manutenzione straordinaria.
Riferisce che solo successivamente e, precisamente, in sede di istruttoria relativa alla richiesta di concessione in sanatoria, presentata da egli ricorrente in data 27.12.2001, il suddetto Comune aveva riesaminato la pratica edilizia relativa alla citata autorizzazione edilizia n. 126/2001 ed aveva provveduto non solo a respingere l’istanza di sanatoria ma anche a revocare il titolo edilizio del 2001.
Il Sa. ha, quindi, proposto il presente ricorso, notificato il 22.03.2004 e depositato il 19.04.2004, con il quale ha chiesto l’annullamento “dell’ordinanza prot. n. 6065 del 27.01.2004 a firma del Dirigente del VII Settore Urbanistica dell’U.T.C. del Comune di Caserta con la quale è stata annullata la concessione edilizia n. 126/01 e per l’effetto è stata ordinata la demolizione delle opere realizzate ritenute abusive ed il ripristino dello stato dei luoghi, in una agli atti preordinati, connessi e conseguenziali tra i quali precipuamente i verbali dell’ufficio Tecnico del Comune di Caserta”.
...
Il ricorso è fondato limitatamente alla parte del provvedimento che dispone l’annullamento dell’autorizzazione edilizia n. 126/2001 e, pertanto, va accolto per quanto di ragione di parte ricorrente; deve ritenersi, invece, infondato e, pertanto, va respinto relativamente alla parte del provvedimento con cui si dispone la demolizione, come di seguito specificato.
Coglie nel segno la censura con la quale parte ricorrente lamenta che illegittimamente sarebbe stato disposto l’annullamento della autorizzazione edilizia n. 126/2001 precedentemente rilasciata ed il diniego della concessione in sanatoria per l’assenza in capo ad egli ricorrente del titolo di proprietà dell’immobile, in quanto nella relativa istanza aveva dichiarato di essere conduttore dell’immobile stesso.
Ed invero la giurisprudenza amministrativa, condivisa dal Collegio, ritiene che la concessione edilizia possa essere rilasciata al soggetto che dimostri di avere la disponibilità dell'area di riferimento in base a un diritto reale o ad una obbligazione (Cass., Sez. III, 15.03.2007, n. 6005). Si è detto, in particolare che il contratto di comodato, intervenuto tra il proprietario dell'area ed il concessionario, instaura una relazione stabile (detenzione) con il bene oggetto del medesimo, sufficiente, come quella del locatario, per richiedere ed ottenere la concessione edilizia, salva l'opposizione del proprietario (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 09.02.2015, n. 648, 08.09.2015, n. 4176).
Alla luce della sopra richiamata giurisprudenza deve, pertanto, ritenersi illegittimo il provvedimento impugnato nella parte in cui dispone l’annullamento dell’autorizzazione edilizia n. 126/2001 del 27.08.2001 sulla base della sola circostanza che il Sa. rivesta la qualità di locatario, nonché nella parte in cui richiede per il rilascio della concessione edilizia in sanatoria presentata dal medesimo ricorrente in data 27.12.2001 il titolo di proprietà, ad integrazione della documentazione già presentata (TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, sentenza 25.07.2017 n. 3941 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATAAl fine di ravvisare il silenzio-inadempimento dell'amministrazione, deve essere riscontrato il duplice presupposto dell’omessa conclusione del procedimento amministrativo entro il termine astrattamente previsto per il procedimento del tipo evocato con l'istanza, e dell’inottemperanza a un preciso obbligo di provvedere sull’istanza del privato.
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Il
nostro ordinamento vede con particolare disfavore l’ottenimento di benefici originato da dichiarazioni false.
L'’art. 75 del D.P.R. 445/2000, in tema di controllo di veridicità delle dichiarazioni sostitutive, prevede che “Fermo restando quanto previsto dall'articolo 76, qualora dal controllo di cui all'articolo 71 emerga la non veridicità del contenuto della dichiarazione il dichiarante decade dai benefici eventualmente conseguenti al provvedimento emanato sulla base della dichiarazione non veritiera”.
In base all'art. 75 predetto “la non veridicità della dichiarazione sostitutiva presentata comporta la decadenza dai benefici eventualmente conseguiti, senza che tale disposizione (per la cui applicazione si prescinde dalla condizione soggettiva del dichiarante, rispetto alla quale sono irrilevanti il complesso delle giustificazioni addotte) lasci alcun margine di discrezionalità alle Amministrazioni; pertanto la norma in parola non richiede alcuna valutazione circa il dolo o la grave colpa del dichiarante, facendo invece leva sul principio di auto responsabilità”.
In materia di gare d’appalto, le dichiarazioni mendaci non possono essere regolarizzate e, una volta che l’amministrazione abbia conseguito la certezza della non veridicità di quanto dichiarato, ha il dovere di trarne le necessarie conseguenze, senza alcuna possibilità di fare applicazione dell’art. 21-nonies della L. 241/1990, le cui disposizioni riguardano esclusivamente i procedimenti di autotutela aventi natura tipicamente discrezionale.
Anche in materia di benefici ottenuti grazie alla qualificazione di IAFR (impianti alimentati da fonti rinnovabili), la previsione ex lege delle conseguenze della dichiarazione non veritiera in termini di decadenza automatica rende la determinazione del GSE vincolata nei suoi contenuti, con connotazione della stessa in termini di automaticità, per cui risulta evidente la non operatività dell’art. 21-nonies, comma 1, della L. 241/1990 .
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In materia di segnalazione di inizio attività, l’art. 19 della L. 241/1990 statuisce che, decorso il termine di legge per adottare provvedimenti inibitori ovvero di conformazione (60 giorni dal ricevimento della dichiarazione), l'amministrazione competente adotta comunque i provvedimenti previsti dal medesimo comma 3 in presenza delle condizioni previste dall'articolo 21-nonies (riguardante i presupposti per l’annullamento d’ufficio).
Tale essendo la disciplina posta dell’art. 19 citato, in tema di liberalizzazione (in senso lato) della attività economiche, dalla disamina congiunta della disciplina racchiusa nei commi 3 e 4, <<si evince agevolmente che l’Amministrazione procedente può vietare (o, comunque, interdire, conformare ovvero chiedere integrazioni documentali), ai sensi del comma 3, in relazione all’attività commerciale comunicata con segnalazione certificata di attività entro il termine di sessanta giorni dalla presentazione della stessa, mentre, successivamente al decorso di tale termine, ai sensi del successivo comma 4, residua in capo alla predetta Amministrazione, un analogo potere che non può configurarsi quale autotutela in quanto la dichiarazione del privato resta tale anche dopo il termine di sessanta giorni e non si trasforma in provvedimento amministrativo nei confronti del quale sarebbe ipotizzabile un’attività di autotutela; sul punto il potere di intervento successivo della P.A. si sostanzia nell’uso di poteri inibitori soggetti a limiti imposti per legge, per i quali, non a caso, la legge n. 124/1915 ha correttamente eliminato la definizione di “autotutela”, operando un richiamo all’art. 21-nonies, co. 1, L. n. 241/1990>>;
In effetti, la vicenda di cui si discorre non è stata originata da una SCIA, e tuttavia potrebbe rientrare nella casistica delle dichiarazioni mendaci, per la quale il legislatore prevede tassativamente la decadenza dei benefici ritratti dal loro autore;
IL comma 2-bis all’art. 21-nonies, introdotto dall’art. 6, comma 1, lett. d), n. 2, della L. 124/2015, statuisce che l’amministrazione conserva il potere di intervenire dopo la scadenza del richiamato termine per l’annullamento d’ufficio (18 mesi) proprio nel caso in cui i provvedimenti amministrativi siano stati “conseguiti sulla base di false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato”, seppur previo accertamento con sentenza passata in giudicato.
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L
addove una concessione edilizia sia stata ottenuta in base ad una falsa rappresentazione dello stato effettivo dei luoghi negli elaborati progettuali, al Comune è consentito di esercitare il proprio potere di autotutela ritirando l'atto concessorio senza necessità di esternare alcuna particolare ragione di pubblico interesse (cfr. TAR Campania Napoli, sez. III – 07/11/2016 n. 5141 –che risulta appellata– e la giurisprudenza citata, tra cui la pronuncia di questo TAR 20/11/2002 e TAR Campania Napoli, sez. VI – 12/05/2016 n. 2416, ad avviso del quale in materia di annullamento d'ufficio dei titoli edilizi, quando l'operato dell'amministrazione sia stato fuorviato dall'erronea o falsa rappresentazione dei luoghi, non occorre una specifica ed espressa motivazione sull'interesse pubblico, che va individuato nell’aspirazione della collettività al rispetto della disciplina urbanistica, e in questi casi, si è quindi al cospetto di un atto vincolato).
In argomento, si è pronunciato il Consiglio di Stato rilevando che qualificata giurisprudenza di primo grado ha affermato il principio secondo il quale “in materia di annullamento d’ufficio di titoli edilizi (nella specie, un’attestazione di conformità in sanatoria), nei casi in cui l’operato dell’Amministrazione sia stato fuorviato dalla erronea o falsa rappresentazione dei luoghi, non occorre una specifica ed espressa motivazione sull’interesse pubblico, che va individuato nell’interesse della collettività al rispetto della disciplina urbanistica”.
Sicché, la falsità dichiarativa impedisce anche la maturazione in capo all’autore di un affidamento meritevole di protezione, e siffatta carenza non può non incidere (in senso favorevole all’amministrazione) anche sulla valutazione della ragionevolezza del termine entro il quale dovesse intervenire il provvedimento di autotutela (riferimento temporale cui parametrare normativamente la tempestività dell’esercizio del potere di annullamento d’ufficio).

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S
econdo l’art. 6, comma 1, lett. a), della L. 241/1990, spetta al responsabile del procedimento valutare “ai fini istruttori, le condizioni di ammissibilità, i requisiti di legittimazione ed i presupposti che siano rilevanti per l'emanazione di provvedimento”.
La giurisprudenza del Consiglio di Stato è attestata nel senso che, prima di accordare un permesso di costruire (o una sanatoria edilizia) l’amministrazione debba verificare la situazione di diritto e di fatto, anche se solo nei limiti richiesti dalla ragionevolezza e dalla comune esperienza.
Ai sensi dell’art. 11 del D.P.R. 380/2001 il Comune, nel verificare l’esistenza in capo al richiedente un permesso edilizio di un idoneo titolo di godimento sull’immobile, non deve risolvere eventuali conflitti di interesse tra le parti private in ordine all’assetto proprietario, ma deve accertare soltanto il requisito della legittimazione soggettiva di colui che richiede il permesso.
In tal senso, l’amministrazione è tenuta a svolgere un livello minimo di istruttoria che comprende l’acquisizione di tutti gli elementi sufficienti a dimostrare la sussistenza di un qualificato collegamento soggettivo tra chi propone l’istanza e il bene giuridico oggetto dell’autorizzazione, senza che l’esame del titolo di godimento operato dalla p.a. costituisca un’illegittima intrusione in ambito privatistico, essendo finalizzato soltanto ad assicurare un ordinato svolgimento delle attività sottoposte al controllo autorizzatorio.

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Evidenziato:
- che il ricorrente riferisce di essere proprietario di un appartamento ubicato nel Comune di Castiglione delle Stiviere in Via ... n. 9, catastalmente identificato al foglio 16, mappale n. 220, sub. 7, 11 e 17, e confinante con l’immobile di proprietà dei Sigg.ri Bo., a sua volta identificato in catasto al foglio 16, mappale n. 220, sub. 5, 8 e 13;
- che, a seguito dell’istanza depositata da uno dei controinteressati per realizzare un sopralzo della copertura in legno dell’appartamento (in modo da creare una soffitta non abitabile), il Comune rilasciava nel 2011 il permesso di costruire n. 603, e nel 2015 il titolo abilitativo in sanatoria n. 940, ritualmente impugnato dal ricorrente con gravame r.g. 1233/2016, ad oggi pendente innanzi a questo TAR;
- che il controinteressato, in sede di richiesta del titolo edilizio, ha affermato di essere proprietario dell’edificio identificato –al NCEU del Comune di Castiglione– al foglio 16, mappali 220 e 206 (cfr. dichiarazione sostitutiva del 04/04/2011 - doc. 1), quando, nell’anno 2010, il medesimo aveva alienato all’odierno ricorrente l’appartamento identificato al mappale 220, sub 7, 17 e 11 (cfr. doc. 2);
- che risulterebbe evidente la non rispondenza al vero della dichiarazione rilasciata dal controinteressato al Comune di Castiglione delle Stiviere;
- che la circostanza avrebbe tratto in errore l’amministrazione intimata, la quale ha emesso un titolo abilitativo in relazione ad un edificio di cui il richiedente non aveva la piena disponibilità;
- che, in base all’attestazione non veritiera del Sig. Gi.Bo., il Comune avrebbe indebitamente emanato un permesso di costruire, atteso che gli artt. 10 e 17 delle NTA del Piano delle regole del PGT vigente prevedono, per gli immobili ricadenti in zona B3 (“Ambito residenziale consolidato di salvaguardia ambientale”) il rispetto, per qualsiasi edificazione o ampliamento di fabbricati esistenti, della distanza di 5 metri dai confini e il divieto di recupero a fini abitativi dei sottotetti;
- che la dichiarazione infedele, nell’ambito della disciplina dettata dal D.P.R. 445/2000, precluderebbe al dichiarante il raggiungimento dello scopo cui era indirizzata, e provocherebbe la decadenza dall’utilitas conseguita per effetto del mendacio;
- che, alla luce della situazione sottostante, sussisterebbe in capo al Comune intimato l’obbligo di provvedere sull’istanza presentata dal ricorrente in data 02/11/2016, con la conseguente illegittimità del silenzio serbato;
- che, in aggiunta, trattandosi di attività vincolata, sussisterebbe anche il dovere per l’amministrazione di adottare il provvedimento di decadenza e/o annullamento in autotutela del permesso di costruire, rilasciato al controinteressato sulla base di una dichiarazione falsa;
- che, pertanto, essendo l’amministrazione comunale rimasta inerte, con l’introdotto ricorso l’esponente chiede che sia dichiarato l’obbligo di provvedere ai sensi dell’art. 31, comma 1, del Cpa, nonché l’accertamento della fondatezza della pretesa avanzata ai sensi dell’art. 31 comma 3 e 34, comma 1, lett. c) Cpa, con la conseguente condanna ad adottare il provvedimento richiesto;
- che, in subordine, il Sig. Pi. insiste affinché sia acclarato comunque il dovere del Comune di assumere un atto formale a riscontro dell’istanza del privato;
- che, in ogni caso, chiede di nominare, in caso di perdurante inerzia dell’amministrazione, un Commissario ad acta che provveda in via sostitutiva;
Considerato:
- che, ad avviso del controinteressato costituito, il ricorrente non contesta la proprietà dell’immobile inciso dall’intervento di sopralzo, ma solo il fatto che quest’ultimo sia stato realizzato in violazione delle disposizioni comunali in tema di distanze/distacchi;
- che detta questione sarebbe del tutto estranea al contenuto della dichiarazione del 2011 invocata dall’esponente, mentre risulterebbe del tutto veritiera per poter compiere l’intervento, dando conto della legittimazione richiesta;
- che il controinteressato sarebbe ancor oggi proprietario dell’edificio rispetto al quale è stato realizzato il sopralzo, essendosi privato di una sola porzione dell’immobile, ossia dei mappali sub 6 (appartamento) e 10 (autorimessa), oggetto della compravendita;
- che il ricorrente, al fine di ottenere il titolo edilizio, avrebbe affermato al Comune la sua posizione di proprietario dell’immobile ove è stato edificato il sopralzo, a prescindere dalla circostanza che l’intervento potesse violare i diritti dei terzi (problematica da affrontare negli ulteriori giudizi già instaurati);
- che, siccome il controinteressato non ha invaso la proprietà altrui (riguardando le opere esclusivamente il proprio perimetro di proprietà) il Sig. Pi. avrebbe palesemente travisato la dichiarazione resa nel 2011 ai fini del rilascio del permesso di costruire;
- che, in diritto, in presenza di un silenzio-rifiuto sull’istanza di esercizio dei poteri in autotutela, non sarebbe configurabile alcun obbligo giuridico di provvedere espressamente, trattandosi di richiesta avente natura meramente sollecitatoria;
Rilevato, sotto il profilo giuridico:
- che, al fine di ravvisare il silenzio-inadempimento dell'amministrazione, deve essere riscontrato il duplice presupposto dell’omessa conclusione del procedimento amministrativo entro il termine astrattamente previsto per il procedimento del tipo evocato con l'istanza, e dell’inottemperanza a un preciso obbligo di provvedere sull’istanza del privato (cfr. sentenza di questo TAR, sez. II – 23/03/2016 n. 442);
- che, ad avviso della parte ricorrente, nella fattispecie non si controverte circa la sussistenza o meno in capo al Sig. Bo. della legittimazione a presentare la domanda di permesso di costruire, ma sul fatto che costui, dichiarando falsamente di essere proprietario dell’intero edificio, ha ottenuto un’utilità che, diversamente, non avrebbe conseguito;
- che controparte, infatti, avrebbe attestato e rappresentato di essere proprietaria unica dell’immobile, senza indicare l’avvenuta cessione parziale al ricorrente, né (conseguentemente) i limiti di proprietà dai quali calcolare la distanza dai confini;
- che detto ordine di idee merita condivisione;
- che il nostro ordinamento vede con particolare disfavore l’ottenimento di benefici originato da dichiarazioni false;
- che l’art. 75 del D.P.R. 445/2000, in tema di controllo di veridicità delle dichiarazioni sostitutive, prevede che “Fermo restando quanto previsto dall'articolo 76, qualora dal controllo di cui all'articolo 71 emerga la non veridicità del contenuto della dichiarazione il dichiarante decade dai benefici eventualmente conseguenti al provvedimento emanato sulla base della dichiarazione non veritiera”;
- che, secondo l’indirizzo del Consiglio di Stato, sez. V – 15/03/2017 n. 1172 (che richiama sez. V – 03/02/2016 n. 404), in base all'art. 75 predetto “la non veridicità della dichiarazione sostitutiva presentata comporta la decadenza dai benefici eventualmente conseguiti, senza che tale disposizione (per la cui applicazione si prescinde dalla condizione soggettiva del dichiarante, rispetto alla quale sono irrilevanti il complesso delle giustificazioni addotte) lasci alcun margine di discrezionalità alle Amministrazioni; pertanto la norma in parola non richiede alcuna valutazione circa il dolo o la grave colpa del dichiarante, facendo invece leva sul principio di auto responsabilità”;
- che, in materia di gare d’appalto, le dichiarazioni mendaci non possono essere regolarizzate e, una volta che l’amministrazione abbia conseguito la certezza della non veridicità di quanto dichiarato, ha il dovere di trarne le necessarie conseguenze, senza alcuna possibilità di fare applicazione dell’art. 21-nonies della L. 241/1990, le cui disposizioni riguardano esclusivamente i procedimenti di autotutela aventi natura tipicamente discrezionale (cfr. TAR Lazio Roma, sez. II – 14/11/2016 n. 11286 e la giurisprudenza ivi citata);
- che, anche in materia di benefici ottenuti grazie alla qualificazione di IAFR (impianti alimentati da fonti rinnovabili), la previsione ex lege delle conseguenze della dichiarazione non veritiera in termini di decadenza automatica rende la determinazione del GSE vincolata nei suoi contenuti, con connotazione della stessa in termini di automaticità, per cui risulta evidente la non operatività dell’art. 21-nonies, comma 1, della L. 241/1990 (Consiglio di Stato, sez. IV – 21/12/2015 n. 5799);
- che, in materia di segnalazione di inizio attività, l’art. 19 della L. 241/1990 statuisce che, decorso il termine di legge per adottare provvedimenti inibitori ovvero di conformazione (60 giorni dal ricevimento della dichiarazione), l'amministrazione competente adotta comunque i provvedimenti previsti dal medesimo comma 3 in presenza delle condizioni previste dall'articolo 21-nonies (riguardante i presupposti per l’annullamento d’ufficio);
- che, secondo TAR Campania Napoli, sez. III – 26/04/2017 n. 2235, tale essendo la disciplina posta dell’art. 19 citato, in tema di liberalizzazione (in senso lato) della attività economiche, dalla disamina congiunta della disciplina racchiusa nei commi 3 e 4, <<si evince agevolmente che l’Amministrazione procedente può vietare (o, comunque, interdire, conformare ovvero chiedere integrazioni documentali), ai sensi del comma 3, in relazione all’attività commerciale comunicata con segnalazione certificata di attività entro il termine di sessanta giorni dalla presentazione della stessa, mentre, successivamente al decorso di tale termine, ai sensi del successivo comma 4, residua in capo alla predetta Amministrazione, un analogo potere che non può configurarsi quale autotutela in quanto la dichiarazione del privato resta tale anche dopo il termine di sessanta giorni e non si trasforma in provvedimento amministrativo nei confronti del quale sarebbe ipotizzabile un’attività di autotutela; sul punto il potere di intervento successivo della P.A. si sostanzia nell’uso di poteri inibitori soggetti a limiti imposti per legge, per i quali, non a caso, la legge n. 124/1915 ha correttamente eliminato la definizione di “autotutela”, operando un richiamo all’art. 21-nonies, co. 1, L. n. 241/1990>>;
- che, in effetti, la vicenda di cui si discorre non è stata originata da una SCIA, e tuttavia potrebbe rientrare nella casistica delle dichiarazioni mendaci, per la quale il legislatore prevede tassativamente la decadenza dei benefici ritratti dal loro autore;
- che il comma 2-bis all’art. 21-nonies, introdotto dall’art. 6, comma 1, lett. d), n. 2, della L. 124/2015, statuisce che l’amministrazione conserva il potere di intervenire dopo la scadenza del richiamato termine per l’annullamento d’ufficio (18 mesi) proprio nel caso in cui i provvedimenti amministrativi siano stati “conseguiti sulla base di false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato”, seppur previo accertamento con sentenza passata in giudicato;
Rilevato:
- che, laddove una concessione edilizia sia stata ottenuta in base ad una falsa rappresentazione dello stato effettivo dei luoghi negli elaborati progettuali, al Comune è consentito di esercitare il proprio potere di autotutela ritirando l'atto concessorio senza necessità di esternare alcuna particolare ragione di pubblico interesse (cfr. TAR Campania Napoli, sez. III – 07/11/2016 n. 5141 –che risulta appellata– e la giurisprudenza citata, tra cui la pronuncia di questo TAR 20/11/2002 e TAR Campania Napoli, sez. VI – 12/05/2016 n. 2416, ad avviso del quale in materia di annullamento d'ufficio dei titoli edilizi, quando l'operato dell'amministrazione sia stato fuorviato dall'erronea o falsa rappresentazione dei luoghi, non occorre una specifica ed espressa motivazione sull'interesse pubblico, che va individuato nell’aspirazione della collettività al rispetto della disciplina urbanistica, e in questi casi, si è quindi al cospetto di un atto vincolato);
- che, in argomento, si è pronunciato il Consiglio di Stato (cfr. sez. IV – 31/08/2016 n. 3735), rilevando che qualificata giurisprudenza di primo grado (TAR Toscana, sez. III – 27/05/2015 n. 825), ha affermato il principio secondo il quale “in materia di annullamento d’ufficio di titoli edilizi (nella specie, un’attestazione di conformità in sanatoria), nei casi in cui l’operato dell’Amministrazione sia stato fuorviato dalla erronea o falsa rappresentazione dei luoghi, non occorre una specifica ed espressa motivazione sull’interesse pubblico, che va individuato nell’interesse della collettività al rispetto della disciplina urbanistica”;
- che la falsità dichiarativa impedisce anche la maturazione in capo all’autore di un affidamento meritevole di protezione, e siffatta carenza non può non incidere (in senso favorevole all’amministrazione) anche sulla valutazione della ragionevolezza del termine entro il quale dovesse intervenire il provvedimento di autotutela (riferimento temporale cui parametrare normativamente la tempestività dell’esercizio del potere di annullamento d’ufficio – TAR Campania Salerno, sez. I – 02/03/2017 n. 411);
Tenuto conto:
- che, secondo l’art. 6, comma 1, lett. a), della L. 241/1990, spetta al responsabile del procedimento valutare “ai fini istruttori, le condizioni di ammissibilità, i requisiti di legittimazione ed i presupposti che siano rilevanti per l'emanazione di provvedimento”;
- che la giurisprudenza del Consiglio di Stato (cfr. sez. IV – 05/06/2017 n. 2648 e i precedenti citati) è attestata nel senso che, prima di accordare un permesso di costruire (o una sanatoria edilizia) l’amministrazione debba verificare la situazione di diritto e di fatto, anche se solo nei limiti richiesti dalla ragionevolezza e dalla comune esperienza;
- che, ai sensi dell’art. 11 del D.P.R. 380/2001 il Comune, nel verificare l’esistenza in capo al richiedente un permesso edilizio di un idoneo titolo di godimento sull’immobile, non deve risolvere eventuali conflitti di interesse tra le parti private in ordine all’assetto proprietario, ma deve accertare soltanto il requisito della legittimazione soggettiva di colui che richiede il permesso;
- che, in tal senso, l’amministrazione è tenuta a svolgere un livello minimo di istruttoria che comprende l’acquisizione di tutti gli elementi sufficienti a dimostrare la sussistenza di un qualificato collegamento soggettivo tra chi propone l’istanza e il bene giuridico oggetto dell’autorizzazione, senza che l’esame del titolo di godimento operato dalla p.a. costituisca un’illegittima intrusione in ambito privatistico, essendo finalizzato soltanto ad assicurare un ordinato svolgimento delle attività sottoposte al controllo autorizzatorio (TAR Lombardia Milano, sez. II – 31/01/2017 n. 235);
- che, nel caso di specie, si denuncia che il Comune ha trascurato di valutare (per la dichiarazione mendace o comunque fuorviante dell’istante) la reale situazione di fatto, ossia che la proprietà del fabbricato non era estesa all’intero mappale 220 ma solo a una frazione di esso, con conseguente omessa verifica delle condizioni correlate (in particolare, il rispetto delle distanze);
- che detta omissione formale ha provocato un grave deficit istruttorio, che ha indotto l’amministrazione a non indagare la sussistenza di determinati presupposti, indispensabili per il rilascio del titolo;
Ritenuto:
- che, alla luce delle considerazioni diffusamente espresse, sussiste l’obbligo del Comune intimato di pronunciarsi tempestivamente sulla domanda del privato ricorrente;
- che, diversamente da quanto richiesto in via principale, non si ritiene di poter adottare il provvedimento in luogo dell’amministrazione competente, in quanto la vicenda merita ulteriori approfondimenti spettanti all’autorità amministrativa e riguardanti:
   a) l’effettività e la rilevanza della “falsità” o comunque il carattere fuorviante della dichiarazione, tenuto conto dell’avvenuta suddivisione del mappale di cui si è dato conto;
   b) l’individuazione delle norme di legge e delle regole della pianificazione urbanistica comunale pertinenti;
   c) le valutazioni sulla sussistenza di una potestà di autotutela e sulla ricorrenza delle condizioni per esercitarla;
- che, alla luce di ciò, sussiste unicamente il presupposto per l’accoglimento della domanda formulata in via subordinata;
- che, in definitiva, deve essere dichiarato l’obbligo del Comune di Castiglione delle Stiviere di provvedere sull’istanza, secondo le seguenti scansioni temporali:
   • entro il 20.06.2017, il Comune dovrà attivare il procedimento di verifica sollecitato dal ricorrente, dando la comunicazione di avvio al medesimo e al soggetto controinteressato;
   • entro il 15.07.2017, il Comune dovrà aver completato l’attività istruttoria;
   • entro il 31.07.2017 dovrà essere emesso l’atto finale (con trasmissione di copia di esso a questo all’interessato e a questo TAR);
- che, in accoglimento dell’istanza di parte ricorrente, si nomina sin da ora quale Commissario ad acta il dirigente del Settore Sportello dell’Edilizia (Area Pianificazione Urbana e Mobilità) del Comune di Brescia, con facoltà di delega;
- che quest’ultimo (ove il Comune non provveda entro la scadenza indicata del 31.07.2017) dovrà insediarsi tempestivamente, e compiere la propria attività entro e non oltre 60 (sessanta) giorni, per poi relazionare a questo TAR;
- che, in caso di ulteriori ritardi anche del Commissario, questo Tribunale, previa istanza di parte, provvederà ad assumere i provvedimenti necessari e a segnalare l’inerzia alle competenti autorità, anche giurisdizionali, per la valutazione degli eventuali e concorrenti profili di responsabilità;
- che, in conclusione, il ricorso è fondato e merita accoglimento nei limiti sopra esposti (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 09.06.2017 n. 765 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIn sede di esame della istanza di accertamento di conformità proposta ai sensi dell’art. 36 del testo unico n. 380 del 2001, il Comune deve effettuare non solo gli accertamenti espressamente previsti dal medesimo art. 36, ma anche quelli –logicamente antecedenti e giuridicamente rilevanti– previsti dagli articoli 11 e 12 del medesimo testo unico.
Tra le disposizioni applicabili in tema di istanze in materia edilizia, vi è l’art. 11, comma 1, del testo unico, per il quale «il permesso di costruire è rilasciato al permesso di costruire o a chi abbia titolo per richiederlo».
Tale regola riguarda non solo le istanze volte a realizzare nuovi edifici, ma anche quelle volte alla sanatoria, a qualsiasi titolo, di un immobile realizzato sine titulo.
L’interpretazione estensiva dell’art. 11, comma 1, del testo unico si giustifica per la natura stessa dell’accertamento di conformità (ovvero del condono straordinario). La sua ratio corrisponde a quella dell’art. 4 della legge n. 10 del 1977.
Come rilevato dalla pacifica giurisprudenza, in sede di rilascio del titolo edilizio (sia esso la concessione, ovvero il permesso), «il Comune è tenuto a verificare la legittimazione soggettiva del richiedente, con il solo limite di non poter procedere d’ufficio ad indagini su profili che non appaiono controversi»: il Comune non deve effettuare un «definitivo accertamento di eventualmente confliggenti posizioni di diritto soggettivo, demandato alla sede naturale della risoluzione di tali conflitti, cioè alla giurisdizione ordinaria».
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7.1. Contrariamente a quanto è stato dedotto dalle interessate, in sede di esame della istanza di accertamento di conformità proposta ai sensi dell’art. 36 del testo unico n. 380 del 2001, il Comune deve effettuare non solo gli accertamenti espressamente previsti dal medesimo art. 36, ma anche quelli –logicamente antecedenti e giuridicamente rilevanti– previsti dagli articoli 11 e 12 del medesimo testo unico.
Tra le disposizioni applicabili in tema di istanze in materia edilizia, vi è l’art. 11, comma 1, del testo unico, per il quale «il permesso di costruire è rilasciato al permesso di costruire o a chi abbia titolo per richiederlo».
Tale regola riguarda non solo le istanze volte a realizzare nuovi edifici, ma anche quelle volte alla sanatoria, a qualsiasi titolo, di un immobile realizzato sine titulo.
L’interpretazione estensiva dell’art. 11, comma 1, del testo unico si giustifica per la natura stessa dell’accertamento di conformità (ovvero del condono straordinario).
La sua ratio corrisponde a quella dell’art. 4 della legge n. 10 del 1977.
Come rilevato dalla pacifica giurisprudenza (Cons. Stato, Sez. IV, 25.11.2008, n. 5811; Sez. V, 11.03.2001, n. 1507), in sede di rilascio del titolo edilizio (sia esso la concessione, ovvero il permesso), «il Comune è tenuto a verificare la legittimazione soggettiva del richiedente, con il solo limite di non poter procedere d’ufficio ad indagini su profili che non appaiono controversi»: il Comune non deve effettuare un «definitivo accertamento di eventualmente confliggenti posizioni di diritto soggettivo, demandato alla sede naturale della risoluzione di tali conflitti, cioè alla giurisdizione ordinaria».
Pertanto, il Comune non poteva che attribuire rilevanza alla opposizione del signor Fu., che nel corso del procedimento ha fornito una documentazione tale da far ritenere ragionevole la sussistenza della sua legittimazione ad opporsi anche all’accertamento di conformità.
Poiché il provvedimento impugnato non doveva risolvere il conflitto venutosi a verificare tra le ricorrenti ed il signor Fu., ma doveva unicamente prendere atto della opposizione di quest’ultimo, adeguatamente motivata, il contestato diniego risulta adeguatamente istruito e motivato (e non si può nella presente sede giurisdizionale effettuare l’indagine sulla effettiva titolarità del bene, dovendosi unicamente verificare se l’atto impugnato sia legittimo) (TAR Calabria-Reggio Calabria, sentenza 05.06.2017 n. 521 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAOGGETTO: N.T.A. del P.R.G.C. di Ayas - nozione di “proprietario a titolo esclusivo” – interpretazione – casi concreti (nudo proprietario; comproprietario; proprietà della persona giuridica) – parere (Legali Associati per Celva, nota 01.02.2017 - tratto da www.celva.it).
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Problema riscontrato: interpretazione della norma art. 51 N.T.A. di P.R.G.C. circa la dicitura "proprietario a titolo esclusivo"
Riferimenti normativi: art. 51 N.T.A. di P.R.G.C.
Ipotesi di risoluzione da parte dell'ente: persona che risulta esclusivamente nuda proprietaria persona che risulta comproprietaria persona che risulta socio o legale rappresentante
Quesiti: Si chiede un chiarimento circa l’interpretazione della prescrizione "proprietario a titolo esclusivo" in merito a possibilità di realizzare abitazione permanente e principale ai sensi art. 51 N.T.A. di P.R.G.C.

CONDOMINIO - EDILIZIA PRIVATANel rilascio di titoli edilizi può ritenersi sufficiente che l’Amministrazione verifichi in capo all’istante l’esistenza di un titolo che formalmente lo legittimi al rilascio del titolo abilitante a suo favore, senza dover procedere ad una accurata e approfondita disamina dei rapporti civilistici o a svolgere complesse ricognizioni giuridico-documentali sul titolo di proprietà o di altro diritto reale che si estenda fino alla ricerca di eventuali fattori limitativi, preclusivi o estintivi del titolo di disponibilità necessario all’intervento, allegato da chi presenta istanza edilizia, ed è proprio questa la ragione per la quale i titoli edilizi vengono rilasciati con la formula "fatti salvi i diritti dei terzi".
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La giurisprudenza, al fine di escludere la sussistenza di una lesione al decoro dell’edificio, ritiene sufficiente che l’innovazione non comporti una rilevante disarmonia al complesso preesistente e che non pregiudichi l'originaria fisionomia estetica dell’edificio determinandone un deprezzamento.
Tali elementi non appaiono sussistere nel caso all’esame atteso che l’ascensore è stato collocato nel punto di minor impatto sull’edificio e dalla strada, mediante il prolungamento di uno sporto già presente nella muratura, con un intervento che non si rivela incompatibile con le caratteristiche e la tipologia edilizia preesistente.

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Con il secondo motivo il ricorrente sostiene che i controinteressati erano privi di legittimazione nel richiedere ed ottenere il titolo edilizio necessario ad intervenire su parti comuni dell’edificio condominiale, perché l’intervento, alterando il decoro dell’immobile, non avrebbe dovuto essere approvato a maggioranza, come è avvenuto nel caso all’esame (è stato approvato a maggioranza di due terzi del condominio rappresentanti complessivi 689,75 millesimi dell’intero edificio, del condominio), ma all’unanimità.
Al fine di comprovare la lesione al decoro il ricorrente allega una relazione del 25.01.2016 dagli stessi commissionata del Prof. Arch. Gi.Gi..
Anche tali censure non possono essere condivise.
Va premesso che nel rilascio di titoli edilizi può ritenersi sufficiente che l’Amministrazione verifichi in capo all’istante l’esistenza di un titolo che formalmente lo legittimi al rilascio del titolo abilitante a suo favore, senza dover procedere ad una accurata e approfondita disamina dei rapporti civilistici o a svolgere complesse ricognizioni giuridico-documentali sul titolo di proprietà o di altro diritto reale che si estenda fino alla ricerca di eventuali fattori limitativi, preclusivi o estintivi del titolo di disponibilità necessario all’intervento, allegato da chi presenta istanza edilizia, ed è proprio questa la ragione per la quale i titoli edilizi vengono rilasciati con la formula "fatti salvi i diritti dei terzi" (ex pluribus cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 04.09.2012, n. 4676; Consiglio di Stato, Sez. IV, 08.06.2011, n. 3508).
Il provvedimento impugnato in ogni caso non si è limitato a considerare l’esistenza della deliberazione condominiale che a maggioranza ha approvato l’intervento, ma, con considerazioni motivate e che appaiono prive di vizi logici, si è spinto ad indicare quali sono i motivi per i quali il Comune ritiene insussistente una lesione al decoro dell’immobile, precisando che si tratta di un edificio che non presenta un particolare pregio e che non è sottoposto né a tutela monumentale, né a grado di protezione dallo strumento urbanistico comunale in base alla caratterizzazione dei valori storici, architettonici, tipologici ed ambientali, che per gli interventi è stata ottenuta l’autorizzazione paesaggistica e che non risultano snaturate le caratteristiche dell’edifico.
La relazione commissionata dal ricorrente del 25.01.2016 del Prof. Arch. Gi.Gi. accede invece ad una non condivisibile nozione di “decoro architettonico” talmente ampia da comportare che ogni modifica alle parti comuni dell’edificio costituisce di per sé un pregiudizio al decoro dello stesso.
Una tale conclusione tuttavia non è in linea con la giurisprudenza, la quale, al fine di escludere la sussistenza di una lesione al decoro dell’edificio, ritiene sufficiente che l’innovazione non comporti una rilevante disarmonia al complesso preesistente e che non pregiudichi l'originaria fisionomia estetica dell’edificio determinandone un deprezzamento, elementi questi che non appaiono sussistere nel caso all’esame atteso che l’ascensore è stato collocato nel punto di minor impatto sull’edificio e dalla strada, mediante il prolungamento di uno sporto già presente nella muratura, con un intervento che non si rivela incompatibile con le caratteristiche e la tipologia edilizia preesistente (peraltro va rilevato che in tal senso sono le conclusioni formulate dal consulente tecnico d’ufficio nel giudizio civile pendente tra le parti: cfr. doc. 1 depositato in giudizio dai controinteressati il 20.10.2016).
L’assunto secondo il quale l’intervento avrebbe dovuto essere approvato all’unanimità anziché a maggioranza dei condomini è pertanto privo di riscontri e deve essere respinto (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 10.01.2017 n. 23 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2016

EDILIZIA PRIVATA: SULLA LEGITTIMAZIONE A PRESENTARE UN’ISTANZA DI SANATORIA EDILIZIA.
Il regime della concessione edilizia è diverso, per presupposti ed elementi tipici, da quello della sanatoria sicché è legittimato a proporre la relativa istanza -oltre al proprietario del bene e a chi abbia titolo richiedere il permesso di costruire- anche il promissario acquirente, il conduttore e chiunque abbia interesse, anche invito domino, a sanare l’irregolarità urbanistica dell’immobile per evitarne il rischio di demolizione, foriera per il richiedente di riverberi di natura patrimoniale.
Un privato convenne avanti il Tribunale ordinario, con domanda ex art. 2932 c.c., il promittente venditore di un appartamento realizzato in un seminterrato per il quale aveva corrisposto, all’atto del preliminare, un acconto pari a circa la metà del prezzo, con erogazione del saldo al rogito, da effettuarsi entro un termine indicato nel preliminare stesso.
L’immobile, peraltro, fu consegnato in ritardo e con difetti edilizi rilevati dal Comune perché era, invero, un magazzino in parte realizzato anche abusivamente.
L’attore, adoperatosi per regolarizzare spontaneamente l’aspetto edilizio, pagando quanto necessario per il rilascio della concessione in sanatoria, invano chiese al venditore di attivarsi per la stipula del definitivo. Nel rifiuto di costui, radicò azione civile chiedendo sentenza che tenesse luogo al contratto non concluso, che gli trasferisse i beni compromessi, detratta la somma sborsata per la sanatoria edilizia.
Il convenuto, nel costituirsi, eccepì la puntualità della consegna, asserendo che l’irregolarità edilizia era dipesa da varianti richieste dallo stesso attore, in corso d’opera. Ancora, che i dinieghi alle varianti edilizie, giusta quali il Comune rilevava l’irregolarità, furono annullati dal TAR Sulla scorta di ciò, il convenuto chiese il rigetto delle domande attoree e -in via riconvenzionale- la risoluzione del contratto preliminare per inadempimento dell’attore, da condannarsi al risarcimento dei danni e al pagamento dei lavori extracapitolato dal medesimo commissionati.
Il Tribunale accolse la domanda attorea, emettendo sentenza traslativa della proprietà dell’immobile, condizionatamente al saldo del residuo prezzo pattuito.
La sentenza fu materia d’appello, parzialmente accolto. La Corte di merito escluse dall’oggetto del trasferimento una pertinenza dell’immobile (il box) e riducesse la somma dovuta a saldo dall’originario attore ritenendone corretta, oltre che rispondente ai canoni di buona fede e correttezza, l’attivazione spontanea per il rilascio della concessione in sanatoria. Essendo, grazie a quest’ultima, divenuto regolare, l’immobile poteva quindi costituire oggetto di sentenza traslativa della proprietà.
La statuizione di secondo grado è oggetto di ricorso per Cassazione da parte del promittente venditore, che la S.C. respinge.
Merita di essere segnalata la considerazione che la S.C. compie a confutazione della dedotta incapacità, del promissario acquirente, di attivare un procedimento di concessione edilizia in sanatoria.
Afferma in proposito la S.C. che il regime della concessione edilizia è del tutto diverso, per presupposti ed elementi tipici, da quello della sanatoria sicché deve essere affermata la legittimazione a proporre la relativa istanza, oltre che di coloro che hanno titolo a richiedere la concessione edilizia (ora, permesso di costruire) anche del promissario acquirente o del conduttore e, più in generale, di tutti coloro che vi abbiano interesse senza il necessario consenso ed anche, al limite, contro la volontà del proprietario del bene, al fine di sanare l’irregolarità urbanistica dell’immobile promesso in vendita ed evitarne definitivamente il rischio di un’eventuale demolizione, che avrebbe riverberi anche patrimoniali, in considerazione dell’acconto già corrisposto (Corte di Cassazione, Sez. II civile, sentenza 27.05.2016 n. 11039 - Urbanistica e appalti 10/2016).

EDILIZIA PRIVATA: A norma dell’art. 11, comma 1, d.p.r. 06.06.2001, n. 380 (che riproduce il contenuto dell’art. 4, comma 1, della legge 28/01/1977, n. 10) il permesso di costruire può essere rilasciato ai soggetti che hanno la disponibilità giuridica dell'area e la titolarità di un diritto reale o di obbligazione che dia facoltà di eseguire le opere, con la conseguenza che l'interessato è tenuto a fornire la documentazione idonea a comprovare il suo diritto, che il Comune è tenuto ad esaminare al fine di accertarne l’idoneità a dimostrare il requisito della legittimazione soggettiva.
Il comma 3 del medesimo articolo 11 del d.p.r. 380/2001 precisa che <<il rilascio del permesso di costruire non comporta limitazione dei diritti dei terzi>>.
Costituisce ius receptum che i rapporti tra vicini hanno natura e rilevanza privatistica e non devono interessare il Comune, che non è tenuto ad effettuare complessi ed approfonditi accertamenti sull'esistenza e validità di diritti reali, essendovi appunto la clausola di salvaguardia generale, prevista dall'art. 11, comma 3, del D.P.R. 06.06.2001, n. 380, che fa salvi i diritti dei terzi quando vi sia dubbio sul titolo privatistico di un immobile.

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10.- Con un’ulteriore doglianza la parte ricorrente lamenta l’illegittimità del permesso di costruire 1426/2014 a causa dell’omessa verifica da parte del Comune della sussistenza da parte dell’istante di un titolo idoneo su parte dell’area oggetto degli interventi edilizi.
Il percorso argomentativo seguito dal ricorrente non è privo di suggestione tant’è che in sede cautelare il Collegio ha ritenuto di aderirvi. Tuttavia, un attento e più approfondito esame della questione porta ad un diverso approdo interpretativo, alla stregua di quanto segue.
A norma dell’art. 11, comma 1, d.p.r. 06.06.2001, n. 380 (che riproduce il contenuto dell’art. 4, comma 1, della legge 28/01/1977, n. 10) il permesso di costruire può essere rilasciato ai soggetti che hanno la disponibilità giuridica dell'area e la titolarità di un diritto reale o di obbligazione che dia facoltà di eseguire le opere, con la conseguenza che l'interessato è tenuto a fornire la documentazione idonea a comprovare il suo diritto, che il Comune è tenuto ad esaminare al fine di accertarne l’idoneità a dimostrare il requisito della legittimazione soggettiva.
Il comma 3 del medesimo articolo 11 del d.p.r. 380/2001 precisa che <<il rilascio del permesso di costruire non comporta limitazione dei diritti dei terzi>>.
Costituisce ius receptum che i rapporti tra vicini hanno natura e rilevanza privatistica e non devono interessare il Comune, che non è tenuto ad effettuare complessi ed approfonditi accertamenti sull'esistenza e validità di diritti reali, essendovi appunto la clausola di salvaguardia generale, prevista dall'art. 11, comma 3, del D.P.R. 06.06.2001, n. 380, che fa salvi i diritti dei terzi quando vi sia dubbio sul titolo privatistico di un immobile (ex multis: Cons. Stato, sez. V, 07.09.2009, n. 5223).
Invero, nel caso di specie la titolarità del diritto di proprietà sull’immobile distinto in catasto al foglio 26, part. 1819 (ex part. 879) risulta controversa, tant’è che nell’atto pubblico rogato dal notaio avente ad oggetto il negozio di donazione della particella in questione in favore di Lu.Ri., all’art. 4, la parte donante e la parte donataria <<riconoscono espressamente di essere state preventivamente avvertite>> dal notaio: della <<opportunità di far precedere la presente stipula dalla sentenza dichiarativa dell’acquisto per usucapione>>; <<della circostanza che la dichiarazione della parte donante di essere “proprietaria per possesso pacifico, continuo e ininterrotto ultraventennale” non può, in alcun modo essere oggetto di verifica da parte di me notaio>>.
Di fronte all’allegazione di tale atto pubblico di donazione, depositato dalla ricorrente a giustificazione della legittimazione ad ottenere il rilascio del titolo edilizio in sanatoria, al Comune non era esigibile alcun ulteriore accertamento o complesso approfondimento in ordine alla titolarità del diritto di proprietà dell’area.
Se, osserva il Collegio, ai sensi dell'art. 2700 c.c., l'atto pubblico forma piena prova solo della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha redatto, delle dichiarazioni rese dalle parti o dei fatti che agli attesti avvenuti in sua presenza, ma non è piena prova della veridicità intrinseca delle predette dichiarazioni, osserva, altresì, il Collegio che non poteva comunque richiedersi al Comune di dirimere la controversia insorta tra le parti in ordine alla titolarità del diritto reale su parte dell’area e all’effettivo acquisto per usucapione, trattandosi di questione che involge diritti soggettivi, da risolvere davanti al giudice ordinario, presso il quale, peraltro, come comprovato dalla certificazione del Tribunale di Avezzano, almeno alla data del 13.05.2015, non risultava pendente alcun contenzioso tra Ma.Ce. e Lu.Ri..
In conclusione, non è censurabile l’operato del Comune che, sulla base della allegazione dell’atto pubblico di donazione, riteneva legittimata la controinteressata a presentare la richiesta di permesso di costruire, il cui rilascio a norma dell’articolo 11, comma 3, del d.p.r. 380/2001 non può comunque comportare una limitazione dei diritti dei terzi, con la conseguenza che resta impregiudicata la facoltà dell’odierno ricorrente di avanzare le sue pretese innanzi all’autorità giudiziaria ordinaria (TAR Abruzzo-L'Aquila, sentenza 23.03.2016 n. 177 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2015

EDILIZIA PRIVATA: Per consolidata giurisprudenza, in sede di rilascio di un titolo abilitativo edilizio, l'amministrazione comunale non è tenuta a svolgere complesse indagini sulle vicende dell’immobile e sulla sua disponibilità in capo al richiedente ovvero a risolvere controversie circa i diritti reali su di esso vantati da terzi, restando tali diritti comunque salvi ed essendo, quindi, sufficiente l'esibizione di un titolo di legittimazione formalmente idoneo.
In altri termini, al Comune spetta soltanto la verifica, in capo al richiedente, di un titolo sostanziale idoneo a integrare la c.d. posizione legittimante, senza alcuna ulteriore e minuziosa indagine che si estenda fino alla ricerca di eventuali fattori ostativi alla disponibilità dell'immobile, salvo che, ovviamente, la sussistenza di tali fattori ostativi non emerga, con pari grado di certezza, dalle risultanze procedimentali eventualmente procurate dai terzi controinteressati.
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I superiori approdi valgono vieppiù, allorquando –come, appunto, nella specie– il titolo abilitativo edilizio sia richiesto in sanatoria.
In una simile ipotesi, rispetto alla posizione del soggetto richiedente, si presenta recessiva la potenzialmente confliggente posizione di qualificata disponibilità dell’immobile da parte dei terzi controinteressati, salvo che questi, sulla base di detta posizione, ove incontroversa, abbiano manifestato il proprio dissenso.
Ed invero, l’art. 37, comma 4, del d.p.r. n. 380/2001, al pari del precedente art. 36, comma 1, consente di presentare domanda di sanatoria, oltre che al “proprietario dell’immobile”, al mero “responsabile dell’abuso”.
La norma, a differenza di quanto previsto dal comb. disp. artt. 11, comma 1, e 20, comma 1, nonché dall’art. 23, comma 1, del citato d.p.r. n. 380/2001, trova, cioè, applicazione non solo in presenza di una domanda avanzata dal proprietario o da altro titolare ad esso equiparabile, cui l'abuso sia ascrivibile, ma anche in presenza della domanda avanzata dal mero responsabile dell’abuso, il quale, una volta sanato quest’ultimo, si gioverebbe dello sconto delle relative misure sanzionatorie, penali e/o amministrative.
In altri termini, la conformità ex artt. 36, comma 1, e 37, comma 4, del d.p.r. n. 380/2001 è soltanto oggettiva (afferente, cioè, alla disciplina urbanistico-edilizia dell’area di intervento), e non anche soggettiva (relativa, cioè, alle condizioni legittimanti il richiedente).
E tanto è coerente con la diversa ottica dei due procedimenti: l’uno, disciplinato dagli artt. 20 e 23 del d.p.r. n. 380/2001, presuppone necessariamente la verifica della posizione giuridica che consente la legittima esplicazione del ius aedificandi e, come tale, sottende un rapporto qualificato di disponibilità con l’immobile; l’altro, disciplinato dai successivi artt. 36 e 37, presuppone, invece, un abuso commesso e, quindi, ben può riferirsi –come è paradigmatico dell'illecito– anche ad un collegamento soggettivamente qualificato non già con l’immobile, bensì con la vicenda generativa dell’abuso e con la possibilità di sanarne gli effetti.

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6. Osserva, innanzitutto, il Collegio che, in sede di presentazione della domanda di sanatoria ex art. 37 del d.p.r. n. 380/2001, prot. n. 3095, del 28.01.2014, Gr.Lu. e Gr.An. hanno allegato, oltre alla planimetria catastale, quale titolo di proprietà, copia del testamento pubblico dell’11.02.1999, rep. n. 34, col quale Ma.An. ha lasciato loro in legato “la porzione della casa colonica sita in Aversa con ingresso dal viale Kennedy, n. 39/A, costituita da un appartamento al piano terra e da un appartamento al primo piano, individuata in catasto al foglio 5, particella 707, sub 6 e 7, con la proprietà esclusiva della corte annessa attualmente recintata”.
Ebbene, a fronte del titolo di legittimazione esibitogli, avente per oggetto l’immobile attinto dalle opere contestate (cfr. retro, in narrativa, sub n. 2), il resistente Comune di Aversa ha esorbitato dai propri poteri istruttori, avendo svolto, in assenza di formali e specifiche contestazioni da parte dei terzi controinteressati (non rinvenibili ex actis), ulteriori e autonome indagini circa la sussistenza di diritti vantati da questi ultimi (sul punto, cfr. Cons. Stato, sez. V, 15.03.2001, n. 1507; TAR Trentino Alto Adige, Trento, 04.11.2003, n. 376; TAR Piemonte, Torino, sez. I, 16.12.2003, n. 1801; 24.03.2004, n. 500) ed avendo annesso rilievo indebitamente preclusivo ad una controversa civilistica con i medesimi insorta (sul punto, cfr. Cons. giust. amm. sic., sez. giur., 19.04.2002, n. 199; TAR Campania, Salerno, sez. II, 17.11.2003, n. 1536).
In questo senso, giova rammentare che, per consolidata giurisprudenza, in sede di rilascio di un titolo abilitativo edilizio, l'amministrazione comunale non è tenuta a svolgere complesse indagini sulle vicende dell’immobile e sulla sua disponibilità in capo al richiedente ovvero a risolvere controversie circa i diritti reali su di esso vantati da terzi, restando tali diritti comunque salvi ed essendo, quindi, sufficiente l'esibizione di un titolo di legittimazione formalmente idoneo (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. V, 07.07.2005, n. 3730; 07.09.2007, n. 4703; 07.09.2009, n. 5223; 24.03.2011, n. 1770; sez. IV, 22.11.2013, n. 5563; TAR Lombardia, Milano, sez. II, 28.04.2010, n. 1168; TAR Piemonte, Torino, sez. I, 15.06.2010, n. 2841; TAR Campania, Napoli, sez. II, 18.11.2008, n. 19795; sez. VI, 03.12.2010, n. 26792; sez. VIII, 16.12.2010, n. 27527; sez. II, 31.07.2012, n. 3666; TAR Veneto, Venezia, sez. II, 25.01.2012, n. 32; TAR Abruzzo, Pescara, 09.02.2012, n. 52; TAR Calabria, Catanzaro, sez. I, 26.03.2012, n. 328; TAR Toscana, Firenze, sez. III, 27.09.2012, n. 1569; TAR Sicilia, Catania, sez. I, 24.04.2013, n. 1150).
In altri termini, al Comune spetta soltanto la verifica, in capo al richiedente, di un titolo sostanziale idoneo a integrare la c.d. posizione legittimante, senza alcuna ulteriore e minuziosa indagine che si estenda fino alla ricerca di eventuali fattori ostativi alla disponibilità dell'immobile, salvo che, ovviamente, la sussistenza di tali fattori ostativi non emerga, con pari grado di certezza, dalle risultanze procedimentali eventualmente procurate dai terzi controinteressati (nel caso in esame –come detto– neppure attivatisi, se non nella presente sede processuale); certezza che, all’evidenza, non sussiste in pendenza di un contenzioso civile non ancora definito (cfr. TAR Sicilia, Catania, sez. I, 15.09.2011, n. 2220), quale quello evocato nella gravata nota del 18.12.2014, prot. n. 2949.
7. I superiori approdi valgono vieppiù, allorquando –come, appunto, nella specie– il titolo abilitativo edilizio sia richiesto in sanatoria.
In una simile ipotesi, rispetto alla posizione del soggetto richiedente, si presenta recessiva la potenzialmente confliggente posizione di qualificata disponibilità dell’immobile da parte dei terzi controinteressati, salvo che questi, sulla base di detta posizione, ove incontroversa –e non è tale il caso di Ma.An. e di Ma.Al.–, abbiano manifestato il proprio dissenso –e neppure tale è il caso di Ma.An. e di Ma.Al.– (cfr. TAR Toscana, Firenze, sez. III, 17.02.2012, n. 358).
Ed invero, l’art. 37, comma 4, del d.p.r. n. 380/2001, al pari del precedente art. 36, comma 1, consente di presentare domanda di sanatoria, oltre che al “proprietario dell’immobile”, al mero “responsabile dell’abuso”.
La norma, a differenza di quanto previsto dal comb. disp. artt. 11, comma 1, e 20, comma 1, nonché dall’art. 23, comma 1, del citato d.p.r. n. 380/2001, trova, cioè, applicazione non solo in presenza di una domanda avanzata dal proprietario o da altro titolare ad esso equiparabile, cui l'abuso sia ascrivibile, ma anche in presenza della domanda avanzata dal mero responsabile dell’abuso, il quale, una volta sanato quest’ultimo, si gioverebbe dello sconto delle relative misure sanzionatorie, penali e/o amministrative.
In altri termini, la conformità ex artt. 36, comma 1, e 37, comma 4, del d.p.r. n. 380/2001 è soltanto oggettiva (afferente, cioè, alla disciplina urbanistico-edilizia dell’area di intervento), e non anche soggettiva (relativa, cioè, alle condizioni legittimanti il richiedente). E tanto è coerente con la diversa ottica dei due procedimenti: l’uno, disciplinato dagli artt. 20 e 23 del d.p.r. n. 380/2001, presuppone necessariamente la verifica della posizione giuridica che consente la legittima esplicazione del ius aedificandi e, come tale, sottende un rapporto qualificato di disponibilità con l’immobile; l’altro, disciplinato dai successivi artt. 36 e 37, presuppone, invece, un abuso commesso e, quindi, ben può riferirsi –come è paradigmatico dell'illecito– anche ad un collegamento soggettivamente qualificato non già con l’immobile, bensì con la vicenda generativa dell’abuso e con la possibilità di sanarne gli effetti (cfr. TAR Campania, Napoli, sez. VIII, 14.01.2011, n. 196; TAR Puglia, Bari, sez. III, 09.07.2011, n. 1057; Lecce, sez. III, 25.09.2014, n. 2409; TAR Liguria, Genova, sez. I, 19.03.2013, n. 486; 28.05.2014, n. 800; 26.02.2015, n. 235)
(TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, sentenza 05.11.2015 n. 5137 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il contratto di comodato, intervenuto tra il proprietario dell’area ed il concessionario, instaura una relazione stabile (detenzione) con il bene oggetto del medesimo, sufficiente, come quella del locatario, per richiedere ed ottenere la concessione edilizia, salva l’opposizione del proprietario.
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La non conformità dei lavori alla disciplina urbanistica è elemento che deve essere valutato dall’amministrazione in sede di rilascio del titolo (e successivamente dal giudice in sede di ricorso giurisdizionale), onde, ai fini della legittimazione a richiederne l’autorizzazione, risulta sufficiente che gli stessi siano in domanda prospettati come rispettosi della normativa urbanistica.
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E' ben vero che il Comune, al momento del rilascio del permesso di costruire, deve verificare la sussistenza di un titolo idoneo al suo rilascio.
E’, peraltro, indubitabile che, esibito un titolo, l’ente locale non è tenuto a compiere complesse indagini in ordine alla permanente validità dello stesso ovvero a contestazioni o controversie che sul punto siano instaurate da terzi, quando tali situazioni non siano state introdotte nel procedimento.

Va, invero, evidenziato che la giurisprudenza afferma che il contratto di comodato, intervenuto tra il proprietario dell’area ed il concessionario, instaura una relazione stabile (detenzione) con il bene oggetto del medesimo, sufficiente, come quella del locatario, per richiedere ed ottenere la concessione edilizia, salva l’opposizione del proprietario (cfr. Cons. Stato, IV, 09.02.2015, n. 648).
Orbene, il contratto di comodato invocato dall’appellante, stipulato in data 15.07.1995, prevede espressamente l’autorizzazione da parte del proprietario alla esecuzione di lavori.
L’articolo 5 recita, infatti, che “eventuali lavori sia sulla struttura che sugli impianti potranno essere effettuati dalla ditta Grilli s.a.s. attenendosi alla legislazione vigente e soltanto dopo aver richiesto ed ottenuto le eventuali autorizzazioni o concessioni”.
Non coglie nel segno il rilievo dell’appellante, laddove afferma che la clausola deve essere interpretata nel senso che l’autorizzazione riguarda solo opere conformi alla normativa e previamente autorizzate, onde non varrebbe a legittimare la richiesta di un titolo edilizio per opere difformi e per lo più originariamente abusive.
Osserva in proposito la Sezione che la non conformità dei lavori alla disciplina urbanistica è elemento che deve essere valutato dall’amministrazione in sede di rilascio del titolo (e successivamente dal giudice in sede di ricorso giurisdizionale), onde, ai fini della legittimazione a richiederne l’autorizzazione, risulta sufficiente che gli stessi siano in domanda prospettati come rispettosi della normativa urbanistica.
Quanto, poi, all’argomento dell’autorizzazione preventiva alla esecuzione dei lavori, ritiene il Collegio che la clausola vada interpretata in conformità al nostro sistema urbanistico-edilizio, il quale prevede in definitiva la sanzionabilità dei soli abusi sostanziali, potendo quelli meramente formali essere ricondotti a legalità mediante l’istituto dell’accertamento postumo di conformità.
Ne consegue che la clausola contrattuale va letta nel senso che il comodatario è autorizzato a compiere interventi conformi alla disciplina urbanistica, i quali però devono essere supportati da autorizzazione dell’autorità amministrativa competente.
Potendo quest’ultima intervenire ordinariamente in via preventiva, ma per gli abusi meramente formali anche in via successiva di sanatoria, deve ritenersi che il comodatario, autorizzato dal proprietario alla esecuzione di opere edilizie regolari sia sostanzialmente che formalmente, è legittimato a richiedere la concessione in sanatoria, risultando questo strumento ordinario previsto dall’ordinamento per ricondurre a legalità, anche sotto il profilo formale, opere che siano comunque compatibili, da un punto di vista sostanziale, con la disciplina urbanistica.
Venendo, poi, alla posizione del signor Gr.Al., cui risulta intestato il titolo edificatorio rilasciato, osserva la Sezione che è ben vero che il Comune, al momento del rilascio del permesso di costruire, deve verificare la sussistenza di un titolo idoneo al suo rilascio.
E’, peraltro, indubitabile che, esibito un titolo, l’ente locale non è tenuto a compiere complesse indagini in ordine alla permanente validità dello stesso ovvero a contestazioni o controversie che sul punto siano instaurate da terzi, quando tali situazioni non siano state introdotte nel procedimento.
Sotto tale profilo, pertanto, non risulta viziata da illegittimità l’attività posta in essere dal Comune, ove si consideri che alla data del rilascio del titolo edilizio (06.07.2007), pur essendo già intervenuta la decisione di annullamento della Corte di Cassazione (06.06.2007), questa non era dallo stesso conosciuta in relazione al breve lasso temporale decorso.
D’altra parte, non può revocarsi in dubbio che, pur essendo venuto meno l’atto giudiziale di trasferimento coattivo (con questione, peraltro, ancora sub iudice, in relazione al disposto rinvio alla Corte di Appello), residuava comunque, in capo al Grilli Alberto, il contratto preliminare di compravendita, il quale fondava il ragionevole convincimento che ad esso fosse seguito, come da dichiarazione resa dal privato (v. concessione del 06.07.2007), il definitivo trasferimento del bene.
Non può, infine, non evidenziarsi come l’articolo 13 della legge n. 47/1985 legittimi alla richiesta della concessione in sanatoria “il responsabile dell’abuso” e che analoga disposizione si rinviene nell’articolo 36 del DPR n. 380/2001, il quale prevede che a richiedere l’accertamento di conformità possano essere “il responsabile dell’abuso o l’attuale proprietario dell’immobile
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 08.09.2015 n. 4176 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2014

EDILIZIA PRIVATA: Il novero dei soggetti legittimati al rilascio del titolo in sanatoria risulta più ampio rispetto a quanto concerne il rilascio dell’ordinario titolo abilitativo edilizio, laddove secondo il prevalente orientamento della giurisprudenza, occorre la titolarità del diritto di proprietà, ovvero di altro diritto reale o anche obbligatorio a condizione del riconoscimento della disponibilità giuridica e materiale del bene nonché della relativa potestà edificatoria.
Il regime, infatti, della concessione edilizia è del tutto diversificato, quanto a presupposti ed elementi propri, da quello della sanatoria. L’affermazione è consapevolmente recepita da parte della giurisprudenza in riferimento alla sanatoria c.d. impropria di cui all’art. art. 13 della legge n. 47/1985 secondo cui la dichiarazione di conformità disciplinata dalla norma prevede che la sanatoria ivi disciplinata sia accordata al "responsabile dell'abuso"; la norma, quindi, a differenza di quanto previsto dall'art. 4 della legge n. 10 del 1977 non trova applicazione solo in presenza di una domanda avanzata dal proprietario o da altro titolare di diritto reale in quanto l'abuso sia al medesimo ascrivibile, ma anche in presenza della domanda avanzata da colui che, dell'abuso, è comunque responsabile in quanto, sanato l'abuso, non potrebbe essere più chiamato a rispondere sul piano sanzionatorio penale e/o amministrativo.
Va pertanto affermato che legittimati all’istanza di accertamento di conformità (così come di condono edilizio ex L. n. 724/1994) sono oltre coloro che hanno titolo a richiedere la concessione edilizia/permesso di costruire, anche il promissario acquirente o il conduttore e, più in generale, tutti coloro che vi abbiano interesse, senza il necessario consenso ed anche, al limite, contro la volontà del proprietario del bene.
Nel caso di specie il ricorrente, quale comproprietario dell’area condominiale, a prescindere dal consenso degli altri condomini, vanta indubbio interesse ad ottenere l’accertamento di conformità, al fine di paralizzare l’esercizio del potere repressivo, trattandosi di opera, secondo quanto emerso in giudizio, del tutto sanabile.

Per i suesposti motivi il ricorso è infondato e va respinto, fermo restando la facoltà del ricorrente anche ai fini di conformare la successiva attività comunale, di presentare la preannunciata istanza di accertamento di conformità, pur insistendo le opere abusive su sedime di proprietà condominiale.
Infatti, osserva incidentalmente il Collegio che il novero dei soggetti legittimati al rilascio del titolo in sanatoria risulta più ampio rispetto a quanto concerne il rilascio dell’ordinario titolo abilitativo edilizio, laddove secondo il prevalente orientamento della giurisprudenza, occorre la titolarità del diritto di proprietà, ovvero di altro diritto reale o anche obbligatorio a condizione del riconoscimento della disponibilità giuridica e materiale del bene nonché della relativa potestà edificatoria (Consiglio di Stato sez. V, 28.05.2001 n. 2881; TAR Emilia Romagna-Bologna 21.02.2007, n. 53, TAR Lombardia Milano, sez II, 31.03.2010, n. 842).
Il regime, infatti, della concessione edilizia è del tutto diversificato, quanto a presupposti ed elementi propri, da quello della sanatoria. L’affermazione è consapevolmente recepita da parte della giurisprudenza (TAR Campania Napoli sez VIII, 14.01.2011, n. 196) in riferimento alla sanatoria c.d. impropria di cui all’art. 13 della legge n. 47/1985 secondo cui la dichiarazione di conformità disciplinata dalla norma prevede che la sanatoria ivi disciplinata sia accordata al "responsabile dell'abuso"; la norma, quindi, a differenza di quanto previsto dall'art. 4 della legge n. 10 del 1977 non trova applicazione solo in presenza di una domanda avanzata dal proprietario o da altro titolare di diritto reale in quanto l'abuso sia al medesimo ascrivibile, ma anche in presenza della domanda avanzata da colui che, dell'abuso, è comunque responsabile in quanto, sanato l'abuso, non potrebbe essere più chiamato a rispondere sul piano sanzionatorio penale e/o amministrativo.
Va pertanto affermato che legittimati all’istanza di accertamento di conformità (così come di condono edilizio ex L. n. 724/1994) sono oltre coloro che hanno titolo a richiedere la concessione edilizia/permesso di costruire, anche il promissario acquirente o il conduttore (Corte di Appello Firenze sez II, 04.05.2010 n. 594; TAR Puglia-Bari 09.07.2011, n. 1057) e più in generale tutti coloro che vi abbiano interesse, senza il necessario consenso ed anche, al limite, contro la volontà del proprietario del bene.
Nel caso di specie il ricorrente, quale comproprietario dell’area condominiale, a prescindere dal consenso degli altri condomini, vanta indubbio interesse ad ottenere l’accertamento di conformità, al fine di paralizzare l’esercizio del potere repressivo, trattandosi di opera, secondo quanto emerso in giudizio, del tutto sanabile
(TAR Umbria, sentenza 25.07.2014 n. 419 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Secondo giurisprudenza consolidata, la concessione edilizia (come il permesso di costruire ed ogni altro atto della P.A. destinato ad incidere sulla proprietà privata) costituisce un provvedimento autoritativo, che può essere rilasciato solo se il progetto risulta conforme alla normativa urbanistica ed edilizia della zona interessata.
A tal fine il Comune deve articolare l'istruttoria verificando l'esistenza dei presupposti richiesti dall'art. 4 della l. n. 10/1977, all’epoca vigente, secondo il quale "La concessione è data dal sindaco al proprietario dell'area o a chi abbia titolo per richiederla".
Da una corretta interpretazione della norma, si evince che la P.A. deve rilasciare il permesso di costruire solo a chi dimostri di possedere un titolo idoneo di godimento sull'area da assoggettare alla trasformazione urbanistica (perché la legge intende evitare che il titolo abilitativo rilasciato dal Comune leda indebitamente posizioni soggettive tutelate dal diritto civile).
Tuttavia, al di là di tale onere di accertamento, non incombe in capo alla PA l'ulteriore onere di effettuare complesse indagini e ricognizioni giuridico documentali sul titolo di proprietà depositato dal richiedente.
Tranne il caso in cui al Comune sia tempestivamente rappresentata la sussistenza di circostanze particolari, meritevoli di essere prese in considerazione, il Comune deve limitarsi ad accertare la sussistenza del titolo della proprietà: la giurisprudenza maggioritaria è infatti concorde nell'affermare che "ai fini del rilascio del permesso di costruire l'amministrazione è onerata del solo accertamento della sussistenza del titolo astrattamente idoneo da parte del richiedente alla disponibilità dell'area oggetto dell'intervento edilizio: cioè l'astratta proprietà desunta dagli atti pubblici prodotti ed in via residuale dalle risultanze catastali", anche perché essa è di norma rilasciata con la clausola “fatti salvi i diritti dei terzi”.

Invero, secondo giurisprudenza consolidata, la concessione edilizia (come il permesso di costruire ed ogni altro atto della P.A. destinato ad incidere sulla proprietà privata) costituisce un provvedimento autoritativo, che può essere rilasciato solo se il progetto risulta conforme alla normativa urbanistica ed edilizia della zona interessata.
A tal fine il Comune deve articolare l'istruttoria verificando l'esistenza dei presupposti richiesti dall'art. 4 della l. n. 10/1977, all’epoca vigente, secondo il quale "La concessione è data dal sindaco al proprietario dell'area o a chi abbia titolo per richiederla".
Da una corretta interpretazione della norma, si evince che la P.A. deve rilasciare il permesso di costruire solo a chi dimostri di possedere un titolo idoneo di godimento sull'area da assoggettare alla trasformazione urbanistica (perché la legge intende evitare che il titolo abilitativo rilasciato dal Comune leda indebitamente posizioni soggettive tutelate dal diritto civile).
Tuttavia, al di là di tale onere di accertamento, non incombe in capo alla PA l'ulteriore onere di effettuare complesse indagini e ricognizioni giuridico documentali sul titolo di proprietà depositato dal richiedente.
Tranne il caso in cui al Comune sia tempestivamente rappresentata la sussistenza di circostanze particolari, meritevoli di essere prese in considerazione, il Comune deve limitarsi ad accertare la sussistenza del titolo della proprietà: la giurisprudenza maggioritaria è infatti concorde nell'affermare che "ai fini del rilascio del permesso di costruire l'amministrazione è onerata del solo accertamento della sussistenza del titolo astrattamente idoneo da parte del richiedente alla disponibilità dell'area oggetto dell'intervento edilizio: cioè l'astratta proprietà desunta dagli atti pubblici prodotti ed in via residuale dalle risultanze catastali" (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV 04.04.2012 n. 1990), anche perché essa è di norma rilasciata con la clausola “fatti salvi i diritti dei terzi
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 17.06.2014 n. 3096 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATARifacimento urgente del tetto dopo il preliminare d'acquisto. Immobili. Ammessa la tutela dell'articolo 700 del Codice di procedura civile.
Sì al provvedimento d'urgenza previsto dall'articolo 700 del Codice di procedura civile per tutelare i diritti del promissario acquirente.
Lo afferma il TRIBUNALE di Cassino (giudice Eramo) in un'ordinanza del 03.04.2014 (tratto da www.ilsole24ore.com).
Il caso riguarda una Srl, che aveva stipulato un preliminare per l'acquisto di un casolare da ristrutturare, ma poi aveva scoperto che l'immobile era gravato da vincoli paesaggistici e archeologici. Così si era rivolta al tribunale per ottenere l'annullamento del contratto, sostenendo di essere stata indotta in errore essenziale sulla natura e sull'oggetto dell'accordo.
Nel corso del giudizio la società ha chiesto al giudice l'emissione di un provvedimento d'urgenza in base all'articolo 700 del Codice di rito civile, perché il suo diritto era minacciato da un pregiudizio imminente e irreparabile perché il casolare aveva subito ingenti danni a causa della mancata manutenzione.
Il tribunale osserva che il provvedimento d'urgenza garantisce principalmente diritti che riguardano beni infungibili ma tutela anche «crediti pecuniari dal cui ritardato soddisfacimento potrebbe derivare un pregiudizio non riparabile altrimenti». La pretesa vantata dalla ricorrente non è un diritto di proprietà, ma ciò è irrilevante per la concessione dell'ordinanza perché dal contratto preliminare scaturisce «una specifica obbligazione di alienazione del promittente alienante, rispetto alla quale si contrappone un diritto soggettivo perfetto all'adempimento di tale obbligazione a favore dell'acquirente».
Il giudice rileva che per il consulente tecnico d'ufficio era «prevedibile a breve l'aggravarsi delle condizioni di sicurezza degli elementi strutturali del tetto». E poiché la ricorrente ha il diritto all'acquisto della proprietà di «un immobile il più possibile integro», alla promittente venditrice è ordinato di «provvedere alla ristrutturazione o rifacimento del tetto e delle altre parti danneggiate»
(articolo Il Sole 24 Ore del 19.05.2014).

EDILIZIA PRIVATALeasing, può scattare la malafede.
Nel caso del contratto di leasing, l'utilizzatore può essere chiamato a rispondere per responsabilità precontrattuale, in relazione agli atti che ha il potere di compiere per effetto del contratto stesso.

Lo dice la III Sez. civile della Corte di Cassazione (sentenza 13.02.2014 n. 3362).
Il contratto di leasing traslativo sottende un'operazione avente il fine di attuare un acquisto dell'utilizzatore e una mera operazione di finanziamento da parte del concedente. Sarà l'utilizzatore a scegliere presso il terzo venditore (non presso il concedente) il bene oggetto di leasing, in termini conformi alle sue peculiari esigenze, quanto, invece, al concedente, questi si limiterà a fornire i mezzi economici per il pagamento del prezzo, erogando la somma necessaria, che verrà restituita -con l'aggiunta di interessi, spese e utile dell'operazione- ratealmente e tramite l'esercizio finale dell'opzione di acquisto.
A rendere necessitato il positivo esercizio dell'opzione dell'utilizzatore circa l'acquisto finale del bene è lo stesso contenuto economico dell'operazione, per cui, osservano gli Ermellini: «I canoni periodici da corrispondere al concedente comprendono ben più che il mero corrispettivo del godimento, essendo in essi inclusa una frazione della somma da restituire quale importo del finanziamento, dei relativi interessi, spese e utili dell'operazione; ragion per cui, al termine del rapporto, il bene risulta quasi interamente pagato e il corrispettivo dell'opzione è normalmente di importo irrisorio rispetto al valore del bene».
Secondo gli stessi giudici nei contratti di leasing traslativo i poteri dell'utilizzatore sono talmente ampi «da poter essere assimilati a una sorta di dominio utile, tale da rendere inaccettabile, perché non conforme alla natura del contratto e della sottostante operazione economica, il principio per cui l'utilizzatore non potrebbe essere chiamato a rispondere per responsabilità precontrattuale (come anche per responsabilità contrattuale) in relazione agli atti che ha il potere di compiere per effetto del contratto di leasing».
Pertanto, la formale intestazione della proprietà al concedente ha funzione di garanzia della restituzione del finanziamento e va a configurare una sorta di proprietà fiduciaria in funzione di garanzia, che si contrappone al vero e proprio dominio utile, spettante all'utilizzatore.
La Corte ha, poi, osservato che l'utilizzatore consegue, dal canto suo, tutti i poteri di amministrazione ordinaria e straordinaria; il pieno godimento del bene, con poteri più ampi di quelli che spettano all'usufruttuario: «non essendo soggetto al limite di mantenere inalterata la consistenza e la destinazione economica del bene, di cui all'art. 981 cc -di cui potrebbe essere chiamato a rispondere solo nella situazione patologica in cui il rapporto si sciolga prima del termine per suo inadempimento all'obbligo di pagare i canoni di leasing- e assumendo rischi e responsabilità simili a quelle che gravano sul proprietario pieno» (articolo ItaliaOggi Sette del 24.02.2014).

EDILIZIA PRIVATA: R. D'Isa, I modi di acquisto della proprietà a titolo originario: 1) Usucapione; 2) Occupazione; 3) Invenzione; 4) Accessione; 5) Unione e Commistione; 6) Specificazione (22.01.2014 - tratto da http://renatodisa.com).

anno 2013

EDILIZIA PRIVATA: Fatti salvi i casi di espressa esclusione in tale senso risultanti dal relativo negozio, anche il contratto di leasing costituisce un titolo reale astrattamente idoneo a consentire interventi sull'immobile.
In linea generale dunque, sempre che la società di leasing non si attivi per denunciare il proprio dissenso rispetto al rilascio di un titolo edificatorio, il locatario in leasing è titolare di una relazione qualificata con il bene medesimo, per cui gli deve essere riconosciuta l’astratta legittimazione a richiedere titoli edilizi in relazione al ricordato disposto dell'art. 11, d.P.R. 06.06.2001 n. 380, sempreché il singolo contratto di leasing contenga specifiche clausole autorizzatorie in tal senso.

In secondo luogo, ai fini della legittimazione alla presentazione della d.i.a,. si deve ricordare che, al di là degli aspetti formali, ai sensi dell'art. 11, d.P.R. 06.06.2001 n. 380, la legittimazione all'ottenimento del titolo edificatorio spetta "al proprietario del'immobile o a chi abbia titolo per richiederlo".
Al riguardo, alla luce degli orientamenti della Sezione in casi analoghi (es.: comodatario, in Consiglio di Stato, Sez. IV 20.07.2011 n. 4370; usufruttuario, in Consiglio di Stato, Sez. IV 30.07.2012 n. 4287) si deve rilevare che -fatti salvi i casi di espressa esclusione in tale senso risultanti dal relativo negozio- anche il contratto di leasing costituisce un titolo reale astrattamente idoneo a consentire interventi sull'immobile.
In linea generale dunque, sempre che la società di leasing non si attivi per denunciare il proprio dissenso rispetto al rilascio di un titolo edificatorio, il locatario in leasing è titolare di una relazione qualificata con il bene medesimo, per cui gli deve essere riconosciuta l’astratta legittimazione a richiedere titoli edilizi in relazione al ricordato disposto dell'art. 11, d.P.R. 06.06.2001 n. 380, sempreché il singolo contratto di leasing contenga specifiche clausole autorizzatorie in tal senso.
Nel caso in esame, l’art. 8 del contratto di leasing (puntualmente allegato sia in primo grado che in appello) prevedeva l’obbligo dell’utilizzatore di provvedere alla “manutenzione ordinaria e straordinaria… alla sostituzione ,rifacimento, rimessione in pristino di tutte le parti interne ed esterne dell’immobile incluse … le parti comuni.. compresi gli adeguamenti, …. con riguardo alla sicurezza, alla prevenzione degli infortuni,nonché alla sostituzione, rifacimento,e rimessione in pristino degli impianti e di ogni altro accessorie che si rendesse necessario” .
In tale ipotesi dunque, è rilevante la circostanza che il contratto di leasing conferiva all’utilizzatore del bene, dr. M., un diritto di reale di godimento del bene che comprendeva la facoltà di far luogo a modifiche ed a migliorie e quindi gli conferiva un titolo negoziale per poter legittimamente richiedere un titolo edilizio, dovendosi escludere nel caso la ricorrenza di un’espressa opposizione della società concedente
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 20.12.2013 n. 6165 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

CONDOMINIO - EDILIZIA PRIVATA: Sebbene sia condivisibile l’orientamento giurisprudenziale secondo cui il Comune non è tenuto a “procedere ad un’accurata ed approfondita disamina dei rapporti tra i condomini”, altrettanto lo è anche l’ulteriore specificazione secondo cui, “qualora vi sia un conclamato dissidio fra i comproprietari in ordine all'intervento progettato, la scelta dell'amministrazione di assentire comunque le opere (in base al mero riscontro della conformità agli strumenti urbanistici) evidenzia un grave difetto istruttorio e motivazionale, perché non dà conto dell'effettiva corrispondenza tra l'istanza edificatoria e la titolarità del prescritto diritto di godimento”.
A tale proposito il Collegio ritiene che, sebbene sia condivisibile l’orientamento giurisprudenziale secondo cui il Comune non è tenuto a “procedere ad un’accurata ed approfondita disamina dei rapporti tra i condomini” (Cons. Stato, IV, 04.05.2010, n. 2546), altrettanto lo sia anche l’ulteriore specificazione secondo cui, “qualora vi sia un conclamato dissidio fra i comproprietari in ordine all'intervento progettato, la scelta dell'amministrazione di assentire comunque le opere (in base al mero riscontro della conformità agli strumenti urbanistici) evidenzia un grave difetto istruttorio e motivazionale, perché non dà conto dell'effettiva corrispondenza tra l'istanza edificatoria e la titolarità del prescritto diritto di godimento” (cfr TAR Campania Napoli Sez. II, Sent., 07.06.2013, n. 3019) (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 18.12.2013 n. 1145 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il preliminare di vendita legittima il promissario a richiedere il permesso di costruire sul fondo.
Il preliminare di vendita legittima il promissario a richiedere il permesso di costruire sul fondo (C. di S., IV, 27.04.2005, n. 1947) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 20.11.2013 n. 5469 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il permesso di costruire, ai sensi dell’art. 11 D.P.R. 380/2001, può essere chiesto dal proprietario e da chi ne ha titolo. E’ peraltro pacifico che il diritto di usufrutto, in quanto ricomprende anche la possibilità di sfruttare pienamente la potenzialità edificatoria del suolo, costituisca titolo idoneo a legittimare la richiesta di permesso di costruire.
Pertanto, con la produzione dell’atto di donazione il ricorrente ha assolto al proprio onere di documentare il titolo necessario per ottenere il permesso di costruire in sanatoria, dimostrando di avere la disponibilità dell’immobile interessato dall’intervento edificatorio e delle pertinenze dello stesso.
Per altro verso, poi, all’amministrazione non è richiesta un’indagine (sulla ricorrenza di tale presupposto) che si estenda fino alla ricerca d’ufficio di eventuali elementi limitativi, preclusivi o estintivi del titolo di disponibilità allegato dal richiedente, ma solo la verifica dell’esistenza di un titolo sostanziale idoneo a costituire in capo a quest’ultimo il diritto di sfruttare la potenzialità edificatoria dell’immobile, senza che a tale allegazione debba seguire un’ulteriore indagine in ordine alle implicazioni, di diritto civilistico derivanti dal rilascio del titolo autorizzativo, considerato anche che detto rilascio avviene sempre con la clausola di salvezza dei diritti dei terzi, proprio al fine di lasciare impregiudicate eventuali posizioni soggettive di terzi configgenti.

Con il presente gravame il ricorrente, usufruttuario di un immobile residenziale sito in Lazise (VR), ha impugnato il provvedimento del Servizio Edilizia Privata comunale del 10.05.2012 n. 10757, con cui gli è stato negato il rilascio del permesso di costruire in sanatoria in relazione ad alcune opere consistenti nella realizzazione di una piattaforma elevatrice (ascensore) e di un cappotto termico.
...
In secondo luogo, quanto ai dubbi manifestati dall’amministrazione sulla legittimazione dell’odierno ricorrente a richiedere il titolo in questione, si osserva che dall’atto notarile del 21.12.1991, pure consegnato all’amministrazione comunale, risulta che De Carli Antonio è usufruttuario dell’immobile oggetto dell’intervento e delle aree ad esso pertinenti, avendo egli, con il predetto atto, donato la nuda proprietà ai figli.
Ebbene, il permesso di costruire, ai sensi dell’art. 11 D.P.R. 380/2001, può essere chiesto dal proprietario e da chi ne ha titolo. E’ peraltro pacifico che il diritto di usufrutto, in quanto ricomprende anche la possibilità di sfruttare pienamente la potenzialità edificatoria del suolo, costituisca titolo idoneo a legittimare la richiesta di permesso di costruire.
Pertanto, con la produzione dell’atto di donazione del 21.12.1991, il ricorrente ha assolto al proprio onere di documentare il titolo necessario per ottenere il permesso di costruire in sanatoria, dimostrando di avere la disponibilità dell’immobile interessato dall’intervento edificatorio e delle pertinenze dello stesso.
Per altro verso, poi, all’amministrazione non è richiesta un’indagine (sulla ricorrenza di tale presupposto) che si estenda fino alla ricerca d’ufficio di eventuali elementi limitativi, preclusivi o estintivi del titolo di disponibilità allegato dal richiedente (Cons. St, sez. V, 22.06.2000, n. 3525), ma solo la verifica dell’esistenza di un titolo sostanziale idoneo a costituire in capo a quest’ultimo il diritto di sfruttare la potenzialità edificatoria dell’immobile, senza che a tale allegazione debba seguire un’ulteriore indagine in ordine alle implicazioni, di diritto civilistico derivanti dal rilascio del titolo autorizzativo, considerato anche che detto rilascio avviene sempre con la clausola di salvezza dei diritti dei terzi, proprio al fine di lasciare impregiudicate eventuali posizioni soggettive di terzi configgenti (cfr. Cons. St. n. 368/2004).
D’altra parte (e questo sembra essere lo scrupolo dell’amministrazione) non si comprende come i figli dell’odierno ricorrente, nudi proprietari, possano legittimamente opporsi alla realizzazione degli interventi edilizi posti in essere dal loro padre.
In particolare, dall’atto notarile depositato non risulta che il cortile di pertinenza dell’abitazione sia escluso dal diritto di usufrutto che De Carli Antonio ha mantenuto su tutto il compendio immobiliare in origine di sua proprietà, comprensivo delle pertinenze, né che tale cortile sia, come prospettato dalla Commissione Edilizia, di piena proprietà dei figli di De Carli Antonio. Elemento limitativo, questo, che andrebbe comunque provato da parte dell’amministrazione
(TAR Veneto, Sez. II, sentenza 13.11.2013 n. 1270 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Sia l’art. 11 del DPR 380/2001 sia l’art. 36 della L.R. 28/12/1978 n. 71 consentono che il permesso di costruire, ovvero la concessione edilizia, possano essere richieste anche dal promissario del terreno, a condizione che al momento del materiale rilascio sia conosciuto il destinatario obbligato al pagamento degli oneri di urbanizzazione e del contributo del costo di costruzione.
Con un unico motivo ricorso il ricorrente lamenta l’illegittimità del provvedimento impugnato sia sotto il profilo della erronea valutazione operata dal Comune circa la mancanza di legittimazione del richiedente al rilascio del titolo edificatorio, sia in ordine alla falsa applicazione di legge relativamente alle altre due motivazioni che lo sorreggono, ritenendo di avere adeguatamente dimostrato al Comune che il fondo risulterebbe di fatto intercluso, perché delimitato da due strade, nonché che la zona sarebbe intensamente edificata e dotata di tutte le opere di urbanizzazione primaria e secondaria, sicché non sarebbe necessaria l’elaborazione di un piano di lottizzazione.
La prima censura deve essere accolta, nel senso che sia l’art. 11 del DPR 380/2001 sia l’art. 36 della L.R. 28/12/1978 n. 71 consentono che il permesso di costruire, ovvero la concessione edilizia, possano essere richieste anche dal promissario del terreno, a condizione che al momento del materiale rilascio sia conosciuto il destinatario obbligato al pagamento degli oneri di urbanizzazione e del contributo del costo di costruzione (TAR Sicilia-Palermo, Sez. II, sentenza 08.11.2013 n. 2071 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L’attività istruttoria da svolgersi ad opera dell’Amministrazione comunale deve essere rivolta non già a risolvere i conflitti tra le parti private in ordine all'assetto dominicale dell'area stessa, bensì ad accertare il requisito della legittimazione soggettiva del richiedente, sia per la notevole incidenza della concessione edilizia sugli interessi pubblici e privati coinvolti, sia per evitare il grave contenzioso che deriverebbe dall'incauto rilascio di quest'ultima a soggetti non idoneamente legittimati.
... l’attività istruttoria da svolgersi ad opera dell’Amministrazione deve essere rivolta non già a risolvere i conflitti tra le parti private in ordine all'assetto dominicale dell'area stessa, bensì ad accertare il requisito della legittimazione soggettiva del richiedente, sia per la notevole incidenza della concessione edilizia sugli interessi pubblici e privati coinvolti, sia per evitare il grave contenzioso che deriverebbe dall'incauto rilascio di quest'ultima a soggetti non idoneamente legittimati (cfr., ex multis, TAR Campania Napoli, sez. III, 23.01.2009, n. 315) (TAR Campania-Napoli, Sez. III, sentenza 10.10.2013 n. 4538 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIn base alla disciplina normativa applicabile “ratione temporis” e cioè la l. n. 10/1977, la concessione ad edificare poteva essere rilasciata “al proprietario dell'area o a chi abbia titolo per richiederla” (art. 4, comma 1, sostanzialmente corrispondente all'art. 11, del testo unico dell’edilizia di cui al d.p.r. n. 380/2001 attualmente in vigore).
Il riferimento operato dalla citata disposizione al “titolo” era comunemente riferito alla titolarità di un diritto reale di godimento, o, secondo un indirizzo più aperto, anche a chi avesse la materiale disponibilità del suolo in base ad un diritto personale (come ad esempio il promissario acquirente dell'immobile, purché avesse a ciò consentito il proprietario).
Pertanto, è solo un legame qualificato con l’area da sfruttare a fini edificatori che fonda l’interesse legittimo ad ottenere il necessario titolo amministrativo ampliativo. In mancanza, si è rispetto a quest’ultimo nella posizione di “quisque de populo”.

In base alla disciplina normativa applicabile “ratione temporis” e cioè la l. n. 10/1977, la concessione ad edificare poteva essere rilasciata “al proprietario dell'area o a chi abbia titolo per richiederla” (art. 4, comma 1, sostanzialmente corrispondente all'art. 11, del testo unico dell’edilizia di cui al d.p.r. n. 380/2001 attualmente in vigore). Il riferimento operato dalla citata disposizione al “titolo” era comunemente riferito alla titolarità di un diritto reale di godimento, o, secondo un indirizzo più aperto, anche a chi avesse la materiale disponibilità del suolo in base ad un diritto personale (come ad esempio il promissario acquirente dell'immobile, purché avesse a ciò consentito il proprietario: C. di S., V, 24.08.2007, n. 4485).
Pertanto, è solo un legame qualificato con l’area da sfruttare a fini edificatori che fonda l’interesse legittimo ad ottenere il necessario titolo amministrativo ampliativo. In mancanza, si è rispetto a quest’ultimo nella posizione di “quisque de populo” (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 30.09.2013 n. 4827 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl parametro valutativo dell'attività edilizia svolta dai privati consiste nell'accertamento della conformità dell'opera alla disciplina urbanistica, lasciando sempre salvi i diritti dei terzi; perciò la legittimità di un'autorizzazione edilizia non può comunque condizionare la regolazione dei rapporti tra parti private.
Conseguentemente non sussiste un obbligo generalizzato per l'Amministrazione di verificare che non sussistano limiti di natura civilistica per la realizzazione di un'opera edilizia; tuttavia, essa ha il potere-dovere di verificare in capo al richiedente un idoneo titolo di godimento sull'immobile interessato dal progetto di trasformazione urbanistica, al fine di accertare il requisito della sua legittimazione.
Circa l'ampiezza dei poteri istruttori, a ciò finalizzati, è stato, peraltro, precisato che non si tratta di obbligare la P.A. a complessi e laboriosi accertamenti anche per non aggravare il procedimento.

Il ricorso è fondato e va accolto.
Il parametro valutativo dell'attività edilizia svolta dai privati consiste nell'accertamento della conformità dell'opera alla disciplina urbanistica, lasciando sempre salvi i diritti dei terzi; perciò la legittimità di un'autorizzazione edilizia non può comunque condizionare la regolazione dei rapporti tra parti private. Conseguentemente non sussiste un obbligo generalizzato per l'Amministrazione di verificare che non sussistano limiti di natura civilistica per la realizzazione di un'opera edilizia; tuttavia, essa ha il potere-dovere di verificare in capo al richiedente un idoneo titolo di godimento sull'immobile interessato dal progetto di trasformazione urbanistica, al fine di accertare il requisito della sua legittimazione. Circa l'ampiezza dei poteri istruttori, a ciò finalizzati, è stato, peraltro, precisato che non si tratta di obbligare la P.A. a complessi e laboriosi accertamenti anche per non aggravare il procedimento (TAR Campania-Salerno, Sez. I, sentenza 27.09.2013 n. 1985 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

CONDOMINIO - EDILIZIA PRIVATA: La domanda di rilascio del permesso di costruire ovvero la denuncia di inizio di attività possono essere presentate dal proprietario dell’immobile ovvero da chi ne abbia titolo.
L’espressione “titolo per richiederlo” è correntemente intesa dalla giurisprudenza amministrativa nel senso di posizione che civilisticamente costituisca titolo per esercitare sul fondo un’attività costruttiva, ammettendosi in tal senso che la posizione legittimante enunciata nella disposizione normativa in esame non coincide con il solo diritto di proprietà, ma anche con altri diritti reali o addirittura personali di godimento, purché attribuiscano al titolare la facoltà di attuare interventi sull’immobile.
A fronte di ciò, l’Amministrazione comunale è per certo chiamata a svolgere un’attività istruttoria per accertare la sussistenza del titolo legittimante di colui che chiede il rilascio del titolo edilizio, anche mediante d.i.a., competendo in tal senso all’Amministrazione medesima la verifica, in capo al richiedente, di un titolo sostanziale idoneo a costituire la posizione legittimante senza alcuna ulteriore e minuziosa indagine che si estenda fino alla ricerca di eventuali fattori limitativi, preclusivi o estintivi del titolo di disponibilità dell’immobile allegato da colui che presenta l’istanza.
Significativo –del resto– è al riguardo anche l’art. 42, comma 8, lett. a), della L. R. 12 del 2005, laddove si dispone che il dirigente o il responsabile dell’ufficio competente verifichi, in relazione alla d.i.a., “la regolarità formale e la completezza della documentazione”.
La verifica del possesso del titolo a costruire costituisce pertanto un presupposto, la cui mancanza impedisce all’Amministrazione comunale di procedere oltre nell’esame del progetto, anche se deve escludersi un obbligo dell’Amministrazione comunale stessa di effettuare complessi accertamenti diretti a ricostruire tutte le vicende riguardanti l’immobile.
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L’Amministrazione comunale, allorquando inizia l’istruttoria per il rilascio di un titolo edilizio formale (nonché, ora, allorquando svolge l’istruttoria conseguente all’avvenuta presentazione di una segnalazione certificata di inizio di attività – s.c.i.a. edilizia, a’ sensi dell’art. 19 della L. 07.08.1990 n. 241 nel testo ad oggi in vigore), non è per certo obbligata ad acquisire informazioni sulla circostanza che l’assemblea condominiale abbia eventualmente inibito al singolo condomino di realizzare le opere sostanzianti un sopralzo dell’edificio: ma il richiedente il titolo edilizio ovvero chi presenta la s.c.i.a. è comunque onerato, prima di iniziare i lavori, ad impugnare la deliberazione dell’assemblea condominiale lesiva del proprio diritto, a’ sensi e per gli effetti dell’art. 1137, secondo comma, cod. civ., essendo anche ammesso al riguardo l’incidente di sospensione cautelare della deliberazione medesima.
Risulta altrettanto assodato che il condominio, ove abbia adottato una deliberazione che vieti l’esecuzione dei lavori al singolo condomino, può pure incidere nella sfera giuridica di quest’ultimo e –segnatamente– sulla sua posizione di interesse legittimo intervenendo a’ sensi dell’art. 7 e ss. della L. 241 del 1990 nel procedimento relativo al rilascio del permesso di costruire ovvero in quello conseguente alla presentazione della s.c.i.a. e chiedendo quindi all’Amministrazione comunale di non accogliere le richieste del condomino medesimo conformemente al predetto deliberato assembleare, ovvero anche l’adozione di ogni possibile provvedimento in autotutela.

Il Collegio, per parte propria, rileva che, a’ sensi dell’art. 11, comma 1, e dell’art. 23, comma 1, del T.U. approvato con D.P.R. 06.06.2001 n. 380, la domanda di rilascio del permesso di costruire, ovvero la denuncia di inizio di attività possono essere presentate dal proprietario dell’immobile ovvero da chi ne abbia titolo.
Tali disposizioni riproducono nella sostanza l’art. 4, primo comma, della L. 28.01.1977 n. 10, in forza del quale “la concessione (edilizia) è data dal sindaco al proprietario dell’area o a chi abbia titolo per richiederla”, e sono a loro volta recepite in Lombardia dall’art. 35, comma 1, della L. R. 12 del 2005, laddove –per l’appunto– analogamente si dispone che il permesso di costruire sia rilasciato “al proprietario dell’immobile o a chi abbia titolo per richiederlo”.
Va precisato che l’espressione “titolo per richiederlo” è correntemente intesa dalla giurisprudenza amministrativa nel senso di posizione che civilisticamente costituisca titolo per esercitare sul fondo un’attività costruttiva (cfr. al riguardo, ad es., Cons. Stato, Sez. V, 28.05.2001 n. 2882 e 15.03.2001 n. 1507, nonché Sez. IV, 15.02.1985 n. 47), ammettendosi in tal senso che la posizione legittimante enunciata nella disposizione normativa in esame non coincide con il solo diritto di proprietà, ma anche con altri diritti reali o addirittura personali di godimento, purché attribuiscano al titolare la facoltà di attuare interventi sull’immobile.
A fronte di ciò, il Collegio reputa che l’Amministrazione comunale era ed è per certo chiamata a svolgere un’attività istruttoria per accertare la sussistenza del titolo legittimante di colui che chiede il rilascio del titolo edilizio, anche mediante d.i.a., competendo in tal senso all’Amministrazione medesima la verifica, in capo al richiedente, di un titolo sostanziale idoneo a costituire la posizione legittimante senza alcuna ulteriore e minuziosa indagine che si estenda fino alla ricerca di eventuali fattori limitativi, preclusivi o estintivi del titolo di disponibilità dell’immobile allegato da colui che presenta l’istanza (così, ad es., Cons. Stato, Sez. V, 04.02.2004 n. 368).
Significativo –del resto– è al riguardo anche l’art. 42, comma 8, lett. a), della L. R. 12 del 2005, laddove si dispone che il dirigente o il responsabile dell’ufficio competente verifichi, in relazione alla d.i.a., “la regolarità formale e la completezza della documentazione”.
La verifica del possesso del titolo a costruire costituisce pertanto un presupposto, la cui mancanza impedisce all’Amministrazione comunale di procedere oltre nell’esame del progetto, anche se deve escludersi un obbligo dell’Amministrazione comunale stessa di effettuare complessi accertamenti diretti a ricostruire tutte le vicende riguardanti l’immobile.
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L’Amministrazione comunale, allorquando inizia l’istruttoria per il rilascio di un titolo edilizio formale (nonché, ora, allorquando svolge l’istruttoria conseguente all’avvenuta presentazione di una segnalazione certificata di inizio di attività – s.c.i.a. edilizia, a’ sensi dell’art. 19 della L. 07.08.1990 n. 241 nel testo ad oggi in vigore), non è per certo obbligata ad acquisire informazioni sulla circostanza che l’assemblea condominiale abbia eventualmente inibito al singolo condomino di realizzare le opere sostanzianti un sopralzo dell’edificio: ma il richiedente il titolo edilizio ovvero chi presenta la s.c.i.a. è comunque onerato, prima di iniziare i lavori, ad impugnare la deliberazione dell’assemblea condominiale lesiva del proprio diritto, a’ sensi e per gli effetti dell’art. 1137, secondo comma, cod. civ., essendo anche ammesso al riguardo l’incidente di sospensione cautelare della deliberazione medesima (cfr. ivi, nonché la corrispondente disciplina contenuta nel nuovo testo dell’articolo medesimo, conseguente alla novella introdotta al riguardo dall’art. 15 della L. 11.12.2012 n. 220, che trova peraltro applicazione solo a decorrere dal 18.06.2013).
Non consta che nella specie la deliberazione adottata dall’assemblea condominiale sia stata sospesa.
Risulta altrettanto assodato che il condominio, ove abbia adottato una deliberazione che vieti l’esecuzione dei lavori al singolo condomino, può pure incidere nella sfera giuridica di quest’ultimo e –segnatamente– sulla sua posizione di interesse legittimo intervenendo a’ sensi dell’art. 7 e ss. della L. 241 del 1990 nel procedimento relativo al rilascio del permesso di costruire ovvero in quello conseguente alla presentazione della s.c.i.a. e chiedendo quindi all’Amministrazione comunale di non accogliere le richieste del condomino medesimo conformemente al predetto deliberato assembleare, ovvero anche l’adozione di ogni possibile provvedimento in autotutela
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 21.08.2013 n. 4234 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAAi sensi dell’art. 11 D.P.R. n. 380/2001, tra i titoli per richiedere il permesso di costruire rientra il rapporto di disponibilità qualificata dell'area interessata, il quale può trovare fondamento anche nel semplice possesso della stessa.
Occorre evidenziare che il permesso di costruire in sanatoria (n. 10/2012) di cui il Comune intimato ha negato il ritiro da parte del richiedente sig. Salvatore Stabile, odierno ricorrente, in conseguenza della mancata esibizione da parte di quest'ultimo del titolo di proprietà sull'area interessata, ha ad oggetto la realizzazione di una porzione di recinzione (per il resto regolarmente assentita con permesso di costruire n. 32/2011) su terreno (p.lla 107 del foglio 4) di proprietà di terzo soggetto (la controinteressata sig. Q.), dal quale è anche pervenuta al Comune formale opposizione.
In virtù del predetto rilievo, il Comune ha altresì avvisato il ricorrente, mediante l'atto impugnato, dell'avvio del procedimento di revoca del predetto permesso di costruire n. 10/2012.
Ebbene, è fondata, come anticipato nella fase cautelare (cfr. ordinanza n. 484/2012), la censura con la quale la parte ricorrente allega il carattere non necessario del titolo di proprietà sull'area interessata dai lavori.
Ribadito infatti che si verte in tema di permesso di costruire in sanatoria, viene in rilievo, a suffragare la fondatezza delle deduzioni attoree, l'art. 36 d.P.R. n. 380/2001, ai sensi del quale "in caso di interventi realizzati in assenza di permesso di costruire, o in difformità da esso, ovvero in assenza di denuncia di inizio attività nelle ipotesi di cui all'articolo 22, comma 3, o in difformità da essa (…), il responsabile dell'abuso, o l'attuale proprietario dell'immobile, possono ottenere il permesso in sanatoria se l'intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda".
La posizione di responsabile dell'abuso, facente capo al ricorrente, costituisce quindi, ai sensi del chiaro disposto normativo, titolo sufficiente a legittimare la presentazione da parte sua del richiesto titolo edilizio in sanatoria.
Il ricorso quindi, come anticipato, deve essere accolto e conseguentemente annullato il provvedimento impugnato, mentre può dichiararsi l'assorbimento delle censure non esaminate (TAR Campania-Salerno, Sez. I, sentenza 15.07.2013 n. 1565 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

CONDOMINIO - EDILIZIA PRIVATA: In base all’art. 11, comma primo, del d.P.R. 06.06.2001 n. 980, il permesso di costruire è rilasciato al proprietario dell'immobile o a chi abbia titolo per richiederlo.
Quindi, il Comune, prima di rilasciare il titolo, ha sempre l'onere di verificare la legittimazione del richiedente, accertando che questi sia il proprietario dell'immobile oggetto dell'intervento costruttivo o che, comunque, ne abbia un titolo di disponibilità sufficiente per eseguire l'attività edificatoria.
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Nel caso di specie è pacifico che gli interventi per i quali è stato richiesto il titolo edilizio riguardano, non solo le unità immobiliari poste all’ultimo piano dell’edificio, ma anche il tetto di quest’ultimo: in particolare riguardano anche la creazione di cinque abbaini e tre prese di luce, due delle quali apribili.
Ciò premesso va osservato che, in base all’art. 1117, n. 1, del codice civile, il tetto è oggetto di proprietà comune dei proprietari delle singole unità immobiliari che compongono l'edificio.
Ne consegue che i singoli proprietari non possono, singolarmente, apportare modificazioni allo stesso, essendo invece necessaria, ai sensi dell’art. 1120 del codice civile, una apposita deliberazione dell’assemblea condominiale, assunta con le maggioranze stabilite dall’art. 1136 dello stesso codice.
Nel caso concreto la richiesta del controinteressato non è stata preceduta da alcuna deliberazione avente carattere autorizzatorio; sicché deve ritenersi che questi fosse privo di legittimazione a richiedere il titolo edilizio.

Decisivo, ai fini della soluzione della controversia, è il primo motivo, avente carattere assorbente, con il quale la ricorrente lamenta che il sig. L.L., odierno controinteressato, sarebbe stato privo della legittimazione a richiedere il permesso di costruire poi rilasciato, atteso che le opere che si intendono realizzare investono parti comuni dell’edificio (nella specie il tetto), e che quindi la richiesta avrebbe dovuto essere preceduta da una delibera condominiale di contenuto autorizzatorio.
In proposito, va osservato che, in base all’art. 11, comma primo, del d.P.R. 06.06.2001 n. 980, il permesso di costruire è rilasciato al proprietario dell'immobile o a chi abbia titolo per richiederlo.
Secondo un pacifico orientamento giurisprudenziale, il Comune, prima di rilasciare il titolo, ha sempre l'onere di verificare la legittimazione del richiedente, accertando che questi sia il proprietario dell'immobile oggetto dell'intervento costruttivo o che, comunque, ne abbia un titolo di disponibilità sufficiente per eseguire l'attività edificatoria (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 04.04.2012 n. 1990).
Nel caso di specie è pacifico che gli interventi per i quali è stato richiesto il titolo edilizio riguardano, non solo le unità immobiliari poste all’ultimo piano dell’edificio, ma anche il tetto di quest’ultimo: in particolare riguardano anche la creazione di cinque abbaini e tre prese di luce, due delle quali apribili.
Ciò premesso va osservato che, in base all’art. 1117, n. 1, del codice civile, il tetto è oggetto di proprietà comune dei proprietari delle singole unità immobiliari che compongono l'edificio.
Ne consegue che i singoli proprietari non possono, singolarmente, apportare modificazioni allo stesso, essendo invece necessaria, ai sensi dell’art. 1120 del codice civile, una apposita deliberazione dell’assemblea condominiale, assunta con le maggioranze stabilite dall’art. 1136 dello stesso codice.
Nel caso concreto la richiesta del controinteressato non è stata preceduta da alcuna deliberazione avente carattere autorizzatorio; sicché deve ritenersi, conformemente a quanto sostenuto dalla ricorrente, che questi fosse privo di legittimazione a richiedere il titolo edilizio (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 11.07.2013 n. 1820 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L'articolo 4 della legge n. 10/1977 ed oggi l'articolo 11 del DPR n. 380/2001 dispongono che l'atto abilitativo alla edificazione sia rilasciato "al proprietario dell'immobile o a chi abbia titolo per richiederlo".
In particolare, poi, la giurisprudenza ha avuto modo di chiarire che il rilascio della concessione edilizia non presuppone necessariamente la proprietà del suolo da parte del soggetto istante, essendo sufficiente la disponibilità dello stesso; chiarendosi pure che il possesso del bene è riconducibile alle situazioni di legittimazione per la richiesta della concessione edilizia, alle quali, in alternativa a quella dominicale, l'art. 4 l. n. 10/1977 genericamente rinvia.

Non sono condivisibili gli argomenti dedotti in senso contrario dalle parti resistenti, in particolare dal difensore del Comune di Montecorvino Rovella, nel senso della radicale "inesistenza giuridica" della D.I.A., siccome non corredata dai documenti prescritti, ed in particolare dal titolo di disponibilità dell'area interessata dall'intervento.
In proposito, deve rilevarsi che, ai sensi dell'art. 19, comma 3, l. n. 241/1990 e dell'art. 23, comma 6, d.P.R. n. 380/2001, la "carenza dei requisiti e dei presupposti" legittima l'Amministrazione all'esercizio, entro il termine stabilito (trenta giorni decorrenti dalla presentazione della denuncia, secondo la formulazione dell'art. 23, comma 1, d.P.R. n. 380/2001 vigente alla data della D.I.A. oggetto di controversia), del potere inibitorio (mediante notifica all'interessato dell'"ordine motivato di non effettuare il previsto intervento"): ebbene, nessun elemento normativo o sistematico induce a pervenire ad una diversa conclusione, quanto alla tipologia di potere esercitabile dall’Amministrazione, in relazione alla predicata carenza del titolo di disponibilità dell'area interessata dai lavori de quibus.
Così inquadrato il provvedimento impugnato, non resta che rilevare che nessuna motivazione è stata fornita dall'Amministrazione intimata, nonostante il significativo lasso temporale seguito al perfezionamento della D.I.A. (presentata in data 20.01.2009), in ordine all'interesse pubblico giustificativo dell'annullamento ed alla sua eventuale prevalenza sull'interesse conservativo del privato destinatario degli effetti favorevoli dell'atto annullato, secondo lo schema operativo delineato dall'art. 21-nonies l. n. 241/1990 (espressamente richiamato, con riferimento alla disciplina della D.I.A., dall'art. 19, comma 3, l. cit.).
In ogni caso, a prescindere da tale rilievo, deve osservarsi che, come già statuito da questo Tribunale (TAR per la Campania, Sezione Staccata di Salerno, Sez. II, 17.06.2008, n. 1952), "l'articolo 4 della legge n. 10/1977 ed oggi l'articolo 11 del DPR n. 380/2001 dispongono che l'atto abilitativo alla edificazione sia rilasciato "al proprietario dell'immobile o a chi abbia titolo per richiederlo".
In particolare, poi, la giurisprudenza ha avuto modo di chiarire che il rilascio della concessione edilizia non presuppone necessariamente la proprietà del suolo da parte del soggetto istante, essendo sufficiente la disponibilità dello stesso (cfr. Cons. Stato, V, 24.10.1996, n. 1285; IV, 31.01.1995, n. 37); chiarendosi pure che il possesso del bene è riconducibile alle situazioni di legittimazione per la richiesta della concessione edilizia, alle quali, in alternativa a quella dominicale, l'art. 4 l. n. 10/1977 genericamente rinvia (cfr. Cons. Stato, V, 18.06.1996, n. 718).
Pertanto, per affermare la legittimità della determinazione impugnata non è necessario risolvere la questione (tra l'altro pendente dinanzi al giudice civile) in ordine alla titolarità del diritto dominicale. Sufficit al riguardo la titolarità del possesso del bene…
(TAR Campania-Salerno, Sez. I, sentenza 30.05.2013 n. 1181 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Relativamente ai contrasti insorti tra il ricorrente e le proprietà confinanti per l’esercizio del passaggio sulla strada esistente, va rilevato che si tratta di profilo meramente civilistico, sul quale l'amministrazione non può e non deve fondare alcuna preclusione al rilascio del titolo edilizio, se ed in quanto il sottostante intervento sia, indipendentemente dalla controversia civile in atto, legittimamente assentibile in quanto conforme alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti e della disciplina urbanistico-edilizia vigente.
Invero, i rapporti tra l'istante e i vicini hanno natura e rilevanza privatistica e non devono interessare l'amministrazione locale, anche in ragione della clausola di salvaguardia generale che fa salvi i diritti dei terzi (oggi prevista dall'art. 11, comma 3, d.P.R. 06.06.2001 n. 380).
Pertanto, in sede di rilascio di concessione od autorizzazione edilizia, l'amministrazione deve limitarsi a verificare che il richiedente sia proprietario od abbia comunque la disponibilità dell'area interessata, non essendo necessario compiere ulteriori ed autonome indagini circa l'esistenza e/o la natura (reale o personale) di diritti vantati da terzi, che la legge fa comunque salvi.
Infine, per quanto concerne la questione (pure evocata negli atti comunali del 17 e 25.08.2006) dei contrasti insorti tra il ricorrente e le proprietà confinanti per l’esercizio del passaggio sulla strada esistente, va rilevato che si tratta di profilo meramente civilistico, sul quale l'amministrazione non può e non deve fondare alcuna preclusione al rilascio del titolo edilizio, se ed in quanto il sottostante intervento sia, indipendentemente dalla controversia civile in atto, legittimamente assentibile in quanto conforme alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti e della disciplina urbanistico-edilizia vigente.
Invero, i rapporti tra l'istante e i vicini hanno natura e rilevanza privatistica e non devono interessare l'amministrazione locale, anche in ragione della clausola di salvaguardia generale che fa salvi i diritti dei terzi (oggi prevista dall'art. 11, comma 3, d.P.R. 06.06.2001 n. 380; cfr. in questo senso parere Cons. St., sez. II, 27.02.2002, n. 2559, secondo cui "una volta accertata la conformità dell'intervento agli strumenti urbanistici e ai regolamenti edilizi, l'assumere a presupposto del diniego un elemento estraneo a tale verifica, qual è la viabilità di accesso al lotto sul quale si chiede di costruire, esula dai poteri assegnati al Comune dalla legge in sede di rilascio dl permesso di costruire". Nello stesso senso cfr. Cons. di Stato, sez. V, 20.12.1993, n. 1341; TAR Veneto sez. II, 12.01.2011, n. 37; TAR Latina sez. I, 09.12.2010, n. 1949).
Pertanto, in sede di rilascio di concessione od autorizzazione edilizia, l'amministrazione deve limitarsi a verificare che il richiedente sia proprietario od abbia comunque la disponibilità dell'area interessata, non essendo necessario compiere ulteriori ed autonome indagini circa l'esistenza e/o la natura (reale o personale) di diritti vantati da terzi, che la legge fa comunque salvi (cfr. TAR Trento Trentino Alto Adige, Trento 18.06.2002, n. 197, vertente su fattispecie analoga a quella per cui è causa) (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 22.05.2013 n. 617 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il novero dei soggetti legittimati al rilascio del titolo in sanatoria risulta più ampio rispetto a quanto concerne il rilascio dell'ordinario titolo abilitativo edilizio, laddove secondo il prevalente orientamento della giurisprudenza, occorre la titolarità del diritto di proprietà, ovvero di altro diritto reale o anche obbligatorio a condizione del riconoscimento della disponibilità giuridica e materiale del bene nonché della relativa potestà edificatoria.
Il regime, infatti, della concessione edilizia è del tutto diversificato, quanto a presupposti ed elementi propri, da quello della sanatoria. L'affermazione è consapevolmente recepita da parte della giurisprudenza in riferimento alla sanatoria impropria di cui all'art. art. 13 della legge n. 47/1985 secondo cui la dichiarazione di conformità disciplinata dalla norma prevede che la sanatoria ivi disciplinata sia accordata al "responsabile dell'abuso"; la norma, quindi, a differenza di quanto previsto dall'art. 4 della legge n. 10 del 1977 non trova applicazione solo in presenza di una domanda avanzata dal proprietario o da altro titolare di diritto reale in quanto l'abuso sia al medesimo ascrivibile, ma anche in presenza della domanda avanzata da colui che, dell'abuso, è comunque responsabile in quanto, sanato l'abuso, non potrebbe essere più chiamato a rispondere sul piano sanzionatorio penale e/o amministrativo.
Se quindi il collegamento con la proprietà o altro diritto reale si attenua già in sede di legittimazione alla sanatoria impropria oggi disciplinata dall'art. 36 t.u. edilizia approvato con d.p.r. 06.06.2001 n. 380, ciò non può non valere anche in riferimento alla sanatoria propria di cui alla l. 724/1994 (II condono edilizio) la quale, presupponendo un abuso di tipo sostanziale e non già formale, ben può riferirsi -come è paradigmatico dell'illecito- anche ad un collegamento non soggettivamente qualificato. Anche la più recente giurisprudenza del Consiglio di Stato ritiene che ai sensi dell'art. 31, l. 28.02.1985 n. 47 -secondo cui possono richiedere il condono "i soggetti che abbiano interesse"- legittimato a richiedere la concessione edilizia in sanatoria sia anche il promissario acquirente di un terreno, avuto riguardo all'esperibilità della tutela in forma specifica ex art. 2932, cod. civ.
Tale disciplina non risulta mutata nel regime introdotto con l'art. 39 della l. 724/1994, non emergendo restrizioni rispetto al criterio legittimante di cui al citato art. 31 l. 47/1985.
Va pertanto affermato che "legittimati all'istanza di condono edilizio ex l. 724/1994 sono oltre coloro che hanno titolo a richiedere la concessione edilizia/permesso di costruire, anche il promissario acquirente o il conduttore e più in generale tutti coloro che vi abbiano interesse, senza il necessario consenso ed anche, al limite, contro la volontà del proprietario del bene”.
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Poiché “il rilascio del certificato di abitabilità di un fabbricato, conseguente al condono edilizio può legittimamente avvenire in deroga solo a norme regolamentari, e non anche quando siano carenti condizioni di salubrità richieste invece da fonti normative di livello primario, in quanto la disciplina del condono edilizio, per il suo carattere di eccezionalità e derogatorio, non è suscettibile di interpretazioni estensive e, soprattutto, tali da incidere sul fondamentale principio della tutela della salute, con evidenti riflessi sul piano della legittimità costituzionale, considerato anche che le deficienze igienico sanitarie riscontrate dai competenti uffici della U.s.l. integrano la violazione di prescrizioni poste a tutela della salubrità degli ambienti adibiti ad abitazione da fonti normative di carattere primario, quali gli artt. 218 e 221, t.u. leggi sanitarie 27.07.1934 n. 1265" spetterà quindi all’Autorità sanitaria competente in sede di istruttoria per il rilascio dell’abitabilità valutare se effettivamente nella specie le altezze dei fabbricati siano tali da impedire l’utilizzazione del bene come abitazione.

Invero la giurisprudenza ha chiarito che: “Il novero dei soggetti legittimati al rilascio del titolo in sanatoria risulta […] più ampio rispetto a quanto concerne il rilascio dell'ordinario titolo abilitativo edilizio, laddove secondo il prevalente orientamento della giurisprudenza, occorre la titolarità del diritto di proprietà, ovvero di altro diritto reale o anche obbligatorio a condizione del riconoscimento della disponibilità giuridica e materiale del bene nonché della relativa potestà edificatoria" (Consiglio di Stato V 28.05.2001 n. 2881, TAR Emilia Romagna Bologna 21.02.2007 n. 53, TAR Lombardia Milano sez II 31.03.2010 n. 842) […].
Il regime, infatti, della concessione edilizia è del tutto diversificato, quanto a presupposti ed elementi propri, da quello della sanatoria. L'affermazione è consapevolmente recepita da parte della giurisprudenza (TAR Campania Napoli sez VIII 14.01.2011, n. 196) in riferimento alla sanatoria impropria di cui all'art. art. 13 della legge n. 47/1985 secondo cui la dichiarazione di conformità disciplinata dalla norma prevede che la sanatoria ivi disciplinata sia accordata al "responsabile dell'abuso"; la norma, quindi, a differenza di quanto previsto dall'art. 4 della legge n. 10 del 1977 non trova applicazione solo in presenza di una domanda avanzata dal proprietario o da altro titolare di diritto reale in quanto l'abuso sia al medesimo ascrivibile, ma anche in presenza della domanda avanzata da colui che, dell'abuso, è comunque responsabile in quanto, sanato l'abuso, non potrebbe essere più chiamato a rispondere sul piano sanzionatorio penale e/o amministrativo.
Se quindi il collegamento con la proprietà o altro diritto reale si attenua già in sede di legittimazione alla sanatoria impropria oggi disciplinata dall'art. 36 t.u. edilizia approvato con d.p.r. 06.06.2001 n. 380, ciò non può non valere anche in riferimento alla sanatoria propria di cui alla l. 724/1994 (II condono edilizio) la quale, presupponendo un abuso di tipo sostanziale e non già formale, ben può riferirsi -come è paradigmatico dell'illecito- anche ad un collegamento non soggettivamente qualificato. Anche la più recente giurisprudenza del Consiglio di Stato (sez. IV, 27.10.2009, n. 6545) ritiene che ai sensi dell'art. 31, l. 28.02.1985 n. 47 -secondo cui possono richiedere il condono "i soggetti che abbiano interesse"- legittimato a richiedere la concessione edilizia in sanatoria sia anche il promissario acquirente di un terreno, avuto riguardo all'esperibilità della tutela in forma specifica ex art. 2932, cod. civ.
Tale disciplina non risulta mutata nel regime introdotto con l'art. 39 della l. 724/1994, non emergendo restrizioni rispetto al criterio legittimante di cui al citato art. 31 l. 47/1985.
Va pertanto affermato che "legittimati all'istanza di condono edilizio ex l. 724/1994 sono oltre coloro che hanno titolo a richiedere la concessione edilizia/permesso di costruire, anche il promissario acquirente o il conduttore (Corte di Appello Firenze sez II 04.05.2010 n. 594) e più in generale tutti coloro che vi abbiano interesse, senza il necessario consenso ed anche, al limite, contro la volontà del proprietario del bene” (cfr. TAR Bari Puglia 09.07.2011 n. 1057).
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In proposito il Collegio deve rilevare che il condono edilizio è finalizzato alla definizione degli illeciti edilizi che nella specie sono relativi alle opere funzionali al cambio di destinazione d’uso di due stenditoi in civili abitazioni.
Con il rilascio del permesso di costruire in sanatoria, dunque, si sono sanate esclusivamente le opere edilizie, mentre l’utilizzazione degli immobili come civili abitazioni (come del resto risulta nelle condizioni generali in calce al provvedimento impugnato) è soggetto al rilascio del certificato di agibilità.
Poiché “il rilascio del certificato di abitabilità di un fabbricato, conseguente al condono edilizio può legittimamente avvenire in deroga solo a norme regolamentari, e non anche quando siano carenti condizioni di salubrità richieste invece da fonti normative di livello primario, in quanto la disciplina del condono edilizio, per il suo carattere di eccezionalità e derogatorio, non è suscettibile di interpretazioni estensive e, soprattutto, tali da incidere sul fondamentale principio della tutela della salute, con evidenti riflessi sul piano della legittimità costituzionale, considerato anche che le deficienze igienico sanitarie riscontrate dai competenti uffici della U.s.l. integrano la violazione di prescrizioni poste a tutela della salubrità degli ambienti adibiti ad abitazione da fonti normative di carattere primario, quali gli artt. 218 e 221, t.u. leggi sanitarie 27.07.1934 n. 1265" (cfr. Consiglio di Stato 03.05.2011 n. 2620) spetterà quindi all’Autorità sanitaria competente in sede di istruttoria per il rilascio dell’abitabilità valutare se effettivamente nella specie le altezze dei fabbricati siano tali da impedire l’utilizzazione del bene come abitazione
(TAR Puglia-Lecce, Sez. III, sentenza 20.05.2013 n. 1162 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il permesso di costruire, come ogni altro atto della p.A. destinato ad incidere sulla proprietà privata, costituisce un provvedimento autoritativo, di natura vincolata e non discrezionale, con il quale si vuole attestare la conformità del progetto alla normativa urbanistica ed edilizia della zona interessata. A tal fine il Comune deve articolare l’istruttoria verificando l’esistenza dei presupposti richiesti dall’art. 11 del d.p.r. n. 380/2001, secondo il quale “il permesso di costruire è rilasciato al proprietario dell’immobile o a chi abbia titolo per richiederlo”.
Invero, la p.A. deve rilasciare il permesso di costruire solo a chi dimostri di possedere un titolo idoneo di godimento sull’area da assoggettare alla trasformazione urbanistica; è chiaro che il Comune, in sede di esame dei progetti edilizi, è chiamato a valutare se ricorrono le condizioni legali e fattuali per l’esercizio dello ius aedificandi, ovvero di una facoltà inerente al diritto di proprietà.
In ossequio, dunque, ai principi generali di efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa sanciti dall’art. 1 l. 241/1990, è richiesto un controllo non solo formale ma anche sostanziale sui requisiti di ammissibilità della domanda di autorizzazione. Tuttavia, al di là di tale onere di accertamento, non incombe in capo alla PA l’ulteriore onere di effettuare complesse indagini e ricognizioni giuridico documentali sul titolo di proprietà depositato dal richiedente. Il Comune deve limitarsi ad accertare l’astratta titolarità della proprietà in capo a costui, senza doverla accertare in concreto. La giurisprudenza maggioritaria è infatti concorde nell’affermare che “ai fini del rilascio del permesso di costruire l’amministrazione è onerata del solo accertamento della sussistenza del titolo astrattamente idoneo da parte del richiedente alla disponibilità dell’area oggetto dell’intervento edilizio: cioè l’astratta proprietà desunta dagli atti pubblici prodotti ed in via residuale dalle risultanze catastali”.
Inoltre, con riferimento all’ipotesi in cui sussistano conflitti di interesse tra le parti private in ordine all’assetto proprietario degli immobili interessati, la p.A. ha il dovere di verificare l’esistenza di un titolo di proprietà legittimante all’esercizio dello ius aedificandi, ma non può essere onerata dell’accertamento circa la reale titolarità del diritto di proprietà, che compete, se del caso, al giudice ordinario e non al giudice amministrativo, rientrando nella sfera dei diritti soggettivi a quest’ultimo generalmente preclusi. Ed invero, con riferimento ai diritti dei terzi si ritiene, concordemente, che sia estraneo al potere dell’amministrazione comunale l’accertamento di eventuali limiti al diritto di proprietà del richiedente nell’esercizio dell’attività edificatoria.

Invero, secondo giurisprudenza consolidata, il permesso di costruire, come ogni altro atto della p.A. destinato ad incidere sulla proprietà privata, costituisce un provvedimento autoritativo, di natura vincolata e non discrezionale, con il quale si vuole attestare la conformità del progetto alla normativa urbanistica ed edilizia della zona interessata. A tal fine il Comune deve articolare l’istruttoria verificando l’esistenza dei presupposti richiesti dall’art. 11 del d.p.r. n. 380/2001, secondo il quale “il permesso di costruire è rilasciato al proprietario dell’immobile o a chi abbia titolo per richiederlo”.
Da una corretta interpretazione della norma, si evince che la p.A. deve rilasciare il permesso di costruire solo a chi dimostri di possedere un titolo idoneo di godimento sull’area da assoggettare alla trasformazione urbanistica; è chiaro che il Comune, in sede di esame dei progetti edilizi, è chiamato a valutare se ricorrono le condizioni legali e fattuali per l’esercizio dello ius aedificandi, ovvero di una facoltà inerente al diritto di proprietà.
In ossequio, dunque, ai principi generali di efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa sanciti dall’art. 1 l. 241/1990, è richiesto un controllo non solo formale ma anche sostanziale sui requisiti di ammissibilità della domanda di autorizzazione. Tuttavia, al di là di tale onere di accertamento, non incombe in capo alla PA l’ulteriore onere di effettuare complesse indagini e ricognizioni giuridico documentali sul titolo di proprietà depositato dal richiedente. Il Comune deve limitarsi ad accertare l’astratta titolarità della proprietà in capo a costui, senza doverla accertare in concreto. La giurisprudenza maggioritaria è infatti concorde nell’affermare che “ai fini del rilascio del permesso di costruire l’amministrazione è onerata del solo accertamento della sussistenza del titolo astrattamente idoneo da parte del richiedente alla disponibilità dell’area oggetto dell’intervento edilizio: cioè l’astratta proprietà desunta dagli atti pubblici prodotti ed in via residuale dalle risultanze catastali” (da ultimo Cons. Stato sez. IV n. 1990/2012).
Inoltre, con riferimento all’ipotesi in cui sussistano conflitti di interesse tra le parti private in ordine all’assetto proprietario degli immobili interessati, la p.A. ha il dovere di verificare l’esistenza di un titolo di proprietà legittimante all’esercizio dello ius aedificandi, ma non può essere onerata dell’accertamento circa la reale titolarità del diritto di proprietà, che compete, se del caso, al giudice ordinario e non al giudice amministrativo, rientrando nella sfera dei diritti soggettivi a quest’ultimo generalmente preclusi. Ed invero, con riferimento ai diritti dei terzi si ritiene, concordemente, che sia estraneo al potere dell’amministrazione comunale l’accertamento di eventuali limiti al diritto di proprietà del richiedente nell’esercizio dell’attività edificatoria
(TAR Campania-Salerno, Sez. II, sentenza 02.05.2013 n. 1043 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: In materia di legittimazione a richiedere titoli edilizi, l'amministrazione comunale deve necessariamente verificare che il richiedente abbia titolo per intervenire sull'immobile interessato dall'intervento, anche se deve nel contempo escludersi un obbligo del comune di effettuare al riguardo accertamenti laboriosi e complessi, diretti a ricostruire tutte le vicende riguardanti la titolarità dell'immobile, o di verificare l'inesistenza di servitù o altri vincoli reali che potrebbero limitare l'attività edificatoria dell'immobile.
Il titolo edilizio, essendo rilasciato con espressa salvezza dei diritti dei terzi, è invero un atto amministrativo che rende semplicemente legittima l'attività edilizia nell'ordinamento pubblicistico, e regola solo il rapporto che, in relazione a quell'attività, si pone in essere tra l'autorità amministrativa che lo emette ed il soggetto a favore del quale è emesso, ma non attribuisce a favore di tale soggetto diritti soggettivi conseguenti all'attività stessa, la cui titolarità deve essere sempre verificata dall’autorità giudiziaria ordinaria alla stregua della disciplina fissata dal diritto comune.
Tali principi debbono valere –a più forte ragione– rispetto al procedimento di accertamento della compatibilità paesaggistica, posto che la legittimazione a richiedere il relativo titolo (art. 167, comma 5, D.Lgs. n. 42/2004) spetta non soltanto al proprietario dell’immobile (art. 11, comma 1, D.P.R. 06.06.2001, n. 380), ma anche al possessore o detentore “a qualsiasi titolo” dell'immobile o dell'area interessati dagli interventi.

Giova premettere come, per costante giurisprudenza, in materia di legittimazione a richiedere titoli edilizi, l'amministrazione comunale deve necessariamente verificare che il richiedente abbia titolo per intervenire sull'immobile interessato dall'intervento, anche se deve nel contempo escludersi un obbligo del comune di effettuare al riguardo accertamenti laboriosi e complessi, diretti a ricostruire tutte le vicende riguardanti la titolarità dell'immobile, o di verificare l'inesistenza di servitù o altri vincoli reali che potrebbero limitare l'attività edificatoria dell'immobile.
Il titolo edilizio, essendo rilasciato con espressa salvezza dei diritti dei terzi, è invero un atto amministrativo che rende semplicemente legittima l'attività edilizia nell'ordinamento pubblicistico, e regola solo il rapporto che, in relazione a quell'attività, si pone in essere tra l'autorità amministrativa che lo emette ed il soggetto a favore del quale è emesso, ma non attribuisce a favore di tale soggetto diritti soggettivi conseguenti all'attività stessa, la cui titolarità deve essere sempre verificata dall’autorità giudiziaria ordinaria alla stregua della disciplina fissata dal diritto comune.
Tali principi debbono valere –a più forte ragione– rispetto al procedimento di accertamento della compatibilità paesaggistica, posto che la legittimazione a richiedere il relativo titolo (art. 167, comma 5, D.Lgs. n. 42/2004) spetta non soltanto al proprietario dell’immobile (art. 11, comma 1, D.P.R. 06.06.2001, n. 380), ma anche al possessore o detentore “a qualsiasi titolo” dell'immobile o dell'area interessati dagli interventi.
Nel caso di specie, è pacifico che, all’atto della presentazione dell’istanza di compatibilità paesaggistica (24.05.2011), parte ricorrente fosse certamente nel possesso dell’area sulla quale è stata realizzata la staccionata in questione, secondo quanto accertato dalla sentenza del Tribunale civile di Genova, Sez. III, 27.01.2010, n. 364 (doc. 10 delle produzioni 20.01.2012 di parte ricorrente) -esecutiva per legge- emessa anche nei confronti dell’amministrazione comunale.
Di più, tale circostanza risultava essere stata confermata dalla stessa amministrazione comunale, in esito ad un apposito sopralluogo in data 29.04.2009 (doc. 7 delle produzioni 20.01.2012 di parte ricorrente).
A fronte di un tale quadro istruttorio e della circostanza che l’accertamento della compatibilità paesaggistica è comunque rilasciato con salvezza dei diritti dei terzi, non vi era dunque alcuna necessità di disporre -viepiù nella pendenza del giudizio civile di appello tra le parti- ulteriori laboriosi e complicati accertamenti in ordine alla proprietà dell’area di sedime della staccionata, derivando la legittimazione dei ricorrenti a richiedere l’accertamento della compatibilità paesaggistica dalla semplice, comprovata situazione di possesso e/o detenzione -ex art. 167, comma 5, D.Lgs. n. 42/2004- dell’area interessata dall’intervento (TAR Liguria, Sez. I, sentenza 30.04.2013 n. 732 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L'articolo 4 della legge n. 10/1977 ed oggi l'articolo 11 del DPR n. 380/2001 dispongono che l'atto abilitativo alla edificazione sia rilasciato "al proprietario dell'immobile o a chi abbia titolo per richiederlo".
In particolare, poi, la giurisprudenza ha avuto modo di chiarire che il rilascio della concessione edilizia non presuppone necessariamente la proprietà del suolo da parte del soggetto istante, essendo sufficiente la disponibilità dello stesso; chiarendosi pure che il possesso del bene è riconducibile alle situazioni di legittimazione per la richiesta della concessione edilizia, alle quali , in alternativa a quella dominicale, l'art. 4 l. n. 10/1977 genericamente rinvia.

In ogni caso, anche ad ammettere la fondatezza della tesi predetta, deve rilevarsi che, come già statuito da questo Tribunale (TAR per la Campania, Sezione Staccata di Salerno, Sez. II, 17.06.2008, n. 1952), "l'articolo 4 della legge n. 10/1977 ed oggi l'articolo 11 del DPR n. 380/2001 dispongono che l'atto abilitativo alla edificazione sia rilasciato "al proprietario dell'immobile o a chi abbia titolo per richiederlo".
In particolare, poi, la giurisprudenza ha avuto modo di chiarire che il rilascio della concessione edilizia non presuppone necessariamente la proprietà del suolo da parte del soggetto istante, essendo sufficiente la disponibilità dello stesso (cfr. Cons. Stato, V, 24.10.1996, n. 1285; IV, 31.01.1995, n. 37); chiarendosi pure che il possesso del bene è riconducibile alle situazioni di legittimazione per la richiesta della concessione edilizia, alle quali , in alternativa a quella dominicale, l'art. 4 l. n. 10/1977 genericamente rinvia (cfr. Cons. Stato, V, 18.06.1996, n. 718).
Pertanto, per affermare la legittimità della determinazione impugnata non è necessario risolvere la questione (tra l'altro pendente dinanzi al giudice civile) in ordine alla titolarità del diritto dominicale. Sufficit al riguardo la titolarità del possesso del bene…
" (TAR Campania-Salerno, Sez. I, sentenza 16.04.2013 n. 876 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il parametro valutativo dell’attività edilizia svolta dai privati resta circoscritto all’accertamento, da parte dell’autorità competente al rilascio del richiesto titolo abilitativo edilizio, della mera conformità dell’opera progettata alla disciplina urbanistica, sempre restando salvi i diritti dei terzi; nel senso che la legittimità del provvedimento ampliativo non interferisce, comunque, con l’assetto dei rapporti tra privati; e con la conseguenza che non sussiste un obbligo generalizzato, per detta autorità, di verificare l’insussistenza di limiti di matrice civilistica alla realizzazione di un intervento edilizio.
Tuttavia, ai sensi del comb. disp. artt. 11, comma 1, e 20, comma 1, del d.p.r. n. 380/2001, l’amministrazione ha il potere-dovere di accertare, nei confronti del richiedente, il possesso del requisito della legittimazione, ossia di un idoneo titolo di godimento sul bene riguardato dal progetto di trasformazione urbanistica sottopostole, allorquando, segnatamente, quest’ultimo provenga da un terzo non proprietario ovvero comproprietario dell’immobile.
Pertanto, il permesso di costruire può, bensì, essere richiesto con salvezza dei diritti dei terzi, e al richiedente essere legittimamente rilasciato, purché, però, non determini un evidente contrasto col diritto di altri che non lo abbia richiesto. E, quindi, se, di regola, l’autorità competente non è chiamata a svolgere complesse indagini volte a ricostruire le vicende concernenti la titolarità del bene attinto dagli interventi progettati, è, comunque, tenuta a verificare se l’istanza edificatoria sia sorretta dalla effettiva disponibilità del predetto bene, soprattutto nel caso in cui altri soggetti si attivino per esprimere la propria opposizione.

Ciò premesso, il Collegio non ignora, poi, che il parametro valutativo dell’attività edilizia svolta dai privati resta circoscritto all’accertamento, da parte dell’autorità competente al rilascio del richiesto titolo abilitativo edilizio, della mera conformità dell’opera progettata alla disciplina urbanistica, sempre restando salvi i diritti dei terzi; nel senso che la legittimità del provvedimento ampliativo non interferisce, comunque, con l’assetto dei rapporti tra privati; e con la conseguenza che non sussiste un obbligo generalizzato, per detta autorità, di verificare l’insussistenza di limiti di matrice civilistica alla realizzazione di un intervento edilizio.
Tuttavia, ai sensi del comb. disp. artt. 11, comma 1, e 20, comma 1, del d.p.r. n. 380/2001, l’amministrazione ha il potere-dovere di accertare, nei confronti del richiedente, il possesso del requisito della legittimazione, ossia di un idoneo titolo di godimento sul bene riguardato dal progetto di trasformazione urbanistica sottopostole, allorquando, segnatamente, quest’ultimo provenga da un terzo non proprietario ovvero comproprietario dell’immobile –come prospettato dalla Provincia di Caserta nella nota del 28.12.2010, prot. n. 122405, e dai controinteressati nelle note del 28.10.2010, prot. n. 106384, e del 05.05.2011, prot. n. 7976– (cfr. Cons. Stato, sez. V, 20.09.2001, n. 4972; TAR Toscana, sez. III, 23.11.2001, n. 1651; TAR Emilia Romagna, Bologna, 21.03.2002, n. 183; TAR Marche, 28.06.2004, n. 784; TAR Valle d’Aosta, 17.11.2010, n. 63).
Pertanto, il permesso di costruire può, bensì, essere richiesto con salvezza dei diritti dei terzi, e al richiedente essere legittimamente rilasciato, purché, però, non determini un evidente contrasto col diritto di altri che non lo abbia richiesto (cfr. TAR Marche, 26.04.2007, n. 644). E, quindi, se, di regola, l’autorità competente non è chiamata a svolgere complesse indagini volte a ricostruire le vicende concernenti la titolarità del bene attinto dagli interventi progettati, è, comunque, tenuta a verificare se l’istanza edificatoria sia sorretta dalla effettiva disponibilità del predetto bene, soprattutto nel caso –come, appunto, quello in esame– in cui altri soggetti si attivino per esprimere la propria opposizione (cfr. Cons. Stato, sez. V, 20.09.2001, n. 4972; 21.10.2003, n. 6529; TAR Lombardia, Milano, sez. II, 11.02.2005, n. 357; sez. III, 27.08.2010, n. 4414; TAR Campania, Napoli, sez. IV, 18.05.2005, n. 6487)
(TAR Campania-Napoli, Sez. I, sentenza 11.04.2013 n. 1923 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L’Amministrazione comunale è certamente chiamata allo svolgimento di un’attività istruttoria per accertare la sussistenza del titolo legittimante, anche se all’Ente pubblico spetta soltanto la verifica, in capo al richiedente, di un titolo sostanziale idoneo a costituire la posizione legittimante, senza alcuna ulteriore e minuziosa indagine che si estenda fino alla ricerca di eventuali fattori limitativi, preclusivi o estintivi del titolo di disponibilità dell’immobile, allegato da chi presenta istanza edilizia, il che spiega perché il permesso di costruire ed in genere i titoli edilizi sono sempre rilasciati con la formula “fatti salvi i diritti dei terzi”.
L’art. 23, comma 1, del DPR 380/2001 consente la presentazione della DIA al <<proprietario dell’immobile o a chi abbia titolo (…)>>, utilizzando un’espressione sostanzialmente identica a quella contenuta nell’art. 11 del medesimo DPR (sulle caratteristiche del permesso di costruire) e, nella Regione Lombardia, negli articoli 35 e 42 della legge regionale 12/2005 sul governo del territorio.
La disposizione di cui sopra –in ordine ai soggetti legittimati a chiedere al Comune di poter svolgere attività edilizia- viene interpretata dalla giurisprudenza amministrativa nel senso che l’Amministrazione comunale è certamente chiamata allo svolgimento di un’attività istruttoria per accertare la sussistenza del titolo legittimante, anche se all’Ente pubblico spetta soltanto la verifica, in capo al richiedente, di un titolo sostanziale idoneo a costituire la posizione legittimante, senza alcuna ulteriore e minuziosa indagine che si estenda fino alla ricerca di eventuali fattori limitativi, preclusivi o estintivi del titolo di disponibilità dell’immobile, allegato da chi presenta istanza edilizia, il che spiega perché il permesso di costruire ed in genere i titoli edilizi sono sempre rilasciati con la formula “fatti salvi i diritti dei terzi” (cfr. sul punto, Consiglio di Stato, sez. IV, 08.06.2011, n. 3508; TAR Lombardia, Milano, sez. II, 10.02.2012, n. 496 e 31.03.2010, n. 842, con la giurisprudenza ivi richiamata, oltre a TAR Campania, Napoli, sez. II, 06.12.2010, n. 26817).
Nella Regione Lombardia, a conferma del citato indirizzo interpretativo, l’art. 42, comma 8, lett. a), della legge regionale 12/2005 prevede che il dirigente o il responsabile dell’ufficio competente verifichi, in relazione alla DIA, <<la regolarità formale e la completezza della documentazione presentata>> (TAR Lombardia-Milano, sez. II, sentenza 26.02.2013 n. 529 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAE' da ritenersi illegittima -per difetto di istruttoria adeguata- una autorizzazione, in seguito a presentazione di denuncia di inizio attività edilizia, tacitamente assentita, per il fatto che il Comune non ha adeguatamente valutato, pur in presenza di contestazioni circa la titolarità dell'area, il presupposto della disponibilità dell'area previsto dalle richiamate disposizioni.
L'art. 4 della legge 28.01.1977, n. 10, infatti (riprodotto dall'art. 11 del D.P.R. 06.06.2001, n. 380 - T.U. edilizia), nel prevedere che la concessione edilizia (oggi permesso di costruire), sia rilasciata "al proprietario dell'immobile o a chi abbia titolo per richiederlo", prevede anche che, in sede di rilascio, il Comune è tenuto a verificare la legittimazione soggettiva del richiedente, con il solo limite di non poter procedere d'ufficio ad indagini su profili della stessa che non appaiano controversi.
Se, dunque, il potere-dovere così delineato in capo all'Amministrazione può limitarsi alla verifica dell'esistenza del possesso dell'area (e cioè del concreto esercizio, da parte del richiedente il titolo, del potere sulla cosa, che si concreta in un'attività corrispondente all'esercizio della proprietà o di altro diritto reale), tale accertamento attiene pur sempre ad un livello minimo di istruttoria, che va superato ed approfondito allorché, problematiche di asserita, indebita, appropriazione del fondo altrui insorgano già all'atto della domanda.

Si è detto pertanto, in giurisprudenza, che “è da ritenersi illegittima -per difetto di istruttoria adeguata- una autorizzazione, in seguito a presentazione di denuncia di inizio attività edilizia, tacitamente assentita, per il fatto che il Comune non ha adeguatamente valutato, pur in presenza di contestazioni circa la titolarità dell'area, il presupposto della disponibilità dell'area previsto dalle richiamate disposizioni. L'art. 4 della legge 28.01.1977, n. 10, infatti (riprodotto dall'art. 11 del D.P.R. 06.06.2001, n. 380 - T.U. edilizia), nel prevedere che la concessione edilizia (oggi permesso di costruire), sia rilasciata "al proprietario dell'immobile o a chi abbia titolo per richiederlo", prevede anche che, in sede di rilascio, il Comune è tenuto a verificare la legittimazione soggettiva del richiedente, con il solo limite di non poter procedere d'ufficio ad indagini su profili della stessa che non appaiano controversi. Se, dunque, il potere-dovere così delineato in capo all'Amministrazione può limitarsi alla verifica dell'esistenza del possesso dell'area (e cioè del concreto esercizio, da parte del richiedente il titolo, del potere sulla cosa, che si concreta in un'attività corrispondente all'esercizio della proprietà o di altro diritto reale), tale accertamento attiene pur sempre ad un livello minimo di istruttoria, che va superato ed approfondito allorché, problematiche di asserita, indebita, appropriazione del fondo altrui insorgano già all'atto della domanda” (Cons. Stato Sez. IV Sent., 25-11-2008, n. 5811) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 25.02.2013 n. 1144 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL'Amministrazione chiamata ad esprimersi in merito alle richieste di titoli abilitanti all'esercizio delle facoltà edificatorie deve sì compiere valutazioni di controllo della regolarità urbanistica, ma oggetto della valutazione dell'Autorità pubblica deve essere altresì la legittimazione soggettiva allo ius aedificandi ed i suoi limiti nei casi concreti (art. 11 D.P.R. n. 380 del 2001)
I ricorrenti, come già esposto in fatto, sono confinanti con l'area interessata dall'intervento per cui è causa e lamentano un pregiudizio correlato alla soppressione, prevista nel piano di lottizzazione impugnato, della preesistente stradella che in atto consente loro il passaggio pedonale e veicolare sulle particelle gravate dalla servitù, fino al congiungimento con la pubblica via.
Essi, perciò, hanno titolo ad intervenire nel procedimento di formazione della volontà amministrativa in ordine alla domanda di concessione per l’attuazione del predetto piano di lottizzazione sull’area confinante, su parte della quale grava la preesistente servitù di passaggio, e l'Amministrazione ha l'obbligo di garantire la loro partecipazione al procedimento e di valutare gli scritti e i documenti da essi presentati in merito all'oggetto del procedimento.
I ricorrenti rivestono infatti un interesse contrario alla realizzazione del piano di lottizzazione presentato dalla ditta controinteressata ed approvato dal Comune, per quanto concerne il tracciato della viabilità, che modificando l’originaria servitù di passaggio gravante su una parte dell’area da lottizzare ha di fatto determinato, con l’eliminazione dell’accesso alla via pubblica, l’interclusione del loro fondo, così come risulta dalla relazione di c.t.u. (allegato 4: “a seguito dell’approvazione del piano di lottizzazione il fondo dei ricorrenti sarebbe raggiungibile solo mediante passaggio da strade private e, a meno di una ridefinizione di una nuova servitù di passaggio, in punto di fatto il fondo è da ritenersi intercluso”) ; ed in tale posizione antitetica gli stessi avevano proposto al Comune di Vittoria l’opposizione del 24.12.2010,
L’esistenza della servitù, peraltro, era nello specifico immediatamente conoscibile da parte dell’Amministrazione comunale, atteso che la stessa risulta dal rogito di stipula della compravendita del terreno in questione da parte della società controinteressata, nel quale “la parte acquirente dichiara di essere a conoscenza che parte del suolo in oggetto rappresentato dalle particelle 851 e 1304 predette è attraversato, lungo il confine con la particella 1145, da stradella privata larga metri 5, che inizia dalla strada circonvallazione fino a immettersi nel lotto di terreno rappresentato in catasto dalle particelle 1305 e 62 del detto foglio 67;…” (quello di proprietà dei ricorrenti).
Il vincolo gravante sull’area interessata dalla realizzanda lottizzazione è inoltre riconosciuto dalla stessa controinteressata, che nelle proprie controdeduzioni all’opposizione dei ricorrenti riconosce espressamente che nel piano di lottizzazione la servitù risulta spostata rispetto al percorso originario, anche se nella prospettazione della controinteressata lo spostamento risulterebbe migliorativo per i ricorrenti.
Risulta, infine, dalla espletata c.t.u. che la preesistente servitù di passaggio è stata modificata attraverso un nuovo tracciato che, così come lamentato dai ricorrenti, rende impossibile agli stessi l’accesso alla strada pubblica, in quanto il piano prevede, al posto della stradella in atto esistente, una strada più larga di quella attuale, la quale “si collega non direttamente alla via pubblica ma tramite strade private di accesso ai vari lotti” (relazione di CTU sub punto 6). La C.T.U. conferma, dunque, che “la viabilità non rispecchia lo stato delle servitù private di passaggio e non sfrutta la via pubblica per il fondo dei ricorrenti”.
Risultano pertanto fondati i motivi di ricorso incentrati sulla violazione del contraddittorio procedimentale.
All’omessa partecipazione al procedimento dei ricorrenti confinanti non pone rimedio la risposta dell’Amministrazione comunale all’opposizione del 24.12.2010, intervenuta in corso di causa, né le deduzioni della società controinteressata alla quale il Comune, con nota del 19.01.2011, aveva trasmesso l’opposizione predetta, che erroneamente escludono che l'Amministrazione chiamata ad esprimersi in merito alle richieste di titoli abilitanti all'esercizio delle facoltà edificatorie debba compiere valutazioni diverse dal controllo della regolarità urbanistica, poiché oggetto della valutazione dell'Autorità pubblica deve essere altresì la legittimazione soggettiva allo ius aedificandi ed i suoi limiti nei casi concreti (art. 11 D.P.R. n. 380 del 2001) (TAR Sicilia-Catania, Sez. I, sentenza 17.01.2013 n. 125 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2012

EDILIZIA PRIVATAL’interessato al rilascio di un titolo edilizio circa un dato immobile deve avere “titoli reali” per intervenirvi: non è all’evidenza in generale tale una servitù, che attribuisce come è noto al proprietario del fondo dominante specifiche e limitate possibilità di intervento sul fondo servente, e quindi di regola non la possibilità di edificarvi in via pura e semplice.
Ai sensi del noto art. 11, comma 1, del T.U. 380/2001, “Il permesso di costruire è rilasciato al proprietario dell'immobile o a chi abbia titolo per richiederlo”; la norma, che è di legge statale, ha evidente carattere di principio ed è quindi valida per tutte le Regioni; comunque, ad essa si conforma l’art. 38, comma 1, della l.r. Lombardia 11.03.2005 n. 12, per cui la domanda di rilascio del permesso è “sottoscritta dal proprietario dell'immobile o da chi abbia titolo per richiederlo”.
La giurisprudenza, per parte sua, ha poi chiarito –da ultimo C.d.S. sez. IV 08.07.2011 n. 3508, che si cita per tutte- che l’interessato al rilascio di un titolo edilizio circa un dato immobile deve avere “titoli reali” per intervenirvi: non è all’evidenza in generale tale una servitù, che attribuisce come è noto al proprietario del fondo dominante specifiche e limitate possibilità di intervento sul fondo servente, e quindi di regola non la possibilità di edificarvi in via pura e semplice (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 15.11.2012 n. 1803 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il Comune ha l'obbligo, nel corso dell'istruttoria sul rilascio del permesso di costruire, di verificare che esista il titolo per intervenire sull'immobile per il quale è richiesto il titolo edilizio e che, quindi, questo sia rilasciato al proprietario dell'area o a chi abbia titolo per richiederlo.
A carico dell'amministrazione incombe, però, solo tale adempimento e non quello di compiere complesse ricognizioni giuridico-documentali ovvero accertamenti in ordine ad eventuali pretese che potrebbero essere avanzate da soggetti estranei al rapporto concessorio.
Il Comune, invero, nel verificare l'esistenza in capo al richiedente il permesso edilizio di un idoneo titolo di godimento sull'immobile, non si assume il compito di risolvere eventuali conflitti di interesse tra le parti private in ordine all'assetto proprietario, ma accerta unicamente il requisito della legittimazione soggettiva di colui che richiede il permesso.

Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza amministrativa, il Comune ha l'obbligo, nel corso dell'istruttoria sul rilascio del permesso di costruire, di verificare che esista il titolo per intervenire sull'immobile per il quale è richiesto il titolo edilizio e che, quindi, questo sia rilasciato al proprietario dell'area o a chi abbia titolo per richiederlo (v. ex multis: Cons. Stato, sez. V, 07.07.2005 n. 3730; TAR Lombardia, Brescia, 19.10.2005 n. 995).
A carico dell'amministrazione incombe, però, solo tale adempimento e non quello di compiere complesse ricognizioni giuridico-documentali ovvero accertamenti in ordine ad eventuali pretese che potrebbero essere avanzate da soggetti estranei al rapporto concessorio.
Il Comune, invero, nel verificare l'esistenza in capo al richiedente il permesso edilizio di un idoneo titolo di godimento sull'immobile, non si assume il compito di risolvere eventuali conflitti di interesse tra le parti private in ordine all'assetto proprietario, ma accerta unicamente il requisito della legittimazione soggettiva di colui che richiede il permesso (Cons. Stato, sez. IV - sentenza 06.03.2012 n. 1270)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 14.11.2012 n. 2756 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il permesso di costruire è un atto amministrativo che rende legittima l'attività edilizia nell'ordinamento pubblicistico e regola il rapporto che in relazione a quell'attività si pone in essere tra l'autorità amministrativa che lo emette ed il soggetto a favore del quale è emesso, ma non attribuisce a favore di tale soggetto diritti soggettivi conseguenti all'attività stessa, la cui titolarità deve essere sempre verificata alla stregua della disciplina fissata dal diritto comune, con le consentite integrazioni della normativa speciale di cui all'art. 872 c.c. ed alle norme da esso richiamate.
In ogni caso, il permesso di costruire è un atto amministrativo che rende legittima l'attività edilizia nell'ordinamento pubblicistico e regola il rapporto che in relazione a quell'attività si pone in essere tra l'autorità amministrativa che lo emette ed il soggetto a favore del quale è emesso, ma non attribuisce a favore di tale soggetto diritti soggettivi conseguenti all'attività stessa, la cui titolarità deve essere sempre verificata alla stregua della disciplina fissata dal diritto comune, con le consentite integrazioni della normativa speciale di cui all'art. 872 c.c. ed alle norme da esso richiamate (Cons. Stato, sez. V, 07.09.2009, n. 5223; TAR Milano Lombardia sez. II, 28.04.2010, n. 1168) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 14.11.2012 n. 2756 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Posto che il permesso di costruire attiene ad un’attività di carattere vincolato al rispetto della disciplina urbanistica, non può, infatti, consentirsi una arbitraria valutazione della compatibilità di un singolo intervento di nuova costruzione con il contesto agricolo.
Il responsabile del servizio deve valutare la sussistenza dei presupposti oggettivi e soggettivi previsti dalla legge e dalle NTA per far luogo al titolo edilizio.

Per ciò che concerne poi la seconda censura, deve radicalmente denegarsi che, in assenza della puntuale indicazione di parametri oggettivi per tale riscontro, l’Amministrazione locale possa o debba valutare discrezionalmente “caso per caso” la tollerabilità dell’intervento medesimo rispetto al materiale assetto della zona.
Posto che il permesso di costruire attiene ad un’attività di carattere vincolato al rispetto della disciplina urbanistica (cfr. Consiglio Stato, sez. V 04.05.2004 n. 2694; Consiglio Stato, sez. IV, 03.02.2006, n. 401), non può, infatti, consentirsi una arbitraria valutazione della compatibilità di un singolo intervento di nuova costruzione con il contesto agricolo.
Il responsabile del servizio deve valutare la sussistenza dei presupposti oggettivi e soggettivi previsti dalla legge e dalle NTA per far luogo al titolo edilizio (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 09.10.2012 n. 5255 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa semplice disponibilità dell’area non è sufficiente per conseguire l'effetto finale conseguente all'instaurazione di un procedimento amministrativo preordinato al rilascio di una concessione edilizia, in presenza di un esplicito atto di opposizione del proprietario.
... per l'annullamento, previa sospensione del provvedimento datato 04.04.2012, del Comune di Monreale - Area Gestione Territorio, con il quale venivano annullati la concessione edilizia in sanatoria n. 195 rilasciata in data 21.07.2004 e il certificato di abitabilità rilasciato in data 31.03.2005 afferente un edificio adibito a civile abitazione.
...
Grazia Lupo ha impugnato il provvedimento indicato in epigrafe, con il quale il Comune di Monreale ha annullato d’ufficio la concessione in sanatoria, rilasciata il 21.07.2004, e il certificato di abitabilità del 31.03.2005, entrambi relativi ad un edificio sito in Monreale, c.da Valle Sapone, fg. 25 p.lla 402 sub 4 e 5, la cui proprietà, in forza della sentenza definitiva della Corte di Cassazione del 22.02.2011, non è attribuibile a Lupo Grazia, sicché, difettando la titolarità dell’area, si è reso necessario l’annullamento.
...
La legittimazione dei proprietari di costruzioni a chiedere la sanatoria edilizia non significa che sia sufficiente la proprietà superficiaria dell’edificio, in mancanza di quella dell’area di sedime.
Tutto ciò considerando che nel provvedimento concessorio, del 2004, il presupposto fattuale consisteva nella “proprietà dell’area di sedime dell’edificio” da parte di Lupo Grazia, “giusto atto di assegnazione e divisione” del 1975, proprietà che, come più volte ripetuto, è stata messa in discussione a seguito dell’azione di regolamento di confini proposta da Lupo Enzo, che ha definitivamente accertato l’inesistenza del diritto reale in capo alla ricorrente, e quindi ha fatto venir meno il presupposto fondante del provvedimento annullato.
La giurisprudenza amministrativa, inoltre, ha osservato in più occasioni che la semplice disponibilità dell’area non è sufficiente per conseguire l'effetto finale conseguente all'instaurazione di un procedimento amministrativo preordinato al rilascio di una concessione edilizia, in presenza di un esplicito atto di opposizione del proprietario (TAR Sicilia, Catania, sez. I, 08.07.2010 n. 2911).
Ne consegue che, nel caso di specie, l’opposizione del germano Lupo Enzo (che aveva instaurato apposito contenzioso volto alla contestazione della proprietà dell’area) vale di per sé a rendere inesistente ab origine la stessa disponibilità giuridica dell’area da parte della ricorrente (in tal senso, si veda anche TAR Veneto, sez. II, 19.12.2008 n. 3922)
(TAR Sicilia-Palermo, Sez. II, sentenza 02.08.2012 n. 1742 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAAi fini del rilascio della concessione edilizia è necessaria una relazione qualificata a contenuto reale dell'istante con il bene, e cioè la qualità di proprietario, superficiario, affittuario di fondi rustici, usufruttuario dello stesso, anche se in formazione, non essendo sufficiente il solo rapporto obbligatorio, in quanto il diritto a costruire è una proiezione del diritto di proprietà o di altro diritto reale di godimento che autorizzi a disporre un intervento costruttivo.
All'usufruttuario è comunque riconosciuta la legittimazione al rilascio del permesso di costruire dal momento che l'art. 11, d.P.R. n. 380 del 2001 individua tra i soggetti legittimati oltre al proprietario anche coloro che “abbiano titolo per richiederlo”, sicché non vi è dubbio che tra gli aventi titolo rientri anche l'usufruttuario del bene, che, quale titolare di un diritto reale di godimento, gode di una relazione qualificata con il bene medesimo.

Tali considerazioni vanno coniugate con le affermazioni che la costante giurisprudenza amministrativa ha reso in passato, in punto di legittimazione a richiedere la concessione edilizia, ad avversare quella rilasciata ad altro soggetto, e di individuazione del momento di percezione della lesione che coincide con il dies a quo per la proposizione del ricorso.
Quanto ai primi due profili, si è detto, in passato muovendo dal tenore letterale dell’art. 11 del dPR n. 380/2001 che:
- ”ai fini del rilascio della concessione edilizia è necessaria una relazione qualificata a contenuto reale dell'istante con il bene, e cioè la qualità di proprietario, superficiario, affittuario di fondi rustici, usufruttuario dello stesso, anche se in formazione, non essendo sufficiente il solo rapporto obbligatorio, in quanto il diritto a costruire è una proiezione del diritto di proprietà o di altro diritto reale di godimento che autorizzi a disporre un intervento costruttivo” -Consiglio Stato, sez. IV, 08.06.2007, n. 3027-;”
- all'usufruttuario è comunque riconosciuta la legittimazione al rilascio del permesso di costruire dal momento che l'art. 11, d.P.R. n. 380 del 2001 individua tra i soggetti legittimati oltre al proprietario anche coloro che “abbiano titolo per richiederlo”, sicché non vi è dubbio che tra gli aventi titolo rientri anche l'usufruttuario del bene, che, quale titolare di un diritto reale di godimento, gode di una relazione qualificata con il bene medesimo -TAR Campania Napoli, sez. VIII, 07.03.2011, n. 1318-
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 30.07.2012 n. 4287 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

CONDOMINIO - EDILIZIA PRIVATA: In sede di rilascio del titolo abilitativo edilizio sussiste l'obbligo per il comune di verificare il rispetto da parte dell'istante dei limiti privatistici, a condizione che tali limiti siano effettivamente conosciuti o immediatamente conoscibili e/o non contestati, di modo che il controllo da parte dell'ente locale si traduca in una semplice presa d'atto dei limiti medesimi senza necessità di procedere ad un'accurata ed approfondita disanima dei rapporti tra i condomini.
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Dove i lavori consistono nel’apertura di una porta sulla scala condominiale, con ciò modificando l’uso della cosa comune da parte dei condomini, il Comune deve verificare l’esistenza del consenso del condominio all’utilizzo della scala da parte di uno dei condomini, in modo tale da alterare stabilmente il normale ed originario uso della cosa comune (escludendosi, dunque, l’applicabilità dell’art. 1102 cod. civ., in ordine alla ricorrenza del quale, peraltro, non sussiste idonea valutazione e motivazione da parte dell’amministrazione comunale).
In altre parole, il Comune deve conseguire, per il tramite della verifica resa necessaria dalla evidente mancanza di proprietà esclusiva della res, la prova dell’esistenza del titolo a disporre del bene e quindi a presentare la dichiarazione di inizio attività.

Il Collegio condivide la considerazione, formulata nella sentenza appellata, in ordine alla necessità di accertamento, da parte dell’amministrazione, della sussistenza in capo al richiedente il permesso di costruire (ovvero in capo al presentatore della DIA), di un titolo idoneo in relazione all’immobile sul quale deve essere svolta l’attività edilizia.
L’art. 11, co. 1, DPR 06.06.2001 n. 380, prevede che “il permesso di costruire è rilasciato al proprietario dell'immobile o a chi abbia titolo per richiederlo”; il successivo art. 23, allo stesso modo, si riferisce al “proprietario dell’immobile o chi abbia titolo per presentare la denuncia di inizio attività”.
Orbene, come questo Consiglio di Stato (sez. IV, 04.05.2010 n. 2546; 10.12.2007 n. 6332), ha già avuto modo di affermare, “in sede di rilascio del titolo abilitativo edilizio sussiste l'obbligo per il comune di verificare il rispetto da parte dell'istante dei limiti privatistici, a condizione che tali limiti siano effettivamente conosciuti o immediatamente conoscibili e/o non contestati, di modo che il controllo da parte dell'ente locale si traduca in una semplice presa d'atto dei limiti medesimi senza necessità di procedere ad un'accurata ed approfondita disanima dei rapporti tra i condomini”.
Orbene, nel caso di specie, dove i lavori consistono nel’apertura di una porta sulla scala condominiale, con ciò modificando l’uso della cosa comune da parte dei condomini, il Comune avrebbe dovuto verificare l’esistenza del consenso del condominio all’utilizzo della scala da parte di uno dei condomini, in modo tale da alterare stabilmente il normale ed originario uso della cosa comune (escludendosi, dunque, l’applicabilità dell’art. 1102 cod. civ., in ordine alla ricorrenza del quale, peraltro, non sussiste idonea valutazione e motivazione da parte dell’amministrazione comunale).
In altre parole, il Comune avrebbe dovuto conseguire, per il tramite della verifica resa necessaria dalla evidente mancanza di proprietà esclusiva della res, la prova dell’esistenza del titolo a disporre del bene e quindi a presentare la dichiarazione di inizio attività.
Quanto alla già citata applicazione dell’art. 1102 cod. civ., occorre osservare che ogni valutazione in ordine alla idoneità del principio espresso dal medesimo a sorreggere l’esistenza di un titolo legittimante a richiedere il permesso di costruire o a presentare la DIA, non compete ex post al giudice, quanto ex ante all’amministrazione comunale, la quale –proprio perché ha l’obbligo di verificare l’esistenza di tale titolo legittimante– ove ritenga che questo discenda (ancorché non sia questo il caso di specie) dall’art. 1102 cod. civ., ha l’onere di valutare motivatamente in ordine a tale aspetto.
Compete, successivamente, al giudice, nell’esercizio dell’ordinario sindacato di legittimità, verificare la correttezza e congruità delle valutazioni effettuate dall’amministrazione e l’esito provvedimentale di queste
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 26.07.2012 n. 4255 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA-PRIVATA: I parcheggi collocati in aree esterne ai fabbricati, a differenza di quelli posti nel sottosuolo o al piano terreno degli stessi, non devono essere realizzati necessariamente dai proprietari dell’immobile, ma -in base alla legge Tognoli- possono esserlo anche da terzi: evidentemente il legislatore, non potendo escludersi che le <aree pertinenziali esterne> potessero appartenere a soggetti diversi dai proprietari dell’immobile, ha ritenuto di non dover limitare solo a questi ultimi la legittimazione a chiedere il permesso per realizzarvi i parcheggi.
Peraltro, la pertinenzialità che il legislatore ha inteso considerare in questo caso non è tanto quella materiale esistente tra l’edificio e l’area -sottostante, interna o esterna- destinata ad accogliere il parcheggio, ma quella giuridica esistente tra ciascun singolo posto auto da realizzare e una specifica unità immobiliare, nel senso di creare fra di essi un nesso di inscindibilità: ciò che è coerente con la <ratio> della l. n. 122 del 1989, che è quella di venire incontro al bisogno di parcheggi dei residenti nelle aree urbane evitando al tempo stesso operazioni speculative.
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La nozione edilizia di pertinenzialità ha connotati significativamente diversi da quelli civilistici, assumendo in essa rilievo decisivo non tanto il dato del legame materiale tra pertinenza ed immobile principale, quanto il dato giuridico che la prima risulti priva di autonoma destinazione e di autonomo valore di mercato e che esaurisca la propria destinazione d'uso nel rapporto funzionale con l'edificio principale, così da non incidere sul carico urbanistico.
Ai fini dell'applicazione dell'art. 9, l. 24.03.1989 n. 122 (cd. legge Tognoli), relativamente alla realizzazione di parcheggi nel sottosuolo di area pertinenziale esterna al fabbricato in deroga alle disposizioni degli strumenti urbanistici, è irrilevante che detta area esterna non si trovi in rapporto di immediata contiguità materiale con il fabbricato e sia di proprietà di soggetto diverso dal proprietario dell'immobile nei cui confronti i parcheggi sono destinati a divenire pertinenziali.
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Il rapporto di pertinenzialità è riconoscibile nel caso in cui i boxes si trovano in un ragionevole raggio di accessibilità pedonale.
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L'art. 9 della stessa, nel prevedere per i parcheggi la derogabilità degli strumenti urbanistici, fa salvi i vincoli previsti dalla legislazione in materia paesaggistica ed ambientale.
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E' legittimo il diniego di autorizzazione edilizia per la costruzione di un parcheggio interrato in presenza di un vincolo cimiteriale, poiché, trattandosi di vincolo assoluto, non sono ammesse deroghe nemmeno in riferimento all'art. 9 della l. n. 122/1989; infatti, anche il parcheggio interrato, in quanto struttura servente all'uso abitativo e, comunque, posta nell'ambito della fascia di rispetto cimiteriale, rientra tra le costruzioni edilizie del tutto vietate dalla disposizione di cui all'art. 338, r.d. n. 1265/1934.

La giurisprudenza amministrativa ha interpretato detta disposizione in coerenza con la ratio della medesima (ed anche con la ratio delle modifiche via via introdotte dall'art. 17, comma 90, l. 15.05.1997, n. 127 e dall'art. 37, l. 07.12.1999, n. 472) orientata a privilegiare lo scopo della “legge Tognoli” di far fronte alla carenza di parcheggi urbani.
Non altro senso, può attribuirsi all’estensione del concetto di pertinenzialità, affermato a più riprese da questa IV Sezione del Consiglio di Stato, sia sotto il profilo "soggettivo" (“i parcheggi collocati in aree esterne ai fabbricati, a differenza di quelli posti nel sottosuolo o al piano terreno degli stessi, non devono essere realizzati necessariamente dai proprietari dell’immobile, ma -in base alla legge Tognoli- possono esserlo anche da terzi: evidentemente il legislatore, non potendo escludersi che le <aree pertinenziali esterne> potessero appartenere a soggetti diversi dai proprietari dell’immobile, ha ritenuto di non dover limitare solo a questi ultimi la legittimazione a chiedere il permesso per realizzarvi i parcheggi. Peraltro, la pertinenzialità che il legislatore ha inteso considerare in questo caso non è tanto quella materiale esistente tra l’edificio e l’area -sottostante, interna o esterna- destinata ad accogliere il parcheggio, ma quella giuridica esistente tra ciascun singolo posto auto da realizzare e una specifica unità immobiliare, nel senso di creare fra di essi un nesso di inscindibilità: ciò che è coerente con la <ratio> della l. n. 122 del 1989, che è quella di venire incontro al bisogno di parcheggi dei residenti nelle aree urbane evitando al tempo stesso operazioni speculative.” Consiglio Stato, sez. IV, 31.03.2010, n. 1842), che sotto il profilo “oggettivo (“la nozione edilizia di pertinenzialità ha connotati significativamente diversi da quelli civilistici, assumendo in essa rilievo decisivo non tanto il dato del legame materiale tra pertinenza ed immobile principale, quanto il dato giuridico che la prima risulti priva di autonoma destinazione e di autonomo valore di mercato e che esaurisca la propria destinazione d'uso nel rapporto funzionale con l'edificio principale, così da non incidere sul carico urbanistico.” Consiglio Stato, sez. IV, 31.03.2010, n. 1842, prima richiamata; ma si veda anche: “ai fini dell'applicazione dell'art. 9, l. 24.03.1989 n. 122 (cd. legge Tognoli), relativamente alla realizzazione di parcheggi nel sottosuolo di area pertinenziale esterna al fabbricato in deroga alle disposizioni degli strumenti urbanistici, è irrilevante che detta area esterna non si trovi in rapporto di immediata contiguità materiale con il fabbricato e sia di proprietà di soggetto diverso dal proprietario dell'immobile nei cui confronti i parcheggi sono destinati a divenire pertinenziali"- Consiglio Stato, sez. IV, 18.10.2010, n. 7549).
Detto favor realizzativo, e detta interpretazione estensiva, trovano simmetrica corrispondenza negli approdi cui è giunta la giurisprudenza di legittimità penale (si veda Cassazione penale, sez. III, 03.03.2009, n. 14940, dove si precisa che “il rapporto di pertinenzialità è riconoscibile nel caso in cui i boxes si trovano in un ragionevole raggio di accessibilità pedonale”.).
Al contempo, la consolidata giurisprudenza amministrativa (Consiglio di stato, sez. IV, 28.03.2011, n. 1879) ha costantemente ribadito che “l'art. 9 della stessa, nel prevedere per i parcheggi la derogabilità degli strumenti urbanistici, fa salvi i vincoli previsti dalla legislazione in materia paesaggistica ed ambientale.” (si veda, sul punto, di recente, anche TAR Lazio Roma, sez. I, 18.01.2011, n. 382).
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Quanto a tale profilo, da un canto, è comunque agevole riscontrare che risulta incontestata la deduzione dell’appellante secondo cui il Regolamento urbanistico prevedeva che la “misura” di parcheggi di cui dotarsi fosse coincidente (ma soltanto nella sua misura minima) con quella prevista dall’art. 41-sexies della legge urbanistica n. 1150/1942.
Per altro verso, e con portata assorbente, si evidenzia che il concreto atteggiarsi della statuizione reiettiva, anche in tale caso, si pone in illogico contrasto con la disposizione di legge richiamata.
La reiezione disposta dall’appellata amministrazione, infatti, muove dalla pacifica considerazione per cui, a fronte di una volumetria di mc. 1.290 del fabbricato, era presente una superficie complessiva di parcheggio (garage esistente e area esterna di pertinenza che poteva essere adibita a parcheggio) di mq. 184.
A questo punto, poi, si è ivi evidenziato che l’area disponibile era “superiore al minimo di standard della legge n. 122/1989” e, prendendo spunto dal disposto che l’art. 2 comma 2, individuava il detto valore quantitativo (art. 2 comma 2: “l'art. 41-sexies della legge 17.08.1942, n. 1150, è sostituito dal seguente: Nelle nuove costruzioni ed anche nelle aree di pertinenza delle costruzioni stesse, debbono essere riservati appositi spazi per parcheggi in misura non inferiore ad un metro quadrato per ogni dieci metri cubi di costruzione") e si è pervenuti, anche per tal via, alla statuizione reiettiva avversata.
Sennonché, il primo giudice –che pure aveva colto che la detta fattispecie normativa era “relativa ai nuovi edifici” e pertanto, non applicabile alle fattispecie de quo- ha affermato che “tra questi limiti trova una sua giustificazione anche quello di permettere i garages interrati solo al fine del raggiungimento dello standard di parcheggio fissato dall’art. 2, comma 2, della legge n. 122/1989 sia pure per le nuove costruzioni. E il fatto che la normativa locale utilizzi un criterio, pur dettato dalla legge statale per altra ipotesi, non configura nessuna illegittimità quando quel criterio risponda alle specifiche esigenze del territorio comunale”.
Con simile asserzione, però, quel giudice non ha colto che comunque, il criterio cui si riferiva la legge era quello minimo, di guisa che anche per tale aspetto (in disparte ogni considerazione sull’utilizzabilità di un simile parametro per edifici non costituenti “nuova costruzione”) la concreta applicazione fattane dal Comune trasformava detto limite minimo (“non inferiore”, statuisce la prescrizione di legge, lo si ribadisce) in limite massimo, così ponendosi in conflitto con la norma di legge.
Né a simile interpretazione applicativa poteva pervenirsi valorizzando gli elementi di ”invarianza” afferenti alla specifica categoria di edifici nei quali è ascrivibile quello per cui è causa.
Nella pacifica considerazione, infatti, che non trattavasi di edificio specificamente vincolato ai sensi del TU dei beni culturali (né, in pregresso ex lege n. 1089/1939), si rimarca che le esigenze di tutela ambientale e paesaggistica espressamente fatte salve dalla norma di cui all’art. 9 a più riprese citata (che sono condizione per la compatibilità costituzionale della stessa), trovano tutela nella legislazione statale e nell’attività di tutela di siffatte categorie di beni pertinente alle Autorità preposte ai detti vincoli (a titolo esemplificativo, si veda in passato: “è legittimo il diniego di autorizzazione edilizia per la costruzione di un parcheggio interrato in presenza di un vincolo cimiteriale, poiché, trattandosi di vincolo assoluto, non sono ammesse deroghe nemmeno in riferimento all'art. 9 della l. n. 122/1989; infatti, anche il parcheggio interrato, in quanto struttura servente all'uso abitativo e, comunque, posta nell'ambito della fascia di rispetto cimiteriale, rientra tra le costruzioni edilizie del tutto vietate dalla disposizione di cui all'art. 338, r.d. n. 1265/1934.” -Consiglio Stato, sez. V, 14.09.2010, n. 6671).
Rammenta in proposito il Collegio il tradizionale orientamento della giurisprudenza amministrativa, secondo cui “mentre l'attività di valorizzazione del bene culturale deve essere il frutto di un intervento coordinato che veda coinvolti tutti i soggetti pubblici interessati, l'attività di tutela rappresenta prerogativa esclusiva dello Stato, in quanto soggetto proprietario del bene, che è quindi responsabile primario della sua conservazione. Tale distinzione trae, del resto, fondamento anche nell'art. 117, comma 2, cost., che appunto riserva alla competenza esclusiva dello Stato l'attività di tutela dei beni culturali, demandando, invece, alla competenza concorrente Stato-Regione l'attività di valorizzazione” (Consiglio Stato, sez. VI, 30.07.2009, n. 4779).
Prescrizioni regolamentari comunali non limitate agli aspetti compositivo-architettonici appaiono incidere sulla competenza esclusiva della Soprintendenza in materia di tutela dei beni culturali e travalicare la portata delle competenze demandate alla amministrazione comunale, che non potrebbe, seppur nel lodevole intento di salvaguardare detti valori, introdurre nel sistema prescrizioni non già limitative, ma, come nel caso di specie, impeditive in via assoluta, per intere categorie di immobili, della espressa previsione contemplata in una disposizione nazionale
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 10.07.2012 n. 4091 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

CONDOMINIO - EDILIZIA PRIVATA: Grava sull’amministrazione l’obbligo di verificare l'esistenza, in capo al richiedente, di un idoneo titolo di godimento sull'immobile oggetto dell’intervento, ma non già di risolvere i conflitti tra le parti private in ordine all'assetto dominicale dell'area interessata, non essendo la p.a. tenuta a svolgere una preliminare indagine istruttoria che si estenda fino alla ricerca di eventuali elementi limitativi, preclusivi o estintivi del titolo di disponibilità allegato dal richiedente, essendo noto che il rilascio del titolo edilizio “non comporta limitazione dei diritti dei terzi”, secondo il disposto dall’art. 11, comma 3, del T.U. n. 380/2001.
Va, peraltro, aggiunto che l'art. 1102 c.c. consente a ciascun partecipante di servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione, cioè non incida sulla sostanza e struttura del bene, e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. Il partecipante alla comunione, pertanto, può usare della cosa comune per un suo fine particolare, con la conseguente possibilità di ritrarre dal bene una utilità specifica aggiuntiva rispetto a quelle che vengono ricavate dagli altri, con il limite di non alterare la consistenza e la destinazione di esso o di non impedire l'altrui pari uso.
Va, pertanto, ribadito che ai fini della verifica della legittimazione soggettiva a compiere un intervento edilizio, il parametro valutativo va ricercato nella disciplina pubblicistica che regola la realizzazione di opere sul territorio, senza che il dissenso di terzi possa incidere sulla legittimità del provvedimento, che viene adottato sulla base del titolo formale di disponibilità del bene immobile interessato e, in ogni caso, con salvezza dei diritti dei terzi.

Si palesano fondate anche le doglianze volte a contestare la sussistenza di una valida ragione ostativa all’esecuzione dei lavori progettati, risultando erronea la circostanza posta a base dell’azione amministrativa, secondo cui le opere “incidono sulle parti comuni dell’edificio”. Invero, come si è già anticipato, la d.i.a. ha ad oggetto il manufatto di esclusiva proprietà del ricorrente (prevedendo la trasformazione di un vano finestra in porta) e solo di riflesso può rilevare sull’uso del cortile di proprietà comune (in relazione al paventato attraversamento con l’autovettura, poiché la modifica progettata rende il deposito idoneo alla destinazione a garage), sicché non può dubitarsi che il richiedente fosse legittimato a proporre l’intervento, ai sensi degli artt. 11 e 23 del d.P.R. n. 380 del 2001.
Sul punto va osservato che, secondo il costante orientamento giurisprudenziale, grava sull’amministrazione l’obbligo di verificare l'esistenza, in capo al richiedente, di un idoneo titolo di godimento sull'immobile oggetto dell’intervento, ma non già di risolvere i conflitti tra le parti private in ordine all'assetto dominicale dell'area interessata, non essendo la p.a. tenuta a svolgere una preliminare indagine istruttoria che si estenda fino alla ricerca di eventuali elementi limitativi, preclusivi o estintivi del titolo di disponibilità allegato dal richiedente, essendo noto che il rilascio del titolo edilizio “non comporta limitazione dei diritti dei terzi”, secondo il disposto dall’art. 11, comma 3, del T.U. n. 380/2001 (cfr. Consiglio Stato, Sezione V, 04.02.2004, n. 368; Sezione VI, 10.2.2010, n.675; TAR Campania, Sezione II, 22.09.2006, n. 8243), TAR Lombardia, Brescia, Sezione I, 28.05.2007, n. 460).
Va, peraltro, aggiunto che l'art. 1102 c.c. consente a ciascun partecipante di servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione, cioè non incida sulla sostanza e struttura del bene, e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. Il partecipante alla comunione, pertanto, può usare della cosa comune per un suo fine particolare, con la conseguente possibilità di ritrarre dal bene una utilità specifica aggiuntiva rispetto a quelle che vengono ricavate dagli altri, con il limite di non alterare la consistenza e la destinazione di esso o di non impedire l'altrui pari uso (cfr. Cassazione civile, Sezione II, 14.07.2011, n. 15523; 09.02.2011, n. 3188).
Va, pertanto, ribadito che ai fini della verifica della legittimazione soggettiva a compiere un intervento edilizio, il parametro valutativo va ricercato nella disciplina pubblicistica che regola la realizzazione di opere sul territorio, senza che il dissenso di terzi possa incidere sulla legittimità del provvedimento, che viene adottato sulla base del titolo formale di disponibilità del bene immobile interessato e, in ogni caso, con salvezza dei diritti dei terzi (TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 04.07.2012 n. 3205 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: In presenza di un intervento suscettibile di trasformare ed ampliare l’organismo edilizio preesistente, legittimamente il Comune ha opposto al ricorrente, quale conduttore in locazione dell’immobile in oggetto, la mancanza del previo consenso del proprietario, in assenza di alcuna preventiva autorizzazione concessa in tal senso nel contratto di locazione o in altra documentazione.
La legittimazione del titolare di un diritto obbligatorio al rilascio del permesso di costruire è riconosciuta in giurisprudenza solo quando, per effetto del dedotto rapporto obbligatorio, l’interessato sia autorizzato in base ad un contratto o abbia documentato il previo consenso da parte del proprietario.

In presenza di un intervento suscettibile di trasformare ed ampliare l’organismo edilizio preesistente, legittimamente il Comune ha opposto al ricorrente, quale conduttore in locazione dell’immobile in oggetto, la mancanza del previo consenso del proprietario, in assenza di alcuna preventiva autorizzazione concessa in tal senso nel contratto di locazione del 29.08.2007 allegato in atti, o in altra documentazione.
La legittimazione del titolare di un diritto obbligatorio al rilascio del permesso di costruire è riconosciuta in giurisprudenza solo quando, per effetto del dedotto rapporto obbligatorio, l’interessato sia autorizzato in base ad un contratto o abbia documentato il previo consenso da parte del proprietario (Cons. Stato, sez. IV, n. 3027/2007; id, n. 3253/2002; id., sez. V, n. 1507/2001; id., n. 1227/1997; id. n.1200/1994; id., n. 965/1993; Tar Parma, n. 338/2008; Tar Napoli, n. 8243/2006; Cons. Stato, sez. V, n. 2882/2001; Cons. Stato, sez.IV, n. 1057/2011; Cons. Stato, sez. VI, n. 4557/2010) (TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, sentenza 03.07.2012 n. 3148 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L’amministrazione comunale non è tenuta ad accertare l’assenso di terzi all’attività del richiedente, o l’eventuale danno che qualcuno potrebbe subire dal provvedimento abilitativo, il quale viene emanato solamente sulla scorta della valutazione del titolo formale di disponibilità dell’area edificabile e con salvezza delle ragioni dei terzi.
L’amministrazione -in sede di verifica dei presupposti della dia (o di rilascio del permesso di costruire)- non è tenuta a svolgere complessi e laboriosi accertamenti e non può entrare nel merito di possibili contestazioni o controversie tra privati .
L’art. 11, ultimo comma, t.u. edilizia —secondo cui «il rilascio del permesso di costruire non comporta limitazione dei diritti dei terzi»— ha sul punto cristallizzato a livello positivo una prassi amministrativa e giurisprudenziale assolutamente pacifica che aveva ricevuto un primo riconoscimento legale già nell’art. 2, comma 37, lett. c), l. n. 662 del 1996 (che ha novellato l’art. 39 l. n. 724 del 1994; successivamente si veda l’art. 32, comma 31, d.l. n. 269 cit. in materia di condono straordinario).

Quanto, poi, alle problematiche legate ai rapporti di vicinato tra i ricorrenti e il controinteressato, è evidente come la loro soluzione dipenda dalla ricostruzione degli accordi intercorsi tra il dante causa dei ricorrenti e il controinteressato medesimo, così come trasfusi nella convenzione stipulata nel 1957, allegata in atti.
Si tratta, quindi, di problematica di natura privatistica di non facile e pronta soluzione, della quale il Comune deve disinteressarsi, fermo restando che il terzo, ove leso nei propri diritti soggettivi, potrà ottenere satisfattiva tutela davanti al giudice civile, non subendo alcun pregiudizio dal rilascio del titolo (cfr., Cons. Stato, V, 02.02.2012 n. 568, secondo cui l’amministrazione comunale non è tenuta ad accertare l’assenso di terzi all’attività del richiedente, o l’eventuale danno che qualcuno potrebbe subire dal provvedimento abilitativo, il quale viene emanato solamente sulla scorta della valutazione del titolo formale di disponibilità dell’area edificabile e con salvezza delle ragioni dei terzi; id. sez. IV, 30.12.2006, n. 8626).
Più in generale, va ribadito come l’amministrazione -in sede di verifica dei presupposti della dia (o di rilascio del permesso di costruire)- non è tenuta a svolgere complessi e laboriosi accertamenti e non può entrare nel merito di possibili contestazioni o controversie tra privati (cfr. Consiglio di Stato, 08.11.2011 n. 5894, che si sofferma diffusamente a tratteggiare il quadro delle norme e dei principi che presiedono al rilascio dei titoli edilizi, avuto particolare riguardo all’aspetto della legittimazione del richiedente e degli impedimenti di carattere negoziale; nonché, Cons. Stato, sez. IV, 12.03.2007, n. 1206; TAR Lazio, Roma 18.02.2005 n. 1408).
L’art. 11, ultimo comma, t.u. edilizia —secondo cui «il rilascio del permesso di costruire non comporta limitazione dei diritti dei terzi»— ha sul punto cristallizzato a livello positivo una prassi amministrativa e giurisprudenziale assolutamente pacifica che aveva ricevuto un primo riconoscimento legale già nell’art. 2, comma 37, lett. c), l. n. 662 del 1996 (che ha novellato l’art. 39 l. n. 724 del 1994; successivamente si veda l’art. 32, comma 31, d.l. n. 269 cit. in materia di condono straordinario) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 28.06.2012 n. 1816 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Titoli abilitativi e promissario acquirente.
Ai fini della legittimazione attiva al rilascio di titoli abilitativi nella materia edilizia è necessaria, sulla base degli artt. 11 e 23 del D.P.R. 380/2011, la titolarità del diritto di proprietà, ovvero di altro diritto reale od anche obbligatorio a condizione, in tale ultima ipotesi, del riconoscimento della disponibilità giuridica e materiale del bene nonché della relativa potestà edificatoria.
Quanto al promissario acquirente si richiede, anche in ipotesi di preliminare ad effetti anticipati, la specifica autorizzazione del proprietario promissario venditore all’esercizio dello ius aedificandi.
La posizione di promissario conduttore, in assenza di specifico consenso del proprietario, non è titolo di legittimazione idoneo al rilascio di titoli abilitativi, anche se a regime semplificato, mancando la disponibilità giuridica dell’area su cui realizzare l’intervento. E ciò è tanto più vero nella fattispecie, laddove il proprietario promissario locatore si è espressamente riservata la disponibilità ed il godimento del bene fino alla stipula del contratto definitivo.

Ai fini della legittimazione attiva al rilascio di titoli abilitativi nella materia edilizia, la giurisprudenza ritiene necessaria, sulla base degli artt. 11 e 23 del D.P.R. 380/2011, la titolarità del diritto di proprietà, ovvero di altro diritto reale od anche obbligatorio a condizione, in tale ultima ipotesi, del riconoscimento della disponibilità giuridica e materiale del bene nonché della relativa potestà edificatoria (Consiglio di Stato sez. V 28.05.2001 n. 2881; id. sez. IV 25.11.2008, n. 5811; TAR Emilia Romagna Bologna 21.02.2007, n. 53; TAR Lombardia Milano sez II 31.03.2010, n. 842).
Quanto al promissario acquirente, la tesi che ne riconosce la legittimazione non è affatto pacifica in giurisprudenza, richiedendosi, anche in ipotesi di preliminare ad effetti anticipati, la specifica autorizzazione del proprietario promissario venditore all’esercizio dello ius aedificandi (Consiglio Stato, sez. IV, 18.01.2010, n. 144; Cassazione civile sez III 15.03.2007, n. 6005; TAR Lazio-Latina 26.07.2005, n. 636). Tale opzione esegetica risulta ancor più corretta qualificando la relazione del promissario acquirente con l’immobile, anche in caso di preliminare ad effetti anticipati, quale “detenzione qualificata” e non già come possesso, secondo la più recente ricostruzione pretoria (ex multis Cassazione Sez. Unite 27.03.2008, n. 7930. id. sez. I 01.03.2010, n. 4863).
Ciò premesso, la posizione di promissario conduttore, in assenza di specifico consenso del proprietario, non è titolo di legittimazione idoneo al rilascio di titoli abilitativi, anche se a regime semplificato, mancando la disponibilità giuridica dell’area su cui realizzare l’intervento. E ciò è tanto più vero nella fattispecie, laddove il proprietario promissario locatore si è espressamente riservata la disponibilità ed il godimento del bene fino alla stipula del contratto definitivo (punto 9.2 del contratto sottoscritto il 02.12.2008)
(TAR Puglia-Bari, Sez. I, sentenza 18.06.2012 n. 1195 - link a  www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Ai fini del rilascio della concessione edilizia è necessaria una relazione qualificata a contenuto reale dell'istante con il bene, e cioè la qualità di proprietario, superficiario, affittuario di fondi rustici, usufruttuario dello stesso, anche se in formazione, non essendo sufficiente il solo rapporto obbligatorio, in quanto il diritto a costruire è una proiezione del diritto di proprietà o di altro diritto reale di godimento che autorizzi a disporre un intervento costruttivo.
All'usufruttuario è comunque riconosciuta la legittimazione al rilascio del permesso di costruire dal momento che l'art. 11, d.P.R. n. 380 del 2001 individua tra i soggetti legittimati oltre al proprietario anche coloro che «abbiano titolo per richiederlo», sicché non vi è dubbio che tra gli aventi titolo rientri anche l'usufruttuario del bene, che, quale titolare di un diritto reale di godimento, gode di una relazione qualificata con il bene medesimo.
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Nel ricorso proposto avverso il permesso di costruire rilasciato al vicino la vicinitas è condizione necessaria, ma non sufficiente a radicare, ferma la legittimazione, l'interesse al ricorso, il quale richiede anche la dimostrazione del pregiudizio concreto alle facoltà dominicali del ricorrente.
La dimostrata titolarità a chiedere ed ottenere la concessione edilizia su un fondo, da parte dell’usufruttuario, importa che lo stesso in via di principio sia legittimato a contestare la legittimità del permesso di costruire rilasciato al vicino, purché sussistano i presupposti della vicinitas e del concreto pregiudizio alle facoltà dominicali, che si è visto essere il proprium della legittimazione ad agire in subiecta materia.
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Per costante quanto condivisibile giurisprudenza della Corte di Cassazione l’usufruttuario al cospetto dei terzi esercita i diritti del pieno possessore (“l'usufruttuario, ancorché possessore rispetto ai terzi, è, nel rapporto con il nudo proprietario, mero detentore del bene, con la conseguenza che egli può usucapirne la proprietà solo ponendo in essere un atto d'interversione del possesso, esteriorizzato in maniera inequivocabile e riconoscibile, vale a dire attraverso un'attività durevole, contrastante e incompatibile con il possesso altrui”) e pertanto i diritti nascenti da detta posizione giuridica non possono essere condizionati dalla sussistenza –o meno– di un rapporto di detenzione con il bene materiale (è appena il caso di rammentare che per tradizione risalente al diritto romano classico il possesso può esercitarsi “solo animo”).

Deve premettersi che la giurisprudenza amministrativa, muovendo dal tenore letterale dell’art. 11 del dPR n. 380/2001, ha costantemente affermato che ”ai fini del rilascio della concessione edilizia è necessaria una relazione qualificata a contenuto reale dell'istante con il bene, e cioè la qualità di proprietario, superficiario, affittuario di fondi rustici, usufruttuario dello stesso, anche se in formazione, non essendo sufficiente il solo rapporto obbligatorio, in quanto il diritto a costruire è una proiezione del diritto di proprietà o di altro diritto reale di godimento che autorizzi a disporre un intervento costruttivo” (Consiglio Stato, sez. IV, 08.06.2007, n. 3027); ”all'usufruttuario è comunque riconosciuta la legittimazione al rilascio del permesso di costruire dal momento che l'art. 11, d.P.R. n. 380 del 2001 individua tra i soggetti legittimati oltre al proprietario anche coloro che «abbiano titolo per richiederlo», sicché non vi è dubbio che tra gli aventi titolo rientri anche l'usufruttuario del bene, che, quale titolare di un diritto reale di godimento, gode di una relazione qualificata con il bene medesimo” (TAR Campania Napoli, sez. VIII, 07.03.2011, n. 1318).
Costituisce altresì principio fondante in materia quello per cui “nel ricorso proposto avverso il permesso di costruire rilasciato al vicino la vicinitas è condizione necessaria, ma non sufficiente a radicare, ferma la legittimazione, l'interesse al ricorso, il quale richiede anche la dimostrazione del pregiudizio concreto alle facoltà dominicali del ricorrente” (Consiglio Stato, sez. IV, 24.01.2011, n. 485).
La dimostrata titolarità a chiedere ed ottenere la concessione edilizia su un fondo, da parte dell’usufruttuario, importa che lo stesso in via di principio sia legittimato a contestare la legittimità del permesso di costruire rilasciato al vicino, purché sussistano i presupposti della vicinitas e del concreto pregiudizio alle facoltà dominicali, che si è visto essere il proprium della legittimazione ad agire in subiecta materia.
Posto che nel caso di specie la vicinitas è certamente sussistente, ed il petitum proposto dall’appellante in primo grado era volto a censurare, tra l’altro, anche la violazione del regime delle distanze, appare al Collegio doveroso affermare che in via astratta fosse incontestabile la legittimazione ad agire dell’appellante.
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E’ ben noto al Collegio che la funzionalizzazione del concetto di proprietà (comprensivo dei diritti reali “parziari” o “minori”) ascrivibile non soltanto all’art. 42 della Costituzione induca a ritenere ormai privo di cittadinanza, nel sistema, il brocardo romanistico secondo cui il proprium dello statuto proprietario si ravvisa nel “ius utendi fruendi et abutendi” .
Tuttavia resta incontestabile che le facoltà attribuite dal titolo costitutivo all’usufruttuario di un bene immobile possano essere liberamente esercitabili da questo; che la scelta di non esercitarle sia allo stesso liberamente rimessa; che a cagione di tale omesso esercizio, e sino alla eventuale prescrizione estintiva del diritto (art. 1014, n.1, del codice civile) quest’ultimo si conservi immutato e legittimi il titolare all’esercizio di tutte le azioni a difesa del proprio diritto.
Si rammenta in proposito che, per costante quanto condivisibile giurisprudenza della Corte di Cassazione l’usufruttuario al cospetto dei terzi esercita i diritti del pieno possessore (“l'usufruttuario, ancorché possessore rispetto ai terzi, è, nel rapporto con il nudo proprietario, mero detentore del bene, con la conseguenza che egli può usucapirne la proprietà solo ponendo in essere un atto d'interversione del possesso, esteriorizzato in maniera inequivocabile e riconoscibile, vale a dire attraverso un'attività durevole, contrastante e incompatibile con il possesso altrui” - Cassazione civile, sez. II, 10.01.2011, n. 355) e pertanto i diritti nascenti da detta posizione giuridica non possono essere condizionati dalla sussistenza –o meno– di un rapporto di detenzione con il bene materiale (è appena il caso di rammentare che per tradizione risalente al diritto romano classico il possesso può esercitarsi “solo animo”).
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Tale legittimazione, peraltro, spetta certamente all’usufruttuario (semmai, con riferimento a particolari aspetti, si potrebbe forse dubitare della legitimatio ad causam del nudo proprietario: “la servitù determina un rapporto tra fondi -di cui uno fornisce utilità all'altro-, la legittimazione processuale, attiva e passiva, nei giudizi ove è contestata l'esistenza di detto rapporto, compete a coloro che al momento della domanda sono titolari delle situazioni giuridiche dominicali rispettivamente avvantaggiate e svantaggiate dalla servitù.
Tuttavia, quando il godimento completo del bene, cui si riferisce -in linea di vantaggio o di svantaggio- la contestata situazione di servitù, spetta non al proprietario, ma al titolare del diritto di usufrutto, al quale è assimilabile il concessionario di bene demaniale, a tale soggetto -usufruttuario o concessionario- si estende la legittimazione processuale, attiva e passiva, ai sensi dell'art. 1012, comma 2, c.c., che, legittimando espressamente l'usufruttuario all'azione confessoria per la difesa della servitù costituita a favore del fondo, implica di per sé la legittimazione passiva alla negatoria -costituente l'aspetto negativo della confessoria-, salvo l'onere -in base alla norma citata- di chiamare in causa il proprietario che, quindi, deve partecipare al giudizio come litisconsorte necessario dell'usufruttuario o del concessionario
” Cassazione civile, sez. II, 29.01.1983, n. 819).
E ciò a prescindere dalla circostanza che l’usufruttuario fosse anche detentore del bene.
Sotto altro profilo, appare senz’altro inammissibile, per quanto si è finora chiarito (ma si veda anche: ”ove su di un immobile coesistano il diritto del nudo proprietario e quello dell'usufruttuario, il possesso che acquista rilievo ai fini dell'usucapione è, in primo luogo, configurabile a favore dell'usufruttuario, il quale può esercitarlo anche a vantaggio del nudo proprietario, ampliandone il godimento anche attraverso la costituzione di servitù attive; peraltro, se il nudo proprietario ha, di fatto, la disponibilità del bene, possono assumere rilievo anche gli atti di possesso dal medesimo compiuti, l'esercizio dei quali costituisce onere probatorio della parte che lo invochi” -Cassazione civile, sez. II, 14.10.2010, n. 21231-) che la inerzia del nudo proprietario possa pregiudicare il diritto di difesa dell’usufruttuario (e viceversa): anche le dette eccezioni devono pertanto essere disattese, e, per concludere sul tema, nessuna refluenza spiega sull’odierno giudizio la circostanza prospettata alle pagg. 10 ed 11 della memoria depositata dalla Parco Costruzioni Srl secondo cui il padre dell’appellante Signor P.P. avrebbe posto in vendita il complesso immobiliare di propria pertinenza (e ciò sia perché, in ossequio al principio nemo plus iuris transferre potest quam ipse habet, tale volontà dismissiva non potrebbe riguardare l’usufrutto di pertinenza dell’appellante; sia perché la volontà di alienare un bene non implica rinuncia alle azioni proposte, e men che meno sopravvenuta carenza di interesse, posto che l’esito favorevole di una lite potrebbe in ipotesi arrecare un incremento di valore del bene dallo stesso posseduto, sia, infine, perché a tale volontà di alienare la proprietà del bene non è seguita, comunque, la stipulazione di alcuna compravendita: in ogni caso l’appellante ha proposto azione risarcitoria, e ciò esclude la ravvisabilità di profili di sopravvenuta carenza di interesse)
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 05.06.2012 n. 3300 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: D. Chinello, Legittimazione edilizia dei singoli condòmini per intervenire sulle parti comuni e poteri comunali di verifica (Urbanistica e appalti n. 4/2012).

EDILIZIA PRIVATA: G. G.A. Dato, Anche il locatore ha titolo al rilascio del permesso di costruire - Due recenti pronunce riaffrontano il tema della legittimazione al rilascio del permesso di costruire (tratto da Diritto e Pratica Amministrativa n. 3/2012).

EDILIZIA PRIVATA: Permesso di costruire. Accertamenti del Comune circa la titolarità dell’area.
Il Comune, nel verificare l'esistenza in capo al richiedente il permesso edilizio di un idoneo titolo di godimento sull'immobile, non si assume il compito di risolvere eventuali conflitti di interesse tra le parti private in ordine all'assetto proprietario, ma accerta soltanto il requisito della legittimazione soggettiva di colui che richiede il permesso.
In sede di esame di una domanda di rilascio di un permesso di costruire, la funzione autorizzatoria dell'Amministrazione richiede un livello minimo di istruttoria che comprende l'acquisizione di tutti gli elementi sufficienti a dimostrare la sussistenza di un qualificato collegamento soggettivo tra chi propone l'istanza e il bene giuridico oggetto dell'autorizzazione, senza che l'esame del titolo di godimento operato dalla p.a. costituisca un'illegittima intrusione in ambito privatistico, ma soltanto per assicurare un ordinato svolgimento delle attività sottoposte al controllo autorizzatorio al fine di non alimentare il contenzioso tra le parti, e ciò anche nell'ambito del procedimento di rilascio del permesso di costruire (2).
In sede di esame di una domanda di rilascio di un permesso di costruire, il Comune non è tenuto a complessi e laboriosi accertamenti anche per non aggravare il procedimento, e non ha l'onere di appurare l'eventuale esistenza di servitù o di altri vincoli reali che limitano l'ampiezza del titolo di proprietà. Qualora però tali limiti siano accertati il Comune non può ignorarli, pena un'insufficiente istruttoria.
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(1) Cfr. Consiglio Stato, sez. V, 17.09.2001, n. 4847.
(2) Cfr. Cons. di Stato, n. 3525/2000, secondo cui "l'esecuzione di opere di trasformazione edilizia...è sottoposta a una disciplina complessa, che riguarda, rispettivamente, la definizione degli assetti della proprietà immobiliare e il controllo pubblicistico sulla conformità alle regole e ai piani di derivazione pubblicistica. Gli ambiti delle due discipline, finalizzate alla tutela di interessi di consistenza disomogenea, non sono pienamente sovrapponibili. È quindi possibile che un intervento edilizio, astrattamente conforme alla prescrizioni urbanistiche, si ponga in contrasto con la normativa di derivazione civilistica, costituendo la violazione di diritti reali di godimento o di altre facoltà dei soggetti interessati. Tuttavia, la necessaria distinzione tra gli aspetti civilistici e quelli pubblicistici dell'attività edificatoria non impedisce di rilevare la presenza di significativi punti di contatto tra i due diversi profili. Da una parte, la normativa edilizia di carattere regolamentare è idonea a fondare pretese sostanziali nei rapporti interprivati, che assumono la consistenza e il grado di protezione del diritto soggettivo. Dall'altra parte, alcuni elementi di origine civilistica assumono una rilevanza qualificata nel procedimento di rilascio della concessione edilizia
" (massima tratta da www.regione.piemonte.it - Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 06.03.2012 n. 1270 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Rilascio del permesso di costruire e potere-dovere dell'amministrazione.
Nel procedimento di rilascio del permesso di costruire l'amministrazione comunale ha il potere-dovere di verificare l'esistenza, in capo al richiedente, di un titolo idoneo al godimento dell'intero bene interessato dal progetto e ciò pure a fronte della pacifica circostanza che il titolo abilitativo finale è comunque sempre rilasciato "facendo salvi i diritti dei terzi”. Si tratta di un'attività istruttoria che non è diretta a risolvere i conflitti di interesse tra le parti private in ordine all'assetto proprietario degli immobili, ma che risulta invece finalizzata ad accertare il requisito della legittimazione soggettiva del richiedente.
L'esame del titolo di godimento operato dall'amministrazione, infatti, non costituisce una sorta di eccezionale intrusione in un ambito privatistico, ma rappresenta la coerente applicazione del principio secondo cui l'autorità pubblica deve sempre riscontrare la legittimazione del soggetto che propone un'istanza, nel contesto della generale esigenza di verifica sull'ordinato svolgimento delle attività sottoposte al controllo autorizzatorio (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 14.02.2012 n. 5633 - tratto da www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Per il rilascio del titolo edilizio e' sufficiente che la P.A. riscontri in capo al richiedente l'esistenza di una formale disponibilità sul bene.
Ha titolo al rilascio della concessione edilizia non solo il proprietario o il titolare di diritti reali, ma anche colui che sia titolare di un diritto personale e abbia, per effetto, di questo la facoltà di eseguire i lavori (cfr. sul punto, Cons. Stato, V, 28.05.2001, n. 2881). Il contratto di locazione è, pertanto, titolo idoneo ad opere, quali sono quelle in questione, di carattere non irreversibile e temporalmente collegate alla gestione del distributore di carburanti. Né l’amministrazione comunale è tenuta ad accertare l’assenso di terzi all’attività del richiedente, o l’eventuale danno che qualcuno potrebbe subire dal provvedimento abilitativo, il quale viene emanato solamente sulla scorta della valutazione del titolo formale di disponibilità dell’area edificabile e con salvezza delle ragioni dei terzi.
In sostanza, non incombe all’amministrazione comunale una particolare indagine sul titolo che legittima l’interessato al rilascio della concessione edilizia. Di conseguenza è corretta la sentenza impugnata, laddove assume il legittimo rilascio del titolo abilitativo alle opere sulla base dell’astratta riconducibilità delle opere ai diritti rivenienti dal contratto di locazione. Inoltre non grava sull’amministrazione deputata al rilascio della concessione edilizia un particolare accertamento sulla misura dei diritti rivenienti alle parti dal rapporto obbligatorio che legittima al rilascio del titolo.
L’amministrazione comunale, invero, rilascia il titolo con la locuzione “salvi i diritti dei terzi” proprio perché è estraneo al suo potere l’accertamento di eventuali limiti del richiedente all’esercizio dell’attività edificatoria (L’accertamento dell’eventuale lesione del diritto soggettivo sulla cosa comune va fatto valere davanti al giudice ordinario e di tanto è consapevole la ricorrente che ha proposto azione possessoria al giudice ordinario a tutela delle sue pretese ragioni all’immodificabilità degli accessi al piazzale, domanda che non risulta sia stata accolta) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 02.02.2012 n. 568 - massima tratta da www.gazzettaamministrativa.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il permesso di costruire è rilasciato al proprietario dell'immobile o a chi abbia titolo per richiederlo, per cui l'interessato è tenuto a fornire al Comune la prova del suo diritto, mentre l’Ente non deve svolgere sul punto verifiche eccedenti quelle richieste dalla ragionevolezza e dalla comune esperienza, in relazione alle concrete circostanze di fatto, dovendosi così escludere “un obbligo del comune di effettuare complessi accertamenti diretti a ricostruire tutte le vicende riguardanti l'immobile in considerazione".
Spettano all’usufruttuario dell’immobile –escludendo così il nudo proprietario- tutti i diritti, i poteri e le facoltà inerenti alla cosa, da cui egli può trarre ogni utilità che questa può dare (981 c.c.), purché ne rispetti la destinazione: e, dunque, anche lo ius aedificandi correlato al bene, facoltà che in tale ambito palesemente rientra, e che, pertanto, non può essere esercitata dal nudo proprietario.

Invero, ex art. 11, I comma, del d.P.R. 06.06.2001, n. 380, il permesso di costruire è rilasciato al proprietario dell'immobile o a chi abbia titolo per richiederlo, per cui l'interessato è tenuto a fornire al Comune la prova del suo diritto, mentre l’Ente non deve svolgere sul punto verifiche eccedenti quelle richieste dalla ragionevolezza e dalla comune esperienza, in relazione alle concrete circostanze di fatto, dovendosi così escludere “un obbligo del comune di effettuare complessi accertamenti diretti a ricostruire tutte le vicende riguardanti l'immobile in considerazione" (C.d.S., V, 07.09.2007, n. 4703).
Ora, in specie, non è dubbio come l’intervento originariamente proposto determinasse una radicale trasformazione dell’area interessata, coinvolgendo l’appartamento al piano terreno; anche trascurando la servitù di passaggio, il progetto comportava ictu oculi la modificazione dell’accesso ed il tamponamento di una finestra che presenta elementi, i quali permettono di qualificarla come una veduta.
Inoltre, come risulta dagli atti di causa, il nuovo fabbricato abitativo era destinato ad occupare una parte della corte comune, della quale l’usufruttuario poteva evidentemente godere, e che viene così sacrificata.
Infine, come si è visto, la nuova volumetria è stata calcolata con riferimento all’intero edificio principale e, quindi, anche alla parte in usufrutto.
Del resto, non v’è dubbio che spettino all’usufruttuario dell’immobile –escludendone così il nudo proprietario- tutti i diritti, i poteri e le facoltà inerenti alla cosa, da cui egli può trarre ogni utilità che questa può dare (981 c.c.), purché ne rispetti la destinazione: e, dunque, anche lo ius aedificandi correlato al bene, facoltà che in tale ambito palesemente rientra, e che, pertanto, non può essere esercitata dal nudo proprietario.
Insomma, il Comune di Spinea, senza necessità di procedere a complessi accertamenti, avrebbe dovuto rifiutare il permesso di costruire fino al momento in cui non fosse stato positivamente dimostrato il consenso dell’usufruttuaria all’intervento.
Il riferimento al cd. pactum fiduciae, introdotto ex post dall’Amministrazione per giustificarsi, costituisce, in specie, soltanto il richiamo, elegante ma improprio, ad una locuzione romanistica, con cui, nella fattispecie, si vuole significare come il Comune di Spinea, nel rilasciare il titolo, abbia creduto che la Greggio agisse anche per il titolare del diritto di usufrutto sul bene, essenzialmente perché legata a questo da un rapporto parentale, e da precedenti istanze edilizie non opposte: un’apparentia juris, la quale potrebbe forse avere rilievo in una prospettiva risarcitoria, ma che certamente non determina la legittimità del provvedimento amministrativo, emesso in favore di chi non aveva titolo ad ottenerlo, ed in relazione al contenuto immediatamente percepibile dell’intervento progettato.
Insomma, il permesso di costruire de quo è stato emesso in violazione dell’art. 11 del d. lgs. 380/2001 e va annullato, in conformità al primo motivo di ricorso proposto
(TAR Veneto, Sez. II, sentenza 25.01.2012 n. 32 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La legittimazione a richiedere il rilascio della concessione edilizia spetta non solo al proprietario dell'area o al titolare di un diritto reale sulla stessa, ma anche a chiunque abbia un qualsiasi altro titolo idoneo a richiederla; in definitiva, sono legittimati a richiedere la concessione edilizia anche i soggetti che si trovano rispetto al bene immobile da edificare in relazione qualificata, come appunto anche i titolari di un diritto personale, quali, ad esempio, il conduttore.
Peraltro il rilascio della concessione edilizia impone all'amministrazione comunale soltanto una preliminare verifica circa la legittimazione sostanziale del soggetto che chiede di esercitare lo "ius edificandi".
Ai sensi del richiamato articolo 4 della legge n. 10 del 1977, “La concessione è data dal sindaco al proprietario dell'area o a chi abbia titolo per richiederla…
Per gli immobili di proprietà dello Stato la concessione è data a coloro che siano muniti di titolo, rilasciato dai competenti organi dell'amministrazione, al godimento del bene. …
”.
La norma, pertanto, dispone che la legittimazione a richiedere il rilascio della concessione edilizia spetti, non solo al proprietario dell'area o al titolare di un diritto reale sulla stessa, ma anche a chiunque abbia un qualsiasi altro titolo idoneo a richiederla; può ritenersi che, in definitiva, sono legittimati a richiedere la concessione edilizia anche i soggetti che si trovano rispetto al bene immobile da edificare in relazione qualificata, come appunto anche i titolari di un diritto personale, quali, ad esempio, il conduttore (come avvenuto nel caso di specie) (Consiglio di Stato, sez. VI, 15.07.2010, n. 4557).
Peraltro il rilascio della concessione edilizia impone all'amministrazione comunale soltanto una preliminare verifica circa la legittimazione sostanziale del soggetto che chiede di esercitare lo "ius edificandi"
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter, sentenza 24.01.2012 n. 765 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2011

EDILIZIA PRIVATA: L'art. 12 D.Lgs. n. 387 del 2003 (adottato dal legislatore nazionale in attuazione di direttiva comunitaria e ispirato a principi di semplificazione e accelerazione delle procedure finalizzate alla realizzazione e gestione degli impianti di energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili e, segnatamente, da fonte eolica), ha previsto una autorizzazione unica, che sostituisce tutti i pareri e le autorizzazioni altrimenti necessari, e in cui confluiscono anche le valutazioni di carattere paesaggistico, nonché quelle relative alla esistenza di vincoli di carattere storico-artistico, tramite il meccanismo della Conferenza di servizi. Pertanto, l'organo competente al rilascio dell'autorizzazione unica compie la valutazione comparativa di tutti gli interessi coinvolti, tenendo conto delle posizioni di dissenso espresse dai partecipanti alla Conferenza di servizi.
Nella dialettica dei numerosi interessi collettivi coinvolti nel procedimento volto al rilascio dell'autorizzazione unica, il parere negativo opposto dai Comuni il cui territorio sia interessato dalla realizzazione dell'opera pubblica svolge la funzione di mera rappresentazione degli intereressi afferenti a tali enti, rimessi alla valutazione discrezionale della Regione, sicché questa rimane libera, nella formulazione del proprio atto di autorizzazione unica, di recepire o meno quanto da essi evidenziato: diversamente, al Comune verrebbe attribuito un potere di veto che non è previsto dalla disciplina della conferenza di servizio di cui agli artt. 14 ss., L. 07.08.1990 n. 241 né dall’art. 12, del D.Lgs. n. 387/2003.
L'art. 12 del D.Lgs. n. 387/2003 rende palese l'intento del legislatore di favorire le iniziative volte alla realizzazione degli impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, semplificando il relativo procedimento autorizzativo e concentrando l'apporto valutativo di tutte le amministrazioni interessate nella conferenza dei servizi ai fini del rilascio di una autorizzazione unica) e che a tale norma va riconosciuto valore di principio fondamentale, ai sensi e per gli effetti dell'art. 117, comma 3, Cost., vincolante per le regioni nella materia di legislazione concorrente di produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia, nella quale rientra la realizzazione e gestione degli impianti di energia da fonte eolica.
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In relazione alla previsione di cui all’art. 11 del D.P.R. 06.06.2001 n. 380, la legittimazione a richiedere il permesso di costruire compete, oltre che al proprietario, a chi abbia una situazione giuridica assimilabile alla proprietà o, eventualmente, alla qualificata aspettativa di poter esercitare le prerogative del proprietario su di un'area, come nella ipotesi del promissario acquirente di un suolo.
Con il ricorso all’esame, il Comune di Calusco d'Adda impugna l’autorizzazione –ex art. 12 del D.Lgs. n. 387/2003- alla costruzione e all’esercizio di un impianto fotovoltaico sito nel proprio territorio comunale, che è stata rilasciata dalla Provincia di Bergamo alla controinteressata ...Srl, nonché la presupposta conferenza di servizi conclusasi il giorno 15.07.2010.
...
La disamina delle tre distinte censure articolate dal ricorrente Comune di Calusco d'Adda deve essere preceduta dall’inquadramento sistematico della normativa che viene in rilievo.
L’art. 12 del D.Lgs. 29.12.2003 n. 387 -recante “Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità”– prevede:
– al 1° comma la pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza delle opere per la realizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili;
– al 3° comma che la costruzione e l'esercizio degli impianti gli impianti predetti è assoggettata ad una autorizzazione unica, rilasciata dalla regione o dalle province delegate dalla regione, nel rispetto delle normative vigenti in materia di tutela dell'ambiente, di tutela del paesaggio e del patrimonio storico-artistico, che costituisce, ove occorra, variante allo strumento urbanistico;
– al 4° comma che l'autorizzazione è rilasciata a seguito di un procedimento unico, al quale partecipano tutte le Amministrazioni interessate
- al comma 4-bis che il proponente deve dimostrare nel corso del procedimento, e comunque prima dell’autorizzazione, la disponibilità del suolo su cui realizzare l’impianto;
– al 6° comma che l'autorizzazione non può essere subordinata né prevedere misure di compensazione a favore delle regioni e delle province.
- al 7° comma che gli impianti alimentati da fonti rinnovabili possono essere ubicati anche in zone classificate agricole dai piani urbanistici;
- al 10° comma che le linee guida per lo svolgimento del procedimento di cui al comma 3° -volte ad assicurare un corretto inserimento degli impianti, con specifico riguardo agli impianti eolici, nel paesaggio– sono approvate nella Conferenza unificata e che, in attuazione di tali linee guida, le regioni possono procedere alla indicazione di aree e siti non idonei alla installazione di specifiche tipologie di impianti. Le stesse regioni devono adeguare le rispettive discipline entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore delle linee guida e, in caso di mancato adeguamento entro il predetto termine, si applicano le linee guida nazionali.
La giurisprudenza amministrativa ha rilevato che:
- l'art. 12 D.Lgs. n. 387 del 2003 (adottato dal legislatore nazionale in attuazione di direttiva comunitaria e ispirato a principi di semplificazione e accelerazione delle procedure finalizzate alla realizzazione e gestione degli impianti di energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili e, segnatamente, da fonte eolica), ha previsto una autorizzazione unica, che sostituisce tutti i pareri e le autorizzazioni altrimenti necessari, e in cui confluiscono anche le valutazioni di carattere paesaggistico, nonché quelle relative alla esistenza di vincoli di carattere storico-artistico, tramite il meccanismo della Conferenza di servizi. Pertanto, l'organo competente al rilascio dell'autorizzazione unica compie la valutazione comparativa di tutti gli interessi coinvolti, tenendo conto delle posizioni di dissenso espresse dai partecipanti alla Conferenza di servizi (cfr. Cons. St., Sez. VI, 22.02.2010 n. 1020);
- nella dialettica dei numerosi interessi collettivi coinvolti nel procedimento volto al rilascio dell'autorizzazione unica, il parere negativo opposto dai Comuni il cui territorio sia interessato dalla realizzazione dell'opera pubblica svolge la funzione di mera rappresentazione degli intereressi afferenti a tali enti, rimessi alla valutazione discrezionale della Regione, sicché questa rimane libera, nella formulazione del proprio atto di autorizzazione unica, di recepire o meno quanto da essi evidenziato: diversamente, al Comune verrebbe attribuito un potere di veto che non è previsto dalla disciplina della conferenza di servizio di cui agli artt. 14 ss., L. 07.08.1990 n. 241 né dall’art. 12, del D.Lgs. n. 387/2003 (cfr. TAR Lazio Latina, sez. I, 22.12.2009 n. 1343;
- l'art. 12 del D.Lgs. n. 387/2003 rende palese l'intento del legislatore di favorire le iniziative volte alla realizzazione degli impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, semplificando il relativo procedimento autorizzativo e concentrando l'apporto valutativo di tutte le amministrazioni interessate nella conferenza dei servizi ai fini del rilascio di una autorizzazione unica) e che a tale norma va riconosciuto valore di principio fondamentale, ai sensi e per gli effetti dell'art. 117, comma 3, Cost., vincolante per le regioni nella materia di legislazione concorrente di produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia, nella quale rientra la realizzazione e gestione degli impianti di energia da fonte eolica (cfr. TAR Sardegna, Sez. I, 14.01.2011 n. 32).
La Corte costituzionale –chiamata a pronunciarsi sulla legittimità di una serie di leggi regionali intervenute sulla materia– ha rilevato (cfr. quanto riassunto nella sentenza 15.06.2011 n. 192) che:
<<La normativa internazionale, quella comunitaria, e quella nazionale, manifestano ampio favor per le fonti energetiche rinnovabili, nel senso di porre le condizioni per la massima diffusione dei relativi impianti. In ambito nazionale, la normativa comunitaria è stata recepita dal decreto legislativo n. 387 del 2003, il cui art. 12 enuncia i princìpi fondamentali della materia, di potestà legislativa concorrente, della «produzione, trasporto e distribuzione di energia», cui le Regioni sono vincolate (sentenze nn. 124, 168, 332 e 366 del 2010). Pur non potendosi trascurare la rilevanza che, in relazione agli impianti che utilizzano fonti rinnovabili, riveste la tutela dell’ambiente e del paesaggio, il bilanciamento tra le esigenze connesse alla produzione di energia e gli interessi ambientali impone una preventiva ponderazione concertata in ossequio al principio di leale cooperazione, che il citato art. 12 rimette all’emanazione delle linee guida, con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, d’intesa con la Conferenza unificata.
Solo in base alla formulazione delle linee guida, ogni Regione potrà adeguare i criteri così definiti alle specifiche caratteristiche dei rispettivi contesti territoriali, non essendo nel frattempo consentito porre limiti di edificabilità degli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili, su determinate zone del territorio regionale (sentenze nn. 166 e 382 [rectius 282] del 2009; nn. 119 e 344 del 2010; n. 44 del 2011), e nemmeno sospendere le procedure autorizzative per la realizzazione degli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili in determinate parti del territorio regionale, fino all’approvazione delle linee guida nazionali (sentenze n. 364 del 2006, n. 382 del 2009, nn. 124 e 168 del 2010).
>>.
In particolare, la Corte costituzionale con la sentenza 22.12.2010 n. 366 –con cui ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 27, comma 1, lett. b), l.reg. Puglia 19.02.2008 n. 1- ha rilevato (cfr. il p. 3.2.) che “l’adozione, da parte delle Regioni, nelle more dell’approvazione delle linee guida previste dall’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, di una disciplina come quella oggetto di censura provoca l’impossibilità di realizzare impianti alimentati da energie rinnovabili in un determinato territorio, dal momento che l’emanazione delle linee guida nazionali per il corretto inserimento nel paesaggio di tali impianti è da ritenersi espressione della competenza statale di natura esclusiva in materia di tutela dell’ambiente. L’assenza delle linee guida nazionali non consente, dunque, alle Regioni di provvedere autonomamente alla individuazione di criteri per il corretto inserimento degli impianti alimentati da fonti di energia alternativa. Di conseguenza l’individuazione di aree territoriali ritenute non idonee all’installazione di impianti eolici e fotovoltaici, non ottemperando alla necessità di ponderazione concertata degli interessi rilevanti in questo ambito, in ossequio al principio di leale cooperazione, risulta in contrasto con l’art. 12, comma 10, del d.lgs. n. 387 del 2003 (sent. n. 382 del 2009)”.
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Con il secondo motivo il ricorrente Comune lamenta la mancata dimostrazione – da parte della richiedente – della disponibilità del suolo su cui realizzare l'impianto -richiesta dal comma 4-bis dell'art. 12 cit., nel mentre la delibera 25.11.2009 della Giunta regionale stabilisce che il soggetto richiedente deve autocertificare il titolo di proprietà, possesso o disponibilità delle aree interessate dal progetto; gli accordi preliminari, i contratti di affitto devono essere dichiarati e documentati; in caso di impianti fotovoltaici …è allegata la documentazione da cui risulti la disponibilità dell'area interessata alla realizzazione dell'impianto– mentre è stato presentato un semplice preliminare di compravendita condizionato non trascritto né registrato: titolo che si afferma essere inidoneo allo scopo di cui sopra.
La doglianza va disattesa.
Invero, l’art. 12 del D.lgs. n. 387/2003 -al comma 4-bis– dispone che il proponente deve dimostrare nel corso del procedimento, e comunque prima dell’autorizzazione, la disponibilità del suolo su cui realizzare l’impianto.
Nel corso del procedimento, il richiedente ha depositato alla Provincia in data 03.02.2010 copia dell’atto in data 05.12.2009, recante la promessa di vendita condizionata di tale terreno.
L’atto autorizzativo prevede poi -al p. 2, lett. C)- che: “prima dell’inizio dei lavori, la cui data dovrà essere comunicata al Comune di Calusco d’Adda e alla provincia con anticipo di almeno 5 giorni, dovrà essere formalizzata e trasmessa alla stessa provincia la promessa di compravendita datata 05.12.2009 e allegata all’istanza ai sensi dell’art. 12 del D.lgs. 387/03 (prot. Prov. N. 10964 del 03.02.2010). In difetto sarà avviata la procedura per la revoca dell’autorizzazione”.
In generale, la giurisprudenza ha rilevato che (in relazione alla previsione di cui all’art. 11 del D.P.R. 06.06.2001 n. 380) la legittimazione a richiedere il permesso di costruire competa, oltre che al proprietario, a chi abbia una situazione giuridica assimilabile alla proprietà o, eventualmente, alla qualificata aspettativa di poter esercitare le prerogative del proprietario su di un'area, come nella ipotesi del promissario acquirente di un suolo (cfr. TAR Lecce, Sez. I, 29.07.2010 n. 1834; Cons. St., Sez. IV 27.10.2009 n. 6545; Sez. VI, n. 7847/2004).
Rinviando a quanto enunciato in precedenza in ordine al rilievo da riconoscere alle linee guida regionali emesse in epoca anteriore all’emanazione di quelle nazionali, va posto in luce che nessuna norma -né le stesse linee guida- richiede la registrazione o la trascrizione (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 13.12.2011 n. 1726 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Sul quadro delle norme e dei principi che presiedono al rilascio dei titoli edilizi avuto particolare riguardo all’aspetto della legittimazione del richiedente e degli impedimenti di carattere negoziale.
E' possibile accogliere le istanze di sanatoria di opere edilizie che creano limitazioni di tipo urbanistico alle proprietà finitime qualora le eventuali limitazioni di tipo urbanistico o regolamentare possano essere rimosse attraverso la disponibilità del vicino o del condominio a cedere in uso o in vendita porzioni di terreno (o di parti comuni di edificio), oppure mediante stipula da parte degli stessi proprietari confinanti di atti di asservimento di dette aree al lotto contiguo, o ancora attraverso la creazione di servitù permanente; non vi sono dubbi, infatti, che il nostro ordinamento giuridico riconosce un potere dispositivo alle parti in ordine alle norme in materia di distanze tra edificazioni e fra queste ed i confini, potendo i privati rinunciare al diritto di pretendere l’osservanza delle norme in materia.
La giurisprudenza del Consiglio di Stato, superando l’indirizzo precedente che affermava la totale indifferenza delle ragioni privatistiche rispetto alla legittimità dei provvedimenti edilizi, è oggi allineata nel senso che l’amministrazione, quando venga a conoscenza dell’esistenza di contestazioni sul diritto del richiedente il titolo abilitativo, debba compiere le indagini necessarie per verificare la fondatezza delle contestazioni, precisando anche che, se il richiedente non sia in grado di fornire elementi seri a fondamento del suo diritto, l’amministrazione non deve rilasciare il provvedimento abilitativo.

Conviene delineare brevemente il quadro delle norme e dei principi che presiedono al rilascio dei titoli edilizi avuto particolare riguardo all’aspetto della legittimazione del richiedente e degli impedimenti di carattere negoziale.
Tra le limitazioni al diritto a costruire, da prendere in considerazione ai fini del rilascio del relativo permesso o di un titolo edilizio in sanatoria, la giurisprudenza ha operato un’accurata distinzione tra limiti legali e limiti negoziali. I primi, pure in caso di istanza di condono, sono destinati ad investire anche il rapporto pubblicistico. Per gli altri si prospetta una diversa incidenza, considerato che il comune non è tenuto a ricercarli.
L’art. 11, ultimo comma, t.u. edilizia —secondo cui «il rilascio del permesso di costruire non comporta limitazione dei diritti dei terzi»— ha cristallizzato a livello positivo una prassi amministrativa e giurisprudenziale assolutamente pacifica che aveva ricevuto un primo riconoscimento legale nell’art. 2, comma 37, lett. c), l. n. 662 del 1996 (che ha novellato l’art. 39 l. n. 724 del 1994, successivamente si veda l’art. 32, comma 31, d.l. n. 269 cit. in materia di condono straordinario).
L’ordinamento giuridico ammette, in via generale, limitazioni di varia natura al diritto di costruire a presidio dei diritti dei terzi controinteressati.
Nell’ambito del diritto civile si distinguono limiti legali dell’attività edificatoria (sempre concernenti i rapporti tra proprietari di fondi finitimi), essenzialmente rivenienti nella disciplina contenuta nel libro terzo, capo II, c.c. (si tratta delle prescrizioni in materia di distanze, luci e vedute); e limiti che discendono non direttamente dalla legge ma dall’esercizio dell’autonomia negoziale: fra questi spiccano gli iura in re aliena di godimento (usufrutto, servitù, ecc.) cui corrispondono altrettante restrizioni del diritto di proprietà riguardanti lo ius aedificandi dei confinanti, che può risultare semplicemente inciso o del tutto sottratto.
I su menzionati limiti operano diversamente sul piano dei controlli esercitabili dall’amministrazione in sede di rilascio del permesso di costruire.
I limiti legali, trovando applicazione generalizzata e conservando sempre il medesimo contenuto, concorrono a formare lo statuto generale dell’attività edilizia e non pongono problemi di conoscibilità all’amministrazione che è tenuta a considerarli sempre.
Diversamente per le limitazioni negoziali del diritto di costruire, cui possono ricondursi anche quelle scaturenti dall’art. 1117 c.c. (cfr. Cons. St., sez. IV, 10.12.2007, n. 6332, secondo cui è legittimo il provvedimento con cui il comune rilascia un condono straordinario ex art. 32 d.l. 30.09.2003 n. 269, avente ad oggetto la costruzione di un terrazzo coperto e disimpegno, di pertinenza di un appartamento ubicato in uno stabile condominiale, non potendosi accogliere le censure riguardanti la violazione delle distanze legali minime rispetto alla costruzione di terzi e al difetto di autorizzazione del condominio all’esecuzione dei lavori su parti comuni dello stabile (nella specie, al momento del rilascio del permesso in sanatoria, era assolutamente controversa, fra le parti confinanti, la questione concernente la reintegra delle distanze violate, pendendo la relativa controversia in sede civile, e non constava alcuna opposizione da parte del condominio).
Circa l’ambito di operatività di tali limiti la giurisprudenza oscilla fra due soluzioni che costituiscono un corollario della clausola di salvezza dei diritti dei terzi ed hanno in comune l’inesistenza, in capo all’amministrazione, di un autentico obbligo di ricerca di tali limiti, prodromico al diniego di permesso.
La prima ne esclude ogni rilevanza nel presupposto che all’amministrazione sia inibito qualsiasi sindacato anche indiretto sulla validità ed efficacia dei rapporti giuridici dei privati (cfr. Cons. Stato, sez. V, 20.12.1993, n. 1341); la seconda ammette che il comune verifichi il rispetto dei limiti privatistici, purché siano immediatamente conoscibili, effettivamente e legittimamente conosciuti nonché del tutto incontestati, di guisa che il controllo si traduca in una semplice presa d’atto (cfr., da ultimo, Cons. Stato, sez. IV, 12.03.2007, n. 1206).
Coerenti, ma non recepibili nel caso di specie, sono le conclusioni cui è giunta la giurisprudenza più recente in ordine agli oneri del comune di verificare la legittimazione dei singoli condomini ad eseguire opere su parti comuni (cfr. sez. IV 14.09.2005, n. 4744, che ritiene in contrasto con l’art. 11 t.u. cit., il titolo edilizio rilasciato in mancanza dell’assenso condominiale); anche in tali casi il comune si limita a verificare, puramente e semplicemente, la presenza di un’autorizzazione senza ovviamente poterne vagliare la validità.
Le conclusioni rimangono immutate quando il comune sia chiamato a rilasciare un titolo edilizio in sanatoria ordinaria (ex art. 36 t.u. edilizia) o straordinaria (da ultimo, ex art. 32 d.l. n. 269 del 2003).
Nel primo caso si richiede, specie in presenza di contrasto conclamato fra condomini, che l’istruttoria del comune sia particolarmente accurata (cfr. sez. IV, 16.03.2010, n. 1537; sez. V 21.10.2003, n. 6529, fattispecie relativa all’art. 13 l. n. 47 del 1985 oggi trasfuso con modificazioni nell’art. 36 t.u. edilizia; 20); in tal caso doverosamente si acquisisce la delibera di autorizzazione condominiale che esonera il comune da ogni altro tipo di accertamento non potendo essere disapplicata da quest’ultimo (cfr. Cons. St., sez. IV, n. 1537 del 2010 cit.).
Nel caso di condono straordinario la giurisprudenza registra una maggiore varietà di posizioni.
Secondo una minoritaria tesi la concessione del condono straordinario è impedita qualora l’abuso consista non già nella inosservanza di prescrizioni dirette principalmente a soddisfare finalità di interesse pubblico, ma nella violazione delle norme che tutelano in modo diretto ed immediato lo specifico interesse dei proprietari confinanti (cfr. Cons. Stato, sez. V, 09.12.1997, n. 1487 relativa a fattispecie di condono governata dall’art. 39 l. n. 724 del 1994).
Di contro, ed in linea con quanto illustrato circa il controllo esigibile da parte del comune in sede di rilascio del permesso di costruire ex art. 11 t.u. edilizia, si ritiene che la rilevanza giuridica del condono straordinario si esaurisca nell’ambito del rapporto pubblicistico, senza estendersi ai rapporti fra privati, essendo il condono rilasciato con salvezza espressa dei diritti dei terzi (cfr. Cass., sez. un., 12.01.2007, n. 417); ne discende che la presentazione di istanza di sanatoria, con riguardo a costruzione realizzata in violazione della disciplina urbanistica, non implica la sospensione della contesa promossa dal proprietario confinante, per far valere, nel rapporto di vicinato, gli effetti di detta violazione (cfr. Cass. 07.02.1991, n. 1276).
Il compendio delle regole fin qui esaminate consente:
a) all’autore dell’abuso di fruirne anche se l’illecito consista nella violazione delle distanze legali;
b) al comune di disinteressarsi delle relative vicende, fermo restando che il terzo leso potrà ottenere satisfattiva tutela davanti al giudice civile non subendo alcun pregiudizio dal rilascio del titolo (cfr., da ultimo, Cons. Stato, sez. IV, 30.12.2006, n. 8626).
Coerentemente si ritiene possibile accogliere le istanze di sanatoria di opere edilizie che creano limitazioni di tipo urbanistico alle proprietà finitime qualora le eventuali limitazioni di tipo urbanistico o regolamentare possano essere rimosse attraverso la disponibilità del vicino o del condominio a cedere in uso o in vendita porzioni di terreno (o di parti comuni di edificio), oppure mediante stipula da parte degli stessi proprietari confinanti di atti di asservimento di dette aree al lotto contiguo, o ancora attraverso la creazione di servitù permanente; non vi sono dubbi, infatti, che il nostro ordinamento giuridico riconosce un potere dispositivo alle parti in ordine alle norme in materia di distanze tra edificazioni e fra queste ed i confini, potendo i privati rinunciare al diritto di pretendere l’osservanza delle norme in materia (cfr. Cons. giust. amm., sez. cons., 16.07.1996, n. 467/1996).
In definitiva, la giurisprudenza del Consiglio di Stato, superando l’indirizzo precedente che affermava la totale indifferenza delle ragioni privatistiche rispetto alla legittimità dei provvedimenti edilizi, è oggi allineata nel senso che l’amministrazione, quando venga a conoscenza dell’esistenza di contestazioni sul diritto del richiedente il titolo abilitativo, debba compiere le indagini necessarie per verificare la fondatezza delle contestazioni, precisando anche che, se il richiedente non sia in grado di fornire elementi seri a fondamento del suo diritto, l’amministrazione non deve rilasciare il provvedimento abilitativo (Cons. Stato, sez. IV, 08.06.2007, n. 3027; sez. V, 07.07.2005, n. 3730)
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 08.11.2011 n. 5894 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Alla richiesta di sanatoria edilizia (condono) e agli adempimenti relativi possono provvedere, non solo «coloro che hanno titolo, ai sensi della l. 28.01.1977 n. 10, a richiedere la concessione edilizia o l’autorizzazione» (oggi i soggetti indicati dall’art. 11 t.u. edilizia), ma anche, «salvo rivalsa nei confronti del proprietario, ogni altro soggetto interessato al conseguimento della sanatoria medesima», la sanatoria, quindi, sarebbe fungibile ratione persona rum, ma a condizione che sia acquisito in modo univoco il consenso comunque manifestato dal proprietario.
La sezione deve stabilire se siano rinvenibili regole peculiari, in punto di legittimazione attiva, all’interno della speciale normativa che, nel tempo, ha disciplinato il c.d. condono edilizio straordinario.
La norma base è quella sancita dall’art. 31, co. 3, l. n. 47 del 1985 (sostanzialmente richiamata dalla successiva legislazione in materia di condoni edilizi straordinari), secondo cui: <<Alla richiesta di sanatoria ed agli adempimenti relativi possono altresì provvedere coloro che hanno titolo, ai sensi della L. 28.01.1977, n. 10, a richiedere la concessione edilizia o l'autorizzazione nonché, salvo rivalsa nei confronti del proprietario, ogni altro soggetto interessato al conseguimento della sanatoria medesima>>.
Secondo un primo, più rigoroso indirizzo, che svaluta la portata letterale del riferimento normativo a <<ogni altro soggetto interessato al conseguimento della sanatoria medesima>>, la legittimazione a chiedere il condono spetterebbe esclusivamente a chi abbia diritto al rilascio di un ordinario titolo edilizio (cfr. da ultimo Cons. St., sez. VI, 25.03.2011, n. 1842, fattispecie relativa ad occupante di fatto di area demaniale, privo di qualsivoglia titolo abilitativo, che è stato ritenuto privo della legittimazione a chiedere il condono dell’immobile realizzato abusivamente; sez. IV, 27.10.2009, n. 6545).
Secondo la tesi diametralmente opposta (sostenuta da buona parte della dottrina e dalla giurisprudenza di primo grado, cfr. Tar Puglia, Lecce, sez. III, 09.07.2011, n. 1057), che fa leva sul tenore letterale della norma e sulla indisponibilità degli effetti penali favorevoli del condono da parte del proprietario dell’immobile, <<è possibile procedere al condono senza il consenso ed anche contro la volontà del proprietario del bene oggetto del procedimento di sanatoria>>.
Una tesi intermedia, invece, ritiene che alla richiesta di sanatoria e agli adempimenti relativi possono provvedere, non solo «coloro che hanno titolo, ai sensi della l. 28.01.1977 n. 10, a richiedere la concessione edilizia o l’autorizzazione» (oggi i soggetti indicati dall’art. 11 t.u. edilizia), ma anche, «salvo rivalsa nei confronti del proprietario, ogni altro soggetto interessato al conseguimento della sanatoria medesima», la sanatoria, quindi, sarebbe fungibile ratione persona rum, ma a condizione che sia acquisito in modo univoco il consenso comunque manifestato dal proprietario (cfr. Cons. St., sez. IV, 26.01.2009, n. 437; sez. IV, 22.06.2000, n. 3520, secondo la quale, però, la riduzione della misura dell’oblazione prevista dall’art. 34 l. n. 47 cit., essendo calcolata in base al solo criterio funzionale della destinazione economica delle opere, opererebbe esclusivamente ratione rei).
In quest’ottica:
a) è stata considerata sufficiente l'avvenuta sottoscrizione, da parte di un soggetto, di un atto di impegno ad acquistare il locale interessato alla sanatoria (cfr. Cons. St., sez. VI, 27.06.2008, n. 3282);
b) è stato ritenuto indispensabile, in caso di dissidio fra proprietari perché le opere di cui si chiede il condono incidono sul diritto di alcuni di essi, che l’istruttoria della pratica ed il provvedimento finale diano conto della verifica della legittimazione del soggetto richiedente (cfr. Cons. giust. amm. 03.06.2009, n. 84/2009);
c) è stato considerato inapplicabile l’istituto del condono, laddove l’abuso sia realizzato dal singolo condomino su aree comuni, in assenza di ogni elemento di prova circa la volontà degli altri comproprietari, atteso che, diversamente opinando, l’amministrazione finirebbe per legittimare una sostanziale appropriazione di spazi condominiali da parte del singolo condomino, in presenza di una possibile volontà contraria degli altri, i quali potrebbero essere interessati all’eliminazione dell’abuso anche in via amministrativa e non solo con azioni privatistiche (cfr. Cons. St., sez. VI, 27.06.2008, n. 3282).
A tale tesi intermedia aderisce il collegio, precisando che essa appare preferibile perché:
d) non è incompatibile col dato testuale della norma;
e) dal punto di vista sistematico appare in maggior sintonia con il quadro generale dei principi che governano il micro ordinamento di settore (illustrati al precedente par. 13.3.1.);
f) la disponibilità degli effetti penali del condono non è rimessa all’arbitrio del proprietario in quanto, a mente dell’art. 39, l. n. 47 del 1985, l’effettuazione dell’oblazione, qualora le opere non possano conseguire la sanatoria, estingue comunque i reati; invero, il perfezionamento della fattispecie estintiva del reato non è condizionato dagli accertamenti di merito dell’autorità amministrativa relativi alla sussistenza dei requisiti oggettivi e soggettivi del condono, ma a diversi parametri del cui vaglio è investito il giudice penale (cfr. Cass. pen., sez. III, 08.03.2000, n. 5031)
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 08.11.2011 n. 5894 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: In sede di rilascio del titolo abilitativo edilizio sussiste l'obbligo per il Comune di verificare il rispetto da parte dell'istante dei limiti privatistici, a condizione che tali limiti siano effettivamente conosciuti o immediatamente conoscibili e/o non contestati, di modo che il controllo da parte dell'ente locale si traduca in una semplice presa d'atto dei limiti medesimi senza necessità di procedere ad un'accurata ed approfondita disamina dei rapporti tra i condomini.
E' stato condivisibilmente affermato che, in sede di rilascio del titolo abilitativo edilizio sussiste l'obbligo per il Comune di verificare il rispetto da parte dell'istante dei limiti privatistici, a condizione che tali limiti siano effettivamente conosciuti o immediatamente conoscibili e/o non contestati, di modo che il controllo da parte dell'ente locale si traduca in una semplice presa d'atto dei limiti medesimi senza necessità di procedere ad un'accurata ed approfondita disamina dei rapporti tra i condomini (così, Cons. Stato, IV, 04.05.2010, n. 2546).
E' è tra le ipotesi di questo tipo che sembra doversi ricomprendere la d.i.a. in esame, a causa della preventiva comunicazione al Comune di un esposto del comproprietario, cioè di un atto che il Comune non poteva che considerare come sostanziale opposizione all’intervento, e che quindi, oggettivamente, metteva in seria discussione la autonoma disponibilità della copertura dell’edificio da parte della ricorrente ai sensi dell’articolo 1102 c.c..
Infatti, non è detto che l’installazione di pannelli solari sul tetto dell’edificio (intervento certamente agevolato ed incentivato dalla normativa, per la sua valenza sotto il profilo ambientale) non possa pregiudicare l’uso o il godimento della cosa comune da parte degli altri partecipanti alla comunione - condizione affinché, ai sensi dell’articolo 1102 c.c., l’intervento modificativo possa essere liberamente realizzato da ciascuno di essi; basti pensare, ad esempio, che ciascun comproprietario potrebbe avere interesse ad installare pannelli per produrre energia, ma potrebbe non essere sufficiente per tutti la superficie a disposizione, o sopportabile dalla struttura il peso di più impianti, etc.; dette eventualità, fanno sì che la disponibilità dell’installazione ai sensi dell’articolo 1102 c.c. non sia affatto scontata, ma debba essere valutata caso per caso, considerando la volontà e gli interessi di tutti i comproprietari (TAR Umbria, sentenza 28.10.2011 n. 333 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Legittimazione a svolgere attività edilizia – Art. 11 d.P.R. n. 380/2001 – Titolo per richiedere il permesso di costruire – Diritto di proprietà, diritti reali e personali di godimento.
L'espressione legislativa "titolo per richiederlo" contenuta nell’art. 11 del d.P.R. n. 380/2001, in punto di legittimazione a svolgere attività edilizia è stata intesa dalla giurisprudenza nel senso di posizione che civilisticamente costituisca titolo per esercitare sul fondo un'attività costruttiva (Cons. Stato, sez. V, 15.03.2001, n. 1507).
Tale posizione soggettiva non coincide con il solo diritto di proprietà, ma anche con altri diritti reali o addirittura personali di godimento, purché attribuiscano al titolare la facoltà di attuare interventi sull'immobile (Cons. Stato, sez. V, 28.05.2001, n. 2882). Di conseguenza, la mancanza del diritto di proprietà o di altro titolo idoneo preclude il rilascio del titolo edilizio.
Legittimazione a svolgere attività edilizia – Comune – verifica del titolo sostanziale – Ricerca di fattori limitativi, preclusivi o estintivi – Necessità – Esclusione.
Al Comune spetta soltanto la verifica, in capo al richiedente, di un titolo sostanziale idoneo a costituire la c.d. "posizione legittimante" a svolgere attività edilizia, senza alcuna ulteriore e minuziosa indagine che si estenda fino alla ricerca di eventuali fattori limitativi, preclusivi o estintivi del titolo di disponibilità dell'immobile, allegata da chi presenta l’istanza (Cons. Stato, sez. V, 04.02.2004, n. 368; TAR Sicilia-Catania, sez. I, 12.10.2010, n. 4084; TAR Lombardia-Milano, sez. II, 31.03.2010, n. 842), salvo che, la sussistenza di detti fattori ostativi non emerga, con pari grado di certezza, dagli atti del procedimento eventualmente introdotti da chi ne abbia interesse (TAR Sicilia-Catania, Sez. I, sentenza 15.09.2011 n. 2220 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Nell’ambito del procedimento per il rilascio di un titolo abilitativo all’edificazione, poiché la legittimazione attiva a chiedere il rilascio di un titolo abilitativo edilizio è configurabile non solo in capo al proprietario del terreno, ma anche in favore del soggetto titolare di altro diritto di godimento del fondo, che lo autorizzi a disporne con un intervento costruttivo, la pubblica amministrazione non è tenuta a svolgere una preliminare indagine istruttoria che si estenda fino alla ricerca d'ufficio di eventuali elementi limitativi, preclusivi o estintivi del titolo di disponibilità allegato dal richiedente.
In via preliminare, la Sezione ritiene di dover ricordare come sia oramai consolidato in giurisprudenza un orientamento, a cui si è rifatto il TAR nella sentenza gravata, che identifica i limiti istruttori nell’ambito del procedimento per il rilascio di un titolo abilitativo all’edificazione. In tali occasioni, poiché la legittimazione attiva a chiedere il rilascio di un titolo abilitativo edilizio è configurabile non solo in capo al proprietario del terreno, ma anche in favore del soggetto titolare di altro diritto di godimento del fondo, che lo autorizzi a disporne con un intervento costruttivo, la pubblica amministrazione non è tenuta a svolgere una preliminare indagine istruttoria che si estenda fino alla ricerca d'ufficio di eventuali elementi limitativi, preclusivi o estintivi del titolo di disponibilità allegato dal richiedente (da ultimo, Consiglio di stato, sez. VI, 10.02.2010, n. 675).
Il controllo dell’azione amministrativa da parte di questo giudice non può che conformarsi a tale assetto, dovendosi limitare a valutare se l’amministrazione ha effettivamente operato nel rispetto delle sue attribuzioni (
Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 02.09.2011 n. 4968 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL’art. 11 del DPR n. 380/2001 stabilisce espressamente che il PdC non comporta limitazione dei diritti di terzi e che il rilascio del permesso è fatto non solo al proprietario, ma anche a “chi abbia titolo per richiederlo”, ovvero per tutte le posizioni civilisticamente utili per esercitare un’attività costruttiva (cd. disponibilità giuridica ad aedificandum), che è possibile individuare anche in soggetti che vantano altra qualificata relazione legittimante il titolo edilizio, diversa dalla proprietà esclusiva, quali i contitolari del diritto dominicale, l’enfiteuta, l’usufruttuario, il titolare del diritto di superficie, d’uso e d’abitazione, fino al promissorio acquirente in possesso del godimento dell’immobile.
Sulla base di questa considerazione, il comproprietario condominiale ha il diritto ad utilizzare il suo titolo reale parziario, al pari di tutti gli altri condomini, né l’Amministrazione è tenuta a fare alcuna disamina puntuale dei rapporti tra gli stessi condomini, essendo sufficiente la sussistenza di un qualificato collegamento soggettivo tra chi fa l’istanza ed il bene oggetto dell’edificazione.

L’Amministrazione dà atto, nel provvedimento impugnato, della concessione edilizia del 1980 (n. 831) e della proprietà esclusiva del sottotetto, invocando per la copertura comune l’art. 1117 c.c., stante la realizzazione di aperture sul tetto, e, quindi, anche il consenso del e/o dei comproprietari, ai sensi dell’art. 11 del DPR. n. 380/2001.
L’art. 1117 c.c. indica in modo esemplificativo le parti comuni di un condominio, tra le quali i “tetti”; trattasi di una norma generale, ma non assoluta, superabile dalle situazioni obiettive e strutturali che dimostrino l’uso e/o l’esclusivo godimento di tale parte dell’immobile, che possono far venir meno le situazioni di contitolarità necessaria, potendo la particolarità della destinazione, vincere la stessa attribuzione legale (Cass. Civ. II, n. 14885/06.07.2011).
Tale aspetto non è stato considerato dal Comune, pur avendo parte ricorrente evidenziato che l’unico accesso per il tetto è dalla loro abitazione, prospettando un’usucapione ventennale del tetto rifatto nel 1980, a spese esclusive del loro dante causa.
Non è compito dell’Amministrazione accertare l’avvenuta usucapione, ma non lo è neppure quello di tutelare i diritti di terzi-condomini, che si ritengono lesi nella loro proprietà o godimento.
L’art. 11 del DPR n. 380/2001, infatti, stabilisce espressamente che il PdC non comporta limitazione dei diritti di terzi e che il rilascio del permesso è fatto non solo al proprietario, ma anche a “chi abbia titolo per richiederlo”, ovvero per tutte le posizioni civilisticamente utili per esercitare un’attività costruttiva (cd. disponibilità giuridica ad aedificandum), che è possibile individuare anche in soggetti che vantano altra qualificata relazione legittimante il titolo edilizio, diversa dalla proprietà esclusiva, quali i contitolari del diritto dominicale, l’enfiteuta, l’usufruttuario, il titolare del diritto di superficie, d’uso e d’abitazione, fino al promissorio acquirente in possesso del godimento dell’immobile.
Sulla base di questa considerazione, il comproprietario condominiale ha il diritto ad utilizzare il suo titolo reale parziario, al pari di tutti gli altri condomini, né l’Amministrazione è tenuta a fare alcuna disamina puntuale dei rapporti tra gli stessi condomini (C.S., IV, n. 2546/2010), essendo sufficiente la sussistenza di un qualificato collegamento soggettivo tra chi fa l’istanza ed il bene oggetto dell’edificazione (C.S., IV, n. 3505/08.06.2011).
Nel PdC n. 184/2007 (recupero abitativo del sottotetto, ai sensi dell’art. 85 LRA n. 15/2004) il Comune ha accertato che il fabbricato è in comproprietà, per la metà, dei due fratelli Totano Nicola e Domenico; ciò stante la motivazione dell’annullamento in autotutela risulta essere in palese contraddizione con il citato PdC (TAR Abruzzo-Pescara, sentenza 01.09.2011 n. 504 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: In materia urbanistica vale infatti il principio generale di cui al primo comma dell’art. 11, d.P.R. 06.06.2001 n. 380, dove, infatti, si prevede espressamente che il permesso edilizio è “rilasciato al proprietario dell'immobile o a chi abbia titolo per richiederlo”. La legge specificamente impone, tra i requisiti di legittimazione, il possesso dei titoli reali per poter intervenire sull'immobile per il quale è richiesto il titolo edilizio.
- Sul piano civilistico, con la convenzione di lottizzazione i proprietari dei terreni interessati alla urbanizzazione pongono in essere un negozio di consorzio urbanistico volontario -con assunzione delle obbligazioni a fini organizzativi e con costituzione degli effetti reali necessari per conferire al territorio l'assetto giuridico conforme al progetto approvato dalla amministrazione- il quale consorzio, come tale, è assoggettato alla disciplina della comunione dettata dal codice civile, in proporzione alle relative quote ex art. 1101, comma 2.
- Sul piano amministrativo la natura degli impegni assunti dai privati in una convenzione di lottizzazione deve essere ricostruita in termini di “accordo sostitutivo del provvedimento” di cui all'art. 11 L. 07.08.1990 n. 241. La convenzione deve quindi essere stipulata assicurando la partecipazione dei soggetti proprietari degli immobili coinvolti, i quali devono necessariamente partecipare tutti alla costituzione(ed alle eventuali modifiche) dell’accordo. Secondo le regole generali, il possesso dei titoli civilisticamente idonei a legittimare la richiesta di convenzionamento –che deve comprendere tutte le aree direttamente interessate dall’intervento- costituisce dunque un requisito giuridico sostanziale di legittimazione dell’istanza ai sensi dell’art. 6, primo comma lett. a) della legge n. 241/1990 e s.m.i.; requisito che deve essere dimostrato sia sul piano amministrativo, ai fini dell’ammissibilità della domanda, sia sul piano processuale, quale condizione dell’azione necessaria al fine di poter poi gravare giurisdizionalmente i relativi atti negativi. Solo in tale ipotesi può configurarsi un obbligo giuridico del Comune a provvedere sull’istanza di convenzionamento
Con il presente appello i ricorrenti impugnano la sentenza del Tar Lecce con cui è stato respinto il loro ricorso diretto all’annullamento del diniego, in riscontro di una loro diffida, alla stipula della convenzione propedeutica alla realizzazione all’intervento diretto dei privati in zona G1 di campo da golf alla realizzazione del campo di golf sul litorale di Ostuni, fra Santa Lucia e Torre Pezzelle, ed al rilascio del relativo permesso di costruire.
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L’adesione di tutti i proprietari ricompresi nei confini dell’area destinata alla realizzazione del campo da golf è indispensabile, in quanto essi costituiscono tutti insieme i soggetti direttamente legittimati al procedimento di convenzionamento con il Comune, ed all’eventuale impugnativa del diniego (cfr. Consiglio Stato, sez. IV, 03.06.1987, n. 326).
In materia vale infatti il principio generale di cui al primo comma dell’art. 11, d.P.R. 06.06.2001 n. 380, dove, infatti, si prevede espressamente che il permesso edilizio è “rilasciato al proprietario dell'immobile o a chi abbia titolo per richiederlo”.
La legge specificamente impone, tra i requisiti di legittimazione, il possesso dei titoli reali per poter intervenire sull'immobile per il quale è richiesto il titolo edilizio (cfr. Consiglio Stato, sez. V, 07.09.2009, n. 5223; Consiglio Stato, sez. IV, 07.09.2007 n. 4703; idem 07.07.2005 n. 3730; Consiglio Stato, sez. V, 12.05.2003, n. 2506).
In tale scia si deve ricordare che, sul piano civilistico, con la convenzione di lottizzazione i proprietari dei terreni interessati alla urbanizzazione pongono in essere un negozio di consorzio urbanistico volontario -con assunzione delle obbligazioni a fini organizzativi e con costituzione degli effetti reali necessari per conferire al territorio l'assetto giuridico conforme al progetto approvato dalla amministrazione- il quale consorzio, come tale, è assoggettato alla disciplina della comunione dettata dal codice civile, in proporzione alle relative quote ex art. 1101, comma 2 (cfr. Cassazione civile, sez. I, 26.04.2010 , n. 9941).
Sul piano amministrativo, invece, la natura degli impegni assunti dai privati in una convenzione di lottizzazione deve essere ricostruita in termini di “accordo sostitutivo del provvedimento” di cui all'art. 11 L. 07.08.1990 n. 241.
La convenzione deve quindi essere stipulata assicurando la partecipazione dei soggetti proprietari degli immobili coinvolti (cfr. Consiglio Stato, sez. V, 12.04.2007, n. 1714), i quali devono necessariamente partecipare tutti alla costituzione(ed alle eventuali modifiche) dell’accordo.
Secondo le regole generali, il possesso dei titoli civilisticamente idonei a legittimare la richiesta di convenzionamento –che deve comprendere tutte le aree direttamente interessate dall’intervento- costituisce dunque un requisito giuridico sostanziale di legittimazione dell’istanza ai sensi dell’art. 6, primo comma lett. a) della legge n. 241/1990 e s.m.i.; requisito che deve essere dimostrato sia sul piano amministrativo, ai fini dell’ammissibilità della domanda (cfr. Sez. IV 08.06.2011 n. 3508), sia sul piano processuale, quale condizione dell’azione necessaria al fine di poter poi gravare giurisdizionalmente i relativi atti negativi.
Solo in tale ipotesi può configurarsi un obbligo giuridico del Comune a provvedere sull’istanza di convenzionamento (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 02.08.2011 n. 4576 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. D.I.A. - Impugnazione diretta di terzo - Inammissibilità - Mezzi di tutela - Incertezza giurisprudenziale - Non sussiste.
2. D.I.A. - Legittimazione alla presentazione titolo abilitativo - Amministratore di condominio - Verifica della P.A. - Titolo sostanziale - Legittimità.
3. D.I.A. - Rispetto disciplina sulle barriere architettoniche - Art. 23 D.P.R. n. 380/2001 - Divieto di aggravio del procedimento - Legittimità.

1. Deve escludersi la declaratoria di inammissibilità nei casi in cui il terzo ha proposto impugnazione diretta contro la D.I.A., o meglio contro il titolo che si sarebbe formato a fronte della presentazione della medesima, in quanto la complessa questione in merito alla natura giuridica della D.I.A. ed ai conseguenti mezzi di tutela per il terzo che si reputa leso dalla medesima, oltre che l'incertezza della giurisprudenza, testimoniata dalla remissione della questione all'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, non può riverberarsi negativamente nei confronti dei cittadini che si reputino lesi dall'attività edilizia intrapresa in seguito a D.I.A. e questo soprattutto laddove, come nella Regione Lombardia, la D.I.A. è quasi totalmente alternativa al permesso di costruire.
2. L'art. 35, L.R. n. 12/2005, secondo cui il titolo abilitativo deve essere rilasciato "a chi abbia titolo per richiederlo" (dettata per il permesso di costruire ma valevole anche per chi si avvale della denuncia di inizio attività) deve essere interpretato nel senso che l'Amministrazione comunale è certamente chiamata allo svolgimento di un'attività istruttoria per accertare la sussistenza del titolo legittimante, anche se all'Ente pubblico spetta soltanto la verifica, in capo al richiedente, di un titolo sostanziale idoneo a costituire la posizione legittimante, senza alcuna ulteriore e minuziosa indagine che si estenda fino alla ricerca di eventuali fattori limitativi, preclusivi o estintivi del titolo di disponibilità dell'immobile, allegato da chi presenta istanza edilizia.
3. Per quanto l'art. 23, c. 6, D.P.R. n. 380/2001, consenta all'Amministrazione, in caso di dubbio sull'esistenza dei presupposti per la denuncia di inizio attività, di chiedere chiarimenti o delucidazioni, allo scopo di completare la propria attività con un provvedimento espresso, inibitorio o di assenso all'attività del privato, tale norma deve essere interpretata alla luce dei generali principi sull'attività amministrativa di cui alla L. n. 241/1990, fra cui quello di divieto di aggravio del procedimento e di necessaria collaborazione fra Pubblica Amministrazione e soggetto privato, risultando conseguentemente la richiesta di chiarimenti in merito al rispetto della disciplina sulle barriere architettoniche (e la relativa risposta), non un atto di accertamento dell'inesistenza dei presupposti per la D.I.A., ma un atto dell'istruttoria che rende il perfezionamento della D.I.A. legittimo (tratto da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 26.07.2011 n. 1989 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl titolare di un diritto di comodato è legittimato alla richiesta di titoli edilizi compatibili con l'effettiva disponibilità del bene e con l'entità della trasformazione oggetto della richiesta.
Il titolare di un diritto di comodato è legittimato alla richiesta di titoli edilizi compatibili con l'effettiva disponibilità del bene e con l'entità della trasformazione oggetto della richiesta (cfr. C.d.S., sez. V, 19.09.2008 , n. 4518; TAR Campania, Salerno, sez. II, n. 4254 del 2009)  (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 20.07.2011 n. 4370 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Condono - Titolo abilitativo edilizio - Soggetti legittimati al rilascio del titolo - Differenza - Fattispecie: promissario acquirente o conduttore.
Il novero dei soggetti legittimati al rilascio del titolo in sanatoria è più ampio rispetto a quanto concerne il rilascio dell’ordinario titolo abilitativo edilizio, per il quale occorre la titolarità del diritto di proprietà, ovvero di altro diritto reale o anche obbligatorio a condizione del riconoscimento della disponibilità giuridica e materiale del bene nonché della relativa potestà edificatoria (Consiglio di Stato V 28.05.2001 n. 2881, TAR Emilia Romagna Bologna 21.02.2007 n. 53, TAR Lombardia Milano sez. II 31.03.2010 n. 842), non essendo pacifica la legittimazione del promissario acquirente (anche in ipotesi di preliminare ad effetti anticipati) non autorizzato dal proprietario promissario venditore (in senso negativo Consiglio Stato, sez. IV, 18.01.2010, n. 144, Cassazione civile sez. III 15.03.2007, n. 6005, in senso affermativo TAR Puglia Lecce sez. I 29.07.2010 n. 1834, TAR Campania Napoli sez. IV 12.01.2000, n. 45).
Il regime, infatti, della concessione edilizia è del tutto diversificato, quanto a presupposti ed elementi propri, da quello della sanatoria. Va pertanto affermato che legittimati all’istanza di condono edilizio ex l. 724/1994 sono oltre coloro che hanno titolo a richiedere la concessione edilizia/permesso di costruire, anche il promissario acquirente o il conduttore (Corte di Appello Firenze, sez II, 04.05.2010 n. 594) e più in generale tutti coloro che vi abbiano interesse, senza il necessario consenso ed anche, al limite, contro la volontà del proprietario del bene.
Condono - Limiti di distanza ex art. 9 d.m. 1444/1968 - Vincolo di inedificabilità assoluto - Esclusione.
I limiti di distanza prescritta dall’art. 9 d.m. 1444/1968, non costituiscono un vincolo di inedificabilità assoluto ai fini della condonabilità (TAR Lazio Roma sez II 22.12.2004, n. 17180), fermo comunque restando l’eventuale azione in sede civile, non avendo il condono edilizio così come la stessa sanatoria impropria di cui all’art. 36 t.u. edilizia alcun effetto sul piano c.d. orizzontale dei rapporti interprivati (Consiglio di Stato sez. IV 16.10.1998, n. 1306, TAR Toscana sez. III 11.03.2004, n. 675, TAR Lazio-Roma sez. II 22.12.2004, n. 17180) (TAR Puglia-Bari, Sez. III, sentenza 09.07.2011 n. 1057 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il rilascio del permesso di costruire avviene nell'ambito del rapporto pubblicistico, e non si estende ai rapporti tra privati, in quanto la lesione di diritti dei terzi non discende direttamente dal rilascio del titolo, ma solo dalla fisica realizzazione dell’opera contro la quale può chiedersi tutela davanti al giudice civile.
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Deve escludersi un obbligo del Comune di effettuare complessi accertamenti diretti a ricostruire tutte le vicende riguardanti la titolarità dell'immobile, ovvero a ricercare le limitazioni negoziali al diritto di costruire. Tuttavia, secondo le regole generali, l'Amministrazione comunale, nel corso dell'istruttoria sul rilascio del permesso di costruire deve verificare “…le condizioni di ammissibilità, i requisiti di legittimazione ed i presupposti rilevanti …” per l’adozione del provvedimento finale.
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Nel caso di lotto intercluso, il difetto del possesso dei titoli reali relativi ai diritti di passaggio veicolare attraverso il cortile altrui costituisce un elemento procedimentalmente ostativo, per il quale legittimamente si nega il rilascio del permesso di costruire.
In linea teorica è esatto il richiamo della sentenza appellata all’orientamento giurisprudenziale per cui il rilascio del permesso di costruire avviene nell'ambito del rapporto pubblicistico, e non si estende ai rapporti tra privati, in quanto la lesione di diritti dei terzi non discende direttamente dal rilascio del titolo, ma solo dalla fisica realizzazione dell’opera contro la quale può chiedersi tutela davanti al giudice civile (cfr. Consiglio Stato, sez. IV, 10.12.2007, n. 6332).
In quanto atto amministrativo che legittima l'attività edilizia nell'ordinamento pubblicistico, il permesso non attribuisce però alcun diritto soggettivo alla stregua del diritto comune a favore di tale soggetto. La rilevanza giuridica della licenza edilizia va circoscritta, infatti, ai rapporti tra p.a. e costruttore ed ai possibili riflessi sulle correlate posizioni di interesse legittimo dei terzi, ma comunque presuppone pur sempre il necessario ed ineludibile possesso dei titoli proprietari da parte del richiedente .
Il primo comma dell’art. 11, d.P.R. 06.06.2001 n. 380, infatti, prevede espressamente che il permesso di costruire è “rilasciato al proprietario dell'immobile o a chi abbia titolo per richiederlo”. La legge specificamente impone, tra i requisiti di legittimazione, il possesso dei titoli reali per poter intervenire sull'immobile per il quale è chiesta la concessione edilizia (cfr. Consiglio Stato, sez. V, 07.09.2009, n. 5223; Consiglio Stato, sez. IV, 07.09.2007 n.4703; idem 07.07.2005 n. 3730).
Certamente deve escludersi un obbligo del Comune di effettuare complessi accertamenti diretti a ricostruire tutte le vicende riguardanti la titolarità dell'immobile, ovvero a ricercare le limitazioni negoziali al diritto di costruire (cfr. Consiglio Stato, sez. IV, 10.12.2007, n. 6332).
Tuttavia, secondo le regole generali, l'Amministrazione comunale, nel corso dell'istruttoria sul rilascio del permesso di costruire, ai sensi dell’art. 6, I° co. lett. a) della L. n. 241/1990 e s.m.i. deve verificare “…le condizioni di ammissibilità, i requisiti di legittimazione ed i presupposti rilevanti …” per l’adozione del provvedimento finale.
La proprietà, o comunque il possesso dei titoli civilisticamente idonei a legittimare la situazione giuridica del richiedente, per tutte le aree direttamente interessate dall’intervento, costituisce dunque un requisito di legittimazione dell’istanza che deve essere procedimentalmente dimostrato ai fini dell’ammissibilità stessa della domanda.
I titoli per l'esercizio dello "ius aedificandi" costituiscono un presupposto legale la cui mancanza impedisce infatti all'amministrazione di procedere oltre nell'esame del progetto (cfr. Consiglio Stato, sez. V, 12.05.2003, n. 2506).
Nel caso, quindi, l’interclusione del fondo oggetto della richiesta di intervento non attiene ai generici rapporti civilistici del richiedente con i terzi alle quali l’amministrazione è del tutto estranea -come erroneamente affermato dal TAR- ma invece concerne propriamente un presupposto necessario di legittimazione della società richiedente, ai sensi del cit. art. 11, primo co., del d.lgs. n. 380, la quale avrebbe quindi dovuto allegare all’istanza tutti i titoli di servitù di transito veicolare sulla proprietà altrui.
Il difetto del possesso dei titoli reali relativi ai diritti di passaggio veicolare attraverso il cortile altrui costituisce un elemento procedimentalmente ostativo, per il quale legittimamente si nega il rilascio del permesso di costruire
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 08.06.2011 n. 3508 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Se nel procedimento di rilascio del permesso di costruire l’amministrazione ha il potere-dovere di verificare l’esistenza in capo al richiedente di un idoneo titolo di godimento dell’immobile interessato dal progetto di trasformazione urbanistica, è pur vero che l’attività istruttoria condotta a tal fine deve ritenersi adeguata allorquando siano stati acquisiti tutti gli elementi sufficienti a dimostrare la sussistenza di un qualificato collegamento soggettivo tra chi propone l’istanza ed il bene giuridico oggetto dell’autorizzazione.
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E' illegittimo il permesso di costruire rilasciato ove, in fase istruttoria, non si abbia in concreto riscontrato l’esistenza di un rischio per la staticità dell’immobile esistente.
Le attribuzioni del Comune in tema di autorizzazione degli interventi edilizi comprendono espressamente gli obblighi di valutare i profili di sicurezza delle costruzioni, come si evince dalla lettura degli artt. 2, comma 4, e 4 del testo unico sull’edilizia. Tali obblighi istruttori, appartenendo alle attribuzioni istituzionali dell’ente pubblico, non sono condizionati dalle valutazioni delle parti coinvolte, ma devono essere esperiti in ogni caso e, si noti, anche qualora vi fosse stato accordo delle parti private coinvolte.
Se è certamente vero che l’azione amministrativa non può addentrarsi oltre i limiti indicati in sentenza nella valutazione degli assetti proprietari dell’immobile, è del pari vero che le questioni attinenti alla statica ed alla sicurezza dell’immobile non rientrano in questo ambito, dovendo essere invece oggetto di ponderazione autonoma ed ineludibile.

Come correttamente afferma il TAR, “se infatti nel procedimento di rilascio del permesso di costruire l’amministrazione ha il potere-dovere di verificare l’esistenza in capo al richiedente di un idoneo titolo di godimento dell’immobile interessato dal progetto di trasformazione urbanistica, è pur vero che l’attività istruttoria condotta a tal fine deve ritenersi adeguata allorquando siano stati acquisiti tutti gli elementi sufficienti a dimostrare la sussistenza di un qualificato collegamento soggettivo tra chi propone l’istanza ed il bene giuridico oggetto dell’autorizzazione”. E ciò nella considerazione che nel nostro ordinamento l’unico soggetto deputato ad accertare i rapporti proprietari è il giudice civile, per cui all’amministrazione va riconosciuto unicamente un ruolo minore, esattamente nei termini indicati dal giudice di prime cure.
Tuttavia, dalla lettura degli atti e dalle difese delle parti, emerge che, in disparte la questione proprietaria, i rilievi e le censure maggiori si accentrano sulla circostanza che il Comune avrebbe autorizzato interventi attinenti la staticità dell’immobile e tendenzialmente idonei a pregiudicarla, in assenza di una corretta valutazione del progetto presentato ed anzi in assenza di un effettivo riscontro sulla correttezza tra la documentazione ricevuta e lo stato di fatto.
Questo aspetto, che è apparso alla Sezione prioritario, tanto da fondare l’accoglimento della domanda cautelare proposta ed accolta con ordinanza n. 1108/2010 proprio in ragione dei profili di rischio per la staticità dell’immobile, è stata messo in ombra nella sentenza.
Occorre invece sottolineare che le attribuzioni del Comune in tema di autorizzazione degli interventi edilizi comprendono espressamente gli obblighi di valutare i profili di sicurezza delle costruzioni, come si evince dalla lettura degli artt. 2, comma 4, e 4 del testo unico sull’edilizia. Tali obblighi istruttori, appartenendo alle attribuzioni istituzionali dell’ente pubblico, non sono condizionati dalle valutazioni delle parti coinvolte, ma devono essere esperiti in ogni caso e, si noti, anche qualora vi fosse stato accordo delle parti private coinvolte. Infatti, gli interessi tutelati dalla normativa, coinvolgendo profili di sicurezza privata e pubblica, non sono disponibili dalle parti ed ineriscono ai compiti tipici dell’amministrazione.
È, quindi, compito proprio del Comune, e come tale non soggetto ad alcun impulso di parte, procedere autonomamente alla valutazione del progetto edilizio presentato dal punto di vista del rispetto dei regolamenti edilizi, non vertendosi in questo caso in nessuna situazione soggetta a disponibilità della parte privata.
Pertanto, se è certamente vero che l’azione amministrativa non può addentrarsi oltre i limiti indicati in sentenza nella valutazione degli assetti proprietari dell’immobile, è del pari vero che le questioni attinenti alla statica ed alla sicurezza dell’immobile non rientrano in questo ambito, dovendo essere invece oggetto di ponderazione autonoma ed ineludibile.
Sulla scorta di tale presupposto, fondato prima ancora che sulla lettura della legge dalle considerazioni in tema di completezza ed esaustività dell’istruttoria amministrativa, non può non notarsi come nel caso in specie tale azione sia mancata e il Comune di Termoli abbia rilasciato i titoli abilitativi impugnati non avendo in concreto riscontrato l’esistenza di un rischio per la staticità dell’immobile.
Infatti, dalla completa ricostruzione in fatto operata nel corso del giudizio di primo grado, anche tramite una verificazione ed una consulenza tecnica d’ufficio, ed in special modo dalla relazione del Provveditorato interregionale per le opere pubbliche Campania–Molise, è emerso come effettivamente gli interventi autorizzati abbiano influito sulla rigidezza strutturale e sulla stabilità dell’intero complesso, e ciò in assenza di una completa valutazione di tali profili da parte del Comune di Termoli.
Si tratta quindi di un complesso di violazioni, di carattere non formale o procedurale, e quindi superabili con la successiva produzione documentale, ma riguardanti il contenuto stesso dell’intervento edilizio, che ben avrebbero dovuto condurre il Comune ad esaminare nel dettaglio i progetti presentati, senza arrestare la propria valutazione al solo dato proprietario (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 08.06.2011 n. 3505 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

CONDOMINIO: Quando un condòmino ha realizzato un abuso su aree comuni “l’Amministrazione comunale deve chiedere all’istante, in applicazione delle norme generali in tema di rilascio della concessione edilizia, di provare di avere la disponibilità piena dell’area interessata all’abuso e, quindi, di provare, quanto meno per fatti concludenti ma comunque in modo positivo, l’assenso degli altri comproprietari”.
L’Amministrazione ha il potere ed il dovere di verificare l’esistenza, in capo al richiedente, di un idoneo titolo di godimento sull’immobile interessato dal progetto … per cui, in caso di opere che vadano ad incidere sul diritto di altri comproprietari (quali le opere edilizie interessanti porzioni condominiali comuni), è legittimo esigere il consenso degli stessi o pretendere la produzione della dichiarazione di assenso dell’amministrazione condominiale anche nelle ipotesi di autorizzazioni in sanatoria, in quanto il contitolare del bene può essere estraneo all’abuso ed avere un interesse contrario alla sanatoria di opere che potrebbero risolversi in danno del medesimo”.

Sulla questione della necessità o meno di acquisire l’assenso del Condominio, nel caso in cui un condòmino chieda un titolo edilizio per realizzare opere sulle parti comuni di un edificio, sono state espresse in giurisprudenza opinioni diverse.
In generale si è infatti sostenuto che nessun assenso deve essere richiesto dal Comune, posto che il condomino possiede una propria legittimazione a richiedere il titolo, e che lo stesso viene, in ogni caso, rilasciato “con salvezza dei diritti dei terzi”. Si è altresì affermato che i problemi dell’uso delle parti comuni di un edificio costituiscono questione squisitamente civilistica, di cui il Comune non ha ragione di interessarsi.
Tale (peraltro, in linea general, condivisibile) giurisprudenza ha comunque evidenziato che la regola soffre talora di eccezioni, dovute alle peculiarità con cui le singole fattispecie si presentano.
In particolare, C.S. n. 437/2009 ha stabilito che, quando un condòmino abbia realizzato (come nel presente caso) un abuso su aree comuni “l’Amministrazione debba chiedere all’istante, in applicazione delle norme generali in tema di rilascio della concessione edilizia, di provare di avere la disponibilità piena dell’area interessata all’abuso e, quindi, di provare, quanto meno per fatti concludenti ma comunque in modo positivo, l’assenso degli altri comproprietari”.
Allo stesso modo, Tar Liguria n. 192/2010 (che richiama anche C.S. n. 1654/2007) ha ritenuto che “ciò che rileva è che i lavori edilizi de quibus debbono eseguirsi (anche) su parti comuni del fabbricato e non riguardino opere connesse all’uso normale della cosa comune”; in tal caso, l’Amministrazione comunale è tenuta, “ai fini del rilascio della relativa concessione, a richiedere il consenso di tutti i proprietari”.
In fattispecie molto simile si è espresso anche TAR Calabria-Reggio, con la recente decisione n. 343/2011, aderendo all’orientamento interpretativo secondo cui nel procedimento di rilascio dei titoli edilizi, “l’Amministrazione ha il potere ed il dovere di verificare l’esistenza, in capo al richiedente, di un idoneo titolo di godimento sull’immobile interessato dal progetto … per cui, in caso di opere che vadano ad incidere sul diritto di altri comproprietari (quali le opere edilizie interessanti porzioni condominiali comuni), è legittimo esigere il consenso degli stessi o pretendere la produzione della dichiarazione di assenso dell’amministrazione condominiale anche nelle ipotesi di autorizzazioni in sanatoria, in quanto il contitolare del bene può essere estraneo all’abuso ed avere un interesse contrario alla sanatoria di opere che potrebbero risolversi in danno del medesimo”.
Le suesposte argomentazioni, che il Collegio condivide, hanno ancora maggior rilievo nel caso di specie, considerato che alcuni condòmini dapprima e, in seguito, il Condominio stesso si sono inseriti nel procedimento di rilascio dell’autorizzazione a sanatoria di cui trattasi, manifestando il proprio dissenso alle opere che, secondo la loro prospettazione, incidevano negativamente sul diritto di uso delle parti comuni che spetta a ciascun condomino, ponendo in luce in particolare come -segnatamente le canne fumarie- inducessero limiti all’uso individuale.
Secondo TAR Campania-Napoli n. 26817/2010, sussiste un vero e proprio obbligo per l’Amministrazione di verificare “la legittimazione ad effettuare l'intervento, soprattutto quando vi sia stata in sede procedimentale un’espressa opposizione da parte di terzi condomini”. Nello stesso senso è anche C.S. n. 1537/2010, che esplicitamente dichiara che, in caso contrario, “l'Amministrazione finirebbe per legittimare una sostanziale appropriazione di spazi condominiali da parte del singolo condomino, in presenza di una possibile volontà contraria degli altri, i quali potrebbero essere, al contrario, interessati all’eliminazione dell’abuso
(TAR Friuli Venezia Giulia, sentenza 26.05.2011 n. 258 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

CONDOMINIO: Sulla questione della necessità o meno di acquisire l’assenso del Condominio, nel caso in cui un condòmino chieda un titolo edilizio per realizzare opere sulle parti comuni di un edificio, sono state espresse in giurisprudenza opinioni diverse.
Sulla questione della necessità o meno di acquisire l’assenso del Condominio, nel caso in cui un condomino chieda un titolo edilizio per realizzare opere sulle parti comuni di un edificio, sono state espresse in giurisprudenza opinioni diverse.
In generale si è infatti sostenuto che nessun assenso deve essere richiesto dal Comune, posto che il condomino possiede una propria legittimazione a richiedere il titolo, e che lo stesso viene, in ogni caso, rilasciato “con salvezza dei diritti dei terzi”. Si è altresì affermato che i problemi dell’uso delle parti comuni di un edificio costituiscono questione squisitamente civilistica, di cui il Comune non ha ragione di interessarsi.
Tale (peraltro, in linea general, condivisibile) giurisprudenza ha comunque evidenziato che la regola soffre talora di eccezioni, dovute alle peculiarità con cui le singole fattispecie si presentano.
In particolare, C.S. n. 437/2009 ha stabilito che, quando un condomino abbia realizzato (come nel presente caso) un abuso su aree comuni “l’Amministrazione debba chiedere all’istante, in applicazione delle norme generali in tema di rilascio della concessione edilizia, di provare di avere la disponibilità piena dell’area interessata all’abuso e, quindi, di provare, quanto meno per fatti concludenti ma comunque in modo positivo, l’assenso degli altri comproprietari”.
Allo stesso modo, Tar Liguria n. 192/2010 (che richiama anche C.S. n. 1654/2007) ha ritenuto che “ciò che rileva è che i lavori edilizi de quibus debbono eseguirsi (anche) su parti comuni del fabbricato e non riguardino opere connesse all’uso normale della cosa comune”; in tal caso, l’Amministrazione comunale è tenuta, “ai fini del rilascio della relativa concessione, a richiedere il consenso di tutti i proprietari”.
In fattispecie molto simile si è espresso anche TAR Calabria-Reggio, con la recente decisione n. 343/2011, aderendo all’orientamento interpretativo secondo cui nel procedimento di rilascio dei titoli edilizi, “l’Amministrazione ha il potere ed il dovere di verificare l’esistenza, in capo al richiedente, di un idoneo titolo di godimento sull’immobile interessato dal progetto … per cui, in caso di opere che vadano ad incidere sul diritto di altri comproprietari (quali le opere edilizie interessanti porzioni condominiali comuni), è legittimo esigere il consenso degli stessi o pretendere la produzione della dichiarazione di assenso dell’amministrazione condominiale anche nelle ipotesi di autorizzazioni in sanatoria, in quanto il contitolare del bene può essere estraneo all’abuso ed avere un interesse contrario alla sanatoria di opere che potrebbero risolversi in danno del medesimo”.
Le suesposte argomentazioni, che il Collegio condivide, hanno ancora maggior rilievo nel caso di specie, considerato che alcuni condomini dapprima e, in seguito, il Condominio stesso si sono inseriti nel procedimento di rilascio dell’autorizzazione a sanatoria di cui trattasi, manifestando il proprio dissenso alle opere che, secondo la loro prospettazione, incidevano negativamente sul diritto di uso delle parti comuni che spetta a ciascun condomino, ponendo in luce in particolare come -segnatamente le canne fumarie- inducessero limiti all’uso individuale. Secondo TAR Campania-Napoli n. 26817/2010, sussiste un vero e proprio obbligo per l’Amministrazione di verificare “la legittimazione ad effettuare l'intervento, soprattutto quando vi sia stata in sede procedimentale un’espressa opposizione da parte di terzi condomini”.
Nello stesso senso è anche C.S. n. 1537/2010, che esplicitamente dichiara che, in caso contrario, “l'Amministrazione finirebbe per legittimare una sostanziale appropriazione di spazi condominiali da parte del singolo condomino, in presenza di una possibile volontà contraria degli altri, i quali potrebbero essere, al contrario, interessati all’eliminazione dell’abuso”.
La posizione contraria manifestata dal Condominio risulta inoltre ulteriormente rafforzata dalla decisione del Tribunale di Trieste del 24.09.2008, che ha rigettato la domanda presentata dei ricorrenti avverso la delibera dell’assemblea condominiale che negava l’assenso ai lavori, avendo ritenuto che tale deliberazione “non abbia inciso su diritti della proprietà privata essendo l’uso particolare e più intenso del bene comune da parte del condomino (e la relativa indagine in merito all’eventuale compressione quantitativa o qualitativa del pari utilizzo, attuale o potenziale, di tutti i comproprietari) questione di ordine condominiale, disciplinata proprio dalle norme che regolano i rapporti tra proprietà individuali e beni condominiali”.
Né rileva, ai nostri fini, il richiamo alla decisione n. 11/2006 del Consiglio di Stato, che ha bensì ammesso la possibilità del singolo condomino di installare una canna fumaria (come nel presente caso, al servizio di un ristorante) lungo un muro condominiale, anche senza l’assenso del Condominio, “purchè non impedisca agli altri condomini l’uso del muro comune e non ne alteri la normale destinazione”, che è invece proprio quanto è avvenuto nel nostro caso.
In queste condizioni -presenza di esplicito e motivato dissenso del Condominio, unito alla decisione del Giudice Ordinario che ha ravvisato la correttezza della delibera assembleare che negava l’assenso ai lavori- legittimamente, ad avviso del Collegio, il Comune ha negato la richiesta sanatoria delle opere abusivamente realizzate
(TAR Friuli Venezia Giulia, sentenza 26.05.2011 n. 258 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

CONDOMINIO - EDILIZIA PRIVATA: Lavori edilizi interessanti parti comuni di un fabbricato - Assenso dei comproprietari - Art. 11, c. 1, d.P.R. n. 380/2001 - Verifica dell’esistenza in capo al richiedente di un titolo attributivo dello ius aedificandi.
Ove i lavori edilizi interessino anche parti comuni del fabbricato e si tratti di opere non connesse all’uso normale della cosa comune, essi abbisognano del previo assenso dei comproprietari anche in relazione agli aspetti pubblicistici dell’attività edificatoria, con particolare riguardo alle norme (art. 4 della legge n. 10 del 1977 e art. 11, comma 1, del d.P.R. n. 380 del 2001), che prevedono la verifica dell'esistenza, in capo al richiedente, di titolo un attributivo dello ius aedificandi sull'immobile oggetto di trasformazione edilizia (fattispecie: locale tecnico addossato al muro comune) (cfr. Cons. Stato, Sez. IV 11.04.2007 n. 1654) (TAR LOMBARDIA-Brescia, Sez. I, sentenza 05.05.2011 n. 662 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATANel procedimento di rilascio dei titoli edilizi, l'Amministrazione ha il potere ed il dovere di verificare l'esistenza in capo al richiedente di un idoneo titolo di godimento sull'immobile interessato dal progetto di trasformazione urbanistica, per cui, in caso di opere che vadano ad incidere sul diritto di altri comproprietari (quali le opere edilizie interessanti porzioni condominiali comuni), è legittimo esigere il consenso degli stessi o pretendere la produzione della dichiarazione di assenso dell'amministrazione condominiale anche nelle ipotesi di autorizzazioni in sanatoria, in quanto il contitolare del bene può essere estraneo all'abuso ed avere un interesse contrario alla sanatoria di opere che potrebbero risolversi in suo danno.
Non è seriamente contestabile che nel procedimento di rilascio dei titoli edilizi l'Amministrazione abbia il potere ed il dovere di verificare l'esistenza, in capo al richiedente, di un idoneo titolo di godimento sull'immobile, interessato dal progetto di trasformazione urbanistica, trattandosi di una attività istruttoria che non è diretta, in via principale, a risolvere i conflitti di interesse tra le parti private in ordine all'assetto proprietario degli immobili interessati, ma che risulta finalizzata, più semplicemente, ad accertare il requisito della legittimazione del richiedente.
Pertanto, la funzione autorizzatoria dell'Amministrazione richiede un livello minimo di istruttoria che comprende anche l'acquisizione di tutti gli elementi sufficienti a dimostrare la sussistenza di un qualificato collegamento soggettivo tra chi propone l'istanza e il bene giuridico oggetto dell'autorizzazione, senza che l'esame del titolo di godimento operato dalla Pubblica Amministrazione costituisca un'illegittima intrusione in ambito privatistico; per cui, in definitiva, legittimamente l'Amministrazione, ove accerti che l'intervento edilizio interessi parti comuni dell'edificio, ben può subordinare il rilascio del titolo edilizio alla previa assunzione del consenso dei comproprietari per la parte di intervento che interessa tali parti comuni.
Si è infatti anche di recente precisato che in base all'art. 11 del D.P.R. 06.06.2001, n. 380, il permesso di costruire "è rilasciato al proprietario o a chi ne abbia titolo".
Ora, interpretando tale normativa (che ricalca quella precedentemente vigente), la giurisprudenza amministrativa ha costantemente chiarito che nel procedimento di rilascio dei titoli edilizi, l'Amministrazione ha il potere ed il dovere di verificare l'esistenza in capo al richiedente di un idoneo titolo di godimento sull'immobile interessato dal progetto di trasformazione urbanistica, per cui, in caso di opere che vadano ad incidere sul diritto di altri comproprietari (quali le opere edilizie interessanti porzioni condominiali comuni), è legittimo esigere il consenso degli stessi o pretendere la produzione della dichiarazione di assenso dell'amministrazione condominiale anche nelle ipotesi di autorizzazioni in sanatoria, in quanto il contitolare del bene può essere estraneo all'abuso ed avere un interesse contrario alla sanatoria di opere che potrebbero risolversi in suo danno (Cons. St., sez. V, 21.10.2003, n. 6529).
In effetti, sul punto la giurisprudenza, che in passato era prevalentemente orientata nel senso che il parametro valutativo dell'attività amministrativa in materia edilizia era esclusivamente quello dell'accertamento della conformità dell'opera alla disciplina pubblicistica che ne regola la realizzazione, salvi i diritti dei terzi e senza che la mancata considerazione di tali diritti potesse in qualche modo incidere sulla legittimità dell'atto, ha oggi avuto occasione di precisare che la necessaria distinzione tra gli aspetti civilistici e quelli pubblicistici dell'attività edificatoria non impedisce di rilevare la presenza di significativi punti di contatto tra i due diversi profili.
In proposito ha, pertanto, chiarito che non è seriamente contestabile che nel procedimento di rilascio dei titoli edilizi l'Amministrazione abbia il potere ed il dovere di verificare l'esistenza, in capo al richiedente, di un idoneo titolo di godimento sull'immobile, interessato dal progetto di trasformazione urbanistica, trattandosi di una attività istruttoria che non è diretta, in via principale, a risolvere i conflitti di interesse tra le parti private in ordine all'assetto proprietario degli immobili interessati, ma che risulta finalizzata, più semplicemente, ad accertare il requisito della legittimazione del richiedente (cfr. TAR Trentino Alto Adige, sez. Bolzano, 27.02.2006, n. 81, TAR Lombardia, sede Milano, sez. II, 11.02.2005, n. 357, TAR Puglia Lecce, sez. III, 18.12.2007, n. 4286).
Pertanto, la funzione autorizzatoria dell'Amministrazione richiede un livello minimo di istruttoria che comprende anche l'acquisizione di tutti gli elementi sufficienti a dimostrare la sussistenza di un qualificato collegamento soggettivo tra chi propone l'istanza e il bene giuridico oggetto dell'autorizzazione, senza che l'esame del titolo di godimento operato dalla Pubblica Amministrazione costituisca un'illegittima intrusione in ambito privatistico; per cui, in definitiva, legittimamente l'Amministrazione, ove accerti che l'intervento edilizio interessi parti comuni dell'edificio, ben può subordinare il rilascio del titolo edilizio alla previa assunzione del consenso dei comproprietari per la parte di intervento che interessa tali parti comuni (TAR Sardegna, Sez. II, sentenza 18.04.2011 n. 364 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: Anche il promissario acquirente può avanzare domanda volta all'adozione di uno strumento urbanistico convenzionato, sempre che abbia l'effettiva disponibilità del bene, a nulla rilevando che detta disponibilità possa essere acquisita, nella sua pienezza, solo dopo la stipula del rogito notarile di trasferimento della proprietà, dovendo il concetto di disponibilità essere inteso nel senso della sussistenza di requisiti oggettivi tali da far ritenere che il trasferimento di proprietà sia destinato a verificarsi con sufficienti margini di certezza.
Legittimato a richiedere la concessione edilizia è o il titolare del diritto reale di proprietà sul fondo o chi, pur essendo titolare di altro diritto, reale o di obbligazione, abbia, per effetto di questo, obbligo o facoltà di eseguire i lavori per cui chiede la concessione. Tale legittimazione, invece, non compete a colui il quale, in base ad un contratto preliminare, abbia avuto la promessa di futura vendita del terreno sul quale dovrebbe sorgere la costruzione

La figura del promissario acquirente di terreni interessati da una richiesta di concessione edilizia non implica l'esistenza di una posizione di interesse legittimo utile a rendere ammissibile l'impugnazione di un provvedimento di diniego della concessione stessa; invece, può radicare comunque una posizione dipendente da quella del ricorrente principale, "ad adiuvandum" del quale può dunque essere legittimamente dispiegato intervento in giudizio, se ed in quanto non miri ad eludere i termini di impugnazione da parte di chi risulti titolare di una posizione tutelabile con una propria autonoma impugnativa (Consiglio Stato sez. IV, 30.06.2005 n. 3594).
La giurisprudenza ha sostenuto che anche il promissario acquirente può avanzare domanda volta all'adozione di uno strumento urbanistico convenzionato, sempre che abbia l'effettiva disponibilità del bene, a nulla rilevando che detta disponibilità possa essere acquisita, nella sua pienezza, solo dopo la stipula del rogito notarile di trasferimento della proprietà, dovendo il concetto di disponibilità essere inteso nel senso della sussistenza di requisiti oggettivi tali da far ritenere che il trasferimento di proprietà sia destinato a verificarsi con sufficienti margini di certezza (così, per esempio, Consiglio Stato sez. V, 24.08.2007, n. 4485).
Tale disponibilità giuridica e materiale nella specie non sussiste, né è stata mai dedotta.
Anche in relazione alla possibilità di richiedere titoli abilitativi, si sostiene che legittimato a richiedere la concessione edilizia è o il titolare del diritto reale di proprietà sul fondo o chi, pur essendo titolare di altro diritto, reale o di obbligazione, abbia, per effetto di questo, obbligo o facoltà di eseguire i lavori per cui chiede la concessione.
Tale legittimazione, invece, non compete a colui il quale, in base ad un contratto preliminare, abbia avuto la promessa di futura vendita del terreno sul quale dovrebbe sorgere la costruzione (nel senso che la voltura della concessione edilizia non può essere chiesta dal promissario acquirente cfr. Cass. 10.10.1997 n. 9850).
Nel vigore dell'art. 4, l. 28.01.1977 n. 10 (sostanzialmente corrispondente all'art. 11, t.u. 06.06.2001 n. 380), la concessione edilizia, potendo essere rilasciata "al proprietario dell'area o a chi abbia titolo per richiederla", poteva essere chiesta anche dal promissario acquirente dell'immobile, purché avesse a ciò consentito il proprietario (Consiglio Stato, sez. V, 24.08.2007, n. 4485).
Ne consegue che, anche con riferimento alla impugnazione dell’autoannullamento di un piano di lottizzazione, legittimato ad impugnare non può ritenersi il promissario acquirente tout court, in assenza tra l’altro della disponibilità materiale del bene, che si potrebbe configurare in caso di preliminare cosiddetto ad effetti anticipati, con il quale quantomeno si anticipa l’effetto della consegna del bene (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 12.04.2011 n. 2275 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L'Amministrazione comunale, cui è rimessa sul piano istruttorio la delibazione di conformità urbanistica di ogni progetto edilizio, deve verificare, tra l’altro, che esista un idoneo titolo per eseguire le opere, che assurge a presupposto di legittimità sia degli interventi che implicano il rilascio del permesso di costruire sia di quelli soggetti al regime semplificato della d.i.a..
Non è seriamente contestabile che nel procedimento di rilascio dei titoli edilizi l'amministrazione abbia il potere ed il dovere di verificare l'esistenza, in capo al richiedente, di un idoneo titolo di godimento sull'immobile, interessato dal progetto di trasformazione urbanistica, trattandosi di un’attività istruttoria che non è diretta, in via principale, a risolvere i conflitti di interesse tra le parti private in ordine all'assetto proprietario degli immobili interessati, ma che risulta finalizzata, più semplicemente, ad accertare il requisito della legittimazione del richiedente.
In caso di opere che vadano ad incidere sul diritto di altri comproprietari, è legittimo esigere il consenso degli stessi (che può essere manifestato anche per fatti concludenti) e che, a maggior ragione, qualora vi sia un conclamato dissidio fra i comproprietari in ordine all'intervento progettato, la scelta dell'amministrazione di assentire comunque le opere (in base al mero riscontro della conformità agli strumenti urbanistici) evidenzia un grave difetto istruttorio e motivazionale, perché non dà conto dell’effettiva corrispondenza tra l’istanza edificatoria e la titolarità del prescritto diritto di godimento.

Va anzitutto osservato che il primo comma dell’evocato art. 11 del T.U. sull’edilizia (e già prima l’art. 4 della legge n. 10 del 1977) dispone –ed analoga previsione è contenuta nel primo comma dell’art. 23 per gli interventi soggetti a d.i.a.– che “Il permesso di costruire è rilasciato al proprietario dell'immobile o a chi abbia titolo per richiederlo”.
Tanto premesso, il Collegio ritiene che, sulla base della normativa richiamata, l'Amministrazione comunale, cui è rimessa sul piano istruttorio la delibazione di conformità urbanistica di ogni progetto edilizio, deve verificare, tra l’altro, che esista un idoneo titolo per eseguire le opere, che assurge a presupposto di legittimità sia degli interventi che implicano il rilascio del permesso di costruire sia di quelli soggetti al regime semplificato della d.i.a. (cfr. TAR Campania, Sezione II, 22.09.2006, n. 8243).
Vero è che la giurisprudenza amministrativa esclude l’esistenza di un obbligo del Comune di effettuare complessi accertamenti diretti a ricostruire tutte le vicende riguardanti l'immobile e, soprattutto in passato, era prevalentemente orientata nel senso che il parametro valutativo dell'attività amministrativa in materia edilizia fosse solo quello dell'accertamento della conformità dell'opera alla disciplina pubblicistica che ne regola la realizzazione, salvi i diritti dei terzi, senza che la mancata considerazione di tali diritti potesse in qualche modo incidere sulla legittimità dell'atto.
Tuttavia, più recentemente (cfr. per tutte Consiglio di Stato, Sezione V, 15.03.2001, n. 1507 e 21.10.2003, n. 6529; TAR Campania, Sezione II, 29.03.2007 n. 2902), ha avuto occasione di precisare che la necessaria distinzione tra gli aspetti civilistici e quelli pubblicistici dell'attività edificatoria non impedisce di rilevare la presenza di significativi punti di contatto tra i due diversi profili.
In proposito ha, pertanto, chiarito che non è seriamente contestabile che nel procedimento di rilascio dei titoli edilizi l'amministrazione abbia il potere ed il dovere di verificare l'esistenza, in capo al richiedente, di un idoneo titolo di godimento sull'immobile, interessato dal progetto di trasformazione urbanistica, trattandosi di un’attività istruttoria che non è diretta, in via principale, a risolvere i conflitti di interesse tra le parti private in ordine all'assetto proprietario degli immobili interessati, ma che risulta finalizzata, più semplicemente, ad accertare il requisito della legittimazione del richiedente.
Ha, pertanto, concluso nel senso che, in caso di opere che vadano ad incidere sul diritto di altri comproprietari, è legittimo esigere il consenso degli stessi (che può essere manifestato anche per fatti concludenti) e che, a maggior ragione, qualora vi sia un conclamato dissidio fra i comproprietari in ordine all'intervento progettato, la scelta dell'amministrazione di assentire comunque le opere (in base al mero riscontro della conformità agli strumenti urbanistici) evidenzia un grave difetto istruttorio e motivazionale, perché non dà conto dell’effettiva corrispondenza tra l’istanza edificatoria e la titolarità del prescritto diritto di godimento (cfr. TAR Campania Napoli sez. II sentenza 2681/2010) (TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 21.03.2011 n. 1581 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: All’usufruttuario è comunque riconosciuta la legittimazione al rilascio del permesso di costruire dal momento che l’art. 11, D.P.R. n. 380 del 2001 individua tra i soggetti legittimati oltre al proprietario anche coloro che ‘‘abbiano titolo per richiederlo’’, sicché non vi è dubbio che tra gli aventi titolo rientri anche l’usufruttuario del bene, che, quale titolare di un diritto reale di godimento, gode di una relazione qualificata con il bene medesimo.
Innanzitutto è da evidenziare che il ricorrente Di Grazia Giuseppe ha agito nel presente giudizio quale diretto destinatario del diniego gravato, avendo egli personalmente richiesto il rilascio del permesso di costruire denegatogli dal Comune di Aversa, nella dichiarata veste di usufruttuario del bene, e detta circostanza era ben nota al Comune intimato che nella medesima qualità gli aveva in precedenza rilasciato per lo stesso immobile il condono ex lege 326/2003 con atto n. 158 del 29.04.2009.
Peraltro, l’eccepito difetto di legittimazione dell’istante non è stato posto dall’amministrazione quale ragione ostativa all’accoglimento della istanza di mutamento di destinazione inoltrata dal ricorrente, fondandosi il diniego impugnato esclusivamente su ragioni di natura urbanistica.
A ciò si aggiunga che, per giurisprudenza pacifica, all’usufruttuario è comunque riconosciuta la legittimazione al rilascio del permesso di costruire, dal momento che l’art. 11 del d.p.r. n. 380/2001 individua tra i soggetti legittimati oltre al proprietario anche coloro che “abbiano titolo per richiederlo”, sicché non vi è dubbio che tra gli aventi titolo rientri anche l’usufruttuario del bene, che, quale titolare di un diritto reale di godimento, gode di una relazione qualificata con il bene medesimo (C.d.s. sez. IV n. 3027/2007) (TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, sentenza 07.03.2011 n. 1318 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Nel procedimento di rilascio dei titoli edilizi, in caso di opere che vadano ad incidere sul diritto di altri proprietari, l’Ente è legittimato a esigere il consenso degli stessi.
Per la costante giurisprudenza di legittimità, il Comune, nel procedimento di rilascio dei titoli edilizi, ha il potere ed il dovere di verificare l'esistenza in capo al richiedente di tutti i presupposti per la loro emanazione: in caso di opere che vadano ad incidere sul diritto di altri proprietari, è legittimo da parte dell’ente, esigere il consenso degli stessi (Cons. St., sez. V, 21.10.2003 n. 6529; Cons. St., sez. IV, 26.01.2009, n. 437).
Anche nelle ipotesi di autorizzazioni in sanatoria, il Comune è tenuto a pretendere la produzione della dichiarazione di assenso del terzo pregiudicato in ragione del suo interesse contrario alla sanatoria delle opere stesse che potrebbero risolversi in danno dello stesso, al solo fine di accertare il requisito della legittimazione del richiedente alla sanatoria e non per risolvere i conflitti di interesse tra le parti private in ordine all'assetto proprietario degli immobili interessati (TAR Abruzzo Pescara, sez. I, 06.06.2009, n. 401; Tar Puglia, Lecce, sez. III, 18.12.2007, n. 4286) (TAR Umbria, sentenza 14.02.2011 n. 48 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Grava sull'amministrazione l'obbligo di effettuare una sia pur non approfondita istruttoria per verificare la sussistenza di tutte le condizioni che realizzano un qualificato collegamento soggettivo tra chi propone l'istanza e il bene oggetto dell'autorizzazione.
In sostanza, essendo possibile che un determinato intervento edilizio, pur se astrattamente conforme alle norme urbanistico-edilizie, si ponga in contrasto con diritti reali di godimento o con altre facoltà di terzi, la p.a., in sede di rilascio del titolo autorizzatorio edilizio, è tenuta a verificare l'esistenza, in capo al richiedente, di un idoneo titolo di godimento sull'area in questione, attività istruttoria, questa, rivolta non già a risolvere i conflitti tra le parti private in ordine all'assetto dominicale dell'area stessa, bensì ad accertare il requisito della legittimazione soggettiva del richiedente, sia per la notevole incidenza della concessione edilizia sugli interessi pubblici e privati coinvolti, sia per evitare il grave contenzioso che deriverebbe dall'incauto rilascio di quest'ultima a soggetti non idoneamente legittimati.

Con decisione resa da questa stessa Sezione (cfr. TAR Catania, I, 28.04.2009, n. 803), si è posta <<la questione di stabilire se e fino a che punto il comune, nel valutare la legittimità delle dichiarazioni di inizio attività e delle istanze di autorizzazione di interventi edilizi, debba spingersi nell'apprezzamento della sussistenza dal punto di vista civilistico dei titoli di legittimazione (titolarità dei diritti reali sul bene, assenza di vincoli di natura reale, servitù, consenso dei comproprietari, ecc.) e quindi dell'assenza di lesioni dei diritti reali dei terzi>>.
A questo proposito, ha ritenuto questo Tribunale <<di dover aderire all'orientamento giurisprudenziale (cfr. TAR Campania Napoli, sez. III, 19.06.2008, n. 6027) secondo il quale “grava sull'amministrazione l'obbligo di effettuare una sia pur non approfondita istruttoria per verificare la sussistenza di tutte le condizioni che realizzano un qualificato collegamento soggettivo tra chi propone l'istanza e il bene oggetto dell'autorizzazione. In sostanza, essendo possibile che un determinato intervento edilizio, pur se astrattamente conforme alle norme urbanistico-edilizie, si ponga in contrasto con diritti reali di godimento o con altre facoltà di terzi, la p.a., in sede di rilascio del titolo autorizzatorio edilizio, è tenuta a verificare l'esistenza, in capo al richiedente, di un idoneo titolo di godimento sull'area in questione, attività istruttoria, questa, rivolta non già a risolvere i conflitti tra le parti private in ordine all'assetto dominicale dell'area stessa, bensì ad accertare il requisito della legittimazione soggettiva del richiedente, sia per la notevole incidenza della concessione edilizia sugli interessi pubblici e privati coinvolti, sia per evitare il grave contenzioso che deriverebbe dall'incauto rilascio di quest'ultima a soggetti non idoneamente legittimati (Consiglio Stato , sez. V, 22.06.2000, n. 3525).
In applicazione di questi principi, il Consiglio di Stato ha affermato, nel caso al suo esame avente ad oggetto una questione di servitù altius non tollendi, che, sebbene non incomba alla p.a. procedente l'onere di verificare se l'area oggetto d'intervento sia o no gravata da servitù -anche al fine di non aggravare oltremodo il procedimento autorizzativo-, essa non può legittimamente esimersi dal considerare l'incidenza d'una servitù esistente e debitamente comprovata in sede istruttoria e tale da rendere impossibile l'attività edificatoria richiesta”
>>.
Anche nel caso sottoposto al vaglio della detta decisione, quindi, si trattava di un manufatto che avrebbe dovuto occupare un’area limitata da una servitù di passaggio, solo che su quest’ultima non vi erano contestazioni in ordine all’esistenza (e alle dimensioni).
E in quel caso, l’amministrazione comunale, pur essendo consapevole del dissenso del ricorrente, ha tuttavia ritenuto di non doverne trarre alcuna conseguenza in relazione alla legittimità della concessione, rinviando eventuali contenziosi sul punto dinanzi al giudice civile.
La sentenza 803/2009 di questo Tribunale ha chiarito che <<siffatto modo di procedere è, per altro, impedito dall’art. 36 della l.r. 27/12/1978 n. 71, il cui comma 3, stabilisce che “la qualità di proprietario o di avente titolo deve essere documentata”, con il che conclamando, per argomento a contrario, che una qualsiasi limitazione della disponibilità dell’area da occupare con la costruzione incide sul presupposto stesso richiesto per ottenere la concessione.
E ciò a prescindere dalla sussistenza di una servitù coattiva o meno, in quanto pur essendo funzionalmente diverse le due fattispecie, nessuna differenza sussiste in ordine alla limitazione della proprietà.
Né può sostenersi che all'amministrazione non spettasse un tale compito valutativo, atteso che non era richiesto alcun complicato accertamento né la risoluzione di controversie di natura civile ma solo di prendere atto della insussistenza di uno dei presupposti per la legittimità dell'intervento, e cioè la piena disponibilità dell’immobile su cui allocare la costruzione (cfr. TAR Napoli, ult. cit.)
>> (TAR Sicilia-Catania, Sez. I, sentenza 14.01.2011 n. 56 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2010

EDILIZIA PRIVATA: Legittimazione a costruire, istruttoria ampia.
Per gli interventi edilizi soggetti al rilascio di permesso di costruire o a d.i.a. il Comune deve verificare l'esistenza di un titolo idoneo.
Lo ha affermato il TAR Campania-Napoli, Sez. II, con la sentenza 06.12.2010 n. 26817.
Il Collegio avvia le mosse dell'esame dell'art. 11 del Testo Unico sull'edilizia (e analoga previsione è contenuta nel primo comma dell'art. 23 per gli interventi soggetti a d.i.a.) che dispone: «Il permesso di costruire è rilasciato al proprietario dell'immobile o a chi abbia titolo per richiederlo». Sulla base di tale richiamo i giudici napoletani hanno sottolineato che l'Amministrazione comunale, cui è rimessa sul piano istruttorio la delibazione di conformità urbanistica di ogni progetto edilizio, deve verificare, fra l'altro, che esista un idoneo titolo per eseguire le opere, che assurge a presupposto di legittimità sia degli interventi che implicano il rilascio del permesso di costruire sia quelli soggetti al regime semplificato della d.i.a..
«Vero è che la giurisprudenza amministrativa», si legge nella sentenza, «esclude l'esistenza di un obbligo del Comune di effettuare complessi accertamenti diretti a ricostruire tutte le vicende riguardanti l'immobile e, soprattutto in passato, era prevalentemente orientata nel senso che il parametro valutativo dell'attività amministrativa in materia edilizia fosse solo quello dell'accertamento della conformità dell'opera alla disciplina pubblicistica che ne regola la realizzazione, salvi i diritti dei terzi, senza che la mancata considerazione di tali diritti potesse in qualche modo incidere sulla legittimità dell'atto».
«Tuttavia, più recentemente (per tutte Consiglio di Stato, Sezione V, 15.03.2001, n. 1507 e 21.10.2003, n. 6529; Tar Campania, Sezione II, 29.03.2007 n. 2902)», prosegue il Collegio, «ha avuto occasione di precisare che la necessaria distinzione tra gli aspetti civilistici e quelli pubblicistici dell'attività edificatoria non impedisce di rilevare la presenza di significativi punti di contatto tra i due diversi profili e ha pertanto, chiarito che non è seriamente contestabile che nel procedimento di rilascio dei titoli edilizi l'amministrazione abbia il potere e il dovere di verificare l'esistenza, in capo al richiedente, di un idoneo titolo di godimento sull'immobile, interessato dal progetto di trasformazione urbanistica, trattandosi di un'attività istruttoria che non è diretta, in via principale, a risolvere i conflitti di interesse tra le parti private in ordine all'assetto proprietario degli immobili interessati, ma che risulta finalizzata, più semplicemente, ad accertar il requisito della legittimazione del richiedente» (articolo ItaliaOggi del 14.01.2011).

EDILIZIA PRIVATA: L'Amministrazione comunale, cui è rimessa sul piano istruttorio la delibazione di conformità urbanistica di ogni progetto edilizio, deve verificare, tra l’altro, che esista un idoneo titolo per eseguire le opere, che assurge a presupposto di legittimità sia degli interventi che implicano il rilascio del permesso di costruire sia di quelli soggetti al regime semplificato della d.i.a..
Va anzitutto osservato che il primo comma dell’evocato art. 11 del T.U. sull’edilizia (e già prima l’art. 4 della legge n. 10 del 1977) dispone –ed analoga previsione è contenuta nel primo comma dell’art. 23 per gli interventi soggetti a d.i.a.– che “Il permesso di costruire è rilasciato al proprietario dell'immobile o a chi abbia titolo per richiederlo”.
Tanto premesso, il Collegio ritiene che, sulla base della normativa richiamata, l'Amministrazione comunale, cui è rimessa sul piano istruttorio la delibazione di conformità urbanistica di ogni progetto edilizio, deve verificare, tra l’altro, che esista un idoneo titolo per eseguire le opere, che assurge a presupposto di legittimità sia degli interventi che implicano il rilascio del permesso di costruire sia di quelli soggetti al regime semplificato della d.i.a. (cfr. TAR Campania, Sezione II, 22.09.2006, n. 8243).
Vero è che la giurisprudenza amministrativa esclude l’esistenza di un obbligo del Comune di effettuare complessi accertamenti diretti a ricostruire tutte le vicende riguardanti l'immobile e, soprattutto in passato, era prevalentemente orientata nel senso che il parametro valutativo dell'attività amministrativa in materia edilizia fosse solo quello dell'accertamento della conformità dell'opera alla disciplina pubblicistica che ne regola la realizzazione, salvi i diritti dei terzi, senza che la mancata considerazione di tali diritti potesse in qualche modo incidere sulla legittimità dell'atto.
Tuttavia, più recentemente (cfr. per tutte Consiglio di Stato, Sezione V, 15.03.2001, n. 1507 e 21.10.2003, n.6529; TAR Campania, Sezione II, 29.03.2007 n. 2902), ha avuto occasione di precisare che la necessaria distinzione tra gli aspetti civilistici e quelli pubblicistici dell'attività edificatoria non impedisce di rilevare la presenza di significativi punti di contatto tra i due diversi profili.
In proposito ha, pertanto, chiarito che non è seriamente contestabile che nel procedimento di rilascio dei titoli edilizi l'amministrazione abbia il potere ed il dovere di verificare l'esistenza, in capo al richiedente, di un idoneo titolo di godimento sull'immobile, interessato dal progetto di trasformazione urbanistica, trattandosi di un’attività istruttoria che non è diretta, in via principale, a risolvere i conflitti di interesse tra le parti private in ordine all'assetto proprietario degli immobili interessati, ma che risulta finalizzata, più semplicemente, ad accertare il requisito della legittimazione del richiedente.
Ha, pertanto, concluso nel senso che, in caso di opere che vadano ad incidere sul diritto di altri comproprietari, è legittimo esigere il consenso degli stessi (che può essere manifestato anche per fatti concludenti) e che, a maggior ragione, qualora vi sia un conclamato dissidio fra i comproprietari in ordine all'intervento progettato, la scelta dell'amministrazione di assentire comunque le opere (in base al mero riscontro della conformità agli strumenti urbanistici) evidenzia un grave difetto istruttorio e motivazionale, perché non dà conto dell’effettiva corrispondenza tra l’istanza edificatoria e la titolarità del prescritto diritto di godimento
(TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 06.12.2010 n. 26817 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Concessione edilizia - Rilascio - Presupposti - Idoneo titolo di godimento sull'immobile da parte del richiedente - Necessità - Consenso unanime dei comproprietari - Necessità.
Nel procedimento di rilascio della concessione edilizia la P.A. ha il potere ed il dovere di verificare l'esistenza, in capo al richiedente, di un idoneo titolo di godimento sull'immobile, interessato dal progetto di trasformazione urbanistica, trattandosi di una attività istruttoria che non è diretta, in via principale, a risolvere i conflitti di interesse tra le parti private in ordine all'assetto proprietario degli immobili interessati, ma che risulta finalizzata, più semplicemente, ad accertare il requisito della legittimazione del richiedente.
In caso di opere che vadano ad incidere sul diritto di altri comproprietari, è, pertanto, necessario il consenso degli stessi (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 6529/2003; sent. n. 4972/2001; TAR Toscana, n. 1651/2001; TAR Parma, sent. n. 183/2002) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 19.11.2010 n. 7292 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Nell'istruire un'istanza di permesso di costruire v'è l'obbligo di verificare che esista il titolo per intervenire sull'immobile per il quale è richiesto il permesso di costruire e che, quindi, questo sia rilasciato al proprietario dell'area o a chi abbia titolo per richiederla e non, invece, l’obbligo di compiere complesse ricognizioni giuridico-documentali, ovvero accertamenti in ordine ad eventuali pretese che potrebbero essere avanzate da soggetti estranei al rapporto concessorio.
A seguito della domanda di rilascio del permesso di costruire, a carico dell'Amministrazione incombe solo l'obbligo di verificare che esista il titolo per intervenire sull'immobile per il quale è richiesto il permesso di costruire e che, quindi, questo sia rilasciato al proprietario dell'area o a chi abbia titolo per richiederla e non, invece, l’obbligo di compiere complesse ricognizioni giuridico-documentali, ovvero accertamenti in ordine ad eventuali pretese che potrebbero essere avanzate da soggetti estranei al rapporto concessorio (massima tratta da http://doc.sspal.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 27.08.2010 n. 4416 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl provvedimento di autorizzazione o concessione edilizia può essere accordato al proprietario dell’area o a chi ha titolo per richiederla, quale titolare di un diritto reale ovvero un diritto obbligatorio che accordi al richiedente la disponibilità del suolo o la potestà edificatoria, mentre una semplice relazione di fatto, ancorché tutelata, quale quella legata al mero possesso dell’area, non è idonea a conferire il diritto ad ottenere il rilascio del titolo concessorio.
Il richiedente il permesso di costruire deve, infatti, avere la disponibilità giuridica dell’area interessata alla costruzione in progetto, non essendo sufficiente la mera disponibilità di fatto di essa.
In altre parole, per edificare è necessario che il soggetto istante sia o il titolare del diritto di proprietà sul fondo o chi, pur essendo titolare di altro diritto, reale o di obbligazione, abbia, per effetto di questo obbligo o facoltà di eseguire i lavori per cui chiede il permesso, quindi, ad esempio, anche il locatario se il contratto di locazione reca l’esplicita o implicita, ma inequivocabile, autorizzazione all’esecuzione di dati interventi di trasformazione del bene in funzione dell’uso per il quale lo stesso è stato concesso ad altri.
E d’altra parte, certamente spetta al Comune la verifica del possesso del titolo, la cui mancanza impedisce all’Amministrazione di procedere oltre nell’esame del progetto.

In proposito devesi osservare che il provvedimento di autorizzazione o concessione edilizia può essere accordato al proprietario dell’area o a chi ha titolo per richiederla, quale titolare di un diritto reale ovvero un diritto obbligatorio che accordi al richiedente la disponibilità del suolo o la potestà edificatoria, mentre una semplice relazione di fatto, ancorché tutelata, quale quella legata al mero possesso dell’area, non è idonea a conferire il diritto ad ottenere il rilascio del titolo concessorio.
Il richiedente il permesso di costruire deve, infatti, avere la disponibilità giuridica dell’area interessata alla costruzione in progetto, non essendo sufficiente la mera disponibilità di fatto di essa.
Analogamente un richiesta di variante o la denuncia di inizio attività deve essere prodotta, ai sensi dell’art. 23, primo comma, del DPR 06.06.2001 n. 380, dal soggetto legittimato, ovvero dal proprietario dell’immobile o da chi abbia titolo per presentare la denuncia di inizio attività.
La formulazione ultima richiama, invero, quella dell’art. 11 del DPR 380/2001, a sua volta ispirata dall’art. 4 della legge 28.01.1977 n. 10.
In altre parole, per edificare è necessario che il soggetto istante sia o il titolare del diritto di proprietà sul fondo o chi, pur essendo titolare di altro diritto, reale o di obbligazione, abbia, per effetto di questo obbligo o facoltà di eseguire i lavori per cui chiede il permesso, quindi, ad esempio, anche il locatario se il contratto di locazione reca l’esplicita o implicita, ma inequivocabile, autorizzazione all’esecuzione di dati interventi di trasformazione del bene in funzione dell’uso per il quale lo stesso è stato concesso ad altri.
E d’altra parte, certamente spetta al Comune la verifica del possesso del titolo, la cui mancanza impedisce all’Amministrazione di procedere oltre nell’esame del progetto
(TAR Basilicata, sentenza 26.07.2010 n. 532 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl provvedimento di autorizzazione o concessione edilizia può essere accordato al proprietario dell’area o a chi ha titolo per richiederla, quale titolare di un diritto reale ovvero un diritto obbligatorio che accordi al richiedente la disponibilità del suolo o la potestà edificatoria.
Per edificare è necessario che il soggetto istante sia o il titolare del diritto di proprietà sul fondo o chi, pur essendo titolare di altro diritto, reale o di obbligazione, abbia, per effetto di questo obbligo o facoltà di eseguire i lavori per cui chiede il permesso, quindi, ad esempio, anche il locatario se il contratto di locazione reca l’esplicita o implicita, ma inequivocabile, autorizzazione all’esecuzione di dati interventi di trasformazione del bene in funzione dell’uso per il quale lo stesso è stato concesso ad altri.

Il provvedimento di autorizzazione o concessione edilizia può essere accordato al proprietario dell’area o a chi ha titolo per richiederla, quale titolare di un diritto reale ovvero un diritto obbligatorio che accordi al richiedente la disponibilità del suolo o la potestà edificatoria, mentre una semplice relazione di fatto, ancorché tutelata, quale quella legata al mero possesso dell’area, non è idonea a conferire il diritto ad ottenere il rilascio del titolo concessorio.
Il richiedente il permesso di costruire deve, infatti, avere la disponibilità giuridica dell’area interessata alla costruzione in progetto, non essendo sufficiente la mera disponibilità di fatto di essa.
Analogamente un richiesta di variante o la denuncia di inizio attività deve essere prodotta, ai sensi dell’art. 23, primo comma del DPR 06.06.2001 n. 380, dal soggetto legittimato, ovvero dal proprietario dell’immobile o da chi abbia titolo per presentare la denuncia di inizio attività.
La formulazione ultima richiama, invero, quella dell’art. 11 del DPR 380/2001, a sua volta ispirata dall’art. 4 della legge 28.01.1977 n. 10.
In altre parole, per edificare è necessario che il soggetto istante sia o il titolare del diritto di proprietà sul fondo o chi, pur essendo titolare di altro diritto, reale o di obbligazione, abbia, per effetto di questo obbligo o facoltà di eseguire i lavori per cui chiede il permesso, quindi, ad esempio, anche il locatario se il contratto di locazione reca l’esplicita o implicita, ma inequivocabile, autorizzazione all’esecuzione di dati interventi di trasformazione del bene in funzione dell’uso per il quale lo stesso è stato concesso ad altri.
E d’altra parte, certamente spetta al Comune la verifica del possesso del titolo, la cui mancanza impedisce all’Amministrazione di procedere oltre nell’esame del progetto (TAR Basilicata, sentenza 26.07.2010 n. 532 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Concessione edilizia – Istanza – Soggetto legittimato – Soggetti diversi dal proprietario – Titolari di diritti reali o personali.
Ai sensi dell'art. 4 L. 28.01.1977 n. 10, la domanda volta al rilascio della concessione edilizia può essere presentata anche da persona diversa dal proprietario, purché il richiedente abbia titolo a disporre del suolo; la materiale disponibilità dell'area da parte dell'istante, anche se persona diversa dal proprietario, costituisce titolo idoneo al rilascio della concessione edilizia, per cui può ritenersi che, in definitiva, sono legittimati a richiedere la concessione edilizia, non solo il proprietario, ma anche i soggetti che si trovano rispetto al bene immobile da edificare in relazione qualificata, come appunto i titolari di un diritto reale, ovvero i titolari di un diritto personale, quali, ad esempio, il conduttore (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 15.07.2010 n. 4557 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il rilascio della concessione edilizia (ora permesso di costruire) impone all'amministrazione comunale una preliminare verifica circa la legittimazione sostanziale del soggetto che chiede di esercitare lo ius aedificandi, onde l'accertamento del possesso del titolo a costruire costituisce una condizione la cui mancanza impedisce all'ente comunale di procedere oltre nell'esame dell'istanza, anche se va escluso l'obbligo di effettuare complesse indagini dirette a ricostruire tutte le vicende riguardanti l'immobile, quali l'inesistenza di servitù o di altri vincoli reali idonei a limitare l'attività edificatoria.
Deve ritenersi illegittima la concessione edilizia rilasciata in base alla richiesta di un solo comproprietario, dovendo l'amministrazione verificare la sussistenza, in capo al richiedente stesso, di un titolo idoneo di godimento sull'immobile ed accertare altresì la legittimazione soggettiva di quest'ultimo, la quale presuppone il consenso, anche tacito, dell'altro proprietario in regime di comunione.

La giurisprudenza amministrativa ha affermato che: ”Il rilascio della concessione edilizia (ora permesso di costruire) impone all'amministrazione comunale una preliminare verifica circa la legittimazione sostanziale del soggetto che chiede di esercitare lo ius aedificandi, in tal senso inducendo la prescrizione di cui all'art. 4 comma 1, l. n. 10 del 1977 («la concessione è data dal sindaco al proprietario dell'area o a chi abbia titolo per richiederla [...]»), e successivamente quella di cui all'art. 11 comma 1, d.P.R. n. 380 del 2001 («il permesso di costruire è rilasciato al proprietario dell'immobile o a chi abbia titolo per richiederlo»), onde l'accertamento del possesso del titolo a costruire (da riconoscere a chiunque abbia, in virtù di un diritto reale o di obbligazione sull'immobile, la facoltà di eseguire i lavori in progetto) costituisce una condizione la cui mancanza impedisce all'ente comunale di procedere oltre nell'esame dell'istanza, anche se va escluso l'obbligo di effettuare complesse indagini dirette a ricostruire tutte le vicende riguardanti l'immobile, quali l'inesistenza di servitù o di altri vincoli reali idonei a limitare l'attività edificatoria” (TAR Emilia Romagna-Parma, 21.02.2007, n. 53).
La giurisprudenza del Consiglio di Stato, proprio in considerazione della trasformazione del territorio conseguente ad opere di ben minore entità, ha affermato che “l'attività edilizia soggetta a concessione, determinando una apprezzabile trasformazione dell'area interessata, sia pure finalizzata al miglioramento oggettivo della cosa, determina, di regola, un'incidenza significativa sul diritto di ciascuno dei comproprietari, deve ritenersi illegittima la concessione edilizia rilasciata in base alla richiesta di un solo comproprietario, dovendo l'amministrazione verificare la sussistenza, in capo al richiedente stesso, di un titolo idoneo di godimento sull'immobile ed accertare altresì la legittimazione soggettiva di quest'ultimo, la quale presuppone il consenso, anche tacito, dell'altro proprietario in regime di comunione" (fattispecie relative alla richiesta di realizzazione dell'asfaltatura di una strada privata per la quale un altro comproprietario aveva manifestato espressamente il suo dissenso) Consiglio Stato, sez. V, 15.03.2001, n. 1507 (TAR Liguria, Sez. I, sentenza 13.07.2010 n. 5677 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Diniego di condono edilizio - D.L. n. 269/2003 - Titolo di legittimazione - Art. 31 L. n. 47/1985 - Sopraelevazione - Muro di proprietà di terzo - Legittimità.
In sede di domanda di condono è onere dell'Amministrazione verificare secondo un ordinario criterio di diligenza la titolarità da parte del richiedente di ogni titolo edilizio, anche in sanatoria, delle aree o dei sedimi oggetto dell'intervento, e rigettare l'istanza nel caso in cui sia stata rappresentata e documentata una situazione di incertezza in ordine alla proprietà dell'immobile ovvero la contrarietà di soggetti titolari di diritti reali incompatibili o contrastanti con il diritto del richiedente.
Peraltro, sebbene l'art. 31 L. n. 47/1985 preveda che l'istanza di condono possa essere presentata da altri soggetti e non solo dal proprietario, tale norma si riferisce a quei soggetti destinatari delle sanzioni, che possono avere un vantaggio dal condono, ma non porta ad ammettere che possano essere condonate opere realizzate sulla proprietà altrui (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 29.06.2010 n. 2665 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Permesso di costruire in sanatoria - Titolo per richiederlo - Accertamento da parte dell'Amministrazione - Ulteriori accertamenti - Non competono.
2. Permesso di costruire in sanatoria - Contenuto ed effetti - Violazione norme edilizie - Art. 872 c.c. - Salvezza dei diritti dei terzi - Tutela nelle sedi opportune.

1. Il Comune ha l'obbligo, nel corso dell'istruttoria sul rilascio del permesso di costruire in sanatoria, di verificare che esista un titolo per intervenire sull'immobile per il quale è richiesto il permesso edilizio e che quindi, ex art. 11 D.P.R. n. 380/2001, questo sia rilasciato al proprietario dell'area o a chi abbia titolo per richiederlo.
L'Amministrazione non è tuttavia tenuta a compiere complesse ricognizioni giuridico-documentali o accertamenti in ordine a eventuali pretese che potrebbero essere avanzate da soggetti estranei al rapporto concessorio, e, segnatamente, ad accertare l'esistenza di difformità tra la situazione di fatto e quanto risultante dalla mappa catastale, per verificare gli esatti confini tra i mappali di proprietà della ricorrente e quelli del richiedente il titolo edilizio.
2. Il permesso di costruire è un atto amministrativo che rende legittima l'attività edilizia nell'ordinamento pubblicistico e regola il rapporto che in relazione a quell'attività si pone in essere tra l'autorità amministrativa che lo emette ed il soggetto a favore del quale è emesso, ma non attribuisce a favore di tale soggetto diritti soggettivi conseguenti all'attività stessa, la cui titolarità deve essere verificata alla stregua della disciplina comune, con le consentite integrazioni della normativa speciale di cui all'art. 872 c.c. ed alla norme da esso richiamate.
Conseguentemente il permesso di costruire in sanatoria impugnato non pregiudica i diritti della ricorrente (nella specie il diritto di proprietà su parte dell'area su cui insistono le opere assentite) per la tutela dei quali dovrà agire nelle opportune sedi (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 28.04.2010 n. 1168 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Ricorso sulla condizione urbanistica dell'immobile - Promissario acquirente - Legittimazione - Condizioni.
La posizione di promissario acquirente normalmente consente di proporre ricorso sulla condizione urbanistica dell'immobile oggetto della contrattazione.
Dal momento che il titolo edilizio può essere chiesto anche quando l'acquisto della proprietà sia soltanto in itinere se il promittente venditore non si oppone, la medesima situazione permette di coltivare in sede giudiziale la pretesa al riconoscimento di ulteriori diritti edificatori o l'opposizione alla perdita di tali diritti (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 21.04.2010 n. 1580 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il nudo proprietario è pienamente legittimato a presentare istanza per la realizzazione di interventi edilizi.
Deve ritenersi frutto di un’erronea valutazione dell’art. 23 del d.p.r. 06.06.2001, n. 380, l’affermazione dell’amministrazione che l’istante, in quanto nudo proprietario non è legittimato alla presentazione delle richiesta di esecuzione dei lavori. L’art. 23 cit., infatti, individua genericamente quali soggetti legittimati “il proprietario dell'immobile o chi abbia titolo per presentare la denuncia di inizio di attività”.
Inoltre, anche dalla disciplina dettata dal codice civile in materia di usufrutto, si desume la piena legittimazione del nudo proprietario alla realizzazione degli interventi di recinzione, atteso che tali opere non costituiscono interventi di manutenzione ordinaria posti a carico dell’usufruttuario a norma dell’art. 1004 c.c., ma rientrano tra le opere straordinarie, che l’art. 1005 c.c. pone espressamente a carico del nudo proprietario. L’art. 1005 individua, infatti, come interventi straordinari la realizzazione di muri di cinta, ai quali non può non essere assimilata la costruzione di una recinzione (TAR Basilicata, sentenza 16.04.2010 n. 205 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il Collegio condivide i rilievi delle parti appellanti, secondo cui il comma 1 dell’art. 9 della l. n. 122/1989 non circoscrive esclusivamente ai proprietari degli immobili interessati la legittimazione a realizzare i parcheggi agli stessi pertinenziali.
Infatti, la disposizione innanzi citata, dopo aver statuito che: “…I proprietari di immobili possono realizzare nel sottosuolo degli stessi ovvero nei locali siti al piano terreno dei fabbricati parcheggi da destinare a pertinenza delle singole unità immobiliari, anche in deroga agli strumenti urbanistici ed ai regolamenti edilizi vigenti” aggiunge che: “…Tali parcheggi possono essere realizzati, ad uso esclusivo dei residenti, anche nel sottosuolo di aree pertinenziali esterne al fabbricato (…)”.
Orbene, la forma impersonale utilizzata nella seconda proposizione richiamata comporta che i parcheggi collocati in aree esterne ai fabbricati, a differenza di quelli posti nel sottosuolo o al piano terreno degli stessi, non devono essere realizzati necessariamente dai proprietari dell’immobile, ma possono esserlo anche da terzi: evidentemente il legislatore, non potendo escludersi che le “aree pertinenziali esterne” potessero appartenere a soggetti diversi dai proprietari dell’immobile, ha ritenuto di non dover limitare solo a questi ultimi la legittimazione a chiedere il permesso per realizzarvi i parcheggi de quibus.
Inoltre, la locuzione “…Tali parcheggi” indica chiaramente che la seconda proposizione del comma 1 è riferita alla medesima ipotesi disciplinata dalla prima, ossia alla realizzazione di parcheggi “da destinare a pertinenza delle singole unità immobiliari, anche in deroga agli strumenti urbanistici ed ai regolamenti edilizi vigenti”; di conseguenza, anche la possibilità di derogare ai predetti strumenti deve intendersi estesa agli interventi posti in essere da terzi, oltre che dai proprietari.
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La nozione edilizia di pertinenzialità ha connotati significativamente diversi da quelli civilistici, assumendo in essa rilievo decisivo non tanto il dato del legame materiale tra pertinenza ed immobile principale, quanto il dato giuridico che la prima risulti priva di autonoma destinazione e di autonomo valore di mercato e che esaurisca la propria destinazione d’uso nel rapporto funzionale con l’edificio principale, così da non incidere sul carico urbanistico.
La pertinenzialità che il legislatore ha inteso considerare i(con la l. 122/1989) non è tanto quella materiale esistente tra l’edificio e l’area (sottostante, interna o esterna) destinata ad accogliere il parcheggio, ma quella giuridica esistente tra ciascun singolo posto auto da realizzare e una specifica unità immobiliare, nel senso di creare fra di essi un nesso di inscindibilità: ciò che è coerente con la ratio della legge nr. 122 del 1989, che è quella di venire incontro al bisogno di parcheggi dei residenti nelle aree urbane evitando al tempo stesso operazioni speculative.

Una prima questione da affrontare nell’interpretazione del citato art. 9 della legge nr. 122 del 1989 –la cui formulazione non è certo delle più felici– è quella dell’individuazione dei soggetti cui è consentito realizzare i parcheggi interrati in deroga alle disposizioni degli strumenti urbanistici (tali essendo le caratteristiche della vicenda amministrativa per cui è causa).
Sul punto, occorre anzi tutto evidenziare l’estraneità alla vicenda di che trattasi dell’ipotesi contemplata dal comma 4 dello stesso art. 9, il quale faculta i Comuni a realizzare in proprio, su aree comunali o nel sottosuolo delle stesse, dei “parcheggi da destinare a pertinenza di immobili privati” e da cedere in diritto di superficie: nella fattispecie, infatti, il Comune di Siena si è limitato ad assentire la realizzazione di parcheggi interrati da parte della società Pasqui Costruzioni S.r.l. su un suolo in disponibilità della stessa in quanto messole a disposizione da uno dei soggetti poi assegnatari dei box realizzati.
Ciò premesso, il Collegio condivide i rilievi delle parti appellanti, secondo cui il comma 1 dell’art. 9 non circoscrive esclusivamente ai proprietari degli immobili interessati la legittimazione a realizzare i parcheggi agli stessi pertinenziali.
Infatti, la disposizione innanzi citata, dopo aver statuito che: “…I proprietari di immobili possono realizzare nel sottosuolo degli stessi ovvero nei locali siti al piano terreno dei fabbricati parcheggi da destinare a pertinenza delle singole unità immobiliari, anche in deroga agli strumenti urbanistici ed ai regolamenti edilizi vigenti” aggiunge che: “…Tali parcheggi possono essere realizzati, ad uso esclusivo dei residenti, anche nel sottosuolo di aree pertinenziali esterne al fabbricato (…)”.
Orbene, la forma impersonale utilizzata nella seconda proposizione richiamata comporta che i parcheggi collocati in aree esterne ai fabbricati, a differenza di quelli posti nel sottosuolo o al piano terreno degli stessi, non devono essere realizzati necessariamente dai proprietari dell’immobile, ma possono esserlo anche da terzi: evidentemente il legislatore, non potendo escludersi che le “aree pertinenziali esterne” potessero appartenere a soggetti diversi dai proprietari dell’immobile, ha ritenuto di non dover limitare solo a questi ultimi la legittimazione a chiedere il permesso per realizzarvi i parcheggi de quibus (ciò che, come meglio si dirà appresso, ha rilievo anche ai fini della stessa definizione del concetto di “aree pertinenziali esterne”).
Inoltre, la locuzione “…Tali parcheggi” indica chiaramente che la seconda proposizione del comma 1 è riferita alla medesima ipotesi disciplinata dalla prima, ossia alla realizzazione di parcheggi “da destinare a pertinenza delle singole unità immobiliari, anche in deroga agli strumenti urbanistici ed ai regolamenti edilizi vigenti”; di conseguenza, anche la possibilità di derogare ai predetti strumenti deve intendersi estesa agli interventi posti in essere da terzi, oltre che dai proprietari.
Più delicata è la seconda questione interpretativa del comma 1 dell’art. 9, in ordine al significato da attribuire alla locuzione “aree pertinenziali esterne al fabbricato”: se cioè essa richiami una nozione di pertinenzialità “materiale”, come tale evocante un rapporto di accessorietà o asservimento tra area esterna e fabbricato necessariamente preesistente all’intervento realizzativo dei parcheggi interrati, ovvero faccia riferimento a una nozione “giuridica”, implicante semplicemente l’instaurazione di uno stabile legame tra parcheggio e unità immobiliare in forza del quale di essi non possa più disporsi separatamente, e quindi suscettibile anche di non preesistere all’intervento e di essere creato solo in un momento successivo alla realizzazione del parcheggio (alla stessa stregua di quanto più chiaramente previsto, per i parcheggi realizzati direttamente dal Comune, al successivo comma 4).
Pur ribadendo che il dato normativo nella specie è tutt’altro che limipido, il Collegio ritiene di dover propendere per la seconda lettura, aderendo alle prospettazioni in tal senso sviluppate dalle parti appellanti.
Al riguardo, giova in primo luogo richiamare il noto insegnamento secondo cui la nozione edilizia di pertinenzialità ha connotati significativamente diversi da quelli civilistici, assumendo in essa rilievo decisivo non tanto il dato del legame materiale tra pertinenza ed immobile principale, quanto il dato giuridico che la prima risulti priva di autonoma destinazione e di autonomo valore di mercato e che esaurisca la propria destinazione d’uso nel rapporto funzionale con l’edificio principale, così da non incidere sul carico urbanistico (cfr., ex plurimis, Cons. Stato, sez. IV, 15.09.2009, nr. 5509; id., 23.07.2009, nr. 4636; id., 07.07.2009, nr. 3379).
Se ciò è vero, ne discende che non può ritenersi a priori inconfigurabile, nell’applicazione dell’art. 9 della legge nr. 122 del 1989, l’ipotesi in cui l’area esterna non si trovi in rapporto di immediata contiguità materiale con il fabbricato cui i realizzandi parcheggi sono destinati ad accedere: ciò, del resto, è in linea con la conclusione sopra raggiunta nel senso che detta area esterna possa originariamente essere anche di proprietà di soggetto diverso dal proprietario dell’immobile nei cui confronti i parcheggi sono destinati a divenire “pertinenziali” (nel caso di specie, la società Pasqui Costruzioni S.r.l. è stata autorizzata dal proprietario del suolo, il quale ha poi mantenuto la proprietà di due dei box realizzati).
Ma, a ben vedere, v’è un ulteriore e decisivo argomento testuale a sostegno della conclusione qui raggiunta, che è ricavabile dalla prima proposizione del comma 1 del più volte citato art. 9, laddove esso, con riferimento ai parcheggi che i proprietari possono realizzare nel sottosuolo o al pian terreno del fabbricato, li definisce come “parcheggi da destinare a pertinenza delle singole unità immobiliari”: quasi che anche in questo caso il vincolo di pertinenzialità possa anche non preesistere alla realizzazione del parcheggio, ma sorgere successivamente in virtù di uno specifico atto di destinazione.
Ed invero, come si evince dalla lettura complessiva della norma, la pertinenzialità che il legislatore ha inteso considerare in questo caso non è tanto quella materiale esistente tra l’edificio e l’area (sottostante, interna o esterna) destinata ad accogliere il parcheggio, ma quella giuridica esistente tra ciascun singolo posto auto da realizzare e una specifica unità immobiliare, nel senso di creare fra di essi un nesso di inscindibilità: ciò che è coerente con la ratio della legge nr. 122 del 1989, che è quella di venire incontro al bisogno di parcheggi dei residenti nelle aree urbane evitando al tempo stesso operazioni speculative (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 31.03.2010 n. 1842 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Installazione degli impianti per l’esercizio della radiodiffusione sonora o televisiva - Attività edilizia di costruzione degli impianti - Concessione alla radiodiffusione - Titolo necessario di legittimazione all’istanza edilizia.
L’art. 16 della legge 06.08.1990, n. 223 assoggetta a regime concessorio tanto l’esercizio della radiodiffusione sonora o televisiva quanto l'installazione dei relativi impianti.
Nel settore della radiodiffusione, il regime pubblicistico di concessione appare un ragionevole strumento utilizzato dal legislatore al fine di regolamentare lo sviluppo ed esercizio del servizio e dell’attività stessa. Tale ratio, sottesa alla norma, e al più generale impianto della legge, postula che l’attività edilizia di costruzione degli impianti non possa essere considerata funzionalmente autonoma ma accessoria all’attività di radiodiffusione (cfr. art. 25 D.Lgs. 259/2003).
Deve pertanto evincersi che l’art. 4 della stessa legge n. 223/1990, nel richiamare espressamente l’art. 16, pone la concessione alla radiodiffusione quale necessario titolo di legittimazione all’istanza edilizia (Cass. Pen., III, 06.11.2007, n. 172) (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 09.03.2010 n. 1387 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Rilascio del titolo abilitativo edilizio - Legittimazione attiva - Proprietario del fondo - Titolare di altro diritto di godimento - Indagine istruttoria della p.a. - Limiti.
La legittimazione attiva a chiedere il rilascio di un titolo abilitativo edilizio è configurabile non solo in capo al proprietario del terreno, ma anche in favore del soggetto titolare di altro diritto di godimento del fondo, che lo autorizzi a disporne con un intervento costruttivo (nel caso di specie, estrattivo) e la p.a. non è tenuta a svolgere una preliminare indagine istruttoria che si estenda fino alla ricerca d'ufficio di eventuali elementi limitativi, preclusivi o estintivi del titolo di disponibilità allegato dal richiedente (Cons. Stato, V, n. 368/2004) (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 10.02.2010 n. 675 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: L'accertamento della legittimazione soggettiva al rilascio del permesso di costruire incontra il limite di non dover compiere complesse ricognizioni giuridico-documentali ovvero accertamenti in ordine ad eventuali pretese prospettabili da soggetti estranei al rapporto, essendo ogni provvedimento edilizio rilasciato “salvi i diritti dei terzi”.
I titoli edilizi vengono rilasciati con salvezza dei diritti dei terzi.
E’ opinione comune nella giurisprudenza che se è vero che l'art. 4 l. 28.01.1977 n. 10, attualmente riprodotto dall'art. 11 d.P.R. 06.06.2001 n. 380, t.u. edilizia, prevede che la concessione edilizia, oggi permesso di costruire, debba essere rilasciata "al proprietario dell'immobile o a chi abbia titolo per richiederlo" e che pertanto in proposito, costante giurisprudenza (per tutte Cons. Stato, sez. V, 15.03.2001 n. 1507) afferma allora che in sede di rilascio il Comune è tenuto a verificare la legittimazione soggettiva del richiedente, tuttavia tale accertamento incontra il limite di non dover compiere complesse ricognizioni giuridico-documentali ovvero accertamenti in ordine ad eventuali pretese prospettabili da soggetti estranei al rapporto, essendo ogni provvedimento edilizio rilasciato “salvi i diritti dei terzi” (cfr. in un caso relativo al condono edilizio, TAR Emilia Romagna-Bologna, sez. II, 19.12.2006, n. 3260).
E’stato pertanto affermato il principio per cui il comune, se non può prescindere dal considerare i presupposti di fatto e di diritto che, comunque, possono incidere sulla disponibilità dell'area da edificare da parte di chi richiede la concessione, non può tuttavia nemmeno essere tenuto a dirimere eventuali conflitti tra titoli di proprietà, in quanto la concessione fa salvi i diritti dei terzi. (TAR Abruzzo-L'Aquila, 07.05.2003, n. 233)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 02.02.2010 n. 255 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Rilascio del permesso di costruire - Legittimazione soggettiva del richiedente - Obbligo di verifica da parte della P.A. - Sussiste.
2. Rilascio del permesso di costruire - Legittimazione soggettiva del richiedente - Obbligo di verifica da parte della P.A. - Limiti - Complesse ricognizioni giuridico-documentali e accertamenti di pretese di terzi - Obbligo - Non sussiste.
3. Rilascio del permesso di costruire - Legittimazione soggettiva del richiedente - Obbligo di verifica da parte della P.A. - Portata.

1. Ex art. 11, D.P.R. n. 380/2001, il permesso di costruire deve essere rilasciato al proprietario dell'immobile o a chi abbia titolo per richiederlo: pertanto in sede di rilascio il Comune è tenuto a verificare la legittimazione soggettiva del richiedente.
2. L'obbligo in capo al Comune di accertamento della legittimazione soggettiva del richiedente il permesso di costruire incontra il limite di non dover compiere complesse ricognizioni giuridico-documentali ovvero accertamenti in ordine ad eventuali pretese prospettabili da soggetti estranei al rapporto, essendo ogni provvedimento edilizio rilasciato "salvi i diritti dei terzi" (cfr. TAR Bologna, sent. n. 3260/2006).
3. Il Comune, se da un lato non può prescindere dal considerare i presupposti di fatto e di diritto che, comunque, possono incidere sulla disponibilità dell'area da edificare da parte di chi richiede la concessione, dall'altro non può nemmeno essere tenuto a dirimere eventuali conflitti tra titoli di proprietà, in quanto la concessione fa salvi i diritti dei terzi. (cfr. TAR L'Aquila, sent. n. 233/2003) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 02.02.2010 n. 255 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2009

EDILIZIA PRIVATA: L’amministrazione non è tenuta a svolgere indagini particolari in presenza della richiesta edificatoria prodotta da un comproprietario.
Al contrario, qualora uno o più comproprietari si attivino per denunciare il proprio dissenso rispetto al rilascio del titolo edificatorio, il Comune deve verificare se, dietro l’istanza di concessione, sia riconoscibile l’effettiva sussistenza della disponibilità del bene oggetto dell’intervento edificatorio e se, più in generale, la situazione di fatto consenta di supporre l’esistenza di un pactum fiduciae intercorrente tra i comproprietari.

È noto, del resto, che, se normalmente l’Amministrazione non è tenuta a svolgere indagini particolari in presenza della richiesta edificatoria prodotta da un comproprietario, al contrario, qualora uno o più comproprietari si attivino per denunciare il proprio dissenso rispetto al rilascio del titolo edificatorio (o quando, comunque, l’esistenza di un titolo di proprietà in comune emerga dagli atti), il Comune deve verificare se, dietro l'istanza di concessione, sia riconoscibile l'effettiva sussistenza della disponibilità del bene oggetto dell'intervento edificatorio (TAR Salerno, sez. II, 05.10.2007, n. 2080) e se, più in generale, la situazione di fatto consenta (come necessario: Cons. Stato, sez. V, 24.09.2003, n. 5445) di supporre l’esistenza di un “pactum fiduciae” intercorrente tra i comproprietari (o, semmai di escludere, all’esito di un effettivo accertamento sul punto, la ventilata esistenza di un dominio in comune). Al qual fine, in definitiva, ciò che non è dato comunque omettere è il coinvolgimento dei soggetti “prima facie” coinvolti dal progettato intervento edificatorio (TAR Campania-Salerno, Sez. II, sentenza 16.12.2009 n. 7921 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAAi sensi dell’art. 31 L. n. 47/1985, legittimato a richiedere la sanatoria è, in via generale, colui che ha titolo a richiedere la concessione o autorizzazione edilizia e, per giurisprudenza consolidata, al fine di richiedere la concessione edilizia, e per contestarne l’eventuale diniego, è sufficiente l’esistenza di un contratto preliminare relativo all’acquisto del terreno, avuto riguardo all’esperibilità della tutela in forma specifica (ai sensi dell’art. 2932 cod. civ.) in caso di inadempimento della controparte.
In via preliminare, va anzitutto chiarito, andando in contrario avviso rispetto a quanto ritenuto dal Tribunale amministrativo, che, ad avviso del Collegio, sussisteva la legittimazione del sig. Maggiolo, all’epoca della presentazione della domanda non ancora proprietario del terreno, a richiedere il titolo edilizio in sanatoria, in quanto, ai sensi dell’art. 31 L. n. 47/1985, legittimato a richiedere la sanatoria è, in via generale, colui che ha titolo a richiedere la concessione o autorizzazione edilizia e, per giurisprudenza consolidata, al fine di richiedere la concessione edilizia, e per contestarne l’eventuale diniego, è sufficiente l’esistenza di un contratto preliminare relativo all’acquisto del terreno, avuto riguardo all’esperibilità della tutela in forma specifica (ai sensi dell’art. 2932 cod. civ.) in caso di inadempimento della controparte (cfr. Cons. Stato, VI Sez., n. 7847/2004).
Nella fattispecie, non è contestato quanto affermato dall’appellante che fra lo stesso e il proprietario del terreno su cui insisteva il manufatto fosse stato stipulato un contratto preliminare e che il terreno fosse da decenni utilizzato dal Maggiolo e che ancora lo fosse al momento della richiesta di condono (30/12/1986); vi aveva fatto seguito nel 2001 il definitivo contratto di acquisto. Il provvedimento di concessione in sanatoria n. 318 del 18/08/2001 risulta, quindi, legittimo in quanto destinatario finale dello stesso è il proprietario del terreno su cui è stato realizzato il manufatto oggetto di sanatoria
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 27.10.2009 n. 6545 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAQuanto alla problematica della individuazione del soggetto cui il permesso di costruire può essere rilasciato ed, in particolare, la corretta interpretazione dell’articolo 11 del dpr n. 380/2001, la giurisprudenza ha in generale chiarito che la disposizione normativa va intesa nel senso che il soggetto abilitato alla richiesta è non solo il proprietario dell’area , ma anche il titolare di un diritto (avente o meno natura reale) che lo legittimi nei confronti del proprietario medesimo.
Con specifico riferimento, poi, alla posizione del comodatario, essa ha affermato che il titolare di un diritto di comodato è legittimato alla richiesta di titoli edilizi compatibili con l’effettiva disponibilità del bene e con l’entità della trasformazione oggetto della richiesta.
Occorre, dunque, guardare ai contenuti del contratto stipulato dalle parti ed alle facoltà in esso conferite al comodatario, comparando le stesse con il tipo di intervento edilizio che si è richiesto per l’immobile oggetto del rapporto obbligatorio.

La prima ragione di diniego afferma che “il richiedente non risulta titolato poiché dal contratto di comodato d’uso, allegato al progetto, non si evince la possibilità, da parte del comodatario (richiedente), di poter intervenire con opere di così radicale trasformazione”.
La disamina di essa involge la problematica della individuazione del soggetto cui il permesso di costruire può essere rilasciato ed, in particolare, la corretta interpretazione dell’articolo 11 del dpr n. 380/2001, il quale prevede, al primo comma, che “il permesso di costruire è rilasciato al proprietario dell’immobile o a chi abbia titolo per richiederlo”.
Orbene, con riferimento al fabbricato ubicato in località “Vallone Caprerie”, non si pone alcun problema, considerato che lo stesso è di proprietà della ricorrente, onde sussiste certamente la qualità soggettiva di “proprietario” richiesta dalla norma.
Quanto al fabbricato sito in località “Taverna Bosco”, va, invece evidenziato che la sig.ra Falcone ne è comodataria, giusta scrittura privata del 10-09-1999, registrata il 07-04-2000.
La giurisprudenza ha in generale chiarito che la disposizione normativa va intesa nel senso che il soggetto abilitato alla richiesta è non solo il proprietario dell’area , ma anche il titolare di un diritto (avente o meno natura reale) che lo legittimi nei confronti del proprietario medesimo.
Con specifico riferimento, poi, alla posizione del comodatario, essa ha affermato che il titolare di un diritto di comodato è legittimato alla richiesta di titoli edilizi compatibili con l’effettiva disponibilità del bene e con l’entità della trasformazione oggetto della richiesta (cfr. Cons. Stato, V, 19-09-2008, n. 4518).
Occorre, dunque, guardare ai contenuti del contratto stipulato dalle parti ed alle facoltà in esso conferite al comodatario, comparando le stesse con il tipo di intervento edilizio che si è richiesto per l’immobile oggetto del rapporto obbligatorio.
Rileva il Tribunale che il citato contratto di comodato ha ad oggetto il fabbricato rurale con annessa corte e terreno agricolo (in catasto alla partita 1406, foglio 5, particelle 14, 16 e 17) e prevede, all’articolo 2, che la proprietaria “autorizza il comodatario a effettuare tutte quelle opere che esso ritenesse necessario per l’esercizio di un’azienda agricola, ivi comprese la possibilità di richiedere agevolazioni e finanziamenti a norma delle vigenti leggi”.
La lettura dell’atto evidenzia, dunque, che è data la facoltà al comodatario di effettuare “opere” che siano dallo stesso ritenute necessarie “per l’esercizio di un’azienda agricola”.
Orbene, nel concetto di “opere”, attesa la generalità e la onnicomprensività della previsione (“tutte quelle opere"), rientrano certamente quelle di carattere edilizio ed inoltre gli interventi che sono previsti per il fabbricato Taverna del Bosco risultano certamente collegati e funzionali all’esercizio dell’azienda agricola, atteso che l’esame degli atti progettuali ad esso relativi evidenzia (v. pure la relazione giurata di parte in atti) che in tale fabbricato non sono previsti incrementi dei volumi residenziali esistenti ma unicamente degli annessi agricoli, con conseguente sussistenza del nesso funzionale dell’”esercizio dell’azienda agricola”.
Da quanto sopra, dunque, emerge che il primo motivo di diniego è certamente illegittimo, non risultando, in capo alla sig.ra Falcone, la carenza di titolo ritenuta dal Comune e riveniente dai contenuti del contratto di comodato (TAR Campania-Salerno, Sez. II, sentenza 07.08.2009 n. 4254 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Non è applicabile alla denuncia di inizio attività l’art. 10-bis della legge n. 241/1990.
In sede di rilascio dei titoli edilizi (inclusa la particolare ipotesi della denuncia di inizio attività), il Comune è tenuto a verificare la legittimazione soggettiva del richiedente, con il solo limite di non poter procedere d’ufficio ad indagini su profili che non appaiano controversi.

Come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza (da ultimo, Consiglio di Stato, IV, n. 4828 del 12.09.2007) non è applicabile alla denuncia di inizio attività l’art. 10-bis della legge n. 241/1990 e, comunque, ai sensi dell’art. 21-octies della stessa legge, il vizio formale impedisce l’annullamento del provvedimento impugnato nell’ipotesi in cui il contenuto sostanziale dell’atto non avrebbe potuto essere diverso.
Come affermato dal Consiglio di Stato (IV, n. 4828 del 12.09.2007), l’art. 10-bis della legge n. 241/1990 è inapplicabile alla denuncia di inizio attività, che costituisce un provvedimento (implicito) favorevole al privato, mentre presenta contenuto negativo (pur non essendo a rigore un rigetto dell’istanza) il successivo atto di diffida a non compiere l’attività. Inoltre, il preavviso relativo all’ordine di non eseguire si sostanzierebbe in un’ingiustificata duplicazione dell’ordine stesso, incompatibile con il termine ristretto entro cui l’Amministrazione deve provvedere, non essendo, tra l’altro, previste parentesi procedimentali produttive di sospensione del termine medesimo.
Come affermato in giurisprudenza (Consiglio di Stato, IV, n. 5811 del 25.11.2008; TAR Catanzaro, II, n. 1133 del 29.07.2008; Consiglio di Stato, V, n. 2506 del 12.05.2003, n. 2506), in sede di rilascio dei titoli edilizi (inclusa la particolare ipotesi della denuncia di inizio attività), il Comune è tenuto a verificare la legittimazione soggettiva del richiedente, con il solo limite di non poter procedere d’ufficio ad indagini su profili che non appaiano controversi.
Ne consegue che l’Amministrazione ha il dovere di verificare l’esistenza del possesso dell’area (cioè del concreto esercizio, da parte del richiedente, del potere sulla cosa, che si concreta in un’attività corrispondente all’esercizio della proprietà o di altro diritto reale), anche tenendo conto di eventuali giudizi instaurati (senza che ciò implichi che sia devoluto al Comune il definitivo accertamento di contrastanti posizioni di diritto soggettivo, demandato, invece, alla sede naturale della risoluzione di tali conflitti, cioè alla giurisdizione ordinaria), di talché nella specie risulta legittimo (e ragionevole) il ricorso alla diffida a non eseguire l’attività, in quanto Biamonte Alfonsina in Leone ha sostenuto in giudizio di aver usucapito (almeno in parte) anche la particella 448 del foglio 14, come risulta dall’atto di citazione versato in atti
(TAR Calabria-Catanzaro, Sez. II, sentenza 23.07.2009 n. 802 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Permesso di costruire - Rilascio - Obbligo della P.A. di verifica della legittimazione attiva del richiedente - Sussiste - Limiti.
2. Competenza e giurisdizione - Accertamento profili connessi alla proprietà o al possesso dell'immobile - Giurisdizione generale di legittimità del G.A. - Sussiste - Limiti.
3. Permesso di costruire - Presupposti - Atti di competenza dei Vigili del Fuoco - Non costituiscono presupposto necessario per il rilascio del permesso.

1. In sede di rilascio di permesso di costruire, che viene concesso al proprietario dell'immobile o a chi abbia titolo per richiederlo, il Comune è tenuto a verificare la legittimazione soggettiva del richiedente, con il solo limite di non poter procedere d'ufficio ad indagini su profili che della stessa non appaiano controversi (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 5811/2008).
2. L'accertamento dei profili connessi alla proprietà o al possesso dell'immobile costituiscono, nei limiti sopra indicati, un'attività amministrativa di cui il giudice amministrativo conosce in quanto rientra nella giurisdizione generale di legittimità: e qualora, al fine di conoscere di tale attività, egli si imbatta in questioni di diritto soggettivo, il G.A. le conosce ex art. 8 L. 1034/1971, secondo il quale il TAR, nelle materie in cui non ha competenza esclusiva, decide con efficacia limitata di tutte le questioni pregiudiziali o incidentali relative a diritti, la cui risoluzione sia necessaria per pronunciare sulla questione principale.
3. In sede di impugnazione di titoli edilizi, il rilascio degli atti di competenza del Comando dei Vigili del Fuoco non costituisce presupposto per il rilascio della concessione edilizia, di competenza del Comune, dando luogo ad un distinto procedimento amministrativo, esperibile anche in via di sanatoria (cfr. TAR Napoli, sent. n. 8234/2002) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 26.03.2009 n. 1993).

EDILIZIA PRIVATA: Concessione di costruzione - Criteri e principi generali - Verifica legittimazione del richiedente - Onere del Comune - Sussiste - Limiti.
L'Amministrazione Comunale, nel corso dell'istruttoria sul rilascio della concessione edilizia, deve verificare che esista il titolo per intervenire sull'immobile per il quale è chiesta la concessione edilizia -anche se questa è sempre rilasciata facendo salvi i diritti dei terzi- e se il titolo non viene provato è legittimo che il rilascio della concessione venga negato. Tale principio è desumibile dall'art. 4, comma 1, Legge 10/1977, secondo cui la concessione è data dal sindaco al proprietario dell'area o a chi abbia titolo per richiederla, come confermato dall'art. 11, comma 1, D.P.R. n. 380/2001, in base al quale il permesso di costruire è rilasciato al proprietario dell'immobile o a chi abbia titolo per richiederlo. Pertanto, la verifica del possesso del titolo a costruire costituisce un presupposto la cui mancanza impedisce alla P.A. di procedere oltre nell'esame del progetto, anche se deve escludersi un obbligo del Comune di effettuare complessi accertamenti diretti a ricostruire tutte le vicende riguardanti l'immobile in oggetto, con particolare riferimento all'inesistenza di servitù o di altri vincoli reali che potrebbero limitare l'attività edificatoria dell'immobile (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 4703/2007) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 06.02.2009 n. 1157 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2008

EDILIZIA PRIVATA: In sede di rilascio del permesso di costruire, il Comune è tenuto a verificare la legittimazione soggettiva del richiedente, con il solo limite di non poter procedere d'ufficio ad indagini su profili della stessa che non appaiano controversi.
L'art. 4 della legge 28.01.1977, n. 10, attualmente riprodotto dall'art. 11 del d.P.R. 06.06.2001, n. 380 (t.u. edilizia), prevede che la concessione edilizia, oggi permesso di costruire, sia rilasciata "al proprietario dell'immobile o a chi abbia titolo per richiederlo": in proposito, costante giurisprudenza (v., per tutte, Cons. Stato, sez. V, 15.03.2001 n. 1507) afferma allora che, in sede di rilascio, il Comune è tenuto a verificare la legittimazione soggettiva del richiedente, con il solo limite di non poter procedere d'ufficio ad indagini su profili della stessa che non appaiano controversi.
E se è vero, come qui sostiene l’appellante principale, che il potere/dovere così delineato in capo all’Amministrazione può limitarsi alla verifica dell’esistenza del possesso dell’area (e cioè del concreto esercizio, da parte del richiedente il titolo, del potere sulla cosa, che si concreta in un’attività corrispondente all’esercizio della proprietà o di altro diritto reale), tale accertamento attiene pur sempre ad un livello minimo di istruttoria, che va superato ed approfondito allorché, come appunto avviene nel caso di specie e come ampiamente documentato in atti dall’originaria ricorrente, problematiche di asserita, indebita, appropriazione del fondo altrui insorsero già all’atto dell’edificazione dei condomìni, cui ineriscono le opere, di cui alla D.I.A. in argomento.
Una tale verifica, imposta dai più volte citati artt. 4 della legge n. 10/1977 ed 11 del d.P.R. n. 380/2001 (che, nel richiedere la sussistenza di un titolo legittimante, non possono che riferirsi alla concreta estensione del diritto vantato e fatto valere avanti all’Amministrazione, senza che per questo debba ritenersi devoluto alla stessa il definitivo accertamento di eventualmente confliggenti posizioni di diritto soggettivo, demandato alla sede naturale della risoluzione di tali conflitti ch’è la giurisdizione ordinaria), è nell’istruttoria all’esame del tutto mancata, sì che della stessa deve farsi càrico l’Amministrazione stessa nella riedizione dell’attività amministrativa imposta dall’effetto conformativo scaturente dalla presente decisione (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 25.11.2008 n. 5811 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAAnche i titolari di diritti personali di godimento sono legittimati alla richiesta di titoli edilizi, compatibili con l’effettiva disponibilità del bene e con l’entità della trasformazione oggetto della richiesta autorizzatoria.
Infatti, la richiesta del condominio è stata presentata al comune nella sua veste di comodatario dell’area. Si tratta di stabilire, allora, se la titolarità di tale diritto di godimento sia sufficiente per radicare la legittimazione alla richiesta del titolo autorizzatorio e se il rilascio del provvedimento edilizio sia impedito dall’indicato atto di asservimento.
...
Il condominio appellante basa la propria legittimazione alla richiesta autorizzazione edilizia facendo riferimento a un contratto di comodato con il proprietario.
...
Del resto, la giurisprudenza di questa Sezione ha più volte chiarito che anche i titolari di diritti personali di godimento sono legittimati alla richiesta di titoli edilizi, compatibili con l’effettiva disponibilità del bene e con l’entità della trasformazione oggetto della richiesta autorizzatoria (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 19.09.2008 n. 4518 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Richiesta di permesso di costruire, anche in sanatoria, di opere realizzate su parti comuni - Consenso di tutti i comproprietari - Opere ex art. 1102 c.c. - Necessità.
2. Rilascio del permesso di costruire - Obbligo di verifica da parte della Amministrazione di posizioni di opposizione al rilascio - Sussiste.
3. Avviso di avvio del procedimento relativo a istanze di rilascio di concessione edilizia - Obbligo di comunicazione al proprietario del terreno confinante - Non sussiste.

1. La richiesta di permesso di costruire, anche in sanatoria, di opere realizzate su parti comuni dell'edificio necessita del consenso di tutti i comproprietari quando si tratta di interventi di cui all'art. 1102 c.c.
2. In sede di rilascio del permesso di costruire, l'Amministrazione è comunque tenuta a verificare la posizione di avente diritto e quindi la legittimazione del richiedente e l'esistenza di una chiara opposizione da parte dei comproprietari.
3. L'avviso di avvio del procedimento relativo a istanze di rilascio di concessione edilizia non va inviata al proprietario di un terreno confinante a quello interessato dal procedimento, atteso che nel procedimento di rilascio di concessione edilizia, gli interessi coinvolti dal provvedimento con cui si consente la trasformazione edilizia del territorio, sono di tale varietà, ampiezza ed eterogeneità, da rendere difficilmente individuabili tutti i soggetti che potrebbero riceverne nocumento (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 10.09.2008 n. 4038).

EDILIZIA PRIVATA: La legittimazione a chiedere la concessione edilizia spetta solo a chi abbia, in virtù di un diritto reale o di una obbligazione, la facoltà di eseguire il progetto assentito.
Ai sensi dell’art. 4, comma 1, L. 28.01.1977 n. 10, la legittimazione a chiedere la concessione edilizia spetta solo a chi abbia, in virtù di un diritto reale o di una obbligazione, la facoltà di eseguire il progetto assentito.
Tale legittimazione compete anche al singolo condòmino riguardo ad un’opera da realizzare sulle parti comuni di un edificio, ma solo ove tale opera sia strettamente pertinenziale alla sua unità immobiliare, in virtù del combinato disposto degli artt. 1102 (facoltà del comunista di servirsi delle cose comuni), 1105 (concorso di tutti i condomini alla cosa comune) e 1122 (divieto al condominio di realizzare opere che danneggino le cose comuni) (Consiglio di Stato, sez. V, 23.06.1997, n. 699)
(TAR Campania-Napoli, Sez. IV, sentenza 03.09.2008 n. 10036 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

CONDOMINIO: Anche l’amministratore di un condominio, se e quando munito di specifici poteri a lui conferiti dai singoli condomini, può richiedere il rilascio di una concessione edilizia in quanto la legge non esclude che i soggetti titolati possano avvalersi di altri soggetti, regolarmente incaricati secondo le regole generali per esercitare il loro diritto.
Con riferimento alla legittimazione ad agire dell’amministratore del condominio, questo Tribunale ha già avuto modo di chiarire che “anche l’amministratore di un condominio, se e quando munito di specifici poteri a lui conferiti dai singoli condomini, possa richiedere il rilascio di una concessione edilizia in quanto la legge non esclude che i soggetti titolati possano avvalersi di altri soggetti, regolarmente incaricati secondo le regole generali per esercitare il loro diritto. Ciò può facilmente verificarsi nell’ipotesi di lavori di ristrutturazione di uno stabile condominiale per i quali è richiesta la concessione edilizia o nel caso di demolizione e successiva ricostruzione di un edificio condominiale” (cfr. TAR Campania Napoli, sez. II, n. 435/1996) (TAR Campania-Napoli, Sez. IV, sentenza 03.09.2008 n. 10036 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il comune ha l’obbligo di verificare la documentazione allegata all’istanza di permesso di costruire, sebbene questo sia sempre rilasciato facendo salvi i diritti dei terzi, verificando compiutamente i titoli di proprietà dei condòmini e negandolo qualora non emerga la prova della sussistenza del titolo.
L'amministrazione comunale, ai fini del rilascio del permesso di costruire, è onerata del solo accertamento della sussistenza del titolo astrattamente idoneo da parte del richiedente alla disponibilità dell'area oggetto dell'intervento edilizio e nel caso di opere edilizie da realizzare in aree condominiali tale onere si considera assolto esclusivamente verificando il previo assenso degli altri condomini.
Se il rilascio del permesso di costruire impone all'amministrazione comunale una preliminare verifica circa la legittimazione sostanziale del soggetto che chiede di esercitare lo ius aedificandi, onde l'accertamento del possesso del titolo a costruire costituisce una condizione la cui mancanza impedisce all'ente comunale di procedere oltre nell'esame dell'istanza, tuttavia deve ritenersi escluso l'obbligo di effettuare complesse indagini dirette a ricostruire tutte le vicende riguardanti l'immobile.

L’amministrazione comunale –secondo quanto chiarito dalla giurisprudenza- ha l’obbligo di verificare la documentazione allegata all’istanza di permesso di costruire, sebbene questo sia sempre rilasciato facendo salvi i diritti dei terzi, verificando compiutamente i titoli di proprietà dei condòmini e negandolo qualora non emerga la prova della sussistenza del titolo (Cons. Stato, Sez. 5ª, 22.06.2000 n. 3525; TAR Campania, Sez. 4ª, 17.06.2002 n. 3601).
L'amministrazione comunale, ai fini del rilascio del permesso di costruire, è onerata del solo accertamento della sussistenza del titolo astrattamente idoneo da parte del richiedente alla disponibilità dell'area oggetto dell'intervento edilizio (TAR Liguria Genova, sez. I, 29.11.2007, n. 1987), e nel caso di opere edilizie da realizzare in aree condominiali tale onere si considera assolto esclusivamente verificando il previo assenso degli altri condomini (v., ex multis, TAR Basilicata 18.12.2002 n. 1011).
Se il rilascio del permesso di costruire impone all'amministrazione comunale una preliminare verifica circa la legittimazione sostanziale del soggetto che chiede di esercitare lo ius aedificandi, in tal senso inducendo la prescrizione di cui all'art. 4 comma 1, l. n. 10 del 1977 («la concessione è data dal sindaco al proprietario dell'area o a chi abbia titolo per richiederla [...]»), e successivamente quella di cui all'art. 11 comma 1, d.P.R. n. 380 del 2001 («il permesso di costruire è rilasciato al proprietario dell'immobile o a chi abbia titolo per richiederlo»), onde l'accertamento del possesso del titolo a costruire (da riconoscere a chiunque abbia, in virtù di un diritto reale o di obbligazione sull'immobile, la facoltà di eseguire i lavori in progetto) costituisce una condizione la cui mancanza impedisce all'ente comunale di procedere oltre nell'esame dell'istanza, tuttavia deve ritenersi escluso l'obbligo di effettuare complesse indagini dirette a ricostruire tutte le vicende riguardanti l'immobile (TAR Emilia Romagna Parma, 21.02.2007, n. 53; Cons. Stato, Sez. V, 07.07.2005 n. 3730)
(TAR Campania-Napoli, Sez. IV, sentenza 03.09.2008 n. 10036 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Diniego di condono edilizio - Richiesta di pagamento dell'oblazione - Contraddittorietà - Non sussiste.
2. Diniego di condono edilizio - È atto vincolato in mancanza della documentazione necessaria per comprovare la legittimazione all'istanza e la data di conclusione delle opere.

1. In caso di reiezione di domanda di condono, non sussiste contraddittorietà con la richiesta di pagamento dell'oblazione in quanto questo è un presupposto per la presentazione dell'istanza e le relative somme devono essere restituite nel caso di diniego di condono definitivamente accertato.
2. Il diniego di condono è atto vincolato in mancanza della documentazione necessaria per comprovare la legittimazione all'istanza e la data di conclusione delle opere
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 29.08.2008 n. 4009 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Condono edilizio ex D.L. n. 269/2003 - Diniego di permesso di costruire in sanatoria - Obbligo di motivazione in ordine all'interesse pubblico - Non sussiste.
2. Condono edilizio ex D.L. n. 269/2003 - Diniego di permesso di costruire in sanatoria - Mancata integrazione in riferimento alla legittimazione all'istanza ed al termine dei lavori - Legittimità del diniego.

1. Con riferimento al diniego di sanatoria per mancata integrazione della documentazione presentata, non sussiste alcun obbligo del Comune di motivare in ordine all'interesse pubblico alla reiezione della domanda di condono edilizio in quanto l'adozione del provvedimento di reiezione è vincolato quando mancano i requisiti per l'accoglimento della domanda.
2. E' legittimo il diniego di condono, in quanto atto vincolato, in particolare quando risulta che l'istante non ha dato prova né della sua qualifica di affittuaria alla data di presentazione dell'istanza di condono, né della realizzazione dei lavori entro i termini di legge per la presentazione del condono, richieste dal Comune, non rilevando, all'opposto, la dichiarazione presentata in giudizio circa la conclusione delle opere effettuata da terzi, in quanto non presentata al Comune
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 29.08.2008 n. 4008 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Sulla preliminare verifica d'ufficio se il richiedente il permesso di costruire ne ha titolo o meno.
Ai sensi del vigente art. 11 del D.P.R. 380/2001 –riproduttivo dell’art. 4 della L. 10/1977– nel corso dell’istruttoria il Comune ha l’obbligo di verificare l’esistenza del titolo per intervenire sull’immobile per il quale è richiesto il permesso di costruire. L’art. 38 della L.r. 12/2005, allo stesso modo, prescrive che “La domanda per il rilascio del permesso di costruire, sottoscritta dal proprietario dell’immobile o da chi abbia titolo per richiederlo, è presentata al competente ufficio comunale, ovvero, laddove costituito, allo sportello unico per l'edilizia, corredata da una attestazione concernente il titolo di legittimazione, ….”.
In particolare la legittimazione attiva di cui al citato art. 38 risulta configurabile non solo in capo al proprietario del terreno, ma anche (ad esempio) in favore del soggetto titolare di altro diritto reale di godimento sul fondo che lo autorizzi a disporne con un intervento costruttivo: compete pertanto al Comune, prima di rilasciare il permesso, l’espletamento di una preliminare indagine istruttoria volta a verificare la sussistenza di un titolo sostanziale idoneo ad abilitare l’istante a sfruttare la potenzialità edificatoria dell’immobile, senza che sia necessaria un’ulteriore ricerca d’ufficio di eventuali elementi limitativi, preclusivi o estintivi del titolo di disponibilità allegato (Consiglio di Stato, sez. V – 04/02/2004 n. 368).
La funzione autorizzatoria dell’amministrazione richiede in definitiva un livello minimo di istruttoria, comprendente l’acquisizione di tutti gli elementi sufficienti a dimostrare la sussistenza di un qualificato collegamento soggettivo tra il sottoscrittore della domanda ed il bene giuridico coinvolto dal progetto edilizio (TAR Lombardia-Brescia, sentenza 30.07.2008 n. 843 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATANon è necessario essere proprietari del suolo per domandare un titolo edilizio, in quanto è sufficiente, in alternativa alla proprietà, una situazione di diritto privato a ciò abilitante, vale a dire –per usare le espressioni testuali della legge– l’avere un “titolo per richiederlo” (cfr. art. 4 l. 28.01.1977, n. 10, ora art. 11 d.P.R. 06.06.2001, n. 380, secondo cui “il permesso di costruire è rilasciato al proprietario dell'immobile o a chi abbia titolo per richiederlo”).
Oltre questo, vale comunque il limite formale, posto dalle medesime disposizioni, ed intrinseco al provvedimento, della salvezza dei diritti dei terzi: perché il titolo edilizio non incide sulla proprietà e gli altri diritti reali, ma solo sulla abilitazione a costruire.

Ma anche ad esaminare la fattispecie da un punto di vista più formale, non sfugge che siffatti elementi convergono nel dare piena concretezza all’applicazione del principio di legge per cui non è necessario essere proprietari del suolo per domandare un titolo edilizio, in quanto è sufficiente, in alternativa alla proprietà, una situazione di diritto privato a ciò abilitante, vale a dire –per usare le espressioni testuali della legge– l’avere un “titolo per richiederlo” (cfr. art. 4 l. 28.01.1977, n. 10, ora art. 11 d.P.R. 06.06.2001, n. 380, secondo cui “il permesso di costruire è rilasciato al proprietario dell'immobile o a chi abbia titolo per richiederlo”).
Oltre questo, vale comunque il limite formale, posto dalle medesime disposizioni, ed intrinseco al provvedimento, della salvezza dei diritti dei terzi: perché il titolo edilizio non incide sulla proprietà e gli altri diritti reali, ma solo sulla abilitazione a costruire. Sicché –ove mai qui la appellante si fosse dimostrata davvero titolare di un diritto reale sul suolo ostativo alla realizzazione dell’impianto– questo diritto non sarebbe stato intaccato dal provvedimento in questione.
Sicché non ha rilevanza il fatto che chi ha chiesto la concessione edilizia (la SE.GE.CO. s.a.s.) non corrisponda ai proprietari del suolo (Forti e Paolucci) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 05.06.2008 n. 2642 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Allorché nel corso del procedimento di rilascio del titolo si verifichi un intervento -di terzi- che contesta la legittimazione del richiedente a conseguire l’assenso ai lavori in progetto, l’amministrazione è tenuta a dar corso ad accertamenti istruttori.
Il collegio conosce e considera in linea di principio condivisibile l’orientamento della giurisprudenza che ritiene che al comune non competa necessariamente un’indagine approfondita sulla corrispondenza tra le dichiarazioni del richiedente il titolo legittimante la domanda di permesso e la realtà dei diritti reali interessati.
Tuttavia, allorché nel corso del procedimento di rilascio del titolo si verifichi un intervento (raccomandata 16.04.2007) che contesta la legittimazione del richiedente a conseguire l’assenso ai lavori in progetto, l’amministrazione è tenuta a dar corso ad accertamenti istruttori, che non possono essere compendiati nella tautologica proposizione utilizzata dall’amministrazione (“… ritenuto che l’entità delle opere previste a progetto nelle parti comuni rientri nei limiti fissati dall’art. 1102 del Codice Civile…”), che non permette di comprendere perché sia stato ritenuto osservato il disposto dell’art. 1102 c.c. (TAR Liguria, Sez. I, sentenza 04.04.2008 n. 462 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il Sindaco, in sede di esame della domanda di concessione edilizia, pur non dovendo compiere approfondite indagini sui rapporti di diritto privato intercorrenti tra gli interessati, è tenuto a verificare la posizione di avente diritto e, quindi, la legittimazione del richiedente.
Nel procedimento di rilascio della concessione edilizia, anche in sanatoria, l’Amministrazione ha il potere e il dovere di verificare l’esistenza, in capo al richiedente, di un idoneo titolo di godimento sull’immobile o sulla parte di esso interessato dal progetto di trasformazione urbanistica.
Secondo un consolidato orientamento di questo Tribunale, il Sindaco, in sede di esame della domanda di concessione edilizia, pur non dovendo compiere approfondite indagini sui rapporti di diritto privato intercorrenti tra gli interessati, è tenuto a verificare la posizione di avente diritto e, quindi, la legittimazione del richiedente (cfr. TRGA Bolzano, 28.05.1997, n. 213, 30.07.1997, n. 306, 30.09.2004, n. 433 e 27.02.2006, n. 81)
(T.R.G.A. Trentino Alto Adige-Bolzano, sentenza 27.03.2008 n. 101 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L’attività istruttoria dell’ente locale in materia di rilascio di permesso di costruire, se pure radicata in primis alla valutazione degli aspetti urbanistico-edilizi del progetto da assentire, non può ritenersi esente dalla valutazione degli aspetti civilistici della domanda di concessione (anche in sanatoria), qualora nel fascio degli interessi coinvolti nel procedimento, questi ultimi vengano tempestivamente e adeguatamente introdotti dai soggetti aventi diritto.
Se normalmente l’Amministrazione non è tenuta a svolgere indagini particolari in presenza della richiesta edificatoria prodotta da un comproprietario, al contrario, qualora uno o più comproprietari si attivino per denunciare il proprio dissenso rispetto al rilascio del titolo edificatorio, il Comune deve verificare se, dietro l’istanza di concessione sia riconoscibile l’effettiva sussistenza della disponibilità del bene oggetto del previsto intervento edificatorio.

Come già ha avuto modo di precisare questo Tribunale con una recente pronuncia dalla quale non ha ragione per discostarsi (TAR Salerno n. 2080 del 05.10.2007), l’attività istruttoria dell’ente locale in materia di rilascio di permesso di costruire, se pure radicata in primis alla valutazione degli aspetti urbanistico-edilizi del progetto da assentire, non può ritenersi esente dalla valutazione degli aspetti civilistici della domanda di concessione (anche in sanatoria), qualora nel fascio degli interessi coinvolti nel procedimento, questi ultimi vengano tempestivamente e adeguatamente introdotti dai soggetti aventi diritto.
Alle citate conclusioni il Tribunale è addivenuto richiamando sul punto, a conforto di quanto rappresentato, l’evoluzione giurisprudenziale in materia, ricostruendo con l’ausilio di Cons. St. Sez. V 21.10.2003 n. 6529, il percorso giurisprudenziale individuato:
…in passato… la giurisprudenza era prevalentemente orientata nel senso che il parametro valutativo dell’attività amministrativa in materia edilizia è quello dell’accertamento della conformità dell’opera alla disciplina pubblicistica che ne regola la realizzazione, salvi i diritti dei terzi e senza che la mancata considerazione di tali diritti possa in qualche modo incidere sulla legittimità dell’atto, più recentemente (cfr Cons. St. Sez. V 15.03.2001 n. 1507) ha avuto occasione di precisare che la necessaria distinzione tra gli aspetti civilistici e quelli pubblicistici dell’attività edificatoria non impedisce di rilevare la presenza di significativi punti di contatto tra i due diversi profili.
In proposito, ha, pertanto, chiarito che non è seriamente contestabile che nel procedimento di rilascio della concessione edilizia l’Amministrazione abbia il potere ed il dovere di verificare l’esistenza, in capo al richiedente, di un idoneo titolo di godimento sull’immobile, interessato dal progetto di trasformazione urbanistica, trattandosi di un’attività istruttoria che non è diretta, in via principale, a risolvere i conflitti di interesse tra le parti private in ordine all’assetto proprietario degli immobili interessati (nel caso in esame con-cernenti la legittimità –o non– della esecuzione, ai sensi dell’art. 1102 cod. civ. delle opere edilizie che interessano porzioni comuni) ma che risulta finalizzata, più semplicemen-te, ad accertare il requisito della legittimazione del richiedente.
Ha, pertanto, concluso che, conformemente a quanto previsto dal cit. art. 4 della legge n. 10 del 1977, in caso di opere che vadano ad incidere sul diritto di altri comproprietari, è legittimo esigere il consenso degli stessi (che può essere manifestato anche per fatti concludenti) e che, a maggior ragione, qualora vi sia un conclamato dissidio fra i comproprietari in ordine all’intervento progettato, la scelta dell’Amministrazione di assentire,comunque, le opere (in base al mero riscontro della conformità agli strumenti urbanistici) evidenzia un grave difetto istruttorio e motivazionale, perché non dà conto della effettiva corrispondenza tra la richiesta di concessione e la titolarità del prescritto diritto di godimento (cfr. in termini anche Cons. Stato V Sez. 20.09.2001 n. 4972; TAR Toscana 23.11.2001 n. 1651; TAR Emilia Romagna, Parma, 21.03.2002 n. 183).

Allo stato attuale dell’evoluzione giurisprudenziale, dunque, può dirsi che se normalmente l’Amministrazione non è tenuta a svolgere indagini particolari in presenza della richiesta edificatoria prodotta da un comproprietario, al contrario, qualora uno o più comproprietari si attivino per denunciare il proprio dissenso rispetto al rilascio del titolo edificatorio, il Comune deve verificare se, dietro l’istanza di concessione sia riconoscibile l’effettiva sussistenza della disponibilità del bene oggetto del previsto intervento edificatorio (Cons. St. Sez. V 20.09.2001 n. 4972).
Non sfugge al Collegio che altra parte della giurisprudenza non è di detto avviso (vedi Cons. St. n. 6297/2004), ancorché anche queste pronunce non escludono, in linea di principio, la necessità della previa valutazione della legittimazione del soggetto che richiede il titolo edilizio in applicazione dell’art. 4 l. n. 10/1977.
Il Collegio, tuttavia, reputa ormai consolidata e maggio-ritaria la giurisprudenza favorevole alla valutazione degli a-spetti civilistici della questione, così come provato anche dalla recente pronuncia di Cons. St. Sez. V 11.04.2007 n. 1654, laddove si afferma che:
Altrettanto correttamente, poi, il TAR ha ritenuto che, dovendo i lavori edilizi de quibus eseguirsi (anche) su parti comuni del fabbricato e trattandosi di opere non connesse all’uso normale della cosa comune, essi abbisognassero del previo assenso dei comproprietari anche in relazione agli aspetti pubblicistici dell’attività edificatoria, con particolare riguardo alle norme (art. 4 della legge n. 10 del 1977 e art. 11, comma 1, del d.P.R. n. 380 del 2000), che prevedono la verifica dell'esistenza, in capo al richiedente, di titolo un attributivo dello jus aedificandi sull'immobile oggetto di trasformazione edilizia.
E’ pacifico, invero, che le parti private qui presenti in giudizio hanno in comune la proprietà di tutte le parti dell’edificio, interessato al contestato intervento edilizio, necessarie all’uso comune e, in particolare, del tetto e dei muri maestri, entrambi oggetto dell’intervento stesso …
Così stando le cose, il Comune avrebbe dovuto chiedere il consenso di tutti i proprietari ai fini del rilascio della concessione per la realizzazione delle opere interessanti la cosa comune e la lamentata mancata richiesta configura grave di-fetto istruttorio e motivazionale, perché, secondo la giurisprudenza di questo Consesso, “non dà conto della effettiva corrispondenza tra la richiesta di concessione e la titolarità del prescritto diritto di godimento ..." (così Consiglio di Stato, Sez. V, 21.10.2003, n. 6529, ma cfr. anche Sez. V, 15.03.2001, n. 1507 e Sez. V, 20.09.2001, n. 4972).
”.
Pertanto, nell'ambito dell'accertamento della legittimazione di colui che richiede la concessione … l'Amministrazione aveva, nel caso specifico, il potere-dovere di verificare l'esistenza, in capo al richiedente, di un titolo idoneo di godimento dell’intero bene interessato dal progetto e di subordinare il rilascio della concessione al consenso di tutti i proprietari per la parte di intervento che interessa le parti comuni, avendo questi, nei confronti dell'atto concessorio, non la posizione di terzo, ma quella di contitolare di un diritto, che, per la parte idealmente spettante, non può, invito domino, essere modificata o compressa dall'Amministrazione (TAR Campania-Salerno, Sez. II, sentenza 07.03.2008 n. 263 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2007

EDILIZIA PRIVATA: Sulla legittimazione di un promissario acquirente a richiedere la concessione edilizia a proprio nome a fronte di una clausola contrattuale che autorizza “a presentare domanda di progettazioni”, cui ha fatto seguito, successivamente al diniego impugnato in prime cure, atto notarile di acquisto dell’area nell’ottobre 2005.
In punto di legittimazione a svolgere attività edilizia il Collegio osserva che l’art. 4 della legge 28/01/1977, n. 10, enuncia che “…..la concessione è data dal Sindaco al proprietario dell’area o a chi abbia titolo per richiederla….” (confermato, ora, come permesso di costruire, dall’art. 11, comma 1, D.P.R. 06.06.2001, n. 380).
Questo disposto, secondo l’esegesi consolidata della norma, richiede per edificare la “disponibilità” dell’area e implica una relazione qualificata a contenuto reale con il bene (come proprietario, superficiario, affittuario di fondi rustici, usufruttuario), anche se in formazione, non essendo sufficiente il solo rapporto obbligatorio, in quanto il diritto a costruire è una proiezione del diritto di proprietà o di altro diritto reale di godimento che autorizzi a disporre con un intervento costruttivo (Cons. di Stato, V, 04.02.2004, n. 368).
In questo senso la giurisprudenza ammette la richiesta da parte di altro titolare del diritto, reale o anche obbligatorio, ma ciò quando, per effetto di essi, l’interessato abbia obbligo o facoltà di eseguire i lavori per cui è chiesta la concessione edilizia: in altre parole, quando il richiedente sia autorizzato in base al contratto o abbia ricevuto espresso consenso da parte del proprietario (Cons. St., V, 15.03.2001, n. 1507).
L
a verifica del possesso del titolo a costruire costituisce un presupposto, la cui mancanza impedisce all’Amministrazione di procedere oltre nell’esame del progetto (V, 12/05/2003, n. 2506; IV, 22/06/2000, n. 3525) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 08.06.2007 n. 3027 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Legittimazione a porre in essere interventi edilizi su beni in comunione.
Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza amministrativa, il Comune ha l’obbligo, nel corso dell’istruttoria sul rilascio del permesso di costruire, ai sensi dell’art. 4 L. n. 10 del 1977 e ora dell’art. 11 del D.P.R. n. 380 del 2001, di verificare che esista il titolo per intervenire sull’immobile per il quale è richiesto il permesso di costruire e che, quindi, questo sia rilasciato al proprietario dell’area o a chi abbia titolo per richiederla.
La verifica del Comune deve consistere proprio nell’accertare, alla stregua delle diverse ipotesi disciplinate dall’art. 1108 codice civile se –in riferimento all’effettiva consistenza dell’intervento e alla incidenza dello stesso sul godimento del bene comune da parte di tutti i comproprietari- tale fatto sia o no idoneo a legittimare i soggetti istanti ad ottenere l’assentimento a sanatoria delle modificazioni dai medesimi apportate all’immobile in comunione.
In particolare, il primo comma del citato articolo 1108 del c.c., dopo avere previsto la possibilità, per i partecipanti alla comunione, di disporre tutte le innovazioni dirette al miglioramento o a rendere più comodo o redditizio il godimento del bene in comunione a condizione che l’intervento abbia l’approvazione almeno dei proprietari dei due terzi del valore complessivo del bene comune, di seguito impone due tipi di limitazioni a tale possibilità.
In primo luogo, le innovazioni approvate a maggioranza non devono recare pregiudizio al godimento del bene comune da parte di alcuno dei comproprietari e, in secondo luogo le stesse non possono comportare una spesa eccessivamente gravosa.
Pertanto, dal chiaro dettato della disposizione si evince che, qualora ricorra uno di questi casi, la suddetta maggioranza qualificata dei comproprietari non sia sufficiente ad autorizzare l’intervento innovativo, essendo al riguardo necessario l’espresso consenso della totalità della proprietà comune
(TAR Emilia Romagna-Parma, sentenza 10.01.2007 n. 7 - link a www.altalex.com).

anno 2006

EDILIZIA PRIVATA: 1. Permesso di costruire - Termine per l'impugnazione.
2. Permesso di costruire - Diritti dei terzi - Valutazione.
1.
La giurisprudenza amministrativa è chiara nell'affermare (per tutte, Cons. Sta., sez. IV, n. 3614 del 2006 e n. 6465 del 2006) che ai fini della decorrenza del termine per l'impugnazione di una concessione edilizia (ora permesso di costruire), occorre la sua piena conoscenza che si verifica con la consapevolezza del contenuto specifico della concessione o del progetto edilizio, ovvero quando la costruzione realizzata rivela in modo certo ed in equivoco le essenziali caratteristiche dell'opera e l'eventuale non conformità della stessa alla disciplina urbanistica.
La prova della piena ed effettiva conoscenza può essere desunta anche da elementi presuntivi ma nella fattispecie in esame la prova di tale accertamento non è stata fornita dai ricorrenti e, pertanto, in sua assenza, si deve concludere per la tempestività della proposizione del ricorso.
2. L'art. 11, comma 3, del D.P.R. n. 380 del 2001 (e l'art. 35, comma 3, della L. R. n. 12 del 2005) prevede che "il permesso di costruire non comporta limitazioni dei diritti dei terzi": ciò non significa, tuttavia, che all'amministrazione comunale non incomba alcun onere di verificare la legittimazione di colui che richiede il rilascio del titolo edilizio ma l'accertamento deve avere ad oggetto il controllo degli elementi di fatto esistenti e di immediata consultazione senza spingersi fino alla risoluzione di questioni giuridiche riguardanti gli assetti proprietari degli immobili oggetto degli interventi (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 20.12.2006 n. 3015 - massima tratta da www.solom.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Accertamento di conformità: legittimazione a proporre istanza.
Ai sensi dell’art. 13 della legge n. 47/1985, la dichiarazione di conformità disciplinata dalla norma e della cui applicazione è stata fatta questione nella specie prevede che la sanatoria ivi disciplinata sia accordata al "responsabile dell’abuso".
La norma, quindi, a differenza di quanto previsto dall’art. 4 della legge n. 10 del 1977 (invocato dai primi giudici) non trova applicazione solo in presenza di una domanda avanzata dal proprietario o da altro titolare di diritto reale in quanto l’abuso sia al medesimo ascrivibile, ma anche in presenza della domanda avanzata da colui che, dell’abuso, è comunque responsabile in quanto, sanato l’abuso, non potrebbe essere più chiamato a rispondere sul piano sanzionatorio penale e/o amministrativo.
Responsabile dell’abuso può essere non solo il proprietario o altro soggetto che vanti, sull’area, un diritto reale o obbligatorio, ma anche, ad esempio, il titolare o altro responsabile dell’impresa realizzatrice dei lavori, come anche altri soggetti che, in relazione al loro rapporto privilegiato o comunque qualificato con il bene (in quanto, ad esempio, legittimi detentori o possessori dello stesso), possano avere avuto la possibilità di realizzare l’abuso, così assumendosene la responsabilità
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 23.11.2006 n. 6909 - link a www.altalex.com).

EDILIZIA PRIVATA: Accertamento di conformità: legittimazione a proporre istanza.
Ai sensi dell’art. 13 della legge n. 47/1985, la dichiarazione di conformità disciplinata dalla norma e della cui applicazione è stata fatta questione nella specie prevede che la sanatoria ivi disciplinata sia accordata al "responsabile dell’abuso".
La norma, quindi, a differenza di quanto previsto dall’art. 4 della legge n. 10 del 1977 (invocato dai primi giudici) non trova applicazione solo in presenza di una domanda avanzata dal proprietario o da altro titolare di diritto reale in quanto l’abuso sia al medesimo ascrivibile, ma anche in presenza della domanda avanzata da colui che, dell’abuso, è comunque responsabile in quanto, sanato l’abuso, non potrebbe essere più chiamato a rispondere sul piano sanzionatorio penale e/o amministrativo.
Responsabile dell’abuso può essere non solo il proprietario o altro soggetto che vanti, sull’area, un diritto reale o obbligatorio, ma anche, ad esempio, il titolare o altro responsabile dell’impresa realizzatrice dei lavori, come anche altri soggetti che, in relazione al loro rapporto privilegiato o comunque qualificato con il bene (in quanto, ad esempio, legittimi detentori o possessori dello stesso), possano avere avuto la possibilità di realizzare l’abuso, così assumendosene la responsabilità
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 23.11.2006 n. 6906 - link a www.altalex.com).

EDILIZIA PRIVATA: Comune di Sabaudia - parere in merito alla legittimazione dell'affittuario imprenditore agricolo ad ottenere il rilascio del permesso di costruire (Regione Lazio, parere 30.10.2006 n. 136839 di prot.).

EDILIZIA PRIVATALa clausola relativa alla salvezza dei diritti dei terzi deve intendersi nel senso che non incombe all'autorità che rilascia la concessione di compiere complesse ricognizioni giuridico-documentali ovvero accertamenti in ordine ad eventuali pretese che potrebbero essere avanzate da soggetti estranei al rapporto concessorio, essendo sufficiente per l’Amministrazione l’acquisizione del titolo che formalmente abiliti alla concessione.
La clausola relativa alla salvezza dei diritti dei terzi, d’altronde, deve intendersi nel senso che non incombe all'autorità che rilascia la concessione di compiere complesse ricognizioni giuridico-documentali ovvero accertamenti in ordine ad eventuali pretese che potrebbero essere avanzate da soggetti estranei al rapporto concessorio, essendo sufficiente per l’Amministrazione l’acquisizione del titolo che formalmente abiliti alla concessione (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 02.10.2002, n. 5165) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 26.05.2006 n. 3201 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2004

EDILIZIA PRIVATA: Il  “concetto di disponibilità dell’area”, ai fini del rilascio del titolo edilizio, “non è circoscritto alla dimostrazione della proprietà dell’immobile, ma indica l’esistenza di una situazione giuridica che abilita il titolare a sfruttare pienamente la potenzialità edificatoria dell’immobile”, con la conseguenza che “la disponibilità manca non solo quando il richiedente non è proprietario del terreno, ma anche nei casi in cui la proprietà è limitata da diritti reali di godimento che incidono sulla possibilità di edificazione del suolo”.
Tuttavia, poiché la legittimità del provvedimento amministrativo va essenzialmente valutata con riferimento alla situazione di fatto e di diritto esistente al momento della sua adozione, è evidente che la pur riscontrata pendenza di una domanda di accertamento di un diritto di servitù di passaggio su di un’area destinata dal suo proprietario all’apposizione di una recinzione non può, di per sé, costituire un idoneo presupposto affinché l’Amministrazione Comunale neghi il rilascio del relativo titolo edilizio.
La mera pendenza di una lite giudiziaria, infatti, non configura un definitivo assetto dei diritti e degli obblighi delle parti assoggettate all’azione amministrativa; né va obliterata la circostanza che il rilascio del titolo edilizio avviene sempre con la salvezza dei diritti dei terzi (cfr., per l’epoca dei fatti di causa l’art. 4, sesto comma, della L. 28.01.1977 n. 10 e, ora, l’art. 11, comma 3, del T.U. approvato con D.P.R. 06.06.2001 n. 380).

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5.1. Tutto ciò premesso, il ricorso va respinto.
5.2. Il Collegio non può che concordare con il principio, puntualmente enunciato dalla stessa difesa della parte ricorrente (cfr. pagg. 2 e 3 della memoria defensionale dd. 08.06.2004), secondo cui “il concetto di disponibilità dell’area”, ai fini del rilascio del titolo edilizio, “non è circoscritto alla dimostrazione della proprietà dell’immobile, ma indica l’esistenza di una situazione giuridica che abilita il titolare a sfruttare pienamente la potenzialità edificatoria dell’immobile”, con la conseguenza che “la disponibilità manca non solo quando il richiedente non è proprietario del terreno, ma anche nei casi in cui la proprietà è limitata da diritti reali di godimento che incidono sulla possibilità di edificazione del suolo” (così Cons. Stato, Sez. V, 22.06.2000 n. 3525).
Tuttavia, poiché la legittimità del provvedimento amministrativo va essenzialmente valutata con riferimento alla situazione di fatto e di diritto esistente al momento della sua adozione (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, 30.09.2002 n. 4994), è evidente che la pur riscontrata pendenza di una domanda di accertamento di un diritto di servitù di passaggio su di un’area destinata dal suo proprietario all’apposizione di una recinzione non può, di per sé, costituire un idoneo presupposto affinché l’Amministrazione Comunale neghi il rilascio del relativo titolo edilizio.
La mera pendenza di una lite giudiziaria, infatti, non configura un definitivo assetto dei diritti e degli obblighi delle parti assoggettate all’azione amministrativa; né va obliterata la circostanza che il rilascio del titolo edilizio avviene sempre con la salvezza dei diritti dei terzi (cfr., per l’epoca dei fatti di causa l’art. 4, sesto comma, della L. 28.01.1977 n. 10 e, ora, l’art. 11, comma 3, del T.U. approvato con D.P.R. 06.06.2001 n. 380).
Deve dunque concludersi nel senso che il soddisfacimento dell’interesse qui fatto valere dalla ricorrente potrà avvenire, se del caso, innanzi alla giurisdizione ordinaria e mediante i mezzi di tutela ivi esperibili.
Tali notazioni di fondo consentono, allo stesso tempo, di escludere che il contributo della parte qui ricorrente apportato nell'ambito del procedimento di rilascio del titolo edilizio in questione potesse, a quel momento, ragionevolmente comportare una determinazione contraria alla richiesta di Va.: e ciò, pertanto, consente pure di respingere le censure di violazione dell’art. 10 della L. 241 del 1990 e di eccesso di potere per difetto di motivazione formulate dalla ricorrente.
Neppure sussiste la violazione della su riportata disciplina di piano.
Il Collegio concorda sulla notazione della parte ricorrente circa la sua “non perspicua formulazione letterale” (cfr. pag. 5 dell’atto introduttivo del giudizio), ma reputa che l’interpretazione del disposto in esame non possa, comunque, avvenire contra legem, ossia –nella specie– ablando la facoltà del proprietario di chiudere in qualunque tempo il fondo (art. 841 cod. civ.), posto che la recinzione comunque rientra tra le manifestazioni del diritto di proprietà, comprendente pure lo jus excludendi alios, e che -fermo restando l’esercizio della facoltà medesima- soltanto la natura delle opere in concreto realizzate consente di acclarare se ciò comporti, o meno, una trasformazione edilizia ed urbanistica del territorio (cfr. sul punto, ex multis, Cons. Stato, Sez. V, 15.06.2000 n. 3320 e la sentenza 14.01.2002 n. 62 di questa stessa Sezione) (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 20.10.2004 n. 3752 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L’art. 4, comma secondo, della L. n. 10/1977 statuisce espressamente che la concessione edilizia è rilasciata “al proprietario dell’area o a chi abbia titolo per richiederla”.
E’ noto al Collegio che per costante giurisprudenza, soggetto legittimato a richiedere la concessione edilizia è, non solo, il titolare del diritto di proprietà sul fondo ma anche chi, pur essendo titolare di altro diritto, reale o di obbligazione, abbia, per effetto di questo obbligo, la facoltà di eseguire i lavori per i quali chiede la concessione.
Tuttavia, va rilevato che se da un lato la giurisprudenza riconosce anche al promittente compratore la legittimazione a richiedere la concessione edilizia, dall’altro non può essere esclusa la necessità che, in ragione degli effetti propri del preliminare di compravendita, siano assicurate le dovute garanzie in ordine all’effettiva disponibilità dell’immobile da parte del promettente acquirente.

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Il ricorso è infondato.
L’art. 4, comma secondo, della L. n. 10/1977 statuisce espressamente che la concessione edilizia è rilasciata “al proprietario dell’area o a chi abbia titolo per richiederla”.
E’ noto al Collegio che per costante giurisprudenza, soggetto legittimato a richiedere la concessione edilizia è, non solo, il titolare del diritto di proprietà sul fondo ma anche chi, pur essendo titolare di altro diritto, reale o di obbligazione, abbia, per effetto di questo obbligo, la facoltà di eseguire i lavori per i quali chiede la concessione (cfr. ex multis Cons. Stato, sez. IV,11.06.2002 n. 3253; Cons. Stato, Sez. V, sent. n. 1227 del 04.11.1997; Cons. Stato, Sez. V, sent. n. 965 del 28.09.1993).
Tuttavia, va rilevato che se da un lato la giurisprudenza riconosce anche al promittente compratore la legittimazione a richiedere la concessione edilizia, dall’altro non può essere esclusa la necessità che, in ragione degli effetti propri del preliminare di compravendita, siano assicurate le dovute garanzie in ordine all’effettiva disponibilità dell’immobile da parte del promettente acquirente.
Nella fattispecie in esame, viceversa, è possibile riscontrare vari elementi che fanno dubitare della sussistenza in capo al richiedente la concessione edilizia dell’effettiva disponibilità del bene in questione.
Innanzitutto, va rilevato che nonostante il notevole lasso di tempo trascorso dall’avvio della pratica edilizia non risulta che sia stato mai stipulato il contratto definitivo di compravendita dell’area de qua. In secondo luogo, dubbi ed incertezze permangono in ordine all’effettiva titolarità del diritto di proprietà in capo al promittente alienante sig. Zu. e alla reale sussistenza di qualsivoglia diritto reale o di possesso sull’area in questione nella quale, peraltro, è presente una fontanina posseduta da oltre vent’anni dall’ente Acquedotto Pugliese.
Ne consegue, che la descritta situazione di incertezza consente di ritenere legittimo l’impugnato diniego, attesa l’assenza, nel caso di specie, di un titolo idoneo a supportare la richiesta di concessione edilizia.
Per le esposte considerazioni, il ricorso va, pertanto, respinto (TAR Puglia-Lecce, Sez. III, sentenza 11.10.2004 n. 7165 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2002

EDILIZIA PRIVATA: E' legittima la concessione edilizia rilasciata al soggetto che risulta essere promissario acquirente dei fondi.
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7. La prima censura contesta il rilascio della concessione alla società S.E.M. in quanto non titolare del diritto di proprietà sulle aree sopra le quali dovrà realizzarsi l'immobile.
Il mezzo è inammissibile e infondato.
Inammissibile perché, a fronte della duplice motivazione del TAR, si è contestata in questo grado solo la pronuncia di infondatezza, per altro con profili nuovi.
Infondato perché esattamente il TAR ha dichiarato inammissibile il motivo in quanto i ricorrenti non sono interessati a rivendicare la proprietà o altro diritto reale sui fondi in contestazione.
Il motivo è inoltre infondato in fatto, perché la concessione è stata rilasciata anche in favore della società FI.LA.N. proprietaria dell'area mentre la società S.E.M. risulta essere promissorio acquirente dei fondi (sulla facoltà del soggetto titolare di diritti obbligatori o promissario acquirente, effettivo possessore del fondo, di richiedere la concessione edilizia, cfr. Cons. Stato, sez. V, 18.06.1996, n. 1173; sez. V, 04.11.1997, n. 1227) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 11.06.2002 n. 3253 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2001

EDILIZIA PRIVATA: O. Carparelli, Brevi note in tema di soggetti legittimati a richiedere la concessione edilizia (08/2001 - link a www.lexitalia.it).

EDILIZIA PRIVATA: O. Carparelli, Brevi note in tema di soggetti legittimati a richiedere la concessione edilizia (07-08/2001 - link a www.giustamm.it).

EDILIZIA PRIVATAAi sensi dell’art. 4 della legge n. 10 del 28.01.1977 “la concessione è data dal sindaco al proprietario dell’area o a chi abbia titolo per richiederla”; ma deve trattarsi di un titolo fondato su un diritto reale, anche di servitù, o almeno su un diritto obbligatorio (es., locazione), che accordi al richiedente disponibilità del bene immobile e la potestà edificatoria, mentre una semplice relazione di fatto, ancorché tutelata, quale quella legata al possesso nella specie riconosciuto, non appare tale da conferire il diritto a vedersi rilasciato il titolo concessorio o, come nella specie, quello autorizzatorio; tanto più che nella specie le potestà che si riconnettono al rilascio del contestato titolo edificatorio si scontrano con la volontà del legittimo proprietario dei beni di cui si tratta, pure richiedente il rilascio di analogo titolo.
La tutela possessoria accordata dal Pretore con la sentenza n. 63/1986 atteneva, invero, essenzialmente all’uso del bene, specie in taluni periodi dell’anno, per finalità religiose, ma non accordava al possessore alcun diritto reale o obbligatorio rispetto al bene di cui si discute; con la conseguenza che nei confronti di detto possessore non era configurabile una posizione legittimante la richiesta del titolo edificatorio ai sensi dell’art. 4 della legge n. 10 del 28.01.1977.
Tale norma prevede, infatti, che “la concessione è data dal sindaco al proprietario dell’area o a chi abbia titolo per richiederla”; ma deve trattarsi di un titolo fondato su un diritto reale, anche di servitù, o almeno su un diritto obbligatorio (es., locazione), che accordi al richiedente disponibilità del bene immobile e la potestà edificatoria, mentre una semplice relazione di fatto, ancorché tutelata, quale quella legata al possesso nella specie riconosciuto, non appare tale da conferire il diritto a vedersi rilasciato il titolo concessorio o, come nella specie, quello autorizzatorio; tanto più che nella specie le potestà che si riconnettono al rilascio del contestato titolo edificatorio si scontrano con la volontà del legittimo proprietario dei beni di cui si tratta, pure richiedente il rilascio di analogo titolo.
Donde l’illegittimità dell’autorizzazione rilasciata dal Comune a favore della Parrocchia appellata e del conseguenziale ordine di sospensione lavori avviati dall’originario ricorrente (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 28.05.2001 n. 2882 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Nel procedimento di rilascio della concessione edilizia l’amministrazione comunale ha il potere ed il dovere di verificare l’esistenza, in capo al richiedente, di un idoneo titolo di godimento sull’immobile, interessato dal progetto di trasformazione urbanistica. Si tratta di un’attività istruttoria che risulta finalizzata ad accertare il requisito della legittimazione soggettiva del richiedente.
Ai sensi dell'art. 4 della l. 28.01.1977 n. 10, ha titolo a richiedere la concessione edilizia o il proprietario dell'area o chi abbia diritto o facoltà di richiederla: ciò significa che detta concessione può essere richiesta o dal titolare del diritto reale di proprietà sul fondo, o da chi, pur essendo titolare di altro diritto, reale o di obbligazione, abbia, per effetto di questo, obbligo o facoltà di eseguire i lavori per cui chiede la concessione.
La facoltà del comproprietario di ottenere la concessione edilizia va riconosciuta nei soli casi in cui risulti documentato il consenso degli altri comproprietari.
La domanda di concessione edilizia può essere presentabile anche da persona diversa dal proprietario, purché il richiedente abbia titolo a disporre del suolo.

Non è seriamente contestabile che nel procedimento di rilascio della concessione edilizia l’amministrazione ha il potere ed il dovere di verificare l’esistenza, in capo al richiedente, di un idoneo titolo di godimento sull’immobile, interessato dal progetto di trasformazione urbanistica. Si tratta di un’attività istruttoria che non è diretta, in via principale, a risolvere i conflitti di interesse tra le parti private in ordine all’assetto proprietario degli immobili interessati, ma che risulta finalizzata, più semplicemente, ad accertare il requisito della legittimazione soggettiva del richiedente.
La funzione autorizzatoria dell’amministrazione richiede un livello minimo di istruttoria, che comprende, comunque, l’acquisizione di tutti gli elementi sufficienti a dimostrare la sussistenza di un qualificato collegamento soggettivo tra chi propone l’istanza ed il bene giuridico oggetto dell’autorizzazione.
Questa elementare esigenza di verifica sull’ordinato svolgimento delle attività sottoposte al controllo autorizzatorio risulta presente anche nell’ambito del procedimento di rilascio della concessione edilizia.
Non solo, ma la notevole incidenza della concessione edilizia sugli interessi pubblici e privati coinvolti impone, in modo ancora più stringente, un adeguato esame sulla corrispondenza sostanziale tra la richiesta ed i presupposti fattuali che la giustificano, anche in relazione alla titolarità della necessaria posizione legittimante.
In questa corretta prospettiva, si tratta di stabilire se ai fini del rilascio della concessione edilizia è necessario che la richiesta sia formulata da tutti i comproprietari, oppure è sufficiente che la domanda sia proposta da uno soltanto dei titolari del diritto dominicale.
Al riguardo, si è chiarito che, ai sensi dell'art. 4 della l. 28.01.1977 n. 10, ha titolo a richiedere la concessione edilizia o il proprietario dell'area o chi abbia diritto o facoltà di richiederla: ciò significa che detta concessione può essere richiesta o dal titolare del diritto reale di proprietà sul fondo, o da chi, pur essendo titolare di altro diritto, reale o di obbligazione, abbia, per effetto di questo, obbligo o facoltà di eseguire i lavori per cui chiede la concessione (Consiglio Stato sez. V, 20.10.1994, n. 1200).
Con riguardo alla legittimazione del singolo comproprietario, è opportuno precisare che la determinazione del contenuto delle facoltà di godimento del bene in comproprietà spettante a ciascuno dei condomini, va compiuta avendo riguardo al titolo del diritto, oppure, in mancanza, applicando la normativa fissata dagli articoli 1100 e seguenti del codice civile.
La disciplina civilistica delinea un complesso sistema, articolato, essenzialmente, in tre diversi tipi di interventi sulla cosa in comunione:
a) ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché rispetti la duplice condizione di non alterarne la destinazione e di non impedire agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto; a tal fine può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglioramento della cosa (art. 1102);
b) con la maggioranza dei due terzi del valore complessivo della cosa comune, si possono disporre tutte le innovazioni dirette al miglioramento della cosa o a renderne più comodo e redditizio il godimento, purché esse non pregiudichino il godimento di alcuno dei partecipanti e non importino una spesa eccessiva (art. 1108, comma primo, del cod. civ.);
c) è necessario il consenso di tutti i partecipanti per gli atti di alienazione o di costituzione di diritti reali sul fondo comune e per le locazioni di durata superiore ai nove anni (art. 1108, comma secondo, del cod. civ.).
L’attività edilizia soggetta a concessione edilizia, determinando una apprezzabile trasformazione dell’area interessata, sia pure finalizzata al miglioramento oggettivo della cosa, determina, di regola, un’incidenza significativa sul diritto di ciascuno dei comproprietari.
La Sezione ha in precedenza affermato il principio secondo cui la facoltà del comproprietario di ottenere la concessione edilizia va riconosciuta nei soli casi in cui risulti documentato il consenso degli altri comproprietari.
In tal senso, si è puntualizzato che l'art. 27 l. 14.05.1981 n. 219, recante la facoltà di ricostruire un fabbricato distrutto dal sisma del 1980 in un'altra località, e' anch'esso subordinato al principio sancito dall'art. 4, l. 28.01.1977 n. 10 -secondo il quale la concessione edilizia può essere rilasciata solo al proprietario dell'area o a chi abbia titolo per ottenerla-, per cui detta facoltà può spettare non solo al proprietario dell'area ubicata nell'altra località, ma anche al comproprietario cui l'altro comunista abbia rilasciato una dichiarazione sostitutiva di atto notorio, con cui lo si autorizza alla ricostruzione (Consiglio Stato sez. V, 30.10.1995, n. 1495).
La domanda di concessione edilizia può essere presentata anche da persona diversa dal proprietario, purché il richiedente abbia titolo a disporre del suolo (nella specie il richiedente era comproprietario "pro indiviso" di un fondo su parte del quale era destinato a sorgere il fabbricato (Consiglio Stato sez. V, 28.09.1993, n. 965).
Non contrasta questa conclusione il principio, talvolta affermato dalla Sezione, secondo cui il consenso del comproprietario potrebbe anche non essere espresso, ma manifestato per fatti concludenti. In tali circostanze, infatti, si afferma la legittimità di concessioni edilizie rilasciate sulla base di richieste formulate da uno solo dei comproprietari e contestate non già dall’altro contitolare del diritto, ma da un soggetto terzo.
In tale prospettiva, si afferma che la domanda di concessione edilizia può essere presentabile anche da persona diversa dal proprietario, purché il richiedente abbia titolo a disporre del suolo (nella specie il richiedente era comproprietario "pro indiviso" di un fondo su parte del quale era destinato a sorgere il fabbricato) (Consiglio Stato sez. V, 28.09.1993, n. 965)
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 15.03.2001 n. 1507 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2000

EDILIZIA PRIVATA: L’esecuzione di opere di trasformazione edilizia ed urbanistica del territorio è sottoposta ad una disciplina complessa, che riguarda, rispettivamente, la definizione degli assetti della proprietà immobiliare ed il controllo pubblicistico sulla conformità alle regole ed ai piani di derivazione pubblicistica. Gli ambiti delle due discipline, finalizzate alla tutela di interessi di consistenza disomogenea, non sono pienamente sovrapponibili.
È quindi possibile che un determinato intervento edilizio, astrattamente conforme alle prescrizioni urbanistiche, si ponga in contrasto con la normativa di derivazione civilistica, costituendo la violazione di diritti reali di godimento o di altre facoltà dei soggetti interessati.
Tuttavia, la necessaria distinzione tra gli aspetti civilistici e quelli pubblicistici dell’attività edificatoria non impedisce di rilevare la presenza di significativi punti di contatto fra i due diversi profili. Da una parte, la normativa edilizia di carattere regolamentare è idonea a fondare pretese sostanziali nei rapporti interprivati, che assumono la consistenza ed il grado di protezione del diritto soggettivo. Dall’altra parte, alcuni elementi di origine civilistica assumono una rilevanza qualificata nel procedimento di rilascio della concessione edilizia.
In particolare, non è seriamente contestabile che nel procedimento di rilascio della concessione edilizia l’amministrazione ha il potere di verificare l’esistenza, in capo al richiedente, di un idoneo titolo di godimento sull’immobile, interessato dal progetto di trasformazione urbanistica. Si tratta di un’attività istruttoria che non è diretta, in via principale, a risolvere i conflitti di interesse tra le parti private in ordine all’assetto proprietario degli immobili interessati, ma che risulta finalizzata, più semplicemente, ad accertare il requisito della legittimazione soggettiva del richiedente.
In termini generali, la funzione autorizzatoria dell’amministrazione richiede un livello minimo di istruttoria, che comprende, comunque, l’acquisizione di tutti gli elementi sufficienti a dimostrare la sussistenza di un qualificato collegamento soggettivo tra chi propone l’istanza ed il bene giuridico oggetto dell’autorizzazione.
E, d’altra parte, l’esame del titolo di godimento operata dall’amministrazione non costituisce una sorta di eccezionale intrusione in un ambito privatistico, ma rappresenta la coerente applicazione del principio secondo cui l’autorità pubblica deve sempre verificare la legittimazione del soggetto che propone un’istanza. In questa prospettiva si spiegano le numerose norme di settore in materia di licenze e di autorizzazioni commerciali, che impongono all’istante di fornire la prova del titolo di godimento dei locali destinati all’esercizio.
Questa elementare esigenza di verifica sull’ordinato svolgimento delle attività sottoposte al controllo autorizzatorio risulta presente anche nell’ambito del procedimento di rilascio della concessione edilizia. Non solo, ma la notevole incidenza della concessione edilizia sugli interessi pubblici e privati coinvolti impone, in modo ancora più stringente, un adeguato esame sulla corrispondenza sostanziale tra la richiesta ed i presupposti fattuali che la giustificano, anche in relazione alla titolarità della necessaria posizione legittimante.
È vero che la valutazione delle richieste di concessione edilizia mira, essenzialmente, ad assicurare la conformità con gli strumenti di pianificazione urbanistica. Ma non si può negare all’amministrazione comunale il compito di assicurare, comunque, un ordinato svolgimento dell’attività urbanistica, conforme all’assetto dei rapporti interprivati relativi all’area interessata dall’intervento. Assentire la realizzazione di opere edilizie a soggetti certamente privi del necessario titolo di godimento sull’immobile significherebbe alimentare il contenzioso tra le parti, con grave danno anche per l’interesse pubblico all’armonico sviluppo dell’attività di trasformazione urbanistica.

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Circa il fatto di
stabilire l’ampiezza e la profondità dei poteri istruttori spettanti all’amministrazione in sede di verifica del titolo di proprietà sull’immobile, si deve premettere che l’affermazione del potere di verifica del titolo di proprietà non significa affatto che l’amministrazione abbia l’obbligo incondizionato di effettuare complessi e laboriosi accertamenti diretti a ricostruire tutte le vicende riguardanti l’immobile considerato. Anzi, il principio generale del divieto di aggravamento del procedimento consente all’amministrazione di semplificare ed accelerare tutte le attività di verifica sul titolo, valorizzando gli elementi documentali forniti dalla parte interessata.
In ogni caso, non può gravare sull’amministrazione l’onere probatorio di appurare l’inesistenza di servitù o di altri vincoli reali che incidono, limitandola, sull’attitudine edificatoria dell’immobile, trattandosi di attività istruttoria eccessivamente difficile e lunga.
Peraltro, qualora sia acquisita la prova della esistenza di servitù di non edificare (totale o parziale), gravanti sull’immobile oggetto della richiesta di concessione edilizia, l’amministrazione ha l’obbligo di valutare tale elemento ai fini del diniego del provvedimento.
Infatti, la servitù costituisce un peso imposto al fondo che conforma, limitandolo, il diritto di proprietà del titolare, anche in relazione alla pretesa edificatoria vantata nei confronti della amministrazione. Al contrario, in mancanza di adeguati elementi istruttori, ritualmente acquisiti nel corso del procedimento, la concessione edilizia è legittimamente rilasciata, ancorché sia accertata, successivamente, l’esistenza di vincoli gravanti sulla proprietà del concessionario.
In questo ambito si inserisce l’orientamento giurisprudenziale in forza del quale l'eventuale mancato rispetto di una servitù pattizia preesistente non è di per sé motivo d'illegittimità della concessione edilizia rilasciata per costruire sul fondo servente, in quanto il comune non è tenuto, in sede di esame delle relative domande di concessione, a ricercare d'ufficio, né ad opporre al richiedente la pattuizioni limitative della proprietà che costui o il suo dante causa abbiano concluso con i terzi, tant'e' che la concessione stessa viene rilasciata sempre con la clausola di salvezza dei diritti di questi ultimi.
In tal modo, la Sezione ha esaminato una vicenda in certo modo speculare e simmetrica a quella oggetto del presente contenzioso, stabilendo che, in mancanza di elementi, l'amministrazione non ha l'obbligo di verificare l’inesistenza di diritti di servitù che limitino l’ampiezza del titolo di proprietà del richiedente. Pertanto, la concessione edilizia rilasciata in contrasto con i diritti dei terzi, non è di per sé illegittima, a meno che non sia accertato il contrasto con elementi istruttori acquisiti nel corso del procedimento.

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Laddove sia
in contestazione la legittimità non già di una concessione edilizia rilasciata, bensì del suo diniego, basato su precisi dati documentali e probatori emersi nel corso dell’istruttoria, l’accertata carenza degli elementi che dimostrino l’esistenza di un collegamento qualificato tra il richiedente ed il bene immobile oggetto della richiesta di concessione edilizia determina la legittimità del provvedimento di diniego.
Del resto ai sensi dell'art. 4 l. 28.01.1977 n. 10 la concessione edilizia può essere rilasciata soltanto al proprietario dell'area o a chi abbia altrimenti titolo per richiederla; di conseguenza, pur se il rilascio della concessione avviene salvi i diritti dei terzi, il comune è tenuto a verificare l'esistenza del titolo e -in mancanza di prova di quest'ultimo- legittimamente nega il rilascio della concessione.

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I
l concetto di disponibilità dell’area ai fini del rilascio della concessione edilizia, non è circoscritto alla dimostrazione della proprietà dell’immobile, ma indica l’esistenza di una situazione giuridica che abilita il titolare a sfruttare pienamente la potenzialità edificatoria dell’immobile.
Pertanto, la disponibilità manca non solo quando il richiedente non è proprietario del terreno, ma anche nei casi in cui la proprietà è limitata da diritti reali di godimento che incidono proprio sulla possibilità di edificazione del suolo.
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2. Con un primo motivo di gravame, gli appellanti sostengono che non compete all’amministrazione comunale il potere di respingere una richiesta di concessione edilizia, pretendendo la cancellazione di una servitù gravante sull’immobile oggetto dell’intervento, in quanto il controllo dell’attività urbanistica riservato all’amministrazione va effettuato esclusivamente alla stregua di norme pubblicistiche, senza attribuire rilievo alla disciplina civilistica della proprietà.
La censura è infondata.
3. L’esecuzione di opere di trasformazione edilizia ed urbanistica del territorio è sottoposta ad una disciplina complessa, che riguarda, rispettivamente, la definizione degli assetti della proprietà immobiliare ed il controllo pubblicistico sulla conformità alle regole ed ai piani di derivazione pubblicistica. Gli ambiti delle due discipline, finalizzate alla tutela di interessi di consistenza disomogenea, non sono pienamente sovrapponibili.
È quindi possibile che un determinato intervento edilizio, astrattamente conforme alle prescrizioni urbanistiche, si ponga in contrasto con la normativa di derivazione civilistica, costituendo la violazione di diritti reali di godimento o di altre facoltà dei soggetti interessati.
4. Tuttavia, la necessaria distinzione tra gli aspetti civilistici e quelli pubblicistici dell’attività edificatoria non impedisce di rilevare la presenza di significativi punti di contatto fra i due diversi profili. Da una parte, la normativa edilizia di carattere regolamentare è idonea a fondare pretese sostanziali nei rapporti interprivati, che assumono la consistenza ed il grado di protezione del diritto soggettivo. Dall’altra parte, alcuni elementi di origine civilistica assumono una rilevanza qualificata nel procedimento di rilascio della concessione edilizia.
5. In particolare, non è seriamente contestabile che nel procedimento di rilascio della concessione edilizia l’amministrazione ha il potere di verificare l’esistenza, in capo al richiedente, di un idoneo titolo di godimento sull’immobile, interessato dal progetto di trasformazione urbanistica. Si tratta di un’attività istruttoria che non è diretta, in via principale, a risolvere i conflitti di interesse tra le parti private in ordine all’assetto proprietario degli immobili interessati, ma che risulta finalizzata, più semplicemente, ad accertare il requisito della legittimazione soggettiva del richiedente.
In termini generali, la funzione autorizzatoria dell’amministrazione richiede un livello minimo di istruttoria, che comprende, comunque, l’acquisizione di tutti gli elementi sufficienti a dimostrare la sussistenza di un qualificato collegamento soggettivo tra chi propone l’istanza ed il bene giuridico oggetto dell’autorizzazione.
E, d’altra parte, l’esame del titolo di godimento operata dall’amministrazione non costituisce una sorta di eccezionale intrusione in un ambito privatistico, ma rappresenta la coerente applicazione del principio secondo cui l’autorità pubblica deve sempre verificare la legittimazione del soggetto che propone un’istanza. In questa prospettiva si spiegano le numerose norme di settore in materia di licenze e di autorizzazioni commerciali, che impongono all’istante di fornire la prova del titolo di godimento dei locali destinati all’esercizio.
6. Questa elementare esigenza di verifica sull’ordinato svolgimento delle attività sottoposte al controllo autorizzatorio risulta presente anche nell’ambito del procedimento di rilascio della concessione edilizia. Non solo, ma la notevole incidenza della concessione edilizia sugli interessi pubblici e privati coinvolti impone, in modo ancora più stringente, un adeguato esame sulla corrispondenza sostanziale tra la richiesta ed i presupposti fattuali che la giustificano, anche in relazione alla titolarità della necessaria posizione legittimante.
È vero che la valutazione delle richieste di concessione edilizia mira, essenzialmente, ad assicurare la conformità con gli strumenti di pianificazione urbanistica. Ma non si può negare all’amministrazione comunale il compito di assicurare, comunque, un ordinato svolgimento dell’attività urbanistica, conforme all’assetto dei rapporti interprivati relativi all’area interessata dall’intervento. Assentire la realizzazione di opere edilizie a soggetti certamente privi del necessario titolo di godimento sull’immobile significherebbe alimentare il contenzioso tra le parti, con grave danno anche per l’interesse pubblico all’armonico sviluppo dell’attività di trasformazione urbanistica.
7. Ciò chiarito, si tratta di stabilire l’ampiezza e la profondità dei poteri istruttori spettanti all’amministrazione in sede di verifica del titolo di proprietà sull’immobile.
Al riguardo, si deve premettere che l’affermazione del potere di verifica del titolo di proprietà non significa affatto che l’amministrazione abbia l’obbligo incondizionato di effettuare complessi e laboriosi accertamenti diretti a ricostruire tutte le vicende riguardanti l’immobile considerato. Anzi, il principio generale del divieto di aggravamento del procedimento consente all’amministrazione di semplificare ed accelerare tutte le attività di verifica sul titolo, valorizzando gli elementi documentali forniti dalla parte interessata.
In ogni caso, non può gravare sull’amministrazione l’onere probatorio di appurare l’inesistenza di servitù o di altri vincoli reali che incidono, limitandola, sull’attitudine edificatoria dell’immobile, trattandosi di attività istruttoria eccessivamente difficile e lunga.
8. Peraltro, qualora sia acquisita la prova della esistenza di servitù di non edificare (totale o parziale), gravanti sull’immobile oggetto della richiesta di concessione edilizia, l’amministrazione ha l’obbligo di valutare tale elemento ai fini del diniego del provvedimento.
Infatti, la servitù costituisce un peso imposto al fondo che conforma, limitandolo, il diritto di proprietà del titolare, anche in relazione alla pretesa edificatoria vantata nei confronti della amministrazione. Al contrario, in mancanza di adeguati elementi istruttori, ritualmente acquisiti nel corso del procedimento, la concessione edilizia è legittimamente rilasciata, ancorché sia accertata, successivamente, l’esistenza di vincoli gravanti sulla proprietà del concessionario.
In questo ambito si inserisce l’orientamento giurisprudenziale in forza del quale l'eventuale mancato rispetto di una servitù pattizia preesistente non è di per sé motivo d'illegittimità della concessione edilizia rilasciata per costruire sul fondo servente, in quanto il comune non è tenuto, in sede di esame delle relative domande di concessione, a ricercare d'ufficio, né ad opporre al richiedente la pattuizioni limitative della proprietà che costui o il suo dante causa abbiano concluso con i terzi, tant'e' che la concessione stessa viene rilasciata sempre con la clausola di salvezza dei diritti di questi ultimi (Consiglio Stato sez. V, 08.04.1997, n. 329).
In tal modo, la Sezione ha esaminato una vicenda in certo modo speculare e simmetrica a quella oggetto del presente contenzioso, stabilendo che, in mancanza di elementi, l'amministrazione non ha l'obbligo di verificare l’inesistenza di diritti di servitù che limitino l’ampiezza del titolo di proprietà del richiedente. Pertanto, la concessione edilizia rilasciata in contrasto con i diritti dei terzi, non è di per sé illegittima, a meno che non sia accertato il contrasto con elementi istruttori acquisiti nel corso del procedimento.
9. Nel presente giudizio, invece, è in contestazione la legittimità non già di una concessione edilizia rilasciata, bensì del suo diniego, basato su precisi dati documentali e probatori emersi nel corso dell’istruttoria.
In tali ipotesi, l’accertata carenza degli elementi che dimostrino l’esistenza di un collegamento qualificato tra il richiedente ed il bene immobile oggetto della richiesta di concessione edilizia determina la legittimità del provvedimento di diniego.
Del resto, la Sezione ha chiarito che, ai sensi dell'art. 4 l. 28.01.1977 n. 10 e 3 l.prov. Bolzano 03.01.1978 n. 1 la concessione edilizia può essere rilasciata soltanto al proprietario dell'area o a chi abbia altrimenti titolo per richiederla; di conseguenza, pur se il rilascio della concessione avviene salvi i diritti dei terzi, il comune è tenuto a verificare l'esistenza del titolo e -in mancanza di prova di quest'ultimo- legittimamente nega il rilascio della concessione (Consiglio Stato, Sez. V, 03.09.1985 n. 279).
10. È appena il caso di osservare che la legittimità del diniego, correlato dall’accertamento di limitazioni del titolo di proprietà, emerge con particolare evidenza nell’ambito della Provincia e del comune di Bolzano, per due concorrenti ragioni:
   a) il sistema della intavolazione di diritti reali consente una rapida ed efficace verifica dell’assetto dei diritti reali insistenti sugli immobili oggetto del richiesto intervento edilizio. L’amministrazione, senza particolari appesantimenti dell’iter procedimentale, è in grado di verificare l’esistenza di limitazioni alla pretesa edificatoria dell’interessato, tenendo conto dell’efficacia costitutiva dell’iscrizione tavolare e della relativa cancellazione;
   b) il procedimento per il rilascio della concessione edilizia previsto dalla legislazione provinciale e dal regolamento comunale di Bolzano prevede una partecipazione qualificata dei “confinanti”, i quali sono in grado di indicare tempestivamente tutte le ragioni ostative al rilascio della richiesta concessione edilizia, comprese quelle relative all’ inidoneità del titolo di proprietà, limitato da diritti di servitù che incidono sulla attitudine edificatoria del suolo.
Ed è significativo che, nella concreta vicenda all’origine del presente giudizio, la determinazione negativa del comune di Bolzano non è dipesa da una autonoma decisione dell’amministrazione, ma dalla iniziativa assunta da alcuni dei proprietari confinanti con la proprietà del richiedente la concessione.
11. Contrariamente a quanto ritenuto dagli appellanti, il concetto di disponibilità dell’area ai fini del rilascio della concessione edilizia, non è circoscritto alla dimostrazione della proprietà dell’immobile, ma indica l’esistenza di una situazione giuridica che abilita il titolare a sfruttare pienamente la potenzialità edificatoria dell’immobile. Pertanto, la disponibilità manca non solo quando il richiedente non è proprietario del terreno, ma anche nei casi in cui la proprietà è limitata da diritti reali di godimento che incidono proprio sulla possibilità di edificazione del suolo.
12. Sotto altro profilo, gli appellanti deducono che il progetto non segna alcun contrasto con la servitù altius non tollendi, in quanto non prevede alcuna elevazione dell’originario fabbricato, ma solo una sistemazione degli esistenti volumi tecnici.
La censura è infondata. Infatti, dalla documentazione allegata alla richiesta, risulta che il progetto comporta un apprezzabile mutamento della volumetria complessiva del fabbricato, realizzato attraverso l’ampliamento della sagoma esterna dell’edificio, ancorché senza alterazione dell’originaria altezza (che pure già superava i limiti stabiliti dalla servitù.
In tal modo, si mira a realizzare un risultato comunque contrastante con il diritto di servitù degli interessati (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 22.06.2000 n. 3525 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 1996

EDILIZIA PRIVATAIl promissario acquirente di un terreno edificabile, che ne abbia il possesso incontestato e pacifico in forza di un’apposita clausola di un contratto preliminare di compravendita, è legittimato ad ottenere il rilascio della concessione edilizia per un intervento costruttivo da realizzare su quel determinato terreno, giacché la norma dell’art. 4, L. n. 10/1977 privilegia la disponibilità titolata dell’area, anche di natura non dominicale (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 18.06.1996, n. 718).