dossier L.R.
28.11.2014 N. 31 |
per approfondimenti vedi anche:
Regione Lombardia:
La Legge regionale per la riduzione del consumo di suolo e
per la riqualificazione del suolo degradato
* * *
L.R.
28.11.2014 n. 31 |
anno 2019 |
|
URBANISTICA: Impugnazione
della proroga del documento di piano del PGT.
Il TAR Milano ritiene
inammissibili le contestazioni rivolte alla
proroga della validità di un Documento di
Piano di un PGT che non ha innovato il
contenuto dello stesso, ma ne ha
semplicemente ampliato l’arco di durata
temporale, senza alcuna rinnovata
valutazione e in esecuzione di una facoltà
espressamente prevista dall’art. 5, comma 5,
della legge regionale n. 31 del 2014, come
modificato con la legge regionale n. 16 del
2017.
Osserva la riguardo che: «Del resto, a causa
delle limitazioni imposte dal richiamato
comma 4 del citato art. 5 –secondo il quale
“fino all’adeguamento di cui al comma 3
[ovvero all’adeguamento del P.G.T. alle
disposizioni della presente legge in seguito
all’integrazione del P.T.R. e
all’adeguamento dei P.T.C.P.] e, comunque,
fino alla definizione nel PGT della soglia
comunale del consumo di suolo, di cui
all’articolo 8, comma 2, lett. b-ter),
della l.r. 12/2005, come introdotto
dall’articolo 3, comma 1, lett. h), della
presente legge, i comuni possono approvare
varianti generali o parziali del documento
di piano e piani attuativi in variante al
documento di piano, assicurando un bilancio
ecologico del suolo non superiore a zero”–
ai Comuni risultava impedita la piena
esplicazione della propria potestà pianificatoria
e quindi la possibilità di aggiornare
liberamente il contenuto del Documento di
Piano.
Conseguentemente, il
legislatore regionale per evitare che, in
attesa dell’adeguamento dei Piani regionali
e provinciali alla normativa sulla riduzione
del consumo di suolo, venisse meno la
validità di uno degli atti fondamentali del P.G.T., ossia del Documento di Piano (avente
una validità di cinque anni: art. 8, comma
4, della legge regionale n. 12 del 2005), ha
ammesso la possibilità di prorogarne gli
effetti fino all’adeguamento dei Piani di
livello sovracomunale alla legge n. 31 del
2014.
Tale opzione legislativa è vieppiù
comprensibile se si considera che, nella
versione precedente alla modifica introdotta
dalla legge regionale n. 16 del 2017, il
comma 4 dell’art. 5 della legge n. 31 del
2014 limitava ancora più sensibilmente il
potere comunale di intervenire in sede
pianificatoria (tuttavia tale disciplina è
stata ritenuta costituzionalmente
illegittima dalla Corte costituzionale con
la sentenza n. 179 del 16.07.2019).
Risulta evidente che una tale proroga,
ammessa dalla legge entro limiti ben precisi
–sia temporali che contenutistici-, sebbene
non obbligatoria, non consente di riaprire i
termini processuali per mettere in
discussione le scelte pianificatorie a suo
tempo adottate, altrimenti verrebbe
frustrata la stessa finalità di garantire la
continuità della disciplina recata dal
Documento di Piano, attraverso la possibile
invalidazione –per via giurisdizionale– di
quanto nello stesso contenuto ab origine.
Tale interpretazione appare coerente con
l’obiettivo perseguito dal legislatore
regionale e non risulta in contrasto con i
principi costituzionali, visto che
rappresenta un equilibrato bilanciamento tra
le esigenze di garantire la continuità
dell’azione amministrativa in ambito pianificatorio (ammettendo la proroga dei
Documenti di Piano scaduti con una procedura
semplificata) e le prerogative dei Comuni
(che possono scegliere se prorogare o meno
tale atto), non comprimendo eccessivamente e
per un tempo troppo lungo la posizione degli
amministrati (la proroga è limitata nel
tempo e, per le sue caratteristiche, non
consente di apportare modifiche al contenuto
dell’atto prorogato)»
(TAR Lombardia- Milano, Sez. II,
sentenza 19.11.2020 n. 2213 - commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
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2. La parte ricorrente ha impugnato, con il
ricorso introduttivo, la deliberazione con
cui è stata prorogata la validità del
Documento di Piano del Piano di governo del
territorio approvato nel 2009 (e già
prorogato fino al 31.12.2014), sino a
dodici mesi successivi all’adeguamento della
pianificazione provinciale e metropolitana
di cui al comma 2 dell’art. 5 della legge
regionale n. 31 del 2014, come modificato
dell’art. 1, comma 1, lett. b), della legge
regionale n. 16 del 2017.
3. Come eccepito dalla difesa comunale e
ammesso dalla stessa parte ricorrente, le
censure contenute nel ricorso (le prime
quattro) si riferiscono nella sostanza ad
“una serie di errori e vizi afferenti il
predetto PGT che, come si avrà modo di
approfondire successivamente, se fossero
stati rilevati dalla Provincia in sede di
controllo della compatibilità del Piano in
oggetto con il PTCP, avrebbero
necessariamente determinato l’esito negativo
del procedimento, con conseguente
impossibilità di approvare il PGT del Comune
di Cermenate così com’è articolato oggi”
(ricorso introduttivo, pag. 3).
Le predette contestazioni non possono essere
ritenute ammissibili, poiché la proroga
della validità del Documento di Piano non ha
innovato il contenuto dello stesso, ma ne ha
semplicemente ampliato l’arco di durata
temporale (fino a dodici mesi successivi
all’adeguamento della pianificazione
provinciale e metropolitana di cui al
novellato comma 2 dell’art. 5 della legge
regionale n. 31 del 2014), senza alcuna
rinnovata valutazione e in esecuzione di una
facoltà espressamente prevista dall’art. 5,
comma 5, della legge regionale n. 31 del
2014, come modificato con la legge regionale
n. 16 del 2017.
Del resto, a causa delle
limitazioni imposte dal richiamato comma 4
del citato art. 5 –secondo il quale “fino
all’adeguamento di cui al comma 3 [ovvero
all’adeguamento del P.G.T. alle disposizioni
della presente legge in seguito
all’integrazione del P.T.R. e
all’adeguamento dei P.T.C.P.] e, comunque,
fino alla definizione nel PGT della soglia
comunale del consumo di suolo, di cui
all’articolo 8, comma 2, lett. b-ter),
della l.r. 12/2005, come introdotto
dall’articolo 3, comma 1, lett. h), della
presente legge, i comuni possono approvare
varianti generali o parziali del documento
di piano e piani attuativi in variante al
documento di piano, assicurando un bilancio
ecologico del suolo non superiore a zero”–
ai Comuni risultava impedita la piena
esplicazione della propria potestà pianificatoria e quindi la possibilità di
aggiornare liberamente il contenuto del
Documento di Piano; conseguentemente, il
legislatore regionale per evitare che, in
attesa dell’adeguamento dei Piani regionali
e provinciali alla normativa sulla riduzione
del consumo di suolo, venisse meno la
validità di uno degli atti fondamentali del
P.G.T., ossia del Documento di Piano (avente
una validità di cinque anni: art. 8, comma
4, della legge regionale n. 12 del 2005), ha
ammesso la possibilità di prorogarne gli
effetti fino all’adeguamento dei Piani di
livello sovracomunale alla legge n. 31 del
2014.
Tale opzione legislativa è vieppiù
comprensibile se si considera che, nella
versione precedente alla modifica introdotta
dalla legge regionale n. 16 del 2017, il
comma 4 dell’art. 5 della legge n. 31 del
2014 limitava ancora più sensibilmente il
potere comunale di intervenire in sede pianificatoria (tuttavia tale disciplina è
stata ritenuta costituzionalmente
illegittima dalla Corte costituzionale con
la sentenza n. 179 del 16.07.2019).
Risulta evidente che una tale proroga,
ammessa dalla legge entro limiti ben precisi
–sia temporali che contenutistici–,
sebbene non obbligatoria, non consente di
riaprire i termini processuali per mettere
in discussione le scelte pianificatorie a
suo tempo adottate, altrimenti verrebbe
frustrata la stessa finalità di garantire la
continuità della disciplina recata dal
Documento di Piano, attraverso la possibile
invalidazione –per via giurisdizionale– di
quanto nello stesso contenuto ab origine.
Tale interpretazione appare coerente con
l’obiettivo perseguito dal legislatore
regionale e non risulta in contrasto con i
principi costituzionali, visto che
rappresenta un equilibrato bilanciamento tra
le esigenze di garantire la continuità
dell’azione amministrativa in ambito pianificatorio (ammettendo la proroga dei
Documenti di Piano scaduti con una procedura
semplificata) e le prerogative dei Comuni
(che possono scegliere se prorogare o meno
tale atto), non comprimendo eccessivamente e
per un tempo troppo lungo la posizione degli
amministrati (la proroga è limitata nel
tempo e, per le sue caratteristiche, non
consente di apportare modifiche al contenuto
dell’atto prorogato).
Quindi il ricorso introduttivo, rivolto
avverso la deliberazione del Consiglio
comunale di Cermenate n. 34 del 26.07.2017 di proroga del Documento di Piano,
nella parte in cui ha ad oggetto le
previsioni del predetto Documento approvate
con le deliberazioni consiliari n. 12 del 13.03.2009 e n. 13 del 16.03.2009 e
prorogate con la deliberazione n. 11 del 09.04.2014, è inammissibile in relazione
alle disposizioni prorogate (i primi quattro
motivi di ricorso).
Ad abundantiam, va anche sottolineato come
la richiamata disciplina pianificatoria è
stata oggetto, a suo tempo, di specifico
vaglio in sede giurisdizionale proprio su
iniziativa dall’odierno ricorrente, che si è
conclusa con la sentenza del Consiglio di
Stato n. 133/2011, che ne ha sancito la non
illegittimità. |
URBANISTICA: Incostituzionale
la legge regionale lombarda in materia di consumo di suolo che, nella fase
transitoria, impedisca varianti urbanistiche anche di tipo riduttivo.
La Corte costituzionale dichiara la illegittimità costituzionale delle
disposizioni regionali della Lombardia che impedivano ai Comuni -nelle more
dell’adeguamento dei piani urbanistici comunali ai principi regionali
relativi alla riduzione del consumo di suolo ed alla riqualificazione di
quello già degradato- la variazione dei documenti di piano vigenti nella
ipotesi di “anticipata riduzione” delle esistenti potenzialità
edificatorie (Corte Costituzionale,
sentenza 16.07.2019 n. 179).
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Urbanistica ed edilizia – Regione Lombardia – Riduzione del consumo del
suolo e riqualificazione del suolo degradato – Fase transitoria – Funzione
di pianificazione urbanistica comunale – Limiti – Incostituzionalità
È incostituzionale, per violazione del combinato
disposto dell’art. 117, secondo comma, lettera p), Cost., relativamente alla
competenza esclusiva statale sulle funzioni fondamentali, e degli artt. 5 e
118, primo e secondo comma, Cost., con riguardo al principio di
sussidiarietà verticale, l’ultimo periodo dell’art. 5, comma 4, della legge
della Regione Lombardia 28.11.2014, n. 31 (Disposizioni per la riduzione del
consumo di suolo e per la riqualificazione del suolo degradato), nel testo
precedente alle modifiche apportate dalla legge della Regione Lombardia
26.05.2017, n. 16, recante «Modifiche all’articolo 5 della legge regionale
28.11.2014, n. 31 (Disposizioni per la riduzione del consumo di suolo e per
la riqualificazione del suolo degradato)», nella parte in cui non consente
ai Comuni, sino all’adeguamento degli strumenti urbanistici sulla base dei
principi previsti dalla medesima legge regionale n. 31 del 2014 (riduzione
consumo suolo e riqualificazione di quello degradato), di apportare varianti
che riducono le previsioni e i programmi edificatori nel documento di piano
vigente (1).
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(1) I. – Con la sentenza in rassegna la Corte costituzionale
dichiara illegittima la disposizione regionale di cui all’art. 5, comma 4,
ultimo periodo, l.r. Lombardia 28.11.2014, n. 31 (“Disposizioni per la
riduzione del consumo di suolo e per la riqualificazione del suolo degradato”),
con la quale, in attesa dell’adeguamento del piano urbanistico comunale alle
finalità ed ai principi generali ivi contenuti, venivano mantenute ferme le
previsioni edificatorie contemplate nei vigenti strumenti di piano di
livello comunale.
Una simile disposizione, secondo la Corte, si pone in contrasto con le norme
costituzionali in tema di funzioni fondamentali degli enti locali e di
sussidiarietà verticale atteso che il potere urbanistico comunale verrebbe
di fatto vanificato e paralizzato nell’ipotesi, altresì, ove quest’ultimo
risulti preordinato ad introdurre, sempre nella fase transitoria,
modificazioni riduttive delle attuali potenzialità edificatorie
(modificazioni, queste, idonee anzi ad “anticipare” le suddette
finalità della richiamata legge regionale).
II. – Più in particolare:
a) alcuni proprietari di suoli (a loro tempo
edificabili) impugnavano la variante al piano regolatore del Comune di
Brescia con cui le loro rispettive originarie facoltà edificatorie venivano
cancellate.
Il Tar per la Lombardia, sez. staccata di Brescia, con sentenza 17.01.2017,
n. 47, accoglieva il ricorso dal momento che l’art. 5, comma 4, ultimo
periodo, della legge regionale n. 31 del 2014, impedisce la possibilità di
introdurre varianti di questo tipo nelle more dell’adeguamento degli
strumenti urbanistici comunali alle finalità ed ai principi di cui alla
stessa legge regionale (riduzione consumo suolo e riqualificazione di quello
degradato).
Una volta appellata la suddetta sentenza di primo grado il
Consiglio di Stato, con ordinanza n. 5711 del 04.12.2017 della
quarta sezione (oggetto della
News US del 21.12.2017 ed alla quale si rinvia per ogni
approfondimento di giurisprudenza e di dottrina), ha sollevato q.l.c. della
richiamata disposizione regionale transitoria per la violazione sia delle
competenze esclusive statali in materia di funzioni fondamentali degli enti
locali di cui all’art. 117, secondo comma, lettera p), Cost. (e tra queste
anche di quella in tema di pianificazione urbanistica comunali), sia del
principio di sussidiarietà verticale di cui all’art. 118, primo comma, Cost.;
b) questo in sintesi il ragionamento
sviluppato dalla Corte costituzionale:
b1) la disposizione
transitoria regionale consente, nelle more dell’adeguamento del piano
comunale alle predette finalità di riduzione e di riqualificazione della
stessa legge regionale, soltanto varianti di riorganizzazione
planovolumetrica, tipologica o progettuale di interventi già previsti.
Compressioni delle facoltà edificatorie quali quelle apportate con la
variante oggetto di impugnativa non sarebbero invece ammesse;
b2) le finalità perseguite
dalla legge regionale n. 31 del 2014 sono senz’altro degne della massima
considerazione, atteso che il consumo di suolo costituisce uno dei più gravi
problemi in termini di sostenibilità e di tutela delle risorse ambientali;
b3) occorre al tempo stesso
considerare: da un lato il riconoscimento della pianificazione urbanistica
nel novero delle funzioni fondamentali degli enti locali e in particolare di
quelli comunali; dall’altro lato la possibilità per il legislatore
regionale, data la competenza costituzionalmente riservata in materia di “governo
del territorio” (art. 117, terzo comma, Cost.), di disciplinare e di
conformare tale competenza amministrativa comunale;
b4) nella ricerca di un “punto
di equilibrio tra regionalismo e municipalismo” occorre comunque che le
leggi regionali in materia di “governo del territorio”, nel
conformare e disciplinare come detto la funzione urbanistica comunale, non
giungano mai a paralizzare o a vanificare quest’ultima;
b5) un tale punto di
equilibrio non va fissato in astratto ma va ricercato in concreto,
attraverso una valutazione “caso per caso” basata su un test di
proporzionalità che deve bilanciare: da un lato la meritevolezza
dell’interesse perseguito dal legislatore regionale; dall’altro lato la
adeguatezza e la stretta necessità del mezzo utilizzato per disciplinare ed
eventualmente limitare le funzioni urbanistiche comunali in vista degli
obiettivi che, più “a monte”, si intendono realizzare (criterio del “minimo
mezzo utile per perseguire gli scopi del legislatore regionale”);
b6) in questa direzione, se
per un verso lo scopo perseguito dal legislatore regionale (riduzione
consumo di suolo) costituisce senz’altro legittimo esercizio delle proprie
competenze costituzionalmente riservate, per altro verso lo strumento
utilizzato (divieto varianti anche in caso di eliminazione di facoltà
edificatorie) si rivela non solo non necessario ma addirittura
contraddittorio rispetto alle finalità poste dalla stessa legge regionale;
b7) ed infatti: la
compressione della potestas variandi in capo all’amministrazione
comunale, anche in caso di eliminazione di precedenti facoltà edificatorie,
non solo impedisce oltre misura l’esplicazione di una funzione fondamentale
degli enti locali ma addirittura preclude, in termini “paradossali”,
il raggiungimento “in anticipo” delle finalità di fondo della
legislazione regionale (riduzione consumo di suolo);
b8) né potrebbe invocarsi
la violazione del legittimo affidamento in capo ai proprietari circa la
pregressa vocazione edificatoria dei rispettivi suoli, e tanto in
considerazione di una univoca giurisprudenza del Consiglio di Stato (vengono
qui citate: “Consiglio di Stato, sezione quarta, sentenze 12.05.2016, n.
1907 e 07.11.2012, n. 5665.....”) diretta a non ritenere tutelabili,
sotto tale specifico profilo, le posizioni di coloro che non hanno stipulato
almeno una convenzione urbanistica.
III. – Si segnala per completezza quanto segue:
c) sulle iniziative legislative in tema di
riduzione del consumo di suolo si veda:
c1) disegno di legge n.
A.C. 2039 della XVII Legislatura (disegno di legge di iniziativa
governativa, c.d. collegato ambientale, in materia di “Contenimento del
consumo di suolo e riuso del suolo edificato” – presentato il
03.02.2014) poi non definitivamente approvato e secondo cui il suolo
costituisce “bene comune e risorsa non rinnovabile, che esplica funzioni
e produce servizi ecosistemici e che deve essere tutelato anche in funzione
della prevenzione e della mitigazione degli eventi di dissesto idrogeologico
e delle strategie di adattamento ai cambiamenti climatici” (cfr.
relazione illustrativa, pag. 2). Ulteriore principio fondamentale è poi “quello
della priorità del riuso del suolo edificato esistente e della rigenerazione
urbana rispetto all’ulteriore consumo di suolo inedificato” (cfr.
relazione illustrativa, pag. 2).
Con decreto ministeriale, da adottare dietro parere della Conferenza
unificata e sulla base di criteri da quest’ultima predeterminati, sarebbe
poi stato fissato “a livello nazionale … il limite quantitativo di
riduzione del consumo di suolo in vista del graduale azzeramento del consumo
in coerenza con quanto stabilito dalla Commissione europea circa il
traguardo da raggiungere entro il 2050” (cfr. relazione illustrativa,
pag. 3). Sulla base di tale programmazione di livello nazionale le singole
regioni avrebbero poi dato concreta attuazione alle norme di principio della
legislazione statale. Ciò anche ai fini del riuso e della rigenerazione
edilizia (attuata in concreto dalle amministrazioni comunali).
Veniva infine prevista una disposizione transitoria (alquanto più stringente
di quella della Regione Lombardia oggetto della decisione della Corte
costituzionale n. 179 del 2019) diretta a congelare per tre anni il consumo
di suolo, fatta eccezione per opere già inserite nei relativi strumenti di
programmazione e con salvezza, in ogni caso, dei procedimenti in corso al
momento della entrata in vigore della legge stessa;
c2) A.S. 984 della XVIII
Legislatura tuttora in corso (disegno di legge di iniziativa parlamentare
recante “Disposizioni per la rigenerazione urbana e per il contrasto al
consumo di suolo”, presentato in data 07.12.2018) con cui, dopo avere
ribadito alcuni principi sulla riduzione del consumo di suolo e sulla
priorità del riuso e della rigenerazione in analogia rispetto al richiamato
d.d.l. 2039 (ma senza prevedere una programmazione di livello nazionale),
viene prevista una più ampia ed articolata disciplina del periodo
transitorio con cui, tra l’altro, sono innanzitutto fatti salvi “i poteri
di pianificazione urbanistica dei comuni in senso più riduttivo” (art.
3, comma 5).
Si prevede poi un progressivo decremento, quanto al nuovo consumo di suolo,
sia dei piani già previsti dagli strumenti urbanistici vigenti al momento
della entrata in vigore della legge, sia di quelli approvati successivamente
ad essa. È in ogni caso previsto un incremento del contributo di
costruzione;
d) a livello eurounitario si veda:
d1) comunicazione della
Commissione del 22.09.2006, recante “Strategia tematica per la protezione
del suolo”, la quale, dopo avere descritto il quadro di intervento e lo
stato di estremo degrado del suolo in ambito europeo, si propone tra gli
obiettivi quello di adottare una direttiva quadro in materia nonché di
procedere alla modifica in parte qua delle direttive sui fanghi di
depurazione e sulla prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento
(direttiva IPPC), di verificare la coerenza e la congruità dei piani di
sviluppo rurale e di avviare progetti di sensibilizzazione e di supporto ai
progetti di ricerca;
d2) decisione n.
1386/2013/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 20.11.2013, recante
approvazione del cosiddetto Settimo programma di azione per l’ambiente, la
quale si concentra “su tre obiettivi tematici: a) proteggere, conservare
e migliorare il capitale naturale dell’Unione; b) trasformare l’Unione in
un’economia a basse emissioni di carbonio, efficiente nell’impiego delle
risorse, verde e competitiva; c) proteggere i cittadini dell’Unione da
pressioni e rischi d’ordine ambientale per la salute e il benessere”.
In particolare, dopo avere rammentato i problemi ambientali derivanti dal
degrado e della frammentazione del suolo, nonché dopo avere dato atto che
alcuni Stati membri hanno già compiuto alcuni progressi in materia, ci si
sofferma sull’importanza di “affrontare le problematiche legate alla
qualità del suolo all’interno di un quadro giuridico vincolante utilizzando
un approccio basato sui rischi mirato e proporzionato. Dovrebbero inoltre
essere stabiliti degli obiettivi per un uso sostenibile dei terreni e del
suolo” (cfr. punto 25 dell’Allegato alla decisione);
e) sul tema della riduzione del consumo del
suolo si veda, in dottrina: W. TOCCI, L'insostenibile ascesa della rendita
urbana; P. BERDINI, Il consumo di suolo in Italia: 1995-2006; J.P. LACAZE,
La speculazione, danni e benefici; H. NESSI e A. DELPIROU, La «compensazione»
urbanistica a Roma; P. URBANI, L'edilizia abitativa tra piano e mercato - I
programmi integrati di promozione di edilizia residenziale e di
riqualificazione urbana; V. CERULLI IRELLI e L. DE LUCIA, Il secondo «piano
casa»: una (incostituzionale) depianificazione del territorio, tutti in
Democrazia e diritto, 2009, fasc. n. 1; C. BOVINO, Pac, biodiversità
agraria, consumo del suolo (Agricoltura e ambiente ai tempi di Expo 2015),
in Ambiente, 2015, suppl. al n. 7, 33; P. CHIRULLI, La pianificazione
urbanistica tra esigenze di sviluppo e riduzione del consumo di suolo: la
riqualificazione dell’esistente, in Riv. giuridica urbanistica, 2015, 4,
592; W. GASPARRI, Suolo, bene comune? Contenimento del consumo di suolo e
funzione sociale della proprietà privata, in Dir. pubbl., 2016, 69; F.
SCALIA, Governo del territorio e tutela dell'ambiente: urbanistica e
limitazione del consumo di suolo, in Urbanistica e appalti, 2016, 1065; P.
URBANI, A proposito della riduzione del consumo di suolo, in Riv. giur.
edilizia, 2016, II, 227; G.F. CARTEI, Il suolo tra tutela e consumo, in Riv.
giur. urbanistica, 2016, 4, 10; F.F. GUZZI, Il contenimento del consumo di
suolo alla luce della recente legislazione nazionale e regionale, in Riv.
giur. urbanistica, 2016, 4, 25; E. FERRERO, Il contenimento del consumo di
suolo: problemi e prospettive, in Urbanistica e appalti, 2017, 191; S.
CIRIESI, Consumo del suolo e scenari urbanistici (Nota a Tar Lombardia, sede
Brescia, sez. I, n. 47/2017, in www.lexitalia.it, 2017); N. LUCIFERO, Il «contenimento
del consumo del suolo agricolo»: un problema di qualificazione e
regolamentazione giuridica, in Dir. agroalimentare, 2017, 27; L. DE LUCIA,
Il contenimento di consumo di suolo in Veneto, in Riv. giur. urbanistica,
2017, 597; M. ROVERSI MONACO, Tutela dell'ambiente e riduzione del consumo
di suolo nella legge regionale dell'Emilia Romagna n. 24/2017, in
Istituzioni del federalismo, 2017, 827; G. IACOVONE, Politiche fiscali nella
costruzione della città pubblica - A margine del consumo di suolo, in Dir. e
processo amm., 2018, 957; G. GUZZARDO, La regolazione multilivello del
consumo di suolo e del riuso dell'abitato, in Riv. it. dir. pubbl.
comunitario, 2018, 119; A. QUARANTA, Il consumo del suolo fra impasse
normativa, proposte settoriali e necessità di un cambio di marcia, in
Ambiente, 2018, 539;
f) sulla rigenerazione urbana si veda il
Piano nazionale per la rigenerazione urbana sostenibile, a cura del
Consiglio nazionale degli architetti pianificatori paesaggisti e
conservatori (maggio 2012), il quale si pone quale obiettivo principale
quello di garantire “efficienza, sicurezza e vivibilità alle 100 città
italiane che ospitano il 67% della popolazione nazionale”.
Di qui l’importanza di attivare “un Piano Nazionale per la Rigenerazione
Urbana Sostenibile -sul modello del Piano Energetico nazionale- che fissi
gli obiettivi e ne deduca gli strumenti politici, normativi e finanziari”.
In questa direzione, “La riqualificazione degli spazi pubblici, incidendo
sulla qualità della vita degli abitanti e sul loro senso di appartenenza ai
luoghi può, infatti, costituire un fattore decisivo nella riduzione delle
disparità tra quartieri ricchi e poveri, contribuendo a promuovere una
maggiore coesione sociale”. Iniziative queste “da attuarsi anche
mediante sostituzione di isolati, parti o interi quartieri costruiti nel
secondo dopoguerra, caratterizzati da un’edilizia di scarsissima qualità,
inadeguata sia in riferimento alle norme antisismiche ed idrogeologiche, che
a quelle sulla qualità degli impianti e contenimento dei consumi”.
Questi i principali obiettivi del piano:
f1) messa in sicurezza,
manutenzione e rigenerazione del patrimonio edilizio pubblico e privato
(nelle zone a rischi sismico risiedono oltre 24 milioni di persone, mentre
altri 6 milioni convivono con il rischio idrogeologico);
f2) drastica riduzione del
consumo del suolo e degli sprechi degli edifici, energetici e idrici,
promuovendo “distretti energetici ed ecologici”;
f3) rivalutazione degli
spazi pubblici, del verde urbano, dei servizi di quartiere;
f4) razionalizzazione della
mobilità urbana e del ciclo dei rifiuti;
f5) implementazione delle
infrastrutture digitali innovative con la messa in rete delle città
italiane, favorendo l’home working e riducendo così spostamenti e
sprechi;
f6) salvaguardia dei centri
storici e loro rivitalizzazione, evitando di ridurli a musei;
g) sulla rigenerazione urbanistica quale
strumento di contrasto al consumo del suolo si veda, in dottrina: E.M.
TRIPODI, Distretti del commercio e reti di impresa: le strategie per la
rigenerazione urbana, in Disciplina comm., 2014, fasc. 1, 17; R. DIPACE, La
rigenerazione urbana tra programmazione e pianificazione, in Riv. giur.
edilizia, 2014, II, 237; P. MANTINI, La perequazione urbanistica nel tempo
della rigenerazione urbana, in Riv. giur. edilizia, 2017, II, 375; M.
BITONDO, La nuova legge regionale del Lazio in materia di «rigenerazione
urbana» e di «recupero edilizio», in www.lexambiente.it, 2017; La
rigenerazione urbana e le nuove sfide per il governo del territorio, in
Istituzioni del federalismo, 2017, 603; ivi anche i saggi di: G.F. CARTEI,
Rigenerazione urbana e governo del territorio; R. DIPACE, Le politiche di
rigenerazione dei territori tra interventi legislativi e pratiche locali; G.
TORELLI, La rigenerazione urbana nelle recenti leggi urbanistiche e del
governo del territorio; T. BONETTI, La riforma urbanistica in Emilia Romagna
tra presente e futuro; F. SPANICCIATI, Emergenza sisma e nuovi strumenti
decisionali: la pianificazione delle zone colpite dai terremoti 2016-2017;
(a cura di) DI F. LASCIO e F. GIGLIONI, La rigenerazione di beni e spazi
urbani - Contributo al diritto delle città, Bologna, 2017; F. DI LASCIO,
Quali tendenze in corso nella rigenerazione delle città? (in Riv. giur.
edilizia, 2018, II, 135); A. GIUSTI, La rigenerazione urbana - Temi,
questioni e approcci nell'urbanistica di nuova generazione, Napoli, 2018; B.
GRAZIOSI, Gli interventi di riuso e rigenerazione urbana all'interno del
perimetro del territorio urbanizzato nella legge regionale dell'Emilia
Romagna 21.12.2017 (commento alla l.reg. Emilia Romagna 21.12.2017 n. 24),
in Riv. giur. edilizia, 2018, III, 71; M. BITONDO, La nuova legge regionale
del Lazio in materia di «rigenerazione urbana» e di «recupero
edilizio» - Modifiche legislazione previgente (art. 10), in
www.lexambiente.it, 2018; A. CALDERAZZI, N. OISHI, A.L.G. TARANTINO, G.
TORTORICI e C.M. TORRE, Lifestyle nella rigenerazione urbana: contesti,
strumenti ed azioni, a cura di A.L.G. TARANTINO, Bari, 2019;
h) sulle funzioni fondamentali degli enti
locali e su una loro eventuale compressione, anche nella materia
urbanistica, si veda:
h1) Corte cost.,
27.12.2018, n. 245 (in Giur. cost., 2018, 2758) secondo cui “Non è
fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 4, comma 4,
l.reg. Abruzzo 01.08.2017, n. 40, censurato, per violazione dell'art. 117,
comma 2, lett. s), Cost., in relazione agli artt. 6, comma 3, 12 e 65, comma
4, d.lgs. 03.04.2006, n. 152; nonché dell'art. 117, comma 3, Cost., in
relazione agli artt. 2, comma 4, e 9 d.P.R. 06.06.2001, n. 380 e agli artt.
4 e 7 l. 17.08.1942, n. 1150 (Legge urbanistica), in quanto prevede che il
recupero dei vani e locali di cui all'art. 2, comma 1 (ossia dei vani e
locali accessori situati in edifici esistenti o collegati direttamente ad
essi ed utilizzati anche come pertinenze degli stessi e dei vani e locali
seminterrati) «è ammesso anche in deroga ai limiti e prescrizioni edilizie
degli strumenti urbanistici ed edilizi comunali vigenti, ovvero in assenza
dei medesimi». La disposizione censurata è dettata nell'esercizio della
potestà legislativa concorrente in materia di governo del territorio e si
limita, unitamente alle altre contenute nella l.reg. n. 40 del 2017, ad
incentivare il recupero dei vani seminterrati ed accessori nel rispetto
della normativa ambientale e dei princìpi fondamentali della disciplina
urbanistica ed edilizia nazionale, dettando minute prescrizioni edilizie.
Essa, quindi, non comporta una «elusione» dell'obbligo di verifica di
assoggettabilità a VAS, mediante l'attrazione alla sfera legislativa della
modifica di strumenti amministrativi di pianificazione suscettibili di
incidere sull'ambiente. La norma censurata non pone, inoltre, alcuna deroga
alle previsioni del piano di bacino che, proprio in forza del parametro
interposto invocato (art. 65 d.lgs. n. 152 del 2006), si impongono a tutte
le amministrazioni e ai privati, a prescindere dal loro recepimento in altre
fonti legislative o regolamentari. Neanche sussiste la dedotta violazione
del principio fondamentale di attribuzione ai Comuni della funzione di
pianificazione urbanistica del territorio, poiché la disposizione censurata
consente esclusivamente deroghe minute alla disciplina edilizia comunale,
dettate nell'esercizio della competenza legislativa concorrente in materia
di governo del territorio, né del principio fondamentale stabilito dall'art.
9 TUE, che individua l'attività edilizia realizzabile in assenza degli
strumenti urbanistici (sentt. nn. 232, 254 del 2009, 168, 254 del 2010, 58,
251 del 2013, 46, 197 del 2014, 117, 219 del 2015, 84, 114 del 2017, 68 del
2018)”;
h2) Corte cost.,
09.02.2017, n. 32 (in Foro it., 2018, I, 1848), che ha dichiarato infondata
la questione di costituzionalità sollevata dalla Regione Veneto, per
violazione delle competenze legislative regionali in materia di “polizia
amministrativa locale” (art. 117, quarto comma, Cost.), in ordine alle
disposizioni del d.l. 19.06.2015, n. 78 (c.d. Legge Del Rio), nella parte in
cui veniva variamente regolato il transito del personale di polizia
provinciale nel ruolo degli enti locali. La Corte ha ritenuto in tale
occasione che: “Le censurate disposizioni si inseriscono nel processo di
riordino delle province e delle città metropolitane, avviato con la l.
07.04.2014 n. 56 (disposizioni sulle città metropolitane, sulle province,
sulle unioni e fusioni di comuni), con la quale, nell'esercizio delle
proprie competenze di cui agli art. 114 e 117, 2° comma, lett. p, Cost., «il
legislatore ha inteso realizzare una significativa riforma di sistema della
geografia istituzionale della repubblica»”.
Ed inoltre che: “Parallelamente alla nuova disciplina concernente il
riordino di detti enti, il legislatore statale ha previsto misure dirette
all'individuazione del personale da riallocare … disciplinandone altresì le
modalità di trasferimento e ridefinendo le dotazioni organiche … In
proposito, questa corte ha già affermato che «non c’è dubbio che la
disciplina del personale costituisca uno dei passaggi fondamentali della
riforma» … da farsi rientrare, in termini generali, nella competenza
esclusiva dello Stato in materia di «funzioni fondamentali di comuni,
province e città metropolitane» (art. 117, 2° comma, lett. p, Cost.). È del
tutto evidente, infatti, che «la ridefinizione delle funzioni amministrative
spettanti a regioni ed enti locali non può prescindere, per divenire
effettiva, dall’individuazione delle corrispondenti risorse di beni, di
mezzi finanziari e di personale»”.
Prosegue la Corte affermando che: “In particolare, la disciplina dettata
… stabilisce il transito del personale nei ruoli degli enti locali,
rimettendo peraltro agli enti di area vasta, alle città metropolitane e alle
stesse regioni l'individuazione di quel personale che, di volta in volta, è
necessario allo svolgimento delle proprie funzioni”.
Infine che: “La normativa impugnata deve essere ricondotta … non solo
alla materia di competenza esclusiva statale «funzioni fondamentali di
comuni, province e città metropolitane» —trattandosi, come detto, di
intervento che si colloca nel processo di riordino degli enti territoriali
avviato con la l. n. 56 del 2014—, ma anche a ulteriori titoli di competenza
statale”.
Ed infatti, trattandosi di “misure relative a rapporti lavorativi già in
essere”, le disposizioni statali impugnate erano dunque preordinate a
garantire le posizioni e le qualifiche già rivestite dai membri del suddetto
corpo, rendendo così “effettivo il diritto al lavoro di cui all’art. 4
Cost.”: di qui il pieno titolo ad intervenire mediante norme statali dal
momento che si rientrava, altresì, nella competenza legislativa esclusiva
dello Stato in materia di “ordinamento civile” (art. 117, secondo
comma, lett. l);
h3) Corte cost.,
07.07.2016, n. 160 (in Giur. cost., 2016, 1312) secondo cui “Non sono
fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 609,
lett. a), l. 23.12.2014, n. 190, censurato, per violazione degli artt. 117,
commi 3 e 4, 118 e 123 Cost., nonché dell'art. 3, comma 2, st. reg. Veneto,
nella parte in cui, al fine di organizzare i servizi pubblici locali a rete
di rilevanza economica, afferma l'obbligo per gli enti locali di partecipare
agli enti istituiti o designati per il governo degli ambiti o bacini
territoriali ottimali e omogenei, sanzionando la mancata adesione con la
previsione di poteri sostitutivi in capo al Presidente della Regione. La
disposizione censurata trova un duplice fondamento nelle competenze che
l'art. 117 Cost. attribuisce allo Stato, nell'ambito del coordinamento della
finanza pubblica e della tutela della concorrenza, essendo diretta al
conseguimento di risultati economici migliori nella gestione dei servizi
pubblici locali a rete di rilevanza economica e, quindi, a un contenimento
della spesa pubblica attraverso sistemi tendenzialmente virtuosi di
esercizio delle relative funzioni e, al contempo, essendo finalizzata, nel
disciplinare gli ambiti territoriali ottimali e le relative autorità di
governo, a superare situazioni di frammentazione e a garantire la
competitività e l'efficienza dei relativi mercati. Né le norme censurate
ledono l'autonomia amministrativa degli enti locali, in quanto si limitano a
razionalizzarne le modalità di esercizio, al fine di superare la
frammentazione nella gestione, preservando uno specifico ruolo agli enti
locali titolari di autonomia costituzionalmente garantita, nella forma della
partecipazione agli organismi titolari dei poteri decisionali. Infine,
benché il coordinamento tra la disposizione censurata e l'art. 1, comma 90,
l. 07.04.2014, n. 56 (che rafforza il ruolo delle Province, attribuendogli
il compito di organizzare i servizi pubblici locali, prima assegnato a enti
o agenzie soppressi) da essa richiamato non sia enunciato in termini del
tutto univoci, è pur sempre possibile conciliare le due disposizioni,
attraverso una lettura sistematica, rispettosa della ratio di entrambe,
posto che nulla impedisce alle Regioni, nei casi in cui optino per ambiti o
bacini di dimensioni provinciali (o, eccezionalmente, sub-provinciali), di
designare come enti di governo, titolari delle relative funzioni di
organizzazione, le Province secondo i principi di adeguatezza e
sussidiarietà, anche valorizzando, ove possibile, le autonomie funzionali.
Una tale scelta non impedisce alle Regioni di sopprimere, nel contempo, enti
e agenzie alle quali sia stato demandato, in precedenza, l'esercizio delle
stesse funzioni. In questi casi non si porrà alcun problema di adesione dei
Comuni agli enti di governo designati: più semplicemente, si verificherà un
trasferimento delle funzioni, per ragioni di esercizio unitario, presso le
Province, attualmente caratterizzate come enti di secondo grado”;
h4) Corte cost.,
13.03.2014, n. 46 (in Giur. cost., 2014, 1134) secondo cui “Non è fondata
la q.l.c. dell'art. 2 l. reg. Sardegna 23.10.2009, n. 4 -sollevata in
riferimento agli art. 3, 25, 117, 118 cost. e all'art. 3 dello statuto
speciale per la Sardegna- che consente l'ampliamento dei fabbricati ad uso
residenziale, di quelli destinati a servizi connessi alla residenza e di
quelli relativi ad attività produttive, entro il limite del venti per cento
della volumetria esistente, "anche mediante il superamento degli indici
massimi di edificabilità previsti dagli strumenti urbanistici".
La previsione regionale -che costituisce attuazione dell'intesa sul
cosiddetto "piano casa", raggiunta tra Stato, regioni ed enti locali
in sede di Conferenza unificata nel 2009- non viola gli art. 117, comma 3,
cost. e 3, comma 1, dello statuto speciale in ragione del suo asserito
contrasto con il "sistema della pianificazione" che assegna in modo
preminente ai comuni la valutazione generale degli interessi coinvolti
nell'attività urbanistica ed edilizia, in quanto il primo parametro risulta
inconferente, posto che lo statuto assegna alla Regione, in virtù della “clausola
di maggior favore” dettata dall'art. 10 l. cost. n. 3 del 2001, potestà
legislativa primaria, ossia piena, nella materia dell'"edilizia ed
urbanistica", entro la quale si colloca la norma censurata, né il
parametro statutario, atteso che, anche riconoscendo il "sistema della
pianificazione" come "principio dell'ordinamento giuridico della
Repubblica" ed espressione degli "interessi nazionali", esso non
potrebbe ritenersi assoluto, tale da impedire deroghe quantitativamente,
qualitativamente e temporalmente circoscritte, censurabili solo laddove
investono profili evocativi di specifici titoli di competenza legislativa
esclusiva dello Stato, quale, in particolare, la disciplina delle distanze
tra i fabbricati rientrante nella materia dell'”ordinamento civile”.
Né è ravvisabile la denunciata violazione degli art. 117, comma 6, ultimo
periodo, e 118 cost., per avere la norma censurata esautorato i comuni delle
loro competenze in tema di pianificazione urbanistica, in quanto essa si
limita a consentire ampliamenti volumetrici di edifici esistenti ad una
certa data in deroga agli indici massimi di fabbricabilità, collegati a
specifici presupposti e circoscritti in limiti ben determinati.
La disposizione regionale, poi, non contrasta con l'art. 117, comma 1, cost.,
in quanto non elude la disciplina in materia di valutazione ambientale
strategica (v.a.s.), la quale trova applicazione nei casi da essa previsti
senza necessità di uno specifico richiamo, né viola la competenza
legislativa esclusiva dello Stato in materia penale ex art. 25 e 117 cost.,
per avere la norma denunciata reso lecita in Sardegna una condotta
(l'edificazione in contrasto con gli strumenti urbanistici) che, in base
all'art. 44, comma 1, lett. a), d.P.R. n. 380 del 2001, dovrebbe rimanere
invece soggetta a pena, atteso che tale ultima disposizione configura
pacificamente una norma penale in bianco, rispetto alla quale la
legislazione regionale -pur non potendo costituire fonte diretta e autonoma
di norme penali- può, concorrere a precisare, "secundum legem", i
presupposti di applicazione di norme penali statali, svolgendo, in pratica,
funzioni analoghe a quelle che sono in grado di svolgere fonti secondarie
statali.
Non sono fondate, infine, le censure concernenti la lesione del principio di
eguaglianza ex art. 3 cost. in quanto le doglianze del giudice remittente
sono meramente “ancillari” rispetto a quelle prospettate in
riferimento agli altri parametri, delle quali condividono pertanto la sorte
(sentt. n. 487 del 1989; 14, 213, 504 del 1991; 185 del 2004: 168 del 2010,
173 del 2011; 63 del 2012; 251 del 2013)”;
h5) Corte cost.,
27.07.2000, n. 378 (in Urbanistica e appalti, 2000, 1183, con nota di
MANFREDI) secondo cui: “La tutela del bene culturale è contemplata
nell'art. 9 cost., insieme a quella del paesaggio e dell'ambiente come
espressione di principio fondamentale unitario dell'ambito territoriale in
cui si svolge la vita dell'uomo e tali forme di tutela, esposte con
un'endiadi, costituiscono compito dell'apparato della repubblica nelle sue
diverse articolazioni, dello stato, in primo luogo, oltre che delle regioni
e degli enti locali; pertanto, rispetto a dette materie non può configurarsi
un assorbimento nei compiti comunali di autogestione del territorio né tanto
meno un'esclusività delle funzioni degli enti locali in forza della loro
autonomia in campo urbanistico, potendo semmai il comune imporre, in
relazione a particolari esigenze locali, vincoli aggiuntivi o più rigorosi
riguardo ai beni già vincolati sul piano culturale o ambientale”.
Aggiunge la Corte che: “Pur se l'autonomia comunale, inclusa quella
urbanistica, non costituisce un'elargizione delle regioni nell'esercizio
delle loro competenze legislative, fruendo i comuni di una posizione di
autonomia presupposta dagli art. 5 e 128 cost. e non comprimibile dalle
stesse regioni fino al punto di negarla, la medesima autonomia comunale non
implica una riserva funzionale intangibile, essendo viceversa consentito al
legislatore regionale individuare le dimensioni di detta autonomia,
valutando la maggiore efficienza della gestione ad un livello sovra comunale
degli interessi coinvolti, come avviene peculiarmente per la protezione dei
valori estetico-culturali e ambientali; pertanto, gli art. 5, 3º comma e 6,
2º comma, l.reg. Emilia Romagna 07.12.1978 n. 47, nel testo di cui alla l.
reg. 29.03.1980 n. 23, e gli art. 15 l.reg. stessa regione 05.09.1988 n. 36,
nonché 55 predetta l.reg. n. 47 del 1978, che attribuiscono carattere
immediatamente precettivo e vincolante verso i privati ai piani territoriali
stralcio, e specie al piano territoriale paesistico regionale, con valore
prevalente sulle destinazioni dei piani regolatori comunali, non contrastano
con l'art. 128 cost.”.
Afferma infine la Corte che: “Gli art. 5, 3º comma e 6, 2º comma, l.reg.
Emilia Romagna 07.12.1978 n. 47, nel testo di cui alla l.reg. 29.03.1980 n.
23, e gli art. 15 l.reg. stessa regione 05.09.1988 n. 36, nonché 55 predetta
l.reg. n. 47 del 1978, che attribuiscono carattere immediatamente precettivo
e vincolante verso i privati ai piani territoriali stralcio e specie al
piano territoriale paesistico regionale, con valore prevalente sulle
destinazioni dei piani regolatori comunali, non contrastano con l'art. 128
cost., neppure sotto il profilo procedimentale, essendo previste nella
legislazione regionale idonee forme di partecipazione dei comuni alla
composizione dei piani paesistici, con termini congrui e cadenze
procedimentalizzate non solo nella fase di approvazione, ma anche in quella
di formazione”;
h6) Corte cost.,
30.07.1997, n. 286 (in Foro it., 1998, I, 32) la quale giunge alla pronuncia
di infondatezza negando innanzi tutto che, attraverso la legge regionale
siciliana impugnata (l.r. n. 9 del 1986), si sia dato vita ad un ente
territoriale intermedio tra il comune e la provincia, in quanto la
delimitazione delle aree metropolitane realizzerebbe solo un diverso assetto
delle funzioni ripartite tra i due livelli di governo locale esistenti,
mentre l’attribuzione alle province di funzioni prima spettanti ai comuni
non lederebbe l’autonomia di questi ultimi, in quanto l’autonomia comunale,
fermo restando che “gli art. 5 e 128 Cost. presuppongono una posizione di
autonomia dei comuni che le leggi regionali non possono mai comprimere fino
a negarla … non implica una riserva intangibile di funzioni e non esclude
che il legislatore regionale possa, nell’esercizio della sua competenza
esclusiva, individuare le dimensioni dell’autonomia stessa, valutando la
maggiore efficienza della gestione a livello sovracomunale degli interessi
coinvolti”.
Puntualizza la Corte che “Il problema del rispetto delle autonomie non
riguarda, perciò, in via astratta, la legittimità dell’intervento del
legislatore, ma, piuttosto, la verifica dell’esistenza di esigenze generali
che possano ragionevolmente giustificare le disposizioni legislative
limitative delle funzioni già assegnate agli enti locali”;
h7) si veda altresì, con
riguardo alla medesima sentenza n. 286 del 1997 della Corte costituzionale,
la nota di F. DELLO SBARBA, Organizzazione funzionale o strutturale delle
aree metropolitane: modelli a confronto innanzi alla Corte costituzionale
(in Giur. cost., 1997, 2603) secondo cui: in via generale, il fenomeno
relativo all’aumento dimensionale dei “governi locali” viene
istituzionalmente affrontato attraverso “soluzioni di tipo funzionale”
oppure mediante “soluzioni di tipo strutturale: nella prima categoria
rientrano le scelte volte a mantenere l'assetto istituzionale esistente e
basate sul ricorso a moduli di collaborazione, nella seconda, invece, sono
da ricondursi tutti i tentativi volti alla riorganizzazione dell'assetto
istituzionale, in particolare quelli che rinviano alla creazione di un ente
nuovo da preporsi al governo dell'«area vasta»”.
Ebbene il modello seguito dalla legge regionale siciliana si ispira secondo
l’autrice alla prima soluzione (rimodulazione assetto funzioni per ragioni
di maggiore efficienza e razionalità), per quanto una simile scelta
sembrerebbe piuttosto “essere imposta dall'alto, in maniera autoritaria”,
ossia attraverso “un intervento imperativo del legislatore”;
h8) sulla stessa sentenza
n. 286 del 1997 della Corte costituzionale si veda la nota di C. L.
KUSTERMANN, Autonomia comunale, tassatività degli enti territoriali e
istituzione delle aree metropolitane in Sicilia (in Giur. cost., 1997,
2610), secondo cui il “totem” dell’autonomia locale di cui agli artt.
5 e 128 Cost. è destinato “a infrangersi contro lo scoglio della
discrezionalità del legislatore … nell'oggettiva esigenza di rendere più
efficiente, economica e razionale l'azione amministrativa (art. 97 Cost.)”.
Da una lettura della Carta costituzionale e della giurisprudenza
costituzionale, ancora secondo l’autore, sembra del resto non essere “mai
esplicitamente enunciato il principio del numero chiuso degli enti
territoriali autonomi”.
In questa direzione si assisterebbe ad “un'interpretazione più elastica
dell'art. 114 Cost.” in virtù della quale “sarebbero così compatibili
con l'art. 114 Cost. … le comunità montane, i comprensori, e in generale gli
enti locali istituiti con legge, per il fatto che i loro organi
rappresentativi non sono eletti direttamente dal popolo”;
h9) Corte cost.,
08.04.1997, n. 83 (in Foro it., 1998, I, 2739) secondo cui “È
incostituzionale l’art. 3, 4° comma, l. prov. Trento 12.03.1990 n. 10, nella
parte in cui stabilisce che le previsioni dei programmi per l’attuazione di
interventi diretti alla riorganizzazione della mobilità nelle zone urbane ed
interurbane e in quelle ad alta concentrazione di presenze turistiche,
approvati dalla giunta provinciale, prevalgono su quelle eventualmente
diverse contenute negli strumenti urbanistici subordinati, potendo il comune
esprimere su detti interventi solo un parere non vincolante, in contrasto
con il potere, costituzionalmente riconosciuto, di autodeterminazione dei
comuni in ordine all’assetto e alla utilizzazione del proprio territorio”.
È stato in particolare affermato che: “Questa corte ha già riconosciuto
in via generale, con riferimento al sistema delle autonomie ordinarie, che
il potere dei comuni di autodeterminarsi in ordine all’assetto e
all’utilizzazione del proprio territorio non costituisce elargizione che le
regioni, attributarie di competenza in materia urbanistica, siano libere di
compiere. Si tratta invece di un potere che ha il suo diretto fondamento
nell’art. 128 Cost., che garantisce, con previsione di principio,
l’autonomia degli enti infraregionali, non solo nei confronti dello Stato,
ma anche nei rapporti con le stesse regioni, la cui competenza nelle diverse
materie elencate nell’art. 117, e segnatamente nella materia urbanistica,
non può mai essere esercitata in modo che ne risulti vanificata l’autonomia
dei comuni. Questa, infatti, non può dirsi rispettata se il procedimento
finalizzato all’approvazione, da parte della regione, degli strumenti
urbanistici non assicuri la partecipazione degli enti il cui assetto
territoriale venga coinvolto [...]; partecipazione –si aggiunga– che non può
essere puramente nominale ma deve essere effettiva e congrua, nel senso che
non potrebbero le regioni disporre la trasformazione dei poteri comunali in
ordine all’uso del territorio in funzioni meramente consultive prive di
reale incidenza, o in funzioni di proposta o ancora in semplici attività
esecutive”.
Afferma infine la Corte che: “L’art. 3, 4° comma, l. prov. n. 10 del
1990, nello stabilire che le previsioni dei programmi per l’attuazione di
interventi diretti alla riorganizzazione della mobilità nelle zone urbane ed
interurbane e in quelle ad alta concentrazione di presenze turistiche,
approvati dalla giunta provinciale –programmi sui quali i comuni hanno la
facoltà di esprimere un parere entro trenta giorni dalla richiesta–
«prevalgono su quelle eventualmente diverse contenute negli strumenti
urbanistici subordinati», riserva invece alla provincia il potere di
irrompere in via autoritativa nei piani regolatori dei comuni e si pone in
contrasto con il principio di salvaguardia dell’autonomia comunale. Tale
disposizione, infatti, riduce la capacità del comune di autodeterminarsi in
ordine alla programmazione e all’utilizzazione del proprio territorio nei
troppo angusti limiti della facoltà di esprimere, entro un termine breve, un
parere non vincolante, laddove il rispetto di quel principio avrebbe
richiesto forme più incisive di partecipazione del comune alla
programmazione provinciale di interventi incidenti sul proprio territorio,
mediante l’impiego di moduli procedimentali, analoghi a quelli peraltro già
conosciuti nell’ordinamento regionale, che, pur scongiurando situazioni di
stallo decisionale, valorizzino l’apporto di tutti gli enti interessati”;
h10) La decisione n. 83 del
1997 della Corte costituzionale è commentata da GROPPI, Principio
costituzionale di autonomia locale e regioni a statuto speciale: la corte
individua limiti al legislatore regionale validi anche per le leggi statali?
e da ESPOSITO, Autonomia comunale e governo del territorio (in Giur. cost.,
1997, rispettivamente, 811 e 824);
i) in tema di allocazione di funzioni
amministrative e di chiamata in sussidiarietà si veda:
i1) Corte cost.,
13.06.2018, n. 126 (in Giur. cost., 2018, 1374) secondo cui “Non è
fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 33, commi 3, 9,
10 e 13, d.l. 12.09.2014, n. 133, come convertito, censurato per violazione
degli art. 117, comma 2, lett. s), e comma 3, nonché 118 , comma 1, Cost.
nella parte in cui non è previsto che l'approvazione del programma di
rigenerazione urbana, quanto al comprensorio Bagnoli-Coroglio, sia preceduta
dall'intesa tra lo Stato e la Regione Campania e da una specifica
valorizzazione del ruolo del Comune. Benché la disciplina dettata dalle
disposizioni in esame intrecci indubbiamente diverse competenze, statali e
regionali, in particolare la «tutela dell'ambiente» e il «governo del
territorio», l'intervento del legislatore statale, in quanto teso al
risanamento e alla bonifica di un sito d'interesse nazionale, può essere
certamente ricondotto, in via prevalente, alla potestà legislativa esclusiva
dello Stato di cui all'art. 117, comma 2, lett. s), Cost., cui spetta
disciplinare, pure con disposizioni di dettaglio e anche in sede
regolamentare, le procedure amministrative dirette alla prevenzione,
riparazione e bonifica dei siti contaminati. Dunque, per tutti gli aspetti
concernenti la bonifica dell'area interessata, la compressione delle
attribuzioni regionali in materia urbanistica è diretta conseguenza delle
esigenze di tutela ambientale, di competenza esclusiva statale, senza che
possa profilarsi una violazione delle disposizioni costituzionali sul
riparto di competenze. La disciplina censurata appare rispettosa anche
dell'art. 118 Cost., in relazione ai contenuti del programma di risanamento
più propriamente ascrivibili al «governo del territorio», quali ad esempio
la localizzazione delle opere infrastrutturali, sebbene si tratti comunque
di aspetti strettamente connessi al risanamento dell'area. Infatti,
nell'allocare in capo allo Stato le varie funzioni amministrative, il
legislatore statale ha previsto varie forme di coinvolgimento della Regione
e del Comune, le quali, pur disegnando un procedimento diverso dall'intesa,
assicurano una costante e adeguata cooperazione istituzionale (sentt. nn.
378 del 2000, 478 del 2002, 50 del 2005, 50, 214 del 2008, 10, 61, 225, 247
del 2009, 278, 331, 334 del 2010, 33, 244 del 2011, 54 del 2012, 285 del
2013, 44, 269 del 2014, 58, 140, 149, 180 del 2015, 1, 7, 21, 251 del 2016)”;
i2) Corte cost.,
21.01.2016, n. 7 (in Foro it., 2016, I, 770) secondo cui “Lo Stato può
ricorrere alla chiamata in sussidiarietà «al fine di allocare e disciplinare
una funzione amministrativa (sentenza n. 303 del 2003 …) pur quando la
materia, secondo un criterio di prevalenza, appartenga alla competenza
regionale concorrente, ovvero residuale» (sentenza n. 278 del 2010 …).
Questa corte ha affermato in proposito che, «perché nelle materie di cui
all’art. 117, 3° e 4° comma, Cost., una legge statale possa legittimamente
attribuire funzioni amministrative a livello centrale ed al tempo stesso
regolarne l’esercizio, è necessario che essa innanzi tutto rispetti i
principî di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza nell’allocazione
delle funzioni amministrative, rispondendo ad esigenze di esercizio unitario
di tali funzioni. È necessario, inoltre, che tale legge detti una disciplina
logicamente pertinente, dunque idonea alla regolazione delle suddette
funzioni, e che risulti limitata a quanto strettamente indispensabile a tale
fine. Da ultimo, essa deve risultare adottata a seguito di procedure che
assicurino la partecipazione dei livelli di governo coinvolti attraverso
strumenti di leale collaborazione o, comunque, deve prevedere adeguati
meccanismi di cooperazione per l’esercizio concreto delle funzioni
amministrative allocate in capo agli organi centrali. Quindi, con
riferimento a quest’ultimo profilo, nella perdurante assenza di una
trasformazione delle istituzioni parlamentari e, più in generale, dei
procedimenti legislativi —anche solo nei limiti di quanto previsto dall’art.
11 l. cost. 18.10.2001 n. 3 (modifiche al titolo V della parte seconda della
Costituzione)— la legislazione statale di questo tipo ‘può aspirare a
superare il vaglio di legittimità costituzionale solo in presenza di una
disciplina che prefiguri un iter in cui assumano il dovuto risalto le
attività concertative e di coordinamento orizzontale, ovverosia le intese,
che devono essere condotte in base al principio di lealtà’ (sentenza n. 303
del 2003, cit.)» (sentenza n. 6 del 2004 …). Si è aggiunto che deve
trattarsi di «intese forti» … non superabili con una determinazione
unilaterale dello Stato se non nella «ipotesi estrema, che si verifica
allorché l’esperimento di ulteriori procedure bilaterali si sia rivelato
inefficace»”;
j) si evidenzia come la Corte, nella sentenza
in rassegna, avalli infine la tesi più rigorosa e consolidata in seno al
Consiglio di Stato sui limiti in cui si ammette la tutela dell’affidamento
in sede di pianificazione urbanistica. Si veda, a tale specifico riguardo:
j1) Cons. Stato, sez. IV,
03.07. 2018, n. 4071, secondo cui “Sul piano più generale, le scelte
effettuate dall'Amministrazione nell'adozione degli strumenti urbanistici
costituiscono apprezzamento di merito sottratto al sindacato di legittimità,
salvo che non siano inficiate da errori di fatto o da abnormi illogicità,
sicché anche la destinazione data alle singole aree non necessita di
apposita motivazione oltre quella che si può evincere dai criteri generali,
di ordine tecnico discrezionale, seguiti nell'impostazione del piano stesso,
essendo sufficiente l'espresso riferimento alla relazione di accompagnamento
al progetto di modificazione al PRG, a meno che particolari situazioni non
abbiano creato aspettative o affidamenti in favore di soggetti le cui
posizioni appaiano meritevoli di specifiche considerazioni (cfr. ex multis,
Cons. Stato, sez. IV, n. 4037 del 2017)”;
j2) Cons. Stato, sez. IV,
09.05.2018, n. 2780 (citata anche dalla sentenza qui in rassegna), secondo
cui, tra l’altro: “le scelte urbanistiche costituiscono valutazioni di
merito sottratte al sindacato giurisdizionale di legittimità, salvo che
risultino inficiate da errori di fatto, abnormi illogicità, violazioni
procedurali, ovvero che, per quanto riguarda la destinazione di specifiche
aree, risultino confliggenti con particolari situazioni che abbiano
ingenerato affidamenti e aspettative qualificate (cfr. Cons. Stato, sez. IV,
18.08.2017, n. 4037; sez. VI, 05.03.2013, n. 1323; sez. IV, 25.11.2013, n.
5589; sez. IV, 16.04.2014, n. 1871)".
Ed ancora che: “l’onere di motivazione gravante sull’amministrazione in
sede di adozione di uno strumento urbanistico, salvo i casi in cui esso
incida su zone territorialmente circoscritte ledendo legittime aspettative,
è di carattere generale e risulta soddisfatto con l’indicazione dei profili
generali e dei criteri che sorreggono le scelte effettuate, senza necessità
di una motivazione puntuale e “mirata” (Cons. Stato, sez. IV, 03.11.2008, n.
5478)”.
Infine che: “la semplice reformatio in peius della disciplina urbanistica
attraverso il ridimensionamento dell’attitudine edificatoria di un’area è
interdetta solo da determinazioni vincolanti per l’amministrazione in ordine
ad una diversa “zonizzazione” dell’area stessa, ovvero tali da fondare
legittime aspettative potendosi configurare un affidamento qualificato del
privato esclusivamente in presenza di convenzioni di lottizzazione, accordi
di diritto privato intercorsi tra il Comune e i proprietari delle aree,
aspettative nascenti da giudicati di annullamento di dinieghi di concessione
edilizia o di silenzio-rifiuto su una domanda di concessione o ancora nella
modificazione in zona agricola della destinazione di un'area limitata,
interclusa da fondi edificati in modo non abusivo (cfr. ex plurimis sez. IV,
04.03.2003, n. 1197; sez. IV, 25.07.2001, n. 4078; Ad. plen. n. 24 del 1999)”;
j3) Cons. Stato, sez. IV,
06.10.2017, n. 4660, secondo cui “le scelte urbanistiche compiute con gli
atti di pianificazione generale non richiedono una motivazione puntuale e,
purché non manifestamente illogiche o contraddittorie o ingiustificate, sono
sufficientemente motivate con riguardo ai principi e ai criteri di fondo del
piano, quali emergono dagli atti del procedimento e particolarmente dalla
relazione di accompagnamento (cfr. per tutte, da ultimo, Cons. Stato, sez.
IV, 03.07.2017, n. 3237)”;
j4) Cons. Stato, sez. IV,
12.05.2016, n. 1907 (in Foro amm., 2016, 5, 1189), secondo cui “In sede
di pianificazione generale del territorio la discrezionalità, di cui
l'Amministrazione dispone per quanto riguarda le scelte in ordine alle
destinazioni dei suoli, è talmente ampia da non richiedere una particolare
motivazione al di là di quella ricavabile dai criteri e principi generali
che ispirano il piano regolatore generale, potendosi derogare a tale regola
solo in presenza di specifiche situazioni di affidamento qualificato del
privato a una specifica destinazione del suolo”;
j5) Cons. Stato, sez. IV,
07.11.2012, n. 5665 (in Foro amm. CDS, 2012, 11, 2843), secondo cui “le
scelte di destinazione urbanistica costituiscono valutazioni ampiamente
discrezionali che non richiedono una particolare motivazione al di là di
quella ricavabile dai criteri e principi generali che ispirano lo strumento
di pianificazione, potendosi derogare a tale regola soltanto in presenza di
specifiche situazioni di affidamento qualificato del privato a una specifica
destinazione del proprio suolo, quali ad esempio la sussistenza di
convenzioni di lottizzazione, accordi di diritto privato intercorsi fra il
Comune e i proprietari delle aree, aspettative nascenti da giudicati di
annullamento di concessioni edilizie o di silenzio rifiuto su una domanda di
concessione e, infine, dalla modificazione in zona agricola della
destinazione di un’area limitata, interclusa da fondi edificati in modo non
abusivo (cfr. al riguardo, ad es., Cons. Stato, Sez. IV, 16.11.2011 n. 6049)”;
j6) Cons. Stato, sez. IV,
10.05.2012, n. 2710 (in Foro amm. CDS, 2012, 5, 1160), secondo cui “L’onere
di motivazione gravante sull’Amministrazione in sede di adozione di uno
strumento urbanistico, salvo i casi in cui esse incidano su zone
territorialmente circoscritte ledendo legittime aspettative, è di carattere
generale e risulta soddisfatto con l’indicazione dei profili generali e dei
criteri che sorreggono le scelte effettuate, senza necessità di una
motivazione puntuale e mirata, così come, nell’ambito del procedimento volto
all’adozione dello strumento urbanistico, non occorre controdedurre
singolarmente e puntualmente a ciascuna osservazione e opposizione”
(Corte Costituzionale,
sentenza 16.07.2019 n. 179 - commento tratto da e link a
www.giustizia-amministrartiva.it). |
URBANISTICA: Riduzione
consumo di suolo, la Consulta boccia una norma della legge n. 31/2014 della
Lombardia.
Illegittimo non consentire ai Comuni di apportare varianti che riducono le
previsioni e i programmi edificatori nel documento di piano vigente
Con la
sentenza 16.07.2019 n. 179 la Corte
Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’ultimo
periodo dell’art. 5, comma 4, della legge della Regione Lombardia
28.11.2014, n. 31, recante “Disposizioni per la riduzione del consumo di
suolo e per la riqualificazione del suolo degradato”, nel testo
precedente alle modifiche apportate dalla legge della Regione Lombardia
26.05.2017, n. 16 (recante «Modifiche all’articolo 5 della legge
regionale 28.11.2014, n. 31»).
La Consulta ha bocciato la parte della suddetta norma in cui non consente ai
Comuni di apportare varianti che riducono le previsioni e i programmi
edificatori nel documento di piano vigente (commento tratto da
www.casaeclima.com).
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Circa il rinvio alla Consulta ne davamo conto con l'AGGIORNAMENTO
AL 28.12.2017.
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12.– Nel merito le questioni aventi a oggetto l’ultimo periodo dell’art. 5,
comma 4, della legge reg. Lombardia n. 31 del 2014, sono fondate.
12.1.– È utile premettere che la legge reg. Lombardia n. 31 del 2014
persegue innovative finalità generali, consistenti nell’orientare gli
interventi edilizi prioritariamente verso aree già urbanizzate, degradate o
dismesse e nel prevedere consumo di suolo esclusivamente se la
riqualificazione e la rigenerazione di aree già edificate si dimostri
tecnicamente ed economicamente insostenibile (art. 1).
Essa quindi, da un lato, traguarda le più recenti concezioni di territorio,
considerato non più solo come uno spazio topografico suscettibile di
occupazione edificatoria ma rivalutato come una risorsa complessa che
incarna molteplici vocazioni (ambientali, culturali, produttive, storiche)
e, dall’altro, è avvertita sul fatto che il consumo di suolo rappresenta una
delle variabili più gravi del problema della pressione antropica sulle
risorse naturali.
In quest’ottica la legge regionale si distingue per aver definito il suolo
come «bene comune di fondamentale importanza per l’equilibrio ambientale, la
salvaguardia della salute, la produzione agricola finalizzata alla
alimentazione umana e/o animale, la tutela degli ecosistemi naturali e la
difesa dal dissesto idrogeologico» (art. 1, comma 2).
La legge regionale quindi, nelle sue finalità generali, dimostra di
inserirsi in un processo evolutivo diretto a riconoscere una nuova relazione
tra la comunità territoriale e l’ambiente che la circonda, all’interno della
quale si è consolidata la consapevolezza del suolo quale risorsa naturale
eco-sistemica non rinnovabile, essenziale ai fini dell’equilibrio
ambientale, capace di esprimere una funzione sociale e di incorporare una
pluralità di interessi e utilità collettive, anche di natura
intergenerazionale.
Si tratta di una prospettiva che risulta, peraltro, conforme –come
correttamente ricorda la difesa della Regione Lombardia– agli indirizzi
espressi in sede europea fin dalla comunicazione della Commissione del 22.09.2006, “Strategia tematica per la protezione del suolo”, e più
recentemente dall’approvazione del cosiddetto Settimo programma di azione
per l’ambiente (decisione n. 1386/2013/UE del Parlamento europeo e del
Consiglio del 20.11.2013).
Nell’attuazione delle suddette finalità, l’art. 2 della legge reg. Lombardia
n. 31 del 2014 fornisce le definizioni di consumo di suolo e di
rigenerazione urbana, prevedendo, al comma 2, che il piano territoriale
regionale (PTR) «precisa le modalità di determinazione e quantificazione
degli indici che misurano il consumo di suolo, validi per tutto il
territorio regionale, disaggrega […] i territori delle [province e della
città metropolitana] in ambiti omogenei, in dipendenza dell’intensità del
corrispondente processo urbanizzativo ed esprime i conseguenti criteri,
indirizzi e linee tecniche da applicarsi negli strumenti di governo del
territorio per contenere il consumo di suolo».
12.2.– In questo quadro normativo si inseriscono le norme oggetto di
censura, che disciplinano la fase transitoria volta ad adeguare gli
strumenti di pianificazione territoriale stabiliti dalla legislazione
lombarda ai criteri previsti per il perseguimento delle suddette finalità.
Nel periodo occorrente alla integrazione dei contenuti del piano
territoriale regionale (PTR) e al successivo adeguamento dei piani
territoriali di coordinamento provinciale (PTCP) e dei piani di governo del
territorio (PGT), l’art. 5, comma 4, nel testo originario censurato, dispone
che «i comuni possono approvare unicamente varianti del PGT e piani
attuativi in variante al PGT, che non comportino nuovo consumo di suolo,
diretti alla riorganizzazione planivolumetrica, morfologica, tipologica o
progettuale delle previsioni di trasformazione già vigenti, per la finalità
di incentivarne e accelerarne l’attuazione, esclusi gli ampliamenti di
attività economiche già esistenti, nonché quelle finalizzate all’attuazione
degli accordi di programma a valenza regionale».
L’ultimo periodo di tale disposizione stabilisce che «[f]ino a detto
adeguamento sono comunque mantenute le previsioni e i programmi edificatori
del documento di piano vigente».
Tale divieto di ius variandi in relazione ai contenuti edificatori del
documento di piano viene in ogni caso scandito, dalla ricordata
disposizione, fino alla conclusione del processo di adeguamento, anche se
poi effettivamente declinato secondo due diverse scadenze temporali: la
prima prevista dal comma 6 assegnando ai privati il termine di trenta mesi
per la presentazione delle istanze di attuazione del programma edificatorio;
la seconda stabilita dal comma 9 per le ipotesi in cui a) entro il predetto
termine di trenta mesi non siano stati presentati progetti da parte dei
soggetti interessati alla realizzazione di un piano attuativo ovvero b) se
presentati, non sia stata stipulata la relativa convenzione entro dodici
mesi dall’approvazione. Anche in queste ultime due ipotesi, comunque, il
Comune è vincolato al vigente documento di piano «sino all’esito del
procedimento di adeguamento di cui al comma 3».
La sospensione della potestà di apportare modifiche ai contenuti edificatori
del documento di piano viene quindi ad assumere, sul piano giuridico, un
carattere temporalmente limitato ma indefinito nella sua ampiezza,
risultando in ogni caso collegata –costituisce, infatti, una circostanza di
mero fatto che i privati abbiano presentato l’istanza entro il termine di
trenta mesi– al concretizzarsi del processo di adeguamento, per il quale i
termini previsti dalla sequenza procedimentale individuata dalla legge
regionale hanno carattere meramente ordinatorio. Del resto, come dichiarato
dalla difesa della Regione, è solo con la pubblicazione avvenuta nel
Bollettino Ufficiale della Regione Lombardia n. 11, serie avvisi e concorsi,
del 13.03.2019 che è divenuta efficace la integrazione del PTR alla
quale, invece, secondo quanto previsto dall’art. 5, comma 1, della legge
reg. Lombardia n. 31 del 2014, la Regione avrebbe dovuto provvedere entro
dodici mesi dalla entrata in vigore della predetta legge.
12.3.– In questi termini la disposizione dell’ultimo periodo dell’art. 5,
comma 4, della legge reg. Lombardia n. 31 del 2014 si pone in violazione del
combinato disposto dell’art. 117, secondo comma, lettera p), Cost.,
relativamente alla competenza esclusiva statale sulle funzioni fondamentali,
e degli artt. 5 e 118, primo e secondo comma, Cost., con riguardo al
principio di sussidiarietà verticale.
La funzione di pianificazione urbanistica, infatti, come giustamente rileva
il giudice rimettente, nel nostro ordinamento è stata tradizionalmente
rimessa all’autonomia dei Comuni fin dalla legge 25.06.1865, n. 2359
(Sulle espropriazioni per causa di utilità pubblica).
Tutta la complessa evoluzione che ha condotto allo sviluppo dell’ordinamento
regionale ordinario, a una più ampia concezione di urbanistica e quindi alla
consapevolezza della necessità di una pianificazione sovracomunale, non ha
travolto questo presupposto di fondo, tanto che il legislatore nazionale ha
qualificato, attuando il nuovo Titolo V della Costituzione, come funzioni
fondamentali dei Comuni «la pianificazione urbanistica ed edilizia di ambito
comunale nonché la partecipazione alla pianificazione territoriale di
livello sovracomunale» (art. 14, comma 27, lettera d, del decreto-legge 31.05.2010, n. 78 recante «Misure urgenti in materia di stabilizzazione
finanziaria e di competitività economica», convertito, con modificazioni, in
legge 30.07.2010, n. 122, come sostituito dall’art. 19, comma 1, lettera
a, del decreto-legge 06.07.2012, n. 95, recante «Disposizioni urgenti per
la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini
nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore
bancario», convertito, con modificazioni, in legge 07.08.2012, n. 135).
Il legislatore statale ha quindi sottratto allo specifico potere regionale
di allocazione ai sensi dell’art. 118, secondo comma, Cost., la funzione di
pianificazione comunale, stabilendo che questa rimanga assegnata, in linea
di massima, al livello dell’ente più vicino al cittadino, in cui
storicamente essa si è radicata come funzione propria, e l’ha riconosciuta
come parte integrante della dotazione tipica e caratterizzante dell’ente
locale. Ha così stabilito un regime giuridico comune sottratto, per questo
aspetto e salvo quanto si dirà in seguito, alle potenzialità di
differenziazione insite nella potestà allocativa delle Regioni nelle materie
di loro competenza.
12.4.– Se quindi la funzione di pianificazione comunale rientra in quel
nucleo di funzioni amministrative intimamente connesso al riconoscimento del
principio dell’autonomia comunale, ciò non comporta, tuttavia, che la legge
regionale non possa intervenire a disciplinarla, anche in relazione agli
ambiti territoriali di riferimento, e financo a conformarla in nome della
verifica e della protezione di concorrenti interessi generali collegati a
una valutazione più ampia delle esigenze diffuse sul territorio (sentenza n.
378 del 2000).
Anche dopo l’approvazione della riforma del Titolo V della Costituzione,
infatti, questa Corte ha ribadito, con riguardo all’autonomia dei Comuni,
che «essa non implica una riserva intangibile di funzioni, né esclude che il
legislatore competente possa modulare gli spazi dell’autonomia municipale a
fronte di esigenze generali che giustifichino ragionevolmente la limitazione
di funzioni già assegnate agli enti locali» (sentenza n. 160 del 2016).
Non sono mancate occasioni, inoltre, in cui questa Corte ha anche
espressamente escluso che «il “sistema della pianificazione” assurga a
principio così assoluto e stringente da impedire alla legge regionale –che
è fonte normativa primaria sovraordinata rispetto agli strumenti urbanistici
locali– di prevedere interventi in deroga a tali strumenti» (sentenza n.
245 del 2018; nello stesso senso, sentenza n. 46 del 2014).
La competenza concorrente in materia di governo del territorio, infatti,
abilita fisiologicamente la legislazione regionale a intervenire nell’ambito
di disciplina della pianificazione urbanistica; del resto, come
correttamente ricorda la difesa della Regione e delle parti private, è la
stessa norma che individua le funzioni fondamentali comunali a prevedere che
rimangono ferme «le funzioni di programmazione e di coordinamento delle
regioni, loro spettanti nelle materie di cui all’articolo 117, commi terzo e
quarto, della Costituzione» (art. 14, comma 27, del d.l. n. 78 del 2010,
come sostituito dall’art. 19, comma 1, lettera a, del d.l. n. 95 del 2012,
come convertito).
12.5.– All’interno del delicato rapporto tra l’autonomia comunale e quella
regionale, tuttavia, questa Corte ha avuto modo di precisare anche che «il
potere dei comuni di autodeterminarsi in ordine all’assetto e alla
utilizzazione del proprio territorio non costituisce elargizione che le
regioni, attributarie di competenza in materia urbanistica siano libere di
compiere» (sentenza n. 378 del 2000) e che la suddetta competenza regionale
«non può mai essere esercitata in modo che ne risulti vanificata l’autonomia
dei comuni» (sentenza n. 83 del 1997).
Su questo piano, è quindi richiesto uno scrutinio particolarmente rigoroso
laddove la normativa regionale non si limiti a conformare, mediante
previsioni normative alle quali i Comuni sono tenuti a uniformarsi, le
previsioni urbanistiche nell’esercizio della competenza concorrente in tema
di governo del territorio, quanto piuttosto comprima l’esercizio stesso
della potestà pianificatoria, come nel caso di specie, paralizzandola per un
periodo temporale.
In questi casi, dove emerge come il punto di equilibrio tra regionalismo e
municipalismo non sia stato risolto una volta per tutte dal riformato
impianto del Titolo V della Costituzione, il giudizio di costituzionalità
non ricade tanto, in via astratta, sulla legittimità dell’intervento del
legislatore regionale, quanto, piuttosto, su una valutazione in concreto, in
ordine alla «verifica dell’esistenza di esigenze generali che possano
ragionevolmente giustificare le disposizioni legislative limitative delle
funzioni già assegnate agli enti locali» (sentenza n. 286 del 1997).
Viene quindi in causa il variabile livello degli interessi coinvolti, cui ha
riconosciuto specifica valenza costituzionale l’affermazione del principio
di sussidiarietà verticale sancito nell’art. 118 Cost., che porta questa
Corte a valutare, nell’ambito di una funzione riconosciuta come fondamentale
ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera p), Cost., quanto la legge
regionale toglie all’autonomia comunale e quanto di questa residua, in nome
di quali interessi sovracomunali attua questa sottrazione, quali
compensazioni procedurali essa prevede e per quale periodo temporale la
dispone.
Il giudizio di proporzionalità deve perciò svolgersi, dapprima, in astratto
sulla legittimità dello scopo perseguito dal legislatore regionale e quindi
in concreto con riguardo alla necessità, alla adeguatezza e al corretto
bilanciamento degli interessi coinvolti.
Si tratta allora di verificare se la norma di cui all’ultimo periodo
dell’art. 5, comma 4, della legge reg. Lombardia n. 31 del 2014 sia
proporzionata rispetto al tipo di interessi coinvolti, e in particolare, in
questo caso, rispetto alle finalità affermate, su un piano più generale,
dalla stessa legge regionale in cui la norma s’inserisce. Se infatti
emergesse che la sottrazione ai Comuni della potestà pianificatoria, anziché
costituire il minimo mezzo utile per perseguire gli scopi del legislatore
regionale, si ponesse in contraddizione con questi ultimi, si dovrebbe
concludere che la norma verrebbe illegittimamente a incidere sulla funzione
fondamentale allocata dal legislatore statale al livello locale.
12.6.– A questo riguardo si deve riscontrare innanzitutto che il livello
regionale è strutturalmente quello più efficace a contrastare il fenomeno
del consumo di suolo, perché in grado di porre limiti ab externo e generali
alla pianificazione urbanistica locale: del resto proprio in questa
direzione, come la Lombardia, si sono mosse anche altre Regioni, approvando
leggi dirette a limitare il consumo del suolo.
Per questo profilo, quindi, lo scopo perseguito dal legislatore regionale
rientra, senza dubbio, nell’ambito del legittimo esercizio della competenza
regionale e di per sé appare compatibile con la pianificazione urbanistica
locale.
D’altro canto, tuttavia, la norma impugnata, precludendo ogni modifica al
documento di piano quand’anche di carattere riduttivo, e perciò volta a
contenere il consumo di suolo, finisce per paralizzare la potestà
pianificatoria del Comune al di là di quanto strettamente necessario a
perseguire l’obiettivo, e anzi in contraddizione con quest’ultimo.
La suddetta norma impugnata, come si è visto, viene a bloccare
diacronicamente la potestà pianificatoria comunale, incidendo su uno dei
suoi elementi più rilevanti proprio ai fini del fenomeno che si vorrebbe
limitare; è, infatti, il documento di piano, che contiene le scelte più
significative ai fini della trasformazione del territorio: le destinazioni
d’uso, gli indici edificatori e le aree soggette a trasformazione (art. 8
della legge reg. Lombardia n. 12 del 2005).
Poco rileva, a tal fine, quanto evidenzia la difesa delle parti private,
ovvero che, secondo la disciplina regionale, anche nel periodo transitorio,
i Comuni rimangono comunque liberi di modificare il piano delle regole e il
piano dei servizi del PGT.
Rimane fermo, in ogni caso, che cristallizzando i contenuti edificatori del
documento di piano, la norma impugnata viene a sottrarre all’ente locale la
possibilità di esprimere un nuovo indirizzo politico amministrativo diretto,
sia pure, alla riduzione del consumo di suolo.
È ben vero quanto ancora afferma la difesa delle stesse parti, ovvero che la
norma censurata “non sceglie al posto” dei singoli Comuni lombardi,
sostituendo cioè direttamente una specifica e diversa decisione regionale a
quelle che questi hanno assunto, bensì produce solo l’effetto di mantenerli
coerenti alla pianificazione territoriale che questi stessi hanno, in un
determinato momento e fino all’entrata in vigore della legge regionale,
compiuto.
Tuttavia, se da un lato è corretto affermare che, anche da questo punto di
vista, i Comuni non vengono completamente spogliati di una loro funzione
fondamentale, dall’altro è evidente che la norma impugnata, all’interno
della complessiva funzione di pianificazione urbanistica comunale, ne
ritaglia uno specifico contenuto, quello della potestas variandi e la
sottrae ai Comuni, ritenendoli inidonei a svolgerla in nome di una esigenza
di esercizio unitario rispondente a non ben definiti interessi generali.
Incidendo sul principio di inesauribilità della funzione di pianificazione
urbanistica, la norma regionale priva quindi l’ente locale di una quota
rilevante della suddetta funzione fondamentale, che, al di là di letture
minimalistiche, è diretta, secondo l’orientamento ormai uniforme della
giurisprudenza amministrativa, non solo alla disciplina coordinata della
edificazione dei suoli, ma anche allo sviluppo complessivo e armonico del
territorio, nonché a realizzare finalità economico-sociali della comunità
locale, in attuazione di valori costituzionalmente tutelati (da ultimo,
Consiglio di Stato, sezione quarta, sentenze 09.05.2018, n. 2780, 22.02.2017, n. 821 e 10.05.2012, n. 2710).
La rigidità insita nella norma censurata è quindi tale da incidere in modo
non proporzionato sull’autonomia dell’ente locale, non solo perché impedisce
la rivalutazione delle esigenze urbanistiche in precedenza espresse (che
peraltro, in astratto, potevano anche provenire da maggioranze politiche
locali diverse da quelle poi in carica), ma soprattutto perché, al tempo
stesso, la preclude quando questa sia rivolta alla protezione degli stessi
interessi generali sottostanti alle finalità di fondo della legge regionale
e quindi coerenti con queste.
In sostanza, l’enunciato censurato, cristallizzando le scelte urbanistiche
in vigore al momento dell’intervento del legislatore regionale,
paradossalmente, comporta un giudizio di inadeguatezza del Comune a
esercitare la potestas variandi anche quando questo intenda svolgerla nella
stessa direzione dei principi di coordinamento fissati dal legislatore
regionale, ma “in anticipo” rispetto alla prevista applicazione a regime.
La sola giustificazione a fondamento dell’esercizio unitario regionale della
quota di funzione sottratta ai Comuni sembra allora essere quella –affermata
dalla difesa regionale e da quella privata– di tutelare l’affidamento dei
soggetti coinvolti al mantenimento di determinate previsioni urbanistiche.
Tuttavia nemmeno tale argomento è dirimente all’interno del giudizio di
proporzionalità, anzi si dimostra palesemente inconferente perché in materia
urbanistica tale affidamento è normalmente ritenuto tutelabile, dalla
giurisprudenza amministrativa, solo a fronte di convenzioni già stipulate
(Consiglio di Stato, sezione quarta, sentenze 12.05.2016, n. 1907 e
07.11.2012, n. 5665, oltre alle pronunce richiamate supra); la norma
in questione, invece, verrebbe a garantirlo in un momento molto anteriore
rispetto a quello in cui matura un’aspettativa qualificata al mantenimento
della destinazione urbanistica.
Nella valutazione di proporzionalità deve essere considerata, inoltre, la
durata della sottrazione della
potestas variandi che la norma censurata
impone ai Comuni: questa, come si è visto, non è assistita da un termine
certo e congruo; il periodo della sottrazione risulta, infatti, in ultima
analisi rimesso, per effetto del combinato disposto dei commi 4 e 9
dell’art. 5 della legge reg. Lombardia n. 31 del 2014, alla discrezionalità
della Regione nell’approvare l’adeguamento del PTR.
Infine, occorre anche considerare che a fronte della suddetta limitazione,
che rende i Comuni meri esecutori di una valutazione compiuta dal livello di
governo superiore, non viene prevista a favore dei primi alcuna possibilità
di una motivata interlocuzione con il secondo, in contrasto con quanto
questa Corte ha affermato in ordine alla necessità di «garantire agli stessi
forme di partecipazione ai procedimenti che ne condizionano l’autonomia»
(sentenza n. 126 del 2018).
Nemmeno, da ultimo, può acquistare consistenza l’argomento addotto dalla
difesa della Regione in ordine alla necessità di “fotografare” la situazione pianificatoria comunale, al fine di procedere con il PTR a indicare le
soglie di riduzione assegnate ai singoli Comuni; dirimente al riguardo è
quanto affermato dalla difesa dell’ANCI: quando lo stesso legislatore
regionale, modificando la disciplina transitoria con la legge reg. Lombardia
n. 16 del 2017, ha eliminato il vincolo di immodificabilità delle previsioni
espansive del documento di piano, si è dimostrato per tabulas che per
l’integrazione del piano regionale non era né necessario, né rilevante
conservare immutate le previsioni dei piani comunali.
12.7.– Si deve quindi concludere che la norma impugnata non supera, ai sensi
del legittimo esercizio del principio di sussidiarietà verticale, il test di
proporzionalità con riguardo all’adeguatezza e necessarietà della
limitazione imposta all’autonomia comunale in merito a una funzione
amministrativa che il legislatore statale ha individuato come connotato
fondamentale dell’autonomia comunale.
Essa pertanto deve essere dichiarata
costituzionalmente illegittima nella parte in cui non consente ai Comuni di
apportare varianti che riducono le previsioni e i programmi edificatori nel
documento di piano vigente.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’ultimo periodo
dell’art. 5, comma 4, della legge della Regione Lombardia 28.11.2014, n. 31
(Disposizioni per la riduzione del consumo di suolo e per la
riqualificazione del suolo degradato), nel testo precedente alle modifiche
apportate dalla legge della Regione Lombardia 26.05.2017, n. 16, recante «Modifiche
all’articolo 5 della legge regionale 28.11.2014, n. 31 (Disposizioni per la
riduzione del consumo di suolo e per la riqualificazione del suolo
degradato)», nella parte in cui non consente ai Comuni di apportare
varianti che riducono le previsioni e i programmi edificatori nel documento
di piano vigente;
2) dichiara inammissibili le questioni di legittimità
costituzionale dell’art. 5, comma 9, della legge reg. Lombardia n. 31 del
2014, nel testo precedente alle modifiche apportate dalla legge reg.
Lombardia n. 16 del 2017, sollevate, in riferimento agli artt. 5, 117,
secondo comma, lettera p), e 118 della Costituzione, dal Consiglio di Stato,
sezione quarta, con l’atto indicato in epigrafe. |
EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA:
B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 6 dell'08.02.2019, "Approvazione
delle controdeduzioni alle osservazioni all’integrazione al
piano territoriale regionale adottata con d.c.r. x/1523 del
23.05.2017 e della dichiarazione di sintesi finale.
Approvazione dell’integrazione del Piano Territoriale
Regionale ai sensi della l.r. 31/2014 [articolo 21, comma 4,
l.r. 11.03.2005 n. 12 (Legge per il governo del territorio)]" (deliberazione
C.R. 19.12.2018 n. 411). |
EDILIZIA PRIVATA:
B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 6 dell'08.02.2019, "Ordine
del giorno concernente la promozione delle buone prassi
adottate dal comune di Bergamo sugli oneri di urbanizzazione" (deliberazione
C.R. 19.12.2018 n. 409).
---------------
Al riguardo, si leggano anche:
● Comune di Bergamo,
deliberazione C.C. 23.02.2015 n. 21;
● Comune di Bergamo,
deliberazione C.C. 30.11.2015 n. 182;
● Comune di Bergamo,
deliberazione C.C. 25.07.2016 n. 111;
● Comune di Bergamo,
deliberazione C.C. 05.12.2016 n. 171;
● Comune di Bergamo,
deliberazione C.C. 17.12.2018 n. 188. |
EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA:
B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 6 dell'08.02.2019, "Ordine
del giorno concernente la promozione delle politiche a
sostegno degli interventi di rigenerazione urbana e
territoriale" (deliberazione
C.R. 19.12.2018 n. 408). |
EDILIZIA PRIVATA:
B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 6 dell'08.02.2019, "Ordine
del giorno concernente la valorizzazione del patrimonio
culturale e paesaggistico di Regione Lombardia" (deliberazione
C.R. 19.12.2018 n. 407). |
EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA:
B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 5 del 30.01.2019, "Ordine
del giorno concernente le risorse per la rigenerazione
urbana e territoriale" (deliberazione
C.R. 18.12.2018 n. 299). |
EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: Criteri
di individuazione degli interventi pubblici e di interesse
pubblico o generale di rilevanza sovracomunale per i quali
non trovano applicazione le soglie di riduzione del consumo
di suolo (art. 2, comma 4, L.R. 31/2014) – (Richiesta di
parere alla Commissione Consiliare) (Regione
Lombardia,
deliberazione G.R. 14.01.2019 n. 1141). |
anno 2018 |
|
EDILIZIA PRIVATA - ENTI LOCALI - URBANISTICA:
B.U.R. Lombardia, supplemento n. 49 del 06.12.2018, "Legge
di revisione normativa e di semplificazione 2018" (L.R.
04.12.2018 n. 17).
---------------
Di particolare interesse si leggano:
Titolo I – Ambito istituzionale
● Art. 6 - Proroga dei termini per l’aggiornamento
dell’individuazione e classificazione dei piccoli comuni e
della classificazione del territorio montano della Lombardia
Titolo III – Ambito territoriale
● Art. 19 - Modifica dell’articolo 5 della l.r. 10/2009
1. All’articolo 5 della legge regionale
29.06.2009, n. 10 (Disposizioni in materia di ambiente e
servizi di interesse economico generale – collegato
ordinamentale) sono apportate le seguenti modifiche: ...
● Art. 20 - Modifiche alla l.r. 4/2016
1. Alla legge regionale 15.03.2016, n. 4
(Revisione della normativa regionale in materia di difesa
del suolo, di prevenzione e mitigazione del rischio
idrogeologico e di gestione dei corsi d'acqua) sono
apportate le seguenti modifiche: ...
● Art. 22 - Disposizioni in materia di valutazione di
impatto ambientale. Modifica degli articoli 3, 6, 11 e
inserimento del nuovo articolo 5-bis della l.r. 5/2010
1. Alla legge regionale 02.02.2010, n. 5
(Norme in materia di valutazione di impatto ambientale) sono
apportate le seguenti modifiche: ...
● Art. 25 - Adeguamento dei regolamenti edilizi comunali
● Art. 26 - Modifica alla l.r. 31/2014
1. Alla legge regionale 28.11.2014, n. 31
(Disposizioni per la riduzione del consumo di suolo e per la
riqualificazione del suolo degradato) è apportata la
seguente modifica: ...
● Art. 27 -
Modifica alla l.r. 12/2005
1. Alla legge regionale 11.03.2005, n. 12
(Legge per il governo del territorio) è apportata la
seguente modifica: ... |
EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA:
Oggetto: "MISURE DI SEMPLIFICAZIONE E INCENTIVAZIONE PER
IL RECUPERO DEL PATRIMONIO EDILIZIO (ART. 4, COMMA 2, L.R.
31/2014)" (Regione Lombardia,
deliberazione G.R. 11.06.2018 n. 207).
---------------
Al riguardo:
- si legga la
circolare 14.06.2018 n. 182/2018 di ANCI
Lombardia;
- si veda anche l'apposita pagina web della Regione
Lombardia: "La
Legge regionale per la riduzione del consumo di suolo e per
la riqualificazione del suolo degradato". |
URBANISTICA:
Occorre dapprima richiamare il diffuso
orientamento giurisprudenziale che riconosce alle
amministrazioni ampia discrezionalità in sede di
pianificazione territoriale.
Invero, è stato statuito che <<…l’esistenza di una
precedente diversa previsione urbanistica non comporta per
l’Amministrazione la necessità di fornire particolari
spiegazioni sulle ragioni delle diverse scelte operate,
anche quando queste siano nettamente peggiorative per i
proprietari e per le loro aspettative, dovendosi in tali
altri casi dare prevalente rilievo all’interesse pubblico
che le nuove scelte pianificatorie intendono perseguire ….
Più specificamente, la mera esistenza, nella pianificazione
previgente, di una destinazione urbanistica più favorevole
al proprietario non è circostanza sufficiente a fondare in
capo a quest’ultimo quell’aspettativa qualificata la cui
sussistenza, ad avviso della consolidata giurisprudenza,
imporrebbe all’Amministrazione un obbligo di più puntuale e
specifica motivazione rispetto a quella, di regola
sufficiente, basata sul richiamo alle linee generali di
impostazione del Piano>>.
Soltanto in particolari situazioni (esistenza di una
precedente convenzione urbanistica, di un giudicato
favorevole per il privato o di un fondo “intercluso”, oppure
in caso di reiterazione di vincoli espropriativi scaduti),
le scelte di piano dell’amministrazione richiedono una
specifica motivazione, a fronte dell’aspettativa qualificata
del privato.
---------------
La destinazione agricola dei fondi è ammissibile non solo
per finalità di conservazione o di sviluppo dell’impresa
agricola ma anche per il mantenimento di aree a verde non
edificate e quindi per contenere il c.d. consumo di suolo,
per il contrasto del quale la Regione Lombardia ha del resto
approvato la legge regionale n. 31/2014.
---------------
2.1 L’esponente contesta dapprima la destinazione
urbanistica di parte (67% circa della superficie) del
proprio fondo, che è stato classificato anche dalla variante
al PGT quale area destinata ad attività agricola (cfr. il
doc. 4 del ricorrente allegato ai motivi aggiunti),
sostenendo che si tratterebbe di una destinazione incoerente
con le caratteristiche della zona, dove sono posti una
stazione ferroviaria e altri insediamenti abitativi.
La censura è infondata.
Sul punto occorre dapprima richiamare il diffuso
orientamento giurisprudenziale che riconosce alle
amministrazioni ampia discrezionalità in sede di
pianificazione territoriale (cfr. fra le tante, la sentenza
del Consiglio di Stato, sez. IV, 23.06.2015, n. 3142, per la
quale: <<…l’esistenza di una precedente diversa
previsione urbanistica non comporta per l’Amministrazione la
necessità di fornire particolari spiegazioni sulle ragioni
delle diverse scelte operate, anche quando queste siano
nettamente peggiorative per i proprietari e per le loro
aspettative, dovendosi in tali altri casi dare prevalente
rilievo all’interesse pubblico che le nuove scelte
pianificatorie intendono perseguire …. Più specificamente,
la mera esistenza, nella pianificazione previgente, di una
destinazione urbanistica più favorevole al proprietario non
è circostanza sufficiente a fondare in capo a quest’ultimo
quell’aspettativa qualificata la cui sussistenza, ad avviso
della consolidata giurisprudenza, imporrebbe
all’Amministrazione un obbligo di più puntuale e specifica
motivazione rispetto a quella, di regola sufficiente, basata
sul richiamo alle linee generali di impostazione del Piano>>;
oltre a Consiglio di Stato, sez. IV, 10.05.2012, n. 2710,
richiamata e confermata dalla successiva sentenza della
stessa Sezione IV, 28.11.2012, n. 6040; Consiglio di Stato,
sez. IV, 28.12.2012, n. 6703 e 21.12.2012, n. 6656; fra le
decisioni di primo grado si vedano: TAR Toscana, sez. I,
20.11.2013, n. 1593; TAR Lombardia, Milano, sez. II,
04.12.2013, n. 2696, 26.02.2013, n. 532 e 08.02.2012, n.
437; TAR Emilia Romagna, Parma, 29.01.2013, n. 26; TRGA
Trentino Alto Adige, Bolzano, 17.07.2012, n. 255).
Soltanto in particolari situazioni (esistenza di una
precedente convenzione urbanistica, di un giudicato
favorevole per il privato o di un fondo “intercluso”,
oppure in caso di reiterazione di vincoli espropriativi
scaduti), le scelte di piano dell’amministrazione richiedono
una specifica motivazione, a fronte dell’aspettativa
qualificata del privato.
Parimenti è noto l’indirizzo giurisprudenziale per cui la
destinazione agricola dei fondi è ammissibile non solo per
finalità di conservazione o di sviluppo dell’impresa
agricola ma anche per il mantenimento di aree a verde non
edificate e quindi per contenere il c.d. consumo di suolo,
per il contrasto del quale la Regione Lombardia ha del resto
approvato la legge regionale n. 31/2014 (cfr., fra le più
recenti, Consiglio di Stato, sez. IV, 22.01.2018, n. 407)
(TAR Lombardia-Milano, Sez.
IV,
sentenza 28.05.2018 n. 1344 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
L. Spallino,
Consumo di suolo: l.r. Lombardia n.
31/2014 e proroga della validità dei Documenti di Piano
(03.04.2018 - link a www.dirittopa.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA:
Costituisce principio consolidato in
giurisprudenza quello secondo il quale la proroga dei
termini di efficacia di un atto amministrativo presuppone
necessariamente che il termine da prorogare non sia ancora
scaduto.
Il principio è applicabile in relazione ad ogni
provvedimento amministrativo che sia stato sottoposto ad un
termine finale di efficacia atteso che, un conto è
disporre la prosecuzione dell'efficacia nel tempo di un
originario provvedimento, altra cosa è consentire
nuovamente lo svolgimento di una attività in precedenza
preclusa per sopravvenuta inefficacia dell'atto abilitativo,
occorrendo, in questo secondo caso, una nuova e più
approfondita valutazione che tenga conto della situazione di
fatto e delle regole giuridiche sopravvenute.
E’ opinione del Collegio che questo principio valga anche
per le proroghe disposte con atti normativi.
Invero, in assenza di disposizioni contrarie, si deve
ritenere che il legislatore, quando emana norme che hanno il
solo fine di estendere la validità temporale di un
provvedimento, intenda incidere solo sull’efficacia
temporale della disciplina di regolazione dell’interesse
pubblico ancora vigente e non sostituirsi alle
amministrazioni nelle valutazioni riguardanti la possibilità
e l’opportunità di reintrodurre una regolazione
dell’interesse pubblico ormai priva di efficacia (in
proposito si veda anche quanto illustrato nel prosieguo).
Inoltre, in assenza di disposizioni specifiche contrarie,
non può che valere la regola di irretroattività degli
effetti della legge, regola che impedisce l’intervento su
fattispecie ormai esaurite.
---------------
... per l’annullamento della
delibera 17.10.2016 n. 215 della Giunta del Comune di Carate
Brianza, trasmessa con nota del Responsabile del
Settore Tecnico Urbanistica del Comune del 19.10.2016 e
ricevuta dai ricorrenti il 24-25.10.2016, con la quale è
stata dichiarata inaccoglibile la proposta di Piano
attuativo relativa all’ambito A7 presentata dai ricorrenti
medesimi l’11.07.2016;
...
FATTO
Con ricorso notificato in data 16.12.2016 e depositato il
10.01.2017, i ricorrenti hanno impugnato la
delibera 17.10.2016 n. 215 della Giunta del Comune di Carate
Brianza, trasmessa con nota del Responsabile del
Settore Tecnico Urbanistica del Comune del 19.10.2016 e
ricevuta il 24-25.10.2016, con la quale è stata dichiarata
inaccoglibile la proposta di Piano attuativo relativa
all’ambito A7 presentata in data 11.07.2016.
I ricorrenti sono comproprietari di alcune aree del tutto
inedificate, aventi una superficie territoriale di mq.
9.600,00, site nel Comune di Carate Brianza e identificate
catastalmente al foglio 15, mappali 84 e 85, limitrofe alle
Vie Milano, Brianza e Bergamo.
Tali aree sono inserite nell’Allegato A “Modalità di
attuazione della Città da trasformare” del documento di
piano del P.G.T. nella scheda n. 6 relativa all’Ambito di
trasformazione n. A7, dove sono specificati i parametri per
l’edificazione, le superfici da destinare a parcheggi, le
destinazioni d’uso ammesse (residenziale, commerciale di
vicinato e di media struttura di vendita, direzionale,
ricettivo, servizi di interesse generale, artigianale di
servizio, produttivo a ridotto impianto e le direttive da
seguire), lasciando ampia discrezionalità di intervento ai
privati proponenti.
In data 11.07.2016 i ricorrenti hanno presentato una
proposta di Piano attuativo redatta in conformità alla
scheda dell’Ambito, allegando cinque tavole, lo schema di
convenzione, la relazione tecnica, il computo metrico, il
cronoprogramma e gli atti di proprietà.
Con la
delibera 17.10.2016 n. 215 della Giunta del Comune di Carate
Brianza è stata dichiarata inaccoglibile la
proposta di Piano attuativo relativa all’ambito A7
presentata dai ricorrenti.
Assumendo l’illegittimità della predetta determinazione, i
ricorrenti l’hanno impugnata, eccependo la violazione e
falsa applicazione dell’art.
5, comma 5, della legge regionale n. 31 del 2014
e l’eccesso di potere per difetto di motivazione.
Si è costituito in giudizio il Comune di Carate Brianza, che
ha chiesto il rigetto del ricorso.
In prossimità dell’udienza di trattazione del merito della
controversia, i difensori delle parti hanno depositato
memorie e documentazione a sostegno delle rispettive
posizioni.
Alla pubblica udienza del 31.01.2018, su conforme richiesta
dei difensori delle parti, la controversia è stata
trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
2. Con l’unica censura del ricorso si assume l’illegittimità
della delibera della Giunta comunale che ha ritenuto
inapplicabile la proroga prevista dall’art.
5 della legge regionale n. 31 del 2014 anche ai
documenti di piano scaduti –disattendendo quindi il parere
contenuto nel
comunicato regionale 25.03.2015 n. 50 e ponendosi
in contrasto anche quanto affermato nella sentenza del
Consiglio di Stato, IV, 14.05.2015, n. 2424– con la
conseguenza di ritenere inefficace il documento di piano del
P.G.T. e pertanto non accoglibile la proposta di Piano
attuativo presentata dai ricorrenti.
2.1. La doglianza è infondata.
Il Collegio, con riguardo all’applicabilità della proroga
prevista dall’art.
5 della legge regionale n. 31 del 2014 anche ai
documenti di piano scaduti, sostenuta con il
comunicato regionale 25.03.2015 n. 50, pur
prendendo atto anche della sentenza del Consiglio di Stato,
IV, 14.05.2015, n. 2424, che ha ritenuto “corretta
l’interpretazione secondo cui la proroga valga anche [per] i
documenti scaduti prima dell’entrata in vigore della nuova
legge, per non rendere altrimenti monca la pianificazione
comunale”, ritiene di aderire al consolidato
orientamento espresso dalla Sezione (sentenza 17.10.2017, n.
1985; in precedenza, 07.06.2017, n. 1272), all’esito di una
articolata e convincente motivazione.
Come noto, in base all’art.
8, quarto comma, della legge della Regione Lombardia
11.03.2005, n. 12 (Legge per il governo del
territorio) il documento di piano ha efficacia quinquennale.
Scaduto questo termine le statuizioni in esso contenute non
possono più essere attuate.
Il legislatore regionale ha poi previsto due ipotesi di
proroga.
La prima è quella contenuta nel successivo comma cinque,
nel quale si prevede che i consigli comunali hanno <<… la
facoltà di prorogare sino al 31.12.2014 la validità dei
documenti di piano approvati entro il 31.12.2009>>.
Altra eccezione è contenuta nell’art.
5, comma 5, della legge regionale n. 31 del 2014,
invocato da parte dei ricorrenti.
La
legge regionale n. 31 del 2014 ha l’obiettivo di
contenere il consumo di suolo e, a tal fine, prevede che gli
strumenti di governo del territorio orientino gli interventi
edilizi prioritariamente verso le aree già urbanizzate,
degradate o dismesse.
L’art. 5, commi 1, 2 e 3, stabilisce che la Regione, le
province, le città metropolitane ed i comuni devono
adeguare, entro i termini ivi stabiliti, i propri strumenti
di governo del territorio alle nuove disposizioni ed ai
nuovi principi contenuti nella legge stessa. Per quanto
riguarda in particolare i comuni, il comma 3 dell’art. 5
prevede che questi debbano adeguare i propri piani di
governo del territorio in occasione della prima scadenza del
documento di piano successiva agli atti di adeguamento
regionali e provinciali.
L’ultimo periodo del comma 5 stabilisce poi che <<La
validità dei documenti comunali di piano, la cui scadenza
intercorra prima dell’adeguamento della pianificazione
provinciale e metropolitana di cui al comma 2, è prorogata
di dodici mesi successivi al citato adeguamento>>.
Come anticipato, secondo i ricorrenti, questa disposizione
si applicherebbe anche ai documenti di piano scaduti prima
dell’entrata in vigore della
legge regionale n. 31 del 2014.
Ritiene il Collegio che questa conclusione non sia
condivisibile per tre ordini di ragioni.
Innanzitutto per motivi di carattere dogmatico, in
quanto, come noto, costituisce principio consolidato in
giurisprudenza quello secondo il quale la proroga dei
termini di efficacia di un atto amministrativo presuppone
necessariamente che il termine da prorogare non sia ancora
scaduto.
Il principio è applicabile in relazione ad ogni
provvedimento amministrativo che sia stato sottoposto ad un
termine finale di efficacia atteso che, un conto è disporre
la prosecuzione dell'efficacia nel tempo di un originario
provvedimento, altra cosa è consentire nuovamente lo
svolgimento di una attività in precedenza preclusa per
sopravvenuta inefficacia dell'atto abilitativo, occorrendo,
in questo secondo caso, una nuova e più approfondita
valutazione che tenga conto della situazione di fatto e
delle regole giuridiche sopravvenute (cfr. Consiglio di
Stato, sez. V, 27.08.2014, n. 4384; id., sez. IV,
22.05.2006, n. 3025; id., 22.12.2003, n. 8462; id.,
25.03.2003, n. 1545; id., sez. VI, 10.10.2002, n. 5443).
E’ opinione del Collegio che questo principio valga anche
per le proroghe disposte con atti normativi.
Invero, in assenza di disposizioni contrarie, si deve
ritenere che il legislatore, quando emana norme che hanno il
solo fine di estendere la validità temporale di un
provvedimento, intenda incidere solo sull’efficacia
temporale della disciplina di regolazione dell’interesse
pubblico ancora vigente e non sostituirsi alle
amministrazioni nelle valutazioni riguardanti la possibilità
e l’opportunità di reintrodurre una regolazione
dell’interesse pubblico ormai priva di efficacia (in
proposito si veda anche quanto illustrato nel prosieguo).
Inoltre, in assenza di disposizioni specifiche contrarie,
non può che valere la regola di irretroattività degli
effetti della legge, regola che impedisce l’intervento su
fattispecie ormai esaurite.
In secondo luogo, la conclusione dei ricorrenti non
può essere condivisa per ragioni di carattere testuale,
posto che l’utilizzo del termine “intercorra”,
contenuto nell’art.
5, comma 5, della legge regionale n. 31 del 2014,
lascia chiaramente intendere che legislatore regionale ha
voluto disporre la proroga dei documenti di piano che
vengano a scadenza in un arco temporale delimitato e
successivo a quello di entrata in vigore della norma.
In terzo luogo, la conclusione dei ricorrenti non può
essere condivisa per ragioni di carattere teleologico.
La finalità della norma è, infatti, quella di intervenire in
favore dei comuni che –proprio perché aventi documenti di
piano che vengono a scadenza dopo l’entrata in vigore della
legge ma prima dell’approvazione degli atti di adeguamento
provinciale– verrebbero forzatamente privati di tale atto di
pianificazione: tali comuni, invero, non potrebbero
approvarne uno nuovo fino all’approvazione dell’atto di
adeguamento provinciale.
L’intervento non è invece giustificato nei casi in cui i
comuni abbiano liberamente deciso di lasciar scadere il
documento di piano prima dell’entrata in vigore della
legge regionale n. 31 del 2014. Si tratterebbe
invero di intervento in contrasto con la loro volontà, dato
che a questi enti verrebbe imposta la vigenza di un atto che
(proprio perché lasciato liberamente scadere) è ormai
evidentemente ritenuto non più rispondente all’interesse
pubblico.
Né si può opporre che la soluzione qui seguita pregiudichi
eccessivamente gli interessi dei privati, atteso che questi
hanno comunque avuto a disposizione un periodo di cinque
anni per presentare proposte di piani attuativi.
Si deve pertanto ritenere che l’art.
5, comma 5, della legge regionale n. 31 del 2014
non si riferisca ai documenti di piano già scaduti e che,
quindi, non possa far rivivere la disciplina contenuta nel
previgente documento di piano, ormai definitivamente privo
di efficacia (TAR Lombardia, Milano, II, 17.10.2017, n.
1985; altresì, 07.06.2017, n. 1272).
2.2. Va aggiunto, inoltre, che con la
legge regionale n. 16 del 2017 è stato altresì
modificato il secondo periodo dell’art.
5, comma 5, della legge regionale n. 31 del 2014,
attribuendo al Consiglio comunale la facoltà di scelta in
ordine alla proroga della validità dei documenti di piano
già scaduti [‘La validità dei documenti di piano dei PGT
comunali la cui scadenza è già intercorsa può essere
prorogata di dodici mesi successivi all’adeguamento della
pianificazione provinciale e metropolitana di cui al comma
2, con deliberazione motivata del consiglio comunale, da
assumersi entro dodici mesi dall’entrata in vigore della
legge regionale recante “Modifiche all’articolo 5 della
legge regionale 28.11.2014, n. 31 (Disposizioni per la
riduzione del consumo di suolo e per lo riqualificazione del
suolo degradato)”, ferma restando la possibilità di
applicare quanto previsto al comma 4’].
Pur volendo ritenere, non senza qualche dubbio, la
disposizione priva di efficacia retroattiva, dalla stessa si
ricava comunque la conferma dell’indirizzo seguito dalla
Sezione anche nel presente contenzioso.
2.3. Ciò conduce al rigetto della censura e quindi
dell’intero ricorso (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 15.03.2018 n. 734 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2017 |
|
URBANISTICA: Alla
Consulta la questione di legittimità costituzionale della
legge regionale lombarda in tema di consumo del suolo
---------------
Urbanistica ed edilizia – Riduzione del consumo del suolo
– Potestà comunale – Questione non manifestamente infondata
di costituzionalità.
Non è manifestamente infondata, con
riferimento ai principi di sussidiarietà (artt. 5, 114 e 118
Cost.) e di riserva alla legislazione esclusiva statale
delle funzioni fondamentali del comune (art. 117, comma 2,
lett. p), Cost.), la questione di legittimità costituzionale
dell’art.
5, l.reg. Lombardia 28.11.2014, n. 31, in quanto,
nel dettare i criteri per la cd. riduzione del consumo del
suolo, determina una illegittima compressione delle potestà
urbanistiche comunali (1).
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(1) I. Con l’ordinanza in epigrafe la quarta sezione del
Consiglio di Stato ha rimesso alla Corte costituzionale i
dubbi in ordine alla legittimità della legislazione
regionale lombarda in tema di consumo del suolo.
II. La questione è sorta nell’ambito di un complesso
contenzioso proposto avverso gli atti di approvazione di una
variante generale al piano regolatore del Comune di Brescia.
La controversia è stata avviata dai proprietari di alcuni
immobili ricompresi in un c.d. “ambito di trasformazione”.
In dettaglio, nel 2014 la Regione Lombardia ha approvato la
legge 28.11.2014, n. 31 che ha tra i propri obiettivi la
riduzione del consumo del suolo; l’articolo 5 della
suindicata legge regionale detta una disposizione di natura
transitoria, sulla scorta della quale i proprietari predetti
presentavano una istanza, contenente un progetto di piano
attuativo riferito a tutto l’ambito di trasformazione.
Peraltro, nelle more il Comune adottava -e poi approvava-
una variante generale di contenuto peggiorativo per gli
interessati, che eliminava dal documento di piano la
previsione dell’ambito di trasformazione suddetto. I
proprietari coinvolti impugnavano quindi la variante
rilevando il contrasto delle previsioni con la sopracitata
legge regionale. Il Tar accoglieva il ricorso ed annullava
in parte qua la variante, dettando poi, nella seconda parte
della sentenza le prescrizioni cui si sarebbe dovuta
improntare la successiva attività pianificatoria del comune.
III. La questione, così come riassunta in massima, nel
ragionamento della quarta sezione prende le mosse da
un’approfondita ricostruzione dei principi dettati dalla
Consulta, anche in tema di governo del territorio.
Si coglie l’occasione per dettare alcune indicazioni di
ordine generale. Ad esempio, che l'urbanistica, ed il
correlato esercizio del potere di pianificazione, non
possono essere intesi, sul piano giuridico, solo come un
coordinamento delle potenzialità edificatorie connesse al
diritto di proprietà, così offrendone una visione affatto
minimale, ma devono essere ricostruiti come intervento degli
enti esponenziali sul proprio territorio, in funzione dello
sviluppo complessivo ed armonico del medesimo. Da ciò emerge
la nozione ampia di “governo del territorio” che,
comportando la potestà legislativa concorrente delle
Regioni, ridonda, a cascata, sulla potestà amministrativa
dei comuni in materia. Nel sistema giuridico italiano la
funzione amministrativa urbanistica, rientrante
pacificamente nella materia del governo del territorio, è
tradizionalmente affidata ai comuni.
Da qui il dubbio di costituzionalità dell’art. 5, comma 4,
della legge regionale della Lombardia 28.11.2014, n. 31 in
relazione al parametro di cui all’art. 117, comma 2, lett.
p), della Costituzione in quanto: deve essere lo Stato a
stabilire con propri atti normativi primari quali siano le
funzioni affidate agli Enti locali; in base alla norma in
questione viene direttamente compiuta dal legislatore
regionale, anziché dalle amministrazioni comunali, una
scelta di particolare rilievo, relativa alla salvaguardia
(anche se per un periodo temporale limitato) di prescrizioni
contenute in atti amministrativi di natura urbanistica,
emanati in precedenza dai comuni medesimi, con conseguente
conformazione del quomodo di esercizio della funzione
comunale.
In pratica, si censura che con il blocco temporale delle
iniziative pianificatorie delle amministrazioni comunali
(seppur per un periodo di tempo contenuto, ma variabile in
quanto incerto nella sua ampiezza), siano rese
immodificabili “le previsioni e i programmi edificatori
del documento di piano vigente”; con tale generale
previsione, a contrario, si inibisce del tutto all’ente
locale di esercitare la potestà di adottare modifiche al
proprio piano vigente, “congelandolo” alla data di
emanazione della legge regionale suddetta.
In tale contesto emerge anche il contrasto con il parametro
della sussidiarietà verticale di cui agli articoli 5, e 118
della Costituzione, sia nella parte in cui il Comune si
duole della indeterminatezza temporale della previsione (nel
senso che non è prevista alcuna decadenza del barrage
interdittivo, laddove la regione non rispetti il termine
temporale contenuto nella legge) sia laddove si sottolinea
la portata “espropriativa” di competenze proprie.
IV. Per completezza, in relazione al tema in oggetto, si
segnala:
a)
Corte cost. 29.11.2017, n. 246 oggetto della
News US 11.12.2017, secondo cui “E’
illegittimo l’art. 1, comma 129, della legge regionale n. 4
del 2011, nella parte in cui, sostituendo l’art. 2, comma 1,
della legge reg. Campania n. 13 del 1993, prevede che non
costituiscono attività rilevanti ai fini paesaggistici le
installazioni «quali tende ed altri mezzi autonomi di
pernottamento, quali roulotte, maxi caravan e case mobili»,
anche se «collocate permanentemente entro il perimetro delle
strutture ricettive regolarmente autorizzate» in un’area
naturale protetta”;
b)
Corte cost. 13.04.2017, n. 84 oggetto della
News US 10.05.2017, secondo cui “Sono
infondate le questioni di legittimità costituzionale
dell’art. 9, comma 1, lettera b), del decreto legislativo
06.06.2001, n. 378, recante «Disposizioni legislative in
materia edilizia (Testo B)», trasfuso nell’art. 9, comma 1,
lettera b), del d.P.R. 06.06.2001, n. 380, recante il «Testo
unico delle disposizioni legislative e regolamentari in
materia edilizia (Testo A)», sollevate, in riferimento agli
artt. 3, 41, primo comma, 42, secondo e terzo comma, 76 e
117, terzo comma, della Costituzione nella parte in cui, nel
prevedere limiti agli interventi di nuova edificazione fuori
del perimetro dei centri abitati nei comuni sprovvisti di
strumenti urbanistici: a) fanno salva l’applicabilità delle
leggi regionali unicamente ove queste prevedano limiti «più
restrittivi»; b) stabiliscono che, «comunque», nel caso di
interventi a destinazione produttiva, si applica –in
aggiunta al limite relativo alla superficie coperta (un
decimo dell’area di proprietà)– anche il limite della
densità massima fondiaria di 0,03 metri cubi per metro
quadrato”;
c)
Corte cost. 17.07.2017, n. 209 oggetto della
News US 31.07.2017, secondo cui “E’
inammissibile la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 14, comma 16, lettera f), del decreto-legge
31.05.2010, n. 78, (Misure urgenti in materia di
stabilizzazione finanziaria e di competitività economica),
convertito dalla legge 30.07.2010, n. 122, sollevata, in
riferimento agli artt. 3, 23, 53 e 97 della Costituzione
nella parte in cui consente di assoggettare ad un contributo
straordinario le cosiddette “valorizzazioni urbanistiche”
frutto della nuova pianificazione”;
d)
Corte cost. 15.07.2016, n. 178 oggetto della
News US 18.07.2016, secondo cui “E’
incostituzionale l’art. 10, comma 1, l.reg. Marche
13.04.2015 n. 16, nella parte in cui modifica l’art. 35
l.reg. 04.12.2014 n. 33, sostituendo, all’espressione
originaria "ovvero di ogni altra trasformazione", la diversa
espressione "e di ogni trasformazione", con ciò ampliando la
deroga alle distanze anche in relazione ad “interventi di
carattere puntuale”, in violazione dell’art. 2-bis del
d.P.R. 06.06.2001, n. 380 (Testo unico dell’ edilizia), che
invece consente alle Regioni di prevedere, con proprie leggi
e regolamenti, disposizioni derogatorie al decreto del
Ministro dei lavori pubblici 02.04.1968, n. 1444, unicamente
a condizione che quest’ultime si inseriscano nell’ambito
della definizione o revisione di strumenti urbanistici
comunque funzionali a un assetto complessivo e unitario
dell’intero territorio o di specifiche aree”.
e) sulla competenza dello Stato a individuare le
funzioni fondamentali degli enti locali ex art. 117, lett.
p), Cost., Corte cost. 11.02.2014, n. 22, in Foro it., 2014,
I, 3394, secondo cui “Non sono fondate, in riferimento
agli art. 117, 118 e 119 commi 1, 2 e 6, cost., le q.l.c.
dell'art. 19, commi 3 e 4 d.l. 06.07.2012, n. 95, conv., con
modif., in l. 07.08.2012, n. 135, il quale sostituisce
l'art. 32 d.lgs. n. 267 del 2000, ponendo una disciplina
articolata delle unioni di Comuni, con differenti profili,
attinenti alle procedure di istituzione e alla struttura
organizzativa delle unioni, nonché alla disciplina delle
funzioni che queste ultime sono destinate a svolgere (comma
3), e prevede, per i comuni con popolazione fino a 5.000
abitanti, una facoltà di scelta tra i modelli organizzativi
di cui ai precedenti commi 1 e 2 (comma 4). Le disposizioni
censurate sono orientate finalisticamente al contenimento
della spesa pubblica, siccome poste da un provvedimento di
riesame delle condizioni di spesa e con contenuti armonici
rispetto all'impianto complessivo della rimodulazione delle
"unioni di comuni", sicché opera il titolo legittimante
della competenza in materia di "coordinamento della finanza
pubblica", di cui al comma 3 dell'art. 117 cost., esercitata
dallo Stato attraverso previsioni che si configurano come
principi fondamentali e non si esauriscono in una disciplina
di mero dettaglio”;
f) sull’esercizio unitario di funzioni amministrative,
Corte cost., 22.07.2011, n. 232, in Foro it., 2011, I, 2538,
secondo cui “Deve essere dichiarata l'illegittimità
costituzionale dell'art. 43 d.l. 31.05.2010 n. 78 art. 43,
conv. con modificazioni dalla l. 30.07.2010 n. 122, che
prevede l'istituzione "nel Meridione d'Italia" di "zone a
burocrazia zero" e dispone che, in tali zone, "nei riguardi
delle nuove iniziative produttive i provvedimenti conclusivi
dei procedimenti amministrativi di qualsiasi natura ed
oggetto avviati su istanza di parte, fatta eccezione per
quelli di natura tributaria, di p.s. e di incolumità
pubblica, sono adottati in via esclusiva da un Commissario
di Governo". Posto che la previsione possiede un campo di
applicazione generalizzato (riferito a tutti i procedimenti
amministrativi in tema di nuove iniziative produttive) e
quindi idoneo a coinvolgere anche procedimenti destinati ad
esplicarsi entro ambiti di competenza regionale concorrente
o residuale, essa appare in contrato con gli agli art. 117,
commi 3 e 4, e 118 cost., in ragione della assenza nel
contesto dispositivo di una qualsiasi esplicitazione, sia
dell'esigenza di assicurare l'esercizio unitario perseguito
attraverso tali funzioni, sia della congruità, in termini di
proporzionalità e ragionevolezza, di detta avocazione
rispetto al fine voluto ed ai mezzi predisposti per
raggiungerlo, sia della impossibilità che le funzioni
amministrative "de quibus" possano essere adeguatamente
svolte agli ordinari livelli inferiori. Resta, di
conseguenza, assorbita l'ulteriore censura formulata in via
subordinata dalla ricorrente avverso il comma 2 del
menzionato art. 43 -per violazione degli art. 117, commi 3 e
4, e 118, comma 1, cost.- in ragione della dedotta mancata
previsione dell'ulteriore presupposto del coinvolgimento
della Regione territorialmente interessata”;
g) sulla sussidiarietà verticale di cui all’art. 118
Cost.:
- Corte cost., 20.05. 2016, n. 110, in Rivista Giuridica
dell'Edilizia 2016, 6, I, 1038, secondo cui “Non sono
fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art.
37, comma 1, d.l. 12.09.2014, n. 133, conv., con modif., in
l. 11.11.2014, n. 164, censurato per violazione degli artt.
117, comma 3 e 118, comma 1, Cost., nonché del principio di
leale collaborazione, nella parte in cui stabilisce che «i
gasdotti di importazione di gas dall'estero, i terminali di
rigassificazione di GNL, gli stoccaggi di gas naturale e le
infrastrutture della rete nazionale di trasporto del gas
naturale, incluse le operazioni preparatorie necessarie alla
redazione dei progetti e le relative opere connesse
rivestono carattere di interesse strategico». La
disposizione impugnata non modifica —né espressamente, né
implicitamente— le singole discipline di settore, dettate
per la localizzazione, la realizzazione ovvero
l'autorizzazione all'esercizio di ciascuna delle categorie
di infrastrutture in essa elencate, per ognuna delle quali
esiste una specifica disciplina procedimentale per la
realizzazione e la messa in esercizio delle relative opere,
che, in forme diverse, prevede la partecipazione degli enti
territoriali, e richiede espressamente l'intesa con la
singola Regione interessata. Pertanto, l'attribuzione del
«carattere di interesse strategico» alle infrastrutture in
questione, effettuata in via generale dalla disposizione
normativa impugnata, non determina, di per sé, alcuna
modifica alle normative di settore prima richiamate, né, di
conseguenza —prevedendo queste ultime sempre la necessaria
intesa con la Regione interessata— alcuna deroga ai
principi, elaborati dalla giurisprudenza costituzionale, in
tema di chiamata in sussidiarietà e di necessaria
partecipazione delle Regioni”;
- Corte cost., 24.07.2015, n. 189, in Rivista Giuridica
dell'Edilizia 2015, 5, I, 872, secondo cui “È
costituzionalmente illegittimo l'art. 41, comma 4, d.l.
21.06.2013, n. 69, conv., con modif., in l. 09.08.2013, n.
98. La norma impugnata, nella parte in cui stabilisce che
costituiscono «interventi di nuova costruzione»
l'installazione di manufatti leggeri anche prefabbricati, e
di strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers,
case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come
abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi,
magazzini e simili, e che non siano diretti a soddisfare
esigenze meramente temporanee, «ancorché siano installati,
con temporaneo ancoraggio al suolo, all'interno di strutture
ricettive all'aperto, in conformità alla normativa regionale
di settore, per la sosta ed il soggiorno di turisti»,
estende, con norma di dettaglio, l'ambito oggettivo degli
«interventi di nuova costruzione», per i quali è richiesto
il permesso di costruire. Essa in specie individua
specifiche tipologie di interventi edilizi, realizzati
nell'ambito delle strutture turistico-ricettive all'aperto,
molto peculiari, che peraltro contraddicono i criteri
generali (della trasformazione permanente del territorio e
della precarietà strutturale e funzionale degli interventi)
forniti, dallo stesso legislatore statale (d.P.R. n. 380 del
2001), ai fini dell'identificazione della necessità o meno
del titolo abilitativo. In tal modo, la norma impugnata
sottrae al legislatore regionale ogni spazio di intervento,
determinando la compressione della sua competenza
concorrente in materia di governo del territorio, nonché la
lesione della competenza residuale del medesimo in materia
di turismo, strettamente connessa, nel caso di specie, alla
prima”;
- Consiglio di Stato, sez. VI, 31.10.2011, n. 5816, secondo
cui “La modifica del Titolo V della parte seconda della
Costituzione, ha previsto, da un lato, l'attribuzione alle
regioni della competenza legislativa concorrente in materia
di "porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di
navigazione" (art. 117 comma 3,cost.); dall'altro, ha
attribuito la generalità delle funzioni amministrative ai
Comuni, salvo che, per assicurarne l'esercizio unitario, le
stesse siano conferite a province, città metropolitane,
regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà,
differenziazione ed adeguatezza (art. 118, comma 1, cost.).
Per i porti civili -nel cui ambito ricade il sito portuale
di cui è controversia- resta inapplicabile, ai fini
dell'individuazione dell'autorità competente a pronunciarsi
sulle richieste concessorie, la previgente classificazione
di cui all'art. 4 l. 28.01.1994 n. 84, ed al d.P.C.M.
21.12.1995 n. 603000. In altri termini, il nuovo sistema
delle competenze, recato dalla l. cost. 18.10.2001 n. 3
(modifiche al Titolo V della parte seconda della
Costituzione) impedisce che possa attribuirsi attuale
valenza precettiva all'inserimento formale del porto nel
d.P.C.M. del 1995, ai fini del riparto delle funzioni
amministrative in materia”;
h) sulla titolarità in capo ai comuni dei poteri di
pianificazione del territorio, cfr. la già richiamata
Corte cost., n. 209 del 2017, oggetto della
News US 31.07.2017;
i) sui rapporti fra regione ed ente locale nella
formazione dello strumento urbanistico e sulle conseguenze
di carattere processuale, Cons. Stato, sez. IV, 23.12.2010,
n. 9375, in Foro it., 2011, III, 330 con nota di CARLOTTI,
secondo cui “È inammissibile il ricorso proposto contro
un piano regolatore generale notificato soltanto al comune
adottante e non anche alla Regione che lo abbia approvato,
in considerazione della natura complessa dell'atto impugnato
e del concorso delle volontà di entrambi gli enti
territoriali alla sua formazione definitiva”;
j) sui limiti della competenza delle Regioni (anche a
statuto speciale) in materia di edilizia e governo del
territorio, fra le tante, cfr.:
- Corte cost., 11.06.2010, n. 209, in Giur. cost. 2010, 3,
2417 con nota di ESPOSITO e in Foro it., 2011, I, 375, con
nota di ROMBOLI, secondo cui “È costituzionalmente
illegittimo l'art. 107-bis, commi 6 e 7, l. prov. Bolzano
11.08.1997 n. 13. Premesso che il legislatore può adottare
norme di interpretazione autentica non soltanto in presenza
di incertezze sull'applicazione di una disposizione o di
contrasti giurisprudenziali, ma anche quando la scelta
imposta dalla legge rientri tra le possibili varianti di
senso del testo originario, con ciò vincolando un
significato ascrivibile alla norma anteriore, fermi i limiti
generali all'efficacia retroattiva delle leggi, le
disposizioni censurate -le quali, rispettivamente, prevedono
che la subordinazione della sanatoria, previo pagamento
della sanzione pecuniaria, all'impossibilità di rimuovere i
vizi delle procedure, si estende ai vizi sostanziali, con la
conseguenza che rientrano nella previsione anche le ipotesi
di opere realizzate in base a concessioni dichiarate
illegittime per contrasto con gli strumenti urbanistici
vigenti o fondati su variazioni degli stessi a loro volta
dichiarate illegittime e annullate (comma 6), e riducono
l'area di inapplicabilità dell'art. 88 l. prov. n. 13 del
1997, nel testo modificato dalla l.prov. n. 1 del 2004, alle
sole ipotesi di inedificabilità assoluta, escludendo quindi
i casi di inedificabilità relativa (comma 7)- nonostante l'autoqualificazione
di norme interpretative, contengono delle vere e proprie
innovazioni del testo previgente, incidendo in modo
irragionevole sul legittimo affidamento nella sicurezza
giuridica, che costituisce elemento fondamentale dello Stato
di diritto, giacché il legislatore provinciale è intervenuto
per rendere retroattivamente legittimo ciò che era
illegittimo, senza che fosse necessario risolvere
oscillazioni giurisprudenziali e senza che il testo delle
norme "interpretate" offrisse alcun appiglio semantico nel
senso delle rilevanti modifiche introdotte, così violando
anche le attribuzioni costituzionali dell'autorità
giudiziaria”;
- Corte cost., 09.03.2016, n. 49, in Rivista Giuridica
dell'Edilizia, 2016, 1-2, I, 8 con nota di STRAZZA, secondo
cui “Con riferimento all’art. 117, comma 3, cost., va
dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 84-bis,
comma 2, lett. b), l.reg. Toscana n. 1 del 2005 (“Norme per
il governo del territorio”). Tale disposizione regionale
infatti, nell’attribuire all’Amministrazione un potere di
intervento, lungi dall’adottare una disciplina di dettaglio,
ha introdotto una normativa sostitutiva dei principi
fondamentali dettati dal legislatore statale; essa, dunque,
comporta l’invasione della riserva di competenza statale
alla formulazione di principi fondamentali, con tutti i
rischi per la certezza e per l’unitarietà della disciplina
che tale invasione comporta”;
- Corte cost. 12.04.2013, n. 64, in Foro it., 2014, I, 2297,
secondo cui “È incostituzionale l'art. 1 commi 1 e 2
l.reg. Veneto 24.02.2012 n. 9, nella parte in cui prevede
che, nell'ambito degli interventi edilizi nelle zone
classificate sismiche, è esclusa, anche con riguardo ai
procedimenti in corso, la necessità del previo rilascio
delle autorizzazioni del competente ufficio tecnico
regionale per i "progetti" e le "opere di modesta
complessità strutturale", privi di rilevanza per la pubblica
incolumità, individuati dalla giunta regionale in base ad
una procedura nella quale è prevista l'obbligatoria
assunzione di un semplice parere da parte della commissione
sismica regionale”;
k) in dottrina sui rapporti fra potestà legislativa
dello Stato e delle Regioni in materia di governo del
territorio e sulle competenze amministrative esercitabili da
Regioni e enti locali, v. MENGOLI, Manuale di diritto
urbanistico, VI ed., Milano, 2009, 65 ss., 73 ss. (Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza non definitiva 04.12.2017 n. 5711 -
commento tratto da e link a
www.giustizia-amministrativa.it).
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Alla Corte costituzionale la l.reg. Lombardia 28.11.2014, n.
31 sul cd. consumo del suolo.
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Urbanistica -
Lombardia - Legge cd. di riduzione del consumo del suolo -
Art. 5, l.reg. n. 31 del 2014 - Compressione delle potestà
urbanistiche comunali - Violazione artt. 5, 114, 117 e 118
Cost. - Rilevanza e non manifesta infondatezza.
E’ rilevante e non manifestamente
infondata, con riferimento ai principi di sussidiarietà (artt.
5, 114 e 118 Cost.) e di riserva alla legislazione esclusiva
statale delle funzioni fondamentali del comune (art. 117,
comma 2, lett. p), Cost.), la questione di legittimità
costituzionale dell’art.
5, commi 4 e 9, della legge regionale lombarda 28.11.2014,
n. 31 (nel testo ante modifiche introdotte dalla
legge regionale lombarda n. 16 del 26.05.2017)
in quanto, nel dettare i criteri per la cd. riduzione del
consumo del suolo, determinante una illegittima compressione
delle potestà urbanistiche comunali (1).
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(1) Giova preliminarmente chiarire che la l.reg.
Lombardia 28.11.2014, n. 31 (Disposizioni per la riduzione
del consumo di suolo e per la riqualificazione del suolo
degradato) ha la finalità di indirizzare la pianificazione
urbanistica, a tutti i livelli (PTR, PTCP, PGT), verso un
minore consumo di suolo.
La definizione normativa di consumo di suolo è stata
introdotta dall’art. 2, comma 1-c, l.reg. n. 31 del 2014 (“trasformazione,
per la prima volta, di una superficie agricola da parte di
uno strumento di governo del territorio, non connessa con
l'attività agro-silvo-pastorale, esclusa la realizzazione di
parchi urbani territoriali”).
Con riferimento alla sollevata questione di legittimità
costituzionale dell’art. 5, l.reg. Lombardia 28.11.2014, n.
31, ha chiarito la Sezione che l'urbanistica, ed il
correlativo esercizio del potere di pianificazione, non
possono essere intesi, sul piano giuridico, solo come un
coordinamento delle potenzialità edificatorie connesse al
diritto di proprietà, così offrendone una visione affatto
minimale, ma devono essere ricostruiti come intervento degli
enti esponenziali sul proprio territorio, in funzione dello
sviluppo complessivo ed armonico del medesimo: la nozione
ampia di “governo del territorio”, comportando la
potestà legislativa concorrente delle Regioni, ridonda, a
cascata, sulla potestà amministrativa dei comuni in
subiecta materia.
Ha aggiunto che nel sistema giuridico italiano all’Ente
comune è tradizionalmente affidata la funzione
amministrativa urbanistica (pacificamente riconducibile alla
nozione “governo del territorio” di cui all’art. 117,
comma 3, della Costituzione) che esso esercita, di regola
attraverso una duplice direttrice. Ha quindi richiamato
Cons. St., sez. VI, 30.06.2011, n. 3888, secondo cui “in
tema di disposizioni dirette a regolamentare l'uso del
territorio negli aspetti urbanistici ed edilizi, contenute
nel relativo piano regolatore, nei piani attuativi o in
altro strumento generale individuato dalla normativa statale
e regionale, occorre differenziare tra le prescrizioni che
in via immediata stabiliscono le potenzialità edificatorie
della porzione di territorio interessata, tra cui rientrano
le norme di cd. zonizzazione; di destinazione di aree a
soddisfare gli standard urbanistici; di localizzazione di
opere pubbliche o di interesse collettivo, dalle altre
regole che disciplinano più in dettaglio l'esercizio
dell'attività edificatoria, di solito contenute nelle norme
tecniche di attuazione del piano o nel regolamento edilizio
e che concernono il calcolo delle distanze e delle altezze;
la compatibilità di impianti tecnologici o di determinati
usi; l'assolvimento di oneri procedimentali e documentali
ecc.”).
Con specifico riferimento alla sollevata questione di
legittimità costituzionale, la Sezione ha affermato, in
relazione:
a) al parametro di cui all’art. 117, comma 2, lett. p),
Cost., che:
a) la riserva esclusiva alla legislazione statuale
delle “funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città
metropolitane” implica una conseguenza: quella che debba
essere lo Stato –e soltanto quest’ultimo– a stabilire con
propri atti normativi primari quali siano le funzioni
affidate agli Enti locali;
b) l’art. 5, l.reg. Lombardia n. 31 del 2014 potrebbe
ritenersi collidente con tale disposizione della
Costituzione in quanto, pur essendo la funzione
amministrativa in materia urbanistica affidata in termini
generali ai comuni della Lombardia, tuttavia viene
direttamente compiuta dal legislatore regionale anziché
dalle amministrazioni comunali una scelta di particolare
rilievo, relativa alla salvaguardia (anche se per un periodo
temporale limitato) di prescrizioni contenute in atti
amministrativi di natura urbanistica, emanati in precedenza
dai comuni medesimi;
c) in tal modo si è voluto escludere che il comune
eserciti per questo profilo la funzione amministrativa
urbanistica ad esso spettante, della quale si è conformato
il quomodo di esercizio.
b) al parametro relativo al principio di sussidiarietà
verticale di cui agli artt. 5 e 118 Cost., sia nella parte
in cui il Comune si duole della indeterminatezza temporale
della previsione (nel senso che non è prevista alcuna
decadenza del barrage interdittivo, laddove la regione non
rispetti il termine temporale contenuto nella legge) sia
laddove si sottolinea la portata “espropriativa” di
competenze proprie (consistenti nella potestà di modificare
il documento di Piano del PGT) rappresentata dalla
prescrizione interdittiva di cui al comma 4 dell’art. 5,
l.reg. Lombardia n. 31 del 2014.
Ad avviso della Sezione, il comma 4 dell’art. 5, l.reg.
Lombardia n. 31 del 2014 ha introdotto un divieto al potere
comunale di modifica del Documento di Piano in senso
riduttivo del consumo di suolo quanto agli ambiti di
trasformazione, e che tale prescrizione renda non
manifestamente infondato il dubbio di legittimità
costituzionale prospettato dal comune, in quanto la funzione
di pianificazione, ex art. 118 Cost., integra funzione
amministrativa attribuita al comune medesimo (Consiglio di
Stato, Sez. IV,
sentenza non definitiva 04.12.2017 n. 5711 -
commento tratto da e link a
www.giustizia-amministrativa.it).
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Consumo di suolo: il Consiglio di Stato solleva la questione
di legittimità costituzionale della L.R. della Lombardia n.
31 del 2014.
Il Consiglio di Stato ha dichiarato
rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimità costituzionale dell’art.
5, commi 4 e 9, della legge regionale lombarda 28.11.2014,
n. 31 (nel testo ante modifiche introdotte dalla
legge regionale lombarda n. 16 del 26.05.2017), con
riferimento agli articoli 5, 117, comma 2, lett. p), e 118
della Costituzione ed ha, per l’effetto, rimesso alla Corte
Costituzionale la questione di legittimità.
Ad avviso del Collegio, non è manifestamente infondato il
dubbio di costituzionalità investente la disposizione
contenuta nell’art. 5, comma 4, della legge regionale della
Lombardia 28.11.2014, n. 31 in relazione al parametro di cui
all’art. 117, comma 2, lett. p), della Costituzione in
quanto:
a) la riserva esclusiva alla legislazione statuale delle
“funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città
metropolitane” implica una conseguenza: quella che debba
essere lo Stato –e soltanto quest’ultimo- a stabilire con
propri atti normativi primari quali siano le funzioni
affidate agli Enti locali;
b) la prescrizione normativa regionale avversata potrebbe
ritenersi collidente con tale disposizione della
Costituzione in quanto, pur essendo la funzione
amministrativa in materia urbanistica affidata in termini
generali ai comuni della Lombardia, tuttavia viene
direttamente compiuta dal legislatore regionale anziché
dalle amministrazioni comunali una scelta di particolare
rilievo, relativa alla salvaguardia (anche se per un periodo
temporale limitato) di prescrizioni contenute in atti
amministrativi di natura urbanistica, emanati in precedenza
dai comuni medesimi;
c) in tal modo si è voluto escludere che il comune
eserciti per questo profilo la funzione amministrativa
urbanistica ad esso spettante, della quale si è conformato
(in negativo) il quomodo di esercizio.
Ad analoghe conclusioni, perviene il Collegio, con
riferimento al parametro della violazione del principio di
sussidiarietà in quanto:
a) il blocco temporale alle iniziative pianificatorie
delle amministrazioni comunali, implica che –seppur per un
periodo di tempo contenuto, ma variabile in quanto incerto
nella sua ampiezza– siano immodificabili le previsioni e i
programmi edificatori del documento di piano vigente;
b) con tale generale previsione, a contrario, si inibisce
del tutto all’ente locale di esercitare la potestà di
adottare modifiche al proprio Documento di Piano vigente (quest’ultimo
costituente la parte più rilevante e qualificante del PGT,
come è noto) ed in concreto se ne determina il contenuto,
“congelandolo” alla data di emanazione della legge regionale
suddetta
(commento tratto da https://camerainsubria.blogspot.it).
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... per la riforma della
sentenza 17.01.2017 n. 47 del TAR per la
LOMBARDIA – Sez. Staccata di Brescia – Sez. I.
...
1. Ritiene il Collegio che l’appello principale sia in parte
infondato, e vada pertanto respinto, laddove sostiene che la
sentenza sia viziata ex art. 112 c.p.c.; ritiene di converso
il Collegio che sia rilevante e non manifestamente
infondata, nei termini che verranno esposti in motivazione,
la questione di legittimità costituzionale della suindicata
legge regionale 28.11.2014, n. 31 prospettata nell’appello
principale; ritiene, quindi, il Collegio che debba essere
sollevata la questione di legittimità costituzionale
relativa alla legge regionale menzionata e che il processo
debba essere sospeso; tutte le altre censure prospettate
nell’appello principale e nell’appello incidentale non
possono essere allo stato decise, in quanto dall’esito della
decisione della Corte Costituzionale in ordine alla
questione sollevata dipenderà la procedibilità delle
medesime, nella parte in cui, per speculari ragioni, esse
attingono i capi 22 e segg. della impugnata sentenza laddove
sono state dettate prescrizioni in punto di futura attività
programmatoria del comune conseguenti all’annullamento degli
atti impugnati.
1.1. Preliminarmente il Collegio evidenzia che:
a) a mente del combinato disposto degli artt. artt. 91,
92 e 101, co. 1, c.p.a., farà esclusivo riferimento ai mezzi
di gravame posti a sostegno dei ricorsi in appello, senza
tenere conto di ulteriori censure sviluppate nelle memorie
difensive successivamente depositate, in quanto
intempestive, violative del principio di tassatività dei
mezzi di impugnazione e della natura puramente illustrativa
delle comparse conclusionali (cfr. ex plurimis Cons.
Stato Sez. V, n. 5865 del 2015);
b) le parti concordano in ordine alla ricostruzione
fattuale e cronologica della vicenda infraprocedimentale
siccome descritta nella parte in fatto della decisione di
primo grado impugnata, per cui, anche al fine di non
appesantire il presente elaborato, ed in ossequio al
principio di sinteticità, si farà integrale riferimento sul
punto alle affermazioni del Tar (art. 64, comma II, del
c.p.a.);
c) l’appello principale è senz’altro ammissibile in
quanto ivi si propongono critiche dettagliate e specifiche
alle argomentazioni contenute nella impugnata decisione, il
che implica la reiezione della eccezione di inammissibilità
del medesimo per genericità sollevate dalla difesa delle
parti originarie ricorrenti di primo grado;
d) è inaccoglibile (e comunque, per quanto si chiarirà di
seguito, la parte appellante non avrebbe interesse a
proporla) la censura secondo la quale la sentenza dovrebbe
essere dichiarata nulla in quanto resa in violazione del
principio di cui all’art. 112 c.p.c. a cagione della
circostanza che non si sarebbe pronunciata sulla eccezione
subordinata formulata dall’appellante comune di Brescia di
sospetta illegittimità costituzionale della disposizione di
cui all’art. del 5 della legge regionale 28.11.2014, n. 31,
in quanto:
I) per costante giurisprudenza che il Collegio
condivide “l'omessa pronuncia, da parte del giudice di
primo grado, su censure e motivi di impugnazione costituisce
tipico errore di diritto per violazione del principio di
corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, deducibile
in sede di appello sotto il profilo della violazione del
disposto di cui all'art. 112, c.p.c., che è applicabile al
processo amministrativo” (tra le tante Consiglio Stato,
sez. IV, 16.01.2006, n. 98);
II) ma –stabilisce la consolidata giurisprudenza
amministrativa- "il vizio di omessa pronuncia su un vizio
del provvedimento impugnato deve essere accertato con
riferimento alla motivazione della sentenza nel suo
complesso, senza privilegiare gli aspetti formali, cosicché
esso può ritenersi sussistente soltanto nell'ipotesi in cui
risulti non essere stato esaminato il punto controverso e
non quando, al contrario, la decisione sul motivo
d'impugnazione risulti implicitamente da un'affermazione
decisoria di segno contrario ed incompatibile”
(Consiglio Stato, sez. VI, 06.05.2008, n. 2009);
III) nel caso di specie detto vizio non ricorre, in
quanto la sentenza di primo grado ha -seppur sinteticamente-
chiarito il proprio convincimento contrario alla fondatezza
della eccezione di illegittimità costituzionale dell’art. 5
della legge regionale della Lombardia n. 31 del 2014 al
considerando n. 21 (“Questo non significa che la
pianificazione comunale sia bloccata per un tempo indefinito
e non possa perseguire finalità di contenimento delle
edificazioni, modificando le proprie scelte precedenti. Il
nuovo orientamento più restrittivo deve però essere attuato
in modo incrementale, rivedendo ogni singolo progetto di
piano attuativo, ed esponendo per ciascuno le ragioni che
inducono a ritenere non più conforme all’interesse pubblico
l’equilibrio perequativo fatto proprio dal PGT.”);
IV) in ogni caso, il comune non ha interesse a
sollevare la censura posto che per risalente quanto
consolidata giurisprudenza (pienamente attuale ai sensi
dell’ art. 105 del c.p.a.) “l'omessa pronuncia su una o
più censure proposte col ricorso giurisdizionale non
configura un error in procedendo tale da comportare
l'annullamento della decisione, con contestuale rinvio della
controversia al giudice di primo grado, ma solo un vizio
dell'impugnata sentenza che il giudice di appello è
legittimato ad eliminare integrando la motivazione carente
o, comunque, decidendo del merito della causa” (
Consiglio Stato, sez. IV, 19.06.2007, n. 3289) ed il
Collegio provvederà a scrutinare la doglianza immediatamente
di seguito.
1.2. In punto di fatto, la questione per cui si controverte,
è così sintetizzabile: la parte originaria ricorrente
possiede alcuni immobili ricompresi (ai sensi dalla
disciplina ad essi impressa dal PGT del 2012) in un Ambito
di trasformazione; nel 2014 la Regione Lombardia ha
approvato la legge 28.11.2014, n. 31 che ha tra i propri
obiettivi la riduzione del consumo del suolo; l’articolo 5
della suindicata legge regionale detta una disposizione di
natura transitoria; sulla scorta della (asserita) previsione
di cui alla menzionata norma transitoria, la parte
originaria ricorrente presenta una istanza (contenente un
progetto di piano attuativo riferito a tutto l’Ambito di
trasformazione, unità di intervento P2) ai sensi del comma 6
ivi contenuto e nei termini dallo stesso prescritti, e si
aspetterebbe che, proprio in forza delle previsioni
contenute nella norma transitoria, e della circostanza che
essa ha presentato l’istanza nei tempi ivi stabiliti, detto
piano venisse assentito; medio tempore, però, il comune ha
adottato -e poi approvato- una variante generale che ha
eliminato dal documento di piano la previsione dell’ambito
di trasformazione suddetto (variante che non è contestato
abbia contenuto peggiorativo per la posizione degli
originari ricorrenti); questi ultimi sono insorti, ed hanno
rilevato il contrasto delle previsioni contenute nella
variante generale suddetta con la sopracitata legge
regionale; il Tar ha accolto detta tesi ed ha annullato
in parte qua la variante, dettando poi, nella seconda
parte della sentenza le prescrizioni cui si sarebbe dovuta
improntare la successiva attività pianificatoria del comune.
2. Ciò premesso, e venendo all’esame del merito delle
doglianze proposte, seguendo la tassonomia propria delle
questioni (secondo le coordinate ermeneutiche dettate
dall’Adunanza plenaria n. 5 del 2015), in ordine logico è
prioritario l’esame del primo motivo di doglianza “di
merito” proposto dal comune di Brescia, secondo il quale
la sentenza di primo grado avrebbe frainteso e male
interpretato il disposto di cui all’art. del 5 della legge
regionale 28.11.2014, n. 31 (ed avrebbe erroneamente
ritenuto, quindi, che la avversata variante fosse contra
legem).
2.1. La delibazione di tale censura è pregiudiziale in
quanto:
a) ove la stessa fosse accolta, non vi sarebbe necessità
di scrutinare la –subordinata-questione di legittimità
costituzionale (che viene infatti prospettata nella sola
ipotesi in cui il Collegio ritenga che la suindicata
disposizione debba necessariamente essere interpretata nel
senso chiarito dal Tar);
b) trattasi di una esigenza sistematica, in quanto è ben
noto che per condivisa e costante giurisprudenza (tra le
tante Corte Conti reg., -Sicilia- sez. giurisd., 04/07/2005,
n. 149, Cassazione civile, sez. I, 28/11/2003, n. 18200,
Consiglio di Stato, sez. V, 30/10/1997, n. 1207), sulla
falsariga dei fondamentali insegnamenti della Corte
Costituzionale, si è costantemente affermato che fra più
interpretazioni possibili delle norme giuridiche positive,
l'interprete deve privilegiare solo quella più conforme alla
Costituzione.
2.2. Ciò premesso, il Collegio non è persuaso della
fondatezza della tesi prospettata dall’appellante comune di
Brescia, in quanto sembra al Collegio che il testo della
norma sia stato correttamente interpretato dal Tar.
2.2.1. Invero, il testo originario della legge regionale
della Lombardia 28.11.2014, n. 31 (recante “Disposizioni
per la riduzione del consumo di suolo e per la
riqualificazione del suolo degradato”) all’articolo 1
(recante “finalità generali” e del quale è bene
riportare per esteso l’articolato) enuncia la ratio
della propria esistenza e gli obiettivi che essa intende
perseguire, laddove prevede che: “1. La presente legge
detta disposizioni affinché gli strumenti di governo del
territorio, nel rispetto dei criteri di sostenibilità e di
minimizzazione del consumo di suolo, orientino gli
interventi edilizi prioritariamente verso le aree già
urbanizzate, degradate o dismesse ai sensi dell’articolo 1
della legge regionale 11.03.2005, n. 12 (Legge per il
governo del territorio), sottoutilizzate da riqualificare o
rigenerare, anche al fine di promuovere e non compromettere
l’ambiente, il paesaggio, nonché l’attività agricola, in
coerenza con l’articolo 4-quater della legge regionale
05.12.2008, n. 31 (Testo unico delle leggi regionali in
materia di agricoltura, foreste, pesca e sviluppo rurale).
2. Il suolo, risorsa non rinnovabile, è bene comune di
fondamentale importanza per l’equilibrio ambientale, la
salvaguardia della salute, la produzione agricola
finalizzata alla alimentazione umana e/o animale, la tutela
degli ecosistemi naturali e la difesa dal dissesto
idrogeologico.
3. Le disposizioni della presente legge stabiliscono norme
di dettaglio nel quadro ricognitivo dei principi
fondamentali della legislazione statale vigente in materia
di governo del territorio.
4. In particolare, scopo della presente legge è di
concretizzare sul territorio della Lombardia il traguardo
previsto dalla Commissione europea di giungere entro il 2050
a una occupazione netta di terreno pari a zero.”.
Il successivo articolo 2 (recante “definizioni di
consumo di suolo e rigenerazione urbana”) della suddetta
legge regionale, del pari di notevole importanza al fine di
dirimere la presente controversia, dispone invece quanto
segue: “1. In applicazione dei principi di cui alla
presente legge e alla conclusione del percorso di
adeguamento dei piani di governo del territorio di cui
all’articolo 5, comma 3, i comuni definiscono:
a) superficie agricola: i terreni qualificati dagli
strumenti di governo del territorio come
agro-silvo-pastorali;
b) superficie urbanizzata e urbanizzabile: i terreni
urbanizzati o in via di urbanizzazione calcolati sommando le
parti del territorio su cui è già avvenuta la trasformazione
edilizia, urbanistica o territoriale per funzioni antropiche
e le parti interessate da previsioni pubbliche o private
della stessa natura non ancora attuate;
c) consumo di suolo: la trasformazione, per la prima
volta, di una superficie agricola da parte di uno strumento
di governo del territorio, non connessa con l’attività
agro-silvo-pastorale, esclusa la realizzazione di parchi
urbani territoriali e inclusa la realizzazione di
infrastrutture sovra comunali; il consumo di suolo è
calcolato come rapporto percentuale tra le superfici dei
nuovi ambiti di trasformazione che determinano riduzione
delle superfici agricole del vigente strumento urbanistico e
la superficie urbanizzata e urbanizzabile;
d) bilancio ecologico del suolo: la differenza tra la
superficie agricola che viene trasformata per la prima volta
dagli strumenti di governo del territorio e la superficie
urbanizzata e urbanizzabile che viene contestualmente
ridestinata nel medesimo strumento urbanistico a superficie
agricola.
Se il bilancio ecologico del suolo è pari a zero, il consumo
di suolo è pari a zero;
e) rigenerazione urbana: l’insieme coordinato di
interventi urbanistico-edilizi e di iniziative sociali che
includono, anche avvalendosi di misure di ristrutturazione
urbanistica, ai sensi dell’articolo 11 della l.r. 12/2005,
la riqualificazione dell’ambiente costruito, la
riorganizzazione dell’assetto urbano attraverso la
realizzazione di attrezzature e infrastrutture, spazi verdi
e servizi, il recupero o il potenziamento di quelli
esistenti, il risanamento del costruito mediante la
previsione di infrastrutture ecologiche finalizzate
all’incremento della biodiversità nell’ambiente urbano.
2. Il Piano territoriale regionale (PTR) precisa le modalità
di determinazione e quantificazione degli indici che
misurano il consumo di suolo, validi per tutto il territorio
regionale, disaggrega, acquisito il parere delle province e
della città metropolitana da rendersi entro trenta giorni
dalla richiesta, i territori delle stesse in ambiti
omogenei, in dipendenza dell’intensità del corrispondente
processo urbanizzativo ed esprime i conseguenti criteri,
indirizzi e linee tecniche da applicarsi negli strumenti di
governo del territorio per contenere il consumo di suolo.
3. In applicazione dei criteri, indirizzi e linee tecniche
di cui al comma 2, gli strumenti comunali di governo del
territorio prevedono consumo di suolo esclusivamente nei
casi in cui il documento di piano abbia dimostrato
l’insostenibilità tecnica ed economica di riqualificare e
rigenerare aree già edificate, prioritariamente mediante
l’utilizzo di edilizia esistente inutilizzata o il recupero
di aree dismesse nell’ambito del tessuto urbano consolidato
o su aree libere interstiziali. Sono comunque garantite le
misure compensative di riqualificazione urbana previste dal
piano dei servizi. In ogni caso, gli strumenti comunali di
governo del territorio non possono disporre nuove previsioni
comportanti ulteriore consumo del suolo sino a che non siano
state del tutto attuate le previsioni di espansione e
trasformazione vigenti alla data di entrata in vigore della
presente legge.
4. La Giunta regionale, con deliberazione da approvare entro
dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente
legge, sentita la competente commissione consiliare,
definisce i criteri di individuazione degli interventi
pubblici e di interesse pubblico o generale di rilevanza
sovracomunale per i quali non trovano applicazione le soglie
di riduzione del consumo di suolo di cui alla presente legge”.
2.2.2. La disposizione della legge regionale suindicata che
risulta di maggiore pregnanza ai fini della definizione
della controversia è però quella contenuta all’art. 5
(recante “norma transitoria”) che prevede quanto di
seguito: “1. La Regione integra il PTR con le previsioni
di cui all’articolo 19, comma 2, lettera b-bis), della l.r.
12/2005, come introdotto dall’articolo 3, comma 1, lettera
p), della presente legge, entro dodici mesi dalla data di
entrata in vigore della presente legge.
2. Ciascuna provincia e la città metropolitana adeguano il
PTCP e gli specifici strumenti di pianificazione
territoriale alla soglia regionale di riduzione del consumo
di suolo, ai criteri, indirizzi e linee tecniche di cui
all’articolo 2 della presente legge e ai contenuti
dell’articolo 19 della l.r. 12/2005, entro dodici mesi
dall’adeguamento del PTR di cui al comma 1.
3. Successivamente all’integrazione del PTR e
all’adeguamento dei PTCP e degli strumenti di pianificazione
territoriale della città metropolitana, di cui ai commi 1 e
2, e in coerenza con i contenuti dei medesimi, i comuni
adeguano, in occasione della prima scadenza del documento di
piano, i PGT alle disposizioni della presente legge.
4. Fino all’adeguamento di cui al
comma 3 e, comunque, fino alla definizione nel PGT della
soglia comunale del consumo di suolo, di cui all’articolo 8,
comma 2, lettera b-ter), della l.r. 12/2005, come introdotto
dall’articolo 3, comma 1, lettera h), della presente legge,
i comuni possono approvare unicamente varianti del PGT e
piani attuativi in variante al PGT, che non comportino nuovo
consumo di suolo, diretti alla riorganizzazione
planivolumetrica, morfologica, tipologica o progettuale
delle previsioni di trasformazione già vigenti, per la
finalità di incentivarne e accelerarne l’attuazione, esclusi
gli ampliamenti di attività economiche già esistenti, nonché
quelle finalizzate all’attuazione degli accordi di programma
a valenza regionale. Fino a detto adeguamento sono comunque
mantenute le previsioni e i programmi edificatori del
documento di piano vigente.
5. I comuni approvano, secondo quanto previsto dalla l.r.
12/2005 vigente prima dell’entrata in vigore della presente
legge, i PGT o le varianti di PGT già adottati alla data di
entrata in vigore della presente legge, rinviando
l’adeguamento di cui al comma 3 alla loro successiva
scadenza; tale procedura si applica anche ai comuni
sottoposti alla procedura di commissariamento di cui
all’articolo 25-bis della l.r. 12/2005. La validità dei
documenti comunali di piano, la cui scadenza intercorra
prima dell’adeguamento della pianificazione provinciale e
metropolitana di cui al comma 2, è prorogata di dodici mesi
successivi al citato adeguamento.
5-bis. Per i comuni di nuova istituzione il termine biennale
di cui all’articolo 25-quater, comma 1, della l.r. 12/2005,
nonché le discipline ad esso correlate di cui ai commi 2 e 3
del medesimo articolo sono differite fino a dodici mesi
successivi all’adeguamento della pianificazione provinciale
e metropolitana di cui al comma 2. Analogo differimento è
disposto per il comune di Gravedona ed Uniti.
6. La presentazione dell’istanza di cui all’articolo 14
della l.r. 12/2005 dei piani attuativi conformi o in
variante connessi alle previsioni di PGT vigenti alla data
di entrata in vigore della presente legge deve intervenire
entro trenta mesi da tale ultima data.
Per detti piani e per quelli la cui istanza di approvazione
sia già pendente alla data di entrata in vigore della
presente legge, i comuni provvedono alla istruttoria
tecnica, nonché alla adozione e approvazione definitiva in
conformità all’articolo 14 della l.r. 12/2005. La relativa
convenzione di cui all’articolo 46 della l.r. 12/2005 è
tassativamente stipulata entro dodici mesi dall’intervenuta
esecutività della delibera comunale di approvazione
definitiva.
7. In tutti i casi di inerzia o di ritardo comunale negli
adempimenti di cui al comma 6 l’interessato può chiedere
alla Regione la nomina di un commissario ad acta. Il
dirigente della competente struttura regionale, ricevuta
l’istanza, procede ai fini dell’intimazione al comune di
adempiere entro il termine di sette giorni dal ricevimento
dell’intimazione. Nel caso di ulteriore inerzia del comune,
comunque comprovata, la Giunta regionale nomina un
commissario ad acta nel termine dei sette giorni successivi
alla scadenza della diffida. Il commissario ad acta così
designato esaurisce tempestivamente gli adempimenti di
istruttoria tecnica, adozione, approvazione e
convenzionamento secondo necessità. A far tempo dalla nomina
del commissario ad acta, il comune non può più provvedere
sull’istanza.
8. Per i piani attuativi tempestivamente attivati ai sensi
del comma 6, il comune può prevedere che la relativa
convenzione di cui all’articolo 46 della l.r. 12/2005
consenta la dilazione di pagamento degli importi dovuti, ai
sensi del comma 1, lettera a), del predetto articolo e a
titolo di monetizzazione di cessioni di aree, fino ad un
massimo di sei rate semestrali, ciascuna di pari importo, da
corrispondersi a far tempo dal diciottesimo mese successivo
alla stipula della convenzione stessa.
9. Con riguardo ai piani attuativi, per i
quali non sia tempestivamente presentata l’istanza di cui al
comma 6 o il proponente non abbia adempiuto alla stipula
della convenzione nei termini ivi previsti, i comuni, con
motivata deliberazione di consiglio comunale, sospendono la
previsione di PGT sino all’esito del procedimento di
adeguamento di cui al comma 3 e, entro i successivi novanta
giorni, verificano la compatibilità delle previsioni sospese
con le prescrizioni sul consumo di suolo previste dal PGT,
disponendone l’abrogazione in caso di incompatibilità
assoluta, ovvero impegnando il proponente alle necessarie
modifiche e integrazioni negli altri casi.
10. Fino all’adeguamento di cui al comma 3, viene prevista
una maggiorazione percentuale del contributo relativo al
costo di costruzione di cui all’articolo 16, comma 3, del
decreto del Presidente della Repubblica 06.06.2001, n. 380
(Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari
in materia edilizia (Testo A)) così determinata:
a) entro un minimo del venti ed un massimo del trenta per
cento, determinata dai comuni, per gli interventi che
consumano suolo agricolo nello stato di fatto non ricompresi
nel tessuto urbano consolidato;
b) pari alla aliquota del cinque per cento, per gli
interventi che consumano suolo agricolo nello stato di fatto
all’interno del tessuto urbano consolidato;
c) gli importi di cui alle lettere a) e b) sono da
destinare obbligatoriamente alla realizzazione di misure
compensative di riqualificazione urbana e compensazione
ambientale; tali interventi possono essere realizzati anche
dall’operatore, in accordo con il comune.”.
2.2.3. Ad avviso del comune di Brescia appellante il Tar
avrebbe frainteso il combinato-disposto dei commi 3 e 4
della norma immediatamente prima citata, in quanto non si
sarebbe avveduto che la variante approvata dal Comune ed
avversata dagli originari ricorrenti andava proprio nella
direzione (rientrante pacificamente, come chiarito, tra le
finalità della legge regionale suddetta) di ridurre il
consumo di suolo.
2.2.4. Il Collegio non concorda con la tesi dell’appellante
amministrazione comunale per più considerazioni, sia fondate
sulla lettera della disposizione predetta, che di natura
teleologica, in quanto:
a) si è al cospetto di una disposizione transitoria, tesa
a regolare le problematiche scaturenti dalla sopravvenuta
approvazione della legge suddetta;
b) in questo quadro, è perfettamente logico che il
Legislatore regionale si sia preoccupato di disciplinare la
posizione dei titolari delle aree che secondo il PGT vigente
al momento della entrata in vigore della legge regionale,
erano ricompresi nei c.d. Ambiti di Trasformazione, nelle
more dell’adeguamento dei Piani di Governo del territorio
alle sopravvenute disposizioni di legge;
c) il combinato-disposto dei commi 3 e 4 della citata
disposizione regolamentano proprio il momento
dell’adeguamento;
d) la parte finale del comma 4, in questo quadro di
insieme, contiene una prescrizione perentoria, a tenore
della quale “fino a detto adeguamento sono comunque
mantenute le previsioni e i programmi edificatori del
documento di piano vigente”;
e) tenuto conto della ratio sottesa alla necessità
di dettare una disposizione transitoria (all’evidenza,
quella di tutelare l’affidamento dei proprietari delle aree
circa le destinazioni “possibili” al momento della
entrata in vigore della legge regionale suddetta) e tenuto
conto della perentorietà della indicazione legislativa
suindicata, non pare al Collegio che la tesi del Tar
presenti ragionevoli alternative: la stessa, infatti, si
fonda sul dato letterale della norma suddetta di cui
all’art. 5 della legge regionale lombarda n. 31/2014
(neppure l’appellante amministrazione comunale contesta tale
dato) e ne coglie la ratio, tenuto conto che trattasi
di una disposizione di natura transitoria, volta a regolare
le situazioni pregresse alla entrata in vigore della legge
medesima, e con quest’ultima in potenza configgenti;
f) parimenti, l’art. 2, comma 1, lett. c) della suddetta
legge, detta una nozione di consumo del suolo “statica”
(“consumo di suolo: la trasformazione, per la prima
volta, di una superficie agricola da parte di uno strumento
di governo del territorio, non connessa con l’attività
agro-silvo-pastorale, esclusa la realizzazione di parchi
urbani territoriali e inclusa la realizzazione di
infrastrutture sovra comunali; il consumo di suolo è
calcolato come rapporto percentuale tra le superfici dei
nuovi ambiti di trasformazione che determinano riduzione
delle superfici agricole del vigente strumento urbanistico e
la superficie urbanizzata e urbanizzabile”) ed ancorata
rigidamente alla zonizzazione impressa alle aree: anche
sotto tale profilo (rafforzativo del decisum del Tar)
non sembra al Collegio che siano praticabili differenti
opzioni ermeneutiche.
2.2.5. Nell’ottica del doveroso preliminare esame di
rilevanza della prospettata questione di legittimità
costituzionale, sembra al Collegio,quindi, che l’approdo
interpretativo del Tar non sia scalfito dalle critiche
dell’appellante.
3. Come rilevato nella parte in fatto della presente
decisione, l’appellante amministrazione comunale ha
prospettato in via subordinata la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 5 della legge regionale della
Lombardia 28.11.2014, n. 31 con riferimento ai parametri di
cui agli artt. 5, 114, 118, 117 comma 2 lett. p) e 117 comma
3 della Costituzione. La tesi di fondo sottesa alla
questione prospettata si incentra su due profili, in
quanto:
a) per un verso si sottolinea che la disposizione
in parola (ove interpretata nel senso affermato dal Tar e,
come prima chiarito, condiviso dal Collegio) conculcherebbe
i principi in tema di sussidiarietà e di esercizio delle
funzioni amministrative affidate al comune;
b) per altro verso, si sostiene che la norma
medesima collida con i principi generali dettati dalla legge
regionale urbanistica n. 12/2005.
3.1. Lo scrutinio della complessa questione prospettata
postula un breve approfondimento in tema di rilevanza della
questione nel presente giudizio; detto approfondimento dovrà
altresì farsi carico di verificare la persistenza della
eventuale accertata rilevanza della questione, tenuto conto
della circostanza che il legislatore regionale lombardo è di
recente intervenuto con la legge regionale 26.05.2017, n. 16
apportando numerose modifiche all’impianto originario della
predetta legge regionale della Lombardia 28.11.2014, n. 31 .
3.1.1. Cercando di non ripetere considerazioni già
rassegnate, si osserva innanzitutto –fermandosi al testo
originario della legge in ultimo citata- che:
a) è già stato chiarito che il Collegio condivide e fa
proprio il principio giurisprudenziale (tra le tante Corte
Conti reg., -Sicilia- sez. giurisd., 04/07/2005, n. 149,
Cassazione civile, sez. I, 28/11/2003, n. 18200, Consiglio
di Stato, sez. V, 30/10/1997, n. 1207), reso sulla falsariga
dei fondamentali insegnamenti della Corte Costituzionale,
secondo cui fra più interpretazioni possibili delle norme
giuridiche positive, l'interprete deve privilegiare solo
quella più conforme alla Costituzione;
b) a completamento di quanto evidenziato nel precedente
capo del presente provvedimento, preme porre in luce che
anche lo sforzo interpretativo in tal senso del Collegio non
ha consentito di individuare una interpretazione della
disposizione di cui all’art. 5 della legge regionale della
Lombardia 28.11.2014, n. 31 che consenta di disinnescare i
dubbi prospettati dall’appellante comune;
c) invero, la “lettura” prospettata
dall’appellante amministrazione comunale, pretenderebbe che
la citata disposizione venga interpretata nel senso che:
I) essa (in armonia con la finalità perseguita dalla
legge regionale) conformi la potestà pianificatoria del
comune in un unico senso: quello di vietare –quanto meno in
attesa dell’adeguamento contemplato dalla legge regionale–
la creazione di nuovi Ambiti suscettibili di consumare suolo
agricolo;
II) di converso, la disposizione medesima, non
potrebbe essere intesa nel senso che sarebbe interdetta al
comune la potestà di pianificare il proprio territorio (se
non appunto, al limitato fine di impedire un ulteriore
consumo del suolo agricolo); da ciò discenderebbe
(armonicamente con la previsione di cui all’art. 2, comma 3,
della legge regionale lombarda n. 31/2014 medesima) che ai
Comuni sarebbe (unicamente) inibito prevedere nuove
espansioni edificatorie (fatte salve le specifiche eccezioni
contemplate dall’art. 5, comma 4 della legge) ma non sarebbe
invece vietato limitare le previsioni edificatorie contenute
nel PGT vigente e, pertanto, gli atti impugnati non
potrebbero essere tacciati di illegittimità;
III) osserva però in contrario senso il Collegio, che
è proprio l’ultima parte dell’art. 5, comma 4, della legge
(“Fino a detto adeguamento sono comunque mantenute le
previsioni e i programmi edificatori del documento di piano
vigente”) che si lega indissolubilmente al PGT, non a
caso espressamente menzionato nella prima parte del predetto
comma 4; ed osserva altresì che – anche a volere obliare il
dato letterale, e quello sistematico (trattasi, si ripete di
una norma transitoria) - la interpretazione alternativa del
comune priverebbe il predetto comma 4 dell’art. 5 di alcun
senso compiuto: infatti, laddove si consideri che il divieto
dell’adozione di atti amministrativi comportanti incremento
di suolo è già espressamente contenuto nell’art. 2, comma 3,
della legge, non si comprende a quale fattispecie dovrebbe
applicarsi l’ultima parte del comma 4 dell’art. 5 suddetto;
IV) tanto è sufficiente, ad avviso del Collegio, per
ribadire che l’approdo interpretativo del Tar appare ad un
esame preliminare condivisibile, fermo restando che in
questa fase il thema decidendum è delibato ai soli
fini del giudizio di non manifesta infondatezza della
questione di legittimità costituzionale, con riserva di ogni
definitiva valutazione all’esito dell’incidente di
costituzionalità.
3.1.2. Sotto il profilo della originaria rilevanza nel
presente giudizio della questione di legittimità
costituzionale prospettata, invece, pare al Collegio non sia
necessario diffondersi oltremisura per chiarire il rilievo
della questione prospettata.
3.1.3. La parte originaria ricorrente, infatti, aspira ad
attuare un progetto di piano attuativo riferito all’unità di
intervento P2, conservando i diritti edificatori; tale
ambizione sarebbe frustrata dalla variante generale al PGT
(seconda variante) che ha, tra l’altro, eliminato dal
documento di piano la previsione dell’ambito di
trasformazione P, compresa la parte relativa all’unità di
intervento P2; la legittimità di tale variante è stata
esclusa, proprio in quanto contrastante con l’ultima parte
del comma 4 dell’art. 5 della citata legge regionale
28.11.2014, n. 31: ma laddove la predetta prescrizione
venisse vulnerata da una dichiarazione di
incostituzionalità, verrebbe meno il limite alla potestà
pianificatoria del comune ivi contenuto; tale limite
resterebbe ristretto al divieto (del tutto compatibile con
lo scopo della legge regionale suddetta) di prevedere nuove
fattispecie comportanti consumo di suolo; ed in definitiva
la variante generale raggiungerebbe lo scopo di interdire
l’edificazione in detto ambito di trasformazione P, e ne
discenderebbe la reiezione del ricorso di primo grado.
3.1.4. Per completezza di esposizione, si rappresenta infine
che non vi sono profili alternativi (preesistenti ovvero
anche sopravvenuti) da esplorare –nell’ambito del presente
giudizio– che possano condurre ad un giudizio di superfluità
e non rilevanza della questione esaminata, non emergendo
dagli atti di causa elementi ulteriori dimostrativi della
impossibilità in capo alla parte originaria ricorrente di
realizzare l’intervento in parola.
Si evidenzia infatti che l’unico profilo dedotto in primo
grado di illegittimità della variante generale al PGT
adottata con la deliberazione consiliare n. 128 del
28.07.2015 ed approvata in via definitiva con la
deliberazione consiliare n. 17 del 09.02.2016, riposava nel
contrasto della medesima con la prescrizione secondo cui
fino all’adeguamento del PGT, possibile solo dopo
l'integrazione del PTR e l'adeguamento del PTCP, la
normativa regionale manteneva provvisoriamente efficaci le
previsioni e i programmi edificatori del PGT in vigore (art.
5, comma 4, della legge suddetta); che le obiezione delle
parti originari ricorrenti ed appellanti incidentali
attengono a profili di fondatezza della dedotta questione
(che saranno meglio approfonditi di seguito) ma non
scalfiscono il giudizio sulla rilevanza della problematica
dedotta.
3.2. Accertato -nei termini sinora esposti- il rilievo che
la dedotta questione assumeva nell’ambito della presente
controversia al momento della proposizione del ricorso di
primo grado (e dell’appello principale), occorre adesso
verificare se la rilevanza della questione persista, alla
luce della sopravvenuta legge regionale 26.05.2017, n. 16
che ha apportato numerose modifiche al testo originario
della legge regionale n. 31 del 2014.
3.2.1. Osserva sul punto il Collegio, che:
a) sia il comune di Brescia che la parte originaria
ricorrente ed appellante incidentale concordano sulla
circostanza che la sopravvenuta modifica legislativa non
spieghi effetti sulla controversia;
b) il Collegio ritiene che tale prospettazione sia
condivisibile, in quanto:
I) per condivisa giurisprudenza (si veda ancora di
recente Consiglio di Stato, Sez. IV, 28.06.2016, n. 2892)
dalla quale non ravvisano ragioni per discostarsi “la
legittimità di un atto amministrativo va accertata con
riguardo allo stato di fatto e di diritto esistente al
momento della sua emanazione, secondo il principio del
tempus regit actum. Sicché non si può validare ex post
un'azione amministrativa che al momento in cui fu adottata
si appalesava illegittima, se non e solo con le regole e nei
limiti della autotutela”;
II) la legittimità della variante va quindi vagliata
alla stregua del testo di legge vigente al momento in cui la
stessa venne emanata;
III) soltanto laddove la eventuale legge sopravvenuta
avesse portata retroattiva, la applicabilità del superiore
principio potrebbe subire deroghe (e ciò, nei limiti in cui
è consentito al Legislatore di intervenire sulle
controversie in corso, secondo l’avveduta costante
interpretazione che la Corte Costituzionale ha fornito in
punto di ammissibilità delle c.d. leggi-provvedimento).
3.2.2. Nel caso di specie, si osserva che la sopravvenuta la
legge regionale della Lombardia 26.05.2017, n. 16:
a) non contiene alcuna prescrizione che ne sancisca
espressamente la retroattività, né alcuna clausola che la
definisca qual legge di natura “interpretativa”;
b) contiene prescrizioni di natura innovativa e, quindi,
se anche (pur in carenza di espressa indicazione in tal
senso) se ne volesse ipotizzare la natura interpretativa,
tale sforzo ermeneutico non potrebbe essere coronato da
successo;
c) la legge suddetta ha infatti modificato l’art. 5 della
legge regionale n. 31 del 2014 interpolando (per quel che in
questa sede più immediatamente rileva) i commi 4 e 9, nei
seguenti termini:
I) (comma 4) “Fino all’adeguamento di cui al comma
3 e, comunque, fino alla definizione nel PGT della soglia
comunale del consumo di suolo, di cui all’articolo 8, comma
2, lettera b-ter), della l.r. 12/2005, come introdotto
dall’articolo 3, comma 1, lettera h), della presente legge,
i comuni possono approvare varianti generali o parziali del
documento di piano e piani attuativi in variante al
documento di piano, assicurando un bilancio ecologico del
suolo non superiore a zero, computato ai sensi dell’articolo
2, comma 1, e riferito alle previsioni del PGT vigente alla
data di entrata in vigore della presente legge. La relazione
del documento di piano, di cui all’articolo 8, comma 2,
lettera b-ter), della l.r. 12/2005, come introdotto
dall’articolo 3, comma 1, lettera h), della presente legge,
illustra le soluzioni prospettate, nonché la loro idoneità a
conseguire la massima compatibilità tra i processi di
urbanizzazione in atto e l’esigenza di ridurre il consumo di
suolo e salvaguardare lo sviluppo delle attività agricole,
anche attraverso puntuali comparazioni circa la qualità
ambientale, paesaggistica e agricola dei suoli interessati.
I comuni possono approvare, altresì, le varianti finalizzate
all’attuazione degli accordi di programma a valenza
regionale, all’ampliamento di attività economiche già
esistenti nonché le varianti di cui all’articolo 97 della
l.r. 12/2005. Il consumo di suolo generato dalle varianti di
cui al precedente periodo concorre al rispetto della soglia
regionale e provinciale di riduzione del consumo di suolo. A
seguito dell’integrazione del PTR di cui al comma 1, le
varianti di cui al presente comma devono risultare coerenti
con i criteri e gli indirizzi individuati dal PTR per
contenere il consumo di suolo; i comuni possono altresì
procedere ad adeguare complessivamente il PGT ai contenuti
dell’integrazione del PTR, configurandosi come adeguamento
di cui al comma 3. Le province e la Città metropolitana di
Milano verificano, in sede di parere di compatibilità di cui
all’articolo 13, comma 5, della l.r. 12/2005, anche il
corretto recepimento dei criteri e degli indirizzi del PTR.
Entro un anno dall’integrazione del PTR di cui al comma 1, i
comuni sono tenuti a trasmettere alla Regione informazioni
relative al consumo di suolo nei PGT, secondo contenuti e
modalità indicati con deliberazione della Giunta regionale”;
II) (comma 9) ”con riguardo ai piani attuativi
relativi alle aree disciplinate dal documento di piano, per
i quali non sia tempestivamente presentata l’istanza di cui
al comma 6, i comuni nell’ambito della loro potestà
pianificatoria possono mantenere la possibilità di
attivazione dei piani attuativi, mantenendo la relativa
previsione del documento di piano o, nel caso in cui
intendano promuovere varianti al documento di piano,
disporne le opportune modifiche e integrazioni con la
variante da assumere ai sensi della l.r. 12/2005”;
d) ad avviso del Collegio, non è neppure utile, in questa
sede, controvertere sulla portata ed il significato da
attribuire alla novella di cui alla legge regionale della
Lombardia 26.05.2017, n. 16, in quanto:
I) se anche si volesse ritenere che la stessa abbia
ampliato le potestà spettanti ai comuni (è questa, ad avviso
del Collegio, la portata effettuale della novella)
l’appellante comune di Brescia non potrebbe giovarsene nella
presente controversia;
II) ciò perché, laddove questo Collegio confermasse la
statuizione demolitoria del Tar, la parte originaria
ricorrente potrebbe agire in ottemperanza, ed il Comune non
potrebbe determinare l’assetto urbanistico dell’area
giovandosi delle sopravvenute prescrizioni legislative
(ammesso pure che le stesse –il che è fortemente contestato
dalle parti appellanti incidentali, sulla scorta del
novellato comma 9 dell’art. 5 della legge regionale n. 31
del 2014- consentano di intervenire sui piani attuativi
comportanti consumo di suolo);
III) a questo punto, la eventuale declaratoria di
improcedibilità per carenza di interesse della questione di
legittimità costituzionale prospettata con riferimento al
primigenio testo della legge regionale n. 31 del 2014 si
risolverebbe (in riferimento alla presente controversia) in
un diniego di giustizia, in quanto l’appellante Comune di
Brescia sarebbe privato dell’unica possibilità di ottenere
un giudizio di piena legittimità della variante adottata:
appare evidente infatti che soltanto laddove il primigenio
testo dell’art. 5 della legge regionale n. 31 del 2014
venisse vulnerato da una declaratoria di incostituzionalità
verrebbe meno il giudizio di illegittimità della variante
adottata, quantomeno sulla scorta dei parametri di censura
prospettati nell’odierno giudizio;
e) il Collegio è quindi dell’avviso che la questione di
legittimità costituzionale prospettata con riferimento
all’originario testo della legge regionale n. 31 del 2014
conservi immutate attualità e rilevanza nel presente
giudizio, anche a seguito delle modifiche introdotte dal
Legislatore regionale con la legge regionale della Lombardia
26.05.2017, n. 16.
3.3. E proprio passando al merito della questione di
legittimità costituzionale prospettata, anticipa il Collegio
il proprio convincimento secondo cui la dedotta questione,
oltre che rilevante, appaia non manifestamente infondata,
almeno quanto al principale versante critico prospettato.
3.4. Al fine di sgombrare il campo da argomenti
inaccoglibili, si osserva immediatamente che:
a) l’argomento critico fondato sul supposto contrasto del
comma 4 dell’art. 5 della citata legge regionale 28.11.2014,
n. 31 con la legge generale urbanistica lombarda 11.03.2005,
n.12 , da un canto, non potrebbe giammai condurre alla
declaratoria di illegittimità della norma in parola, e
dall’altra, sotto il profilo logico, appare meramente
rafforzativo dell’argomento (principale) posto a sostegno
del sospetto di incostituzionalità;
b) ciò in quanto, per un verso la legge generale
urbanistica lombarda 11.03.2005, n.12 non integra parametro
di rilevanza costituzionale, e per altro verso, il comma 4
dell’art. 5 della citata legge regionale 28.11.2014, n. 31
non appare intersecare la prescrizione di cui all’art. 13
della citata legge 11.03.2005, n.12 , nella parte in cui
quest’ultima affida ai comuni il compito di adottare ed
approvare il PGT (all’evidenza, la disposizione di cui
all’art. 5 della legge regionale n. 31 del 2014 non immuta
l’autorità competente ad approvare il documento di
pianificazione urbanistica del territorio comunale);
c) inoltre, non è neppure del tutto esatto sostenere che
il procedimento di approvazione del PGT veda del tutto
esclusa una forma di compartecipazione regionale (si vedano
i commi 5-bis ed 8 del citato articolo);
d) semmai, si potrebbe sostenere che la suddetta legge
regionale urbanistica lombarda 11.03.2005, n.12 valorizza in
maniera penetrante il ruolo dei comuni: ma ciò al più
potrebbe costituire argomento di supporto del sospetto di
incostituzionalità avanzato principaliter ma non
anche autonomo profilo di contrasto;
e) del pari, non costituisce problematica rilevante,
sotto il profilo del dubbio di legittimità costituzionale
prospettato, il denunciato “contrasto” dell’art. 5
della legge regionale suddetta con gli artt. 1 e 2 della
legge medesima, nella parte in cui assumono la riduzione del
consumo del suolo quale obiettivo principale della legge
medesima, in quanto:
I) nuovamente, non può ritenersi che venga in rilievo
nel caso di specie alcun parametro di rilevanza
costituzionale;
II) l’argomento critico mira a mettere in dubbio la
complessiva ragionevolezza delle prescrizioni legislative
regionali suddette, ove “lette congiuntamente”, ed in
ultima analisi costituisce un tentativo –svolto sul piano
sistematico- di mettere in dubbio la correttezza
dell’approdo interpretativo del Tar;
III) in precedenza si sono già chiarite le ragioni di
non persuasività della superiore tesi: nell’ottica del
dubbio di legittimità costituzionale prospettato, può
soltanto aggiungersi che se anche rispondesse al vero che la
lettera della norma transitoria “depotenzi”
l’obiettivo (riduzione di suolo) che la legge regionale
medesima si propone di perseguire, ciò non appare elemento
di irragionevolezza tale da fare ipotizzare la possibile
incostituzionalità dell’articolo 5 della legge, ciò tanto
più laddove si consideri che ivi il Legislatore regionale ha
tentato di salvaguardare l’affidamento dei proprietari di
aree incluse in ambiti di trasformazione.
3.5. Quanto all’asserito contrasto del comma 4 dell’art. 5
della citata legge regionale 28.11.2014, n. 31 con il
principio di sussidiarietà (artt. 5, 114 e 118 della
Costituzione) e con quello di riserva alla legislazione
esclusiva statuale delle funzioni fondamentali del comune
(art. 117, comma 2, lett. p), della Costituzione)
–tematiche, queste, che ad avviso del Collegio costituiscono
il nodo centrale della controversia– si osserva sotto un
profilo più generale, che:
a) secondo consolidata giurisprudenza costituzionale,
l'urbanistica e l'edilizia devono essere ricondotte alla
materia «governo del territorio», di cui all'art. 117, terzo
comma, Cost., materia di legislazione concorrente in cui lo
Stato ha il potere di fissare i principi fondamentali,
spettando alle Regioni il potere di emanare la normativa di
dettaglio (da ultimo, Corte cost. ordinanza n. 314 del 2012;
sentenza n. 309 del 2011, vedi anche sentenze n. 362 e n.
303 del 2003).
Per altro verso, la Corte Costituzionale ha chiarito da
tempo risalente che il rispetto delle autonomie comunali
deve armonizzarsi con la verifica e la protezione di
concorrenti interessi generali, collegati ad una valutazione
più ampia delle esigenze diffuse nel territorio: ciò
giustifica l'eventuale emanazione di disposizioni
legislative (statali e regionali) che vengano ad incidere su
funzioni già assegnate agli enti locali (sent. n. 286/97).
Dunque non è precluso alle leggi nazionali ovvero anche
regionali di prevedere la limitazione di alcune competenze
comunali in considerazione di “concorrenti interessi
generali, collegati ad una valutazione più ampia delle
esigenze diffuse nel territorio” (Corte cost. n.
378/2000 cit.). Le leggi regionali sono tenute cioè a
valutare “la maggiore efficienza della gestione a livello
sovracomunale degli interessi coinvolti” (Corte cost. n.
286/97).
E’ rimasto inoltre chiarito (sent. n. 478/02), in relazione
ai poteri urbanistici dei Comuni, come la legge nazionale e
regionale possa modificarne le caratteristiche o
l'estensione, ovvero subordinarli a preminenti interessi
pubblici, alla condizione di non annullarli o comprimerli
radicalmente, garantendo adeguate forme di partecipazione
dei Comuni interessati ai procedimenti che ne condizionano
l'autonomia (fra le molte, v. le sentenze n. 378/2000, n.
357/1998, n. 286/1997, n. 83/1997 e n. 61/1994). Assai
rilevanti in proposito, sono certamente le pronunce in
merito alle leggi regionali sul cd. “piano casa” (fra
cui Corte cost. n. 46/2014, che giudica legittima
l’imposizione regionale di limitazioni alla potestà ed
all’autonomia pianificatoria comunale, ove collegate a
specifici presupposti e circoscritte entro confini ben
determinati).
La problematica, come è agevole riscontrare, ruota intorno
ai concetti di necessità ed adeguatezza (si veda anche Corte
Costituzionale, 24/07/2015, n. 189, laddove si evidenzia che
“Invero, questa Corte -ex plurimis, sentenze n. 278 del
2010, n. 6 del 2004 e n. 303 del 2003- ha ritenuto -fin
dalla citata sentenza n. 303 del 2003- che, nell'art. 118,
primo comma, Cost., vada rinvenuto un peculiare elemento di
flessibilità, il quale -nel prevedere che le funzioni
amministrative, generalmente attribuite ai Comuni, possano
essere allocate ad un livello di governo diverso per
assicurarne l'esercizio unitario, sulla base dei principî di
sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza- introduce un
meccanismo dinamico incidente anche sulla stessa
distribuzione delle competenze legislative- diretto appunto
a superare l'equazione tra titolarità delle funzioni
legislative e titolarità delle funzioni amministrative”);
b) con particolare riferimento alla materia urbanistica
(rientrante, come prima sottolineato, nella materia della
legislazione concorrente, ex art. 117, comma 3, della
Costituzione) l’art. 2 del d.P.R. 06.06.2001, n. 380
stabilisce, ai primi quattro commi, quanto segue: “1. Le
regioni esercitano la potestà legislativa concorrente in
materia edilizia nel rispetto dei principi fondamentali
della legislazione statale desumibili dalle disposizioni
contenute nel testo unico.
Le regioni a statuto speciale e le province autonome di
Trento e di Bolzano esercitano la propria potestà
legislativa esclusiva, nel rispetto e nei limiti degli
statuti di autonomia e delle relative norme di attuazione.
Le disposizioni, anche di dettaglio, del presente testo
unico, attuative dei principi di riordino in esso contenuti,
operano direttamente nei riguardi delle regioni a statuto
ordinario, fino a quando esse non si adeguano ai principi
medesimi.
I comuni, nell'ambito della propria autonomia statutaria e
normativa di cui all'articolo 3 del decreto legislativo
18.08.2000, n. 267, disciplinano l'attività edilizia.”;
c) in giurisprudenza non si ritiene dubitabile la
necessità di fare riferimento ad una nozione ampia e
funzionalizzata del concetto di “governo del territorio”:
questo è l’indirizzo a più riprese affermato dalla Sezione,
ancora assai di recente, e dal quale il Collegio non
rinviene ragioni per discostarsi (tra le tante: Consiglio di
Stato, sez. IV, 22.02.2017, n. 821, laddove di precisa che “il
potere di pianificazione urbanistica del territorio -la cui
attribuzione e conformazione normativa è costituzionalmente
conferita ex art. 117 comma 3, Cost. alla potestà
legislativa concorrente dello Stato e delle Regioni ed il
cui esercizio è normalmente attribuito, pur nel contesto di
ulteriori livelli ed ambiti di pianificazione, al Comune,
non è limitato alla individuazione delle destinazioni delle
zone del territorio comunale, ed in particolare alla
possibilità e limiti edificatori delle stesse; al contrario,
tale potere di pianificazione deve essere rettamente inteso
in relazione ad un concetto di urbanistica non limitato alla
disciplina coordinata della edificazione dei suoli -e, al
massimo, ai tipi di edilizia, distinti per finalità, in tal
modo definiti-, ma che, per mezzo della disciplina
dell'utilizzo delle aree, realizzi anche finalità
economico-sociali della comunità locale (non in contrasto ma
anzi in armonico rapporto con analoghi interessi di altre
comunità territoriali, regionali e dello Stato), nel quadro
di rispetto e di positiva attuazione di valori
costituzionalmente tutelati; tali finalità, più complessive
dell'urbanistica, e degli strumenti che ne comportano
attuazione, sono peraltro desumibili fin dalla l. 17.08.1942
n. 1150, laddove essa individua il contenuto della
"disciplina urbanistica e dei suoi scopi" -art. 1-, non solo
nell'assetto ed incremento edilizio dell'abitato, ma anche
nello "sviluppo urbanistico in genere nel territorio della
Repubblica");
d) in definitiva, l'urbanistica, ed il correlativo
esercizio del potere di pianificazione, non possono essere
intesi, sul piano giuridico, solo come un coordinamento
delle potenzialità edificatorie connesse al diritto di
proprietà, così offrendone una visione affatto minimale, ma
devono essere ricostruiti come intervento degli enti
esponenziali sul proprio territorio, in funzione dello
sviluppo complessivo ed armonico del medesimo: la nozione
ampia di “governo del territorio”, comportando la
potestà legislativa concorrente delle Regioni, ridonda, a
cascata, sulla potestà amministrativa dei comuni in
subiecta materia;
e) come è noto, nel sistema giuridico italiano all’Ente
comune è tradizionalmente affidata la funzione
amministrativa urbanistica (pacificamente riconducibile alla
nozione “governo del territorio” di cui all’art. 117,
comma 3, della Costituzione) che esso esercita, di regola
attraverso una duplice direttrice (tra le tante Cons. Stato,
Sez. VI, 30.06.2011, n. 3888: “in tema di disposizioni
dirette a regolamentare l'uso del territorio negli aspetti
urbanistici ed edilizi, contenute nel relativo piano
regolatore, nei piani attuativi o in altro strumento
generale individuato dalla normativa statale e regionale,
occorre differenziare tra le prescrizioni che in via
immediata stabiliscono le potenzialità edificatorie della
porzione di territorio interessata, tra cui rientrano le
norme di cd. zonizzazione; di destinazione di aree a
soddisfare gli standard urbanistici; di localizzazione di
opere pubbliche o di interesse collettivo, dalle altre
regole che disciplinano più in dettaglio l'esercizio
dell'attività edificatoria, di solito contenute nelle norme
tecniche di attuazione del piano o nel regolamento edilizio
e che concernono il calcolo delle distanze e delle altezze;
la compatibilità di impianti tecnologici o di determinati
usi; l'assolvimento di oneri procedimentali e documentali
ecc.”).
3.6. Ciò posto, ad avviso del Collegio, non
è manifestamente infondato il dubbio di costituzionalità
investente la disposizione contenuta nell’art.
5, comma 4, della legge regionale della Lombardia
28.11.2014, n. 31 in relazione all’evocato
parametro di cui all’art. 117, comma 2, lett. p), della
Costituzione in quanto:
a) la riserva esclusiva alla
legislazione statuale delle “funzioni fondamentali di
Comuni, Province e Città metropolitane” implica una
conseguenza: quella che debba essere lo Stato –e soltanto
quest’ultimo- a stabilire con propri atti normativi primari
quali siano le funzioni affidate agli Enti locali;
b) la prescrizione normativa regionale
avversata potrebbe ritenersi collidente con tale
disposizione della Costituzione in quanto, pur essendo la
funzione amministrativa in materia urbanistica affidata in
termini generali ai comuni della Lombardia, tuttavia viene
direttamente compiuta dal legislatore regionale anziché
dalle amministrazioni comunali una scelta di particolare
rilievo, relativa alla salvaguardia (anche se per un periodo
temporale limitato) di prescrizioni contenute in atti
amministrativi di natura urbanistica, emanati in precedenza
dai comuni medesimi
(tra cui quello di Brescia, originario ricorrente);
c) in tal modo si è voluto escludere che
il comune eserciti per questo profilo la funzione
amministrativa urbanistica ad esso spettante, della quale si
è conformato (in negativo, come meglio si vedrà di seguito)
il quomodo di esercizio.
3.7. Ad analoghe conclusioni, perviene il Collegio, con
riferimento all’evocato parametro della violazione del
principio di sussidiarietà.
3.7.1. Il blocco temporale alle iniziative pianificatorie
delle amministrazioni comunali, implica che –seppur per un
periodo di tempo contenuto, ma variabile in quanto incerto
nella sua ampiezza- siano immodificabili “le previsioni e
i programmi edificatori del documento di piano vigente”.
3.7.2. Con tale generale previsione, a contrario, si
inibisce del tutto all’ente locale di esercitare la potestà
di adottare modifiche al proprio Documento di Piano vigente
(quest’ultimo costituente la parte più rilevante e
qualificante del PGT, come è noto) ed in concreto se ne
determina il contenuto, “congelandolo” alla data di
emanazione della legge regionale suddetta.
3.7.3. Ora, è ben noto che, la scelta del Legislatore di
attribuire talune competenze al Comune risponde, di regola,
all'esigenza di assicurare un ordinato assetto del
territorio, corrispondente agli effettivi bisogni della
collettività locale, essendo il Comune l'ente appartenente
ad un livello di governo più prossimo ai cittadini, in piena
coerenza con il principio costituzionale della sussidiarietà
verticale (si veda, tra le tante Consiglio di Stato, sez.
III, 02/05/2016, n. 1658 in materia di localizzazione delle
sedi farmaceutiche): e si ritiene di avere prima dimostrato
che per tradizione al comune sono stati attribuiti i compiti
di pianificazione urbanistica,
In un contesto ordinamentale in cui il principio di
sussidiarietà, da un lato, e la spettanza al Comune di tutte
le funzioni amministrative che riguardano il territorio
comunale, dall'altro, orientano i vari livelli di
pianificazione urbanistica secondo il criterio della
competenza, il ruolo del Comune non può infatti essere
confinato nell'ambito della mera attuazione di scelte
precostituite in sede sovraordinata; il Comune, di regola,
non può disattendere le prescrizioni di coordinamento
dettate dagli enti (Regione o Provincia) titolari del
relativo potere, ma può, tuttavia, discrezionalmente
concretizzarne i contenuti.
Già in tempo risalente, la giurisprudenza amministrativa ha
cercato di trovare un punto di equilibrio che garantisse
l’ordinato dispiegarsi delle competenze comunali al contempo
garantendo che gli Enti sovraordinati esercitassero le
funzioni di coordinamento a queste rimesse: è stato pertanto
affermato che (si veda Consiglio di Stato, sez. II,
05/02/2003, n. 2691) “non è consentito all'ente titolare
del potere di approvazione del piano regolatore, al di fuori
delle ipotesi connotate dalla prevalenza di tutela di
interessi superiori, modificare in modo sostanziale i
contenuti della disciplina urbanistica, frutto della scelta
della comunità di riferimento e, per questo, espressione
della riserva di attribuzione democratica assistita dal
principio di sussidiarietà.”
3.7.4. Discendono da quanto si è prima
esposto, una serie di principi –costantemente predicati
dalla giurisprudenza amministrativa- mercé i quali,
(sia pure tenendo conto delle differenti specificità delle
legislazioni regionali) si è salvaguardato
il tendenziale principio della spettanza ai comuni della
funzione di pianificazione urbanistica, essendosi rilevato
che:
I) se la Regione, in sede di
approvazione della delibera comunale di adozione del piano
vi apporti delle modifiche, v’è l’obbligo di procedere ad
una nuova pubblicazione per consentire ai privati di
proporre le osservazioni nel caso di variazioni c.d.
facoltative e innovative, ovvero che mutino le
caratteristiche essenziali ed i criteri di impostazione del
piano (tra le
tante, TAR Lecce, -Puglia-, sez. I, 12.10.2005, n. 4490);
II) l'autorità comunale, in luogo di
rispondere alle considerazioni tecniche ed ai chiarimenti
richiesti in sede di approvazione dalla regione, ha facoltà
di ripropone allo stesso organo un piano regolatore nuovo,
purché rispetti gli adempimenti formali richiesti per
l'adozione di un nuovo strumento urbanistico
(Consiglio di Stato, sez. IV, 22.05.1989, n. 347);
III) i limiti del potere regionale di
approvazione risiedono nella evidenza per cui una scelta di
pianificazione di segno diametralmente opposto a quella
voluta dal Comune in sede di variazione dello strumento
urbanistico generale non può che competere all'Ente locale,
prevedendo la legge invece, in capo alla Regione, potestà
più ridotte, mera espressione del potere regionale di
partecipazione alla formazione dell'atto a complessità
diseguale di pianificazione generale
(Consiglio di Stato, sez. IV, 20.05.2014, n. 2563);
IV) non è consentito all'ente titolare
del potere di approvazione del piano regolatore, al di fuori
delle ipotesi connotate dalla prevalenza di tutela di
interessi superiori, modificare in modo sostanziale i
contenuti della disciplina urbanistica, frutto della scelta
della comunità di riferimento e, per questo, espressione
della riserva di attribuzione democratica assistita dal
principio di sussidiarietà
(Consiglio di Stato, sez. II, 05.02.2003, n. 2691);
V) la risalente nozione del sistema
pianificatorio urbanistico come ordinato "a cascata"
e cioè in forma sostanzialmente gerarchica si pone in
contrasto con il principio costituzionale dell'autonomia
degli enti territoriali (art. 118 cost.) nonché con il
criterio generale di riparto delle competenze in materia
urbanistica delineato dalla normativa statale. In un
contesto ordinamentale in cui il principio di sussidiarietà
da un lato e la spettanza al comune di tutte le funzioni
amministrative che riguardano il territorio comunale
dall'altro orientano i vari livelli di pianificazione
urbanistica secondo il criterio della competenza, il ruolo
del comune non può infatti essere confinato nell'ambito
della mera attuazione di scelte precostituite in sede
sovraordinata. Ciò comporta che il comune, se non può
disattendere le prescrizioni di coordinamento dettate dagli
enti (regione o provincia) titolari del relativo potere, può
però discrezionalmente concretizzarne i contenuti
(Consiglio di Stato, sez. IV, 01.10.2007, n. 5058).
3.8. Si sono voluti enucleare –senza alcuna pretesa di
completezza od esaustività- i principi sinora predicati
dalla giurisprudenza, per chiarire che la filosofia di fondo
di tale consolidato filone interpretativo è quella di
garantire il potere regionale di partecipazione alla
formazione dell'atto a complessità diseguale di
pianificazione generale, pur nella riaffermazione del
principio per cui la funzione di pianificazione urbanistica
resta saldamente rimessa alla responsabilità
dell’amministrazione comunale.
3.8.1. Sarebbe quindi illegittimo un atto amministrativo di
matrice regionale che si sostituisse alle determinazioni
comunali con riferimento a scelte discrezionali
3.8.2. E laddove, per avventura, ciò avvenisse con un atto
di matrice legislativa, la competenza del comune –
discendente dal principio di sussidiarietà verticale
contenuto nella Carta fondamentale- potrebbe essere “difesa”
rimettendo alla Corte Costituzionale il giudizio di
legittimità sulla legge medesima in relazione al parametro
che prevede ed eleva il principio di sussidiarietà,
rappresentato dal combinato-disposto degli articoli 5 e 118
della Carta Fondamentale.
3.8.3. Si osserva poi che, se tali principi devono trovare
attuazione con riferimento ad atti amministrativi (ovvero
legislativi) a contenuto positivo, analoga risposta deve
essere fornita, laddove l’atto di matrice regionale
incidente sulla potestà di pianificazione urbanistica
rimessa al comune si strutturi in un atto di natura
legislativa contenente una prescrizione “negativa”
che, in tesi, impedisca al comune medesimo di esercitare
tali prerogative.
3.8.4. Nel caso specie, pare al Collegio che ci si trovi in
presenza proprio di tale evenienza, e sotto due connessi
e speculari profili, in quanto:
I) il comma 1 dell’art. 5 della citata legge regionale
28.11.2014, n. 31 impone alla Regione di integrare “il
PTR con le previsioni di cui all’articolo 19, comma 2,
lettera b-bis), della l.r. n. 12/2005, come introdotto
dall’articolo 3, comma 1, lettera p), della presente legge,
entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della
presente legge”;
II) la disposizione medesima nulla prevede nella ipotesi
in cui detto termine non sia rispettato;
IV) nelle more di tale integrazione il comma 4 del
predetto articolo 5 (nel testo primigenio) non soltanto
conforma la potestà urbanistica comunale (“i comuni
possono approvare unicamente varianti del PGT e piani
attuativi in variante al PGT, che non comportino nuovo
consumo di suolo, diretti alla riorganizzazione
planivolumetrica, morfologica, tipologica o progettuale
delle previsioni di trasformazione già vigenti, per la
finalità di incentivarne e accelerarne l’attuazione, esclusi
gli ampliamenti di attività economiche già esistenti, nonché
quelle finalizzate all’attuazione degli accordi di programma
a valenza regionale”) in un’unica direzione (il che però
non costituisce prescrizione della quale il comune di
Brescia appellante principale si duole) ma anche, inibisce
al comune qualunque forma di pianificazione “diversa”
stabilendo che fino all’adeguamento di cui al comma 3 della
disposizione predetta (comunque successivo alla integrazione
del PTR da parte della Regione) “sono comunque mantenute
le previsioni e i programmi edificatori del documento di
piano vigente”;
V) è ben vero che (come acutamente sottolineato dalle
parti originarie ricorrenti alla pag. 4 della memoria
depositata il 13.9.2017) la legge regionale non interdice la
possibilità di approvare varianti al Piano delle Regole ed
al Piano dei Servizi del PGT, ma è vero altresì che la
prescrizione interdittiva contenuta nella legge riguarda
l’atto maggiormente rilevante e qualificante della
programmazione urbanistica comunale, rappresentato dal
documento di Piano.
3.8.5. Il Collegio ritiene quindi che non siano
manifestamente infondati i dubbi di legittimità
costituzionale della disposizione suddetta prospettati
dall’appellante comune, anche con riferimento al parametro
della sussidiarietà verticale di cui agli articoli 5, e 118
della Costituzione, sia nella parte in cui il Comune si
duole della indeterminatezza temporale della previsione (nel
senso che non è prevista alcuna decadenza del barrage
interdittivo, laddove la regione non rispetti il termine
temporale contenuto nella legge) sia laddove si sottolinea
la portata “espropriativa” di competenze proprie
(consistenti nella potestà di modificare il documento di
Piano del PGT) rappresentata dalla prescrizione interdittiva
di cui al comma 4 dell’art. 5 della legge.
3.8.6. Un’ultima annotazione è necessaria, Quanto al primo
profilo: il comma 1 della legge, in verità, prevede un
termine (di dodici mesi dall’entrata in vigore della legge)
entro il quale la regione debba “integrare il PTR con le
previsioni di cui all’articolo 19, comma 2, lettera b-bis),
della l.r. 12/2005, come introdotto dall’articolo 3, comma
1, lettera p), della legge regionale 28.11.2014, n. 31
medesima”.
E’ evidente che trattasi di un atto il cui contenuto è
rimesso alla latissima discrezionalità dell’Ente regionale,
e la cui adozione –a cascata- condiziona il successivo
adeguamento degli strumenti urbanistici rimesso ai comuni
lombardi dal comma 3 del citato articolo 5; ed è altrettanto
evidente che di fatto, fino all’adozione di tali atti, la
potestà urbanistica comunale resta condizionata
negativamente dalla prescrizione di cui all’ultima parte del
comma 4 del citato articolo.
Secondariamente, va ribadito che l’avviso del Collegio è
quello per cui il comma 4 dell’art. 5 della legge regionale
abbia introdotto un divieto al potere comunale di modifica
del Documento di Piano in senso riduttivo del consumo di
suolo quanto agli ambiti di trasformazione, e che tale
prescrizione renda non manifestamente infondato il dubbio di
legittimità costituzionale prospettato dal comune, in quanto
la funzione di pianificazione, ex art. 118 della
Costituzione, integra funzione amministrativa attribuita al
comune medesimo.
3.9. In ultimo, rileva il Collegio che il Tar al capo 20
della sentenza impugnata, pur senza farsi carico di
scrutinare la questione di legittimità costituzionale
prospettata, ha implicitamente identificato il possibile
fondamento logico della prescrizione interdittiva suddetta,
individuandolo nella “necessità di salvaguardare il
potere della Regione di uniformare la disciplina del consumo
di suolo sull’intero territorio regionale, evitando che i
proprietari siano esposti, lungo le linee di confine
comunali, a vincoli eccessivamente differenziati”.
3.9.1. Evidenzia il Collegio che, da un canto, in nessun
passaggio della legge regionale è dato intuire che simile
preoccupazione sia stata alla base della citata prescrizione
interdittiva, e per altro verso, appare altresì dubbio che
essa possa integrare quella ragione giustificativa della
necessità di un “esercizio
unitario” della
funzione amministrativa pianificatoria che giustifichi la
sottrazione per un tempo non contenuto di detta funzione
all’ente comunale che la detiene in forza di risalente,
tradizionale, impostazione legislativa a più riprese
ribadita e confermata.
10. Alla luce della superiore esposizione, infine, appare
doveroso chiarire brevemente ciò che si era soltanto
enunciato nel primo considerando della presente decisione:
la questione di legittimità costituzionale che ci si accinge
a sollevare si pone a monte delle ulteriori contrapposte
censure con le quali entrambe le parti hanno criticati i
successivi capi della sentenza che si sono fatti carico di
definire la latitudine della successiva attività
pianificatoria rimessa al comune conseguente alla
statuizione annullatoria contenuta nella sentenza medesima:
è evidente, infatti, che soltanto in ipotesi di reiezione
della questione di incostituzionalità prospettata detti
contrapposti motivi di doglianza potrebbero essere utilmente
scrutinabili.
11. Conclusivamente, il Collegio, ritiene
che il presente giudizio debba essere sospeso e gli atti
vadano trasmessi alla Corte Costituzionale.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede
giurisdizionale (Sezione Quarta):
a) definitivamente pronunciando sul ricorso in appello in
epigrafe, respinge le censure contenute nell’appello
principale volte ad ottenere la riforma della impugnata
decisione per violazione dell’art. 112 c.p.c.;
b) non definitivamente pronunciando sul ricorso in
appello in epigrafe, visti gli artt. 134 Cost., l’art. 1
della l. cost. 09.02.1948, n. 1, l’art 23 della l.
11.03.1953, n. 87:
I) dichiara rilevante e non
manifestamente infondata la questione di legittimità
costituzionale dell’art.
5, commi 4 e 9, della legge regionale 28.11.2014, n. 31,
con riferimento agli articoli 5, 117, comma 2, lett. p) e
118 della Costituzione;
II) dispone la sospensione del presente giudizio e
ordina la immediata trasmissione degli atti alla Corte
costituzionale.
III) ordina che a cura della Segreteria di questa
Quarta Sezione del Consiglio di Stato la presente ordinanza
sia notificata alle parti in causa ed al Presidente del
Consiglio dei Ministri, nonché comunicata ai Presidenti
della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.
IV) riserva alla decisione definitiva ogni ulteriore
statuizione in rito, nel merito ed in ordine alle spese
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 04.12.2017 n. 5711 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L. Spallino,
Consumo di suolo: piani attuativi e questioni interpretative
a seguito delle modifiche alla l.r. n. 31/2014 (06.07.2017
- link a www.studiospallino.it). |
URBANISTICA:
Oggetto: Legge regionale 31/2014 per la riduzione del
consumo di suolo – Modificato il regime transitorio
(ANCE di Bergamo,
circolare 28.06.2017 n. 117). |
EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA:
L. Spallino,
Consumo di suolo: le modifiche alla l.r. 31/2014
(17.06.2017 - link a www.studiospallino.it). |
URBANISTICA:
NOTA DI LETTURA L.R. 16/2017 - Modifiche all’art. 5 della
L.R. 28.11.2014 n. 31 (Disposizioni per la riduzione del
consumo di suolo e per la riqualificazione del suolo
degradato) (ANCI Lombardia,
nota 14.06.2017 n. 4165 di prot.). |
EDILIZIA PRIVATA:
B.U.R. Lombardia, supplemento n. 22 del 30.05.2017, "Modifiche
all’articolo 5 della legge regionale 28.11.2014, n. 31
(Disposizioni per la riduzione del consumo di suolo e per la
riqualificazione del suolo degradato)" (L.R.
26.05.2017 n. 16). |
URBANISTICA:
La sopravvenuta
previsione regionale lombarda (art. 5 L.r. 31/2014) si
rivela ostativa (sia pure nell’attuale fase transitoria)
alle scelte pianificatorie che comportino nuovo consumo di
suolo, e nella recente pronuncia di questa Sezione
17/01/2017 n. 47, si è statuito che “In questo quadro, è
evidente che la potestà pianificatoria dei comuni subisce,
nel periodo transitorio, una duplice conformazione. Da un
lato, non è possibile programmare nuovo consumo di
suolo, dall’altro non è possibile cancellare i piani
attuativi previsti dal PGT per la sola ragione che
comportano consumo di aree agricole o di aree libere”.
---------------
4. Anche l’ultimo
motivo dedotto non è meritevole di positivo apprezzamento.
La sopravvenuta previsione regionale (art. 5 L.r. 31/2014)
si rivela ostativa (sia pure nell’attuale fase transitoria)
alle scelte pianificatorie che comportino nuovo consumo di
suolo, e nella recente pronuncia di questa Sezione
17/01/2017 n. 47, si è statuito che “In questo quadro, è
evidente che la potestà pianificatoria dei comuni subisce,
nel periodo transitorio, una duplice conformazione. Da un
lato, non è possibile programmare nuovo consumo di
suolo, dall’altro non è possibile cancellare i piani
attuativi previsti dal PGT per la sola ragione che
comportano consumo di aree agricole o di aree libere”.
Inoltre, il comunicato regionale 25/03/2015 n. 80, recante
indirizzi applicativi della L.r. 31/2014, puntualizza che
nella fase transitoria sono da considerare precluse varianti
che abbiano per oggetto aree esterne al vigente tessuto
urbano consolidato che comportino nuovo consumo di suolo,
purché individuate nel Piano delle Regole come aree
destinate all’agricoltura (fattispecie di cui si controverte
in questa sede).
Detta linea interpretativa appare del tutto condivisibile, e
comunque si tratta di un profilo ostativo concorrente e
aggiuntivo rispetto alle motivazioni che hanno sorretto lo
stralcio, della cui ragionevolezza e attendibilità si è dato
ampiamente conto
(TAR Lombardia-Brescia,
Sez. I,
sentenza 20.02.2017 n. 247 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA: Fino
all’adeguamento del PGT, possibile solo dopo l'integrazione
del PTR e l'adeguamento del PTCP, la normativa regionale
mantiene provvisoriamente efficaci le previsioni e i
programmi edificatori del PGT in vigore (v. art. 5, comma 4,
della LR 31/2014). Nel periodo transitorio, pertanto,
possono essere approvati e portati a esecuzione i piani
attuativi già previsti. Questa facoltà è però subordinata
(v. art. 5, comma 6, della LR 31/2014) alla presentazione
del progetto di piano attuativo ai sensi dell’art. 14 della
LR 11.03.2005 n. 12, anche in variante al PGT purché in
connessione con le previsioni dello stesso, nel termine di
trenta mesi dall’entrata in vigore della LR 31/2014.
Qualora non sia stato tempestivamente presentato il progetto
di piano attuativo, i comuni, con motivata deliberazione del
consiglio comunale, sospendono la previsione del PGT sino
all'esito della procedura di adeguamento alle direttive
regionali e alle indicazioni provinciali, e, entro i
successivi novanta giorni, verificano la compatibilità delle
previsioni sospese con le prescrizioni sul consumo di suolo
previste dal PGT, disponendone l'abrogazione in caso di
incompatibilità assoluta, ovvero impegnando il proponente
alle necessarie modifiche e integrazioni negli altri casi
(v. art. 5, comma 9, della LR 31/2014).
In questo quadro, è evidente che la potestà pianificatoria
dei comuni subisce, nel periodo transitorio, una duplice
conformazione. Da un lato, non è possibile
programmare nuovo consumo di suolo, dall’altro non è
possibile cancellare i piani attuativi previsti dal PGT per
la sola ragione che comportano consumo di aree agricole o di
aree libere.
Questo secondo limite, che rileva nel caso in esame,
si fonda su tre presupposti:
(a) è necessario salvaguardare il potere della Regione di
uniformare la disciplina del consumo di suolo sull’intero
territorio regionale, evitando che i proprietari siano
esposti, lungo le linee di confine comunali, a vincoli
eccessivamente differenziati;
(b) il consumo di suolo, come si è visto sopra, non è un
concetto naturalistico ma giuridico, ed è misurato prendendo
come riferimento la disciplina urbanistica vigente, con la
conseguenza che i piani attuativi già previsti non possono
essere considerati un ostacolo sulla via del raggiungimento
delle finalità della LR 31/2014;
(c) se la legge regionale impone di motivare persino la
sospensione dei piani attuativi nel caso di mancata
presentazione dei relativi progetti, una tutela ancora
maggiore deve evidentemente spettare ai proprietari che si
siano tempestivamente attivati manifestando il proprio
interesse.
Questo non significa che la pianificazione comunale sia
bloccata per un tempo indefinito e non possa perseguire
finalità di contenimento delle edificazioni, modificando le
proprie scelte precedenti. Il nuovo orientamento più
restrittivo deve però essere attuato in modo incrementale,
rivedendo ogni singolo progetto di piano attuativo, ed
esponendo per ciascuno le ragioni che inducono a ritenere
non più conforme all’interesse pubblico l’equilibrio
perequativo fatto proprio dal PGT.
---------------
... per l'annullamento della deliberazione consiliare n. 128
del 28.07.2015, con la quale è stata adottata una variante
generale al PGT (seconda variante);
...
13. Sulle questioni rilevanti ai fini della decisione si
possono svolgere le seguenti considerazioni.
Sullo ius variandi nel periodo transitorio
14. La disciplina introdotta dalla LR 31/2014 ha la finalità
di indirizzare la pianificazione urbanistica, a tutti i
livelli (PTR, PTCP, PGT), verso un minore consumo di suolo.
La definizione normativa di consumo di suolo introdotta
dall’art. 2, comma 1-c, della LR 31/2014 (“trasformazione,
per la prima volta, di una superficie agricola da parte di
uno strumento di governo del territorio, non connessa con
l'attività agro-silvo-pastorale, esclusa la realizzazione di
parchi urbani territoriali”) ha carattere formale, ossia
prende in considerazione il territorio non sulla base dello
stato dei luoghi ma per la qualifica che ne è stata data
dalla zonizzazione.
15. La stessa indicazione si ricava dalla seconda parte
della suddetta norma, che regola il calcolo del consumo di
suolo (“rapporto percentuale tra le superfici dei nuovi
ambiti di trasformazione che determinano riduzione delle
superfici agricole del vigente strumento urbanistico e la
superficie urbanizzata e urbanizzabile”). Poiché alle
aree urbanizzate sono assimilate le aree urbanizzabili
(ossia quelle che, seppure di fatto ancora libere, sono
idonee, secondo la disciplina urbanistica, a ospitare
diritti edificatori), la cancellazione dei piani attuativi
previsti dal PGT non costituisce propriamente applicazione
della LR 31/2014, ma rappresenta piuttosto un ripensamento
delle originarie scelte pianificatorie.
16. La riduzione del consumo di suolo ai sensi della LR
31/2014 è un’operazione complessa, che richiede
l’adeguamento di tutti i livelli della pianificazione. In
attesa delle direttive regionali e delle indicazioni
provinciali, i comuni possono approvare unicamente varianti
al PGT, e piani attuativi in variante al PGT, che non
comportino nuovo consumo di suolo, secondo la definizione
data dal legislatore regionale, nonché varianti finalizzate
all'attuazione degli accordi di programma a valenza
regionale (v. art. 5, comma 4, della LR 31/2014).
17. Fino all’adeguamento del PGT, possibile solo dopo
l'integrazione del PTR e l'adeguamento del PTCP, la
normativa regionale mantiene provvisoriamente efficaci le
previsioni e i programmi edificatori del PGT in vigore (v.
art. 5, comma 4, della LR 31/2014). Nel periodo transitorio,
pertanto, possono essere approvati e portati a esecuzione i
piani attuativi già previsti. Questa facoltà è però
subordinata (v. art. 5, comma 6, della LR 31/2014) alla
presentazione del progetto di piano attuativo ai sensi
dell’art. 14 della LR 11.03.2005 n. 12, anche in variante al
PGT purché in connessione con le previsioni dello stesso,
nel termine di trenta mesi dall’entrata in vigore della LR
31/2014.
18. Qualora non sia stato tempestivamente presentato il
progetto di piano attuativo, i comuni, con motivata
deliberazione del consiglio comunale, sospendono la
previsione del PGT sino all'esito della procedura di
adeguamento alle direttive regionali e alle indicazioni
provinciali, e, entro i successivi novanta giorni,
verificano la compatibilità delle previsioni sospese con le
prescrizioni sul consumo di suolo previste dal PGT,
disponendone l'abrogazione in caso di incompatibilità
assoluta, ovvero impegnando il proponente alle necessarie
modifiche e integrazioni negli altri casi (v. art. 5, comma
9, della LR 31/2014).
19. In questo quadro, è evidente che la potestà
pianificatoria dei comuni subisce, nel periodo transitorio,
una duplice conformazione. Da un lato, non è
possibile programmare nuovo consumo di suolo, dall’altro
non è possibile cancellare i piani attuativi previsti dal
PGT per la sola ragione che comportano consumo di aree
agricole o di aree libere.
20. Questo secondo limite, che rileva nel caso in
esame, si fonda su tre presupposti:
(a) è necessario salvaguardare il potere della Regione di
uniformare la disciplina del consumo di suolo sull’intero
territorio regionale, evitando che i proprietari siano
esposti, lungo le linee di confine comunali, a vincoli
eccessivamente differenziati;
(b) il consumo di suolo, come si è visto sopra, non è un
concetto naturalistico ma giuridico, ed è misurato prendendo
come riferimento la disciplina urbanistica vigente, con la
conseguenza che i piani attuativi già previsti non possono
essere considerati un ostacolo sulla via del raggiungimento
delle finalità della LR 31/2014;
(c) se la legge regionale impone di motivare persino la
sospensione dei piani attuativi nel caso di mancata
presentazione dei relativi progetti, una tutela ancora
maggiore deve evidentemente spettare ai proprietari che si
siano tempestivamente attivati manifestando il proprio
interesse.
21. Questo non significa che la pianificazione comunale sia
bloccata per un tempo indefinito e non possa perseguire
finalità di contenimento delle edificazioni, modificando le
proprie scelte precedenti. Il nuovo orientamento più
restrittivo deve però essere attuato in modo incrementale,
rivedendo ogni singolo progetto di piano attuativo, ed
esponendo per ciascuno le ragioni che inducono a ritenere
non più conforme all’interesse pubblico l’equilibrio
perequativo fatto proprio dal PGT.
Sul programma triennale degli interventi di
trasformazione urbanistica
22. Una volta accertato che i piani attuativi di cui sia
stato tempestivamente presentato il progetto sono esclusi
dall’obiettivo di risparmio di suolo agricolo codificato
nella LR 31/2014, non è però possibile attribuire ai
proprietari un bene della vita più consistente di quello a
cui potevano aspirare secondo la disciplina originaria. Nel
caso in esame, questo significa che rimane in vigore la
disciplina di cui all’art. 36 delle NTA del PGT previgente,
relativa al programma triennale degli interventi di
trasformazione urbanistica (ripresa e ampliata dall’art. 48
delle NTA della seconda variante generale).
23. Tale interpretazione è coerente con il principio di
certezza del diritto. I proprietari interessati, infatti,
sapevano fin dall’inizio che
(a) vi erano dieci anni a disposizione per presentare i
progetti dei piani attuativi, e
(b) l’utilizzazione dei diritti edificatori sarebbe stata
subordinata alla posizione ottenuta nella graduatoria dei
progetti, con la possibilità di arresto procedimentale per i
piani attuativi con i punteggi più bassi. La circostanza che
sia stato fissato un termine di trenta mesi non fa venire
meno l’utilità di graduare gli interventi edilizi.
Al contrario, proprio la compressione del termine di
presentazione esige un filtro per diluire gli interventi, e
consentire all’amministrazione una valutazione aggiornata
sulle esigenze edificatorie private e sulla dotazione di
attrezzature pubbliche (oltre che un esame dei costi di
gestione delle stesse). Il rischio che in questo modo alcuni
piani attuativi possano divenire inefficaci per decorrenza
del termine decennale non è sostanzialmente diverso ora
rispetto al momento di approvazione del PGT.
24. Quello che cambia, e deve in parte essere ricostruito in
via interpretativa, è il percorso di approvazione del
programma triennale degli interventi di trasformazione
urbanistica. Dopo l’entrata in vigore della LR 31/2014, il
suddetto programma diventa in definitiva una graduatoria dei
progetti tempestivamente presentati dai proprietari
interessati. Non è evidentemente necessario pubblicare un
invito alla presentazione dei progetti, avendo disposto in
questo senso direttamente la legge regionale, e non è
possibile specificare ulteriormente i criteri contenuti
nell’art. 36 delle NTA del PGT previgente, essendovi già dei
progetti presentati. Una volta scaduto il termine di
presentazione, l’amministrazione è quindi tenuta a formare
una graduatoria, e a stabilire con analitica motivazione il
numero dei piani attuativi immediatamente attivabili,
rinviando alla scadenza del triennio l’individuazione del
numero degli ulteriori piani attuativi attivabili tra quelli
presenti in graduatoria.
25. Le valutazioni urbanistiche e finanziarie che
l’amministrazione potrà esprimere, caratterizzate da elevata
discrezionalità tecnica, non possono essere anticipate
attraverso la presente sentenza, tenuto conto del disposto
dell’art. 34, comma 2 cpa. Tuttavia, poiché tra i criteri
fissati dall’art. 36 delle NTA del PGT previgente rientrano
anche la minimizzazione del consumo di suolo e la
minimizzazione delle perdite di produttività agricola, è
possibile, e necessario, precisare già in questa sede
giurisdizionale di cognizione che l’amministrazione non
potrà fare leva su tali previsioni per reintrodurre una
sostanziale cancellazione dei piani attuativi. Questi
criteri, come del resto tutti gli altri, stabiliscono delle
preferenze, non delle condizioni di ammissibilità. Pertanto,
nessun progetto potrà essere escluso semplicemente perché
riduce le aree agricole o le aree ancora libere, mentre
potranno essere preferiti (salvo bilanciamento con altri
criteri) quei piani attuativi che lasciano intatte maggiori
superfici, o dispongono meglio le edificazioni nelle aree
intercluse o ai bordi dell’abitato.
Sull’obbligo di motivazione
26. Come si è visto sopra, la legge regionale tutela
l’affidamento dei proprietari, imponendo all’amministrazione
un obbligo di motivazione qualificato nel momento in cui
sono incisi negativamente i diritti edificatori. Poiché è la
stessa legge regionale che sollecita i proprietari a
presentare i progetti dei piani attuativi, questi ultimi
devono essere tutti esaminati nel merito. Essendo prevista a
livello comunale la formazione di un programma triennale
degli interventi di trasformazione urbanistica, si deve
ritenere che l’obbligo di motivazione si concentri nella
procedura di formazione del suddetto programma.
27. Oltre che sui criteri stabiliti dall’art. 36 delle NTA
del PGT previgente, la motivazione deve soffermarsi, secondo
i principi generali della materia pianificatoria,
sull’attualità dell’interesse pubblico incorporato nei
singoli piani attuativi. In particolare, l’amministrazione
deve valutare
(a) se gli obblighi assunti dai privati (normalmente,
cessione di aree e realizzazione di opere di urbanizzazione)
consentano ancora di raggiungere un obiettivo utile per la
collettività;
(b) se la maggiore utilità pubblica derivi dalla
soluzione perequativa o da quella espropriativa (la
perequazione crea diritti edificatori, ma consente di
acquisire al patrimonio comunale aree e opere senza oneri;
l’espropriazione comporta normalmente degli oneri
finanziari, ma può essere limitata a obiettivi molto
puntuali, senza impegnare l’amministrazione in ampie
operazioni immobiliari);
(c) se i proprietari abbiano delle aspettative fondate
sulle vicende pregresse della pianificazione.
28. A proposito di quest’ultimo punto, occorre sottolineare
che i diritti edificatori riconosciuti a titolo di
compensazione per la reiterazione di vincoli espropriativi
decaduti non possono essere cancellati per confusione nella
nuova disciplina urbanistica generale. Si tratta, infatti,
di posizioni giuridiche già acquisite dai proprietari che
hanno subito l’incertezza giuridica collegata all’attesa
delle decisioni dell’amministrazione sull’utilizzazione
delle superfici vincolate. L’amministrazione deve quindi
porsi il problema di salvaguardare questi diritti
edificatori. Possono variare il modo e la misura, ma non la
capacità riparatoria dell’indennizzo.
Sui vincoli espropriativi
29. Per quanto riguarda, infine, i percorsi ciclopedonali
collocati sulle aree dei ricorrenti, si osserva che la
compensazione per i vincoli espropriativi può certamente
consistere in nuovi diritti edificatori. Tuttavia, se questi
diritti non possono essere utilizzati su un’area nella
disponibilità del proprietario che subisce l’espropriazione,
sorge il problema di quale sia il valore della
compensazione.
30. In particolare, se vengono attribuiti diritti
edificatori ma contemporaneamente vengono ridotte in modo
significativo le potenziali aree di atterraggio, la
compensazione non raggiunge il suo scopo, avendo un oggetto
privo di mercato e sostanzialmente non monetizzabile.
31. Pertanto, se non appare necessario che l’amministrazione
impegni già al momento della previsione del vincolo
espropriativo le risorse finanziarie per l’acquisto della
proprietà, deve però essere svolta una valutazione
approfondita sulla capacità dei diritti edificatori di
rappresentare in concreto un’equa compensazione.
Conclusioni
32. Il ricorso deve quindi essere parzialmente accolto, nel
senso che la seconda variante generale viene annullata nella
parte in cui non consente la piena tutela delle aspettative
dei ricorrenti basate sul PGT previgente, come sopra
descritte.
33. Conseguentemente, l’effetto conformativo della presente
sentenza vincola il Comune a predisporre un programma
triennale degli interventi di trasformazione urbanistica,
prendendo in considerazione i progetti di piano attuativo
presentati tempestivamente entro il termine di cui all’art.
5, comma 6, della LR 31/2014. Poiché i criteri di
valutazione non possono essere individuati a posteriori,
l’esame comparativo dovrà essere condotto direttamente sulla
base dell’art. 36 delle NTA del PGT previgente, ossia
utilizzando la disciplina che garantisce il rispetto del
principio di certezza del diritto anche per chi ha già
presentato il progetto. Resta ferma la possibilità per tutti
gli interessati di introdurre, entro il termine di cui
all’art. 5, comma 6, della LR 31/2014, modifiche
migliorative ai progetti presentati.
34. Oltre ai criteri dell’art. 36 delle NTA del PGT
previgente, nella formazione della graduatoria dei progetti
dovranno essere seguite le indicazioni sopra esposte, che
definiscono il grado di resistenza dei piani attuativi
rispetto alla volontà dell’amministrazione di introdurre una
disciplina in peius per i proprietari. Allo scopo di
non creare disparità di trattamento, dovrà essere seguita
una metodologia omogenea per tutti i progetti di piano
attuativo. In particolare,
(a) dovranno essere quantificati e salvaguardati i
diritti edificatori che compensavano la reiterazione di
vincoli espropriativi decaduti, e
(b) per ogni progetto dovrà esservi una valutazione
dell’interesse pubblico, con una comparazione tra l’utilità
derivante dallo schema perequativo seguito inizialmente (nel
caso dei ricorrenti, diritti edificatori in cambio di aree
destinate al parco di San Polo) e l’utilità derivante dal
modello conformativo-espropriativo (nel caso dei ricorrenti,
conservazione della maggior parte della proprietà,
derubricazione del parco a semplice componente del PLIS, e
puntuali vincoli espropriativi per l’esecuzione di percorsi
ciclopedonali).
35. Per la conclusione della procedura relativa alla
formazione della graduatoria dei progetti e all’approvazione
del programma triennale degli interventi di trasformazione
urbanistica si può ritenere ragionevole un periodo di sei
mesi dalla scadenza del termine previsto dall’art. 5, comma
6, della LR 31/2014. Le modalità di adozione e approvazione
dei progetti che rientrano nel numero di quelli attivabili
nel triennio seguono le regole ordinarie dell’art. 14 della
LR 12/2005 (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 17.01.2017 n. 47 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2016 |
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URBANISTICA:
Oggetto: Interpretazione disposto di cui all'art. 5,
comma 6, L.R. 31/2014 - presentazione istanza di
approvazione Piani Attuativi (Regione Lombardia -
Direzione Generale Territorio, Urbanistica, Difesa del Suolo
e Città Metropolitana,
risposta e-mail del 29.12.2016). |
EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: Proposta
di criteri di individuazione degli interventi pubblici e di
interesse pubblico o generale di rilevanza sovracomunale per
i quali non trovano applicazione le soglie di riduzione del
consumo di suolo (art. 2, comma 4, L.R. 31/2014) –
(Richiesta di parere alla Commissione Consiliare) (Regione
Lombardia,
deliberazione G.R. 24.10.2016 n. 5741). |
URBANISTICA:
OGGETTO: Interpretazione disposto di cui all'art. 5,
comma 8, L.R. 31/2014 - rateizzazione monetizzazione aree a
standard (Regione Lombardia - Direzione Generale
Territorio, Urbanistica e Difesa del Suolo,
risposta e-mail del 05.02.2016). |
anno 2015 |
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EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA:
L. Spallino,
Nozione di consumo di suolo e linee di indirizzo della
pianificazione comunale nella L.R. Lombardia n. 31/2014
(04.01.2015 - link a www.studiospallino.it). |
EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA:
L. Spallino,
L.R. Lombardia 28.11.2014, n. 31: tabella degli adempimenti
(Disposizioni per la riduzione del consumo di suolo e per la
riqualificazione del suolo degradato) (02.01.2015
- link a www.studiospallino.it). |
anno 2014 |
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EDILIZIA
PRIVATA - URBANISTICA:
B.U.R. Lombardia, supplemento n. 49 dell'01.2014, "Disposizioni
per la riduzione del consumo di suolo e per la
riqualificazione del suolo degradato" (L.R.
28.11.2014 n. 31). |
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