dossier LEGITTIMAZIONE
RICHIESTA P.d.C. (Permesso di Costruire) |
anno 2022 |
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EDILIZIA PRIVATA: Onere
di verifica del Comune sulla legittimazione a richiedere il permesso di
costruire.
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Edilizia – Permesso di costruire – Destinatari – Individuazione.
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Edilizia – Permesso di costruire – Legittimazione del richiedente – Verifica
– Limiti.
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Ai sensi dell’art. 11, d.P.R. 06.06.2001, n. 380, il permesso di costruire
può essere rilasciato non solo al proprietario dell’immobile, ma a chiunque
abbia titolo per richiederlo, e tale ultima espressione va intesa nel senso
più ampio di una legittima disponibilità dell’area, in base ad una relazione
qualificata con il bene, sia essa di natura reale, o anche solo
obbligatoria, purché, in questo caso, con il consenso del proprietario (1)
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L’onere di verifica del Comune sulla legittimazione a richiedere
il permesso di costruire, di cui all’art. 11, d.P.R. 06.06.2001, n. 380,
assume connotati differenti a seconda che la detta legittimazione si fondi
sulla titolarità di un diritto reale, ovvero attenga ad una disponibilità
del bene a titolo diverso.
In tale ultimo caso (ad esempio, bene detenuto per effetto di contratto di
locazione), l’Amministrazione è tenuta ad accertare la sussistenza del
consenso del proprietario, con la conseguenza che, laddove questo difetti,
non potrà procedere al rilascio del permesso di costruire.
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(1) Ha chiarito la Sezione che ciò comporta, per un verso, che chi richiede
il titolo autorizzatorio edilizio deve comprovare la propria legittimazione
all’istanza, per altro verso, che è onere del Comune ricercare la
sussistenza di un titolo (di proprietà, di altri diritti reali, etc.) che
fondi una relazione giuridicamente qualificata tra soggetto e bene oggetto
dell’intervento, e che dunque possa renderlo destinatario di un
provvedimento amministrativo autorizzatorio.
Tale verifica, tuttavia, deve compiersi secondo un criterio di
ragionevolezza e secondo dati di comune esperienza, con la conseguenza che
l’Amministrazione, quando venga a conoscenza dell’esistenza di contestazioni
sul diritto di richiedere il titolo abilitativo, deve compiere le necessarie
indagini istruttorie per verificare la fondatezza delle contestazioni, ma
senza tuttavia assumere valutazioni di tipo civilistico sulla “pienezza”
del titolo di legittimazione addotto dal richiedente (Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza 15.03.2022 n. 1827 -
commento tratto da e link a
www.giustizia-amministrativa.it).
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SENTENZA
5. L’appello è infondato e deve essere, pertanto, respinto, con conseguente
conferma della sentenza impugnata.
5.1. La giurisprudenza amministrativa ha già avuto modo di osservare (Cons.
Stato, sez. IV, 19.07.2021, n. 5407, e 30.08.2018, n. 5115; sez. VI,
22.09.2014, n. 4776; sez. IV, 25.09.2014, n. 4818), che il permesso di
costruire può essere rilasciato non solo al proprietario dell’immobile, ma a
chiunque abbia titolo per richiederlo (così come previsto dall’art. 11, co.
1, DPR n. 380/2001), e tale ultima espressione va intesa nel senso più ampio
di una legittima disponibilità dell’area, in base ad una relazione
qualificata con il bene, sia essa di natura reale, o anche solo
obbligatoria, purché, in questo caso, con il consenso del proprietario.
Si è precisato, inoltre, che, “il Comune, prima di rilasciare il titolo,
ha sempre l’onere di verificare la legittimazione del richiedente,
accertando che questi sia il proprietario dell’immobile oggetto
dell’intervento costruttivo o che, comunque, ne abbia un titolo di
disponibilità sufficiente per eseguire l’attività edificatoria” (Cons.
Stato, sez. IV, n. 4818/2014 cit.; in senso conforme, sez. V, 04.04.2012, n.
1990).
Quanto ora esposto (ed il concetto di “sufficienza” riferito al
titolo, elaborato dalla giurisprudenza) comporta, in generale, che:
- per un verso, chi richiede il titolo autorizzatorio
edilizio debba comprovare la propria legittimazione all’istanza;
- per altro verso, è onere del Comune ricercare la
sussistenza di un titolo (di proprietà, di altri diritti reali, etc.) che
fonda una relazione giuridicamente qualificata tra soggetto e bene oggetto
dell’intervento, e che dunque possa renderlo destinatario di un
provvedimento amministrativo autorizzatorio.
Tale verifica, tuttavia, deve compiersi secondo un criterio di
ragionevolezza e secondo dati di comune esperienza (Cons. giust. Amm.,
11.05.2021, n. 413; Cons. Stato, sez. II, 30.09.2019, n. 6528), ma non
comporta anche che l’Amministrazione debba comprovare prima del rilascio
(ciò mediante oneri di ulteriore allegazione posti al richiedente o
attraverso propri approfondimenti istruttori), la “pienezza” (nel
senso di assenza di limitazioni) del titolo medesimo.
Ed infatti, ciò comporterebbe, in sostanza, l’attribuzione
all’Amministrazione di un potere di accertamento della sussistenza (o meno)
di diritti reali e del loro “contenuto” non ad essa attribuito
dall’ordinamento.
In tal senso, laddove ricorrano limitazioni negoziali al diritto di
costruire, l’Amministrazione, quando venga a conoscenza dell’esistenza di
contestazioni sul diritto di richiedere il titolo abilitativo, deve compiere
le necessarie indagini istruttorie per verificare la fondatezza delle
contestazioni, ma senza tuttavia assumere valutazioni di tipo civilistico,
appartenenti alla giurisdizione del giudice ordinario (Cons. Stato, sez. IV,
n. 5407/2021 cit.).
Tuttavia –come si è già affermato– assume rilievo differente l’ipotesi in
cui la legittimazione a richiedere l’autorizzazione edilizia si fondi sulla
titolarità di un diritto reale, da quella in cui essa attenga ad una
disponibilità del bene a titolo diverso.
In tale ultimo caso (ad esempio, bene detenuto per effetto di contratto di
locazione), l’Amministrazione è tenuta ad accertare la sussistenza del
consenso del proprietario, con la conseguenza che, laddove questo difetti,
non potrà procedere al rilascio del permesso di costruire (Cons. Stato, sez.
VI, 30.06.2021, n. 4919; sez. IV, n. 5115/2018 cit.)
5.2. Nel caso di specie, non sussistono i presupposti per il rilascio del
permesso di costruire, ai sensi dell’art. 11 DPR n. 380/2001, così come
elaborati dalla giurisprudenza.
Per un verso, la società richiedente non è titolare di alcun diritto
reale, ma semplice locataria dell’immobile, il che già rende necessario un
consenso espresso, inequivoco del proprietario, che invece ha manifestato la
propria contrarietà all’intervento e di ciò il Comune era consapevole.
Per altro verso, laddove anche fosse possibile superare il dissenso
espresso del proprietario, la stessa sussistenza di una “discordanza
interpretativa” in ordine all’art. 6 del contratto di locazione -in
disparte ogni considerazione in ordine all’esatto contenuto di questo, che
la sentenza impugnata ha condivisibilmente ritenuto non permissivo di
attività edilizia- rende evidente come la legittimazione di Un. a presentare
l’istanza non fondi su basi chiare e certe inctu oculi, essendo
invece necessarie interpretazioni del contenuto del contratto estranee alla
competenza della pubblica amministrazione in sede di rilascio del titolo
edilizio.
Per altro verso ancora, il Comune di Castel di Sangro –pur a
conoscenza della volontà contraria del proprietario– ha ritenuto sia di
procedere ad una istruttoria esulante dalle proprie competenze, sia,
soprattutto, di fondare il rilascio del titolo solo, in buona sostanza,
sulla base di una autocertificazione della medesima società istante,
attestante la piena disponibilità dei suoli.
Da un lato, dunque, il Comune non ha proceduto ad accertamenti
istruttori (ancorché questi, come si è detto, travalicassero le sue
competenze in sede di rilascio di titolo edilizio); dall’altro lato,
si è sostanzialmente rimesso alla “autorappresentazione” della
sussistenza della propria legittimazione, rimessa ad una autocertificazione
del richiedente il permesso di costruire.
Appare, dunque, evidente come, nel caso di specie, siano del tutto mancanti
i presupposti di legittimazione, in capo alla società appellante, a
richiedere il permesso di costruire.
Né può trovare accoglimento quanto rappresentato dall’appellante, laddove
essa sostiene “l’inammissibilità del ricorso di primo grado poiché lo
stesso era finalizzato a contestare titoli autorizzativi superati dalla
citata SCIA in variante, che a sua volta non può costituire oggetto di
domanda di annullamento”.
In disparte ogni valutazione sui precisi contenuti della citata SCIA, appare
evidente come essa si ponga come comunicazione in ordine a “variante”
su lavori precedentemente assentiti da permesso di costruire per il quale
non sussisteva alcuna legittimazione alla richiesta; di modo che il
sopravvenire della segnalazione non preclude affatto l’esame della
legittimità del titolo, relativamente al quale si ritiene di poter agire
(unilateralmente) in variante.
6. Alla luce di tutte le considerazioni esposte, l’appello deve essere
respinto, con conseguente conferma della sentenza impugnata (Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza 15.03.2022 n. 1827 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L’art.
11 del d.p.r. n. 380/2001 prevede, al comma 1°, che il permesso di costruire
è rilasciato al proprietario dell'immobile o a “chi abbia titolo” per
richiederlo; allo stesso modo, l’art. 23 del richiamato testo normativo
abilita alla presentazione della D.I.A. (oggi SCIA) per l’esecuzione di
interventi edili minori il proprietario dell’immobile o “chi abbia titolo”.
Sul piano istruttorio l’Amministrazione comunale, cui è rimessa la
delibazione di conformità urbanistica di ogni progetto edilizio, deve
verificare, tra l’altro, che esista il titolo giuridico per realizzare
l’intervento, la cui esistenza costituisce presupposto di legittimità sia
degli interventi che implicano il rilascio del permesso di costruire sia per
l’esecuzione di opere soggette a SCIA, anche se la giurisprudenza
amministrativa ha da sempre escluso un obbligo del Comune di effettuare
complessi accertamenti istruttori al fine di acclarare la mancanza di
elementi che possano limitare il titolo abilitativo.
Più precisamente, in tale attività procedimentale, secondo una consolidata
giurisprudenza condivisa dal Collegio, deve escludersi un obbligo del Comune
di effettuare complessi accertamenti diretti a ricostruire tutte le vicende
riguardanti la titolarità del bene o di verificare l’inesistenza di servitù
o altri vincoli reali che potrebbero limitare l’attività edificatoria
richiesta, atteso che il titolo edilizio è un atto amministrativo che rende
semplicemente legittima l’attività edilizia nell’ordinamento pubblicistico e
regola solo il rapporto che, in relazione a quell’attività, si pone in
essere tra l’Autorità amministrativa che lo emette ed il soggetto a favore
del quale è emesso, ma non attribuisce a favore di tale soggetto diritti
soggettivi conseguenti all’attività stessa, la cui titolarità deve essere
sempre verificata alla stregua della disciplina fissata dal diritto comune.
Il rilascio del titolo edilizio, inerendo come detto al rapporto
pubblicistico amministrativo tra Pubblica Amministrazione e privato
costruttore, non incide cioè sui rapporti tra privati ma lascia
impregiudicati i diritti degli aventi diritto, titolari di posizioni
giuridicamente rilevanti derivanti dalla (eventuale) violazione delle
disposizioni del codice civile o dalle norme regolamentari integratrici, che
dovranno però essere fatti valere nelle opportune sedi giudiziali ordinarie.
In tale contesto normativo l’espressione “fatti salvi i diritti dei terzi”
contenuta nei titoli edilizi sta a significare appunto che l’Amministrazione
certifica la conformità dell’intervento alla normativa edilizia e
urbanistica, ma non ha responsabilità nel caso in cui, malgrado
l’espletamento di una sommaria attività di verifica della legittimazione,
l’intervento pregiudichi i diritti di un terzo, ad esempio un confinante,
che per tutelarsi potrà ricorrere al giudice ordinario.
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7. Nel merito il ricorso è infondato.
Com’è noto, l’art. 11 del d.p.r. n. 380/2001 prevede, al comma 1°, che il
permesso di costruire è rilasciato al proprietario dell'immobile o a “chi
abbia titolo” per richiederlo; allo stesso modo, l’art. 23 del
richiamato testo normativo abilita alla presentazione della D.I.A. (oggi
SCIA) per l’esecuzione di interventi edili minori il proprietario
dell’immobile o “chi abbia titolo”.
8. Sul piano istruttorio l’Amministrazione comunale, cui è rimessa la
delibazione di conformità urbanistica di ogni progetto edilizio, deve
verificare, tra l’altro, che esista il titolo giuridico per realizzare
l’intervento, la cui esistenza costituisce presupposto di legittimità sia
degli interventi che implicano il rilascio del permesso di costruire sia per
l’esecuzione di opere soggette a SCIA, anche se la giurisprudenza
amministrativa ha da sempre escluso un obbligo del Comune di effettuare
complessi accertamenti istruttori al fine di acclarare la mancanza di
elementi che possano limitare il titolo abilitativo (cfr. Consiglio di
Stato, Sezione V, 15.03.2001 n. 1507; Consiglio di Stato, Sezione V,
07.07.2005 , n. 3730).
9. Più precisamente, in tale attività procedimentale, secondo una
consolidata giurisprudenza condivisa dal Collegio, deve escludersi un
obbligo del Comune di effettuare complessi accertamenti diretti a
ricostruire tutte le vicende riguardanti la titolarità del bene o di
verificare l’inesistenza di servitù o altri vincoli reali che potrebbero
limitare l’attività edificatoria richiesta, atteso che il titolo edilizio è
un atto amministrativo che rende semplicemente legittima l’attività edilizia
nell’ordinamento pubblicistico e regola solo il rapporto che, in relazione a
quell’attività, si pone in essere tra l’Autorità amministrativa che lo
emette ed il soggetto a favore del quale è emesso, ma non attribuisce a
favore di tale soggetto diritti soggettivi conseguenti all’attività stessa,
la cui titolarità deve essere sempre verificata alla stregua della
disciplina fissata dal diritto comune.
10. Il rilascio del titolo edilizio, inerendo come detto al rapporto
pubblicistico amministrativo tra Pubblica Amministrazione e privato
costruttore, non incide cioè sui rapporti tra privati ma lascia
impregiudicati i diritti degli aventi diritto, titolari di posizioni
giuridicamente rilevanti derivanti dalla (eventuale) violazione delle
disposizioni del codice civile o dalle norme regolamentari integratrici, che
dovranno però essere fatti valere nelle opportune sedi giudiziali ordinarie.
11. In tale contesto normativo l’espressione “fatti salvi i diritti dei
terzi” contenuta nei titoli edilizi sta a significare appunto che
l’Amministrazione certifica la conformità dell’intervento alla normativa
edilizia e urbanistica, ma non ha responsabilità nel caso in cui, malgrado
l’espletamento di una sommaria attività di verifica della legittimazione,
l’intervento pregiudichi i diritti di un terzo, ad esempio un confinante,
che per tutelarsi potrà ricorrere al giudice ordinario
(TAR
Sardegna, Sez. I,
sentenza 25.02.2022 n. 135 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
Comune deve accertare il requisito della legittimazione soggettiva del
richiedente il titolo, non risolvere i conflitti di interesse tra le parti
private.
La sentenza in esame resa dal Consiglio di Stato affronta (tra gli altri) il
tema del rilascio del titolo edilizio e dei doveri che il Comune, in tale
occasione, è tenuto a rispettare.
Innanzitutto pur apparendo con evidenza come il titolo edilizio sia capace
di incidere, in termini negativi, nei confronti dei terzi
(vicini-frontisti), occorre considerare che la P.A. non è tenuta ad
effettuare una puntuale verifica in ordine al contenuto specifico del titolo
giuridico sulla base del quale si fonda la richiesta di rilascio del
permesso di costruzione (Cons. Stato, sez. IV, 31.12.2020, n. 8564).
D’altronde, le eventuali questioni interpretative che possono sorgere tra le
parti private sono rimesse alla competenza del Giudice Ordinario.
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In linea di diritto, in sede di rilascio del titolo
abilitativo edilizio –segnatamente, in sede di esame sull’effettiva
disponibilità giuridica del bene oggetto dell’intervento edificatorio,
limitando invero l’art. art. 11 d.P.R. 06.06.2001, n. 380, la legittimazione
attiva all’ottenimento della concessione edilizia a chi sia munito di titolo
giuridico sostanziale per richiederlo– sussiste bensì l’obbligo per il
Comune di verificare il rispetto da parte dell’istante dei limiti
privatistici, ma soltanto alla condizione che tali limiti siano
effettivamente conosciuti o immediatamente conoscibili o non contestati, di
modo che il controllo da parte dell’ente locale si traduca in una semplice
presa d’atto dei limiti medesimi senza necessità di procedere ad un’accurata
e approfondita disanima dei rapporti civilistici.
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4.4 L’appellante sostiene che in sede di esame sull’effettiva disponibilità
del bene oggetto dell’intervento edificatorio non sussisterebbe l’obbligo
per il Comune di verificare il rispetto dei limiti privatistici.
Osserva il Collegio che questo principio trova applicazione soltanto a
condizione che questi limiti non siano effettivamente conosciuti o
facilmente conoscibili, in caso contrario ben potendosi affermare la
sussistenza di detto obbligo.
Un non troppo risalente arresto della Sezione, che anche questo Collegio
condivide pienamente, ha accertato che “in linea di diritto, che secondo
l’orientamento prevalente di questo Consiglio di Stato, condiviso dal
collegio, in sede di rilascio del titolo abilitativo edilizio –segnatamente,
in sede di esame sull’effettiva disponibilità giuridica del bene oggetto
dell’intervento edificatorio, limitando invero l’art. art. 11 d.P.R.
06.06.2001, n. 380, rispettivamente il corrispondente art. 70 l.urb.prov.
(emanata dalla Provincia autonoma di Bolzano nell’esercizio della potestà
legislativa primaria in materia di urbanistica), la legittimazione attiva
all’ottenimento della concessione edilizia a chi sia munito di titolo
giuridico sostanziale per richiederlo– sussiste bensì l’obbligo per il
Comune di verificare il rispetto da parte dell’istante dei limiti
privatistici, ma soltanto alla condizione che tali limiti siano
effettivamente conosciuti o immediatamente conoscibili o non contestati, di
modo che il controllo da parte dell’ente locale si traduca in una semplice
presa d’atto dei limiti medesimi senza necessità di procedere ad un’accurata
e approfondita disanima dei rapporti civilistici” (Cons. Stato, sez. VI,
n. 4861/2016) (Consiglio di Stato,
Sez. VI,
sentenza 14.02.2022 n. 1054 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
soggetto richiedente il rilascio di un titolo abilitativo edilizio (anche in
sanatoria) deve fornire all’Amministrazione seri elementi per l’affermazione
della propria legittimazione e, quindi -soprattutto se oggetto di specifica
contestazione da parte di terzi- deve dare prova di essere il proprietario
(o altro soggetto nei limiti in cui gli è riconosciuto il diritto di
eseguire le opere) dell’area sulla quale insiste l’intervento edilizio.
La giurisprudenza amministrativa ha infatti chiarito che nei casi in cui v’è
contenzioso in atto o una specifica contestazione da parte di terzi sul
diritto dominicale, quale elemento legittimante la presentazione di domande
relative al rilascio di titoli abilitativi edilizi, l’amministrazione deve
compiere le indagini necessarie per verificare se tali contestazioni siano
fondate e, se del caso, denegare o differire il rilascio del titolo se il
richiedente non è in grado di fornire elementi seri a fondamento del suo
diritto, pur senza necessariamente attendere la soluzione dell’eventuale
relativo contenzioso civile.
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5. Il ricorso è infondato.
5.1. Per quel che qui rileva, ai sensi dell’art. 21 della l.r. n. 19/2009, “la
domanda per il rilascio del permesso di costruire o la segnalazione
certificata di inizio attività sono presentate dal proprietario
dell'immobile o da altri soggetti nei limiti in cui è loro riconosciuto il
diritto di eseguire le opere.
1-bis. Ai fini del rilascio o della formazione dei titoli abilitativi
previsti dalla presente legge, i competenti uffici comunali sono tenuti ad
acquisire d'ufficio i documenti, le informazioni e i dati, compresi quelli
catastali, che siano in possesso delle pubbliche amministrazioni e non
possono richiedere attestazioni, comunque denominate, o perizie sulla
veridicità e sull'autenticità di tali documenti, informazioni e dati. I
soggetti di cui al comma 1 possono in sede di istanza produrre tutti i
documenti ritenuti utili all'acquisizione d'ufficio di cui al presente
comma.
2. Si considerano tra i soggetti a cui è riconosciuto il diritto di eseguire
opere edilizie ai sensi del comma 1, oltre il proprietario:
a) il titolare di diritti di superficie, usufrutto, uso e
abitazione e di altri diritti reali;
b) l'affittuario di fondo rustico;
c) il concessionario di beni demaniali;
d) il titolare di diritti edificatori riconosciuti in un contratto
o in altro atto giuridico riconosciuto dalla legge;
e) il destinatario di ordini dell'autorità giudiziaria o
amministrativa aventi a oggetto l'intervento.”.
Alla luce del chiaro dettato normativo il soggetto richiedente il rilascio
di un titolo abilitativo edilizio (anche in sanatoria) deve fornire
all’Amministrazione seri elementi per l’affermazione della propria
legittimazione e, quindi -soprattutto se oggetto di specifica contestazione
da parte di terzi- deve dare prova di essere il proprietario (o altro
soggetto nei limiti in cui gli è riconosciuto il diritto di eseguire le
opere) dell’area sulla quale insiste l’intervento edilizio.
5.2. La giurisprudenza amministrativa ha infatti chiarito che nei casi in
cui v’è contenzioso in atto o una specifica contestazione da parte di terzi
sul diritto dominicale, quale elemento legittimante la presentazione di
domande relative al rilascio di titoli abilitativi edilizi,
l’amministrazione deve compiere le indagini necessarie per verificare se
tali contestazioni siano fondate e, se del caso, denegare o differire il
rilascio del titolo se il richiedente non è in grado di fornire elementi
seri a fondamento del suo diritto, pur senza necessariamente attendere la
soluzione dell’eventuale relativo contenzioso civile (cfr. Cons. di Stato n.
2991/2020).
5.3. Nel caso di specie, pur riconoscendo l’oggettiva contestazione
dell’assetto proprietario dell’area in questione, la parte ricorrente non ha
fornito -né al Comune nella sede propria procedimentale né nella presente
sede giudiziaria- idonei e seri elementi per poter affermare la propria
legittimazione alla presentazione della segnalazione certificata di inizio
attività e della segnalazione certificata di agibilità.
Come ben messo in luce dalla difesa comunale nei propri scritti difensivi,
emerge infatti che la ricorrente, pur essendo stata invitata a farlo con
apposita comunicazione, non ha affatto comprovato il proprio titolo
legittimante né ha dimostrato l’inconsistenza (o la pretestuosità) delle
contestazioni della controinteressata circa la proprietà dell’area
interessata dall’intervento (TAR Friuli Venezia Giulia,
sentenza 17.01.2022 n. 17 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2021 |
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EDILIZIA PRIVATA: È stato affermato che “il promissario acquirente, in quanto
titolare di un rapporto obbligatorio, si configura quale soggetto privo di
una situazione soggettiva ed oggettiva di stabile collegamento con la zona
coinvolta dalle prescrizioni del piano attuativo, che ove, illegittimamente
assentite siano ritenute idonee ad arrecare pregiudizio ai valori
urbanistici della zona medesima. Il suo interesse oppositivo al mutamento
della disciplina urbanistica dell'area è un interesse di mero fatto
meramente eventuale e certamente non attuale potendo venire meno anche sulla
base della semplice rinuncia ad effettuare l'acquisto, non più ritenuto
conveniente proprio in virtù della nuova disciplina urbanistica”.
E’ stato inoltre precisato che “La legittimazione del promissario
acquirente all'impugnazione di atti costituenti esercizio del potere di
pianificazione urbanistica, come dei provvedimenti adottati in materia
edilizia, è stata riconosciuta in giurisprudenza solo entro ristretti
limiti, ossia laddove nel contratto preliminare sia rinvenibile una clausola
con cui il proprietario conferisca al promittente acquirente una specifica
autorizzazione in tal senso, oppure qualora il promissario acquirente abbia
acquisito la disponibilità materiale dell'immobile promesso in vendita per
cui si trovi con esso in una relazione di collegamento tale che deponga per
la sicura stipula del definitivo. Di recente si è difatti riconosciuta la
legittimazione in argomento nel caso in cui il preliminare di compravendita
si configuri come contratto c.d. "ad effetti anticipati" in virtù del quale,
anticipandosi la consegna del bene, il promissario acquirente abbia
acquisito la effettiva e materiale disponibilità dell'immobile”.
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La posizione della ricorrente appare quindi riconducibile a quella di
promissario acquirente del bene.
Orbene tale posizione non è sufficiente, per la giurisprudenza
maggioritaria, a legittimare la proposizione dell’impugnazione.
È stato, infatti, affermato che “il promissario acquirente, in quanto
titolare di un rapporto obbligatorio, si configura quale soggetto privo di
una situazione soggettiva ed oggettiva di stabile collegamento con la zona
coinvolta dalle prescrizioni del piano attuativo, che ove, illegittimamente
assentite siano ritenute idonee ad arrecare pregiudizio ai valori
urbanistici della zona medesima. Il suo interesse oppositivo al mutamento
della disciplina urbanistica dell'area è un interesse di mero fatto
meramente eventuale e certamente non attuale potendo venire meno anche sulla
base della semplice rinuncia ad effettuare l'acquisto, non più ritenuto
conveniente proprio in virtù della nuova disciplina urbanistica” (TAR
Campania, Napoli, VIII 07.03.2013 n. 1285).
E’ stato inoltre precisato che “La legittimazione del promissario
acquirente all'impugnazione di atti costituenti esercizio del potere di
pianificazione urbanistica, come dei provvedimenti adottati in materia
edilizia, è stata riconosciuta in giurisprudenza solo entro ristretti
limiti, ossia laddove nel contratto preliminare sia rinvenibile una clausola
con cui il proprietario conferisca al promittente acquirente una specifica
autorizzazione in tal senso, oppure qualora il promissario acquirente abbia
acquisito la disponibilità materiale dell'immobile promesso in vendita per
cui si trovi con esso in una relazione di collegamento tale che deponga per
la sicura stipula del definitivo. Di recente si è difatti riconosciuta la
legittimazione in argomento nel caso in cui il preliminare di compravendita
si configuri come contratto c.d. "ad effetti anticipati" in virtù del quale,
anticipandosi la consegna del bene, il promissario acquirente abbia
acquisito la effettiva e materiale disponibilità dell'immobile” (TAR
Campania Napoli 1285/2013 cit, Consiglio di Stato sez. IV, 12.04.2011, n.
2275; Consiglio di Stato, sez. IV, 15.02.2013 n. 917).
Nel caso di specie non solo la ricorrente non ha ottenuto la effettiva e
materiale disponibilità dell’immobile ma neppure risulta in maniera chiara
sotto quale profilo la stessa subirebbe un pregiudizio dall’approvazione
della variante.
Invero posto che, comunque, anche nella nuova sistemazione dell’assetto
portuale la ricorrente manterrebbe il diritto a conseguire i posti barca
promessi, non si vede come tale variante possa avere leso gli interessi
derivanti dal preliminare.
Il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile
(TAR Liguria, Sez. II,
sentenza 27.09.2021 n. 803 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sulle condizioni in presenza delle
quali deve ritenersi che un soggetto terzo, rispetto al proprietario del
bene, sia legittimato a richiedere il rilascio del permesso di costruire su
di esso ai sensi dell’art. 11 D.P.R. n. 380/2011.
L’art. 11 del D.P.R. n. 380/2001 consente il rilascio del permesso di
costruire al proprietario dell’immobile o “a chi abbia titolo per
richiederlo”, per tale dovendosi intendere, secondo quanto ripetutamente
chiarito in giurisprudenza, colui che vanti la legittima disponibilità
dell’area in base ad una relazione qualificata con il bene di natura reale,
o anche solo obbligatoria, purché, in questo caso, con il consenso del
proprietario.
In giurisprudenza si è pure sostenuto che tra i titoli di disponibilità
sufficienti per eseguire l’attività edificatoria ben può farsi rientrare il
preliminare di acquisto, ciò in quanto esso consente di ottenere la
titolarità del bene con sentenza ex art. 2932 c.c..
In tali casi, all’istanza diretta ad ottenere il permesso di costruire può
provvedere il promissario acquirente a condizione, tuttavia, che il
preliminare contenga il consenso del proprietario in ordine
all’effettuazione dei lavori edili e che il richiedente sia stato già
immesso nel possesso e nel godimento dell’immobile oggetto d’intervento.
Si afferma, infatti, che la disponibilità e il possesso del bene in virtù di
titolo “a domino” conferisce al promissario acquirente la legittimazione
attiva per edificare poiché tali elementi (possesso e contratto preliminare)
assurgono a proiezione del diritto di proprietà.
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8. – Conviene prendere le mosse dalla disamina dell’eccezione di
inammissibilità del ricorso.
8.1. – L’art. 11 del D.P.R. n. 380/2001 consente il rilascio del permesso di
costruire al proprietario dell’immobile o “a chi abbia titolo per
richiederlo”, per tale dovendosi intendere, secondo quanto ripetutamente
chiarito in giurisprudenza, colui che vanti la legittima disponibilità
dell’area in base ad una relazione qualificata con il bene di natura reale,
o anche solo obbligatoria, purché, in questo caso, con il consenso del
proprietario (Cons. Stato, Sez. VI, 29.03.2021, n. 2627; Cons. Stato, Sez.
VI, 22.09.2014 n. 4776; Sez. IV, 25.09.2014 n. 4818).
8.2. – In giurisprudenza si è pure sostenuto che tra i titoli di
disponibilità sufficienti per eseguire l’attività edificatoria ben può farsi
rientrare il preliminare di acquisto, ciò in quanto esso consente di
ottenere la titolarità del bene con sentenza ex art. 2932 c.c. (cfr. TAR
Sardegna, sez. II, 11/05/2017 n. 332).
In tali casi, all’istanza diretta ad ottenere il permesso di costruire può
provvedere il promissario acquirente a condizione, tuttavia, che il
preliminare contenga il consenso del proprietario in ordine
all’effettuazione dei lavori edili (Cons. Stato, Sez. VI, n. 1947/2005; n.
144/2010; n. 4818/2014) e che il richiedente sia stato già immesso nel
possesso e nel godimento dell’immobile oggetto d’intervento (Cons. Stato,
Sez. IV, 12.04.2011, n. 2275; Cons. Stato, Sez. V, 24.08.2007, n. 4485;
Cons. Stato, Sez. V, 18.06.1996 n. 718; TAR Campania, Napoli, sez. V,
12.01.2000 n. 45; TAR Sardegna, 19.05.2003, n. 618).
Si afferma, infatti, che la disponibilità e il possesso del bene in virtù di
titolo “a domino” conferisce al promissario acquirente la
legittimazione attiva per edificare poiché tali elementi (possesso e
contratto preliminare) assurgono a proiezione del diritto di proprietà (Cons.
Stato, Sez. V, 28.05.2001, n. 882).
8.3. – Nel caso di specie, a sostegno della propria legittimazione attiva
rispetto alla presentazione dell’istanza di permesso di costruire, la
società ricorrente ha richiamato, come accennato, il contratto preliminare
del 29.07.2013, avente a oggetto la vendita del terreno su cui realizzare il
progettato intervento di riqualificazione, stipulato con “Le Fo. s.r.l.” la
quale, come si legge nel cit. contratto preliminare, specifica di avere la
disponibilità del suddetto terreno in quanto promissaria acquirente di esso
sulla base di un (altro) contratto preliminare (da essa) stipulato con la
proprietaria S.p.A. Bi.Pe..
8.4. – Tanto appare sufficiente al Collegio per condividere, alla luce delle
superiori coordinate giurisprudenziali, la dedotta inconfigurabilità, nel
caso per cui è controversia, dei presupposti per il rilascio del titolo
edilizio a beneficio della società ricorrente, atteso che non può darsi
rilievo alla vantata disponibilità dell’area da parte di questa, anzitutto,
siccome ancorata a un vincolo contrattuale che, per l’intensità che ne
deriva, appare già in astratto di assai dubbia idoneità a fondare una
relazione giuridicamente qualificata con il bene, essendo l’effetto
traslativo della proprietà sull’area subordinato a un “doppio passaggio”
che in parte sfugge al controllo della società ricorrente, trattandosi di
res inter alios acta (il contratto preliminare tra la S.p.A. Pe. e la
Fo. s.r.l.).
8.5. – Inoltre –ciò che pure appare dirimente– non è soddisfatta la
condizione del rilascio del consenso del proprietario in ordine
all’effettuazione dei lavori edili (Cons. Stato, Sez. VI, n. 1947/2005; n.
144/2010; n. 4818/2014), tale evidentemente non potendosi ritenere quello
prestato alla ricorrente dalla società “Le Fo. s.r.l.” nel cit. contratto
preliminare, non essendo quest’ultima titolare di alcun diritto reale sul
terreno, rivestendo la qualità di (semplice) promissaria acquirente di esso.
8.6. – Sotto altro profilo, infine, neppure si configura il presupposto
dell’immissione del richiedente nel possesso immediato del bene immobile
(cd. “preliminare ad effetti anticipati”), non formando detto profilo
oggetto di specifica pattuizione (e non essendo stato riscontrato, come
visto supra, il possesso, neanche in via fattuale), sicché non può
riconoscersi in capo alla società richiedente alcuna “disponibilità”,
giuridica o fattuale, del terreno per cui è controversia, con la conseguenza
che neppure appaiono sussistenti i requisiti oggettivi tali da far ritenere
che il trasferimento di proprietà sia destinato a verificarsi con
sufficienti margini di certezza (cfr., per esempio, Cons. Stato, Sez. V,
24.08.2007, n. 4485).
9. – Difettano, in conclusione, in capo alla società ricorrente, le
condizioni in presenza delle quali deve ritenersi, secondo il consolidato
insegnamento della giurisprudenza, che un soggetto terzo rispetto al
proprietario del bene sia legittimato a richiedere il rilascio del permesso
di costruire su di esso ai sensi dell’art. 11 D.P.R. n. 380/2011.
10. – Non avendo, allora, la ricorrente società cooperativa alcun titolo
idoneo a richiedere il permesso di costruire sul terreno in parola, essa non
ha evidentemente alcun titolo a contestarne giudizialmente il diniego.
Il ricorso ed i relativi motivi aggiunti sono allora inammissibili per
difetto di legittimazione attiva
(TAR Campania-Salerno, Sez. I
sentenza 02.04.2021 n. 839 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Nella promessa di vendita,
quando venga convenuta la consegna del bene prima del perfezionamento del
contratto definitivo, non si verifica un'anticipazione degli effetti
traslativi, in quanto la disponibilità in tal modo conseguita dal promissario acquirente ha mera natura di detenzione, sia pur qualificata,
collegata ad un contratto con effetti obbligatori, costitutivo di reciproci
diritti di credito ad un fare (prestazione del successivo consenso); e non
di possesso utile ad usucapionem: salva la dimostrazione di una sopraggiunta
interversio possessionis nei modi di cui all'art. 1141, secondo comma, cod.
civile.
Solo il possessore, infatti, e non anche il detentore, può usucapire il bene
(e godere delle azioni di manutenzione e di nunciazione: artt. 1170 e 1171
cod. civ.); mentre, al promissario acquirente va riconosciuta una detenzione
qualificata, esercitata nel proprio interesse, ma alieno nomine; in assenza
dell'animus possidendi, escluso dalla consapevolezza che l'effetto
traslativo non si è ancora prodotto.
In conclusione, anche in presenza del cd. preliminare ad effetti anticipati
-che pure ha certo portata ben più pregnante del paradigmatico pactum de
contraendo- è pur sempre il contratto definitivo, espressione di autonomia
negoziale e non mero atto dovuto solvendi causa, a produrre l'effetto
traslativo reale: restando esclusa la scissione tra titulus e modus adquirendi (eventualmente, anche mediante atto non negoziale), che era
propria del diritto romano ed è tuttora vigente in taluni ordinamenti
moderni, come quello tedesco.
Entro questa cornice concettuale, la consegna della cosa e l'anticipato
pagamento del prezzo non sono incompatibili, in ultima analisi, con la
figura del preliminare, né indice della natura definitiva della
compravendita; quale che ne sia la giustificazione causale: se per clausola
atipica, introduttiva di un'obbligazione aggiuntiva, o per collegamento
negoziale (preliminare di compravendita, comodato e mutuo gratuito).
---------------
2.§. Sulla domanda di usucapione
Il collegio non ritiene di doversi discostare dall’insegnamento
giurisprudenziale secondo il quale “Nella promessa di vendita, infatti,
quando venga convenuta la consegna del bene prima del perfezionamento del
contratto definitivo, non si verifica un'anticipazione degli effetti
traslativi, in quanto la disponibilità in tal modo conseguita dal promissario acquirente ha mera natura di detenzione, sia pur qualificata,
collegata ad un contratto con effetti obbligatori, costitutivo di reciproci
diritti di credito ad un fare (prestazione del successivo consenso); e non
di possesso utile ad usucapionem: salva la dimostrazione di una sopraggiunta
interversio possessionis nei modi di cui all'art. 1141, secondo comma, cod.
civile (Cass., sez. unite, 27.03.2008, n. 7930).
Solo il possessore, infatti, e non anche il detentore, può usucapire il bene
(e godere delle azioni di manutenzione e di nunciazione: artt. 1170 e 1171
cod. civ.); mentre, al promissario acquirente va riconosciuta una detenzione
qualificata, esercitata nel proprio interesse, ma alieno nomine; in assenza
dell'animus possidendi, escluso dalla consapevolezza che l'effetto
traslativo non si è ancora prodotto.
In conclusione, anche in presenza del cd. preliminare ad effetti anticipati
-che pure ha certo portata ben più pregnante del paradigmatico pactum de
contraendo- è pur sempre il contratto definitivo, espressione di autonomia
negoziale e non mero atto dovuto solvendi causa, a produrre l'effetto
traslativo reale: restando esclusa la scissione tra titulus e modus adquirendi (eventualmente, anche mediante atto non negoziale), che era
propria del diritto romano ed è tuttora vigente in taluni ordinamenti
moderni, come quello tedesco.
Entro questa cornice concettuale, la consegna della cosa e l'anticipato
pagamento del prezzo non sono incompatibili, in ultima analisi, con la
figura del preliminare, né indice della natura definitiva della
compravendita; quale che ne sia la giustificazione causale: se per clausola
atipica, introduttiva di un'obbligazione aggiuntiva, o per collegamento
negoziale (preliminare di compravendita, comodato e mutuo gratuito: in
questo senso, Cass. sez. un. 7930/2008, cit.)” (Cass, sez. I civile - 01.03.2010, n. 4863).
La domanda di accertamento di usucapione, sulla quale questo collegio può
esprimersi solo in via incidentale, deve essere respinta
(TAR Abruzzo-L'Aquila,
sentenza 19.03.2021 n. 135 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Permesso di costruire – Art. 57 e s. L.R. Friuli Venezia
Giulia n. 19 del 2009 – Parti comuni – Diritti di terzi –
Sistema tavolare – Foglio reale – Proprietà esclusiva –
Autorizzazione – Immutazione della destinazione.
I singoli comproprietari hanno la
possibilità di apportare delle innovazioni dirette al
miglioramento o all’uso più comodo o al maggior rendimento
delle cose o parti comuni solo previa autorizzazione in tal
senso da parte degli altri comproprietari, secondo le quote
di maggioranza. Non può essere postulata la legittimità del
permesso di costruire in ragione del fatto che trattandosi
di parti comuni è consentito al comproprietario farne uso
per il miglior rendimento della cosa, in caso di immutazione
della destinazione del bene con modalità escludenti dal pari
uso per il terzo comproprietario.
...
Permesso di costruire – Ingerenza dell’amministrazione nei
rapporti tra privati – Legittimazione – Art. 11, c. 1, del
DPR n. 380 del 2001.
Il Comune, in sede di rilascio del
titolo edilizio, non è tenuto a svolgere verifiche complesse
in ordine al regime proprietario dei beni né, tanto più, a
risolvere conflitti tra parti private (il titolo viene
rilasciato fatti salvi i diritti di terzi). Ciò non di meno,
deve verificare la legittimazione dell’istante come impone
l’articolo 11, c. 1, del DPR n. 380 del 2001.
La legittimità del suo operato va vagliata alla luce di
quelle che sono le obiettive risultanze documentali per come
evinte da registri pubblici, atti notarili o giudiziali (Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza 18.03.2021 n. 2329 - link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA: A norma
dell’art. 11 del d.P.R. 06.06.2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni
legislative e regolamentari in materia edilizia) il permesso di costruire
[al pari degli altri titoli abilitativi] può essere rilasciato non solo al
proprietario dell’immobile, ma a chiunque abbia “titolo per richiederlo”:
espressione, quest’ultima, che la giurisprudenza ha identificato con la
legittima disponibilità dell’area, in base ad una relazione qualificata con
il bene, di natura reale, o anche solo obbligatoria, purché con il consenso
del proprietario”.
È vero, cioè, che “la giurisprudenza tende ad allargare l’area dei
soggetti abilitati includendovi, tra gli altri, l’usufruttuario; il promissario acquirente; il conduttore dell’immobile; il cessionario di cubatura, riducendo, per converso, sempre più l’area degli obblighi
gravanti sull’amministrazione a fronte di una richiesta di permesso di
costruire, limitati ad una preliminare verifica circa la legittimazione
sostanziale del richiedente, senza che a tale dimostrazione debba seguire
un’approfondita indagine circa le implicazioni di ordine civilistico”,
con la precisazione, tuttavia, “che non si versi in ipotesi di conclamato
dissenso tra comproprietari [ovvero tra il proprietario e il soggetto che ha
la disponibilità del bene] in ordine all’intervento progettato”.
---------------
1. La ricorrente società –conduttrice di un immobile, sito nel Comune di
Sorrento, in virtù di contratto di locazione stipulato in data 21.09.2017
tra il locatore Ma.Ro. e altra società, alla quale la ricorrente è
subentrata a seguito di cessione di ramo d’azienda– ha presentato la CILA
prot. n. 8915 del 27.02.2020, ai sensi dell’articolo 6-bis del D.P.R. n. 380
del 2001, avente ad oggetto “interventi di manutenzione straordinaria di
cui all’articolo 3, comma 1, lettera b), del d.P.R. n. 380/2001”,
consistenti “in una piccola modifica interna mediante la realizzazione di
tramezzature, con conseguenti adeguamenti degli impianti, pitturazioni
interne e opere di finitura consequenziali”, su un edificio realizzato
in forza del permesso di costruire n. 31 del 2016 e SCIA in variante prot.
n. 25463 del 2017, attualmente adibito ad attività di affittacamere giusta
SCIA commerciale prot. n. 25463 del 2017.
2. Il Comune di Sorrento - Dipartimento Antiabusivismo-Edilizia
privata-Condono-SUAP-Urbanistica ha disposto:
a) dapprima, con provvedimento prot. n. 11188 del 17.03.2020, la
sospensione delle attività oggetto della CILA prot. n. 8915 del 27 febbraio
2020, fino alla produzione della documentazione mancante, relativa alla
regolarità contributiva della ditta incaricata; a tale adempimento la
ricorrente provvedeva con nota prot. n. 11465 del 23.03.2020;
b) successivamente, con provvedimento prot. n. 17140 del 27.05.2020
in questa sede impugnato, la sospensione delle attività oggetto della
medesima CILA prot. n. 8915 del 27.02.2020 e “di ogni altra eventuale
attività”, fino alla produzione della documentazione mancante, relativa
alla legittimazione della richiedente a effettuare l’intervento.
Segnatamente, l’Amministrazione rilevava che, ai sensi dell’articolo 9 del
contratto di locazione, “il conduttore non potrà eseguire, in assenza del
consenso scritto del locatore, alcun tipo di innovazione, miglioria,
addizione, riparazione, sostituzione o variazione, con la sola eccezione
degli interventi di manutenzione ordinaria”.
Infine, il Comune precisava che “le opere sono già state realizzate”
(come risulta dalla comunicazione di fine lavori prot. n. 10804 del
12.03.2020), sicché “gli interventi eseguiti se non sarà fornito idoneo
consenso scritto del locatore, assumeranno un carattere di abusività”.
3. La ricorrente ribadisce, in questa sede, la propria legittimazione alla
presentazione della CILA in forza della disponibilità dell’immobile, che le
deriva dal contratto di locazione, e contesta l’indagine svolta
dall’Amministrazione in ordine all’interpretazione delle clausole del
rapporto civilistico sottostante.
Rileva, inoltre, che in ogni caso dal contratto non emergerebbe un divieto
assoluto all’esecuzione di lavori di manutenzione straordinaria in assenza
di consenso scritto da parte del locatore, bensì un mero esonero in capo al
locatore dal dover corrispondere un indennizzo per le migliorie apportate,
ovvero il suo diritto di pretendere la rimessione in pristino alla scadenza
del contratto stesso.
Richiama, infine, l’articolo 1592 del codice civile, nella parte in cui
prevede che “salvo disposizioni particolari della legge o degli usi, il
conduttore non ha diritto a indennità per i miglioramenti apportati alla
cosa locata”, che dunque sarebbero sempre possibili.
...
7. Ciò premesso, come rappresentato anche dalla difesa comunale, “a norma
dell’art. 11 del d.P.R. 06.06.2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni
legislative e regolamentari in materia edilizia) il permesso di costruire
[al pari degli altri titoli abilitativi] può essere rilasciato non solo al
proprietario dell’immobile, ma a chiunque abbia “titolo per richiederlo”:
espressione, quest’ultima, che la giurisprudenza ha identificato con la
legittima disponibilità dell’area, in base ad una relazione qualificata con
il bene, di natura reale, o anche solo obbligatoria, purché con il consenso
del proprietario (cfr. in tal senso, fra le tante, Cons. Stato, IV,
23.02.2012, n. 983, 16.03.2012, n. 1488, 05.06.2012, n. 3300 e 08.06.2007,
n. 3027)” (Consiglio di Stato, sezione VI, sentenza n. 4776 del 2014).
È vero, cioè, che “la giurisprudenza tende ad allargare l’area dei
soggetti abilitati includendovi, tra gli altri, l’usufruttuario (Cons.
St. Sez. IV n. 3027/2007); il promissario acquirente (Cons. St. Sez.
VI n. 7847/2004); il conduttore dell’immobile (Cons. St. Sez. IV n.
1057/2011); il cessionario di cubatura (Cons. St. Sez. V n.
3637/2000), riducendo, per converso, sempre più l’area degli obblighi
gravanti sull’amministrazione a fronte di una richiesta di permesso di
costruire, limitati ad una preliminare verifica circa la legittimazione
sostanziale del richiedente, senza che a tale dimostrazione debba seguire
un’approfondita indagine circa le implicazioni di ordine civilistico”,
con la precisazione, tuttavia, “che non si versi in ipotesi di conclamato
dissenso tra comproprietari [ovvero tra il proprietario e il soggetto che ha
la disponibilità del bene] in ordine all’intervento progettato (Cons. St.
Sez. V n. 6529/2003)” (TAR Campania-Salerno, sezione II, sentenza n.
1500 del 2013).
Ebbene, nel caso in esame non vi è dubbio sul fatto che il proprietario non
solo non ha dato il proprio consenso ai lavori, ma (come dichiarato dalla
stessa ricorrente) ha addirittura sollecitato il Comune all’adozione dei
provvedimenti qui impugnati, mediante nota del 02.03.2020 prot. n. 9322, con
la quale segnalava all’Ente la realizzazione di “n. 3 servizi igienici,
lo spostamento di alcune tramezzature e la realizzazione di una porta di
comunicazione tra due ambienti”, così manifestando “per facta
concludentia il proprio diniego a concedere il consenso scritto
all’intervento edilizio realizzato dalla So.Re. S.r.l.” (pagina 7 del
ricorso).
Quanto al richiamato articolo 9 del contratto di locazione, che ricalca nel
contenuto le previsioni del codice civile, si deve osservare che la
previsione dell’“insindacabile diritto del locatore a pretendere al
termine del contratto la rimessa in pristino a spese del conduttore a
perfetta regola d’arte” non contraddice affatto, ma anzi rafforza il
generale divieto, previsto a carico del conduttore nel primo periodo del
medesimo articolo, di eseguire innovazioni, migliorie, addizioni,
riparazioni, sostituzioni o variazioni in assenza del consenso scritto del
locatore.
Ne deriva la legittimità del provvedimento impugnato, con il quale il Comune
di Sorrento ha disposto la sospensione di tutte le attività edilizie
connesse con la pratica CILA prot. n. 8915 del 27.02.2020. Il ricorso deve,
pertanto, essere respinto
(TAR Campania-Napoli, Sez. VII,
sentenza 09.03.2021 n. 1562 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: In giurisprudenza, “Non
è rilevante che i lavori sull’immobile siano stati concordati con il Comune,
quale proprietario–concedente, in sede di stipula del contratto locativo,
posto che l’assenso del proprietario agli interventi edilizi sull'immobile
locato incide sulla legittimità degli stessi sul piano meramente
contrattuale, ma non ha effetti derogatori su cogenti disposizioni di legge,
che attengono a tutt’altra cura amministrativa rispetto all’interesse
locatizio. Una siffatta previsione non esime il conduttore dal munirsi,
prima dell'esecuzione dei programmati interventi, di tutti i necessari
titoli autorizzatori pubblici presso le competenti amministrazioni”.
Altresì, “La
legittimazione del titolare di un diritto obbligatorio al rilascio del
permesso di costruire è riconosciuta solo quando, per effetto del dedotto
rapporto obbligatorio, l’interessato sia autorizzato in base ad un contratto
o abbia documentato il previo consenso da parte del proprietario”.
Del resto, milita nel senso della decisione assunta dal Collegio, anche la
qualificazione delle opere de quibus, in termini di opere precarie e
facilmente amovibili, che viepiù avrebbe richiesto che la proprietaria,
modificando il proprio precedente assenso, avesse esplicitato le ragioni,
per le quali aveva, poi, deciso di ritirarlo: in giurisprudenza, “Ai sensi dell’art. 11 del
d.P.R. n. 380 del 06.06.2011 (in base al quale il permesso di costruire è
rilasciato al proprietario dell'immobile o a chi abbia titolo per
richiederlo), l'istanza di autorizzazione edilizia in sanatoria può essere
legittimamente richiesta anche dal promissario acquirente o dal conduttore
e, più in generale, da tutti coloro che vi abbiano interesse (nella
fattispecie, nella quale gli interventi abusivi interessati dalla sanatoria
consistevano in mere opere interne, facilmente ripristinabili, si è anche
precisata l'irrilevanza del consenso del proprietario)”.
---------------
... per l’annullamento:
A) del provvedimento, prot. num. 17780 del 14/11/2020, in forza del
quale il dirigente dell’Area Tecnica del Comune di Sala Consilina ha
rigettato la richiesta di permesso di costruire temporaneo, relativo ad una
struttura provvisoria, in adiacenza al locale, ove la ricorrente esercita
l’attività di ristorazione, e dalla stessa tenuto in locazione, unitamente
all’area di ingresso, sul presupposto della mancanza d’assenso, da parte
della controinteressata, proprietaria dell’immobile;
B) per quanto occorra, del preavviso di diniego dell’08/07/2020,
con il quale il Comune di Sala Consilina ha partecipato la possibilità
d’evadere favorevolmente l’istanza, qualora la ricorrente avesse prodotto la
dichiarazione d’assenso del proprietario;
...
È chiaro che la questione, oggetto del giudizio, ruota sulla legittimità, o
meno, del provvedimento di diniego, opposto dal Comune alla ricorrente,
circa la divisata installazione di una struttura precaria sull’area,
prospiciente il locale, condotto in locazione, e motivato sul dissenso,
circa il rilascio di tale titolo abilitativo (permesso di costruire
temporaneo, ex art. 10 d.P.R. 380/2001), opposto dalla proprietaria del
locale medesimo.
Ritiene il Tribunale che, nella specie, dirimenti si presentano tre
considerazioni:
- la prima, che il contratto di locazione, stipulato tra le
parti, espressamente prevedeva l’impegno, per il conduttore, ad ottenere, a
propria cura e spese, “tutti gli adeguamenti richiesti dalle vigenti
disposizioni di legge in materia di sicurezza”, nonché “le
autorizzazioni amministrative per i lavori da effettuarsi”;
- la seconda, che il dissenso all’installazione della
struttura temporanea de qua era, da parte della proprietaria, del
tutto immotivato (“non intende prestare il suo assenso”);
- la terza, che già in passato (nel 2017) il Comune aveva
proceduto al rinnovo dell’autorizzazione, inizialmente concessa nel 2015;
tanto, conformemente all’art. 6 del Regolamento comunale in materia, che pur
prevedendo la temporaneità di autorizzazioni di tal fatta, non ne escludeva,
in nessun caso, la possibilità di rinnovo.
Sicché, a fronte della previsione, in contratto, della possibilità, anzi
dell’onere, per il conduttore, di richiedere, in prima persona, le
autorizzazioni amministrative per i lavori, necessari ad adeguare il locale
alle disposizioni in materia di sicurezza (cui possono essere agevolmente
assimilate le disposizioni governative, in tema di prevenzione dal contagio
da Covid-19), ritiene il Collegio che il Comune non avrebbe dovuto
pretendere il consenso, della proprietaria, all’installazione della
struttura in questione.
In giurisprudenza, cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 16/04/2015, n. 1942: “Non
è rilevante che i lavori sull’immobile siano stati concordati con il Comune,
quale proprietario–concedente, in sede di stipula del contratto locativo,
posto che l’assenso del proprietario agli interventi edilizi sull'immobile
locato incide sulla legittimità degli stessi sul piano meramente
contrattuale, ma non ha effetti derogatori su cogenti disposizioni di legge,
che attengono a tutt’altra cura amministrativa rispetto all’interesse
locatizio. Una siffatta previsione non esime il conduttore dal munirsi,
prima dell'esecuzione dei programmati interventi, di tutti i necessari
titoli autorizzatori pubblici presso le competenti amministrazioni”.
Cfr. anche TAR Campania–Napoli, Sez. VIII, 03/07/2012, n. 3148: “La
legittimazione del titolare di un diritto obbligatorio al rilascio del
permesso di costruire è riconosciuta solo quando, per effetto del dedotto
rapporto obbligatorio, l’interessato sia autorizzato in base ad un contratto
o abbia documentato il previo consenso da parte del proprietario”.
Del resto, milita nel senso della decisione assunta dal Collegio, anche la
qualificazione delle opere de quibus, in termini di opere precarie e
facilmente amovibili, che viepiù avrebbe richiesto che la proprietaria,
modificando il proprio precedente assenso, avesse esplicitato le ragioni,
per le quali aveva, poi, deciso di ritirarlo: in giurisprudenza, cfr. anche
TAR Sardegna, Sez. II, 17/02/2016, n. 160: “Ai sensi dell’art. 11 del
d.P.R. n. 380 del 06.06.2011 (in base al quale il permesso di costruire è
rilasciato al proprietario dell'immobile o a chi abbia titolo per
richiederlo), l'istanza di autorizzazione edilizia in sanatoria può essere
legittimamente richiesta anche dal promissario acquirente o dal conduttore
e, più in generale, da tutti coloro che vi abbiano interesse (nella
fattispecie, nella quale gli interventi abusivi interessati dalla sanatoria
consistevano in mere opere interne, facilmente ripristinabili, si è anche
precisata l'irrilevanza del consenso del proprietario)”.
Sotto il terzo dei precisati profili, non è chi non veda, poi, come il
Comune, avendo già rinnovato, una volta, il titolo ad aedificandum,
sia pur per il periodo massimo, previsto nel regolamento ad hoc, di
anni due, ha sostanzialmente avallato l’interpretazione, secondo la quale
detto termine massimo deve intendersi sempre applicabile, tuttavia salvo
rinnovo.
Del resto, essendo prevista, comunque, la durata massima d’ogni singola
autorizzazione, non corrisponde al vero quanto sostenuto dalla
controinteressata, vale a dire che attraverso reiterati rinnovi si
perverrebbe alla sostanziale perpetuità del p.d.c. in oggetto, dovendo ad
ogni rinnovo l’Amministrazione vagliare la sussistenza dei requisiti,
richiesti dalla disciplina legislativa e regolamentare in materia.
E, in ogni caso, tale argomento è del tutto assente, nella giustificazione
del provvedimento impugnato, onde conferire allo stesso valore dirimente, ai
fini della decisione, equivarrebbe ad autorizzare una motivazione postuma
del diniego gravato.
In conformità a tali considerazioni, il ricorso va accolto ed il
provvedimento gravato, consequenzialmente annullato
(TAR Campania-Salerno, Sez. II,
sentenza 25.01.2021 n. 201 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2020 |
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EDILIZIA PRIVATA: Legittimazione
a chiedere il rilascio del titolo edilizio da parte del
comproprietario.
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Edilizia – Permesso di costruire – Istanza di rilascio – Comproprietario
– Comunione legale - Condizione.
Se è vero che il soggetto legittimato alla richiesta
del titolo abilitativo deve essere colui che abbia la totale
disponibilità del bene (pertanto l’intera proprietà dello
stesso e non solo una parte o quota di esso), non potendo
riconoscersi legittimazione al semplice proprietario pro
quota ovvero al comproprietario di un immobile, e ciò per
l’evidente ragione che diversamente considerando il contegno
tenuto da quest’ultimo potrebbe pregiudicare i diritti e gli
interessi qualificati dei soggetti con cui condivida la
propria posizione giuridica sul bene oggetto di
provvedimento, tuttavia tali principi non sono applicabili
per gli immobili che ricadono in comunione legale tra i
coniugi (1).
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(1) In materia edilizia, se è vero che il soggetto legittimato alla
richiesta del titolo abilitativo deve essere colui che abbia
la totale disponibilità del bene (pertanto l’intera
proprietà dello stesso e non solo una parte o quota di
esso), non potendo riconoscersi legittimazione al semplice
proprietario pro quota ovvero al comproprietario di un
immobile, e ciò per l’evidente ragione che diversamente
considerando il contegno tenuto da quest’ultimo potrebbe
pregiudicare i diritti e gli interessi qualificati dei
soggetti con cui condivida la propria posizione giuridica
sul bene oggetto di provvedimento, tuttavia tali principi
non sono applicabili per gli immobili che ricadono in
comunione legale tra i coniugi.
Quest’ultima, infatti, non è una comproprietà in cui ciascun
compartecipante è titolare di una quota pari ad 1/2 del
bene. Si tratta, invece, di un istituto particolare
(cosiddetto di tipo “germanico”) senza quote. In
sostanza, si può solo dire che tutti i soggetti sono
comproprietari dell’intero bene. Pertanto, ciascun coniuge
deve ritenersi legittimato a presentare anche uti singuli
l’istanza ad aedificandum, avendo la stessa,
peraltro, effetti favorevoli anche nei confronti del coniuge
rimasto inerte.
La l. 23.12.1996, n. 662 (art. 2, comma 37) ha introdotto,
tra le cause di improcedibilità e diniego delle domande di
condono edilizio ex l. 23.12.1994, n. 724, il tardivo
deposito dell’integrazione documentale oltre novanta giorni
dalla espressa richiesta notificata dal Comune (art. 39,
comma 4, l. n. 724 del 1994), termine ritenuto perentorio
(Cass. pen., sez. III, 29.05.2019, n. 30561; id.,
25.11.2008, n. 3583; id., 11.07.2000, n. 10969; Tar Toscana,
sez. III, 16.01.2014, n. 75; Tar Sardegna 29.08.2003, n.
1043), la cui scadenza produce quindi l’effetto di rendere
definitivamente improcedibile la domanda di sanatoria.
Inoltre, tale disciplina è applicabile anche alle domande di
condono precedentemente presentate ai sensi della l.
28.02.1985, n. 47, per le quali non fosse maturato il
silenzio-assenso a causa della carenza di integrazioni
documentali necessarie, come previsto dall’art. 49, comma 7,
l. 27.12.1997, n. 449 (Tar
Napoli, sez. IV, 25.02.2016, n. 1032).
Tuttavia, l’improcedibilità della domanda deve essere
oggetto di una statuizione espressa del Comune, con la
conseguenza che finché questa non sopravviene la
documentazione tardivamente prodotta dall’istante è sempre
esaminabile e suscettibile di portare a determinazioni
diverse; ciò in quanto la norma non è strutturata in modo da
configurare una sorta di ipotesi di silenzio-rigetto né una
consumazione del potere dell’amministrazione comunale
(Consiglio di Stato, Sez. II,
sentenza 12.03.2020 n. 1766 - link a
www.giustizia-amministrartiva.it).
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SENTENZA
1. Rileva il Collegio che il ricorso oggetto del presente giudizio è
stato proposto dall’attuale appellante signor Au.An. avverso
la concessione in sanatoria n. 1242 del 28.04.2003
rilasciata a favore degli appellati signori Ca..
Parte appellante deduce che il titolo edilizio era stato
richiesto solo da un comproprietario, ovvero dal
proprietario pro quota e nella specie dal signor Ca.Ar.,
mentre nessuna richiesta in tal senso era stata formalizzata
dall’altro soggetto avente titolo (ovvero dalla signora
Ma.Ma.).
2. In effetti, questo Consiglio, in tema di soggetto
legittimato all’istanza di rilascio di titolo edilizio e
proprietario pro quota, ha affermato inequivocabilmente che
il soggetto legittimato alla richiesta del titolo
abilitativo deve essere colui che abbia la totale
disponibilità del bene, pertanto l’intera proprietà dello
stesso e non solo una parte o quota di esso.
Non può invece riconoscersi legittimazione, al contrario, al
semplice proprietario pro quota ovvero al comproprietario di
un immobile, e ciò per l’evidente ragione che diversamente
considerando il contegno tenuto da quest’ultimo potrebbe
pregiudicare i diritti e gli interessi qualificati dei
soggetti con cui condivida la propria posizione giuridica
sul bene oggetto di provvedimento.
In caso di pluralità di proprietari del medesimo immobile,
di conseguenza, la domanda di rilascio di titolo edilizio
-sia esso o meno titolo in sanatoria di interventi già
realizzati- dovrà necessariamente provenire congiuntamente
da tutti i soggetti vantanti un diritto di proprietà
sull’immobile, potendosi ritenere d’altra parte legittimato
alla presentazione della domanda il singolo comproprietario
solo ed esclusivamente nel caso in cui la situazione di
fatto esistente sul bene consenta di supporre l’esistenza di
una sorta di cd. pactum fiduciae intercorrente tra i
vari comproprietari (cfr., da ultimo, Consiglio di Stato,
Sez. IV, 07.09.2016, n. 3823).
Pertanto, deve sicuramente, conseguentemente, ritenersi
illegittimo il titolo abilitativo rilasciato in base alla
richiesta di un solo comproprietario, dovendo
l’Amministrazione verificare la sussistenza, in capo al
richiedente stesso, di un titolo idoneo di godimento
sull’immobile ed accertare, altresì, la legittimazione
soggettiva di quest’ultimo, la quale presuppone il consenso,
anche tacito, dell’altro proprietario in regime di
comunione.
Tuttavia, tali principi non sono applicabili per gli
immobili che ricadono in comunione legale tra i coniugi,
come appare la situazione nel caso di specie.
Occorre, quindi, trovare un principio in base al quale
risolvere le diverse questioni che si possono porre, in
quanto la comunione di un bene fra due soggetti non è una
comproprietà in cui ciascun compartecipante è titolare di
una quota pari ad 1/2 del bene. Si tratta, invece, di un
istituto particolare (cosiddetto di tipo “germanico”)
senza quote. In sostanza, si può solo dire che tutti i
soggetti sono comproprietari dell’intero bene.
Questi sono i principi costantemente affermati, nella
giurisprudenza di legittimità, relativamente, ad esempio, al
pignoramento ed all’espropriazione coattiva di un bene in
comunione, in quanto la comunione tra coniugi ha la
peculiarità di essere senza quote o “a mani riunite”,
nel senso che, pur essendo entrambi i coniugi contitolari al
50%, lo sono, tuttavia, sull’intero bene (o beni in caso di
diversi cespiti) (cfr., ex multis, Cassazione civ.,
sez. III, 31.03.2016, n. 6230).
Anche sotto il profilo penale emerge la differenza tra bene
in comproprietà e bene in comunione legale dei coniugi,
proprio in tema di responsabilità di un coniuge per il fatto
materialmente commesso dall’altro.
In tema di reati edilizi, infatti, la responsabilità di un
coniuge per il fatto materialmente commesso dall’altro può
essere rilevata sulla base di oggettivi elementi di
valutazione quali il comune interesse all’edificazione, il
regime di comunione dei beni, l’acquiescenza all’esecuzione
dell’intervento, la presenza sul luogo di esecuzione dei
lavori, l’espletamento di attività di controllo
sull’esecuzione dei lavori, la presentazione di istanze o
richieste concernenti l’immobile o l’esecuzione di attività
indicative di una partecipazione all’attività illecita (cfr.,
ex multis, Cass. pen. Sez. III 14.11.2018, n. 51489).
Conseguentemente, poiché in tema di comunione legale dei
beni, il singolo coniuge è proprietario non pro quota ma
indistintamente dell’intero bene, deve ritenersi legittimato
a presentare anche uti singuli l’istanza di
sanatoria, avendo la stessa, peraltro, effetti favorevoli
anche nei confronti del coniuge rimasto inerte, come
legittimamente è avvenuto nel caso in esame. |
EDILIZIA PRIVATA: L’art. 11, comma 1, del Dpr n. 308/2001 stabilisce che il permesso di
costruire è rilasciato al “proprietario dell’immobile o a chi abbia titolo
per richiederlo”.
Orbene, per il rilascio del titolo abilitativo edilizio è
sufficiente la titolarità di un diritto personale compatibile con
l’intervento da realizzare; quindi ha titolo al rilascio dell’atto di
assentimento anche colui che sia titolare di un diritto personale e abbia,
per effetto di questo, la facoltà di eseguire i lavori.
Peraltro, non grava
sull’amministrazione un particolare accertamento sulla misura dei diritti di
terzi: l’amministrazione, invero, rilascia il titolo con la locuzione “salvi
i diritti dei terzi” proprio perché è estraneo al suo potere di accertamento
l’esame di eventuali limiti del richiedente all’esercizio dell’attività
edificatoria.
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Con il primo ordine di censure, i ricorrenti deducono il difetto di
legittimazione della società So.Le. srl a richiedere e conseguire il P.
di C. in deroga poiché mero conduttore dell'immobile, non essendo neppure
prevista nel contratto di locazione la potestà di richiedere titoli edilizi
in deroga e per la realizzazione di un Centro diurno per l’accoglienza
giornaliera di 20 utenti psichiatrici.
L’assunto è infondato.
L’art. 11, comma 1, del Dpr n. 308/2001 stabilisce che il permesso di
costruire è rilasciato al “proprietario dell’immobile o a chi abbia titolo
per richiederlo”. Orbene, secondo la recente sentenza del Consiglio di
Stato, n. 568 del 2012, per il rilascio del titolo abilitativo edilizio è
sufficiente la titolarità di un diritto personale compatibile con
l’intervento da realizzare; quindi ha titolo al rilascio dell’atto di
assentimento anche colui che sia titolare di un diritto personale e abbia,
per effetto di questo, la facoltà di eseguire i lavori.
Peraltro, non grava
sull’amministrazione un particolare accertamento sulla misura dei diritti di
terzi: l’amministrazione, invero, rilascia il titolo con la locuzione “salvi
i diritti dei terzi” proprio perché è estraneo al suo potere di accertamento
l’esame di eventuali limiti del richiedente all’esercizio dell’attività
edificatoria.
Nella specie, il contratto di locazione 24/02/2014, prevede espressamente la
facoltà della conduttrice Sol Levante all’utilizzo di una parte
dell’immobile “per adibirla a struttura sanitaria e/o socio sanitaria e/o
socio assistenziale”, previa esecuzione a proprie spese dei “lavori di
adattamento e di adeguamento normativo necessari per svolgere la suddetta
attività”. All’art. 1, periodi 2 e 6, è chiaramente stabilito che “La
porzione in oggetto viene concessa in locazione per essere destinata
esclusivamente allo svolgimento di attività sanitaria e/o socio sanitaria
e/o socio assistenziale” e che “Il locatore autorizza sin d’ora la
conduttrice a richiedere i permessi, le concessioni, le autorizzazioni
edilizie, sanitarie e quant’altro necessario”
(TAR Puglia-Lecce, Sez. I,
sentenza 13.02.2020 n. 192 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Oggetto:
Chiarimenti in merito alla titolarità a richiedere o
presentare un titolo edilizio
(Regione Emilia Romagna,
nota 03.02.2020 n. 79334 di prot.). |
anno 2019 |
|
EDILIZIA PRIVATA: Legittimazione
alla richiesta del permesso di costruire e
controlli che competono al Comune.
In materia di sanatoria degli abusi edilizi
la normativa di riferimento (art. 36 d.P.R.
n. 380/2001) ammette la proposizione
dell’istanza da parte non solo del
proprietario ma anche del “responsabile
dell’abuso”, tale dovendo intendersi lo
stesso esecutore materiale ovvero chi abbia
la disponibilità del bene al momento
dell’emissione della misura repressiva, e
quindi vi è una relativamente maggiore
ampiezza della legittimazione a richiedere
la sanatoria.
----------------
La domanda volta al
rilascio del permesso di costruire (inclusa
quello in sanatoria) può essere presentata
anche da persona diversa dal proprietario,
purché il richiedente abbia titolo a
disporre del suolo e vi sia la materiale
disponibilità dell'area da parte
dell'istante, anche se persona diversa dal
proprietario, per cui è legittimato anche un
soggetto, come il conduttore, che si trovi
rispetto al bene immobile in un rapporto
qualificato.
Deve quindi escludersi che il
titolare di un diritto di servitù non abbia
la legittimazione a chiedere il rilascio di
un permesso di costruire per lavori da
eseguire sul fondo servente, ponendosi
esclusivamente un problema di limiti, cioè
del rispetto dell’art. 1069 c.c. secondo il
quale il proprietario del fondo dominante
può effettuare sul fondo servente le sole
opere necessarie per conservare la servitù.
---------------
Per quanto riguarda poi i controlli che
competono all’amministrazione in sede di
rilascio del titolo abilitativo edilizio,
sussiste l’obbligo per il Comune di
verificare il rispetto da parte dell’istante
dei limiti privatistici, a condizione che
tali limiti siano effettivamente conosciuti
o immediatamente conoscibili e/o non
contestati, di modo che il controllo da
parte dell’Ente locale si traduca in una
semplice presa d’atto dei limiti medesimi
senza necessità di procedere ad un’accurata
e approfondita disanima dei rapporti
civilistici, sicché l’amministrazione
normalmente non è tenuta a svolgere indagini
particolari in presenza di una richiesta
edificatoria, salvo che sia manifestamente
riconoscibile l’effettiva insussistenza
della piena disponibilità del bene oggetto
dell’intervento edificatorio in relazione al
tipo di intervento richiesto.
L’accertamento
demandato all’Ente locale va compiuto con
“serietà e rigore” e la più recente
giurisprudenza, superando l'indirizzo più
risalente, è oggi allineata nel senso che
l'Amministrazione, quando venga a conoscenza
dell'esistenza di contestazioni sul diritto
del richiedente il titolo abilitativo, debba
compiere le necessarie indagini istruttorie
per verificare la fondatezza delle
contestazioni, senza però sostituirsi a
valutazioni squisitamente civilistiche (che
appartengono alla competenza dell’A.G.O.),
arrestandosi dal procedere solo se il
richiedente non sia in grado di fornire
elementi prima facie attendibili.
---------------
2. Venendo al merito, il primo motivo
di ricorso è infondato.
In materia di sanatoria degli abusi edilizi
la normativa di riferimento (art. 36 d.P.R.
n. 380/2001) ammette la proposizione
dell’istanza da parte non solo del
proprietario ma anche del “responsabile
dell’abuso”, tale dovendo intendersi lo
stesso esecutore materiale ovvero chi abbia
la disponibilità del bene al momento
dell’emissione della misura repressiva, e
quindi vi è una relativamente maggiore
ampiezza della legittimazione a richiedere
la sanatoria (v., tra le altre, Cons. Stato,
Sez. VI, 26.01.2015 n. 316; in tal
senso TAR Lombardia, Milano, II, 18/06/2019
n. 1405).
In ogni caso la giurisprudenza (C.G.A.R.S.
09/07/2018 n. 395) afferma che la domanda
volta al rilascio della concessione edilizia
(inclusa quella in sanatoria) può essere
presentata anche da persona diversa dal
proprietario, purché il richiedente abbia
titolo a disporre del suolo e vi sia la
materiale disponibilità dell'area da parte
dell'istante, anche se persona diversa dal
proprietario, per cui è legittimato anche un
soggetto, come il conduttore, che si trovi
rispetto al bene immobile in un rapporto
qualificato (tra le altre, Cons. Stato, sez.
VI, 15.07.2010, n. 4557).
Deve quindi escludersi che il titolare di un
diritto di servitù non abbia la
legittimazione a chiedere il rilascio di un
permesso di costruire per lavori da eseguire
sul fondo servente, ponendosi esclusivamente
un problema di limiti, cioè del rispetto
dell’art. 1069 c.c. secondo il quale il
proprietario del fondo dominante può
effettuare sul fondo servente le sole opere
necessarie per conservare la servitù.
Per quanto riguarda poi i controlli che
competono all’amministrazione, secondo il
consolidato orientamento della
giurisprudenza amministrativa (da ultimo TAR
Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza
21.01.2019 n. 70), in sede di rilascio del
titolo abilitativo edilizio sussiste
l’obbligo per il Comune di verificare il
rispetto da parte dell’istante dei limiti
privatistici, a condizione che tali limiti
siano effettivamente conosciuti o
immediatamente conoscibili e/o non
contestati, di modo che il controllo da
parte dell’Ente locale si traduca in una
semplice presa d’atto dei limiti medesimi
senza necessità di procedere ad un’accurata
e approfondita disanima dei rapporti
civilistici, sicché l’amministrazione
normalmente non è tenuta a svolgere indagini
particolari in presenza di una richiesta
edificatoria, salvo che sia manifestamente
riconoscibile l’effettiva insussistenza
della piena disponibilità del bene oggetto
dell’intervento edificatorio in relazione al
tipo di intervento richiesto (Consiglio di
Stato, sez. VI – 05/04/2018 n. 2121);
l’accertamento demandato all’Ente locale va
compiuto con “serietà e rigore”, e “la più
recente giurisprudenza del Consiglio di
Stato, superando l'indirizzo più risalente,
è oggi allineata nel senso che
l'Amministrazione, quando venga a conoscenza
dell'esistenza di contestazioni sul diritto
del richiedente il titolo abilitativo, debba
compiere le necessarie indagini istruttorie
per verificare la fondatezza delle
contestazioni, senza però sostituirsi a
valutazioni squisitamente civilistiche (che
appartengono alla competenza dell’A.G.O.),
arrestandosi dal procedere solo se il
richiedente non sia in grado di fornire
elementi prima facie attendibili” (Consiglio
di Stato, sez. IV – 20/04/2018 n. 2397).
Nel caso di specie il Comune ha accertato
che “la richiedente ha titolo per chiedere
il suddetto permesso in qualità di
proprietaria del mappale distinto col Fg. 33
n. 228 e di comproprietaria del fabbricato
distinto col Fg. 33 n. 22, come risulta
dalla documentazione agli atti” e che “il mappale distinto col Fg. 33 n. 21 è gravato
da servitù di passo a favore del fabbricato
distinto col Fg. 33 mappali nn. 22 e 247”.
Gli elementi in suo possesso, cioè la
dichiarazione dell’esistenza della servitù
di passo da parte dell’usufruttuario del
fondo gravato e i dati fotografici in
possesso dell’amministrazione costituiscono
elementi prima facie attendibili, che
giustificano il rilascio del suddetto
titolo.
Non tocca infatti al Comune accertare
l’estensione della suddetta servitù ed il
suo eventuale aggravio, soprattutto alla
luce del fatto che essa non è di fonte
scritta e quindi di pronto e facile
accertamento e del fatto che le differenze
dimensionali tra la situazione precedente e
quella successiva alle opere non risultano
facilmente percepibili dal corredo
fotografico delle parti, come d’altronde
confermato anche dal CTU nella causa civile,
il quale ha affermato che “sulla base della
documentazione contenuta in atti, non è
possibile infatti definire le consistenze
della soletta prima dell’esecuzione delle
opere, le foto non permettono di poter
determinare metricamente la situazione quo
ante” (citazione tratta dalla sentenza della
Corte d’Appello di Milano, sentenza n.
1886/2019).
Ne consegue che neppure la
previa contestazione in merito all’avvenuto
ampliamento della servitù mediante
usucapione, inviata dalla nuda proprietaria
in contrasto con quanto affermato
dall’usufruttuario dello stesso fondo e
priva di elementi oggettivi chiari, può
costituire valida causa di diniego di
rilascio del permesso di costruire in
sanatoria richiesto dall’autore dell’abuso.
A ciò si aggiunge che in entrambi i gradi
del giudizio civile instaurato dall’altro
nudo comproprietario -OMISSIS- -OMISSIS- il
giudice civile, con riferimento alla
realizzazione del muro di sostegno e della
rampa di accesso, ha accertato che
rientravano nelle opere di conservazione
della servitù (v. sentenza della Corte
d’Appello n. 1886/19 pag. 10)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 23.12.2019 n. 2728 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Poteri
di controllo sulla legittimazione alla
richiesta del titolo abilitativo.
Il TAR Brescia, con
riferimento ai poteri di controllo sulla
legittimazione alla richiesta del titolo
abilitativo chiarisce che:
- in base all’art. 11, comma 1, del DPR 380/2001, il permesso di
costruire è rilasciato al proprietario
dell'immobile o a chi abbia titolo per
richiederlo, e tale ultima espressione va
intesa nel senso più ampio di una legittima
disponibilità dell’area, in base ad una
relazione qualificata con il bene, sia essa
di natura reale, o anche solo obbligatoria,
purché, in questo caso, con il consenso del
proprietario;
- il controllo sulla legittimazione all’istanza del titolo
abilitativo va esercitato con serietà e
rigore, dovendo pertanto l’autorità pubblica
accertare che l’istante sia il proprietario
dell'immobile oggetto dell'intervento
costruttivo o che, comunque, abbia un titolo
di disponibilità sufficiente per eseguire
l'attività edificatoria;
- l’onere del Comune è dunque quello ricercare la sussistenza di un
titolo (di proprietà, di altri diritti
reali, etc.) che fonda una relazione
giuridicamente qualificata tra soggetto e
bene oggetto dell’intervento, e che possa
renderlo destinatario di un provvedimento
amministrativo autorizzatorio, senza che
l’Ente locale debba comprovare –prima del
rilascio– la “pienezza” (nel senso di
assenza di limitazioni) del titolo medesimo,
dato che ciò comporterebbe l’attribuzione
all’amministrazione di un potere di
accertamento della sussistenza (o meno) di
diritti reali e del loro “contenuto”, ad
essa non assegnato dall’ordinamento;
- in sede di rilascio del titolo abilitativo edilizio sussiste
l’obbligo per il Comune di verificare il
rispetto da parte dell’istante dei limiti
privatistici, a condizione che tali limiti
siano effettivamente conosciuti o
immediatamente conoscibili e/o non
contestati, di modo che il controllo da
parte dell’Ente locale si traduca in una
semplice presa d’atto dei limiti medesimi
senza necessità di procedere ad un’accurata
e approfondita disanima dei rapporti
civilistici, sicché l’amministrazione
normalmente non è tenuta a svolgere indagini
particolari in presenza di una richiesta
edificatoria, salvo che sia manifestamente
riconoscibile l’effettiva insussistenza
della piena disponibilità del bene oggetto
dell’intervento edificatorio in relazione al
tipo di intervento richiesto;
- l’accertamento demandato all’Ente locale va compiuto con serietà
e rigore, e la più recente giurisprudenza,
superando l'indirizzo più risalente, è oggi
allineata nel senso che l'Amministrazione,
quando venga a conoscenza dell'esistenza di
contestazioni sul diritto del richiedente il
titolo abilitativo, debba compiere le
necessarie indagini istruttorie per
verificare la fondatezza delle
contestazioni, senza però sostituirsi a
valutazioni squisitamente civilistiche (che
appartengono alla competenza dell’A.G.O.),
arrestandosi dal procedere solo se il
richiedente non sia in grado di fornire
elementi prima facie attendibili
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 21.01.2019 n. 70 - commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
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0.2 I controinteressati sostengono altresì
che il ricorso è improcedibile per
sopravvenuta carenza di interesse in quanto,
successivamente all’impugnata nota del
06/06/2011, il Comune ha avviato un secondo
procedimento di verifica dei titoli
abilitativi rilasciati ai controinteressati,
concluso con nota 27/04/2012 che sospende
ogni determinazione sino alla definizione
del giudizio incardinato presso il giudice
ordinario per l’accertamento della proprietà
del mappale n. 92.
Detta nota –trasmessa anche all’indirizzo
del ricorrente come si evince dalla
corrispondenza intercorsa (si vedano i doc.
8 e 11 dei controinteressati)– non è stata
ritualmente gravata, per cui il Sig. Ma. non
può vantare alcun interesse alla decisione
del ricorso.
Anche detta eccezione è fondata.
0.2a Come sostenuto dalla difesa dei
controinteressati, in caso di annullamento
del provvedimento 06/06/2011, il
procedimento avviato per verificare la
legittimità dei titoli abilitativi
rilasciati rimarrebbe sospeso in forza della
nota 27/04/2012, non contestata sede
giurisdizionale. Si è peraltro già rilevato
che il Sig. Ma. –nell’ambito del giudizio
promosso dai controinteressati (e radicato
presso questo TAR al n. 688/2013 r.g.)– ha
accettato di attendere la risoluzione della
controversia petitoria prima di dare
esecuzione alle opere assentite sull’unità
immobiliare (cfr. verbale d’udienza e
ordinanza collegiale di questa Sezione
03/09/2013 n. 753).
0.2b Nella memoria di replica, parte
ricorrente qualifica l’atto 27/04/2012 come
“soprassessorio”, a mezzo del quale il
Comune “ha deciso di non decidere”
sospendendo il procedimento sino alla
definizione del giudizio presso il Tribunale
di Mantova per l’accertamento della
proprietà del mappale 92.
0.2c Al riguardo, va obiettato anzitutto che
è pienamente ammissibile la denuncia
dell’illegittimità di un provvedimento
soprassessorio, avvalendosi dei rimedi
previsti per il silenzio amministrativo.
Come ha statuito questo TAR (cfr. sez. II –
23/03/2016 n. 442) <<Se, infatti, il
processo amministrativo non è più soltanto
rivolto all’annullamento di un
provvedimento, e alla necessità stabilita
dalle norme sostanziali (art. 2 della L.
241/1990) di ottenere la conclusione del
procedimento con un atto espresso ha fatto
seguito la possibilità di equiparare in
giudizio l’atto soprassessorio al silenzio (cfr.
TAR Liguria – 28/09/2015 n. 753 e la
giurisprudenza ivi richiamata) … l’atto
soprassessorio, il quale determini una
definitiva interruzione del procedimento, ha
un contenuto sostanzialmente reiettivo
dell'istanza del privato … nel rinviare il
soddisfacimento dell'interesse pretensivo a
un accadimento futuro e incerto nel quando,
lo stesso determina un arresto a tempo
indeterminato del procedimento
amministrativo, ledendo in via immediata la
posizione giuridica dell'interessato per
cui, come tale, costituisce un'eccezione
alla regola per la quale l’atto
endo-procedimentale non è autonomamente
impugnabile (cfr. TAR Sicilia Palermo, sez.
II – 26/05/2015 n. 1243)>>. Più
recentemente, e nello stesso senso, si
segnala TAR Campania Salerno, sez. II –
10/07/2018 n. 1055.
0.2d Quanto all’ulteriore profilo, la
declaratoria di improcedibilità di un
gravame giurisdizionale è ancorata al rigido
e inequivocabile accertamento dei suoi
presupposti legittimanti nel processo
amministrativo, e dunque può essere
pronunciata al verificarsi di una situazione
di fatto o di diritto nuova, che muta
radicalmente la situazione esistente al
momento della proposizione del ricorso: tale
sopravvenienza, inoltre, deve essere tale da
rendere certa e definitiva l'inutilità della
sentenza, per aver fatto venir meno per il
ricorrente qualsiasi residua utilità della
pronuncia, anche soltanto strumentale o
morale (cfr. Consiglio di Stato, sez. II –
parere 13/11/2018 n. 2612; sentenza Sezione
01/03/2018 n. 247).
Va sul punto ribadito che la caducazione del
provvedimento 06/06/2011 non si
ripercuoterebbe automaticamente sull’atto
27/04/2012, non ritualmente contestato in
giudizio, e dunque si perpetuerebbe comunque
la sospensione del procedimento avviato per
la rimozione in autotutela dei titoli
edilizi pregressi.
1. In ogni caso, è opinione del Collegio che
il ricorso sia anche infondato nel merito,
per le ragioni sinteticamente illustrate di
seguito:
- in base all’art. 11, comma 1, del DPR 380/2001 il permesso di
costruire è rilasciato al proprietario
dell'immobile o a chi abbia titolo per
richiederlo, e tale ultima espressione va
intesa nel senso più ampio di una legittima
disponibilità dell’area, in base ad una
relazione qualificata con il bene, sia essa
di natura reale, o anche solo obbligatoria,
purché, in questo caso, con il consenso del
proprietario (Consiglio di Stato, sez. IV –
28/03/2018 n. 1949, il quale ha precisato
che “il Comune, prima di rilasciare il
titolo, ha sempre l'onere di verificare la
legittimazione del richiedente, accertando
che questi sia il proprietario dell'immobile
oggetto dell'intervento costruttivo o che,
comunque, ne abbia un titolo di
disponibilità sufficiente per eseguire
l'attività edificatoria (Cons. Stato, sez.
IV, n. 4818/2014 cit.; in senso conforme,
sez. V, 04.04.2012 n. 1990)”;
- il controllo sulla legittimazione all’istanza del titolo
abilitativo va esercitato con serietà e
rigore, dovendo pertanto l’autorità pubblica
accertare che l’istante sia il proprietario
dell'immobile oggetto dell'intervento
costruttivo o che, comunque, abbia un titolo
di disponibilità sufficiente per eseguire
l'attività edificatoria (Consiglio di Stato,
sez. IV – 25/05/2018 n. 3143);
- l’onere del Comune è dunque quello ricercare la sussistenza di un
titolo (di proprietà, di altri diritti
reali, etc.) che fonda una relazione
giuridicamente qualificata tra soggetto e
bene oggetto dell’intervento, e che possa
renderlo destinatario di un provvedimento
amministrativo autorizzatorio, senza che
l’Ente locale debba comprovare –prima del
rilascio– la “pienezza” (nel senso di
assenza di limitazioni) del titolo medesimo,
dato che ciò comporterebbe l’attribuzione
all’amministrazione di un potere di
accertamento della sussistenza (o meno) di
diritti reali e del loro “contenuto”,
ad essa non assegnato dall’ordinamento;
- in linea di diritto, secondo il consolidato orientamento della
giurisprudenza amministrativa, in sede di
rilascio del titolo abilitativo edilizio
sussiste l’obbligo per il Comune di
verificare il rispetto da parte dell’istante
dei limiti privatistici, a condizione che
tali limiti siano effettivamente conosciuti
o immediatamente conoscibili e/o non
contestati, di modo che il controllo da
parte dell’Ente locale si traduca in una
semplice presa d’atto dei limiti medesimi
senza necessità di procedere ad un’accurata
e approfondita disanima dei rapporti
civilistici, sicché l’amministrazione
normalmente non è tenuta a svolgere indagini
particolari in presenza di una richiesta
edificatoria, salvo che sia manifestamente
riconoscibile l’effettiva insussistenza
della piena disponibilità del bene oggetto
dell’intervento edificatorio in relazione al
tipo di intervento richiesto (Consiglio di
Stato, sez. VI – 05/04/2018 n. 2121);
- l’accertamento demandato all’Ente locale va compiuto con “serietà
e rigore”, e “la più recente
giurisprudenza del Consiglio di Stato,
superando l'indirizzo più risalente, è oggi
allineata nel senso che l'Amministrazione,
quando venga a conoscenza dell'esistenza di
contestazioni sul diritto del richiedente il
titolo abilitativo, debba compiere le
necessarie indagini istruttorie per
verificare la fondatezza delle
contestazioni, senza però sostituirsi a
valutazioni squisitamente civilistiche (che
appartengono alla competenza dell’A.G.O.),
arrestandosi dal procedere solo se il
richiedente non sia in grado di fornire
elementi prima facie attendibili”
(Consiglio di Stato, sez. IV – 20/04/2018 n.
2397);
- nella fattispecie, l’amministrazione ha rilasciato i titoli
abilitativi ai controinteressati alla luce
delle dichiarazioni e dei documenti allegati
alle pratiche edilizie dell’epoca;
- nel momento in cui parte ricorrente ha segnalato (cfr. suo doc.
6) anomalie e vizi nell’emissione delle
concessioni edilizie e in generale degli
atti autorizzatori, il Comune si è attivato
e ha approfondito la questione, nel
contraddittorio delle parti;
- l’instaurazione di un giudizio petitorio (che tra l’altro, nel
processo di primo grado, ha visto il
riconoscimento della pretesa dei
controinteressati, a favore dei quali è
stato accertato l’acquisto del mappale n. 92
per usucapione) ha correttamente indotto
l’amministrazione ad arrestare il
procedimento di verifica, in attesa
dell’esito definitivo;
- la controversia sulla proprietà dell’immobile coltivata in sede
giudiziaria, che vede le parti su posizioni
contrapposte, giustifica e legittima la
scelta del Comune di attendere
l’accertamento del giudice ordinario prima
di assumere qualsiasi determinazione
irreversibile sui titoli abilitativi
rilasciati;
- i vizi del certificato di agibilità non si ripercuotono
automaticamente sugli atti autorizzatori
presupposti, salvo l’esito dell’accertamento
del diritto di proprietà sulla porzione di
immobile.
2. In conclusione, il gravame proposto è in
parte irricevibile e in parte improcedibile
(e comunque è infondato nel merito). |
anno 2018 |
|
ATTI
AMMINISTRATIVI:
Come è noto, le condizioni dell'azione
giurisdizionale amministrativa sono rinvenibili nella
legittimazione ad agire e nell'interesse a ricorrere, la
prima intesa come titolarità di una situazione soggettiva
qualificata, la seconda come vantaggio dall'accoglimento del
ricorso ex art. 100 c.p.c., il che vale a qualificare la
posizione dell'istante distinguendola da quella,
indifferenziata, del quisque de populo.
Nel caso di specie, se può convenirsi in merito
all’esistenza di un interesse della società che in tale
senso argomenta in ordine al pregiudizio che assume possa
derivarne alla propria posizione di promissario acquirente,
tale posizione si qualifica come interesse di mero fatto.
Non è infatti sufficiente che dalla proposizione del gravame
il ricorrente si proponga di conseguire una utilità o
posizione di vantaggio che attiene ad uno specifico bene
della vita, ma occorre anche, sul presupposto piano
sostanziale, che l’interessato sia titolare di una posizione
personale differenziata che lo ponga in relazione diretta
con l’atto che intende contestare tale da collocarlo in una
situazione differente dall'aspirazione alla mera ed astratta
legittimità dell'azione amministrativa genericamente
riferibile a tutti i consociati.
---------------
5. Con il ricorso rubricato al n. RG 336/2018 le società La
Pr. e Op. S.r.l. (promissaria acquirente del terreno di cui
la prima è proprietaria) contestano il provvedimento del
28.12.2017 con cui il Comune di Siena ha respinto l’istanza
di permesso di costruire nuovamente presentata.
6. Preliminarmente va esaminata l’eccezione, avanzata dalla
difesa del Comune, di difetto di legittimazione attiva a
ricorrere della Op. s.r.l. in quanto non titolare di alcuna
posizione sostanziale che ne sorregga in giudizio l’azione
proposta.
L’eccezione è fondata.
Come è noto, le condizioni dell'azione giurisdizionale
amministrativa sono rinvenibili nella legittimazione ad
agire e nell'interesse a ricorrere, la prima intesa come
titolarità di una situazione soggettiva qualificata, la
seconda come vantaggio dall'accoglimento del ricorso ex art.
100 c.p.c., il che vale a qualificare la posizione
dell'istante distinguendola da quella, indifferenziata, del
quisque de populo (Cons. Stato, sez. V, 29.03.2011 n.
1928; id., sez. IV n. 8364/2010; id., sez. VI n. 413/2010).
Nel caso di specie, se può convenirsi in merito
all’esistenza di un interesse della società che in tale
senso argomenta in ordine al pregiudizio che assume possa
derivarne alla propria posizione di promissario acquirente,
tale posizione si qualifica come interesse di mero fatto.
Non è infatti sufficiente che dalla proposizione del gravame
il ricorrente si proponga di conseguire una utilità o
posizione di vantaggio che attiene ad uno specifico bene
della vita, ma occorre anche, sul presupposto piano
sostanziale, che l’interessato sia titolare di una posizione
personale differenziata che lo ponga in relazione diretta
con l’atto che intende contestare tale da collocarlo in una
situazione differente dall'aspirazione alla mera ed astratta
legittimità dell'azione amministrativa genericamente
riferibile a tutti i consociati (Cons. Stato, sez. IV,
22.01.2018 n. 389).
Ne segue che va dichiarato il difetto di legittimazione
attiva della società Op. s.r.l. (TAR Toscana, Sez. III,
sentenza 12.10.2018 n. 1309 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Rilascio titolo edilizio e mancata preliminare verifica
comunale della legittimazione a richiederlo.
In presenza di contestazione della
titolarità dominicale dell’area sulla quale il titolo
edificatorio è destinato ad incidere, si rinvia ai
consolidati principi elaborati dalla giurisprudenza secondo
cui:
- premesso che, in base all'art. 11, comma 1, del T.U. edilizia di
cui al D.P.R. 380/2001, il permesso di costruire è
rilasciato al proprietario dell'immobile o a chi abbia
titolo per richiederlo, la legittimazione attiva a chiedere
il rilascio di un titolo abilitativo edilizio si configura
in capo non solo al proprietario del terreno, ma pure al
soggetto titolare di altro diritto di godimento del fondo,
che lo autorizzi a disporne al riguardo;
- vi è il contestuale onere della P.A. di accertare con serietà e
rigore siffatta legittimazione a chiedere il titolo
edilizio, dovendo pertanto la P.A. accertare che l’istante
sia il proprietario dell'immobile oggetto dell'intervento
costruttivo o che, comunque, ne abbia un titolo di
disponibilità sufficiente per eseguire l'attività
edificatoria;
- al riguardo, non si sono mai posti dubbi in ordine ai limiti
legali, i quali, trovando applicazione generalizzata,
concorrono a formare lo statuto generale dell'attività
edilizia e non pongono problemi di conoscibilità
all'amministrazione che è tenuta a considerarli sempre;
- diversamente, per le limitazioni negoziali del diritto di
costruire, la giurisprudenza in passato ha oscillato fra la
soluzione che ne esclude ogni rilevanza, nel presupposto che
all'amministrazione sia inibito qualsiasi sindacato anche
indiretto sulla validità ed efficacia dei rapporti giuridici
dei privati, e quella opposta che, invece, ammette che il
Comune verifichi il rispetto dei limiti privatistici, purché
siano immediatamente conoscibili, effettivamente e
legittimamente conosciuti nonché del tutto incontestati, di
guisa che il controllo si traduca in una semplice presa
d'atto;
- la più recente giurisprudenza del Consiglio di Stato, superando
l'indirizzo più risalente, è oggi allineata nel senso che
l'Amministrazione, quando venga a conoscenza dell'esistenza
di contestazioni sul diritto del richiedente il titolo
abilitativo, debba compiere le necessarie indagini
istruttorie per verificare la fondatezza delle
contestazioni, senza però sostituirsi a valutazioni
squisitamente civilistiche (che appartengono alla competenza
dell’A.G.O.), arrestandosi dal procedere solo se il
richiedente non sia in grado di fornire elementi prima facie
attendibili.
---------------
1. Con unico argomento di censura, parte ricorrente lamenta
che l’intimata Amministrazione comunale, nel rilasciare alla
controinteressata Sa.Gi.Va. il titolo edificatorio n.
182/2008, abbia omesso di verificare l’effettiva
disponibilità, in capo a quest’ultima, delle aree
interessate dall’attività di trasformazione; in particolare,
lamentando che una porzione di esse –con estensione di mq.
10 circa; e sulla quale insistono il muro e il cancello del
finitimo villaggio turistico- ricadrebbe su parte del
mappale 1151, di proprietà Br.–Du.Gi..
Pur a fronte delle sollecitazioni dalla parte ricorrente
indirizzate all’Amministrazione comunale –e volte a
promuovere una verifica del reale assetto dominicale
dell’area interessata; con conseguente esercizio del potere
di autotutela– l’Amministrazione non provvedeva nel senso
auspicato da Br..
Come osservato da questo Tribunale in sede cautelare –e
ribadito anche dalla controinteressata (cfr. memoria
depositata in atti il 19.06.2018)– la titolarità dell’area
de qua è, allo stato, controversa.
Quest’ultima, nel suindicato scritto difensivo, ha
precisato:
- di aver “arretrato il proprio cancello arretrato rispetto alla
posizione autorizzata in prime cure, su un’area che
pacificamente è di sua proprietà” (come accertato in
sede civile dal CTU nominato Arch. Pa. nel ricorso per
accertamento tecnico preventivo promosso dai proprietari
dell’area fratelli Ta. e dalla loro madre Co.Is.);
- che risulta essere stato promosso giudizio petitorio per
l’accertamento dei confini, lungo tutta la proprietà, e non
riguardante il solo ingresso oggetto delle opere edilizie
qui contestate: il relativo giudizio risultando tuttora
pendente innanzi alla Corte d’Appello di Brescia, iscritto a
ruolo con il n. 1139/2015 (l’udienza di precisazione delle
conclusioni si è tenuta in data 09.05.2018).
2. Impregiudicato, ovviamente, l’esito del petitorio –in
ragione della ovvia appartenenza della cognizione in ordine
ad esso all’A.G.O.– il perimetro cognitivo del presente
giudizio concerne esclusivamente la verifica di legittimità
dell’esercizio del potere sostanziatosi nel rilascio del
contestato titolo ad aedificadum in favore della
parte controinteressata.
E, in particolare, riguarda la legittima adozione di un
permesso di costruire pur in presenza della rappresentata
contestazione della titolarità dominicale di parte dell’area
sulla quale il titolo edificatorio era destinato ad
incidere.
Si rinvia, in proposito, ai consolidati principi elaborati
dalla giurisprudenza (cfr. da ultimo Cons. Stato, sez. IV,
20.04.2018 n. 2397, 19.12.2016 n. 5363, 23.05.2016 n. 2116,
07.09.2016 n. 3823, 25.09.2014 n. 4818), secondo cui:
- premesso che, in base all'art. 11, comma 1, del T.U. edilizia di
cui al D.P.R. 380/2001, il permesso di costruire è
rilasciato al proprietario dell'immobile o a chi abbia
titolo per richiederlo, la legittimazione attiva a chiedere
il rilascio di un titolo abilitativo edilizio si configura
in capo non solo al proprietario del terreno, ma pure al
soggetto titolare di altro diritto di godimento del fondo,
che lo autorizzi a disporne al riguardo (cfr. Cons. Stato,
sez. VI, 15.07.2010 n. 4557, 02.09.2011 n. 4968);
- vi è il contestuale onere della P.A. di accertare con serietà e
rigore siffatta legittimazione a chiedere il titolo edilizio
(arg. ex Cons. Stato, sez. IV, 07.09.2016 n. 3823), dovendo
pertanto la P.A. accertare che l’istante sia il proprietario
dell'immobile oggetto dell'intervento costruttivo o che,
comunque, ne abbia un titolo di disponibilità sufficiente
per eseguire l'attività edificatoria (cfr. Cons. Stato, sez.
V, 04.04.2012 n. 1990);
- al riguardo, non si sono mai posti dubbi in ordine ai limiti
legali, i quali, trovando applicazione generalizzata,
concorrono a formare lo statuto generale dell'attività
edilizia e non pongono problemi di conoscibilità
all'amministrazione che è tenuta a considerarli sempre;
- diversamente, per le limitazioni negoziali del diritto di
costruire, la giurisprudenza in passato ha oscillato fra la
soluzione che ne esclude ogni rilevanza, nel presupposto che
all'amministrazione sia inibito qualsiasi sindacato anche
indiretto sulla validità ed efficacia dei rapporti giuridici
dei privati (cfr. Cons. Stato, sez. V, 20.12.1993, n. 1341),
e quella opposta che, invece, ammette che il Comune
verifichi il rispetto dei limiti privatistici, purché siano
immediatamente conoscibili, effettivamente e legittimamente
conosciuti nonché del tutto incontestati, di guisa che il
controllo si traduca in una semplice presa d'atto (cfr.
Cons. Stato, sez. IV, 12.03.2007 n. 1206);
- la più recente giurisprudenza del Consiglio di Stato, superando
l'indirizzo più risalente, è oggi allineata nel senso che
l'Amministrazione, quando venga a conoscenza dell'esistenza
di contestazioni sul diritto del richiedente il titolo
abilitativo, debba compiere le necessarie indagini
istruttorie per verificare la fondatezza delle
contestazioni, senza però sostituirsi a valutazioni
squisitamente civilistiche (che appartengono alla competenza
dell’A.G.O.), arrestandosi dal procedere solo se il
richiedente non sia in grado di fornire elementi prima
facie attendibili.
3. Facendo applicazione dei su menzionati principi al caso
di specie, è evidente che il Comune resistente ha omesso
anche il minimo controllo sulla legittimazione dei
richiedenti la concessione edilizia a disporre, in virtù di
un titolo (legale, giudiziale ovvero negoziale), dell’intera
area: compresa la porzione (insistente su una parte del
mappale 1151) oggetto di formale e circostanziata
opposizione all’intervento costruttivo manifestata in sede
procedimentale dalla parte ricorrente.
4. In tali limiti, va dunque dato atto dell’illegittimità
dell’avversato titolo edificatorio: impregiudicato,
ovviamente, l’esito del giudizio petitorio pendente dinanzi
alla competente A.G.O., a fronte del quale competerà
comunque all’Autorità comunale nuovamente pronunziarsi in
conformità dell’accertata consistenza ed estensione
dominicale delle confinanti proprietà.
5. Quanto alla sospensione del titolo, gravata con motivi
aggiunti in ragione della pretesa esorbitanza del
provvedimento soprassessorio (concernente l’intero titolo
ad aedificandum rispetto alla portata applicativa
dell’ordinanza cautelare resa da a fronte dell’impugnazione
di cui all’atto introduttivo del giudizio), va escluso che
parte ricorrente vanti legittimazione alla sollecitazione
del sindacato giurisdizionale, come, del resto, osservato
con ordinanza di questa Sezione n. 288 del 04.05.2009 (con
la quale si è osservato che, “sotto il profilo
processuale l’utilizzo dei motivi aggiunti è improprio, in
quanto la nuova controversia, pur essendo connessa a quella
originaria, riguarda un provvedimento di segno opposto a
quello impugnato dalla società ricorrente, con inversione
della legittimazione e dell’interesse ad agire”).
I motivi aggiunti, conseguentemente, sono inammissibili (TAR
Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 28.09.2018 n. 924 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Per quanto riguarda la presentazione
della DIA si ritiene che l’espressione utilizzata dall’art.
42, comma 1, della LR 12/2005 (“il proprietario
dell'immobile o chi abbia titolo per presentare la denuncia
di inizio attività”) individui oltre al proprietario altre
due categorie di soggetti.
In primo luogo coloro che dispongono di un diritto reale
diverso dalla proprietà che conferisca il potere di
modificare l’immobile attraverso interventi edilizi. Accanto
a questi si possono considerare legittimati quanti
dispongano di un diritto di natura personale da cui derivino
aspettative edificatorie.
La promessa di vendita, e in generale il preliminare di
compravendita, costituiscono sotto questo profilo titoli
idonei, purché non vi sia una clausola con un divieto
espresso che riservi al promittente venditore la facoltà di
definire le questioni edilizie in attesa del contratto
definitivo.
---------------
8. Con il primo motivo di ricorso viene in rilievo la
questione della legittimazione del geom. Fr.Da. a presentare
la DIA.
Questo problema è alla base sia della censura del
ricorrente, che lamenta la violazione dell’art. 42, comma 1,
della LR 12/2005, sia dell’eccezione di inammissibilità
formulata dai controinteressati, i quali sostengono che il
ricorso avrebbe dovuto essere instaurato nei confronti della
società Ed. 90 snc.
9. Per quanto riguarda la presentazione della DIA si ritiene
che l’espressione utilizzata dall’art. 42, comma 1, della LR
12/2005 (“il proprietario dell'immobile o chi abbia
titolo per presentare la denuncia di inizio attività”)
individui oltre al proprietario altre due categorie di
soggetti.
In primo luogo coloro che dispongono di un diritto reale
diverso dalla proprietà che conferisca il potere di
modificare l’immobile attraverso interventi edilizi. Accanto
a questi si possono considerare legittimati quanti
dispongano di un diritto di natura personale da cui derivino
aspettative edificatorie. La promessa di vendita, e in
generale il preliminare di compravendita, costituiscono
sotto questo profilo titoli idonei (v. CS Sez. VI 03.12.2004
n. 7847), purché non vi sia una clausola con un divieto
espresso che riservi al promittente venditore la facoltà di
definire le questioni edilizie in attesa del contratto
definitivo.
Nel caso in esame la promessa di vendita contiene tra i
patti speciali una dichiarazione di disponibilità del
promittente venditore a “firmare l’eventuale
documentazione necessaria all’inoltro della pratica edilizia
al Comune” e il consenso all’effettuazione di
misurazioni e rilievi da parte del promissario acquirente.
Queste formule possono essere interpretate come
manifestazioni della volontà di trasferire immediatamente al
promissario acquirente ogni potere circa l’edificazione: del
resto la vendita di un lotto edificabile ha come finalità
intrinseca, nota alle parti, proprio la realizzazione di un
intervento edilizio.
Di conseguenza la disponibilità a firmare la documentazione
va intesa come impegno del promittente venditore a favorire
una rapida conclusione della procedura edilizia: a tale
scopo il promittente venditore si impegna a presentare a
proprio nome (o a controfirmare) una richiesta di permesso
di costruire (o una DIA) nell’eventualità che
l’amministrazione non accetti una simile richiesta formulata
dal solo promissario acquirente.
In conclusione non vi è nella promessa di vendita alcun
elemento che privi il promissario acquirente della
legittimazione a presentare una DIA. Occorre poi
sottolineare, trattandosi di promessa per persona da
nominare, che qualora l’effettivo acquirente sia un terzo è
comunque applicabile l’istituto della ratifica ex art. 2032
cc. e conseguentemente il nuovo proprietario può consolidare
a proprio vantaggio gli effetti del titolo edificatorio. In
concreto la funzione della ratifica è stata svolta dalla
volturazione della DIA su richiesta della società Ed. 90 snc
(v. sopra al punto 3)
(TAR Lombardia-Brescia,
Sez. I,
sentenza 19.07.2008 n. 830 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
E' principio pacifico in
giurisprudenza quello secondo cui il Comune, nel
procedimento di rilascio dei titoli edilizi, ha il potere e
il dovere di verificare l'esistenza, in capo al richiedente,
di tutti i presupposti per la loro emanazione e, in caso di
opere che vadano ad incidere sul diritto di altri
proprietari, è legittimo da parte dell'ente, esigere il
consenso degli stessi.
---------------
Anche nelle ipotesi di autorizzazioni in sanatoria, il
Comune è tenuto a pretendere la produzione della
dichiarazione di assenso del terzo pregiudicato -in ragione
del suo interesse contrario alla sanatoria, che potrebbe
risolversi in danno dello stesso- al solo fine di accertare
il requisito della legittimazione del richiedente alla
sanatoria e non per risolvere i conflitti di interesse tra
le parti private in ordine all'assetto proprietario degli
immobili interessati.
Ne consegue che, poiché nel caso in esame difetta, in capo
al ricorrente, quale richiedente la sanatoria, il requisito
di legittimazione consistente nella piena disponibilità
delle aree oggetto dell’intervento, dato il dissenso
espressamente manifestato anche da uno soltanto dei
contitolari dell’area dove esso insiste, la sanatoria non
poteva essere concessa.
---------------
Del pari infondato è il secondo motivo.
Ed invero, dagli atti depositati emerge che il terrazzo in
questione, già oggetto, per una parte, di una precedente
sanatoria, sovrasta una parte comune e indivisa della
proprietà dei signori Or. (foglio 24, mappale 489, sub 1),
rimasta tale anche all’esito della divisione posta in essere
per atto del notaio Fe. in data 04.11.1993; inoltre esso
poggia su mura perimetrali comuni mediante strutture di
cemento armato.
Non è possibile, quindi, sostenere che la costruzione non
riguardi parti comuni dell’edificio, dal momento che, anche
a voler ammettere che il terrazzo in questione sia di
proprietà esclusiva del ricorrente, la sua realizzazione
indubbiamente insiste su aree indivise e su muri
condominiali.
Ciò posto, è principio pacifico in giurisprudenza quello
secondo cui il Comune, nel procedimento di rilascio dei
titoli edilizi, ha il potere e il dovere di verificare
l'esistenza, in capo al richiedente, di tutti i presupposti
per la loro emanazione e, in caso di opere che vadano ad
incidere sul diritto di altri proprietari, è legittimo da
parte dell'ente, esigere il consenso degli stessi (Cons. St.,
sez. V, 21.10.2003, n. 6529; Cons. St., sez. IV, 26.01.2009,
n. 437).
Anche nelle ipotesi di autorizzazioni in sanatoria, il
Comune è tenuto a pretendere la produzione della
dichiarazione di assenso del terzo pregiudicato -in ragione
del suo interesse contrario alla sanatoria, che potrebbe
risolversi in danno dello stesso- al solo fine di accertare
il requisito della legittimazione del richiedente alla
sanatoria e non per risolvere i conflitti di interesse tra
le parti private in ordine all'assetto proprietario degli
immobili interessati (Cons. St., sez. IV, 07.09.2016, n.
3823; TAR Umbria Perugia, sez. I, 14.02.2011, n. 48; TAR
Abruzzo Pescara, sez. I, 06.06.2009, n. 401; TAR Puglia,
Lecce, sez. III, 18.12.2007, n. 4286).
Ne consegue che, poiché nel caso in esame difetta, in capo
al ricorrente, quale richiedente la sanatoria, il requisito
di legittimazione consistente nella piena disponibilità
delle aree oggetto dell’intervento, dato il dissenso
espressamente manifestato anche da uno soltanto dei
contitolari dell’area dove esso insiste, la sanatoria non
poteva essere concessa (TAR Marche,
sentenza 15.05.2018 n. 375 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Con riferimento al promissario
acquirente, un orientamento giurisprudenziale più
restrittivo esclude che il contratto preliminare rappresenti
un titolo idoneo al rilascio del permesso di costruire, non
producendo effetti reali, ma soltanto obbligatori e facendo
sorgere in capo alle parti solo l’obbligo di futura
conclusione del contratto traslativo della proprietà.
Secondo un orientamento della giurisprudenza amministrativa
più recente, il promissario acquirente è titolare di
una posizione che lo abilita a richiedere l’approvazione di
un progetto riguardante l’immobile da acquistare, dal
momento che il contratto preliminare gli conferisce la
possibilità, ai sensi dell’art. 2932 c.c., di agire in forma
specifica nel caso di inadempimento del proprietario.
L’orientamento favorevole alla legittimazione del
promissario acquirente si rafforza quando il contratto
preliminare di compravendita gli attribuisca il diritto di
richiedere il permesso di costruire, oppure quando il
preliminare di vendita sia sottoscritto con trasferimento
anticipato del possesso del bene.
---------------
Ciò chiarito, ai sensi dell’art. 70, comma 1, della legge
provinciale n. 13 del 1997: “La concessione è data dal
sindaco a chi abbia il titolo per richiederla” (sul
piano statale l’art. 11, comma 1, del D.P.R. 06.06.2001, n.
380 dispone analogamente che “Il permesso di costruire è
rilasciato al proprietario dell’immobile o a chi ne abbia
titolo per richiederlo”).
La norma richiede dunque che l’interessato dimostri di
trovarsi con il bene oggetto della domanda di concessione
edilizia in una relazione qualificata, che non deve
necessariamente essere connessa a un diritto reale, ma può
derivare anche da un rapporto giuridico obbligatorio.
Con particolare riferimento al promissario acquirente, un
orientamento giurisprudenziale più restrittivo esclude che
il contratto preliminare rappresenti un titolo idoneo al
rilascio del permesso di costruire, non producendo effetti
reali, ma soltanto obbligatori e facendo sorgere in capo
alle parti solo l’obbligo di futura conclusione del
contratto traslativo della proprietà (cfr. ex multis,
Consiglio di Stato, Sez. IV, 23.09.1998, n. 1173 e Sez. V,
20.10.1994, n. 1200; TAR Campania, Napoli, Sez. IV,
30.06.2003, n. 7922 e Cassazione civile, Sez. II,
05.08.2010, n. 18251).
Secondo un orientamento della giurisprudenza amministrativa
più recente, il promissario acquirente è titolare di una
posizione che lo abilita a richiedere l’approvazione di un
progetto riguardante l’immobile da acquistare, dal momento
che il contratto preliminare gli conferisce la possibilità,
ai sensi dell’art. 2932 c.c., di agire in forma specifica
nel caso di inadempimento del proprietario (cfr, ex
pluribus, Consiglio di Stato, Sez. VI, 03.12.2004, n.
7847 e TAR Liguria, Sez. I, 20.04.2016, n. 391).
L’orientamento favorevole alla legittimazione del
promissario acquirente si rafforza quando il contratto
preliminare di compravendita gli attribuisca il diritto di
richiedere il permesso di costruire (cfr. Consiglio di
Stato, Sez. IV, 18.01.2010, n. 144 e Sez. IV 27.04.2005, n.
1947; TAR Sardegna, Sez. II, 11.05.2017, n. 332, TAR Puglia,
Bari, 18.06.2012, n. 1195 e TAR Lazio, Latina, 26.07.2005,
n. 636), oppure quando il preliminare di vendita sia
sottoscritto con trasferimento anticipato del possesso del
bene (cfr. TAR Campania, Napoli, Sez. IV, 12.01.2000, n.
45).
Nel caso di specie, il contratto preliminare di
compravendita, stipulato dalle ricorrenti il 15.07.2015,
all’art. 4 così recita “La stipula del contratto
definitivo dovrà avvenire entro sei (6) mesi dalla stipula
del presente contratto e, se più tardi, in ogni caso, entro
venti (20) giorni dal rilascio del parere positivo della
commissione edilizia comunale riguardo alla domanda per il
rilascio della concessione edilizia richiesta dalla
promissaria acquirente. Per questo motivo la promissaria
venditrice delega la promissaria acquirente a poter
presentare presso il Comune di Bolzano domanda per il
rilascio della concessione edilizia sul lotto oggetto del
presente contratto preliminare, obbligandosi a firmare la
domanda nonché ogni altro documento necessario e utile a tal
fine”.
Il successivo art. 5 prevede poi che la consegna degli
immobili oggetto del contratto preliminare avverrà “al
momento della stipula del contratto definitivo”.
Osserva il Collegio che dall’art. 4 del richiamato contratto
preliminare risulta in modo inequivocabile sia la volontà
della proprietaria dei beni, società Me., di consentire alla
società Zi. di richiedere un titolo edilizio, sia la volontà
delle parti di stipulare il contratto definitivo solo
nell’ipotesi in cui venga rilasciata la concessione
edilizia.
Per tali ragioni, il Collegio ritiene che la società Zi.
debba ritenersi legittimata a richiedere il rilascio della
concessione edilizia, alla luce del più recente orientamento
giurisprudenziale, che condivide
(TRGA Trentino Alto
Adige-Bolzano,
sentenza 06.03.2018 n. 73 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2017 |
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EDILIZIA PRIVATA: La
giurisprudenza amministrativa ritiene che la concessione
edilizia possa essere rilasciata al soggetto che dimostri di
avere la disponibilità dell'area di riferimento in base a un
diritto reale o ad una obbligazione.
Si è detto, in particolare che il contratto di comodato,
intervenuto tra il proprietario dell'area ed il
concessionario, instaura una relazione stabile (detenzione)
con il bene oggetto del medesimo, sufficiente, come quella
del locatario, per richiedere ed ottenere la concessione
edilizia, salva l'opposizione del proprietario.
Alla luce della sopra richiamata giurisprudenza deve,
pertanto, ritenersi illegittimo il provvedimento impugnato
nella parte in cui dispone l’annullamento
dell’autorizzazione edilizia
sulla base della sola circostanza che l'istante rivesta
la qualità di locatario, nonché nella parte in cui richiede
per il rilascio della concessione edilizia in sanatoria
presentata dal medesimo ricorrente.
---------------
...
per l’annullamento
“dell’ordinanza prot. n. 6065 del 27.01.2004 a firma del
Dirigente del VII Settore Urbanistica dell’U.T.C. del Comune
di Caserta con la quale è stata annullata la concessione
edilizia n. 126/01 e per l’effetto è stata ordinata la
demolizione delle opere realizzate ritenute abusive ed il
ripristino dello stato dei luoghi, in una agli atti
preordinati, connessi e conseguenziali tra i quali
precipuamente i verbali dell’ufficio Tecnico del Comune di
Caserta”.
...
Sa.Fa. espone in fatto che, in accoglimento
dell’istanza da egli presentata in data 07.08.2001, il
Comune di Caserta aveva rilasciato in suo favore
l’autorizzazione edilizia n. 126/2001 per l’esecuzione di
lavori di manutenzione straordinaria.
Riferisce che solo successivamente e, precisamente, in sede
di istruttoria relativa alla richiesta di concessione in
sanatoria, presentata da egli ricorrente in data 27.12.2001, il suddetto Comune aveva riesaminato la pratica
edilizia relativa alla citata autorizzazione edilizia n.
126/2001 ed aveva provveduto non solo a respingere l’istanza
di sanatoria ma anche a revocare il titolo edilizio del
2001.
Il Sa. ha, quindi, proposto il presente ricorso,
notificato il 22.03.2004 e depositato il 19.04.2004,
con il quale ha chiesto l’annullamento “dell’ordinanza prot.
n. 6065 del 27.01.2004 a firma del Dirigente del VII Settore
Urbanistica dell’U.T.C. del Comune di Caserta con la quale è
stata annullata la concessione edilizia n. 126/01 e per
l’effetto è stata ordinata la demolizione delle opere
realizzate ritenute abusive ed il ripristino dello stato dei
luoghi, in una agli atti preordinati, connessi e
conseguenziali tra i quali precipuamente i verbali
dell’ufficio Tecnico del Comune di Caserta”.
...
Il ricorso è fondato limitatamente alla parte del
provvedimento che dispone l’annullamento dell’autorizzazione
edilizia n. 126/2001 e, pertanto, va accolto per quanto di
ragione di parte ricorrente; deve ritenersi, invece,
infondato e, pertanto, va respinto relativamente alla parte
del provvedimento con cui si dispone la demolizione, come di
seguito specificato.
Coglie nel segno la censura con la quale parte ricorrente
lamenta che illegittimamente sarebbe stato disposto
l’annullamento della autorizzazione edilizia n. 126/2001
precedentemente rilasciata ed il diniego della concessione
in sanatoria per l’assenza in capo ad egli ricorrente del
titolo di proprietà dell’immobile, in quanto nella relativa
istanza aveva dichiarato di essere conduttore dell’immobile
stesso.
Ed invero la giurisprudenza amministrativa, condivisa dal
Collegio, ritiene che la concessione edilizia possa essere
rilasciata al soggetto che dimostri di avere la
disponibilità dell'area di riferimento in base a un diritto
reale o ad una obbligazione (Cass., Sez. III, 15.03.2007,
n. 6005). Si è detto, in particolare che il contratto di
comodato, intervenuto tra il proprietario dell'area ed il
concessionario, instaura una relazione stabile (detenzione)
con il bene oggetto del medesimo, sufficiente, come quella
del locatario, per richiedere ed ottenere la concessione
edilizia, salva l'opposizione del proprietario (cfr.
Consiglio di Stato, Sez. IV, 09.02.2015, n. 648, 08.09.2015, n. 4176).
Alla luce della sopra richiamata giurisprudenza deve,
pertanto, ritenersi illegittimo il provvedimento impugnato
nella parte in cui dispone l’annullamento
dell’autorizzazione edilizia n. 126/2001 del 27.08.2001
sulla base della sola circostanza che il Sa. rivesta
la qualità di locatario, nonché nella parte in cui richiede
per il rilascio della concessione edilizia in sanatoria
presentata dal medesimo ricorrente in data 27.12.2001 il
titolo di proprietà, ad integrazione della documentazione
già presentata
(TAR Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 25.07.2017 n. 3941 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI -
EDILIZIA PRIVATA: Al
fine di ravvisare il silenzio-inadempimento
dell'amministrazione, deve essere riscontrato il duplice
presupposto dell’omessa conclusione del procedimento
amministrativo entro il termine astrattamente previsto per
il procedimento del tipo evocato con l'istanza, e
dell’inottemperanza a un preciso obbligo di provvedere
sull’istanza del privato.
---------------
Il
nostro ordinamento vede con
particolare disfavore l’ottenimento di benefici originato da
dichiarazioni false.
L'’art. 75 del D.P.R. 445/2000, in tema di controllo di
veridicità delle dichiarazioni sostitutive, prevede che “Fermo
restando quanto previsto dall'articolo 76, qualora dal
controllo di cui all'articolo 71 emerga la non veridicità
del contenuto della dichiarazione il dichiarante decade dai
benefici eventualmente conseguenti al provvedimento emanato
sulla base della dichiarazione non veritiera”.
In base all'art. 75 predetto “la non veridicità
della dichiarazione sostitutiva presentata comporta la
decadenza dai benefici eventualmente conseguiti, senza che
tale disposizione (per la cui applicazione si prescinde
dalla condizione soggettiva del dichiarante, rispetto alla
quale sono irrilevanti il complesso delle giustificazioni
addotte) lasci alcun margine di discrezionalità alle
Amministrazioni; pertanto la norma in parola non richiede
alcuna valutazione circa il dolo o la grave colpa del
dichiarante, facendo invece leva sul principio di auto
responsabilità”.
In materia di gare d’appalto, le dichiarazioni mendaci non
possono essere regolarizzate e, una volta che
l’amministrazione abbia conseguito la certezza della non
veridicità di quanto dichiarato, ha il dovere di trarne le
necessarie conseguenze, senza alcuna possibilità di fare
applicazione dell’art. 21-nonies della L. 241/1990, le cui
disposizioni riguardano esclusivamente i procedimenti di
autotutela aventi natura tipicamente discrezionale.
Anche in materia di benefici ottenuti grazie alla
qualificazione di IAFR (impianti alimentati da fonti
rinnovabili), la previsione ex lege delle conseguenze
della dichiarazione non veritiera in termini di decadenza
automatica rende la determinazione del GSE vincolata nei
suoi contenuti, con connotazione della stessa in termini di
automaticità, per cui risulta evidente la non operatività
dell’art. 21-nonies, comma 1, della L. 241/1990 .
---------------
In materia di segnalazione di inizio attività, l’art. 19
della L. 241/1990 statuisce che, decorso il termine di legge
per adottare provvedimenti inibitori ovvero di conformazione
(60 giorni dal ricevimento della dichiarazione),
l'amministrazione competente adotta comunque i provvedimenti
previsti dal medesimo comma 3 in presenza delle condizioni
previste dall'articolo 21-nonies (riguardante i presupposti
per l’annullamento d’ufficio).
Tale essendo la disciplina posta dell’art. 19 citato,
in tema di liberalizzazione (in senso lato) della attività
economiche, dalla disamina congiunta della disciplina
racchiusa nei commi 3 e 4, <<si evince agevolmente che
l’Amministrazione procedente può vietare (o, comunque,
interdire, conformare ovvero chiedere integrazioni
documentali), ai sensi del comma 3, in relazione
all’attività commerciale comunicata con segnalazione
certificata di attività entro il termine di sessanta giorni
dalla presentazione della stessa, mentre, successivamente al
decorso di tale termine, ai sensi del successivo comma 4,
residua in capo alla predetta Amministrazione, un analogo
potere che non può configurarsi quale autotutela in quanto
la dichiarazione del privato resta tale anche dopo il
termine di sessanta giorni e non si trasforma in
provvedimento amministrativo nei confronti del quale sarebbe
ipotizzabile un’attività di autotutela; sul punto il potere
di intervento successivo della P.A. si sostanzia nell’uso di
poteri inibitori soggetti a limiti imposti per legge, per i
quali, non a caso, la legge n. 124/1915 ha correttamente
eliminato la definizione di “autotutela”, operando un
richiamo all’art. 21-nonies, co. 1, L. n. 241/1990>>;
In effetti, la vicenda di cui si discorre non è stata
originata da una SCIA, e tuttavia potrebbe rientrare nella
casistica delle dichiarazioni mendaci, per la quale il
legislatore prevede tassativamente la decadenza dei benefici
ritratti dal loro autore;
IL comma 2-bis all’art. 21-nonies, introdotto
dall’art. 6, comma 1, lett. d), n. 2, della L. 124/2015,
statuisce che l’amministrazione conserva il potere di
intervenire dopo la scadenza del richiamato termine per
l’annullamento d’ufficio (18 mesi) proprio nel caso in cui i
provvedimenti amministrativi siano stati “conseguiti
sulla base di false rappresentazioni dei fatti o di
dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di
notorietà false o mendaci per effetto di condotte
costituenti reato”, seppur previo accertamento con sentenza
passata in giudicato.
---------------
Laddove una concessione edilizia sia
stata ottenuta in base ad una falsa rappresentazione dello
stato effettivo dei luoghi negli elaborati progettuali, al
Comune è consentito di esercitare il proprio potere di
autotutela ritirando l'atto concessorio senza necessità di esternare
alcuna particolare ragione di pubblico interesse (cfr. TAR
Campania Napoli, sez. III – 07/11/2016 n. 5141 –che risulta
appellata– e la giurisprudenza citata, tra cui la pronuncia
di questo TAR 20/11/2002 e TAR Campania Napoli, sez. VI –
12/05/2016 n. 2416, ad avviso del quale in materia di
annullamento d'ufficio dei titoli edilizi, quando l'operato
dell'amministrazione sia stato fuorviato dall'erronea o
falsa rappresentazione dei luoghi, non occorre una specifica
ed espressa motivazione sull'interesse pubblico, che va
individuato nell’aspirazione della collettività al rispetto
della disciplina urbanistica, e in questi casi, si è quindi
al cospetto di un atto vincolato).
In argomento, si è pronunciato il Consiglio di Stato
rilevando che
qualificata giurisprudenza di primo grado ha affermato il principio secondo
il quale “in materia di annullamento d’ufficio di titoli
edilizi (nella specie, un’attestazione di conformità in
sanatoria), nei casi in cui l’operato dell’Amministrazione
sia stato fuorviato dalla erronea o falsa rappresentazione
dei luoghi, non occorre una specifica ed espressa
motivazione sull’interesse pubblico, che va individuato
nell’interesse della collettività al rispetto della
disciplina urbanistica”.
Sicché, la falsità dichiarativa impedisce anche la maturazione
in capo all’autore di un affidamento meritevole di
protezione, e siffatta carenza non può non incidere (in
senso favorevole all’amministrazione) anche sulla
valutazione della ragionevolezza del termine entro il quale
dovesse intervenire il provvedimento di autotutela
(riferimento temporale cui parametrare normativamente la
tempestività dell’esercizio del potere di annullamento
d’ufficio).
---------------
Secondo l’art. 6, comma 1, lett. a), della L.
241/1990, spetta al responsabile del procedimento valutare “ai
fini istruttori, le condizioni di ammissibilità, i requisiti
di legittimazione ed i presupposti che siano rilevanti per
l'emanazione di provvedimento”.
La giurisprudenza del Consiglio di Stato è attestata nel
senso che, prima di accordare un permesso di costruire (o
una sanatoria edilizia) l’amministrazione debba verificare
la situazione di diritto e di fatto, anche se solo nei
limiti richiesti dalla ragionevolezza e dalla comune
esperienza.
Ai sensi dell’art. 11 del D.P.R. 380/2001 il Comune, nel
verificare l’esistenza in capo al richiedente un permesso
edilizio di un idoneo titolo di godimento sull’immobile, non
deve risolvere eventuali conflitti di interesse tra le parti
private in ordine all’assetto proprietario, ma deve
accertare soltanto il requisito della legittimazione
soggettiva di colui che richiede il permesso.
In tal senso, l’amministrazione è tenuta a svolgere
un livello minimo di istruttoria che comprende
l’acquisizione di tutti gli elementi sufficienti a
dimostrare la sussistenza di un qualificato collegamento
soggettivo tra chi propone l’istanza e il bene giuridico
oggetto dell’autorizzazione, senza che l’esame del titolo di
godimento operato dalla p.a. costituisca un’illegittima
intrusione in ambito privatistico, essendo finalizzato
soltanto ad assicurare un ordinato svolgimento delle
attività sottoposte al controllo autorizzatorio.
---------------
Evidenziato:
- che il ricorrente riferisce di essere proprietario di un
appartamento ubicato nel Comune di Castiglione delle
Stiviere in Via ... n. 9, catastalmente identificato al
foglio 16, mappale n. 220, sub. 7, 11 e 17, e confinante con
l’immobile di proprietà dei Sigg.ri Bo., a sua volta
identificato in catasto al foglio 16, mappale n. 220, sub.
5, 8 e 13;
- che, a seguito dell’istanza depositata da uno dei
controinteressati per realizzare un sopralzo della copertura
in legno dell’appartamento (in modo da creare una soffitta
non abitabile), il Comune rilasciava nel 2011 il permesso di
costruire n. 603, e nel 2015 il titolo abilitativo in
sanatoria n. 940, ritualmente impugnato dal ricorrente con
gravame r.g. 1233/2016, ad oggi pendente innanzi a questo
TAR;
- che il controinteressato, in sede di richiesta del titolo
edilizio, ha affermato di essere proprietario dell’edificio
identificato –al NCEU del Comune di Castiglione– al foglio
16, mappali 220 e 206 (cfr. dichiarazione sostitutiva del
04/04/2011 - doc. 1), quando, nell’anno 2010, il medesimo
aveva alienato all’odierno ricorrente l’appartamento
identificato al mappale 220, sub 7, 17 e 11 (cfr. doc. 2);
- che risulterebbe evidente la non rispondenza al vero della
dichiarazione rilasciata dal controinteressato al Comune di
Castiglione delle Stiviere;
- che la circostanza avrebbe tratto in errore
l’amministrazione intimata, la quale ha emesso un titolo
abilitativo in relazione ad un edificio di cui il
richiedente non aveva la piena disponibilità;
- che, in base all’attestazione non veritiera del Sig.
Gi.Bo., il Comune avrebbe indebitamente emanato un permesso
di costruire, atteso che gli artt. 10 e 17 delle NTA del
Piano delle regole del PGT vigente prevedono, per gli
immobili ricadenti in zona B3 (“Ambito residenziale
consolidato di salvaguardia ambientale”) il rispetto,
per qualsiasi edificazione o ampliamento di fabbricati
esistenti, della distanza di 5 metri dai confini e il
divieto di recupero a fini abitativi dei sottotetti;
- che la dichiarazione infedele, nell’ambito della
disciplina dettata dal D.P.R. 445/2000, precluderebbe al
dichiarante il raggiungimento dello scopo cui era
indirizzata, e provocherebbe la decadenza dall’utilitas
conseguita per effetto del mendacio;
- che, alla luce della situazione sottostante, sussisterebbe
in capo al Comune intimato l’obbligo di provvedere
sull’istanza presentata dal ricorrente in data 02/11/2016,
con la conseguente illegittimità del silenzio serbato;
- che, in aggiunta, trattandosi di attività vincolata,
sussisterebbe anche il dovere per l’amministrazione di
adottare il provvedimento di decadenza e/o annullamento in
autotutela del permesso di costruire, rilasciato al
controinteressato sulla base di una dichiarazione falsa;
- che, pertanto, essendo l’amministrazione comunale rimasta
inerte, con l’introdotto ricorso l’esponente chiede che sia
dichiarato l’obbligo di provvedere ai sensi dell’art. 31,
comma 1, del Cpa, nonché l’accertamento della fondatezza
della pretesa avanzata ai sensi dell’art. 31 comma 3 e 34,
comma 1, lett. c) Cpa, con la conseguente condanna ad
adottare il provvedimento richiesto;
- che, in subordine, il Sig. Pi. insiste affinché sia
acclarato comunque il dovere del Comune di assumere un atto
formale a riscontro dell’istanza del privato;
- che, in ogni caso, chiede di nominare, in caso di
perdurante inerzia dell’amministrazione, un Commissario
ad acta che provveda in via sostitutiva;
Considerato:
- che, ad avviso del controinteressato costituito, il
ricorrente non contesta la proprietà dell’immobile inciso
dall’intervento di sopralzo, ma solo il fatto che
quest’ultimo sia stato realizzato in violazione delle
disposizioni comunali in tema di distanze/distacchi;
- che detta questione sarebbe del tutto estranea al
contenuto della dichiarazione del 2011 invocata
dall’esponente, mentre risulterebbe del tutto veritiera per
poter compiere l’intervento, dando conto della
legittimazione richiesta;
- che il controinteressato sarebbe ancor oggi proprietario
dell’edificio rispetto al quale è stato realizzato il
sopralzo, essendosi privato di una sola porzione
dell’immobile, ossia dei mappali sub 6 (appartamento) e 10
(autorimessa), oggetto della compravendita;
- che il ricorrente, al fine di ottenere il titolo edilizio,
avrebbe affermato al Comune la sua posizione di proprietario
dell’immobile ove è stato edificato il sopralzo, a
prescindere dalla circostanza che l’intervento potesse
violare i diritti dei terzi (problematica da affrontare
negli ulteriori giudizi già instaurati);
- che, siccome il controinteressato non ha invaso la
proprietà altrui (riguardando le opere esclusivamente il
proprio perimetro di proprietà) il Sig. Pi. avrebbe
palesemente travisato la dichiarazione resa nel 2011 ai fini
del rilascio del permesso di costruire;
- che, in diritto, in presenza di un silenzio-rifiuto
sull’istanza di esercizio dei poteri in autotutela, non
sarebbe configurabile alcun obbligo giuridico di provvedere
espressamente, trattandosi di richiesta avente natura
meramente sollecitatoria;
Rilevato, sotto il profilo giuridico:
- che, al fine di ravvisare il silenzio-inadempimento
dell'amministrazione, deve essere riscontrato il duplice
presupposto dell’omessa conclusione del procedimento
amministrativo entro il termine astrattamente previsto per
il procedimento del tipo evocato con l'istanza, e
dell’inottemperanza a un preciso obbligo di provvedere
sull’istanza del privato (cfr. sentenza di questo TAR, sez. II – 23/03/2016 n. 442);
- che, ad avviso della parte ricorrente, nella fattispecie
non si controverte circa la sussistenza o meno in capo al
Sig. Bo. della legittimazione a presentare la domanda di
permesso di costruire, ma sul fatto che costui, dichiarando
falsamente di essere proprietario dell’intero edificio, ha
ottenuto un’utilità che, diversamente, non avrebbe
conseguito;
- che controparte, infatti, avrebbe attestato e
rappresentato di essere proprietaria unica dell’immobile,
senza indicare l’avvenuta cessione parziale al ricorrente,
né (conseguentemente) i limiti di proprietà dai quali
calcolare la distanza dai confini;
- che detto ordine di idee merita condivisione;
- che il nostro ordinamento vede con particolare disfavore
l’ottenimento di benefici originato da dichiarazioni false;
- che l’art. 75 del D.P.R. 445/2000, in tema di controllo di
veridicità delle dichiarazioni sostitutive, prevede che “Fermo
restando quanto previsto dall'articolo 76, qualora dal
controllo di cui all'articolo 71 emerga la non veridicità
del contenuto della dichiarazione il dichiarante decade dai
benefici eventualmente conseguenti al provvedimento emanato
sulla base della dichiarazione non veritiera”;
- che, secondo l’indirizzo del Consiglio di Stato, sez. V –
15/03/2017 n. 1172 (che richiama sez. V – 03/02/2016 n.
404), in base all'art. 75 predetto “la non veridicità
della dichiarazione sostitutiva presentata comporta la
decadenza dai benefici eventualmente conseguiti, senza che
tale disposizione (per la cui applicazione si prescinde
dalla condizione soggettiva del dichiarante, rispetto alla
quale sono irrilevanti il complesso delle giustificazioni
addotte) lasci alcun margine di discrezionalità alle
Amministrazioni; pertanto la norma in parola non richiede
alcuna valutazione circa il dolo o la grave colpa del
dichiarante, facendo invece leva sul principio di auto
responsabilità”;
- che, in materia di gare d’appalto, le dichiarazioni
mendaci non possono essere regolarizzate e, una volta che
l’amministrazione abbia conseguito la certezza della non
veridicità di quanto dichiarato, ha il dovere di trarne le
necessarie conseguenze, senza alcuna possibilità di fare
applicazione dell’art. 21-nonies della L. 241/1990, le cui
disposizioni riguardano esclusivamente i procedimenti di
autotutela aventi natura tipicamente discrezionale (cfr. TAR
Lazio Roma, sez. II – 14/11/2016 n. 11286 e la
giurisprudenza ivi citata);
- che, anche in materia di benefici ottenuti grazie alla
qualificazione di IAFR (impianti alimentati da fonti
rinnovabili), la previsione ex lege delle conseguenze
della dichiarazione non veritiera in termini di decadenza
automatica rende la determinazione del GSE vincolata nei
suoi contenuti, con connotazione della stessa in termini di
automaticità, per cui risulta evidente la non operatività
dell’art. 21-nonies, comma 1, della L. 241/1990 (Consiglio
di Stato, sez. IV – 21/12/2015 n. 5799);
- che, in materia di segnalazione di inizio attività, l’art.
19 della L. 241/1990 statuisce che, decorso il termine di
legge per adottare provvedimenti inibitori ovvero di
conformazione (60 giorni dal ricevimento della
dichiarazione), l'amministrazione competente adotta comunque
i provvedimenti previsti dal medesimo comma 3 in presenza
delle condizioni previste dall'articolo 21-nonies
(riguardante i presupposti per l’annullamento d’ufficio);
- che, secondo TAR Campania Napoli, sez. III – 26/04/2017 n.
2235, tale essendo la disciplina posta dell’art. 19 citato,
in tema di liberalizzazione (in senso lato) della attività
economiche, dalla disamina congiunta della disciplina
racchiusa nei commi 3 e 4, <<si evince agevolmente che
l’Amministrazione procedente può vietare (o, comunque,
interdire, conformare ovvero chiedere integrazioni
documentali), ai sensi del comma 3, in relazione
all’attività commerciale comunicata con segnalazione
certificata di attività entro il termine di sessanta giorni
dalla presentazione della stessa, mentre, successivamente al
decorso di tale termine, ai sensi del successivo comma 4,
residua in capo alla predetta Amministrazione, un analogo
potere che non può configurarsi quale autotutela in quanto
la dichiarazione del privato resta tale anche dopo il
termine di sessanta giorni e non si trasforma in
provvedimento amministrativo nei confronti del quale sarebbe
ipotizzabile un’attività di autotutela; sul punto il potere
di intervento successivo della P.A. si sostanzia nell’uso di
poteri inibitori soggetti a limiti imposti per legge, per i
quali, non a caso, la legge n. 124/1915 ha correttamente
eliminato la definizione di “autotutela”, operando un
richiamo all’art. 21-nonies, co. 1, L. n. 241/1990>>;
- che, in effetti, la vicenda di cui si discorre non è stata
originata da una SCIA, e tuttavia potrebbe rientrare nella
casistica delle dichiarazioni mendaci, per la quale il
legislatore prevede tassativamente la decadenza dei benefici
ritratti dal loro autore;
- che il comma 2-bis all’art. 21-nonies, introdotto
dall’art. 6, comma 1, lett. d), n. 2, della L. 124/2015,
statuisce che l’amministrazione conserva il potere di
intervenire dopo la scadenza del richiamato termine per
l’annullamento d’ufficio (18 mesi) proprio nel caso in cui i
provvedimenti amministrativi siano stati “conseguiti
sulla base di false rappresentazioni dei fatti o di
dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di
notorietà false o mendaci per effetto di condotte
costituenti reato”, seppur previo accertamento con
sentenza passata in giudicato;
Rilevato:
- che, laddove una concessione edilizia sia stata ottenuta
in base ad una falsa rappresentazione dello stato effettivo
dei luoghi negli elaborati progettuali, al Comune è
consentito di esercitare il proprio potere di autotutela
ritirando l'atto concessorio senza necessità di esternare
alcuna particolare ragione di pubblico interesse (cfr. TAR
Campania Napoli, sez. III – 07/11/2016 n. 5141 –che risulta
appellata– e la giurisprudenza citata, tra cui la pronuncia
di questo TAR 20/11/2002 e TAR Campania Napoli, sez. VI –
12/05/2016 n. 2416, ad avviso del quale in materia di
annullamento d'ufficio dei titoli edilizi, quando l'operato
dell'amministrazione sia stato fuorviato dall'erronea o
falsa rappresentazione dei luoghi, non occorre una specifica
ed espressa motivazione sull'interesse pubblico, che va
individuato nell’aspirazione della collettività al rispetto
della disciplina urbanistica, e in questi casi, si è quindi
al cospetto di un atto vincolato);
- che, in argomento, si è pronunciato il Consiglio di Stato
(cfr. sez. IV – 31/08/2016 n. 3735), rilevando che
qualificata giurisprudenza di primo grado (TAR Toscana, sez.
III – 27/05/2015 n. 825), ha affermato il principio secondo
il quale “in materia di annullamento d’ufficio di titoli
edilizi (nella specie, un’attestazione di conformità in
sanatoria), nei casi in cui l’operato dell’Amministrazione
sia stato fuorviato dalla erronea o falsa rappresentazione
dei luoghi, non occorre una specifica ed espressa
motivazione sull’interesse pubblico, che va individuato
nell’interesse della collettività al rispetto della
disciplina urbanistica”;
- che la falsità dichiarativa impedisce anche la maturazione
in capo all’autore di un affidamento meritevole di
protezione, e siffatta carenza non può non incidere (in
senso favorevole all’amministrazione) anche sulla
valutazione della ragionevolezza del termine entro il quale
dovesse intervenire il provvedimento di autotutela
(riferimento temporale cui parametrare normativamente la
tempestività dell’esercizio del potere di annullamento
d’ufficio – TAR Campania Salerno, sez. I – 02/03/2017 n.
411);
Tenuto conto:
- che, secondo l’art. 6, comma 1, lett. a), della L.
241/1990, spetta al responsabile del procedimento valutare “ai
fini istruttori, le condizioni di ammissibilità, i requisiti
di legittimazione ed i presupposti che siano rilevanti per
l'emanazione di provvedimento”;
- che la giurisprudenza del Consiglio di Stato (cfr. sez. IV
– 05/06/2017 n. 2648 e i precedenti citati) è attestata nel
senso che, prima di accordare un permesso di costruire (o
una sanatoria edilizia) l’amministrazione debba verificare
la situazione di diritto e di fatto, anche se solo nei
limiti richiesti dalla ragionevolezza e dalla comune
esperienza;
- che, ai sensi dell’art. 11 del D.P.R. 380/2001 il Comune,
nel verificare l’esistenza in capo al richiedente un
permesso edilizio di un idoneo titolo di godimento
sull’immobile, non deve risolvere eventuali conflitti di
interesse tra le parti private in ordine all’assetto
proprietario, ma deve accertare soltanto il requisito della
legittimazione soggettiva di colui che richiede il permesso;
- che, in tal senso, l’amministrazione è tenuta a svolgere
un livello minimo di istruttoria che comprende
l’acquisizione di tutti gli elementi sufficienti a
dimostrare la sussistenza di un qualificato collegamento
soggettivo tra chi propone l’istanza e il bene giuridico
oggetto dell’autorizzazione, senza che l’esame del titolo di
godimento operato dalla p.a. costituisca un’illegittima
intrusione in ambito privatistico, essendo finalizzato
soltanto ad assicurare un ordinato svolgimento delle
attività sottoposte al controllo autorizzatorio (TAR
Lombardia Milano, sez. II – 31/01/2017 n. 235);
- che, nel caso di specie, si denuncia che il Comune ha
trascurato di valutare (per la dichiarazione mendace o
comunque fuorviante dell’istante) la reale situazione di
fatto, ossia che la proprietà del fabbricato non era estesa
all’intero mappale 220 ma solo a una frazione di esso, con
conseguente omessa verifica delle condizioni correlate (in
particolare, il rispetto delle distanze);
- che detta omissione formale ha provocato un grave deficit
istruttorio, che ha indotto l’amministrazione a non indagare
la sussistenza di determinati presupposti, indispensabili
per il rilascio del titolo;
Ritenuto:
- che, alla luce delle considerazioni diffusamente espresse,
sussiste l’obbligo del Comune intimato di pronunciarsi
tempestivamente sulla domanda del privato ricorrente;
- che, diversamente da quanto richiesto in via principale,
non si ritiene di poter adottare il provvedimento in luogo
dell’amministrazione competente, in quanto la vicenda merita
ulteriori approfondimenti spettanti all’autorità
amministrativa e riguardanti:
a) l’effettività e la rilevanza della “falsità” o comunque
il carattere fuorviante della dichiarazione, tenuto conto
dell’avvenuta suddivisione del mappale di cui si è dato
conto;
b) l’individuazione delle norme di legge e delle regole della
pianificazione urbanistica comunale pertinenti;
c) le valutazioni sulla sussistenza di una potestà di autotutela e
sulla ricorrenza delle condizioni per esercitarla;
- che, alla luce di ciò, sussiste unicamente il presupposto
per l’accoglimento della domanda formulata in via
subordinata;
- che, in definitiva, deve essere dichiarato l’obbligo del
Comune di Castiglione delle Stiviere di provvedere
sull’istanza, secondo le seguenti scansioni temporali:
• entro il 20.06.2017, il Comune dovrà attivare il procedimento di
verifica sollecitato dal ricorrente, dando la comunicazione
di avvio al medesimo e al soggetto controinteressato;
• entro il 15.07.2017, il Comune dovrà aver completato l’attività
istruttoria;
• entro il 31.07.2017 dovrà essere emesso l’atto finale (con
trasmissione di copia di esso a questo all’interessato e a
questo TAR);
- che, in accoglimento dell’istanza di parte ricorrente, si
nomina sin da ora quale Commissario ad acta il
dirigente del Settore Sportello dell’Edilizia (Area
Pianificazione Urbana e Mobilità) del Comune di Brescia, con
facoltà di delega;
- che quest’ultimo (ove il Comune non provveda entro la
scadenza indicata del 31.07.2017) dovrà insediarsi
tempestivamente, e compiere la propria attività entro e non
oltre 60 (sessanta) giorni, per poi relazionare a questo
TAR;
- che, in caso di ulteriori ritardi anche del Commissario,
questo Tribunale, previa istanza di parte, provvederà ad
assumere i provvedimenti necessari e a segnalare l’inerzia
alle competenti autorità, anche giurisdizionali, per la
valutazione degli eventuali e concorrenti profili di
responsabilità;
- che, in conclusione, il ricorso è fondato e merita
accoglimento nei limiti sopra esposti
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 09.06.2017 n. 765 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: In
sede di esame della istanza di accertamento di conformità
proposta ai sensi dell’art. 36 del testo unico n. 380 del
2001, il Comune deve effettuare non solo gli accertamenti
espressamente previsti dal medesimo art. 36, ma anche quelli
–logicamente antecedenti e giuridicamente
rilevanti– previsti dagli articoli 11 e 12 del medesimo
testo unico.
Tra le disposizioni applicabili in tema di istanze in
materia edilizia, vi è l’art. 11, comma 1, del testo unico,
per il quale «il permesso di costruire è rilasciato al
permesso di costruire o a chi abbia titolo per richiederlo».
Tale regola riguarda non solo le istanze volte a realizzare
nuovi edifici, ma anche quelle volte alla sanatoria, a
qualsiasi titolo, di un immobile realizzato sine titulo.
L’interpretazione estensiva dell’art. 11, comma 1, del testo
unico si giustifica per la natura stessa dell’accertamento
di conformità (ovvero del condono straordinario).
La sua ratio corrisponde a quella dell’art. 4 della legge n.
10 del 1977.
Come rilevato dalla pacifica giurisprudenza, in sede di rilascio del titolo edilizio (sia esso
la concessione, ovvero il permesso), «il Comune è tenuto a
verificare la legittimazione soggettiva del richiedente, con
il solo limite di non poter procedere d’ufficio ad indagini
su profili che non appaiono controversi»: il Comune non deve
effettuare un «definitivo accertamento di eventualmente confliggenti posizioni di diritto soggettivo, demandato alla
sede naturale della risoluzione di tali conflitti, cioè alla
giurisdizione ordinaria».
---------------
7.1. Contrariamente a quanto è stato dedotto dalle
interessate, in sede di esame della istanza di accertamento
di conformità proposta ai sensi dell’art. 36 del testo unico
n. 380 del 2001, il Comune deve effettuare non solo gli
accertamenti espressamente previsti dal medesimo art. 36, ma
anche quelli –logicamente antecedenti e giuridicamente
rilevanti– previsti dagli articoli 11 e 12 del medesimo
testo unico.
Tra le disposizioni applicabili in tema di istanze in
materia edilizia, vi è l’art. 11, comma 1, del testo unico,
per il quale «il permesso di costruire è rilasciato al
permesso di costruire o a chi abbia titolo per richiederlo».
Tale regola riguarda non solo le istanze volte a realizzare
nuovi edifici, ma anche quelle volte alla sanatoria, a
qualsiasi titolo, di un immobile realizzato sine titulo.
L’interpretazione estensiva dell’art. 11, comma 1, del testo
unico si giustifica per la natura stessa dell’accertamento
di conformità (ovvero del condono straordinario).
La sua ratio corrisponde a quella dell’art. 4 della legge n.
10 del 1977.
Come rilevato dalla pacifica giurisprudenza (Cons. Stato,
Sez. IV, 25.11.2008, n. 5811; Sez. V, 11.03.2001,
n. 1507), in sede di rilascio del titolo edilizio (sia esso
la concessione, ovvero il permesso), «il Comune è tenuto a
verificare la legittimazione soggettiva del richiedente, con
il solo limite di non poter procedere d’ufficio ad indagini
su profili che non appaiono controversi»: il Comune non deve
effettuare un «definitivo accertamento di eventualmente confliggenti posizioni di diritto soggettivo, demandato alla
sede naturale della risoluzione di tali conflitti, cioè alla
giurisdizione ordinaria».
Pertanto, il Comune non poteva che attribuire rilevanza alla
opposizione del signor Fu., che nel corso del procedimento
ha fornito una documentazione tale da far ritenere
ragionevole la sussistenza della sua legittimazione ad
opporsi anche all’accertamento di conformità.
Poiché il provvedimento impugnato non doveva risolvere il
conflitto venutosi a verificare tra le ricorrenti ed il
signor Fu., ma doveva unicamente prendere atto della
opposizione di quest’ultimo, adeguatamente motivata, il
contestato diniego risulta adeguatamente istruito e motivato
(e non si può nella presente sede giurisdizionale effettuare
l’indagine sulla effettiva titolarità del bene, dovendosi
unicamente verificare se l’atto impugnato sia legittimo)
(TAR Calabria-Reggio Calabria,
sentenza 05.06.2017 n. 521 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: OGGETTO:
N.T.A. del P.R.G.C. di Ayas - nozione di “proprietario a
titolo esclusivo” – interpretazione – casi concreti (nudo
proprietario; comproprietario; proprietà della persona
giuridica) – parere
(Legali Associati per Celva,
nota
01.02.2017 - tratto da www.celva.it).
---------------
Problema riscontrato: interpretazione della norma
art. 51 N.T.A. di P.R.G.C. circa la dicitura "proprietario a
titolo esclusivo"
Riferimenti normativi: art. 51 N.T.A. di P.R.G.C.
Ipotesi di risoluzione da parte dell'ente: persona
che risulta esclusivamente nuda proprietaria persona che
risulta comproprietaria persona che risulta socio o legale
rappresentante
Quesiti: Si chiede un chiarimento circa
l’interpretazione della prescrizione "proprietario a titolo
esclusivo" in merito a possibilità di realizzare abitazione
permanente e principale ai sensi art. 51 N.T.A. di P.R.G.C. |
CONDOMINIO -
EDILIZIA PRIVATA: Nel
rilascio di titoli edilizi può ritenersi sufficiente che
l’Amministrazione verifichi in capo all’istante l’esistenza
di un titolo che formalmente lo legittimi al rilascio del
titolo abilitante a suo favore, senza dover procedere ad una
accurata e approfondita disamina dei rapporti civilistici o a svolgere complesse
ricognizioni giuridico-documentali sul titolo di proprietà
o di altro diritto reale che si estenda fino alla ricerca di
eventuali fattori limitativi, preclusivi o estintivi del
titolo di disponibilità necessario all’intervento, allegato
da chi presenta istanza edilizia, ed è proprio questa la
ragione per la quale i titoli edilizi vengono rilasciati con
la formula "fatti salvi i diritti dei terzi".
---------------
La
giurisprudenza, al fine di escludere la sussistenza di una
lesione al decoro dell’edificio, ritiene sufficiente che
l’innovazione non comporti una rilevante disarmonia al
complesso preesistente e che non pregiudichi l'originaria
fisionomia estetica dell’edificio determinandone un
deprezzamento.
Tali elementi non appaiono sussistere nel caso all’esame
atteso che l’ascensore è stato collocato nel punto di minor
impatto sull’edificio e dalla strada, mediante il
prolungamento di uno sporto già presente nella muratura, con
un intervento che non si rivela incompatibile con le
caratteristiche e la tipologia edilizia preesistente.
---------------
Con il secondo motivo il ricorrente sostiene che i controinteressati erano privi di legittimazione nel
richiedere ed ottenere il titolo edilizio necessario ad
intervenire su parti comuni dell’edificio condominiale,
perché l’intervento, alterando il decoro dell’immobile, non
avrebbe dovuto essere approvato a maggioranza, come è
avvenuto nel caso all’esame (è stato approvato a maggioranza
di due terzi del condominio rappresentanti complessivi
689,75 millesimi dell’intero edificio, del condominio), ma
all’unanimità.
Al fine di comprovare la lesione al decoro il ricorrente
allega una relazione del 25.01.2016 dagli stessi
commissionata del Prof. Arch. Gi.Gi..
Anche tali censure non possono essere condivise.
Va premesso che nel rilascio di titoli edilizi può ritenersi
sufficiente che l’Amministrazione verifichi in capo
all’istante l’esistenza di un titolo che formalmente lo
legittimi al rilascio del titolo abilitante a suo favore,
senza dover procedere ad una accurata e approfondita
disamina dei rapporti civilistici o a svolgere complesse
ricognizioni giuridico-documentali sul titolo di proprietà
o di altro diritto reale che si estenda fino alla ricerca di
eventuali fattori limitativi, preclusivi o estintivi del
titolo di disponibilità necessario all’intervento, allegato
da chi presenta istanza edilizia, ed è proprio questa la
ragione per la quale i titoli edilizi vengono rilasciati con
la formula "fatti salvi i diritti dei terzi" (ex pluribus
cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 04.09.2012, n. 4676;
Consiglio di Stato, Sez. IV, 08.06.2011, n. 3508).
Il provvedimento impugnato in ogni caso non si è limitato a
considerare l’esistenza della deliberazione condominiale che
a maggioranza ha approvato l’intervento, ma, con
considerazioni motivate e che appaiono prive di vizi logici,
si è spinto ad indicare quali sono i motivi per i quali il
Comune ritiene insussistente una lesione al decoro
dell’immobile, precisando che si tratta di un edificio che
non presenta un particolare pregio e che non è sottoposto né
a tutela monumentale, né a grado di protezione dallo
strumento urbanistico comunale in base alla
caratterizzazione dei valori storici, architettonici,
tipologici ed ambientali, che per gli interventi è stata
ottenuta l’autorizzazione paesaggistica e che non risultano
snaturate le caratteristiche dell’edifico.
La relazione commissionata dal ricorrente del 25.01.2016 del Prof. Arch. Gi.Gi. accede invece ad una
non condivisibile nozione di “decoro architettonico”
talmente ampia da comportare che ogni modifica alle parti
comuni dell’edificio costituisce di per sé un pregiudizio al
decoro dello stesso.
Una tale conclusione tuttavia non è in linea con la
giurisprudenza, la quale, al fine di escludere la
sussistenza di una lesione al decoro dell’edificio, ritiene
sufficiente che l’innovazione non comporti una rilevante
disarmonia al complesso preesistente e che non pregiudichi
l'originaria fisionomia estetica dell’edificio
determinandone un deprezzamento, elementi questi che non
appaiono sussistere nel caso all’esame atteso che
l’ascensore è stato collocato nel punto di minor impatto
sull’edificio e dalla strada, mediante il prolungamento di
uno sporto già presente nella muratura, con un intervento
che non si rivela incompatibile con le caratteristiche e la
tipologia edilizia preesistente (peraltro va rilevato che in
tal senso sono le conclusioni formulate dal consulente
tecnico d’ufficio nel giudizio civile pendente tra le parti:
cfr. doc. 1 depositato in giudizio dai controinteressati il
20.10.2016).
L’assunto secondo il quale l’intervento avrebbe dovuto
essere approvato all’unanimità anziché a maggioranza dei
condomini è pertanto privo di riscontri e deve essere
respinto
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 10.01.2017 n. 23 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2016 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
SULLA LEGITTIMAZIONE A PRESENTARE UN’ISTANZA DI SANATORIA
EDILIZIA.
Il regime della concessione edilizia è
diverso, per presupposti ed elementi tipici, da quello della
sanatoria sicché è legittimato a proporre la relativa
istanza -oltre al proprietario del bene e a chi abbia titolo
richiedere il permesso di costruire- anche il promissario
acquirente, il conduttore e chiunque abbia interesse, anche
invito domino, a sanare l’irregolarità urbanistica
dell’immobile per evitarne il rischio di demolizione,
foriera per il richiedente di riverberi di natura
patrimoniale.
Un privato convenne avanti il Tribunale ordinario, con
domanda ex art. 2932 c.c., il promittente venditore di un
appartamento realizzato in un seminterrato per il quale
aveva corrisposto, all’atto del preliminare, un acconto pari
a circa la metà del prezzo, con erogazione del saldo al
rogito, da effettuarsi entro un termine indicato nel
preliminare stesso.
L’immobile, peraltro, fu consegnato in ritardo e con difetti
edilizi rilevati dal Comune perché era, invero, un magazzino
in parte realizzato anche abusivamente.
L’attore, adoperatosi per regolarizzare spontaneamente
l’aspetto edilizio, pagando quanto necessario per il
rilascio della concessione in sanatoria, invano chiese al
venditore di attivarsi per la stipula del definitivo. Nel
rifiuto di costui, radicò azione civile chiedendo sentenza
che tenesse luogo al contratto non concluso, che gli
trasferisse i beni compromessi, detratta la somma sborsata
per la sanatoria edilizia.
Il convenuto, nel costituirsi, eccepì la puntualità della
consegna, asserendo che l’irregolarità edilizia era dipesa
da varianti richieste dallo stesso attore, in corso d’opera.
Ancora, che i dinieghi alle varianti edilizie, giusta quali
il Comune rilevava l’irregolarità, furono annullati dal TAR
Sulla scorta di ciò, il convenuto chiese il rigetto delle
domande attoree e -in via riconvenzionale- la risoluzione
del contratto preliminare per inadempimento dell’attore, da
condannarsi al risarcimento dei danni e al pagamento dei
lavori extracapitolato dal medesimo commissionati.
Il Tribunale accolse la domanda attorea, emettendo sentenza
traslativa della proprietà dell’immobile, condizionatamente
al saldo del residuo prezzo pattuito.
La sentenza fu materia d’appello, parzialmente accolto. La
Corte di merito escluse dall’oggetto del trasferimento una
pertinenza dell’immobile (il box) e riducesse la somma
dovuta a saldo dall’originario attore ritenendone corretta,
oltre che rispondente ai canoni di buona fede e correttezza,
l’attivazione spontanea per il rilascio della concessione in
sanatoria. Essendo, grazie a quest’ultima, divenuto
regolare, l’immobile poteva quindi costituire oggetto di
sentenza traslativa della proprietà.
La statuizione di secondo grado è oggetto di ricorso per
Cassazione da parte del promittente venditore, che la S.C.
respinge.
Merita di essere segnalata la considerazione che la S.C.
compie a confutazione della dedotta incapacità, del
promissario acquirente, di attivare un procedimento di
concessione edilizia in sanatoria.
Afferma in proposito la S.C. che il regime della concessione
edilizia è del tutto diverso, per presupposti ed elementi
tipici, da quello della sanatoria sicché deve essere
affermata la legittimazione a proporre la relativa istanza,
oltre che di coloro che hanno titolo a richiedere la
concessione edilizia (ora, permesso di costruire) anche del
promissario acquirente o del conduttore e, più in generale,
di tutti coloro che vi abbiano interesse senza il necessario
consenso ed anche, al limite, contro la volontà del
proprietario del bene, al fine di sanare l’irregolarità
urbanistica dell’immobile promesso in vendita ed evitarne
definitivamente il rischio di un’eventuale demolizione, che
avrebbe riverberi anche patrimoniali, in considerazione
dell’acconto già corrisposto (Corte di Cassazione, Sez. II
civile,
sentenza 27.05.2016 n. 11039 - Urbanistica e
appalti 10/2016). |
EDILIZIA PRIVATA:
A norma dell’art. 11, comma 1, d.p.r. 06.06.2001,
n. 380 (che riproduce il contenuto dell’art. 4, comma 1,
della legge 28/01/1977, n. 10) il permesso di costruire può
essere rilasciato ai soggetti che hanno la disponibilità
giuridica dell'area e la titolarità di un diritto reale o di
obbligazione che dia facoltà di eseguire le opere, con la
conseguenza che l'interessato è tenuto a fornire la
documentazione idonea a comprovare il suo diritto, che il
Comune è tenuto ad esaminare al fine di accertarne
l’idoneità a dimostrare il requisito della legittimazione
soggettiva.
Il comma 3 del medesimo articolo 11 del d.p.r. 380/2001
precisa che <<il rilascio del permesso di costruire non
comporta limitazione dei diritti dei terzi>>.
Costituisce ius receptum che i rapporti tra vicini hanno
natura e rilevanza privatistica e non devono interessare il
Comune, che non è tenuto ad effettuare complessi ed
approfonditi accertamenti sull'esistenza e validità di
diritti reali, essendovi appunto la clausola di salvaguardia
generale, prevista dall'art. 11, comma 3, del D.P.R.
06.06.2001, n. 380, che fa salvi i diritti dei terzi quando
vi sia dubbio sul titolo privatistico di un immobile.
---------------
10.- Con un’ulteriore doglianza la parte ricorrente lamenta
l’illegittimità del permesso di costruire 1426/2014 a causa
dell’omessa verifica da parte del Comune della sussistenza
da parte dell’istante di un titolo idoneo su parte dell’area
oggetto degli interventi edilizi.
Il percorso argomentativo seguito dal ricorrente non è privo
di suggestione tant’è che in sede cautelare il Collegio ha
ritenuto di aderirvi. Tuttavia, un attento e più
approfondito esame della questione porta ad un diverso
approdo interpretativo, alla stregua di quanto segue.
A norma dell’art. 11, comma 1, d.p.r. 06.06.2001, n. 380
(che riproduce il contenuto dell’art. 4, comma 1, della
legge 28/01/1977, n. 10) il permesso di costruire può
essere rilasciato ai soggetti che hanno la disponibilità
giuridica dell'area e la titolarità di un diritto reale o di
obbligazione che dia facoltà di eseguire le opere, con la
conseguenza che l'interessato è tenuto a fornire la
documentazione idonea a comprovare il suo diritto, che il
Comune è tenuto ad esaminare al fine di accertarne
l’idoneità a dimostrare il requisito della legittimazione
soggettiva.
Il comma 3 del medesimo articolo 11 del d.p.r. 380/2001
precisa che <<il rilascio del permesso di costruire non
comporta limitazione dei diritti dei terzi>>.
Costituisce ius receptum che i rapporti tra vicini hanno
natura e rilevanza privatistica e non devono interessare il
Comune, che non è tenuto ad effettuare complessi ed
approfonditi accertamenti sull'esistenza e validità di
diritti reali, essendovi appunto la clausola di salvaguardia
generale, prevista dall'art. 11, comma 3, del D.P.R. 06.06.2001, n. 380, che fa salvi i diritti dei terzi quando vi sia
dubbio sul titolo privatistico di un immobile (ex multis:
Cons. Stato, sez. V, 07.09.2009, n. 5223).
Invero, nel caso di specie la titolarità del diritto di
proprietà sull’immobile distinto in catasto al foglio 26,
part. 1819 (ex part. 879) risulta controversa, tant’è che
nell’atto pubblico rogato dal notaio avente ad oggetto il
negozio di donazione della particella in questione in favore
di Lu.Ri., all’art. 4, la parte donante e la parte
donataria <<riconoscono espressamente di essere state
preventivamente avvertite>> dal notaio: della <<opportunità
di far precedere la presente stipula dalla sentenza
dichiarativa dell’acquisto per usucapione>>; <<della
circostanza che la dichiarazione della parte donante di
essere “proprietaria per possesso pacifico, continuo e
ininterrotto ultraventennale” non può, in alcun modo essere
oggetto di verifica da parte di me notaio>>.
Di fronte all’allegazione di tale atto pubblico di
donazione, depositato dalla ricorrente a giustificazione
della legittimazione ad ottenere il rilascio del titolo
edilizio in sanatoria, al Comune non era esigibile alcun
ulteriore accertamento o complesso approfondimento in ordine
alla titolarità del diritto di proprietà dell’area.
Se, osserva il Collegio, ai sensi dell'art. 2700 c.c.,
l'atto pubblico forma piena prova solo della provenienza del
documento dal pubblico ufficiale che lo ha redatto, delle
dichiarazioni rese dalle parti o dei fatti che agli attesti
avvenuti in sua presenza, ma non è piena prova della
veridicità intrinseca delle predette dichiarazioni, osserva,
altresì, il Collegio che non poteva comunque richiedersi al
Comune di dirimere la controversia insorta tra le parti in
ordine alla titolarità del diritto reale su parte dell’area
e all’effettivo acquisto per usucapione, trattandosi di
questione che involge diritti soggettivi, da risolvere
davanti al giudice ordinario, presso il quale, peraltro,
come comprovato dalla certificazione del Tribunale di
Avezzano, almeno alla data del 13.05.2015, non risultava
pendente alcun contenzioso tra Ma.Ce. e Lu.Ri..
In conclusione, non è censurabile l’operato del Comune che,
sulla base della allegazione dell’atto pubblico di
donazione, riteneva legittimata la controinteressata a
presentare la richiesta di permesso di costruire, il cui
rilascio a norma dell’articolo 11, comma 3, del d.p.r.
380/2001 non può comunque comportare una limitazione dei
diritti dei terzi, con la conseguenza che resta
impregiudicata la facoltà dell’odierno ricorrente di
avanzare le sue pretese innanzi all’autorità giudiziaria
ordinaria
(TAR Abruzzo-L'Aquila,
sentenza 23.03.2016 n. 177 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2015 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Per consolidata
giurisprudenza, in sede di rilascio di un titolo abilitativo
edilizio, l'amministrazione comunale non è tenuta a svolgere
complesse indagini sulle vicende dell’immobile e sulla sua
disponibilità in capo al richiedente ovvero a risolvere
controversie circa i diritti reali su di esso vantati da
terzi, restando tali diritti comunque salvi ed essendo,
quindi, sufficiente l'esibizione di un titolo di
legittimazione formalmente idoneo.
In altri termini, al Comune spetta soltanto la verifica, in
capo al richiedente, di un titolo sostanziale idoneo a
integrare la c.d. posizione legittimante, senza alcuna
ulteriore e minuziosa indagine che si estenda fino alla
ricerca di eventuali fattori ostativi alla disponibilità
dell'immobile, salvo che, ovviamente, la sussistenza di tali
fattori ostativi non emerga, con pari grado di certezza,
dalle risultanze procedimentali eventualmente procurate dai
terzi controinteressati.
---------------
I superiori approdi valgono vieppiù, allorquando –come,
appunto, nella specie– il titolo abilitativo edilizio sia
richiesto in sanatoria.
In una simile ipotesi, rispetto alla posizione del soggetto
richiedente, si presenta recessiva la potenzialmente
confliggente posizione di qualificata disponibilità
dell’immobile da parte dei terzi controinteressati, salvo
che questi, sulla base di detta posizione, ove
incontroversa, abbiano manifestato il proprio dissenso.
Ed invero, l’art. 37, comma 4, del d.p.r. n. 380/2001, al
pari del precedente art. 36, comma 1, consente di presentare
domanda di sanatoria, oltre che al “proprietario
dell’immobile”, al mero “responsabile dell’abuso”.
La norma, a differenza di quanto previsto dal comb. disp.
artt. 11, comma 1, e 20, comma 1, nonché dall’art. 23, comma
1, del citato d.p.r. n. 380/2001, trova, cioè, applicazione
non solo in presenza di una domanda avanzata dal
proprietario o da altro titolare ad esso equiparabile, cui
l'abuso sia ascrivibile, ma anche in presenza della domanda
avanzata dal mero responsabile dell’abuso, il quale, una
volta sanato quest’ultimo, si gioverebbe dello sconto delle
relative misure sanzionatorie, penali e/o amministrative.
In altri termini, la conformità ex artt. 36, comma 1, e 37,
comma 4, del d.p.r. n. 380/2001 è soltanto oggettiva
(afferente, cioè, alla disciplina urbanistico-edilizia
dell’area di intervento), e non anche soggettiva (relativa,
cioè, alle condizioni legittimanti il richiedente).
E tanto è coerente con la diversa ottica dei due
procedimenti: l’uno, disciplinato dagli artt. 20 e 23 del
d.p.r. n. 380/2001, presuppone necessariamente la verifica
della posizione giuridica che consente la legittima
esplicazione del ius aedificandi e, come tale, sottende un
rapporto qualificato di disponibilità con l’immobile;
l’altro, disciplinato dai successivi artt. 36 e 37,
presuppone, invece, un abuso commesso e, quindi, ben può
riferirsi –come è paradigmatico dell'illecito– anche ad un
collegamento soggettivamente qualificato non già con
l’immobile, bensì con la vicenda generativa dell’abuso e con
la possibilità di sanarne gli effetti.
---------------
6. Osserva,
innanzitutto, il Collegio che, in sede di presentazione
della domanda di sanatoria ex art. 37 del d.p.r. n.
380/2001, prot. n. 3095, del 28.01.2014, Gr.Lu.
e Gr.An. hanno allegato, oltre alla planimetria
catastale, quale titolo di proprietà, copia del testamento
pubblico dell’11.02.1999, rep. n. 34, col quale Ma.An. ha lasciato loro in legato “la porzione
della casa colonica sita in Aversa con ingresso dal viale
Kennedy, n. 39/A, costituita da un appartamento al piano
terra e da un appartamento al primo piano, individuata in
catasto al foglio 5, particella 707, sub 6 e 7, con la
proprietà esclusiva della corte annessa attualmente
recintata”.
Ebbene, a fronte del titolo di legittimazione esibitogli,
avente per oggetto l’immobile attinto dalle opere contestate
(cfr. retro, in narrativa, sub n. 2), il resistente Comune
di Aversa ha esorbitato dai propri poteri istruttori, avendo
svolto, in assenza di formali e specifiche contestazioni da
parte dei terzi controinteressati (non rinvenibili ex actis),
ulteriori e autonome indagini circa la sussistenza di
diritti vantati da questi ultimi (sul punto, cfr. Cons.
Stato, sez. V, 15.03.2001, n. 1507; TAR Trentino Alto
Adige, Trento, 04.11.2003, n. 376; TAR Piemonte,
Torino, sez. I, 16.12.2003, n. 1801; 24.03.2004, n.
500) ed avendo annesso rilievo indebitamente preclusivo ad
una controversa civilistica con i medesimi insorta (sul
punto, cfr. Cons. giust. amm. sic., sez. giur., 19.04.2002, n. 199; TAR Campania, Salerno, sez. II, 17.11.2003, n. 1536).
In questo senso, giova rammentare che, per consolidata
giurisprudenza, in sede di rilascio di un titolo abilitativo
edilizio, l'amministrazione comunale non è tenuta a svolgere
complesse indagini sulle vicende dell’immobile e sulla sua
disponibilità in capo al richiedente ovvero a risolvere
controversie circa i diritti reali su di esso vantati da
terzi, restando tali diritti comunque salvi ed essendo,
quindi, sufficiente l'esibizione di un titolo di
legittimazione formalmente idoneo (cfr., ex multis, Cons.
Stato, sez. V, 07.07.2005, n. 3730; 07.09.2007, n.
4703; 07.09.2009, n. 5223; 24.03.2011, n. 1770;
sez. IV, 22.11.2013, n. 5563; TAR Lombardia, Milano,
sez. II, 28.04.2010, n. 1168; TAR Piemonte, Torino, sez.
I, 15.06.2010, n. 2841; TAR Campania, Napoli, sez. II,
18.11.2008, n. 19795; sez. VI, 03.12.2010, n.
26792; sez. VIII, 16.12.2010, n. 27527; sez. II, 31.07.2012, n. 3666; TAR Veneto, Venezia, sez. II, 25.01.2012, n. 32; TAR Abruzzo, Pescara,
09.02.2012,
n. 52; TAR Calabria, Catanzaro, sez. I, 26.03.2012, n.
328; TAR Toscana, Firenze, sez. III, 27.09.2012, n.
1569; TAR Sicilia, Catania, sez. I, 24.04.2013, n.
1150).
In altri termini, al Comune spetta soltanto la verifica, in
capo al richiedente, di un titolo sostanziale idoneo a
integrare la c.d. posizione legittimante, senza alcuna
ulteriore e minuziosa indagine che si estenda fino alla
ricerca di eventuali fattori ostativi alla disponibilità
dell'immobile, salvo che, ovviamente, la sussistenza di tali
fattori ostativi non emerga, con pari grado di certezza,
dalle risultanze procedimentali eventualmente procurate dai
terzi controinteressati (nel caso in esame –come detto–
neppure attivatisi, se non nella presente sede processuale);
certezza che, all’evidenza, non sussiste in pendenza di un
contenzioso civile non ancora definito (cfr. TAR Sicilia,
Catania, sez. I, 15.09.2011, n. 2220), quale quello
evocato nella gravata nota del 18.12.2014, prot. n.
2949.
7. I superiori approdi valgono vieppiù, allorquando –come,
appunto, nella specie– il titolo abilitativo edilizio sia
richiesto in sanatoria.
In una simile ipotesi, rispetto alla posizione del soggetto
richiedente, si presenta recessiva la potenzialmente
confliggente posizione di qualificata disponibilità
dell’immobile da parte dei terzi controinteressati, salvo
che questi, sulla base di detta posizione, ove incontroversa
–e non è tale il caso di Ma.An. e di Ma.Al.–, abbiano manifestato il proprio dissenso –e
neppure tale è il caso di Ma.An. e di Ma.Al.– (cfr. TAR Toscana, Firenze, sez. III, 17.02.2012, n. 358).
Ed invero, l’art. 37, comma 4, del d.p.r. n. 380/2001, al
pari del precedente art. 36, comma 1, consente di presentare
domanda di sanatoria, oltre che al “proprietario
dell’immobile”, al mero “responsabile dell’abuso”.
La norma, a differenza di quanto previsto dal comb. disp.
artt. 11, comma 1, e 20, comma 1, nonché dall’art. 23, comma
1, del citato d.p.r. n. 380/2001, trova, cioè, applicazione
non solo in presenza di una domanda avanzata dal
proprietario o da altro titolare ad esso equiparabile, cui
l'abuso sia ascrivibile, ma anche in presenza della domanda
avanzata dal mero responsabile dell’abuso, il quale, una
volta sanato quest’ultimo, si gioverebbe dello sconto delle
relative misure sanzionatorie, penali e/o amministrative.
In altri termini, la conformità ex artt. 36, comma 1, e 37,
comma 4, del d.p.r. n. 380/2001 è soltanto oggettiva
(afferente, cioè, alla disciplina urbanistico-edilizia
dell’area di intervento), e non anche soggettiva (relativa,
cioè, alle condizioni legittimanti il richiedente). E tanto
è coerente con la diversa ottica dei due procedimenti:
l’uno, disciplinato dagli artt. 20 e 23 del d.p.r. n.
380/2001, presuppone necessariamente la verifica della
posizione giuridica che consente la legittima esplicazione
del ius aedificandi e, come tale, sottende un rapporto
qualificato di disponibilità con l’immobile; l’altro,
disciplinato dai successivi artt. 36 e 37, presuppone,
invece, un abuso commesso e, quindi, ben può riferirsi –come è paradigmatico dell'illecito– anche ad un
collegamento soggettivamente qualificato non già con
l’immobile, bensì con la vicenda generativa dell’abuso e con
la possibilità di sanarne gli effetti (cfr. TAR Campania,
Napoli, sez. VIII, 14.01.2011, n. 196; TAR Puglia,
Bari, sez. III, 09.07.2011, n. 1057; Lecce, sez. III, 25.09.2014, n. 2409; TAR Liguria, Genova, sez. I, 19.03.2013, n. 486; 28.05.2014, n. 800; 26.02.2015, n. 235)
(TAR Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 05.11.2015 n. 5137 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il contratto di comodato, intervenuto tra il
proprietario dell’area ed il concessionario, instaura una
relazione stabile (detenzione) con il bene oggetto del
medesimo, sufficiente, come quella del locatario, per
richiedere ed ottenere la concessione edilizia, salva
l’opposizione del proprietario.
---------------
La non conformità dei lavori alla disciplina urbanistica è
elemento che deve essere valutato dall’amministrazione in
sede di rilascio del titolo (e successivamente dal giudice
in sede di ricorso giurisdizionale), onde, ai fini della
legittimazione a richiederne l’autorizzazione, risulta
sufficiente che gli stessi siano in domanda prospettati come
rispettosi della normativa urbanistica.
---------------
E' ben vero che il Comune, al momento del rilascio del
permesso di costruire, deve verificare la sussistenza di un
titolo idoneo al suo rilascio.
E’, peraltro, indubitabile che, esibito un titolo, l’ente
locale non è tenuto a compiere complesse indagini in ordine
alla permanente validità dello stesso ovvero a contestazioni
o controversie che sul punto siano instaurate da terzi,
quando tali situazioni non siano state introdotte nel
procedimento.
Va, invero,
evidenziato che la giurisprudenza afferma che il contratto
di comodato, intervenuto tra il proprietario dell’area ed il
concessionario, instaura una relazione stabile (detenzione)
con il bene oggetto del medesimo, sufficiente, come quella
del locatario, per richiedere ed ottenere la concessione
edilizia, salva l’opposizione del proprietario (cfr. Cons.
Stato, IV, 09.02.2015, n. 648).
Orbene, il contratto di comodato invocato dall’appellante,
stipulato in data 15.07.1995, prevede espressamente
l’autorizzazione da parte del proprietario alla esecuzione
di lavori.
L’articolo 5 recita, infatti, che “eventuali lavori sia
sulla struttura che sugli impianti potranno essere
effettuati dalla ditta Grilli s.a.s. attenendosi alla
legislazione vigente e soltanto dopo aver richiesto ed
ottenuto le eventuali autorizzazioni o concessioni”.
Non coglie nel segno il rilievo dell’appellante, laddove
afferma che la clausola deve essere interpretata nel senso
che l’autorizzazione riguarda solo opere conformi alla
normativa e previamente autorizzate, onde non varrebbe a
legittimare la richiesta di un titolo edilizio per opere
difformi e per lo più originariamente abusive.
Osserva in proposito la Sezione che la non conformità dei
lavori alla disciplina urbanistica è elemento che deve
essere valutato dall’amministrazione in sede di rilascio del
titolo (e successivamente dal giudice in sede di ricorso
giurisdizionale), onde, ai fini della legittimazione a
richiederne l’autorizzazione, risulta sufficiente che gli
stessi siano in domanda prospettati come rispettosi della
normativa urbanistica.
Quanto, poi, all’argomento dell’autorizzazione preventiva
alla esecuzione dei lavori, ritiene il Collegio che la
clausola vada interpretata in conformità al nostro sistema
urbanistico-edilizio, il quale prevede in definitiva la
sanzionabilità dei soli abusi sostanziali, potendo quelli
meramente formali essere ricondotti a legalità mediante
l’istituto dell’accertamento postumo di conformità.
Ne consegue che la clausola contrattuale va letta nel senso
che il comodatario è autorizzato a compiere interventi
conformi alla disciplina urbanistica, i quali però devono
essere supportati da autorizzazione dell’autorità
amministrativa competente.
Potendo quest’ultima intervenire ordinariamente in via
preventiva, ma per gli abusi meramente formali anche in via
successiva di sanatoria, deve ritenersi che il comodatario,
autorizzato dal proprietario alla esecuzione di opere
edilizie regolari sia sostanzialmente che formalmente, è
legittimato a richiedere la concessione in sanatoria,
risultando questo strumento ordinario previsto
dall’ordinamento per ricondurre a legalità, anche sotto il
profilo formale, opere che siano comunque compatibili, da un
punto di vista sostanziale, con la disciplina urbanistica.
Venendo, poi, alla posizione del signor Gr.Al., cui
risulta intestato il titolo edificatorio rilasciato, osserva
la Sezione che è ben vero che il Comune, al momento del
rilascio del permesso di costruire, deve verificare la
sussistenza di un titolo idoneo al suo rilascio.
E’, peraltro, indubitabile che, esibito un titolo, l’ente
locale non è tenuto a compiere complesse indagini in ordine
alla permanente validità dello stesso ovvero a contestazioni
o controversie che sul punto siano instaurate da terzi,
quando tali situazioni non siano state introdotte nel
procedimento.
Sotto tale profilo, pertanto, non risulta viziata da
illegittimità l’attività posta in essere dal Comune, ove si
consideri che alla data del rilascio del titolo edilizio
(06.07.2007), pur essendo già intervenuta la decisione di
annullamento della Corte di Cassazione (06.06.2007), questa
non era dallo stesso conosciuta in relazione al breve lasso
temporale decorso.
D’altra parte, non può revocarsi in dubbio che, pur essendo
venuto meno l’atto giudiziale di trasferimento coattivo (con
questione, peraltro, ancora sub iudice, in relazione
al disposto rinvio alla Corte di Appello), residuava
comunque, in capo al Grilli Alberto, il contratto
preliminare di compravendita, il quale fondava il
ragionevole convincimento che ad esso fosse seguito, come da
dichiarazione resa dal privato (v. concessione del
06.07.2007), il definitivo trasferimento del bene.
Non può, infine, non evidenziarsi come l’articolo 13 della
legge n. 47/1985 legittimi alla richiesta della concessione
in sanatoria “il responsabile dell’abuso” e che
analoga disposizione si rinviene nell’articolo 36 del DPR n.
380/2001, il quale prevede che a richiedere l’accertamento
di conformità possano essere “il responsabile dell’abuso
o l’attuale proprietario dell’immobile”
(Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza 08.09.2015 n. 4176 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2014 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Il novero dei soggetti legittimati al rilascio
del titolo in sanatoria risulta più ampio rispetto a quanto
concerne il rilascio dell’ordinario titolo abilitativo
edilizio, laddove secondo il prevalente orientamento della
giurisprudenza, occorre la titolarità del diritto di
proprietà, ovvero di altro diritto reale o anche
obbligatorio a condizione del riconoscimento della
disponibilità giuridica e materiale del bene nonché della
relativa potestà edificatoria.
Il regime, infatti, della concessione edilizia è del tutto
diversificato, quanto a presupposti ed elementi propri, da
quello della sanatoria. L’affermazione è consapevolmente
recepita da parte della giurisprudenza in riferimento alla
sanatoria c.d. impropria di cui all’art. art. 13 della legge
n. 47/1985 secondo cui la dichiarazione di conformità
disciplinata dalla norma prevede che la sanatoria ivi
disciplinata sia accordata al "responsabile dell'abuso"; la
norma, quindi, a differenza di quanto previsto dall'art. 4
della legge n. 10 del 1977 non trova applicazione solo in
presenza di una domanda avanzata dal proprietario o da altro
titolare di diritto reale in quanto l'abuso sia al medesimo
ascrivibile, ma anche in presenza della domanda avanzata da
colui che, dell'abuso, è comunque responsabile in quanto,
sanato l'abuso, non potrebbe essere più chiamato a
rispondere sul piano sanzionatorio penale e/o
amministrativo.
Va pertanto affermato che legittimati all’istanza di
accertamento di conformità (così come di condono edilizio ex
L. n. 724/1994) sono oltre coloro che hanno titolo a
richiedere la concessione edilizia/permesso di costruire,
anche il promissario acquirente o il conduttore e, più in
generale, tutti coloro che vi abbiano interesse, senza il
necessario consenso ed anche, al limite, contro la volontà
del proprietario del bene.
Nel caso di specie il ricorrente, quale comproprietario
dell’area condominiale, a prescindere dal consenso degli
altri condomini, vanta indubbio interesse ad ottenere
l’accertamento di conformità, al fine di paralizzare
l’esercizio del potere repressivo, trattandosi di opera,
secondo quanto emerso in giudizio, del tutto sanabile.
Per i suesposti motivi il
ricorso è infondato e va respinto, fermo restando la facoltà
del ricorrente anche ai fini di conformare la successiva
attività comunale, di presentare la preannunciata istanza di
accertamento di conformità, pur insistendo le opere abusive
su sedime di proprietà condominiale.
Infatti, osserva incidentalmente il Collegio che il
novero dei soggetti legittimati al rilascio del titolo in
sanatoria risulta più ampio rispetto a quanto concerne il
rilascio dell’ordinario titolo abilitativo edilizio, laddove
secondo il prevalente orientamento della giurisprudenza,
occorre la titolarità del diritto di proprietà, ovvero di
altro diritto reale o anche obbligatorio a condizione del
riconoscimento della disponibilità giuridica e materiale del
bene nonché della relativa potestà edificatoria (Consiglio
di Stato sez. V, 28.05.2001 n. 2881; TAR Emilia Romagna-Bologna 21.02.2007, n. 53, TAR Lombardia Milano,
sez II, 31.03.2010, n. 842).
Il regime, infatti, della concessione edilizia è del tutto
diversificato, quanto a presupposti ed elementi propri, da
quello della sanatoria. L’affermazione è consapevolmente
recepita da parte della giurisprudenza (TAR Campania
Napoli sez VIII, 14.01.2011, n. 196) in riferimento alla
sanatoria c.d. impropria di cui all’art. 13 della legge
n. 47/1985 secondo cui la dichiarazione di conformità
disciplinata dalla norma prevede che la sanatoria ivi
disciplinata sia accordata al "responsabile dell'abuso"; la
norma, quindi, a differenza di quanto previsto dall'art. 4
della legge n. 10 del 1977 non trova applicazione solo in
presenza di una domanda avanzata dal proprietario o da altro
titolare di diritto reale in quanto l'abuso sia al medesimo
ascrivibile, ma anche in presenza della domanda avanzata da
colui che, dell'abuso, è comunque responsabile in quanto,
sanato l'abuso, non potrebbe essere più chiamato a
rispondere sul piano sanzionatorio penale e/o
amministrativo.
Va pertanto affermato che legittimati all’istanza di
accertamento di conformità (così come di condono edilizio ex
L. n. 724/1994) sono oltre coloro che hanno titolo a
richiedere la concessione edilizia/permesso di costruire,
anche il promissario acquirente o il conduttore (Corte di
Appello Firenze sez II, 04.05.2010 n. 594; TAR Puglia-Bari
09.07.2011, n. 1057) e più in generale tutti coloro che vi
abbiano interesse, senza il necessario consenso ed anche, al
limite, contro la volontà del proprietario del bene.
Nel
caso di specie il ricorrente, quale comproprietario
dell’area condominiale, a prescindere dal consenso degli
altri condomini, vanta indubbio interesse ad ottenere
l’accertamento di conformità, al fine di paralizzare
l’esercizio del potere repressivo, trattandosi di opera,
secondo quanto emerso in giudizio, del tutto sanabile
(TAR Umbria,
sentenza 25.07.2014 n. 419 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Secondo giurisprudenza
consolidata, la concessione edilizia (come il permesso di
costruire ed ogni altro atto della P.A. destinato ad
incidere sulla proprietà privata) costituisce un
provvedimento autoritativo, che può essere rilasciato solo
se il progetto risulta conforme alla normativa urbanistica
ed edilizia della zona interessata.
A tal fine il Comune deve articolare l'istruttoria
verificando l'esistenza dei presupposti richiesti dall'art.
4 della l. n. 10/1977, all’epoca vigente, secondo il quale
"La concessione è data dal sindaco al proprietario dell'area
o a chi abbia titolo per richiederla".
Da una corretta interpretazione della norma, si evince che
la P.A. deve rilasciare il permesso di costruire solo a chi
dimostri di possedere un titolo idoneo di godimento
sull'area da assoggettare alla trasformazione urbanistica
(perché la legge intende evitare che il titolo abilitativo
rilasciato dal Comune leda indebitamente posizioni
soggettive tutelate dal diritto civile).
Tuttavia, al di là di tale onere di accertamento, non
incombe in capo alla PA l'ulteriore onere di effettuare
complesse indagini e ricognizioni giuridico documentali sul
titolo di proprietà depositato dal richiedente.
Tranne il caso in cui al Comune sia tempestivamente
rappresentata la sussistenza di circostanze particolari,
meritevoli di essere prese in considerazione, il Comune deve
limitarsi ad accertare la sussistenza del titolo della
proprietà: la giurisprudenza maggioritaria è infatti
concorde nell'affermare che "ai fini del rilascio del
permesso di costruire l'amministrazione è onerata del solo
accertamento della sussistenza del titolo astrattamente
idoneo da parte del richiedente alla disponibilità dell'area
oggetto dell'intervento edilizio: cioè l'astratta proprietà
desunta dagli atti pubblici prodotti ed in via residuale
dalle risultanze catastali", anche perché essa è di norma
rilasciata con la clausola “fatti salvi i diritti dei
terzi”.
Invero, secondo
giurisprudenza consolidata, la concessione edilizia (come il
permesso di costruire ed ogni altro atto della P.A.
destinato ad incidere sulla proprietà privata) costituisce
un provvedimento autoritativo, che può essere rilasciato
solo se il progetto risulta conforme alla normativa
urbanistica ed edilizia della zona interessata.
A tal fine il Comune deve articolare l'istruttoria
verificando l'esistenza dei presupposti richiesti dall'art.
4 della l. n. 10/1977, all’epoca vigente, secondo il quale
"La concessione è data dal sindaco al proprietario dell'area
o a chi abbia titolo per richiederla".
Da una corretta interpretazione della norma, si evince che
la P.A. deve rilasciare il permesso di costruire solo a chi
dimostri di possedere un titolo idoneo di godimento
sull'area da assoggettare alla trasformazione urbanistica
(perché la legge intende evitare che il titolo abilitativo
rilasciato dal Comune leda indebitamente posizioni
soggettive tutelate dal diritto civile).
Tuttavia, al di là di tale onere di accertamento, non
incombe in capo alla PA l'ulteriore onere di effettuare
complesse indagini e ricognizioni giuridico documentali sul
titolo di proprietà depositato dal richiedente.
Tranne il caso in cui al Comune sia tempestivamente
rappresentata la sussistenza di circostanze particolari,
meritevoli di essere prese in considerazione, il Comune deve
limitarsi ad accertare la sussistenza del titolo della
proprietà: la giurisprudenza maggioritaria è infatti
concorde nell'affermare che "ai fini del rilascio del
permesso di costruire l'amministrazione è onerata del solo
accertamento della sussistenza del titolo astrattamente
idoneo da parte del richiedente alla disponibilità dell'area
oggetto dell'intervento edilizio: cioè l'astratta proprietà
desunta dagli atti pubblici prodotti ed in via residuale
dalle risultanze catastali" (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV
04.04.2012 n. 1990), anche perché essa è di norma
rilasciata con la clausola “fatti salvi i diritti dei terzi”
(Consiglio
di Stato, Sez. V,
sentenza 17.06.2014 n. 3096 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Rifacimento urgente del tetto dopo il preliminare d'acquisto.
Immobili. Ammessa la tutela dell'articolo 700 del Codice di
procedura civile.
Sì al provvedimento d'urgenza previsto dall'articolo 700
del Codice di procedura civile per tutelare i diritti del
promissario acquirente.
Lo afferma il TRIBUNALE di
Cassino (giudice Eramo) in un'ordinanza del 03.04.2014
(tratto da www.ilsole24ore.com).
Il caso riguarda una Srl, che aveva stipulato un preliminare
per l'acquisto di un casolare da ristrutturare, ma poi aveva
scoperto che l'immobile era gravato da vincoli paesaggistici
e archeologici. Così si era rivolta al tribunale per
ottenere l'annullamento del contratto, sostenendo di essere
stata indotta in errore essenziale sulla natura e
sull'oggetto dell'accordo.
Nel corso del giudizio la società
ha chiesto al giudice l'emissione di un provvedimento
d'urgenza in base all'articolo 700 del Codice di rito
civile, perché il suo diritto era minacciato da un
pregiudizio imminente e irreparabile perché il casolare
aveva subito ingenti danni a causa della mancata
manutenzione.
Il tribunale osserva che il provvedimento d'urgenza
garantisce principalmente diritti che riguardano beni
infungibili ma tutela anche «crediti pecuniari dal cui
ritardato soddisfacimento potrebbe derivare un pregiudizio
non riparabile altrimenti». La pretesa vantata dalla
ricorrente non è un diritto di proprietà, ma ciò è
irrilevante per la concessione dell'ordinanza perché dal
contratto preliminare scaturisce «una specifica obbligazione
di alienazione del promittente alienante, rispetto alla
quale si contrappone un diritto soggettivo perfetto
all'adempimento di tale obbligazione a favore
dell'acquirente».
Il giudice rileva che per il consulente tecnico d'ufficio
era «prevedibile a breve l'aggravarsi delle condizioni di
sicurezza degli elementi strutturali del tetto». E poiché la
ricorrente ha il diritto all'acquisto della proprietà di «un
immobile il più possibile integro», alla promittente
venditrice è ordinato di «provvedere alla ristrutturazione o
rifacimento del tetto e delle altre parti danneggiate»
(articolo Il Sole 24 Ore del
19.05.2014). |
EDILIZIA PRIVATA: Leasing, può scattare la malafede.
Nel caso del contratto di leasing, l'utilizzatore può essere
chiamato a rispondere per responsabilità precontrattuale, in
relazione agli atti che ha il potere di compiere per effetto
del contratto stesso.
Lo dice la III Sez. civile della
Corte di Cassazione (sentenza 13.02.2014 n. 3362).
Il contratto di leasing traslativo sottende un'operazione
avente il fine di attuare un acquisto dell'utilizzatore e
una mera operazione di finanziamento da parte del
concedente. Sarà l'utilizzatore a scegliere presso il terzo
venditore (non presso il concedente) il bene oggetto di
leasing, in termini conformi alle sue peculiari esigenze,
quanto, invece, al concedente, questi si limiterà a fornire
i mezzi economici per il pagamento del prezzo, erogando la
somma necessaria, che verrà restituita -con l'aggiunta di
interessi, spese e utile dell'operazione- ratealmente e
tramite l'esercizio finale dell'opzione di acquisto.
A rendere necessitato il positivo esercizio dell'opzione
dell'utilizzatore circa l'acquisto finale del bene è lo
stesso contenuto economico dell'operazione, per cui,
osservano gli Ermellini: «I canoni periodici da
corrispondere al concedente comprendono ben più che il mero
corrispettivo del godimento, essendo in essi inclusa una
frazione della somma da restituire quale importo del
finanziamento, dei relativi interessi, spese e utili
dell'operazione; ragion per cui, al termine del rapporto, il
bene risulta quasi interamente pagato e il corrispettivo
dell'opzione è normalmente di importo irrisorio rispetto al
valore del bene».
Secondo gli stessi giudici nei contratti di leasing
traslativo i poteri dell'utilizzatore sono talmente ampi «da
poter essere assimilati a una sorta di dominio utile, tale
da rendere inaccettabile, perché non conforme alla natura
del contratto e della sottostante operazione economica, il
principio per cui l'utilizzatore non potrebbe essere
chiamato a rispondere per responsabilità precontrattuale
(come anche per responsabilità contrattuale) in relazione
agli atti che ha il potere di compiere per effetto del
contratto di leasing».
Pertanto, la formale intestazione della proprietà al
concedente ha funzione di garanzia della restituzione del
finanziamento e va a configurare una sorta di proprietà
fiduciaria in funzione di garanzia, che si contrappone al
vero e proprio dominio utile, spettante all'utilizzatore.
La Corte ha, poi, osservato che l'utilizzatore consegue, dal
canto suo, tutti i poteri di amministrazione ordinaria e
straordinaria; il pieno godimento del bene, con poteri più
ampi di quelli che spettano all'usufruttuario: «non
essendo soggetto al limite di mantenere inalterata la
consistenza e la destinazione economica del bene, di cui
all'art. 981 cc -di cui potrebbe essere chiamato a
rispondere solo nella situazione patologica in cui il
rapporto si sciolga prima del termine per suo inadempimento
all'obbligo di pagare i canoni di leasing- e assumendo
rischi e responsabilità simili a quelle che gravano sul
proprietario pieno» (articolo ItaliaOggi Sette
del 24.02.2014). |
EDILIZIA PRIVATA:
R. D'Isa,
I modi di acquisto della proprietà a titolo originario: 1)
Usucapione; 2) Occupazione; 3) Invenzione; 4) Accessione; 5)
Unione e Commistione; 6) Specificazione (22.01.2014
- tratto da http://renatodisa.com). |
anno 2013 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Fatti salvi i casi di
espressa esclusione in tale senso risultanti dal relativo
negozio, anche il contratto di leasing costituisce un titolo
reale astrattamente idoneo a consentire interventi
sull'immobile.
In linea generale dunque, sempre che la società di leasing
non si attivi per denunciare il proprio dissenso rispetto al
rilascio di un titolo edificatorio, il locatario in leasing
è titolare di una relazione qualificata con il bene
medesimo, per cui gli deve essere riconosciuta l’astratta
legittimazione a richiedere titoli edilizi in relazione al
ricordato disposto dell'art. 11, d.P.R. 06.06.2001 n. 380,
sempreché il singolo contratto di leasing contenga
specifiche clausole autorizzatorie in tal senso.
In secondo luogo, ai fini della legittimazione alla
presentazione della d.i.a,. si deve ricordare che, al di là
degli aspetti formali, ai sensi dell'art. 11, d.P.R.
06.06.2001 n. 380, la legittimazione all'ottenimento del
titolo edificatorio spetta "al proprietario del'immobile
o a chi abbia titolo per richiederlo".
Al riguardo, alla luce degli orientamenti della Sezione in
casi analoghi (es.: comodatario, in Consiglio di Stato, Sez.
IV 20.07.2011 n. 4370; usufruttuario, in Consiglio di Stato,
Sez. IV 30.07.2012 n. 4287) si deve rilevare che -fatti
salvi i casi di espressa esclusione in tale senso risultanti
dal relativo negozio- anche il contratto di leasing
costituisce un titolo reale astrattamente idoneo a
consentire interventi sull'immobile.
In linea generale dunque, sempre che la società di leasing
non si attivi per denunciare il proprio dissenso rispetto al
rilascio di un titolo edificatorio, il locatario in leasing
è titolare di una relazione qualificata con il bene
medesimo, per cui gli deve essere riconosciuta l’astratta
legittimazione a richiedere titoli edilizi in relazione al
ricordato disposto dell'art. 11, d.P.R. 06.06.2001 n. 380,
sempreché il singolo contratto di leasing contenga
specifiche clausole autorizzatorie in tal senso.
Nel caso in esame, l’art. 8 del contratto di leasing
(puntualmente allegato sia in primo grado che in appello)
prevedeva l’obbligo dell’utilizzatore di provvedere alla “manutenzione
ordinaria e straordinaria… alla sostituzione ,rifacimento,
rimessione in pristino di tutte le parti interne ed esterne
dell’immobile incluse … le parti comuni.. compresi gli
adeguamenti, …. con riguardo alla sicurezza, alla
prevenzione degli infortuni,nonché alla sostituzione,
rifacimento,e rimessione in pristino degli impianti e di
ogni altro accessorie che si rendesse necessario” .
In tale ipotesi dunque, è rilevante la circostanza che il
contratto di leasing conferiva all’utilizzatore del bene,
dr. M., un diritto di reale di godimento del bene che
comprendeva la facoltà di far luogo a modifiche ed a
migliorie e quindi gli conferiva un titolo negoziale per
poter legittimamente richiedere un titolo edilizio,
dovendosi escludere nel caso la ricorrenza di un’espressa
opposizione della società concedente
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 20.12.2013 n. 6165
- link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
CONDOMINIO -
EDILIZIA PRIVATA:
Sebbene sia condivisibile
l’orientamento giurisprudenziale secondo cui il Comune non è
tenuto a “procedere ad un’accurata ed approfondita disamina
dei rapporti tra i condomini”, altrettanto lo è anche
l’ulteriore specificazione secondo cui, “qualora vi sia un
conclamato dissidio fra i comproprietari in ordine
all'intervento progettato, la scelta dell'amministrazione di
assentire comunque le opere (in base al mero riscontro della
conformità agli strumenti urbanistici) evidenzia un grave
difetto istruttorio e motivazionale, perché non dà conto
dell'effettiva corrispondenza tra l'istanza edificatoria e
la titolarità del prescritto diritto di godimento”.
A tale proposito il Collegio ritiene che,
sebbene sia condivisibile l’orientamento giurisprudenziale
secondo cui il Comune non è tenuto a “procedere ad
un’accurata ed approfondita disamina dei rapporti tra i
condomini” (Cons. Stato, IV, 04.05.2010, n. 2546),
altrettanto lo sia anche l’ulteriore specificazione secondo
cui, “qualora vi sia un conclamato dissidio fra i
comproprietari in ordine all'intervento progettato, la
scelta dell'amministrazione di assentire comunque le opere
(in base al mero riscontro della conformità agli strumenti
urbanistici) evidenzia un grave difetto istruttorio e
motivazionale, perché non dà conto dell'effettiva
corrispondenza tra l'istanza edificatoria e la titolarità
del prescritto diritto di godimento” (cfr TAR Campania
Napoli Sez. II, Sent., 07.06.2013, n. 3019)
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 18.12.2013 n. 1145 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il preliminare di vendita legittima il
promissario a richiedere il permesso di costruire sul fondo.
Il preliminare di vendita legittima il promissario a
richiedere il permesso di costruire sul fondo (C. di S., IV,
27.04.2005, n. 1947) (Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 20.11.2013 n.
5469 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il permesso di costruire,
ai sensi dell’art. 11 D.P.R. 380/2001, può essere chiesto
dal proprietario e da chi ne ha titolo. E’ peraltro pacifico
che il diritto di usufrutto, in quanto ricomprende anche la
possibilità di sfruttare pienamente la potenzialità
edificatoria del suolo, costituisca titolo idoneo a
legittimare la richiesta di permesso di costruire.
Pertanto, con la produzione dell’atto di donazione il
ricorrente ha assolto al proprio onere di documentare il
titolo necessario per ottenere il permesso di costruire in
sanatoria, dimostrando di avere la disponibilità
dell’immobile interessato dall’intervento edificatorio e
delle pertinenze dello stesso.
Per altro verso, poi, all’amministrazione non è richiesta
un’indagine (sulla ricorrenza di tale presupposto) che si
estenda fino alla ricerca d’ufficio di eventuali elementi
limitativi, preclusivi o estintivi del titolo di
disponibilità allegato dal richiedente, ma solo la verifica
dell’esistenza di un titolo sostanziale idoneo a costituire
in capo a quest’ultimo il diritto di sfruttare la
potenzialità edificatoria dell’immobile, senza che a tale
allegazione debba seguire un’ulteriore indagine in ordine
alle implicazioni, di diritto civilistico derivanti dal
rilascio del titolo autorizzativo, considerato anche che
detto rilascio avviene sempre con la clausola di salvezza
dei diritti dei terzi, proprio al fine di lasciare
impregiudicate eventuali posizioni soggettive di terzi
configgenti.
Con il presente gravame il ricorrente, usufruttuario di un
immobile residenziale sito in Lazise (VR), ha impugnato il
provvedimento del Servizio Edilizia Privata comunale del 10.05.2012 n. 10757, con cui gli è stato negato il rilascio
del permesso di costruire in sanatoria in relazione ad
alcune opere consistenti nella realizzazione di una
piattaforma elevatrice (ascensore) e di un cappotto termico.
...
In secondo luogo, quanto ai dubbi
manifestati dall’amministrazione sulla legittimazione
dell’odierno ricorrente a richiedere il titolo in questione,
si osserva che dall’atto notarile del 21.12.1991, pure
consegnato all’amministrazione comunale, risulta che De Carli Antonio è usufruttuario dell’immobile oggetto
dell’intervento e delle aree ad esso pertinenti, avendo
egli, con il predetto atto, donato la nuda proprietà ai
figli.
Ebbene, il permesso di costruire, ai sensi dell’art. 11
D.P.R. 380/2001, può essere chiesto dal proprietario e da
chi ne ha titolo. E’ peraltro pacifico che il diritto di
usufrutto, in quanto ricomprende anche la possibilità di
sfruttare pienamente la potenzialità edificatoria del suolo,
costituisca titolo idoneo a legittimare la richiesta di
permesso di costruire.
Pertanto, con la produzione dell’atto di donazione del 21.12.1991, il ricorrente ha assolto al proprio onere di
documentare il titolo necessario per ottenere il permesso di
costruire in sanatoria, dimostrando di avere la
disponibilità dell’immobile interessato dall’intervento
edificatorio e delle pertinenze dello stesso.
Per altro verso, poi, all’amministrazione non è richiesta
un’indagine (sulla ricorrenza di tale presupposto) che si
estenda fino alla ricerca d’ufficio di eventuali elementi
limitativi, preclusivi o estintivi del titolo di
disponibilità allegato dal richiedente (Cons. St, sez. V, 22.06.2000, n. 3525), ma solo la verifica dell’esistenza di
un titolo sostanziale idoneo a costituire in capo a
quest’ultimo il diritto di sfruttare la potenzialità
edificatoria dell’immobile, senza che a tale allegazione
debba seguire un’ulteriore indagine in ordine alle
implicazioni, di diritto civilistico derivanti dal rilascio
del titolo autorizzativo, considerato anche che detto
rilascio avviene sempre con la clausola di salvezza dei
diritti dei terzi, proprio al fine di lasciare
impregiudicate eventuali posizioni soggettive di terzi
configgenti (cfr. Cons. St. n. 368/2004).
D’altra parte (e questo sembra essere lo scrupolo
dell’amministrazione) non si comprende come i figli
dell’odierno ricorrente, nudi proprietari, possano
legittimamente opporsi alla realizzazione degli interventi
edilizi posti in essere dal loro padre.
In particolare, dall’atto notarile depositato non risulta
che il cortile di pertinenza dell’abitazione sia escluso dal
diritto di usufrutto che De Carli Antonio ha mantenuto su
tutto il compendio immobiliare in origine di sua proprietà,
comprensivo delle pertinenze, né che tale cortile sia, come
prospettato dalla Commissione Edilizia, di piena proprietà
dei figli di De Carli Antonio. Elemento limitativo, questo,
che andrebbe comunque provato da parte dell’amministrazione
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 13.11.2013 n. 1270 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sia l’art. 11 del DPR
380/2001 sia l’art. 36 della L.R. 28/12/1978
n. 71 consentono che il permesso di
costruire, ovvero la concessione edilizia,
possano essere richieste anche dal
promissario del terreno, a condizione che al
momento del materiale rilascio sia
conosciuto il destinatario obbligato al
pagamento degli oneri di urbanizzazione e
del contributo del costo di costruzione.
Con un unico motivo ricorso il ricorrente
lamenta l’illegittimità del provvedimento
impugnato sia sotto il profilo della erronea
valutazione operata dal Comune circa la
mancanza di legittimazione del richiedente
al rilascio del titolo edificatorio, sia in
ordine alla falsa applicazione di legge
relativamente alle altre due motivazioni che
lo sorreggono, ritenendo di avere
adeguatamente dimostrato al Comune che il
fondo risulterebbe di fatto intercluso,
perché delimitato da due strade, nonché che
la zona sarebbe intensamente edificata e
dotata di tutte le opere di urbanizzazione
primaria e secondaria, sicché non sarebbe
necessaria l’elaborazione di un piano di
lottizzazione.
La prima censura deve essere accolta, nel
senso che sia l’art. 11 del DPR 380/2001 sia
l’art. 36 della L.R. 28/12/1978 n. 71
consentono che il permesso di costruire,
ovvero la concessione edilizia, possano
essere richieste anche dal promissario del
terreno, a condizione che al momento del
materiale rilascio sia conosciuto il
destinatario obbligato al pagamento degli
oneri di urbanizzazione e del contributo del
costo di costruzione (TAR Sicilia-Palermo,
Sez. II,
sentenza 08.11.2013 n. 2071 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L’attività istruttoria da
svolgersi ad opera dell’Amministrazione comunale deve essere
rivolta non già a risolvere i conflitti tra le parti private
in ordine all'assetto dominicale dell'area stessa, bensì ad
accertare il requisito della legittimazione soggettiva del
richiedente, sia per la notevole incidenza della concessione
edilizia sugli interessi pubblici e privati coinvolti, sia
per evitare il grave contenzioso che deriverebbe
dall'incauto rilascio di quest'ultima a soggetti non
idoneamente legittimati.
... l’attività istruttoria da svolgersi ad opera
dell’Amministrazione deve essere rivolta non già a risolvere
i conflitti tra le parti private in ordine all'assetto
dominicale dell'area stessa, bensì ad accertare il requisito
della legittimazione soggettiva del richiedente, sia per la
notevole incidenza della concessione edilizia sugli
interessi pubblici e privati coinvolti, sia per evitare il
grave contenzioso che deriverebbe dall'incauto rilascio di
quest'ultima a soggetti non idoneamente legittimati (cfr.,
ex multis, TAR Campania Napoli, sez. III, 23.01.2009, n. 315) (TAR Campania-Napoli,
Sez. III,
sentenza 10.10.2013 n. 4538 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: In
base alla disciplina normativa applicabile “ratione temporis”
e cioè la l. n. 10/1977, la concessione ad edificare poteva
essere rilasciata “al proprietario dell'area o a chi abbia
titolo per richiederla” (art. 4, comma 1, sostanzialmente
corrispondente all'art. 11, del testo unico dell’edilizia di
cui al d.p.r. n. 380/2001 attualmente in vigore).
Il riferimento operato dalla citata disposizione al “titolo”
era comunemente riferito alla titolarità di un diritto reale
di godimento, o, secondo un indirizzo più aperto, anche a
chi avesse la materiale disponibilità del suolo in base ad
un diritto personale (come ad esempio il promissario
acquirente dell'immobile, purché avesse a ciò consentito il
proprietario).
Pertanto, è solo un legame qualificato con l’area da
sfruttare a fini edificatori che fonda l’interesse legittimo
ad ottenere il necessario titolo amministrativo ampliativo.
In mancanza, si è rispetto a quest’ultimo nella posizione di
“quisque de populo”.
In base alla disciplina normativa
applicabile “ratione temporis” e cioè la l. n. 10/1977, la
concessione ad edificare poteva essere rilasciata “al
proprietario dell'area o a chi abbia titolo per
richiederla” (art. 4, comma 1, sostanzialmente
corrispondente all'art. 11, del testo unico dell’edilizia di
cui al d.p.r. n. 380/2001 attualmente in vigore). Il
riferimento operato dalla citata disposizione al “titolo”
era comunemente riferito alla titolarità di un diritto reale
di godimento, o, secondo un indirizzo più aperto, anche a
chi avesse la materiale disponibilità del suolo in base ad
un diritto personale (come ad esempio il promissario
acquirente dell'immobile, purché avesse a ciò consentito il
proprietario: C. di S., V, 24.08.2007, n. 4485).
Pertanto, è solo un legame qualificato con l’area da
sfruttare a fini edificatori che fonda l’interesse legittimo
ad ottenere il necessario titolo amministrativo ampliativo.
In mancanza, si è rispetto a quest’ultimo nella posizione di
“quisque de populo”
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 30.09.2013 n. 4827 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
parametro valutativo dell'attività edilizia svolta dai
privati consiste nell'accertamento della conformità
dell'opera alla disciplina urbanistica, lasciando sempre
salvi i diritti dei terzi; perciò la legittimità di
un'autorizzazione edilizia non può comunque condizionare la
regolazione dei rapporti tra parti private.
Conseguentemente non sussiste un obbligo generalizzato per
l'Amministrazione di verificare che non sussistano limiti di
natura civilistica per la realizzazione di un'opera
edilizia; tuttavia, essa ha il potere-dovere di verificare
in capo al richiedente un idoneo titolo di godimento
sull'immobile interessato dal progetto di trasformazione
urbanistica, al fine di accertare il requisito della sua
legittimazione.
Circa l'ampiezza dei poteri istruttori, a ciò finalizzati, è
stato, peraltro, precisato che non si tratta di obbligare la
P.A. a complessi e laboriosi accertamenti anche per non
aggravare il procedimento.
Il ricorso è fondato e va accolto.
Il parametro valutativo dell'attività edilizia svolta dai
privati consiste nell'accertamento della conformità
dell'opera alla disciplina urbanistica, lasciando sempre
salvi i diritti dei terzi; perciò la legittimità di
un'autorizzazione edilizia non può comunque condizionare la
regolazione dei rapporti tra parti private. Conseguentemente
non sussiste un obbligo generalizzato per l'Amministrazione
di verificare che non sussistano limiti di natura
civilistica per la realizzazione di un'opera edilizia;
tuttavia, essa ha il potere-dovere di verificare in capo al
richiedente un idoneo titolo di godimento sull'immobile
interessato dal progetto di trasformazione urbanistica, al
fine di accertare il requisito della sua legittimazione.
Circa l'ampiezza dei poteri istruttori, a ciò finalizzati, è
stato, peraltro, precisato che non si tratta di obbligare la
P.A. a complessi e laboriosi accertamenti anche per non
aggravare il procedimento
(TAR Campania-Salerno, Sez. I,
sentenza 27.09.2013 n. 1985 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
CONDOMINIO - EDILIZIA
PRIVATA:
La domanda di rilascio
del permesso di costruire ovvero la denuncia di inizio di
attività possono essere presentate dal proprietario
dell’immobile ovvero da chi ne abbia titolo.
L’espressione “titolo per richiederlo” è correntemente
intesa dalla giurisprudenza amministrativa nel senso di
posizione che civilisticamente costituisca titolo per
esercitare sul fondo un’attività costruttiva, ammettendosi
in tal senso che la posizione legittimante enunciata nella
disposizione normativa in esame non coincide con il solo
diritto di proprietà, ma anche con altri diritti reali o
addirittura personali di godimento, purché attribuiscano al
titolare la facoltà di attuare interventi sull’immobile.
A fronte di ciò, l’Amministrazione comunale è per certo
chiamata a svolgere un’attività istruttoria per accertare la
sussistenza del titolo legittimante di colui che chiede il
rilascio del titolo edilizio, anche mediante d.i.a.,
competendo in tal senso all’Amministrazione medesima la
verifica, in capo al richiedente, di un titolo sostanziale
idoneo a costituire la posizione legittimante senza alcuna
ulteriore e minuziosa indagine che si estenda fino alla
ricerca di eventuali fattori limitativi, preclusivi o
estintivi del titolo di disponibilità dell’immobile allegato
da colui che presenta l’istanza.
Significativo –del resto– è al riguardo anche l’art. 42,
comma 8, lett. a), della L. R. 12 del 2005, laddove si
dispone che il dirigente o il responsabile dell’ufficio
competente verifichi, in relazione alla d.i.a., “la
regolarità formale e la completezza della documentazione”.
La verifica del possesso del titolo a costruire costituisce
pertanto un presupposto, la cui mancanza impedisce
all’Amministrazione comunale di procedere oltre nell’esame
del progetto, anche se deve escludersi un obbligo
dell’Amministrazione comunale stessa di effettuare complessi
accertamenti diretti a ricostruire tutte le vicende
riguardanti l’immobile.
---------------
L’Amministrazione comunale, allorquando inizia l’istruttoria
per il rilascio di un titolo edilizio formale (nonché, ora,
allorquando svolge l’istruttoria conseguente all’avvenuta
presentazione di una segnalazione certificata di inizio di
attività – s.c.i.a. edilizia, a’ sensi dell’art. 19 della L.
07.08.1990 n. 241 nel testo ad oggi in vigore), non è per
certo obbligata ad acquisire informazioni sulla circostanza
che l’assemblea condominiale abbia eventualmente inibito al
singolo condomino di realizzare le opere sostanzianti un
sopralzo dell’edificio: ma il richiedente il titolo edilizio
ovvero chi presenta la s.c.i.a. è comunque onerato, prima di
iniziare i lavori, ad impugnare la deliberazione
dell’assemblea condominiale lesiva del proprio diritto, a’
sensi e per gli effetti dell’art. 1137, secondo comma, cod.
civ., essendo anche ammesso al riguardo l’incidente di
sospensione cautelare della deliberazione medesima.
Risulta altrettanto assodato che il condominio, ove abbia
adottato una deliberazione che vieti l’esecuzione dei lavori
al singolo condomino, può pure incidere nella sfera
giuridica di quest’ultimo e –segnatamente– sulla sua
posizione di interesse legittimo intervenendo a’ sensi
dell’art. 7 e ss. della L. 241 del 1990 nel procedimento
relativo al rilascio del permesso di costruire ovvero in
quello conseguente alla presentazione della s.c.i.a. e
chiedendo quindi all’Amministrazione comunale di non
accogliere le richieste del condomino medesimo conformemente
al predetto deliberato assembleare, ovvero anche l’adozione
di ogni possibile provvedimento in autotutela.
Il Collegio,
per parte propria, rileva che, a’ sensi dell’art. 11, comma
1, e dell’art. 23, comma 1, del T.U. approvato con D.P.R. 06.06.2001 n. 380, la domanda di rilascio del permesso di
costruire, ovvero la denuncia di inizio di attività possono
essere presentate dal proprietario dell’immobile ovvero da
chi ne abbia titolo.
Tali disposizioni riproducono nella sostanza l’art. 4, primo
comma, della L. 28.01.1977 n. 10, in forza del quale
“la concessione (edilizia) è data dal sindaco al
proprietario dell’area o a chi abbia titolo per
richiederla”, e sono a loro volta recepite in Lombardia
dall’art. 35, comma 1, della L. R. 12 del 2005, laddove –per l’appunto– analogamente si dispone che il permesso di
costruire sia rilasciato “al proprietario dell’immobile o a
chi abbia titolo per richiederlo”.
Va precisato che l’espressione “titolo per richiederlo” è
correntemente intesa dalla giurisprudenza amministrativa nel
senso di posizione che civilisticamente costituisca titolo
per esercitare sul fondo un’attività costruttiva (cfr. al
riguardo, ad es., Cons. Stato, Sez. V, 28.05.2001 n.
2882 e 15.03.2001 n. 1507, nonché Sez. IV, 15.02.1985 n. 47), ammettendosi in tal senso che la posizione
legittimante enunciata nella disposizione normativa in esame
non coincide con il solo diritto di proprietà, ma anche con
altri diritti reali o addirittura personali di godimento,
purché attribuiscano al titolare la facoltà di attuare
interventi sull’immobile.
A fronte di ciò, il Collegio reputa che l’Amministrazione
comunale era ed è per certo chiamata a svolgere un’attività
istruttoria per accertare la sussistenza del titolo
legittimante di colui che chiede il rilascio del titolo
edilizio, anche mediante d.i.a., competendo in tal senso
all’Amministrazione medesima la verifica, in capo al
richiedente, di un titolo sostanziale idoneo a costituire la
posizione legittimante senza alcuna ulteriore e minuziosa
indagine che si estenda fino alla ricerca di eventuali
fattori limitativi, preclusivi o estintivi del titolo di
disponibilità dell’immobile allegato da colui che presenta
l’istanza (così, ad es., Cons. Stato, Sez. V, 04.02.2004 n. 368).
Significativo –del resto– è al riguardo anche l’art. 42,
comma 8, lett. a), della L. R. 12 del 2005, laddove si
dispone che il dirigente o il responsabile dell’ufficio
competente verifichi, in relazione alla d.i.a., “la
regolarità formale e la completezza della documentazione”.
La verifica del possesso del titolo a costruire costituisce
pertanto un presupposto, la cui mancanza impedisce
all’Amministrazione comunale di procedere oltre nell’esame
del progetto, anche se deve escludersi un obbligo
dell’Amministrazione comunale stessa di effettuare complessi
accertamenti diretti a ricostruire tutte le vicende
riguardanti l’immobile.
---------------
L’Amministrazione
comunale, allorquando inizia l’istruttoria per il rilascio
di un titolo edilizio formale (nonché, ora, allorquando
svolge l’istruttoria conseguente all’avvenuta presentazione
di una segnalazione certificata di inizio di attività – s.c.i.a. edilizia, a’ sensi dell’art. 19 della L. 07.08.1990 n. 241 nel testo ad oggi in vigore), non è per certo
obbligata ad acquisire informazioni sulla circostanza che
l’assemblea condominiale abbia eventualmente inibito al
singolo condomino di realizzare le opere sostanzianti un
sopralzo dell’edificio: ma il richiedente il titolo edilizio
ovvero chi presenta la s.c.i.a. è comunque onerato, prima di
iniziare i lavori, ad impugnare la deliberazione
dell’assemblea condominiale lesiva del proprio diritto, a’
sensi e per gli effetti dell’art. 1137, secondo comma, cod.
civ., essendo anche ammesso al riguardo l’incidente di
sospensione cautelare della deliberazione medesima (cfr.
ivi, nonché la corrispondente disciplina contenuta nel nuovo
testo dell’articolo medesimo, conseguente alla novella
introdotta al riguardo dall’art. 15 della L. 11.12.2012 n. 220, che trova peraltro applicazione solo a
decorrere dal 18.06.2013).
Non consta che nella specie la deliberazione adottata
dall’assemblea condominiale sia stata sospesa.
Risulta altrettanto assodato che il condominio, ove abbia
adottato una deliberazione che vieti l’esecuzione dei lavori
al singolo condomino, può pure incidere nella sfera
giuridica di quest’ultimo e –segnatamente– sulla sua
posizione di interesse legittimo intervenendo a’ sensi
dell’art. 7 e ss. della L. 241 del 1990 nel procedimento
relativo al rilascio del permesso di costruire ovvero in
quello conseguente alla presentazione della s.c.i.a. e
chiedendo quindi all’Amministrazione comunale di non
accogliere le richieste del condomino medesimo conformemente
al predetto deliberato assembleare, ovvero anche l’adozione
di ogni possibile provvedimento in autotutela (Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza 21.08.2013
n. 4234 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Ai
sensi dell’art. 11 D.P.R. n. 380/2001, tra i titoli per
richiedere il permesso di costruire rientra il rapporto di
disponibilità qualificata dell'area interessata, il quale
può trovare fondamento anche nel semplice possesso della
stessa.
Occorre evidenziare che il permesso di costruire in
sanatoria (n. 10/2012) di cui il Comune intimato ha negato
il ritiro da parte del richiedente sig. Salvatore Stabile,
odierno ricorrente, in conseguenza della mancata esibizione
da parte di quest'ultimo del titolo di proprietà sull'area
interessata, ha ad oggetto la realizzazione di una porzione
di recinzione (per il resto regolarmente assentita con
permesso di costruire n. 32/2011) su terreno (p.lla 107 del
foglio 4) di proprietà di terzo soggetto (la
controinteressata sig. Q.), dal quale è anche
pervenuta al Comune formale opposizione.
In virtù del predetto rilievo, il Comune ha altresì avvisato
il ricorrente, mediante l'atto impugnato, dell'avvio del
procedimento di revoca del predetto permesso di costruire n.
10/2012.
Ebbene, è fondata, come anticipato nella fase cautelare
(cfr. ordinanza n. 484/2012), la censura con la quale la
parte ricorrente allega il carattere non necessario del
titolo di proprietà sull'area interessata dai lavori.
Ribadito infatti che si verte in tema di permesso di
costruire in sanatoria, viene in rilievo, a suffragare la
fondatezza delle deduzioni attoree, l'art. 36 d.P.R. n.
380/2001, ai sensi del quale "in caso di interventi
realizzati in assenza di permesso di costruire, o in
difformità da esso, ovvero in assenza di denuncia di inizio
attività nelle ipotesi di cui all'articolo 22, comma 3, o in
difformità da essa (…), il responsabile dell'abuso, o
l'attuale proprietario dell'immobile, possono ottenere il
permesso in sanatoria se l'intervento risulti conforme alla
disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento
della realizzazione dello stesso, sia al momento della
presentazione della domanda".
La posizione di responsabile dell'abuso, facente capo al
ricorrente, costituisce quindi, ai sensi del chiaro disposto
normativo, titolo sufficiente a legittimare la presentazione
da parte sua del richiesto titolo edilizio in sanatoria.
Il ricorso quindi, come anticipato, deve essere accolto e
conseguentemente annullato il provvedimento impugnato,
mentre può dichiararsi l'assorbimento delle censure non
esaminate
(TAR Campania-Salerno, Sez. I,
sentenza 15.07.2013 n. 1565 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
CONDOMINIO -
EDILIZIA PRIVATA:
In base all’art. 11,
comma primo, del d.P.R. 06.06.2001 n. 980, il permesso di
costruire è rilasciato al proprietario dell'immobile o a chi
abbia titolo per richiederlo.
Quindi, il Comune, prima di rilasciare il titolo, ha sempre
l'onere di verificare la legittimazione del richiedente,
accertando che questi sia il proprietario dell'immobile
oggetto dell'intervento costruttivo o che, comunque, ne
abbia un titolo di disponibilità sufficiente per eseguire
l'attività edificatoria.
---------------
Nel caso di specie è pacifico che gli interventi per i quali
è stato richiesto il titolo edilizio riguardano, non solo le
unità immobiliari poste all’ultimo piano dell’edificio, ma
anche il tetto di quest’ultimo: in particolare riguardano
anche la creazione di cinque abbaini e tre prese di luce,
due delle quali apribili.
Ciò premesso va osservato che, in base all’art. 1117, n. 1,
del codice civile, il tetto è oggetto di proprietà comune
dei proprietari delle singole unità immobiliari che
compongono l'edificio.
Ne consegue che i singoli proprietari non possono,
singolarmente, apportare modificazioni allo stesso, essendo
invece necessaria, ai sensi dell’art. 1120 del codice
civile, una apposita deliberazione dell’assemblea
condominiale, assunta con le maggioranze stabilite dall’art.
1136 dello stesso codice.
Nel caso concreto la richiesta del controinteressato non è
stata preceduta da alcuna deliberazione avente carattere
autorizzatorio; sicché deve ritenersi che questi fosse privo
di legittimazione a richiedere il titolo edilizio.
Decisivo, ai fini della soluzione della controversia, è il primo
motivo, avente carattere assorbente, con il quale la
ricorrente lamenta che il sig. L.L., odierno controinteressato, sarebbe stato privo della legittimazione
a richiedere il permesso di costruire poi rilasciato, atteso
che le opere che si intendono realizzare investono parti
comuni dell’edificio (nella specie il tetto), e che quindi
la richiesta avrebbe dovuto essere preceduta da una delibera
condominiale di contenuto autorizzatorio.
In proposito, va osservato che, in base all’art. 11, comma
primo, del d.P.R. 06.06.2001 n. 980, il permesso di
costruire è rilasciato al proprietario dell'immobile o a chi
abbia titolo per richiederlo.
Secondo un pacifico orientamento giurisprudenziale, il
Comune, prima di rilasciare il titolo, ha sempre l'onere di
verificare la legittimazione del richiedente, accertando che
questi sia il proprietario dell'immobile oggetto
dell'intervento costruttivo o che, comunque, ne abbia un
titolo di disponibilità sufficiente per eseguire l'attività
edificatoria (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 04.04.2012
n. 1990).
Nel caso di specie è pacifico che gli interventi per i quali
è stato richiesto il titolo edilizio riguardano, non solo le
unità immobiliari poste all’ultimo piano dell’edificio, ma
anche il tetto di quest’ultimo: in particolare riguardano
anche la creazione di cinque abbaini e tre prese di luce,
due delle quali apribili.
Ciò premesso va osservato che, in base all’art. 1117, n. 1,
del codice civile, il tetto è oggetto di proprietà comune
dei proprietari delle singole unità immobiliari che
compongono l'edificio.
Ne consegue che i singoli proprietari non possono,
singolarmente, apportare modificazioni allo stesso, essendo
invece necessaria, ai sensi dell’art. 1120 del codice
civile, una apposita deliberazione dell’assemblea
condominiale, assunta con le maggioranze stabilite dall’art.
1136 dello stesso codice.
Nel caso concreto la richiesta del controinteressato non è
stata preceduta da alcuna deliberazione avente carattere
autorizzatorio; sicché deve ritenersi, conformemente a
quanto sostenuto dalla ricorrente, che questi fosse privo di
legittimazione a richiedere il titolo edilizio (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 11.07.2013 n. 1820 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L'articolo 4 della legge n. 10/1977 ed oggi
l'articolo 11 del DPR n. 380/2001 dispongono che l'atto
abilitativo alla edificazione sia rilasciato "al
proprietario dell'immobile o a chi abbia titolo per
richiederlo".
In particolare, poi, la giurisprudenza ha avuto modo di
chiarire che il rilascio della concessione edilizia non
presuppone necessariamente la proprietà del suolo da parte
del soggetto istante, essendo sufficiente la disponibilità
dello stesso; chiarendosi pure che il possesso del bene è
riconducibile alle situazioni di legittimazione per la
richiesta della concessione edilizia, alle quali, in
alternativa a quella dominicale, l'art. 4 l. n. 10/1977
genericamente rinvia.
Non sono
condivisibili gli argomenti dedotti in senso contrario dalle
parti resistenti, in particolare dal difensore del Comune di
Montecorvino Rovella, nel senso della radicale "inesistenza
giuridica" della D.I.A., siccome non corredata dai
documenti prescritti, ed in particolare dal titolo di
disponibilità dell'area interessata dall'intervento.
In proposito, deve rilevarsi che, ai sensi dell'art. 19,
comma 3, l. n. 241/1990 e dell'art. 23, comma 6, d.P.R. n.
380/2001, la "carenza dei requisiti e dei presupposti"
legittima l'Amministrazione all'esercizio, entro il termine
stabilito (trenta giorni decorrenti dalla presentazione
della denuncia, secondo la formulazione dell'art. 23, comma
1, d.P.R. n. 380/2001 vigente alla data della D.I.A. oggetto
di controversia), del potere inibitorio (mediante notifica
all'interessato dell'"ordine motivato di non effettuare
il previsto intervento"): ebbene, nessun elemento
normativo o sistematico induce a pervenire ad una diversa
conclusione, quanto alla tipologia di potere esercitabile
dall’Amministrazione, in relazione alla predicata carenza
del titolo di disponibilità dell'area interessata dai lavori
de quibus.
Così inquadrato il provvedimento impugnato, non resta che
rilevare che nessuna motivazione è stata fornita
dall'Amministrazione intimata, nonostante il significativo
lasso temporale seguito al perfezionamento della D.I.A.
(presentata in data 20.01.2009), in ordine all'interesse
pubblico giustificativo dell'annullamento ed alla sua
eventuale prevalenza sull'interesse conservativo del privato
destinatario degli effetti favorevoli dell'atto annullato,
secondo lo schema operativo delineato dall'art. 21-nonies l.
n. 241/1990 (espressamente richiamato, con riferimento alla
disciplina della D.I.A., dall'art. 19, comma 3, l. cit.).
In ogni caso, a prescindere da tale rilievo, deve osservarsi
che, come già statuito da questo Tribunale (TAR per la
Campania, Sezione Staccata di Salerno, Sez. II, 17.06.2008,
n. 1952), "l'articolo 4 della legge n. 10/1977 ed oggi
l'articolo 11 del DPR n. 380/2001 dispongono che l'atto
abilitativo alla edificazione sia rilasciato "al
proprietario dell'immobile o a chi abbia titolo per
richiederlo".
In particolare, poi, la giurisprudenza ha avuto modo di
chiarire che il rilascio della concessione edilizia non
presuppone necessariamente la proprietà del suolo da parte
del soggetto istante, essendo sufficiente la disponibilità
dello stesso (cfr. Cons. Stato, V, 24.10.1996, n. 1285; IV,
31.01.1995, n. 37); chiarendosi pure che il possesso del
bene è riconducibile alle situazioni di legittimazione per
la richiesta della concessione edilizia, alle quali, in
alternativa a quella dominicale, l'art. 4 l. n. 10/1977
genericamente rinvia (cfr. Cons. Stato, V, 18.06.1996, n.
718).
Pertanto, per affermare la legittimità della determinazione
impugnata non è necessario risolvere la questione (tra
l'altro pendente dinanzi al giudice civile) in ordine alla
titolarità del diritto dominicale. Sufficit al
riguardo la titolarità del possesso del bene…
(TAR
Campania-Salerno, Sez. I,
sentenza 30.05.2013 n. 1181 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Relativamente ai
contrasti insorti tra il ricorrente e le proprietà
confinanti per l’esercizio del passaggio sulla strada
esistente, va rilevato che si tratta di profilo meramente
civilistico, sul quale l'amministrazione non può e non deve
fondare alcuna preclusione al rilascio del titolo edilizio,
se ed in quanto il sottostante intervento sia,
indipendentemente dalla controversia civile in atto,
legittimamente assentibile in quanto conforme alle
previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti e
della disciplina urbanistico-edilizia vigente.
Invero, i rapporti tra l'istante e i vicini hanno natura e
rilevanza privatistica e non devono interessare
l'amministrazione locale, anche in ragione della clausola di
salvaguardia generale che fa salvi i diritti dei terzi (oggi
prevista dall'art. 11, comma 3, d.P.R. 06.06.2001 n. 380).
Pertanto, in sede di rilascio di concessione od
autorizzazione edilizia, l'amministrazione deve limitarsi a
verificare che il richiedente sia proprietario od abbia
comunque la disponibilità dell'area interessata, non essendo
necessario compiere ulteriori ed autonome indagini circa
l'esistenza e/o la natura (reale o personale) di diritti
vantati da terzi, che la legge fa comunque salvi.
Infine, per quanto concerne la questione (pure evocata
negli atti comunali del 17 e 25.08.2006) dei contrasti
insorti tra il ricorrente e le proprietà confinanti per
l’esercizio del passaggio sulla strada esistente, va
rilevato che si tratta di profilo meramente civilistico, sul
quale l'amministrazione non può e non deve fondare alcuna
preclusione al rilascio del titolo edilizio, se ed in quanto
il sottostante intervento sia, indipendentemente dalla
controversia civile in atto, legittimamente assentibile in
quanto conforme alle previsioni degli strumenti urbanistici,
dei regolamenti e della disciplina urbanistico-edilizia
vigente.
Invero, i rapporti tra l'istante e i vicini hanno natura e
rilevanza privatistica e non devono interessare
l'amministrazione locale, anche in ragione della clausola di
salvaguardia generale che fa salvi i diritti dei terzi (oggi
prevista dall'art. 11, comma 3, d.P.R. 06.06.2001 n. 380;
cfr. in questo senso parere Cons. St., sez. II, 27.02.2002, n. 2559, secondo cui "una volta accertata la
conformità dell'intervento agli strumenti urbanistici e ai
regolamenti edilizi, l'assumere a presupposto del diniego un
elemento estraneo a tale verifica, qual è la viabilità di
accesso al lotto sul quale si chiede di costruire, esula dai
poteri assegnati al Comune dalla legge in sede di rilascio
dl permesso di costruire". Nello stesso senso cfr. Cons. di
Stato, sez. V, 20.12.1993, n. 1341; TAR Veneto sez. II,
12.01.2011, n. 37; TAR Latina sez. I, 09.12.2010,
n. 1949).
Pertanto, in sede di rilascio di concessione od
autorizzazione edilizia, l'amministrazione deve limitarsi a
verificare che il richiedente sia proprietario od abbia
comunque la disponibilità dell'area interessata, non essendo
necessario compiere ulteriori ed autonome indagini circa
l'esistenza e/o la natura (reale o personale) di diritti
vantati da terzi, che la legge fa comunque salvi (cfr. TAR
Trento Trentino Alto Adige, Trento 18.06.2002, n. 197,
vertente su fattispecie analoga a quella per cui è causa) (TAR
Piemonte, Sez. I,
sentenza 22.05.2013 n. 617 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il novero dei soggetti legittimati al rilascio
del titolo in sanatoria risulta più ampio rispetto a quanto
concerne il rilascio dell'ordinario titolo abilitativo
edilizio, laddove secondo il prevalente orientamento della
giurisprudenza, occorre la titolarità del diritto di
proprietà, ovvero di altro diritto reale o anche
obbligatorio a condizione del riconoscimento della
disponibilità giuridica e materiale del bene nonché della
relativa potestà edificatoria.
Il regime, infatti, della concessione edilizia è del tutto
diversificato, quanto a presupposti ed elementi propri, da
quello della sanatoria. L'affermazione è consapevolmente
recepita da parte della giurisprudenza in riferimento alla
sanatoria impropria di cui all'art. art. 13 della legge n.
47/1985 secondo cui la dichiarazione di conformità
disciplinata dalla norma prevede che la sanatoria ivi
disciplinata sia accordata al "responsabile dell'abuso"; la
norma, quindi, a differenza di quanto previsto dall'art. 4
della legge n. 10 del 1977 non trova applicazione solo in
presenza di una domanda avanzata dal proprietario o da altro
titolare di diritto reale in quanto l'abuso sia al medesimo
ascrivibile, ma anche in presenza della domanda avanzata da
colui che, dell'abuso, è comunque responsabile in quanto,
sanato l'abuso, non potrebbe essere più chiamato a
rispondere sul piano sanzionatorio penale e/o
amministrativo.
Se quindi il collegamento con la proprietà o altro diritto
reale si attenua già in sede di legittimazione alla
sanatoria impropria oggi disciplinata dall'art. 36 t.u.
edilizia approvato con d.p.r. 06.06.2001 n. 380, ciò non può
non valere anche in riferimento alla sanatoria propria di
cui alla l. 724/1994 (II condono edilizio) la quale,
presupponendo un abuso di tipo sostanziale e non già
formale, ben può riferirsi -come è paradigmatico
dell'illecito- anche ad un collegamento non soggettivamente
qualificato. Anche la più recente giurisprudenza del
Consiglio di Stato ritiene che ai sensi dell'art. 31, l.
28.02.1985 n. 47 -secondo cui possono richiedere il condono
"i soggetti che abbiano interesse"- legittimato a richiedere
la concessione edilizia in sanatoria sia anche il
promissario acquirente di un terreno, avuto riguardo all'esperibilità
della tutela in forma specifica ex art. 2932, cod. civ.
Tale disciplina non risulta mutata nel regime introdotto con
l'art. 39 della l. 724/1994, non emergendo restrizioni
rispetto al criterio legittimante di cui al citato art. 31
l. 47/1985.
Va pertanto affermato che "legittimati all'istanza di
condono edilizio ex l. 724/1994 sono oltre coloro che hanno
titolo a richiedere la concessione edilizia/permesso di
costruire, anche il promissario acquirente o il conduttore e
più in generale tutti coloro che vi abbiano interesse, senza
il necessario consenso ed anche, al limite, contro la
volontà del proprietario del bene”.
---------------
Poiché “il rilascio del certificato di abitabilità di un
fabbricato, conseguente al condono edilizio può
legittimamente avvenire in deroga solo a norme
regolamentari, e non anche quando siano carenti condizioni
di salubrità richieste invece da fonti normative di livello
primario, in quanto la disciplina del condono edilizio, per
il suo carattere di eccezionalità e derogatorio, non è
suscettibile di interpretazioni estensive e, soprattutto,
tali da incidere sul fondamentale principio della tutela
della salute, con evidenti riflessi sul piano della
legittimità costituzionale, considerato anche che le
deficienze igienico sanitarie riscontrate dai competenti
uffici della U.s.l. integrano la violazione di prescrizioni
poste a tutela della salubrità degli ambienti adibiti ad
abitazione da fonti normative di carattere primario, quali
gli artt. 218 e 221, t.u. leggi sanitarie 27.07.1934 n.
1265" spetterà quindi all’Autorità sanitaria competente in
sede di istruttoria per il rilascio dell’abitabilità
valutare se effettivamente nella specie le altezze dei
fabbricati siano tali da impedire l’utilizzazione del bene
come abitazione.
Invero la
giurisprudenza ha chiarito che: “Il novero dei soggetti
legittimati al rilascio del titolo in sanatoria risulta […]
più ampio rispetto a quanto concerne il rilascio
dell'ordinario titolo abilitativo edilizio, laddove secondo
il prevalente orientamento della giurisprudenza, occorre la
titolarità del diritto di proprietà, ovvero di altro diritto
reale o anche obbligatorio a condizione del riconoscimento
della disponibilità giuridica e materiale del bene nonché
della relativa potestà edificatoria" (Consiglio di Stato V 28.05.2001 n. 2881, TAR Emilia Romagna Bologna 21.02.2007 n. 53, TAR Lombardia Milano sez II 31.03.2010 n.
842) […].
Il regime, infatti, della concessione edilizia è del tutto
diversificato, quanto a presupposti ed elementi propri, da
quello della sanatoria. L'affermazione è consapevolmente
recepita da parte della giurisprudenza (TAR Campania
Napoli sez VIII 14.01.2011, n. 196) in riferimento alla
sanatoria impropria di cui all'art. art. 13 della legge n.
47/1985 secondo cui la dichiarazione di conformità
disciplinata dalla norma prevede che la sanatoria ivi
disciplinata sia accordata al "responsabile dell'abuso"; la
norma, quindi, a differenza di quanto previsto dall'art. 4
della legge n. 10 del 1977 non trova applicazione solo in
presenza di una domanda avanzata dal proprietario o da altro
titolare di diritto reale in quanto l'abuso sia al medesimo
ascrivibile, ma anche in presenza della domanda avanzata da
colui che, dell'abuso, è comunque responsabile in quanto,
sanato l'abuso, non potrebbe essere più chiamato a
rispondere sul piano sanzionatorio penale e/o
amministrativo.
Se quindi il collegamento con la proprietà o altro diritto
reale si attenua già in sede di legittimazione alla
sanatoria impropria oggi disciplinata dall'art. 36 t.u.
edilizia approvato con d.p.r. 06.06.2001 n. 380, ciò non
può non valere anche in riferimento alla sanatoria propria
di cui alla l. 724/1994 (II condono edilizio) la quale,
presupponendo un abuso di tipo sostanziale e non già
formale, ben può riferirsi -come è paradigmatico
dell'illecito- anche ad un collegamento non soggettivamente
qualificato. Anche la più recente giurisprudenza del
Consiglio di Stato (sez. IV, 27.10.2009, n. 6545)
ritiene che ai sensi dell'art. 31, l. 28.02.1985 n. 47 -secondo cui possono richiedere il condono "i soggetti che
abbiano interesse"- legittimato a richiedere la concessione
edilizia in sanatoria sia anche il promissario acquirente di
un terreno, avuto riguardo all'esperibilità della tutela in
forma specifica ex art. 2932, cod. civ.
Tale disciplina non risulta mutata nel regime introdotto con
l'art. 39 della l. 724/1994, non emergendo restrizioni
rispetto al criterio legittimante di cui al citato art. 31
l. 47/1985.
Va pertanto affermato che "legittimati all'istanza di condono
edilizio ex l. 724/1994 sono oltre coloro che hanno titolo a
richiedere la concessione edilizia/permesso di costruire,
anche il promissario acquirente o il conduttore (Corte di
Appello Firenze sez II 04.05.2010 n. 594) e più in
generale tutti coloro che vi abbiano interesse, senza il
necessario consenso ed anche, al limite, contro la volontà
del proprietario del bene” (cfr. TAR Bari Puglia 09.07.2011 n. 1057).
---------------
In proposito
il Collegio deve rilevare che il condono edilizio è
finalizzato alla definizione degli illeciti edilizi che
nella specie sono relativi alle opere funzionali al cambio
di destinazione d’uso di due stenditoi in civili abitazioni.
Con il rilascio del permesso di costruire in sanatoria,
dunque, si sono sanate esclusivamente le opere edilizie,
mentre l’utilizzazione degli immobili come civili abitazioni
(come del resto risulta nelle condizioni generali in calce
al provvedimento impugnato) è soggetto al rilascio del
certificato di agibilità.
Poiché “il rilascio del certificato di abitabilità di un
fabbricato, conseguente al condono edilizio può
legittimamente avvenire in deroga solo a norme
regolamentari, e non anche quando siano carenti condizioni
di salubrità richieste invece da fonti normative di livello
primario, in quanto la disciplina del condono edilizio, per
il suo carattere di eccezionalità e derogatorio, non è
suscettibile di interpretazioni estensive e, soprattutto,
tali da incidere sul fondamentale principio della tutela
della salute, con evidenti riflessi sul piano della
legittimità costituzionale, considerato anche che le
deficienze igienico sanitarie riscontrate dai competenti
uffici della U.s.l. integrano la violazione di prescrizioni
poste a tutela della salubrità degli ambienti adibiti ad
abitazione da fonti normative di carattere primario, quali
gli artt. 218 e 221, t.u. leggi sanitarie 27.07.1934 n. 1265"
(cfr. Consiglio di Stato 03.05.2011 n. 2620) spetterà quindi
all’Autorità sanitaria competente in sede di istruttoria per
il rilascio dell’abitabilità valutare se effettivamente
nella specie le altezze dei fabbricati siano tali da
impedire l’utilizzazione del bene come abitazione (TAR Puglia-Lecce, Sez. III,
sentenza 20.05.2013 n. 1162 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il permesso di costruire, come ogni altro atto
della p.A. destinato ad incidere sulla proprietà privata,
costituisce un provvedimento autoritativo, di natura
vincolata e non discrezionale, con il quale si vuole
attestare la conformità del progetto alla normativa
urbanistica ed edilizia della zona interessata. A tal fine
il Comune deve articolare l’istruttoria verificando
l’esistenza dei presupposti richiesti dall’art. 11 del
d.p.r. n. 380/2001, secondo il quale “il permesso di
costruire è rilasciato al proprietario dell’immobile o a chi
abbia titolo per richiederlo”.
Invero, la p.A. deve rilasciare il permesso di costruire
solo a chi dimostri di possedere un titolo idoneo di
godimento sull’area da assoggettare alla trasformazione
urbanistica; è chiaro che il Comune, in sede di esame dei
progetti edilizi, è chiamato a valutare se ricorrono le
condizioni legali e fattuali per l’esercizio dello ius
aedificandi, ovvero di una facoltà inerente al diritto di
proprietà.
In ossequio, dunque, ai principi generali di efficienza ed
efficacia dell’azione amministrativa sanciti dall’art. 1 l.
241/1990, è richiesto un controllo non solo formale ma anche
sostanziale sui requisiti di ammissibilità della domanda di
autorizzazione. Tuttavia, al di là di tale onere di
accertamento, non incombe in capo alla PA l’ulteriore onere
di effettuare complesse indagini e ricognizioni giuridico
documentali sul titolo di proprietà depositato dal
richiedente. Il Comune deve limitarsi ad accertare
l’astratta titolarità della proprietà in capo a costui,
senza doverla accertare in concreto. La giurisprudenza
maggioritaria è infatti concorde nell’affermare che “ai fini
del rilascio del permesso di costruire l’amministrazione è
onerata del solo accertamento della sussistenza del titolo
astrattamente idoneo da parte del richiedente alla
disponibilità dell’area oggetto dell’intervento edilizio:
cioè l’astratta proprietà desunta dagli atti pubblici
prodotti ed in via residuale dalle risultanze catastali”.
Inoltre, con riferimento all’ipotesi in cui sussistano
conflitti di interesse tra le parti private in ordine
all’assetto proprietario degli immobili interessati, la p.A.
ha il dovere di verificare l’esistenza di un titolo di
proprietà legittimante all’esercizio dello ius aedificandi,
ma non può essere onerata dell’accertamento circa la reale
titolarità del diritto di proprietà, che compete, se del
caso, al giudice ordinario e non al giudice amministrativo,
rientrando nella sfera dei diritti soggettivi a quest’ultimo
generalmente preclusi. Ed invero, con riferimento ai diritti
dei terzi si ritiene, concordemente, che sia estraneo al
potere dell’amministrazione comunale l’accertamento di
eventuali limiti al diritto di proprietà del richiedente
nell’esercizio dell’attività edificatoria.
Invero, secondo giurisprudenza consolidata, il
permesso di costruire, come ogni altro atto della p.A.
destinato ad incidere sulla proprietà privata, costituisce
un provvedimento autoritativo, di natura vincolata e non
discrezionale, con il quale si vuole attestare la conformità
del progetto alla normativa urbanistica ed edilizia della
zona interessata. A tal fine il Comune deve articolare
l’istruttoria verificando l’esistenza dei presupposti
richiesti dall’art. 11 del d.p.r. n. 380/2001, secondo il
quale “il permesso di costruire è rilasciato al
proprietario dell’immobile o a chi abbia titolo per
richiederlo”.
Da una corretta interpretazione della norma, si evince che
la p.A. deve rilasciare il permesso di costruire solo a chi
dimostri di possedere un titolo idoneo di godimento
sull’area da assoggettare alla trasformazione urbanistica; è
chiaro che il Comune, in sede di esame dei progetti edilizi,
è chiamato a valutare se ricorrono le condizioni legali e
fattuali per l’esercizio dello ius aedificandi, ovvero di
una facoltà inerente al diritto di proprietà.
In ossequio, dunque, ai principi generali di efficienza ed
efficacia dell’azione amministrativa sanciti dall’art. 1 l.
241/1990, è richiesto un controllo non solo formale ma anche
sostanziale sui requisiti di ammissibilità della domanda di
autorizzazione. Tuttavia, al di là di tale onere di
accertamento, non incombe in capo alla PA l’ulteriore onere
di effettuare complesse indagini e ricognizioni giuridico
documentali sul titolo di proprietà depositato dal
richiedente. Il Comune deve limitarsi ad accertare
l’astratta titolarità della proprietà in capo a costui,
senza doverla accertare in concreto. La giurisprudenza
maggioritaria è infatti concorde nell’affermare che “ai fini
del rilascio del permesso di costruire l’amministrazione è
onerata del solo accertamento della sussistenza del titolo
astrattamente idoneo da parte del richiedente alla
disponibilità dell’area oggetto dell’intervento edilizio:
cioè l’astratta proprietà desunta dagli atti pubblici
prodotti ed in via residuale dalle risultanze catastali” (da
ultimo Cons. Stato sez. IV n. 1990/2012).
Inoltre, con riferimento all’ipotesi in cui sussistano
conflitti di interesse tra le parti private in ordine
all’assetto proprietario degli immobili interessati, la p.A.
ha il dovere di verificare l’esistenza di un titolo di
proprietà legittimante all’esercizio dello ius aedificandi,
ma non può essere onerata dell’accertamento circa la reale
titolarità del diritto di proprietà, che compete, se del
caso, al giudice ordinario e non al giudice amministrativo,
rientrando nella sfera dei diritti soggettivi a quest’ultimo
generalmente preclusi. Ed invero, con riferimento ai diritti
dei terzi si ritiene, concordemente, che sia estraneo al
potere dell’amministrazione comunale l’accertamento di
eventuali limiti al diritto di proprietà del richiedente
nell’esercizio dell’attività edificatoria (TAR Campania-Salerno, Sez. II,
sentenza 02.05.2013 n. 1043 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
In materia di
legittimazione a richiedere titoli edilizi,
l'amministrazione comunale deve necessariamente verificare
che il richiedente abbia titolo per intervenire
sull'immobile interessato dall'intervento, anche se deve nel
contempo escludersi un obbligo del comune di effettuare al
riguardo accertamenti laboriosi e complessi, diretti a
ricostruire tutte le vicende riguardanti la titolarità
dell'immobile, o di verificare l'inesistenza di servitù o
altri vincoli reali che potrebbero limitare l'attività
edificatoria dell'immobile.
Il titolo edilizio, essendo rilasciato con espressa salvezza
dei diritti dei terzi, è invero un atto amministrativo che
rende semplicemente legittima l'attività edilizia
nell'ordinamento pubblicistico, e regola solo il rapporto
che, in relazione a quell'attività, si pone in essere tra
l'autorità amministrativa che lo emette ed il soggetto a
favore del quale è emesso, ma non attribuisce a favore di
tale soggetto diritti soggettivi conseguenti all'attività
stessa, la cui titolarità deve essere sempre verificata
dall’autorità giudiziaria ordinaria alla stregua della
disciplina fissata dal diritto comune.
Tali principi debbono valere –a più forte ragione– rispetto
al procedimento di accertamento della compatibilità
paesaggistica, posto che la legittimazione a richiedere il
relativo titolo (art. 167, comma 5, D.Lgs. n. 42/2004)
spetta non soltanto al proprietario dell’immobile (art. 11,
comma 1, D.P.R. 06.06.2001, n. 380), ma anche al possessore
o detentore “a qualsiasi titolo” dell'immobile o dell'area
interessati dagli interventi.
Giova premettere come, per costante
giurisprudenza, in materia di legittimazione a richiedere
titoli edilizi, l'amministrazione comunale deve
necessariamente verificare che il richiedente abbia titolo
per intervenire sull'immobile interessato dall'intervento,
anche se deve nel contempo escludersi un obbligo del comune
di effettuare al riguardo accertamenti laboriosi e
complessi, diretti a ricostruire tutte le vicende
riguardanti la titolarità dell'immobile, o di verificare
l'inesistenza di servitù o altri vincoli reali che
potrebbero limitare l'attività edificatoria dell'immobile.
Il titolo edilizio, essendo rilasciato con espressa salvezza
dei diritti dei terzi, è invero un atto amministrativo che
rende semplicemente legittima l'attività edilizia
nell'ordinamento pubblicistico, e regola solo il rapporto
che, in relazione a quell'attività, si pone in essere tra
l'autorità amministrativa che lo emette ed il soggetto a
favore del quale è emesso, ma non attribuisce a favore di
tale soggetto diritti soggettivi conseguenti all'attività
stessa, la cui titolarità deve essere sempre verificata
dall’autorità giudiziaria ordinaria alla stregua della
disciplina fissata dal diritto comune.
Tali principi debbono valere –a più forte ragione–
rispetto al procedimento di accertamento della compatibilità
paesaggistica, posto che la legittimazione a richiedere il
relativo titolo (art. 167, comma 5, D.Lgs. n. 42/2004) spetta
non soltanto al proprietario dell’immobile (art. 11, comma 1,
D.P.R. 06.06.2001, n. 380), ma anche al possessore o detentore
“a qualsiasi titolo” dell'immobile o dell'area interessati
dagli interventi.
Nel caso di specie, è pacifico che, all’atto della
presentazione dell’istanza di compatibilità paesaggistica
(24.05.2011), parte ricorrente fosse certamente nel possesso
dell’area sulla quale è stata realizzata la staccionata in
questione, secondo quanto accertato dalla sentenza del
Tribunale civile di Genova, Sez. III, 27.01.2010, n. 364
(doc. 10 delle produzioni 20.01.2012 di parte ricorrente) -esecutiva per legge- emessa anche nei confronti
dell’amministrazione comunale.
Di più, tale circostanza risultava essere stata confermata
dalla stessa amministrazione comunale, in esito ad un
apposito sopralluogo in data 29.04.2009 (doc. 7 delle
produzioni 20.01.2012 di parte ricorrente).
A fronte di un tale quadro istruttorio e della circostanza
che l’accertamento della compatibilità paesaggistica è
comunque rilasciato con salvezza dei diritti dei terzi, non
vi era dunque alcuna necessità di disporre -viepiù nella
pendenza del giudizio civile di appello tra le parti-
ulteriori laboriosi e complicati accertamenti in ordine alla
proprietà dell’area di sedime della staccionata, derivando
la legittimazione dei ricorrenti a richiedere l’accertamento
della compatibilità paesaggistica dalla semplice, comprovata
situazione di possesso e/o detenzione -ex art. 167, comma 5,
D.Lgs. n. 42/2004- dell’area interessata dall’intervento
(TAR Liguria, Sez. I,
sentenza 30.04.2013 n. 732 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L'articolo 4 della legge n. 10/1977 ed oggi
l'articolo 11 del DPR n. 380/2001 dispongono che l'atto
abilitativo alla edificazione sia rilasciato "al
proprietario dell'immobile o a chi abbia titolo per
richiederlo".
In particolare, poi, la giurisprudenza ha avuto modo di
chiarire che il rilascio della concessione edilizia non
presuppone necessariamente la proprietà del suolo da parte
del soggetto istante, essendo sufficiente la disponibilità
dello stesso; chiarendosi pure che il possesso del bene è
riconducibile alle situazioni di legittimazione per la
richiesta della concessione edilizia, alle quali , in
alternativa a quella dominicale, l'art. 4 l. n. 10/1977
genericamente rinvia.
In ogni caso, anche ad ammettere la fondatezza
della tesi predetta, deve rilevarsi che, come già statuito
da questo Tribunale (TAR per la Campania, Sezione
Staccata di Salerno, Sez. II, 17.06.2008, n. 1952),
"l'articolo 4 della legge n. 10/1977 ed oggi l'articolo 11
del DPR n. 380/2001 dispongono che l'atto abilitativo alla
edificazione sia rilasciato "al proprietario dell'immobile o
a chi abbia titolo per richiederlo".
In particolare, poi, la
giurisprudenza ha avuto modo di chiarire che il rilascio
della concessione edilizia non presuppone necessariamente la
proprietà del suolo da parte del soggetto istante, essendo
sufficiente la disponibilità dello stesso (cfr. Cons.
Stato, V, 24.10.1996, n. 1285; IV, 31.01.1995, n. 37);
chiarendosi pure che il possesso del bene è riconducibile
alle situazioni di legittimazione per la richiesta della
concessione edilizia, alle quali , in alternativa a quella
dominicale, l'art. 4 l. n. 10/1977 genericamente rinvia
(cfr. Cons. Stato, V, 18.06.1996, n. 718).
Pertanto, per
affermare la legittimità della determinazione impugnata non
è necessario risolvere la questione (tra l'altro pendente
dinanzi al giudice civile) in ordine alla titolarità del
diritto dominicale. Sufficit al riguardo la titolarità del
possesso del bene…"
(TAR Campania-Salerno, Sez. I,
sentenza 16.04.2013 n. 876 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il parametro valutativo dell’attività edilizia
svolta dai privati resta circoscritto all’accertamento, da
parte dell’autorità competente al rilascio del richiesto
titolo abilitativo edilizio, della mera conformità
dell’opera progettata alla disciplina urbanistica, sempre
restando salvi i diritti dei terzi; nel senso che la
legittimità del provvedimento ampliativo non interferisce,
comunque, con l’assetto dei rapporti tra privati; e con la
conseguenza che non sussiste un obbligo generalizzato, per
detta autorità, di verificare l’insussistenza di limiti di
matrice civilistica alla realizzazione di un intervento
edilizio.
Tuttavia, ai sensi del comb. disp. artt. 11, comma 1, e 20,
comma 1, del d.p.r. n. 380/2001, l’amministrazione ha il
potere-dovere di accertare, nei confronti del richiedente,
il possesso del requisito della legittimazione, ossia di un
idoneo titolo di godimento sul bene riguardato dal progetto
di trasformazione urbanistica sottopostole, allorquando,
segnatamente, quest’ultimo provenga da un terzo non
proprietario ovvero comproprietario dell’immobile.
Pertanto, il permesso di costruire può, bensì, essere
richiesto con salvezza dei diritti dei terzi, e al
richiedente essere legittimamente rilasciato, purché, però,
non determini un evidente contrasto col diritto di altri che
non lo abbia richiesto. E, quindi, se, di regola, l’autorità
competente non è chiamata a svolgere complesse indagini
volte a ricostruire le vicende concernenti la titolarità del
bene attinto dagli interventi progettati, è, comunque,
tenuta a verificare se l’istanza edificatoria sia sorretta
dalla effettiva disponibilità del predetto bene, soprattutto
nel caso in cui altri soggetti si attivino per esprimere la
propria opposizione.
Ciò premesso, il Collegio non ignora, poi, che il parametro valutativo
dell’attività edilizia svolta dai privati resta circoscritto
all’accertamento, da parte dell’autorità competente al
rilascio del richiesto titolo abilitativo edilizio, della
mera conformità dell’opera progettata alla disciplina
urbanistica, sempre restando salvi i diritti dei terzi; nel
senso che la legittimità del provvedimento ampliativo non
interferisce, comunque, con l’assetto dei rapporti tra
privati; e con la conseguenza che non sussiste un obbligo
generalizzato, per detta autorità, di verificare
l’insussistenza di limiti di matrice civilistica alla
realizzazione di un intervento edilizio.
Tuttavia, ai sensi del comb. disp. artt. 11, comma 1, e 20,
comma 1, del d.p.r. n. 380/2001, l’amministrazione ha il
potere-dovere di accertare, nei confronti del richiedente,
il possesso del requisito della legittimazione, ossia di un
idoneo titolo di godimento sul bene riguardato dal progetto
di trasformazione urbanistica sottopostole, allorquando,
segnatamente, quest’ultimo provenga da un terzo non
proprietario ovvero comproprietario dell’immobile –come
prospettato dalla Provincia di Caserta nella nota del 28.12.2010, prot. n. 122405, e dai controinteressati
nelle note del 28.10.2010, prot. n. 106384, e del 05.05.2011, prot. n. 7976– (cfr. Cons. Stato, sez. V, 20.09.2001, n. 4972; TAR Toscana, sez. III, 23.11.2001, n. 1651; TAR Emilia Romagna, Bologna, 21.03.2002, n. 183; TAR Marche, 28.06.2004, n.
784; TAR Valle d’Aosta, 17.11.2010, n. 63).
Pertanto, il permesso di costruire può, bensì, essere
richiesto con salvezza dei diritti dei terzi, e al
richiedente essere legittimamente rilasciato, purché, però,
non determini un evidente contrasto col diritto di altri che
non lo abbia richiesto (cfr. TAR Marche, 26.04.2007, n. 644). E, quindi, se, di regola, l’autorità
competente non è chiamata a svolgere complesse indagini
volte a ricostruire le vicende concernenti la titolarità del
bene attinto dagli interventi progettati, è, comunque,
tenuta a verificare se l’istanza edificatoria sia sorretta
dalla effettiva disponibilità del predetto bene, soprattutto
nel caso –come, appunto, quello in esame– in cui altri
soggetti si attivino per esprimere la propria opposizione
(cfr. Cons. Stato, sez. V, 20.09.2001, n. 4972; 21.10.2003, n. 6529; TAR Lombardia, Milano, sez. II, 11.02.2005, n. 357; sez. III, 27.08.2010, n. 4414;
TAR Campania, Napoli, sez. IV, 18.05.2005, n. 6487)
(TAR Campania-Napoli, Sez. I,
sentenza 11.04.2013 n. 1923 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
L’Amministrazione
comunale è certamente chiamata allo svolgimento di
un’attività istruttoria per accertare la sussistenza del
titolo legittimante, anche se all’Ente pubblico spetta
soltanto la verifica, in capo al richiedente, di un titolo
sostanziale idoneo a costituire la posizione legittimante,
senza alcuna ulteriore e minuziosa indagine che si estenda
fino alla ricerca di eventuali fattori limitativi,
preclusivi o estintivi del titolo di disponibilità
dell’immobile, allegato da chi presenta istanza edilizia, il
che spiega perché il permesso di costruire ed in genere i
titoli edilizi sono sempre rilasciati con la formula “fatti
salvi i diritti dei terzi”.
L’art. 23, comma 1, del DPR 380/2001 consente la
presentazione della DIA al <<proprietario dell’immobile o
a chi abbia titolo (…)>>, utilizzando un’espressione
sostanzialmente identica a quella contenuta nell’art. 11 del
medesimo DPR (sulle caratteristiche del permesso di
costruire) e, nella Regione Lombardia, negli articoli 35 e
42 della legge regionale 12/2005 sul governo del territorio.
La disposizione di cui sopra –in ordine ai soggetti
legittimati a chiedere al Comune di poter svolgere attività
edilizia- viene interpretata dalla giurisprudenza
amministrativa nel senso che l’Amministrazione comunale è
certamente chiamata allo svolgimento di un’attività
istruttoria per accertare la sussistenza del titolo
legittimante, anche se all’Ente pubblico spetta soltanto la
verifica, in capo al richiedente, di un titolo sostanziale
idoneo a costituire la posizione legittimante, senza alcuna
ulteriore e minuziosa indagine che si estenda fino alla
ricerca di eventuali fattori limitativi, preclusivi o
estintivi del titolo di disponibilità dell’immobile,
allegato da chi presenta istanza edilizia, il che spiega
perché il permesso di costruire ed in genere i titoli
edilizi sono sempre rilasciati con la formula “fatti
salvi i diritti dei terzi” (cfr. sul punto, Consiglio di
Stato, sez. IV, 08.06.2011, n. 3508; TAR Lombardia, Milano,
sez. II, 10.02.2012, n. 496 e 31.03.2010, n. 842, con la
giurisprudenza ivi richiamata, oltre a TAR Campania, Napoli,
sez. II, 06.12.2010, n. 26817).
Nella Regione Lombardia, a conferma del citato indirizzo
interpretativo, l’art. 42, comma 8, lett. a), della legge
regionale 12/2005 prevede che il dirigente o il responsabile
dell’ufficio competente verifichi, in relazione alla DIA, <<la
regolarità formale e la completezza della documentazione
presentata>>
(TAR Lombardia-Milano, sez. II,
sentenza 26.02.2013 n. 529 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: E'
da ritenersi illegittima -per difetto di istruttoria
adeguata- una autorizzazione, in seguito a presentazione di
denuncia di inizio attività edilizia, tacitamente assentita,
per il fatto che il Comune non ha adeguatamente valutato,
pur in presenza di contestazioni circa la titolarità
dell'area, il presupposto della disponibilità dell'area
previsto dalle richiamate disposizioni.
L'art. 4 della legge 28.01.1977, n. 10, infatti (riprodotto
dall'art. 11 del D.P.R. 06.06.2001, n. 380 - T.U. edilizia),
nel prevedere che la concessione edilizia (oggi permesso di
costruire), sia rilasciata "al proprietario dell'immobile o
a chi abbia titolo per richiederlo", prevede anche che, in
sede di rilascio, il Comune è tenuto a verificare la
legittimazione soggettiva del richiedente, con il solo
limite di non poter procedere d'ufficio ad indagini su
profili della stessa che non appaiano controversi.
Se, dunque, il potere-dovere così delineato in capo
all'Amministrazione può limitarsi alla verifica
dell'esistenza del possesso dell'area (e cioè del concreto
esercizio, da parte del richiedente il titolo, del potere
sulla cosa, che si concreta in un'attività corrispondente
all'esercizio della proprietà o di altro diritto reale),
tale accertamento attiene pur sempre ad un livello minimo di
istruttoria, che va superato ed approfondito allorché,
problematiche di asserita, indebita, appropriazione del
fondo altrui insorgano già all'atto della domanda.
Si è detto pertanto, in giurisprudenza, che “è
da ritenersi illegittima -per difetto di istruttoria
adeguata- una autorizzazione, in seguito a presentazione di
denuncia di inizio attività edilizia, tacitamente assentita,
per il fatto che il Comune non ha adeguatamente valutato,
pur in presenza di contestazioni circa la titolarità
dell'area, il presupposto della disponibilità dell'area
previsto dalle richiamate disposizioni. L'art. 4 della legge
28.01.1977, n. 10, infatti (riprodotto dall'art. 11 del
D.P.R. 06.06.2001, n. 380 - T.U. edilizia), nel prevedere
che la concessione edilizia (oggi permesso di costruire), sia
rilasciata "al proprietario dell'immobile o a chi abbia
titolo per richiederlo", prevede anche che, in sede di
rilascio, il Comune è tenuto a verificare la legittimazione
soggettiva del richiedente, con il solo limite di non poter
procedere d'ufficio ad indagini su profili della stessa che
non appaiano controversi. Se, dunque, il potere-dovere così
delineato in capo all'Amministrazione può limitarsi alla
verifica dell'esistenza del possesso dell'area (e cioè del
concreto esercizio, da parte del richiedente il titolo, del
potere sulla cosa, che si concreta in un'attività
corrispondente all'esercizio della proprietà o di altro
diritto reale), tale accertamento attiene pur sempre ad un
livello minimo di istruttoria, che va superato ed
approfondito allorché, problematiche di asserita, indebita,
appropriazione del fondo altrui insorgano già all'atto della
domanda” (Cons. Stato Sez. IV Sent., 25-11-2008, n.
5811)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 25.02.2013 n. 1144 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: L'Amministrazione
chiamata ad esprimersi in merito alle richieste di titoli
abilitanti all'esercizio delle facoltà edificatorie deve sì
compiere valutazioni di controllo della regolarità
urbanistica, ma oggetto della valutazione dell'Autorità
pubblica deve essere altresì la legittimazione soggettiva
allo ius aedificandi ed i suoi limiti nei casi concreti
(art. 11 D.P.R. n. 380 del 2001)
I ricorrenti, come già esposto in fatto, sono confinanti con
l'area interessata dall'intervento per cui è causa e
lamentano un pregiudizio correlato alla soppressione,
prevista nel piano di lottizzazione impugnato, della
preesistente stradella che in atto consente loro il
passaggio pedonale e veicolare sulle particelle gravate
dalla servitù, fino al congiungimento con la pubblica via.
Essi, perciò, hanno titolo ad intervenire nel procedimento
di formazione della volontà amministrativa in ordine alla
domanda di concessione per l’attuazione del predetto piano
di lottizzazione sull’area confinante, su parte della quale
grava la preesistente servitù di passaggio, e
l'Amministrazione ha l'obbligo di garantire la loro
partecipazione al procedimento e di valutare gli scritti e i
documenti da essi presentati in merito all'oggetto del
procedimento.
I ricorrenti rivestono infatti un interesse contrario alla
realizzazione del piano di lottizzazione presentato dalla
ditta controinteressata ed approvato dal Comune, per quanto
concerne il tracciato della viabilità, che modificando
l’originaria servitù di passaggio gravante su una parte
dell’area da lottizzare ha di fatto determinato, con
l’eliminazione dell’accesso alla via pubblica, l’interclusione
del loro fondo, così come risulta dalla relazione di c.t.u.
(allegato 4: “a seguito dell’approvazione del piano di
lottizzazione il fondo dei ricorrenti sarebbe raggiungibile
solo mediante passaggio da strade private e, a meno di una
ridefinizione di una nuova servitù di passaggio, in punto di
fatto il fondo è da ritenersi intercluso”) ; ed in tale
posizione antitetica gli stessi avevano proposto al Comune
di Vittoria l’opposizione del 24.12.2010,
L’esistenza della servitù, peraltro, era nello specifico
immediatamente conoscibile da parte dell’Amministrazione
comunale, atteso che la stessa risulta dal rogito di stipula
della compravendita del terreno in questione da parte della
società controinteressata, nel quale “la parte acquirente
dichiara di essere a conoscenza che parte del suolo in
oggetto rappresentato dalle particelle 851 e 1304 predette è
attraversato, lungo il confine con la particella 1145, da
stradella privata larga metri 5, che inizia dalla strada
circonvallazione fino a immettersi nel lotto di terreno
rappresentato in catasto dalle particelle 1305 e 62 del
detto foglio 67;…” (quello di proprietà dei ricorrenti).
Il vincolo gravante sull’area interessata dalla realizzanda
lottizzazione è inoltre riconosciuto dalla stessa
controinteressata, che nelle proprie controdeduzioni
all’opposizione dei ricorrenti riconosce espressamente che
nel piano di lottizzazione la servitù risulta spostata
rispetto al percorso originario, anche se nella
prospettazione della controinteressata lo spostamento
risulterebbe migliorativo per i ricorrenti.
Risulta, infine, dalla espletata c.t.u. che la preesistente
servitù di passaggio è stata modificata attraverso un nuovo
tracciato che, così come lamentato dai ricorrenti, rende
impossibile agli stessi l’accesso alla strada pubblica, in
quanto il piano prevede, al posto della stradella in atto
esistente, una strada più larga di quella attuale, la quale
“si collega non direttamente alla via pubblica ma tramite
strade private di accesso ai vari lotti” (relazione di
CTU sub punto 6). La C.T.U. conferma, dunque, che “la
viabilità non rispecchia lo stato delle servitù private di
passaggio e non sfrutta la via pubblica per il fondo dei
ricorrenti”.
Risultano pertanto fondati i motivi di ricorso incentrati
sulla violazione del contraddittorio procedimentale.
All’omessa partecipazione al procedimento dei ricorrenti
confinanti non pone rimedio la risposta dell’Amministrazione
comunale all’opposizione del 24.12.2010, intervenuta in
corso di causa, né le deduzioni della società
controinteressata alla quale il Comune, con nota del
19.01.2011, aveva trasmesso l’opposizione predetta, che
erroneamente escludono che l'Amministrazione chiamata ad
esprimersi in merito alle richieste di titoli abilitanti
all'esercizio delle facoltà edificatorie debba compiere
valutazioni diverse dal controllo della regolarità
urbanistica, poiché oggetto della valutazione dell'Autorità
pubblica deve essere altresì la legittimazione soggettiva
allo ius aedificandi ed i suoi limiti nei casi
concreti (art. 11 D.P.R. n. 380 del 2001)
(TAR Sicilia-Catania, Sez. I,
sentenza 17.01.2013 n. 125 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2012 |
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EDILIZIA
PRIVATA: L’interessato
al rilascio di un titolo edilizio circa un dato immobile
deve avere “titoli reali” per intervenirvi: non è
all’evidenza in generale tale una servitù, che attribuisce
come è noto al proprietario del fondo dominante specifiche e
limitate possibilità di intervento sul fondo servente, e
quindi di regola non la possibilità di edificarvi in via
pura e semplice.
Ai sensi del noto art. 11, comma 1, del T.U. 380/2001, “Il
permesso di costruire è rilasciato al proprietario
dell'immobile o a chi abbia titolo per richiederlo”; la
norma, che è di legge statale, ha evidente carattere di
principio ed è quindi valida per tutte le Regioni; comunque,
ad essa si conforma l’art. 38, comma 1, della l.r. Lombardia
11.03.2005 n. 12, per cui la domanda di rilascio del
permesso è “sottoscritta dal proprietario dell'immobile o
da chi abbia titolo per richiederlo”.
La giurisprudenza, per parte sua, ha poi chiarito –da ultimo
C.d.S. sez. IV 08.07.2011 n. 3508, che si cita per tutte-
che l’interessato al rilascio di un titolo edilizio circa un
dato immobile deve avere “titoli reali” per
intervenirvi: non è all’evidenza in generale tale una
servitù, che attribuisce come è noto al proprietario del
fondo dominante specifiche e limitate possibilità di
intervento sul fondo servente, e quindi di regola non la
possibilità di edificarvi in via pura e semplice
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 15.11.2012 n. 1803 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Il Comune ha l'obbligo,
nel corso dell'istruttoria sul rilascio del permesso di
costruire, di verificare che esista il titolo per
intervenire sull'immobile per il quale è richiesto il titolo
edilizio e che, quindi, questo sia rilasciato al
proprietario dell'area o a chi abbia titolo per richiederlo.
A carico dell'amministrazione incombe, però, solo tale
adempimento e non quello di compiere complesse ricognizioni
giuridico-documentali ovvero accertamenti in ordine ad
eventuali pretese che potrebbero essere avanzate da soggetti
estranei al rapporto concessorio.
Il Comune, invero, nel verificare l'esistenza in capo al
richiedente il permesso edilizio di un idoneo titolo di
godimento sull'immobile, non si assume il compito di
risolvere eventuali conflitti di interesse tra le parti
private in ordine all'assetto proprietario, ma accerta
unicamente il requisito della legittimazione soggettiva di
colui che richiede il permesso.
Secondo il consolidato
orientamento della giurisprudenza amministrativa, il Comune
ha l'obbligo, nel corso dell'istruttoria sul rilascio del
permesso di costruire, di verificare che esista il titolo
per intervenire sull'immobile per il quale è richiesto il
titolo edilizio e che, quindi, questo sia rilasciato al
proprietario dell'area o a chi abbia titolo per richiederlo
(v. ex multis: Cons. Stato, sez. V, 07.07.2005 n. 3730;
TAR Lombardia, Brescia, 19.10.2005 n. 995).
A carico dell'amministrazione incombe, però, solo tale
adempimento e non quello di compiere complesse ricognizioni
giuridico-documentali ovvero accertamenti in ordine ad
eventuali pretese che potrebbero essere avanzate da soggetti
estranei al rapporto concessorio.
Il Comune, invero, nel verificare l'esistenza in capo al
richiedente il permesso edilizio di un idoneo titolo di
godimento sull'immobile, non si assume il compito di
risolvere eventuali conflitti di interesse tra le parti
private in ordine all'assetto proprietario, ma accerta
unicamente il requisito della legittimazione soggettiva di
colui che richiede il permesso (Cons. Stato, sez. IV -
sentenza 06.03.2012 n. 1270)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 14.11.2012 n. 2756 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Il permesso di costruire
è un atto amministrativo che rende legittima l'attività
edilizia nell'ordinamento pubblicistico e regola il rapporto
che in relazione a quell'attività si pone in essere tra
l'autorità amministrativa che lo emette ed il soggetto a
favore del quale è emesso, ma non attribuisce a favore di
tale soggetto diritti soggettivi conseguenti all'attività
stessa, la cui titolarità deve essere sempre verificata alla
stregua della disciplina fissata dal diritto comune, con le
consentite integrazioni della normativa speciale di cui
all'art. 872 c.c. ed alle norme da esso richiamate.
In ogni caso, il permesso
di costruire è un atto amministrativo che rende legittima
l'attività edilizia nell'ordinamento pubblicistico e regola
il rapporto che in relazione a quell'attività si pone in
essere tra l'autorità amministrativa che lo emette ed il
soggetto a favore del quale è emesso, ma non attribuisce a
favore di tale soggetto diritti soggettivi conseguenti
all'attività stessa, la cui titolarità deve essere sempre
verificata alla stregua della disciplina fissata dal diritto
comune, con le consentite integrazioni della normativa
speciale di cui all'art. 872 c.c. ed alle norme da esso
richiamate (Cons. Stato, sez. V, 07.09.2009, n. 5223;
TAR Milano Lombardia sez. II, 28.04.2010, n. 1168)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 14.11.2012 n. 2756 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Posto che il permesso di
costruire attiene ad un’attività di carattere vincolato al
rispetto della disciplina urbanistica, non può, infatti,
consentirsi una arbitraria valutazione della compatibilità
di un singolo intervento di nuova costruzione con il
contesto agricolo.
Il responsabile del servizio deve valutare la sussistenza
dei presupposti oggettivi e soggettivi previsti dalla legge
e dalle NTA per far luogo al titolo edilizio.
Per ciò che concerne poi la seconda censura, deve
radicalmente denegarsi che, in assenza della puntuale
indicazione di parametri oggettivi per tale riscontro,
l’Amministrazione locale possa o debba valutare
discrezionalmente “caso per caso” la tollerabilità
dell’intervento medesimo rispetto al materiale assetto della
zona.
Posto che il permesso di costruire attiene ad un’attività di
carattere vincolato al rispetto della disciplina urbanistica
(cfr. Consiglio Stato, sez. V 04.05.2004 n. 2694; Consiglio
Stato, sez. IV, 03.02.2006, n. 401), non può, infatti,
consentirsi una arbitraria valutazione della compatibilità
di un singolo intervento di nuova costruzione con il
contesto agricolo.
Il responsabile del servizio deve valutare la sussistenza
dei presupposti oggettivi e soggettivi previsti dalla legge
e dalle NTA per far luogo al titolo edilizio (Consiglio di
Stato, Sez. IV,
sentenza 09.10.2012 n. 5255 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
semplice disponibilità dell’area non è
sufficiente per conseguire l'effetto finale
conseguente all'instaurazione di un
procedimento amministrativo preordinato al
rilascio di una concessione edilizia, in
presenza di un esplicito atto di opposizione
del proprietario.
... per
l'annullamento, previa sospensione del
provvedimento datato 04.04.2012, del
Comune di Monreale - Area Gestione
Territorio, con il quale venivano annullati
la concessione edilizia in sanatoria n. 195
rilasciata in data 21.07.2004 e il
certificato di abitabilità rilasciato in
data 31.03.2005 afferente un edificio
adibito a civile abitazione.
...
Grazia Lupo ha impugnato il provvedimento
indicato in epigrafe, con il quale il Comune
di Monreale ha annullato d’ufficio la
concessione in sanatoria, rilasciata il 21.07.2004, e il certificato di abitabilità
del 31.03.2005, entrambi relativi ad un
edificio sito in Monreale, c.da Valle
Sapone, fg. 25 p.lla 402 sub 4 e 5, la cui
proprietà, in forza della sentenza
definitiva della Corte di Cassazione del 22.02.2011, non è attribuibile a Lupo
Grazia, sicché, difettando la titolarità
dell’area, si è reso necessario
l’annullamento.
...
La
legittimazione dei proprietari di
costruzioni a chiedere la sanatoria edilizia
non significa che sia sufficiente la
proprietà superficiaria dell’edificio, in
mancanza di quella dell’area di sedime.
Tutto ciò considerando che nel provvedimento
concessorio, del 2004, il presupposto
fattuale consisteva nella “proprietà
dell’area di sedime dell’edificio” da parte
di Lupo Grazia, “giusto atto di assegnazione
e divisione” del 1975, proprietà che, come
più volte ripetuto, è stata messa in
discussione a seguito dell’azione di
regolamento di confini proposta da Lupo
Enzo, che ha definitivamente accertato
l’inesistenza del diritto reale in capo alla
ricorrente, e quindi ha fatto venir meno il
presupposto fondante del provvedimento
annullato.
La giurisprudenza amministrativa, inoltre,
ha osservato in più occasioni che la
semplice disponibilità dell’area non è
sufficiente per conseguire l'effetto finale
conseguente all'instaurazione di un
procedimento amministrativo preordinato al
rilascio di una concessione edilizia, in
presenza di un esplicito atto di opposizione
del proprietario (TAR Sicilia, Catania,
sez. I, 08.07.2010
n. 2911).
Ne consegue che, nel caso di specie,
l’opposizione del germano Lupo Enzo (che
aveva instaurato apposito contenzioso volto
alla contestazione della proprietà
dell’area) vale di per sé a rendere
inesistente ab origine la stessa
disponibilità giuridica dell’area da parte
della ricorrente (in tal senso, si veda
anche TAR Veneto, sez. II, 19.12.2008 n.
3922) (TAR Sicilia-Palermo, Sez. II,
sentenza 02.08.2012 n. 1742 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Ai
fini del rilascio della concessione edilizia
è necessaria una relazione qualificata a
contenuto reale dell'istante con il bene, e
cioè la qualità di proprietario,
superficiario, affittuario di fondi rustici,
usufruttuario dello stesso, anche se in
formazione, non essendo sufficiente il solo
rapporto obbligatorio, in quanto il diritto
a costruire è una proiezione del diritto di
proprietà o di altro diritto reale di
godimento che autorizzi a disporre un
intervento costruttivo.
All'usufruttuario è comunque riconosciuta la
legittimazione al rilascio del permesso di
costruire dal momento che l'art. 11, d.P.R.
n. 380 del 2001 individua tra i soggetti
legittimati oltre al proprietario anche
coloro che “abbiano titolo per richiederlo”,
sicché non vi è dubbio che tra gli aventi
titolo rientri anche l'usufruttuario del
bene, che, quale titolare di un diritto
reale di godimento, gode di una relazione
qualificata con il bene medesimo.
Tali considerazioni
vanno coniugate con le affermazioni che la
costante giurisprudenza amministrativa ha
reso in passato, in punto di legittimazione
a richiedere la concessione edilizia, ad
avversare quella rilasciata ad altro
soggetto, e di individuazione del momento di
percezione della lesione che coincide con il
dies a quo per la proposizione del ricorso.
Quanto ai primi due profili, si è detto, in
passato muovendo dal tenore letterale
dell’art. 11 del dPR n. 380/2001 che:
- ”ai fini del rilascio della concessione
edilizia è necessaria una relazione
qualificata a contenuto reale dell'istante
con il bene, e cioè la qualità di
proprietario, superficiario, affittuario di
fondi rustici, usufruttuario dello stesso,
anche se in formazione, non essendo
sufficiente il solo rapporto obbligatorio,
in quanto il diritto a costruire è una
proiezione del diritto di proprietà o di
altro diritto reale di godimento che
autorizzi a disporre un intervento
costruttivo” -Consiglio Stato, sez. IV, 08.06.2007,
n. 3027-;”
-
all'usufruttuario è comunque riconosciuta la
legittimazione al rilascio del permesso di
costruire dal momento che l'art. 11, d.P.R.
n. 380 del 2001 individua tra i soggetti
legittimati oltre al proprietario anche
coloro che “abbiano titolo per richiederlo”,
sicché non vi è dubbio che tra gli aventi
titolo rientri anche l'usufruttuario del
bene, che, quale titolare di un diritto
reale di godimento, gode di una relazione
qualificata con il bene medesimo -TAR
Campania Napoli, sez. VIII, 07.03.2011, n.
1318-
(Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza 30.07.2012 n. 4287 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
CONDOMINIO - EDILIZIA PRIVATA:
In sede di rilascio del titolo
abilitativo edilizio sussiste l'obbligo per
il comune di verificare il rispetto da parte
dell'istante dei limiti privatistici, a
condizione che tali limiti siano
effettivamente conosciuti o immediatamente
conoscibili e/o non contestati, di modo che
il controllo da parte dell'ente locale si
traduca in una semplice presa d'atto dei
limiti medesimi senza necessità di procedere
ad un'accurata ed approfondita disanima dei
rapporti tra i condomini.
---------------
Dove i lavori consistono nel’apertura di una
porta sulla scala condominiale, con ciò
modificando l’uso della cosa comune da parte
dei condomini, il Comune deve verificare
l’esistenza del consenso del condominio
all’utilizzo della scala da parte di uno dei
condomini, in modo tale da alterare
stabilmente il normale ed originario uso
della cosa comune (escludendosi, dunque,
l’applicabilità dell’art. 1102 cod. civ., in
ordine alla ricorrenza del quale, peraltro,
non sussiste idonea valutazione e
motivazione da parte dell’amministrazione
comunale).
In altre parole, il Comune deve conseguire,
per il tramite della verifica resa
necessaria dalla evidente mancanza di
proprietà esclusiva della res, la prova
dell’esistenza del titolo a disporre del
bene e quindi a presentare la dichiarazione
di inizio attività.
Il Collegio condivide la considerazione,
formulata nella sentenza appellata, in
ordine alla necessità di accertamento, da
parte dell’amministrazione, della
sussistenza in capo al richiedente il
permesso di costruire (ovvero in capo al
presentatore della DIA), di un titolo idoneo
in relazione all’immobile sul quale deve
essere svolta l’attività edilizia.
L’art. 11, co. 1, DPR 06.06.2001 n. 380,
prevede che “il permesso di costruire è
rilasciato al proprietario dell'immobile o a
chi abbia titolo per richiederlo”; il
successivo art. 23, allo stesso modo, si
riferisce al “proprietario dell’immobile o
chi abbia titolo per presentare la denuncia
di inizio attività”.
Orbene, come questo Consiglio di Stato (sez.
IV, 04.05.2010 n. 2546; 10.12.2007
n. 6332), ha già avuto modo di affermare, “in sede di rilascio del titolo abilitativo
edilizio sussiste l'obbligo per il comune di
verificare il rispetto da parte dell'istante
dei limiti privatistici, a condizione che
tali limiti siano effettivamente conosciuti
o immediatamente conoscibili e/o non
contestati, di modo che il controllo da
parte dell'ente locale si traduca in una
semplice presa d'atto dei limiti medesimi
senza necessità di procedere ad un'accurata
ed approfondita disanima dei rapporti tra i
condomini”.
Orbene, nel caso di specie, dove i lavori
consistono nel’apertura di una porta sulla
scala condominiale, con ciò modificando
l’uso della cosa comune da parte dei
condomini, il Comune avrebbe dovuto
verificare l’esistenza del consenso del
condominio all’utilizzo della scala da parte
di uno dei condomini, in modo tale da
alterare stabilmente il normale ed
originario uso della cosa comune
(escludendosi, dunque, l’applicabilità
dell’art. 1102 cod. civ., in ordine alla
ricorrenza del quale, peraltro, non sussiste
idonea valutazione e motivazione da parte
dell’amministrazione comunale).
In altre parole, il Comune avrebbe dovuto
conseguire, per il tramite della verifica
resa necessaria dalla evidente mancanza di
proprietà esclusiva della res, la prova
dell’esistenza del titolo a disporre del
bene e quindi a presentare la dichiarazione
di inizio attività.
Quanto alla già citata applicazione
dell’art. 1102 cod. civ., occorre osservare
che ogni valutazione in ordine alla idoneità
del principio espresso dal medesimo a
sorreggere l’esistenza di un titolo
legittimante a richiedere il permesso di
costruire o a presentare la DIA, non compete
ex post al giudice, quanto ex ante
all’amministrazione comunale, la quale –proprio perché ha l’obbligo di verificare
l’esistenza di tale titolo legittimante–
ove ritenga che questo discenda (ancorché
non sia questo il caso di specie) dall’art.
1102 cod. civ., ha l’onere di valutare
motivatamente in ordine a tale aspetto.
Compete, successivamente, al giudice,
nell’esercizio dell’ordinario sindacato di
legittimità, verificare la correttezza e
congruità delle valutazioni effettuate
dall’amministrazione e l’esito
provvedimentale di queste
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 26.07.2012 n. 4255 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA-PRIVATA:
I parcheggi collocati in aree esterne ai
fabbricati, a differenza di quelli posti nel sottosuolo o al
piano terreno degli stessi, non devono essere realizzati
necessariamente dai proprietari dell’immobile, ma -in base
alla legge Tognoli- possono esserlo anche da terzi:
evidentemente il legislatore, non potendo escludersi che le
<aree pertinenziali esterne> potessero appartenere a
soggetti diversi dai proprietari dell’immobile, ha ritenuto
di non dover limitare solo a questi ultimi la legittimazione
a chiedere il permesso per realizzarvi i parcheggi.
Peraltro, la pertinenzialità che il legislatore ha inteso
considerare in questo caso non è tanto quella materiale
esistente tra l’edificio e l’area -sottostante, interna o
esterna- destinata ad accogliere il parcheggio, ma quella
giuridica esistente tra ciascun singolo posto auto da
realizzare e una specifica unità immobiliare, nel senso di
creare fra di essi un nesso di inscindibilità: ciò che è
coerente con la <ratio> della l. n. 122 del 1989, che è
quella di venire incontro al bisogno di parcheggi dei
residenti nelle aree urbane evitando al tempo stesso
operazioni speculative.
---------------
La nozione edilizia di pertinenzialità ha connotati
significativamente diversi da quelli civilistici, assumendo
in essa rilievo decisivo non tanto il dato del legame
materiale tra pertinenza ed immobile principale, quanto il
dato giuridico che la prima risulti priva di autonoma
destinazione e di autonomo valore di mercato e che esaurisca
la propria destinazione d'uso nel rapporto funzionale con
l'edificio principale, così da non incidere sul carico
urbanistico.
Ai fini dell'applicazione dell'art. 9, l. 24.03.1989 n. 122
(cd. legge Tognoli), relativamente alla realizzazione di
parcheggi nel sottosuolo di area pertinenziale esterna al
fabbricato in deroga alle disposizioni degli strumenti
urbanistici, è irrilevante che detta area esterna non si
trovi in rapporto di immediata contiguità materiale con il
fabbricato e sia di proprietà di soggetto diverso dal
proprietario dell'immobile nei cui confronti i parcheggi
sono destinati a divenire pertinenziali.
---------------
Il rapporto di pertinenzialità è riconoscibile nel caso in
cui i boxes si trovano in un ragionevole raggio di
accessibilità pedonale.
---------------
L'art. 9 della stessa, nel prevedere per i parcheggi la
derogabilità degli strumenti urbanistici, fa salvi i vincoli
previsti dalla legislazione in materia paesaggistica ed
ambientale.
---------------
E' legittimo il diniego di autorizzazione edilizia per la
costruzione di un parcheggio interrato in presenza di un
vincolo cimiteriale, poiché, trattandosi di vincolo
assoluto, non sono ammesse deroghe nemmeno in riferimento
all'art. 9 della l. n. 122/1989; infatti, anche il
parcheggio interrato, in quanto struttura servente all'uso
abitativo e, comunque, posta nell'ambito della fascia di
rispetto cimiteriale, rientra tra le costruzioni edilizie
del tutto vietate dalla disposizione di cui all'art. 338,
r.d. n. 1265/1934.
La giurisprudenza amministrativa ha interpretato detta
disposizione in coerenza con la ratio della medesima
(ed anche con la ratio delle modifiche via via
introdotte dall'art. 17, comma 90, l. 15.05.1997, n. 127 e
dall'art. 37, l. 07.12.1999, n. 472) orientata a
privilegiare lo scopo della “legge Tognoli” di far
fronte alla carenza di parcheggi urbani.
Non altro senso, può attribuirsi all’estensione del concetto
di pertinenzialità, affermato a più riprese da questa IV
Sezione del Consiglio di Stato, sia sotto il profilo
"soggettivo" (“i parcheggi collocati in aree esterne
ai fabbricati, a differenza di quelli posti nel sottosuolo o
al piano terreno degli stessi, non devono essere realizzati
necessariamente dai proprietari dell’immobile, ma -in base
alla legge Tognoli- possono esserlo anche da terzi:
evidentemente il legislatore, non potendo escludersi che le
<aree pertinenziali esterne> potessero appartenere a
soggetti diversi dai proprietari dell’immobile, ha ritenuto
di non dover limitare solo a questi ultimi la legittimazione
a chiedere il permesso per realizzarvi i parcheggi.
Peraltro, la pertinenzialità che il legislatore ha inteso
considerare in questo caso non è tanto quella materiale
esistente tra l’edificio e l’area -sottostante, interna o
esterna- destinata ad accogliere il parcheggio, ma quella
giuridica esistente tra ciascun singolo posto auto da
realizzare e una specifica unità immobiliare, nel senso di
creare fra di essi un nesso di inscindibilità: ciò che è
coerente con la <ratio> della l. n. 122 del 1989, che è
quella di venire incontro al bisogno di parcheggi dei
residenti nelle aree urbane evitando al tempo stesso
operazioni speculative.” Consiglio Stato, sez. IV,
31.03.2010, n. 1842), che sotto il profilo “oggettivo”
(“la nozione edilizia di pertinenzialità ha connotati
significativamente diversi da quelli civilistici, assumendo
in essa rilievo decisivo non tanto il dato del legame
materiale tra pertinenza ed immobile principale, quanto il
dato giuridico che la prima risulti priva di autonoma
destinazione e di autonomo valore di mercato e che esaurisca
la propria destinazione d'uso nel rapporto funzionale con
l'edificio principale, così da non incidere sul carico
urbanistico.” Consiglio Stato, sez. IV, 31.03.2010, n.
1842, prima richiamata; ma si veda anche: “ai fini
dell'applicazione dell'art. 9, l. 24.03.1989 n. 122 (cd.
legge Tognoli), relativamente alla realizzazione di
parcheggi nel sottosuolo di area pertinenziale esterna al
fabbricato in deroga alle disposizioni degli strumenti
urbanistici, è irrilevante che detta area esterna non si
trovi in rapporto di immediata contiguità materiale con il
fabbricato e sia di proprietà di soggetto diverso dal
proprietario dell'immobile nei cui confronti i parcheggi
sono destinati a divenire pertinenziali"- Consiglio
Stato, sez. IV, 18.10.2010, n. 7549).
Detto favor realizzativo, e detta interpretazione estensiva,
trovano simmetrica corrispondenza negli approdi cui è giunta
la giurisprudenza di legittimità penale (si veda Cassazione
penale, sez. III, 03.03.2009, n. 14940, dove si precisa che
“il rapporto di pertinenzialità è riconoscibile nel caso
in cui i boxes si trovano in un ragionevole raggio di
accessibilità pedonale”.).
Al contempo, la consolidata giurisprudenza amministrativa
(Consiglio di stato, sez. IV, 28.03.2011, n. 1879) ha
costantemente ribadito che “l'art. 9 della stessa, nel
prevedere per i parcheggi la derogabilità degli strumenti
urbanistici, fa salvi i vincoli previsti dalla legislazione
in materia paesaggistica ed ambientale.” (si veda, sul
punto, di recente, anche TAR Lazio Roma, sez. I, 18.01.2011,
n. 382).
---------------
Quanto a tale profilo, da un
canto, è comunque agevole riscontrare che risulta
incontestata la deduzione dell’appellante secondo cui il
Regolamento urbanistico prevedeva che la “misura” di
parcheggi di cui dotarsi fosse coincidente (ma soltanto
nella sua misura minima) con quella prevista dall’art.
41-sexies della legge urbanistica n. 1150/1942.
Per altro verso, e con portata assorbente, si evidenzia che
il concreto atteggiarsi della statuizione reiettiva, anche
in tale caso, si pone in illogico contrasto con la
disposizione di legge richiamata.
La reiezione disposta dall’appellata amministrazione,
infatti, muove dalla pacifica considerazione per cui, a
fronte di una volumetria di mc. 1.290 del fabbricato, era
presente una superficie complessiva di parcheggio (garage
esistente e area esterna di pertinenza che poteva essere
adibita a parcheggio) di mq. 184.
A questo punto, poi, si è ivi evidenziato che l’area
disponibile era “superiore al minimo di standard della
legge n. 122/1989” e, prendendo spunto dal disposto che
l’art. 2 comma 2, individuava il detto valore quantitativo
(art. 2 comma 2: “l'art. 41-sexies della legge
17.08.1942, n. 1150, è sostituito dal seguente: Nelle nuove
costruzioni ed anche nelle aree di pertinenza delle
costruzioni stesse, debbono essere riservati appositi spazi
per parcheggi in misura non inferiore ad un metro quadrato
per ogni dieci metri cubi di costruzione") e si è
pervenuti, anche per tal via, alla statuizione reiettiva
avversata.
Sennonché, il primo giudice –che pure aveva colto che la
detta fattispecie normativa era “relativa ai nuovi
edifici” e pertanto, non applicabile alle fattispecie
de quo- ha affermato che “tra questi limiti trova una
sua giustificazione anche quello di permettere i garages
interrati solo al fine del raggiungimento dello standard di
parcheggio fissato dall’art. 2, comma 2, della legge n.
122/1989 sia pure per le nuove costruzioni. E il fatto che
la normativa locale utilizzi un criterio, pur dettato dalla
legge statale per altra ipotesi, non configura nessuna
illegittimità quando quel criterio risponda alle specifiche
esigenze del territorio comunale”.
Con simile asserzione, però, quel giudice non ha colto che
comunque, il criterio cui si riferiva la legge era quello
minimo, di guisa che anche per tale aspetto (in disparte
ogni considerazione sull’utilizzabilità di un simile
parametro per edifici non costituenti “nuova costruzione”)
la concreta applicazione fattane dal Comune trasformava
detto limite minimo (“non inferiore”, statuisce la
prescrizione di legge, lo si ribadisce) in limite massimo,
così ponendosi in conflitto con la norma di legge.
Né a simile interpretazione applicativa poteva pervenirsi
valorizzando gli elementi di ”invarianza” afferenti
alla specifica categoria di edifici nei quali è ascrivibile
quello per cui è causa.
Nella pacifica considerazione, infatti, che non trattavasi
di edificio specificamente vincolato ai sensi del TU dei
beni culturali (né, in pregresso ex lege n.
1089/1939), si rimarca che le esigenze di tutela ambientale
e paesaggistica espressamente fatte salve dalla norma di cui
all’art. 9 a più riprese citata (che sono condizione per la
compatibilità costituzionale della stessa), trovano tutela
nella legislazione statale e nell’attività di tutela di
siffatte categorie di beni pertinente alle Autorità preposte
ai detti vincoli (a titolo esemplificativo, si veda in
passato: “è legittimo il diniego di autorizzazione
edilizia per la costruzione di un parcheggio interrato in
presenza di un vincolo cimiteriale, poiché, trattandosi di
vincolo assoluto, non sono ammesse deroghe nemmeno in
riferimento all'art. 9 della l. n. 122/1989; infatti, anche
il parcheggio interrato, in quanto struttura servente
all'uso abitativo e, comunque, posta nell'ambito della
fascia di rispetto cimiteriale, rientra tra le costruzioni
edilizie del tutto vietate dalla disposizione di cui
all'art. 338, r.d. n. 1265/1934.” -Consiglio Stato, sez.
V, 14.09.2010, n. 6671).
Rammenta in proposito il Collegio il tradizionale
orientamento della giurisprudenza amministrativa, secondo
cui “mentre l'attività di valorizzazione del bene
culturale deve essere il frutto di un intervento coordinato
che veda coinvolti tutti i soggetti pubblici interessati,
l'attività di tutela rappresenta prerogativa esclusiva dello
Stato, in quanto soggetto proprietario del bene, che è
quindi responsabile primario della sua conservazione. Tale
distinzione trae, del resto, fondamento anche nell'art. 117,
comma 2, cost., che appunto riserva alla competenza
esclusiva dello Stato l'attività di tutela dei beni
culturali, demandando, invece, alla competenza concorrente
Stato-Regione l'attività di valorizzazione” (Consiglio
Stato, sez. VI, 30.07.2009, n. 4779).
Prescrizioni regolamentari comunali non limitate agli
aspetti compositivo-architettonici appaiono incidere sulla
competenza esclusiva della Soprintendenza in materia di
tutela dei beni culturali e travalicare la portata delle
competenze demandate alla amministrazione comunale, che non
potrebbe, seppur nel lodevole intento di salvaguardare detti
valori, introdurre nel sistema prescrizioni non già
limitative, ma, come nel caso di specie, impeditive in via
assoluta, per intere categorie di immobili, della espressa
previsione contemplata in una disposizione nazionale
(Consiglio di Stato, Sez.
IV,
sentenza 10.07.2012 n. 4091 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
CONDOMINIO -
EDILIZIA PRIVATA:
Grava sull’amministrazione l’obbligo di
verificare l'esistenza, in capo al richiedente, di un idoneo
titolo di godimento sull'immobile oggetto dell’intervento,
ma non già di risolvere i conflitti tra le parti private in
ordine all'assetto dominicale dell'area interessata, non
essendo la p.a. tenuta a svolgere una preliminare indagine
istruttoria che si estenda fino alla ricerca di eventuali
elementi limitativi, preclusivi o estintivi del titolo di
disponibilità allegato dal richiedente, essendo noto che il
rilascio del titolo edilizio “non comporta limitazione dei
diritti dei terzi”, secondo il disposto dall’art. 11, comma
3, del T.U. n. 380/2001.
Va, peraltro, aggiunto che l'art. 1102 c.c. consente a
ciascun partecipante di servirsi della cosa comune, purché
non ne alteri la destinazione, cioè non incida sulla
sostanza e struttura del bene, e non impedisca agli altri
partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto.
Il partecipante alla comunione, pertanto, può usare della
cosa comune per un suo fine particolare, con la conseguente
possibilità di ritrarre dal bene una utilità specifica
aggiuntiva rispetto a quelle che vengono ricavate dagli
altri, con il limite di non alterare la consistenza e la
destinazione di esso o di non impedire l'altrui pari uso.
Va, pertanto, ribadito che ai fini della verifica della
legittimazione soggettiva a compiere un intervento edilizio,
il parametro valutativo va ricercato nella disciplina
pubblicistica che regola la realizzazione di opere sul
territorio, senza che il dissenso di terzi possa incidere
sulla legittimità del provvedimento, che viene adottato
sulla base del titolo formale di disponibilità del bene
immobile interessato e, in ogni caso, con salvezza dei
diritti dei terzi.
Si palesano fondate anche le doglianze volte a contestare la
sussistenza di una valida ragione ostativa all’esecuzione
dei lavori progettati, risultando erronea la circostanza
posta a base dell’azione amministrativa, secondo cui le
opere “incidono sulle parti comuni dell’edificio”.
Invero, come si è già anticipato, la d.i.a. ha ad oggetto il
manufatto di esclusiva proprietà del ricorrente (prevedendo
la trasformazione di un vano finestra in porta) e solo di
riflesso può rilevare sull’uso del cortile di proprietà
comune (in relazione al paventato attraversamento con
l’autovettura, poiché la modifica progettata rende il
deposito idoneo alla destinazione a garage), sicché non può
dubitarsi che il richiedente fosse legittimato a proporre
l’intervento, ai sensi degli artt. 11 e 23 del d.P.R. n. 380
del 2001.
Sul punto va osservato che, secondo il costante orientamento
giurisprudenziale, grava sull’amministrazione l’obbligo di
verificare l'esistenza, in capo al richiedente, di un idoneo
titolo di godimento sull'immobile oggetto dell’intervento,
ma non già di risolvere i conflitti tra le parti private in
ordine all'assetto dominicale dell'area interessata, non
essendo la p.a. tenuta a svolgere una preliminare indagine
istruttoria che si estenda fino alla ricerca di eventuali
elementi limitativi, preclusivi o estintivi del titolo di
disponibilità allegato dal richiedente, essendo noto che il
rilascio del titolo edilizio “non comporta limitazione
dei diritti dei terzi”, secondo il disposto dall’art.
11, comma 3, del T.U. n. 380/2001 (cfr. Consiglio Stato,
Sezione V, 04.02.2004, n. 368; Sezione VI, 10.2.2010, n.675;
TAR Campania, Sezione II, 22.09.2006, n. 8243), TAR
Lombardia, Brescia, Sezione I, 28.05.2007, n. 460).
Va, peraltro, aggiunto che l'art. 1102 c.c. consente a
ciascun partecipante di servirsi della cosa comune, purché
non ne alteri la destinazione, cioè non incida sulla
sostanza e struttura del bene, e non impedisca agli altri
partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto.
Il partecipante alla comunione, pertanto, può usare della
cosa comune per un suo fine particolare, con la conseguente
possibilità di ritrarre dal bene una utilità specifica
aggiuntiva rispetto a quelle che vengono ricavate dagli
altri, con il limite di non alterare la consistenza e la
destinazione di esso o di non impedire l'altrui pari uso
(cfr. Cassazione civile, Sezione II, 14.07.2011, n. 15523;
09.02.2011, n. 3188).
Va, pertanto, ribadito che ai fini della verifica della
legittimazione soggettiva a compiere un intervento edilizio,
il parametro valutativo va ricercato nella disciplina
pubblicistica che regola la realizzazione di opere sul
territorio, senza che il dissenso di terzi possa incidere
sulla legittimità del provvedimento, che viene adottato
sulla base del titolo formale di disponibilità del bene
immobile interessato e, in ogni caso, con salvezza dei
diritti dei terzi (TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 04.07.2012 n. 3205 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
In presenza di un intervento
suscettibile di trasformare ed ampliare l’organismo edilizio
preesistente, legittimamente il Comune ha opposto al
ricorrente, quale conduttore in locazione dell’immobile in
oggetto, la mancanza del previo consenso del proprietario,
in assenza di alcuna preventiva autorizzazione concessa in
tal senso nel contratto di locazione o in altra
documentazione.
La legittimazione del titolare di un diritto obbligatorio al
rilascio del permesso di costruire è riconosciuta in
giurisprudenza solo quando, per effetto del dedotto rapporto
obbligatorio, l’interessato sia autorizzato in base ad un
contratto o abbia documentato il previo consenso da parte
del proprietario.
In presenza di un intervento suscettibile di trasformare ed
ampliare l’organismo edilizio preesistente, legittimamente
il Comune ha opposto al ricorrente, quale conduttore in
locazione dell’immobile in oggetto, la mancanza del previo
consenso del proprietario, in assenza di alcuna preventiva
autorizzazione concessa in tal senso nel contratto di
locazione del 29.08.2007 allegato in atti, o in altra
documentazione.
La legittimazione del titolare di un diritto obbligatorio al
rilascio del permesso di costruire è riconosciuta in
giurisprudenza solo quando, per effetto del dedotto rapporto
obbligatorio, l’interessato sia autorizzato in base ad un
contratto o abbia documentato il previo consenso da parte
del proprietario (Cons. Stato, sez. IV, n. 3027/2007; id, n.
3253/2002; id., sez. V, n. 1507/2001; id., n. 1227/1997; id.
n.1200/1994; id., n. 965/1993; Tar Parma, n. 338/2008; Tar
Napoli, n. 8243/2006; Cons. Stato, sez. V, n. 2882/2001;
Cons. Stato, sez.IV, n. 1057/2011; Cons. Stato, sez. VI, n.
4557/2010) (TAR Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 03.07.2012 n. 3148 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
L’amministrazione comunale non è tenuta ad accertare
l’assenso di terzi all’attività del richiedente, o
l’eventuale danno che qualcuno potrebbe subire dal
provvedimento abilitativo, il quale viene emanato solamente
sulla scorta della valutazione del titolo formale di
disponibilità dell’area edificabile e con salvezza delle
ragioni dei terzi.
L’amministrazione -in sede di verifica dei presupposti della
dia (o di rilascio del permesso di costruire)- non è tenuta
a svolgere complessi e laboriosi accertamenti e non può
entrare nel merito di possibili contestazioni o controversie
tra privati .
L’art. 11, ultimo comma, t.u. edilizia —secondo cui «il
rilascio del permesso di costruire non comporta limitazione
dei diritti dei terzi»— ha sul punto cristallizzato a
livello positivo una prassi amministrativa e
giurisprudenziale assolutamente pacifica che aveva ricevuto
un primo riconoscimento legale già nell’art. 2, comma 37,
lett. c), l. n. 662 del 1996 (che ha novellato l’art. 39 l.
n. 724 del 1994; successivamente si veda l’art. 32, comma
31, d.l. n. 269 cit. in materia di condono straordinario).
Quanto, poi, alle problematiche legate ai rapporti di
vicinato tra i ricorrenti e il controinteressato, è evidente
come la loro soluzione dipenda dalla ricostruzione degli
accordi intercorsi tra il dante causa dei ricorrenti e il
controinteressato medesimo, così come trasfusi nella
convenzione stipulata nel 1957, allegata in atti.
Si tratta, quindi, di problematica di natura privatistica di
non facile e pronta soluzione, della quale il Comune deve
disinteressarsi, fermo restando che il terzo, ove leso nei
propri diritti soggettivi, potrà ottenere satisfattiva
tutela davanti al giudice civile, non subendo alcun
pregiudizio dal rilascio del titolo (cfr., Cons. Stato, V,
02.02.2012 n. 568, secondo cui l’amministrazione comunale
non è tenuta ad accertare l’assenso di terzi all’attività
del richiedente, o l’eventuale danno che qualcuno potrebbe
subire dal provvedimento abilitativo, il quale viene emanato
solamente sulla scorta della valutazione del titolo formale
di disponibilità dell’area edificabile e con salvezza delle
ragioni dei terzi; id. sez. IV, 30.12.2006, n. 8626).
Più in generale, va ribadito come l’amministrazione -in sede
di verifica dei presupposti della dia (o di rilascio del
permesso di costruire)- non è tenuta a svolgere complessi e
laboriosi accertamenti e non può entrare nel merito di
possibili contestazioni o controversie tra privati (cfr.
Consiglio di Stato, 08.11.2011 n. 5894, che si sofferma
diffusamente a tratteggiare il quadro delle norme e dei
principi che presiedono al rilascio dei titoli edilizi,
avuto particolare riguardo all’aspetto della legittimazione
del richiedente e degli impedimenti di carattere negoziale;
nonché, Cons. Stato, sez. IV, 12.03.2007, n. 1206; TAR
Lazio, Roma 18.02.2005 n. 1408).
L’art. 11, ultimo comma, t.u. edilizia —secondo cui «il
rilascio del permesso di costruire non comporta limitazione
dei diritti dei terzi»— ha sul punto cristallizzato a
livello positivo una prassi amministrativa e
giurisprudenziale assolutamente pacifica che aveva ricevuto
un primo riconoscimento legale già nell’art. 2, comma 37,
lett. c), l. n. 662 del 1996 (che ha novellato l’art. 39 l.
n. 724 del 1994; successivamente si veda l’art. 32, comma
31, d.l. n. 269 cit. in materia di condono straordinario)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 28.06.2012 n. 1816 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Titoli abilitativi e
promissario acquirente.
Ai fini della legittimazione attiva al
rilascio di titoli abilitativi nella materia
edilizia è necessaria, sulla base degli
artt. 11 e 23 del D.P.R. 380/2011, la
titolarità del diritto di proprietà, ovvero
di altro diritto reale od anche obbligatorio
a condizione, in tale ultima ipotesi, del
riconoscimento della disponibilità giuridica
e materiale del bene nonché della relativa
potestà edificatoria.
Quanto al promissario
acquirente si richiede, anche in ipotesi di
preliminare ad effetti anticipati, la
specifica autorizzazione del proprietario
promissario venditore all’esercizio dello
ius aedificandi.
La posizione di promissario conduttore, in
assenza di specifico consenso del
proprietario, non è titolo di legittimazione
idoneo al rilascio di titoli abilitativi,
anche se a regime semplificato, mancando la
disponibilità giuridica dell’area su cui
realizzare l’intervento. E ciò è tanto più
vero nella fattispecie, laddove il
proprietario promissario locatore si è
espressamente riservata la disponibilità ed
il godimento del bene fino alla stipula del
contratto definitivo.
Ai fini della
legittimazione attiva al rilascio di titoli
abilitativi nella materia edilizia, la
giurisprudenza ritiene necessaria, sulla
base degli artt. 11 e 23 del D.P.R.
380/2011, la titolarità del diritto di
proprietà, ovvero di altro diritto reale od
anche obbligatorio a condizione, in tale
ultima ipotesi, del riconoscimento della
disponibilità giuridica e materiale del bene
nonché della relativa potestà edificatoria
(Consiglio di Stato sez. V 28.05.2001 n.
2881; id. sez. IV 25.11.2008, n. 5811; TAR
Emilia Romagna Bologna 21.02.2007, n. 53;
TAR Lombardia Milano sez II 31.03.2010, n.
842).
Quanto al promissario acquirente, la tesi
che ne riconosce la legittimazione non è
affatto pacifica in giurisprudenza,
richiedendosi, anche in ipotesi di
preliminare ad effetti anticipati, la
specifica autorizzazione del proprietario
promissario venditore all’esercizio dello
ius aedificandi (Consiglio Stato, sez.
IV, 18.01.2010, n. 144; Cassazione civile
sez III 15.03.2007, n. 6005; TAR
Lazio-Latina 26.07.2005, n. 636). Tale
opzione esegetica risulta ancor più corretta
qualificando la relazione del promissario
acquirente con l’immobile, anche in caso di
preliminare ad effetti anticipati, quale “detenzione
qualificata” e non già come possesso,
secondo la più recente ricostruzione
pretoria (ex multis Cassazione Sez.
Unite 27.03.2008, n. 7930. id. sez. I
01.03.2010, n. 4863).
Ciò premesso, la posizione di promissario
conduttore, in assenza di specifico consenso
del proprietario, non è titolo di
legittimazione idoneo al rilascio di titoli
abilitativi, anche se a regime semplificato,
mancando la disponibilità giuridica
dell’area su cui realizzare l’intervento. E
ciò è tanto più vero nella fattispecie,
laddove il proprietario promissario locatore
si è espressamente riservata la
disponibilità ed il godimento del bene fino
alla stipula del contratto definitivo (punto
9.2 del contratto sottoscritto il
02.12.2008)
(TAR Puglia-Bari, Sez. I,
sentenza 18.06.2012 n. 1195 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Ai fini del rilascio della concessione
edilizia è necessaria una relazione qualificata a contenuto
reale dell'istante con il bene, e cioè la qualità di
proprietario, superficiario, affittuario di fondi rustici,
usufruttuario dello stesso, anche se in formazione, non
essendo sufficiente il solo rapporto obbligatorio, in quanto
il diritto a costruire è una proiezione del diritto di
proprietà o di altro diritto reale di godimento che
autorizzi a disporre un intervento costruttivo.
All'usufruttuario è comunque riconosciuta la legittimazione
al rilascio del permesso di costruire dal momento che l'art.
11, d.P.R. n. 380 del 2001 individua tra i soggetti
legittimati oltre al proprietario anche coloro che «abbiano
titolo per richiederlo», sicché non vi è dubbio che tra gli
aventi titolo rientri anche l'usufruttuario del bene, che,
quale titolare di un diritto reale di godimento, gode di una
relazione qualificata con il bene medesimo.
-------------
Nel ricorso proposto avverso il permesso di costruire
rilasciato al vicino la vicinitas è condizione necessaria,
ma non sufficiente a radicare, ferma la legittimazione,
l'interesse al ricorso, il quale richiede anche la
dimostrazione del pregiudizio concreto alle facoltà
dominicali del ricorrente.
La dimostrata titolarità a chiedere ed ottenere la
concessione edilizia su un fondo, da parte
dell’usufruttuario, importa che lo stesso in via di
principio sia legittimato a contestare la legittimità del
permesso di costruire rilasciato al vicino, purché
sussistano i presupposti della vicinitas e del concreto
pregiudizio alle facoltà dominicali, che si è visto essere
il proprium della legittimazione ad agire in subiecta
materia.
---------------
Per costante quanto condivisibile giurisprudenza della Corte
di Cassazione l’usufruttuario al cospetto dei terzi esercita
i diritti del pieno possessore (“l'usufruttuario, ancorché
possessore rispetto ai terzi, è, nel rapporto con il nudo
proprietario, mero detentore del bene, con la conseguenza
che egli può usucapirne la proprietà solo ponendo in essere
un atto d'interversione del possesso, esteriorizzato in
maniera inequivocabile e riconoscibile, vale a dire
attraverso un'attività durevole, contrastante e
incompatibile con il possesso altrui”) e pertanto i diritti
nascenti da detta posizione giuridica non possono essere
condizionati dalla sussistenza –o meno– di un rapporto di
detenzione con il bene materiale (è appena il caso di
rammentare che per tradizione risalente al diritto romano
classico il possesso può esercitarsi “solo animo”).
Deve premettersi che la giurisprudenza amministrativa,
muovendo dal tenore letterale dell’art. 11 del dPR n.
380/2001, ha costantemente affermato che ”ai fini del
rilascio della concessione edilizia è necessaria una
relazione qualificata a contenuto reale dell'istante con il
bene, e cioè la qualità di proprietario, superficiario,
affittuario di fondi rustici, usufruttuario dello stesso,
anche se in formazione, non essendo sufficiente il solo
rapporto obbligatorio, in quanto il diritto a costruire è
una proiezione del diritto di proprietà o di altro diritto
reale di godimento che autorizzi a disporre un intervento
costruttivo” (Consiglio Stato, sez. IV, 08.06.2007, n.
3027); ”all'usufruttuario è comunque riconosciuta la
legittimazione al rilascio del permesso di costruire dal
momento che l'art. 11, d.P.R. n. 380 del 2001 individua tra
i soggetti legittimati oltre al proprietario anche coloro
che «abbiano titolo per richiederlo», sicché non vi è dubbio
che tra gli aventi titolo rientri anche l'usufruttuario del
bene, che, quale titolare di un diritto reale di godimento,
gode di una relazione qualificata con il bene medesimo”
(TAR Campania Napoli, sez. VIII, 07.03.2011, n. 1318).
Costituisce altresì principio fondante in materia quello per
cui “nel ricorso proposto avverso il permesso di
costruire rilasciato al vicino la vicinitas è condizione
necessaria, ma non sufficiente a radicare, ferma la
legittimazione, l'interesse al ricorso, il quale richiede
anche la dimostrazione del pregiudizio concreto alle facoltà
dominicali del ricorrente” (Consiglio Stato, sez. IV,
24.01.2011, n. 485).
La dimostrata titolarità a chiedere ed ottenere la
concessione edilizia su un fondo, da parte
dell’usufruttuario, importa che lo stesso in via di
principio sia legittimato a contestare la legittimità del
permesso di costruire rilasciato al vicino, purché
sussistano i presupposti della vicinitas e del
concreto pregiudizio alle facoltà dominicali, che si è visto
essere il proprium della legittimazione ad agire in
subiecta materia.
Posto che nel caso di specie la vicinitas è
certamente sussistente, ed il petitum proposto
dall’appellante in primo grado era volto a censurare, tra
l’altro, anche la violazione del regime delle distanze,
appare al Collegio doveroso affermare che in via astratta
fosse incontestabile la legittimazione ad agire
dell’appellante.
---------------
E’ ben noto al Collegio che la
funzionalizzazione del concetto di proprietà (comprensivo
dei diritti reali “parziari” o “minori”)
ascrivibile non soltanto all’art. 42 della Costituzione
induca a ritenere ormai privo di cittadinanza, nel sistema,
il brocardo romanistico secondo cui il proprium dello
statuto proprietario si ravvisa nel “ius utendi fruendi
et abutendi” .
Tuttavia resta incontestabile che le facoltà attribuite dal
titolo costitutivo all’usufruttuario di un bene immobile
possano essere liberamente esercitabili da questo; che la
scelta di non esercitarle sia allo stesso liberamente
rimessa; che a cagione di tale omesso esercizio, e sino alla
eventuale prescrizione estintiva del diritto (art. 1014,
n.1, del codice civile) quest’ultimo si conservi immutato e
legittimi il titolare all’esercizio di tutte le azioni a
difesa del proprio diritto.
Si rammenta in proposito che, per costante quanto
condivisibile giurisprudenza della Corte di Cassazione
l’usufruttuario al cospetto dei terzi esercita i diritti del
pieno possessore (“l'usufruttuario, ancorché possessore
rispetto ai terzi, è, nel rapporto con il nudo proprietario,
mero detentore del bene, con la conseguenza che egli può
usucapirne la proprietà solo ponendo in essere un atto
d'interversione del possesso, esteriorizzato in maniera
inequivocabile e riconoscibile, vale a dire attraverso
un'attività durevole, contrastante e incompatibile con il
possesso altrui” - Cassazione civile, sez. II,
10.01.2011, n. 355) e pertanto i diritti nascenti da detta
posizione giuridica non possono essere condizionati dalla
sussistenza –o meno– di un rapporto di detenzione con il
bene materiale (è appena il caso di rammentare che per
tradizione risalente al diritto romano classico il possesso
può esercitarsi “solo animo”).
--------------
Tale legittimazione, peraltro, spetta certamente
all’usufruttuario (semmai, con riferimento a particolari
aspetti, si potrebbe forse dubitare della legitimatio ad
causam del nudo proprietario: “la servitù determina
un rapporto tra fondi -di cui uno fornisce utilità
all'altro-, la legittimazione processuale, attiva e passiva,
nei giudizi ove è contestata l'esistenza di detto rapporto,
compete a coloro che al momento della domanda sono titolari
delle situazioni giuridiche dominicali rispettivamente
avvantaggiate e svantaggiate dalla servitù.
Tuttavia, quando il godimento completo del bene, cui si
riferisce -in linea di vantaggio o di svantaggio- la
contestata situazione di servitù, spetta non al
proprietario, ma al titolare del diritto di usufrutto, al
quale è assimilabile il concessionario di bene demaniale, a
tale soggetto -usufruttuario o concessionario- si estende la
legittimazione processuale, attiva e passiva, ai sensi
dell'art. 1012, comma 2, c.c., che, legittimando
espressamente l'usufruttuario all'azione confessoria per la
difesa della servitù costituita a favore del fondo, implica
di per sé la legittimazione passiva alla negatoria
-costituente l'aspetto negativo della confessoria-, salvo
l'onere -in base alla norma citata- di chiamare in causa il
proprietario che, quindi, deve partecipare al giudizio come
litisconsorte necessario dell'usufruttuario o del
concessionario” Cassazione civile, sez. II, 29.01.1983,
n. 819).
E ciò a prescindere dalla circostanza che l’usufruttuario
fosse anche detentore del bene.
Sotto altro profilo, appare senz’altro inammissibile, per
quanto si è finora chiarito (ma si veda anche: ”ove su di
un immobile coesistano il diritto del nudo proprietario e
quello dell'usufruttuario, il possesso che acquista rilievo
ai fini dell'usucapione è, in primo luogo, configurabile a
favore dell'usufruttuario, il quale può esercitarlo anche a
vantaggio del nudo proprietario, ampliandone il godimento
anche attraverso la costituzione di servitù attive;
peraltro, se il nudo proprietario ha, di fatto, la
disponibilità del bene, possono assumere rilievo anche gli
atti di possesso dal medesimo compiuti, l'esercizio dei
quali costituisce onere probatorio della parte che lo
invochi” -Cassazione civile, sez. II, 14.10.2010, n.
21231-) che la inerzia del nudo proprietario possa
pregiudicare il diritto di difesa dell’usufruttuario (e
viceversa): anche le dette eccezioni devono pertanto essere
disattese, e, per concludere sul tema, nessuna refluenza
spiega sull’odierno giudizio la circostanza prospettata alle
pagg. 10 ed 11 della memoria depositata dalla Parco
Costruzioni Srl secondo cui il padre dell’appellante Signor
P.P. avrebbe posto in vendita il complesso immobiliare di
propria pertinenza (e ciò sia perché, in ossequio al
principio nemo plus iuris transferre potest quam ipse
habet, tale volontà dismissiva non potrebbe riguardare
l’usufrutto di pertinenza dell’appellante; sia perché la
volontà di alienare un bene non implica rinuncia alle azioni
proposte, e men che meno sopravvenuta carenza di interesse,
posto che l’esito favorevole di una lite potrebbe in ipotesi
arrecare un incremento di valore del bene dallo stesso
posseduto, sia, infine, perché a tale volontà di alienare la
proprietà del bene non è seguita, comunque, la stipulazione
di alcuna compravendita: in ogni caso l’appellante ha
proposto azione risarcitoria, e ciò esclude la ravvisabilità
di profili di sopravvenuta carenza di interesse)
(Consiglio di Stato, Sez.
IV,
sentenza 05.06.2012 n. 3300 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: D.
Chinello,
Legittimazione edilizia dei singoli
condòmini per intervenire sulle parti comuni
e poteri comunali di verifica
(Urbanistica e appalti n. 4/2012). |
EDILIZIA
PRIVATA:
G. G.A. Dato,
Anche il locatore ha titolo al rilascio del permesso di
costruire - Due recenti pronunce riaffrontano il tema della
legittimazione al rilascio del permesso di costruire
(tratto da Diritto e Pratica Amministrativa n. 3/2012). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Permesso di costruire. Accertamenti del
Comune circa la titolarità dell’area.
Il Comune, nel verificare l'esistenza in capo al richiedente
il permesso edilizio di un idoneo titolo di godimento
sull'immobile, non si assume il compito di risolvere
eventuali conflitti di interesse tra le parti private in
ordine all'assetto proprietario, ma accerta soltanto il
requisito della legittimazione soggettiva di colui che
richiede il permesso.
In sede di esame di una domanda di rilascio di un permesso
di costruire, la funzione autorizzatoria
dell'Amministrazione richiede un livello minimo di
istruttoria che comprende l'acquisizione di tutti gli
elementi sufficienti a dimostrare la sussistenza di un
qualificato collegamento soggettivo tra chi propone
l'istanza e il bene giuridico oggetto dell'autorizzazione,
senza che l'esame del titolo di godimento operato dalla p.a.
costituisca un'illegittima intrusione in ambito
privatistico, ma soltanto per assicurare un ordinato
svolgimento delle attività sottoposte al controllo
autorizzatorio al fine di non alimentare il contenzioso tra
le parti, e ciò anche nell'ambito del procedimento di
rilascio del permesso di costruire (2).
In sede di esame di una domanda di rilascio di un permesso
di costruire, il Comune non è tenuto a complessi e laboriosi
accertamenti anche per non aggravare il procedimento, e non
ha l'onere di appurare l'eventuale esistenza di servitù o di
altri vincoli reali che limitano l'ampiezza del titolo di
proprietà. Qualora però tali limiti siano accertati il
Comune non può ignorarli, pena un'insufficiente istruttoria.
---------------
(1) Cfr. Consiglio Stato, sez. V, 17.09.2001, n. 4847.
(2) Cfr. Cons. di Stato, n. 3525/2000, secondo cui
"l'esecuzione di opere di trasformazione edilizia...è
sottoposta a una disciplina complessa, che riguarda,
rispettivamente, la definizione degli assetti della
proprietà immobiliare e il controllo pubblicistico sulla
conformità alle regole e ai piani di derivazione
pubblicistica. Gli ambiti delle due discipline, finalizzate
alla tutela di interessi di consistenza disomogenea, non
sono pienamente sovrapponibili. È quindi possibile che un
intervento edilizio, astrattamente conforme alla
prescrizioni urbanistiche, si ponga in contrasto con la
normativa di derivazione civilistica, costituendo la
violazione di diritti reali di godimento o di altre facoltà
dei soggetti interessati. Tuttavia, la necessaria
distinzione tra gli aspetti civilistici e quelli
pubblicistici dell'attività edificatoria non impedisce di
rilevare la presenza di significativi punti di contatto tra
i due diversi profili. Da una parte, la normativa edilizia
di carattere regolamentare è idonea a fondare pretese
sostanziali nei rapporti interprivati, che assumono la
consistenza e il grado di protezione del diritto soggettivo.
Dall'altra parte, alcuni elementi di origine civilistica
assumono una rilevanza qualificata nel procedimento di
rilascio della concessione edilizia" (massima tratta da
www.regione.piemonte.it - Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 06.03.2012 n. 1270 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Rilascio del permesso di costruire e
potere-dovere dell'amministrazione.
Nel procedimento di rilascio del permesso di costruire
l'amministrazione comunale ha il potere-dovere di verificare
l'esistenza, in capo al richiedente, di un titolo idoneo al
godimento dell'intero bene interessato dal progetto e ciò
pure a fronte della pacifica circostanza che il titolo
abilitativo finale è comunque sempre rilasciato "facendo
salvi i diritti dei terzi”. Si tratta di un'attività
istruttoria che non è diretta a risolvere i conflitti di
interesse tra le parti private in ordine all'assetto
proprietario degli immobili, ma che risulta invece
finalizzata ad accertare il requisito della legittimazione
soggettiva del richiedente.
L'esame del titolo di godimento operato
dall'amministrazione, infatti, non costituisce una sorta di
eccezionale intrusione in un ambito privatistico, ma
rappresenta la coerente applicazione del principio secondo
cui l'autorità pubblica deve sempre riscontrare la
legittimazione del soggetto che propone un'istanza, nel
contesto della generale esigenza di verifica sull'ordinato
svolgimento delle attività sottoposte al controllo
autorizzatorio (Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 14.02.2012 n. 5633 - tratto da
www.lexambiente.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Per il rilascio del titolo edilizio e'
sufficiente che la P.A. riscontri in capo al richiedente
l'esistenza di una formale disponibilità sul bene.
Ha titolo al rilascio della concessione edilizia non solo il
proprietario o il titolare di diritti reali, ma anche colui
che sia titolare di un diritto personale e abbia, per
effetto, di questo la facoltà di eseguire i lavori (cfr. sul
punto, Cons. Stato, V, 28.05.2001, n. 2881). Il contratto di
locazione è, pertanto, titolo idoneo ad opere, quali sono
quelle in questione, di carattere non irreversibile e
temporalmente collegate alla gestione del distributore di
carburanti. Né l’amministrazione comunale è tenuta ad
accertare l’assenso di terzi all’attività del richiedente, o
l’eventuale danno che qualcuno potrebbe subire dal
provvedimento abilitativo, il quale viene emanato solamente
sulla scorta della valutazione del titolo formale di
disponibilità dell’area edificabile e con salvezza delle
ragioni dei terzi.
In sostanza, non incombe all’amministrazione comunale una
particolare indagine sul titolo che legittima l’interessato
al rilascio della concessione edilizia. Di conseguenza è
corretta la sentenza impugnata, laddove assume il legittimo
rilascio del titolo abilitativo alle opere sulla base
dell’astratta riconducibilità delle opere ai diritti
rivenienti dal contratto di locazione. Inoltre non grava
sull’amministrazione deputata al rilascio della concessione
edilizia un particolare accertamento sulla misura dei
diritti rivenienti alle parti dal rapporto obbligatorio che
legittima al rilascio del titolo.
L’amministrazione comunale, invero, rilascia il titolo con
la locuzione “salvi i diritti dei terzi” proprio
perché è estraneo al suo potere l’accertamento di eventuali
limiti del richiedente all’esercizio dell’attività
edificatoria (L’accertamento dell’eventuale lesione del
diritto soggettivo sulla cosa comune va fatto valere davanti
al giudice ordinario e di tanto è consapevole la ricorrente
che ha proposto azione possessoria al giudice ordinario a
tutela delle sue pretese ragioni all’immodificabilità degli
accessi al piazzale, domanda che non risulta sia stata
accolta) (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 02.02.2012 n. 568 - massima tratta da
www.gazzettaamministrativa.it - link a
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EDILIZIA
PRIVATA:
Il permesso di costruire è rilasciato al
proprietario dell'immobile o a chi abbia titolo per
richiederlo, per cui l'interessato è tenuto a fornire al
Comune la prova del suo diritto, mentre l’Ente non deve
svolgere sul punto verifiche eccedenti quelle richieste
dalla ragionevolezza e dalla comune esperienza, in relazione
alle concrete circostanze di fatto, dovendosi così escludere
“un obbligo del comune di effettuare complessi accertamenti
diretti a ricostruire tutte le vicende riguardanti
l'immobile in considerazione".
Spettano all’usufruttuario dell’immobile –escludendo così il
nudo proprietario- tutti i diritti, i poteri e le facoltà
inerenti alla cosa, da cui egli può trarre ogni utilità che
questa può dare (981 c.c.), purché ne rispetti la
destinazione: e, dunque, anche lo ius aedificandi correlato
al bene, facoltà che in tale ambito palesemente rientra, e
che, pertanto, non può essere esercitata dal nudo
proprietario.
Invero, ex art. 11, I comma, del d.P.R. 06.06.2001, n. 380,
il permesso di costruire è rilasciato al proprietario
dell'immobile o a chi abbia titolo per richiederlo, per cui
l'interessato è tenuto a fornire al Comune la prova del suo
diritto, mentre l’Ente non deve svolgere sul punto verifiche
eccedenti quelle richieste dalla ragionevolezza e dalla
comune esperienza, in relazione alle concrete circostanze di
fatto, dovendosi così escludere “un obbligo del comune di
effettuare complessi accertamenti diretti a ricostruire
tutte le vicende riguardanti l'immobile in considerazione"
(C.d.S., V, 07.09.2007, n. 4703).
Ora, in specie, non è dubbio come l’intervento
originariamente proposto determinasse una radicale
trasformazione dell’area interessata, coinvolgendo
l’appartamento al piano terreno; anche trascurando la
servitù di passaggio, il progetto comportava ictu oculi
la modificazione dell’accesso ed il tamponamento di una
finestra che presenta elementi, i quali permettono di
qualificarla come una veduta.
Inoltre, come risulta dagli atti di causa, il nuovo
fabbricato abitativo era destinato ad occupare una parte
della corte comune, della quale l’usufruttuario poteva
evidentemente godere, e che viene così sacrificata.
Infine, come si è visto, la nuova volumetria è stata
calcolata con riferimento all’intero edificio principale e,
quindi, anche alla parte in usufrutto.
Del resto, non v’è dubbio che spettino all’usufruttuario
dell’immobile –escludendone così il nudo proprietario- tutti
i diritti, i poteri e le facoltà inerenti alla cosa, da cui
egli può trarre ogni utilità che questa può dare (981 c.c.),
purché ne rispetti la destinazione: e, dunque, anche lo
ius aedificandi correlato al bene, facoltà che in tale
ambito palesemente rientra, e che, pertanto, non può essere
esercitata dal nudo proprietario.
Insomma, il Comune di Spinea, senza necessità di procedere a
complessi accertamenti, avrebbe dovuto rifiutare il permesso
di costruire fino al momento in cui non fosse stato
positivamente dimostrato il consenso dell’usufruttuaria
all’intervento.
Il riferimento al cd. pactum fiduciae, introdotto
ex post dall’Amministrazione per giustificarsi,
costituisce, in specie, soltanto il richiamo, elegante ma
improprio, ad una locuzione romanistica, con cui, nella
fattispecie, si vuole significare come il Comune di Spinea,
nel rilasciare il titolo, abbia creduto che la Greggio
agisse anche per il titolare del diritto di usufrutto sul
bene, essenzialmente perché legata a questo da un rapporto
parentale, e da precedenti istanze edilizie non opposte: un’apparentia
juris, la quale potrebbe forse avere rilievo in una
prospettiva risarcitoria, ma che certamente non determina la
legittimità del provvedimento amministrativo, emesso in
favore di chi non aveva titolo ad ottenerlo, ed in relazione
al contenuto immediatamente percepibile dell’intervento
progettato.
Insomma, il permesso di costruire de quo è stato
emesso in violazione dell’art. 11 del d. lgs. 380/2001 e va
annullato, in conformità al primo motivo di ricorso proposto
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 25.01.2012 n. 32 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
La legittimazione a richiedere il
rilascio della concessione edilizia spetta non solo al
proprietario dell'area o al titolare di un diritto reale
sulla stessa, ma anche a chiunque abbia un qualsiasi altro
titolo idoneo a richiederla; in definitiva, sono legittimati
a richiedere la concessione edilizia anche i soggetti che si
trovano rispetto al bene immobile da edificare in relazione
qualificata, come appunto anche i titolari di un diritto
personale, quali, ad esempio, il conduttore.
Peraltro il rilascio della concessione edilizia impone
all'amministrazione comunale soltanto una preliminare
verifica circa la legittimazione sostanziale del soggetto
che chiede di esercitare lo "ius edificandi".
Ai sensi del richiamato
articolo 4 della legge n. 10 del 1977, “La concessione è
data dal sindaco al proprietario dell'area o a chi abbia
titolo per richiederla…
Per gli immobili di proprietà dello Stato la concessione è
data a coloro che siano muniti di titolo, rilasciato dai
competenti organi dell'amministrazione, al godimento del
bene. …”.
La norma, pertanto, dispone che la legittimazione a
richiedere il rilascio della concessione edilizia spetti,
non solo al proprietario dell'area o al titolare di un
diritto reale sulla stessa, ma anche a chiunque abbia un
qualsiasi altro titolo idoneo a richiederla; può ritenersi
che, in definitiva, sono legittimati a richiedere la
concessione edilizia anche i soggetti che si trovano
rispetto al bene immobile da edificare in relazione
qualificata, come appunto anche i titolari di un diritto
personale, quali, ad esempio, il conduttore (come avvenuto
nel caso di specie) (Consiglio di Stato, sez. VI,
15.07.2010, n. 4557).
Peraltro il rilascio della concessione edilizia impone
all'amministrazione comunale soltanto una preliminare
verifica circa la legittimazione sostanziale del soggetto
che chiede di esercitare lo "ius edificandi"
(TAR Lazio-Roma, Sez.
II-ter,
sentenza 24.01.2012 n. 765 - link a
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anno 2011 |
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EDILIZIA
PRIVATA:
L'art. 12 D.Lgs. n. 387 del 2003
(adottato dal legislatore nazionale in attuazione di
direttiva comunitaria e ispirato a principi di
semplificazione e accelerazione delle procedure finalizzate
alla realizzazione e gestione degli impianti di energia
elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili e,
segnatamente, da fonte eolica), ha previsto una
autorizzazione unica, che sostituisce tutti i pareri e le
autorizzazioni altrimenti necessari, e in cui confluiscono
anche le valutazioni di carattere paesaggistico, nonché
quelle relative alla esistenza di vincoli di carattere
storico-artistico, tramite il meccanismo della Conferenza di
servizi. Pertanto, l'organo competente al rilascio
dell'autorizzazione unica compie la valutazione comparativa
di tutti gli interessi coinvolti, tenendo conto delle
posizioni di dissenso espresse dai partecipanti alla
Conferenza di servizi.
Nella dialettica dei numerosi interessi collettivi coinvolti
nel procedimento volto al rilascio dell'autorizzazione
unica, il parere negativo opposto dai Comuni il cui
territorio sia interessato dalla realizzazione dell'opera
pubblica svolge la funzione di mera rappresentazione degli
intereressi afferenti a tali enti, rimessi alla valutazione
discrezionale della Regione, sicché questa rimane libera,
nella formulazione del proprio atto di autorizzazione unica,
di recepire o meno quanto da essi evidenziato: diversamente,
al Comune verrebbe attribuito un potere di veto che non è
previsto dalla disciplina della conferenza di servizio di
cui agli artt. 14 ss., L. 07.08.1990 n. 241 né dall’art. 12,
del D.Lgs. n. 387/2003.
L'art. 12 del D.Lgs. n. 387/2003 rende palese l'intento del
legislatore di favorire le iniziative volte alla
realizzazione degli impianti di produzione di energia
elettrica da fonti rinnovabili, semplificando il relativo
procedimento autorizzativo e concentrando l'apporto
valutativo di tutte le amministrazioni interessate nella
conferenza dei servizi ai fini del rilascio di una
autorizzazione unica) e che a tale norma va riconosciuto
valore di principio fondamentale, ai sensi e per gli effetti
dell'art. 117, comma 3, Cost., vincolante per le regioni
nella materia di legislazione concorrente di produzione,
trasporto e distribuzione nazionale dell'energia, nella
quale rientra la realizzazione e gestione degli impianti di
energia da fonte eolica.
---------------
In relazione alla previsione di cui all’art. 11 del D.P.R.
06.06.2001 n. 380, la legittimazione a richiedere il
permesso di costruire compete, oltre che al proprietario, a
chi abbia una situazione giuridica assimilabile alla
proprietà o, eventualmente, alla qualificata aspettativa di
poter esercitare le prerogative del proprietario su di
un'area, come nella ipotesi del promissario acquirente di un
suolo.
Con il ricorso
all’esame, il Comune di Calusco d'Adda impugna
l’autorizzazione –ex art. 12 del D.Lgs. n. 387/2003- alla
costruzione e all’esercizio di un impianto fotovoltaico sito
nel proprio territorio comunale, che è stata rilasciata
dalla Provincia di Bergamo alla controinteressata ...Srl,
nonché la presupposta conferenza di servizi conclusasi il
giorno 15.07.2010.
...
La disamina delle tre distinte censure articolate dal
ricorrente Comune di Calusco d'Adda deve essere preceduta
dall’inquadramento sistematico della normativa che viene in
rilievo.
L’art. 12 del D.Lgs. 29.12.2003 n. 387 -recante “Attuazione
della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione
dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche
rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità”–
prevede:
– al 1° comma la pubblica utilità, indifferibilità ed
urgenza delle opere per la realizzazione degli impianti
alimentati da fonti rinnovabili;
– al 3° comma che la costruzione e l'esercizio degli
impianti gli impianti predetti è assoggettata ad una
autorizzazione unica, rilasciata dalla regione o dalle
province delegate dalla regione, nel rispetto delle
normative vigenti in materia di tutela dell'ambiente, di
tutela del paesaggio e del patrimonio storico-artistico, che
costituisce, ove occorra, variante allo strumento
urbanistico;
– al 4° comma che l'autorizzazione è rilasciata a seguito di
un procedimento unico, al quale partecipano tutte le
Amministrazioni interessate
- al comma 4-bis che il proponente deve dimostrare nel corso
del procedimento, e comunque prima dell’autorizzazione, la
disponibilità del suolo su cui realizzare l’impianto;
– al 6° comma che l'autorizzazione non può essere
subordinata né prevedere misure di compensazione a favore
delle regioni e delle province.
- al 7° comma che gli impianti alimentati da fonti
rinnovabili possono essere ubicati anche in zone
classificate agricole dai piani urbanistici;
- al 10° comma che le linee guida per lo svolgimento del
procedimento di cui al comma 3° -volte ad assicurare un
corretto inserimento degli impianti, con specifico riguardo
agli impianti eolici, nel paesaggio– sono approvate nella
Conferenza unificata e che, in attuazione di tali linee
guida, le regioni possono procedere alla indicazione di aree
e siti non idonei alla installazione di specifiche tipologie
di impianti. Le stesse regioni devono adeguare le rispettive
discipline entro novanta giorni dalla data di entrata in
vigore delle linee guida e, in caso di mancato adeguamento
entro il predetto termine, si applicano le linee guida
nazionali.
La giurisprudenza amministrativa ha rilevato che:
- l'art. 12 D.Lgs. n. 387 del 2003 (adottato dal legislatore
nazionale in attuazione di direttiva comunitaria e ispirato
a principi di semplificazione e accelerazione delle
procedure finalizzate alla realizzazione e gestione degli
impianti di energia elettrica prodotta da fonti energetiche
rinnovabili e, segnatamente, da fonte eolica), ha previsto
una autorizzazione unica, che sostituisce tutti i pareri e
le autorizzazioni altrimenti necessari, e in cui
confluiscono anche le valutazioni di carattere
paesaggistico, nonché quelle relative alla esistenza di
vincoli di carattere storico-artistico, tramite il
meccanismo della Conferenza di servizi. Pertanto, l'organo
competente al rilascio dell'autorizzazione unica compie la
valutazione comparativa di tutti gli interessi coinvolti,
tenendo conto delle posizioni di dissenso espresse dai
partecipanti alla Conferenza di servizi (cfr. Cons. St.,
Sez. VI, 22.02.2010 n. 1020);
- nella dialettica dei numerosi interessi collettivi
coinvolti nel procedimento volto al rilascio
dell'autorizzazione unica, il parere negativo opposto dai
Comuni il cui territorio sia interessato dalla realizzazione
dell'opera pubblica svolge la funzione di mera
rappresentazione degli intereressi afferenti a tali enti,
rimessi alla valutazione discrezionale della Regione, sicché
questa rimane libera, nella formulazione del proprio atto di
autorizzazione unica, di recepire o meno quanto da essi
evidenziato: diversamente, al Comune verrebbe attribuito un
potere di veto che non è previsto dalla disciplina della
conferenza di servizio di cui agli artt. 14 ss., L.
07.08.1990 n. 241 né dall’art. 12, del D.Lgs. n. 387/2003
(cfr. TAR Lazio Latina, sez. I, 22.12.2009 n. 1343;
- l'art. 12 del D.Lgs. n. 387/2003 rende palese l'intento
del legislatore di favorire le iniziative volte alla
realizzazione degli impianti di produzione di energia
elettrica da fonti rinnovabili, semplificando il relativo
procedimento autorizzativo e concentrando l'apporto
valutativo di tutte le amministrazioni interessate nella
conferenza dei servizi ai fini del rilascio di una
autorizzazione unica) e che a tale norma va riconosciuto
valore di principio fondamentale, ai sensi e per gli effetti
dell'art. 117, comma 3, Cost., vincolante per le regioni
nella materia di legislazione concorrente di produzione,
trasporto e distribuzione nazionale dell'energia, nella
quale rientra la realizzazione e gestione degli impianti di
energia da fonte eolica (cfr. TAR Sardegna, Sez. I,
14.01.2011 n. 32).
La Corte costituzionale –chiamata a pronunciarsi sulla
legittimità di una serie di leggi regionali intervenute
sulla materia– ha rilevato (cfr. quanto riassunto nella
sentenza 15.06.2011 n. 192) che:
<<La normativa internazionale, quella comunitaria, e
quella nazionale, manifestano ampio favor per le fonti
energetiche rinnovabili, nel senso di porre le condizioni
per la massima diffusione dei relativi impianti. In ambito
nazionale, la normativa comunitaria è stata recepita dal
decreto legislativo n. 387 del 2003, il cui art. 12 enuncia
i princìpi fondamentali della materia, di potestà
legislativa concorrente, della «produzione, trasporto e
distribuzione di energia», cui le Regioni sono vincolate
(sentenze nn. 124, 168, 332 e 366 del 2010). Pur non
potendosi trascurare la rilevanza che, in relazione agli
impianti che utilizzano fonti rinnovabili, riveste la tutela
dell’ambiente e del paesaggio, il bilanciamento tra le
esigenze connesse alla produzione di energia e gli interessi
ambientali impone una preventiva ponderazione concertata in
ossequio al principio di leale cooperazione, che il citato
art. 12 rimette all’emanazione delle linee guida, con
decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto
con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio
e del mare, d’intesa con la Conferenza unificata.
Solo in base alla formulazione delle linee guida, ogni
Regione potrà adeguare i criteri così definiti alle
specifiche caratteristiche dei rispettivi contesti
territoriali, non essendo nel frattempo consentito porre
limiti di edificabilità degli impianti di produzione di
energia da fonti rinnovabili, su determinate zone del
territorio regionale (sentenze nn. 166 e 382 [rectius 282]
del 2009; nn. 119 e 344 del 2010; n. 44 del 2011), e nemmeno
sospendere le procedure autorizzative per la realizzazione
degli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili
in determinate parti del territorio regionale, fino
all’approvazione delle linee guida nazionali (sentenze n.
364 del 2006, n. 382 del 2009, nn. 124 e 168 del 2010).>>.
In particolare, la Corte costituzionale con la sentenza
22.12.2010 n. 366 –con cui ha dichiarato costituzionalmente
illegittimo l'art. 27, comma 1, lett. b), l.reg. Puglia
19.02.2008 n. 1- ha rilevato (cfr. il p. 3.2.) che “l’adozione,
da parte delle Regioni, nelle more dell’approvazione delle
linee guida previste dall’art. 12 del d.lgs. n. 387 del
2003, di una disciplina come quella oggetto di censura
provoca l’impossibilità di realizzare impianti alimentati da
energie rinnovabili in un determinato territorio, dal
momento che l’emanazione delle linee guida nazionali per il
corretto inserimento nel paesaggio di tali impianti è da
ritenersi espressione della competenza statale di natura
esclusiva in materia di tutela dell’ambiente. L’assenza
delle linee guida nazionali non consente, dunque, alle
Regioni di provvedere autonomamente alla individuazione di
criteri per il corretto inserimento degli impianti
alimentati da fonti di energia alternativa. Di conseguenza
l’individuazione di aree territoriali ritenute non idonee
all’installazione di impianti eolici e fotovoltaici, non
ottemperando alla necessità di ponderazione concertata degli
interessi rilevanti in questo ambito, in ossequio al
principio di leale cooperazione, risulta in contrasto con
l’art. 12, comma 10, del d.lgs. n. 387 del 2003 (sent. n.
382 del 2009)”.
---------------
Con il secondo motivo il ricorrente Comune lamenta la
mancata dimostrazione – da parte della richiedente – della
disponibilità del suolo su cui realizzare l'impianto
-richiesta dal comma 4-bis dell'art. 12 cit., nel mentre la
delibera 25.11.2009 della Giunta regionale stabilisce che il
soggetto richiedente deve autocertificare il titolo di
proprietà, possesso o disponibilità delle aree interessate
dal progetto; gli accordi preliminari, i contratti di
affitto devono essere dichiarati e documentati; in caso di
impianti fotovoltaici …è allegata la documentazione da cui
risulti la disponibilità dell'area interessata alla
realizzazione dell'impianto– mentre è stato presentato un
semplice preliminare di compravendita condizionato non
trascritto né registrato: titolo che si afferma essere
inidoneo allo scopo di cui sopra.
La doglianza va disattesa.
Invero, l’art. 12 del D.lgs. n. 387/2003 -al comma 4-bis–
dispone che il proponente deve dimostrare nel corso del
procedimento, e comunque prima dell’autorizzazione, la
disponibilità del suolo su cui realizzare l’impianto.
Nel corso del procedimento, il richiedente ha depositato
alla Provincia in data 03.02.2010 copia dell’atto in data
05.12.2009, recante la promessa di vendita condizionata di
tale terreno.
L’atto autorizzativo prevede poi -al p. 2, lett. C)- che: “prima
dell’inizio dei lavori, la cui data dovrà essere comunicata
al Comune di Calusco d’Adda e alla provincia con anticipo di
almeno 5 giorni, dovrà essere formalizzata e trasmessa alla
stessa provincia la promessa di compravendita datata
05.12.2009 e allegata all’istanza ai sensi dell’art. 12 del
D.lgs. 387/03 (prot. Prov. N. 10964 del 03.02.2010). In
difetto sarà avviata la procedura per la revoca
dell’autorizzazione”.
In generale, la giurisprudenza ha rilevato che (in relazione
alla previsione di cui all’art. 11 del D.P.R. 06.06.2001 n.
380) la legittimazione a richiedere il permesso di costruire
competa, oltre che al proprietario, a chi abbia una
situazione giuridica assimilabile alla proprietà o,
eventualmente, alla qualificata aspettativa di poter
esercitare le prerogative del proprietario su di un'area,
come nella ipotesi del promissario acquirente di un suolo
(cfr. TAR Lecce, Sez. I, 29.07.2010 n. 1834; Cons. St., Sez.
IV 27.10.2009 n. 6545; Sez. VI, n. 7847/2004).
Rinviando a quanto enunciato in precedenza in ordine al
rilievo da riconoscere alle linee guida regionali emesse in
epoca anteriore all’emanazione di quelle nazionali, va posto
in luce che nessuna norma -né le stesse linee guida-
richiede la registrazione o la trascrizione (TAR
Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 13.12.2011 n. 1726 - link a
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Sul quadro delle norme e dei principi
che presiedono al rilascio dei titoli edilizi avuto
particolare riguardo all’aspetto della legittimazione del
richiedente e degli impedimenti di carattere negoziale.
E' possibile accogliere le istanze di sanatoria di opere
edilizie che creano limitazioni di tipo urbanistico alle
proprietà finitime qualora le eventuali limitazioni di tipo
urbanistico o regolamentare possano essere rimosse
attraverso la disponibilità del vicino o del condominio a
cedere in uso o in vendita porzioni di terreno (o di parti
comuni di edificio), oppure mediante stipula da parte degli
stessi proprietari confinanti di atti di asservimento di
dette aree al lotto contiguo, o ancora attraverso la
creazione di servitù permanente; non vi sono dubbi, infatti,
che il nostro ordinamento giuridico riconosce un potere
dispositivo alle parti in ordine alle norme in materia di
distanze tra edificazioni e fra queste ed i confini, potendo
i privati rinunciare al diritto di pretendere l’osservanza
delle norme in materia.
La giurisprudenza del Consiglio di Stato, superando
l’indirizzo precedente che affermava la totale indifferenza
delle ragioni privatistiche rispetto alla legittimità dei
provvedimenti edilizi, è oggi allineata nel senso che
l’amministrazione, quando venga a conoscenza dell’esistenza
di contestazioni sul diritto del richiedente il titolo
abilitativo, debba compiere le indagini necessarie per
verificare la fondatezza delle contestazioni, precisando
anche che, se il richiedente non sia in grado di fornire
elementi seri a fondamento del suo diritto,
l’amministrazione non deve rilasciare il provvedimento
abilitativo.
Conviene delineare brevemente
il quadro delle norme e dei principi che presiedono al
rilascio dei titoli edilizi avuto particolare riguardo
all’aspetto della legittimazione del richiedente e degli
impedimenti di carattere negoziale.
Tra le limitazioni al diritto a costruire, da prendere in
considerazione ai fini del rilascio del relativo permesso o
di un titolo edilizio in sanatoria, la giurisprudenza ha
operato un’accurata distinzione tra limiti legali e limiti
negoziali. I primi, pure in caso di istanza di condono, sono
destinati ad investire anche il rapporto pubblicistico. Per
gli altri si prospetta una diversa incidenza, considerato
che il comune non è tenuto a ricercarli.
L’art. 11, ultimo comma, t.u. edilizia —secondo cui «il
rilascio del permesso di costruire non comporta limitazione
dei diritti dei terzi»— ha cristallizzato a livello
positivo una prassi amministrativa e giurisprudenziale
assolutamente pacifica che aveva ricevuto un primo
riconoscimento legale nell’art. 2, comma 37, lett. c), l. n.
662 del 1996 (che ha novellato l’art. 39 l. n. 724 del 1994,
successivamente si veda l’art. 32, comma 31, d.l. n. 269
cit. in materia di condono straordinario).
L’ordinamento giuridico ammette, in via generale,
limitazioni di varia natura al diritto di costruire a
presidio dei diritti dei terzi controinteressati.
Nell’ambito del diritto civile si distinguono limiti legali
dell’attività edificatoria (sempre concernenti i rapporti
tra proprietari di fondi finitimi), essenzialmente
rivenienti nella disciplina contenuta nel libro terzo, capo
II, c.c. (si tratta delle prescrizioni in materia di
distanze, luci e vedute); e limiti che discendono non
direttamente dalla legge ma dall’esercizio dell’autonomia
negoziale: fra questi spiccano gli iura in re aliena
di godimento (usufrutto, servitù, ecc.) cui corrispondono
altrettante restrizioni del diritto di proprietà riguardanti
lo ius aedificandi dei confinanti, che può risultare
semplicemente inciso o del tutto sottratto.
I su menzionati limiti operano diversamente sul piano dei
controlli esercitabili dall’amministrazione in sede di
rilascio del permesso di costruire.
I limiti legali, trovando applicazione generalizzata e
conservando sempre il medesimo contenuto, concorrono a
formare lo statuto generale dell’attività edilizia e non
pongono problemi di conoscibilità all’amministrazione che è
tenuta a considerarli sempre.
Diversamente per le limitazioni negoziali del diritto di
costruire, cui possono ricondursi anche quelle scaturenti
dall’art. 1117 c.c. (cfr. Cons. St., sez. IV, 10.12.2007, n.
6332, secondo cui è legittimo il provvedimento con cui il
comune rilascia un condono straordinario ex art. 32 d.l.
30.09.2003 n. 269, avente ad oggetto la costruzione di un
terrazzo coperto e disimpegno, di pertinenza di un
appartamento ubicato in uno stabile condominiale, non
potendosi accogliere le censure riguardanti la violazione
delle distanze legali minime rispetto alla costruzione di
terzi e al difetto di autorizzazione del condominio
all’esecuzione dei lavori su parti comuni dello stabile
(nella specie, al momento del rilascio del permesso in
sanatoria, era assolutamente controversa, fra le parti
confinanti, la questione concernente la reintegra delle
distanze violate, pendendo la relativa controversia in sede
civile, e non constava alcuna opposizione da parte del
condominio).
Circa l’ambito di operatività di tali limiti la
giurisprudenza oscilla fra due soluzioni che costituiscono
un corollario della clausola di salvezza dei diritti dei
terzi ed hanno in comune l’inesistenza, in capo
all’amministrazione, di un autentico obbligo di ricerca di
tali limiti, prodromico al diniego di permesso.
La prima ne esclude ogni rilevanza nel presupposto che
all’amministrazione sia inibito qualsiasi sindacato anche
indiretto sulla validità ed efficacia dei rapporti giuridici
dei privati (cfr. Cons. Stato, sez. V, 20.12.1993, n. 1341);
la seconda ammette che il comune verifichi il rispetto dei
limiti privatistici, purché siano immediatamente
conoscibili, effettivamente e legittimamente conosciuti
nonché del tutto incontestati, di guisa che il controllo si
traduca in una semplice presa d’atto (cfr., da ultimo, Cons.
Stato, sez. IV, 12.03.2007, n. 1206).
Coerenti, ma non recepibili nel caso di specie, sono le
conclusioni cui è giunta la giurisprudenza più recente in
ordine agli oneri del comune di verificare la legittimazione
dei singoli condomini ad eseguire opere su parti comuni
(cfr. sez. IV 14.09.2005, n. 4744, che ritiene in contrasto
con l’art. 11 t.u. cit., il titolo edilizio rilasciato in
mancanza dell’assenso condominiale); anche in tali casi il
comune si limita a verificare, puramente e semplicemente, la
presenza di un’autorizzazione senza ovviamente poterne
vagliare la validità.
Le conclusioni rimangono immutate quando il comune sia
chiamato a rilasciare un titolo edilizio in sanatoria
ordinaria (ex art. 36 t.u. edilizia) o straordinaria (da
ultimo, ex art. 32 d.l. n. 269 del 2003).
Nel primo caso si richiede, specie in presenza di contrasto
conclamato fra condomini, che l’istruttoria del comune sia
particolarmente accurata (cfr. sez. IV, 16.03.2010, n. 1537;
sez. V 21.10.2003, n. 6529, fattispecie relativa all’art. 13
l. n. 47 del 1985 oggi trasfuso con modificazioni nell’art.
36 t.u. edilizia; 20); in tal caso doverosamente si
acquisisce la delibera di autorizzazione condominiale che
esonera il comune da ogni altro tipo di accertamento non
potendo essere disapplicata da quest’ultimo (cfr. Cons. St.,
sez. IV, n. 1537 del 2010 cit.).
Nel caso di condono straordinario la giurisprudenza registra
una maggiore varietà di posizioni.
Secondo una minoritaria tesi la concessione del condono
straordinario è impedita qualora l’abuso consista non già
nella inosservanza di prescrizioni dirette principalmente a
soddisfare finalità di interesse pubblico, ma nella
violazione delle norme che tutelano in modo diretto ed
immediato lo specifico interesse dei proprietari confinanti
(cfr. Cons. Stato, sez. V, 09.12.1997, n. 1487 relativa a
fattispecie di condono governata dall’art. 39 l. n. 724 del
1994).
Di contro, ed in linea con quanto illustrato circa il
controllo esigibile da parte del comune in sede di rilascio
del permesso di costruire ex art. 11 t.u. edilizia, si
ritiene che la rilevanza giuridica del condono straordinario
si esaurisca nell’ambito del rapporto pubblicistico, senza
estendersi ai rapporti fra privati, essendo il condono
rilasciato con salvezza espressa dei diritti dei terzi (cfr.
Cass., sez. un., 12.01.2007, n. 417); ne discende che la
presentazione di istanza di sanatoria, con riguardo a
costruzione realizzata in violazione della disciplina
urbanistica, non implica la sospensione della contesa
promossa dal proprietario confinante, per far valere, nel
rapporto di vicinato, gli effetti di detta violazione (cfr.
Cass. 07.02.1991, n. 1276).
Il compendio delle regole fin qui esaminate consente:
a) all’autore dell’abuso di fruirne anche se l’illecito
consista nella violazione delle distanze legali;
b) al comune di disinteressarsi delle relative vicende,
fermo restando che il terzo leso potrà ottenere satisfattiva
tutela davanti al giudice civile non subendo alcun
pregiudizio dal rilascio del titolo (cfr., da ultimo, Cons.
Stato, sez. IV, 30.12.2006, n. 8626).
Coerentemente si ritiene possibile accogliere le istanze di
sanatoria di opere edilizie che creano limitazioni di tipo
urbanistico alle proprietà finitime qualora le eventuali
limitazioni di tipo urbanistico o regolamentare possano
essere rimosse attraverso la disponibilità del vicino o del
condominio a cedere in uso o in vendita porzioni di terreno
(o di parti comuni di edificio), oppure mediante stipula da
parte degli stessi proprietari confinanti di atti di
asservimento di dette aree al lotto contiguo, o ancora
attraverso la creazione di servitù permanente; non vi sono
dubbi, infatti, che il nostro ordinamento giuridico
riconosce un potere dispositivo alle parti in ordine alle
norme in materia di distanze tra edificazioni e fra queste
ed i confini, potendo i privati rinunciare al diritto di
pretendere l’osservanza delle norme in materia (cfr. Cons.
giust. amm., sez. cons., 16.07.1996, n. 467/1996).
In definitiva, la giurisprudenza del Consiglio di Stato,
superando l’indirizzo precedente che affermava la totale
indifferenza delle ragioni privatistiche rispetto alla
legittimità dei provvedimenti edilizi, è oggi allineata nel
senso che l’amministrazione, quando venga a conoscenza
dell’esistenza di contestazioni sul diritto del richiedente
il titolo abilitativo, debba compiere le indagini necessarie
per verificare la fondatezza delle contestazioni, precisando
anche che, se il richiedente non sia in grado di fornire
elementi seri a fondamento del suo diritto,
l’amministrazione non deve rilasciare il provvedimento
abilitativo (Cons. Stato, sez. IV, 08.06.2007, n. 3027; sez.
V, 07.07.2005, n. 3730)
(Consiglio di Stato, Sez.
V,
sentenza 08.11.2011 n. 5894 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Alla richiesta di sanatoria edilizia
(condono) e agli adempimenti relativi possono provvedere,
non solo «coloro che hanno titolo, ai sensi della l.
28.01.1977 n. 10, a richiedere la concessione edilizia o
l’autorizzazione» (oggi i soggetti indicati dall’art. 11
t.u. edilizia), ma anche, «salvo rivalsa nei confronti del
proprietario, ogni altro soggetto interessato al
conseguimento della sanatoria medesima», la sanatoria,
quindi, sarebbe fungibile ratione persona rum, ma a
condizione che sia acquisito in modo univoco il consenso
comunque manifestato dal proprietario.
La sezione deve stabilire se siano rinvenibili regole
peculiari, in punto di legittimazione attiva, all’interno
della speciale normativa che, nel tempo, ha disciplinato il
c.d. condono edilizio straordinario.
La norma base è quella sancita dall’art. 31, co. 3, l. n. 47
del 1985 (sostanzialmente richiamata dalla successiva
legislazione in materia di condoni edilizi straordinari),
secondo cui: <<Alla richiesta di sanatoria ed agli
adempimenti relativi possono altresì provvedere coloro che
hanno titolo, ai sensi della L. 28.01.1977, n. 10, a
richiedere la concessione edilizia o l'autorizzazione
nonché, salvo rivalsa nei confronti del proprietario, ogni
altro soggetto interessato al conseguimento della sanatoria
medesima>>.
Secondo un primo, più rigoroso indirizzo, che svaluta
la portata letterale del riferimento normativo a <<ogni
altro soggetto interessato al conseguimento della sanatoria
medesima>>, la legittimazione a chiedere il condono
spetterebbe esclusivamente a chi abbia diritto al rilascio
di un ordinario titolo edilizio (cfr. da ultimo Cons. St.,
sez. VI, 25.03.2011, n. 1842, fattispecie relativa ad
occupante di fatto di area demaniale, privo di qualsivoglia
titolo abilitativo, che è stato ritenuto privo della
legittimazione a chiedere il condono dell’immobile
realizzato abusivamente; sez. IV, 27.10.2009, n. 6545).
Secondo la tesi diametralmente opposta (sostenuta da
buona parte della dottrina e dalla giurisprudenza di primo
grado, cfr. Tar Puglia, Lecce, sez. III, 09.07.2011, n.
1057), che fa leva sul tenore letterale della norma e sulla
indisponibilità degli effetti penali favorevoli del condono
da parte del proprietario dell’immobile, <<è possibile
procedere al condono senza il consenso ed anche contro la
volontà del proprietario del bene oggetto del procedimento
di sanatoria>>.
Una tesi intermedia, invece, ritiene che alla
richiesta di sanatoria e agli adempimenti relativi possono
provvedere, non solo «coloro che hanno titolo, ai sensi
della l. 28.01.1977 n. 10, a richiedere la concessione
edilizia o l’autorizzazione» (oggi i soggetti indicati
dall’art. 11 t.u. edilizia), ma anche, «salvo rivalsa nei
confronti del proprietario, ogni altro soggetto interessato
al conseguimento della sanatoria medesima», la
sanatoria, quindi, sarebbe fungibile ratione persona rum,
ma a condizione che sia acquisito in modo univoco il
consenso comunque manifestato dal proprietario (cfr. Cons.
St., sez. IV, 26.01.2009, n. 437; sez. IV, 22.06.2000, n.
3520, secondo la quale, però, la riduzione della misura
dell’oblazione prevista dall’art. 34 l. n. 47 cit., essendo
calcolata in base al solo criterio funzionale della
destinazione economica delle opere, opererebbe
esclusivamente ratione rei).
In quest’ottica:
a) è stata considerata sufficiente l'avvenuta
sottoscrizione, da parte di un soggetto, di un atto di
impegno ad acquistare il locale interessato alla sanatoria
(cfr. Cons. St., sez. VI, 27.06.2008, n. 3282);
b) è stato ritenuto indispensabile, in caso di dissidio fra
proprietari perché le opere di cui si chiede il condono
incidono sul diritto di alcuni di essi, che l’istruttoria
della pratica ed il provvedimento finale diano conto della
verifica della legittimazione del soggetto richiedente (cfr.
Cons. giust. amm. 03.06.2009, n. 84/2009);
c) è stato considerato inapplicabile l’istituto del condono,
laddove l’abuso sia realizzato dal singolo condomino su aree
comuni, in assenza di ogni elemento di prova circa la
volontà degli altri comproprietari, atteso che, diversamente
opinando, l’amministrazione finirebbe per legittimare una
sostanziale appropriazione di spazi condominiali da parte
del singolo condomino, in presenza di una possibile volontà
contraria degli altri, i quali potrebbero essere interessati
all’eliminazione dell’abuso anche in via amministrativa e
non solo con azioni privatistiche (cfr. Cons. St., sez. VI,
27.06.2008, n. 3282).
A tale tesi intermedia aderisce il collegio, precisando che
essa appare preferibile perché:
d) non è incompatibile col dato testuale della norma;
e) dal punto di vista sistematico appare in maggior sintonia
con il quadro generale dei principi che governano il micro
ordinamento di settore (illustrati al precedente par.
13.3.1.);
f) la disponibilità degli effetti penali del condono non è
rimessa all’arbitrio del proprietario in quanto, a mente
dell’art. 39, l. n. 47 del 1985, l’effettuazione
dell’oblazione, qualora le opere non possano conseguire la
sanatoria, estingue comunque i reati; invero, il
perfezionamento della fattispecie estintiva del reato non è
condizionato dagli accertamenti di merito dell’autorità
amministrativa relativi alla sussistenza dei requisiti
oggettivi e soggettivi del condono, ma a diversi parametri
del cui vaglio è investito il giudice penale (cfr. Cass. pen.,
sez. III, 08.03.2000, n. 5031)
(Consiglio di Stato, Sez.
V,
sentenza 08.11.2011 n. 5894 - link a
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EDILIZIA
PRIVATA:
In sede di rilascio del titolo
abilitativo edilizio sussiste l'obbligo per il Comune di
verificare il rispetto da parte dell'istante dei limiti
privatistici, a condizione che tali limiti siano
effettivamente conosciuti o immediatamente conoscibili e/o
non contestati, di modo che il controllo da parte dell'ente
locale si traduca in una semplice presa d'atto dei limiti
medesimi senza necessità di procedere ad un'accurata ed
approfondita disamina dei rapporti tra i condomini.
E' stato condivisibilmente affermato che, in sede di
rilascio del titolo abilitativo edilizio sussiste l'obbligo
per il Comune di verificare il rispetto da parte
dell'istante dei limiti privatistici, a condizione che tali
limiti siano effettivamente conosciuti o immediatamente
conoscibili e/o non contestati, di modo che il controllo da
parte dell'ente locale si traduca in una semplice presa
d'atto dei limiti medesimi senza necessità di procedere ad
un'accurata ed approfondita disamina dei rapporti tra i
condomini (così, Cons. Stato, IV, 04.05.2010, n. 2546).
E' è tra le ipotesi di questo tipo che sembra doversi
ricomprendere la d.i.a. in esame, a causa della preventiva
comunicazione al Comune di un esposto del comproprietario,
cioè di un atto che il Comune non poteva che considerare
come sostanziale opposizione all’intervento, e che quindi,
oggettivamente, metteva in seria discussione la autonoma
disponibilità della copertura dell’edificio da parte della
ricorrente ai sensi dell’articolo 1102 c.c..
Infatti, non è detto che l’installazione di pannelli solari
sul tetto dell’edificio (intervento certamente agevolato ed
incentivato dalla normativa, per la sua valenza sotto il
profilo ambientale) non possa pregiudicare l’uso o il
godimento della cosa comune da parte degli altri
partecipanti alla comunione - condizione affinché, ai sensi
dell’articolo 1102 c.c., l’intervento modificativo possa
essere liberamente realizzato da ciascuno di essi; basti
pensare, ad esempio, che ciascun comproprietario potrebbe
avere interesse ad installare pannelli per produrre energia,
ma potrebbe non essere sufficiente per tutti la superficie a
disposizione, o sopportabile dalla struttura il peso di più
impianti, etc.; dette eventualità, fanno sì che la
disponibilità dell’installazione ai sensi dell’articolo 1102
c.c. non sia affatto scontata, ma debba essere valutata caso
per caso, considerando la volontà e gli interessi di tutti i
comproprietari (TAR Umbria,
sentenza 28.10.2011 n. 333 - link a
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EDILIZIA
PRIVATA:
Legittimazione a svolgere attività
edilizia – Art. 11 d.P.R. n. 380/2001 – Titolo per
richiedere il permesso di costruire – Diritto di proprietà,
diritti reali e personali di godimento.
L'espressione legislativa "titolo per richiederlo"
contenuta nell’art. 11 del d.P.R. n. 380/2001, in punto di
legittimazione a svolgere attività edilizia è stata intesa
dalla giurisprudenza nel senso di posizione che
civilisticamente costituisca titolo per esercitare sul fondo
un'attività costruttiva (Cons. Stato, sez. V, 15.03.2001, n.
1507).
Tale posizione soggettiva non coincide con il solo diritto
di proprietà, ma anche con altri diritti reali o addirittura
personali di godimento, purché attribuiscano al titolare la
facoltà di attuare interventi sull'immobile (Cons. Stato,
sez. V, 28.05.2001, n. 2882). Di conseguenza, la mancanza
del diritto di proprietà o di altro titolo idoneo preclude
il rilascio del titolo edilizio.
Legittimazione a svolgere attività
edilizia – Comune – verifica del titolo sostanziale –
Ricerca di fattori limitativi, preclusivi o estintivi –
Necessità – Esclusione.
Al Comune spetta soltanto la verifica, in capo al
richiedente, di un titolo sostanziale idoneo a costituire la
c.d. "posizione legittimante" a svolgere attività
edilizia, senza alcuna ulteriore e minuziosa indagine che si
estenda fino alla ricerca di eventuali fattori limitativi,
preclusivi o estintivi del titolo di disponibilità
dell'immobile, allegata da chi presenta l’istanza (Cons.
Stato, sez. V, 04.02.2004, n. 368; TAR Sicilia-Catania, sez.
I, 12.10.2010, n. 4084; TAR Lombardia-Milano, sez. II,
31.03.2010, n. 842), salvo che, la sussistenza di detti
fattori ostativi non emerga, con pari grado di certezza,
dagli atti del procedimento eventualmente introdotti da chi
ne abbia interesse (TAR Sicilia-Catania, Sez. I,
sentenza 15.09.2011 n. 2220 - link a
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EDILIZIA PRIVATA:
Nell’ambito del procedimento per
il rilascio di un titolo abilitativo
all’edificazione, poiché la legittimazione
attiva a chiedere il rilascio di un titolo
abilitativo edilizio è configurabile non
solo in capo al proprietario del terreno, ma
anche in favore del soggetto titolare di
altro diritto di godimento del fondo, che lo
autorizzi a disporne con un intervento
costruttivo, la pubblica amministrazione non
è tenuta a svolgere una preliminare indagine
istruttoria che si estenda fino alla ricerca
d'ufficio di eventuali elementi limitativi,
preclusivi o estintivi del titolo di
disponibilità allegato dal richiedente.
In via preliminare, la Sezione ritiene di
dover ricordare come sia oramai consolidato
in giurisprudenza un orientamento, a cui si
è rifatto il TAR nella sentenza gravata, che
identifica i limiti istruttori nell’ambito
del procedimento per il rilascio di un
titolo abilitativo all’edificazione. In tali
occasioni, poiché la legittimazione attiva a
chiedere il rilascio di un titolo
abilitativo edilizio è configurabile non
solo in capo al proprietario del terreno, ma
anche in favore del soggetto titolare di
altro diritto di godimento del fondo, che lo
autorizzi a disporne con un intervento
costruttivo, la pubblica amministrazione non
è tenuta a svolgere una preliminare indagine
istruttoria che si estenda fino alla ricerca
d'ufficio di eventuali elementi limitativi,
preclusivi o estintivi del titolo di
disponibilità allegato dal richiedente (da
ultimo, Consiglio di stato, sez. VI,
10.02.2010, n. 675).
Il controllo dell’azione amministrativa da
parte di questo giudice non può che
conformarsi a tale assetto, dovendosi
limitare a valutare se l’amministrazione ha
effettivamente operato nel rispetto delle
sue attribuzioni (Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza 02.09.2011 n. 4968 -
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EDILIZIA PRIVATA: L’art.
11 del DPR n. 380/2001 stabilisce
espressamente che il PdC non comporta
limitazione dei diritti di terzi e che il
rilascio del permesso è fatto non solo al
proprietario, ma anche a “chi abbia titolo
per richiederlo”, ovvero per tutte le
posizioni civilisticamente utili per
esercitare un’attività costruttiva (cd.
disponibilità giuridica ad aedificandum),
che è possibile individuare anche in
soggetti che vantano altra qualificata
relazione legittimante il titolo edilizio,
diversa dalla proprietà esclusiva, quali i
contitolari del diritto dominicale,
l’enfiteuta, l’usufruttuario, il titolare
del diritto di superficie, d’uso e
d’abitazione, fino al promissorio acquirente
in possesso del godimento dell’immobile.
Sulla base di questa considerazione, il
comproprietario condominiale ha il diritto
ad utilizzare il suo titolo reale parziario,
al pari di tutti gli altri condomini, né
l’Amministrazione è tenuta a fare alcuna
disamina puntuale dei rapporti tra gli
stessi condomini, essendo sufficiente la
sussistenza di un qualificato collegamento
soggettivo tra chi fa l’istanza ed il bene
oggetto dell’edificazione.
L’Amministrazione dà atto, nel provvedimento
impugnato, della concessione edilizia del
1980 (n. 831) e della proprietà esclusiva
del sottotetto, invocando per la copertura
comune l’art. 1117 c.c., stante la
realizzazione di aperture sul tetto, e,
quindi, anche il consenso del e/o dei
comproprietari, ai sensi dell’art. 11 del
DPR. n. 380/2001.
L’art. 1117 c.c. indica in modo
esemplificativo le parti comuni di un
condominio, tra le quali i “tetti”;
trattasi di una norma generale, ma non
assoluta, superabile dalle situazioni
obiettive e strutturali che dimostrino l’uso
e/o l’esclusivo godimento di tale parte
dell’immobile, che possono far venir meno le
situazioni di contitolarità necessaria,
potendo la particolarità della destinazione,
vincere la stessa attribuzione legale (Cass.
Civ. II, n. 14885/06.07.2011).
Tale aspetto non è stato considerato dal
Comune, pur avendo parte ricorrente
evidenziato che l’unico accesso per il tetto
è dalla loro abitazione, prospettando
un’usucapione ventennale del tetto rifatto
nel 1980, a spese esclusive del loro dante
causa.
Non è compito dell’Amministrazione accertare
l’avvenuta usucapione, ma non lo è neppure
quello di tutelare i diritti di
terzi-condomini, che si ritengono lesi nella
loro proprietà o godimento.
L’art. 11 del DPR n. 380/2001, infatti,
stabilisce espressamente che il PdC non
comporta limitazione dei diritti di terzi e
che il rilascio del permesso è fatto non
solo al proprietario, ma anche a “chi
abbia titolo per richiederlo”, ovvero
per tutte le posizioni civilisticamente
utili per esercitare un’attività costruttiva
(cd. disponibilità giuridica ad
aedificandum), che è possibile
individuare anche in soggetti che vantano
altra qualificata relazione legittimante il
titolo edilizio, diversa dalla proprietà
esclusiva, quali i contitolari del diritto
dominicale, l’enfiteuta, l’usufruttuario, il
titolare del diritto di superficie, d’uso e
d’abitazione, fino al promissorio acquirente
in possesso del godimento dell’immobile.
Sulla base di questa considerazione, il
comproprietario condominiale ha il diritto
ad utilizzare il suo titolo reale parziario,
al pari di tutti gli altri condomini, né
l’Amministrazione è tenuta a fare alcuna
disamina puntuale dei rapporti tra gli
stessi condomini (C.S., IV, n. 2546/2010),
essendo sufficiente la sussistenza di un
qualificato collegamento soggettivo tra chi
fa l’istanza ed il bene oggetto
dell’edificazione (C.S., IV, n.
3505/08.06.2011).
Nel PdC n. 184/2007 (recupero abitativo del
sottotetto, ai sensi dell’art. 85 LRA n.
15/2004) il Comune ha accertato che il
fabbricato è in comproprietà, per la metà,
dei due fratelli Totano Nicola e Domenico;
ciò stante la motivazione dell’annullamento
in autotutela risulta essere in palese
contraddizione con il citato PdC (TAR Abruzzo-Pescara,
sentenza
01.09.2011
n. 504 - link a
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EDILIZIA
PRIVATA - URBANISTICA:
In materia urbanistica vale infatti il
principio generale di cui al primo comma dell’art. 11,
d.P.R. 06.06.2001 n. 380, dove, infatti, si prevede
espressamente che il permesso edilizio è “rilasciato al
proprietario dell'immobile o a chi abbia titolo per
richiederlo”. La legge specificamente impone, tra i
requisiti di legittimazione, il possesso dei titoli reali
per poter intervenire sull'immobile per il quale è richiesto
il titolo edilizio.
- Sul piano civilistico, con la convenzione di lottizzazione
i proprietari dei terreni interessati alla urbanizzazione
pongono in essere un negozio di consorzio urbanistico
volontario -con assunzione delle obbligazioni a fini
organizzativi e con costituzione degli effetti reali
necessari per conferire al territorio l'assetto giuridico
conforme al progetto approvato dalla amministrazione- il
quale consorzio, come tale, è assoggettato alla disciplina
della comunione dettata dal codice civile, in proporzione
alle relative quote ex art. 1101, comma 2.
- Sul piano amministrativo la natura degli impegni assunti
dai privati in una convenzione di lottizzazione deve essere
ricostruita in termini di “accordo sostitutivo del
provvedimento” di cui all'art. 11 L. 07.08.1990 n. 241. La
convenzione deve quindi essere stipulata assicurando la
partecipazione dei soggetti proprietari degli immobili
coinvolti, i quali devono necessariamente partecipare tutti
alla costituzione(ed alle eventuali modifiche) dell’accordo.
Secondo le regole generali, il possesso dei titoli
civilisticamente idonei a legittimare la richiesta di
convenzionamento –che deve comprendere tutte le aree
direttamente interessate dall’intervento- costituisce dunque
un requisito giuridico sostanziale di legittimazione
dell’istanza ai sensi dell’art. 6, primo comma lett. a)
della legge n. 241/1990 e s.m.i.; requisito che deve essere
dimostrato sia sul piano amministrativo, ai fini
dell’ammissibilità della domanda, sia sul piano processuale,
quale condizione dell’azione necessaria al fine di poter poi
gravare giurisdizionalmente i relativi atti negativi. Solo
in tale ipotesi può configurarsi un obbligo giuridico del
Comune a provvedere sull’istanza di convenzionamento
Con il
presente appello i ricorrenti impugnano la sentenza del Tar
Lecce con cui è stato respinto il loro ricorso diretto
all’annullamento del diniego, in riscontro di una loro
diffida, alla stipula della convenzione propedeutica alla
realizzazione all’intervento diretto dei privati in zona G1
di campo da golf alla realizzazione del campo di golf sul
litorale di Ostuni, fra Santa Lucia e Torre Pezzelle, ed al
rilascio del relativo permesso di costruire.
...
L’adesione di tutti i proprietari ricompresi nei confini
dell’area destinata alla realizzazione del campo da golf è
indispensabile, in quanto essi costituiscono tutti insieme i
soggetti direttamente legittimati al procedimento di
convenzionamento con il Comune, ed all’eventuale impugnativa
del diniego (cfr. Consiglio Stato, sez. IV, 03.06.1987, n.
326).
In materia vale infatti il principio generale di cui al
primo comma dell’art. 11, d.P.R. 06.06.2001 n. 380, dove,
infatti, si prevede espressamente che il permesso edilizio è
“rilasciato al proprietario dell'immobile o a chi abbia
titolo per richiederlo”.
La legge specificamente impone, tra i requisiti di
legittimazione, il possesso dei titoli reali per poter
intervenire sull'immobile per il quale è richiesto il titolo
edilizio (cfr. Consiglio Stato, sez. V, 07.09.2009, n. 5223;
Consiglio Stato, sez. IV, 07.09.2007 n. 4703; idem
07.07.2005 n. 3730; Consiglio Stato, sez. V, 12.05.2003, n.
2506).
In tale scia si deve ricordare che, sul piano civilistico,
con la convenzione di lottizzazione i proprietari dei
terreni interessati alla urbanizzazione pongono in essere un
negozio di consorzio urbanistico volontario -con assunzione
delle obbligazioni a fini organizzativi e con costituzione
degli effetti reali necessari per conferire al territorio
l'assetto giuridico conforme al progetto approvato dalla
amministrazione- il quale consorzio, come tale, è
assoggettato alla disciplina della comunione dettata dal
codice civile, in proporzione alle relative quote ex art.
1101, comma 2 (cfr. Cassazione civile, sez. I, 26.04.2010 ,
n. 9941).
Sul piano amministrativo, invece, la natura degli impegni
assunti dai privati in una convenzione di lottizzazione deve
essere ricostruita in termini di “accordo sostitutivo del
provvedimento” di cui all'art. 11 L. 07.08.1990 n. 241.
La convenzione deve quindi essere stipulata assicurando la
partecipazione dei soggetti proprietari degli immobili
coinvolti (cfr. Consiglio Stato, sez. V, 12.04.2007, n.
1714), i quali devono necessariamente partecipare tutti alla
costituzione(ed alle eventuali modifiche) dell’accordo.
Secondo le regole generali, il possesso dei titoli
civilisticamente idonei a legittimare la richiesta di
convenzionamento –che deve comprendere tutte le aree
direttamente interessate dall’intervento- costituisce dunque
un requisito giuridico sostanziale di legittimazione
dell’istanza ai sensi dell’art. 6, primo comma lett. a)
della legge n. 241/1990 e s.m.i.; requisito che deve essere
dimostrato sia sul piano amministrativo, ai fini
dell’ammissibilità della domanda (cfr. Sez. IV 08.06.2011 n.
3508), sia sul piano processuale, quale condizione
dell’azione necessaria al fine di poter poi gravare
giurisdizionalmente i relativi atti negativi.
Solo in tale ipotesi può configurarsi un obbligo giuridico
del Comune a provvedere sull’istanza di convenzionamento
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 02.08.2011 n. 4576 - link a
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EDILIZIA
PRIVATA:
1. D.I.A. - Impugnazione diretta di
terzo - Inammissibilità - Mezzi di tutela - Incertezza
giurisprudenziale - Non sussiste.
2. D.I.A. - Legittimazione alla presentazione titolo
abilitativo - Amministratore di condominio - Verifica della
P.A. - Titolo sostanziale - Legittimità.
3. D.I.A. - Rispetto disciplina sulle barriere
architettoniche - Art. 23 D.P.R. n. 380/2001 - Divieto di
aggravio del procedimento - Legittimità.
1.
Deve escludersi la declaratoria di inammissibilità nei casi
in cui il terzo ha proposto impugnazione diretta contro la
D.I.A., o meglio contro il titolo che si sarebbe formato a
fronte della presentazione della medesima, in quanto la
complessa questione in merito alla natura giuridica della
D.I.A. ed ai conseguenti mezzi di tutela per il terzo che si
reputa leso dalla medesima, oltre che l'incertezza della
giurisprudenza, testimoniata dalla remissione della
questione all'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, non
può riverberarsi negativamente nei confronti dei cittadini
che si reputino lesi dall'attività edilizia intrapresa in
seguito a D.I.A. e questo soprattutto laddove, come nella
Regione Lombardia, la D.I.A. è quasi totalmente alternativa
al permesso di costruire.
2.
L'art. 35, L.R. n. 12/2005, secondo cui il titolo
abilitativo deve essere rilasciato "a chi abbia titolo
per richiederlo" (dettata per il permesso di costruire
ma valevole anche per chi si avvale della denuncia di inizio
attività) deve essere interpretato nel senso che
l'Amministrazione comunale è certamente chiamata allo
svolgimento di un'attività istruttoria per accertare la
sussistenza del titolo legittimante, anche se all'Ente
pubblico spetta soltanto la verifica, in capo al
richiedente, di un titolo sostanziale idoneo a costituire la
posizione legittimante, senza alcuna ulteriore e minuziosa
indagine che si estenda fino alla ricerca di eventuali
fattori limitativi, preclusivi o estintivi del titolo di
disponibilità dell'immobile, allegato da chi presenta
istanza edilizia.
3.
Per quanto l'art. 23, c. 6, D.P.R. n. 380/2001, consenta
all'Amministrazione, in caso di dubbio sull'esistenza dei
presupposti per la denuncia di inizio attività, di chiedere
chiarimenti o delucidazioni, allo scopo di completare la
propria attività con un provvedimento espresso, inibitorio o
di assenso all'attività del privato, tale norma deve essere
interpretata alla luce dei generali principi sull'attività
amministrativa di cui alla L. n. 241/1990, fra cui quello di
divieto di aggravio del procedimento e di necessaria
collaborazione fra Pubblica Amministrazione e soggetto
privato, risultando conseguentemente la richiesta di
chiarimenti in merito al rispetto della disciplina sulle
barriere architettoniche (e la relativa risposta), non un
atto di accertamento dell'inesistenza dei presupposti per la
D.I.A., ma un atto dell'istruttoria che rende il
perfezionamento della D.I.A. legittimo (tratto da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 26.07.2011 n. 1989 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
titolare di un diritto di comodato è
legittimato alla richiesta di titoli edilizi
compatibili con l'effettiva disponibilità
del bene e con l'entità della trasformazione
oggetto della richiesta.
Il titolare di un diritto di comodato è
legittimato alla richiesta di titoli edilizi
compatibili con l'effettiva disponibilità
del bene e con l'entità della trasformazione
oggetto della richiesta (cfr. C.d.S., sez.
V, 19.09.2008 , n. 4518; TAR Campania,
Salerno, sez. II, n. 4254 del 2009)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 20.07.2011 n. 4370 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Condono - Titolo abilitativo edilizio -
Soggetti legittimati al rilascio del titolo - Differenza -
Fattispecie: promissario acquirente o conduttore.
Il novero dei soggetti legittimati al rilascio del titolo in
sanatoria è più ampio rispetto a quanto concerne il rilascio
dell’ordinario titolo abilitativo edilizio, per il quale
occorre la titolarità del diritto di proprietà, ovvero di
altro diritto reale o anche obbligatorio a condizione del
riconoscimento della disponibilità giuridica e materiale del
bene nonché della relativa potestà edificatoria (Consiglio
di Stato V 28.05.2001 n. 2881, TAR Emilia Romagna Bologna
21.02.2007 n. 53, TAR Lombardia Milano sez. II 31.03.2010 n.
842), non essendo pacifica la legittimazione del promissario
acquirente (anche in ipotesi di preliminare ad effetti
anticipati) non autorizzato dal proprietario promissario
venditore (in senso negativo Consiglio Stato, sez. IV,
18.01.2010, n. 144, Cassazione civile sez. III 15.03.2007,
n. 6005, in senso affermativo TAR Puglia Lecce sez. I
29.07.2010 n. 1834, TAR Campania Napoli sez. IV 12.01.2000,
n. 45).
Il regime, infatti, della concessione edilizia è del tutto
diversificato, quanto a presupposti ed elementi propri, da
quello della sanatoria. Va pertanto affermato che
legittimati all’istanza di condono edilizio ex l. 724/1994
sono oltre coloro che hanno titolo a richiedere la
concessione edilizia/permesso di costruire, anche il
promissario acquirente o il conduttore (Corte di Appello
Firenze, sez II, 04.05.2010 n. 594) e più in generale tutti
coloro che vi abbiano interesse, senza il necessario
consenso ed anche, al limite, contro la volontà del
proprietario del bene.
Condono - Limiti di distanza ex art. 9
d.m. 1444/1968 - Vincolo di inedificabilità assoluto -
Esclusione.
I limiti di distanza prescritta dall’art. 9 d.m. 1444/1968,
non costituiscono un vincolo di inedificabilità assoluto ai
fini della condonabilità (TAR Lazio Roma sez II 22.12.2004,
n. 17180), fermo comunque restando l’eventuale azione in
sede civile, non avendo il condono edilizio così come la
stessa sanatoria impropria di cui all’art. 36 t.u. edilizia
alcun effetto sul piano c.d. orizzontale dei rapporti
interprivati (Consiglio di Stato sez. IV 16.10.1998, n.
1306, TAR Toscana sez. III 11.03.2004, n. 675, TAR
Lazio-Roma sez. II 22.12.2004, n. 17180) (TAR Puglia-Bari,
Sez. III,
sentenza 09.07.2011 n. 1057 - link a
www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Il rilascio del permesso di costruire
avviene nell'ambito del rapporto pubblicistico, e non si
estende ai rapporti tra privati, in quanto la lesione di
diritti dei terzi non discende direttamente dal rilascio del
titolo, ma solo dalla fisica realizzazione dell’opera contro
la quale può chiedersi tutela davanti al giudice civile.
---------------
Deve escludersi un obbligo del Comune di effettuare
complessi accertamenti diretti a ricostruire tutte le
vicende riguardanti la titolarità dell'immobile, ovvero a
ricercare le limitazioni negoziali al diritto di costruire.
Tuttavia, secondo le regole generali, l'Amministrazione
comunale, nel corso dell'istruttoria sul rilascio del
permesso di costruire deve verificare “…le condizioni di
ammissibilità, i requisiti di legittimazione ed i
presupposti rilevanti …” per l’adozione del provvedimento
finale.
---------------
Nel
caso di lotto intercluso, il difetto del possesso dei titoli
reali relativi ai diritti di passaggio veicolare attraverso
il cortile altrui costituisce un elemento procedimentalmente
ostativo, per il quale legittimamente si nega il rilascio
del permesso di costruire.
In linea teorica è esatto il richiamo della sentenza
appellata all’orientamento giurisprudenziale per cui il
rilascio del permesso di costruire avviene nell'ambito del
rapporto pubblicistico, e non si estende ai rapporti tra
privati, in quanto la lesione di diritti dei terzi non
discende direttamente dal rilascio del titolo, ma solo dalla
fisica realizzazione dell’opera contro la quale può
chiedersi tutela davanti al giudice civile (cfr. Consiglio
Stato, sez. IV, 10.12.2007, n. 6332).
In quanto atto amministrativo che legittima l'attività
edilizia nell'ordinamento pubblicistico, il permesso non
attribuisce però alcun diritto soggettivo alla stregua del
diritto comune a favore di tale soggetto. La rilevanza
giuridica della licenza edilizia va circoscritta, infatti,
ai rapporti tra p.a. e costruttore ed ai possibili riflessi
sulle correlate posizioni di interesse legittimo dei terzi,
ma comunque presuppone pur sempre il necessario ed
ineludibile possesso dei titoli proprietari da parte del
richiedente .
Il primo comma dell’art. 11, d.P.R. 06.06.2001 n. 380,
infatti, prevede espressamente che il permesso di costruire
è “rilasciato al proprietario dell'immobile o a chi abbia
titolo per richiederlo”. La legge specificamente impone,
tra i requisiti di legittimazione, il possesso dei titoli
reali per poter intervenire sull'immobile per il quale è
chiesta la concessione edilizia (cfr. Consiglio Stato, sez.
V, 07.09.2009, n. 5223; Consiglio Stato, sez. IV, 07.09.2007
n.4703; idem 07.07.2005 n. 3730).
Certamente deve escludersi un obbligo del Comune di
effettuare complessi accertamenti diretti a ricostruire
tutte le vicende riguardanti la titolarità dell'immobile,
ovvero a ricercare le limitazioni negoziali al diritto di
costruire (cfr. Consiglio Stato, sez. IV, 10.12.2007, n.
6332).
Tuttavia, secondo le regole generali, l'Amministrazione
comunale, nel corso dell'istruttoria sul rilascio del
permesso di costruire, ai sensi dell’art. 6, I° co. lett. a)
della L. n. 241/1990 e s.m.i. deve verificare “…le
condizioni di ammissibilità, i requisiti di legittimazione
ed i presupposti rilevanti …” per l’adozione del
provvedimento finale.
La proprietà, o comunque il possesso dei titoli
civilisticamente idonei a legittimare la situazione
giuridica del richiedente, per tutte le aree direttamente
interessate dall’intervento, costituisce dunque un requisito
di legittimazione dell’istanza che deve essere
procedimentalmente dimostrato ai fini dell’ammissibilità
stessa della domanda.
I titoli per l'esercizio dello "ius aedificandi"
costituiscono un presupposto legale la cui mancanza
impedisce infatti all'amministrazione di procedere oltre
nell'esame del progetto (cfr. Consiglio Stato, sez. V,
12.05.2003, n. 2506).
Nel caso, quindi, l’interclusione del fondo oggetto della
richiesta di intervento non attiene ai generici rapporti
civilistici del richiedente con i terzi alle quali
l’amministrazione è del tutto estranea -come erroneamente
affermato dal TAR- ma invece concerne propriamente un
presupposto necessario di legittimazione della società
richiedente, ai sensi del cit. art. 11, primo co., del
d.lgs. n. 380, la quale avrebbe quindi dovuto allegare
all’istanza tutti i titoli di servitù di transito veicolare
sulla proprietà altrui.
Il difetto del possesso dei titoli reali relativi ai diritti
di passaggio veicolare attraverso il cortile altrui
costituisce un elemento procedimentalmente ostativo, per il
quale legittimamente si nega il rilascio del permesso di
costruire
(Consiglio di Stato, Sez.
IV,
sentenza 08.06.2011 n. 3508 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Se nel procedimento di rilascio
del permesso di costruire l’amministrazione
ha il potere-dovere di verificare
l’esistenza in capo al richiedente di un
idoneo titolo di godimento dell’immobile
interessato dal progetto di trasformazione
urbanistica, è pur vero che l’attività
istruttoria condotta a tal fine deve
ritenersi adeguata allorquando siano stati
acquisiti tutti gli elementi sufficienti a
dimostrare la sussistenza di un qualificato
collegamento soggettivo tra chi propone
l’istanza ed il bene giuridico oggetto
dell’autorizzazione.
---------------
E' illegittimo il permesso di costruire
rilasciato ove, in fase istruttoria, non si
abbia in concreto riscontrato l’esistenza di
un rischio per la staticità dell’immobile
esistente.
Le attribuzioni del Comune in tema di
autorizzazione degli interventi edilizi
comprendono espressamente gli obblighi di
valutare i profili di sicurezza delle
costruzioni, come si evince dalla lettura
degli artt. 2, comma 4, e 4 del testo unico
sull’edilizia. Tali obblighi istruttori,
appartenendo alle attribuzioni istituzionali
dell’ente pubblico, non sono condizionati
dalle valutazioni delle parti coinvolte, ma
devono essere esperiti in ogni caso e, si
noti, anche qualora vi fosse stato accordo
delle parti private coinvolte.
Se è certamente vero che l’azione
amministrativa non può addentrarsi oltre i
limiti indicati in sentenza nella
valutazione degli assetti proprietari
dell’immobile, è del pari vero che le
questioni attinenti alla statica ed alla
sicurezza dell’immobile non rientrano in
questo ambito, dovendo essere invece oggetto
di ponderazione autonoma ed ineludibile.
Come correttamente afferma il TAR, “se
infatti nel procedimento di rilascio del
permesso di costruire l’amministrazione ha
il potere-dovere di verificare l’esistenza
in capo al richiedente di un idoneo titolo
di godimento dell’immobile interessato dal
progetto di trasformazione urbanistica, è
pur vero che l’attività istruttoria condotta
a tal fine deve ritenersi adeguata
allorquando siano stati acquisiti tutti gli
elementi sufficienti a dimostrare la
sussistenza di un qualificato collegamento
soggettivo tra chi propone l’istanza ed il
bene giuridico oggetto dell’autorizzazione”.
E ciò nella considerazione che nel nostro
ordinamento l’unico soggetto deputato ad
accertare i rapporti proprietari è il
giudice civile, per cui all’amministrazione
va riconosciuto unicamente un ruolo minore,
esattamente nei termini indicati dal giudice
di prime cure.
Tuttavia, dalla lettura degli atti e dalle
difese delle parti, emerge che, in disparte
la questione proprietaria, i rilievi e le
censure maggiori si accentrano sulla
circostanza che il Comune avrebbe
autorizzato interventi attinenti la
staticità dell’immobile e tendenzialmente
idonei a pregiudicarla, in assenza di una
corretta valutazione del progetto presentato
ed anzi in assenza di un effettivo riscontro
sulla correttezza tra la documentazione
ricevuta e lo stato di fatto.
Questo aspetto, che è apparso alla Sezione
prioritario, tanto da fondare l’accoglimento
della domanda cautelare proposta ed accolta
con ordinanza n. 1108/2010 proprio in
ragione dei profili di rischio per la
staticità dell’immobile, è stata messo in
ombra nella sentenza.
Occorre invece sottolineare che le
attribuzioni del Comune in tema di
autorizzazione degli interventi edilizi
comprendono espressamente gli obblighi di
valutare i profili di sicurezza delle
costruzioni, come si evince dalla lettura
degli artt. 2, comma 4, e 4 del testo unico
sull’edilizia. Tali obblighi istruttori,
appartenendo alle attribuzioni istituzionali
dell’ente pubblico, non sono condizionati
dalle valutazioni delle parti coinvolte, ma
devono essere esperiti in ogni caso e, si
noti, anche qualora vi fosse stato accordo
delle parti private coinvolte. Infatti, gli
interessi tutelati dalla normativa,
coinvolgendo profili di sicurezza privata e
pubblica, non sono disponibili dalle parti
ed ineriscono ai compiti tipici
dell’amministrazione.
È, quindi, compito proprio del Comune, e
come tale non soggetto ad alcun impulso di
parte, procedere autonomamente alla
valutazione del progetto edilizio presentato
dal punto di vista del rispetto dei
regolamenti edilizi, non vertendosi in
questo caso in nessuna situazione soggetta a
disponibilità della parte privata.
Pertanto, se è certamente vero che l’azione
amministrativa non può addentrarsi oltre i
limiti indicati in sentenza nella
valutazione degli assetti proprietari
dell’immobile, è del pari vero che le
questioni attinenti alla statica ed alla
sicurezza dell’immobile non rientrano in
questo ambito, dovendo essere invece oggetto
di ponderazione autonoma ed ineludibile.
Sulla scorta di tale presupposto, fondato
prima ancora che sulla lettura della legge
dalle considerazioni in tema di completezza
ed esaustività dell’istruttoria
amministrativa, non può non notarsi come nel
caso in specie tale azione sia mancata e il
Comune di Termoli abbia rilasciato i titoli
abilitativi impugnati non avendo in concreto
riscontrato l’esistenza di un rischio per la
staticità dell’immobile.
Infatti, dalla completa ricostruzione in
fatto operata nel corso del giudizio di
primo grado, anche tramite una verificazione
ed una consulenza tecnica d’ufficio, ed in
special modo dalla relazione del
Provveditorato interregionale per le opere
pubbliche Campania–Molise, è emerso come
effettivamente gli interventi autorizzati
abbiano influito sulla rigidezza strutturale
e sulla stabilità dell’intero complesso, e
ciò in assenza di una completa valutazione
di tali profili da parte del Comune di
Termoli.
Si tratta quindi di un complesso di
violazioni, di carattere non formale o
procedurale, e quindi superabili con la
successiva produzione documentale, ma
riguardanti il contenuto stesso
dell’intervento edilizio, che ben avrebbero
dovuto condurre il Comune ad esaminare nel
dettaglio i progetti presentati, senza
arrestare la propria valutazione al solo
dato proprietario
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 08.06.2011 n. 3505 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
CONDOMINIO:
Quando un condòmino ha realizzato un abuso su aree comuni
“l’Amministrazione comunale deve chiedere all’istante, in
applicazione delle norme generali in tema di rilascio della
concessione edilizia, di provare di avere la disponibilità
piena dell’area interessata all’abuso e, quindi, di provare,
quanto meno per fatti concludenti ma comunque in modo
positivo, l’assenso degli altri comproprietari”.
L’Amministrazione ha il potere ed il dovere di verificare
l’esistenza, in capo al richiedente, di un idoneo titolo di
godimento sull’immobile interessato dal progetto … per cui,
in caso di opere che vadano ad incidere sul diritto di altri
comproprietari (quali le opere edilizie interessanti
porzioni condominiali comuni), è legittimo esigere il
consenso degli stessi o pretendere la produzione della
dichiarazione di assenso dell’amministrazione condominiale
anche nelle ipotesi di autorizzazioni in sanatoria, in
quanto il contitolare del bene può essere estraneo all’abuso
ed avere un interesse contrario alla sanatoria di opere che
potrebbero risolversi in danno del medesimo”.
Sulla questione della necessità
o meno di acquisire l’assenso del Condominio, nel caso in
cui un condòmino chieda un titolo edilizio per realizzare
opere sulle parti comuni di un edificio, sono state espresse
in giurisprudenza opinioni diverse.
In generale si è infatti sostenuto che nessun assenso deve
essere richiesto dal Comune, posto che il condomino possiede
una propria legittimazione a richiedere il titolo, e che lo
stesso viene, in ogni caso, rilasciato “con salvezza dei
diritti dei terzi”. Si è altresì affermato che i
problemi dell’uso delle parti comuni di un edificio
costituiscono questione squisitamente civilistica, di cui il
Comune non ha ragione di interessarsi.
Tale (peraltro, in linea general, condivisibile)
giurisprudenza ha comunque evidenziato che la regola soffre
talora di eccezioni, dovute alle peculiarità con cui le
singole fattispecie si presentano.
In particolare, C.S. n. 437/2009 ha stabilito che, quando un
condòmino abbia realizzato (come nel presente caso) un abuso
su aree comuni “l’Amministrazione debba chiedere
all’istante, in applicazione delle norme generali in tema di
rilascio della concessione edilizia, di provare di avere la
disponibilità piena dell’area interessata all’abuso e,
quindi, di provare, quanto meno per fatti concludenti ma
comunque in modo positivo, l’assenso degli altri
comproprietari”.
Allo stesso modo, Tar Liguria n. 192/2010 (che richiama
anche C.S. n. 1654/2007) ha ritenuto che “ciò che rileva
è che i lavori edilizi de quibus debbono eseguirsi (anche)
su parti comuni del fabbricato e non riguardino opere
connesse all’uso normale della cosa comune”; in tal
caso, l’Amministrazione comunale è tenuta, “ai fini del
rilascio della relativa concessione, a richiedere il
consenso di tutti i proprietari”.
In fattispecie molto simile si è espresso anche TAR
Calabria-Reggio, con la recente decisione n. 343/2011,
aderendo all’orientamento interpretativo secondo cui nel
procedimento di rilascio dei titoli edilizi, “l’Amministrazione
ha il potere ed il dovere di verificare l’esistenza, in capo
al richiedente, di un idoneo titolo di godimento
sull’immobile interessato dal progetto … per cui, in caso di
opere che vadano ad incidere sul diritto di altri
comproprietari (quali le opere edilizie interessanti
porzioni condominiali comuni), è legittimo esigere il
consenso degli stessi o pretendere la produzione della
dichiarazione di assenso dell’amministrazione condominiale
anche nelle ipotesi di autorizzazioni in sanatoria, in
quanto il contitolare del bene può essere estraneo all’abuso
ed avere un interesse contrario alla sanatoria di opere che
potrebbero risolversi in danno del medesimo”.
Le suesposte argomentazioni, che il Collegio condivide,
hanno ancora maggior rilievo nel caso di specie, considerato
che alcuni condòmini dapprima e, in seguito, il Condominio
stesso si sono inseriti nel procedimento di rilascio
dell’autorizzazione a sanatoria di cui trattasi,
manifestando il proprio dissenso alle opere che, secondo la
loro prospettazione, incidevano negativamente sul diritto di
uso delle parti comuni che spetta a ciascun condomino,
ponendo in luce in particolare come -segnatamente le canne
fumarie- inducessero limiti all’uso individuale.
Secondo TAR Campania-Napoli n. 26817/2010, sussiste un vero
e proprio obbligo per l’Amministrazione di verificare “la
legittimazione ad effettuare l'intervento, soprattutto
quando vi sia stata in sede procedimentale un’espressa
opposizione da parte di terzi condomini”. Nello stesso
senso è anche C.S. n. 1537/2010, che esplicitamente dichiara
che, in caso contrario, “l'Amministrazione finirebbe per
legittimare una sostanziale appropriazione di spazi
condominiali da parte del singolo condomino, in presenza di
una possibile volontà contraria degli altri, i quali
potrebbero essere, al contrario, interessati
all’eliminazione dell’abuso”
(TAR Friuli Venezia Giulia,
sentenza 26.05.2011 n. 258 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
CONDOMINIO:
Sulla questione della necessità
o meno di acquisire l’assenso del Condominio, nel caso in
cui un condòmino chieda un titolo edilizio per realizzare
opere sulle parti comuni di un edificio, sono state espresse
in giurisprudenza opinioni diverse.
Sulla questione della necessità
o meno di acquisire l’assenso del Condominio, nel caso in
cui un condomino chieda un titolo edilizio per realizzare
opere sulle parti comuni di un edificio, sono state espresse
in giurisprudenza opinioni diverse.
In generale si è infatti sostenuto che nessun assenso deve
essere richiesto dal Comune, posto che il condomino possiede
una propria legittimazione a richiedere il titolo, e che lo
stesso viene, in ogni caso, rilasciato “con salvezza dei
diritti dei terzi”. Si è altresì affermato che i
problemi dell’uso delle parti comuni di un edificio
costituiscono questione squisitamente civilistica, di cui il
Comune non ha ragione di interessarsi.
Tale (peraltro, in linea general, condivisibile)
giurisprudenza ha comunque evidenziato che la regola soffre
talora di eccezioni, dovute alle peculiarità con cui le
singole fattispecie si presentano.
In particolare, C.S. n. 437/2009 ha stabilito che, quando un
condomino abbia realizzato (come nel presente caso) un abuso
su aree comuni “l’Amministrazione debba chiedere
all’istante, in applicazione delle norme generali in tema di
rilascio della concessione edilizia, di provare di avere la
disponibilità piena dell’area interessata all’abuso e,
quindi, di provare, quanto meno per fatti concludenti ma
comunque in modo positivo, l’assenso degli altri
comproprietari”.
Allo stesso modo, Tar Liguria n. 192/2010 (che richiama
anche C.S. n. 1654/2007) ha ritenuto che “ciò che rileva
è che i lavori edilizi de quibus debbono eseguirsi (anche)
su parti comuni del fabbricato e non riguardino opere
connesse all’uso normale della cosa comune”; in tal
caso, l’Amministrazione comunale è tenuta, “ai fini del
rilascio della relativa concessione, a richiedere il
consenso di tutti i proprietari”.
In fattispecie molto simile si è espresso anche TAR
Calabria-Reggio, con la recente decisione n. 343/2011,
aderendo all’orientamento interpretativo secondo cui nel
procedimento di rilascio dei titoli edilizi, “l’Amministrazione
ha il potere ed il dovere di verificare l’esistenza, in capo
al richiedente, di un idoneo titolo di godimento
sull’immobile interessato dal progetto … per cui, in caso di
opere che vadano ad incidere sul diritto di altri
comproprietari (quali le opere edilizie interessanti
porzioni condominiali comuni), è legittimo esigere il
consenso degli stessi o pretendere la produzione della
dichiarazione di assenso dell’amministrazione condominiale
anche nelle ipotesi di autorizzazioni in sanatoria, in
quanto il contitolare del bene può essere estraneo all’abuso
ed avere un interesse contrario alla sanatoria di opere che
potrebbero risolversi in danno del medesimo”.
Le suesposte argomentazioni, che il Collegio condivide,
hanno ancora maggior rilievo nel caso di specie, considerato
che alcuni condomini dapprima e, in seguito, il Condominio
stesso si sono inseriti nel procedimento di rilascio
dell’autorizzazione a sanatoria di cui trattasi,
manifestando il proprio dissenso alle opere che, secondo la
loro prospettazione, incidevano negativamente sul diritto di
uso delle parti comuni che spetta a ciascun condomino,
ponendo in luce in particolare come -segnatamente le canne
fumarie- inducessero limiti all’uso individuale. Secondo TAR
Campania-Napoli n. 26817/2010, sussiste un vero e proprio
obbligo per l’Amministrazione di verificare “la
legittimazione ad effettuare l'intervento, soprattutto
quando vi sia stata in sede procedimentale un’espressa
opposizione da parte di terzi condomini”.
Nello stesso senso è anche C.S. n. 1537/2010, che
esplicitamente dichiara che, in caso contrario, “l'Amministrazione
finirebbe per legittimare una sostanziale appropriazione di
spazi condominiali da parte del singolo condomino, in
presenza di una possibile volontà contraria degli altri, i
quali potrebbero essere, al contrario, interessati
all’eliminazione dell’abuso”.
La posizione contraria manifestata dal Condominio risulta
inoltre ulteriormente rafforzata dalla decisione del
Tribunale di Trieste del 24.09.2008, che ha rigettato la
domanda presentata dei ricorrenti avverso la delibera
dell’assemblea condominiale che negava l’assenso ai lavori,
avendo ritenuto che tale deliberazione “non abbia inciso
su diritti della proprietà privata essendo l’uso particolare
e più intenso del bene comune da parte del condomino (e la
relativa indagine in merito all’eventuale compressione
quantitativa o qualitativa del pari utilizzo, attuale o
potenziale, di tutti i comproprietari) questione di ordine
condominiale, disciplinata proprio dalle norme che regolano
i rapporti tra proprietà individuali e beni condominiali”.
Né rileva, ai nostri fini, il richiamo alla decisione n.
11/2006 del Consiglio di Stato, che ha bensì ammesso la
possibilità del singolo condomino di installare una canna
fumaria (come nel presente caso, al servizio di un
ristorante) lungo un muro condominiale, anche senza
l’assenso del Condominio, “purchè non impedisca agli
altri condomini l’uso del muro comune e non ne alteri la
normale destinazione”, che è invece proprio quanto è
avvenuto nel nostro caso.
In queste condizioni -presenza di esplicito e motivato
dissenso del Condominio, unito alla decisione del Giudice
Ordinario che ha ravvisato la correttezza della delibera
assembleare che negava l’assenso ai lavori- legittimamente,
ad avviso del Collegio, il Comune ha negato la richiesta
sanatoria delle opere abusivamente realizzate
(TAR Friuli Venezia Giulia,
sentenza 26.05.2011 n. 258 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
CONDOMINIO -
EDILIZIA PRIVATA:
Lavori edilizi interessanti parti comuni
di un fabbricato - Assenso dei comproprietari - Art. 11, c.
1, d.P.R. n. 380/2001 - Verifica dell’esistenza in capo al
richiedente di un titolo attributivo dello ius aedificandi.
Ove i lavori edilizi interessino anche parti comuni del
fabbricato e si tratti di opere non connesse all’uso normale
della cosa comune, essi abbisognano del previo assenso dei
comproprietari anche in relazione agli aspetti pubblicistici
dell’attività edificatoria, con particolare riguardo alle
norme (art. 4 della legge n. 10 del 1977 e art. 11, comma 1,
del d.P.R. n. 380 del 2001), che prevedono la verifica
dell'esistenza, in capo al richiedente, di titolo un
attributivo dello ius aedificandi sull'immobile
oggetto di trasformazione edilizia (fattispecie: locale
tecnico addossato al muro comune) (cfr. Cons. Stato, Sez. IV
11.04.2007 n. 1654) (TAR LOMBARDIA-Brescia, Sez. I,
sentenza 05.05.2011 n. 662 - link a
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EDILIZIA PRIVATA: Nel
procedimento di rilascio dei titoli edilizi,
l'Amministrazione ha il potere ed il dovere
di verificare l'esistenza in capo al
richiedente di un idoneo titolo di godimento
sull'immobile interessato dal progetto di
trasformazione urbanistica, per cui, in caso
di opere che vadano ad incidere sul diritto
di altri comproprietari (quali le opere
edilizie interessanti porzioni condominiali
comuni), è legittimo esigere il consenso
degli stessi o pretendere la produzione
della dichiarazione di assenso
dell'amministrazione condominiale anche
nelle ipotesi di autorizzazioni in
sanatoria, in quanto il contitolare del bene
può essere estraneo all'abuso ed avere un
interesse contrario alla sanatoria di opere
che potrebbero risolversi in suo danno.
Non è seriamente contestabile che nel
procedimento di rilascio dei titoli edilizi
l'Amministrazione abbia il potere ed il
dovere di verificare l'esistenza, in capo al
richiedente, di un idoneo titolo di
godimento sull'immobile, interessato dal
progetto di trasformazione urbanistica,
trattandosi di una attività istruttoria che
non è diretta, in via principale, a
risolvere i conflitti di interesse tra le
parti private in ordine all'assetto
proprietario degli immobili interessati, ma
che risulta finalizzata, più semplicemente,
ad accertare il requisito della
legittimazione del richiedente.
Pertanto, la funzione autorizzatoria
dell'Amministrazione richiede un livello
minimo di istruttoria che comprende anche
l'acquisizione di tutti gli elementi
sufficienti a dimostrare la sussistenza di
un qualificato collegamento soggettivo tra
chi propone l'istanza e il bene giuridico
oggetto dell'autorizzazione, senza che
l'esame del titolo di godimento operato
dalla Pubblica Amministrazione costituisca
un'illegittima intrusione in ambito
privatistico; per cui, in definitiva,
legittimamente l'Amministrazione, ove
accerti che l'intervento edilizio interessi
parti comuni dell'edificio, ben può
subordinare il rilascio del titolo edilizio
alla previa assunzione del consenso dei
comproprietari per la parte di intervento
che interessa tali parti comuni.
Si è infatti anche di recente precisato che
in base all'art. 11 del D.P.R. 06.06.2001,
n. 380, il permesso di costruire "è
rilasciato al proprietario o a chi ne abbia
titolo".
Ora, interpretando tale normativa (che
ricalca quella precedentemente vigente), la
giurisprudenza amministrativa ha
costantemente chiarito che nel procedimento
di rilascio dei titoli edilizi,
l'Amministrazione ha il potere ed il dovere
di verificare l'esistenza in capo al
richiedente di un idoneo titolo di godimento
sull'immobile interessato dal progetto di
trasformazione urbanistica, per cui, in caso
di opere che vadano ad incidere sul diritto
di altri comproprietari (quali le opere
edilizie interessanti porzioni condominiali
comuni), è legittimo esigere il consenso
degli stessi o pretendere la produzione
della dichiarazione di assenso
dell'amministrazione condominiale anche
nelle ipotesi di autorizzazioni in
sanatoria, in quanto il contitolare del bene
può essere estraneo all'abuso ed avere un
interesse contrario alla sanatoria di opere
che potrebbero risolversi in suo danno
(Cons. St., sez. V, 21.10.2003, n. 6529).
In effetti, sul punto la giurisprudenza, che
in passato era prevalentemente orientata nel
senso che il parametro valutativo
dell'attività amministrativa in materia
edilizia era esclusivamente quello
dell'accertamento della conformità
dell'opera alla disciplina pubblicistica che
ne regola la realizzazione, salvi i diritti
dei terzi e senza che la mancata
considerazione di tali diritti potesse in
qualche modo incidere sulla legittimità
dell'atto, ha oggi avuto occasione di
precisare che la necessaria distinzione tra
gli aspetti civilistici e quelli
pubblicistici dell'attività edificatoria non
impedisce di rilevare la presenza di
significativi punti di contatto tra i due
diversi profili.
In proposito ha, pertanto, chiarito che non
è seriamente contestabile che nel
procedimento di rilascio dei titoli edilizi
l'Amministrazione abbia il potere ed il
dovere di verificare l'esistenza, in capo al
richiedente, di un idoneo titolo di
godimento sull'immobile, interessato dal
progetto di trasformazione urbanistica,
trattandosi di una attività istruttoria che
non è diretta, in via principale, a
risolvere i conflitti di interesse tra le
parti private in ordine all'assetto
proprietario degli immobili interessati, ma
che risulta finalizzata, più semplicemente,
ad accertare il requisito della
legittimazione del richiedente (cfr. TAR
Trentino Alto Adige, sez. Bolzano,
27.02.2006, n. 81, TAR Lombardia, sede
Milano, sez. II, 11.02.2005, n. 357, TAR
Puglia Lecce, sez. III, 18.12.2007, n.
4286).
Pertanto, la funzione autorizzatoria
dell'Amministrazione richiede un livello
minimo di istruttoria che comprende anche
l'acquisizione di tutti gli elementi
sufficienti a dimostrare la sussistenza di
un qualificato collegamento soggettivo tra
chi propone l'istanza e il bene giuridico
oggetto dell'autorizzazione, senza che
l'esame del titolo di godimento operato
dalla Pubblica Amministrazione costituisca
un'illegittima intrusione in ambito
privatistico; per cui, in definitiva,
legittimamente l'Amministrazione, ove
accerti che l'intervento edilizio interessi
parti comuni dell'edificio, ben può
subordinare il rilascio del titolo edilizio
alla previa assunzione del consenso dei
comproprietari per la parte di intervento
che interessa tali parti comuni
(TAR Sardegna, Sez. II,
sentenza 18.04.2011 n. 364
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EDILIZIA
PRIVATA - URBANISTICA:
Anche il promissario acquirente può
avanzare domanda volta all'adozione di uno strumento
urbanistico convenzionato, sempre che abbia l'effettiva
disponibilità del bene, a nulla rilevando che detta
disponibilità possa essere acquisita, nella sua pienezza,
solo dopo la stipula del rogito notarile di trasferimento
della proprietà, dovendo il concetto di disponibilità essere
inteso nel senso della sussistenza di requisiti oggettivi
tali da far ritenere che il trasferimento di proprietà sia
destinato a verificarsi con sufficienti margini di certezza.
Legittimato a richiedere la concessione edilizia è o il
titolare del diritto reale di proprietà sul fondo o chi, pur
essendo titolare di altro diritto, reale o di obbligazione,
abbia, per effetto di questo, obbligo o facoltà di eseguire
i lavori per cui chiede la concessione. Tale legittimazione,
invece, non compete a colui il quale, in base ad un
contratto preliminare, abbia avuto la promessa di futura
vendita del terreno sul quale dovrebbe sorgere la
costruzione
La figura del promissario acquirente di terreni interessati
da una richiesta di concessione edilizia non implica
l'esistenza di una posizione di interesse legittimo utile a
rendere ammissibile l'impugnazione di un provvedimento di
diniego della concessione stessa; invece, può radicare
comunque una posizione dipendente da quella del ricorrente
principale, "ad adiuvandum" del quale può dunque
essere legittimamente dispiegato intervento in giudizio, se
ed in quanto non miri ad eludere i termini di impugnazione
da parte di chi risulti titolare di una posizione tutelabile
con una propria autonoma impugnativa (Consiglio Stato sez.
IV, 30.06.2005 n. 3594).
La giurisprudenza ha sostenuto che anche il promissario
acquirente può avanzare domanda volta all'adozione di uno
strumento urbanistico convenzionato, sempre che abbia
l'effettiva disponibilità del bene, a nulla rilevando che
detta disponibilità possa essere acquisita, nella sua
pienezza, solo dopo la stipula del rogito notarile di
trasferimento della proprietà, dovendo il concetto di
disponibilità essere inteso nel senso della sussistenza di
requisiti oggettivi tali da far ritenere che il
trasferimento di proprietà sia destinato a verificarsi con
sufficienti margini di certezza (così, per esempio,
Consiglio Stato sez. V, 24.08.2007, n. 4485).
Tale disponibilità giuridica e materiale nella specie non
sussiste, né è stata mai dedotta.
Anche in relazione alla possibilità di richiedere titoli
abilitativi, si sostiene che legittimato a richiedere la
concessione edilizia è o il titolare del diritto reale di
proprietà sul fondo o chi, pur essendo titolare di altro
diritto, reale o di obbligazione, abbia, per effetto di
questo, obbligo o facoltà di eseguire i lavori per cui
chiede la concessione.
Tale legittimazione, invece, non compete a colui il quale,
in base ad un contratto preliminare, abbia avuto la promessa
di futura vendita del terreno sul quale dovrebbe sorgere la
costruzione (nel senso che la voltura della concessione
edilizia non può essere chiesta dal promissario acquirente
cfr. Cass. 10.10.1997 n. 9850).
Nel vigore dell'art. 4, l. 28.01.1977 n. 10 (sostanzialmente
corrispondente all'art. 11, t.u. 06.06.2001 n. 380), la
concessione edilizia, potendo essere rilasciata "al
proprietario dell'area o a chi abbia titolo per richiederla",
poteva essere chiesta anche dal promissario acquirente
dell'immobile, purché avesse a ciò consentito il
proprietario (Consiglio Stato, sez. V, 24.08.2007, n. 4485).
Ne consegue che, anche con riferimento alla impugnazione
dell’autoannullamento di un piano di lottizzazione,
legittimato ad impugnare non può ritenersi il promissario
acquirente tout court, in assenza tra l’altro della
disponibilità materiale del bene, che si potrebbe
configurare in caso di preliminare cosiddetto ad effetti
anticipati, con il quale quantomeno si anticipa l’effetto
della consegna del bene (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 12.04.2011 n. 2275 - link a
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EDILIZIA
PRIVATA:
L'Amministrazione comunale, cui è
rimessa sul piano istruttorio la delibazione di conformità
urbanistica di ogni progetto edilizio, deve verificare, tra
l’altro, che esista un idoneo titolo per eseguire le opere,
che assurge a presupposto di legittimità sia degli
interventi che implicano il rilascio del permesso di
costruire sia di quelli soggetti al regime semplificato
della d.i.a..
Non è seriamente contestabile che nel procedimento di
rilascio dei titoli edilizi l'amministrazione abbia il
potere ed il dovere di verificare l'esistenza, in capo al
richiedente, di un idoneo titolo di godimento sull'immobile,
interessato dal progetto di trasformazione urbanistica,
trattandosi di un’attività istruttoria che non è diretta, in
via principale, a risolvere i conflitti di interesse tra le
parti private in ordine all'assetto proprietario degli
immobili interessati, ma che risulta finalizzata, più
semplicemente, ad accertare il requisito della
legittimazione del richiedente.
In caso di opere che vadano ad incidere sul diritto di altri
comproprietari, è legittimo esigere il consenso degli stessi
(che può essere manifestato anche per fatti concludenti) e
che, a maggior ragione, qualora vi sia un conclamato
dissidio fra i comproprietari in ordine all'intervento
progettato, la scelta dell'amministrazione di assentire
comunque le opere (in base al mero riscontro della
conformità agli strumenti urbanistici) evidenzia un grave
difetto istruttorio e motivazionale, perché non dà conto
dell’effettiva corrispondenza tra l’istanza edificatoria e
la titolarità del prescritto diritto di godimento.
Va anzitutto osservato che il primo comma dell’evocato art.
11 del T.U. sull’edilizia (e già prima l’art. 4 della legge
n. 10 del 1977) dispone –ed analoga previsione è contenuta
nel primo comma dell’art. 23 per gli interventi soggetti a
d.i.a.– che “Il permesso di costruire è rilasciato al
proprietario dell'immobile o a chi abbia titolo per
richiederlo”.
Tanto premesso, il Collegio ritiene che, sulla base della
normativa richiamata, l'Amministrazione comunale, cui è
rimessa sul piano istruttorio la delibazione di conformità
urbanistica di ogni progetto edilizio, deve verificare, tra
l’altro, che esista un idoneo titolo per eseguire le opere,
che assurge a presupposto di legittimità sia degli
interventi che implicano il rilascio del permesso di
costruire sia di quelli soggetti al regime semplificato
della d.i.a. (cfr. TAR Campania, Sezione II, 22.09.2006, n.
8243).
Vero è che la giurisprudenza amministrativa esclude
l’esistenza di un obbligo del Comune di effettuare complessi
accertamenti diretti a ricostruire tutte le vicende
riguardanti l'immobile e, soprattutto in passato, era
prevalentemente orientata nel senso che il parametro
valutativo dell'attività amministrativa in materia edilizia
fosse solo quello dell'accertamento della conformità
dell'opera alla disciplina pubblicistica che ne regola la
realizzazione, salvi i diritti dei terzi, senza che la
mancata considerazione di tali diritti potesse in qualche
modo incidere sulla legittimità dell'atto.
Tuttavia, più recentemente (cfr. per tutte Consiglio di
Stato, Sezione V, 15.03.2001, n. 1507 e 21.10.2003, n. 6529;
TAR Campania, Sezione II, 29.03.2007 n. 2902), ha avuto
occasione di precisare che la necessaria distinzione tra gli
aspetti civilistici e quelli pubblicistici dell'attività
edificatoria non impedisce di rilevare la presenza di
significativi punti di contatto tra i due diversi profili.
In proposito ha, pertanto, chiarito che non è seriamente
contestabile che nel procedimento di rilascio dei titoli
edilizi l'amministrazione abbia il potere ed il dovere di
verificare l'esistenza, in capo al richiedente, di un idoneo
titolo di godimento sull'immobile, interessato dal progetto
di trasformazione urbanistica, trattandosi di un’attività
istruttoria che non è diretta, in via principale, a
risolvere i conflitti di interesse tra le parti private in
ordine all'assetto proprietario degli immobili interessati,
ma che risulta finalizzata, più semplicemente, ad accertare
il requisito della legittimazione del richiedente.
Ha, pertanto, concluso nel senso che, in caso di opere che
vadano ad incidere sul diritto di altri comproprietari, è
legittimo esigere il consenso degli stessi (che può essere
manifestato anche per fatti concludenti) e che, a maggior
ragione, qualora vi sia un conclamato dissidio fra i
comproprietari in ordine all'intervento progettato, la
scelta dell'amministrazione di assentire comunque le opere
(in base al mero riscontro della conformità agli strumenti
urbanistici) evidenzia un grave difetto istruttorio e
motivazionale, perché non dà conto dell’effettiva
corrispondenza tra l’istanza edificatoria e la titolarità
del prescritto diritto di godimento (cfr. TAR Campania
Napoli sez. II sentenza 2681/2010) (TAR Campania-Napoli,
Sez. II,
sentenza 21.03.2011 n. 1581 - link a
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EDILIZIA PRIVATA:
All’usufruttuario è comunque
riconosciuta la legittimazione al rilascio
del permesso di costruire dal momento
che l’art. 11, D.P.R. n. 380 del 2001
individua tra i soggetti legittimati
oltre al proprietario anche coloro che
‘‘abbiano titolo per
richiederlo’’, sicché non vi è dubbio che
tra gli aventi titolo rientri
anche l’usufruttuario del bene, che, quale
titolare di un diritto
reale di godimento, gode di una relazione
qualificata con il bene
medesimo.
Innanzitutto è da evidenziare che il
ricorrente Di Grazia Giuseppe ha agito nel
presente giudizio quale diretto destinatario
del diniego gravato, avendo egli
personalmente richiesto il rilascio del
permesso di costruire denegatogli dal Comune
di Aversa, nella dichiarata veste di
usufruttuario del bene, e detta circostanza
era ben nota al Comune intimato che nella
medesima qualità gli aveva in precedenza
rilasciato per lo stesso immobile il condono
ex lege 326/2003 con atto n. 158 del
29.04.2009.
Peraltro, l’eccepito difetto di
legittimazione dell’istante non è stato
posto dall’amministrazione quale ragione
ostativa all’accoglimento della istanza di
mutamento di destinazione inoltrata dal
ricorrente, fondandosi il diniego impugnato
esclusivamente su ragioni di natura
urbanistica.
A ciò si aggiunga che, per giurisprudenza
pacifica, all’usufruttuario è comunque
riconosciuta la legittimazione al rilascio
del permesso di costruire, dal momento che
l’art. 11 del d.p.r. n. 380/2001 individua
tra i soggetti legittimati oltre al
proprietario anche coloro che “abbiano
titolo per richiederlo”, sicché non vi è
dubbio che tra gli aventi titolo rientri
anche l’usufruttuario del bene, che, quale
titolare di un diritto reale di godimento,
gode di una relazione qualificata con il
bene medesimo (C.d.s. sez. IV n. 3027/2007) (TAR Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 07.03.2011 n. 1318 - link a
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EDILIZIA
PRIVATA:
Nel procedimento di rilascio dei titoli
edilizi, in caso di opere che vadano ad incidere sul diritto
di altri proprietari, l’Ente è legittimato a esigere il
consenso degli stessi.
Per la costante giurisprudenza di legittimità, il Comune,
nel procedimento di rilascio dei titoli edilizi, ha il
potere ed il dovere di verificare l'esistenza in capo al
richiedente di tutti i presupposti per la loro emanazione:
in caso di opere che vadano ad incidere sul diritto di altri
proprietari, è legittimo da parte dell’ente, esigere il
consenso degli stessi (Cons. St., sez. V, 21.10.2003 n.
6529; Cons. St., sez. IV, 26.01.2009, n. 437).
Anche nelle ipotesi di autorizzazioni in sanatoria, il
Comune è tenuto a pretendere la produzione della
dichiarazione di assenso del terzo pregiudicato in ragione
del suo interesse contrario alla sanatoria delle opere
stesse che potrebbero risolversi in danno dello stesso, al
solo fine di accertare il requisito della legittimazione del
richiedente alla sanatoria e non per risolvere i conflitti
di interesse tra le parti private in ordine all'assetto
proprietario degli immobili interessati (TAR Abruzzo
Pescara, sez. I, 06.06.2009, n. 401; Tar Puglia, Lecce, sez.
III, 18.12.2007, n. 4286) (TAR Umbria,
sentenza 14.02.2011 n. 48 - link a
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EDILIZIA
PRIVATA:
Grava sull'amministrazione l'obbligo di
effettuare una sia pur non approfondita istruttoria per
verificare la sussistenza di tutte le condizioni che
realizzano un qualificato collegamento soggettivo tra chi
propone l'istanza e il bene oggetto dell'autorizzazione.
In sostanza, essendo possibile che un determinato intervento
edilizio, pur se astrattamente conforme alle norme
urbanistico-edilizie, si ponga in contrasto con diritti
reali di godimento o con altre facoltà di terzi, la p.a., in
sede di rilascio del titolo autorizzatorio edilizio, è
tenuta a verificare l'esistenza, in capo al richiedente, di
un idoneo titolo di godimento sull'area in questione,
attività istruttoria, questa, rivolta non già a risolvere i
conflitti tra le parti private in ordine all'assetto
dominicale dell'area stessa, bensì ad accertare il requisito
della legittimazione soggettiva del richiedente, sia per la
notevole incidenza della concessione edilizia sugli
interessi pubblici e privati coinvolti, sia per evitare il
grave contenzioso che deriverebbe dall'incauto rilascio di
quest'ultima a soggetti non idoneamente legittimati.
Con decisione resa da questa stessa Sezione (cfr. TAR
Catania, I, 28.04.2009, n. 803), si è posta <<la
questione di stabilire se e fino a che punto il comune, nel
valutare la legittimità delle dichiarazioni di inizio
attività e delle istanze di autorizzazione di interventi
edilizi, debba spingersi nell'apprezzamento della
sussistenza dal punto di vista civilistico dei titoli di
legittimazione (titolarità dei diritti reali sul bene,
assenza di vincoli di natura reale, servitù, consenso dei
comproprietari, ecc.) e quindi dell'assenza di lesioni dei
diritti reali dei terzi>>.
A questo proposito, ha ritenuto questo Tribunale <<di
dover aderire all'orientamento giurisprudenziale (cfr. TAR
Campania Napoli, sez. III, 19.06.2008, n. 6027) secondo il
quale “grava sull'amministrazione l'obbligo di effettuare
una sia pur non approfondita istruttoria per verificare la
sussistenza di tutte le condizioni che realizzano un
qualificato collegamento soggettivo tra chi propone
l'istanza e il bene oggetto dell'autorizzazione. In
sostanza, essendo possibile che un determinato intervento
edilizio, pur se astrattamente conforme alle norme
urbanistico-edilizie, si ponga in contrasto con diritti
reali di godimento o con altre facoltà di terzi, la p.a., in
sede di rilascio del titolo autorizzatorio edilizio, è
tenuta a verificare l'esistenza, in capo al richiedente, di
un idoneo titolo di godimento sull'area in questione,
attività istruttoria, questa, rivolta non già a risolvere i
conflitti tra le parti private in ordine all'assetto
dominicale dell'area stessa, bensì ad accertare il requisito
della legittimazione soggettiva del richiedente, sia per la
notevole incidenza della concessione edilizia sugli
interessi pubblici e privati coinvolti, sia per evitare il
grave contenzioso che deriverebbe dall'incauto rilascio di
quest'ultima a soggetti non idoneamente legittimati
(Consiglio Stato , sez. V, 22.06.2000, n. 3525).
In applicazione di questi principi, il Consiglio di Stato ha
affermato, nel caso al suo esame avente ad oggetto una
questione di servitù altius non tollendi, che, sebbene non
incomba alla p.a. procedente l'onere di verificare se l'area
oggetto d'intervento sia o no gravata da servitù -anche al
fine di non aggravare oltremodo il procedimento
autorizzativo-, essa non può legittimamente esimersi dal
considerare l'incidenza d'una servitù esistente e
debitamente comprovata in sede istruttoria e tale da rendere
impossibile l'attività edificatoria richiesta” >>.
Anche nel caso sottoposto al vaglio della detta decisione,
quindi, si trattava di un manufatto che avrebbe dovuto
occupare un’area limitata da una servitù di passaggio, solo
che su quest’ultima non vi erano contestazioni in ordine
all’esistenza (e alle dimensioni).
E in quel caso, l’amministrazione comunale, pur essendo
consapevole del dissenso del ricorrente, ha tuttavia
ritenuto di non doverne trarre alcuna conseguenza in
relazione alla legittimità della concessione, rinviando
eventuali contenziosi sul punto dinanzi al giudice civile.
La sentenza 803/2009 di questo Tribunale ha chiarito che <<siffatto
modo di procedere è, per altro, impedito dall’art. 36 della
l.r. 27/12/1978 n. 71, il cui comma 3, stabilisce che “la
qualità di proprietario o di avente titolo deve essere
documentata”, con il che conclamando, per argomento a
contrario, che una qualsiasi limitazione della disponibilità
dell’area da occupare con la costruzione incide sul
presupposto stesso richiesto per ottenere la concessione.
E ciò a prescindere dalla sussistenza di una servitù
coattiva o meno, in quanto pur essendo funzionalmente
diverse le due fattispecie, nessuna differenza sussiste in
ordine alla limitazione della proprietà.
Né può sostenersi che all'amministrazione non spettasse un
tale compito valutativo, atteso che non era richiesto alcun
complicato accertamento né la risoluzione di controversie di
natura civile ma solo di prendere atto della insussistenza
di uno dei presupposti per la legittimità dell'intervento, e
cioè la piena disponibilità dell’immobile su cui allocare la
costruzione (cfr. TAR Napoli, ult. cit.)>> (TAR
Sicilia-Catania, Sez. I,
sentenza 14.01.2011 n. 56 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2010 |
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EDILIZIA
PRIVATA:
Legittimazione a costruire, istruttoria
ampia.
Per gli interventi edilizi soggetti al
rilascio di permesso di costruire o a d.i.a. il Comune deve
verificare l'esistenza di un titolo idoneo.
Lo ha affermato il TAR Campania-Napoli, Sez. II, con la
sentenza 06.12.2010 n. 26817.
Il Collegio avvia le mosse dell'esame dell'art. 11 del Testo
Unico sull'edilizia (e analoga previsione è contenuta nel
primo comma dell'art. 23 per gli interventi soggetti a
d.i.a.) che dispone: «Il permesso di costruire è
rilasciato al proprietario dell'immobile o a chi abbia
titolo per richiederlo». Sulla base di tale richiamo i
giudici napoletani hanno sottolineato che l'Amministrazione
comunale, cui è rimessa sul piano istruttorio la delibazione
di conformità urbanistica di ogni progetto edilizio, deve
verificare, fra l'altro, che esista un idoneo titolo per
eseguire le opere, che assurge a presupposto di legittimità
sia degli interventi che implicano il rilascio del permesso
di costruire sia quelli soggetti al regime semplificato
della d.i.a..
«Vero è che la giurisprudenza amministrativa», si
legge nella sentenza, «esclude l'esistenza di un obbligo
del Comune di effettuare complessi accertamenti diretti a
ricostruire tutte le vicende riguardanti l'immobile e,
soprattutto in passato, era prevalentemente orientata nel
senso che il parametro valutativo dell'attività
amministrativa in materia edilizia fosse solo quello
dell'accertamento della conformità dell'opera alla
disciplina pubblicistica che ne regola la realizzazione,
salvi i diritti dei terzi, senza che la mancata
considerazione di tali diritti potesse in qualche modo
incidere sulla legittimità dell'atto».
«Tuttavia, più recentemente (per tutte Consiglio di
Stato, Sezione V, 15.03.2001, n. 1507 e 21.10.2003, n. 6529;
Tar Campania, Sezione II, 29.03.2007 n. 2902)», prosegue
il Collegio, «ha avuto occasione di precisare che la
necessaria distinzione tra gli aspetti civilistici e quelli
pubblicistici dell'attività edificatoria non impedisce di
rilevare la presenza di significativi punti di contatto tra
i due diversi profili e ha pertanto, chiarito che non è
seriamente contestabile che nel procedimento di rilascio dei
titoli edilizi l'amministrazione abbia il potere e il dovere
di verificare l'esistenza, in capo al richiedente, di un
idoneo titolo di godimento sull'immobile, interessato dal
progetto di trasformazione urbanistica, trattandosi di
un'attività istruttoria che non è diretta, in via
principale, a risolvere i conflitti di interesse tra le
parti private in ordine all'assetto proprietario degli
immobili interessati, ma che risulta finalizzata, più
semplicemente, ad accertar il requisito della legittimazione
del richiedente» (articolo ItaliaOggi del 14.01.2011). |
EDILIZIA
PRIVATA:
L'Amministrazione comunale, cui è
rimessa sul piano istruttorio la delibazione di conformità
urbanistica di ogni progetto edilizio, deve verificare, tra
l’altro, che esista un idoneo titolo per eseguire le opere,
che assurge a presupposto di legittimità sia degli
interventi che implicano il rilascio del permesso di
costruire sia di quelli soggetti al regime semplificato
della d.i.a..
Va anzitutto osservato che il primo comma dell’evocato art.
11 del T.U. sull’edilizia (e già prima l’art. 4 della legge
n. 10 del 1977) dispone –ed analoga previsione è contenuta
nel primo comma dell’art. 23 per gli interventi soggetti a
d.i.a.– che “Il permesso di costruire è rilasciato al
proprietario dell'immobile o a chi abbia titolo per
richiederlo”.
Tanto premesso, il Collegio ritiene che, sulla base della
normativa richiamata, l'Amministrazione comunale, cui è
rimessa sul piano istruttorio la delibazione di conformità
urbanistica di ogni progetto edilizio, deve verificare, tra
l’altro, che esista un idoneo titolo per eseguire le opere,
che assurge a presupposto di legittimità sia degli
interventi che implicano il rilascio del permesso di
costruire sia di quelli soggetti al regime semplificato
della d.i.a. (cfr. TAR Campania, Sezione II, 22.09.2006, n.
8243).
Vero è che la giurisprudenza amministrativa esclude
l’esistenza di un obbligo del Comune di effettuare complessi
accertamenti diretti a ricostruire tutte le vicende
riguardanti l'immobile e, soprattutto in passato, era
prevalentemente orientata nel senso che il parametro
valutativo dell'attività amministrativa in materia edilizia
fosse solo quello dell'accertamento della conformità
dell'opera alla disciplina pubblicistica che ne regola la
realizzazione, salvi i diritti dei terzi, senza che la
mancata considerazione di tali diritti potesse in qualche
modo incidere sulla legittimità dell'atto.
Tuttavia, più recentemente (cfr. per tutte Consiglio di
Stato, Sezione V, 15.03.2001, n. 1507 e 21.10.2003, n.6529;
TAR Campania, Sezione II, 29.03.2007 n. 2902), ha avuto
occasione di precisare che la necessaria distinzione tra gli
aspetti civilistici e quelli pubblicistici dell'attività
edificatoria non impedisce di rilevare la presenza di
significativi punti di contatto tra i due diversi profili.
In proposito ha, pertanto, chiarito che non è seriamente
contestabile che nel procedimento di rilascio dei titoli
edilizi l'amministrazione abbia il potere ed il dovere di
verificare l'esistenza, in capo al richiedente, di un idoneo
titolo di godimento sull'immobile, interessato dal progetto
di trasformazione urbanistica, trattandosi di un’attività
istruttoria che non è diretta, in via principale, a
risolvere i conflitti di interesse tra le parti private in
ordine all'assetto proprietario degli immobili interessati,
ma che risulta finalizzata, più semplicemente, ad accertare
il requisito della legittimazione del richiedente.
Ha, pertanto, concluso nel senso che, in caso di opere che
vadano ad incidere sul diritto di altri comproprietari, è
legittimo esigere il consenso degli stessi (che può essere
manifestato anche per fatti concludenti) e che, a maggior
ragione, qualora vi sia un conclamato dissidio fra i
comproprietari in ordine all'intervento progettato, la
scelta dell'amministrazione di assentire comunque le opere
(in base al mero riscontro della conformità agli strumenti
urbanistici) evidenzia un grave difetto istruttorio e
motivazionale, perché non dà conto dell’effettiva
corrispondenza tra l’istanza edificatoria e la titolarità
del prescritto diritto di godimento
(TAR Campania-Napoli, Sez.
II,
sentenza 06.12.2010 n. 26817 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Concessione edilizia - Rilascio -
Presupposti - Idoneo titolo di godimento sull'immobile da
parte del richiedente - Necessità - Consenso unanime dei
comproprietari - Necessità.
Nel procedimento di rilascio della concessione edilizia la
P.A. ha il potere ed il dovere di verificare l'esistenza, in
capo al richiedente, di un idoneo titolo di godimento
sull'immobile, interessato dal progetto di trasformazione
urbanistica, trattandosi di una attività istruttoria che non
è diretta, in via principale, a risolvere i conflitti di
interesse tra le parti private in ordine all'assetto
proprietario degli immobili interessati, ma che risulta
finalizzata, più semplicemente, ad accertare il requisito
della legittimazione del richiedente.
In caso di opere che vadano ad incidere sul diritto di altri
comproprietari, è, pertanto, necessario il consenso degli
stessi (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 6529/2003; sent. n.
4972/2001; TAR Toscana, n. 1651/2001; TAR Parma, sent. n.
183/2002) (massima tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 19.11.2010 n. 7292 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Nell'istruire un'istanza di permesso di
costruire v'è l'obbligo di verificare che esista il titolo
per intervenire sull'immobile per il quale è richiesto il
permesso di costruire e che, quindi, questo sia rilasciato
al proprietario dell'area o a chi abbia titolo per
richiederla e non, invece, l’obbligo di compiere complesse
ricognizioni giuridico-documentali, ovvero accertamenti in
ordine ad eventuali pretese che potrebbero essere avanzate
da soggetti estranei al rapporto concessorio.
A seguito della domanda di rilascio del permesso di
costruire, a carico dell'Amministrazione incombe solo
l'obbligo di verificare che esista il titolo per intervenire
sull'immobile per il quale è richiesto il permesso di
costruire e che, quindi, questo sia rilasciato al
proprietario dell'area o a chi abbia titolo per richiederla
e non, invece, l’obbligo di compiere complesse ricognizioni
giuridico-documentali, ovvero accertamenti in ordine ad
eventuali pretese che potrebbero essere avanzate da soggetti
estranei al rapporto concessorio (massima tratta da http://doc.sspal.it
- TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 27.08.2010 n. 4416 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
provvedimento di autorizzazione o concessione edilizia può
essere accordato al proprietario dell’area o a chi ha titolo
per richiederla, quale titolare di un diritto reale ovvero
un diritto obbligatorio che accordi al richiedente la
disponibilità del suolo o la potestà edificatoria, mentre
una semplice relazione di fatto, ancorché tutelata, quale
quella legata al mero possesso dell’area, non è idonea a
conferire il diritto ad ottenere il rilascio del titolo
concessorio.
Il richiedente il permesso di costruire deve, infatti, avere
la disponibilità giuridica dell’area interessata alla
costruzione in progetto, non essendo sufficiente la mera
disponibilità di fatto di essa.
In altre parole, per edificare è necessario che il soggetto
istante sia o il titolare del diritto di proprietà sul fondo
o chi, pur essendo titolare di altro diritto, reale o di
obbligazione, abbia, per effetto di questo obbligo o facoltà
di eseguire i lavori per cui chiede il permesso, quindi, ad
esempio, anche il locatario se il contratto di locazione
reca l’esplicita o implicita, ma inequivocabile,
autorizzazione all’esecuzione di dati interventi di
trasformazione del bene in funzione dell’uso per il quale lo
stesso è stato concesso ad altri.
E d’altra parte, certamente spetta al Comune la verifica del
possesso del titolo, la cui mancanza impedisce
all’Amministrazione di procedere oltre nell’esame del
progetto.
In proposito devesi osservare che il provvedimento di
autorizzazione o concessione edilizia può essere accordato
al proprietario dell’area o a chi ha titolo per richiederla,
quale titolare di un diritto reale ovvero un diritto
obbligatorio che accordi al richiedente la disponibilità del
suolo o la potestà edificatoria, mentre una semplice
relazione di fatto, ancorché tutelata, quale quella legata
al mero possesso dell’area, non è idonea a conferire il
diritto ad ottenere il rilascio del titolo concessorio.
Il richiedente il permesso di costruire deve, infatti, avere
la disponibilità giuridica dell’area interessata alla
costruzione in progetto, non essendo sufficiente la mera
disponibilità di fatto di essa.
Analogamente un richiesta di variante o la denuncia di
inizio attività deve essere prodotta, ai sensi dell’art. 23,
primo comma, del DPR 06.06.2001 n. 380, dal soggetto
legittimato, ovvero dal proprietario dell’immobile o da chi
abbia titolo per presentare la denuncia di inizio attività.
La formulazione ultima richiama, invero, quella dell’art. 11
del DPR 380/2001, a sua volta ispirata dall’art. 4 della
legge 28.01.1977 n. 10.
In altre parole, per edificare è necessario che il soggetto
istante sia o il titolare del diritto di proprietà sul fondo
o chi, pur essendo titolare di altro diritto, reale o di
obbligazione, abbia, per effetto di questo obbligo o facoltà
di eseguire i lavori per cui chiede il permesso, quindi, ad
esempio, anche il locatario se il contratto di locazione
reca l’esplicita o implicita, ma inequivocabile,
autorizzazione all’esecuzione di dati interventi di
trasformazione del bene in funzione dell’uso per il quale lo
stesso è stato concesso ad altri.
E d’altra parte, certamente spetta al Comune la verifica del
possesso del titolo, la cui mancanza impedisce
all’Amministrazione di procedere oltre nell’esame del
progetto
(TAR Basilicata,
sentenza 26.07.2010 n. 532 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
provvedimento di autorizzazione o concessione edilizia può essere
accordato al proprietario dell’area o a chi ha titolo per richiederla,
quale titolare di un diritto reale ovvero un diritto obbligatorio che
accordi al richiedente la disponibilità del suolo o la potestà
edificatoria.
Per edificare è necessario che il soggetto istante sia o il titolare del
diritto di proprietà sul fondo o chi, pur essendo titolare di altro
diritto, reale o di obbligazione, abbia, per effetto di questo obbligo o
facoltà di eseguire i lavori per cui chiede il permesso, quindi, ad
esempio, anche il locatario se il contratto di locazione reca
l’esplicita o implicita, ma inequivocabile, autorizzazione
all’esecuzione di dati interventi di trasformazione del bene in funzione
dell’uso per il quale lo stesso è stato concesso ad altri.
Il provvedimento di autorizzazione o concessione edilizia può essere
accordato al proprietario dell’area o a chi ha titolo per richiederla,
quale titolare di un diritto reale ovvero un diritto obbligatorio che
accordi al richiedente la disponibilità del suolo o la potestà
edificatoria, mentre una semplice relazione di fatto, ancorché tutelata,
quale quella legata al mero possesso dell’area, non è idonea a conferire
il diritto ad ottenere il rilascio del titolo concessorio.
Il richiedente il permesso di costruire deve, infatti, avere la
disponibilità giuridica dell’area interessata alla costruzione in
progetto, non essendo sufficiente la mera disponibilità di fatto di
essa.
Analogamente un richiesta di variante o la denuncia di inizio attività
deve essere prodotta, ai sensi dell’art. 23, primo comma del DPR
06.06.2001 n. 380, dal soggetto legittimato, ovvero dal proprietario
dell’immobile o da chi abbia titolo per presentare la denuncia di inizio
attività.
La formulazione ultima richiama, invero, quella dell’art. 11 del DPR
380/2001, a sua volta ispirata dall’art. 4 della legge 28.01.1977 n. 10.
In altre parole, per edificare è necessario che il soggetto istante sia
o il titolare del diritto di proprietà sul fondo o chi, pur essendo
titolare di altro diritto, reale o di obbligazione, abbia, per effetto
di questo obbligo o facoltà di eseguire i lavori per cui chiede il
permesso, quindi, ad esempio, anche il locatario se il contratto di
locazione reca l’esplicita o implicita, ma inequivocabile,
autorizzazione all’esecuzione di dati interventi di trasformazione del
bene in funzione dell’uso per il quale lo stesso è stato concesso ad
altri.
E d’altra parte, certamente spetta al Comune la verifica del possesso
del titolo, la cui mancanza impedisce all’Amministrazione di procedere
oltre nell’esame del progetto (TAR Basilicata,
sentenza 26.07.2010 n. 532 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Concessione edilizia – Istanza – Soggetto
legittimato – Soggetti diversi dal proprietario – Titolari
di diritti reali o personali.
Ai sensi dell'art. 4 L. 28.01.1977 n. 10, la
domanda volta al rilascio della concessione edilizia può
essere presentata anche da persona diversa dal proprietario,
purché il richiedente abbia titolo a disporre del suolo; la
materiale disponibilità dell'area da parte dell'istante,
anche se persona diversa dal proprietario, costituisce
titolo idoneo al rilascio della concessione edilizia, per
cui può ritenersi che, in definitiva, sono legittimati a
richiedere la concessione edilizia, non solo il
proprietario, ma anche i soggetti che si trovano rispetto al
bene immobile da edificare in relazione qualificata, come
appunto i titolari di un diritto reale, ovvero i titolari di
un diritto personale, quali, ad esempio, il conduttore
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 15.07.2010 n. 4557 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Il rilascio della concessione edilizia
(ora permesso di costruire) impone all'amministrazione
comunale una preliminare verifica circa la legittimazione
sostanziale del soggetto che chiede di esercitare lo ius
aedificandi, onde l'accertamento del possesso del titolo a
costruire costituisce una condizione la cui mancanza
impedisce all'ente comunale di procedere oltre nell'esame
dell'istanza, anche se va escluso l'obbligo di effettuare
complesse indagini dirette a ricostruire tutte le vicende
riguardanti l'immobile, quali l'inesistenza di servitù o di
altri vincoli reali idonei a limitare l'attività
edificatoria.
Deve ritenersi illegittima la concessione edilizia
rilasciata in base alla richiesta di un solo
comproprietario, dovendo l'amministrazione verificare la
sussistenza, in capo al richiedente stesso, di un titolo
idoneo di godimento sull'immobile ed accertare altresì la
legittimazione soggettiva di quest'ultimo, la quale
presuppone il consenso, anche tacito, dell'altro
proprietario in regime di comunione.
La giurisprudenza amministrativa ha affermato che: ”Il
rilascio della concessione edilizia (ora permesso di
costruire) impone all'amministrazione comunale una
preliminare verifica circa la legittimazione sostanziale del
soggetto che chiede di esercitare lo ius aedificandi,
in tal senso inducendo la prescrizione di cui all'art. 4
comma 1, l. n. 10 del 1977 («la concessione è data dal
sindaco al proprietario dell'area o a chi abbia titolo per
richiederla [...]»), e successivamente quella di cui
all'art. 11 comma 1, d.P.R. n. 380 del 2001 («il permesso
di costruire è rilasciato al proprietario dell'immobile o a
chi abbia titolo per richiederlo»), onde l'accertamento
del possesso del titolo a costruire (da riconoscere a
chiunque abbia, in virtù di un diritto reale o di
obbligazione sull'immobile, la facoltà di eseguire i lavori
in progetto) costituisce una condizione la cui mancanza
impedisce all'ente comunale di procedere oltre nell'esame
dell'istanza, anche se va escluso l'obbligo di effettuare
complesse indagini dirette a ricostruire tutte le vicende
riguardanti l'immobile, quali l'inesistenza di servitù o di
altri vincoli reali idonei a limitare l'attività
edificatoria” (TAR Emilia Romagna-Parma, 21.02.2007, n. 53).
La giurisprudenza del Consiglio di Stato, proprio in
considerazione della trasformazione del territorio
conseguente ad opere di ben minore entità, ha affermato che
“l'attività edilizia soggetta a concessione, determinando
una apprezzabile trasformazione dell'area interessata, sia
pure finalizzata al miglioramento oggettivo della cosa,
determina, di regola, un'incidenza significativa sul diritto
di ciascuno dei comproprietari, deve ritenersi illegittima
la concessione edilizia rilasciata in base alla richiesta di
un solo comproprietario, dovendo l'amministrazione
verificare la sussistenza, in capo al richiedente stesso, di
un titolo idoneo di godimento sull'immobile ed accertare
altresì la legittimazione soggettiva di quest'ultimo, la
quale presuppone il consenso, anche tacito, dell'altro
proprietario in regime di comunione" (fattispecie
relative alla richiesta di realizzazione dell'asfaltatura di
una strada privata per la quale un altro comproprietario
aveva manifestato espressamente il suo dissenso) Consiglio
Stato, sez. V, 15.03.2001, n. 1507 (TAR Liguria, Sez. I,
sentenza 13.07.2010 n. 5677 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Diniego di condono edilizio - D.L. n.
269/2003 - Titolo di legittimazione - Art. 31 L. n. 47/1985
- Sopraelevazione - Muro di proprietà di terzo -
Legittimità.
In sede di domanda di condono è onere dell'Amministrazione
verificare secondo un ordinario criterio di diligenza la
titolarità da parte del richiedente di ogni titolo edilizio,
anche in sanatoria, delle aree o dei sedimi oggetto
dell'intervento, e rigettare l'istanza nel caso in cui sia
stata rappresentata e documentata una situazione di
incertezza in ordine alla proprietà dell'immobile ovvero la
contrarietà di soggetti titolari di diritti reali
incompatibili o contrastanti con il diritto del richiedente.
Peraltro, sebbene l'art. 31 L. n. 47/1985 preveda che
l'istanza di condono possa essere presentata da altri
soggetti e non solo dal proprietario, tale norma si
riferisce a quei soggetti destinatari delle sanzioni, che
possono avere un vantaggio dal condono, ma non porta ad
ammettere che possano essere condonate opere realizzate
sulla proprietà altrui (massima tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 29.06.2010 n. 2665 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
1. Permesso di costruire in sanatoria -
Titolo per richiederlo - Accertamento da parte
dell'Amministrazione - Ulteriori accertamenti - Non
competono.
2. Permesso di costruire in sanatoria - Contenuto ed effetti
- Violazione norme edilizie - Art. 872 c.c. - Salvezza dei
diritti dei terzi - Tutela nelle sedi opportune.
1.
Il Comune ha l'obbligo, nel corso dell'istruttoria sul
rilascio del permesso di costruire in sanatoria, di
verificare che esista un titolo per intervenire
sull'immobile per il quale è richiesto il permesso edilizio
e che quindi, ex art. 11 D.P.R. n. 380/2001, questo sia
rilasciato al proprietario dell'area o a chi abbia titolo
per richiederlo.
L'Amministrazione non è tuttavia tenuta a compiere complesse
ricognizioni giuridico-documentali o accertamenti in ordine
a eventuali pretese che potrebbero essere avanzate da
soggetti estranei al rapporto concessorio, e, segnatamente,
ad accertare l'esistenza di difformità tra la situazione di
fatto e quanto risultante dalla mappa catastale, per
verificare gli esatti confini tra i mappali di proprietà
della ricorrente e quelli del richiedente il titolo
edilizio.
2.
Il permesso di costruire è un atto amministrativo che rende
legittima l'attività edilizia nell'ordinamento pubblicistico
e regola il rapporto che in relazione a quell'attività si
pone in essere tra l'autorità amministrativa che lo emette
ed il soggetto a favore del quale è emesso, ma non
attribuisce a favore di tale soggetto diritti soggettivi
conseguenti all'attività stessa, la cui titolarità deve
essere verificata alla stregua della disciplina comune, con
le consentite integrazioni della normativa speciale di cui
all'art. 872 c.c. ed alla norme da esso richiamate.
Conseguentemente il permesso di costruire in sanatoria
impugnato non pregiudica i diritti della ricorrente (nella
specie il diritto di proprietà su parte dell'area su cui
insistono le opere assentite) per la tutela dei quali dovrà
agire nelle opportune sedi (massima tratta da www.solom.it -
TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 28.04.2010 n. 1168 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Ricorso sulla condizione urbanistica
dell'immobile - Promissario acquirente - Legittimazione -
Condizioni.
La posizione
di promissario acquirente normalmente consente di proporre
ricorso sulla condizione urbanistica dell'immobile oggetto
della contrattazione.
Dal momento che il titolo edilizio può essere chiesto anche
quando l'acquisto della proprietà sia soltanto in itinere se
il promittente venditore non si oppone, la medesima
situazione permette di coltivare in sede giudiziale la
pretesa al riconoscimento di ulteriori diritti edificatori o
l'opposizione alla perdita di tali diritti (massima tratta
da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 21.04.2010 n. 1580 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Il nudo proprietario è pienamente
legittimato a presentare istanza per la realizzazione di
interventi edilizi.
Deve ritenersi frutto di un’erronea valutazione dell’art. 23
del d.p.r. 06.06.2001, n. 380, l’affermazione
dell’amministrazione che l’istante, in quanto nudo
proprietario non è legittimato alla presentazione delle
richiesta di esecuzione dei lavori. L’art. 23 cit., infatti,
individua genericamente quali soggetti legittimati “il
proprietario dell'immobile o chi abbia titolo per presentare
la denuncia di inizio di attività”.
Inoltre, anche dalla disciplina dettata dal codice civile in
materia di usufrutto, si desume la piena legittimazione del
nudo proprietario alla realizzazione degli interventi di
recinzione, atteso che tali opere non costituiscono
interventi di manutenzione ordinaria posti a carico
dell’usufruttuario a norma dell’art. 1004 c.c., ma rientrano
tra le opere straordinarie, che l’art. 1005 c.c. pone
espressamente a carico del nudo proprietario. L’art. 1005
individua, infatti, come interventi straordinari la
realizzazione di muri di cinta, ai quali non può non essere
assimilata la costruzione di una recinzione (TAR Basilicata,
sentenza 16.04.2010 n. 205 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Il Collegio condivide i rilievi delle
parti appellanti, secondo cui il comma 1 dell’art. 9 della
l. n. 122/1989 non circoscrive esclusivamente ai proprietari
degli immobili interessati la legittimazione a realizzare i
parcheggi agli stessi pertinenziali.
Infatti, la disposizione innanzi citata, dopo aver statuito
che: “…I proprietari di immobili possono realizzare nel
sottosuolo degli stessi ovvero nei locali siti al piano
terreno dei fabbricati parcheggi da destinare a pertinenza
delle singole unità immobiliari, anche in deroga agli
strumenti urbanistici ed ai regolamenti edilizi vigenti”
aggiunge che: “…Tali parcheggi possono essere realizzati, ad
uso esclusivo dei residenti, anche nel sottosuolo di aree
pertinenziali esterne al fabbricato (…)”.
Orbene, la forma impersonale utilizzata nella seconda
proposizione richiamata comporta che i parcheggi collocati
in aree esterne ai fabbricati, a differenza di quelli posti
nel sottosuolo o al piano terreno degli stessi, non devono
essere realizzati necessariamente dai proprietari
dell’immobile, ma possono esserlo anche da terzi:
evidentemente il legislatore, non potendo escludersi che le
“aree pertinenziali esterne” potessero appartenere a
soggetti diversi dai proprietari dell’immobile, ha ritenuto
di non dover limitare solo a questi ultimi la legittimazione
a chiedere il permesso per realizzarvi i parcheggi de quibus.
Inoltre, la locuzione “…Tali parcheggi” indica chiaramente
che la seconda proposizione del comma 1 è riferita alla
medesima ipotesi disciplinata dalla prima, ossia alla
realizzazione di parcheggi “da destinare a pertinenza delle
singole unità immobiliari, anche in deroga agli strumenti
urbanistici ed ai regolamenti edilizi vigenti”; di
conseguenza, anche la possibilità di derogare ai predetti
strumenti deve intendersi estesa agli interventi posti in
essere da terzi, oltre che dai proprietari.
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La nozione edilizia di pertinenzialità ha connotati
significativamente diversi da quelli civilistici, assumendo
in essa rilievo decisivo non tanto il dato del legame
materiale tra pertinenza ed immobile principale, quanto il
dato giuridico che la prima risulti priva di autonoma
destinazione e di autonomo valore di mercato e che esaurisca
la propria destinazione d’uso nel rapporto funzionale con
l’edificio principale, così da non incidere sul carico
urbanistico.
La pertinenzialità che il legislatore ha inteso considerare
i(con la l. 122/1989) non è tanto quella materiale esistente
tra l’edificio e l’area (sottostante, interna o esterna)
destinata ad accogliere il parcheggio, ma quella giuridica
esistente tra ciascun singolo posto auto da realizzare e una
specifica unità immobiliare, nel senso di creare fra di essi
un nesso di inscindibilità: ciò che è coerente con la ratio
della legge nr. 122 del 1989, che è quella di venire
incontro al bisogno di parcheggi dei residenti nelle aree
urbane evitando al tempo stesso operazioni speculative.
Una prima questione da affrontare nell’interpretazione del
citato art. 9 della legge nr. 122 del 1989 –la cui
formulazione non è certo delle più felici– è quella
dell’individuazione dei soggetti cui è consentito realizzare
i parcheggi interrati in deroga alle disposizioni degli
strumenti urbanistici (tali essendo le caratteristiche della
vicenda amministrativa per cui è causa).
Sul punto, occorre anzi tutto evidenziare l’estraneità alla
vicenda di che trattasi dell’ipotesi contemplata dal comma 4
dello stesso art. 9, il quale faculta i Comuni a realizzare
in proprio, su aree comunali o nel sottosuolo delle stesse,
dei “parcheggi da destinare a pertinenza di immobili
privati” e da cedere in diritto di superficie: nella
fattispecie, infatti, il Comune di Siena si è limitato ad
assentire la realizzazione di parcheggi interrati da parte
della società Pasqui Costruzioni S.r.l. su un suolo in
disponibilità della stessa in quanto messole a disposizione
da uno dei soggetti poi assegnatari dei box realizzati.
Ciò premesso, il Collegio condivide i rilievi delle parti
appellanti, secondo cui il comma 1 dell’art. 9 non
circoscrive esclusivamente ai proprietari degli immobili
interessati la legittimazione a realizzare i parcheggi agli
stessi pertinenziali.
Infatti, la disposizione innanzi citata, dopo aver statuito
che: “…I proprietari di immobili possono realizzare nel
sottosuolo degli stessi ovvero nei locali siti al piano
terreno dei fabbricati parcheggi da destinare a pertinenza
delle singole unità immobiliari, anche in deroga agli
strumenti urbanistici ed ai regolamenti edilizi vigenti”
aggiunge che: “…Tali parcheggi possono essere realizzati,
ad uso esclusivo dei residenti, anche nel sottosuolo di aree
pertinenziali esterne al fabbricato (…)”.
Orbene, la forma impersonale utilizzata nella seconda
proposizione richiamata comporta che i parcheggi collocati
in aree esterne ai fabbricati, a differenza di quelli posti
nel sottosuolo o al piano terreno degli stessi, non devono
essere realizzati necessariamente dai proprietari
dell’immobile, ma possono esserlo anche da terzi:
evidentemente il legislatore, non potendo escludersi che le
“aree pertinenziali esterne” potessero appartenere a
soggetti diversi dai proprietari dell’immobile, ha ritenuto
di non dover limitare solo a questi ultimi la legittimazione
a chiedere il permesso per realizzarvi i parcheggi de
quibus (ciò che, come meglio si dirà appresso, ha
rilievo anche ai fini della stessa definizione del concetto
di “aree pertinenziali esterne”).
Inoltre, la locuzione “…Tali parcheggi” indica
chiaramente che la seconda proposizione del comma 1 è
riferita alla medesima ipotesi disciplinata dalla prima,
ossia alla realizzazione di parcheggi “da destinare a
pertinenza delle singole unità immobiliari, anche in deroga
agli strumenti urbanistici ed ai regolamenti edilizi vigenti”;
di conseguenza, anche la possibilità di derogare ai predetti
strumenti deve intendersi estesa agli interventi posti in
essere da terzi, oltre che dai proprietari.
Più delicata è la seconda questione interpretativa del comma
1 dell’art. 9, in ordine al significato da attribuire alla
locuzione “aree pertinenziali esterne al fabbricato”:
se cioè essa richiami una nozione di pertinenzialità “materiale”,
come tale evocante un rapporto di accessorietà o
asservimento tra area esterna e fabbricato necessariamente
preesistente all’intervento realizzativo dei parcheggi
interrati, ovvero faccia riferimento a una nozione “giuridica”,
implicante semplicemente l’instaurazione di uno stabile
legame tra parcheggio e unità immobiliare in forza del quale
di essi non possa più disporsi separatamente, e quindi
suscettibile anche di non preesistere all’intervento e di
essere creato solo in un momento successivo alla
realizzazione del parcheggio (alla stessa stregua di quanto
più chiaramente previsto, per i parcheggi realizzati
direttamente dal Comune, al successivo comma 4).
Pur ribadendo che il dato normativo nella specie è
tutt’altro che limipido, il Collegio ritiene di dover
propendere per la seconda lettura, aderendo alle
prospettazioni in tal senso sviluppate dalle parti
appellanti.
Al riguardo, giova in primo luogo richiamare il noto
insegnamento secondo cui la nozione edilizia di
pertinenzialità ha connotati significativamente diversi da
quelli civilistici, assumendo in essa rilievo decisivo non
tanto il dato del legame materiale tra pertinenza ed
immobile principale, quanto il dato giuridico che la prima
risulti priva di autonoma destinazione e di autonomo valore
di mercato e che esaurisca la propria destinazione d’uso nel
rapporto funzionale con l’edificio principale, così da non
incidere sul carico urbanistico (cfr., ex plurimis,
Cons. Stato, sez. IV, 15.09.2009, nr. 5509; id., 23.07.2009,
nr. 4636; id., 07.07.2009, nr. 3379).
Se ciò è vero, ne discende che non può ritenersi a priori
inconfigurabile, nell’applicazione dell’art. 9 della legge
nr. 122 del 1989, l’ipotesi in cui l’area esterna non si
trovi in rapporto di immediata contiguità materiale con il
fabbricato cui i realizzandi parcheggi sono destinati ad
accedere: ciò, del resto, è in linea con la conclusione
sopra raggiunta nel senso che detta area esterna possa
originariamente essere anche di proprietà di soggetto
diverso dal proprietario dell’immobile nei cui confronti i
parcheggi sono destinati a divenire “pertinenziali”
(nel caso di specie, la società Pasqui Costruzioni S.r.l. è
stata autorizzata dal proprietario del suolo, il quale ha
poi mantenuto la proprietà di due dei box realizzati).
Ma, a ben vedere, v’è un ulteriore e decisivo argomento
testuale a sostegno della conclusione qui raggiunta, che è
ricavabile dalla prima proposizione del comma 1 del più
volte citato art. 9, laddove esso, con riferimento ai
parcheggi che i proprietari possono realizzare nel
sottosuolo o al pian terreno del fabbricato, li definisce
come “parcheggi da destinare a pertinenza delle singole
unità immobiliari”: quasi che anche in questo caso il
vincolo di pertinenzialità possa anche non preesistere alla
realizzazione del parcheggio, ma sorgere successivamente in
virtù di uno specifico atto di destinazione.
Ed invero, come si evince dalla lettura complessiva della
norma, la pertinenzialità che il legislatore ha inteso
considerare in questo caso non è tanto quella materiale
esistente tra l’edificio e l’area (sottostante, interna o
esterna) destinata ad accogliere il parcheggio, ma quella
giuridica esistente tra ciascun singolo posto auto da
realizzare e una specifica unità immobiliare, nel senso di
creare fra di essi un nesso di inscindibilità: ciò che è
coerente con la ratio della legge nr. 122 del 1989,
che è quella di venire incontro al bisogno di parcheggi dei
residenti nelle aree urbane evitando al tempo stesso
operazioni speculative (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 31.03.2010 n. 1842 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Installazione degli impianti per
l’esercizio della radiodiffusione sonora o televisiva -
Attività edilizia di costruzione degli impianti -
Concessione alla radiodiffusione - Titolo necessario di
legittimazione all’istanza edilizia.
L’art. 16 della legge 06.08.1990, n. 223 assoggetta a regime
concessorio tanto l’esercizio della radiodiffusione sonora o
televisiva quanto l'installazione dei relativi impianti.
Nel settore della radiodiffusione, il regime pubblicistico
di concessione appare un ragionevole strumento utilizzato
dal legislatore al fine di regolamentare lo sviluppo ed
esercizio del servizio e dell’attività stessa. Tale ratio,
sottesa alla norma, e al più generale impianto della legge,
postula che l’attività edilizia di costruzione degli
impianti non possa essere considerata funzionalmente
autonoma ma accessoria all’attività di radiodiffusione (cfr.
art. 25 D.Lgs. 259/2003).
Deve pertanto evincersi che l’art. 4 della stessa legge n.
223/1990, nel richiamare espressamente l’art. 16, pone la
concessione alla radiodiffusione quale necessario titolo di
legittimazione all’istanza edilizia (Cass. Pen., III,
06.11.2007, n. 172) (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 09.03.2010 n. 1387 - link a
www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Rilascio del titolo abilitativo edilizio
- Legittimazione attiva - Proprietario del fondo - Titolare
di altro diritto di godimento - Indagine istruttoria della
p.a. - Limiti.
La legittimazione attiva a chiedere il rilascio di un titolo
abilitativo edilizio è configurabile non solo in capo al
proprietario del terreno, ma anche in favore del soggetto
titolare di altro diritto di godimento del fondo, che lo
autorizzi a disporne con un intervento costruttivo (nel caso
di specie, estrattivo) e la p.a. non è tenuta a svolgere una
preliminare indagine istruttoria che si estenda fino alla
ricerca d'ufficio di eventuali elementi limitativi,
preclusivi o estintivi del titolo di disponibilità allegato
dal richiedente (Cons. Stato, V, n. 368/2004) (Consiglio di
Stato, Sez. VI,
sentenza 10.02.2010 n. 675 - link a
www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
L'accertamento della legittimazione soggettiva al rilascio
del permesso di costruire incontra il limite di non dover
compiere complesse ricognizioni giuridico-documentali ovvero
accertamenti in ordine ad eventuali pretese prospettabili da
soggetti estranei al rapporto, essendo ogni provvedimento
edilizio rilasciato “salvi i diritti dei terzi”.
I titoli edilizi vengono
rilasciati con salvezza dei diritti dei terzi.
E’ opinione comune nella giurisprudenza che se è vero che
l'art. 4 l. 28.01.1977 n. 10, attualmente riprodotto
dall'art. 11 d.P.R. 06.06.2001 n. 380, t.u. edilizia,
prevede che la concessione edilizia, oggi permesso di
costruire, debba essere rilasciata "al proprietario
dell'immobile o a chi abbia titolo per richiederlo" e
che pertanto in proposito, costante giurisprudenza (per
tutte Cons. Stato, sez. V, 15.03.2001 n. 1507) afferma
allora che in sede di rilascio il Comune è tenuto a
verificare la legittimazione soggettiva del richiedente,
tuttavia tale accertamento incontra il limite di non dover
compiere complesse ricognizioni giuridico-documentali ovvero
accertamenti in ordine ad eventuali pretese prospettabili da
soggetti estranei al rapporto, essendo ogni provvedimento
edilizio rilasciato “salvi i diritti dei terzi” (cfr.
in un caso relativo al condono edilizio, TAR Emilia
Romagna-Bologna, sez. II, 19.12.2006, n. 3260).
E’stato pertanto affermato il principio per cui il comune,
se non può prescindere dal considerare i presupposti di
fatto e di diritto che, comunque, possono incidere sulla
disponibilità dell'area da edificare da parte di chi
richiede la concessione, non può tuttavia nemmeno essere
tenuto a dirimere eventuali conflitti tra titoli di
proprietà, in quanto la concessione fa salvi i diritti dei
terzi. (TAR Abruzzo-L'Aquila, 07.05.2003, n. 233)
(TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 02.02.2010 n. 255 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
1. Rilascio del permesso di costruire -
Legittimazione soggettiva del richiedente - Obbligo di
verifica da parte della P.A. - Sussiste.
2. Rilascio del permesso di costruire - Legittimazione
soggettiva del richiedente - Obbligo di verifica da parte
della P.A. - Limiti - Complesse ricognizioni
giuridico-documentali e accertamenti di pretese di terzi -
Obbligo - Non sussiste.
3. Rilascio del permesso di costruire - Legittimazione
soggettiva del richiedente - Obbligo di verifica da parte
della P.A. - Portata.
1.
Ex art. 11, D.P.R. n. 380/2001, il permesso di costruire
deve essere rilasciato al proprietario dell'immobile o a chi
abbia titolo per richiederlo: pertanto in sede di rilascio
il Comune è tenuto a verificare la legittimazione soggettiva
del richiedente.
2.
L'obbligo in capo al Comune di accertamento della
legittimazione soggettiva del richiedente il permesso di
costruire incontra il limite di non dover compiere complesse
ricognizioni giuridico-documentali ovvero accertamenti in
ordine ad eventuali pretese prospettabili da soggetti
estranei al rapporto, essendo ogni provvedimento edilizio
rilasciato "salvi i diritti dei terzi" (cfr. TAR
Bologna, sent. n. 3260/2006).
3.
Il Comune, se da un lato non può prescindere dal considerare
i presupposti di fatto e di diritto che, comunque, possono
incidere sulla disponibilità dell'area da edificare da parte
di chi richiede la concessione, dall'altro non può nemmeno
essere tenuto a dirimere eventuali conflitti tra titoli di
proprietà, in quanto la concessione fa salvi i diritti dei
terzi. (cfr. TAR L'Aquila, sent. n. 233/2003) (massima
tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 02.02.2010 n. 255 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2009 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
L’amministrazione non è tenuta a svolgere
indagini particolari in presenza della
richiesta
edificatoria prodotta da un comproprietario.
Al contrario, qualora
uno o più comproprietari si attivino per
denunciare il proprio dissenso
rispetto al rilascio del titolo
edificatorio, il Comune deve
verificare se, dietro l’istanza di
concessione, sia riconoscibile
l’effettiva sussistenza della disponibilità
del bene oggetto dell’intervento
edificatorio e se, più in generale, la
situazione di fatto
consenta di supporre l’esistenza di un
pactum fiduciae intercorrente tra i
comproprietari.
È noto, del resto, che, se normalmente
l’Amministrazione non è tenuta a svolgere
indagini particolari in presenza della
richiesta edificatoria prodotta da un
comproprietario, al contrario, qualora uno o
più comproprietari si attivino per
denunciare il proprio dissenso rispetto al
rilascio del titolo edificatorio (o quando,
comunque, l’esistenza di un titolo di
proprietà in comune emerga dagli atti), il
Comune deve verificare se, dietro l'istanza
di concessione, sia riconoscibile
l'effettiva sussistenza della disponibilità
del bene oggetto dell'intervento
edificatorio (TAR Salerno, sez. II,
05.10.2007, n. 2080) e se, più in generale,
la situazione di fatto consenta (come
necessario: Cons. Stato, sez. V, 24.09.2003,
n. 5445) di supporre l’esistenza di un “pactum
fiduciae” intercorrente tra i
comproprietari (o, semmai di escludere,
all’esito di un effettivo accertamento sul
punto, la ventilata esistenza di un dominio
in comune). Al qual fine, in definitiva, ciò
che non è dato comunque omettere è il
coinvolgimento dei soggetti “prima facie”
coinvolti dal progettato intervento
edificatorio (TAR Campania-Salerno, Sez. II,
sentenza 16.12.2009 n.
7921 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Ai
sensi dell’art. 31 L. n. 47/1985,
legittimato a richiedere la sanatoria è, in
via generale, colui che ha titolo a
richiedere la concessione o autorizzazione
edilizia e, per giurisprudenza consolidata,
al fine di richiedere la concessione
edilizia, e per contestarne l’eventuale
diniego, è sufficiente l’esistenza di un
contratto preliminare relativo all’acquisto
del terreno, avuto riguardo all’esperibilità
della tutela in forma specifica (ai sensi
dell’art. 2932 cod. civ.) in caso di
inadempimento della controparte.
In via preliminare, va anzitutto chiarito,
andando in contrario avviso rispetto a
quanto ritenuto dal Tribunale
amministrativo, che, ad avviso del Collegio,
sussisteva la legittimazione del sig.
Maggiolo, all’epoca della presentazione
della domanda non ancora proprietario del
terreno, a richiedere il titolo edilizio in
sanatoria, in quanto, ai sensi dell’art. 31
L. n. 47/1985, legittimato a richiedere la
sanatoria è, in via generale, colui che ha
titolo a richiedere la concessione o
autorizzazione edilizia e, per
giurisprudenza consolidata, al fine di
richiedere la concessione edilizia, e per
contestarne l’eventuale diniego, è
sufficiente l’esistenza di un contratto
preliminare relativo all’acquisto del
terreno, avuto riguardo all’esperibilità
della tutela in forma specifica (ai sensi
dell’art. 2932 cod. civ.) in caso di
inadempimento della controparte (cfr. Cons.
Stato, VI Sez., n. 7847/2004).
Nella fattispecie, non è contestato quanto
affermato dall’appellante che fra lo stesso
e il proprietario del terreno su cui
insisteva il manufatto fosse stato stipulato
un contratto preliminare e che il terreno
fosse da decenni utilizzato dal Maggiolo e
che ancora lo fosse al momento della
richiesta di condono (30/12/1986); vi aveva
fatto seguito nel 2001 il definitivo
contratto di acquisto. Il provvedimento di
concessione in sanatoria n. 318 del
18/08/2001 risulta, quindi, legittimo in
quanto destinatario finale dello stesso è il
proprietario del terreno su cui è stato
realizzato il manufatto oggetto di sanatoria
(Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza 27.10.2009 n. 6545 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Quanto
alla problematica della individuazione del
soggetto cui il permesso di costruire può
essere rilasciato ed, in particolare, la
corretta interpretazione dell’articolo 11
del dpr n. 380/2001,
la giurisprudenza ha in generale chiarito
che la disposizione normativa va intesa nel
senso che il soggetto abilitato alla
richiesta è non solo il proprietario
dell’area , ma anche il titolare di un
diritto (avente o meno natura reale) che lo
legittimi nei confronti del proprietario
medesimo.
Con specifico riferimento, poi, alla
posizione del comodatario, essa ha affermato
che il titolare di un diritto di comodato è
legittimato alla richiesta di titoli edilizi
compatibili con l’effettiva disponibilità
del bene e con l’entità della trasformazione
oggetto della richiesta.
Occorre, dunque, guardare ai contenuti del
contratto stipulato dalle parti ed alle
facoltà in esso conferite al comodatario,
comparando le stesse con il tipo di
intervento edilizio che si è richiesto per
l’immobile oggetto del rapporto
obbligatorio.
La prima ragione di diniego afferma che “il
richiedente non risulta titolato poiché dal
contratto di comodato d’uso, allegato al
progetto, non si evince la possibilità, da
parte del comodatario (richiedente), di
poter intervenire con opere di così radicale
trasformazione”.
La disamina di essa involge la problematica
della individuazione del soggetto cui il
permesso di costruire può essere rilasciato
ed, in particolare, la corretta
interpretazione dell’articolo 11 del dpr n.
380/2001, il quale prevede, al primo comma,
che “il permesso di costruire è
rilasciato al proprietario dell’immobile o a
chi abbia titolo per richiederlo”.
Orbene, con riferimento al fabbricato
ubicato in località “Vallone Caprerie”,
non si pone alcun problema, considerato che
lo stesso è di proprietà della ricorrente,
onde sussiste certamente la qualità
soggettiva di “proprietario”
richiesta dalla norma.
Quanto al fabbricato sito in località “Taverna
Bosco”, va, invece evidenziato che la
sig.ra Falcone ne è comodataria, giusta
scrittura privata del 10-09-1999, registrata
il 07-04-2000.
La giurisprudenza ha in generale chiarito
che la disposizione normativa va intesa nel
senso che il soggetto abilitato alla
richiesta è non solo il proprietario
dell’area , ma anche il titolare di un
diritto (avente o meno natura reale) che lo
legittimi nei confronti del proprietario
medesimo.
Con specifico riferimento, poi, alla
posizione del comodatario, essa ha affermato
che il titolare di un diritto di comodato è
legittimato alla richiesta di titoli edilizi
compatibili con l’effettiva disponibilità
del bene e con l’entità della trasformazione
oggetto della richiesta (cfr. Cons. Stato,
V, 19-09-2008, n. 4518).
Occorre, dunque, guardare ai contenuti del
contratto stipulato dalle parti ed alle
facoltà in esso conferite al comodatario,
comparando le stesse con il tipo di
intervento edilizio che si è richiesto per
l’immobile oggetto del rapporto
obbligatorio.
Rileva il Tribunale che il citato contratto
di comodato ha ad oggetto il fabbricato
rurale con annessa corte e terreno agricolo
(in catasto alla partita 1406, foglio 5,
particelle 14, 16 e 17) e prevede,
all’articolo 2, che la proprietaria “autorizza
il comodatario a effettuare tutte quelle
opere che esso ritenesse necessario per
l’esercizio di un’azienda agricola, ivi
comprese la possibilità di richiedere
agevolazioni e finanziamenti a norma delle
vigenti leggi”.
La lettura dell’atto evidenzia, dunque, che
è data la facoltà al comodatario di
effettuare “opere” che siano dallo
stesso ritenute necessarie “per
l’esercizio di un’azienda agricola”.
Orbene, nel concetto di “opere”,
attesa la generalità e la onnicomprensività
della previsione (“tutte quelle opere"),
rientrano certamente quelle di carattere
edilizio ed inoltre gli interventi che sono
previsti per il fabbricato Taverna del Bosco
risultano certamente collegati e funzionali
all’esercizio dell’azienda agricola, atteso
che l’esame degli atti progettuali ad esso
relativi evidenzia (v. pure la relazione
giurata di parte in atti) che in tale
fabbricato non sono previsti incrementi dei
volumi residenziali esistenti ma unicamente
degli annessi agricoli, con conseguente
sussistenza del nesso funzionale dell’”esercizio
dell’azienda agricola”.
Da quanto sopra, dunque, emerge che il primo
motivo di diniego è certamente illegittimo,
non risultando, in capo alla sig.ra Falcone,
la carenza di titolo ritenuta dal Comune e
riveniente dai contenuti del contratto di
comodato
(TAR Campania-Salerno, Sez. II,
sentenza 07.08.2009 n. 4254 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Non è applicabile alla denuncia di
inizio attività l’art. 10-bis della legge n. 241/1990.
In sede di rilascio dei titoli edilizi (inclusa la
particolare ipotesi della denuncia di inizio attività), il
Comune è tenuto a verificare la legittimazione soggettiva
del richiedente, con il solo limite di non poter procedere
d’ufficio ad indagini su profili che non appaiano
controversi.
Come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza (da
ultimo, Consiglio di Stato, IV, n. 4828 del 12.09.2007) non
è applicabile alla denuncia di inizio attività l’art. 10-bis
della legge n. 241/1990 e, comunque, ai sensi dell’art.
21-octies della stessa legge, il vizio formale impedisce
l’annullamento del provvedimento impugnato nell’ipotesi in
cui il contenuto sostanziale dell’atto non avrebbe potuto
essere diverso.
Come affermato dal Consiglio di Stato (IV, n. 4828
del 12.09.2007), l’art. 10-bis della legge n. 241/1990 è
inapplicabile alla denuncia di inizio attività, che
costituisce un provvedimento (implicito) favorevole al
privato, mentre presenta contenuto negativo (pur non essendo
a rigore un rigetto dell’istanza) il successivo atto di
diffida a non compiere l’attività. Inoltre, il preavviso
relativo all’ordine di non eseguire si sostanzierebbe in
un’ingiustificata duplicazione dell’ordine stesso,
incompatibile con il termine ristretto entro cui
l’Amministrazione deve provvedere, non essendo, tra l’altro,
previste parentesi procedimentali produttive di sospensione
del termine medesimo.
Come affermato in
giurisprudenza (Consiglio di Stato, IV, n. 5811 del
25.11.2008; TAR Catanzaro, II, n. 1133 del 29.07.2008;
Consiglio di Stato, V, n. 2506 del 12.05.2003, n. 2506), in
sede di rilascio dei titoli edilizi (inclusa la particolare
ipotesi della denuncia di inizio attività), il Comune è
tenuto a verificare la legittimazione soggettiva del
richiedente, con il solo limite di non poter procedere
d’ufficio ad indagini su profili che non appaiano
controversi.
Ne consegue che l’Amministrazione ha il dovere di verificare
l’esistenza del possesso dell’area (cioè del concreto
esercizio, da parte del richiedente, del potere sulla cosa,
che si concreta in un’attività corrispondente all’esercizio
della proprietà o di altro diritto reale), anche tenendo
conto di eventuali giudizi instaurati (senza che ciò
implichi che sia devoluto al Comune il definitivo
accertamento di contrastanti posizioni di diritto
soggettivo, demandato, invece, alla sede naturale della
risoluzione di tali conflitti, cioè alla giurisdizione
ordinaria), di talché nella specie risulta legittimo (e
ragionevole) il ricorso alla diffida a non eseguire
l’attività, in quanto Biamonte Alfonsina in Leone ha
sostenuto in giudizio di aver usucapito (almeno in parte)
anche la particella 448 del foglio 14, come risulta
dall’atto di citazione versato in atti
(TAR Calabria-Catanzaro,
Sez. II,
sentenza 23.07.2009 n. 802 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
1. Permesso di costruire - Rilascio -
Obbligo della P.A. di verifica della legittimazione attiva
del richiedente - Sussiste - Limiti.
2. Competenza e giurisdizione - Accertamento profili
connessi alla proprietà o al possesso dell'immobile -
Giurisdizione generale di legittimità del G.A. - Sussiste -
Limiti.
3. Permesso di costruire - Presupposti - Atti di competenza
dei Vigili del Fuoco - Non costituiscono presupposto
necessario per il rilascio del permesso.
1.
In sede di rilascio di permesso di costruire, che viene
concesso al proprietario dell'immobile o a chi abbia titolo
per richiederlo, il Comune è tenuto a verificare la
legittimazione soggettiva del richiedente, con il solo
limite di non poter procedere d'ufficio ad indagini su
profili che della stessa non appaiano controversi (cfr.
Cons. di Stato, sent. n. 5811/2008).
2.
L'accertamento dei profili connessi alla proprietà o al
possesso dell'immobile costituiscono, nei limiti sopra
indicati, un'attività amministrativa di cui il giudice
amministrativo conosce in quanto rientra nella giurisdizione
generale di legittimità: e qualora, al fine di conoscere di
tale attività, egli si imbatta in questioni di diritto
soggettivo, il G.A. le conosce ex art. 8 L. 1034/1971,
secondo il quale il TAR, nelle materie in cui non ha
competenza esclusiva, decide con efficacia limitata di tutte
le questioni pregiudiziali o incidentali relative a diritti,
la cui risoluzione sia necessaria per pronunciare sulla
questione principale.
3.
In sede di impugnazione di titoli edilizi, il rilascio degli
atti di competenza del Comando dei Vigili del Fuoco non
costituisce presupposto per il rilascio della concessione
edilizia, di competenza del Comune, dando luogo ad un
distinto procedimento amministrativo, esperibile anche in
via di sanatoria (cfr. TAR Napoli, sent. n. 8234/2002)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II, sentenza 26.03.2009 n. 1993). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Concessione di costruzione - Criteri e
principi generali - Verifica legittimazione del richiedente
- Onere del Comune - Sussiste - Limiti.
L'Amministrazione Comunale, nel corso dell'istruttoria sul
rilascio della concessione edilizia, deve verificare che
esista il titolo per intervenire sull'immobile per il quale
è chiesta la concessione edilizia -anche se questa è sempre
rilasciata facendo salvi i diritti dei terzi- e se il titolo
non viene provato è legittimo che il rilascio della
concessione venga negato. Tale principio è desumibile
dall'art. 4, comma 1, Legge 10/1977, secondo cui la
concessione è data dal sindaco al proprietario dell'area o a
chi abbia titolo per richiederla, come confermato dall'art.
11, comma 1, D.P.R. n. 380/2001, in base al quale il
permesso di costruire è rilasciato al proprietario
dell'immobile o a chi abbia titolo per richiederlo.
Pertanto, la verifica del possesso del titolo a costruire
costituisce un presupposto la cui mancanza impedisce alla
P.A. di procedere oltre nell'esame del progetto, anche se
deve escludersi un obbligo del Comune di effettuare
complessi accertamenti diretti a ricostruire tutte le
vicende riguardanti l'immobile in oggetto, con particolare
riferimento all'inesistenza di servitù o di altri vincoli
reali che potrebbero limitare l'attività edificatoria
dell'immobile (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 4703/2007)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 06.02.2009 n. 1157 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2008 |
|
EDILIZIA
PRIVATA:
In sede di rilascio del permesso di
costruire, il Comune è tenuto a verificare la legittimazione
soggettiva del richiedente, con il solo limite di non poter
procedere d'ufficio ad indagini su profili della stessa che
non appaiano controversi.
L'art. 4 della legge 28.01.1977, n. 10, attualmente
riprodotto dall'art. 11 del d.P.R. 06.06.2001, n. 380 (t.u.
edilizia), prevede che la concessione edilizia, oggi
permesso di costruire, sia rilasciata "al proprietario
dell'immobile o a chi abbia titolo per richiederlo": in
proposito, costante giurisprudenza (v., per tutte, Cons.
Stato, sez. V, 15.03.2001 n. 1507) afferma allora che, in
sede di rilascio, il Comune è tenuto a verificare la
legittimazione soggettiva del richiedente, con il solo
limite di non poter procedere d'ufficio ad indagini su
profili della stessa che non appaiano controversi.
E se è vero, come qui sostiene l’appellante principale, che
il potere/dovere così delineato in capo all’Amministrazione
può limitarsi alla verifica dell’esistenza del possesso
dell’area (e cioè del concreto esercizio, da parte del
richiedente il titolo, del potere sulla cosa, che si
concreta in un’attività corrispondente all’esercizio della
proprietà o di altro diritto reale), tale accertamento
attiene pur sempre ad un livello minimo di istruttoria, che
va superato ed approfondito allorché, come appunto avviene
nel caso di specie e come ampiamente documentato in atti
dall’originaria ricorrente, problematiche di asserita,
indebita, appropriazione del fondo altrui insorsero già
all’atto dell’edificazione dei condomìni, cui ineriscono le
opere, di cui alla D.I.A. in argomento.
Una tale verifica, imposta dai più volte citati artt. 4
della legge n. 10/1977 ed 11 del d.P.R. n. 380/2001 (che,
nel richiedere la sussistenza di un titolo legittimante, non
possono che riferirsi alla concreta estensione del diritto
vantato e fatto valere avanti all’Amministrazione, senza che
per questo debba ritenersi devoluto alla stessa il
definitivo accertamento di eventualmente confliggenti
posizioni di diritto soggettivo, demandato alla sede
naturale della risoluzione di tali conflitti ch’è la
giurisdizione ordinaria), è nell’istruttoria all’esame del
tutto mancata, sì che della stessa deve farsi càrico
l’Amministrazione stessa nella riedizione dell’attività
amministrativa imposta dall’effetto conformativo scaturente
dalla presente decisione (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 25.11.2008 n. 5811 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Anche
i titolari di diritti personali di godimento
sono legittimati alla richiesta di titoli
edilizi, compatibili con l’effettiva
disponibilità del bene e con l’entità della
trasformazione oggetto della richiesta
autorizzatoria.
Infatti, la richiesta del condominio è stata
presentata al comune nella sua veste di
comodatario dell’area. Si tratta di
stabilire, allora, se la titolarità di tale
diritto di godimento sia sufficiente per
radicare la legittimazione alla richiesta
del titolo autorizzatorio e se il rilascio
del provvedimento edilizio sia impedito
dall’indicato atto di asservimento.
...
Il condominio
appellante basa la propria legittimazione
alla richiesta autorizzazione edilizia
facendo riferimento a un contratto di
comodato con il proprietario.
...
Del resto, la
giurisprudenza di questa Sezione ha più
volte chiarito che anche i titolari di
diritti personali di godimento sono
legittimati alla richiesta di titoli
edilizi, compatibili con l’effettiva
disponibilità del bene e con l’entità della
trasformazione oggetto della richiesta
autorizzatoria
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 19.09.2008 n. 4518 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
1. Richiesta di permesso di costruire,
anche in sanatoria, di opere realizzate su parti comuni -
Consenso di tutti i comproprietari - Opere ex art. 1102 c.c.
- Necessità.
2. Rilascio del permesso di costruire - Obbligo di verifica
da parte della Amministrazione di posizioni di opposizione
al rilascio - Sussiste.
3. Avviso di avvio del procedimento relativo a istanze di
rilascio di concessione edilizia - Obbligo di comunicazione
al proprietario del terreno confinante - Non sussiste.
1.
La richiesta di permesso di costruire, anche in sanatoria,
di opere realizzate su parti comuni dell'edificio necessita
del consenso di tutti i comproprietari quando si tratta di
interventi di cui all'art. 1102 c.c.
2.
In sede di rilascio del permesso di costruire,
l'Amministrazione è comunque tenuta a verificare la
posizione di avente diritto e quindi la legittimazione del
richiedente e l'esistenza di una chiara opposizione da parte
dei comproprietari.
3.
L'avviso di avvio del procedimento relativo a istanze di
rilascio di concessione edilizia non va inviata al
proprietario di un terreno confinante a quello interessato
dal procedimento, atteso che nel procedimento di rilascio di
concessione edilizia, gli interessi coinvolti dal
provvedimento con cui si consente la trasformazione edilizia
del territorio, sono di tale varietà, ampiezza ed
eterogeneità, da rendere difficilmente individuabili tutti i
soggetti che potrebbero riceverne nocumento (massima tratta
da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza
10.09.2008 n. 4038). |
EDILIZIA
PRIVATA:
La legittimazione a chiedere la
concessione edilizia spetta solo a chi abbia, in virtù di un
diritto reale o di una obbligazione, la facoltà di eseguire
il progetto assentito.
Ai sensi dell’art. 4, comma 1,
L. 28.01.1977 n. 10, la legittimazione a chiedere la
concessione edilizia spetta solo a chi abbia, in virtù di un
diritto reale o di una obbligazione, la facoltà di eseguire
il progetto assentito.
Tale legittimazione compete anche al singolo condòmino
riguardo ad un’opera da realizzare sulle parti comuni di un
edificio, ma solo ove tale opera sia strettamente
pertinenziale alla sua unità immobiliare, in virtù del
combinato disposto degli artt. 1102 (facoltà del comunista
di servirsi delle cose comuni), 1105 (concorso di tutti i
condomini alla cosa comune) e 1122 (divieto al condominio di
realizzare opere che danneggino le cose comuni) (Consiglio
di Stato, sez. V, 23.06.1997, n. 699)
(TAR Campania-Napoli, Sez.
IV,
sentenza 03.09.2008 n. 10036 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
CONDOMINIO:
Anche
l’amministratore di un condominio, se e quando munito di
specifici poteri a lui conferiti dai singoli condomini, può
richiedere il rilascio di una concessione edilizia in quanto
la legge non esclude che i soggetti titolati possano
avvalersi di altri soggetti, regolarmente incaricati secondo
le regole generali per esercitare il loro diritto.
Con
riferimento alla legittimazione ad agire dell’amministratore
del condominio, questo Tribunale ha già avuto modo di
chiarire che “anche l’amministratore di un condominio, se
e quando munito di specifici poteri a lui conferiti dai
singoli condomini, possa richiedere il rilascio di una
concessione edilizia in quanto la legge non esclude che i
soggetti titolati possano avvalersi di altri soggetti,
regolarmente incaricati secondo le regole generali per
esercitare il loro diritto. Ciò può facilmente verificarsi
nell’ipotesi di lavori di ristrutturazione di uno stabile
condominiale per i quali è richiesta la concessione edilizia
o nel caso di demolizione e successiva ricostruzione di un
edificio condominiale” (cfr. TAR Campania Napoli, sez.
II, n. 435/1996) (TAR Campania-Napoli, Sez. IV,
sentenza 03.09.2008 n. 10036 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Il comune ha l’obbligo di verificare la
documentazione allegata all’istanza di permesso di
costruire, sebbene questo sia sempre rilasciato facendo
salvi i diritti dei terzi, verificando compiutamente i
titoli di proprietà dei condòmini e negandolo qualora non
emerga la prova della sussistenza del titolo.
L'amministrazione comunale, ai fini del rilascio del
permesso di costruire, è onerata del solo accertamento della
sussistenza del titolo astrattamente idoneo da parte del
richiedente alla disponibilità dell'area oggetto
dell'intervento edilizio e nel caso di opere edilizie da
realizzare in aree condominiali tale onere si considera
assolto esclusivamente verificando il previo assenso degli
altri condomini.
Se il rilascio del permesso di costruire impone
all'amministrazione comunale una preliminare verifica circa
la legittimazione sostanziale del soggetto che chiede di
esercitare lo ius aedificandi, onde l'accertamento del
possesso del titolo a costruire costituisce una condizione
la cui mancanza impedisce all'ente comunale di procedere
oltre nell'esame dell'istanza, tuttavia deve ritenersi
escluso l'obbligo di effettuare complesse indagini dirette a
ricostruire tutte le vicende riguardanti l'immobile.
L’amministrazione comunale
–secondo quanto chiarito dalla giurisprudenza- ha l’obbligo
di verificare la documentazione allegata all’istanza di
permesso di costruire, sebbene questo sia sempre rilasciato
facendo salvi i diritti dei terzi, verificando compiutamente
i titoli di proprietà dei condòmini e negandolo qualora non
emerga la prova della sussistenza del titolo (Cons. Stato,
Sez. 5ª, 22.06.2000 n. 3525; TAR Campania, Sez. 4ª,
17.06.2002 n. 3601).
L'amministrazione comunale, ai fini del rilascio del
permesso di costruire, è onerata del solo accertamento della
sussistenza del titolo astrattamente idoneo da parte del
richiedente alla disponibilità dell'area oggetto
dell'intervento edilizio (TAR Liguria Genova, sez. I,
29.11.2007, n. 1987), e nel caso di opere edilizie da
realizzare in aree condominiali tale onere si considera
assolto esclusivamente verificando il previo assenso degli
altri condomini (v., ex multis, TAR Basilicata
18.12.2002 n. 1011).
Se il rilascio del permesso di costruire impone
all'amministrazione comunale una preliminare verifica circa
la legittimazione sostanziale del soggetto che chiede di
esercitare lo ius aedificandi, in tal senso inducendo
la prescrizione di cui all'art. 4 comma 1, l. n. 10 del 1977
(«la concessione è data dal sindaco al proprietario
dell'area o a chi abbia titolo per richiederla [...]»),
e successivamente quella di cui all'art. 11 comma 1, d.P.R.
n. 380 del 2001 («il permesso di costruire è rilasciato
al proprietario dell'immobile o a chi abbia titolo per
richiederlo»), onde l'accertamento del possesso del
titolo a costruire (da riconoscere a chiunque abbia, in
virtù di un diritto reale o di obbligazione sull'immobile,
la facoltà di eseguire i lavori in progetto) costituisce una
condizione la cui mancanza impedisce all'ente comunale di
procedere oltre nell'esame dell'istanza, tuttavia deve
ritenersi escluso l'obbligo di effettuare complesse indagini
dirette a ricostruire tutte le vicende riguardanti
l'immobile (TAR Emilia Romagna Parma, 21.02.2007, n. 53;
Cons. Stato, Sez. V, 07.07.2005 n. 3730)
(TAR Campania-Napoli, Sez.
IV,
sentenza 03.09.2008 n. 10036 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
1. Diniego di condono edilizio -
Richiesta di pagamento dell'oblazione - Contraddittorietà -
Non sussiste.
2. Diniego di condono edilizio - È atto vincolato in
mancanza della documentazione necessaria per comprovare la
legittimazione all'istanza e la data di conclusione delle
opere.
1.
In caso di reiezione di domanda di condono, non sussiste
contraddittorietà con la richiesta di pagamento
dell'oblazione in quanto questo è un presupposto per la
presentazione dell'istanza e le relative somme devono essere
restituite nel caso di diniego di condono definitivamente
accertato.
2.
Il diniego di condono è atto vincolato in mancanza della
documentazione necessaria per comprovare la legittimazione
all'istanza e la data di conclusione delle opere
(massima
tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 29.08.2008 n. 4009 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
1. Condono edilizio ex D.L. n. 269/2003
- Diniego di permesso di costruire in sanatoria - Obbligo di
motivazione in ordine all'interesse pubblico - Non sussiste.
2. Condono edilizio ex D.L. n. 269/2003 - Diniego di
permesso di costruire in sanatoria - Mancata integrazione in
riferimento alla legittimazione all'istanza ed al termine
dei lavori - Legittimità del diniego.
1.
Con riferimento al diniego di sanatoria per mancata
integrazione della documentazione presentata, non sussiste
alcun obbligo del Comune di motivare in ordine all'interesse
pubblico alla reiezione della domanda di condono edilizio in
quanto l'adozione del provvedimento di reiezione è vincolato
quando mancano i requisiti per l'accoglimento della domanda.
2.
E' legittimo il diniego di condono, in quanto atto
vincolato, in particolare quando risulta che l'istante non
ha dato prova né della sua qualifica di affittuaria alla
data di presentazione dell'istanza di condono, né della
realizzazione dei lavori entro i termini di legge per la
presentazione del condono, richieste dal Comune, non
rilevando, all'opposto, la dichiarazione presentata in
giudizio circa la conclusione delle opere effettuata da
terzi, in quanto non presentata al Comune
(massima tratta
da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 29.08.2008 n. 4008
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Sulla preliminare verifica d'ufficio se il richiedente il
permesso di costruire ne ha titolo o meno.
Ai sensi del vigente art. 11 del D.P.R. 380/2001
–riproduttivo dell’art. 4 della L. 10/1977– nel corso
dell’istruttoria il Comune ha l’obbligo di verificare
l’esistenza del titolo per intervenire sull’immobile per il
quale è richiesto il permesso di costruire. L’art. 38 della
L.r. 12/2005, allo stesso modo, prescrive che “La domanda
per il rilascio del permesso di costruire, sottoscritta dal
proprietario dell’immobile o da chi abbia titolo per
richiederlo, è presentata al competente ufficio comunale,
ovvero, laddove costituito, allo sportello unico per
l'edilizia, corredata da una attestazione concernente il
titolo di legittimazione, ….”.
In particolare la legittimazione attiva di cui al citato
art. 38 risulta configurabile non solo in capo al
proprietario del terreno, ma anche (ad esempio) in favore
del soggetto titolare di altro diritto reale di godimento
sul fondo che lo autorizzi a disporne con un intervento
costruttivo: compete pertanto al Comune, prima di rilasciare
il permesso, l’espletamento di una preliminare indagine
istruttoria volta a verificare la sussistenza di un titolo
sostanziale idoneo ad abilitare l’istante a sfruttare la
potenzialità edificatoria dell’immobile, senza che sia
necessaria un’ulteriore ricerca d’ufficio di eventuali
elementi limitativi, preclusivi o estintivi del titolo di
disponibilità allegato (Consiglio di Stato, sez. V –
04/02/2004 n. 368).
La funzione autorizzatoria dell’amministrazione richiede in
definitiva un livello minimo di istruttoria, comprendente
l’acquisizione di tutti gli elementi sufficienti a
dimostrare la sussistenza di un qualificato collegamento
soggettivo tra il sottoscrittore della domanda ed il bene
giuridico coinvolto dal progetto edilizio (TAR
Lombardia-Brescia,
sentenza 30.07.2008 n. 843 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Non
è necessario essere proprietari del suolo
per domandare un titolo edilizio, in quanto
è sufficiente, in alternativa alla
proprietà, una situazione di diritto privato
a ciò abilitante, vale a dire –per usare le
espressioni testuali della legge– l’avere un
“titolo per richiederlo” (cfr. art. 4 l.
28.01.1977, n. 10, ora art. 11 d.P.R.
06.06.2001, n. 380, secondo cui “il permesso
di costruire è rilasciato al proprietario
dell'immobile o a chi abbia titolo per
richiederlo”).
Oltre questo, vale comunque il limite
formale, posto dalle medesime disposizioni,
ed intrinseco al provvedimento, della
salvezza dei diritti dei terzi: perché il
titolo edilizio non incide sulla proprietà e
gli altri diritti reali, ma solo sulla
abilitazione a costruire.
Ma anche ad esaminare la fattispecie da un
punto di vista più formale, non sfugge che
siffatti elementi convergono nel dare piena
concretezza all’applicazione del principio
di legge per cui non è necessario essere
proprietari del suolo per domandare un
titolo edilizio, in quanto è sufficiente, in
alternativa alla proprietà, una situazione
di diritto privato a ciò abilitante, vale a
dire –per usare le espressioni testuali
della legge– l’avere un “titolo per
richiederlo” (cfr. art. 4 l. 28.01.1977,
n. 10, ora art. 11 d.P.R. 06.06.2001, n.
380, secondo cui “il permesso di
costruire è rilasciato al proprietario
dell'immobile o a chi abbia titolo per
richiederlo”).
Oltre questo, vale comunque il limite
formale, posto dalle medesime disposizioni,
ed intrinseco al provvedimento, della
salvezza dei diritti dei terzi: perché il
titolo edilizio non incide sulla proprietà e
gli altri diritti reali, ma solo sulla
abilitazione a costruire. Sicché –ove mai
qui la appellante si fosse dimostrata
davvero titolare di un diritto reale sul
suolo ostativo alla realizzazione
dell’impianto– questo diritto non sarebbe
stato intaccato dal provvedimento in
questione.
Sicché non ha rilevanza il fatto che chi ha
chiesto la concessione edilizia (la SE.GE.CO.
s.a.s.) non corrisponda ai proprietari del
suolo (Forti e Paolucci)
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 05.06.2008 n. 2642 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Allorché nel corso del procedimento di
rilascio del titolo si verifichi un intervento -di terzi-
che contesta la legittimazione del richiedente a conseguire
l’assenso ai lavori in progetto, l’amministrazione è tenuta
a dar corso ad accertamenti istruttori.
Il collegio conosce e considera in linea di principio
condivisibile l’orientamento della giurisprudenza che
ritiene che al comune non competa necessariamente
un’indagine approfondita sulla corrispondenza tra le
dichiarazioni del richiedente il titolo legittimante la
domanda di permesso e la realtà dei diritti reali
interessati.
Tuttavia, allorché nel corso del procedimento di rilascio
del titolo si verifichi un intervento (raccomandata
16.04.2007) che contesta la legittimazione del richiedente a
conseguire l’assenso ai lavori in progetto,
l’amministrazione è tenuta a dar corso ad accertamenti
istruttori, che non possono essere compendiati nella
tautologica proposizione utilizzata dall’amministrazione (“…
ritenuto che l’entità delle opere previste a progetto nelle
parti comuni rientri nei limiti fissati dall’art. 1102 del
Codice Civile…”), che non permette di comprendere perché
sia stato ritenuto osservato il disposto dell’art. 1102 c.c.
(TAR Liguria, Sez. I,
sentenza 04.04.2008 n. 462 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Il Sindaco, in sede di esame della
domanda di concessione edilizia, pur non dovendo compiere
approfondite indagini sui rapporti di diritto privato
intercorrenti tra gli interessati, è tenuto a verificare la
posizione di avente diritto e, quindi, la legittimazione del
richiedente.
Nel procedimento di rilascio della concessione edilizia,
anche in sanatoria, l’Amministrazione ha il potere e il
dovere di verificare l’esistenza, in capo al richiedente, di
un idoneo titolo di godimento sull’immobile o sulla parte di
esso interessato dal progetto di trasformazione urbanistica.
Secondo un consolidato orientamento di questo Tribunale, il
Sindaco, in sede di esame della domanda di concessione
edilizia, pur non dovendo compiere approfondite indagini sui
rapporti di diritto privato intercorrenti tra gli
interessati, è tenuto a verificare la posizione di avente
diritto e, quindi, la legittimazione del richiedente (cfr.
TRGA Bolzano, 28.05.1997, n. 213, 30.07.1997, n. 306,
30.09.2004, n. 433 e 27.02.2006, n. 81)
(T.R.G.A. Trentino Alto
Adige-Bolzano,
sentenza 27.03.2008 n. 101 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
L’attività istruttoria dell’ente locale
in materia di rilascio di permesso di costruire, se pure
radicata in primis alla valutazione degli aspetti
urbanistico-edilizi del progetto da assentire, non può
ritenersi esente dalla valutazione degli aspetti civilistici
della domanda di concessione (anche in sanatoria), qualora
nel fascio degli interessi coinvolti nel procedimento,
questi ultimi vengano tempestivamente e adeguatamente
introdotti dai soggetti aventi diritto.
Se normalmente l’Amministrazione non è tenuta a svolgere
indagini particolari in presenza della richiesta
edificatoria prodotta da un comproprietario, al contrario,
qualora uno o più comproprietari si attivino per denunciare
il proprio dissenso rispetto al rilascio del titolo
edificatorio, il Comune deve verificare se, dietro l’istanza
di concessione sia riconoscibile l’effettiva sussistenza
della disponibilità del bene oggetto del previsto intervento
edificatorio.
Come già ha avuto modo di precisare questo Tribunale con una
recente pronuncia dalla quale non ha ragione per discostarsi
(TAR Salerno n. 2080 del 05.10.2007), l’attività istruttoria
dell’ente locale in materia di rilascio di permesso di
costruire, se pure radicata in primis alla
valutazione degli aspetti urbanistico-edilizi del progetto
da assentire, non può ritenersi esente dalla valutazione
degli aspetti civilistici della domanda di concessione
(anche in sanatoria), qualora nel fascio degli interessi
coinvolti nel procedimento, questi ultimi vengano
tempestivamente e adeguatamente introdotti dai soggetti
aventi diritto.
Alle citate conclusioni il Tribunale è addivenuto
richiamando sul punto, a conforto di quanto rappresentato,
l’evoluzione giurisprudenziale in materia, ricostruendo con
l’ausilio di Cons. St. Sez. V 21.10.2003 n. 6529, il
percorso giurisprudenziale individuato:
“…in passato… la giurisprudenza era prevalentemente
orientata nel senso che il parametro valutativo
dell’attività amministrativa in materia edilizia è quello
dell’accertamento della conformità dell’opera alla
disciplina pubblicistica che ne regola la realizzazione,
salvi i diritti dei terzi e senza che la mancata
considerazione di tali diritti possa in qualche modo
incidere sulla legittimità dell’atto, più recentemente (cfr
Cons. St. Sez. V 15.03.2001 n. 1507) ha avuto occasione di
precisare che la necessaria distinzione tra gli aspetti
civilistici e quelli pubblicistici dell’attività
edificatoria non impedisce di rilevare la presenza di
significativi punti di contatto tra i due diversi profili.
In proposito, ha, pertanto, chiarito che non è seriamente
contestabile che nel procedimento di rilascio della
concessione edilizia l’Amministrazione abbia il potere ed il
dovere di verificare l’esistenza, in capo al richiedente, di
un idoneo titolo di godimento sull’immobile, interessato dal
progetto di trasformazione urbanistica, trattandosi di
un’attività istruttoria che non è diretta, in via
principale, a risolvere i conflitti di interesse tra le
parti private in ordine all’assetto proprietario degli
immobili interessati (nel caso in esame con-cernenti la
legittimità –o non– della esecuzione, ai sensi dell’art.
1102 cod. civ. delle opere edilizie che interessano porzioni
comuni) ma che risulta finalizzata, più semplicemen-te, ad
accertare il requisito della legittimazione del richiedente.
Ha, pertanto, concluso che, conformemente a quanto previsto
dal cit. art. 4 della legge n. 10 del 1977, in caso di opere
che vadano ad incidere sul diritto di altri comproprietari,
è legittimo esigere il consenso degli stessi (che può essere
manifestato anche per fatti concludenti) e che, a maggior
ragione, qualora vi sia un conclamato dissidio fra i
comproprietari in ordine all’intervento progettato, la
scelta dell’Amministrazione di assentire,comunque, le opere
(in base al mero riscontro della conformità agli strumenti
urbanistici) evidenzia un grave difetto istruttorio e
motivazionale, perché non dà conto della effettiva
corrispondenza tra la richiesta di concessione e la
titolarità del prescritto diritto di godimento (cfr. in
termini anche Cons. Stato V Sez. 20.09.2001 n. 4972; TAR
Toscana 23.11.2001 n. 1651; TAR Emilia Romagna, Parma,
21.03.2002 n. 183).”
Allo stato attuale dell’evoluzione giurisprudenziale,
dunque, può dirsi che se normalmente l’Amministrazione non è
tenuta a svolgere indagini particolari in presenza della
richiesta edificatoria prodotta da un comproprietario, al
contrario, qualora uno o più comproprietari si attivino per
denunciare il proprio dissenso rispetto al rilascio del
titolo edificatorio, il Comune deve verificare se, dietro
l’istanza di concessione sia riconoscibile l’effettiva
sussistenza della disponibilità del bene oggetto del
previsto intervento edificatorio (Cons. St. Sez. V
20.09.2001 n. 4972).
Non sfugge al Collegio che altra parte della giurisprudenza
non è di detto avviso (vedi Cons. St. n. 6297/2004),
ancorché anche queste pronunce non escludono, in linea di
principio, la necessità della previa valutazione della
legittimazione del soggetto che richiede il titolo edilizio
in applicazione dell’art. 4 l. n. 10/1977.
Il Collegio, tuttavia, reputa ormai consolidata e
maggio-ritaria la giurisprudenza favorevole alla valutazione
degli a-spetti civilistici della questione, così come
provato anche dalla recente pronuncia di Cons. St. Sez. V
11.04.2007 n. 1654, laddove si afferma che:
“Altrettanto correttamente, poi, il TAR ha ritenuto che,
dovendo i lavori edilizi de quibus eseguirsi (anche) su
parti comuni del fabbricato e trattandosi di opere non
connesse all’uso normale della cosa comune, essi
abbisognassero del previo assenso dei comproprietari anche
in relazione agli aspetti pubblicistici dell’attività
edificatoria, con particolare riguardo alle norme (art. 4
della legge n. 10 del 1977 e art. 11, comma 1, del d.P.R. n.
380 del 2000), che prevedono la verifica dell'esistenza, in
capo al richiedente, di titolo un attributivo dello jus
aedificandi sull'immobile oggetto di trasformazione
edilizia.
E’ pacifico, invero, che le parti private qui presenti in
giudizio hanno in comune la proprietà di tutte le parti
dell’edificio, interessato al contestato intervento
edilizio, necessarie all’uso comune e, in particolare, del
tetto e dei muri maestri, entrambi oggetto dell’intervento
stesso …
Così stando le cose, il Comune avrebbe dovuto chiedere il
consenso di tutti i proprietari ai fini del rilascio della
concessione per la realizzazione delle opere interessanti la
cosa comune e la lamentata mancata richiesta configura grave
di-fetto istruttorio e motivazionale, perché, secondo la
giurisprudenza di questo Consesso, “non dà conto della
effettiva corrispondenza tra la richiesta di concessione e
la titolarità del prescritto diritto di godimento ..." (così
Consiglio di Stato, Sez. V, 21.10.2003, n. 6529, ma cfr.
anche Sez. V, 15.03.2001, n. 1507 e Sez. V, 20.09.2001, n.
4972).”.
Pertanto, nell'ambito dell'accertamento della legittimazione
di colui che richiede la concessione … l'Amministrazione
aveva, nel caso specifico, il potere-dovere di verificare
l'esistenza, in capo al richiedente, di un titolo idoneo di
godimento dell’intero bene interessato dal progetto e di
subordinare il rilascio della concessione al consenso di
tutti i proprietari per la parte di intervento che interessa
le parti comuni, avendo questi, nei confronti dell'atto
concessorio, non la posizione di terzo, ma quella di
contitolare di un diritto, che, per la parte idealmente
spettante, non può, invito domino, essere modificata
o compressa dall'Amministrazione (TAR Campania-Salerno, Sez.
II,
sentenza 07.03.2008 n. 263 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2007 |
|
EDILIZIA
PRIVATA:
Sulla legittimazione di un promissario
acquirente a richiedere la concessione edilizia a proprio
nome a fronte di una clausola contrattuale che autorizza “a
presentare domanda di progettazioni”, cui ha fatto seguito,
successivamente al diniego impugnato in prime cure, atto
notarile di acquisto dell’area nell’ottobre 2005.
In punto di legittimazione a
svolgere attività edilizia il Collegio osserva che l’art. 4
della legge 28/01/1977, n. 10, enuncia che “…..la
concessione è data dal Sindaco al proprietario dell’area o a
chi abbia titolo per richiederla….” (confermato, ora,
come permesso di costruire, dall’art. 11, comma 1, D.P.R.
06.06.2001, n. 380).
Questo disposto, secondo l’esegesi consolidata della norma,
richiede per edificare la “disponibilità” dell’area e
implica una relazione qualificata a contenuto reale con il
bene (come proprietario, superficiario, affittuario di fondi
rustici, usufruttuario), anche se in formazione, non essendo
sufficiente il solo rapporto obbligatorio, in quanto il
diritto a costruire è una proiezione del diritto di
proprietà o di altro diritto reale di godimento che
autorizzi a disporre con un intervento costruttivo (Cons. di
Stato, V, 04.02.2004, n. 368).
In questo senso la giurisprudenza ammette la richiesta da
parte di altro titolare del diritto, reale o anche
obbligatorio, ma ciò quando, per effetto di essi,
l’interessato abbia obbligo o facoltà di eseguire i lavori
per cui è chiesta la concessione edilizia: in altre parole,
quando il richiedente sia autorizzato in base al contratto o
abbia ricevuto espresso consenso da parte del proprietario
(Cons. St., V, 15.03.2001, n. 1507).
La
verifica del possesso del titolo a costruire costituisce un
presupposto, la cui mancanza impedisce all’Amministrazione
di procedere oltre nell’esame del progetto (V, 12/05/2003,
n. 2506; IV, 22/06/2000, n. 3525) (Consiglio di Stato, Sez.
IV,
sentenza 08.06.2007 n. 3027 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Legittimazione a porre in essere interventi edilizi su
beni in comunione.
Secondo il consolidato
orientamento della giurisprudenza amministrativa, il Comune
ha l’obbligo, nel corso dell’istruttoria sul rilascio del
permesso di costruire, ai sensi dell’art. 4 L. n. 10 del
1977 e ora dell’art. 11 del D.P.R. n. 380 del 2001, di
verificare che esista il titolo per intervenire
sull’immobile per il quale è richiesto il permesso di
costruire e che, quindi, questo sia rilasciato al
proprietario dell’area o a chi abbia titolo per richiederla.
La verifica del Comune deve consistere proprio
nell’accertare, alla stregua delle diverse ipotesi
disciplinate dall’art. 1108 codice civile se –in riferimento
all’effettiva consistenza dell’intervento e alla incidenza
dello stesso sul godimento del bene comune da parte di tutti
i comproprietari- tale fatto sia o no idoneo a legittimare i
soggetti istanti ad ottenere l’assentimento a sanatoria
delle modificazioni dai medesimi apportate all’immobile in
comunione.
In particolare, il primo comma del citato articolo 1108 del
c.c., dopo avere previsto la possibilità, per i partecipanti
alla comunione, di disporre tutte le innovazioni dirette al
miglioramento o a rendere più comodo o redditizio il
godimento del bene in comunione a condizione che
l’intervento abbia l’approvazione almeno dei proprietari dei
due terzi del valore complessivo del bene comune, di seguito
impone due tipi di limitazioni a tale possibilità.
In primo luogo, le innovazioni approvate a maggioranza non
devono recare pregiudizio al godimento del bene comune da
parte di alcuno dei comproprietari e, in secondo luogo le
stesse non possono comportare una spesa eccessivamente
gravosa.
Pertanto, dal chiaro dettato della disposizione si evince
che, qualora ricorra uno di questi casi, la suddetta
maggioranza qualificata dei comproprietari non sia
sufficiente ad autorizzare l’intervento innovativo, essendo
al riguardo necessario l’espresso consenso della totalità
della proprietà comune
(TAR Emilia
Romagna-Parma,
sentenza 10.01.2007 n. 7
- link a www.altalex.com). |
anno 2006 |
|
EDILIZIA
PRIVATA:
1. Permesso di costruire - Termine per l'impugnazione.
2. Permesso di costruire - Diritti dei terzi - Valutazione.
1. La giurisprudenza amministrativa è
chiara nell'affermare (per tutte, Cons. Sta., sez. IV, n.
3614 del 2006 e n. 6465 del 2006) che ai fini della
decorrenza del termine per l'impugnazione di una concessione
edilizia (ora permesso di costruire), occorre la sua piena
conoscenza che si verifica con la consapevolezza del
contenuto specifico della concessione o del progetto
edilizio, ovvero quando la costruzione realizzata rivela in
modo certo ed in equivoco le essenziali caratteristiche
dell'opera e l'eventuale non conformità della stessa alla
disciplina urbanistica.
La prova della piena ed effettiva conoscenza può essere
desunta anche da elementi presuntivi ma nella fattispecie in
esame la prova di tale accertamento non è stata fornita dai
ricorrenti e, pertanto, in sua assenza, si deve concludere
per la tempestività della proposizione del ricorso.
2. L'art. 11, comma 3, del D.P.R. n. 380 del 2001 (e
l'art. 35, comma 3, della L. R. n. 12 del 2005) prevede che
"il permesso di costruire non comporta limitazioni dei
diritti dei terzi": ciò non significa, tuttavia, che
all'amministrazione comunale non incomba alcun onere di
verificare la legittimazione di colui che richiede il
rilascio del titolo edilizio ma l'accertamento deve avere ad
oggetto il controllo degli elementi di fatto esistenti e di
immediata consultazione senza spingersi fino alla
risoluzione di questioni giuridiche riguardanti gli assetti
proprietari degli immobili oggetto degli interventi (TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 20.12.2006 n. 3015
- massima tratta da www.solom.it - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Accertamento di conformità: legittimazione a proporre
istanza.
Ai sensi dell’art. 13
della legge n. 47/1985, la dichiarazione di conformità
disciplinata dalla norma e della cui applicazione è stata
fatta questione nella specie prevede che la sanatoria ivi
disciplinata sia accordata al "responsabile dell’abuso".
La norma, quindi, a differenza di quanto previsto dall’art.
4 della legge n. 10 del 1977 (invocato dai primi giudici)
non trova applicazione solo in presenza di una domanda
avanzata dal proprietario o da altro titolare di diritto
reale in quanto l’abuso sia al medesimo ascrivibile, ma
anche in presenza della domanda avanzata da colui che,
dell’abuso, è comunque responsabile in quanto, sanato
l’abuso, non potrebbe essere più chiamato a rispondere sul
piano sanzionatorio penale e/o amministrativo.
Responsabile dell’abuso può essere non solo il proprietario
o altro soggetto che vanti, sull’area, un diritto reale o
obbligatorio, ma anche, ad esempio, il titolare o altro
responsabile dell’impresa realizzatrice dei lavori, come
anche altri soggetti che, in relazione al loro rapporto
privilegiato o comunque qualificato con il bene (in quanto,
ad esempio, legittimi detentori o possessori dello stesso),
possano avere avuto la possibilità di realizzare l’abuso,
così assumendosene la responsabilità
(Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 23.11.2006 n. 6909
- link a www.altalex.com). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Accertamento di conformità: legittimazione a proporre
istanza.
Ai sensi dell’art. 13
della legge n. 47/1985, la dichiarazione di conformità
disciplinata dalla norma e della cui applicazione è stata
fatta questione nella specie prevede che la sanatoria ivi
disciplinata sia accordata al "responsabile dell’abuso".
La norma, quindi, a differenza di quanto previsto dall’art.
4 della legge n. 10 del 1977 (invocato dai primi giudici)
non trova applicazione solo in presenza di una domanda
avanzata dal proprietario o da altro titolare di diritto
reale in quanto l’abuso sia al medesimo ascrivibile, ma
anche in presenza della domanda avanzata da colui che,
dell’abuso, è comunque responsabile in quanto, sanato
l’abuso, non potrebbe essere più chiamato a rispondere sul
piano sanzionatorio penale e/o amministrativo.
Responsabile dell’abuso può essere non solo il proprietario
o altro soggetto che vanti, sull’area, un diritto reale o
obbligatorio, ma anche, ad esempio, il titolare o altro
responsabile dell’impresa realizzatrice dei lavori, come
anche altri soggetti che, in relazione al loro rapporto
privilegiato o comunque qualificato con il bene (in quanto,
ad esempio, legittimi detentori o possessori dello stesso),
possano avere avuto la possibilità di realizzare l’abuso,
così assumendosene la responsabilità
(Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 23.11.2006 n. 6906
- link a www.altalex.com). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Comune di Sabaudia - parere in merito alla legittimazione
dell'affittuario imprenditore agricolo ad ottenere il
rilascio del permesso di costruire (Regione Lazio,
parere
30.10.2006 n. 136839 di prot.). |
EDILIZIA PRIVATA: La
clausola relativa alla salvezza dei diritti
dei terzi deve intendersi nel senso che non
incombe all'autorità che rilascia la
concessione di compiere complesse
ricognizioni giuridico-documentali ovvero
accertamenti in ordine ad eventuali pretese
che potrebbero essere avanzate da soggetti
estranei al rapporto concessorio, essendo
sufficiente per l’Amministrazione
l’acquisizione del titolo che formalmente
abiliti alla concessione.
La clausola
relativa alla salvezza dei diritti dei
terzi, d’altronde, deve intendersi nel senso
che non incombe all'autorità che rilascia la
concessione di compiere complesse
ricognizioni giuridico-documentali ovvero
accertamenti in ordine ad eventuali pretese
che potrebbero essere avanzate da soggetti
estranei al rapporto concessorio, essendo
sufficiente per l’Amministrazione
l’acquisizione del titolo che formalmente
abiliti alla concessione (cfr. Cons. Stato,
Sez. V, 02.10.2002, n. 5165)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 26.05.2006 n. 3201 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2004 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Il “concetto di disponibilità dell’area”,
ai fini del rilascio del titolo edilizio, “non è
circoscritto alla dimostrazione della proprietà
dell’immobile, ma indica l’esistenza di una situazione
giuridica che abilita il titolare a sfruttare pienamente la
potenzialità edificatoria dell’immobile”, con la conseguenza
che “la disponibilità manca non solo quando il richiedente
non è proprietario del terreno, ma anche nei casi in cui la
proprietà è limitata da diritti reali di godimento che
incidono sulla possibilità di edificazione del suolo”.
Tuttavia, poiché la legittimità del provvedimento
amministrativo va essenzialmente valutata con riferimento
alla situazione di fatto e di diritto esistente al momento
della sua adozione, è evidente che la pur riscontrata
pendenza di una domanda di accertamento di un diritto di
servitù di passaggio su di un’area destinata dal suo
proprietario all’apposizione di una recinzione non può, di
per sé, costituire un idoneo presupposto affinché
l’Amministrazione Comunale neghi il rilascio del relativo
titolo edilizio.
La mera pendenza di una lite giudiziaria, infatti, non
configura un definitivo assetto dei diritti e degli obblighi
delle parti assoggettate all’azione amministrativa; né va
obliterata la circostanza che il rilascio del titolo
edilizio avviene sempre con la salvezza dei diritti dei
terzi (cfr., per l’epoca dei fatti di causa l’art. 4, sesto
comma, della L. 28.01.1977 n. 10 e, ora, l’art. 11, comma 3,
del T.U. approvato con D.P.R. 06.06.2001 n. 380).
---------------
5.1. Tutto ciò premesso, il ricorso va respinto.
5.2. Il Collegio non può che concordare con il principio,
puntualmente enunciato dalla stessa difesa della parte
ricorrente (cfr. pagg. 2 e 3 della memoria defensionale dd.
08.06.2004), secondo cui “il concetto di disponibilità
dell’area”, ai fini del rilascio del titolo edilizio, “non
è circoscritto alla dimostrazione della proprietà
dell’immobile, ma indica l’esistenza di una situazione
giuridica che abilita il titolare a sfruttare pienamente la
potenzialità edificatoria dell’immobile”, con la
conseguenza che “la disponibilità manca non solo quando il
richiedente non è proprietario del terreno, ma anche nei
casi in cui la proprietà è limitata da diritti reali di
godimento che incidono sulla possibilità di edificazione del
suolo” (così Cons. Stato, Sez. V, 22.06.2000 n. 3525).
Tuttavia, poiché la legittimità del provvedimento
amministrativo va essenzialmente valutata con riferimento
alla situazione di fatto e di diritto esistente al momento
della sua adozione (cfr., ex multis, Cons. Stato,
Sez. IV, 30.09.2002 n. 4994), è evidente che la pur
riscontrata pendenza di una domanda di accertamento di un
diritto di servitù di passaggio su di un’area destinata dal
suo proprietario all’apposizione di una recinzione non può,
di per sé, costituire un idoneo presupposto affinché
l’Amministrazione Comunale neghi il rilascio del relativo
titolo edilizio.
La mera pendenza di una lite giudiziaria, infatti, non
configura un definitivo assetto dei diritti e degli obblighi
delle parti assoggettate all’azione amministrativa; né va
obliterata la circostanza che il rilascio del titolo
edilizio avviene sempre con la salvezza dei diritti dei
terzi (cfr., per l’epoca dei fatti di causa l’art. 4, sesto
comma, della L. 28.01.1977 n. 10 e, ora, l’art. 11, comma 3,
del T.U. approvato con D.P.R. 06.06.2001 n. 380).
Deve dunque concludersi nel senso che il soddisfacimento
dell’interesse qui fatto valere dalla ricorrente potrà
avvenire, se del caso, innanzi alla giurisdizione ordinaria
e mediante i mezzi di tutela ivi esperibili.
Tali notazioni di fondo consentono, allo stesso tempo, di
escludere che il contributo della parte qui ricorrente
apportato nell'ambito del procedimento di rilascio del
titolo edilizio in questione potesse, a quel momento,
ragionevolmente comportare una determinazione contraria alla
richiesta di Va.: e ciò, pertanto, consente pure di
respingere le censure di violazione dell’art. 10 della L.
241 del 1990 e di eccesso di potere per difetto di
motivazione formulate dalla ricorrente.
Neppure sussiste la violazione della su riportata disciplina
di piano.
Il Collegio concorda sulla notazione della parte ricorrente
circa la sua “non perspicua formulazione letterale”
(cfr. pag. 5 dell’atto introduttivo del giudizio), ma reputa
che l’interpretazione del disposto in esame non possa,
comunque, avvenire contra legem, ossia –nella specie–
ablando la facoltà del proprietario di chiudere in qualunque
tempo il fondo (art. 841 cod. civ.), posto che la recinzione
comunque rientra tra le manifestazioni del diritto di
proprietà, comprendente pure lo jus excludendi alios,
e che -fermo restando l’esercizio della facoltà medesima-
soltanto la natura delle opere in concreto realizzate
consente di acclarare se ciò comporti, o meno, una
trasformazione edilizia ed urbanistica del territorio (cfr.
sul punto, ex multis, Cons. Stato, Sez. V, 15.06.2000
n. 3320 e la sentenza 14.01.2002 n. 62 di questa stessa
Sezione) (TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 20.10.2004 n. 3752 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L’art. 4, comma secondo, della L. n. 10/1977
statuisce espressamente che la concessione edilizia è
rilasciata “al proprietario dell’area o a chi abbia titolo
per richiederla”.
E’ noto al Collegio che per costante giurisprudenza,
soggetto legittimato a richiedere la concessione edilizia è,
non solo, il titolare del diritto di proprietà sul fondo ma
anche chi, pur essendo titolare di altro diritto, reale o di
obbligazione, abbia, per effetto di questo obbligo, la
facoltà di eseguire i lavori per i quali chiede la
concessione.
Tuttavia, va rilevato che se da un lato la
giurisprudenza riconosce anche al promittente compratore la
legittimazione a richiedere la concessione edilizia,
dall’altro non può essere esclusa la necessità che, in
ragione degli effetti propri del preliminare di
compravendita, siano assicurate le dovute garanzie in ordine
all’effettiva disponibilità dell’immobile da parte del
promettente acquirente.
---------------
Il ricorso è infondato.
L’art. 4, comma secondo, della L. n. 10/1977 statuisce
espressamente che la concessione edilizia è rilasciata “al
proprietario dell’area o a chi abbia titolo per
richiederla”.
E’ noto al Collegio che per costante giurisprudenza,
soggetto legittimato a richiedere la concessione edilizia è,
non solo, il titolare del diritto di proprietà sul fondo ma
anche chi, pur essendo titolare di altro diritto, reale o di
obbligazione, abbia, per effetto di questo obbligo, la
facoltà di eseguire i lavori per i quali chiede la
concessione (cfr. ex multis Cons. Stato, sez. IV,11.06.2002
n. 3253; Cons. Stato, Sez. V, sent. n. 1227 del 04.11.1997;
Cons. Stato, Sez. V, sent. n. 965 del 28.09.1993).
Tuttavia, va rilevato che se da un lato la giurisprudenza
riconosce anche al promittente compratore la legittimazione
a richiedere la concessione edilizia, dall’altro non può
essere esclusa la necessità che, in ragione degli effetti
propri del preliminare di compravendita, siano assicurate le
dovute garanzie in ordine all’effettiva disponibilità
dell’immobile da parte del promettente acquirente.
Nella fattispecie in esame, viceversa, è possibile
riscontrare vari elementi che fanno dubitare della
sussistenza in capo al richiedente la concessione edilizia
dell’effettiva disponibilità del bene in questione.
Innanzitutto, va rilevato che nonostante il notevole lasso
di tempo trascorso dall’avvio della pratica edilizia non
risulta che sia stato mai stipulato il contratto definitivo
di compravendita dell’area de qua. In secondo luogo, dubbi
ed incertezze permangono in ordine all’effettiva titolarità
del diritto di proprietà in capo al promittente alienante
sig. Zu. e alla reale sussistenza di qualsivoglia
diritto reale o di possesso sull’area in questione nella
quale, peraltro, è presente una fontanina posseduta da oltre
vent’anni dall’ente Acquedotto Pugliese.
Ne consegue, che la
descritta situazione di incertezza consente di ritenere
legittimo l’impugnato diniego, attesa l’assenza, nel caso di
specie, di un titolo idoneo a supportare la richiesta di
concessione edilizia.
Per le esposte considerazioni, il ricorso va, pertanto,
respinto (TAR Puglia-Lecce, Sez. III,
sentenza 11.10.2004 n. 7165 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2002 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
E' legittima la concessione edilizia rilasciata
al soggetto che risulta essere
promissario acquirente dei fondi.
---------------
7. La prima censura contesta il rilascio della
concessione alla società S.E.M. in quanto non titolare del
diritto di proprietà sulle aree sopra le quali dovrà
realizzarsi l'immobile.
Il mezzo è inammissibile e infondato.
Inammissibile perché, a fronte della duplice motivazione del
TAR, si è contestata in questo grado solo la pronuncia di
infondatezza, per altro con profili nuovi.
Infondato perché esattamente il TAR ha dichiarato
inammissibile il motivo in quanto i ricorrenti non sono
interessati a rivendicare la proprietà o altro diritto reale
sui fondi in contestazione.
Il motivo è inoltre infondato in fatto, perché la
concessione è stata rilasciata anche in favore della società
FI.LA.N. proprietaria dell'area mentre la società S.E.M.
risulta essere promissorio acquirente dei fondi (sulla
facoltà del soggetto titolare di diritti obbligatori o
promissario acquirente, effettivo possessore del fondo, di
richiedere la concessione edilizia, cfr. Cons. Stato, sez.
V, 18.06.1996, n. 1173; sez. V, 04.11.1997, n. 1227)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 11.06.2002 n. 3253 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2001 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
O. Carparelli,
Brevi note in tema di soggetti legittimati a
richiedere la concessione edilizia (08/2001
- link a www.lexitalia.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
O. Carparelli,
Brevi note in tema di soggetti legittimati a
richiedere la concessione edilizia (07-08/2001
- link a www.giustamm.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Ai
sensi dell’art. 4 della legge n. 10 del
28.01.1977 “la concessione è data dal
sindaco al proprietario dell’area o a chi
abbia titolo per richiederla”; ma deve
trattarsi di un titolo fondato su un diritto
reale, anche di servitù, o almeno su un
diritto obbligatorio (es., locazione), che
accordi al richiedente disponibilità del
bene immobile e la potestà edificatoria,
mentre una semplice relazione di fatto,
ancorché tutelata, quale quella legata al
possesso nella specie riconosciuto, non
appare tale da conferire il diritto a
vedersi rilasciato il titolo concessorio o,
come nella specie, quello autorizzatorio;
tanto più che nella specie le potestà che si
riconnettono al rilascio del contestato
titolo edificatorio si scontrano con la
volontà del legittimo proprietario dei beni
di cui si tratta, pure richiedente il
rilascio di analogo titolo.
La tutela possessoria accordata dal Pretore
con la sentenza n. 63/1986 atteneva, invero,
essenzialmente all’uso del bene, specie in
taluni periodi dell’anno, per finalità
religiose, ma non accordava al possessore
alcun diritto reale o obbligatorio rispetto
al bene di cui si discute; con la
conseguenza che nei confronti di detto
possessore non era configurabile una
posizione legittimante la richiesta del
titolo edificatorio ai sensi dell’art. 4
della legge n. 10 del 28.01.1977.
Tale norma prevede, infatti, che “la
concessione è data dal sindaco al
proprietario dell’area o a chi abbia titolo
per richiederla”; ma deve trattarsi di
un titolo fondato su un diritto reale, anche
di servitù, o almeno su un diritto
obbligatorio (es., locazione), che accordi
al richiedente disponibilità del bene
immobile e la potestà edificatoria, mentre
una semplice relazione di fatto, ancorché
tutelata, quale quella legata al possesso
nella specie riconosciuto, non appare tale
da conferire il diritto a vedersi rilasciato
il titolo concessorio o, come nella specie,
quello autorizzatorio; tanto più che nella
specie le potestà che si riconnettono al
rilascio del contestato titolo edificatorio
si scontrano con la volontà del legittimo
proprietario dei beni di cui si tratta, pure
richiedente il rilascio di analogo titolo.
Donde l’illegittimità dell’autorizzazione
rilasciata dal Comune a favore della
Parrocchia appellata e del conseguenziale
ordine di sospensione lavori avviati
dall’originario ricorrente (Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 28.05.2001 n. 2882 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Nel procedimento di rilascio della
concessione edilizia l’amministrazione comunale ha il potere
ed il dovere di verificare l’esistenza, in capo al
richiedente, di un idoneo titolo di godimento sull’immobile,
interessato dal progetto di trasformazione urbanistica. Si
tratta di un’attività istruttoria che risulta finalizzata ad
accertare il requisito della legittimazione soggettiva del
richiedente.
Ai sensi dell'art. 4 della l. 28.01.1977 n. 10, ha titolo a
richiedere la concessione edilizia o il proprietario
dell'area o chi abbia diritto o facoltà di richiederla: ciò
significa che detta concessione può essere richiesta o dal
titolare del diritto reale di proprietà sul fondo, o da chi,
pur essendo titolare di altro diritto, reale o di
obbligazione, abbia, per effetto di questo, obbligo o
facoltà di eseguire i lavori per cui chiede la concessione.
La facoltà del comproprietario di ottenere la concessione
edilizia va riconosciuta nei soli casi in cui risulti
documentato il consenso degli altri comproprietari.
La domanda di concessione edilizia può essere presentabile
anche da persona diversa dal proprietario, purché il
richiedente abbia titolo a disporre del suolo.
Non è seriamente contestabile che nel procedimento di
rilascio della concessione edilizia l’amministrazione ha il
potere ed il dovere di verificare l’esistenza, in capo al
richiedente, di un idoneo titolo di godimento sull’immobile,
interessato dal progetto di trasformazione urbanistica. Si
tratta di un’attività istruttoria che non è diretta, in via
principale, a risolvere i conflitti di interesse tra le
parti private in ordine all’assetto proprietario degli
immobili interessati, ma che risulta finalizzata, più
semplicemente, ad accertare il requisito della
legittimazione soggettiva del richiedente.
La funzione autorizzatoria dell’amministrazione richiede un
livello minimo di istruttoria, che comprende, comunque,
l’acquisizione di tutti gli elementi sufficienti a
dimostrare la sussistenza di un qualificato collegamento
soggettivo tra chi propone l’istanza ed il bene giuridico
oggetto dell’autorizzazione.
Questa elementare esigenza di verifica sull’ordinato
svolgimento delle attività sottoposte al controllo
autorizzatorio risulta presente anche nell’ambito del
procedimento di rilascio della concessione edilizia.
Non solo, ma la notevole incidenza della concessione
edilizia sugli interessi pubblici e privati coinvolti
impone, in modo ancora più stringente, un adeguato esame
sulla corrispondenza sostanziale tra la richiesta ed i
presupposti fattuali che la giustificano, anche in relazione
alla titolarità della necessaria posizione legittimante.
In questa corretta prospettiva, si tratta di stabilire se ai
fini del rilascio della concessione edilizia è necessario
che la richiesta sia formulata da tutti i comproprietari,
oppure è sufficiente che la domanda sia proposta da uno
soltanto dei titolari del diritto dominicale.
Al riguardo, si è chiarito che, ai sensi dell'art. 4 della
l. 28.01.1977 n. 10, ha titolo a richiedere la concessione
edilizia o il proprietario dell'area o chi abbia diritto o
facoltà di richiederla: ciò significa che detta concessione
può essere richiesta o dal titolare del diritto reale di
proprietà sul fondo, o da chi, pur essendo titolare di altro
diritto, reale o di obbligazione, abbia, per effetto di
questo, obbligo o facoltà di eseguire i lavori per cui
chiede la concessione (Consiglio Stato sez. V, 20.10.1994,
n. 1200).
Con riguardo alla legittimazione del singolo
comproprietario, è opportuno precisare che la determinazione
del contenuto delle facoltà di godimento del bene in
comproprietà spettante a ciascuno dei condomini, va compiuta
avendo riguardo al titolo del diritto, oppure, in mancanza,
applicando la normativa fissata dagli articoli 1100 e
seguenti del codice civile.
La disciplina civilistica delinea un complesso sistema,
articolato, essenzialmente, in tre diversi tipi di
interventi sulla cosa in comunione:
a)
ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché
rispetti la duplice condizione di non alterarne la
destinazione e di non impedire agli altri partecipanti di
farne parimenti uso secondo il loro diritto; a tal fine può
apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il
miglioramento della cosa (art. 1102);
b)
con la maggioranza dei due terzi del valore complessivo
della cosa comune, si possono disporre tutte le innovazioni
dirette al miglioramento della cosa o a renderne più comodo
e redditizio il godimento, purché esse non pregiudichino il
godimento di alcuno dei partecipanti e non importino una
spesa eccessiva (art. 1108, comma primo, del cod. civ.);
c)
è necessario il consenso di tutti i partecipanti per gli
atti di alienazione o di costituzione di diritti reali sul
fondo comune e per le locazioni di durata superiore ai nove
anni (art. 1108, comma secondo, del cod. civ.).
L’attività edilizia soggetta a concessione edilizia,
determinando una apprezzabile trasformazione dell’area
interessata, sia pure finalizzata al miglioramento oggettivo
della cosa, determina, di regola, un’incidenza significativa
sul diritto di ciascuno dei comproprietari.
La Sezione ha in precedenza
affermato il principio secondo cui la facoltà del
comproprietario di ottenere la concessione edilizia va
riconosciuta nei soli casi in cui risulti documentato il
consenso degli altri comproprietari.
In tal senso, si è puntualizzato che l'art. 27 l. 14.05.1981
n. 219, recante la facoltà di ricostruire un fabbricato
distrutto dal sisma del 1980 in un'altra località, e'
anch'esso subordinato al principio sancito dall'art. 4, l.
28.01.1977 n. 10 -secondo il quale la concessione edilizia
può essere rilasciata solo al proprietario dell'area o a chi
abbia titolo per ottenerla-, per cui detta facoltà può
spettare non solo al proprietario dell'area ubicata
nell'altra località, ma anche al comproprietario cui l'altro
comunista abbia rilasciato una dichiarazione sostitutiva di
atto notorio, con cui lo si autorizza alla ricostruzione
(Consiglio Stato sez. V, 30.10.1995, n. 1495).
La domanda di concessione edilizia può essere presentata
anche da persona diversa dal proprietario, purché il
richiedente abbia titolo a disporre del suolo (nella specie
il richiedente era comproprietario "pro indiviso" di
un fondo su parte del quale era destinato a sorgere il
fabbricato (Consiglio Stato sez. V, 28.09.1993, n. 965).
Non contrasta questa conclusione il principio, talvolta
affermato dalla Sezione, secondo cui il consenso del
comproprietario potrebbe anche non essere espresso, ma
manifestato per fatti concludenti. In tali circostanze,
infatti, si afferma la legittimità di concessioni edilizie
rilasciate sulla base di richieste formulate da uno solo dei
comproprietari e contestate non già dall’altro contitolare
del diritto, ma da un soggetto terzo.
In tale prospettiva, si afferma che la domanda di
concessione edilizia può essere presentabile anche da
persona diversa dal proprietario, purché il richiedente
abbia titolo a disporre del suolo (nella specie il
richiedente era comproprietario "pro indiviso" di un
fondo su parte del quale era destinato a sorgere il
fabbricato) (Consiglio Stato sez. V, 28.09.1993, n. 965)
(Consiglio di Stato, Sez.
V,
sentenza 15.03.2001 n. 1507 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2000 |
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EDILIZIA PRIVATA:
L’esecuzione di opere di trasformazione edilizia
ed
urbanistica del territorio è sottoposta ad una disciplina
complessa, che riguarda, rispettivamente, la definizione
degli assetti della proprietà immobiliare ed il controllo
pubblicistico sulla conformità
alle regole ed ai piani di derivazione pubblicistica. Gli
ambiti delle due discipline, finalizzate alla tutela di
interessi di consistenza disomogenea, non sono pienamente
sovrapponibili.
È quindi possibile che un determinato intervento edilizio,
astrattamente conforme alle prescrizioni urbanistiche, si
ponga in contrasto con la normativa di derivazione
civilistica, costituendo la
violazione di diritti reali di godimento o di altre facoltà
dei soggetti interessati.
Tuttavia, la necessaria distinzione tra gli aspetti
civilistici
e quelli pubblicistici dell’attività edificatoria non
impedisce di rilevare la presenza di significativi punti di
contatto fra i due diversi profili. Da una parte, la normativa edilizia di carattere
regolamentare è
idonea a fondare pretese sostanziali nei rapporti
interprivati, che assumono la consistenza ed il grado di
protezione del diritto soggettivo. Dall’altra parte, alcuni elementi di origine civilistica
assumono una rilevanza qualificata nel procedimento di
rilascio della concessione edilizia.
In particolare, non è seriamente contestabile che nel
procedimento di rilascio della concessione edilizia
l’amministrazione ha il potere di verificare l’esistenza, in
capo al richiedente, di un idoneo titolo di godimento
sull’immobile, interessato dal progetto di trasformazione
urbanistica. Si tratta di un’attività istruttoria che non è
diretta, in via principale, a risolvere i conflitti di
interesse tra le parti private in ordine all’assetto
proprietario degli immobili interessati, ma che risulta
finalizzata, più semplicemente, ad accertare il requisito
della legittimazione soggettiva del richiedente.
In termini generali, la funzione autorizzatoria
dell’amministrazione richiede un livello minimo di
istruttoria, che comprende, comunque, l’acquisizione di
tutti gli elementi sufficienti a dimostrare la sussistenza
di un qualificato collegamento soggettivo tra chi propone
l’istanza ed il bene giuridico oggetto dell’autorizzazione.
E, d’altra parte, l’esame del titolo di godimento operata
dall’amministrazione non costituisce una sorta di
eccezionale intrusione in un ambito privatistico, ma
rappresenta la coerente applicazione del principio secondo
cui l’autorità pubblica deve sempre verificare la
legittimazione del soggetto che propone un’istanza. In
questa prospettiva si spiegano le numerose norme di settore
in materia di licenze e di autorizzazioni commerciali, che
impongono all’istante di fornire la prova del titolo di
godimento dei locali destinati all’esercizio.
Questa elementare esigenza di verifica sull’ordinato
svolgimento delle attività sottoposte al controllo
autorizzatorio risulta presente anche nell’ambito del
procedimento di rilascio della concessione edilizia. Non
solo, ma la notevole incidenza della concessione edilizia
sugli interessi pubblici e privati coinvolti impone, in modo
ancora più stringente, un adeguato esame sulla
corrispondenza sostanziale tra la richiesta ed i presupposti
fattuali che la giustificano, anche in relazione alla
titolarità della necessaria posizione legittimante.
È vero che la valutazione delle richieste di concessione
edilizia mira, essenzialmente, ad assicurare la conformità
con gli strumenti di pianificazione urbanistica. Ma non si
può negare all’amministrazione comunale il compito di
assicurare, comunque, un ordinato svolgimento dell’attività
urbanistica, conforme all’assetto dei rapporti interprivati
relativi all’area interessata dall’intervento. Assentire la
realizzazione di opere edilizie a soggetti certamente privi
del necessario titolo di godimento sull’immobile
significherebbe alimentare il contenzioso tra le parti, con
grave danno anche per l’interesse pubblico all’armonico
sviluppo dell’attività di trasformazione urbanistica.
---------------
Circa il fatto di
stabilire l’ampiezza e la
profondità dei poteri istruttori spettanti
all’amministrazione in sede di verifica del titolo di
proprietà sull’immobile, si deve premettere che l’affermazione del
potere di verifica del titolo di proprietà non significa
affatto che l’amministrazione abbia l’obbligo incondizionato
di effettuare complessi e laboriosi accertamenti diretti a
ricostruire tutte le vicende riguardanti l’immobile
considerato. Anzi, il principio generale del divieto di
aggravamento del procedimento consente all’amministrazione
di semplificare ed accelerare tutte le attività di verifica
sul titolo, valorizzando gli elementi documentali forniti
dalla parte interessata.
In ogni caso, non può gravare sull’amministrazione l’onere
probatorio di appurare l’inesistenza di servitù o di altri
vincoli reali che incidono, limitandola, sull’attitudine
edificatoria dell’immobile, trattandosi di attività
istruttoria eccessivamente difficile e lunga.
Peraltro, qualora sia acquisita la prova della esistenza di
servitù di non edificare (totale o parziale), gravanti
sull’immobile oggetto della richiesta di concessione
edilizia, l’amministrazione ha l’obbligo di valutare tale
elemento ai fini del diniego del provvedimento.
Infatti, la servitù costituisce un peso imposto al fondo che
conforma, limitandolo, il diritto di proprietà del titolare,
anche in relazione alla pretesa edificatoria vantata nei
confronti della amministrazione. Al contrario, in mancanza
di adeguati elementi istruttori, ritualmente acquisiti nel
corso del procedimento, la concessione edilizia è
legittimamente rilasciata, ancorché sia accertata,
successivamente, l’esistenza di vincoli gravanti sulla
proprietà del concessionario.
In questo ambito si inserisce
l’orientamento giurisprudenziale in forza del quale
l'eventuale mancato rispetto di una servitù pattizia
preesistente non è di per sé motivo d'illegittimità della
concessione edilizia rilasciata per costruire sul fondo
servente, in quanto il comune non è tenuto, in sede di
esame delle relative domande di concessione, a ricercare
d'ufficio, né ad opporre al richiedente la pattuizioni
limitative della proprietà che costui o il suo dante causa
abbiano concluso con i terzi, tant'e' che la concessione
stessa viene rilasciata sempre con la clausola di salvezza
dei diritti di questi ultimi.
In tal modo, la Sezione ha esaminato una vicenda in certo
modo speculare e simmetrica a quella oggetto del presente
contenzioso, stabilendo che, in mancanza di elementi,
l'amministrazione non ha l'obbligo di verificare
l’inesistenza di diritti di servitù che limitino l’ampiezza
del titolo di proprietà del richiedente. Pertanto, la
concessione edilizia rilasciata in contrasto con i diritti
dei terzi, non è di per sé illegittima, a meno che non sia
accertato il contrasto con elementi istruttori acquisiti nel
corso del procedimento.
---------------
Laddove sia
in contestazione la legittimità non già di una concessione
edilizia rilasciata, bensì del suo diniego, basato su
precisi dati documentali e probatori emersi nel corso
dell’istruttoria, l’accertata carenza degli elementi che
dimostrino l’esistenza di un collegamento qualificato tra il
richiedente ed il bene immobile oggetto della richiesta di
concessione edilizia determina la legittimità del
provvedimento di diniego.
Del resto ai sensi dell'art. 4
l. 28.01.1977 n. 10 la concessione edilizia può essere rilasciata soltanto
al proprietario dell'area o a chi abbia altrimenti titolo
per richiederla; di conseguenza, pur se il rilascio della
concessione avviene salvi i diritti dei terzi, il comune è
tenuto a verificare l'esistenza del titolo e -in mancanza
di prova di quest'ultimo- legittimamente nega il rilascio
della concessione.
---------------
Il
concetto di disponibilità dell’area ai fini del rilascio
della concessione edilizia, non è circoscritto alla
dimostrazione della proprietà dell’immobile, ma indica
l’esistenza di una situazione giuridica che abilita il
titolare a sfruttare pienamente la potenzialità
edificatoria dell’immobile.
Pertanto, la disponibilità manca
non solo quando il richiedente non è proprietario del
terreno, ma anche nei casi in cui la proprietà è limitata da
diritti reali di godimento che incidono proprio sulla
possibilità di edificazione del suolo.
---------------
2. Con un primo motivo di gravame, gli appellanti
sostengono che non compete all’amministrazione comunale il
potere di respingere una richiesta di concessione edilizia,
pretendendo la cancellazione di una servitù gravante
sull’immobile oggetto dell’intervento, in quanto il
controllo dell’attività urbanistica riservato
all’amministrazione va effettuato esclusivamente alla
stregua di norme pubblicistiche, senza attribuire rilievo
alla disciplina civilistica della proprietà.
La censura è infondata.
3. L’esecuzione di opere di trasformazione edilizia ed
urbanistica del territorio è sottoposta ad una disciplina
complessa, che riguarda, rispettivamente, la definizione
degli assetti della proprietà immobiliare ed il controllo
pubblicistico sulla conformità
alle regole ed ai piani di derivazione pubblicistica. Gli
ambiti delle due discipline, finalizzate alla tutela di
interessi di consistenza disomogenea, non sono pienamente
sovrapponibili.
È quindi possibile che un determinato intervento edilizio,
astrattamente conforme alle prescrizioni urbanistiche, si
ponga in contrasto con la normativa di derivazione
civilistica, costituendo la
violazione di diritti reali di godimento o di altre facoltà
dei soggetti interessati.
4.
Tuttavia, la necessaria distinzione tra gli aspetti
civilistici
e quelli pubblicistici dell’attività edificatoria non
impedisce di rilevare la presenza di significativi punti di
contatto fra i due diversi profili. Da una parte, la normativa edilizia di carattere
regolamentare è
idonea a fondare pretese sostanziali nei rapporti
interprivati, che assumono la consistenza ed il grado di
protezione del diritto soggettivo. Dall’altra parte, alcuni elementi di origine civilistica
assumono una rilevanza qualificata nel procedimento di
rilascio della concessione edilizia.
5. In particolare, non è seriamente contestabile che nel
procedimento di rilascio della concessione edilizia
l’amministrazione ha il potere di verificare l’esistenza, in
capo al richiedente, di un idoneo titolo di godimento
sull’immobile, interessato dal progetto di trasformazione
urbanistica. Si tratta di un’attività istruttoria che non è
diretta, in via principale, a risolvere i conflitti di
interesse tra le parti private in ordine all’assetto
proprietario degli immobili interessati, ma che risulta
finalizzata, più semplicemente, ad accertare il requisito
della legittimazione soggettiva del richiedente.
In termini generali, la funzione autorizzatoria
dell’amministrazione richiede un livello minimo di
istruttoria, che comprende, comunque, l’acquisizione di
tutti gli elementi sufficienti a dimostrare la sussistenza
di un qualificato collegamento soggettivo tra chi propone
l’istanza ed il bene giuridico oggetto dell’autorizzazione.
E, d’altra parte, l’esame del titolo di godimento operata
dall’amministrazione non costituisce una sorta di
eccezionale intrusione in un ambito privatistico, ma
rappresenta la coerente applicazione del principio secondo
cui l’autorità pubblica deve sempre verificare la
legittimazione del soggetto che propone un’istanza. In
questa prospettiva si spiegano le numerose norme di settore
in materia di licenze e di autorizzazioni commerciali, che
impongono all’istante di fornire la prova del titolo di
godimento dei locali destinati all’esercizio.
6. Questa elementare esigenza di verifica sull’ordinato
svolgimento delle attività sottoposte al controllo
autorizzatorio risulta presente anche nell’ambito del
procedimento di rilascio della concessione edilizia. Non
solo, ma la notevole incidenza della concessione edilizia
sugli interessi pubblici e privati coinvolti impone, in modo
ancora più stringente, un adeguato esame sulla
corrispondenza sostanziale tra la richiesta ed i presupposti
fattuali che la giustificano, anche in relazione alla
titolarità della necessaria posizione legittimante.
È vero che la valutazione delle richieste di concessione
edilizia mira, essenzialmente, ad assicurare la conformità
con gli strumenti di pianificazione urbanistica. Ma non si
può negare all’amministrazione comunale il compito di
assicurare, comunque, un ordinato svolgimento dell’attività
urbanistica, conforme all’assetto dei rapporti interprivati
relativi all’area interessata dall’intervento. Assentire la
realizzazione di opere edilizie a soggetti certamente privi
del necessario titolo di godimento sull’immobile
significherebbe alimentare il contenzioso tra le parti, con
grave danno anche per l’interesse pubblico all’armonico
sviluppo dell’attività di trasformazione urbanistica.
7. Ciò chiarito, si tratta di stabilire l’ampiezza e la
profondità
dei poteri istruttori spettanti all’amministrazione in sede
di verifica del titolo di proprietà sull’immobile.
Al riguardo, si deve premettere che l’affermazione del
potere di verifica del titolo di proprietà non significa
affatto che l’amministrazione abbia l’obbligo incondizionato
di effettuare complessi e laboriosi accertamenti diretti a
ricostruire tutte le vicende riguardanti l’immobile
considerato. Anzi, il principio generale del divieto di
aggravamento del procedimento consente all’amministrazione
di semplificare ed accelerare tutte le attività di verifica
sul titolo, valorizzando gli elementi documentali forniti
dalla parte interessata.
In ogni caso, non può gravare sull’amministrazione l’onere
probatorio di appurare l’inesistenza di servitù o di altri
vincoli reali che incidono, limitandola, sull’attitudine
edificatoria dell’immobile, trattandosi di attività
istruttoria eccessivamente difficile e lunga.
8. Peraltro, qualora sia acquisita la prova della esistenza
di
servitù di non edificare (totale o parziale), gravanti
sull’immobile oggetto della richiesta di concessione
edilizia, l’amministrazione ha l’obbligo di valutare tale
elemento ai fini del diniego del provvedimento.
Infatti, la servitù costituisce un peso imposto al fondo che
conforma, limitandolo, il diritto di proprietà del titolare,
anche in relazione alla pretesa edificatoria vantata nei
confronti della amministrazione. Al contrario, in mancanza
di adeguati elementi istruttori, ritualmente acquisiti nel
corso del procedimento, la concessione edilizia è
legittimamente rilasciata, ancorché sia accertata,
successivamente, l’esistenza di vincoli gravanti sulla
proprietà del concessionario.
In questo ambito si inserisce
l’orientamento giurisprudenziale in forza del quale
l'eventuale mancato rispetto di una servitù pattizia
preesistente non è di per sé motivo d'illegittimità della
concessione edilizia rilasciata per costruire sul fondo
servente, in quanto il comune non è tenuto, in sede di
esame delle relative domande di concessione, a ricercare
d'ufficio, né ad opporre al richiedente la pattuizioni
limitative della proprietà che costui o il suo dante causa
abbiano concluso con i terzi, tant'e' che la concessione
stessa viene rilasciata sempre con la clausola di salvezza
dei diritti di questi ultimi (Consiglio Stato sez. V, 08.04.1997, n. 329).
In tal modo, la Sezione ha esaminato una vicenda in certo
modo speculare e simmetrica a quella oggetto del presente
contenzioso, stabilendo che, in mancanza di elementi,
l'amministrazione non ha l'obbligo di verificare
l’inesistenza di diritti di servitù che limitino l’ampiezza
del titolo di proprietà del richiedente. Pertanto, la
concessione edilizia rilasciata in contrasto con i diritti
dei terzi, non è di per sé illegittima, a meno che non sia
accertato il contrasto con elementi istruttori acquisiti nel
corso del procedimento.
9. Nel presente giudizio, invece, è in contestazione la
legittimità non già di una concessione edilizia rilasciata,
bensì del suo diniego, basato su precisi dati documentali e
probatori emersi nel corso dell’istruttoria.
In tali ipotesi, l’accertata carenza degli elementi che
dimostrino l’esistenza di un collegamento qualificato tra il
richiedente ed il bene immobile oggetto della richiesta di
concessione edilizia determina la legittimità del
provvedimento di diniego.
Del resto, la Sezione ha chiarito che, ai sensi dell'art. 4
l. 28.01.1977 n. 10 e 3 l.prov. Bolzano 03.01.1978
n. 1 la concessione edilizia può essere rilasciata soltanto
al proprietario dell'area o a chi abbia altrimenti titolo
per richiederla; di conseguenza, pur se il rilascio della
concessione avviene salvi i diritti dei terzi, il comune è
tenuto a verificare l'esistenza del titolo e -in mancanza
di prova di quest'ultimo- legittimamente nega il rilascio
della concessione (Consiglio Stato, Sez. V, 03.09.1985
n. 279).
10. È appena il caso di osservare che la legittimità del
diniego,
correlato dall’accertamento di limitazioni del titolo di
proprietà, emerge con particolare evidenza nell’ambito della
Provincia e del comune di Bolzano, per due concorrenti
ragioni:
a) il sistema della intavolazione di diritti
reali consente una rapida ed efficace verifica dell’assetto
dei diritti reali insistenti sugli immobili oggetto del
richiesto intervento edilizio. L’amministrazione, senza
particolari appesantimenti dell’iter procedimentale, è in
grado di verificare l’esistenza di limitazioni alla pretesa
edificatoria dell’interessato, tenendo conto dell’efficacia
costitutiva dell’iscrizione tavolare e della relativa
cancellazione;
b) il procedimento per il rilascio della
concessione edilizia
previsto dalla legislazione provinciale e dal regolamento
comunale di Bolzano prevede una partecipazione qualificata
dei “confinanti”, i quali sono in grado di indicare
tempestivamente tutte le ragioni ostative al rilascio della
richiesta concessione edilizia, comprese quelle relative
all’ inidoneità del titolo di proprietà,
limitato da diritti di servitù che incidono sulla attitudine
edificatoria del suolo.
Ed è significativo che, nella concreta vicenda all’origine
del presente giudizio, la determinazione negativa del comune
di Bolzano non è dipesa da una autonoma decisione
dell’amministrazione, ma dalla iniziativa assunta da alcuni
dei proprietari confinanti con la proprietà del richiedente
la concessione.
11. Contrariamente a quanto ritenuto dagli appellanti, il
concetto di disponibilità dell’area ai fini del rilascio
della concessione edilizia, non è circoscritto alla
dimostrazione della proprietà dell’immobile, ma indica
l’esistenza di una situazione giuridica che abilita il
titolare a sfruttare pienamente la potenzialità
edificatoria dell’immobile. Pertanto, la disponibilità manca
non solo quando il richiedente non è proprietario del
terreno, ma anche nei casi in cui la proprietà è limitata da
diritti reali di godimento che incidono proprio sulla
possibilità di edificazione del suolo.
12. Sotto altro profilo, gli appellanti deducono che il
progetto
non segna alcun contrasto con la servitù altius non tollendi,
in quanto non prevede alcuna elevazione dell’originario
fabbricato, ma solo una sistemazione degli esistenti volumi
tecnici.
La censura è infondata. Infatti, dalla documentazione
allegata alla richiesta, risulta che il progetto comporta un
apprezzabile mutamento della volumetria complessiva del
fabbricato, realizzato attraverso l’ampliamento della sagoma
esterna dell’edificio, ancorché senza alterazione
dell’originaria altezza (che pure già
superava i limiti stabiliti dalla servitù.
In tal modo, si mira a realizzare un risultato comunque
contrastante con il diritto di servitù degli interessati (Consiglio
di Stato, Sez. V,
sentenza 22.06.2000 n. 3525 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 1996 |
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EDILIZIA PRIVATA: Il promissario acquirente di un terreno
edificabile,
che ne abbia il possesso incontestato e
pacifico in forza di
un’apposita clausola di un contratto
preliminare di compravendita, è legittimato ad ottenere il rilascio
della concessione edilizia
per un intervento costruttivo da realizzare
su quel determinato
terreno, giacché la norma dell’art. 4, L.
n. 10/1977 privilegia la
disponibilità titolata dell’area, anche di
natura non dominicale
(Consiglio di
Stato, Sez. V, sentenza 18.06.1996, n. 718). |
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