dossier
SOTTOTETTI |
anno 2021 |
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EDILIZIA PRIVATA: Altezza
da considerare nel recupero dei sottotetti.
Secondo un recente orientamento, le
disposizioni dettate dal D.M. Sanità 05.07.1975 (relative all’altezza minima ed
ai requisiti igienico-sanitari principali
dei locali di abitazione) attengono
direttamente alla salubrità e vivibilità
degli ambienti, ossia a condizioni tutelate
direttamente da norme primarie e
costituzionali di cui sono chiamate a
integrare e attuare il precetto generale (in
particolare, degli artt. 218 e 221 del T.U.
delle Leggi sanitarie, approvato con R.D. n.
1265 del 1934).
In particolare, l’art. 1 del
citato D.M. che, al primo comma, prevede che
«l’altezza minima interna utile dei locali
adibiti ad abitazione è fissata in m 2,70,
riducibili a m 2,40 per i corridoi, i
disimpegni in genere, i bagni, i gabinetti
ed i ripostigli», “concretizza il generico
imperativo della norma primaria,
sostanziandone il contenuto minimo
inderogabile in funzione della tutela della
salute e sicurezza degli ambienti, con la
conseguenza che la verifica dell’abitabilità
non può prescinderne. Del resto, una diversa
interpretazione, che giungesse a sostenere
la derogabilità dei requisiti minimi di
salubrità, per il sol fatto di essere
fissati con norma formalmente regolamentare,
si porrebbe sicuramente in contrasto con il
principio di ragionevolezza di cui all’art.
3 Cost., oltre che con il successivo art.
32”.
Per tale ragione solo con una fonte di rango
legislativo è possibile derogare alle
richiamate prescrizioni, mentre ciò non è
consentito attraverso atti di natura
regolamentare, sia di provenienza regionale
che comunale. Con la legge regionale n. 12
del 2005, la Regione Lombardia ha inteso
derogare alle previsioni statali, al fine di
rendere recuperabili per l’uso abitativo
anche i sottotetti dotati di alcuni
requisiti indefettibili, tra i quali
un’altezza media ponderale di 2,40 m.
---------------
L’art. 63, comma 6, della legge regionale n.
12 del 2005 prevede che «il recupero abitativo dei sottotetti è
consentito purché sia assicurata per ogni
singola unità immobiliare l’altezza media
ponderale di metri 2,40, ulteriormente
ridotta a metri 2,10 per i comuni posti a
quote superiori a seicento metri di
altitudine sul livello del mare, calcolata
dividendo il volume della parte di
sottotetto la cui altezza superi metri 1,50
per la superficie relativa».
Il successivo
art. 64, comma 1, stabilisce che «gli
interventi edilizi finalizzati al recupero
volumetrico dei sottotetti possono
comportare l’apertura di finestre,
lucernari, abbaini e terrazzi per assicurare
l’osservanza dei requisiti di aeroilluminazione e per garantire il
benessere degli abitanti, nonché, per gli
edifici di altezza pari o inferiore al
limite di altezza massima posto dallo
strumento urbanistico, modificazioni di
altezze di colmo e di gronda e delle linee
di pendenza delle falde, unicamente al fine
di assicurare i parametri di cui
all’articolo 63, comma 6».
Per giurisprudenza costante, nel consentire
modificazioni delle altezze di colmo e di
gronda e delle linee di pendenza delle falde
“[...] unicamente al fine di assicurare i
parametri di cui all’articolo 63, comma 6”
(cioè l’altezza media ponderale di 2,40 m),
l’art. 64, comma 1, della legge regionale n.
12 del 2005 ammette l’incremento delle
altezze nei soli limiti strettamente
funzionali ad assicurare le condizioni
minime di salubrità agli spazi (resi)
abitativi, sicché l’altezza media di 2,40 m
deve ritenersi ad un tempo altezza minima
(per l’abitabilità degli spazi) e altezza
massima (se comporta l’innalzamento delle
linee di colmo e di gronda del tetto).
L’altezza da considerare nella specie, in
assenza di ulteriori specificazioni, è
quella rilevante ai fini urbanistici e non
quella “assoluta” (e percepibile) legata
all’ingombro fisico dell’immobile, con la
conseguenza che rendere abitabile un
sottotetto di un immobile determina
necessariamente un aumento dell’altezza urbanisticamente rilevante dello stesso, a
prescindere da una sua avvenuta effettiva
sopraelevazione fisica (nelle valutazioni di
natura urbanistica si fa riferimento alla
consistenza degli indici edificatori –che
vengono in rilievo per alcune tipologie
costruttive, ad esempio l’edificazione fuori
terra, e non per altre, ad esempio la
realizzazione di locali tecnici–, mentre
non rileva ciò che si percepisce da un punto
di vista materiale, riguardando soltanto
l’aspetto paesaggistico; ciò
risulta confermato dalla circostanza che “il
recupero ai fini abitativi dei sottotetti
esistenti è classificato come
ristrutturazione edilizia” (comma 2
dell’art. 64 della legge regionale n. 12 del
2005), che, a differenza della nuova
costruzione, si può configurare soltanto
quando le modifiche volumetriche e di sagoma
siano di portata limitata e comunque
riconducibili all’organismo preesistente.
Pertanto, laddove si ammettesse la
derogabilità dell’altezza massima –contemporaneamente anche minima–
si darebbe vita alla realizzazione di un
nuovo piano dell’edificio che snaturerebbe
l’attività di recupero del sottotetto e
darebbe vita ad un’attività di nuova
costruzione e non più di ristrutturazione.
Tale intervento si
porrebbe poi in contrasto anche con la
normativa statale, in precedenza citata
(art. 1 del D.M. Sanità 05.07.1975), che
stabilisce un’altezza minima per i locali
abitabili di 2,70 m, potendosi realizzare
vani con altezze anche inferiori (che vanno
da 2.41 a 2,69 m) in carenza di un supporto
normativo in tal senso: difatti, la
previsione dell’art. 63, comma 6, della
legge regionale n. 12 del 2005 rappresenta
una deroga alla regola generale delle
altezze minime e, in quanto tale, non può
essere oggetto di interpretazione estensiva.
Come sottolineato anche dalla difesa
comunale, non possono trovare attuazione le
norme del Regolamento comunale, poiché
superate dalla citata normativa primaria
regionale.
Di conseguenza, la realizzazione di un
sottotetto con un’altezza ponderale pari a
2,52 m non è rispettosa della normativa
vigente e quindi risulta corretto in tale
parte il provvedimento comunale che ha
respinto la domanda della ricorrente di
permesso di costruire in sanatoria.
---------------
4. Con la seconda parte della censura
si assume l’illegittimità delle ragioni
poste alla base del provvedimento di
rigetto, ossia
(i) che l’altezza media
ponderale del sottotetto recuperato sarebbe
pari a 2,52 m e quindi maggiore di quella di
2,40 m, prevista dall’art. 63, comma 6,
della legge regionale n. 12 del 2005 e da
considerarsi altezza massima e minima,
(ii)
che lo spessore della soletta di pavimento
del sottotetto sarebbe stato indicato in
maniera difforme rispetto a quanto
dichiarato in relazione ai pregressi lavori
di riduzione dello spessore della soletta
interpiano e
(iii) che il sottotetto sarebbe
stato reso abitabile prima dell’intervento
di recupero del febbraio-aprile 2018.
4.1. Le doglianze sono complessivamente
infondate.
Con riferimento all’altezza media ponderale,
pari a 2,52 m (non oggetto di contestazione
nella sua oggettiva consistenza), la parte
ricorrente ne assume la perfetta
ammissibilità, in quanto la giurisprudenza,
nell’interpretare gli artt. 63 e 64 della
legge regionale n. 12 del 2005, riterrebbe
l’altezza media ponderale di 2,40 m quale
“altezza massima” solamente laddove comporti
l’innalzamento delle linee di colmo e di
gronda del tetto; nella specie, non vi
sarebbe stato alcun innalzamento
dell’involucro dell’edificio, poiché
l’aumento dell’altezza media ponderale a
2,52 m sarebbe stato ottenuto tramite la
riduzione del maggiore spessore della
soletta intermedia fra il secondo ed il
terzo piano.
La prospettazione attorea non è
condivisibile alla luce della consolidata
giurisprudenza e di una sistematica
interpretazione della normativa sulle
altezze interne dei locali abitabili.
Secondo un recente orientamento, le
disposizioni dettate dal D.M. Sanità 05.07.1975 (relative all’altezza minima ed
ai requisiti igienico-sanitari principali
dei locali di abitazione) attengono
direttamente alla salubrità e vivibilità
degli ambienti, ossia a condizioni tutelate
direttamente da norme primarie e
costituzionali di cui sono chiamate a
integrare e attuare il precetto generale (in
particolare, degli artt. 218 e 221 del T.U.
delle Leggi sanitarie, approvato con R.D. n.
1265 del 1934).
In particolare, l’art. 1 del
citato D.M. che, al primo comma, prevede che
«l’altezza minima interna utile dei locali
adibiti ad abitazione è fissata in m 2,70,
riducibili a m 2,40 per i corridoi, i
disimpegni in genere, i bagni, i gabinetti
ed i ripostigli», “concretizza il generico
imperativo della norma primaria,
sostanziandone il contenuto minimo
inderogabile in funzione della tutela della
salute e sicurezza degli ambienti, con la
conseguenza che la verifica dell’abitabilità
non può prescinderne. Del resto, una diversa
interpretazione, che giungesse a sostenere
la derogabilità dei requisiti minimi di
salubrità, per il sol fatto di essere
fissati con norma formalmente regolamentare,
si porrebbe sicuramente in contrasto con il
principio di ragionevolezza di cui all’art.
3 Cost., oltre che con il successivo art.
32” (Consiglio di Stato, VI, 26.03.2021,
n. 2575; sulla rilevanza dell’altezza minima
di 2,70 m, cfr. Cass. civ., II, ord. 27.12.2017, n. 30950).
Per tale ragione solo con una fonte di rango
legislativo è possibile derogare alle
richiamate prescrizioni, mentre ciò non è
consentito attraverso atti di natura
regolamentare, sia di provenienza regionale
che comunale. Con la legge regionale n. 12
del 2005, la Regione Lombardia ha inteso
derogare alle previsioni statali, al fine di
rendere recuperabili per l’uso abitativo
anche i sottotetti dotati di alcuni
requisiti indefettibili, tra i quali
un’altezza media ponderale di 2,40 m.
Più nello specifico, l’art. 63, comma 6,
della legge regionale n. 12 del 2005 prevede
che «il recupero abitativo dei sottotetti è
consentito purché sia assicurata per ogni
singola unità immobiliare l’altezza media
ponderale di metri 2,40, ulteriormente
ridotta a metri 2,10 per i comuni posti a
quote superiori a seicento metri di
altitudine sul livello del mare, calcolata
dividendo il volume della parte di
sottotetto la cui altezza superi metri 1,50
per la superficie relativa».
Il successivo
art. 64, comma 1, stabilisce che «gli
interventi edilizi finalizzati al recupero
volumetrico dei sottotetti possono
comportare l’apertura di finestre,
lucernari, abbaini e terrazzi per assicurare
l’osservanza dei requisiti di aeroilluminazione e per garantire il
benessere degli abitanti, nonché, per gli
edifici di altezza pari o inferiore al
limite di altezza massima posto dallo
strumento urbanistico, modificazioni di
altezze di colmo e di gronda e delle linee
di pendenza delle falde, unicamente al fine
di assicurare i parametri di cui
all’articolo 63, comma 6».
Per giurisprudenza costante, nel consentire
modificazioni delle altezze di colmo e di
gronda e delle linee di pendenza delle falde
“[...] unicamente al fine di assicurare i
parametri di cui all’articolo 63, comma 6”
(cioè l’altezza media ponderale di 2,40 m),
l’art. 64, comma 1, della legge regionale n.
12 del 2005 ammette l’incremento delle
altezze nei soli limiti strettamente
funzionali ad assicurare le condizioni
minime di salubrità agli spazi (resi)
abitativi, sicché l’altezza media di 2,40 m
deve ritenersi ad un tempo altezza minima
(per l’abitabilità degli spazi) e altezza
massima (se comporta l’innalzamento delle
linee di colmo e di gronda del tetto) [cfr.
Consiglio di Stato, IV, 24.02.2021, n.
1613; II, 12.08.2019, n. 5664; TAR
Lombardia, Milano, I, 27.01.2021, n.
242; I, 26.04.2018, n. 1124; II, 19.03.2014, n. 714; II,
05.07.2011, n.
1763; II, 02.04.2010, n. 970; II, 29.10.2009, n. 4941].
L’altezza da considerare nella specie, in
assenza di ulteriori specificazioni, è
quella rilevante ai fini urbanistici e non
quella “assoluta” (e percepibile) legata
all’ingombro fisico dell’immobile, con la
conseguenza che rendere abitabile un
sottotetto di un immobile determina
necessariamente un aumento dell’altezza urbanisticamente rilevante dello stesso, a
prescindere da una sua avvenuta effettiva
sopraelevazione fisica (nelle valutazioni di
natura urbanistica si fa riferimento alla
consistenza degli indici edificatori –che
vengono in rilievo per alcune tipologie
costruttive, ad esempio l’edificazione fuori
terra, e non per altre, ad esempio la
realizzazione di locali tecnici–, mentre
non rileva ciò che si percepisce da un punto
di vista materiale, riguardando soltanto
l’aspetto paesaggistico: cfr. TAR
Lombardia, Milano, II, 09.07.2020, n.
1303; 24.06.2020, n. 1172; 11.06.2019, n. 1319; altresì, TAR Campania,
Napoli, VII, 01.02.2018, n. 712); ciò
risulta confermato dalla circostanza che “il
recupero ai fini abitativi dei sottotetti
esistenti è classificato come
ristrutturazione edilizia” (comma 2
dell’art. 64 della legge regionale n. 12 del
2005), che, a differenza della nuova
costruzione, si può configurare soltanto
quando le modifiche volumetriche e di sagoma
siano di portata limitata e comunque
riconducibili all’organismo preesistente (cfr.
Consiglio di Stato, VI, 13.01.2021, n.
423; II, 20.05.2019, n. 3208; IV, 19.01.2016, n. 328; TAR Lombardia,
Milano, II, 26.01.2021, n. 239).
Pertanto, laddove si ammettesse la
derogabilità dell’altezza massima –contemporaneamente anche minima– si darebbe
vita alla realizzazione di un nuovo piano
dell’edificio che snaturerebbe l’attività di
recupero del sottotetto e darebbe vita ad
un’attività di nuova costruzione e non più
di ristrutturazione (cfr. TAR Lombardia,
Milano, I, 26.04.2018, n. 1124; II, 02.04.2010, n. 970).
Tale intervento si
porrebbe poi in contrasto anche con la
normativa statale, in precedenza citata
(art. 1 del D.M. Sanità 05.07.1975), che
stabilisce un’altezza minima per i locali
abitabili di 2,70 m, potendosi realizzare
vani con altezze anche inferiori (che vanno
da 2.41 a 2,69 m) in carenza di un supporto
normativo in tal senso: difatti, la
previsione dell’art. 63, comma 6, della
legge regionale n. 12 del 2005 rappresenta
una deroga alla regola generale delle
altezze minime e, in quanto tale, non può
essere oggetto di interpretazione estensiva.
Come sottolineato anche dalla difesa
comunale, non possono trovare attuazione le
norme del Regolamento comunale, poiché
superate dalla citata normativa primaria
regionale.
Di conseguenza, la realizzazione di un
sottotetto con un’altezza ponderale pari a
2,52 m non è rispettosa della normativa
vigente e quindi risulta corretto in tale
parte il provvedimento comunale che ha
respinto la domanda della ricorrente di
permesso di costruire in sanatoria, prot. n.
47954 del 15.10.2018.
Ne discende l’infondatezza, in parte qua,
della scrutinata doglianza
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 31.05.2021 n. 1351 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2020 |
|
EDILIZIA PRIVATA: E'
infondata l’argomentazione di parte ricorrente secondo cui il sottotetto
debba essere considerato quale volume tecnico irrilevante ai fini del
calcolo della volumetria, giacché:
- la nozione di volume tecnico è circoscritta alle sole opere
prive di qualsiasi autonomia funzionale, anche solo potenziale, poiché
destinate unicamente a contenere, senza possibilità di alternative, impianti
serventi la costruzione principale per essenziali esigenze
tecnico-funzionali;
- inoltre, “il sottotetto non abitabile realizzato con la funzione
di protezione termica ed acustica dell’edificio non può essere qualificato
come volume tecnico, al fine di escluderlo dal computo dell’altezza massima
del fabbricato, se di fatto non risulta essere stato adibito
all’alloggiamento di impianti: non tutto ciò che non rileva ai fini del
calcolo del volume è automaticamente un volume tecnico”;
- nel caso di specie, il sottotetto è accessibile (mediante una
botola visibile nelle fotografie), praticabile (in quanto internamente alto
1,55 m.) e non vi sono collocati impianti tecnici.
---------------
7. Rilevato che, dalle relazioni di sopralluogo nonché dalla
relazione tecnica allegata alla memoria difensiva del Comune, si evince che
la copertura è stata sopraelevata di circa 77 cm e che il locale interno
risulta avere oggi un’altezza di 1,55 m;
8. Ritenuta infondata l’argomentazione di parte ricorrente secondo cui il
sottotetto debba essere considerato quale volume tecnico irrilevante ai fini
del calcolo della volumetria, giacché:
- la nozione di volume tecnico è circoscritta alle sole opere prive
di qualsiasi autonomia funzionale, anche solo potenziale, poiché destinate
unicamente a contenere, senza possibilità di alternative, impianti serventi
la costruzione principale per essenziali esigenze tecnico-funzionali (ex multis, Cons. Stato, Sez. II, 27.12.2019, n. 8835, Cons. Stato, Sez. II,
25.10.2019, n. 7289);
- inoltre, “il sottotetto non abitabile realizzato con la funzione
di protezione termica ed acustica dell’edificio non può essere qualificato
come volume tecnico, al fine di escluderlo dal computo dell’altezza massima
del fabbricato, se di fatto non risulta essere stato adibito
all’alloggiamento di impianti: non tutto ciò che non rileva ai fini del
calcolo del volume è automaticamente un volume tecnico” (TAR Napoli, Sez.
II, 30.07.2015, n. 4156);
- nel caso di specie, il sottotetto è accessibile (mediante una
botola visibile nelle fotografie), praticabile (in quanto internamente alto
1,55 m.) e non vi sono collocati impianti tecnici;
9. Ritenuto, dunque, che l’intervento eseguito non sia sussumibile entro il
concetto di manutenzione straordinaria, bensì consista in una
ristrutturazione edilizia con aumento della volumetria
(TAR Calabria-Catanzaro, Sez. II,
sentenza 05.05.2020 n. 807 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sulla illegittimità del diniego
di permesso di costruire in sanatoria in
relazione ad alcuni interventi realizzati al recupero
abitativo del sottotetto motivando:
(i) sia il mancato raggiungimento dell’altezza minima prescritta
dalla legge (mt 1,50) di alcune porzioni dell’unità
immobiliare conteggiate nel computo del volume rilevante ai
fini del calcolo dell’altezza media ponderale, attestantesi
a m 1,23, sia
(ii) sia l’avvenuto computo degli abbaini nel calcolo del volume
rilevante ai fini di determinare l’altezza media ponderale
dell’unità immobiliare, in contrasto con la metodologia di
calcolo consolidata in uso da parte dell’Amministrazione.
A prescindere dalla ritenuta
applicabilità anche ai procedimenti di sanatoria delle
garanzie procedimentali, va ritenuto illegittimo il diniego
del Comune sul richiesto permesso in sanatoria –motivato sia
con il mancato raggiungimento dell’altezza minima prescritta
dalla legge (mt 1,50) di alcune porzioni dell’unità
immobiliare, sia per l’avvenuto (erroneo) computo degli
abbaini nel calcolo del volume rilevante per la
determinazione dell’altezza media ponderale dell’unità
immobiliare– in ragione della non corretta interpretazione
del dato normativo applicabile alla fattispecie.
Il comma 6 dell’art. 63 della legge
regionale n. 12 del 2005 dispone che “il recupero abitativo
dei sottotetti è consentito purché sia assicurata per ogni
singola unità immobiliare l’altezza media ponderale di metri
2,40 (…), calcolata dividendo il volume della parte di
sottotetto la cui altezza superi metri 1,50 per la
superficie relativa”. A giudizio degli Uffici comunali la
presenza di parti del sottotetto di altezza inferiore a
quella minima di 1,50 mt impedirebbe il recupero del
predetto vano, anche nel caso in cui fossero sussistenti
tutti gli altri presupposti.
In realtà da un’esegesi letterale della
predetta disposizione si ricava che per il calcolo
dell’altezza media ponderale, che deve essere pari a 2,40 mt,
può essere considerata e computata unicamente la parte di
sottotetto con un’altezza non inferiore a 1,50 mt, essendo
soltanto tale porzione idonea a concorrere alla
realizzazione del requisito imposto dalla legge. La citata
norma tuttavia non esclude affatto che il sottotetto possa
possedere delle parti di altezza inferire a 1,50, ma si
limita a considerarle del tutto neutre ai predetti fini,
escludendole dal calcolo del volume necessario per
raggiungere l’altezza media ponderale.
Quindi non assume alcuna rilevanza in
negativo la presenza di parti del sottotetto di altezza
inferiore a 1,50 m, bastando semplicemente espungere le
stesse dal computo del volume utile per l’ottenimento
dell’altezza media ponderale.
Peraltro, la parte ricorrente ha contestato
la sussistenza dello stato di fatto assunto dal Comune a
fondamento del proprio provvedimento, segnalando la presenza
di arredi fissi che renderebbero inutilizzabili le porzioni
di altezza inferiore a 1,50 mt e, quindi, attesterebbero
l’irrilevanza in concreto delle parti del sottotetto
inferiori alla predetta altezza, che comunque non
determinerebbero il venir meno dei requisiti di abitabilità
dello stesso.
Tale circostanza non è stata presa in
considerazione dagli Uffici, in quanto, irritualmente, non
si è proceduto all’effettuazione di un sopralluogo volto a
verificare la reale consistenza dei luoghi, pur essendo tale
elemento emerso in una fase procedimentale avanzata e pur in
assenza di interlocuzione della parte sul punto.
...
Anche la parte del provvedimento che esclude
gli abbaini dal computo del calcolo del volume rilevante ai
fini della determinazione dell’altezza media ponderale non
risulta in linea con il dato normativo.
L’art. 64, comma 1, della legge regionale n.
12 del 2005 stabilisce che “gli interventi edilizi
finalizzati al recupero volumetrico dei sottotetti possono
comportare l’apertura di finestre, lucernari, abbaini e
terrazzi per assicurare l’osservanza dei requisiti di
aeroilluminazione e per garantire il benessere degli
abitanti …”.
In ragione della richiamata disposizione si
deve considerare l’abbaino alla stregua di un intervento
edilizio certamente rilevante al fine di poterne computare
il volume nell’ambito dei parametri qualitativi e
quantitativi finalizzati al recupero di un sottotetto e in
tal modo renderlo abitabile.
Del resto, la consolidata giurisprudenza è
orientata nel ritenere l’abbaino come una (parziale) nuova
costruzione a tutti gli effetti, la cui realizzazione è
subordinata al rilascio di permesso di costruire, ai sensi
dell’art. 10, comma 1, lett. c), del D.P.R. n. 380 del 2001,
considerato che la stessa determina un aumento di volumetria
e incide sulla sagoma dell’edificio e, in quanto
costruzione, è tenuta al rispetto delle distanze dagli altri
fabbricati, ai sensi del D.M. n. 1444 del 1968.
Ne discende che la volumetria generata da un
abbaino deve essere computata ai fini della verifica del
raggiungimento degli indici richiesti dalla normativa per
considerare il sottotetto abitabile, tenuto conto che lo
stesso non soltanto è in grado di garantire il rispetto dei
rapporti aeroilluminanti, ma assicura anche il rispetto
dell’altezza media ponderale che può rendere un locale
idoneo ad essere utilizzato quale residenza.
Va specificato, al proposito, che non
possono essere prese in considerazione le difese comunali
che evidenziano comunque una difformità dell’altezza media
ponderale –pari a 2,50 mt e differente rispetto a quella
dichiarata nell’istanza di sanatoria, pari a 2,40 mt–
ottenuta non computando gli abbaini, visto che si tratta di
una integrazione postuma della motivazione, non ammissibile
in sede giudiziale.
Anche riguardo a tale aspetto la
determinazione comunale appare illegittima.
---------------
...
per l’annullamento del provvedimento comunale prot. 65038/18
del 04.12.2018, notificato il 04.01.2019, recante il diniego
di permesso di costruire in sanatoria di cui all’istanza del
13.07.2017 (p.e. 389/2017) per opere di recupero a fini
abitativi di sottotetto esistente, eseguite in difformità
dalla d.i.a. del 05.08.2004 per recupero abitabile di
sottotetto esistente (p.e. 496/2004);
...
Con ricorso notificato in data 01.03.2019 e
depositato il 7 marzo successivo, il ricorrente ha impugnato
il provvedimento comunale, prot. 65038/18 del 04.12.2018,
notificato il 04.01.2019, recante il diniego di permesso di
costruire in sanatoria di cui all’istanza del 13.07.2017
(p.e. 389/2017) per opere di recupero a fini abitativi di
sottotetto esistente, eseguite in difformità dalla d.i.a.
del 05.08.2004 per recupero abitabile di sottotetto
esistente (p.e. 496/2004).
Il ricorrente, quale proprietario di
un’unità abitativa sita in ... n. 56 a Seregno (MB), nella
c.d. Corte ..., identificata catastalmente dal foglio 25,
mappale 412, sub. 727, e mappale 417, sub. 714 graffati, in
data 13.06.2017 ha presentato una richiesta di permesso di
costruire in sanatoria in relazione ad alcuni interventi
realizzati dal suo dante causa in difformità dalla d.i.a.
presentata nel mese di agosto 2004, finalizzata al recupero
abitativo del sottotetto del predetto immobile. All’esito
del procedimento il Comune ha negato la sanatoria sia
(i) per il mancato raggiungimento dell’altezza minima prescritta
dalla legge (mt 1,50) di alcune porzioni dell’unità
immobiliare conteggiate nel computo del volume rilevante ai
fini del calcolo dell’altezza media ponderale, attestantesi
a m 1,23, sia
(ii) per l’avvenuto computo degli abbaini nel calcolo del volume
rilevante ai fini di determinare l’altezza media ponderale
dell’unità immobiliare, in contrasto con la metodologia di
calcolo consolidata in uso da parte dell’Amministrazione e
con quella impiegata nella pratica edilizia allegata alla
D.I.A. del 05.08.2004.
Assumendo l’illegittimità del provvedimento
comunale, ne è stato chiesto l’annullamento per violazione e
falsa applicazione degli artt. 3, 41 e 97 della
Costituzione, della legge n. 241 del 1990, del D.P.R. n. 380
del 2001 e della legge regionale n. 12 del 2005 e per
eccesso di potere per sviamento, illogicità,
contraddittorietà, contrasto con precedenti manifestazioni
di volontà, travisamento di fatto, erronea rappresentazione
della situazione di fatto e di diritto, difetto di
motivazione, carenza d’istruttoria, ingiustizia manifesta e
illegittimità derivata.
...
1. Il ricorso è fondato.
2. Con l’unica complessa censura si assume
l’illegittimità dell’impugnato diniego, in quanto sarebbe
stato posto a fondamento dello stesso, oltre all’erroneità
del calcolo dell’altezza media ponderale, anche un ulteriore
motivo ostativo, mai rappresentato in precedenza e legato
all’altezza inferiore a quella di legge del punto più basso
del sottotetto; poi sarebbe stato ritenuto non recuperabile
il sottotetto, avendo lo stesso in alcuni punti un’altezza
inferiore ad 1,50 mt, pur in assenza di uno specifico
divieto normativo sul punto e in carenza di un sopralluogo
da parte dei tecnici comunali; infine, la ritenuta non
computabilità del volume generato dagli abbaini nel calcolo
dell’altezza media ponderale non risulterebbe coerente con
il disposto dell’art. 64, comma 1, della legge regionale n.
12 del 2005, secondo il quale “gli interventi edilizi
finalizzati al recupero volumetrico dei sottotetti possono
comportare l’apertura di finestre, lucernari, abbaini e
terrazzi per assicurare l’osservanza dei requisiti di
aeroilluminazione e per garantire il benessere degli
abitanti”.
2.1. La doglianza è complessivamente
fondata.
A prescindere dalla ritenuta applicabilità
anche ai procedimenti di sanatoria delle garanzie
procedimentali (cfr. Consiglio di Stato, VI, 02.05.2018, n.
2615; anche, TAR Lombardia, Milano II, 22.01.2019, n. 123;
TAR Sardegna, II, 13.09.2018, n. 782), va ritenuto
illegittimo il diniego del Comune sul richiesto permesso in
sanatoria –motivato sia con il mancato raggiungimento
dell’altezza minima prescritta dalla legge (mt 1,50) di
alcune porzioni dell’unità immobiliare, sia per l’avvenuto
(erroneo) computo degli abbaini nel calcolo del volume
rilevante per la determinazione dell’altezza media ponderale
dell’unità immobiliare– in ragione della non corretta
interpretazione del dato normativo applicabile alla
fattispecie.
Il comma 6 dell’art. 63 della legge
regionale n. 12 del 2005 dispone che “il recupero
abitativo dei sottotetti è consentito purché sia assicurata
per ogni singola unità immobiliare l’altezza media ponderale
di metri 2,40 (…), calcolata dividendo il volume della parte
di sottotetto la cui altezza superi metri 1,50 per la
superficie relativa”. A giudizio degli Uffici comunali
la presenza di parti del sottotetto di altezza inferiore a
quella minima di 1,50 mt impedirebbe il recupero del
predetto vano, anche nel caso in cui fossero sussistenti
tutti gli altri presupposti.
In realtà da un’esegesi letterale della
predetta disposizione si ricava che per il calcolo
dell’altezza media ponderale, che deve essere pari a 2,40 mt,
può essere considerata e computata unicamente la parte di
sottotetto con un’altezza non inferiore a 1,50 mt, essendo
soltanto tale porzione idonea a concorrere alla
realizzazione del requisito imposto dalla legge. La citata
norma tuttavia non esclude affatto che il sottotetto possa
possedere delle parti di altezza inferire a 1,50, ma si
limita a considerarle del tutto neutre ai predetti fini,
escludendole dal calcolo del volume necessario per
raggiungere l’altezza media ponderale.
Quindi non assume alcuna rilevanza in
negativo la presenza di parti del sottotetto di altezza
inferiore a 1,50 m, bastando semplicemente espungere le
stesse dal computo del volume utile per l’ottenimento
dell’altezza media ponderale.
2.2. Peraltro, la parte ricorrente ha
contestato la sussistenza dello stato di fatto assunto dal
Comune a fondamento del proprio provvedimento, segnalando la
presenza di arredi fissi che renderebbero inutilizzabili le
porzioni di altezza inferiore a 1,50 mt (cfr. all. 8-9 al
ricorso) e quindi attesterebbero l’irrilevanza in concreto
delle parti del sottotetto inferiori alla predetta altezza,
che comunque non determinerebbero il venir meno dei
requisiti di abitabilità dello stesso (come dimostrato dalla
produzione documentale del ricorrente del 04.11.2019).
Tale circostanza non è stata presa in
considerazione dagli Uffici, in quanto, irritualmente, non
si è proceduto all’effettuazione di un sopralluogo volto a
verificare la reale consistenza dei luoghi, pur essendo tale
elemento emerso in una fase procedimentale avanzata e pur in
assenza di interlocuzione della parte sul punto (si veda la
censura di cui al punto 1 della parte in diritto del
ricorso).
2.3. Anche la parte del provvedimento che
esclude gli abbaini dal computo del calcolo del volume
rilevante ai fini della determinazione dell’altezza media
ponderale non risulta in linea con il dato normativo.
L’art. 64, comma 1, della legge regionale n.
12 del 2005 stabilisce che “gli interventi edilizi
finalizzati al recupero volumetrico dei sottotetti possono
comportare l’apertura di finestre, lucernari, abbaini e
terrazzi per assicurare l’osservanza dei requisiti di
aeroilluminazione e per garantire il benessere degli
abitanti …”.
In ragione della richiamata disposizione si
deve considerare l’abbaino alla stregua di un intervento
edilizio certamente rilevante al fine di poterne computare
il volume nell’ambito dei parametri qualitativi e
quantitativi finalizzati al recupero di un sottotetto e in
tal modo renderlo abitabile.
Del resto, la consolidata giurisprudenza è
orientata nel ritenere l’abbaino come una (parziale) nuova
costruzione a tutti gli effetti, la cui realizzazione è
subordinata al rilascio di permesso di costruire, ai sensi
dell’art. 10, comma 1, lett. c), del D.P.R. n. 380 del 2001,
considerato che la stessa determina un aumento di volumetria
e incide sulla sagoma dell’edificio e, in quanto
costruzione, è tenuta al rispetto delle distanze dagli altri
fabbricati, ai sensi del D.M. n. 1444 del 1968 (cfr. TAR
Friuli-Venezia Giulia, 30.07.2018, n. 268; anche, Consiglio
di Stato, IV, 30.08.2018, n. 5097; VI, 16.07.2015, n. 3558;
VI, 11.09.2013, n. 4501).
Ne discende che la volumetria generata da un
abbaino deve essere computata ai fini della verifica del
raggiungimento degli indici richiesti dalla normativa per
considerare il sottotetto abitabile, tenuto conto che lo
stesso non soltanto è in grado di garantire il rispetto dei
rapporti aeroilluminanti, ma assicura anche il rispetto
dell’altezza media ponderale che può rendere un locale
idoneo ad essere utilizzato quale residenza.
Va specificato, al proposito, che non
possono essere prese in considerazione le difese comunali
che evidenziano comunque una difformità dell’altezza media
ponderale –pari a 2,50 mt e differente rispetto a quella
dichiarata nell’istanza di sanatoria, pari a 2,40 mt–
ottenuta non computando gli abbaini, visto che si tratta di
una integrazione postuma della motivazione, non ammissibile
in sede giudiziale (cfr. Consiglio di Stato, VI, 11.05.2018,
n. 2843; TAR Lombardia, Milano, II, 22.07.2019, n. 1695).
Anche riguardo a tale aspetto la
determinazione comunale appare illegittima.
2.4. Alla fondatezza della scrutinata
doglianza, segue l’accoglimento del ricorso e l’annullamento
del diniego di permesso di costruire in sanatoria adottato
dal Comune di Seregno
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 12.03.2020 n. 476 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2018 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Circa la misurazione
dell’altezza del sottotetto, il computo di tale grandezza
deve riferirsi, secondo appropriata regola tecnica, alle
distanze tra gli elementi strutturali dell’edificio, quali
solai e copertura, non assumendo alcun rilievo gli elementi
architettonici di finitura, quali controsoffittatura, camera
d’aria e massetto delle pendenze, che sono meramente
eventuali e di dimensioni assolutamente non predeterminabili
in ragione delle svariate esigenze della committenza.
---------------
3. Perimetrato l’ambito del giudizio al suindicato
provvedimento di demolizione, si può dare corso allo
scrutinio delle censure articolate avverso quest’ultimo, le
quali sono così riassumibili:
a) non è ravvisabile la sussistenza di alcun abuso edilizio,
essendo le difformità di altezza del sottotetto state
erroneamente calcolate al netto di alcune opere di
rifinitura ancora da realizzare, quali la controsoffittatura,
la camera d’aria per l’isolamento termico ed il massetto
delle pendenze, Inoltre, l’altezza al colmo è stata
indebitamente misurata “all’intradosso delle travi
portanti, anziché al di sotto delle stesse così come
previsto dal regolamento edilizio” ed è, comunque,
inferiore di 10 cm. rispetto a quella autorizzata con il
permesso di costruire;
b) il provvedimento demolitorio è affetto da difetto di motivazione
non solo in relazione alla normativa urbanistico-edilizia
concretamente violata e alla qualificazione giuridica
dell’intervento posto in essere, ma anche con riguardo alla
prevalenza dello specifico interesse pubblico alla
demolizione sul contrapposto interesse privato, tenuto conto
dello scarso rilievo urbanistico dell’opera realizzata;
c) l’amministrazione comunale è incorsa nella violazione dell’art.
36 del d.P.R. n. 380/2001, non avendo anteposto
all’emissione dell’ordine demolitorio alcuna verifica in
ordine all’eventuale sanabilità dell’intervento effettuato;
d) l’ordinanza di demolizione non è stata preceduta dalla
comunicazione di avvio del procedimento, in violazione delle
prerogative partecipative garantite dall’art. 7 della legge
n. 241/1990.
Tutte le prefate censure non meritano condivisione per le
ragioni di seguito esplicitate.
4. Non emerge alcun palese errore di calcolo nella
misurazione dell’altezza del sottotetto, dovendo il computo
di tale grandezza riferirsi, come avvenuto nella specie
secondo appropriata regola tecnica, alle distanze tra gli
elementi strutturali dell’edificio, quali solai e copertura,
non assumendo alcun rilievo gli elementi architettonici di
finitura, quali controsoffittatura, camera d’aria e massetto
delle pendenze, che sono meramente eventuali e di dimensioni
assolutamente non predeterminabili in ragione delle svariate
esigenze della committenza (cfr. in tal senso TAR Sardegna,
Sez. II, 17.06.2015 n. 876) (TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 03.10.2018 n. 5768 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Recupero
a fini abitativi dei sottotetti esistenti.
In materia di recupero a
fini abitativi dei sottotetti esistenti
l'art. 1 della l.r. Lombardia n.
15 del 1996, poi trasfuso nell'art. 63 della
l.r. n. 12 del 2005, che ne prevede la
possibilità, ha quale presupposto che la
trasformazione avvenga in ordine ad un
volume già esistente e che abbia, in
partenza, dimensioni tali da essere
praticabile e da poter essere abitabile, sia
pure con gli aggiustamenti che occorrono per
raggiungere i requisiti minimi di
abitabilità.
Solo a queste condizioni il "recupero", che
la legge regionale classifica come
"ristrutturazione" (art. 3 comma 2), è
effettivamente ascrivibile a tale categoria
di interventi, come definita dall'art. 31
della legge n. 457 del 1978 (oggi, art. 3
del d.P.R. n. 380 del 2001), la quale
postula che il nuovo organismo edilizio
corrisponda a quello preesistente, senza
alterarne in misura sostanziale sagoma,
volume e superficie.
Diversamente l'intervento si risolverebbe
non già nel recupero di un piano sottotetto,
ma nella realizzazione di un piano
aggiuntivo, che eccede i caratteri della
ristrutturazione per integrare un intervento
di nuova costruzione
(TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 27.07.2018 n. 1858 - commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
---------------
MASSIMA
Nell’odierno giudizio le parti controvertono
in ordine a quale regime urbanistico debbano
essere assoggettate delle unità abitative
ricavate dal recupero di sottotetti adibiti
a scopo residenziale e ricadenti entro
edifici realizzati, dietro Convenzione, in
esecuzione di un PIR ex LR Lombardia n.
23/1990.
Secondo la parte ricorrente, essendo stati i
sottotetti trasformati successivamente alla
stipula della Convenzione e non essendo
inclusa la relativa superficie entro quella
prevista e disciplinata in quest’ultima
(peraltro completamente eseguita), i
relativi spazi abitativi sarebbero cedibili
in regime di libera vendita.
Secondo il Comune di Milano, il vincolo
sorto sulle unità abitative degli edifici si
estenderebbe anche ai sottotetti, ancorché
realizzati successivamente, in ragione
dell’inscindibile unità del corpo di
fabbrica e della sottoposizione di quest’ultimo
alla disciplina del Piano di Recupero.
Quest’ultima tesi è corretta, mentre le
argomentazioni cui sono affidate le censure
di parte ricorrente sono prive di
fondamento.
I) Deve preliminarmente rilevarsi che il
rapporto tra la parte ricorrente e l’Ente
non è regolato solamente dalla Convenzione;
e che quest’ultima non è un negozio libero
nell’oggetto e nel fine.
Se le parti
avessero stipulato un negozio soggetto
solamente alla disciplina comune, la tesi
della parte ricorrente sarebbe stata
corretta, in quanto, una volta assolta la
destinazione ai fini pattuiti della
superficie totale prevista in Convenzione,
tutte le ulteriori sopravvenienze edilizie,
ancorché derivanti (come una sorta di
specificazione) da un diverso utilizzo degli
spazi (oppure da una trasformazione planovolumetrica dal manufatto originale,
come ad esempio una sopraelevazione oppure
un ampliamento di altro genere) sarebbero
state libere da vincoli; o comunque una
diversa disciplina giuridica delle
abitazioni ricavate avrebbe dovuto essere
tradotta in una nuova Convenzione.
Tuttavia, deve osservarsi che la Convenzione
che regola l’intervento abitativo è
funzionalmente orientata all’esecuzione del
Programma approvato con la deliberazione nr.
430 dell’11 e 12.11.1994 del Consiglio
Comunale e n. 6492 del 15.12.1995 della
Giunta Regionale cui aderisce e che ne
conforma la causa sulla base delle
previsioni di cui alla LR Lombardia 02.04.1990 nr. 23 e della legge
05.08.1978, n.
457.
Quest’ultima introduce una disciplina di
favore (volta a favorire l’accesso
all’abitazione), includente vantaggi di tipo
strettamente edilizio e planovolumetrico (v.
ad es. gli artt. 31 e 43 della L. 457/1978),
nonché forme specifiche di finanziamento o
agevolazioni di tipo finanziario; sussiste
altresì una minore incidenza dei costi di
costruzione del fabbricato rispetto alle
edificazioni ordinarie (per effetto
dell’art. 7 della l. 10/1977, argomento questo
particolarmente approfondito dalla difesa
del Comune senza specifiche contestazioni da
parte della ricorrente).
L’assoggettamento dei relativi alloggi al
regime di prezzi che è sancito nella
Convenzione, all’art. 8, è funzionale quindi
all’esigenza propria del sistema normativo
di assicurare che le unità immobiliari
realizzate sulla base dei programmi
integrati siano effettivamente accessibili
all’utenza secondo quella particolare logica
di favore di tutela del diritto
all’abitazione che giustifica la
realizzazione degli interventi edilizi di
cui si discute.
Invero, come puntualmente argomentato dalla
difesa dell’Ente, in regime di edilizia
convenzionata l’Amministrazione riduce la
misura degli oneri relativi all’intervento
edilizio perché il costruttore è vincolato,
con la stipula della Convenzione, ad
applicare il prezzo calmierato in luogo del
prezzo di mercato, beneficio del quale si
giovano sia, direttamente, il costruttore,
che ne fruisce, sia, indirettamente,
l’acquirente, che acquista l’appartamento ad
un prezzo più conveniente di quello che
avrebbe ottenuto sul mercato, in regime di
libera contrattazione (realizzando così in
concreto quel meccanismo di facilitazione
dell’accesso all’abitazione che il
legislatore si propone).
A fronte di questa agevolazione, la legge
pone a carico del costruttore e
dell’acquirente l’obbligo di non vendere a
prezzo superiore a quello di acquisto per un
determinato periodo di tempo.
Nello specifico, con la concessione in
variante n. 65 del 20.02.2001, la misura del
contributo per il rilascio della concessione
–determinata in base all’incidenza delle
spese di urbanizzazione ed al costo di
costruzione, ai sensi dall’art. 3 della
legge n. 10/1977– veniva ridotta rispetto a
quella prevista dalla concessione n.
300/2003, in base all’art. 7 della legge n.
10/1977 (che limita il contributo ai soli
oneri di urbanizzazione se il
concessionario, stipulando una Convenzione
con il comune, si obbliga ad applicare i
prezzi convenzionati).
Atteso il relativo regime, l’immobile
realizzato entro un piano di recupero come
quello in esame e con i vantaggi sin qui
descritti in termini di costi, è dunque
qualificato dallo scopo dell’intervento e
come tale è soggetto alla relativa
disciplina nella sua interezza; la
descrizione –contenuta nella Convenzione attuativa– che compendia gli alloggi alla
cui realizzazione il privato si obbliga,
entro la relativa quantità di superficie
utile destinata alla residenza, non esclude
dunque affatto che successivi incrementi di
detta superficie –localizzati entro la
sagoma dell’edificio e conseguenti ad
interventi di recupero di spazi tecnici come
i sottotetti– seguano il medesimo regime
giuridico, poiché si tratta di interventi su
spazi pertinenti alle unità abitative
originali (e dunque già esistenti al tempo
di realizzazione di queste ultime in
esecuzione della Convenzione).
Invero, in materia di recupero a fini
abitativi dei sottotetti esistenti, l'art. 1 l.reg. Lombardia 15.07.1996 n. 15, poi
trasfuso nell'art. 63 l.reg. n. 12 del
2005, che ne prevede la possibilità, ha
quale presupposto che la trasformazione
avvenga in ordine ad un volume già esistente
e che abbia, in partenza, dimensioni tali da
essere praticabile e da poter essere
abitabile, sia pure con gli aggiustamenti
che occorrono per raggiungere i requisiti
minimi di abitabilità (altezza media
ponderale m. 2.40: cfr. art. 2 l.reg. 15.07.1996 n. 15, oggi art. 63, comma ultimo,
l.reg. n. 12 del 2005); solo a queste
condizioni il "recupero", che la l. reg.
classifica come "ristrutturazione" (art. 3,
comma 2), è effettivamente ascrivibile a
tale categoria di interventi, come definita
dall'art. 31 l. n. 457 del 1978 (oggi, art.
3 d.P.R. n. 380 del 2001), la quale postula
che il nuovo organismo edilizio corrisponda
a quello preesistente, senza alterarne in
misura sostanziale sagoma, volume e
superficie; diversamente l'intervento si
risolverebbe non già nel recupero di un
piano sottotetto, ma nella realizzazione di
un piano aggiuntivo, che eccede i caratteri
della ristrutturazione per integrare un
intervento di nuova costruzione (così TAR
Milano, II 02.04.2010 n. 970).
In questi termini, la giurisprudenza
chiarisce che ai sensi dell'art. 63 commi 1
e 2, l.rg. Lombardia 11.03.2005 n. 12,
il recupero a fini abitativi dei sottotetti
(per essi intendendosi i volumi sovrastanti
l'ultimo piano degli edifici) “costituisce
un ampliamento volumetrico ammissibile solo
se compatibile con le prescrizioni dettate
dalla disciplina urbanistica vigente e,
quindi, nel rispetto degli indici di edificabilità e dei parametri stabiliti
dagli strumenti urbanistici comunali, salve
le ipotesi derogatorie da detta disciplina
espressamente dettate” (Consiglio di Stato
sez. IV 04.02.2008 n. 298; TAR Milano,
Lombardia, I 06.12.2016 n. 2305),
con
la conseguenza che “ai sensi dell'art. 63
commi 1 e 2, l.rg. 11.03.2005 n. 12, il
recupero volumetrico a scopo residenziale
del piano sottotetto non può prescindere
dall'esistenza dell'edificio e del
sottotetto medesimo —da intendersi come
vero e proprio volume preesistente— e deve
avvenire nel rispetto delle prescrizioni igienico-sanitarie e di abitabilità previste
dai regolamenti vigenti” (Consiglio di Stato
sez. IV 20.02.2013 n. 1058).
Dunque, il recupero dei sottotetti operato
in forza dell’art. 63 della l.r. n. 12/2005
è dipendente dall’edificio cui essi accedono
sul piano strutturale e tecnico-costruttivo;
pertanto, non può che seguire anche il
regime derivante dalla natura dell’edificio
stesso, con soggezione, nel caso in cui
l’edificio sia stato realizzato nell’ambito
di un PIR ex lege nr. 23/1990, alle limitazioni
inerenti la formazione del prezzo di vendita
dei relativi alloggi.
Condivisibilmente, invero, la difesa
comunale rileva che in caso contrario, ossia
ritenendo i sottotetti come organismo a se
stante in quanto “nuova costruzione”, come
sostiene parte ricorrente, e non come unico
involucro urbanistico contenuto
nell’immobile recuperato, si contravverrebbe
alla finalità propria dell’edilizia
convenzionata, creando evidenti disparità di
trattamento tra gli assegnatari degli
alloggi, in quanto risulterebbero
assoggettati appartamenti del medesimo
edificio ad un regime giuridico diverso, per
alcuni dei quali (appartamenti all’ultimo
piano) si applicherebbe in caso di vendita,
il prezzo di mercato, senza vincoli e
limitazioni di sorta, mentre agli
appartamenti dei restanti piani il prezzo
convenzionato -nonché il divieto temporaneo
di cessione– con evidenti differenze in
termini di realizzazione degli scopi di
tutela dell’intervento medesimo.
Del resto, non è possibile invocare –a
sostegno della tesi di parte ricorrente–
una esigenza di tutela dell’affidamento (a
che gli obblighi della Convenzione fossero
assolti e quindi si potesse ottenere dalla
commercializzazione degli appartamenti
insistenti nei sottotetti recuperati un
provento corrispondente alla redditività di
mercato dell’investimento), poiché, nel
sistema della legge, i prezzi di vendita
degli alloggi sono determinati sulla base
del piano finanziario (che è infatti
puntualmente sollecitato dalla nota
impugnata) così da assicurare comunque la
remunerazione dell’investimento.
Dunque,
prospettare che il privato possa alienare a
prezzo di mercato l’appartamento ricavato
dal recupero del sottotetto a fini abitativi
entro un edificio realizzato in regime di
edilizia convenzionata implicherebbe una
evidente locupletazione del costruttore in
quanto quest’ultimo –profittando, da un
lato, della riduzione dei costi di
costruzione relativi al fabbricato al
momento della sua realizzazione e,
dall’altro, del maggior prezzo di mercato
ricavabile in libera contrattazione–
massimizzerebbe il profitto non tramite un
vantaggio competitivo imprenditoriale vero e
proprio (imputabile alla propria iniziativa
e merito aziendale con assunzione del
relativo rischio di impresa), bensì grazie
alla traslazione a carico della collettività
pubblica dei costi dell’aggravamento del
carico urbanistico conseguente
all’ampliamento della base residenziale
della zona.
Ne consegue che i sottotetti recuperati ad
uso abitativo entro un edificio realizzato
nell’ambito di un PIR successivamente
all’esecuzione della relativa Convenzione,
sono soggetti alle medesime condizioni
fissate per gli altri appartamenti dal
relativo regime di circolazione.
Le censure dedotte al secondo motivo di
ricorso sono quindi infondate e vanno
ritenute generiche e meramente formali
quelle relative al difetto di motivazione di
cui al primo motivo, con conseguente
reiezione del gravame. |
anno 2017 |
|
EDILIZIA PRIVATA: Recupero
sottotetti, Scia o Pc. Lombardia.
Recupero abitativo dei sottotetti in
Lombardia: regime giuridico da individuare
di volta per volta sulla base degli elementi
progettuali. In quanto essendo considerata
«ristrutturazione edilizia», la disciplina
applicabile non è più quello della denuncia
di inizio attività. Potrà essere una Scia o
un permesso di costruire per la
ristrutturazione c.d. «leggera» e permesso
di costruire o Scia alternativa per la
ristrutturazione c.d. «pesante».
Questi i chiarimenti contenuti nella
circolare 20.07.2017 n. 10
della Regione Lombardia.
Le novità introdotte dai decreti legislativi
n. 126 e n. 222 del 2016 -ricorda la
circolare- hanno reso necessario
l'adeguamento della modulistica per i titoli
edilizi (si veda ItaliaOggi del 17.05.2017).
Tutti i nuovi moduli edilizi unificati e
standardizzati, approvati il 4 maggio e il 6
luglio scorsi in conferenza unificata, con
accordo tra il governo, le regioni e gli
enti locali, sono stati adeguati alle
normative regionali e approvati, in un unico
provvedimento, con la deliberazione della
Giunta regionale Lombarda del 17.07.2017, n.
6894.
Nelle more di un aggiornamento e
riallineamento della normativa regionale, i
tecnici lombardi forniscono alcune
considerazioni in merito ad aspetti della
disciplina edilizia di più frequente
ricorrenza: come noto, infatti, il dpr
06.06.2001, n. 380 (Testo unico
dell'edilizia) è stato interessato negli
ultimi tempi da ripetuti interventi di
modifica. I funzionari Lombardi inoltre
sottolineano che a fronte di una
giurisprudenza costituzionale consolidata in
questi anni, si è affermato espressamente
che «la definizione delle diverse
categorie di interventi edilizi spetta allo
Stato».
Pertanto la disciplina degli interventi
edilizi dettata all'articolo 27 della legge
regionale n. 12/2005 è da considerarsi
superata, dovendosi ormai fare riferimento
alle definizioni di cui all'articolo 3 del
dpr 380/2001, in quanto disposizioni
espressamente qualificate dalla corte
costituzionale come «principi
fondamentali della materia»
(articolo ItaliaOggi del
28.07.2017). |
EDILIZIA PRIVATA: L’innalzamento
della linea di colmo della nuova copertura, realizzato dagli appellanti, si
configura non come ristrutturazione di tipo B ma come sopraelevazione e,
quindi, intervento di nuova costruzione per il quale non basta la d.i.a. ma
occorre il permesso di costruire.
---------------
Con la costruzione di abbaini viene in discussione un intervento il quale
determina un mutamento di sagoma e un incremento di volumetria riconducibili
alla tipologia d’intervento di cui all’art. 10, comma 1, lett. c), del
d.P.R. n. 380/2001, con la conseguente creazione, a causa di un incremento
volumetrico e di un’alterazione della copertura, di un organismo edilizio in
parte diverso dal precedente, con l’applicabilità delle NTA del PRG nella
parte in cui è prevista una distanza minima dal fabbricato preesistente di
mt. cinque, nella specie non rispettata, e con l’assoggettamento
dell’intervento al rilascio di permesso di costruire ex art. 10/c) cit..
---------------
L’innalzamento della linea di colmo della nuova copertura, realizzato dagli
appellanti, si configura non come ristrutturazione di tipo B ma come
sopraelevazione e, quindi, intervento di nuova costruzione per il quale non
basta la d.i.a. ma occorre il permesso di costruire.
Sulla questione relativa alla costruzione degli abbaini, bene la sentenza,
anche alla luce delle precisazioni contenute nella relazione comunale del
07.09.2010, ha affermato che viene in discussione un intervento il quale
determina un mutamento di sagoma e un incremento di volumetria riconducibili
alla tipologia d’intervento di cui all’art. 10, comma 1, lett. c), del
d.P.R. n. 380/2001, con la conseguente creazione, a causa di un incremento
volumetrico e di un’alterazione della copertura, di un organismo edilizio in
parte diverso dal precedente, con l’applicabilità delle NTA del PRG nella
parte in cui è prevista una distanza minima dal fabbricato preesistente di
mt. cinque, nella specie non rispettata, e con l’assoggettamento
dell’intervento al rilascio di permesso di costruire ex art. 10/c) cit. (sul
carattere di novità dell’organismo edilizio realizzato, rispetto a quello
autorizzato, qualora l’organismo realizzato si presenti diverso da quello
assentito ad esempio attraverso l’innalzamento del tetto, la
riorganizzazione della facciata, l’inserimento di abbaini, l’apertura di
finestre e l’inserimento di balconi, v. Cons. Stato, sez. VI, n. 5804 del
2013)
(Consiglio
di Stato, VI,
sentenza 16.07.2015 n. 3558 - link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Un
volume realizzato a copertura d'un fabbricato –che abbia
natura e caratteristiche d'un sottotetto di per sé non
abitabile e destinato a servire come minimo volume tecnico
per copertura e isolamento dell'edificio- diventa una vera e
propria mansarda, anche potenziale, quando è dotato di
significativa altezza media rispetto al piano di gronda:
nell'un caso, si ha un mero vano strumentale alla buona
funzionalità dell'edificio, nell'altro, un vano avente una
materiale potenzialità di sfruttamento a fini abitativi.
Nella fattispecie, i sottotetti hanno un’altezza di 1,8 mt.
nel punto più alto, hanno aperture verso l’esterno e sono
indicati nello stesso progetto come lavanderie-stenditoi, di
guisa che non possono essere considerati come meri volumi
tecnici, essendo aree calpestabili e praticabili, a servizio
dei costituendi condomini.
---------------
Correttamente, il Comune computa nel calcolo dei volumi le
parti di sottotetto che, pur non essendo adibite ad uso
abitativo, non rientrano nella definizione di volumi
tecnici.
Infatti, un volume realizzato a copertura d'un fabbricato
–che abbia natura e caratteristiche d'un sottotetto di per
sé non abitabile e destinato a servire come minimo volume
tecnico per copertura e isolamento dell'edificio- diventa
una vera e propria mansarda, anche potenziale, quando è
dotato di significativa altezza media rispetto al piano di
gronda: nell'un caso, si ha un mero vano strumentale alla
buona funzionalità dell'edificio, nell'altro, un vano avente
una materiale potenzialità di sfruttamento a fini abitativi
(cfr.: Cons. Stato IV, 28.06.2016 n. 2908; Tar Marche Ancona
I, 05.01.2017 n. 17; Tar Lombardia Milano II, 16.06.2016 n.
1208).
Nella fattispecie, i sottotetti hanno un’altezza di 1,8 mt.
nel punto più alto, hanno aperture verso l’esterno e sono
indicati nello stesso progetto come lavanderie-stenditoi, di
guisa che non possono essere considerati come meri volumi
tecnici, essendo aree calpestabili e praticabili, a servizio
dei costituendi condomini.
Tale evidenza relativa ai volumi dei sottotetti priva di
rilievo la questione del calcolo delle altezze degli edifici
(ritenuto errato dalla ricorrente), questione che, comunque,
risentirebbe del fatto che i medesimi edifici progettati in
variante sono ubicati lungo un pendio, quindi hanno altezze
diverse a monte e a valle.
Ad ogni modo, sarebbe spettato alla ricorrente di provare
che il calcolo delle altezze degli edifici, eseguito dal
tecnico comunale, fosse errato e, per farlo, essa avrebbe
dovuto produrre una perizia di parte o, quantomeno, chiedere
l’esperimento della prova della consulenza tecnica d’ufficio
(istanza istruttoria che, viceversa, essa non ha proposto).
Invero, il processo amministrativo è retto dal principio
dispositivo con metodo acquisitivo (artt. 63 e ss. c.p.a.).
La posizione di squilibrio informativo tra le parti
pubbliche e private derivanti dalla circostanza che i
documenti afferenti al procedimento amministrativo sono
nella disponibilità della pubblica amministrazione
giustifica il soccorso istruttorio del giudice
amministrativo.
Tuttavia, la parte privata deve addurre, nei casi in cui si
realizzano queste condizioni, un principio di prova sui cui
si può innestare il potere officioso del giudice
amministrativo. In mancanza di tali elementi probatori che
la parte deve indicare, l'istruttoria si risolverebbe in una
indagine esplorativa contraria alle regole che presiedono
alla formazione della prova (cfr.: Cons. Stato VI,
27.09.2016 n. 3978; Tar Lazio Roma III, 29.10.2014, n.
10866)
(TAR Molise,
sentenza 24.02.2017 n. 76 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Risulta dalla perizia
riportata nel ricorso principale che i vani sovrastanti il
lastrico solare delle otto palazzine –tra
cui quello oggetto dell’ordinanza impugnata- descritti
nella DIA del 2006 come volumi tecnici riservati agli
impianti a servizio delle sottostanti unità residenziali,
hanno altezza uguale a quella minima (m. 2.70) stabilita
dall’art. 1 del d.m. 05.07.1975 per le abitazioni, sono
comunicanti con il piano sottostante ed inoltre, come
riportato nell’ordinanza, sono dotati di impianti e servizi
igienici.
Il fatto che detti locali siano utilizzabili a fini
abitativi, ne esclude la natura di vani tecnici.
La giurisprudenza ha infatti chiarito che la nozione di vano
tecnico identifica locali che hanno la caratteristica, per
altezza, dimensioni e dotazioni, di escludere qualsiasi
utilità abitativa, perché destinati esclusivamente agli
impianti non installabili all’interno dell’abitazione cui
necessitano, mentre restano esclusi da tale categoria i
locali sottotetto comunicanti, come in specie, con il piano
sottostante mediante una scala interna, che è stata ritenuta
indice rilevatore dell'intento di renderli abitabili.
Ne consegue che i vani tecnici, irrilevanti, per la
loro specifica destinazione, ai fini del calcolo della
volumetria del fabbricato cui accedono, concorrono a pieno
titolo e per intero a determinarne l’entità quando sono
trasformati in spazi idonei all’uso residenziale.
---------------
Accertato che non si tratta di un vano tecnico, poiché ha i
requisiti dei vani abitativi e come tale potrebbe essere
autonomamente utilizzato, ciò che rileva ai fini della
verifica dell’essenzialità della variazione e della
conseguente necessità di ottenere il permesso di costruire,
è il fatto che esso esprime per intero, non solo per
l’incremento di cui alla DIA annullata, nuova volumetria e
nuova superficie abitativa, rispetto al progetto
originariamente assentito, la quale supera largamente il
limite del 5% consentito dall’art. 2 della l.r. n. 26/1985
per l’aumento della cubatura originaria, come si desume
chiaramente dai calcoli, cui si rinvia, della perizia
riportata nel ricorso.
La ricorrente ha in sostanza trasformato il locale
sottotetto in una mansarda completa di servizi ed impianti,
realizzando un aumento di volumetria abitativa, rispetto a
quella assentita con il permesso di costruire, che impone di
considerare l’intervento edilizio come nuova costruzione.
Del resto proprio l’irrilevanza dei volumi tecnici ai fini
del calcolo delle superfici e della cubatura implica che,
ove essi mutino destinazione per volgersi ad uso
residenziale, acquistano visibilità normativa -per
superficie, sagoma, volume ed incidenza sugli standard
urbanistici di zona- che prima non avevano e costituiscono,
per questo, variazioni essenziali ai sensi dell'art. 32,
comma 1, del d.P.R. n. 380/2001, secondo i parametri
stabiliti dall’art. 2 della l.r. Puglia n. 26/1985, per le
quali non è ammesso il ricorso alla D.I.A..
---------------
3.2.1. Anche il quinto motivo, il cui esame precede
logicamente lo scrutinio degli altri, deve essere respinto.
La Società costruttrice sostiene che la realizzazione o
modificazione di volumi tecnici non è subordinata al
rilascio del permesso di costruire e che le opere a tal fine
eseguite, previa presentazione della DIA del 31.10.2006,
sarebbero del tutto conformi alla normativa edilizia allora
vigente.
3.2.2. La tesi è senz’altro corretta, in linea di principio,
poiché, ai sensi dell’art. 32 del d.P.R. 06.06.2001, n.
380, non è richiesto un nuovo permesso di costruire quando
l’originario, già assentito, progetto edilizio non sia
oggetto di variazioni essenziali.
Il citato articolo 32 considera variazioni non essenziali,
per le quali non è richiesto il permesso di costruire e ben
potrebbero essere oggetto di denuncia di inizio di attività,
le modifiche al progetto che non incidono sui parametri
urbanistici e sulle volumetrie, non modificano la
destinazione d’uso e la categoria edilizia, ma si limitano a
variare le cubature accessorie, i volumi tecnici e la
distribuzione interna delle singole unità abitative.
3.3.3. In punto di fatto risulta, però, dalla stessa perizia
riportata nel ricorso principale (pag. 20) che i vani
sovrastanti il lastrico solare delle otto palazzine –tra
cui quello oggetto dell’ordinanza impugnata- descritti
nella DIA del 2006 come volumi tecnici riservati agli
impianti a servizio delle sottostanti unità residenziali,
hanno altezza uguale a quella minima (m. 2.70) stabilita
dall’art. 1 del d.m. 05.07.1975 per le abitazioni, sono
comunicanti con il piano sottostante ed inoltre, come
riportato nell’ordinanza, sono dotati di impianti e servizi
igienici.
Il fatto che detti locali siano utilizzabili a fini
abitativi, ne esclude la natura di vani tecnici.
La giurisprudenza ha infatti chiarito che la nozione di vano
tecnico identifica locali che hanno la caratteristica, per
altezza, dimensioni e dotazioni, di escludere qualsiasi
utilità abitativa (Cons. Stato, sez. IV, 10.07.2013 n. 3666),
perché destinati esclusivamente agli impianti non
installabili all’interno dell’abitazione cui necessitano,
mentre restano esclusi da tale categoria i locali sottotetto
comunicanti, come in specie, con il piano sottostante
mediante una scala interna, che è stata ritenuta indice
rilevatore dell'intento di renderli abitabili (Cons. giust.
amm. Sicilia, sez. giurisd., 14.04.2014 n. 207; Cons. Stato
sez. IV n. 812/2011).
3.3.4. Ne consegue che i vani tecnici, irrilevanti, per la
loro specifica destinazione, ai fini del calcolo della
volumetria del fabbricato cui accedono, concorrono a pieno
titolo e per intero a determinarne l’entità quando sono
trasformati in spazi idonei all’uso residenziale.
3.3.5. Sotto tale profilo appare dunque errata la perizia
riportata nel corpo del motivo in rassegna perché prende in
considerazione, ai fini della verifica della natura
essenziale o non essenziale della variazione, solo l’aumento
di volumetria dei locali tecnici riconducibile alla DIA del
31.10.2006, stimato inferiore al 5% della cubatura
residenziale assentita con il permesso di costruire, limite
entro il quale la variazione è ritenuta non essenziale, ai
sensi dell’art. 2 della l.r. Puglia n. 26/1985 e quindi
eseguibile previa DIA.
L’errore è manifesto.
Accertato, infatti, che non si tratta di un vano tecnico,
poiché ha i requisiti dei vani abitativi e come tale
potrebbe essere autonomamente utilizzato, ciò che rileva ai
fini della verifica dell’essenzialità della variazione e
della conseguente necessità di ottenere il permesso di
costruire, è il fatto che esso esprime per intero, non solo
per l’incremento di cui alla DIA annullata, nuova volumetria
e nuova superficie abitativa, rispetto al progetto
originariamente assentito, la quale supera largamente il
limite del 5% consentito dall’art. 2 della l.r. n. 26/1985
per l’aumento della cubatura originaria, come si desume
chiaramente dai calcoli, cui si rinvia, della perizia
riportata nel ricorso.
3.3.6. La ricorrente ha in sostanza trasformato il locale
sottotetto in una mansarda completa di servizi ed impianti,
realizzando un aumento di volumetria abitativa, rispetto a
quella assentita con il permesso di costruire, che impone di
considerare l’intervento edilizio come nuova costruzione
(TAR Lombardia, Brescia, 06.08.2010 n. 2654; Cassazione
penale, sez. III, 03.10.2002 n. 38191).
3.3.7. Del resto proprio l’irrilevanza dei volumi tecnici ai
fini del calcolo delle superfici e della cubatura implica
che, ove essi mutino destinazione per volgersi ad uso
residenziale, acquistano visibilità normativa -per
superficie, sagoma, volume ed incidenza sugli standard
urbanistici di zona- che prima non avevano e costituiscono,
per questo, variazioni essenziali ai sensi dell'art. 32,
comma 1, del d.P.R. n. 380/2001, secondo i parametri
stabiliti dall’art. 2 della l.r. Puglia n. 26/1985, per le
quali non è ammesso il ricorso alla D.I.A. (Cons. Stato,
sez. IV, 10.07.2013 n. 3666) (TAR
Puglia-Bari, Sez. II,
sentenza 20.02.2017 n. 161 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L’intervento edilizio in rassegna, poiché
comporta il mutamento di destinazione d’uso di un locale
(sottotetto) progettato e assentito per contenere impianti
tecnici a servizio della sottostante abitazione, non è
riconducibile al novero di quelli che l’art. 22, comma 2,
del d.P.R. n. 380/2001 consente di realizzare previa
presentazione della DIA.
L’affidamento sulla validità di un titolo edilizio, quale
espansione del principio di buona fede che governa i
rapporti giuridici, è il convincimento, indotto, in una
delle parti del rapporto, dal comportamento dell’altra,
sulla validità o l’esistenza di un fatto, atto o
comportamento altrui giuridicamente rilevante.
Ne consegue che l’errore sui requisiti soggettivi o
oggettivi della DIA, proprio perché è frutto di una
dichiarazione unilaterale, non può comportare in favore di
chi la rende un affidamento vincolante per la parte pubblica
che si limita a riceverla, per il solo fatto che
quest’ultima non avrebbe esercitato i conseguenti poteri
correttivi o inibitori, potendo tale omissione comportare
un’eventuale responsabilità amministrativa, non già la
convalida –recte la sanatoria- della DIA mancante di un
requisito essenziale.
Anche argomenti di ordine testuale e sistematico consentono
di confermare che il privato non può accreditarsi, mediante
DIA, un titolo edilizio per opere per le quali è richiesta
la più complessa procedura del rilascio del permesso di
costruire.
A tale riguardo appaiono evidenti le analogie fra il caso in
decisione e l’ipotesi di una DIA priva dei requisiti
essenziali e per questo inefficace, o quella prevista
dall’art. 23, comma 3, del d.P.R. n. 380/2001 secondo cui la
DIA non produce effetti quando l’intervento edilizio incide
su interessi sensibili e l’Autorità, cui ne è affidata la
tutela, non l’abbia autorizzato o, ancora, se le
dichiarazioni sostitutive di atto notorio ad essa allegate
non sono veritiere.
Chiaramente, allora, il provvedimento con il quale il Comune
ha accertato che le opere edili in questione non sono
legittimate dalla presentata DIA non è espressione di
autotutela –è irrilevante la qualificazione contenuta
nell’atto, dovendo prevalere la sostanza sulla forma- ma ha
valore meramente accertativo di un abuso doverosamente
rilevabile e reprimibile senza, peraltro, il limite di dover
agire entro un termine ragionevole, chiaramente
inapplicabile all’attività di vigilanza edilizia, tanto più
che nessun affidamento può vantare la ricorrente, per quanto
detto in precedenza.
---------------
3.4.1. Anche il terzo motivo, con il quale la ricorrente
ritiene illegittimamente pretermesso l’affidamento che ha
riposto nella validità della DIA oggetto di annullamento
d’ufficio, deve essere respinto insieme al quarto che da
esso logicamente dipende.
Come detto, l’intervento edilizio in rassegna, poiché
comporta il mutamento di destinazione d’uso di un locale
progettato e assentito per contenere impianti tecnici a
servizio della sottostante abitazione, non è riconducibile
al novero di quelli che l’art. 22, comma 2, del d.P.R. n.
380/2001 consente di realizzare previa presentazione della
DIA.
L’affidamento sulla validità di un titolo edilizio, quale
espansione del principio di buona fede che governa i
rapporti giuridici, è il convincimento, indotto, in una
delle parti del rapporto, dal comportamento dell’altra,
sulla validità o l’esistenza di un fatto, atto o
comportamento altrui giuridicamente rilevante.
Ne consegue che l’errore sui requisiti soggettivi o
oggettivi della DIA, proprio perché è frutto di una
dichiarazione unilaterale, non può comportare in favore di
chi la rende un affidamento vincolante per la parte pubblica
che si limita a riceverla, per il solo fatto che
quest’ultima non avrebbe esercitato i conseguenti poteri
correttivi o inibitori, potendo tale omissione comportare
un’eventuale responsabilità amministrativa, non già la
convalida –recte la sanatoria- della DIA mancante di un
requisito essenziale.
Anche argomenti di ordine testuale e sistematico consentono
di confermare che il privato non può accreditarsi, mediante
DIA, un titolo edilizio per opere per le quali è richiesta
la più complessa procedura del rilascio del permesso di
costruire.
A tale riguardo appaiono evidenti le analogie fra il caso in
decisione e l’ipotesi di una DIA priva dei requisiti
essenziali e per questo inefficace (Consiglio di Stato, sez.
VI, 24.03.2014, n. 1413), o quella prevista dall’art. 23,
comma 3, del d.P.R. n. 380/2001 secondo cui la DIA non
produce effetti quando l’intervento edilizio incide su
interessi sensibili e l’Autorità, cui ne è affidata la
tutela, non l’abbia autorizzato o, ancora, se le
dichiarazioni sostitutive di atto notorio ad essa allegate
non sono veritiere (Consiglio di Stato, sez. VI, 20.11.2013
n. 5513).
Chiaramente, allora, il provvedimento con il quale il Comune
ha accertato che le opere edili in questione non sono
legittimate dalla DIA, presentata il 31.10.2006, non è
espressione di autotutela –è irrilevante la qualificazione
contenuta nell’atto, dovendo prevalere la sostanza sulla
forma- ma ha valore meramente accertativo di un abuso
doverosamente rilevabile e reprimibile senza, peraltro, il
limite di dover agire entro un termine ragionevole,
chiaramente inapplicabile all’attività di vigilanza
edilizia, tanto più che nessun affidamento può vantare la
ricorrente, per quanto detto in precedenza.
3.5. Le considerazioni che precedono impongono di respingere
anche il sesto motivo.
Come detto l’ordinanza impugnata è la conseguenza
inevitabile, espressione di potere vincolato,
dell’accertamento dell’abuso edilizio, insensibile pertanto
ai vizi di forma come l’omessa comunicazione di avvio del
procedimento, ai sensi dell’art. 21-octies della l.
241/1990.
4. Al rigetto del ricorso principale fa seguito la reiezione
del ricorso per motivi aggiunti avverso il provvedimento di
accertamento dell'inottemperanza dell'ordine di demolizione,
siccome impugnato per illegittimità derivata (TAR
Puglia-Bari, Sez. II,
sentenza 20.02.2017 n. 161 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
CONDOMINIO -
EDILIZIA PRIVATA: Tra
soletta e travi lo spazio non è comune. Cassazione. Quando
il piano di sopra «occupa» il controsoffitto di quello
sottostante deve risarcire il danno e il valore diminuito.
Lo spazio tra le travi e la soletta
non è comune: il proprietario di un’unità immobiliare non
può occupare con propri manufatti la parte sottostante la
sua soletta e invadere lo spazio vuoto esistente tra questa
e le travi lignee che la sorreggono. Questo spazio infatti
non fa parte integrante del solaio e dunque non è in
comunione tra i due appartamenti, l’uno sovrastante
all’altro.
Così hanno deciso i giudici supremi della Corte di
Cassazione, Sez. II civile, con la
sentenza 14.02.2017 n. 3893, stabilendo che detto
spazio è una volumetria che può essere utilizzata solo da
parte del proprietario del piano sottostante: così come il
pavimento che si poggia sul solaio appartiene esclusivamente
al proprietario dell’abitazione sovrastante, che lo può
utilizzare come meglio crede, il volume invece esistente tra
le travi e la soletta è parte del soffitto dell’unità
sottostante e può dunque essere liberamente utilizzato dal
proprietario di questa.
Era successo che a seguito di importanti lavori di
ristrutturazione eseguiti in un appartamento, consistiti
anche nella sostituzione dell’esistente solaio in legno con
altro in latero-cemento, si era abbassato il livello del
soffitto del locale sottostante. Il che aveva comportato
l’invasione degli spazi vuoti tra l’originario solaio e le
travi a vista su cui questo gravava.
S u tale presupposto i giudici di primo e secondo grado, pur
riconoscendo l’avvenuto abbassamento della soletta, avevano
escluso che ciò avesse comportato una diminuzione della
volumetria del locale sottostante in quanto il nuovo solaio
aveva occupato il solo comune spazio tra le travi lignee e
lo spazio vuoto tra una trave e l’altra.
Di diverso avviso la Cassazione, che ha affermato che la
comunione della soletta tra le due unità immobiliari, mentre
si estende alle travi aventi la funzione di sostegno e che
fanno parte della struttura portante del solaio, non va
invece ad interessare lo spazio ricompreso tra queste ed il
solaio stesso, che resta pertanto nella piena disponibilità
del piano sottostante. Alla riduzione della volumetria del
locale corrisponde naturalmente il diritto del suo
proprietario di vedersi risarcito il danno, anche in
relazione alla riduzione del valore del locale.
La questione risolta dalla Suprema Corte è di frequente
ricorrenza nei casi in cui, nel procedere alla
ristrutturazione delle cosiddette “abitazioni di ringhiera”,
si ricavano all’interno di esse i servizi igienici dapprima
esistenti solo in comune con altre abitazioni. Il minimo
spessore delle solette in legno non lascia spazio alla posa
di tubature, talché queste vengono spesso posizionate
nell’intercapedine che si crea tra la soletta e la
controsoffittatura che il proprietario della sottostante
unità ha ben fissato sulle travi portanti.
I problemi
sorgono quando si decide di portare a vista la travatura che
caratterizza il soffitto ed ecco che riappare tutto ciò che
arbitrariamente è stato posizionato al di sotto della comune
soletta. Da qui la decisione della Cassazione (articolo Il Sole 24 Ore del 21.02.2017).
---------------
MASSIMA
Il terzo motivo è fondato.
Ed invero, come questa Corte ha già affermato,
il solaio esistente fra i piani sovrapposti di un
edificio è oggetto di comunione fra i rispettivi proprietari
per la parte strutturale che, incorporata ai muri
perimetrali, assolve alla duplice funzione di sostegno del
piano superiore e di copertura di quello inferiore, mentre
gli spazi pieni o vuoti che accedono al soffitto od al
pavimento, e non sono essenziali all'indicata struttura
rimangono esclusi dalla comunione e sono utilizzabili
rispettivamente da ciascun proprietario nell'esercizio del
suo pieno ed esclusivo diritto dominicale
(Cass. 2868/1978).
Deve dunque escludersi che la comunione si
estenda oltre che alle travi, aventi funzione di sostegno
del solaio e che, pacificamente, fanno parte di detta
struttura portante
(Cass. 13606/2000), allo spazio esistente
tra le stesse, integrante volumetria di esclusiva
utilizzazione da parte del proprietario del piano
sottostante.
Ed invero, come dal solaio deve essere
distinto il pavimento che poggia su di esso, che appartiene
esclusivamente al proprietario dell'abitazione sovrastante e
che può essere, quindi, da questo liberamente rimosso o
sostituito secondo la sua utilità e convenienza
(Cass. 7464/1994), cosi pure dev'essere
distinto il volume esistente tra le travi, che costituisce
il soffitto dell'appartamento sottostante ed è dunque
liberamente utilizzabile dal proprietario di questo. |
anno 2016 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Sottotetti: è irrilevante l'altezza interna superiore di 1
cm alle N.T.A..
Il TAR Lombardia-Milano sottolinea come la
norma delle N.T.A. in forza della quale i locali sottotetto
non debbano essere computati come abitabili quando l’altezza
interna netta media sia inferiore a metri 2,10, sia da
considerarsi rispettata quando la violazione è per un solo
centimetro e in un solo locale.
Nella fattispecie i ricorrenti contestano la legittimità del
titolo edilizio in quanto l’altezza dell’edificio non
sarebbe di 12 metri -come previsto dalle norme locali-,
bensì maggiore, in quanto il locale sottotetto sarebbe in
realtà abitabile nella misura in cui non rispettoso della
disposizione contenuta nelle N.T.A. in forza del quale i
soppalchi e i sottotetti non sono computati ai fini della
superficie lorda di pavimento (s.l.p.), se hanno un’altezza
interna netta media inferiore a metri 2,10.
Evidenzia il il TAR, rigettando il ricorso, come nel caso di
specie la contestazione secondo cui vi sarebbe una
violazione delle NTA a fronte di un aumento di un solo
centimetro rispetto al limite massimo (2,10 anziché 2,09
metri) e per un solo locale, sia:
• irrilevante nella misura in cui talmente minimale, in
quanto riferita non a tutto il sottotetto ma solo ad uno dei
locali, così da non poter portare all’annullamento
dell’intero titolo edilizio;
• in ogni caso infondata, perché l’altezza massima inferiore
a 2,10 metri deve essere calcolata tenendo conto della media
di tutti i locali costituenti il sottotetto e non di un solo
locale e per tale profilo, il limite previsto dall’art. 4
delle NTA è rispettato (commento tratto da http://studiospallino.blogspot.it
- TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 09.03.2016 n. 482 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2015 |
|
EDILIZIA PRIVATA: Oggetto:
Contributo di costruzione in relazione a interventi
comprensivi di recupero abitativo di sottotetto esistente.
Parere (Regione Lombardia, Direzione Generale
Territorio, Urbanistica e Difesa del suolo,
nota 04.06.2015 n.
5604 di prot.
- tratto da www.ordinearchitettipavia.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sottotetti con rischio di carico. Oltre al cambio
di destinazione d’uso serve il rispetto delle norme
antisismiche.
Ristrutturazioni. Valutazioni approfondite sulla staticità
con progetto firmato da un tecnico per evitare le sanzioni
penali.
Lavori a rischio nei sottotetti, per
il cumulo di norme edilizie, sul cemento armato e zone
sismiche.
Lo sottolinea, da ultimo, la Corte di Cassazione -Sez. III
penale- con la
sentenza 15.04.2015 n. 15429, che sanziona la
posa in opera di un parquet, di un radiatore, di infissi,
serramenti e servizi igienici su impianti di scarico già
esistenti. I lavori erano avvenuti nel sottotetto di un
Comune del Salernitano, in zona sismica, senza essere
preceduti né da comunicazioni, né da adeguate progettazioni.
L’errore che ha causato la condanna penale scaturisce da una
lettura semplificata del recupero dei sottotetti, con meri
cambi di destinazione, trascurando l’insidia rappresentata
dalla portata dei solai. Un sottotetto può, ad esempio,
sopportare 80 kg per mq, mentre il pavimento di una
residenza sopporta fino a 250 chili per mq. Questa rilevante
differenza dovrebbe essere tenuta presente sempre, anche
indipendentemente da divieti e sanzioni penali che scattano
quando l’edificio è in cemento armato o in zona sismica.
I sottotetti sono quindi solo in apparenza agevolmente
trasformabili e non deve indurre ad interventi affrettati la
giurisprudenza che tollera, nel sottotetto, la presenza di
mobilio (Tar Brescia, sentenza n. 40/2004, Consiglio di
Stato, 2586/2003), o quella che esige un titolo edilizio
solo qualora vi si realizzino luci, vedute, gas, acqua,
telefono ed impianti fognari (Consiglio di Stato, sentenza
1071/1995).
Inoltre, per usare un sottotetto non basta invocare lo “sblocca
Italia” (Dl 133/2013, convertito nella legge 164/2014),
che consente sempre i cambi di destinazione all’interno di
una stessa categoria funzionale. Non ha infatti rilievo la
circostanza che il sottotetto, in un edificio di abitazione,
appartenga ad un’omogenea categoria di «residenze»
(Consiglio di Stato, sentenza 357/2015).
L’esigenza di recupero dei sottotetti ha indotto molte
Regioni a legiferare ma nemmeno le leggi regionali liberano
dalle verifiche statiche, indispensabili, quando vi è
cemento armato o sismicità. Le prime incomprensioni che
sorgono in materia riguardano la terminologia, poiché le
norme tecniche usano il termine «riparazioni»
(articoli 17-19 legge 64/1974 sul cemento armato), mentre le
norme urbanistiche sembrano di più facile applicazione,
parlando di «manutenzioni» e di «ristrutturazioni».
Ma quando si è in zona sismica o si utilizza il cemento
armato, prevalgono le norme tecniche. Tra queste vi è il Dm
infrastrutture 14.01.2008, che distingue tra interventi
strutturali o non strutturali e secondo cui ogni modifica di
destinazione d’uso da sottotetto a vano abitabile, va
classificata come ristrutturazione edilizia quando variano
in modo significativo carichi e classe d’uso dell’immobile.
Anche le Regioni hanno voce in capitolo, poiché spetta loro
individuare le “parti strutturali” di edifici su cui
si può intervenire solo rispettando le norme sismiche e sul
cemento armato. Intervento strutturale può essere, ad
esempio, l’apertura di un passaggio da un piano residenziale
al sottotetto è soggetta ad asseverazioni ed elaborati
grafici , in aggiunta al necessario titolo edilizio (Tar
Catanzaro, sentenza 125/2006).
In caso di errori o omissioni, i controlli sono affidati ai
Comuni, ad esempio utilizzando l’articolo 32 del Dpr
380/2001 (Tu edilizia), che qualifica come variante
essenziale il mero cambio di destinazione in contrasto con
la normativa sul cemento armato e sulle zone sismiche,
imponendo il permesso di costruire. Se manca il permesso di
costruire, vi sono sanzioni ripristinatorie (demolizione)
oltre che penali. La violazione di norme penali sul cemento
armato o le zone sismiche è considerata un reato permanente,
che cessa solo con il rispetto delle procedure e delle
valutazioni che escludano rischi.
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In bilico anche i vecchi recuperi.
Il passato. Quando si è intervenuti con modifiche
strutturali.
Anche il recupero
dei sottotetti senza cemento armato o in epoche precedenti
il vincolo sismico, può comunque riservare sorprese. In
questi casi la modifica dell’uso dei sottotetti sembra possa
rimanere nell’ambito delle opere di manutenzione o
addirittura dei cambi di destinazione senza opere, ma vi è
il diritto degli acquirenti e inquilini di ottenere
controlli sulla qualità dell’immobile che intendono
acquistare o abitare. Basta infatti una libreria, un
tramezzo fuori posto o una vasca idromassaggio per generare
forti rischi ed incidere sull’utilizzabilità del bene.
Stesso controllo possono chiedere i condomini, per i
potenziali danni a strutture comuni. Utilizzando il
parametro delle «riparazioni» che incidono sui
carichi, si può infatti sostenere, anche senza che sia
utilizzato il cemento armato ed anche per modifiche
anteriori la sismicità, l’esistenza di rischi. Di qui
l’importanza della
sentenza 15.04.2015 n. 15429
della Corte di Cassazione, che colloca l’esecuzione di
elementi di apparente mera manutenzione quali un parquet, un
radiatore, infissi e serramenti, tra le «riparazioni»
(articoli 17-19 legge 64 del 1974) al di fuori della
manutenzione ordinaria.
Gli elementi da tener presenti per rendersi conto della
necessità di approfondimenti possono essere vari: il mancato
o tardivo allineamento catastale (Dl 78/2010), l’esistenza
di una mera comunicazione di inizio attività o di una Scia
per modifiche interne, l’assenza di un progetto di un
ingegnere o di un architetto. In questi casi, anche
modifiche poco significative sulle strutture orizzontali
(quali la realizzazione di due finestre, Cassazione,
sentenza 6460/2010), devono generare una valutazione sulla
sicurezza.
Il parametro di maggior cautela è quello della distinzione
tra opere strutturali o non strutturali (Dm Infrastrutture
14.01.2008). Tale norma colloca ogni modifica di
destinazione d’uso da sottotetto a vano abitabile, tra le
ristrutturazioni edilizie (e non tra le manutenzioni
ordinarie), tutte le volte che vi sia una variazione
significativa dei carichi variabili o della classe d’uso
della costruzione.
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Sul territorio oneri urbanistici a costi
variabili. Gli altri fattori. Incentivi o penalizzazioni
locali.
Il recupero del
sottotetto è, di norma, catalogato nella categoria delle
ristrutturazioni edilizie. Il cittadino che decide di
mettere mano alla propria casa, dando nuova vita alla
mansarda inutilizzata, dovrà dunque far fronte a due tipi di
oneri: quelli di urbanizzazione primaria e secondaria (che
coprono una quota dei servizi comunali, dalle reti alle
tubature, dalla presenza di scuole e biblioteche) oltre al
costo vero e proprio di costruzione.
Non mancano, tuttavia, le eccezioni. In senso restrittivo
(più tasse per chi recupera) o di segno contrario (per
incentivare il minor consumo di suolo).
Va nella prima direzione la scelta di Lazio e Lombardia. Su
questi territori la norma regionale permette ai Comuni di
decidere se deliberare o meno un incremento del costo
urbanistico, fino a un massimo del 20 per cento. Ancora più
stringente la posizione della Sicilia: qui, oltre al
contributo di costruzione, è dovuta una somma pari al 20%
del valore catastale incrementato a seguito dell'aumento di
superficie. In Abruzzo, ancora, la legge prevede il
raddoppio dei soli oneri di urbanizzazione primaria e
secondaria.
Scelta di segno opposto quella di alcune regioni del
Nordovest, che invece incentivano il recupero anche sotto il
profilo economico con l’obiettivo di limitare la nuova
edificazione. In Piemonte il contributo può, infatti, essere
ridotto della metà se, nel recupero del sottotetto, non è
prevista la realizzazione di un’unità immobiliare autonoma
ed è trascritta una dichiarazione notarile di pertinenza dei
locali all’abitazione principale.
Stessa norma in Liguria, applicata anche nel caso in cui
venga recuperato un alloggio a destinazione popolare o
turistica.
Per ciò che riguarda, invece, l’osservanza della norma
nazionale che, in presenza di una nuova costruzione,
prescrive uno standard di destinazione di spazi a parcheggi
in misura pari a 1 mq. per ogni 10 mc. di costruzione,
questa regola è riportata tout court solo dalla legge
dell’Emilia Romagna, che precisa anche la possibilità per i
Comuni di monetizzare la mancata disponibilità degli spazi.
Buona parte delle altre regioni (Abruzzo, Lazio, Liguria,
Lombardia, Molise, Piemonte e Puglia) prevede che gli spazi
siano reperiti o monetizzati solo se viene realizzata nel
sottotetto un’unità immobiliare autonoma.
La Liguria, a tal proposito, precisa anche, nella nuova
legge, che la superficie dello spazio destinato alle auto
non deve essere inferiore a 12,50 metri quadrati e su tale
parametro deve essere calcolata anche l’eventuale
corresponsione della quota parcheggi non disponibile con il
versamento di soldi alla Città. Infine, in Veneto il
rispetto dello standard è richiesto solo se il consiglio
comunale lo pretende con delibera mentre in Basilicata e
Calabria soltanto se la mansarda resa abitabile supera
rispettivamente il 15% o il 25% del volume dell’intero
edificio.
---------------
Riutilizzo facilitato per altezze e
vedute in diciotto Regioni. Le deroghe. Norme più
permissive.
I restyling più recenti delle leggi regionali sul recupero
dei sottotetti sono quelli della Liguria e delle Marche. La
prima Regione, con la legge 30/2014, ha riscritto buona
parte della precedente disciplina, in vigore da oltre 13
anni (Lr 24/2001), ma ridotta alla semi-paralisi dalla
mancanza di una direzione chiara (ora introdotta) che
superasse la troppa giurisprudenza prodotta, specie nel
savonese, sulle modalità di rilascio dei permessi. Le Marche
hanno invece affidato alla legge sulla semplificazione
edilizia (la n. 17/2015), il compito di rinnovare i
contenuti di una disciplina ferma al 2010, aggiornando il
parco edifici su cui si può intervenire dando nuova vita
alle mansarde (tutti quelli esistenti al 30.06.2014) e
ritoccando altezze minime e rapporti di aero/illuminazione.
Al di là delle modifiche più recenti, dal Sud al Nord
Italia, quasi ovunque, le Regioni hanno in vigore regole per
il recupero, a fini abitativi (e non solo), dei sottotetti
in fabbricati esistenti.
La prima Giunta a muoversi in tal senso, in Italia, è stata
la Lombardia. Poi, a poco a poco, si sono aggiunti altri
casi: oggi i territori che hanno leggi specifiche sono 18. A
questi si aggiungono la Valle d’Aosta (con norme nella legge
urbanistica) e la Provincia di Bolzano (con una delibera)
con cui si dettano regole per agevolare l’abitabilità delle
soffitte (si veda la tabella). Inoltre, pur mancando una
normativa strutturata, qualche eccezione ai limiti
urbanistici relativi alle altezze per consentire il recupero
delle mansarde è presente anche in Provincia di Trento (Dpgp
2330/2003, Dgr 28/2003 e la legge 23/1981 sui servizi
alberghieri).
La maggior parte delle leggi regionali approvate riguarda
sottotetti in edifici realizzati a una certa data prefissata
(che è stata aggiornata nel tempo, con modifiche alla legge
madre). Diversi gli elementi in comune. Primo fra tutti, la
decisione di ammorbidire i rigidi requisiti di abitabilità
prescritti dalle norme statali (legge 457/1978 e Dm Sanità
05.07.1975), che fissano l’altezza media necessaria per il
recupero a 2,7 metri e il rapporto tra le finestre e il
pavimento delle stanze a 1/8.
In genere, nelle discipline locali, ci si accontenta di
un’altezza media di 2,4 metri, ma non manca chi ne richiede
solo 2,2 metri (come la Calabria, la Campania o il Molise) o
addirittura 2 metri (il Lazio) e 1,9 metri (il Friuli). Così
il rapporto di aero-illuminazione scende a 1/10 (Molise), a
1/12 (Marche), a 1/15 (a Bolzano e in Calabria), a 1/16 (in
Emilia Romagna e Liguria, ma non solo), addirittura a 1/32
nei centri storici della Vallée.
Rispetto alle misure minime, sono in genere agevolati i
comuni delle zone montane: anche se il concetto di “montano”
varia da regione a regione, da un minimo di 300 metri fino a
1.100 metri. Fanno eccezione a questa regola la Basilicata,
la provincia di Bolzano, la Sicilia, l’Umbria e (dopo
l’ultima revisione) anche la Liguria.
Altro tratto simile è che il recupero del sottotetto deve
avvenire a fini abitativi. In Liguria, però, è ammesso anche
l’uso a fini turistici-ricettivi mentre in Umbria si amplia
al terziario e al direzionale e in Valle d’Aosta sono
agevolate tutte le destinazioni. Per consentire il riuso del
solaio non è infrequente anche la concessione di deroghe
alle norme previste per le nuove costruzioni e
l’abbattimento delle barriere architettoniche.
Se viene, infine, concessa spesso l’apertura di finestre e
lucernari per assicurare l’osservanza dei requisiti di
aero-illuminazione, quasi ovunque è invece esclusa la
possibilità di sopraelevazione e la modifica delle pendenze
dei tetti (mentre a volte è consentito l’abbassamento dei
soffitti dei locali sottostanti per recuperare spazio,
purché si preservi un minimo di 2,7 metri di altezza).
Fanno eccezione sette territori: Lombardia, Liguria, Umbria,
Lazio, Sardegna, Friuli ed Emilia Romagna che danno diritto
al sopralzo, ma solo allo scopo di raggiungere i parametri
di altezza minima per l’abitabilità. In Valle d’Aosta questa
deroga è consentita solo nei centri storici (articolo Il Sole 24 Ore del
25.05.2015 - tratto da www.centrosctudicni.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Qualsiasi
intervento edilizio in zona sismica, comportante o meno
l'esecuzione di opere in conglomerato cementizio amato,
diverso dalla semplice manutenzione ordinaria, deve essere
previamente denunciato al competente ufficio al fine di
consentire i preventivi controlli e necessita del rilascio
del preventivo titolo abilitativo, conseguendone, in
difetto, la violazione dell'art. 95 del d.P.R. 06.06.2001,
n. 380.
Invero, la normativa antisismica non distingue tra opere
interne ed opere esterne, ma prescrive il controllo di
qualsiasi costruzione, riparazione o sopraelevazione. La
giurisprudenza di questa corte nel concetto di costruzione,
sotto il vigore della disciplina previgente, faceva
rientrare qualsiasi opera a prescindere dal titolo
abilitativo richiesto (concessione o autorizzazione) e dalle
sue caratteristiche o dimensioni e ciò al fine di consentire
il controllo preventivo e documentale dell'attività edile
eseguita in zone sismiche.
La vigilanza sull'attività edilizia nei comuni considerati
sismici si affianca a quella ordinaria basata sul rilascio
di un titolo abilitativo conforme alle prescrizioni
urbanistiche ed edilizie. Nelle zone sismiche l'attività
edilizia è quindi soggetta ad un duplice controllo: a
quello operato dall'ufficio tecnico regionale, riguardante
la sicurezza delle costruzioni rispetto ai fenomeni sismici,
ed a quello dell'autorità comunale, attinente all'osservanza
degli strumenti urbanistici e dei regolamenti edilizi.
Quindi, sia in base alla disciplina attuale, che a quella
previgente, qualsiasi intervento edilizio, fatta eccezione
per quelli di semplice manutenzione ordinaria, se eseguito
in zona sismica deve essere preventivamente denunciato
all'ufficio tecnico ai fine di consentire i dovuti controlli
in merito al rispetto della disciplina vigente in materia di
costruzione in zone sismiche.
---------------
La modifica della destinazione d'uso del locale sottotetto
in un vano abitabile non può essere considerata alla stregua
di un intervento di manutenzione ordinaria perché si tratta
di un intervento di ristrutturazione edilizia, in questo
caso con opere (messa in opera di parquet, apposizione di un
radiatore, installazione di infissi e serramenti,
apposizione di servizi igienici in costanza di impianti di
scarico ancorché già esistenti).
Va peraltro aggiunto che il D.M. Ministero delle
Infrastrutture del 14/01/2008 - Approvazione delle nuove
norme tecniche per le costruzioni in cemento armato ed in
zone sismiche, disciplina espressamente (capitolo 8) gli
interventi non dichiaratamente strutturali effettuati su
edifici esistenti, prescrivendo (paragrafo 8.3) che «le
costruzioni esistenti devono essere sottoposte a valutazione
della sicurezza quando ricorra anche una delle seguenti
situazioni: (...) cambio della destinazione d'uso della
costruzione o di parti di essa, con variazione significativa
dei carichi variabili e/o della classe d'uso della
costruzione».
Sottotetti ed ambienti residenziali hanno carichi variabili
diversi (capitolo 3, paragrafo 3.1.4); ne consegue che la
trasformazione del vano sottotetto non abitabile in ambiente
residenziale comporta sempre la necessaria valutazione di
sicurezza, con conseguente divieto di iniziare i lavori
senza l'autorizzazione scritta del competente ufficio
tecnico della regione.
3. Qualsiasi intervento edilizio in zona sismica,
comportante o meno l'esecuzione di opere in conglomerato
cementizio amato, diverso dalla semplice manutenzione
ordinaria, deve essere previamente denunciato al competente
ufficio al fine di consentire i preventivi controlli e
necessita del rilascio del preventivo titolo abilitativo,
conseguendone, in difetto, la violazione dell'art. 95 del
d.P.R. 06.06.2001, n. 380 (Sez. 3, 34604 del 17/06/2010;
cfr., altresì, Sez. 3, n. 45958 del 26/10/2005, che ha
condivisiblmente affermato che <<la normativa antisismica
non distingue tra opere interne ed opere esterne, ma
prescrive il controllo di qualsiasi costruzione, riparazione
o sopraelevazione. La giurisprudenza di questa corte nel
concetto di costruzione, sotto il vigore della disciplina
previgente, faceva rientrare qualsiasi opera a prescindere
dal titolo abilitativo richiesto (concessione o
autorizzazione) e dalle sue caratteristiche o dimensioni e
ciò al fine di consentire il controllo preventivo e
documentale dell'attività edile eseguita in zone sismiche
(Cass. n. 10640 del 1985; 21.07.1992 n. 8140; Cass. Sez. 3,
n. 7353 del 1995; 02.06.1999 n. 6923). La vigilanza
sull'attività edilizia nei comuni considerati sismici si
affianca a quella ordinaria basata sul rilascio di un titolo
abilitativo conforme alle prescrizioni urbanistiche ed
edilizie. Nelle zone sismiche l'attività edilizia è quindi
soggetta ad un duplice controllo: a quello operato
dall'ufficio tecnico regionale, riguardante la sicurezza
delle costruzioni rispetto ai fenomeni sismici, ed a quello
dell'autorità comunale, attinente all'osservanza degli
strumenti urbanistici e dei regolamenti edilizi. Quindi, sia
in base alla disciplina attuale, che a quella previgente,
qualsiasi intervento edilizio, fatta eccezione per quelli di
semplice manutenzione ordinaria, se eseguito in zona sismica
deve essere preventivamente denunciato all'ufficio tecnico
ai fine di consentire i dovuti controlli in merito al
rispetto della disciplina vigente in materia di costruzione
in zone sismiche>>).
La modifica della destinazione d'uso del locale sottotetto
in un vano abitabile non può essere considerata alla stregua
di un intervento di manutenzione ordinaria perché si tratta
di un intervento di ristrutturazione edilizia, in questo
caso con opere (messa in opera di parquet, apposizione di un
radiatore, installazione di infissi e serramenti,
apposizione di servizi igienici in costanza di impianti di
scarico ancorché già esistenti).
Va peraltro aggiunto che il D.M. Ministero delle
Infrastrutture del 14/01/2008 - Approvazione delle nuove
norme tecniche per le costruzioni in cemento armato ed in
zone sismiche (Pubblicato nella Gazz. Uff. 04.02.2008, n.
29, S.O.), disciplina espressamente (capitolo 8) gli
interventi non dichiaratamente strutturali effettuati su
edifici esistenti, prescrivendo (paragrafo 8.3) che «le
costruzioni esistenti devono essere sottoposte a valutazione
della sicurezza quando ricorra anche una delle seguenti
situazioni: (...) cambio della destinazione d'uso della
costruzione o di parti di essa, con variazione significativa
dei carichi variabili e/o della classe d'uso della
costruzione».
Sottotetti ed ambienti residenziali hanno carichi variabili
diversi (capitolo 3, paragrafo 3.1.4); ne consegue che la
trasformazione del vano sottotetto non abitabile in ambiente
residenziale comporta sempre la necessaria valutazione di
sicurezza, con conseguente divieto di iniziare i lavori
senza l'autorizzazione scritta del competente ufficio
tecnico della regione (Corte
di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 15.04.2015 n. 15429). |
anno 2014 |
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EDILIZIA PRIVATA: La
normativa sulla ristrutturazione dei sottotetti, se prevede
la possibilità di deroghe allo strumento urbanistico, non
consente, invece, deroga alla normativa sulle distanze, in
quanto la norma sulla distanza minima di dieci metri di cui
all'art. 9, d.m. n. 1444 del 1968 infatti è norma che limita
la potestà legislativa regionale e sostituisce ope legis
limiti inferiori contenuti negli strumenti urbanistici.
---------------
Se per un verso
si è chiarito che il recupero dei sottotetti ex l.r. 24 del
2001 -formula di sintesi che designa genericamente
l’utilizzazione a fini abitativi di spazi tecnici accessori
in preesistenti fabbricati- è suscettibile di essere
realizzato mediante diverse modalità progettuali ed
esecutive, tutte riconducibili –entro gli estremi del
risanamento conservativo fino alla costruzione di una (vera
e propria) nuova costruzione– ai tipi d’intervento edilizi
definiti (cfr. art. 10) nel testo unico dell’edilizia, per
un altro e connesso verso si è altresì ribadito che, qualora
il progettato intervento di recupero del sottotetto dia
luogo ad un nuovo volume sarà applicabile la disciplina
edilizia prevista per le nuove costruzioni, sì da osservare
(per esempio, come più volte affermato in giurisprudenza) la
norma sulla distanza minima di cui all’art. 9 d.m. 1444 del
1968 fra edifici fronteggianti.
- atteso che la presente controversia ha
ad oggetto il provvedimento di cui in epigrafe, recante
diniego di permesso di costruire per un recupero di
sottotetto a fini abitativi, basato sulla qualificazione
dell’intervento quale nuova costruzione che non rispetta i
limiti di distanza minima da pareti finestrate;
- considerato che le censure, dedotte in termini di
violazione della normativa in materia, del difetto di
motivazione anche rispetto alle osservazioni procedimentali,
non colgono nel segno, in termini di manifesta infondatezza
tali da imporre l’applicazione dell’art. 74 cod. proc. amm.;
- atteso che in primo luogo assume rilievo il contenuto
degli atti procedimentali nonché in specie la congrua e
completa motivazione posta a fondamento del diniego;
- considerato che, inoltre, tale ordito motivazionale si
pone in totale adesione alla prevalente –e condivisa dal
Collegio– opinione giurisprudenziale a mente della quale la
normativa sulla ristrutturazione dei sottotetti, se prevede
la possibilità di deroghe allo strumento urbanistico, non
consente, invece, deroga alla normativa sulle distanze, in
quanto la norma sulla distanza minima di dieci metri di cui
all'art. 9, d.m. n. 1444 del 1968 infatti è norma che limita
la potestà legislativa regionale e sostituisce ope legis
limiti inferiori contenuti negli strumenti urbanistici (cfr.
ex multis Tar Liguria n. 256/2013);
- atteso che, in contrario avviso, non possono assumere
rilievo né, anche a fronte dell’epoca di adozione degli atti
nonché la mancanza di normativa attuativa, l’invocata
modifica normativa di cui al d.l. 69/2013, né l’invocato
recente orientamento della sezione (sentenze 1005/2014 e
1406/2013);
- considerato che, a quest’ultimo proposito, se per un verso
si è chiarito che il recupero dei sottotetti ex l.r. 24 del
2001 -formula di sintesi che designa genericamente
l’utilizzazione a fini abitativi di spazi tecnici accessori
in preesistenti fabbricati- è suscettibile di essere
realizzato mediante diverse modalità progettuali ed
esecutive, tutte riconducibili –entro gli estremi del
risanamento conservativo fino alla costruzione di una (vera
e propria) nuova costruzione– ai tipi d’intervento edilizi
definiti (cfr. art. 10) nel testo unico dell’edilizia, per
un altro e connesso verso si è altresì ribadito che, qualora
il progettato intervento di recupero del sottotetto dia
luogo ad un nuovo volume sarà applicabile la disciplina
edilizia prevista per le nuove costruzioni, sì da osservare
(per esempio, come più volte affermato in giurisprudenza) la
norma sulla distanza minima di cui all’art. 9 d.m. 1444 del
1968 fra edifici fronteggianti (cfr., Tar Liguria, sez. I,
1406/2013 e 1005/2014; ancor prima, ID, n. 1621 del 2009);
- rilevato che, pertanto, contrariamente alla prospettazione
da ultimo proposta, resta pienamente efficace il necessario
rispetto della normativa sulle distanze, correttamente
applicata dal Comune all’epoca del procedimento in esame;
- atteso che nel caso de quo la consistenza dell’opera, come
emerge dall’analisi degli atti di causa, non può che seguire
la qualificazione del nuovo volume e della nuova
costruzione, in specie nella parte che prevede un
innalzamento della quota di gronda di metri 1.30 e del colmo
del tetto pari a metri 1.70
(TAR Liguria, Sez. I,
sentenza 21.07.2014 n. 1141 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Indice rivelatore dell'intenzione di rendere
abitabile in via permanente un locale sottotetto.
Sulla base della giurisprudenza, può ritenersi che possa
costituire indice rivelatore dell'intenzione di rendere
abitabile in via permanente un locale sottotetto il fatto
che questo sia suddiviso in vani distinti e comunicanti con
il piano sottostante mediante una scala interna o che il
piano di copertura, impropriamente definito sottotetto,
costituisca in realtà una mansarda in quanto dotato di
rilevante altezza media rispetto al piano di gronda.
Né a
conclusione contraria può indurre la circostanza che, alcune
delle finestre poste in detto locale siano state tamponate
in modo da contenere il rapporto di aero-illuminazione al di
sotto dei parametri previsti dal regolamento edilizio per i
locali abitabili; e ciò in quanto la tamponatura delle
finestre è un’operazione in sé talmente semplice,
reversibile e surrettizia da non privare l’ambiente della
sua intrinseca qualità abitativa; e quindi non può
considerarsi volume tecnico un locale con requisiti di
abitabilità, reso non abitabile con una semplice operazione
di tamponamento delle finestre.
Nella specie, la rilevanza dell’abitabilità potenziale in
via permanente del sottotetto riguarda la possibilità di
computarlo nel misurare il rispetto del limite di altezza
previsto dalla normativa urbanistica per un intervento di
ricostruzione di fabbricato residenziale successivo alla
demolizione.
La giurisprudenza in materia si è affidata al richiamo di
indici rivelatori e alla rilevanza di tutte le circostanze
fattuali.
L’appellante invoca il regolamento edilizio laddove prevede
che non debbano essere computati nella superficie gli spazi
che pur comportando l’insediamento di abitanti e in cui è
ammessa la realizzazione di servizi igienici, presentino
determinate caratteristiche, per esempio di altezza media
non superiore a metri 2 e 40.
La Sezione è consapevole della circostanza che la normativa
urbanistica vigente nel Comune di Milano, nel prevedere una
tripartizione tipologica tra abitazione, sottotetti
abitabili in via non permanente, e volumi tecnici non
abitabili introduce elementi valutativi in ordine alla
seconda tipologia di natura finalistica e quindi non certi.
E tale previsione andrebbe opportunamente rivalutata dal
Comune di Milano quanto meno per meglio chiarire gli
elementi fisici e strutturali che possano determinare in
maniera certa tale distinzione.
Nella situazione normativa vigente, peraltro, il Giudice,
allo scopo di verificare se il sottotetto abbia
caratteristiche inidonee a essere abitato in via permanente
e ne possa essere quindi esclusa la rilevanza ai fini
dell’altezza massima dell’edificio, è tenuto a condurre
un’analisi rapportata alla situazione di fatto, in modo da
evitare che la costruzione, per caratteristiche oggettive,
si risolva in una sostanziale elusione della sopra
richiamata disciplina urbanistica attualmente vigente nel
Comune di Milano.
A tal fine, può essere utilmente richiamata la
giurisprudenza di questo Consiglio di Stato che, anche
quando formatasi con riferimento alla diversa fattispecie
della distinzione tra locali abitabili e volumi tecnici
(diversa da quella ricorrente nel caso in esame), consente
di trarre indici rivelatori (anche) dell’abitabilità in via
permanente dei locali sottotetti.
In altri termini, al fine di stabilire se un locale abbia o
meno i requisiti dell’abitabilità, è necessario effettuare
una valutazione complessiva delle sue caratteristiche atta a
verificare se il locale in questione possa o meno essere
considerato ambiente idoneo allo svolgimento della vita
domestica; quando per le sue caratteristiche complessive il
locale si appalesa idoneo ad assolvere a tale funzione, si
deve giungere alla conclusione che esso sostenga carico
urbanistico.
Sulla base della giurisprudenza, può ritenersi che possa
costituire indice rivelatore dell'intenzione di rendere
abitabile in via permanente un locale sottotetto il fatto
che questo sia suddiviso in vani distinti e comunicanti con
il piano sottostante mediante una scala interna o che il
piano di copertura, impropriamente definito sottotetto,
costituisca in realtà una mansarda in quanto dotato di
rilevante altezza media rispetto al piano di gronda (cfr.
esemplificativamente, Consiglio di Stato, sez. IV,
07.02.2011 n. 812).
Né a conclusione contraria può indurre la circostanza che
(ricorrente nella specie), alcune delle finestre poste in
detto locale siano state tamponate in modo da contenere il
rapporto di aero-illuminazione al di sotto dei parametri
previsti dal regolamento edilizio per i locali abitabili; e
ciò in quanto la tamponatura delle finestre è un’operazione
in sé talmente semplice, reversibile e surrettizia da non
privare l’ambiente della sua intrinseca qualità abitativa; e
quindi non può considerarsi volume tecnico un locale con
requisiti di abitabilità, reso non abitabile con una
semplice operazione di tamponamento delle finestre (così,
Cons. St., sez. IV, 07.02.2011 n. 812).
In altre parole, quando una costruzione abbia già raggiunto
o sia poco al di sotto dell’altezza massima consentita a un
edificio, non è consentita una qualificazione negativa (nel
senso che non si computa a fini di altezza) del sottotetto,
che, per le caratteristiche di sostanziale identità con
quelle delle abitazioni sottostanti, si traduca in un
sostanziale innalzamento dell’edificio assentito in elusione
della stessa normativa invocata sull’utilizzazione dei
sottotetti per finalità abitative non stabili.
Infatti la ratio della norma che vieta il superamento
dei limiti di altezza previsti dagli strumenti urbanistici è
senza dubbio quella di evitare che attraverso il recupero
abitativo dei sottotetti esistenti vengano nei fatti eluse o
violate le prescrizioni urbanistiche vincolanti in tema di
altezza massima di edifici.
In presenza di univoci elementi che denotano l’intenzione di
rendere abitabile il locale, perde di rilevanza il fatto che
siano stati adottati accorgimenti surrettizi (quali la
tamponatura di alcune finestre) finalizzati a rendere i
rapporti di aero-illuminazione inferiori rispetto ai
parametri previsti dalla normativa edilizia vigente. Allo
stesso modo, con riferimento alle altezze, quando un
ambiente possiede nel suo complesso caratteristiche
oggettive, tali da renderlo idoneo ad ospitare stabilmente
la vita domestica, al fine di escludere la volontà del
privato di destinarlo a funzione abitativa, non si può
addurre la circostanza che la sua altezza sia di poco
inferiore rispetto a quella prescritta dal regolamento
edilizio per i vani abitabili. Anche in questo caso, come
nel precedente, si deve ritenere che tale caratteristica,
lungi dal dimostrare un differente intento del costruttore,
costituisca elemento ulteriormente ostativo all’assentibilità
dell’intervento.
Nella specie, la considerazione del sottotetto quale
elemento abitabile in via permanente rileva ai fini del
complessivo computo delle altezze e del rispetto di quanto
prevede la normativa urbanistica (limite di metri 13 e 50 ai
fini della ricostruzione del fabbricato).
Nella fattispecie esaminata non è contestato, ed anzi è
ammesso, che il locale sottotetto di cui alla DIA oggetto
del provvedimento impugnato, oltre ad essere suddiviso in
diversi vani collegati ai locali sottostanti da scala
interna, possieda altre numerose caratteristiche che dal
punto di vista fattuale ne testimoniano la funzione
abitativa.
Si rileva come esso: a) sia dotato di impianto di
riscaldamento ed impianto elettrico; b) sia dotato di
servizio igienico avente dimensioni ben maggiori rispetto a
quelle minime previste dal regolamento edilizio; c) sia
destinato ad essere intonacato e rifinito a “civile
abitazione”.
L’intervento edilizio di nuova edificazione raggiunge
l’altezza di metri 13 e 30 già in corrispondenza del
sottostante piano abitabile; lo spazio sottotetto, al di
sopra, presenta caratteristiche di abitabilità e anche un
ingombro fisico esterno identico a quello del piano
sottostante, di cui costituisce replica sia in pianta che in
totalità di facciata; il piano sottotetto, quindi, si trova
ad occupare uno spazio aereo per la quasi totalità al di
sopra del limite imposto dagli strumenti urbanistici
comunali; come riferisce il Comune, il regolamento edilizio
comunale prevede (art. 10 comma 2.7) che sono escluse dal
computo (soltanto) le superfici dei piani sottotetto che non
hanno i requisiti di abitabilità, pari o inferiori alla
superficie dell’ultimo piano.
Come emerge dalle planimetrie allegate, richiamate dalla
difesa comunale, sussiste una sostanziale coincidenza di
dimensione delle rispettive unità immobiliari poste al piano
sottotetto e al piano sottostante; le unità immobiliari sono
dotate di un identico numero di bagni regolamentari e dello
stesso numero di finestre, con l’unica eccezione di due
aperture lungo la parete perimetrale posta a nord.
Tali elementi, sulla base dei principi giurisprudenziali
richiamati, sono idonei a suffragare la convinzione che la
reale intenzione del ricorrente sia quella di destinare tali
locali, alla funzione abitativa già virtualmente impressa.
La circostanza addotta dall’appello che il regolamento
edilizio ammetta che anche i locali privi dei requisiti
dell’abitabilità possano presentare le caratteristiche
suindicate (e quindi possano essere dotati di impianto di
riscaldamento ed elettrico, di bagno, e possano essere
intonacati) non può portare, nel contesto dianzi delineato,
a diversa conclusione.
Né, per la stessa ragione, vale il richiamo alla legge
regionale (n. 12 del 2005) -che consente e anzi favorisce il
recupero abitativo dei sottotetti, contemplando quindi una
categoria di sottotetti non ancora divenuti abitabili ma che
sono appunto destinati a diventarlo- a sostenere che in
teoria sono ammissibili sottotetti non abitabili, in quanto,
come visto, la abitabilità deve essere valutata in concreto.
Infatti, essendo complessiva la valutazione che deve essere
effettuata dal Comune, non è escluso che locali
oggettivamente inidonei ad assolvere alla funzione abitativa
(ad esempio perché particolarmente bassi o poco illuminati)
possiedano una o più delle suindicate caratteristiche, ma se
la combinazione di queste comprova inequivocabilmente la
volontà di imprimere ai locali tale funzione, non è
possibile invocare le suddette prescrizioni del regolamento
edilizio per giungere a conclusioni contrarie.
In definitiva, deve ritenersi che la valutazione compiuta
dal Comune di Milano, secondo il quale il locale sottotetto
oggetto del provvedimento impugnato possiede i requisiti
dell’abitabilità in via stabile, sia nella sostanza
condivisibile e che correttamente tale locale sia stato
computato ai fini del calcolo dell’altezza complessiva
dell’edificio (massima tratta da www.lexambiente.it -
Consiglio di Stato Sez. VI,
sentenza 30.05.2014 n. 2825 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Quanto alle concrete modalità di determinazione
del costo di costruzione in caso di recupero abitativo dei
sottotetti (ai sensi dell’art. 64, comma 7°, della citata
legge regionale 12/2005), il Collegio condivide quanto
affermato dal Consiglio di Stato nelle due pronunce n. 6160
e 6161 del 20.12.2013 in forza delle quali:
- continua a trovare applicazione, nella Regione Lombardia,
il decreto del Ministro per i lavori pubblici del 10.05.1977
(cfr. il doc. 13 del resistente), adottato in attuazione
dell’art. 6 della legge 10/1977, per il quale il costo si
calcola sulla base della superficie complessiva (Sc), pari
alla somma della superficie utile (Su) e del 60% della
superficie non residenziale per servizi e accessori (Snr),
con gli incrementi previsti dal decreto in relazione alle
classi di edifici;
- per i sottotetti, non devono prendersi in considerazione
le scale nell’ambito della Snr utile.
Quanto alle concrete modalità di determinazione del costo
suddetto in caso di recupero abitativo dei sottotetti (ai
sensi dell’art. 64, comma 7°, della citata legge regionale
12/2005), il Collegio condivide quanto affermato dal
Consiglio di Stato nelle due pronunce n. 6160 e 6161 del
20.12.2013 sopra menzionate, in forza delle quali:
- continua a trovare applicazione, nella Regione Lombardia,
il decreto del Ministro per i lavori pubblici del 10.05.1977
(cfr. il doc. 13 del resistente), adottato in attuazione
dell’art. 6 della legge 10/1977, per il quale il costo si
calcola sulla base della superficie complessiva (Sc), pari
alla somma della superficie utile (Su) e del 60% della
superficie non residenziale per servizi e accessori (Snr),
con gli incrementi previsti dal decreto in relazione alle
classi di edifici;
- per i sottotetti, non devono prendersi in considerazione
le scale nell’ambito della Snr utile (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 13.05.2014 n. 1248 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Anche in caso di
interventi di recupero del sottotetto ad uso abitativo deve
essere rispettata la normativa statale in tema di distanze
tra edifici, dato che, come ha rilevato la sentenza della
Corte Costituzionale n. 173 del 2011, la deroga prevista
dalla norma regionale richiamata ai limiti e alle
prescrizioni degli strumenti di pianificazione comunale “non
può ritenersi estesa anche alla disciplina civilistica in
materia di distanze, né può operare nei casi in cui lo
strumento urbanistico riproduce disposizioni normative di
rango superiore, a carattere inderogabile, quali sono quelle
dell'art. 41-quinques della legge 17.08.1942, n. 1150,
introdotto dall'art. 17 della legge 06.08.1967, n. 765, e
dell'art. 9 del d.m. n. 1444 del 1968, nella parte in cui
regolano le distanze tra fabbricati”.
Sostiene ancora il ricorrente che
l’intervento non sarebbe da qualificare come nuova
costruzione, contrariamente a quanto ha ritenuto
l’Amministrazione: perciò, l’art. 9 del d.m. n. 1444 del
1968 non sarebbe applicabile.
La censura non è condivisibile: il provvedimento oggetto del
giudizio ha evidenziato gli indici
che hanno determinato la definizione dell’intervento,
consistenti, in particolare, nella correzione dell’area di
sedime, nella traslazione di pareti, nella modifica del
perimetro e della sagoma. Rispetto a tali elementi
l’appellante si limita ad eccepire che l’art. 64, comma 2,
della legge regionale n. 2 del 2005 qualifica il recupero ai
fini abitativi del sottotetto come ristrutturazione
edilizia, ma tale argomentazione è palesemente inefficace a
scalfire la legittimità del provvedimento impugnato, dato
che l’intervento edilizio in esame consiste (non nel mero
recupero del sottotetto, ma) nella parziale demolizione e
ricostruzione dell’edificio originario.
Inoltre, ed è
considerazione conclusiva, anche in caso di interventi di
recupero del sottotetto ad uso abitativo deve essere
rispettata la normativa statale in tema di distanze tra
edifici, dato che, come ha rilevato la sentenza della Corte
Costituzionale n. 173 del 2011, la deroga prevista dalla
norma regionale richiamata ai limiti e alle prescrizioni
degli strumenti di pianificazione comunale “non può
ritenersi estesa anche alla disciplina civilistica in
materia di distanze, né può operare nei casi in cui lo
strumento urbanistico riproduce disposizioni normative di
rango superiore, a carattere inderogabile, quali sono quelle
dell'art. 41-quinques della legge 17.08.1942, n. 1150,
introdotto dall'art. 17 della legge 06.08.1967, n. 765, e
dell'art. 9 del d.m. n. 1444 del 1968, nella parte in cui
regolano le distanze tra fabbricati”
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 05.03.2014 n. 1054 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2013 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Sul recupero dei sottotetti, in deroga, in Lombardia.
In linea di
principio, la quota di contributo commisurata al costo di
costruzione costituisce una prestazione di natura tributaria
e paratributaria, collegata alla produzione di ricchezza dei
singoli che è generata dallo sfruttamento del territorio.
Infatti il contributo relativo al costo di costruzione è
dovuto anche in presenza di una trasformazione edilizia che,
indipendentemente dall'esecuzione fisica di opere, si rivela
produttiva di vantaggi economici ad essa connessi,
situazione che si verifica per il mutamento di destinazione
o comunque per ogni variazione anche di semplice uso che
comporti un passaggio tra due categorie funzionalmente
autonome dal punto di vista urbanistico.
---------------
Nello specifico, il settimo comma, primo periodo, dell'art.
64 della L.R. Lombardia 11.03.2005 n. 12 prevede che: “La
realizzazione degli interventi di recupero di cui al
presente capo comporta la corresponsione …. del contributo
commisurato al costo di costruzione, calcolati sulla
volumetria o sulla superficie lorda di pavimento resa
abitativa secondo le tariffe approvate e vigenti in ciascun
comune per le opere di nuova costruzione”.
In sostanza, la quantificazione degli oneri di
urbanizzazione e del contributo riferito al costo di
costruzione per il recupero dei sottotetti è agganciata da
un lato alla “superficie lorda di pavimento resa abitativa”,
e dall’altro alle “tariffe approvate e vigenti” per le opere
di nuova costruzione.
In tal senso, il TAR ha ragione quanto ha escluso la
legittimità di un conteggio che tenga conto della
“superficie complessiva”, cioè la superficie utile più
quella non residenziale di cui all’art. 2 del D.M.
10.05.1977 n. 10.
Infatti, in applicazione del principio ermeneutico generale
della prevalenza della norma speciale sulla norma generale è
esatto l’assunto per cui in materia di oneri di
urbanizzazione relativi al recupero dei sottotetti, deve
farsi esclusivo riferimento al più ristretto ambito spaziale
individuato al settimo comma dell'art. 64 della L.R..
Pertanto, in base al vecchio brocardo “ubi lex voluit
dixit”, se il legislatore regionale ha prescritto che gli
oneri di urbanizzazione ed il costo di costruzione debbono
essere computati con riferimento alla “volumetria o sulla
superficie lorda di pavimento resa abitativa”, ha
intenzionalmente inteso porre una fattispecie peculiare
derogatoria del regime generale di cui agli artt. 44 e 48
della L.R. n. 12/2005.
---------------
Al fine del calcolo del costo di costruzione per gli
interventi in questione deve dunque escludersi che possano
essere conteggiate come fattori di moltiplicazione le
superfici non destinate anche indirettamente ai fini
residenziali quali i locali di pertinenza del fabbricato ad
uso comune quali androni, deposito biciclette e carrozzine,
deposito rifiuti, corridoi e disimpegni dei solai delle
cantine ed ecc..
---------------
Il richiamo alle “tariffe vigenti” di cui all’art. 64, co.
7, della detta L.R. 12/2005 implica che per la
determinazione del costo di costruzione per le nuove
costruzioni –sia pure con riferimento alle sole superfici
lorde di pavimento rese abitative- debba farsi diretto
rinvio all’art. 48 della L.R. n. 12/2005, ed al D.M.
10.05.1977.
In altre parole, l'interpretazione della preposizione
"calcolati sulla volumetria o sulla superficie lorda di
pavimento resa abitativa secondo le tariffe approvate
vigenti per ciascun Comune per le opere di nuova
costruzione" deve essere coerente con il precedente art. 48
ed implica che il calcolo del costo di costruzione dei
recuperi edilizi dei sottotetti deve essere computato
utilizzando da un lato la volumetria o la superficie s.l.p.
resa abitativa e dall’altro le tabelle comunali per le nuove
costruzioni di cui all'art. 48 della L.R. n. 12/2005.
---------------
Quindi, come visto, se ai fini dell’individuazione del
fattore principale del calcolo si doveva tener conto solo
della “superficie utile resa abitabile”, il ricordato rinvio
alle “tariffe vigenti” comporta comunque la necessità di
valorizzare in concreto la tipologia dell’immobile
computando quindi le percentuali di incremento di cui al
D.M. 10.05.1977 “Determinazione del costo di costruzione di
nuovi edifici” e ciò per la fondamentale ragione che le
superfici degli accessori e dei servizi costituiscono un
elemento indicativo ai fini della valorizzazione
dell’immobile.
La legge sul recupero dei sottotetti ai fini residenziali,
con il richiamo alle tariffe vigenti, implica che il costo a
mq. possa, e debba, essere maggiorato con le percentuali di
incremento connesse con la tipologia qualitativa
dell’immobile di cui al D.M. n. 10/1977.
Pertanto, ferma restando la “volumetria o la superficie
abitativa netta resa abitabile”, sebbene le superfici degli
accessori in questione non possano essere ricomprese in uno
dei fattori del calcolo, ciò non vuol dire che la loro
esistenza non incida, e rilevi sul piano concreto della
fruibilità e della qualità estetica ed abitativa degli
immobili. Per questo devono essere considerate ai fini della
individuazione della percentuale di maggiorazione del “costo
di costruzione” relativo alla valorizzazione della qualità
architettonica.
---------------
In base all’art. 4 del D.M. 10.05.1977 una volta individuate
le superfici abitabili ed il “costo unitario di costruzione”
pro tempore, deve farsi luogo all’individuazione dei
presupposti per l’applicazione delle maggiorazioni in misura
non superiore al 50% che la predetta normativa prevede in
caso di edifici che abbiano “caratteristiche tipologiche
superiori” a quelle considerate dalla legge n. 1179 del
01.11.1965.
In concreto, per l’identificazione degli edifici soggetti
agli incrementi percentuali di cui agli artt. 5, 6 e 7, si
deve tener conto:
- della superficie utile abitabile (Su);
- della superficie netta non residenziale di servizi e
accessori (Snr) e cioè ad esempio: a) cantinole, soffitte,
locali motore ascensore, cabine idriche, lavatoi comuni,
centrali termiche, ed altri locali a stretto servizio delle
residenze; b) autorimesse singole o collettive; c) androni
di ingresso e porticati liberi; d) logge e balconi;
- delle caratteristiche specifiche.
Ciò premesso a norma dell’art. 2 del D.M. 10.05.1977 n. 10 i
“lastrici” ancorché “tecnologici” sono comunque assimilabili
alle logge ed alle terrazze, ma anche, se si considerano
comunque i relativi box e vani di contenimento, alle cabine
idriche, ed ai locali che contengono il motore
dell’ascensore.
Inoltre l’elencazione di cui all’art. 2, dato che
corrisponde allo stato delle tecnologie di oltre
trentacinque anni fa, ha un valore chiaramente
esemplificativo e non prescrittivo per cui di nessun rilievo
interpretativo ha il riferimento al termine “locali” molto
enfatizzato dalla società immobiliare odierna appellata.
Peraltro, come risulta dalle indicazioni istruttorie sulla
Dia del 13.12.2005, nel caso le terrazze sono collegate da
scale e sono accessibili e calpestabili. Come la comune
esperienza dimostra, anche la presenza dei macchinari
dell’ascensore, di riscaldamento, di condizionamento non ne
preclude in assoluto l’utilizzo per le altre parti, per cui
le relative superfici sono state esattamente computate ai
fini della Snr utile, ai fini della individuazione degli
incrementi percentuali.
Dalla superficie non residenziale devono invece essere
escluse le scale che sono una struttura necessaria (ma non
la “scala di servizio non prescritta da leggi o regolamenti
o imposta da necessità di prevenzione di infortuni o di
incendi” di cui al n. 2 dell’art. 7 del d.m. 1977 cit. che
qui comunque non risulta).
Di qui l’illegittimità del computo delle scale nell’ambito
delle percentuali di Snr utili ai fini degli incrementi
percentuali.
---------------
Ai sensi dell'art. 63, c. 6, l.reg. Lombardia n. 12/2005 "il
recupero abitativo dei sottotetti è consentito purché sia
assicurata per ogni singola unità immobiliare l'altezza
media ponderale di metri 2,40, … calcolata dividendo il
volume della parte di sottotetto la cui altezza superi metri
1,50 per la superficie relativa".
Questo è il limite minimo del quale si deve tener conto, e
non quello del Regolamento in vigore al momento della
costruzione, come dimostra anche l’inciso della predetta
legge che consente modificazioni delle altezze di colmo e di
gronda e delle linee di pendenza delle falde "unicamente al
fine di assicurare i parametri di cui all'articolo 63, comma
6" cioè un'altezza media ponderale di metri 2,40 (ed anche
invero di quelli di cui all'art. 64 primo comma, l.r.
12/2005).
Nel caso è dunque evidente che l’altezza di 3 mt. è ben
superiore all'altezza media di 2,40 che il medesimo
legislatore regionale ha ritenuto assicuri le condizioni
minime di salubrità agli spazi (resi) abitativi, la quale
costituisce ad un tempo l’altezza minima per rilasciare
l'abitabilità degli spazi dall'art. 63, c. 6, l.reg.
Lombardia n. 12/2005.
Di conseguenza l’altezza di 3 metri ben giustificava
l’attribuzione del relativo coefficiente di maggiorazione
(del costo di costruzione).
L’Amministrazione, appellante principale, premette una propria
autonoma ricostruzione delle disposizioni di cui gli artt.
44, 48 e 64 della L.R. Lombardia n. 12/2005 per cui il
“costo di costruzione” non costituirebbe un corrispettivo
per l'aumento del carico urbanistico derivante
dall'intervento edilizio, ma avrebbe una natura impositiva,
tanto da essere assimilabile alle prestazioni patrimoniali
imposte di cui all'articolo 23 della Costituzione, ed
essendo rapportato a quanto materialmente costruito, come
indice di capacità retributiva.
Per gli interventi di ristrutturazione la L.R. cit. prevede,
all'art. 44, 10º co., che gli “oneri di urbanizzazione”
siano riferiti agli interventi di nuova costruzione ridotti
della metà, mentre il “costo di costruzione” ex art. 48
della medesima legge, doveva essere fissato dalla Giunta
Regionale con riferimento ai costi massimi ammissibili per
l'edilizia agevolata (1° comma) ed in relazione ad una quota
variabile dal 5 al 20% a seconda delle caratteristiche delle
tipologie delle costruzioni e della loro destinazione
d'ubicazione (3º comma), al costo reale degli interventi
stessi, così come individuato nel progetto presentato, senza
però mai superare il valore determinato per le nuove
costruzioni. Il D.M. 10.05.1977 ancora oggi rimarrebbe
l'unica normativa di dettaglio sulla tecnica estimativa che
consentirebbe di rapportare al valore economico del
fabbricato la quota di contributo relativa al costo di
costruzione dello stesso.
In definitiva il contributo di costruzione nel sistema
lombardo dovrebbe essere calcolato applicando al costo reale
dell'intervento la percentuale relativa alla classe
derivante dall'applicazione della tabella del predetto D.M.
senza fare alcun riferimento né al carico urbanistico né
alla volumetria abitabile. Per il recupero dei sottotetti,
l'art. 64 della cit. L.R. n. 12 prevede al 7° co. che oltre
agli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria si debba
corrispondere il costo di costruzione calcolato sulla
volumetria sulla “superficie lorda di pavimento” resa
abitativa secondo le tariffe provate vigenti in ciascun
Comune per le opere di nuova costruzione.
In conseguenza, con la prima rubrica, il Comune di Milano
lamenta che il Giudice di prime cure avrebbe erroneamente
affermato che il calcolo della quota del contributo di
costruzione avrebbe dovuto avere come parametro di
riferimento la “volumetria resa abitativa”, e non la
superficie complessiva così come previsto dall'articolo 2
del D.M. 15.05.1977. Il riferimento alla “volumetria
resa abitativa” avrebbe rilievo solamente per gli oneri di
urbanizzazione. Se non fosse così si finirebbe per
introdurre un criterio incompatibile con la ratio impositiva
di tale contributo perché non si valorizzerebbe l'incremento
patrimoniale determinato dalle opere, bensì l'incremento del
carico insediativo già valorizzato con gli oneri di
urbanizzazione.
L’assunto è fondato nei limiti e nei sensi che seguono.
Esattamente l’Amministrazione appellante ricorda, in linea
di principio, che la quota di contributo commisurata al
costo di costruzione costituisce una prestazione di natura
tributaria e paratributaria, collegata alla produzione di
ricchezza dei singoli che è generata dallo sfruttamento del
territorio (cfr. Cons. Stato, sez. V 21.04.2006 n. 2258;
Cons. Stato Sez. V 06.05.1997 n. 462; Cons. Stato Sez. VI
18.01.2012 n. 177). Infatti il contributo relativo al
costo di costruzione è dovuto anche in presenza di una
trasformazione edilizia che, indipendentemente
dall'esecuzione fisica di opere, si rivela produttiva di
vantaggi economici ad essa connessi, situazione che si
verifica per il mutamento di destinazione o comunque per
ogni variazione anche di semplice uso che comporti un
passaggio tra due categorie funzionalmente autonome dal
punto di vista urbanistico (cfr. Consiglio di Stato Sez. IV
14/10/2011 n. 5539).
Nello specifico però, il settimo comma, primo periodo,
dell'art. 64 della L.R. Lombardia 11.03.2005 n. 12
prevede che: “La realizzazione degli interventi di recupero
di cui al presente capo comporta la corresponsione …. del
contributo commisurato al costo di costruzione, calcolati
sulla volumetria o sulla superficie lorda di pavimento resa
abitativa secondo le tariffe approvate e vigenti in ciascun
comune per le opere di nuova costruzione”.
In sostanza, la quantificazione degli oneri di
urbanizzazione e del contributo riferito al costo di
costruzione per il recupero dei sottotetti è agganciata da
un lato alla “superficie lorda di pavimento resa abitativa”, e dall’altro alle “tariffe approvate e vigenti” per le
opere di nuova costruzione.
In tal senso, il TAR ha ragione quanto ha escluso la
legittimità di un conteggio che tenga conto della
“superficie complessiva”, cioè la superficie utile più
quella non residenziale di cui all’art. 2 del D.M. 10.05.1977
n. 10.
Infatti, in applicazione del principio ermeneutico generale
della prevalenza della norma speciale sulla norma generale è
esatto l’assunto per cui in materia di oneri di
urbanizzazione relativi al recupero dei sottotetti, deve
farsi esclusivo riferimento al più ristretto ambito spaziale
individuato al settimo comma dell'art. 64 della L.R..
Pertanto, in base al vecchio brocardo “ubi lex voluit
dixit”, se il legislatore regionale ha prescritto che gli
oneri di urbanizzazione ed il costo di costruzione debbono
essere computati con riferimento alla “volumetria o sulla
superficie lorda di pavimento resa abitativa”, ha
intenzionalmente inteso porre una fattispecie peculiare
derogatoria del regime generale di cui agli artt. 44 e 48
della L.R. n. 12/2005.
La Società, nella memoria del 03.10.2013, esattamente ricorda
come tale individuazione è del tutto coerente sia con le
finalità generali di recupero di patrimonio edilizio ai fini
abitativi, sia con riferimento al fatto che non possano
computarsi tutte le superfici non residenziali che spesso
non appartengono nemmeno all’esecutore dell’intervento.
Al riguardo, al fine del calcolo del costo di costruzione
per gli interventi in questione deve dunque escludersi che
possano essere conteggiate come fattori di moltiplicazione
le superfici non destinate anche indirettamente ai fini
residenziali quali i locali di pertinenza del fabbricato ad
uso comune quali androni, deposito biciclette e carrozzine,
deposito rifiuti, corridoi e disimpegni dei solai delle
cantine ed ecc. (ma al riguardo vedi anche infra).
Tuttavia il richiamo alle “tariffe vigenti” di cui all’art.
64, co. 7, della detta L.R. implica che per la
determinazione del costo di costruzione per le nuove
costruzioni –sia pure con riferimento alle sole superfici
lorde di pavimento rese abitative- debba farsi diretto
rinvio all’art. 48 della L.R. n. 12/2005, ed al D.M. 10.05.1977.
In altre parole, l'interpretazione della preposizione
"calcolati sulla volumetria o sulla superficie lorda di
pavimento resa abitativa secondo le tariffe approvate
vigenti per ciascun Comune per le opere di nuova
costruzione" deve essere coerente con il precedente art. 48
ed implica che il calcolo del costo di costruzione dei
recuperi edilizi dei sottotetti deve essere computato
utilizzando da un lato la volumetria o la superficie s.l.p.
resa abitativa e dall’altro le tabelle comunali per le nuove
costruzioni di cui all'art. 48 della L.R. n. 12/2005.
Solo in relazione a quest’ultimo limitato profilo il primo
motivo del Comune può, per tale parte, essere accolto.
---------------
Deve in primo
luogo escludersi l’attuale rilevanza della Tabella A della Delib. G.R. 1994/53844 nella fattispecie in esame, in quanto
l'articolo 16, comma 9, del d.P.R. n. 380 del 2001, che ha
sostituito l'articolo 6 della legge n. 10 del 1977 (nel
testo pro tempore in vigore di cui all'articolo 7, comma 2,
della legge n. 537 del 1993), e l'articolo 48, comma 2,
della legge regionale n. 12 del 2005, dispongono che il
costo di costruzione degli edifici residenziali, ai fini del
calcolo della relativa quota del contributo di costruzione,
sia determinato periodicamente dalle regioni, con
riferimento ai costi massimi ammissibili per l'edilizia
agevolata, come individuati dalle stesse regioni a norma
dell'articolo 4, primo comma, lettera g), della legge n. 457
del 1978, ma che -in caso di mancato aggiornamento da
parte delle regioni- il Comune potesse annualmente, ed
autonomamente procedere alla fissazione del costo di
costruzione, in ragione dell'intervenuta variazione dei
costi di costruzione accertata dall'Istituto nazionale di
statistica (ISTAT).
Ciò posto, successivamente alla prima individuazione in Lire
482.300 al metro quadro, attuata con la deliberazione della
Giunta regionale della Regione Lombardia n. 53844 del 31.05.1994 (pubblicata sul B.U.R.L., 5° supplemento
straordinario del 24.06.1994), non vi è stato più alcun
intervento regionale in dichiarata considerazione della
prevalenza dell’autonomia locale concessa dalla
Costituzione. In tale direzione dunque del tutto
legittimamente il Comune di Milano, nell’ambito della sua
autonomia, ha fatto riferimento alla tabella allegata al
D.M. 10.05.1977.
Quindi, come visto, se ai fini dell’individuazione del
fattore principale del calcolo si doveva tener conto solo
della “superficie utile resa abitabile”, il ricordato rinvio
alle “tariffe vigenti” comporta comunque la necessità di
valorizzare in concreto la tipologia dell’immobile
computando quindi le percentuali di incremento di cui al
D.M. 10.05.1977 “Determinazione del costo di costruzione di
nuovi edifici” e ciò per la fondamentale ragione che le
superfici degli accessori e dei servizi costituiscono un
elemento indicativo ai fini della valorizzazione
dell’immobile.
La legge sul recupero dei sottotetti ai fini residenziali,
con il richiamo alle tariffe vigenti, implica che il costo a
mq. possa, e debba, essere maggiorato con le percentuali di
incremento connesse con la tipologia qualitativa
dell’immobile di cui al D.M. n. 10/1977.
Pertanto, ferma restando la “volumetria o la superficie
abitativa netta resa abitabile”, sebbene le superfici degli
accessori in questione non possano essere ricomprese in uno
dei fattori del calcolo, ciò non vuol dire che la loro
esistenza non incida, e rilevi sul piano concreto della
fruibilità e della qualità estetica ed abitativa degli
immobili. Per questo devono essere considerate ai fini della
individuazione della percentuale di maggiorazione del “costo
di costruzione” relativo alla valorizzazione della qualità
architettonica.
E’ inesatta al riguardo la richiesta subordinata della
società intesa ad una loro valorizzazione pro parte con la
“quota uffici”, dato che si tratta di spazi che, proprio in
quanto utilizzabili per impianti, sono esponenziali del
maggiore pregio architettonico dell’intero immobile, e che
quindi giustificano il relativo incremento.
In base all’art. 4 del D.M. 10.05.1977 una volta
individuate le superfici abitabili ed il “costo unitario di
costruzione” pro tempore, deve farsi luogo
all’individuazione dei presupposti per l’applicazione delle
maggiorazioni in misura non superiore al 50% che la predetta
normativa prevede in caso di edifici che abbiano
“caratteristiche tipologiche superiori” a quelle considerate
dalla legge n. 1179 del 01.11.1965.
In concreto, per l’identificazione degli edifici soggetti
agli incrementi percentuali di cui agli artt. 5, 6 e 7, si
deve tener conto:
- della superficie utile abitabile (Su);
- della superficie netta non residenziale di servizi e
accessori (Snr) e cioè ad esempio: a) cantinole, soffitte,
locali motore ascensore, cabine idriche, lavatoi comuni,
centrali termiche, ed altri locali a stretto servizio delle
residenze; b) autorimesse singole o collettive; c) androni
di ingresso e porticati liberi; d) logge e balconi;
- delle caratteristiche specifiche.
Ciò premesso a norma dell’art. 2 del D.M. 10.05.1977 n.
10 i “lastrici” ancorché “tecnologici” sono comunque
assimilabili alle logge ed alle terrazze, ma anche, se si
considerano comunque i relativi box e vani di contenimento,
alle cabine idriche, ed ai locali che contengono il motore
dell’ascensore.
Inoltre l’elencazione di cui all’art. 2, dato che
corrisponde allo stato delle tecnologie di oltre
trentacinque anni fa, ha un valore chiaramente
esemplificativo e non prescrittivo per cui di nessun rilievo
interpretativo ha il riferimento al termine “locali” molto
enfatizzato dalla società immobiliare odierna appellata.
Peraltro, come risulta dalle indicazioni istruttorie sulla
Dia del 13.12.2005, nel caso le terrazze sono collegate da
scale e sono accessibili e calpestabili. Come la comune
esperienza dimostra, anche la presenza dei macchinari
dell’ascensore, di riscaldamento, di condizionamento non ne
preclude in assoluto l’utilizzo per le altre parti, per cui
le relative superfici sono state esattamente computate ai
fini della Snr utile, ai fini della individuazione degli
incrementi percentuali.
Dalla superficie non residenziale devono invece essere
escluse le scale che sono una struttura necessaria (ma non
la “scala di servizio non prescritta da leggi o regolamenti
o imposta da necessità di prevenzione di infortuni o di
incendi” di cui al n. 2 dell’art. 7 del d.m. 1977 cit. che
qui comunque non risulta).
Di qui l’illegittimità del computo delle scale nell’ambito
delle percentuali di Snr utili ai fini degli incrementi
percentuali.
---------------
Infine per la
Società immobiliare il Comune avrebbe sbagliato anche nel
ritenere che l'edificio possedesse una “caratteristica
particolare” costruita dall'altezza libera di piano
superiore a 3 mt. a quella minima prescritta dalle norme
regolamentari ai sensi dell'articolo 7 D.M. 10.05.1977.
Il regolamento prescriverebbe infatti che gli edifici
debbano avere l'altezza minima interna superiore a 3 mt.,
un’altezza maggior per cui tale requisito non potrebbe
essere considerato una caratteristica particolare e quindi
non potrebbe giustificare l'applicazione di un più elevato
onere.
L’edificio in questione, costruito negli anni 50 del secolo
scorso presenterebbe un'altezza netta interna che “non
supera” quella prescritta dall'articolo 59 del Regolamento
d'igiene vigente all'epoca della sua costruzione per cui la
maggiorazione non poteva essere legittimamente approvata.
L’assunto non può essere condiviso.
Si deve infatti ricordare che ai sensi dell'art. 63, c. 6,
l.reg. Lombardia n. 12/2005 "il recupero abitativo dei
sottotetti è consentito purché sia assicurata per ogni
singola unità immobiliare l'altezza media ponderale di metri
2,40, … calcolata dividendo il volume della parte di
sottotetto la cui altezza superi metri 1,50 per la
superficie relativa".
Questo è il limite minimo del quale si deve tener conto, e
non quello del Regolamento in vigore al momento della
costruzione, come dimostra anche l’inciso della predetta
legge che consente modificazioni delle altezze di colmo e di
gronda e delle linee di pendenza delle falde "unicamente al
fine di assicurare i parametri di cui all'articolo 63, comma
6" cioè un'altezza media ponderale di metri 2,40 (ed anche
invero di quelli di cui all'art. 64 primo comma, l.r.
12/2005).
Nel caso è dunque evidente che l’altezza di 3 mt. è ben
superiore all'altezza media di 2,40 che il medesimo
legislatore regionale ha ritenuto assicuri le condizioni
minime di salubrità agli spazi (resi) abitativi, la quale
costituisce ad un tempo l’altezza minima per rilasciare
l'abitabilità degli spazi dall'art. 63, c. 6, l.reg.
Lombardia n. 12/2005.
Di conseguenza l’altezza di 3 metri ben giustificava
l’attribuzione del relativo coefficiente di maggiorazione.
Il motivo va dunque respinto (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 20.12.2013 n. 6161 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La quota di contributo commisurata al costo di
costruzione costituisce una prestazione di natura tributaria
e paratributaria, collegata alla produzione di ricchezza dei
singoli che è generata dallo sfruttamento del territorio.
---------------
Il contributo relativo al costo di
costruzione è dovuto anche in presenza di una trasformazione
edilizia che, indipendentemente dall'esecuzione fisica di
opere, si rivela produttiva di vantaggi economici ad essa
connessi, situazione che si verifica per il mutamento di
destinazione o comunque per ogni variazione anche di
semplice uso che comporti un passaggio tra due categorie
funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico.
---------------
Il settimo comma,
primo periodo, dell'art. 64 della L.R. Lombardia 11.03.2005 n. 12
prevede che: “La realizzazione degli interventi di recupero
di cui al presente capo comporta la corresponsione …. del
contributo commisurato al costo di costruzione, calcolati
sulla volumetria o sulla superficie lorda di pavimento resa
abitativa secondo le tariffe approvate e vigenti in ciascun
comune per le opere di nuova costruzione”.
In sostanza, la quantificazione degli oneri di
urbanizzazione e del contributo riferito al costo di
costruzione per il recupero dei sottotetti è agganciata da
un lato alla “superficie lorda di pavimento resa abitativa”, e dall’altro alle “tariffe approvate e vigenti” per le
opere di nuova costruzione.
In tal senso il TAR ha ragione quanto ha escluso la
legittimità di un conteggio che tenga conto della
“superficie complessiva”, cioè la superficie utile più
quella non residenziale di cui all’art. 2 del D.M. 10.05.1977
n. 10.
Infatti, in applicazione del principio ermeneutico generale
della prevalenza della norma speciale sulla norma generale è
esatto l’assunto per cui in materia di oneri di
urbanizzazione relativi al recupero dei sottotetti, deve
farsi esclusivo riferimento al più ristretto ambito spaziale
individuato al settimo comma dell'art. 64 della L.R..
Pertanto, in base al vecchio brocardo “ubi lex voluit
dixit”, se il legislatore regionale ha prescritto che gli
oneri di urbanizzazione ed il costo di costruzione debbono
essere computati con riferimento alla “volumetria o sulla
superficie lorda di pavimento resa abitativa”, ha
intenzionalmente inteso porre una fattispecie peculiare
derogatoria del regime generale di cui agli artt. 44 e 48
della L.R. n. 12/2005.
Tuttavia, al fine del calcolo del costo di costruzione per
gli interventi in questione deve dunque escludersi che
possano essere conteggiate come fattori di moltiplicazione
le superfici non destinate anche indirettamente ai fini
residenziali quali i locali di pertinenza del fabbricato ad
uso comune quali androni, deposito biciclette e carrozzine,
deposito rifiuti, corridoi e disimpegni dei solai delle
cantine ed ecc..
Tuttavia il richiamo alle “tariffe vigenti” di cui all’art.
64, co. 7, della detta L.R. implica che per la
determinazione del costo di costruzione per le nuove
costruzioni -sia pure con riferimento alle sole superfici
lorde di pavimento rese abitative- debba farsi diretto
rinvio all’art. 48 della L.R. n. 12/2005, ed al d.m.
10.05.1977.
In altre parole, l'interpretazione della preposizione
"calcolati sulla volumetria o sulla superficie lorda di
pavimento resa abitativa secondo le tariffe approvate
vigenti per ciascun Comune per le opere di nuova
costruzione" deve essere coerente con il precedente art. 48
ed implica che il calcolo del costo di costruzione dei
recuperi edilizi dei sottotetti deve essere computato
utilizzando da un lato la volumetria o la superficie s.l.p.
resa abitativa e dall’altro le tabelle comunali per le nuove
costruzioni di cui all'art. 48 della L.R. n. 12/2005.
Esattamente
l’Amministrazione appellante ricorda, in linea di principio,
che la quota di contributo commisurata al costo di
costruzione costituisce una prestazione di natura tributaria
e paratributaria, collegata alla produzione di ricchezza dei
singoli che è generata dallo sfruttamento del territorio
(cfr. Cons. Stato, sez. V, 21.04.2006 n. 2258; Cons.
Stato Sez. V 06.05.1997 n. 462; Cons. Stato Sez. VI 18.01.2012 n. 177). Infatti il contributo relativo al
costo di costruzione è dovuto anche in presenza di una
trasformazione edilizia che, indipendentemente
dall'esecuzione fisica di opere, si rivela produttiva di
vantaggi economici ad essa connessi, situazione che si
verifica per il mutamento di destinazione o comunque per
ogni variazione anche di semplice uso che comporti un
passaggio tra due categorie funzionalmente autonome dal
punto di vista urbanistico (cfr. Consiglio di Stato Sez. IV
14/10/2011 n. 5539).
Nello specifico però, il settimo comma, primo periodo,
dell'art. 64 della L.R. Lombardia 11.03.2005 n. 12
prevede che: “La realizzazione degli interventi di recupero
di cui al presente capo comporta la corresponsione …. del
contributo commisurato al costo di costruzione, calcolati
sulla volumetria o sulla superficie lorda di pavimento resa
abitativa secondo le tariffe approvate e vigenti in ciascun
comune per le opere di nuova costruzione”.
In sostanza, la quantificazione degli oneri di
urbanizzazione e del contributo riferito al costo di
costruzione per il recupero dei sottotetti è agganciata da
un lato alla “superficie lorda di pavimento resa abitativa”, e dall’altro alle “tariffe approvate e vigenti” per le
opere di nuova costruzione.
In tal senso il TAR ha ragione quanto ha escluso la
legittimità di un conteggio che tenga conto della
“superficie complessiva”, cioè la superficie utile più
quella non residenziale di cui all’art. 2 del D.M. 10.05.1977
n. 10.
Infatti, in applicazione del principio ermeneutico generale
della prevalenza della norma speciale sulla norma generale è
esatto l’assunto per cui in materia di oneri di
urbanizzazione relativi al recupero dei sottotetti, deve
farsi esclusivo riferimento al più ristretto ambito spaziale
individuato al settimo comma dell'art. 64 della L.R..
Pertanto, in base al vecchio brocardo “ubi lex voluit
dixit”, se il legislatore regionale ha prescritto che gli
oneri di urbanizzazione ed il costo di costruzione debbono
essere computati con riferimento alla “volumetria o sulla
superficie lorda di pavimento resa abitativa”, ha
intenzionalmente inteso porre una fattispecie peculiare
derogatoria del regime generale di cui agli artt. 44 e 48
della L.R. n. 12/2005.
La Società, nella memoria del 03.10.2013, esattamente ricorda
come tale individuazione è del tutto coerente sia con le
finalità generali di recupero di patrimonio edilizio ai fini
abitativi, sia con riferimento al fatto che non possano
computarsi tutte le superfici non residenziali che spesso
non appartengono nemmeno all’esecutore dell’intervento.
Al riguardo, al fine del calcolo del costo di costruzione
per gli interventi in questione deve dunque escludersi che
possano essere conteggiate come fattori di moltiplicazione
le superfici non destinate anche indirettamente ai fini
residenziali quali i locali di pertinenza del fabbricato ad
uso comune quali androni, deposito biciclette e carrozzine,
deposito rifiuti, corridoi e disimpegni dei solai delle
cantine ed ecc. (ma al riguardo vedi anche infra).
Tuttavia il richiamo alle “tariffe vigenti” di cui all’art.
64, co. 7, della detta L.R. implica che per la
determinazione del costo di costruzione per le nuove
costruzioni -sia pure con riferimento alle sole superfici
lorde di pavimento rese abitative- debba farsi diretto
rinvio all’art. 48 della L.R. n. 12/2005, ed al d.m. 10.05.1977.
In altre parole, l'interpretazione della preposizione
"calcolati sulla volumetria o sulla superficie lorda di
pavimento resa abitativa secondo le tariffe approvate
vigenti per ciascun Comune per le opere di nuova
costruzione" deve essere coerente con il precedente art. 48
ed implica che il calcolo del costo di costruzione dei
recuperi edilizi dei sottotetti deve essere computato
utilizzando da un lato la volumetria o la superficie s.l.p.
resa abitativa e dall’altro le tabelle comunali per le nuove
costruzioni di cui all'art. 48 della L.R. n. 12/2005.
Solo in relazione a quest’ultimo limitato profilo il primo
motivo del Comune può, per tale parte, essere accolto
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 20.12.2013 n. 6160 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Questa
Sezione, proprio in riferimento al tema del recupero dei
sottotetti nella regione Lombardia e ripercorrendo negli
anni la mutevole disciplina regionale, aveva già evidenziato
come, ai sensi della legge della regione Lombardia n. 15 del
1996, “Il recupero volumetrico a scopo residenziale del
piano sottotetto in base alla citata legge regionale non
poteva prescindere dall'esistenza dell'edificio e del
sottotetto medesimo (da intendersi come vero e proprio
volume preesistente) e doveva avvenire nel rispetto delle
prescrizioni igienico-sanitarie e di abitabilità previste
dai regolamenti vigenti, salvo quanto disposto dal comma 6
dell'art. 1 della legge medesima” e che tale disciplina,
superata e modificata successivamente, confluiva infine nel
“Capo I del Titolo IV della nuova legge regionale n.
12/2005, (che) ribadisce il principio generale del "favor"
per il recupero a fini abitativi dei sottotetti esistenti
(commi 1 e 2 dell'art. 63) e definisce il sottotetto
esistente come volume soprastante l'ultimo piano degli
edifici <esistente al momento della presentazione della
domanda di permesso di costruire ovvero della denuncia di
inizio attività>”.
Questa Sezione (Consiglio di Stato, sez. IV, 04.02.2008 n. 298, che richiama le precedenti sentenze 21.12.2006, n. 7770 e 30.05.2005 n. 2767), proprio in
riferimento al tema del recupero dei sottotetti nella
regione Lombardia e ripercorrendo negli anni la mutevole
disciplina regionale (e prima ancora dell’intervento
tranciante della sentenza della Corte Costituzionale, 23.11.2011 n. 309), aveva già evidenziato come, ai sensi
della legge della regione Lombardia n. 15 del 1996, “Il
recupero volumetrico a scopo residenziale del piano
sottotetto in base alla citata legge regionale non poteva
prescindere dall'esistenza dell'edificio e del sottotetto
medesimo (da intendersi come vero e proprio volume
preesistente) e doveva avvenire nel rispetto delle
prescrizioni igienico-sanitarie e di abitabilità previste
dai regolamenti vigenti, salvo quanto disposto dal comma 6
dell'art. 1 della legge medesima” e che tale disciplina,
superata e modificata successivamente, confluiva infine nel
“Capo I del Titolo IV della nuova legge regionale n.
12/2005, (che) ribadisce il principio generale del "favor"
per il recupero a fini abitativi dei sottotetti esistenti
(commi 1 e 2 dell'art. 63) e definisce il sottotetto
esistente come volume soprastante l'ultimo piano degli
edifici <esistente al momento della presentazione della
domanda di permesso di costruire ovvero della denuncia di
inizio attività>”
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 20.02.2013 n. 1058 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: RECUPERO
A FINI ABITATIVI DEI SOTTOTETTI ESISTENTI
E RILEVANZA PENALE.
In caso di realizzazione, in mancanza di titoli abilitativi,
di opere che avrebbero dovuto essere oggetto di permesso
di costruire o di DIA, ai sensi dell’art. 22, comma
3, del Testo Unico edilizia, risulta configurabile il reato
di cui all’art. 44 dello stesso testo unico, trovando
applicazione
l’espressa previsione del comma 2-bis del medesimo
articolo, che ne prevede l’applicazione anche
agli interventi edilizi suscettibili di realizzazione
mediante
denuncia di inizio attività, eseguiti in assenza o in
totale
difformità dalla stessa.
Il tema oggetto di attenzione da parte della Corte di
Cassazione
con la sentenza in esame concerne la rilevanza penale
di quella tipologia di interventi edilizi che,
apparentemente,
si appalesano inoffensivi sul piano dell’assetto ordinato
del
territorio urbano ma che, a ben vedere, lo incidono e
giustificano,
dunque, la reazione penale.
La vicenda processuale
trae origine dall’impugnazione contro la sentenza di appello
confermativa della condanna dell’imputato, per i reati di
cui
al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 1, lett. c), e del
D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, perché, su un terreno di
sua
proprietà, in area sottoposta a vincolo paesaggistico,
aveva
realizzato lavori di ampliamento di un preesistente
fabbricato
seminterrato, con scavi, fondazioni, pilastri in cemento
armato,
pavimentazione in cemento, soletta con travi in legno,
tamponature delle murature perimetrali e tavolati divisori,
in
mancanza di permesso di costruire e di autorizzazione
paesaggistica.
Contro tale sentenza proponeva ricorso per cassazione
la difesa dell’imputato sostenendo, da un lato, che i
lavori svolti avrebbero dovuto essere considerati mera
attività
di ampliamento, come tale assoggettata al titolo abilitativo
della denuncia di inizio attività, di cui al D.P.R. n. 380
del
2001, art. 22, con conseguente inapplicabilità della
sanzione
penale (l’ampliamento che riguardi vani seminterrati,
secondo
la difesa, non avrebbe dovuto essere considerato come
incidente sulla volumetria dell’edificio; dall’altro lato,
la difesa
rilevava la violazione del D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 3,
10, 22 e 44, perché la Corte d’appello avrebbe ritenuto
applicabile
alla fattispecie concreta la norma incriminatrice di cui
al richiamato art. 44, pur trattandosi di un ampliamento
inerente
un recupero a fini abitativi, non essendosi realizzata
alcuna
nuova costruzione).
La tesi non ha però convinto gli Ermellini che hanno
infatti
respinto il ricorso. In particolare, i giudici di
legittimità hanno
precisato che la Corte d’appello aveva desunto la natura di
nuova costruzione delle opere realizzate da elementi
correttamente
ritenuti univoci e concordanti, desunti dal verbale di
sopralluogo e dalle fotografie in atti. Si era, in
particolare, evidenziato
che:
a) è stato edificato un nuovo fabbricato in muratura
mediante scavo del terreno, realizzazione di fondamenta
e pilastri in cemento armato, pavimentazione in cemento,
solette in legno, caldara in cemento, tamponature,
muratura, con finestre e porte, assoggettata a denuncia di
inizio attività, ai sensi del D.P.R. n. 380 del 2001, art.
22,
comma 3;
b) sopra il fabbricato seminterrato,
illegittimamente
ampliato, non vi erano né un rustico, né una copertura
preesistenti, ma è stato realizzato ex novo un fabbricato
in
legno avente un basamento in muratura e un tetto con
copertura
in tegole, con la conseguenza che l’intervento non
può essere ricondotto alla categoria della ‘‘recupero a
fini
abitativi dei sottotetti esistenti’’ di cui alla L.R.
Lombardia n.
12 del 2005, art. 63, comma 1-bis. Correttamente, dunque, il
Tribunale e la Corte d’appello, secondo la Cassazione,
avevano
ritenuto che, essendo state realizzate, in mancanza di
titoli abilitativi, opere che avrebbero dovuto essere
oggetto
di permesso di costruire o di DIA, ai sensi dell’art. 22,
comma
3, del testo unico sull’edilizia, risulta configurabile il
reato
contestato, di cui all’art. 44, comma 1, lett. c), dello
stesso
testo unico, trovando applicazione l’espressa previsione del
comma 2-bis dello stesso articolo, secondo cui «Le
disposizioni
del presente articolo si applicano anche agli interventi
edilizi suscettibili di realizzazione mediante denuncia di
inizio
attività ai sensi dell’art. 22, comma 3, eseguiti in
assenza o
in totale difformità dalla stessa» (in tal senso, ex plurimis:
Cass. pen., sez. III, 05.03.2009, n. 9894, in Ced Cass.,
n.
243099; Id., sez. III, 09.07.2009, n. 28048, in Ced
Cass., n.
244580; Id., sez. III, 14.11.2011, n. 41425, in Ced
Cass., n. 251327)
(Corte di
Cassazione, Sez. III penale, sentenza 11.02.2013 n. 6517
- tratto da Urbanistica e appalti n. 5/2013). |
anno 2012 |
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EDILIZIA
PRIVATA:
Distanze sottotetti: è derogata la norma locale dal confine.
Con
ordinanza 27.11.2012 emessa nel ricorso ex artt. 1170
c.c. / 703 c.p.c. n. 359/11 R.G. Cont., il Tribunale di
Como, sezione distaccata di Menaggio, ha messo un punto
fermo su una circostanza pacifica per gli operatori di
diritto ma non per le pubbliche amministrazioni. Ossia che
l’intervento di recupero del sottotetto esistente,
autorizzato ai sensi della l.r. 12 del 2005, essendo “ammesso
anche in deroga ai limiti ed alle prescrizioni degli
strumenti di pianificazione comunale vigenti ed adottati”
(art. 64, c. II), se non deroga alle distanze di cui al D.M.
1444/1968, articolo 9, deroga invece alle locali distanze
dai confini.
In altre parole: la qualificazione di un intervento di
recupero del sottotetto come nuova costruzione ai fini della
applicazione della normativa di materia di distanze tra
edifici vale qualora si voglia verificare la corretta
applicazione del DM 1444/1968, ma è indifferente qualora la
si intenda declinare in termini di rispondenza alle
disposizioni regolamentari perché:
• l'art. 9 del DM 1444/1968 nulla dispone in materia di
distanze dai confini, trattandosi di disposizione
espressamente dedicata a pareti di edifici che si
fronteggiano;
• l’articolo 64, comma 2, L.R. 12/2005 dispone che gli
interventi di recupero di sottotetti, al di là della
qualificazione di ^ristrutturazione^ offerta, operino “anche
in deroga ai limiti ed alle prescrizioni degli strumenti di
pianificazione comunale vigenti ed adottati”, con la
sola eccezione delle normative locali relative al
reperimento di spazi per parcheggi pertinenziali. Nella
fattispecie, l’articolo 16.2 delle NTA del Comune di
Menaggio (tratto da e link
www.studiospallino.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Quando ricavare un locale abitabile nel sottotetto
è
lottizzazione abusiva?
La trasformazione di un sottotetto in locale abitabile non
è, di per sé, idonea ad integrare il reato di lottizzazione
abusiva nel caso in cui l'edificio sia destinato ad uso
residenziale ed ubicato in zona per la quale risultano
previsti interventi di urbanizzazione, non rilevando in
senso contrario la mera trasformazione ad uso abitativo
delle superfici costituenti sottotetto dell'immobile, in
quanto attività inidonea a conferire un diverso assetto ad
una porzione del territorio rispetto alla pianificazione
originariamente prevista, né rendendo tale attività
necessaria la realizzazione di ulteriori opere di
urbanizzazione.
La Corte di Cassazione interviene opportunamente con la
sentenza in esame sul tormentato reato di lottizzazione
abusiva, oggetto in questi ultimi anni di numerosi
interventi esegetici da parte della giurisprudenza di
legittimità. Stavolta il tema affrontato dalla Corte è
quello della possibile configurabilità dell’illecito
lottizzatorio nel caso, invero assai diffuso, della
trasformazione di locali sottotetto di un appartamento in
locali abitabili, in assenza di qualsivoglia titolo
abilitativo.
La giurisprudenza tradizionale, com’è noto,
ritiene che tale attività di trasformazione costituisca un
mutamento di destinazione d'uso per il quale è necessario il
rilascio preventivo del permesso di costruire, atteso che la
variazione avviene tra categorie non omogenee. Parte della
giurisprudenza, invece, con un’interpretazione più rigorosa,
sostiene invece che in presenza di un’attività non
consentita di trasformazione urbanistica od edilizia del
territorio, realizzata anche mediante una forma di
suddivisione fattuale dell’immobile, sia configurabile
l’illecito lottizzatorio. Da qui, dunque, il quesito: la
trasformazione di un sottotetto in locale abitabile,
realizzando una diversa suddivisione in fatto dell’immobile,
può astrattamente integrare la fattispecie di lottizzazione
abusiva, o è necessario un quid pluris affinché ciò si
verifichi?
Il fatto
La vicenda processuale che ha fornito l’occasione alla Corte
di occuparsi della questione vedeva indagate numerose
persone cui era stata addebitata la violazione dell’art. 44,
comma 2, d.P.R. n. 380/2001 (sub specie di lottizzazione
abusiva mista, negoziale e materiale), a seguito
dell'accertamento che cinque vani sottotetto, facenti parte
del medesimo fabbricato, destinati a ripostiglio a servizio
dell'appartamento sottostante, della superficie variabile
tra 24 e 39 mq. ciascuno, erano stati trasformati in
immobili ad uso abitativo autonomo, mediante la eliminazione
del collegamento con l'appartamento sottostante, la
realizzazione di un ingresso dal vano scale condominiale e
la dotazione di servizi, con successivo frazionamento ed
alienazione a terzi.
I predetti interventi erano stati
eseguiti in base a D.I.A., mentre uno dei vani sottotetto
era stato destinato dai proprietari ad uso abitativo, di
camera da letto, mediante il posizionamento del relativo
arredo, senza l'esecuzione di interventi edilizi.
In sede
cautelare, il Tribunale del riesame aveva rigettato
l'appello proposto dal P.M. avverso il provvedimento del
G.I.P. con cui era stata respinta la richiesta del P.M. di
sequestro preventivo di alcuni immobili, in particolare
osservando che la modificazione della destinazione d'uso di
cinque unità destinate a servizi in unità abitative non
appare idonea a conferire un diverso assetto alla
pianificazione urbana, dato che le opere di urbanizzazione
erano già previste dai titoli originari e non comportando la
modificazione la necessità per la pubblica amministrazione
di realizzare ulteriori opere di urbanizzazione.
In
sostanza, secondo i giudici del riesame, le condotte poste
in essere dovevano qualificarsi esclusivamente come abuso
edilizio, mentre la sanzione della confisca deve riferirsi
ad ipotesi di lottizzazione di terreni e delle opere su di
essi costruite ovvero di un intero edificio.
Il ricorso
Contro l’ordinanza proponeva ricorso per cassazione il P.M.
in sintesi sostenendo che il Tribunale avesse erroneamente
escluso il reato di lottizzazione abusiva in base ad un
criterio quantitativo, considerata l'estensione complessiva
degli immobili di poco più di 150 mq. complessivi,
trattandosi di reato di pericolo. La lottizzazione
accertata, a giudizio della Pubblica Accusa, si palesava
inoltre idonea ad incidere sul cosiddetto carico
urbanistico, trattandosi di interventi che, al di là del
formale titolo abilitativo, non avrebbero potuto mai essere
autorizzati, peraltro ponendosi in contrasto con la
destinazione programmata del territorio.
Peraltro,
concludeva il P.M., anche nell'ipotesi in cui fosse stata
configurata la sola violazione edilizia, avrebbe dovuto
comunque essere disposta la misura cautelare, essendo i
lavori ancora in corso di esecuzione in contrasto con le
previsioni del regolamento edilizio comunale.
La decisione della Cassazione
La tesi è stata però respinta dai giudici della Suprema
Corte che hanno condiviso le argomentazioni poste a sostegno
dell’ordinanza del Tribunale del riesame.
In sintesi, la
Corte ha anzitutto osservato che il reato di lottizzazione
abusiva è configurabile, nell'ipotesi in cui lo strumento
urbanistico generale consenta l'utilizzo della zona ai fini
residenziali, in due casi:
a) quando il complesso
alberghiero sia stato edificato alla stregua di previsioni
derogatorie non estensibili ad immobili residenziali;
b)
quando la destinazione d'uso residenziale comporti un
incremento degli "standards" richiesti per l'edificazione
alberghiera e tali "standars" aggiuntivi non risultino
reperibili ovvero reperiti in concreto (Cass. pen., Sez. III,
n. 24096 del 07/03/2008, P.M. in proc. D., in Ced Cass. n.
240725).
Ha, poi, aggiunto che la trasformazione urbanistica
od edilizia del territorio, peraltro, deve
risultare di consistenza tale da incidere in modo rilevante
sull'assetto urbanistico della zona, sia nel senso
d'intervento innovativo sul tessuto urbanistico, che sotto
il profilo della necessità dell'esecuzione di nuove opere
d'urbanizzazione o di potenziamento di quelle già esistenti
(Cass. pen., sez. IV, n. 33150 del 08/07/2008, N. ed altri,
in Ced Cass. n. 240970).
Il reato di lottizzazione abusiva
deve, invece, escludersi –precisa la Cassazione- con
riferimento a zone completamente urbanizzate, mentre è
configurabile con riferimento a zone parzialmente
urbanizzate, in cui sussista un'esigenza di raccordo con il
preesistente aggregato abitativo e di potenziamento delle
opere di urbanizzazione (Cass. pen., sez. III, n. 37472 del
26/06/2008, B. e altri, in Ced Cass. n. 241097).
Orbene, il Tribunale del riesame, al fine di escludere nel
caso in esame l'esistenza del fumus del reato di
lottizzazione abusiva, ha evidenziato che l'edificio è
destinato ad uso residenziale ed ubicato in zona per la
quale erano già previsti interventi di urbanizzazione,
mentre ha escluso che la trasformazione ad uso abitativo
delle superfici costituenti sottotetto dell'immobile fosse
idonea a conferire un diverso assetto ad una porzione del
territorio rispetto alla pianificazione originariamente
prevista o renda necessaria la realizzazione di ulteriori
opere di urbanizzazione.
Corretta, quindi, per gli Ermellini si manifesta la
valutazione del giudice di merito in ordine alla esclusione
del fumus del reato di lottizzazione abusiva. La Corte,
infine, pur ammettendo in astratto la configurabilità della
violazione edilizia, ravvisabile nella predetta
trasformazione d'uso del sottotetto dell'edificio, ha
condiviso gli argomenti del Tribunale del riesame, nel senso
di escludere l'esistenza delle esigenze cautelari, non
risultando in atto l'esecuzione di lavori in corso laddove,
inoltre, vi sarebbe stato un ripristino della destinazione
d'uso non residenziale dei predetti locali (in precedenza,
sulla configurabilità del reato edilizio ex art. 44, comma
1, lett. b), d.P.R. n. 380/2001: v. Cass. pen., sez. III, n.
17359 dell’08.05.2007, P.M. in proc. V., in Ced Cass. n.
236493) (commento tratto da www.ispoa.it - Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 22.11.2012 n. 45732). |
EDILIZIA PRIVATA:
Fondazione De Iure Publico,
RECUPERO A FINI ABITATIVI DEI SOTTOTETTI: DISTANZE ED
EFFICIENZA ENERGETICA (Geometra Orobico n. 3/2012). |
EDILIZIA PRIVATA:
B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 27 del
02.07.2012, "Precisazioni relative alle
disposizioni per l’efficienza energetica in
edilizia, approvate con d.g.r. 8745/2008,
con riferimento al recupero abitativo dei
sottotetti e della certificazione energetica
in presenza di unità immobiliari con più
destinazioni d’uso" (circolare
regionale 26.06.2012 n. 3). |
EDILIZIA PRIVATA: L'art.
9 d.m. 1444/1968 non può essere derogato
dalle disposizioni regolamentari locali e,
in caso di contrasto, prevale su di esse.
---------------
L'art. 9 d.m. n. 1444/1968 va rispettato
anche in caso di realizzazione di interventi
di recupero del sottotetto: si richiama al
riguardo il precedente di questa Sezione,
10.12.2010, n. 7505, oltre a quanto
affermato dalla Corte Costituzionale con la
sentenza n. 19.05.2011, n. 173, secondo cui
l'art. 64, comma 2, della legge della
Regione Lombardia n. 12 del 2005 "deve
interpretarsi nel senso che esso consente la
deroga dei parametri e indici urbanistici ed
edilizi di cui al regolamento locale ovvero
al piano regolatore comunale, fatto salvo il
rispetto della disciplina sulle distanze tra
fabbricati, essendo quest'ultima materia
inerente all'ordinamento civile e rientrante
nella competenza legislativa esclusiva dello
Stato".
Anche il secondo, il terzo ed il quarto
motivo di ricorso –che possono essere
trattati congiuntamente perché strettamente
connessi sul piano logico e giuridico- sono
privi di fondamento in quanto:
- per giurisprudenza costante, l'art. 9 d.m. 1444/1968 non può essere derogato dalle
disposizioni regolamentari locali e, in caso
di contrasto, prevale su di esse (cfr. da
ultimo, Cassazione civile sez. un.,
07.07.2011, n. 14953); non assume, dunque,
alcun rilievo il rispetto, nel caso di
specie, della previsione dell'art. 27, c. 2
del r.e.c.;
- l'art. 9 d.m. n. 1444/1968 va rispettato
anche in caso di realizzazione di interventi
di recupero del sottotetto: si richiama al
riguardo il precedente di questa Sezione,
10.12.2010, n. 7505, oltre a quanto
affermato dalla Corte Costituzionale con la
sentenza n. 19.05.2011, n. 173, secondo cui
l'art. 64, comma 2, della legge della
Regione Lombardia n. 12 del 2005 "deve
interpretarsi nel senso che esso consente la
deroga dei parametri e indici urbanistici ed
edilizi di cui al regolamento locale ovvero
al piano regolatore comunale, fatto salvo il
rispetto della disciplina sulle distanze tra
fabbricati, essendo quest'ultima materia
inerente all'ordinamento civile e rientrante
nella competenza legislativa esclusiva dello
Stato (sentenza n. 232 del 2005)";
- legittimamente l'amministrazione ha
qualificato l'intervento in questione quale
nuova costruzione e non quale
ristrutturazione edilizia mediante
demolizione e ricostruzione, essendo
incontestato il mutamento della sagoma del
fabbricato.
Né può invocarsi la previsione di cui
all'art. 27, comma 1, lettera d), ultimo
periodo, della legge della Regione Lombardia
n. 12 del 2005, come interpretato dall'art.
22 della legge della Regione Lombardia n. 7
del 2010, in quanto dichiarato
incostituzionale con sentenza della Corte
Costituzionale n. 309 del 23.11.2011.
Non può, inoltre, condividersi, al riguardo,
quanto affermato dal ricorrente circa
l'inapplicabilità della pronuncia di
incostituzionalità al caso di specie.
Per giurisprudenza costante, infatti,
l'efficacia delle sentenze dichiarative
della illegittimità costituzionale di una
norma incontra il solo limite dei rapporti
esauriti in modo definitivo ed irrevocabile
per avvenuta formazione del giudicato o per
essersi comunque verificato altro evento cui
l'ordinamento ricollega il consolidamento
del rapporto, laddove il rapporto in
questione, insorto in conseguenza
dell'annullamento in autotutela della d.i.a.,
è lungi dall'essere esaurito; né assume
rilievo la circostanza che il titolo
edilizio si fosse perfezionato in epoca
antecedente la pronuncia di illegittimità
costituzionale, avendo l'amministrazione
inciso sulla sua validità mediante il potere
di autotutela
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 04.04.2012 n. 1002 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2011 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Sottotetto - Destinazione d'uso -
Variazione della destinazione d'uso di
sottotetto - Ingiunzione di riduzione in
pristino - Difformità parziale alla
concessione edilizia - Riscontrata presenza
degli impianti elettrici e termoidraulici -
Indizio rivelatore dell'avvenuto mutamento
della destinazione d'uso - Esclusione -
elementi compatibili con la possibile e
legittima destinazione della soffitta a
ripostiglio, guardaroba o simili.
Il ricorso è fondato per le ragioni che
seguono.
Invero, in base al citato art. 24, comma 6,
del regolamento edilizio comunale, nel
sottotetto destinato a soffitta sono
consentiti ripostigli, guardaroba o simili,
come pertinenze dell’abitazione, senza che
ciò comporti il mutamento della destinazione
in abitazione “permanente”.
Trattandosi nella fattispecie di ufficio, la
destinazione autorizzata era quella di
archivio ad esso pertinenziale, essendo
ovviamente esclusa la possibilità di
un’estensione dell’ufficio ubicato al
livello sottostante.
Ora, il provvedimento repressivo impugnato è
dotato di un apparato motivazionale completo
e sufficiente, posto che riporta i risultati
del sopralluogo eseguito (il cui rapporto
tecnico contiene una completa descrizione
delle opere eseguite in difformità dal
titolo ed è corredato da riproduzioni
fotografiche che confermano le riportate
conclusioni), le norme urbanistiche vigenti,
gli esiti del contraddittorio procedimentale
instaurato con la parte, lo specifico
oggetto della contestazione e la
qualificazione giuridica dell’abuso.
Ciò posto, il Collegio osserva che la
semplice finitura con intonaco e
tinteggiatura a civile, la pavimentazione in
legno, la presenza di un controsoffitto e
dell’impianto elettrico non integrano ex
se il contestato abuso, in quanto detti
elementi sono compatibili con la possibile e
legittima destinazione del sottotetto ad
archivio o deposito e non raggiungono,
perciò, la soglia di rilevanza dell’avvenuto
mutamento di destinazione d’uso.
La presenza, poi, di scaffali, tavoli con
soprastanti plastici, scrivanie con sedie
disposte in maniera non funzionale,
scatoloni in cartone e materiale vario
appare coerente con l’uso effettivo dei
locali come archivio-deposito.
Inoltre, dalle fotografie scattate durante
il sopralluogo e prodotte in giudizio
dall’Amministrazione emerge che
effettivamente i locali del sottotetto sono
adibiti ad archivio-deposito e che appaiono
assenti frazionamenti murari con la
creazione di vani separati o arredi ed
allestimenti idonei ad una fruizione
permanente di tali locali come estensione
dell’ufficio sottostante.
Dunque, poiché l'art. 24 del Regolamento
edilizio comunale consente la fruizione
pertinenziale dei locali accessori nei
sottotetti di altezza inferiore a 2,20 ml.,
a tale stregua non pare integrare alcun
autonomo abuso l’esistenza nei citati locali
di impianti che ne consentano il suddetto
utilizzo.
Il Collegio, infine, osserva che, se il
Comune vuole evitare espedienti attraverso i
quali possa realizzarsi un dissimulato ed
abusivo mutamento della destinazione d’uso
dei sottotetti, deve formulare norme
urbanistiche chiare e tassative: ad esempio,
deve prescrivere che nei sottotetti non
abitabili non sono consentite opere civili
come intonacatura, piastrellatura, parquet,
impianti elettrici, idraulici, telefonici o
citofonici, impianti satellitari, impianti
di riscaldamento, etc..
Se, infatti, è consentita dalla normativa
urbanistica comunale la destinazione dei
sottotetti, con altezza inferiore a mt. 2,20,
a soffitta, ripostiglio, guardaroba, o
simili, come pertinenze dell’abitazione
(nella specie, dell’ufficio), e se
addirittura le relative concessioni edilizie
autorizzano il collegamento del sottotetto
all’abitazione (nella specie, all’ufficio)
sottostante con scala interna, appare
incoerente poi sanzionare la presenza di
impianti e finiture che, di per sé, non
integrano il mutamento di destinazione d’uso
di tali ambienti, essendo funzionali a
quegli usi di migliore abitabilità ma non
residenziali, che lo stesso comune ha
autorizzato con le incongrue e perplesse
norme edilizie sopra riportate (TRGA
Trentino Alto Adige-Trento,
sentenza 07.09.2011 n. 226 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Intervento di
recupero abitativo di sottotetto -
Presupposti - Preesistenza del volume
sottotetto, praticabilità e abitabilità
originarie - Necessità.
Presupposto per il recupero abitativo dei
sottotetti, è che sia identificabile come
già esistente un volume sottotetto passibile
di recupero, cioè di riutilizzo a fini
abitativi: ciò richiede che il sottotetto
abbia, in partenza, dimensioni tali da
essere praticabile e da poter essere
abitabile, sia pure con gli aggiustamenti
che occorrono per raggiungere i requisiti
minimi di abitabilità - altezza media
ponderale m. 2.40, ex art. 63, ultimo comma, L.R. n. 12/2005.
Diversamente, l'intervento
si risolverebbe non già nel recupero di un
piano sottotetto, ma nella realizzazione di
un piano aggiuntivo, che eccede i caratteri
della ristrutturazione per integrare un
intervento di nuova costruzione (cfr. TAR
Milano, sent. n. 970/2010; Cons. di Stato,
sent. n. 2767/2005)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 02.09.2011 n.
2149 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: 1. Intervento di recupero
abitativo dei sottotetti - Proprietari fondi
vicini - Decorrenza termine di impugnazione
- Tempestiva.
2. Intervento di recupero
abitativo dei sottotetti - Art. 64, L.R. n.
12/2005 - Incremento altezze - Limiti -
Illegittimità.
1. La piena conoscenza di un titolo
edilizio, dalla quale decorre il termine di
impugnazione, si realizza, per i proprietari
dei fondi vicini, quando la costruzione
realizzata rivela in modo certo ed univoco
le essenziali caratteristiche dell'opera e
l'eventuale non conformità della stessa al
titolo o alla disciplina urbanistica:
pertanto, nel caso di un intervento di
recupero a fini abitativi del sottotetto, il
termine decorre non con il mero inizio dei
lavori, bensì con il loro completamento, a
meno che non venga provata una conoscenza
anticipata o si deducano censure di assoluta inedificabilità dell'area o analoghe
censure, nel qual caso risulta sufficiente
la conoscenza dell'iniziativa in corso.
2. L'art. 64 , c. 1, L.R.
n. 12/2005, nel consentire modificazioni
delle altezze di colmo e di gronda e delle
linee di pendenza delle falde, ammette
evidentemente l'incremento delle altezze nei
soli limiti strettamente funzionali ad
assicurare le condizioni minime di salubrità
agli spazi (resi) abitativi, sicché
l'altezza media di 2,40 metri deve ritenersi
ad un tempo altezza minima (per
l'abitabilità degli spazi) e altezza massima
(se comporta l'innalzamento delle linee di
colmo e di gronda del tetto).
Di conseguenza, non essendoci spazio per una
valutazione discrezionale
dell'Amministrazione in merito a tali limiti
regionali di altezza per gli interventi di
recupero di sottotetto, si deve ritenere
illegittimo l'intervento edilizio gravato
(tratto da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 05.07.2011 n.
1763 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Nel
consentire modificazioni delle altezze di
colmo e di gronda e delle linee di pendenza
delle falde “unicamente al fine di
assicurare i parametri di cui all'articolo
63, comma 6” della L.R. 12/2005 (cioè
l’altezza media ponderale di metri 2,40), si
ribadisce che l’art. 64, primo comma, l.r.
12/2005 ammette l’incremento delle altezze
nei soli limiti strettamente funzionali ad
assicurare le condizioni minime di salubrità
agli spazi (resi) abitativi, sicché
l’altezza media di 2,40 metri deve ritenersi
ad un tempo altezza minima (per
l’abitabilità degli spazi) e altezza massima
(se comporta l’innalzamento delle linee di
colmo e di gronda del tetto).
Ai sensi
dell’art. 63, c. 6, l. reg. Lombardia n.
12/2005 “il recupero abitativo dei
sottotetti è consentito purché sia
assicurata per ogni singola unità
immobiliare l'altezza media ponderale di
metri 2,40, ulteriormente ridotta a metri
2,10 per i comuni posti a quote superiori a
seicento metri di altitudine sul livello del
mare, calcolata dividendo il volume della
parte di sottotetto la cui altezza superi
metri 1,50 per la superficie relativa”.
L’art. 64, c. 1, l. reg. Lombardia n.
12/2005, prevede che “gli interventi
edilizi finalizzati al recupero volumetrico
dei sottotetti possono comportare l’apertura
di finestre, lucernari, abbaini e terrazzi,
per assicurare l’osservanza dei requisiti di
aeroilluminazione e per garantire il
benessere degli abitanti, nonché, ove lo
strumento urbanistico generale comunale
vigente risulti approvato dopo l’entrata in
vigore della l.r. 51/1975, modificazioni
delle altezze di colmo e di gronda e delle
linee di pendenza delle falde, purché nei
limiti di altezza massima degli edifici
posti dallo strumento urbanistico ed
unicamente al fine di assicurare i parametri
di cui all’articolo 63, comma 6”.
Come questo Tribunale ha già affermato, nel
consentire modificazioni delle altezze di
colmo e di gronda e delle linee di pendenza
delle falde “unicamente al fine di
assicurare i parametri di cui all'articolo
63, comma 6” (cioè l’altezza media
ponderale di metri 2,40), che l’art. 64, primo
comma, l.r. 12/2005 ammette evidentemente
l’incremento delle altezze nei soli limiti
strettamente funzionali ad assicurare le
condizioni minime di salubrità agli spazi
(resi) abitativi, sicché l’altezza media di
2,40 metri deve ritenersi ad un tempo
altezza minima (per l’abitabilità degli
spazi) e altezza massima (se comporta
l’innalzamento delle linee di colmo e di
gronda del tetto) (Tar Lombardia, Milano,
sez. II, 29.10.2009, n. 4941).
Anche la sentenza di questo Tribunale,
22.01.2010, n. 195, invocata dalla difesa
dell’amministrazione resistente, non ha
affatto affermato principi contrastanti con
quelli qui richiamati: nel sostenere che,
nel caso in cui le necessità tecniche
rendano necessario realizzare altezze medie
ponderali sull’intera unità immobiliare
superiori, le altezze eccedenti debbono
essere costituite da vani tecnici od altre
strutture che escludano l’utilizzo a fini
abitativi (circostanza che nel caso di
specie non ricorre), ha comunque tenuto ben
ferma l’interpretazione dell’art. 63, c. 6,
l. reg. Lombardia n. 12/2005, secondo cui il
limite ivi previsto costituisce sia limite
minimo che limite massimo.
Il Collegio non condivide quanto affermato
dalla difesa dell’amministrazione circa la
sussistenza di un potere discrezionale della
p.a. finalizzato alla tutela del benessere
dei cittadini e della salubrità delle
abitazioni, ponendo la legge regionale il
limite di altezza quale requisito perché
l’intervento possa essere qualificato quale
recupero di sottotetto, senza lasciare,
dunque, alcuno spazio a valutazioni
discrezionali.
Le esigenze di salubrità degli ambienti sono
state oggetto di valutazione da parte del
legislatore regionale, senza che sia,
quindi, consentito all’amministrazione
comunale derogare al limite posto dalla
legge regionale, invocando differenti limiti
previsti dai regolamenti di igiene.
Essendo incontestato che l’intervento
edilizio in questione prevede la
realizzazione di appartamenti con altezze
medie ponderali superiori ai m. 2,40, le
denuncie di inizio attività impugnate si
pongono, dunque, in contrasto con la legge
regionale n. 12/2005
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 05.07.2011 n. 1763 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Ingiunzione di
demolizione - Recupero abitativo di
sottotetto - Richiesta di convenzione per
l'edificazione a confine - Limitazione della L.R. n. 15/1996 - Illegittimità.
La richiesta di integrazione documentale, in
relazione ad una D.I.A. per recupero a fini
abitativi del sottotetto, avanzata dal
Comune e volta ad imporre alla ricorrente
una convenzione per l'edificazione a confine
non prescritta dalla vigente normativa
regionale e neppure adeguatamente motivata,
configura un illegittimo modus operandi
dell'Amministrazione in quanto finalizzato a
limitare l'ambito applicativo della L.R.
15.07.1996 n. 15 (che incentiva gli
interventi di recupero abitativo dei
sottotetti consentendoli anche in deroga
agli indici e parametri urbanistici ed
edilizi previsti in P.R.G.) e non può
conseguentemente essere legittimamente posta
a fondamento dell'ingiunzione di demolizione
gravata
(tratto da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 05.07.2011 n.
1758 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L’edificio oggetto di recupero
del sottotetto, pur rientrando in zona A di
PRG, è frontista di un edificio ricadente in
zona F2 posto a distanza inferiore a mt. 10
dal medesimo, e il DM 1444/1968 non prevede
deroga della distanza minima di mt. 10 dai
fabbricati se non esclusivamente nell’ambito
di pianificazione urbanistica ovvero
mediante l’approvazione di appositi piani
attuativi fra edifici omogenei.
- Il recupero di un sottotetto a fini
abitativi va considerato correttamente come
nuova costruzione ed è poi, comunque,
soggetto alla disciplina del D.M. 02.04.1968
n. 1444 in tema di distanze.
- Il problema relativo alla distanza tra
fabbricati si pone non fra immobili siti
entrambi in zona A, ma fra l’edificio del
ricorrente in zona A e altro sito in zona
F2. Ciò posto, se anche si ammettesse la
possibilità di una deroga alla norma
generale dell’art. 9 D.M. 1444/1968 per il
caso di nuove costruzioni che interessino la
sola zona A, detta deroga non si potrebbe
estendere al caso presente, di immobili siti
in zone diverse. A ciò osta in primo luogo
il carattere di norma imperativa del D.M.
1444/1968, che, come correttamente rilevato
dalla difesa comunale, ammette deroga solo
nell’ambito di una ragionata pianificazione
urbanistica. Osta poi in secondo luogo la
mancanza di identità fra i due casi: una
deroga interpretativa per la sola zona A
potrebbe giustificarsi in base all’esigenza
di preservare il carattere “spontaneo” dei
centri storici, cresciuti in aderenza fra i
vari edifici, esigenza non ricorrente nel
rapporto fra zone diverse.
Il provvedimento in epigrafe, prodotto in
copia dal ricorrente sub A, denega il
rilascio del richiesto permesso di costruire
“considerato che l’edificio oggetto
dell’intervento proposto, pur rientrando in
zona A di PRG, è frontista di un edificio
ricadente in zona F2 posto a distanza
inferiore a mt. 10 dal medesimo, e il DM
1444/1968 non prevede deroga della distanza
minima di mt. 10 dai fabbricati se non
esclusivamente nell’ambito di pianificazione
urbanistica ovvero mediante l’approvazione
di appositi piani attuativi fra edifici
omogenei”, deroghe tutte che, come
pacifico in causa, nella specie non
constano.
---------------
Il recupero di un sottotetto a fini
abitativi va considerato correttamente come
nuova costruzione, come risulta da C.d.S.
sez. V 24.02.1999 n. 195 nonché da TAR
Lombardia Milano sez. II 10.12.2010 n. 7505
e, nella giurisprudenza della Sezione, dalla
sentenza sez. I 29.09.2009 n. 1712, citata
anche dal ricorrente; è poi comunque
soggetto alla disciplina del D.M. 02.04.1968
n. 1444 in tema di distanze, così come
ritenuto da C.d.S. sez. V 19.10.1999 n.
1565, pure citata dal ricorrente.
---------------
Non appare pertinente al caso di specie la
questione relativa alla applicabilità del
limite di distanza di 10 metri per il caso
di nuove costruzioni anche al caso in cui
esse si collochino in zona A.
Infatti, come evidenzia il provvedimento
impugnato, il problema relativo alla
distanza si pone non fra immobili siti
entrambi in zona A, ma fra l’edificio del
ricorrente in zona A e altro sito in zona
F2. Ciò posto, se anche si ammettesse la
possibilità di una deroga alla norma
generale dell’art. 9 D.M. 1444/1968 per il
caso di nuove costruzioni che interessino la
sola zona A, detta deroga non si potrebbe
estendere al caso presente, di immobili siti
in zone diverse.
A ciò osta in primo luogo il carattere di
norma imperativa del D.M. 1444/1968, che,
come correttamente rilevato dalla difesa
comunale, ammette deroga solo nell’ambito di
una ragionata pianificazione urbanistica.
Osta poi in secondo luogo la mancanza di
identità fra i due casi: una deroga
interpretativa per la sola zona A potrebbe
giustificarsi in base all’esigenza di
preservare il carattere “spontaneo”
dei centri storici, cresciuti in aderenza
fra i vari edifici, esigenza non ricorrente
nel rapporto fra zone diverse
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 28.06.2011 n. 996 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Recupero
abitativo di sottotetti esistenti - Art. 63 L.R. 12/2005 - Condizioni e limiti.
Ex art. 63 L.R. n. 12/2005 è consentito
il recupero volumetrico a scopo residenziale
del piano sottotetto negli edifici -destinati a residenza per almeno il
venticinque per cento della superficie lorda
di pavimento complessiva- esistenti alla
data del 31.12.2005, o assentiti sulla
base di permessi di costruire rilasciati
entro l'01.12.2005; mentre negli
edifici (sempre che siano destinati a
residenza per almeno il venticinque per
cento della superficie lorda di pavimento
complessiva) realizzati sulla base di
permessi di costruire rilasciati
successivamente al 31.12.2005, ovvero
di denunce di inizio attività presentate
successivamente all'01.12.2005, il recupero
del sottotetto è consentito a condizione che
siano decorsi cinque anni dalla data di
conseguimento dell'agibilità, anche per
silenzio-assenso
(tratto da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 08.06.2011 n.
1469 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Lombardia, sottotetti
e distanze: la Corte Costituzionale
ribadisce l'obbligatorietà del rispetto
dell'art. 9 D.M. 1444/1968.
Con l'ordinanza
19.05.2011 n. 173 la Corte
Costituzionale ha rigettato la questione di
incostituzionalità dell'articolo 64, c. 2°,
della legge della Regione Lombardia
11/03/2005, n. 12, come sostituito dall'art.
1, c. 1°, lett. d), della legge della
Regione Lombardia 27/12/2005, n. 20,
sollevata dal
Tribunale
civile di Brescia, Sez. III, con l'ordinanza
22.02.2010.
Il Tribunale rilevava che se si dovesse,
come impone l'articolo 64 in questione,
qualificare ^ristrutturazione^ la
realizzazione di sottotetti anche quando la
modificazione della sagoma dell'edificio
preesistente comportasse una diminuzione
delle distanze da edifici esistenti
inferiore a quella di cui al D.M. 1444/1968,
art. 9, ciò si risolverebbe nella
disapplicazione di una normativa di rango
superiore quale, per l'appunto, il D.M.
1444, nonché lo stesso Testo Unico
dell'Edilizia, per il quale la
ristrutturazione edilizia non può comportare
aumento di sagoma e volume (art. 3 D.P.R.
380/2001), diversamente essendo in presenza
di nuova costruzione, come tale computabile
ai fini della applicazione degli standard
edilizi indicati dagli strumenti urbanistici
locali, a loro volta, invece, disapplicati.
Non è vero, quindi, come afferma il TAR
Lombardia nella decisione 153/2009, che la
lettura comparata delle disposizioni
regionali e nazionali deve suggerire una
interpretazione delle prime conforme a
legittimità a scapito di una non di
legittimità, poiché nella fattispecie il
legislatore regionale ha intenzionalmente
qualificato il recupero dei sottotetti come
ristrutturazione, al fine di sottrarli alla
applicazione delle disposizioni di rango
superiore.
Nulla di tutto ciò, afferma la Corte, è
rinvenibile nella fattispecie, che
circoscrivendo la questione alla
disapplicazione del D.M. 1444 in punto
distanze, rileva che che l’art. 64, comma 2,
della legge della Regione Lombardia n. 12
del 2005, in accordo con la giurisprudenza
assolutamente maggioritaria, deve
interpretarsi nel senso che esso consente sì
la deroga dei parametri e indici urbanistici
ed edilizi di cui al regolamento locale
ovvero al piano regolatore comunale, ma
fatto salvo il rispetto della disciplina
sulle distanze tra fabbricati, essendo
quest’ultima materia inerente
all’ordinamento civile e rientrante nella
competenza legislativa esclusiva dello
Stato.
Da ciò la manifesta inammissibilità della
questione, avendo il giudice rimettente
fondato il proprio ragionamento in ordine
alla rilevanza su un erroneo presupposto
interpretativo, ossia che la normativa
lombarda sui sottotetti consentisse la
deroga a norme di rango superiore, quale,
per l'appunto, il D.M. 1444 in tema di
distanze.
Nulla cambia, dunque, in materia ed anzi la
decisione della Corte costituisce ultima e
definitiva conferma dell'orientamento
diffuso secondo cui nessuna normativa
liberalizzatrice in tema di recupero
sottotetti (e per estensione anche di
ristrutturazione edilizia) non può
estendersi sino a derogare le distanze
fissate dall'articolo 9 del D.M. 1444/1968,
recepito o meno negli strumenti urbanistici.
Va puntualizzato che restano invece, queste
sì, derogate, le disposizioni locali diverse
dalla mera riproposizione dell'articolo 9 in
materia di distanze tra fabbricati, ad
esempio nel caso di distanze dai confini,
che il D.M., per l'appunto, non tratta
(commento tratto da http://studiospallino.blogspot.com
- link a www.studiospallino.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Recupero
abitativo dei sottotetti esistenti - Art.
64, L.R. Lombardia n. 12/2005 - Piano
regolatore successivo all'edificazione dello
stabile - Altezza massima degli edifici -
Ulteriore innalzamento da recupero del
sottotetto - Inammissibilità.
2. Recupero
abitativo dei sottotetti esistenti -
Realizzazione di locale sottotetto con vani
distinti e comunicanti con il piano
sottostante mediante una scala interna -
Natura di vani tecnici - Non sussiste -
Fattispecie.
1.
La ratio dell'art. 64 della L.R. 12/2005,
laddove vieta il superamento dei limiti di
altezza previsti dagli strumenti
urbanistici, è senza dubbio quella di
evitare che attraverso il recupero abitativo
dei sottotetti esistenti vengano nei fatti
eluse o violate le prescrizioni urbanistiche
vincolanti in tema di altezza massima di
edifici, giacché tale superamento finirebbe
per aggravare carichi urbanistici spesso
assai consistenti, ponendo così in
discussione equilibri urbanistici talora
fragili, soprattutto nell'agglomerato urbano
milanese.
Di conseguenza, laddove uno
stabile già superi l'altezza massima
prevista da disposizioni di piano successive
alla sua edificazione, non può consentirsi
un ulteriore innalzamento, derivante dal
recupero del sottotetto, in quanto ciò
sarebbe eccessivamente lesivo dell'interesse
della collettività al rispetto dei carichi
urbanistici della zona (cfr. TAR Milano,
sent. n. 7612/2010).
2.
La realizzazione di un locale sottotetto
con vani distinti e comunicanti con il piano
sottostante mediante una scala interna è
indice rivelatore dell'intento di rendere
abitabile detto locale, non potendosi
considerare volumi tecnici i vani in esso
ricavati (nel caso di specie si è voluto
creare un locale con requisiti di
abitabilità, rendendolo non abitabile con
una semplice operazione di tamponamento
delle finestre) (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 29.04.2011 n.
1105 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
“ratio” dell’art. 64 della LR Lombardia
12/2005, laddove vieta il superamento dei
limiti di altezza previsti dagli strumenti
urbanistici, è senza dubbio quella di
evitare che attraverso il recupero abitativo
dei sottotetti esistenti vengano nei fatti
eluse o violate le prescrizioni urbanistiche
vincolanti in tema di altezza massima di
edifici, giacché tale superamento finirebbe
per aggravare carichi urbanistici spesso
assai consistenti, ponendo così in
discussione equilibri urbanistici talora
fragili, soprattutto nell’agglomerato urbano
milanese.
Di conseguenza, laddove uno stabile già
supera l’altezza massima prevista da
disposizioni di piano successive alla sua
edificazione, non può consentirsi un
ulteriore innalzamento, derivante dal
recupero del sottotetto, in quanto ciò
sarebbe eccessivamente lesivo dell’interesse
della collettività al rispetto dei carichi
urbanistici della zona.
La circostanza che il nuovo progetto preveda
la non abitabilità dell’immobile realizzato,
in quanto sono state tamponate le finestre,
non può indurre a ritenere che il nuovo
edificato non venga computato ai fini
dell’altezza.
Sul profilo dell’altezza si richiama
l’orientamento di questa Sezione (n.
7612/2010) laddove si è affermato, in un
caso simile in cui le NTA prevedono il
limite di altezza di 10 metri, che “la
“ratio” dell’art. 64 della LR 12/2005,
laddove vieta il superamento dei limiti di
altezza previsti dagli strumenti
urbanistici, è senza dubbio quella di
evitare che attraverso il recupero abitativo
dei sottotetti esistenti vengano nei fatti
eluse o violate le prescrizioni urbanistiche
vincolanti in tema di altezza massima di
edifici, giacché tale superamento finirebbe
per aggravare carichi urbanistici spesso
assai consistenti, ponendo così in
discussione equilibri urbanistici talora
fragili, soprattutto nell’agglomerato urbano
milanese.
Di conseguenza, laddove uno stabile già
supera l’altezza massima prevista da
disposizioni di piano successive alla sua
edificazione, non può consentirsi un
ulteriore innalzamento, derivante dal
recupero del sottotetto, in quanto ciò
sarebbe eccessivamente lesivo dell’interesse
della collettività al rispetto dei carichi
urbanistici della zona.”
(TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 29.04.2011 n. 1105 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
sopraelevazione, anche se di dimensioni
ridotte, costituisce una nuova costruzione,
con la conseguente applicazione delle
distanze legali.
Con sentenza 11.04.2001 il tribunale di
Como, sulla domanda proposta da ... contro
... con citazione 15.06.1992 per il rispetto
delle distanze legali e sulla
riconvenzionale del convenuto, ordinava la
demolizione delle parti dell'edificio
dell'attore realizzate in sopraelevazione a
meno di 5 metri dal confine con condanna ai
danni.
... la Corte di appello ha condiviso la tesi
del Tribunale secondo cui la
sopraelevazione, anche se di dimensioni
ridotte, costituisce una nuova costruzione,
con la conseguente applicazione delle
distanze legali (Cass. 8954/2000, 1474/1999)
ed ha richiamato il regolamento edilizio del
Comune (Corte di Cassazione, Sez. II civile,
sentenza 08.04.2011 n. 8091). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Distanza minima
tra edifici - Art. 9 D.M. 1444/1968 -
Sopraelevazioni e recupero sottotetti -
Rispetto delle distanze - Necessità.
2. Distanza minima
tra edifici - Art. 9 D.M. 1444/1968 -
Sopraelevazioni e recupero sottotetti -
Rispetto delle distanze - Necessità - Ratio.
1. Le porzioni di edificio risultanti dal
recupero ai fini abitativi dei sottotetti
esistenti devono considerarsi, ai fini del
rispetto dell'art. 9, D.M. 1444/1968, quali
nuove costruzioni, con la conseguenza che
devono necessariamente essere collocate ad
almeno 10 metri dalla parete dell'edificio
antistante.
2. L'art. 9, D.M. 1444/1968, è norma di
ordine pubblico, insuscettibile di deroga
negli strumenti urbanistici e nei
regolamenti locali (salvo peculiari
eccezioni, non riscontrabili però nel caso
di specie), volta ad impedire la
realizzazione di intercapedini nocive sotto
il profilo igienico, sicché deve essere
rispettata anche in caso di sopraelevazioni
o di recupero di sottotetti (cfr. Cons. di
Stato, sent. n. 7731/2010; TAR Milano,
sent. nn. 264/2011, 7511/2010, 3262/2010,
1991/2007; TAR Liguria, sent. n.
10243/2010; TAR Brescia, sent. n. 3240/2010) (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 05.04.2011 n.
902 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Recupero
dei sottotetti - Distanza inderogabile di 10
metri tra i fabbricati.
Le porzioni di edificio risultanti dal
recupero ai fini abitativi dei sottotetti
esistenti devono considerarsi, ai fini del
rispetto dell'art. 9 DM 1444/1968, quali
nuove costruzioni, con la conseguenza che
dovranno necessariamente essere collocate ad
almeno 10 metri dalla parete dell’edificio
antistante.
Questa conclusione si fonda sull’indirizzo
giurisprudenziale pacifico, costantemente
seguito da questa Sezione e confermato
costantemente dal Consiglio di Stato (cfr.
TAR Lombardia, Milano, sez. II, 26.04.2007,
n. 1991; 26.07.2010, n. 3262; 10.12.2010, n.
7511; 28.01.2011, n. 264; Consiglio di
Stato, sez. V, 02.11.2010, n. 7731; TAR
Liguria, sez. I, 03.11.2010, n. 10243 e TAR
Lombardia, Brescia, sez. I, 27.08.2010, n.
3240), secondo cui l’art. 9 menzionato è
norma di ordine pubblico, insuscettibile di
deroga negli strumenti urbanistici e nei
regolamenti locali (salvo peculiari
eccezioni, non riscontrabili però nel caso
di specie), volta ad impedire la
realizzazione di intercapedini nocive sotto
il profilo igienico, sicché deve essere
rispettata anche in caso di sopraelevazioni
o di recupero di sottotetti (si veda anche,
con specifico riguardo alla Regione
Lombardia, l’art. 103 comma 1-bis della
legge regionale 12/2005, per il quale: <<Ai
fini dell'adeguamento, ai sensi
dell'articolo 26, commi 2 e 3, degli
strumenti urbanistici vigenti, non si
applicano le disposizioni del decreto
ministeriale 02.04.1968, n. 1444 (...),
fatto salvo, limitatamente agli interventi
di nuova costruzione, il rispetto della
distanza minima tra fabbricati pari a dieci
metri, derogabile all'interno di piani
attuativi>>).
La circostanza che gli edifici delle
ricorrenti e quello oggetto dell’intervento
di recupero siano tutte inserite nel
medesimo condominio appare assolutamente
irrilevante, tenuto conto della finalità
della citata norma del DM 1444/1968,
finalità di stampo pubblicistico che non può
certo essere derogata per il solo fatto che
esistono porzioni immobiliari comuni ai tre
edifici, tali da realizzare un condominio.
Ciò premesso, sono evidenti sia
l’inosservanza dell’art. 9 sopra richiamato,
sia il difetto di istruttoria in cui è
incorsa l’Amministrazione resistente.
L’accoglimento dei motivi sopra indicati
relativi alla violazione dell’art. 9 del DM
1444/1968 ha carattere assorbente rispetto
alle altre censure, in particolare rispetto
a quelle relative all’inosservanza dell’art.
63 della LR 12/2005 ed alla presunta
proprietà comune –e non individuale– del
tetto dell’immobile oggetto dell’intervento
di recupero.
Non appare, infatti, possibile procedere in
ogni caso al recupero del sottotetto,
ostandovi la previsione inderogabile del
citato art. 9 sulla distanza minima fra
pareti finestrate e pareti di edifici
antistanti
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 05.04.2011 n. 902 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Recupero sottotetti -
Art. 64, L.R. n. 12/2005 - Derogabilità dei
limiti e delle prescrizioni degli strumenti
pianificatori comunali - Sussiste.
Il recupero dei sottotetti ai sensi
dell'art. 64, L.R. n. 12/2005 è consentito
anche in deroga ai limiti e alle
prescrizioni degli strumenti pianificatori
comunali vigenti o adottati, con salvezza
dei limiti enucleati dalla legge regionale
(massima
tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 29.03.2011 n.
841 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
D.I.A. - Recupero abitativo sottotetto - L.R. 12/2005 nella formulazione anteriore
alla L.R. 20/2005 - Recupero abitativo in
deroga agli indici o parametri urbanistici -
Impossibilità.
La L.R. 12/2005, nella sua originaria
formulazione anteriore alle modifiche
introdotte con L.R. 20/2005, non consente il
recupero abitativo dei sottotetti in deroga
agli indici o parametri urbanistici (cfr.
Cons. di Stato, sent. n. 7770/2006, n.
1410/2007) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 17.01.2011 n.
79 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2010 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
1. Recupero
abitativo dei sottotetti esistenti -
Derogabilità degli indici o parametri
urbanistici - Art. 3, comma 3, L.R.
Lombardia n. 15/1996 - Mancata allegazione
di documentazione interente agli indici -
Invalidità della d.i.a. - Non sussiste -
Irregolarità della d.i.a. - Sussiste.
2. Recupero
abitativo dei sottotetti esistenti -
Incremento volumetrico - Art. 3, comma 3, L.R. Lombardia n. 15/1996 - Contrasto con
l'art. 14 D.P.R. n. 380/2001 - Non sussiste
- Lesione della potestà comunale in materia
di governo del territorio - Non sussiste.
1. Poiché l'art. 3, terzo comma, L.R. n. 15/
1996 consente il recupero abitativo dei
sottotetti anche "in deroga agli indici o
parametri urbanistici ed edilizi previsti
dagli strumenti urbanistici generali vigenti
ed adottati", ne consegue che degrada a mera
irregolarità, insuscettibile di infirmare la
validità della d.i.a, la mancata allegazione
di un documento (nella specie, scheda
sinottica di calcolo e di confronto) volto a
verificare il rispetto di indici che la
legge regionale consente di superare.
2. L'incremento volumetrico, nei limiti
strettamente necessari al recupero abitativo
dei sottotetti negli edifici adibiti in
tutto o in parte a residenza, per le
finalità e gli obiettivi esplicitati
dall'art. 1, L.R. n. 15/1996 (contenere il
consumo di nuovo territorio e favorire la
messa in opera di interventi tecnologici per
il contenimento dei consumi energetici), è
ammesso dalla stessa legge regionale, con
una norma di carattere generale (art. 3,
comma 3), la quale non interferisce con il
principio fissato dalla legislazione statale
(art. 14 D.P.R. n. 380/2001) che vieta, nei
casi particolari, il rilascio di concessioni
in deroga se non per la costruzione di
edifici pubblici o di interesse pubblico.
Né
è ravvisabile una lesione della potestà
comunale in materia di governo del
territorio, sia perché le relative funzioni
sono esercitate dai Comuni nell'ambito delle
leggi regolatrici della materia (che la
Regione è abilitata a dettare in quanto
titolare di potestà legislativa
concorrente), sia perché le prerogative
comunali restano salvaguardate dall'art. 1,
comma 7, L.R. n. 15/1996, che consente ai
Comuni stessi di escludere, con motivata
deliberazione, l'applicazione della
normativa sui sottotetti in determinate zone
del proprio territorio (principio rifluito
nell'ora vigente art. 65, L.R. n. 12/2005
sul governo del territorio) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 27.12.2010 n.
7709 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Recupero
abitativo dei sottotetti esistenti - Art.
64, L.R. Lombardia n. 12/2005 - Piano
regolatore successivo all'edificazione dello
stabile - Altezza massima degli edifici -
Ulteriore innalzamento da recupero del
sottotetto - Non è ammissibile.
La ratio dell'art. 64 della L.R. 12/2005,
laddove vieta il superamento dei limiti di
altezza previsti dagli strumenti
urbanistici, è senza dubbio quella di
evitare che attraverso il recupero abitativo
dei sottotetti esistenti vengano nei fatti
eluse o violate le prescrizioni urbanistiche
vincolanti in tema di altezza massima di
edifici, giacché tale superamento finirebbe
per aggravare carichi urbanistici spesso
assai consistenti, ponendo così in
discussione equilibri urbanistici talora
fragili, soprattutto nell'agglomerato urbano
milanese. Di conseguenza, laddove uno
stabile già supera l'altezza massima
prevista da disposizioni di piano successive
alla sua edificazione, non può consentirsi
un ulteriore innalzamento, derivante dal
recupero del sottotetto, in quanto ciò
sarebbe eccessivamente lesivo dell'interesse
della collettività al rispetto dei carichi
urbanistici della zona (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 20.12.2010 n.
7612 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sul recupero del sottotetto in
Lombardia con innalzamento di quota in
merito: alla distanza minima dai confini di
proprietà, al rispetto della distanza di mt.
10,00 tra pareti finestrate di cui anche
abusiva, alla nozione di sottotetto utile da
recuperare in deroga ex L.R. 12/2005.
Occorre precisare in primo luogo che la
qualificazione del recupero del sottotetto
come ristrutturazione non è idonea da sola a
rendere automaticamente possibile la
sopraelevazione dell’edificio.
La ristrutturazione è una categoria di
interventi edilizi che si può ripartire in
due sottogruppi: da un lato la
ristrutturazione pesante di cui all’art. 10,
comma 1, lett. c), del DPR 380/2001 (ossia
quella che conduce a un organismo edilizio
in tutto o in parte diverso dal precedente e
comporta aumento di unità immobiliari o
modifiche del volume, della sagoma, dei
prospetti, delle superfici) e dall’altro la
ristrutturazione leggera (definita per
residualità).
La ristrutturazione pesante equivale nella
sostanza a una nuova costruzione che si
aggiunge a una costruzione esistente. In
questo quadro la scelta del legislatore
regionale di definire il recupero del
sottotetto come ristrutturazione non ha
contenuto innovativo ma si limita a
utilizzare il concetto di ristrutturazione
pesante già presente nella normativa
statale.
Il problema diventa allora fino a che punto
la ristrutturazione pesante abbia regole
diverse dalla nuova edificazione su area
libera. In negativo, ovvero sotto il profilo
sanzionatorio, non vi è nessuna differenza,
in quanto l’art. 33, comma 6-bis, e l’art.
34, comma 2-bis, del DPR 380/2001 prevedono
anche in questo caso l’applicazione di
misure ripristinatorie o in subordine
pecuniarie come negli abusi edilizi
maggiori. In positivo, ovvero per quanto
riguarda i diritti edificatori, dipende dal
grado di resistenza delle norme che devono
essere derogate.
Relativamente alla distanza dai confini si
può ritenere che il recupero del sottotetto
comportante sopraelevazione possa avvenire
in deroga alle previsioni stabilite negli
strumenti urbanistici comunali.
In via generale la giurisprudenza (v. Cass.
civ. Sez. II 11.06.2008 n. 15527; Cass. civ.
Sez. II 12.01.2005 n. 400; Cass. civ. Sez.
II 27.05.2003 n. 8420; Cass. civ. Sez. II
08.01.2001 n. 200) si attiene alla seguente
regola:
(a) la sopraelevazione, comportando nuovo
volume, richiede sempre il rispetto della
distanza dai confini indipendentemente dal
fatto che in origine vi sia stata
prevenzione nei confronti del proprietario
confinante;
(b) tuttavia la normativa comunale può
stabilire se e a quali condizioni sia
ammessa la costruzione senza arretramento.
Nel caso del sottotetto è direttamente il
legislatore regionale che pone la
disciplina, sovrapponendosi alle scelte dei
singoli comuni, con un chiaro favore per la
realizzabilità di questo tipo di interventi.
L’art. 64, comma 1, della LR 12/2005
consente modificazioni delle altezze di
colmo e di gronda e delle linee di pendenza
delle falde (con il solo limite dell’altezza
massima di zona) senza alcun riferimento
all’arretramento dei muri esterni in
relazione alla distanza dai confini.
L’art. 64, comma 2, della LR 12/2005 precisa
ulteriormente che il recupero del sottotetto
è ammesso anche in deroga ai limiti e alle
prescrizioni degli strumenti urbanistici
comunali, ad eccezione del reperimento di
spazi per parcheggi pertinenziali.
La finalità che emerge da queste norme è di
far prevalere su ogni diversa valutazione
comunale l’interesse all’insediamento di
nuova volumetria residenziale in continuità
con le costruzioni sottostanti. Vi è quindi
incompatibilità logica con il vincolo della
distanza minima dai confini, che potrebbe
compromettere l’utilità del recupero del
sottotetto e alterare in modo disarmonico la
sagoma degli edifici.
Poiché il legislatore regionale si è
sostituito ai comuni in una materia nella
disponibilità dei comuni stessi non vi sono
altre ragioni che si oppongano alla
possibilità di sopraelevare lungo il
perimetro dell’edificio esistente.
La situazione cambia però radicalmente
quando la sopraelevazione si collochi di
fronte a pareti finestrate. In questo caso
la distanza minima di 10 metri prevista (al
di fuori della zona A) dall’art. 9, comma 1,
n. 2, del DM 1444/1968 costituisce un
ostacolo insuperabile.
La giurisprudenza ha chiarito che questa
norma per la sua genesi (è stata adottata ex
art. 41-quinquies, comma 8, della legge
17.08.1942 n. 1150, come introdotto
dall’art. 17 della 06.08.1967 n. 765) e per
la sua funzione igienico-sanitaria (evitare
intercapedini malsane) costituisce un
principio inderogabile della materia.
In particolare si tratta di una norma che
prevale sia sulla potestà legislativa
regionale, in quanto integra la disciplina
privatistica delle distanze (v. C.Cost.
16.06.2005 n. 232), sia sulla potestà
regolamentare e pianificatoria dei comuni,
in quanto deriva da una fonte normativa
statale sovraordinata (v. Cass. civ. Sez. II
31.10.2006 n. 23495), sia infine
sull’autonomia negoziale dei privati, in
quanto tutela interessi pubblici che per la
loro natura igienico-sanitaria non sono
nella disponibilità delle parti (v. CS Sez.
IV 12.06.2007 n. 3094).
Si può aggiungere che un’interpretazione
costituzionalmente orientata dell’art. 64
della LR 12/2005 impedisce di leggervi una
deroga estesa anche all’art. 9 del DM
1444/1968.
La Corte Costituzionale nella sentenza n.
232/2005 afferma al punto 4 che le normative
locali (regionali o comunali) possono
prevedere distanze inferiori alla misura
minima, però fissa precisi limiti (“le
deroghe, per essere legittime, devono
attenere agli assetti urbanistici e quindi
al governo del territorio e non ai rapporti
tra vicini isolatamente considerati in
funzione degli interessi privati dei
proprietari dei fondi finitimi”).
Se ne deduce che l’introduzione di deroghe è
consentita solo nell’ambito della
pianificazione urbanistica, come
nell’ipotesi espressamente prevista
dall’art. 9 comma 3 del DM 1444/1968, che
riguarda edifici tra loro omogenei perché
inseriti in un piano particolareggiato o in
un piano di lottizzazione (per una
fattispecie relativa al centro storico v.
TAR Brescia Sez. I 29.09.2009 n. 1712).
Di conseguenza non è possibile per la legge
regionale (e nemmeno per gli strumenti
urbanistici comunali) intervenire nei
rapporti tra i privati autorizzando in via
generale la sopraelevazione in deroga alla
distanza minima dalle pareti finestrate: la
deroga può essere inserita unicamente in una
previsione normativa dedicata a una
situazione urbanistica particolare in una
precisa zona del territorio.
In questo modo si ottiene una ragionevole
garanzia circa il fatto che gli interessi
pubblici coinvolti (e specificamente quelli
di natura igienico-sanitaria) siano stati in
concreto valutati e tutelati mediante
soluzioni planivolumetriche adeguate.
Estendendo questa linea argomentativa si può
sostenere che la deroga alla distanza minima
dalle pareti finestrate diventa ammissibile
quando non vi siano in concreto pericoli di
peggioramento delle condizioni
igienico-sanitarie all’interno delle
abitazioni servite dalle finestre.
Questa situazione può verificarsi in
fattispecie particolari, ad esempio quando
il muro da sopraelevare non si trovi
esattamente in corrispondenza della parete
finestrata (v. TAR Brescia Sez. I 03.07.2008
n. 788).
Nel caso in esame i ricorrenti con le due
DIA in variante (v. sopra ai punti 4 e 7)
hanno cercato di limitare la sopraelevazione
nella porzione del muro di confine che
fronteggia il cavedio con la parete
finestrata, tuttavia non è stato dimostrato
che attraverso queste modifiche il progetto
lasci del tutto immutata la condizione dei
locali che ricevono luce e aria dalle
finestre. In realtà per raggiungere questo
obiettivo sarebbe necessario garantire alle
finestre una fascia di rispetto (intesa come
volume vuoto) di ampiezza tale da rendere
neutre le sopraelevazioni ai lati.
Si osserva che il vincolo della distanza
minima dalle pareti finestrate è efficace
anche quando la presenza delle finestre sia
abusiva. L’interesse pubblico di natura
igienico-sanitaria che vieta la formazione
di intercapedini malsane vale infatti in
qualunque situazione, indipendentemente
dalla regolarità della costruzione, in
quanto non si colloca soltanto sul piano
urbanistico ma coinvolge anche la tutela
della salute.
È quindi necessario ottenere prima la
rimozione dell’abuso: l’eliminazione delle
finestre abusive determina di conseguenza
anche la fuoriuscita dalla fattispecie di
cui all’art. 9 del DM 1444/1968. Nel caso in
esame i ricorrenti sostengono che il
cavedio, in corrispondenza del primo piano,
sarebbe stato realizzato abusivamente in
luogo di un ripostiglio senza finestre.
Peraltro la licenza edilizia relativa a
questi lavori è del 1965 e quindi l’altezza
del cavedio e la presenza delle relative
finestre sono ormai elementi consolidati
anche sotto il profilo giuridico.
L’art. 63,
comma 1-bis, della LR 12/2005 definisce il
sottotetto come il volume sovrastante
l'ultimo piano degli edifici dei quali sia
stato eseguito il rustico e completata la
copertura.
La norma non richiede che lo spazio sia
praticabile e non indica la volumetria o
l’altezza minima che distinguono il
sottotetto dalle semplici intercapedini. In
considerazione del favore legislativo per
gli interventi di recupero è preferibile
aderire a un’interpretazione estensiva della
nozione di sottotetto, qualificando come
tale qualsiasi volume non del tutto
irrilevante che sia compreso tra il solaio e
le falde del tetto e abbia la funzione di
tenere separati questi elementi
architettonici. La soglia di rilevanza può
variare a seconda della morfologia
dell’edificio.
Nel caso in esame l’altezza di 0,91 metri
(media tra il valore minimo di 0,60 metri e
quello massimo di 1,22 metri) si può
considerare idonea a definire un vero e
proprio locale con autonome seppure limitate
funzionalità (ad esempio soffitta o
ripostiglio).
Non è quindi corretto parlare di mera
intercapedine, concetto da riservare agli
spazi marginali.
In via generale è compito del responsabile
del procedimento assicurare la completezza
della documentazione ai sensi dell’art. 38,
comma 5, della LR 12/2005 prima del rilascio
del permesso di costruire.
L’omissione di questi controlli non
garantisce al privato l’esenzione dall’onere
di produzione ma impone all’amministrazione
di fissare un termine per la
regolarizzazione della pratica edilizia
prima della conclusione dei lavori.
Solo nel caso in cui il supplemento
istruttorio finalizzato alla
regolarizzazione non abbia dato alcun esito
l’amministrazione è legittimata a
considerare inesistente la certificazione
dell’invalidità e ad annullare in autotutela
il permesso di costruire nella parte in cui
prevede la deroga alla distanza minima dai
confini (oppure integralmente se la deroga
alla distanza non è scindibile dal resto del
progetto)
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 27.08.2010 n. 3240 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Determinazione
contributo di costruzione - Art. 64 L.R.
Lombardia n. 12/2005 - Interpretazione -
Superficie lorda di pavimento resa abitativa
- Accolto.
Il costo di costruzione per un intervento di
ristrutturazione per il recupero del
sottotetto deve essere calcolato sulla base
della superficie lorda di pavimento resa
abitativa, così come dispone l'art. 64 L.R.
n. 12/2005, e non in relazione alla
superficie complessiva che include alcune
porzioni di fabbricato diverse da quelle
rese abitative, in quanto la disposizione
regionale sopracitata prevede espressamente
questo come parametro di riferimento, ed il
rinvio operato da tale disposizione alle
opere di nuova costruzione riguarda solo le
tariffe e non la superficie da prendere come
riferimento (massima tratta da www.solom.it
- TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 07.07.2010 n.
2779 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
D.I.A. - Recupero
sottotetti in deroga allo strumento
urbanistico - Normativa applicabile - L.R.
n. 12/2005 - Lavori non assentibili.
In caso di denunzia di inizio attività
relativa a lavori di recupero sottotetti
trovano applicazione le prescrizione degli
strumenti urbanistici e le norme legislative
e regolamentari eventualmente sopravvenute,
vigenti al momento della scadenza del
termine di trenta giorni dalla sua
presentazione, non applicandosi di
conseguenza nella specie la L.R. n. 15/1996,
che consentiva il recupero dei sottotetti
anche in deroga allo strumento urbanistico,
ma la L.R. n. 12/2005 che, anche nella
versione antecedente alle innovazioni della
L.R. n. 20/2005, non ha previsto la
possibilità di eseguire trasformazioni dei
sottotetti in deroga ad indici e parametri
stabiliti dagli strumenti urbanistici
comunali (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 06.05.2010 n.
1242 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. D.I.A. - Recupero abitativo
sottotetto - Successione di norme - Norme
applicabili - Scadenza del termine di
presentazione.
2. D.I.A. -
Recupero abitativo sottotetto - Diffida
dall'iniziare le opere - Conformarsi a legge
sopravvenuta - L.R. Lombardia n. 12/2005 -
Difetto di motivazione - Sussiste.
1. In caso di denuncia di inizio attività
trovano applicazione le prescrizioni degli
strumenti urbanistici e le norme legislative
e regolamentari eventualmente sopravvenute
vigenti al momento della scadenza del
termine di 30 giorni dalla sua
presentazione, in quanto l'art. 39, c. 5-bis, e l'art. 40, c. 4-bis, D.P.R. n.
380/2001, dispongono, nel disciplinare la
potestà regionale di annullamento del
permesso di costruire e, rispettivamente, i
poteri sostitutivi della regione in tema di
sospensione o demolizione di interventi
abusivi, di sanzionare gli interventi
edilizi realizzati su D.I.A. in contrasto
con la normativa urbanistico-edilizia
vigente al momento della scadenza del
termine di 30 giorni dalla presentazione
della denuncia di inizio attività.
2. Il generico rilievo, mosso con la diffida
dall'iniziare le opere, secondo cui la
D.I.A. deve conformarsi alla sopravvenuta
legge regionale n. 12 del 2005 non consente
in alcun modo di comprendere sotto quale
profilo il progetto presentato con la D.I.A.
si ponga, ad avviso del Comune, in contrasto
con la normativa sopravvenuta, risultando
conseguentemente la diffida impugnata
illegittima per difetto di motivazione
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 20.04.2010 n.
1103 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Intervento di recupero
abitativo di sottotetto - Presupposti -
Preesistenza del volume sottotetto,
praticabilità e abitabilità originarie -
Necessità.
2. Intervento di
recupero abitativo di sottotetto -
Presupposti - Corrispondenza del nuovo
organismo edilizio a quello preesistente -
Necessità - In caso di modifica di sagoma,
volume e superficie - Nuova costruzione -
Sussiste.
3. Intervento di
recupero abitativo di sottotetto -
Presupposti - Ultimo piano sormontato da
mera intercapedine - Sottotetto - Inconfigurabilità.
1. In materia di recupero abitativo dei
sottotetti, presupposto affinché possa
configurarsi tale fattispecie è che sia
identificabile come già esistente un volume
sottotetto passibile di recupero, ovverossia
di riutilizzo a fini abitativi: ciò richiede
che il sottotetto abbia, sin dall'origine,
dimensioni tali da essere praticabile e da
poter essere abitabile, sia pure con gli
aggiustamenti occorrenti per raggiungere i
requisiti minimi di abitabilità, ossia
altezza media ponderale m. 2.40, come
prescritto dall'art. 2 LR 15/1996, oggi art.
63, ultimo comma, LR 12/2005 (cfr. in senso
contrario, in tema di praticabilità, TAR
Milano, sent. n. 457/2004).
2. Ricorre la fattispecie del recupero di
sottotetto solo qualora il nuovo organismo
edilizio corrisponda a quello preesistente,
senza alterarne in misura sostanziale
sagoma, volume e superficie; in caso
contrario l'intervento si risolverebbe nella
realizzazione di un piano aggiuntivo, che
eccede i caratteri della ristrutturazione e
che configurerebbe un intervento di nuova
costruzione (cfr. TAR Milano, sent. n.
1007/2003)
3. Non ricorre la fattispecie di sottotetto
laddove (come nella caso di specie) l'ultimo
piano abitabile sia sormontato da uno
spazio, compreso tra la soletta e la
copertura in tegole, di entità tale da
presentarsi come una mera intercapedine (nel
caso di specie l'altezza massima dello
spazio sottostante la copertura
dell'edificio non raggiunge 1 metro),
cosicché la realizzazione di vani abitabili
finirebbe per risolversi non già nel
recupero di uno spazio già esistente, ma
nella sopraelevazione di un piano ulteriore
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 02.04.2010 n.
970 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: I
requisiti di abitabilità dei sottotetti sono
stabiliti da una fonte primaria (l.r.
Lombardia 11.03.2005 n. 12 per il governo
del territorio), non derogabile neppure in
sede di condono (cioè di sanatoria
eccezionale) degli abusi edilizi, posto che
l’art. 35 della legge n. 47 del 1985 prevede
il rilascio del certificato di abitabilità o
agibilità anche in deroga ai requisiti
fissati da norme regolamentari, ma non in
deroga a norme legislative.
Come statuito
di recente da questo Tribunale (sent.
30.11.2009 n. 5213), i requisiti di
abitabilità dei sottotetti sono stabiliti da
una fonte primaria (legge regionale
11.03.2005 n. 12 per il governo del
territorio), non derogabile neppure in sede
di condono (cioè di sanatoria eccezionale)
degli abusi edilizi, posto che l’art. 35
della legge n. 47 del 1985 prevede il
rilascio del certificato di abitabilità o
agibilità anche in deroga ai requisiti
fissati da norme regolamentari, ma non in
deroga a norme legislative (cfr., sul tema,
Corte Cost. 18.07.1996 n. 256)
(TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 31.03.2010 n. 840 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Recupero
abitativo dei sottotetti - Monetizzazione
dei parcheggi pubblici - Mancata previsione
normativa reiterata dal Piano delle Regole
-Legittimità.
2. Recupero
abitativo dei sottotetti - Parcheggi privati
- Natura pertinenziale - Sussiste.
1. In tema di recupero abitativo dei
sottotetti la L.R. n. 12/2005 e s.m.i. non
prevede la monetizzazione dei parcheggi
pubblici, pertanto è legittima la previsione
del piano delle regole in tal senso
orientata.
2. In tema di recupero abitativo dei
sottotetti, per quanto concerne i parcheggi pertinenziali privati, tutti i parcheggi
costituenti la dotazione minima devono
ritenersi gravati da vincolo pertinenziale
ex lege, siano essi realizzati in base alla
c.d. legge Tognoli (legge n. 122 del 1989),
ovvero in base all'art. 41-sexies della
legge urbanistica (legge n. 1150 del 1942),
trattandosi di un vincolo di destinazione
pubblicistico, inderogabile e permanente (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza
30.03.2010 n. 839 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Recupero sottotetti
- Ratio - Praticabilità - Presupposto - Non
sussiste.
In base alla ratio della l.r. 12/2005 di
favorire la creazione di nuove residenze
attraverso il razionale recupero dei
sottotetti, evitando per tale via un
ulteriore consumo territorio la ridotta
dimensione e la non praticabilità del
sottotetto da recuperare e la scarsa
ampiezza del volume non sono elementi
preclusivi alla realizzazione dell'opera, al
punto che la novella del 1999 ha autorizzato
l'innalzamento delle quote di gronda e di
colmo per raggiungere le caratteristiche di
abitabilità (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez.
I,
sentenza
10.03.2010 n.
1152 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Recupero sottotetti in Lombardia:
il Tribunale di Brescia rimette alla Corte
Costituzionale l'articolo 64, comma 2, della
l.r. 12/2005.
Il Tribunale civile di Brescia, Sez. III,
ordinanza 22.02.2010, ha rimesso
alla Corte Costituzionale la questione di
legittimità dell'articolo 64, comma 2, della
l.r. n. 12 del 2005, nella parte in cui,
autorizzando ampliamenti degli edifici
esistenti in deroga ai limiti e alle
prescrizioni dei piani urbanistici al di
fuori delle ipotesi di deroga legittime ex
art. 9 u.c. D.M. 1444/1968, si pone in
insanabile contrasto con il principio
fondamentale dettato dall'articolo 3 del
T.U. dell'Edilizia in tema di definizioni
degli interventi edilizi e, quindi, con
l'articolo 117, comma 3, della Costituzione.
In breve: non è vero, come afferma il TAR
Lombardia nella decisione 153/2009, che la
lettura comparata delle disposizioni
regionali e nazionali deve suggerire una
interpretazione delle prime conforme a
legittimità a scapito di una non di
legittimità, poiché nella fattispecie il
legislatore regionale ha intenzionalmente
qualificato il recupero dei sottotetti come
ristrutturazione, al fine di sottrarli alla
applicazione delle disposizioni di rango
superiore (commento tratto e link a http://studiospallino.blogspot.com). |
anno 2009 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Obbligo di pubblicazione di
delibere su quotidiani e obbligo di
partecipazione dei cittadini - Espressa
previsione legislativa - Delibera ex art. 65
della L.R. n. 12/2005 (sottotetti) -
Assoggettamento a tali obblighi in assenza
di espressa previsione legislativa - Non
sussiste.
L'obbligo di pubblicare l'avviso di avvio
del procedimento su quotidiani o periodici e
di fissare un termine entro il quale i
cittadini possono presentare suggerimenti e
proposte devono trovare una espressa
previsione legislativa e non possono essere
inferiti analogicamente da un differente
procedimento, pertanto non è assoggettata,
nel silenzio della legge, a tali obblighi,
l'adozione della delibera prevista dall'art.
65 della L.R. n. 12/2005 e succ. mod. ed
int. (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 17.12.2009 n. 5602 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Interventi di
recupero a fini abitativi dei sottotetti ex
art. 63 della L.R. n. 12/2005 e art. 1, comma
2 L.R. n. 15/1996 - Va riferito ai
sottotetti "esistenti" che siano stati
assentiti - Possibilità di ottenere la
sanatoria per gli interventi di recupero dei
sottotetti esistenti a fini abitativi -
Soltanto nel caso di recupero di sottotetti
non solo esistenti, ma anche
"legittimamente" esistenti.
2. Interventi di
recupero a fini abitativi dei sottotetti ex
artt. 63 e ss. L.R. n. 12/2005 - Possibilità
di incremento delle altezze - Ai sensi
dell'art. 64, comma I ,L.R. n. 12/2005 è
consentito nei limiti strettamente
funzionali ad assicurare le condizioni
minime di salubrità agli spazi resi
abitativi.
1. La legislazione regionale (art. 63, comma
1, L.R. n. 12/2005, testo originario; art. 1,
comma 2 L.R. n. 15/1996), quando parla di
recupero dei sottotetti "esistenti" intende
riferirsi ai sottotetti che non solo
esistano in fatto, ma che siano stati
assentiti.
Così come è suscettibile di
sanatoria il recupero di un sottotetto, ma a
condizione che sia stato recuperato un
sottotetto non solo esistente, ma anche
"legittimamente" esistente.
2. L'art. 64, comma
1, della L.R. n. 12/2005 ammette
l'incremento delle altezze nei soli limiti
strettamente funzionali ad assicurare le
condizioni minime di salubrità agli spazi
resi abitativi, sicché l'altezza media di
2,40 m. deve ritenersi ad un tempo altezza
minima (per l'abitabilità degli spazi) ed
altezza massima (se comporta l'innalzamento
delle linee di colmo e di gronda del tetto)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza
29.10.2009 n.
4941 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Recupero
sottotetto - art. 64 l.r. 12/2005 - disciplina
comunale anteriore più ampia - efficacia.
Ex art. 64, comma 1, della LR 12/2005
l'altezza media ponderale di 2,40 metri deve
essere intesa contemporaneamente come misura
minima (ai fini dell'abitabilità) e massima
(con riguardo alla sopraelevazione
dell'edificio): ciò al fine di evitare che
il recupero del sottotetto si trasformi in
una generalizzata facoltà di sopraelevazione
e assuma connotati speculativi..
I comuni nell'esercizio del proprio potere
regolatorio possono disciplinare il recupero
dei sottotetti in maniera più ampia di
quanto stabilito dalla legge regionale se la
normativa comunale è anteriore alla legge
regionale: in questo caso le norme comunali
anche più favorevoli mantengono efficacia,
sia per il principio di specialità sia
perché il recupero dei sottotetti
corrisponde a un interesse pubblico di cui
la legge regionale individua soltanto la
misura minima lasciando spazio per il resto
alle scelte urbanistiche dei comuni (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez.
II,
sentenza
29.09.2009 n.
1712 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Nel
recuperare i sottotetti esistenti ex lege
regionale n. 12/2005 l’altezza media
ponderale di 2,40 metri deve essere intesa
contemporaneamente come misura minima (ai
fini dell'abitabilità) e massima (con
riguardo alla sopraelevazione
dell’edificio).
L’art. 64, comma 1, della LR 12/2005
consente la modificazione delle altezze di
colmo e di gronda “unicamente al fine di
assicurare i parametri di cui all'articolo
63 comma 6” della medesima legge.
Pertanto l’altezza media ponderale di 2,40
metri deve essere intesa contemporaneamente
come misura minima (ai fini
dell'abitabilità) e massima (con riguardo
alla sopraelevazione dell’edificio). La
norma tende a evitare che il recupero del
sottotetto si trasformi in una generalizzata
facoltà di sopraelevazione e assuma in
questo modo connotati speculativi.
In relazione alle difficoltà tecniche della
sopraelevazione potrebbero essere
considerati ammissibili dei modesti
incrementi rispetto alla misura di 2,40
metri, ma nel caso in esame lo scostamento è
pari circa al 22% e quindi non può essere
qualificato come trascurabile. Se esaminato
esclusivamente in relazione alla disciplina
legislativa regionale l’intervento edilizio
sarebbe quindi illegittimo, e non potrebbe
essere sanato neppure attraverso
l’inserimento del solaio che a quota 2,70
metri separa il piano sottotetto dalla
copertura. Questo solaio crea in realtà un
secondo sottotetto, ossia un elemento del
tutto estraneo alla previsione normativa che
consente di sopraelevare l’edificio.
Tuttavia i comuni nell’esercizio del proprio
potere regolatorio possono disciplinare il
recupero dei sottotetti in maniera più ampia
di quanto stabilito dalla legge regionale.
Se la normativa comunale è anteriore alla
legge regionale (come succede nel caso in
esame, dove il piano particolareggiato
precede la prima regolamentazione regionale
di cui alla LR 15.07.1996 n. 15) le norme
più favorevoli mantengono efficacia, sia per
il principio di specialità sia perché il
recupero dei sottotetti corrisponde a un
interesse pubblico di cui la legge regionale
individua soltanto la misura minima
lasciando spazio per il resto alle scelte
urbanistiche dei comuni.
Come si è visto sopra, il piano
particolareggiato rinvia al regolamento
edilizio, il quale contiene due disposizioni
più favorevoli ai proprietari rispetto alla
LR 12/2005. Precisamente:
a) permette la sopraelevazione dell’edificio
nella misura necessaria a raggiungere
l’altezza media interna di 2,70 metri (con
un minimo di 2,10 metri) per gli spazi di
abitazione;
b) utilizza il parametro dell’altezza media
dei singoli locali anziché quello
dell'altezza media ponderale delle singole
unità immobiliari recuperate nel sottotetto.
La DIA presentata dalla controinteressata
segue questa impostazione, il che spiega e
giustifica la maggiore altezza interna e la
conseguente sopraelevazione dell’edificio.
Quanto al problema del secondo sottotetto
ricavato dal posizionamento di un solaio si
osserva che neppure la normativa comunale
consentirebbe di recuperare il sottotetto
creando due piani sovrapposti. Tuttavia in
questo caso il secondo sottotetto non appare
rilevante in quanto non raggiunge l’altezza
media necessaria per essere considerato
abitabile
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 29.09.2009 n. 1712 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Recupero
sottotetti - Recupero volumetrico -
Possibilità di assorbimento nell'attività di
ristrutturazione mediante demolizione - Non
sussiste - Eccezioni.
Il recupero volumetrico del sottotetto non
può essere assorbito nell'attività di
ristrutturazione mediante demolizione che,
ai sensi dell'art. 27, comma 1, Legge
12/2005, comporta il rispetto della
volumetria preesistente, fatte salve le sole
innovazioni necessarie per l'adeguamento
alla normativa sismica (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 20.03.2009 n. 1957). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Recupero
sottotetto - Art. 64 L.R. 12/2005 - Altezza
massima - Individuazione - Parametri -
Singola unità immobiliare - Nozione.
2. Recupero
sottotetto - Art. 64 L.R. 12/2005 - Deroghe
- Stretta interpretazione - Fattispecie.
1. Ai sensi dell'art. 64 L.R. 12/2005, che
disciplina il recupero del sottotetto ai
fini abitativi, la modifica di colmo, gronda
o pendenza delle falde è consentita al solo
scopo di raggiungere le condizioni di
abitabilità dell'appartamento e quindi di
raggiungere l'altezza media ponderale di
metri 2,40, altezza da riferire alla singola
unità immobiliare nel suo complesso e non ai
singoli locali dell'appartamento.
2. La deroga consentita dagli articoli 63 e
64 della L.R. 12/2005 può avere ad oggetto
soltanto la possibilità di sopraelevare
l'edificio per garantire la salubrità
dell'alloggio. Per tale ragione non è
possibile, ottenuta tale altezza minima -che al tempo stesso è anche un'altezza
massima- realizzare anche un vano ulteriore
sopra ciò che è stato sopraelevato, perché
così facendo si violerebbe la normativa di
deroga degli articoli sopra richiamati, di
stretta interpretazione (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 20.02.2009 n. 1330). |
EDILIZIA PRIVATA: Se
il sottotetto da recuperare ai fini
abitativi (ndr: ex art. 64, comma 1, l.r. n.
12/2005) non garantisce l'altezza media
ponderale di m. 2,40, esso può essere
sopraelevato fino a raggiungere l'altezza
media, e non oltre tale altezza.
Se il sottotetto da recuperare ai fini
abitativi (ndr: ex art. 64, comma 1, l.r.
n. 12/2005) dispone già di un'altezza
media ponderale interna di almeno m. 2,40
esso può mantenere l'altezza preesistente,
anche se superiore a m. 2,40.
Se il sottotetto da recuperare ai fini
abitativi (ndr: ex art. 64, comma 1, l.r.
n. 12/2005) non garantisce l'altezza
media ponderale di m. 2,40, esso può essere
sopraelevato fino a raggiungere l'altezza
media, e non oltre tale altezza (Consiglio
di Stato, sez. IV, 30.05.2005, n. 2767:
le modifiche di altezza e volumetria, ai
sensi della citata normativa regionale, sono
ammissibili solo laddove strettamente
necessarie a rendere abitabili i predetti
volumi, con conseguente esclusione di quelle
trasformazioni, che si sostanzino nella
creazione di nuove volumetrie, che vengano
in qualsiasi modo ad eludere (o, meglio, ad
eccedere) lo scopo unico, cui il legislatore
regionale ha funzionalizzato le modifiche
medesime; nello stesso senso TAR
Lombardia Milano, sez II, 17.01.2006, n. 72:
la previsione espressa nella legge n° 15
del 1996 era giustificata in primo luogo
dalla possibilità di modifiche all’altezza e
quindi dei volumi dell’edificio. Tale
possibilità non è più ammessa dalla nuova
legge regionale, in base alla quale è
possibile il recupero dei sottotetti solo
nella misura in cui siano esistenti, senza
alcuna modifica di altezza o di volume, se
non l’altezza minima per raggiungere
l’abitabilità).
L'altezza massima -per gli interventi che si
propongono di modificare colmo, gronda, o
pendenza delle falde- si ricava proprio
dall'art. 64 l.r. 12/2005 che consente la
modifica al solo scopo di raggiungere le
condizioni di abitabilità dell'appartamento
e, quindi, al solo scopo di raggiungere la
quota di m. 2,40.
L'espressione "per ogni singola unità
immobiliare" non sta a significare che
in tutti i singoli locali dell'appartamento
l'altezza media ponderale debba essere di m.
2,40, ma che in ogni singolo appartamento
sia garantita tale altezza media, in quanto
ciascun vano dell'appartamento non
costituisce da solo una "singola unità
immobiliare". Trattandosi di
disposizione derogatoria rispetto alle norme
di piano, essa, d'altronde, non può essere
interpretata in modo estensivo
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 20.02.2009 n.
1330). |
anno 2008 |
|
EDILIZIA PRIVATA: Intervento di
recupero abitativo di sottotetto -
Inibizione dell'esecuzione per violazione
dell'art. 2 L R. 15/1996 c.m. dall'art. 6 L.R.
22/1999 - Rispetto dei limiti di altezza
massima degli edifici prescritti dallo
strumento urbanistico - Legittimità.
Poiché l'art. 2 LR 15/1996 c.m. dall'art. 6 L.R. 22/1999 consente le modificazioni delle
altezze di colmo e di gronda e delle linee
di pendenza delle falde solo nei limiti di
altezza massimi degli edifici posti dagli
strumenti urbanistici generali vigenti, si
deve ritenere legittimo il provvedimento che
ha inibito l'esecuzione di un intervento di
recupero abitativo di sottotetto adottato
dal Comune in quanto programmato su un
edificio preesistente di altezza già
superiore al limite massimo previsto dal PRG
per la zona in cui l'immobile insiste,
risultando, al contrario, irrilevante il
fatto che il sopralzo previsto nel recupero
del sottotetto non determinerebbe
un'ulteriore innalzamento dell'altezza
dell'edificio preesistente (massima
tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II, sentenza 23.12.2008 n.
6148). |
EDILIZIA PRIVATA: 1. Delibera C.C.
di esclusione dell'applicazione della legge
regionale in materia di recupero abitativo
dei sottotetti ai sensi dell'art. 65 L.R.
15/2005 - Procedura d'approvazione - Mancato
avvio del procedimento - Legittimità.
2. Delibera C.C.
di esclusione dell'applicazione della legge
regionale in materia di recupero abitativo
dei sottotetti ai sensi dell'art. 65 L.R.
15/2005 - Incidenza su un intervento in
corso di esecuzione - Legittimo affidamento
- Carenza di istruttoria - Non sussiste.
3. Delibera C.C.
di esclusione di determinate parti del
territorio dalla legge regionale in materia
di recupero abitativo dei sottotetti ai
sensi dell'art. 65 L.R. 15/2005 - Esclusione
degli edifici plurifamiliari - Eccesso di
potere per illogicità manifesta - Ampia
discrezionalità - Ratio della legge sul
recupero abitativo dei sottotetti - Non
sussiste.
4. Intervento di
recupero abitativo dei sottotetti -
Sospensione dei lavori da parte del Comune -
Titolo edilizio fondato su un provvedimento
cautelare del TAR - Necessità di una
sospensione in autotutela del titolo
edilizio - Non sussiste.
1. Per introdurre una deroga
all'applicazione della normativa sul
recupero abitativo dei sottotetti ai sensi
dell'art. 65 L.R. 15/2005 è sufficiente una
deliberazione del Consiglio Comunale, così
come espressamente prevede il comma 1 di
tale norma, mentre non è richiesta
l'approvazione della delibera in doppia
lettura anche perché tale previsione non è
assimilabile alle varianti generali al piano
regolatore. Poiché la deliberazione adottata
esclude dall'applicazione della normativa
sul recupero abitativo dei sottotetti tutti
gli edifici plurifamigliari, la stessa
rappresenta un atto amministrativo generale
per il quale, ai sensi dell'art. 13 L.
241/1990, non è necessario dare comunicazione
di avvio del procedimento.
2. La delibera comunale impugnata non è
viziata per la mancata ponderazione
dell'affidamento del privato alla
realizzazione di un intervento di recupero
sottotetti in quanto non sussiste un
affidamento giuridicamente rilevante se il
privato, pur avendo progettato tale
intervento nell'ambito di un più massiccio
intervento edilizio in corso, non ha
presentato alcun tipo di domanda prima
dell'entrata in vigore della delibera
comunale che ha escluso la fattibilità di
tale recupero abitativo dei sottotetti.
3. L'art. 65 L.R. 15/2005 consente al Comune
di escludere taluni interventi
dall'applicazione della normativa sul
recupero abitativo dei sottotetti con ampia
discrezionalità e senza una motivazione
particolare in quanto atto di pianificazione
urbanistica a contenuto generale. Pertanto
la delibera comunale che non consente il
recupero abitativo dei sottotetti nei soli
edifici plurifamiliari, limita il recupero
agli interventi che determinano un impatto
minimo sui carichi urbanistici, mentre
esclude gli interventi più strutturati in
cui l'applicazione della normativa sul
recupero abitativo dei sottotetti
risulterebbe utilizzata non per sopperire
alle esigenze abitative ma per fini
speculativi Di conseguenza, la delibera
contiene una motivazione logica e
rispondente alla ratio della normativa sul
recupero abitativo dei sottotetti.
4. Il titolo edilizio che ha sorretto
l'intervento di recupero abitativo dei
sottotetti, essendo fondato su un
provvedimento cautelare del TAR che aveva
sospeso l'applicazione della norma ostativa
alla realizzabilità dell'intervento edilizio
progettato, è destinato ad avere effetti
interinali che vengono meno, ipso iure e
senza la necessità di alcun provvedimento
amministrativo di annullamento in
autotutela, in ipotesi di rigetto del
ricorso nel merito (massima
tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 05.12.2008 n. 5711). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sul recupero di un sottotetto
esistente che da due falde diventa piano e
sul recupero del sottotetto rispettando
l'altezza massima di zona espressa in numero
di piani e non di metri lineari.
Ai fini della
definizione delle questioni giuridiche
sottoposte al Collegio è opportuno
brevemente inquadrare le caratteristiche
fondamentali e la ratio sottesa alla
disciplina regionale sull’istituto del
recupero dei sottotetti (rinviando per una
più compiuta ricostruzione dell’istituto e
dell’evoluzione normativa nella Regione
Lombardia alle decisioni 04.02.2008 n. 298,
21.12.2006 n. 7770 e 30.05.2005 n. 2767
della IV Sez. del Consiglio di Stato).
La legge regionale n. 15 del 15.07.1996 si
era mossa nell’intento di favorire la
creazione di nuove residenze attraverso il
razionale recupero dei sottotetti e di
evitare così un ulteriore consumo di
territorio altrimenti necessario per la
soddisfazione dei bisogni delle famiglie.
Il recupero volumetrico a scopo residenziale
del piano sottotetto, in base alla citata
legge regionale, non poteva prescindere
dall'esistenza dell'edificio e del
sottotetto medesimo (da intendersi come vero
e proprio volume preesistente) e doveva
avvenire nel rispetto delle prescrizioni
igienico-sanitarie e di abitabilità previste
dai regolamenti vigenti.
Da ciò derivava, pertanto, che le modifiche
di altezza e volumetria, ai sensi della
citata normativa regionale, potevano
ritenersi ammissibili solo laddove
strettamente necessarie a rendere abitabili
i predetti volumi, con conseguente
esclusione di quelle trasformazioni che si
sostanziassero nella creazione di nuove
volumetrie, che venissero in qualsiasi modo
ad eludere (o, meglio, ad eccedere) lo scopo
unico, cui il legislatore regionale aveva
funzionalizzato le modifiche medesime (
Cons. St., IV, 30.05.2005, n. 2767 ).
Siffatte trasformazioni potevano avvenire,
come s'è visto, in deroga ad ogni previsione
urbanistica comunale, comprese, quindi,
quelle in tema di limiti quantitativi di
natura volumetrica.
Al termine di un complesso e non lineare
percorso (per la cui esposizione si rinvia
alla già richiamata decisione n. 298 del
2008 della IV Sez. del Cons. di Stato) si è
pervenuti alla disciplina posta dall’art. 64
della L.R. n. 12 del 2005, nel testo come
modificato dalla L.R. n. 20 del 2005, che è
la normativa applicabile alla domanda
dell’odierno ricorrente.
Per quanto in questa sede viene in rilievo,
va posto in luce che il primo comma del
predetto art. 64 prevede che: “Gli
interventi edilizi finalizzati al recupero
volumetrico dei sottotetti possono
comportare l'apertura di finestre,
lucernari, abbaini e terrazzi per assicurare
l'osservanza dei requisiti di
aeroilluminazione e per garantire il
benessere degli abitanti, nonché, ove lo
strumento urbanistico generale comunale
vigente risulti approvato dopo l'entrata in
vigore della L.R. n. 51/1975, modificazioni
delle altezze di colmo e di gronda e delle
linee di pendenza delle falde, purché nei
limiti di altezza massima degli edifici
posti dallo strumento urbanistico ed
unicamente al fine di assicurare i parametri
di cui all'articolo 63, comma 6”.
Il provvedimento di diniego emesso dal
Comune di Bergamo si fonda proprio
sull’assunto che la richiesta del recupero
del sottotetto avanzata dal Martino si pone
in contrasto con detta prescrizione,
superando il limite di altezza posto dal
regolamento edilizio.
La particolarità della vicenda all’esame è
costituita dalla circostanza che il PRG di
Bergamo, per la zona in questione, prevede
non già un’altezza massima indicata in
metri, ma solo un numero massimo di piani:
nella specie 4.
Il Collegio ritiene che al problema sia
possibile fornire soluzione attraverso
un’interpretazione sistematica delle
previsioni contenute nel predetto
regolamento edilizio, colmando la lacuna che
si è determinata per effetto
dell’intersecarsi della particolare
disciplina urbanistica comunale con la norma
regionale sul recupero dei sottotetti.
Invero, la presenza di una disposizione
(particolare) che determina le modalità di
conversione in metri di altezze indicate in
piano -il riferimento è al comma 7,
dell’art. 73, il quale prevede che “l’altezza
massima dei fronti degli edifici per i quali
la strumentazione urbanistica prevede
un’altezza semplicemente individuata in
numero di piani, viene determinata
moltiplicando il numero di piani previsti in
progetto per ml 4”– consente di
individuare, per induzione, il criterio
generale di conversione in metri delle
altezze individuate in numero massimo di
piani.
In altri termini, deve ritenersi che i
limiti massimi di altezza in piani siano
ragguagliabili comunque a limiti espressi in
metri attraverso l’utilizzo del parametro di
riferimento costituito dal rapporto un piano
= m. 4 di altezza.
Applicando detto criterio si perviene alla
conclusione che il progetto presentato dal
Martino non superava in altezza il limite
massimo dell’edificio preesistente.
Invero, come emerso dalle misurazioni
disposte attraverso l’ordinanza collegiale
n. 104/2008, l’altezza (dal piede
all’estradosso al colmo) del fabbricato
esistente è pari a mt. 16,08/16,38, con il
supero di pochi centimetri che rimane nei
limiti di tolleranza.
Attraverso la suddetta moltiplicazione (4x4
= 16) trova dunque conferma il rispetto -da
parte del progetto di recupero del
sottotetto a fini abitativi- del limite di
altezza di zona stabilito dal PRG (quattro
piani).
Come risulta dalla planimetria di progetto
(acquisita agli atti attraverso l’ordinanza
istruttoria), mediante il recupero del
sottotetto proposto si mantiene l’altezza al
colmo esistente, operando esclusivamente
l’innalzamento delle falde in gronda, sino
ad ottenere l’identica altezza in colmo ed
in gronda (in altri termini, un tetto piatto
anziché a falde inclinate).
In tale contesto non vi era dunque valido
motivo per denegare il permesso di costruire
richiesto.
Al termine del suddetto percorso, va quindi
confermata, seppur attraverso un differente
iter argomentativo, la conclusione a cui era
già pervenuta la Sezione con la sentenza
08.03.2007 n. 254.
In detta occasione si era, infatti rilevato
che il limite dell'altezza massima prevista
dal PRG deve essere inteso “come
riferimento ai limiti stabiliti in termini
metrico/reali (cioè altimetrici o di quota)
e non attraverso il criterio del numero dei
piani (come prevede l'art. 73 comma 10 del
R.E.) quando il piano considerato ai fini
del computo dell'altezza (dalle norme
edilizie e urbanistiche comunali)
costituisce esso stesso un sottotetto
secondo la definizione contenuta nell'art. 1
comma 4 della stessa L.r. (ossia i
"volumi sovrastanti l'ultimo piano degli
edifici"), evidenziando che “il
Legislatore regionale ha voluto
salvaguardare solo l'altezza fisica degli
edifici (ovvero l'altezza effettiva o reale
o visiva), e non l'altezza virtuale
determinata attraverso il mero numero dei
piani computabili (o meno) qualora assumano
determinate configurazioni definite
attraverso le norme edilizie e urbanistiche
locali”
(TAR Lombardia-Brescia,
sentenza 28.11.2008 n. 1720 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Recupero
sottotetti - Art. 64 L.R. 12/2005 - Limiti.
In tema di recupero dei sottotetti, esso
trova un limite di carattere generale
nell'art. 64, primo comma, della Legge
Regionale Lombarda 11.03.2005 n. 11
(legge per il governo del territorio),
secondo cui tali interventi sono ammissibili
nei limiti di altezza massima degli edifici
posti dallo strumento urbanistico (massima
tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 11.11.2008 n. 5303 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Recupero
sottotetto - Possibilità di modificare
altezze di colmo e di gronda e linee di
pendenza delle falde - Sussiste - Limiti.
Ex art. 2 L.R. 15/1996, come modificato
dall'art. 6 L.R. 22/1999, le modificazioni
delle altezze di colmo e di gronda e delle
linee di pendenza delle falde possono essere
realizzate solo nei limiti di altezza
massima degli edifici posti dallo strumento
urbanistico ed unicamente al fine di
assicurare i parametri di cui all'art. 1,
comma 6: con la conseguenza che non si può
ritenere che il recupero possa essere
effettuato in deroga a tali limiti né che la
modifica delle altezze di colmo e di gronda
non comporti, per volontà del legislatore,
modifica dell'altezza dell'edificio (massima
tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 30.10.2008 n. 5224 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Lombardia,
sulla possibilità o meno di recupero di una intercapedine di sottotetto.
Il vano oggetto di recupero non può considerarsi quale
sottotetto ai sensi dell'art. 63, comma 1-bis, della l.r.
12/2005 in quanto per le sue misure (da mt. 0,10 a mt. 1,24)
ha i caratteri di una mera intercapedine.
Secondo l'orientamento espresso da questa sezione (TAR
Milano, Sez. II, sentenza 15.04.2003 n. 1007) "deve
escludersi che la semplice presenza di una copertura a falde
possa legittimare la creazione di un sottotetto abitabile,
anche in assenza di un volume preesistente che risulti già
dotato dei requisiti di accessibilità e di praticabilità";
l'inaccessibilità esclude a priori ogni utilizzo del
sottotetto, che va quindi considerato un mero volume tecnico
(intercapedine) tra il piano di copertura e il soffitto
dell'ultimo piano praticabile (cioè utilizzabile).
Non appare prima facie fondata la doglianza secondo la quale
l'unico limite dimensionale individuato dalla legge è
costituito dalla dimensione minima che deve possedere il
sottotetto dopo la ristrutturazione in quanto, così
ritenendo, si legittimerebbe la realizzazione anche di nuovi
piani
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
ordinanza
27.02.2008 n. 343). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Barriere architettoniche - Recupero sottotetti - Art. 14 L.R.
Lombardia 6/1989 - Ambito di applicazione - Conseguenze.
2. Barriere architettoniche - Visitabilità, adattabilità, accessibilità
- Nozioni.
3. Concessione edilizia - Procedimento - Principio di partecipazione ex
artt. 7 e 8 L. 241/1990 - Non applicabilità.
1. In relazione ad interventi di recupero dei sottotetti ad uso
abitativo, le norme sull'abbattimento delle barriere architettoniche, di
cui all'art. 14 L.R. 6/1989, si applicano limitatamente ai requisiti di
visitabilità ed adattabilità dell'alloggio e non anche al requisito di
accessibilità all'alloggio.
2. La visitatabilità è l'idoneità dei locali ad essere visitati
da una persona disabile, che deve poter raggiungere la zona giorno e un
servizio; per adattabilità si intende la possibilità di modificare nel
tempo lo spazio costruito, allo scopo di renderlo completamente ed
agevolmente fruibile anche da parte di persone con ridotta o impedita
capacità motoria o sensoriale. L'accessibilità è invece la possibilità,
anche per persone con ridotta o impedita capacità motoria o sensoriale,
di raggiungere l'edificio e le sue singole unità immobiliari e
ambientali, di entrarvi agevolmente e di fruirne spazi e attrezzature in
condizioni di adeguata sicurezza e autonomia.
Visitabilità e adattabilità sono riferiti solo all'appartamento e non
presuppongono l'accessibilità, che riguarda l'immobile nel suo insieme.
3. Per il rilascio dei titoli abilitativi in materia edilizia,
non trovano applicazione gli artt. 7 e 8 Legge 241/1990, trattandosi di
procedimenti ad istanza di parte (cfr. Cons. di Stato VI, 29.11.2005)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 12.02.2008 n. 314). |
EDILIZIA
PRIVATA: Bergamo,
Scoppia la guerra dei sottotetti, lavori congelati.
Non è chiara quale deve essere la distanza minima con gli
edifici vicini. Nel dubbio il Comune sospende tutto.
Primi ricorsi al Tribunale. L’assessore regionale: non
vorrei che a Bergamo si stessero mal interpretando i
regolamenti (articolo
12.02.2008
tratto da L'Eco di Bergamo). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Barriere architettoniche - Recupero sottotetti - Art. 14 L.R.
Lombardia 6/1989 - Ambito di applicazione - Conseguenze.
2. Barriere architettoniche - Visitabilità, adattabilità, accessibilità
- Nozioni.
3. Concessione edilizia - Procedimento - Principio di partecipazione ex
artt. 7 e 8 L. 241/1990 - Non applicabilità.
1. In relazione ad interventi di recupero dei sottotetti ad uso
abitativo, le norme sull'abbattimento delle barriere architettoniche, di
cui all'art. 14 L.R. 6/1989, si applicano limitatamente ai requisiti di
visitabilità ed adattabilità dell'alloggio e non anche al requisito di
accessibilità all'alloggio.
2. La visitatabilità è l'idoneità dei locali ad essere visitati
da una persona disabile, che deve poter raggiungere la zona giorno e un
servizio; per adattabilità si intende la possibilità di modificare nel
tempo lo spazio costruito, allo scopo di renderlo completamente ed
agevolmente fruibile anche da parte di persone con ridotta o impedita
capacità motoria o sensoriale. L'accessibilità è invece la possibilità,
anche per persone con ridotta o impedita capacità motoria o sensoriale,
di raggiungere l'edificio e le sue singole unità immobiliari e
ambientali, di entrarvi agevolmente e di fruirne spazi e attrezzature in
condizioni di adeguata sicurezza e autonomia.
Visitabilità e adattabilità sono riferiti solo all'appartamento e non
presuppongono l'accessibilità, che riguarda l'immobile nel suo insieme.
3. Per il rilascio dei titoli abilitativi in materia edilizia,
non trovano applicazione gli artt. 7 e 8 Legge 241/1990, trattandosi di
procedimenti ad istanza di parte (cfr. Cons. di Stato VI, 29.11.2005)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 12.02.2008 n. 314). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Sull'interpretazione della L.R. n. 12/2005
relativamente al recupero dei sottotetti.
Nell’ottica del legislatore della legge regionale n. 12/2005
la controversa possibilità di déroga (o di sanatoria) non
può dunque assolutamente riguardare lo sviluppo
dell’edificio in termini di superficie e/o di volumetria,
altezze e/o distacchi: ciò al fine di non sacrificare oltre
misura gli interessi della collettività con l’aggravamento
incontrollato di equilibri urbanistici spesso delicati.
La legge regionale n. 20/2005 non fa altro che confermare
che l’interesse dei Comuni a tutelare l’assetto urbanistico
del territorio e la densità in queste degli edifici anche in
relazione agli interventi di recupero dei soggetti può
recedere solo in presenza di espresse previsioni normative,
in assenza delle quali nessuna ipotesi di déroga alle norme
dei piani regolatori generali e dei regolamenti edilizi
locali può considerarsi “implicita” o comunque esistente per
effetto di disinvolte interpretazioni estensive di ambiti
derogatòri, in quanto tali assolutamente tassativi.
Il recupero volumetrico a scopo residenziale del piano
sottotetto in base alla citata legge regionale non può
prescindere dall'esistenza dell'edificio e del sottotetto
medesimo (da intendersi come vero e proprio volume
preesistente) e deve avvenire nel rispetto delle
prescrizioni igienico-sanitarie e di abitabilità previste
dai regolamenti vigenti, salvo quanto disposto dal comma 6
dell’art. 1 della legge medesima (“il recupero abitativo dei
sottotetti è consentito purché sia assicurata per ogni
singola unità immobiliare l'altezza media ponderale di m
2,40, ulteriormente ridotta a m 2,10 per i comuni posti a
quote superiori a m 1000 di altitudine sul livello del mare,
calcolata dividendo il volume della parte di sottotetto la
cui altezza superi m 1,50 per la superficie relativa”).
Gli interventi edilizi finalizzati al recupero del
sottotetto possono comportare l'apertura di finestre,
lucernari, abbaini e terrazzi per assicurare l'osservanza
dei requisiti di aeroilluminazione; nonché, ove lo strumento
urbanistico generale comunale vigente risulti approvato dopo
l'entrata in vigore della legge reg. 15.04.1975 n. 51,
modificazioni delle altezze di colmo e di gronda e delle
linee di pendenza delle falde, purché nei limiti di altezza
massima degli edifici posti dallo strumento urbanistico ed
unicamente al fine di assicurare i parametri di altezza
media prescritti dalla legge regionale (art. 2).
Le modifiche di altezza e volumetria, ai sensi della citata
normativa regionale, sono ammissibili solo laddove
strettamente necessarie a rendere abitabili i predetti
volumi, con conseguente esclusione di quelle trasformazioni,
che si sostanzino nella creazione di nuove volumetrie, che
vengano in qualsiasi modo ad eludere (o, meglio, ad
eccedere) lo scopo unico, cui il legislatore regionale ha
funzionalizzato le modifiche medesime.
Ma se siffatte trasformazioni possono avvenire, come s’è
visto, in déroga ad ogni previsione urbanistica comunale
(comprese, quindi, quelle in tema di limiti quantitativi di
natura volumetrica), lo stesso non può dirsi per le altezze
massime dei fabbricati, di cui il citato art. 2 assicura,
come s’è detto, comunque il rispetto.
sia sulla base della lettera della norma che per evidenti
ragioni logiche, l’impedimento rappresentato dai “limiti di
altezza massima degli edifici” si pone solo in caso di
interventi, che comportino “modificazioni delle altezze di
colmo e di gronda e delle linee di pendenza delle falde”.
Soltanto siffatti interventi, infatti, sono, per loro stessa
natura, in grado di incidere sull’altezza del fabbricato, sì
che appare del tutto congruo che solo ad essi il legislatore
regionale abbia apposto il detto limite; ciò, è evidente, al
contrario di quegli interventi, che, realizzando il recupero
in discussione attraverso le tipiche trasformazioni
riconducibili al concetto di ristrutturazione edilizia
nonché mediante “l'apertura di finestre, lucernari, abbaini
e terrazzi”, sono tali da risultare del tutto ininfluenti
rispetto al parametro dell’altezza del fabbricato, di cui
non comportano, pertanto, la necessità di una nuova
misurazione, con conseguente assoluta indifferenza, dunque,
del relativo metodo di misurazione.
Vale a dire che la ristrutturazione edilizia di un
sottotetto non può dare luogo ad un’ulteriore
sopraelevazione di piano, altrimenti si entra nel regime
ordinario delle edificazioni, specie quanto a volumi ed
altezze
Quanto agli interventi incidenti sull’altezza anzidetta in
quanto comportanti “modificazioni delle altezze di colmo e
di gronda e delle linee di pendenza delle falde”, occorre
subito rilevare che la normativa regionale, nel far salvi,
come s’è detto, i “limiti di altezza massima degli edifici
posti dallo strumento urbanistico”, nulla ha statuito circa
le modalità di calcolo dell’altezza medesima, che, attenendo
ai criteri dell’edificazione restano dunque disciplinati
dalle norme di disciplina dell’edilizia all’uopo dettate dai
singoli Comuni.
Nella fattispecie, che palesa la sopraelevazione di un
ulteriore piano, oltre al recupero del sottotetto, si
controverte quindi di piano nuovo, cioè non preesistente e
realizzato al di fuori della “sagoma limite” in altezza
dell’edificio precedente.
Tanto meno può essere condivisa l’affermazione che –quale
terrazzo– si sarebbe trattato di piano asseritamene
ricompreso nell’altezza originaria dell’edificio, perché non
si può confondere quest’ultima con il numero dei piani, i
quali –peraltro– pacificamente erano 7 e non 8: infatti, sul
terrazzo sono state realizzate altre costruzioni.
Relativamente alla configurazione prospettata della
sopraelevazione come “locali tecnici”, osserva il Collegio
che l’esame della doglianza non può prescindere dalla regola
fondamentale che presiede agli interventi di recupero dei
sottotetti qualificati – come visto – di ristrutturazione
edilizia a norma dell’art. 31, lett d), della legge
05.08.1978 n. 457, ora trasfusa nell’art. 3 del D.P.M.
06.06.2001 n. 380, ossia il “ripristino o la sostituzione di
alcuni elementi costitutivi dell’edificio, la eliminazione,
la modifica e l’inserimento di nuovi elementi ed impianti”.
La norma va intesa nel senso che “l’inserimento di nuovi
elementi ed impianti” non è ammessa comunque, ma è
consentita purché non comporti alterazione dell’intervento
rivolto a “trasformare gli organismi edilizi” preesistenti
in “nuove” costruzioni che modifichino la sagoma o aumentino
i volumi.
Il criterio derogatorio ai limiti di volumetria prescritti
dalle disposizioni urbanistiche in favore dei volumi tecnici
(in funzione strumentale e in relazione all’uso della
costruzione principale per accessori e impianti) non può
riguardare le ipotesi dei c.d. carichi urbanistici, quando
vengono aggravati da volumi che permettono un più ampio
insediamento umano (e, perciò non possono essere considerati
volumi tecnici le verande, i porticati, i vani chiusi
comunque utilizzabili come locali abitabili).
La realizzata sopraelevazione, di altezza uguale a quella
prevista per i piani di civile abitazione sul solaio di
copertura del preesistente sottotetto soggetto alle
prescrizioni di cui si è detto, ne costituisce violazione ed
è, pertanto, illegittima, a termini degli artt. 8 e 9 della
legge 28.02.1985, n. 47.
Ma lo sarebbe anche se nella specie fosse possibile
consentire la realizzazione di volumi effettivamente
tecnici, ossia destinati ad ospitare gli impianti che non è
possibile collocare all’interno, poiché nella specie si è in
presenza di una modificazione strutturale e di uso del
lastrico di copertura, del tutto estranea per dimensione ed
altezze al concetto di locali tecnici (Consiglio di Stato,
Sez. IV,
sentenza
04.02.2008 n. 298).
-------------
In materia, si vedano anche Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza
21.12.2006 n. 7770
e Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza
30.05.2005 n. 2767). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Diniego di
intervento interdittivo da parte della P.A.
- Distanze tra i fabbricati previste
dall'art. 9 D.M. 1444/1968 - Sopraelevazione
per recupero abitativo di sottotetto -
Applicabilità - Illegittimità.
2. Diniego di
intervento interdittivo da parte della P.A.
- Risarcimento del danno - Mancanza di prova
di colpa dell'amministrazione e del danno
sofferto - Non sussiste.
1. L'art. 9 D.M. 1444/1968, pur riferendosi
ai nuovi edifici, è applicabile anche agli
interventi di sopraelevazione e dunque anche
alle ristrutturazioni che -volte al recupero
del sottotetto- comportano un incremento
dell'altezza non trascurabile del
fabbricato. La possibilità di realizzare ai
sensi della L.R. 15/1996 volumetrie aggiuntive
da destinarsi al recupero dei sottotetti in
deroga agli strumenti urbanistici non opera
in relazione alle previsioni dello strumento
urbanistico che riproducono disposizioni
normative di rango superiore, quale la
disciplina delle distanze tra fabbricati del
D.M. 1444/1968 che ha carattere inderogabile
in quanto materia inerente all'ordinamento
civile, che risponde ad esigenze
pubblicistiche sovrastanti gli interessi dei
singoli, e rientrante nella competenza
legislativa esclusiva dello Stato. Pertanto,
il provvedimento comunale che motiva la
mancata adozione di un provvedimento interdittivo delle opere oggetto di D.I.A.
per non essere il recupero abitativo di
sottotetto realizzato soggetto alle
prescrizioni dell'art. 9 D.M. 1444/1968, è
illegittimo.
2. Non è accoglibile la richiesta avanzata
dal ricorrente di risarcimento del danno
patito per il mancato intervento
interdittivo del Comune in quanto
l'imputabilità della responsabilità
all'Amministrazione non consegue al mero
dato obiettivo dell'illegittimità
dell'azione amministrativa, ma richiede
l'accertamento in concreto della colpa
dell'Amministrazione che, nel caso specie,
non è stata provata dal ricorrente (che non
ha provato neppure il danno sofferto), né
risulta aliunde (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 14.01.2009 n. 77). |
anno 2007 |
|
EDILIZIA PRIVATA: Recupero
del sottotetto - Nozione di sottotetto -
Volume esistente.
La tipologia di spazio esistente all'ultimo
piano di un edificio ha mutatis mutandi le
stesse caratteristiche dei porticati ovvero
spazio al piano terra collegato da piloties
e pertanto non può essere inteso come volume
esistente, recuperabile ai fini abitativi ai
sensi della L.R. n. 15/1996 (TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 05.09.2007 n. 5763
- massima tratta da www.solom.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Lombardia, sulla questione del
recupero dei sottotetti ex L.R. n. 12/2005.
Sulla distanza minima di mt. 10 tra pareti
finestrate.
L’art. 873 del c.c. rubricato “Distanze
nelle costruzioni” stabilisce che “Le
costruzioni su fondi finitimi, se non sono
unite o aderenti, devono essere tenute a
distanza non minore di tre metri. Nei
regolamenti locali può essere stabilita una
distanza maggiore”.
La disposizione è stata interpretata nel
senso che le norme del piano regolatore
generale e quelle tecniche di attuazione
dello stesso –che fissano la distanza tra le
costruzioni facendo riferimento alla
distanza dal confine– sono integrative delle
norme del codice civile ed hanno carattere
assoluto e non derogabile dai privati (Corte
di Cassazione, sez. II civile – 09/06/1999
n. 5666), in quanto volte a salvaguardare
sia l’interesse della collettività locale ad
un migliore assetto dell'agglomerato urbano
sia l’aspirazione dei singoli a fruire di un
distacco congruo dalle proprietà limitrofe:
esse dunque tendono a regolare i rapporti
tra residenti su fondi finitimi in modo equo
e fanno sorgere a favore del soggetto
danneggiato da una nuova costruzione il
diritto di chiedere la riduzione in pristino
ai sensi dell’art. 872 c.c. (Corte di
Cassazione, sez. II civile – 10/04/2001 n.
10471).
E’ stato peraltro rilevato che
l’applicazione della sanzione della
riduzione in pristino, richiesta dal vicino
danneggiato dalla costruzione realizzata a
distanza non legale, consegue ipso iure alla
violazione della norma, la quale non lascia
al giudice alcun margine di apprezzamento in
ordine ai pregiudizi prodotti dalla sua
inosservanza (Corte di Cassazione, sez. II
civile – 11/01/2006 n. 213).
In definitiva i regolamenti locali
richiamati dall'art. 873 del c.c., i quali
stabiliscono una distanza maggiore di tre
metri per le costruzioni sui fondi finitimi,
attribuiscono a ciascun proprietario un
diritto soggettivo perfetto al rispetto
della maggiore distanza, il quale è
tutelabile, in caso di inosservanza, sia con
la riduzione in pristino sia con il
risarcimento del danno (Corte di Cassazione,
sez. II civile – 06/12/1984 n. 6402; sez.
unite civili – 18/06/1985 n. 3659).
Deve altresì essere puntualizzato che le
sopraelevazioni, ai fini del rispetto delle
distanze, rientrano nella nozione di nuova
costruzione, la quale comprende qualsiasi
modifica della volumetria di un fabbricato
preesistente che comporti l'aumento della
sagoma d'ingombro in guisa da incidere
direttamente sulla situazione di distanza
tra edifici ed indipendentemente dalla sua
utilizzabilità ai fini abitativi (cfr. ex
plurimis Corte di Cassazione, sez. II civile
– 12/01/2005 n. 400; 05/07/2000 n. 8954;
24/05/2000 n. 6809).
Il panorama normativo si è arricchito in
seguito alla riforma del titolo V della
Costituzione. Per effetto di essa il
“governo del territorio” è divenuta materia
a competenza legislativa ripartita tra Stato
e Regione (cfr. nuovo art. 117) e lo Stato
esercita la propria potestà dettando
soltanto i principi fondamentali.
In materia di sottotetti è da ultimo
intervenuta la L.r. 11/03/2005 n. 12 ai
sensi della quale “La Regione promuove il
recupero a fini abitativi dei sottotetti
esistenti con l'obiettivo di contenere il
consumo di nuovo territorio e di favorire la
messa in opera di interventi tecnologici per
il contenimento dei consumi energetici”
(art. 63 comma 1), mentre “Si definiscono
sottotetti i volumi sovrastanti l'ultimo
piano degli edifici dei quali sia stato
eseguito il rustico e completata la
copertura” (art. 63 comma 1-bis).
Il successivo art. 64 stabilisce al comma 1
che “Gli interventi edilizi finalizzati al
recupero volumetrico dei sottotetti possono
comportare l'apertura di finestre,
lucernari, abbaini e terrazzi …, nonché, …
modificazioni delle altezze di colmo e di
gronda e delle linee di pendenza delle
falde, purché nei limiti di altezza massima
degli edifici posti dallo strumento
urbanistico ed unicamente al fine di
assicurare i parametri di cui all'articolo
63, comma 6” (altezza media ponderale di m.
2,40). Aggiunge al comma 2 che “Il recupero
ai fini abitativi dei sottotetti esistenti è
classificato come ristrutturazione edilizia
ai sensi dell'articolo 27, comma 1, lettera
d). Esso non richiede preliminare adozione
ed approvazione di piano attuativo ed è
ammesso anche in deroga ai limiti ed alle
prescrizioni degli strumenti di
pianificazione comunale vigenti ed adottati,
…”.
Osserva il Collegio anzitutto che ogni
questione che coinvolge le relazioni tra
privati individui appartiene all’ampia
materia dell’ordinamento civile, enucleata
dall’art. 117 Cost. e riservata alla
competenza esclusiva dello Stato.
Ad avviso dei ricorrenti la normativa
regionale citata opererebbe in deroga al
regime delle distanze, precludendo a priori
alle amministrazioni locali di stabilire
misure superiori allo “standard” di 3 metri
fissato dal codice civile.
Una simile impostazione non può essere
condivisa dal Collegio, anche alla luce
della significativa pronuncia della Corte
costituzionale 16/06/2005 n. 232 sui
rapporti tra potestà statale e potestà
regionale in materia.
Secondo la Corte, con riferimento alla
disciplina delle distanze tra fabbricati
l’attribuzione alle Regioni di competenza
concorrente in materia di governo del
territorio interferisce con l’ordinamento
civile di spettanza esclusiva dello Stato, e
in tale contesto “le Regioni devono
esercitare le loro funzioni nel rispetto dei
principi della legislazione statale”.
Il primo principio, fissato in epoca
risalente, “è che la distanza minima sia
determinata con legge statale, mentre in
sede locale, sempre ovviamente nei limiti
della ragionevolezza, possono essere
soltanto fissati limiti maggiori”.
In secondo luogo, l'ordinamento statale
consente deroghe alle distanze con normative
locali, “purché però siffatte deroghe siano
previste in strumenti urbanistici funzionali
ad un assetto complessivo ed unitario di
determinate zone del territorio”. Tali
principi si ricavano dall'art. 873 cod. civ.
e dall'ultimo comma dell'art. 9 del D.M.
1444/1968 ai sensi del quale “Qualora le
distanze tra fabbricati, come sopra
computate, risultino inferiori all'altezza
del fabbricato più alto, le distanze stesse
sono maggiorate fino a raggiungere la misura
corrispondente all'altezza stessa. Sono
ammesse distanze inferiori a quelle indicate
nei precedenti commi, nel caso di gruppi di
edifici che formino oggetto di piani
particolareggiati o lottizzazioni
convenzionate con previsioni planovolumetriche”.
L’ipotesi prospettata riguarda ad es. Piani
particolareggiati, Piani di recupero o Piani
di lottizzazione, strumenti di
pianificazione che hanno la funzione di
determinare un ordinato assetto di un ambito
individuato o di una zona identificata del
territorio comunale.
In ogni caso secondo la Corte Costituzionale
i suindicati limiti alla possibilità di
fissare distanze difformi da quelle previste
dalla normativa statale “trovano la loro
ragione nel rilievo che le deroghe, per
essere legittime, devono attenere agli
assetti urbanistici e quindi al governo del
territorio e non ai rapporti tra vicini
isolatamente considerati in funzione degli
interessi privati dei proprietari dei fondi
finitimi”.
Al riguardo la normativa regionale invocata
è chiaramente ispirata al principio di
favore per il recupero dei sottotetti,
perseguendo l’interesse pubblico di evitare
il consumo di nuovo territorio, e dunque
estende il proprio raggio di applicazione a
tutte le zone residenziali o comunque
abitate e non limita la propria portata a
particolari aree o ambiti. Non sembra
viceversa che il legislatore regionale abbia
inteso incidere sulle relazioni
intersoggettive tra privati, rispetto alle
quali la disciplina sui sottotetti non può
interferire dovendo arrestarsi di fronte ai
limiti invalicabili dell’ordinamento civile,
di competenza esclusiva dello Stato.
In quest’ottica i Comuni esercitano una
potestà straordinaria ed integrano una norma
di rango statale con efficacia immediata sui
rapporti tra privati individui, introducendo
regole riconosciute e tutelate dal diritto
comune, e in questo senso l’art. 873 del
c.c. è norma di rinvio dinamico (o mobile)
che fa riferimento alla fonte richiamata,
ossia ai regolamenti locali abilitati a
stabilire la misura delle distanze.
La “doppia funzione” di tale disposizione
–che appunto tutela sia l'interesse dei
privati alla fruizione di un distacco
congruo sia quello della collettività ad un
ordinato assetto del territorio– comporta
che, anche ammettendo una potestà
derogatoria in capo alla Regione in merito
ai profili urbanistici, la stessa
incontrerebbe un ostacolo ineludibile
rappresentato dai puntuali diritti
soggettivi dei singoli, la cui fonte è
rintracciabile in una norma statale
inderogabile. In definitiva alla Regione è
preclusa ogni ingerenza nei rapporti
interprivatistici, ai quali la disciplina
delle distanze tra costruzioni attiene in
via primaria e diretta.
Nella specie la Regione non può in buona
sostanza incidere sui diritti soggettivi che
traggono origine dal binomio norma statale-regolamento locale, secondo un atipico
sistema di fonti che non sovverte il
principio di gerarchia ma rappresenta oggi
la logica traduzione del principio di
sussidiarietà, il quale impone che
l’esercizio delle funzioni pubblicistiche
–nel loro momento decisionale ed attuativo–
debba essere riservato al livello
istituzionale che presenta la maggiore
prossimità con i cittadini, salve le ipotesi
che richiedono necessariamente la competenza
del livello successivo e più ampio:
espressione del principio di sussidiarietà è
infatti il canone secondo cui il potere
centrale non deve intervenire quando
l’autorità periferica è in grado di curare
efficacemente i propri interessi.
E’ evidente che in materia di distanze tra
costruzioni il legislatore nazionale ha
ritenuto giustificato il diretto intervento
del pianificatore locale per la sua
conoscenza del territorio e dei fabbisogni
dei singoli (TAR Lombardia-Brescia,
sentenza
30.08.2007 n. 834 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Distanze tra gli edifici - Materia - Ordinamento civile - Competenza
legislativa esclusiva statale - Sussistenza
- Sottotetti - Normativa regionale - Non
prevale.
L'art. 64 co. 2 L.r. 12/2005 Lombardia in
materia di recupero dei sottotetti deve
interpretarsi nel senso che la derogabilità
non opera nei casi in cui lo strumento
urbanistico riproduce disposizioni normative
di rango superiore, a carattere
inderogabile, qual è il D.M. 1444/1968 nella
parte in cui disciplina le distanze tra
fabbricati, trattandosi di materia inerente
all'ordinamento civile e rientrante, come
tale, nella competenza legislativa esclusiva
dello Stato (TAR Lombardia-Brescia,
sentenza 30.08.2007 n. 832
- massima tratta da www.solom.it - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Lombardia, sulla questione del
recupero dei sottotetti ex L.R. n. 12/2005.
Sulla distanza minima di mt. 10 tra pareti
finestrate.
L’art. 9 del D.M. 02/04/1968 n. 1444,
rubricato “Limiti di distanza tra i
fabbricati” stabilisce testualmente al comma
1 che “Le distanze minime tra fabbricati per
le diverse zone territoriali omogenee sono
stabilite come segue:
1) Zone A): per le operazioni di risanamento
conservativo e per le eventuali
ristrutturazioni, le distanze tra gli
edifici non possono essere inferiori a
quelle intercorrenti tra i volumi edificati
preesistenti, computati senza tener conto di
costruzioni aggiuntive di epoca recente e
prive di valore storico, artistico o
ambientale;
2) Nuovi edifici ricadenti in altre zone: è
prescritta in tutti i casi la distanza
minima assoluta di m. 10 tra pareti
finestrate e pareti di edifici antistanti;
…”
La giurisprudenza ha costantemente affermato
che il citato D.M. –emanato in virtù
dell’art. 41-quinquies della L. 1150/1942
introdotto a sua volta dall’art. 17 della L.
06/08/1967 n. 765 (c.d. L. Ponte)– ripete
dal rango di fonte primaria della norma
delegante la forza di legge, suscettibile di
integrare con efficacia precettiva il regime
delle distanze dalle costruzioni di cui
all’art. 872 c.c.: la regola della distanza
di 10 metri tra pareti finestrate e pareti
di edifici antistanti vincola anche i Comuni
in sede di formazione e di revisione degli
strumenti urbanistici, con la conseguenza
che ogni previsione regolamentare in
contrasto con l’anzidetto limite minimo è
illegittima e va disapplicata, essendo
consentita alle amministrazioni locali solo
la fissazione di distanze superiori (TAR
Abruzzo Pescara – 28/04/2007 n. 494;
Consiglio di Stato, sez. IV – 12/07/2002 n.
3930). E’ stato dunque introdotto un vincolo
a carattere pubblicistico ed inderogabile,
diretto non soltanto a salvaguardare
interessi privati ma anche a tutelare
interessi generali in materia urbanistica,
di igiene, decoro e sicurezza degli abitati
(cfr. Corte di Cassazione, sez. II civile –
16/02/1996 n. 1201; TAR Emilia Romagna
Bologna, sez. II – 29/01/2004 n. 136).
In punto di fatto l’intervento in esame
comporta un sopralzo di 1 metro alla
distanza di 3,15 mt. da un fabbricato
antistante. In proposito si è detto che le
disposizioni di cui all'art. 9 comma 2 del
D.M. citato sono applicabili anche alle
sopraelevazioni, giacché tendono ad evitare
la creazione di intercapedini che
impediscono la libera circolazione dell'aria
con effetti produttivi di insalubrità e di
riduzione della luminosità (T.A.R. Veneto,
sez. II – 22/04/2005 n. 1778; Consiglio di
Stato, sez. V – 19/10/1999 n. 1565): in
definitiva le sopraelevazioni, ai fini del
rispetto delle distanze fra edifici,
rientrano nella nozione di nuova
costruzione, la quale comprende qualsiasi
modifica della volumetria di un fabbricato
preesistente che comporti l'aumento della
sagoma d'ingombro in guisa da incidere
direttamente sulla situazione di distanza
tra edifici ed indipendentemente dalla sua
utilizzabilità ai fini abitativi (cfr. ex
plurimis Corte di Cassazione, sez. II civile
– 12/01/2005 n. 400; 05/07/2000 n. 8954;
24/05/2000 n. 6809).
In materia di distanze legali l’art. 136 del
D.P.R. 06/06/2001 n. 380 ha mantenuto in
vigore l’art. 41-quinquies commi 6, 8, 9
della L. 1150/1942, per cui in forza
dell’art. 9 del D.M. 1444/68 la distanza
minima inderogabile di 10 metri tra pareti
finestrate e pareti di edifici antistanti è
quella che tutti i Comuni sono tenuti ad
osservare, mentre il giudice è tenuto ad
applicare tale disposizione anche in
presenza di norme contrastanti incluse negli
strumenti urbanistici locali, dovendosi essa
ritenere automaticamente inserita nel P.R.G.
al posto della norma illegittima. (cfr.
Corte di Cassazione, sez. II civile –
29/05/2006 n. 12741).
Osserva il Collegio anzitutto che la
disciplina civilistica delle distanze tra
costruzioni investe principalmente i
rapporti tra proprietari di fondi limitrofi,
e i loro diritti sono tutelati –in caso di
inosservanza– dall’autorità giudiziaria
ordinaria alla quale è possibile rivolgersi
anche per ottenere la riduzione in pristino
(cfr. art. 872 c.c.); è altrettanto evidente
che ogni questione che coinvolge le
relazioni tra privati individui appartiene
all’ampia materia dell’ordinamento civile,
enucleata dall’art. 117 Cost. e riservata
alla competenza esclusiva dello Stato.
Ad avviso della ricorrente la normativa
regionale sui sottotetti opererebbe in
deroga al regime delle distanze tra
fabbricati, senza che il Comune di Bovezzo
abbia ritenuto di avvalersi della facoltà di
sottrarsi alla disciplina regionale così
come consentito dall’art. 65 della L.r.
12/2005.
Una simile impostazione non può essere
condivisa dal Collegio, anche alla luce
della significativa pronuncia della Corte
costituzionale 16/06/2005 n. 232 sui
rapporti tra potestà statale e potestà
regionale in materia.
Secondo la Corte, con riferimento alla
disciplina delle distanze tra fabbricati
l’attribuzione alle Regioni di competenza
concorrente in materia di governo del
territorio interferisce con l’ordinamento
civile di spettanza esclusiva dello Stato, e
in tale contesto “le Regioni devono
esercitare le loro funzioni nel rispetto dei
principi della legislazione statale”.
Il primo principio, fissato in epoca
risalente, “è che la distanza minima sia
determinata con legge statale, mentre in
sede locale, sempre ovviamente nei limiti
della ragionevolezza, possono essere
soltanto fissati limiti maggiori”.
In secondo luogo, l'ordinamento statale
consente deroghe alle distanze minime con
normative locali, “purché però siffatte
deroghe siano previste in strumenti
urbanistici funzionali ad un assetto
complessivo ed unitario di determinate zone
del territorio”. Tali principi si ricavano
dall'art. 873 cod. civ. e dall'ultimo comma
dell'art. 9 del D.M. 1444/1968 ai sensi del
quale “Qualora le distanze tra fabbricati,
come sopra computate, risultino inferiori
all'altezza del fabbricato più alto, le
distanze stesse sono maggiorate fino a
raggiungere la misura corrispondente
all'altezza stessa. Sono ammesse distanze
inferiori a quelle indicate nei precedenti
commi, nel caso di gruppi di edifici che
formino oggetto di piani particolareggiati o
lottizzazioni convenzionate con previsioni
planovolumetriche”.
L’ipotesi prospettata riguarda ad es. Piani
particolareggiati, Piani di recupero o Piani
di lottizzazione, strumenti di
pianificazione che hanno la funzione di
determinare un ordinato assetto di un ambito
individuato o di una zona identificata del
territorio comunale.
In ogni caso secondo la Corte Costituzionale
i suindicati limiti alla possibilità di
fissare distanze inferiori a quelle previste
dalla normativa statale “trovano la loro
ragione nel rilievo che le deroghe, per
essere legittime, devono attenere agli
assetti urbanistici e quindi al governo del
territorio e non ai rapporti tra vicini
isolatamente considerati in funzione degli
interessi privati dei proprietari dei fondi
finitimi”.
Al riguardo la normativa regionale invocata
è chiaramente ispirata al principio di
favore per il recupero dei sottotetti,
perseguendo l’interesse pubblico di evitare
il consumo di nuovo territorio, e dunque
estende il proprio raggio di applicazione a
tutte le zone residenziali o comunque
abitate e non limita la propria portata a
particolari aree o ambiti. Non sembra
viceversa che il legislatore regionale abbia
inteso incidere sulle relazioni
intersoggettive tra privati, rispetto alle
quali la disciplina sui sottotetti non può
interferire dovendo arrestarsi di fronte ai
limiti invalicabili dell’ordinamento civile,
di competenza esclusiva dello Stato.
Il Collegio richiama la costante
giurisprudenza della Corte di Cassazione, la
quale ha ripetutamente affermato che le
norme degli strumenti urbanistici in materia
di distanze – sia che si riferiscano al
confine oppure all'altra costruzione – sono
destinate a tutelare sia l'interesse dei
vicini alla fruizione di un distacco
congruo, sia quello della collettività
all'instaurazione di un assetto urbanistico
sotto ogni aspetto ordinato (cfr. ex
plurimis Corte di Cassazione, sez. II civile
– 24/03/2005 n. 6401; 29/04/1999 n. 4343).
La “doppia funzione” di tali disposizioni
comporta che, anche ammettendo una potestà
derogatoria in capo alla Regione in merito
ai profili urbanistici, la stessa
incontrerebbe un ostacolo ineludibile
rappresentato dai puntuali diritti
soggettivi dei singoli, la cui fonte è
rintracciabile in una norma statale
inderogabile. In definitiva alla Regione è
preclusa ogni ingerenza nei rapporti
interprivatistici, ai quali la disciplina
delle distanze tra costruzioni attiene in
via primaria e diretta.
Sul punto esiste, infine, un precedente
specifico, ed il Tribunale adito, con
pronuncia in forma semplificata, ha
sostenuto che l’art. 64 comma 2 della L.r.
12/2005 deve interpretarsi “… nel senso che
la derogabilità non opera nei casi in cui lo
strumento urbanistico riproduce disposizioni
normative di rango superiore, a carattere
inderogabile, qual è appunto il decreto
ministeriale nella parte in cui disciplina
le distanze tra fabbricati, trattandosi di
materia inerente all’ordinamento civile e
rientrante, come tale, nella competenza
legislativa esclusiva dello Stato” (TAR
Lombardia-Milano, sez. II – 26/04/2007 n.
1991) (TAR Lombardia-Brescia,
sentenza
30.08.2007 n. 832 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L. Spallino, Sopraelevazioni, normativa locale e distanze ex
d.m. 1444/1968: la posizione del Tribunale di Como
(articolo
09.08.2007
- link a www.studiospallino.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: W.
Fumagalli,
Regione corra
ai ripari!
(AL n. 7-8/2007) |
EDILIZIA
PRIVATA: Lombardia, i sottotetti di cui alla l.r. n. 12/2005 devono rispettare la
distanza minima di mt. 10,00 dai fabbricati
confinanti.
L'art. 9 del d.m. 02.04.1968, n. 1444, pur
riferendosi (comma 1, n. 2) alla
realizzazione di "nuovi edifici", è
applicabile anche agli interventi di
sopraelevazione (Cass. 2^, 27.03.2001, n.
4413; Cons. Stato, V, 19.10.1999, n. 1565),
e dunque anche alle ristrutturazioni che
-volte, come quella de qua, al recupero del
sottotetto- comportino un incremento non
trascurabile dell'altezza del fabbricato (da
mt. 7,60 a mt. 9,54);
La normativa in questione, mirando ad
evitare la creazione di intercapedini in
grado di impedire la libera circolazione
dell'aria, come tali produttive di
insalubrità oltre che riduttive di
luminosità e dunque non autorizzabili per
motivi igienico-sanitari (Cons. Stato, V,
19.10.1999, n. 1565; T.A.R. Catania,
27.10.1994, n. 2373), risponde ad esigenze
pubblicistiche che sovrastano gli interessi
dei singoli, per soddisfare interessi
generali, e non è pertanto suscettibile i
deroghe pattizie.
Considerato, inoltre, che a sostegno
dell'opposta tesi non può essere invocato
l'art. 64, secondo comma, della legge
regionale n. 12 del 2005 (legge per il
governo del territorio), secondo cui il
recupero a fini abitativi dei sottotetti
esistenti "... è ammesso anche in deroga ai
limiti ed alle prescrizioni degli strumenti
di pianificazione comunale ....", dovendo la
norma interpretarsi nel senso che la
derogabilità non opera nei casi in cui lo
strumento urbanistico riproduce disposizioni
normative di rango superiore, a carattere
inderogabile, qual è appunto il decreto
ministeriale nella parte in cui disciplina
le distanze tra fabbricati, trattandosi di
materia inerente l'ordinamento civile e
rientrante, come tale, nella competenza
esclusiva dello Stato (cfr. Corte cost.
16.06.2005, n. 232) (TAR Lombardia-Milano,
Sez. II,
sentenza 26.04.2007 n. 1991). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Ai sensi dell’ormai abrogata l.r. n. 15/1996, gli interventi edilizi finalizzati al recupero dei
sottotetti potevano comportare l'apertura di finestre,
lucernari, abbaini e terrazzi per assicurare l'osservanza
dei requisiti di aeroilluminazione; nonché, ove lo strumento
urbanistico generale comunale vigente risultasse approvato
dopo l'entrata in vigore della legge reg. 15.04.1975 n.
51, modificazioni delle altezze di colmo e di gronda e delle
linee di pendenza delle falde, purché nei limiti di altezza
massima degli edifici posti dallo strumento urbanistico ed
unicamente al fine di assicurare i parametri di altezza
media prescritti dalla legge regionale (art. 2).
Da ciò derivava, pertanto, che le modifiche di altezza e
volumetria, ai sensi della citata normativa regionale,
potevano ritenersi ammissibili solo laddove strettamente
necessarie a rendere abitabili i predetti volumi, con
conseguente esclusione di quelle trasformazioni, che si
sostanziassero nella creazione di nuove volumetrie, che
venissero in qualsiasi modo ad eludere (o, meglio, ad
eccedere) lo scopo unico, cui il legislatore regionale
aveva funzionalizzato le modifiche medesime.
Siffatte trasformazioni potevano avvenire, come s'è visto,
in déroga ad ogni previsione urbanistica comunale, comprese,
quindi, quelle in tema di limiti quantitativi di natura
volumetrica.
---------------
La nuova l.r. n. 12/2005 ridefinisce ex
novo la disciplina in argomento (del recupero dei
sottotetti) con i seguenti tratti fondamentali:
- scompare la definizione aprioristica di qualunque intervento sui
sottotetti come intervento di ristrutturazione, sì che
l’intervento proposto sarà di volta in volta da qualificarsi
sulla base delle “definizioni degli interventi edilizi”
recate dall’art. 27 della legge ed il titolo abilitativo
necessario sarà quello previsto dagli artt. 33 e 41 in
stretta relazione con la operata qualificazione;
- scompare la possibilità di eseguire dette trasformazioni in
deroga ad indici e parametri stabiliti dagli strumenti
urbanistici comunali (ed in particolare dalle rispettive
norme tecniche di attuazione), sì che sarà in relazione alle
previsioni di questi ultimi (circa la tipologia di
interventi ammissibili in ciascuna zona, circa le possibili
limitazioni nell’àmbito di una determinata tipologia, circa
le definizioni di volume e circa le modalità di computo
della volumetria, circa gli indici di edificabilità, ecc.)
che un intervento siffatto potrà essere assentito o meno;
- rimane la sola deroga alle “condizioni di abitabilità previste
dai regolamenti vigenti” (art. 63, commi 5 e 6),
rappresentata da una “altezza media ponderale di m 2,40,
ulteriormente ridotta a m 2,10 per i comuni posti a quote
superiori a m 1000 di altitudine sul livello del mare,
calcolata dividendo il volume della parte di sottotetto la
cui altezza superi m 1,50 per la superficie relativa”;
- rimane la possibilità che detti interventi comportino
“modificazioni delle altezze di colmo e di gronda e delle
linee di pendenza delle falde” (salvo il perdurante
impedimento rappresentato dai “limiti di altezza massima
degli edifici posti dallo strumento urbanistico”), nonché
“l'apertura di finestre, lucernari, abbaini e terrazzi”
(art. 64), ma ciò, si badi, non è previsto che avvenga in
deroga alle prescrizioni di piano, sì che la norma pare
indirizzata più al momento della pianificazione che a quello
del rilascio o acquisizione del titolo abilitativo, che non
potrebbe che adeguarsi a diverse prescrizioni di piano
(salva, ovviamente, l’impugnabilità di queste ultime per
contrasto con la legge regionale in caso di diniego di
permesso di costruire sulle stesse fondato o di accertamento
dell’inesistenza dei presupposti per la formazione di altro
titolo abilitativo sempre sulle stesse basato).
Se ne può nel complesso dedurre che l'evidente ratio
perseguita dal Legislatore regionale del 1996 (quella di
favorire la creazione di nuove residenze attraverso il
razionale recupero dei sottotetti e di evitare per tale via
un ulteriore consumo di nuovo territorio altrimenti
necessario per la soddisfazione dei bisogni delle famiglie)
viene sì condivisa dal primo intervento legislativo del
2005, ma in un’ottica e con una disciplina più restrittiva,
che si concretizza nella espunzione di quelle norme, che
prima consentivano la realizzabilità degli interventi in
questione in déroga agli indici o parametri urbanistici ed
edilizi.
Espunzione, questa, che, a differenza di quanto ritenuto dal
Giudice di primo grado (che ne ricava argomento per
sostenere la persistenza implicita della previsione
derogatoria), non svuota affatto la portata delle norme del
Capo in argomento, le quali pur sempre fanno salva, come s’è
visto, la déroga alle norme edilizie ed igieniche relative
alle altezze interne degli alloggi ricavati nel sottotetto,
pur sempre dettano prescrizioni per la pianificazione
comunale circa l’apertura di luci e terrazzi vòlti ad
assicurare i requisiti di aeroilluminazione, pur sempre,
infine, mirano a limitare il disordine urbanistico e
l’elusione di quelle disposizioni, che valgono a
salvaguardare un corretto vivere cittadino (finalità chiara
nella portata del comma 3 dell’art. 63 laddove stabilisce
che “ai sensi di quanto disposto dagli articoli 36, comma 2
e 44, comma 2, il recupero volumetrico di cui al comma 2 può
essere consentito solo nel caso in cui gli edifici
interessati siano serviti da tutte le urbanizzazioni
primarie, ovvero in presenza di impegno, da parte dei
soggetti interessati, alla realizzazione delle suddette
urbanizzazioni, contemporaneamente alla realizzazione
dell'intervento ed entro la fine dei relativi lavori”).
Nell’ottica del legislatore della legge regionale n. 12/2005
(nella sua primigenia versione applicabile ratione temporis
alla fattispecie) la controversa possibilità di déroga non
può dunque assolutamente riguardare lo sviluppo
dell’edificio in termini di superficie e/o di volumetria,
altezze e/o distacchi; e ciò al fine di non sacrificare
oltre misura gli interessi della collettività con
l’aggravamento incontrollato di equilibri urbanistici spesso
delicati.
A tal proposito, alle affermazioni del TAR circa la
superfluità di una previsione espressa di derogabilità degli
indicati indici in sede di realizzazione degli interventi in
questione e circa il carattere implicito di una tale
previsione, valga opporre che un siffatto argomentare pare
suscettibile di comportare lo stravolgimento dei principi e
delle regole essenziali per una corretta e razionale
gestione del territorio comunale e, in fin dei conti, lo
stesso esautoramento dei poteri pianificatòri, che
l’ordinamento urbanistico demanda, in via concorrente,
all’Autorità regionale ed a quella comunale, dal momento che
non consente al Comune, pur in assenza di una espressa
previsione della ridetta derogabilità, di opporre proprie
valutazioni circa la compatibilità concreta degli interventi
di recupero in argomento con le esigenze, sottese alle
relative norme, di tutela ambientale, urbanistica ed
edilizia.
Trattasi, invero, di valutazioni dovute:
- nel sistema della legge statale, per effetto dell'art. 4,
comma 1, della legge n. 10 del 1977, il quale stabiliva che
la concessione edilizia può essere rilasciata esclusivamente
per gli interventi conformi alle previsioni degli strumenti
urbanistici e dei regolamenti edilizi (v., oggi, l’art. 20,
comma 3, del D.P.R. 06.06.2001, n. 380); dell’art. 41-quater
della legge urbanistica (v. oggi l’art. 14 del D.P.R. n.
380/2001), recante il principio per cui le concessioni in
deroga possono essere rilasciate esclusivamente per la
costruzione di edifici pubblici o d'interesse pubblico;
dell’art. 15 della legge n. 47 del 1985, a tenore del quale
le varianti in corso d'opera, che possono essere richieste
prima dell'ultimazione dei lavori, devono essere conformi
agli strumenti urbanistici e non devono comportare modifiche
della sagoma, né delle superfici utili; dell’art. 22, comma
1, del D.P.R. 06.06.2001, n. 380, secondo cui “sono
realizzabili mediante denuncia di inizio attività gli
interventi … che siano conformi alle previsioni degli
strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della
disciplina urbanistico-edilizia vigente”;
- nel sistema della legislazione regionale all’esame, in
virtù del disposto dell’art. 36, comma 1, della l.r. n.
12/2005 (che stabilisce che “il permesso di costruire è
rilasciato in conformità alle previsioni degli strumenti di
pianificazione, dei regolamenti edilizi e della disciplina
urbanistico-edilizia vigenti”) e dell’art. 42, comma 1,
primo periodo della stessa legge (che prevede che “il
proprietario dell'immobile o chi abbia titolo per presentare
la denuncia di inizio attività, almeno trenta giorni prima
dell'effettivo inizio dei lavori, presenta la denuncia,
accompagnata da una dettagliata relazione a firma di un
progettista abilitato e dagli opportuni elaborati
progettuali, che asseveri la conformità delle opere da
realizzare agli strumenti di pianificazione vigenti ed
adottati ed ai regolamenti edilizi vigenti, nonché il
rispetto delle norme di sicurezza e di quelle
igienico-sanitarie”), a fronte dei quali la disciplina
dettata dagli artt. 63, 64 e 65 della stessa legge per il
recupero di cui trattasi, lungi dal potersi considerare,
come erroneamente ritenuto dal TAR, esaustiva ed in se
completa, si appalesa come meramente integrativa e
correttiva di quella generale, sì che la mancata previsione,
nel suo ristretto ambito, della detta valutazione di
compatibilità urbanistica non può affatto condurre alla
esclusione dell’applicabilità ad esso del disposto del
veduto art. 36.
Si deve dunque concludere, in mancanza di una previsione
esplicita di derogabilità, che la valutazione di
compatibilità dell’intervento edilizio in questione va
effettuata, alla luce della menzionata disciplina generale
recata dalla stessa legge regionale n. 12/2005, con riguardo
alla disciplina urbanistica vigente, salve le ipotesi
derogatorie ivi espressamente dettate.
---------------
La legge regionale n. 12/2005, frutto com’è di nuove
discrezionali valutazioni poste in essere dal legislatore
regionale nella materia de qua, ha in realtà sul punto
all’esame carattere radicalmente innovativo rispetto alle
previsioni della precedente legge che va a modificare, sì
che essa, lungi dal chiarire il significato delle
disposizioni previgenti (v., sul carattere della legge
interpretativa, l’ormai risalente sentenza Corte cost. n.
118 del 1957) e dunque lungi dal potersi qualificare come
legge di interpretazione, non fa altro che confermare che
l’interesse dei Comuni a tutelare l’assetto urbanistico del
territorio e la densità in queste degli edifici anche in
relazione agli interventi de quibus può recedere solo in
presenza di espresse previsioni normative, in assenza delle
quali nessuna ipotesi di déroga alle norme dei piani
regolatori generali e dei regolamenti edilizi locali può
considerarsi “implicita” o comunque esistente per effetto di
disinvolte interpretazioni estensive di ambiti derogatòri,
in quanto tali assolutamente tassativi.
Ciò posto, le articolate prospettazioni sul punto svolte
dall'appellante sono da condividersi, alla stregua delle
argomentazioni già svolte sulla questione dalla Sezione con
sentenza 21.12.2006, n. 7770, dalle quali non v’è qui motivo
per discostarsi.
Ai sensi della legge della regione Lombardia n. 15 del 1996
(art. 3 ) il recupero del sottotetto a fini abitativi era
qualificato come intervento di ristrutturazione, a norma
dell'art. 31, comma 1, lett. d), della legge 05.08.1978,
n. 457; la stessa norma, al comma 3, stabiliva che "il
recupero dei sottotetti è ammesso anche in deroga ai limiti
ed alle prescrizioni di cui agli artt. 14, 17 19 e 22 della L.R. 15.04.1975, n. 51 «Disciplina urbanistica del
territorio regionale e misure di salvaguardia per la tutela
del patrimonio naturale e paesistico» e successive
modificazioni ed integrazioni, nonché in deroga agli indici
o parametri urbanistici ed edilizi previsti dagli strumenti
urbanistici generali vigenti ed adottati".
Il recupero volumetrico a scopo residenziale del piano
sottotetto in base alla citata legge regionale non poteva
prescindere dall'esistenza dell'edificio e del sottotetto
medesimo (da intendersi come vero e proprio volume
preesistente) e doveva avvenire nel rispetto delle
prescrizioni igienico-sanitarie e di abitabilità previste
dai regolamenti vigenti, salvo quanto disposto dal comma 6
dell'art. 1 della legge medesima ("il recupero abitativo dei
sottotetti è consentito purché sia assicurata per ogni
singola unità immobiliare l'altezza media ponderale di m
2,40, ulteriormente ridotta a m 2,10 per i comuni posti a
quote superiori a m 1000 di altitudine sul livello del mare,
calcolata dividendo il volume della parte di sottotetto la
cui altezza superi m 1,50 per la superficie relativa").
Gli interventi edilizi finalizzati al recupero dei
sottotetti potevano comportare l'apertura di finestre,
lucernari, abbaini e terrazzi per assicurare l'osservanza
dei requisiti di aeroilluminazione; nonché, ove lo strumento
urbanistico generale comunale vigente risultasse approvato
dopo l'entrata in vigore della legge reg. 15.04.1975 n.
51, modificazioni delle altezze di colmo e di gronda e delle
linee di pendenza delle falde, purché nei limiti di altezza
massima degli edifici posti dallo strumento urbanistico ed
unicamente al fine di assicurare i parametri di altezza
media prescritti dalla legge regionale (art. 2).
Da ciò derivava, pertanto, che le modifiche di altezza e
volumetria, ai sensi della citata normativa regionale,
potevano ritenersi ammissibili solo laddove strettamente
necessarie a rendere abitabili i predetti volumi, con
conseguente esclusione di quelle trasformazioni, che si
sostanziassero nella creazione di nuove volumetrie, che
venissero in qualsiasi modo ad eludere (o, meglio, ad
eccedere) lo scopo unico, cui il legislatore regionale
aveva funzionalizzato le modifiche medesime (Cons. St., IV,
30.05.2005, n. 2767).
Siffatte trasformazioni potevano avvenire, come s'è visto,
in déroga ad ogni previsione urbanistica comunale, comprese,
quindi, quelle in tema di limiti quantitativi di natura
volumetrica.
Tale essendo il quadro risultante dall’ormai abrogata legge
regionale n. 15/1996 e dagli interventi giurisprudenziali e
legislativi ad essa successivi (si ricordi che tale legge è
stata successivamente modificata dalla legge regionale n.
18/1997 e dalla legge regionale n. 22/1999, oltre che fatta
oggetto di interpretazione autentica con l.r. n. 18/2002,
tutte abrogate dall’art. 104 della citata legge n. 12/2005), il Capo I del Titolo IV della nuova legge regionale n.
12/2005 (che, dedicato alle “Attività edilizie specifiche”,
disciplina, oltre ai cambi d’uso, ai parcheggi, all’attività
edilizia nelle aree agricole ed alla realizzazione di
edifici di culto e di attrezzature destinate ai servizi
religiosi, il recupero dei sottotetti), ribaditi il
principio generale del “favor” per il recupero a fini
abitativi dei sottotetti esistenti (commi 1 e 2 dell’art.
63) e la definizione di sottotetto esistente come volume
soprastante l’ultimo piano degli edifici “esistente al
momento della presentazione della domanda di permesso di
costruire ovvero della denuncia di inizio attività” (commi 2
e 4 dell’art. 63), ridefinisce ex novo la disciplina in
argomento con i seguenti tratti fondamentali:
- scompare la definizione aprioristica di qualunque
intervento sui sottotetti come intervento di
ristrutturazione, sì che l’intervento proposto sarà di volta
in volta da qualificarsi sulla base delle “definizioni degli
interventi edilizi” recate dall’art. 27 della legge ed il
titolo abilitativo necessario sarà quello previsto dagli
artt. 33 e 41 in stretta relazione con la operata
qualificazione;
- scompare la possibilità di eseguire dette trasformazioni
in deroga ad indici e parametri stabiliti dagli strumenti
urbanistici comunali (ed in particolare dalle rispettive
norme tecniche di attuazione), sì che sarà in relazione alle
previsioni di questi ultimi (circa la tipologia di
interventi ammissibili in ciascuna zona, circa le possibili
limitazioni nell’àmbito di una determinata tipologia, circa
le definizioni di volume e circa le modalità di computo
della volumetria, circa gli indici di edificabilità, ecc.)
che un intervento siffatto potrà essere assentito o meno;
- rimane la sola deroga alle “condizioni di abitabilità
previste dai regolamenti vigenti” (art. 63, commi 5 e 6),
rappresentata da una “altezza media ponderale di m 2,40,
ulteriormente ridotta a m 2,10 per i comuni posti a quote
superiori a m 1000 di altitudine sul livello del mare,
calcolata dividendo il volume della parte di sottotetto la
cui altezza superi m 1,50 per la superficie relativa”;
- rimane la possibilità che detti interventi comportino
“modificazioni delle altezze di colmo e di gronda e delle
linee di pendenza delle falde” (salvo il perdurante
impedimento rappresentato dai “limiti di altezza massima
degli edifici posti dallo strumento urbanistico”), nonché
“l'apertura di finestre, lucernari, abbaini e terrazzi”
(art. 64), ma ciò, si badi, non è previsto che avvenga in
deroga alle prescrizioni di piano, sì che la norma pare
indirizzata più al momento della pianificazione che a quello
del rilascio o acquisizione del titolo abilitativo, che non
potrebbe che adeguarsi a diverse prescrizioni di piano
(salva, ovviamente, l’impugnabilità di queste ultime per
contrasto con la legge regionale in caso di diniego di
permesso di costruire sulle stesse fondato o di accertamento
dell’inesistenza dei presupposti per la formazione di altro
titolo abilitativo sempre sulle stesse basato).
Se ne può nel complesso dedurre che l'evidente ratio
perseguita dal Legislatore regionale del 1996 (quella di
favorire la creazione di nuove residenze attraverso il
razionale recupero dei sottotetti e di evitare per tale via
un ulteriore consumo di nuovo territorio altrimenti
necessario per la soddisfazione dei bisogni delle famiglie)
viene sì condivisa dal primo intervento legislativo del
2005, ma in un’ottica e con una disciplina più restrittiva,
che si concretizza nella espunzione di quelle norme, che
prima consentivano la realizzabilità degli interventi in
questione in déroga agli indici o parametri urbanistici ed
edilizi; espunzione, questa, che, a differenza di quanto
ritenuto dal Giudice di primo grado (che ne ricava
argomento per sostenere la persistenza implicita della
previsione derogatoria), non svuota affatto la portata
delle norme del Capo in argomento, le quali pur sempre fanno
salva, come s’è visto, la déroga alle norme edilizie ed
igieniche relative alle altezze interne degli alloggi
ricavati nel sottotetto, pur sempre dettano prescrizioni per
la pianificazione comunale circa l’apertura di luci e
terrazzi vòlti ad assicurare i requisiti di
aeroilluminazione, pur sempre, infine, mirano a limitare il
disordine urbanistico e l’elusione di quelle disposizioni,
che valgono a salvaguardare un corretto vivere cittadino (finalità chiara nella portata del comma 3 dell’art. 63
laddove stabilisce che “ai sensi di quanto disposto dagli
articoli 36, comma 2 e 44, comma 2, il recupero volumetrico
di cui al comma 2 può essere consentito solo nel caso in cui
gli edifici interessati siano serviti da tutte le
urbanizzazioni primarie, ovvero in presenza di impegno, da
parte dei soggetti interessati, alla realizzazione delle
suddette urbanizzazioni, contemporaneamente alla
realizzazione dell'intervento ed entro la fine dei relativi
lavori”).
Nell’ottica del legislatore della legge regionale n. 12/2005
(nella sua primigenia versione applicabile ratione
temporis alla fattispecie) la controversa possibilità di
déroga non può dunque assolutamente riguardare lo sviluppo
dell’edificio in termini di superficie e/o di volumetria,
altezze e/o distacchi; e ciò al fine di non sacrificare
oltre misura gli interessi della collettività con
l’aggravamento incontrollato di equilibri urbanistici spesso
delicati.
A tal proposito, alle affermazioni del TAR circa la
superfluità di una previsione espressa di derogabilità degli
indicati indici in sede di realizzazione degli interventi in
questione e circa il carattere implicito di una tale
previsione, valga opporre che un siffatto argomentare pare
suscettibile di comportare lo stravolgimento dei principi e
delle regole essenziali per una corretta e razionale
gestione del territorio comunale e, in fin dei conti, lo
stesso esautoramento dei poteri pianificatòri, che
l’ordinamento urbanistico demanda, in via concorrente,
all’Autorità regionale ed a quella comunale (Cons. St., IV,
21.06.2005, n. 3243 e 14.04.2006, n. 2170), dal momento che
non consente al Comune, pur in assenza di una espressa
previsione della ridetta derogabilità, di opporre proprie
valutazioni circa la compatibilità concreta degli interventi
di recupero in argomento con le esigenze, sottese alle
relative norme, di tutela ambientale, urbanistica ed
edilizia.
Trattasi, invero, di valutazioni dovute:
- nel sistema della legge statale, per effetto dell'art. 4,
comma 1, della legge n. 10 del 1977, il quale stabiliva che
la concessione edilizia può essere rilasciata esclusivamente
per gli interventi conformi alle previsioni degli strumenti
urbanistici e dei regolamenti edilizi (v., oggi, l’art. 20,
comma 3, del D.P.R. 06.06.2001, n. 380); dell’art.
41-quater della legge urbanistica (v. oggi l’art. 14 del
D.P.R. n. 380/2001), recante il principio per cui le
concessioni in deroga possono essere rilasciate
esclusivamente per la costruzione di edifici pubblici o
d'interesse pubblico; dell’art. 15 della legge n. 47 del
1985, a tenore del quale le varianti in corso d'opera, che
possono essere richieste prima dell'ultimazione dei lavori,
devono essere conformi agli strumenti urbanistici e non
devono comportare modifiche della sagoma, né delle superfici
utili; dell’art. 22, comma 1, del D.P.R. 06.06.2001, n. 380,
secondo cui “sono realizzabili mediante denuncia di
inizio attività gli interventi … che siano conformi alle
previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti
edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente”;
- nel sistema della legislazione regionale all’esame, in
virtù del disposto dell’art. 36, comma 1, della l.r. n.
12/2005 (che stabilisce che “il permesso di costruire è
rilasciato in conformità alle previsioni degli strumenti di
pianificazione, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigenti”) e dell’art. 42, comma 1,
primo periodo della stessa legge (che prevede che “il
proprietario dell'immobile o chi abbia titolo per presentare
la denuncia di inizio attività, almeno trenta giorni prima
dell'effettivo inizio dei lavori, presenta la denuncia,
accompagnata da una dettagliata relazione a firma di un
progettista abilitato e dagli opportuni elaborati
progettuali, che asseveri la conformità delle opere da
realizzare agli strumenti di pianificazione vigenti ed
adottati ed ai regolamenti edilizi vigenti, nonché il
rispetto delle norme di sicurezza e di quelle
igienico-sanitarie”), a fronte dei quali la disciplina
dettata dagli artt. 63, 64 e 65 della stessa legge per il
recupero di cui trattasi, lungi dal potersi considerare,
come erroneamente ritenuto dal TAR, esaustiva ed in se
completa, si appalesa come meramente integrativa e
correttiva di quella generale, sì che la mancata previsione,
nel suo ristretto ambito, della detta valutazione di
compatibilità urbanistica non può affatto condurre alla
esclusione dell’applicabilità ad esso del disposto del
veduto art. 36.
Si deve dunque concludere, in mancanza di una previsione
esplicita di derogabilità, che la valutazione di
compatibilità dell’intervento edilizio in questione va
effettuata, alla luce della menzionata disciplina generale
recata dalla stessa legge regionale n. 12/2005, con riguardo
alla disciplina urbanistica vigente, salve le ipotesi
derogatorie ivi espressamente dettate.
Né paiono poi corretti e pertinenti gli ulteriori argomenti
posti dal TAR a fondamento della declaratoria di
illegittimità del provvedimento oggetto del giudizio, che
invece una tale valutazione ha operato:
- né, invero, quello secondo cui non “avrebbe ragion
d’essere, nell’opposta ottica di inderogabilità degli indici
di piano, la previsione dell’art. 65 (secondo cui le
disposizioni del capo dedicato ai sottotetti non si
applicano negli ambiti per i quali i comuni ne abbiano
disposto l’esclusione ai sensi dell’art. 1, comma 7, legge
regionale n. 15/1996)”, dal momento che le determinazioni in
tal senso adottate dai Consigli Comunali si rivelano
comunque utili, nel nuovo sistema disegnato dalla l.r. n.
12/2005, ad escludere l’operatività della veduta déroga, di
cui al comma 6 dell’art. 63;
- né quello che fa riferimento al più recente intervento del
legislatore regionale, che, con legge 27.12.2005, n.
20 (pubblicata nel BURL del 30.12.05, spl. ord. n. 52), ha
novellato l’art. 64 della legge regionale n. 12/2005,
disponendo, tra l’altro (comma 2), che “il recupero ai fini
abitativi dei sottotetti esistenti è classificato come
ristrutturazione edilizia ai sensi dell’articolo 27, comma
1, lettera d)” e, inoltre, che “esso non richiede
preliminare adozione ed approvazione di piano attuativo ed è
ammesso anche in deroga ai limiti ed alle prescrizioni degli
strumenti di pianificazione comunale vigenti ed adottati, ad
eccezione del reperimento di spazi per parcheggi pertinenziali secondo quanto disposto dal comma 3”: giacché,
invece, proprio tale successivo intervento legislativo, che
ha espressamente reintrodotto le previsioni derogatorie
eliminate dall’originaria legge n. 12/2005 peraltro
apponendo nuove prescrizioni e condizioni alla operatività
delle déroghe stesse, vale a segnare, in virtù del suo
obiettivo contenuto, un netto elemento di discontinuità tra
le previsioni della l.r. n. 15/1996, quelle della prima
versione della l.r. n. 12/2005 e quelle risultanti dalla sua
successiva revisione.
La legge regionale n. 12/2005, frutto com’è di nuove
discrezionali valutazioni poste in essere dal legislatore
regionale nella materia de qua, ha in realtà sul punto
all’esame carattere radicalmente innovativo rispetto alle
previsioni della precedente legge che va a modificare, sì
che essa, lungi dal chiarire il significato delle
disposizioni previgenti (v., sul carattere della legge
interpretativa, l’ormai risalente sentenza Corte cost. n.
118 del 1957) e dunque lungi dal potersi qualificare come
legge di interpretazione, non fa altro che confermare che
l’interesse dei Comuni a tutelare l’assetto urbanistico del
territorio e la densità in queste degli edifici anche in
relazione agli interventi de quibus può recedere solo in
presenza di espresse previsioni normative, in assenza delle
quali nessuna ipotesi di déroga alle norme dei piani
regolatori generali e dei regolamenti edilizi locali può
considerarsi “implicita” o comunque esistente per effetto di
disinvolte interpretazioni estensive di ambiti derogatòri,
in quanto tali assolutamente tassativi (Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza 22.03.2007
n. 1408). |
EDILIZIA PRIVATA: Limite
altezza massima degli edifici - deve essere determinato sulla base del
numero dei piani - Recupero del sottotetto al fine di conseguire
l'altezza media ponderale di ml 2,40 - E' possibile.
L'art. 2 comma 1 della L.r. n. 16 del 1996 (come sostituito dalla
L.r. n. 22/1999), nello stabilire che le modifiche alle quote di gronda
e di colmo nonché alla linea di pendenza delle falde sono ammissibili
nei limiti dell'altezza massima prevista dal PRG, deve essere inteso
come riferimento ai limiti stabiliti in termini metrico/reali (cioè
altimetrici o di quota) e non attraverso il criterio del numero dei
piani (come prevede l'art. 73 comma 10 del R.E.) quando il piano
considerato ai fini del computo dell'altezza (dalle norme edilizie e
urbanistiche comunali) costituisce esso stesso un sottotetto secondo la
definizione contenuta nell'art. 1 comma 4 della stessa L.r. (ossia i
"volumi sovrastanti l'ultimo piano degli edifici").
Ciò per l'evidente ragione che il Legislatore regionale ha voluto
salvaguardare solo l'altezza fisica degli edifici (ovvero l'altezza
effettiva o reale o visiva), e non l'altezza virtuale determinata
attraverso il mero numero dei piani computabili (o meno) qualora
assumano determinate configurazioni definite attraverso le norme
edilizie e urbanistiche locali (TAR Lombardia-Brescia,
sentenza 08.03.2007 n.
254
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www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Recupero del sottotetto - Presentazione
della d.i.a. nel vigore della L.R. Lombardia n. 15/1996 - Scadenza del
termine di trenta giorni nel vigore della sopravvenuta L.R. n. 12/2005 -
Si applica la disciplina sopravvenuta.
2. Recupero del sottotetto - Art. 63, L.R. n.
12/2005 - Assentibilità di interventi edilizi anche in deroga agli
indici previsti dalla normativa di piano - Sussiste - In caso contrario
la norma sarebbe pleonastica.
1. Ove la d.i.a. per il recupero di un sottotetto sia stata presentata
nel vigore della L.R. Lombardia n. 15/1996, ma il termine di trenta
giorni sia scaduto dopo l'entrata in vigore della L.R. n. 12/2005, è
tale ultima disciplina normativa che deve essere applicata.
2. Alla disposizione dell'art. 63, L.R. Lombardia n. 12/2005, non può
riconoscersi altro senso che di consentire l'attribuzione al sottotetto,
per il volume corrispondente, di una destinazione residenziale,
attraverso interventi edilizi (comma 5) assentibili anche in deroga agli
indici previsti dalla normativa di piano. Se in recupero dei sottotetti
fosse subordinato al rispetto degli ordinari indici di inedificabilità,
la norma sarebbe pleonastica, essendo in ogni caso l'intervento
assentibile in base alla disciplina comune, né avrebbe senso la
previsione dell'art. 65, la quale consente al Comune di vietare il
recupero dei sottotetti (e dunque di rendere inoperante la norma
derogatoria) con motivata deliberazione consiliare riferita a specifici
ambiti territoriali (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 15.02.2007 n. 261
- massima tratta da www.solom.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Recupero sottotetti - Disciplina transitoria
- Irragionevolezza - Non sussiste - Disparità di mero fatto - Sussiste
-Questione di legittimità costituzionale art. 63 L.R. 12/2005 - è
manifestamente infondata.
2. Recupero sottotetti - Sopraelevazione -
Distanze tra fabbricati - E' derogabile.
1. E' manifestamente infondata la questione di legittimità
costituzionale, sollevata in relazione all'art. 63 L.R. 12/2005, in
quanto lesivo del criterio generale di ragionevolezza desumibile dagli
artt. 3 e 97 Cost. nella parte in cui attribuirebbe una sorta di bonus
edificatorio a chi ha avuto la ventura di ottenere un permesso di
costruire prima del 31 dicembre 2005. Per il Collegio, infatti, il co. 2
dell'art. 63 costituisce norma speciale rispetto alla regola generale di
cui ai commi 2 e 4 del medesimo articolo, avente la finalità di
disciplinare le fattispecie in esso previste nel periodo transitorio: in
tale ottica le possibili diversità di regime rappresentano delle
disparità di mero fatto che scaturiscono dalla natura stessa del regime
transitorio, il quale, chiamato ad introdurre una disciplina di
passaggio tra sistemi normativi, necessariamente si salda ad un
determinato momento o fatto, da individuare quale linea di demarcazione
a partire dalla quale il regime stesso è chiamato ad operare.
2. L'art. 64, co. 1, della L.R.12/2005 ammette il recupero del
sottotetto mediante sopraelevazione, nel rispetto dei limiti massimi di
altezza stabiliti dallo strumento urbanistico per la zona, senza imporre
l'arretramento dei muri esterni per adeguare il distacco tra gli edifici
a causa della maggiore altezza. Ciò in quanto l'imposizione di un simile
onere avrebbe potuto compromettere la fattibilità del recupero (e,
quindi, la realizzazione degli obiettivi di riduzione del consumo di
territorio indicata dall'art. 63 sopra citato) che non avrebbe comunque
potuto essere realizzato ove l'edificio preesistente fosse già posto
alla minima distanza possibile, secondo le leggi vigenti, dagli edifici
confinanti. E' evidente peraltro che la norma regionale ha voluto
evitare proprio tale conseguenza ed ha perciò previsto la possibilità di
derogare ai limiti ed alle prescrizioni degli strumenti di
pianificazione comunale, ivi comprese le norme sui distacchi e sulle
distanze. Si deve quindi ritenere che, sotto questo profilo, prevalga la
qualificazione dell'intervento di recupero del sottotetto come
ristrutturazione e che conseguentemente si estenda al nuovo piano
sottotetto il regime delle distanze acquisito per il resto dell'edificio (TAR Lombardia-Brescia,
sentenza 12.01.2007 n. 11
- massima tratta da www.solom.it - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2006 |
|
EDILIZIA PRIVATA: L.
Spallino, Sottotetti in regione Lombardia: vanno realizzati
prima di essere recuperati?
(articolo
03.07.2006
- link a www.studiospallino.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
W. Fumagalli,
Sottotetti:
anno nuovo vita nuova
(AL n. 4/2006) |
EDILIZIA PRIVATA: L.
Spallino, Modifiche alla normativa in materia di recupero
abitativo dei sottotetti in Regione Lombardia
(articolo
16.02.2006
- link a www.studiospallino.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
sopralzo del sottotetto deve rispettare la distanza minima
di mt. 10,00 dai fabbricati limitrofi.
Il recupero volumetrico (sopraelevazione) dei
sottotetti in Lombardia, in forza della l.r. n. 12/2005 e
s.m.i., non può derogare dalla distanza minima di mt. 10,00
tra fabbricati di cui al D.M. 02.04.1968 1444 (TRIBUNALE di
Como, Sez. civile,
sentenza
06.02.2006). |
EDILIZIA PRIVATA: La
nota 26.01.2006
dell'Avv. Paolo Mantegazza di Como avente per oggetto:
Sottotetti - recupero abitativo - Legge Regionale 20.12.2005
n. 20 - Adempimenti comunali. |
EDILIZIA PRIVATA:
Sul recupero dei
sottotetti in deroga al P.R.G..
La previsione
espressa nella legge n. 15 del 1996 era
giustificata in primo luogo dalla
possibilità di modifiche all’altezza e
quindi dei volumi dell’edificio.
Tale possibilità non è più ammessa dalla
nuova legge regionale (n. 12/2005), in base
alla quale è possibile il recupero dei
sottotetti solo nella misura in cui siano
esistenti, senza alcuna modifica di altezza
o di volume, se non l’altezza minima per
raggiungere l’abitabilità .
E’ evidente quindi che il sottotetto sia
considerato un volume già esistente che può
essere recuperato senza alcuna ulteriore
valutazione in termini di volumetria
ammessa.
Anche il dato testuale conferma tale
interpretazione.
Più volte nel testo dell’art 63 si definisce
il sottotetto come volume, all’evidenza
facendo riferimento ad un volume già
considerato tale in senso urbanistico.
Le argomentazioni della difesa del Comune di
Milano per cui tale valutazione sarebbe
necessaria, in quanto il recupero del
sottotetto, che diventa abitabile,
comporterebbe comunque un aumento di carico
urbanistico non sono condivisibili.
Infatti la ratio della disposizione
normativa che consente il recupero dei
sottotetti, come espressamente detto
dall’articolo 63 citato, è proprio il
massimo sfruttamento dei volumi esistenti,
al fine di evitare nuove costruzioni.
Se il recupero fosse possibile solo nei
limiti dei parametri urbanistici esistenti,
non avrebbe alcun senso aver introdotto una
disciplina specifica.
Infatti i privati potrebbero già rendere
abitabile il sottotetto richiedendo titolo
abilitativo in base alla disposizioni
urbanistiche vigenti nel Comune
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 17.01.2006 n. 72 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sul recupero dei
sottotetti condominiali.
In caso di
intervento edilizio afferente un sottotetto
(condominiale) da ritenersi non di
pertinenza esclusiva dell'appartamento dei
richiedenti, siccome insistente
contemporaneamente su tre diverse porzioni
materiali del fabbricato, occorre, infatti,
il previo consenso di tutti i condomini; è
al riguardo irrilevante la circostanza che
l'intervento inerisca unicamente la parte di
sottotetto sovrastante l'unità immobiliare
degli istanti, posto che dette opere
influirebbero comunque sulla destinazione
del sottotetto all'uso comune.
Il sottotetto di un edificio in condominio
può considerarsi pertinenza esclusiva
dell'appartamento sito all'ultimo piano solo
quando assolva la esclusiva funzione di
isolare e proteggere l'unità stessa dal
caldo, dal freddo e dall'umidità, crei una
sorta di camera d'aria, non anche quando
abbia dimensioni e carattere strutturali
tali da consentirne l'utilizzazione come
vano autonomo, nel quale deve presumersi di
proprietà condominiale laddove risulti in
concreto seppur in via solo potenziale,
oggettivamente destinato all'uso comune
(Consiglio Stato, sez. V, 09.10.2003, n.
6049)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 17.01.2006 n. 72 -
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anno 2005 |
|
EDILIZIA PRIVATA: Sul
recupero dei sottotetti in deroga.
La speciale normativa della Regione Lombardia in materia di recupero dei
sottotetti ai fini abitativi (L.R. n. 15 del 15.07.1996) all’art. 3,
comma 3, espressamente dispone che: “...il recupero dei sottotetti è
ammesso anche in deroga ai limiti ed alle prescrizioni di cui agli artt.
14, 17, 19 e 22 della L.R. 15.04.1975, n. 51, nonché in deroga agli
indici o parametri urbanistici ed edilizi previsti dagli strumenti
urbanistici generali vigenti ed adottati.” E cioè anche in deroga
all’art. 7 del D.M. n. 1444/1968 espressamente richiamato dall’art. 17
della L.R. del 1975, atteso che gli interventi in questione,
classificati come ristrutturazioni ai sensi dell'art. 31, comma 1, lett.
d) della legge 05.08.1978, n. 457, non richiedono la preliminare
adozione ed approvazione di piano attuativo. E’ pertanto irrilevante
stabilire se l’intervento richiesto comporti o meno un aumento di
volumetria ovvero se, comunque, rimanga nei limiti della volumetria
comunque consentita dall’art. 7 del D.M. n. 1444 del 02.04.1968 pari a 5
mc/mq.
Ai sensi dell’art. 2 della L.R. Lombardia n. 15 del 1996, nel testo
modificato dalla successiva L.R. n. 22 del 19.11.1999 “Gli interventi
edilizi finalizzati al recupero dei sottotetti possono comportare
l'apertura di finestre, lucernari, abbaini e terrazzi per assicurare
l'osservanza dei requisiti di aeroilluminazione; nonché, ove lo
strumento urbanistico generale comunale vigente risulti approvato dopo
l'entrata in vigore della legge regionale 15.04.1975, n. 51,
modificazioni delle altezze di colmo e di gronda e delle linee di
pendenza delle falde, purché nei limiti di altezza massima degli edifici
posti dallo strumento urbanistico ed unicamente al fine di assicurare i
parametri, di cui all'art. 1, comma 6.” (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 30.06.2005 n. 3461
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EDILIZIA PRIVATA:
Il recupero
volumetrico dei sottotetti può avvenire solo
in relazione al sottotetto esistente nella
sua conformazione originaria, qualora
sussistano le condizioni minime di cui al
citato comma 6 dell’art. 63, mentre
l’eventuale maggiore volume necessario per
il raggiungimento di tali requisiti minimi
non può che essere imputato nell’indice
edilizio del lotto su cui insiste
l’edificio.
- il tenore
letterale della novella legislativa (ndr:
l.r. n. 12/2005) non appare introdurre
alcuna ulteriore deroga alla normativa
dettata dal pianificatore locale;
- la volontà espressa del legislatore
regionale sembra aderente al principio
generale di sussidiarietà ed autonomia dei
Comuni in materia di disciplina dell’assetto
del territorio;
- la norma, così come strutturata, seppur
ridimensionata non sembra inutiliter
data, sopravvivendo la deroga alle norme
edilizie e igieniche relative alle altezze
interne degli alloggi ricavati nel
sottotetto (articolo 63, comma 6);
- sembrano derogabili anche le eventuali
norme locali che impediscono l'apertura di
finestre, lucernari, abbaini e terrazzi,
purché tali opere siano eseguite per
assicurare i requisiti di aeroilluminazione;
- in definitiva, il recupero volumetrico dei
sottotetti può avvenire solo in relazione al
sottotetto esistente nella sua conformazione
originaria, qualora sussistano le condizioni
minime di cui al citato comma 6 dell’art.
63, mentre l’eventuale maggiore volume
necessario per il raggiungimento di tali
requisiti minimi non può che essere imputato
nell’indice edilizio del lotto su cui
insiste l’edificio (cfr. ordinanza Sezione
07/06/2005 n. 684)
(TAR Lombardia-Brescia,
ordinanza sospensiva 28.06.2005 n. 822
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EDILIZIA PRIVATA:
Sul recupero del sottotetto in deroga all'altezza massima.
Ai sensi della legge della regione Lombardia n. 15 del 1996 (art. 3) il
recupero del sottotetto a fini abitativi è qualificato come intervento
di ristrutturazione, a norma dell'art. 31, comma 1, lett. d), della
legge 05.08.1978, n. 457; la stessa norma, al comma 3, stabilisce che
“il recupero dei sottotetti è ammesso anche in deroga ai limiti ed alle
prescrizioni di cui agli artt. 14, 17 19 e 22 della L.R. 15.04.1975, n.
51 «Disciplina urbanistica del territorio regionale e misure di
salvaguardia per la tutela del patrimonio naturale e paesistico» e
successive modificazioni ed integrazioni, nonché in deroga agli indici o
parametri urbanistici ed edilizi previsti dagli strumenti urbanistici
generali vigenti ed adottati”. Se siffatte trasformazioni possono
avvenire in déroga ad ogni previsione urbanistica comunale, lo stesso
non può dirsi per le altezze massime dei fabbricati, di cui l’art. 2
assicura comunque il rispetto (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 30.05.2005 n. 2767
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EDILIZIA PRIVATA: Sul
recupero, in deroga al PRG, del sottotetto.
• il sottotetto può essere recuperato solo se esistente, ossia quando
esiste il rustico dell’edificio e il tetto è stabilmente completato. Il
recupero del sottotetto appartiene alla categoria dei lavori di
ristrutturazione, non a quella delle nuove costruzioni (art. 3, comma 2,
della LR 15.07.1996 n. 15);
• questo implica che il recupero del sottotetto deve avvenire con un
intervento edilizio separato e successivo rispetto a quello riguardante
la costruzione dell’edificio. In altri termini il recupero del
sottotetto non può essere equiparato a una variante in corso d’opera del
progetto originario (diversamente si trasformerebbe in una sorta di
bonus edificatorio utilizzabile per superare gli indici edilizi ai quali
è sottoposto il progetto originario);
• la materiale esistenza del sottotetto da recuperare (delimitato
stabilmente dal rustico e dal tetto) fa parte della disciplina
urbanistica al cui rispetto è subordinata l’ammissibilità della
sanatoria ex art. 36 del DPR 380/2001. Solo l’esistenza del sottotetto
consente infatti la deroga agli indici edilizi. Quando i lavori
presentati come recupero del sottotetto sono in realtà un’espansione del
progetto originario (scollegata da qualsiasi finalità di
ristrutturazione) la deroga non è più ammessa, e neppure la sanatoria
(TAR Lombardia-Brescia,
ordinanza sospensiva 11.03.2005 n. 343 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 1998 |
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EDILIZIA
PRIVATA:
Oggetto: quesito circa l'altezza dei servizi igienici nel
caso di recupero di sottotetti di cui alla L.R. 15/1996
(Regione Lombardia, Direzione Generale Sanità, Servizio
Prevenzione Sanitaria,
nota 12.08.1998 n. 42494 di prot.).
---------------
Il quesito, ancorché datato, è di estrema attualità
poiché la norma è cambiata nel numero (L.R. n. 12/2005) ma
non nella sostanza. |
anno 1997 |
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EDILIZIA PRIVATA:
B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 17 del 21.04.1997, "Criteri e
indirizzi urbanistico-edilizi per l’applicazione della Legge Regionale
15.07.1996, n. 15" (circolare
regionale n. 17/01-Se.O. 1997). |
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