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S.I.C.-Z.P.S. - V.A.S. - V.I.A.

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S.I.C. - Z.S.C. - Z.P.S. - V.Inc.A (Sito di Importanza Comunitaria - Zona Speciale di di Conservazione - Zona di Protezione Speciale - Valutazione di Incidenza Ambientale)

V.A.S. (Valutazione Ambientale Strategica)

V.I.A. (Valutazione Impatto Ambientale)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

S.I.C. - Z.S.C. - Z.P.S. - V.Inc.A (Sito di Importanza Comunitaria - Zona Speciale di Conservazione - Zona di Protezione Speciale - Valutazione di Incidenza Ambientale)
per approfondimenti vedi anche:

Minambiente <---> Regione Lombardia <---> Rete Natura 2000 e V.Inc.A. <---> guarda le aree protette della Regione Lombardia con Google Earth
2021

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI - URBANISTICA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 46 del 19.11.2021, "Aggiornamento delle disposizioni di cui alla d.g.r. 29.03.2021 - n. XI/4488 «Armonizzazione e semplificazione dei procedimenti relativi all’applicazione della valutazione di incidenza per il recepimento delle linee guida nazionali oggetto dell’intesa sancita il 28.11.2019 tra il Governo, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano»" (deliberazione G.R. 16.11.2021 n. 5523).

EDILIZIA PRIVATA: Il Consiglio di Stato dice no alla V.Inc.A. postuma.
In relazione ad un Sito di Importanza Comunitaria-SIC, istituito ed operante ai sensi della direttiva 92/43/CEE del Consiglio del 21.05.1992:
   - è sufficientemente inequivoco il fatto che, proprio a mente della norma sovranazionale, la valutazione d’incidenza ambientale costituisce atto ed adempimento procedurale che deve necessariamente antecedere, non invece che può anche seguire, un “Qualsiasi piano o progetto [incluso, evidentemente, un progetto edilizio che sia alla base di un eventuale permesso di costruire] non direttamente connesso e necessario alla gestione del sito ma che possa avere incidenze significative su tale sito (…)”;
   - l’indispensabile anteriorità della valutazione di incidenza, rispetto ad un possibile atto di assenso edilizio per opere da eseguire all’interno di un SIC (e non direttamente connesse e necessarie alla sua gestione), è sufficientemente palese ed indiscutibile, se si considera che la norma sovranazionale –a scanso di equivoci sull’importanza di una tale anteriorità– addirittura prevede che “le autorità nazionali competenti [nella specie, in primo luogo il Comune ma poi anche, derivatamente, il competente ufficio della Soprintendenza] danno il loro accordo su tale piano o progetto [nella specie, quanto meno, il permesso di costruire] soltanto dopo aver avuto la certezza che esso non pregiudicherà l’integrità del sito in causa e, se del caso, previo parere dell’opinione pubblica”. La fase di un’eventuale e pur tuttavia possibile pubblica consultazione sulla meritevolezza di un progetto edilizio che interessi le aree del SIC dimostrano ancor più, ove pure occorra, che la valutazione di incidenza deve necessariamente precedere, giammai seguire, un qualunque atto di assenso edilizio, a maggior salvaguardia dell’originaria integrità stessa di un SIC;
   - da questi punti di vista la norma sovranazionale non mostra di sottilizzare introducendo differenze speculative fra validità ovvero mera efficacia del riflesso giuridico di una valutazione di incidenza rispetto ad un permesso di costruire che fosse adottato senza una preventiva acquisizione di siffatta valutazione. In quest’ottica, appare allora condivisibile la considerazione formulata dalla sentenza appellata secondo la quale la valutazione di incidenza in discorso non vale come semplice condizione di efficacia di un atto di assenso edilizio ma ne costituisce un vero e proprio requisito di validità;
   - la norma sovranazionale, quale possibile regime derogatorio a quanto ora appena ricordato, non contempla un rimedio pari a quello dell’istituto (conosciuto dal nostro ordinamento) della ‘validazione’ postuma. In altri termini, detta norma non mostra di offrire la possibilità che, nonostante la mancata anteriorità della valutazione di incidenza, un atto di assenso edilizio adottato in carenza di tale previo adempimento possa comunque ricevere una postuma convalida;
   - stando al ricordato paragrafo 4 dell’art. 6 della citata direttiva comunitaria, non resta escluso il fatto che “nonostante conclusioni negative della valutazione dell’incidenza sul sito e in mancanza di soluzioni alternative, un piano o progetto debba essere realizzato”. Nondimeno si pretende che, almeno, vengano individuati “motivi imperativi di rilevante interesse pubblico, inclusi motivi di natura sociale o economica” a che una tale realizzazione si attui comunque. E nemmeno basta, se è vero che la norma richiamata aggiunge pure che “Stato membro adotta ogni misura compensativa necessaria per garantire che la coerenza globale di Natura 2000 [ossia l’obiettivo progettuale sovranazionale che ha costituito la premessa per l’adozione della citata direttiva comunitaria, secondo il quale –stando alle stesse parole evincibili dall’apposita pagina del sito internet dell’Unione europea– “I siti Natura 2000 sono stati designati specificamente per tutelare aree che rivestono un’importanza cruciale per una serie di specie o tipi di habitat elencati nelle direttive Habitat e Uccelli e sono ritenute di rilevanza unionale perché sono in pericolo, vulnerabili, rare, endemiche o perché costituiscono esempi notevoli di caratteristiche tipiche di una o più delle nove regioni biogeografiche d’Europa. In totale, devono essere designate come siti Natura 2000 le aree di importanza cruciale per circa 2000 specie e 230 tipi di habitat”] sia tutelata” ed inoltre che “Lo Stato membro informa la Commissione delle misure compensative adottate”.

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9. L’appello è infondato e deve pertanto essere respinto.
10. Deve preliminarmente darsi atto che parte appellante ha lealmente riconosciuto le ragioni che sono alla base della presente controversia, consistenti nel fatto che:
   - né essa né il Comune (e, derivatamente, neppure l’ufficio statale della Soprintendenza) sapessero ovvero ricordassero che i terreni interessati dalla progettata edificazione stavano all’interno del perimetro di un Sito di Importanza Comunitaria-SIC, istituito ed operante ai sensi della direttiva 92/43/CEE del Consiglio del 21.05.1992 (segnatamente, quello denominato “Beigua-Monte Dente-Gargassa-Pavaglione”);
   - conseguentemente, era potuto accadere che gli atti di assenso edilizio comunali all’edificazione progettata (in estrema sintesi, tre fabbricati destinati ad abitazione ed una strada di comunicazione) venissero adottati prima, non dopo, la valutazione della loro incidenza (ossia quel particolare giudizio valutativo appositamente introdotto e disciplinato direttamente dalla citata direttiva comunitaria) sul SIC in questione.
11. Vale poi ricordare subito che l’art. 6 della citata direttiva comunitaria prevede:
   - al suo paragrafo 3 che “Qualsiasi piano o progetto non direttamente connesso e necessario alla gestione del sito ma che possa avere incidenze significative su tale sito, singolarmente o congiuntamente ad altri piani e progetti, forma oggetto di una opportuna valutazione dell’incidenza che ha sul sito, tenendo conto degli obiettivi di conservazione del medesimo. Alla luce delle conclusioni della valutazione dell’incidenza sul sito e fatto salvo il paragrafo 4, le autorità nazionali competenti danno il loro accordo su tale piano o progetto soltanto dopo aver avuto la certezza che esso non pregiudicherà l’integrità del sito in causa e, se del caso, previo parere dell’opinione pubblica.”;
   - al suo paragrafo 4 che “Qualora, nonostante conclusioni negative della valutazione dell’incidenza sul sito e in mancanza di soluzioni alternative, un piano o progetto debba essere realizzato per motivi imperativi di rilevante interesse pubblico, inclusi motivi di natura sociale o economica, lo Stato membro adotta ogni misura compensativa necessaria per garantire che la coerenza globale di Natura 2000 sia tutelata. Lo Stato membro informa la Commissione delle misure compensative adottate.”.
11.1. Di queste disposizioni è bene sottolineare i seguenti tratti distintivi e le possibili connesse considerazioni che qui pure si tratteggiano:
   - è sufficientemente inequivoco il fatto che, proprio a mente della norma sovranazionale, la predetta valutazione d’incidenza costituisce atto ed adempimento procedurale che deve necessariamente antecedere, non invece che può anche seguire, un “Qualsiasi piano o progetto [incluso, evidentemente, un progetto edilizio che sia alla base di un eventuale permesso di costruire] non direttamente connesso e necessario alla gestione del sito ma che possa avere incidenze significative su tale sito (…)”;
   - l’indispensabile anteriorità della valutazione di incidenza, rispetto ad un possibile atto di assenso edilizio per opere da eseguire all’interno di un SIC (e, come nella specie, non direttamente connesse e necessarie alla sua gestione), è sufficientemente palese ed indiscutibile, se si considera che la norma sovranazionale –a scanso di equivoci sull’importanza di una tale anteriorità– addirittura prevede che “le autorità nazionali competenti [nella specie, in primo luogo il Comune ma poi anche, derivatamente, il competente ufficio della Soprintendenza] danno il loro accordo su tale piano o progetto [nella specie, quanto meno, il permesso di costruire] soltanto dopo aver avuto la certezza che esso non pregiudicherà l’integrità del sito in causa e, se del caso, previo parere dell’opinione pubblica”. La fase di un’eventuale e pur tuttavia possibile pubblica consultazione sulla meritevolezza di un progetto edilizio che interessi le aree del SIC dimostrano ancor più, ove pure occorra, che la valutazione di incidenza deve necessariamente precedere, giammai seguire, un qualunque atto di assenso edilizio, a maggior salvaguardia dell’originaria integrità stessa di un SIC;
   - da questi punti di vista la norma sovranazionale non mostra di sottilizzare introducendo differenze speculative fra validità ovvero mera efficacia del riflesso giuridico di una valutazione di incidenza rispetto ad un permesso di costruire che fosse adottato senza una preventiva acquisizione di siffatta valutazione. In quest’ottica, appare allora condivisibile la considerazione formulata dalla sentenza appellata (v. sub 1.2. supra) secondo la quale la valutazione di incidenza in discorso non vale come semplice condizione di efficacia di un atto di assenso edilizio ma ne costituisce un vero e proprio requisito di validità;
   - la norma sovranazionale, quale possibile regime derogatorio a quanto ora appena ricordato, non contempla un rimedio pari a quello dell’istituto (conosciuto dal nostro ordinamento) della ‘validazione’ postuma. In altri termini, detta norma non mostra di offrire la possibilità che, nonostante la mancata anteriorità della valutazione di incidenza, un atto di assenso edilizio adottato in carenza di tale previo adempimento possa comunque ricevere una postuma convalida;
   - stando al ricordato paragrafo 4 dell’art. 6 della citata direttiva comunitaria, non resta escluso il fatto che “nonostante conclusioni negative della valutazione dell’incidenza sul sito e in mancanza di soluzioni alternative, un piano o progetto debba essere realizzato”. Nondimeno si pretende che, almeno, vengano individuati “motivi imperativi di rilevante interesse pubblico, inclusi motivi di natura sociale o economica” a che una tale realizzazione si attui comunque. E nemmeno basta, se è vero che la norma richiamata aggiunge pure che “Stato membro adotta ogni misura compensativa necessaria per garantire che la coerenza globale di Natura 2000 [ossia l’obiettivo progettuale sovranazionale che ha costituito la premessa per l’adozione della citata direttiva comunitaria, secondo il quale –stando alle stesse parole evincibili dall’apposita pagina del sito internet dell’Unione europea– “I siti Natura 2000 sono stati designati specificamente per tutelare aree che rivestono un’importanza cruciale per una serie di specie o tipi di habitat elencati nelle direttive Habitat e Uccelli e sono ritenute di rilevanza unionale perché sono in pericolo, vulnerabili, rare, endemiche o perché costituiscono esempi notevoli di caratteristiche tipiche di una o più delle nove regioni biogeografiche d’Europa. In totale, devono essere designate come siti Natura 2000 le aree di importanza cruciale per circa 2000 specie e 230 tipi di habitat”] sia tutelata” ed inoltre che “Lo Stato membro informa la Commissione delle misure compensative adottate”.
Ebbene, nel caso di specie non risultano essere stati individuati e provati né i ‘motivi imperativi di rilevante interesse pubblico, inclusi motivi di natura sociale o economica’ che avrebbero potuto comunque giustificare la persistenza degli atti di assenso edilizio conseguiti dalla parte appellante né le possibili ‘misure compensative’ occorrenti per garantire che gli interventi edilizi progettati (e voluti dalla parte appellante) mantenessero la ‘coerenza globale di Natura 2000’.
12. La sopra citata direttiva comunitaria è stata trasposta nell’ordinamento interno in virtù del regolamento governativo di autonomia emanato con d.P.R. n. 357/1997.
Per quanto qui di più stretto interesse, di questo testo normativo meritano ricordo:
   - l’art. 4, rubricato “Misure di conservazione”, che al suo co. 1 ha previsto che “Le regioni (…) assicurano per i proposti siti di importanza comunitaria opportune misure per evitare (…) la perturbazione delle specie per cui le zone sono state designate, nella misura in cui tale perturbazione potrebbe avere conseguenze significative per quanto riguarda gli obiettivi del presente regolamento”;
   - l’art. 5, rubricato “Valutazione di incidenza”, in seno al quale:
      -- il co. 3 ha disposto che “I proponenti di interventi non direttamente connessi e necessari al mantenimento in uno stato di conservazione soddisfacente delle specie e degli habitat presenti nel sito, ma che possono avere incidenze significative sul sito stesso, singolarmente o congiuntamente ad altri interventi, presentano, ai fini della valutazione di incidenza, uno studio volto ad individuare e valutare, secondo gli indirizzi espressi nell'allegato G, i principali effetti che detti interventi possono avere sul proposto sito di importanza comunitaria, sul sito di importanza comunitaria o sulla zona speciale di conservazione, tenuto conto degli obiettivi di conservazione dei medesimi.”;
      -- il cui co. 8 ha disposto che “L’autorità competente al rilascio dell’approvazione definitiva del piano o dell’intervento acquisisce preventivamente la valutazione di incidenza, eventualmente individuando modalità di consultazione del pubblico interessato dalla realizzazione degli stessi.”.
12.1. Le menzionate disposizioni di detto art. 5 risultano confermare ulteriormente (ove pure ve ne fosse stato bisogno, dato che il parametro normativo di diretto riferimento, in materia, è e resta una norma di rango sovranazionale) che la ‘valutazione di incidenza’ costituisce un adempimento procedurale la cui anteriorità, rispetto ad ogni ulteriore adempimento amministrativo idoneo a condurre al rilascio di un permesso di costruire all’interno di un SIC, è di certo fattore non interpretativamente negoziabile.
Da questo punto di vista, allora, la tesi di parte appellante secondo la quale la Provincia avrebbe errato a non tenere conto dell’istanza dei soggetti attuatori, volta a conseguirne la postergazione della definizione del procedimento di annullamento alla definizione delle istanze di valutazione di incidenza avanzate all’Ente Parco del Beigua, non può essere seguita per il semplice fatto che il vizio rilevato (ossia l’inversione temporale tra atti di assenso edilizio e valutazione di incidenza) non conosce, né in seno alla norma sovranazionale innanzi ricordata né in quello della fonte nazionale di trasposizione di detta norma nell’ordinamento interno, il temperamento dato dalla possibilità di (quella che sarebbe rivelata allora) una sorta di valutazione di incidenza postuma.
In carenza, dunque, di una adeguata base giuridica al riguardo, non poteva essere certo la Provincia a legittimarne la pratica in via del tutto amministrativa. Né, in proposito, può far premio alcun tipo di accostamento ideale tra la fattispecie in discorso e l’esperienza della c.d. VIA postuma, in quanto quest’ultima in tanto può avere cittadinanza nel nostro ordinamento in quanto di fatto appositamente contemplata sul piano delle fonti.
12.2. La trascritta disposizione di detto art. 4, poi, conforta nel ritenere ben possibile per una Regione l’adozione di ogni misura idonea a scongiurare (assicurandone la non evenienza, come appunto dice la norma nazionale) ‘la perturbazione delle specie per cui le zone sono state designate’, tra le quali non v’è motivo per non annoverare anche la previsione di poteri di vigilanza, controllo e vanificazione di atti di assenso edilizio suscettibili di creare detta ‘perturbazione’, specie perché non preceduti doverosamente dalla relativa ‘valutazione di incidenza’.
Misura quest’ultima particolarmente efficace, quanto alla tutela dei SIC, proprio perché capace di elidere in radice un’attività edificatoria non preventivamente vagliata (eventualmente anche col conforto della pubblica consultazione) secondo quanto disposto dalla norma sovranazionale di riferimento.
13. Ecco dunque che, in coerenza con tali premesse normative, la legge della Regione Liguria n. 28/2009, recante disposizioni in materia di tutela e valorizzazione della biodiversità, al suo art. 6, rubricato “Valutazione di incidenza”, ha previsto al co. 1 che “L’approvazione di piani, progetti e interventi che interessano i siti della rete Natura 2000 è condizionata all’esito favorevole della (ossia, dopo la) valutazione di incidenza, fatti salvi i casi previsti dall’articolo 5, commi 9 e 10, del D.P.R. n. 357/1997 e successive modifiche ed integrazioni. La Valutazione di incidenza, ove richiesta in base ai criteri di cui al comma 2, costituisce parte integrante del procedimento ordinario di autorizzazione o approvazione. I provvedimenti di autorizzazione o approvazione adottati senza la previa Valutazione di incidenza, ove richiesta, sono annullabili per violazione di legge.”.
Di questa proposizione normativa meritano particolare attenzione le affermazioni:
   - per cui la ‘valutazione di incidenza costituisce parte integrante del procedimento ordinario di autorizzazione o approvazione’, come appunto può essere l’iter proprio di adozione di atti di assenso edilizio all’interno di un’area SIC;
   - per cui ‘i provvedimenti di autorizzazione o approvazione adottati senza la previa valutazione di incidenza, ove richiesta, sono annullabili per violazione di legge’. Previsione quest’ultima, ossia quella della mera annullabilità dei provvedimenti illegittimi a causa della non preventività della loro valutazione di incidenza, che ha costituito una mitigazione introdotta dalla legge della Regione Liguria n. 50/2012 che, col suo art. 19, co. 2, a decorrere dal giorno stesso della sua pubblicazione (ai sensi di quanto stabilito dall’art. 27 della medesima legge), ossia dal 27.12.2012, l’ha sostituita alla precedente ben più severa previsione della nullità di detti provvedimenti, illegittimi per la ragione detta.
E non sfugga qui che i permessi di costruire nn. 74/2009, 79/2010 e 82/2010, annullati dalla Provincia di Genova, come del resto anche il suo originariamente censurato provvedimento dirigenziale dell’01.08.2011, n. 4495, risalivano ad un’epoca antecedente l’intervento mitigatore portato dalla l.r. n. 50/2012.
14. In quest’ottica di analisi poi decolora, stemperandosi, anche la prospettata questione di costituzionalità dell’art. 53 della l.r. n. 16/2008, che ha costituito la base giuridica d’intervento dei provvedimenti originariamente censurati. Questione che peraltro, in tesi, riguarda eminentemente le sole autorizzazioni paesaggistiche che erano state rilasciate in corrispondenza dei tre permessi di costruire introduttivamente ricordati.
Invero, in aggiunta alle condivisibili argomentazioni svolte al riguardo dalla sentenza di primo grado impugnata, può qui peraltro affiancarsi anche la considerazione del fatto che, nel quadro dell’art. 117 Cost., la materia dell’ambiente non è contemplata soltanto nel secondo comma ma altresì nel terzo comma dell’articolo, dedicato alla potestà legislativa concorrente delle Regioni, e che in seno a tale ultimo comma detta materia è richiamata in rapporto al potere di ‘valorizzazione dei beni ambientali’ assegnato a tali enti sub statali.
La menzione di tale materia anche nel terzo comma della predetta norma costituzionale è ulteriore riprova del fatto che in questa norma la parola ‘materia’ non deve essere assunta in senso strettamente tecnico e come sintomo di unicità tematica affidata alla sola potestà legislativa statale, peraltro evidentemente in linea con una tradizione risalente, se è vero che –come ricordato– già nel 1997 la fonte regolatoria statale (d.P.R. n. 357 cit.) chiamava le Regioni a concorrere alla salvaguardia di beni ambientali particolarmente rilevanti e sensibili, come sono i SIC, spingendole ad ‘assicurare’ (evidentemente anche attraverso appositi presidi legislativi) che fosse evitata ‘la perturbazione delle specie per cui le zone’ SIC sono state individuate (e questo certamente al fine di una ‘valorizzazione’ del ‘bene ambientale’ SIC).
14.1. Dato allora che il potere attribuito dalla Regione alla Provincia con la l.r. n. 16/2008 risulta posto anche a tutela di un ‘valore ambientale’ (non dunque solo urbanistico ed edilizio), rispetto al quale non si escludono poteri regolatori regionali nel rispetto dei principi generali (questi sì) di fonte statale e, comunque, anche a salvaguardia di un corretto governo del territorio (questo sì di materia regionale concorrente) e considerato il fatto che, nella specie, il controllo provinciale è stato di mero riscontro della legittimità procedimentale di atti comunali, alla luce del parametro di cui all’art. 6, co. 3, della citata direttiva comunitaria (oltre che di quelli di cui al menzionato d.P.R. n. 357/1997), non pare proprio che debbano ricorrano i dubbi di costituzionalità sopra detti.
Considerato poi che il vizio rilevato dalla Provincia è stato di tipo procedurale (di per sé non superabile attesa la rilevanza comunitaria della norma parametro in argomento), allora neppure è dato esaminare tutte le altre censure degli appellanti che attengono invece al merito tecnico-amministrativo della vicenda edificatoria sopra illustrata.
15. Né peraltro si ometta di considerare che, nel caso di specie, le autorizzazioni paesaggistiche ricordate attenevano tra l’altro a permessi di costruire di per se stessi illegittimi, per tutte le ragioni sopra dette.
16. Non si deve poi mancare di osservare che, a conforto delle proprie tesi di non conformità a parametro costituzionale del predetto art. 53 della l.r. n. 16/2008, parte appellante ha insistito nell’indicare come possibile precedente a sé utile la sentenza dello stesso Tar per la Liguria n. 969/2013, resa peraltro in epoca successiva alla decisone qui appellata e come tale perciò, sempre in tesi, meritevole di attenzione quale possibile revirement da parte del medesimo Giudice di primo grado.
Tuttavia, in disparte la non piena sovrapponibilità tra la vicenda oggetto del giudizio chiusosi col precedente invocato e quella oggetto della presente controversia, occorre rilevare che, nella definizione di quel caso allora esame, il primo Giudice ha infine deviato argomentativamente su una soluzione prescindente il tema della conformità costituzionale dell’art. 53 della l.r. n. 16/2008 (diversamente, del resto, dovendo detto Giudice proporre in quell’occasione questione di costituzionalità, che invece lo stesso non ha sollevato).
Se ne deve allora concludere che l’intero ragionamento svolto dalla sentenza n. 969/2013 in ordine ad un possibile dubbio di costituzionalità della norma regionale citata altro non ha costituito all’epoca e non un mero obiter, come tale inadatto a fungere da presupposto significativo per la soluzione della vicenda (peraltro, come detto, pure in parte diversa) oggetto di questo giudizio.
17. L’esito di questo giudizio non preclude peraltro alla parte appellante l’eventuale ripresa del suo iter progettuale, questa volta però nel rispetto della scansione temporale delle fasi procedurali sopra richiamate.
18. La reiezione dell’appello comporta la conferma della sentenza impugnata (Consiglio di Stato, Sez. II, sentenza 28.05.2021 n. 4135 - link a www.giustizia-amministrativa.it).
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Al riguardo si legga anche:
  
P. Brambilla, Il Consiglio di Stato dice no alla V.inc.a. postuma - Consiglio di Stato, Sez. II, sentenza 28.05.2021, n. 4135 (luglio 2021 - link a http://rgaonline.it).
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Il Consiglio di Stato, confermando la legittimità dell’annullamento in autotutela di permessi di costruire rilasciati in siti di Rete Natura 2000 senza valutazione di incidenza, afferma inequivocabilmente che la V.INC.A. è requisito di validità e non di efficacia, insuscettibile di venire sanato ex post o di venir temperato da affidamenti di sorta sul rilascio di titoli conseguiti illegittimamente all’esito di procedure non partecipate dal pubblico.

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI - URBANISTICA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 14 del 07.04.2021, "Armonizzazione e semplificazione dei procedimenti relativi all’applicazione della valutazione di incidenza per il recepimento delle linee guida nazionali oggetto dell’intesa sancita il 28.11.2019 tra il governo, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano"  (deliberazione G.R. 29.03.2021 n. 4488).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI - URBANISTICAAmbito di applicazione della c.d. “valutazione d'incidenza” di un piano - Competenza tra Stato e Regioni in materia di rifiuti.
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Ambiente - Valutazione d'incidenza - Ambito di applicazione
  
Rifiuti – Competenza - Individuazione
  
La valutazione d'incidenza di un piano o di un progetto si applica sia agli interventi che ricadono all'interno delle aree Natura 2000 (e delle Zone di protezione speciale), sia a quelli che, pur collocandosi all'esterno, possono comportare ripercussioni sullo stato di conservazione dei valori naturali tutelati nel sito (1).
  
In materia di smaltimento dei rifiuti, lo Stato è titolare di una competenza statale esclusiva, riconducibile all'ipotesi della “tutela dell'ambiente e dell'ecosistema" prevista dall'art. 117, comma 2, lett. s), Cost. per cui deve intendersi inibito al legislatore regionale introdurre deroghe o limiti di varia natura e portata.
Pertanto, non è consentito al legislatore regionale derogare alla ripartizione di competenze stabilita a livello nazionale fra le Regioni, che hanno il potere di autorizzare i nuovi impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti ex artt. 196, comma 1, lett. d), e 208 t.u. ambiente e le Province, che hanno il potere di pianificare le zone idonee e non idonee agli impianti sulla base dei criteri stabiliti nel piano di gestione dei rifiuti della Regione, ex art. 197, comma 1, lett. d), T.U.A. (2).

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   (1) Ha ricordato la Sezione che l’art. 6 della Direttiva 92/43/CEE è il riferimento che dispone previsioni in merito al rapporto tra conservazione e attività socio-economiche all’interno dei siti della Rete Natura 2000, e riveste un ruolo chiave per la conservazione degli habitat e delle specie ed il raggiungimento degli obiettivi previsti all'interno della rete Natura 2000.
Globalmente, le sue disposizioni riflettono l’orientamento generale dei “considerando” della direttiva, tra cui la necessità di promuovere la biodiversità, mantenendo o ripristinando determinati habitat e specie in uno «stato di conservazione soddisfacente» nel contesto dei siti Natura 2000, tenendo conto delle esigenze economiche, sociali e culturali, nell’ottica di uno sviluppo sostenibile. Tale disposto normativo può essere considerato un elemento chiave per attuare il principio di integrazione in quanto incoraggia gli Stati membri a gestire in maniera sostenibile le zone protette e stabilisce limiti alle attività atte ad avere un impatto negativo sulle zone stesse, consentendo alcune deroghe in circostanze specifiche.
In particolare, i paragrafi 3 e 4 relativi alla Valutazione di Incidenza, dispongono misure preventive e procedure progressivamente volte alla valutazione dei possibili effetti negativi, le "incidenze negative significative", determinati da piani e progetti non direttamente connessi o necessari alla gestione di un Sito Natura 2000, definendo altresì gli obblighi degli Stati membri in materia di Valutazione di Incidenza e di Misure di Compensazione. La valutazione d'incidenza, come costantemente interpretata dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia e delle Corti nazionali, si applica sia agli interventi che ricadono all'interno delle aree Natura 2000 (e delle Zone di protezione speciale), sia a quelli che, pur collocandosi all'esterno, possono comportare ripercussioni sullo stato di conservazione dei valori naturali tutelati nel sito.
L'art. 6, par. 3, Dir. 92/43/CE, infatti, subordina il requisito dell'opportuna valutazione dell'incidenza di un piano o di un progetto alla condizione che vi sia una probabilità o un rischio che quest'ultimo pregiudichi significativamente il sito interessato. Tenuto conto, in particolare, del principio di precauzione, un tale rischio esiste qualora non possa escludersi, sulla base di elementi obiettivi, che detto piano o progetto pregiudichi significativamente il sito interessato. La valutazione del rischio dev'essere effettuata segnatamente alla luce delle caratteristiche e delle condizioni ambientali specifiche del sito interessato da tale piano o progetto. Nel contesto normativo italiano la valutazione di incidenza viene disciplinata dall'art. 5, d.P.R. n. 357 del 1997, come sostituito dall’art. 6, d.P.R. n. 120 del 2003, adottato in attuazione dei parr. 3 e 4 della citata Direttiva "Habitat".
L'obiettivo di tutela che si prefigge il legislatore europeo e nazionale, è quello massimo di conservazione dei siti, sia in via diretta (per piani e progetti da ubicarsi all'interno dei siti protetti) sia in via indiretta (per piani e progetti da ubicarsi al di fuori del perimetro delle dette aree, ma idonei comunque ad incidere, per le caratteristiche tecniche del progetto o la collocazione degli impianti o la conformazione del territorio, sulle caratteristiche oggetto di protezione), con attenzione sia all'impatto singolo del progetto specificamente sottoposto a valutazione, sia all'impatto cumulativo che potrebbe prodursi in connessione con altro e diverso piano o progetto.
Ha aggiunto la Sezione che la certezza in ordine alla assenza di “incidenza significativa” sull’habitat dev’essere acquisita dall’amministrazione procedente mediante un procedimento tipico che prevede la preliminare verifica di assoggettabilità a valutazione di incidenza (c.d. screening), previa redazione da parte del proponente il progetto di uno “studio di incidenza”, ovvero con la valutazione di incidenza appropriata, laddove la fase di verifica preliminare faccia emergere il rischio di effetti pregiudizievoli sul sito interessato.
Le vigenti norme regionali campane costituite dal Regolamento regionale n. 1 del 2010 (recante Disposizioni in materia di procedimento di valutazione di incidenza), all’art. 5, dispongono: “1. Al fine di determinare la significatività dell’incidenza di progetti ed interventi ricadenti nell’ambito di applicazione del presente regolamento, è previsto che sia espletata una fase preliminare chiamata “screening”. Tale verifica determina la decisione di procedere o meno alla successiva fase di valutazione di incidenza (valutazione appropriata), qualora le possibili incidenze negative risultino significative in relazione agli obiettivi di conservazione del sito stesso”.
Dalla medesima normativa regionale si evince la non necessità di una valutazione di incidenza, neppure relativa alla fase di screening, per i soli interventi indicati nell’art. 3 del medesimo regolamento regionale n. 1 del 2010, rubricato infatti “Progetti ed interventi non direttamente connessi e non significativamente incidenti sui siti della Rete Natura 2000”, cui rinvia anche l’art. 4, comma 2, ultima parte. Solo detti interventi sono pertanto presuntivamente ritenuti non significativamente incidenti sui siti della Rete 2000, fatta peraltro salva la possibilità, secondo quanto prescritto dal successivo comma 4, per l’Autorità preposta all’approvazione del progetto o all’autorizzazione dell’intervento, di richiedere l’esperimento della verifica preliminare nei casi in cui non si abbia la certezza dell’assenza di incidenza negativa o comunque significativa.
Per contro, per gli interventi indicati nell’art. 4, comma 2, del medesimo regolamento, fra i quali vanno annoverati i progetti e gli interventi ricompresi negli allegati II e IV della parte seconda del decreto legislativo 03.04.2006, n. 152, indipendentemente dalle eventuali soglie dimensionali, vi è una presunzione di incidenza significativa, tanto è vero che per i medesimi deve essere espletata direttamente la valutazione appropriata. Gli interventi non ricadenti in nessuna di queste due opposte presunzioni vanno per contro sottoposti alla fase di screening.
Alcuna valutazione di incidenza, neppure ascrivibile alla fase di screening, può intendersi effettuata, in assenza dei necessari presupposti, ed in particolare del riferimento nello studio preliminare ambientale del proponente al SIC viciniore e dell’inserimento nel medesimo di un capitolo conforme agli indirizzi di cui al all’allegato G del d.P.R. n. 357 del 1997, finalizzato anche a valutare le interferenze avuto riguardo alle componenti abiotiche, biotiche e alle connessioni ecologiche; con il che la denunciata violazione formale (mancanza di studio preliminare completo delle indicazioni di cui all’allegato G) assurge a violazione sostanziale delle disposizioni di tutela, non potendosi in alcun modo sanare la carenza degli elementi istruttori normativamente necessari a fondare la valutazione rimessa all’Autorità competente ove gli stessi non siano stati di fatto acquisiti, mediante atti contenutisticamente definiti, nella loro valenza fattuale ed effettuale.
   (2) Ha affermato la Sezione che l’art. 197, comma 1, lett. d), T.U.A. va letta in coordinamento con le norme di cui agli artt. 196 e 199 del medesimo T.U.A.
Ai sensi dell'art. 196, comma 1, lett. a), D.Lgs. n. 152 del 2006, è di competenza della regione la predisposizione, l'adozione e l'aggiornamento, sentiti le province, i comuni e le Autorità d'ambito, dei piani regionali di gestione dei rifiuti, di cui all'articolo 199. In particolare, ai sensi dell'art. 199, comma 3, lett. d), il piano regionale per la gestione dei rifiuti contiene informazioni sui criteri di riferimento per l'individuazione dei siti e la capacità dei futuri impianti di smaltimento o dei grandi impianti di recupero, se necessario, nonché, ai sensi della lettera l), i criteri per l'individuazione, da parte delle province, delle aree non idonee alla localizzazione degli impianti di recupero e smaltimento dei rifiuti nonché per l'individuazione dei luoghi o impianti adatti allo smaltimento dei rifiuti.
Alle province compete pertanto, ai sensi dell'art. 197, comma 1, lett. d), l'individuazione, sulla base delle previsioni del piano territoriale di coordinamento di cui all'art. 20, comma 2, d.lgs. 18.08.2000, n. 267, ove già adottato, e delle previsioni di cui all'art. 199, comma 3, lett. d) e h), nonché sentiti l'Autorità d'ambito ed i comuni, delle zone idonee alla localizzazione degli impianti di smaltimento dei rifiuti, nonché delle zone non idonee alla localizzazione di impianti di recupero e di smaltimento dei rifiuti.
A sua volta, l'art. 20, comma 2, d.lgs. n. 267 del 2000, prevede l'adozione da parte della provincia, in attuazione della legislazione e dei programmi regionali, del piano territoriale di coordinamento che determina gli indirizzi generali di assetto del territorio. Pertanto non è revocabile in dubbio che la provincia è tenuta ad individuare le zone del territorio provinciale da ritenersi in generale, ovvero per qualsiasi tipologia di impianti per il trattamento e la gestione dei rifiuti, non idonee alla ubicazione degli impianti medesimi.
Tale competenza è rimasta in capo all’Ente Provincia anche dopo l’entrata in vigore della l. n. 56 del 2014, cd. “legge Del Rio”. Infatti, fra le funzioni fondamentali assegnate alle province “riformate”, così come elencate al comma 85 dell’articolo unico di detta normativa, figurano la “pianificazione territoriale provinciale di coordinamento, nonché tutela e valorizzazione dell'ambiente, per gli aspetti di competenza”.
Dalla norma di cui all’art. 197 T.UA. si evince inoltre che l’intervento dell’Autorità d’ambito è puramente consultivo, al pari di quello dei Comuni, ferma rimanendo la prevalenza delle previsioni del piano territoriale di coordinamento, ove già adottato, che deve peraltro uniformarsi agli indirizzi espressi dalla Regione nel piano regionale per la gestione dei rifiuti (
TAR Campania-Napoli, Sez. V, sentenza 17.03.2021 n. 1790 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).
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SENTENZA
42. Alla stregua di quanto in precedenza accennato circa la natura provvedimentale del c.d. atto di rideterminazione della commissione VAS-VIA-VI, con cui la medesima commissione ha nella sostanza ritenuto non necessaria, rispetto alla realizzazione dell’impianto de quo, la valutazione di incidenza, vanno pertanto, ad avviso del collegio, analizzate in ordine logico le censure articolate nei primi ricorsi per motivi aggiunti, come proposte nei connessi giudizi, in quanto afferenti ad una procedura presupposta rispetto all’autorizzazione ex art. 208 T.U.A..
42.1. Prima di analizzare tali censure, giova illustrare, sia pure per sommi capi, la normativa in materia, comunitaria e nazionale, onde poi approfondire, nell’affrontare i motivi di ricorso, gli aspetti della medesima normativa nonché della normativa regionale aventi rilevanza rispetto al presente contenzioso.
43. Il primo capitolo della direttiva 92/43/CEE, che comprende gli articoli 1 e 2, è intitolato «Definizioni». Questo capitolo enuncia lo scopo della direttiva di «contribuire a salvaguardare la biodiversità mediante la conservazione degli habitat naturali, nonché della flora e della fauna selvatiche nel territorio europeo degli Stati membri al quale si applica il trattato». Esso fornisce anche orientamenti generali con riferimento alla necessità che le misure adottate a norma della direttiva siano intese a mantenere o ripristinare alcuni habitat e specie «in uno stato di conservazione soddisfacente», nonché alla necessità di misure adottate a norma della direttiva per tener conto «delle esigenze economiche, sociali e culturali, nonché delle particolarità regionali e locali».
I principali requisiti specifici della direttiva 92/43/CEE sono raggruppati nei due capitoli successivi. Il primo, intitolato «Conservazione degli habitat naturali e degli habitat delle specie», comprende gli articoli da 3 a 11. Il secondo, intitolato «Tutela delle specie», comprende gli articoli da 12 a 16.
Il capitolo «Conservazione degli habitat naturali e degli habitat delle specie» tratta gli aspetti più ambiziosi e di vasta portata della direttiva: l’istituzione e la conservazione della rete di siti Natura 2000. In questo capitolo, l’articolo 6 contiene le disposizioni che disciplinano la conservazione e la gestione dei siti Natura 2000. In questo contesto, l’articolo 6 è uno dei più importanti tra i 24 articoli della direttiva in quanto è quello che maggiormente determina il rapporto tra conservazione ed uso del territorio.
43.1. L'articolo 6 della Direttiva 92/43/CEE “Habitat” stabilisce, in quattro paragrafi, il quadro generale per la conservazione e la gestione dei Siti che costituiscono la rete Natura 2000, fornendo tre tipi di disposizioni: propositive, preventive e procedurali.
In generale, l’art. 6 della Direttiva 92/43/CEE è il riferimento che dispone previsioni in merito al rapporto tra conservazione e attività socio-economiche all’interno dei siti della Rete Natura 2000, e riveste un ruolo chiave per la conservazione degli habitat e delle specie ed il raggiungimento degli obiettivi previsti all'interno della rete Natura 2000.
Globalmente, le disposizioni dell’articolo 6 riflettono l’orientamento generale dei “considerando” della direttiva, tra cui la necessità di promuovere la biodiversità, mantenendo o ripristinando determinati habitat e specie in uno «stato di conservazione soddisfacente» nel contesto dei siti Natura 2000, tenendo conto delle esigenze economiche, sociali e culturali, nell’ottica di uno sviluppo sostenibile.
L’articolo 6 può essere considerato un elemento chiave per attuare il principio di integrazione in quanto incoraggia gli Stati membri a gestire in maniera sostenibile le zone protette e stabilisce limiti alle attività atte ad avere un impatto negativo sulle zone stesse, consentendo alcune deroghe in circostanze specifiche.
In particolare, i paragrafi 3 e 4 relativi alla Valutazione di Incidenza, dispongono misure preventive e procedure progressivamente volte alla valutazione dei possibili effetti negativi, le "incidenze negative significative", determinati da piani e progetti non direttamente connessi o necessari alla gestione di un Sito Natura 2000, definendo altresì gli obblighi degli Stati membri in materia di Valutazione di Incidenza e di Misure di Compensazione. Infatti, ai sensi dell’art. 6, paragrafo 3, della Direttiva Habitat, la Valutazione di Incidenza rappresenta, al di là degli ambiti connessi o necessari alla gestione del sito, lo strumento individuato per conciliare le esigenze di sviluppo locale e garantire il raggiungimento degli obiettivi di conservazione della rete Natura 2000.
La necessità di introdurre questa tipologia di valutazione deriva dalle peculiarità della costituzione e definizione della rete Natura 2000, all'interno della quale ogni singolo sito fornisce un contributo qualitativo e quantitativo in termini di habitat e specie da tutelare a livello europeo, al fine di garantire il mantenimento ovvero, all'occorrenza, il ripristino, in uno stato di conservazione soddisfacente, di tali habitat e specie.
43.2. La valutazione di Incidenza è pertanto il procedimento di carattere preventivo al quale è necessario sottoporre qualsiasi piano, programma, progetto, intervento od attività (P/P/P/I/A) che possa avere incidenze significative su un sito o proposto sito della rete Natura 2000, singolarmente o congiuntamente ad altri piani e progetti e tenuto conto degli obiettivi di conservazione del sito stesso.
Per quanto riguarda l'ambito geografico, le disposizioni dell'articolo 6, paragrafo 3 non si limitano ai piani e ai progetti localizzati esclusivamente all'interno di un sito Natura 2000; essi hanno come obiettivo anche piani e progetti situati al di fuori del sito ma che, nondimeno, potrebbero avere un effetto significativo su di esso, indipendentemente dalla loro distanza dal sito in questione (cause C-98/03, paragrafo 51, C-418/04, paragrafi 232, 233).
Attraverso l'art. 7 della direttiva Habitat, gli obblighi derivanti dall'art. 6, paragrafi 2, 3, e 4, sono estesi alle Zone di Protezione Speciale (ZPS) di cui alla Direttiva 2009/147/UE “Uccelli”.
43.3. Gli orientamenti forniti agli Stati membri sull’interpretazione dei concetti chiave dell’articolo 6 della Direttiva Habitat, anche in considerazione delle sentenze emesse dalla Corte di giustizia dell’UE a riguardo, sono contenuti nella comunicazione della Commissione "Gestione dei siti Natura 2000” pubblicata nell’aprile 2000 (poi sostituita dalla successiva “Guida all'interpretazione dell’articolo 6 della direttiva 92/43/CEE (direttiva Habitat)”, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea 25.01.2019 (2019/C 33/01), successiva ai fatti di causa).
43.4. In ambito nazionale, la Valutazione di Incidenza è disciplinata dall'art. 5 del DPR 08.09.1997, n. 357, così come sostituito dall’art. 6 del DPR 12.03.2003, n. 120 (G.U. n. 124 del 30.05.2003).
In particolare rileva, rispetto alla fattispecie de qua, il disposto dei commi 3, 4, 5 del predetto articolo, secondo cui “3. I proponenti di interventi non direttamente connessi e necessari al mantenimento in uno stato di conservazione soddisfacente delle specie e degli habitat presenti nel sito, ma che possono avere incidenze significative sul sito stesso, singolarmente o congiuntamente ad altri interventi, presentano, ai fini della valutazione di incidenza, uno studio volto ad individuare e valutare, secondo gli indirizzi espressi nell'allegato G, i principali effetti che detti interventi possono avere sul proposto sito di importanza comunitaria, sul sito di importanza comunitaria o sulla zona speciale di conservazione, tenuto conto degli obiettivi di conservazione dei medesimi.
   4. Per i progetti assoggettati a procedura di valutazione di impatto ambientale, ai sensi dell'articolo 6 della legge 08.07.1986, n. 349, e del decreto del Presidente della Repubblica 12.04.1996, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 210 del 07.09.1996, e successive modificazioni ed integrazioni, che interessano proposti siti di importanza comunitaria, siti di importanza comunitaria e zone speciali di conservazione, come definiti dal presente regolamento, la valutazione di incidenza è ricompresa nell'àmbito della predetta procedura che, in tal caso, considera anche gli effetti diretti ed indiretti dei progetti sugli habitat e sulle specie per i quali detti siti e zone sono stati individuati. A tale fine lo studio di impatto ambientale predisposto dal proponente deve contenere gli elementi relativi alla compatibilità del progetto con le finalità conservative previste dal presente regolamento, facendo riferimento agli indirizzi di cui all'allegato G.
   5. Ai fini della valutazione di incidenza dei piani e degli interventi di cui ai commi da 1 a 4, le regioni e le province autonome, per quanto di propria competenza, definiscono le modalità di presentazione dei relativi studi, individuano le autorità competenti alla verifica degli stessi, da effettuarsi secondo gli indirizzi di cui all'allegato G, i tempi per l'effettuazione della medesima verifica, nonché le modalità di partecipazione alle procedure nel caso di piani interregionali
”.
Anche ai sensi dell’art. 10, comma 3, del D.lgs. 152/2006 e s.m.i., detta valutazione è inoltre integrata nei procedimenti di VIA e VAS.
Nei casi di procedure integrate VIA-VI(ncA), VAS-VI(ncA), l’esito della Valutazione di Incidenza è vincolante ai fini dell’espressione del parere motivato di VAS o del provvedimento di VIA, che può essere favorevole solo se vi è certezza riguardo all'assenza di incidenza significativa negativa sui siti Natura 2000.
43.5. La metodologia per l’espletamento della Valutazione di Incidenza rappresenta un percorso di analisi e valutazione progressiva che si compone di 3 fasi principali, come desumibile dalla disamina dell’art. 6 della Direttiva 92/43/CEE e dalla Guida all'interpretazione dell’articolo 6 della direttiva 92/43/CEE (direttiva Habitat), successivamente esplicitato dalle Linee Guida Nazionali per la Valutazione di Incidenza, che, sebbene adottate in data successiva all’adozione dell’atto di rideterminazione della commissione VAS-VIA-VI, si limitano a formulare opportuni indirizzi sulla base della normativa e della Guida all’interpretazione dell’articolo 6 della direttiva 92/43/CEE (direttiva Habitat) adottata in ambito comunitario, quale ausilio per le autorità competenti degli Stati membri, articolato come segue.
Livello I: screening - E’ disciplinato dall'articolo 6, paragrafo 3, prima frase ed è riferito al processo d'individuazione delle implicazioni potenziali di un piano o progetto su un Sito Natura 2000 o più siti, singolarmente o congiuntamente ad altri piani o progetti, e determinazione del possibile grado di significatività di tali incidenze. Pertanto, in questa fase occorre determinare in primo luogo se il piano o il progetto sono direttamente connessi o necessari alla gestione del sito e, in secondo luogo, se è probabile avere un effetto significativo sul sito.
Livello II: valutazione appropriata - Questa parte della procedura è disciplinata dall'articolo 6, paragrafo 3, seconda frase, e riguarda la valutazione appropriata e la decisione delle autorità nazionali competenti ed è relativa all’individuazione del livello di incidenza del piano o progetto sull'integrità del sito, singolarmente o congiuntamente ad altri piani o progetti, tenendo conto della struttura e della funzione del sito, nonché dei suoi obiettivi di conservazione. In caso di incidenza negativa, si definiscono misure di mitigazione appropriate atte a eliminare o a limitare tale incidenza al di sotto di un livello significativo.
Livello III: possibilità di deroga all’articolo 6, paragrafo 3, in presenza di determinate condizioni - Questa parte della procedura è disciplinata dall'articolo 6, paragrafo 4, ed entra in gioco se, nonostante una valutazione negativa, si propone di non respingere un piano o un progetto, ma di darne ulteriore considerazione. In questo caso, infatti, l'articolo 6, paragrafo 4 consente deroghe all'articolo 6, paragrafo 3, a determinate condizioni, che comprendono l'assenza di soluzioni alternative, l'esistenza di motivi imperativi di rilevante interesse pubblico prevalente (IROPI) per la realizzazione del progetto e l’individuazione di idonee misure compensative da adottare.
Peraltro, detta scansione procedimentale è ripresa anche nel Regolamento regionale n. 1 del 2010 (artt. 4, 5, 6, 79).
Solo a seguito di dette verifiche, l’Autorità competente per la Valutazione di Incidenza potrà dare il proprio accordo alla realizzazione della proposta, avendo valutato con ragionevole certezza scientifica che essa non pregiudicherà l'integrità del sito Natura 2000 interessato.
43. Ciò posto, può passarsi in ordine logico alla disamina dei motivi di ricorso formulati nei primi motivi aggiunti.
Le censure, in quanto strettamente connesse, possono essere esaminate congiuntamente ed in ordine logico e sono fondate, secondo quanto di seguito specificato.
43.1. Fondata è in primo luogo la prima censura contenuta nel primo ricorso per motivi aggiunti del giudizio R.G. n. 1127 del 2018, con cui si deduce che l’atto della Commissione VAS-VIA-VI del 18.12.2018, sottoscritto anche dal dirigente regionale delle valutazioni ambientali, è illegittimo per contrasto con le norme rubricate – artt. 5 e 4, commi 1, 2 e 3, regolamento regionale 1/2010, recante “disposizioni in materia di procedimento di Valutazione di Incidenza”; punti 2 e 4.1.1 delle “linee guida e criteri di indirizzo per la valutazione di incidenza in Regione Campania”, approvate con delibera di giunta regionale 3.1.2015, n. 167 (in BURC n. 29 del maggio 2015); art. 5 del dpr 357/1997; art. 6, comma 3, direttiva del consiglio 21.05.1992, 92/43/CEEe s.m.i. - che impongono il preventivo procedimento di valutazione di incidenza per tutti i progetti di impianti di gestione dei rifiuti significativamente incidenti sui siti di interesse comunitario, anche se localizzati all’esterno degli stessi.
Ed invero le salvaguardie di cui all’articolo 6, paragrafi 3 e 4, per quanto sopra esposto, sono attivate non già da una assoluta certezza, ma da una mera probabilità di incidenze significative. In linea con il principio di precauzione, non si può quindi accettare che la valutazione non sia effettuata facendo valere che le incidenze significative non sono certe.
La valutazione, pertanto, dev’essere effettuata in modo tale che le autorità competenti possano acquisire la certezza che un piano o un progetto sarà privo di effetti pregiudizievoli per l’integrità del sito di cui trattasi, dato che, quando sussiste un’incertezza riguardo all’assenza di tali effetti, le autorità suddette sono tenute a negare l’autorizzazione richiesta (cfr., ex multis, CGCE, sentenza Commissione/Italia, C-304/05, punto 58).
Come affermato anche dalla giurisprudenza interna (ex multis, Cons. Stato, sez. IV, 29/11/2018, n. 6773), “La valutazione di incidenza è il procedimento di carattere preventivo al quale è necessario sottoporre qualsiasi piano o progetto che possa avere incidenze significative su un sito o proposto sito della rete Natura 2000, singolarmente o congiuntamente ad altri piani e progetti e tenuto conto degli obiettivi di conservazione del sito stesso. Tale procedura è stata introdotta dall'art. 6, comma 3, Dir. 92/43/CEE "Habitat" con lo scopo di salvaguardare l'integrità dei siti attraverso l'esame delle interferenze di piani e progetti non direttamente connessi alla conservazione degli habitat e delle specie per cui essi sono stati individuati, ma in grado di condizionarne l'equilibrio ambientale.
In particolare, la disposizione afferma: "Qualsiasi piano o progetto non direttamente connesso e necessario alla gestione del sito, ma che possa avere incidenze significative su tale sito, singolarmente o congiuntamente ad altri piani e progetti, forma oggetto di una opportuna valutazione dell'incidenza che ha sul sito, tenendo conto degli obiettivi di conservazione del medesimo".
La valutazione d'incidenza, come costantemente interpretata dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia e delle Corti nazionali, si applica pertanto sia agli interventi che ricadono all'interno delle aree Natura 2000 (e delle Zone di protezione speciale), sia a quelli che, pur collocandosi all'esterno, possono comportare ripercussioni sullo stato di conservazione dei valori naturali tutelati nel sito. L'art. 6, par. 3, Dir. 92/43/CE, infatti, subordina il requisito dell'opportuna valutazione dell'incidenza di un piano o di un progetto alla condizione che vi sia una probabilità o un rischio che quest'ultimo pregiudichi significativamente il sito interessato.
Tenuto conto, in particolare, del principio di precauzione, un tale rischio esiste qualora non possa escludersi, sulla base di elementi obiettivi, che detto piano o progetto pregiudichi significativamente il sito interessato. La valutazione del rischio dev'essere effettuata segnatamente alla luce delle caratteristiche e delle condizioni ambientali specifiche del sito interessato da tale piano o progetto. Nel contesto normativo italiano la valutazione di incidenza viene disciplinata dall'art. 6, D.P.R. n. 120/2003, che ha sostituito l'art. 5, D.P.R. n. 357/1997, di attuazione dei parr. 3 e 4 della citata Direttiva "Habitat".
È specificamente previsto che nella pianificazione e programmazione territoriale si debba tenere conto della valenza naturalistico-ambientale dei proposti siti di importanza comunitaria, dei siti di importanza comunitaria e delle zone speciali di conservazione. Sono, altresì, da sottoporre a valutazione di incidenza (comma 3), tutti gli interventi non direttamente connessi e necessari al mantenimento in uno stato di conservazione soddisfacente delle specie e degli habitat presenti in un sito Natura 2000, ma che possono avere incidenze significative sul sito stesso, singolarmente o congiuntamente ad altri interventi.
L'obiettivo di tutela che, pertanto, si prefigge il legislatore europeo e nazionale, è quello massimo di conservazione dei siti, sia in via diretta (per piani e progetti da ubicarsi all'interno dei siti protetti) sia in via indiretta (per piani e progetti da ubicarsi al di fuori del perimetro delle dette aree, ma idonei comunque ad incidere, per le caratteristiche tecniche del progetto o la collocazione degli impianti o la conformazione del territorio, sulle caratteristiche oggetto di protezione), con attenzione sia all'impatto singolo del progetto specificamente sottoposto a valutazione, sia all'impatto cumulativo che potrebbe prodursi in connessione con altro e diverso piano o progetto. Qualora il sito in causa sia un sito in cui si trovano un tipo di habitat naturale e/o una specie prioritari, possono essere addotte soltanto considerazioni connesse con la salute dell'uomo e la sicurezza pubblica o relative a conseguenze positive di primaria importanza per l'ambiente ovvero, previo parere della Commissione, altri motivi imperativi di rilevante interesse pubblico".
Tale possibilità di realizzare comunque l'intervento è, tuttavia, limitata per i siti "in cui si trovano un tipo di habitat naturale e/o una specie prioritari", nel qual caso l'attuazione del progetto (che ha ricevuto una valutazione negativa) può avvenire solo per "considerazioni connesse con la salute dell'uomo e la sicurezza pubblica o relative a conseguenze positive di primaria importanza per l'ambiente ovvero, previo parere della Commissione, altri motivi imperativi di rilevante interesse pubblico".
In definitiva, non sussiste, anche in tali ultimi siti, un "divieto assoluto" di nuovo progetto, ma solo un divieto di quel progetto che, avendo innanzi tutto ricevuto una valutazione negativa, non rientri in una delle considerazioni "derogatorie" espressamente indicate dalla norma
”.
Parimenti il Cons. giust. amm. Sicilia, con sentenza del 15/01/2014, n. 4, ha affermato che, “Ai sensi dell'art. 5, D.P.R. n. 357/1997 interpretato alla luce dell'art. 6 della direttiva n. 92/43/CEE del 21.05.1992, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche, l'effettuazione di una preventiva valutazione di incidenza è indispensabile anche nelle ipotesi in cui l'autorità nazionale competente intenda approvare una variante di un piano urbanistico sebbene non direttamente connessa e necessaria alla gestione del sito, ma che possa comunque avere incidenze significative su tale sito, singolarmente o congiuntamente ad altri piani e progetti: le nozioni di "piano" e di "possibilità di incidenza significativa" come enucleate dal documento della Commissione europea "La gestione dei siti della Rete Natura 2000. Guida all'interpretazione dell'art. 6 della direttiva "Habitat 92/43/CE", portano a concludere che: la valutazione di incidenza deve essere svolta anche con riferimento a piani urbanistici (e le loro varianti) a contenuto generale e non solo a quelli attuativi di singoli interventi; la valutazione di incidenza riguarda anche piani, come sopra individuati, posti all'esterno di un sito della Rete Natura 2000; la valutazione deve essere effettuata ogniqualvolta vi sia la probabilità di un'incidenza significativa e può essere omessa soltanto quando vi sia la certezza di un'assenza di incidenze; le amministrazioni nazionali devono comunque motivare sul punto dell'assenza di incidenze. La mera distanza dell'area oggetto di intervento dai limitrofi siti della Rete Natura 2000 non è pertanto un elemento di per sé sufficiente ad escludere la probabilità di una incidenza significativa sui predetti siti”.
44. Orbene, la certezza in ordine alla assenza di “incidenza significativa” sull’habitat dev’essere acquisita dall’amministrazione procedente mediante un procedimento tipico che prevede la preliminare verifica di assoggettabilità a valutazione di incidenza (c.d. screening), previa redazione da parte del proponente il progetto di uno “studio di incidenza”, ovvero con la valutazione di incidenza appropriata, laddove la fase di verifica preliminare faccia emergere il rischio di effetti pregiudizievoli sul sito interessato.
In tal senso peraltro, come dedotto dal Comune di Sassinoro in tale primo motivo di ricorso all’esame, le vigenti norme regionali campane costituite dal Regolamento regionale 1/2010, recante Disposizioni in materia di procedimento di valutazione di incidenza, all’art. 5, dispongono quanto segue: “1. Al fine di determinare la significatività dell’incidenza di progetti ed interventi ricadenti nell’ambito di applicazione del presente regolamento, è previsto che sia espletata una fase preliminare chiamata “screening”. Tale verifica determina la decisione di procedere o meno alla successiva fase di valutazione di incidenza (valutazione appropriata), qualora le possibili incidenze negative risultino significative in relazione agli obiettivi di conservazione del sito stesso”.
Nell’ipotesi di specie, per contro, tale fase, da attivare su iniziativa del proponente, sulla base di uno studio preliminare ambientale contenente anche i riferimenti agli indirizzi di cui all’allegato G del d.p.r. 357/1997, secondo quanto di seguito precisato, non è stata attivata, né può assimilarsi ad una procedura di screening l’atto di rideterminazione della Commissione VAS-VIA-VI, in quanto trattasi di valutazione compiuta in assenza di una richiesta del proponente e del riferimento necessario nello studio preliminare ambientale agli indirizzi di al citato allegato G, da esplicitare in un separato capitolo, con riferimento alle caratteristiche del sito oggetto di protezione.
44.1. Peraltro, secondo quanto del pari correttamente dedotto nel primo motivo del ricorso per motivi aggiunti presentato dal Comune di Sassinoro, in relazione al progetto de quo non sarebbe stata sufficiente neanche la procedura di screening, in quanto avrebbe dovuto procedersi piuttosto ad una valutazione di incidenza appropriata, avuto riguardo alla tipologia di impianto e alla sua estrema vicinanza con il sito protetto.
Ciò in quanto, per quanto riguarda specificamente i progetti di impianti di gestione dei rifiuti, l’art. 4, comma 2, del medesimo Regolamento regionale 1/2010 dispone quanto segue: “La fase di screening non si applica ai piani e programmi e per essi la procedura di valutazione di incidenza ha inizio con la successiva fase di cui al comma 1. Inoltre la fase di screening non si applica alle tipologie di progetti e interventi ricompresi negli allegati III e IV alla parte seconda del decreto legislativo 03.04.2006, n. 152, indipendentemente dalle eventuali soglie dimensionali, per i quali dovrà essere espletata direttamente la valutazione appropriata”.
In piena conformità con la richiamata norma regolamentare, il punto 4.1.1 delle “Linee Guida e Criteri di indirizzo per la Valutazione di Incidenza in Regione Campania”, approvate con delibera di Giunta regionale 3.1.2015, n. 167 (in BURC n. 29 del maggio 2015), ribadisce: “Inoltre la verifica preliminare non si applica alle tipologie di progetti e/o interventi, indipendentemente dalle eventuali soglie dimensionali, ricompresi negli Allegati III e IV alla parte seconda del D.lgs. 152/2006, per i quali dovrà essere espletata la valutazione appropriata, integrata, ove ne ricorrano i termini, alla procedura di valutazione di impatto ambientale secondo le previsioni dell’art. 10, comma 3, del D.lgs. 152/2006”.
Il progetto di impianto di gestione dei rifiuti oggetto degli atti impugnati con il presente gravame ricade nell’ambito di applicabilità di tale normativa in quanto, come risulta dalla scheda istruttoria regionale, è sussumibile nella lett. z.b) del punto 7 dell’Allegato IV Parte II del D.Lgs. 152/2006 (Impianti di smaltimento e recupero di rifiuti non pericolosi, con capacità complessiva superiore a 10 t/giorno, mediante operazioni di cui all'Allegato C, lettere da R1 a R9, della parte quarta del decreto legislativo 03.04.2006, n. 152).
44.2. Dalla medesima normativa regionale si evince la non necessità di una valutazione di incidenza, neppure relativa alla fase di screening, per i soli interventi indicati nell’art. 3 del medesimo regolamento regionale n. 1 del 2010, rubricato infatti “Progetti ed interventi non direttamente connessi e non significativamente incidenti sui siti della Rete Natura 2000”, cui rinvia anche l’art. 4 comma 2 ultima parte. Solo detti interventi sono pertanto presuntivamente ritenuti non significativamente incidenti sui siti della Rete 2000, fatta peraltro salva la possibilità, secondo quanto prescritto dal successivo comma 4, per l’Autorità preposta all’approvazione del progetto o all’autorizzazione dell’intervento, di richiedere l’esperimento della verifica preliminare nei casi in cui non si abbia la certezza dell’assenza di incidenza negativa o comunque significativa.
Per contro, per gli interventi indicati nell’art. 4, comma 2, del medesimo regolamento, fra i quali, come detto, vanno annoverati i progetti e gli interventi ricompresi negli allegati II e IV della parte seconda del decreto legislativo 03.04.2006, n. 152, indipendentemente dalle eventuali soglie dimensionali, vi è una presunzione di incidenza significativa, tanto è vero che per i medesimi deve essere espletata direttamente la valutazione appropriata. Gli interventi non ricadenti in nessuna di queste due opposte presunzioni vanno per contro sottoposti alla fase di screening.
Né al riguardo, al fine di escludere l’intervento de quo dalla valutazione di incidenza, e persino dalla correlativa e preliminare procedura di screening, può ritenersi sufficiente il richiamo, operato dalla Regione Campania e dalla New Vision, alla prescrizione dell’art. 2, comma 3, del medesimo Regolamento (da leggersi a contrario), secondo cui “La valutazione di incidenza si applica inoltre ai progetti e agli interventi che riguardano ambiti esterni ai siti della Rete Natura 2000, qualora, per localizzazione o natura, possano produrre incidenze significative sulla specie e sugli habitat presenti nel sito stesso”, avuto riguardo alla circostanza che, quanto alla localizzazione, l’intervento progettato è posto a soli 255 metri dal sito protetto, mentre la natura dell’intervento e la possibile incidenza significativa del medesimo vanno valutate alla stregua delle chiare indicazioni contenute nei successivi art. 3 e 4, per cui non può seriamente sostenersi che un intervento, relativo alla realizzazione di un impianto per cui l’art. 4, comma 2, del regolamento regionale prescrive una valutazione di incidenza appropriata, debba essere escluso persino dalla fase di screening della valutazione di incidenza –quanto meno necessaria a valutare la localizzazione dell’intervento, la natura del medesimo e pertanto la sua incidenza significativa sul sito viciniore– solo perché posto all’esterno del sito.
Ed invero, per la costante giurisprudenza in materia, quale dianzi riportata, la valutazione d’incidenza, per come costantemente interpretata dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia e delle Corti nazionali, si applica sia agli interventi che ricadono all’interno delle aree Natura 2000 (e delle Zone di protezione speciale), sia a quelli che, pur collocandosi all’esterno, possono comportare ripercussioni sullo stato di conservazione dei valori naturali tutelati nel sito (ex multis, Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 4327/2017; TAR Sicilia, Catania, Sez. II, n. 1323 del 06/06/2017; TAR Abruzzo, Pescara, n. 233/2015), in quanto ciò che “si prefigge il Legislatore, europeo e nazionale, è quello massimo di conservazione dei siti, sia in via diretta (per piani e progetti da ubicarsi all’interno dei siti protetti) sia in via indiretta (per piani e progetti da ubicarsi al di fuori del perimetro delle dette aree, ma idonei comunque ad incidere, per le caratteristiche tecniche del progetto o la collocazione degli impianti o la conformazione del territorio, sulle caratteristiche oggetto di protezione”) (Consiglio di Stato, sezione VI, sentenza 14.10.2014, n. 5092).
La assoluta mancanza di tale passaggio procedimentale –la valutazione di incidenza– determina l’illegittimità degli atti impugnati.
45. Nonostante il carattere assorbente di tale motivo di ricorso, con il quale, come detto, si postula la necessità di una valutazione di incidenza appropriata, che è del tutto mancata, anche a ritenere sufficiente la sola procedura di screening –circostanza da escludersi alla luce di quanto dianzi indicato–, gli atti gravati, ivi compreso l’atto di rideterminazione della commissione VAS-VIA-VI, devono ritenersi illegittimi anche avuto riguardo alla fondatezza degli ulteriori motivi dei primi ricorsi per motivi aggiunti, secondo quanto di seguito specificato.
Infatti, come evidenziato dalle parti ricorrenti nel giudizio R.G. n. 1766 del 2018 nella prima parte del secondo motivo del ricorso per motivi aggiunti, la Ne.Vi. non ha presentato una richiesta di valutazione di incidenza in relazione all’area protetta. La medesima ha presentato solo una relazione tecnica di verifica di assoggettabilità alla Valutazione di Impatto Ambientale ai sensi dell’art. 20 del D.Lgs. 152/2006, in cui non ha rappresentato affatto che l’intervento ricadeva in area prossima ad un sito protetto, e non ha dunque compiuto alcuna valutazione in ordine agli effetti che l’intervento potrebbe avere in relazione ai beni protetti nella zona vincolata.
Giova al riguardo evidenziare come la stessa non abbia neanche inserito, secondo quanto di seguito precisato, un apposito capitolo nello studio preliminare ambientale, rispondente agli indirizzi di cui all’allegato G del D.P.R. 357/1997.
Vi è di più.
Nella “relazione” e nella “scheda istruttoria” è stato solo più volte evidenziato che l’intervento non ricadeva in area protetta, sottacendo che il medesimo per contro ricadesse in area limitrofa ad un sito protetto.
45.1. Le medesime fondate doglianze sono articolate anche nel terzo motivo del ricorso per motivi aggiunti presentato dal Comune di Sassinoro, con cui si rappresenta che, nell’ambito del procedimento di valutazione di assoggettabilità a valutazione di impatto ambientale, la proponente ha depositato lo studio preliminare ambientale ove, tuttavia, come risultante per tabulas, non aveva neanche evidenziato l’esistenza a 255 metri del sito di interesse comunitario Codice IT 8020001 “Alta Valle del Fiume Tammaro”.
45.2. Inoltre, secondo quanto evidenziato in tale motivo di ricorso, nonché nella seconda parte del secondo motivo del ricorso per motivi aggiunti del giudizio R.G. n. 1766 del 2018, nello studio preliminare ambientale la proponente non ha inserito uno specifico capitolo contenente gli elementi da indicarsi ai sensi dell’Allegato G del DPR 357/1997, riferito specificatamente al sito protetto, limitandosi genericamente a dichiarare che il progetto di impianto non è localizzato all’interno di aree SIC/ZPS e per tale motivo “non è interessato da uno studio di incidenza ambientale” (cfr. pagg. 103/104).
A ciò consegue la dedotta violazione dell’art. 5 (commi 3 e 4) D.P.R. 08/09/1997, n. 357, come sostituito dall’art. 6, D.P.R. 12.03.2003, n. 120, secondo cui “i proponenti di interventi non direttamente connessi e necessari al mantenimento in uno stato di conservazione soddisfacente delle specie e degli habitat presenti nel sito, ma che possono avere incidenze significative sul sito stesso, singolarmente o congiuntamente ad altri interventi, presentano, ai fini della valutazione di incidenza, uno studio volto ad individuare e valutare, secondo gli indirizzi espressi nell'allegato G, i principali effetti che detti interventi possono avere sul proposto sito di importanza comunitaria, sul sito di importanza comunitaria o sulla zona speciale di conservazione, tenuto conto degli obiettivi di conservazione dei medesimi.
Per i progetti assoggettati a procedura di valutazione di impatto ambientale, ai sensi dell'articolo 6 della legge 08.07.1986, n. 349, e del decreto del Presidente della Repubblica 12.04.1996, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 210 del 07.09.1996, e successive modificazioni ed integrazioni, che interessano proposti siti di importanza comunitaria, siti di importanza comunitaria e zone speciali di conservazione, come definiti dal presente regolamento, la valutazione di incidenza è ricompresa nell'àmbito della predetta procedura che, in tal caso, considera anche gli effetti diretti ed indiretti dei progetti sugli habitat e sulle specie per i quali detti siti e zone sono stati individuati. A tale fine lo studio di impatto ambientale predisposto dal proponente deve contenere gli elementi relativi alla compatibilità del progetto con le finalità conservative previste dal presente regolamento, facendo riferimento agli indirizzi di cui all'allegato G
”.
Pertanto, in alcun modo potrebbe ritenersi che, nell’ipotesi di specie, anche a seguito dell’atto di rideterminazione della commissione VAS-VIA-VI, sia stata condotta una procedura di screening in quanto: non vi è stata l’istanza di parte; lo studio preliminare ambientale non è stato redatto tenendo contro degli indirizzi di cui all’allegato G del D.P.R. 357 del 1997 e con specifico riferimento al Sito Natura 2000 viciniore e alle finalità conservative previste dalla normativa in materia; non sono stati dunque esaminati gli aspetti di interferenza considerando -come prescritto dalla normativa- le componenti abiotiche, le componenti biotiche, le connessioni ecologiche ed è stata addirittura sottaciuta la vicinanza con il SIC (cfr., al riguardo, TAR Sicilia–Palermo, sez. I, sent. 20/01/2010, n. 583, secondo cui “Per i progetti che interessano siti di importanza comunitaria, la valutazione di incidenza è ricompresa nella procedura di VIA, che, in tal caso, considera anche gli effetti diretti ed indiretti dei progetti sugli habitat e sulle specie per i quali detti siti e zone sono stati individuati, pertanto lo studio di impatto ambientale predisposto in simile evenienza dal proponente deve contenere altresì gli elementi relativi alla compatibilità del progetto con le finalità conservative previste dal comma 4 dell'art. 5 del D.P.R. n. 357 del 1997, peraltro il giudizio di compatibilità ambientale richiesto può essere rifiutato dall'amministrazione preposta anche nel caso in cui le opere oggetto di verifica siano state già iniziate dal soggetto proponente”).
Ed invero, secondo l’allegato G del D.P.R. 357/1997, ai fini della valutazione di incidenza, le caratteristiche dei piani e progetti debbono essere descritte con riferimento, in particolare:
   - alle tipologie delle azioni e/o opere;
   - alle dimensioni e/o àmbito di riferimento;
   - alla complementarietà con altri piani e/o progetti;
   - all'uso delle risorse naturali;
   - alla produzione di rifiuti;
   - all'inquinamento e disturbi ambientali;
   - al rischio di incidenti per quanto riguarda le sostanze e le tecnologie utilizzate.
Inoltre, le interferenze di piani e progetti debbono essere descritte con riferimento al sistema ambientale considerando: le componenti abiotiche; le componenti biotiche; le connessioni ecologiche.
Le interferenze debbono tener conto della qualità, della capacità di rigenerazione delle risorse naturali della zona e della capacità di carico dell'ambiente naturale, con riferimento minimo alla cartografia del progetto CORINE LAND COVER (si tratta di un progetto che fa parte del programma comunitario CORINE, il sistema informativo creato allo scopo di coordinare a livello europeo le attività di rilevamento, archiviazione, elaborazione e gestione di dati territoriali relativi allo stato dell'ambiente. Tale progetto ha previsto la redazione, per tutto il territorio nazionale, di una carta della copertura del suolo in scala 1:100.000).
Nello studio preliminare ambientale prodotto dalla proponente New Vision alcun riferimento vi è, come detto, alla valutazione di detti elementi in riferimento alla possibili incidenze sul sito protetto, neppure indicato, come evincibile anche dalle cartografie relative ai vincoli che fanno riferimento alle sole aree sottoposte a tutela paesaggistica e ai vincoli del PCTP (pagg. 101-103); alcun cenno vi è inoltre in relazione alle interferenze con piani e progetti da valutarsi con riferimento al sistema ambientale considerando specificatamente: le componenti abiotiche; le componenti biotiche; le connessioni ecologiche.
Pertanto, l’atto di rideterminazione della Commissione VAS-VIA-VI è illegittimo in quanto con il medesimo la Regione ha ritenuto che le proprie conclusioni istruttorie in materia di non assoggettabilità a valutazione di impatto ambientale “abbiano avuto come presupposto una esauriente trattazione istruttoria degli impatti del progetto in relazione alla localizzazione rispetto ai siti appartenenti alla Rete Natura 2000”, richiamando a tal riguardo anche una nota indirizzata al Ministero dell’Ambiente successivamente alla conclusione della precedente istruttoria da cui emergerebbe la non significativa incidenza del progetto, nonché il decreto di valutazione di incidenza successivamente espresso sul PUC di Sassinoro, secondo quanto denunciato dalle parti ricorrenti del giudizio R.G. n. 1766 del 2018 nell’ambito del secondo motivo del primo ricorso per motivi aggiunti, nonché nel quarto motivo del ricorso per motivi aggiunti presentato dal Comune di Sassinoro; ciò in quanto alcuna valutazione di incidenza, neppure ascrivibile alla fase di screening, può intendersi effettuata, in assenza dei necessari presupposti, ed in particolare del riferimento nello studio preliminare ambientale al predetto SIC e dell’inserimento nel medesimo di un capitolo conforme agli indirizzi di cui al più volte citato allegato G, finalizzato anche a valutare le interferenze avuto riguardo alle componenti abiotiche, biotiche e alle connessioni ecologiche; con il che la denunciata violazione formale (mancanza di studio preliminare completo delle indicazioni di cui all’allegato G) assurge a violazione sostanziale delle disposizioni di tutela non potendosi in alcun modo sanare la carenza degli elementi istruttori normativamente necessari a fondare la valutazione rimessa all’Autorità competente ove gli stessi non siano stati di fatto acquisiti, mediante atti contenutisticamente definiti, nella loro valenza fattuale ed effettuale.
Se invero è completamente pretermesso finanche il riferimento al SIC, non è necessario spendere altri argomenti per dimostrare come non si possa pervenire ad una seria valutazione di non significatività degli impatti e dunque di certezza circa l’assenza di impatti significativi.
45.3. Ciò senza mancare di rilevare che, come denunciato da entrambe le parti ricorrenti, la richiamata nota indirizzata al Ministero dell’Ambiente, a sostegno della postulata “integrazione motivazionale”, è stata formata all’esterno del procedimento –senza pertanto alcun apporto procedimentale- e che, come dedotto dal Comune di Sassinoro, il riferimento alla circostanza che la zona industriale di Sassinoro sia separata dal SIC dalla Strada Statale 87, che costituirebbe di fatto una barriera fisica che non consente connessioni di carattere ecologico, in disparte la evidente apoditticità dell’asserzione, alcuna rilevanza può avere in assenza di uno studio preliminare ambientale comprensivo di tutti gli indirizzi di cui all’allegato G del D.P.R. n. 357/1997, finalizzato alla valutazione delle possibili incidenze significative sul sito protetto.
Ed invero la mera esistenza di una strada, a separare il SIC dall’impianto progettato, non può di per se escludere l’incidenza sull’habitat del confinante SIC dei fattori inquinanti, in considerazione della diffusività delle immissioni in atmosfera, del rumore e dell’inquinamento in genere, né la stessa strada, in considerazione della naturale mobilità delle specie animali, e, soprattutto delle specie segnalate dal formulario del sito -in alcun modo citate nello studio preliminare ambientale-, potrebbe di per sé escludere l’incidenza sul confinante habitat in cui dette specie sono protette.
45.6. Peraltro, l’inadeguatezza della motivazione contenuta nell’atto di rideterminazione della Commissione, anche nella parte in cui richiama tale nota, risulta anche nel fatto che la destinazione urbanistica ed il grado di antropizzazione non escludono che il progetto non possa essere in concreto realizzato per il suo contrasto con interessi ambientali. Anzi, al contrario, tali fattori implicano il dovere dell’autorità procedente di considerare, in sede di screening e/o di valutazione di incidenza, gli effetti cumulativi del nuovo progetto con i preesistenti impianti limitrofi.
Il difetto di motivazione in parte qua dell’atto di rideterminazione della Commissione VAS-VIA-VI è stato peraltro denunciato anche nel terzo motivo del ricorso per motivi aggiunti presentato nell’ambito del ricorso R.G. n. 1766 del 2018.
46. Pertanto, alla stregua dei precedenti rilievi, in alcun modo la Commissione avrebbe potuto qualificare adeguata la propria precedente istruttoria e rideterminarsi in ordine alla inesistenza di incidenza significativa sul confinante SIC, in assenza di uno studio preliminare ambientale redatto anche in conformità degli indirizzi di cui all’allegato G e senza previa disamina del formulario Natura 2000 del SIC Codice IT 8020001 “Alta Valle del Fiume Tammaro”, la cui esistenza, come detto, non risulta neanche evidenziata nello studio preliminare ambientale depositato ai fini dell’esclusione dalla VIA, come evidenziato dal Comune di Sassinoro nel terzo motivo del ricorso per motivi aggiunti.
47. Al riguardo fondato risulta anche il quinto motivo di ricorso per motivi aggiunti del Comune di Sassinoro con cui si denuncia la violazione del punto 4.2.6 delle Linee guida regionali sulla valutazione di incidenza approvate con DGR n. 167/2015, applicabili ratione temporis, avuto riguardo alla data di avvio della procedura di assoggettabilità a VIA, che, per il caso di integrazione dei procedimenti di VI e di VIA, rimanda alle Linee Guida regionali VIA, approvate con DGR 2011/2011, applicabili anche per i progetti localizzati all’esterno del perimetro delle aree Natura 2000 che, al punto 2.3, prevedono che:
   “- nell’istanza della proponente dev’essere dato atto della richiesta di integrare la valutazione di incidenza nel procedimento di assoggettabilità a VIA;
   - nello studio preliminare ambientale deve essere inserito un apposito capitolo con la relazione per la valutazione di incidenza redatta secondo l’Allegato G all’art. 5 dpr 357/1997;
   -nel testo dell’avviso pubblicato sul BURC dev’essere espressamente evidenziato il codice del sito o dei siti Natura 2000 interessati
”.
Ed invero, per contro, dagli atti depositati in giudizio risulta che:
   - l’istanza della proponente, di sola verifica di assoggettabilità a VIA, non contiene alcun riferimento alla integrazione con la valutazione di incidenza, del resto coerentemente con la premessa che il progetto non ricade all’interno di alcun SIC;
   - lo studio preliminare ambientale non contiene alcun riferimento, neanche meramente cartografico, al sito di interesse comunitario Cod. IT 802001 “Alta Valle del fiume Tammaro”, posto a soli 255 metri dall’autorizzato impianto e, anzi, reca, alle pagg. 103/104, la precisazione secondo la quale il progetto di impianto non è localizzato all’interno di aree SIC/ZPS e pertanto “non è interessato da uno studio di incidenza ambientale”; il medesimo studio, inoltre, è privo di alcun capitolo contenente tutti i dati di cui all’Allegato G del dpr 357/1997 ai fini specifici della valutazione di incidenza;
   - l’avviso pubblicato sul BURC è parimenti privo di qualsivoglia riferimento a siti della rete Natura 2000.
A ciò consegue anche, secondo quanto dedotto nel terzo motivo di ricorso per motivi aggiunti del Comune di Sassinoro, l’eccesso di potere per carenza assoluta di istruttoria, falsa motivazione, travisamento dei fatti, sviamento di potere e perplessità degli atti impugnati; ciò in quanto l’atto di rideterminazione impugnato, in assenza della redazione dello studio preliminare ambientale conforme anche agli indirizzi di cui all’allegato G del D.P.R. 357/1997 e dell’acquisizione dei dati concernenti il SIC confinante, non potrebbe essere considerato come screening, mancando degli elementi essenziali prescritti dal richiamato allegato G.
48. Parimenti meritevoli di accoglimento sono le identiche censure contenute nel quarto motivo del ricorso per motivi aggiunti presentato dal Comune di Sassinoro e nel terzo motivo del ricorso per motivi aggiunti presentato nell’ambito del giudizio R.G. n. 1766 del 2018, secondo cui contraddittoria è l’ulteriore motivazione contenuta nell’impugnato atto della Commissione VAS-VIA-VI del 18.12.2018, costituito dalla valutazione di incidenza favorevole rilasciata, successivamente alla definizione dell’istruttoria del progetto Ne.Vi. srl ai fini dell’esclusione della valutazione di impatto ambientale, sul progetto di Piano Urbanistico Comunale di Sassinoro che conferma la localizzazione dell’area PIP, rilasciata con decreto dirigenziale regionale n. 32 del 05.04.2018.
Infatti, detto decreto regionale, con il quale è stato favorevolmente definito il procedimento di valutazione di incidenza dell’adottando PUC, con la prescrizione n. 1, per contro obbliga il Comune a “inserire nelle Norme Tecniche di Attuazione un paragrafo relativo alla valutazione di incidenza nel quale si chiarisca che vanno assoggettate a procedura di valutazione di incidenza tutte le opere che possano avere incidenze significative negative sul SIC IT8020001 “Alta Valle del Fiume Tammaro”. In tale sezione andrà evidenziato che lo studio di incidenza dovrà rispondere nei contenuti alle disposizioni dell’Allegato G del DPR 357/97 e s.m.i. ed in particolare dovrà contenere una descrizione degli habitat e delle specie di flora e fauna tutelati nel sito Natura 2000 e rinvenibili nell’area oggetto di intervento, una valutazione delle incidenze significative che le opere da realizzare possono determinare sulle componenti abiotiche, biotiche e sulle connessioni ecologiche caratterizzanti i siti interessati nonché una descrizione delle ipotesi alternative e delle eventuali misure di mitigazione o compensazione da prevedere per la eliminazione/riduzione delle incidenze eventualmente rilevate”.
Tale prescrizione del decreto di valutazione di incidenza sul progetto di PUC dimostra, ove ancora necessario, la contraddittorietà dell’atto della medesima Commissione regionale VAS-VIA-VI del 18.12.2018, non essendo dato comprendere come quanto prescritto dal medesimo organo tecnico regionale per tutte le nuove iniziative nell’area PIP non debba valere anche per l’impianto della Ne.Vi. srl in ordine al quale non si è proceduto neppure alla procedura di screening, al fine di valutare la possibile incidenza sul SIC “Alta Valle del Fiume Tammaro”.
55. Nell’esaminare le censure proposte, va innanzi tutto disattesa l’eccezione formulata dalla Ne.Vi. secondo la quale le prescrizioni contenute nel PTCP citate dalle parti sarebbero da considerare quale misura di salvaguardia nelle more della approvazione del Piano Provinciale dei Rifiuti, da intendersi decadute dopo il decorso del quinquennio dalla sua approvazione, ovvero in quanto afferenti ad una competenza ormai passata all’Ente d’Ambito.
55.1. Al riguardo si rappresenta in primo luogo come detta prospettazione sia sconfessata anche dalla circostanza che nelle cartografie allegate allo studio preliminare ambientale era fatto esplicito riferimento ai vincoli discendenti dal PTCP (pagg. 101-102).
55.2. Peraltro al riguardo non può prescindersi dalla disanima dell’art. 197 T.U.A. secondo cui, “1. In attuazione dell'articolo 19 del decreto legislativo 18.08.2000, n. 267, alle province competono in linea generale le funzioni amministrative concernenti la programmazione ed organizzazione del recupero e dello smaltimento dei rifiuti a livello provinciale, da esercitarsi con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, ed in particolare:
   d) l'individuazione, sulla base delle previsioni del piano territoriale di coordinamento di cui all'articolo 20, comma 2, del decreto legislativo 18.08.2000, n. 267, ove già adottato, e delle previsioni di cui all'articolo 199, comma 3, lett. d) e h), nonché sentiti l'ente di governo dell'ambito ed i comuni, delle zone idonee alla localizzazione degli impianti di smaltimento dei rifiuti, nonché delle zone non idonee alla localizzazione di impianti di recupero e di smaltimento dei rifiuti
.”
Tale competenza è rimasta in capo all’Ente Provincia anche dopo l’entrata in vigore della Legge 56/2014, cd. “legge Del Rio”.
Infatti, fra le funzioni fondamentali assegnate alle Province “riformate”, così come elencate al comma 85 dell’articolo unico dei detta normativa, figurano la “pianificazione territoriale provinciale di coordinamento, nonché tutela e valorizzazione dell'ambiente, per gli aspetti di competenza”. Pertanto non è revocabile in dubbio che la Provincia è tenuta ad individuare le zone del territorio provinciale da ritenersi in generale, ovvero per qualsiasi tipologia di impianti per il trattamento e la gestione dei rifiuti, non idonee alla ubicazione degli impianti medesimi.
55.3. Nel caso di specie, le prescrizioni contenute nel Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale devono ritenersi dotate di perdurante efficacia, avuto tra l’altro riguardo alla circostanza che la prescrizione di cui all’art. 34, comma 1, lett. g), della L.R. Campania 14/2016 –che riserva al Piano d'Ambito Territoriale l'individuazione, nel rispetto degli indirizzi del Piano regionale delle aree dove localizzare gli impianti di recupero e smaltimento dei rifiuti urbani- non può ancora dirsi operativa, non essendo stato adottato detto Piano d’Ambito Territoriale.
Vi è inoltre da evidenziare che, nel corso della Conferenza di servizi, l’ATO Rifiuti Benevento non ha espresso alcun parere, avendo richiesto un aggiornamento ulteriore dei lavori della Conferenza per esaminare la documentazione trasmessa, aggiornamento rifiutato; inoltre, nel verbale conclusivo dei lavori della Conferenza di Servizi, è altresì precisato che l’ATO aveva fatto pervenire una nota del 12.01.2018 con cui aveva comunicato che allo stato era sprovvisto della figura del direttore generale, “il quale assumerà la responsabilità della gestione, tecnica, amministrativa, contabile e si occuperà della stesura del piano d’ambito territoriale che costituirà, in attuazione del PRGRU, lo strumento per il governo delle attività necessarie per lo svolgimento del servizio di gestione integrata dei rifiuti che prevederà anche programmi di investimento per gli adeguamenti tecnologici dell’impiantistica esistente o di nuova realizzazione. Pertanto questo Ente non esprime parere in merito alla questione in oggetto, in attesa della costituzione dell’Eda entri in una piena governance”.
55.4. Dette considerazioni sono espresse a prescindere dalla disamina della questione di costituzionalità dell’art. 34, comma 1, lett. g), della L.R. Campania per contrasto con la previsione dell’art. 197, comma 1, lett. d), da esaminarsi alla luce del disposto dell’art. 117, comma 1, lett. s) Cost.; questione, questa, invero non rilevante rispetto alla presente fattispecie, avuto riguardo alla non applicabilità allo stato della previsione della normativa regionale indicata.
In materia di smaltimento dei rifiuti, infatti, lo Stato è titolare di una competenza statale esclusiva, riconducibile all'ipotesi della “tutela dell'ambiente e dell'ecosistema" prevista dall'art. 117, comma 2, lett. s), Cost., per cui deve intendersi inibito al legislatore regionale introdurre deroghe o limiti di varia natura e portata (cfr. Corte Costituzionale, sentenze 02.04.2014, n. 67 e 02.12.2013, n. 285).
Non è dunque consentito al legislatore regionale derogare alla ripartizione di competenze stabilita a livello nazionale fra le Regioni, che hanno il potere di autorizzare i nuovi impianti, e le Province, che hanno il potere di pianificare le zone idonee e non idonee agli impianti sulla base dei criteri stabiliti nel piano di gestione dei rifiuti della Regione.
Tra le norme nazionali rilevanti ai fini del presente giudizio vengono in rilievo, in primo luogo, quelle che attribuiscono alle Regioni il potere di autorizzare i nuovi impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti ex artt. 196, comma 1, lett. d), e 208 t.u. ambiente, mentre alle Province è tra l'altro devoluto il potere di individuazione, sulla base delle previsioni del piano territoriale di coordinamento di cui all'articolo 20, comma 2, del decreto legislativo 18.08.2000, n. 267, ove già adottato, e delle previsioni di cui all'articolo 199, comma 3, lett. d) e h), l) nonché, sentiti l'Autorità d'ambito ed i comuni, delle zone idonee alla localizzazione degli impianti di smaltimento dei rifiuti.
Diversamente opinando, si attribuirebbe un potere di veto ad un ente privo di competenza primaria nella funzione di autorizzazione di impianti di smaltimento e recupero di rifiuti (cfr. Cons. Stato, sez. V, 23/03/2015, n. 1556).
Dalla norma di cui all’art. 197 T.UA. si evince pertanto che l’intervento dell’Autorità d’ambito è puramente consultivo, al pari di quello dei Comuni, mentre rimane ferma la prevalenza delle previsioni del piano territoriale di coordinamento ove già adottato, come nell’ipotesi di specie, e degli indirizzi espressi dalla Regione. In considerazione di tali rilievi non sarebbe pertanto consentito al legislatore regionale derogare alla ripartizione di competenze stabilita a livello nazionale, né tanto meno configurare le norme del piano territoriale di coordinamento della Provincia, già adottate, come mere norme di salvaguardia destinate a decadere ove il Piano d’Ambito territoriale non sia adottato nel quinquennio successivo.
Pertanto, compete alla Provincia individuare le aree per la localizzazione degli impianti, secondo una valutazione urbanistica complessiva del territorio provinciale, che muove dalle previsioni del piano territoriale di coordinamento (in tal senso, Corte cost., sent., 04/12/2009, n. 314, secondo cui “Non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 1, lett. c), della L.R. 14.04.2008, n. 4, Campania, sollevata in riferimento all'art. 117, secondo comma, lett. s), Cost.. La disposizione impugnata si propone di disciplinare la localizzazione degli impianti di recupero dei rifiuti:nel dettare tale norma, la Regione ha esercitato la propria competenza legislativa, che afferisce all'uso del proprio territorio, abilitando la Provincia, in quanto ente deputato dalla legislazione statale ad esercitare le funzioni in tema di "difesa del suolo" (art. 197 del D.Lgs. n. 152 del 2006), ad individuare le aree per la localizzazione degli impianti, secondo una valutazione urbanistica complessiva del territorio provinciale, che muove dalle previsioni del piano territoriale di coordinamento, anche perché la stessa normativa statale riconosce che "il piano regionale di gestione dei rifiuti è coordinato con gli altri strumenti di pianificazione di competenza regionale previsti dalla normativa vigente, ove adottati" (art. 199, comma 4, del D.Lgs. n. 152 del 2006). La disciplina dettata dalla disposizione regionale risponde ad esigenze di coordinamento territoriale e non appronta una disciplina dei rifiuti di minor rigore rispetto a quella statale”).
55.5. Peraltro la norma di cui all’art. 197 T.U.A. va letta in coordinamento con le norme di cui agli artt. 196 e 199 del medesimo T.U.A.
Ai sensi dell'art. 196, comma 1, lett. a), D.Lgs. n. 152 del 2006, è di competenza della regione la predisposizione, l'adozione e l'aggiornamento, sentiti le province, i comuni e le Autorità d'ambito, dei piani regionali di gestione dei rifiuti, di cui all'articolo 199.
In particolare, ai sensi dell'art. 199, comma 3, lett. d), il piano regionale per la gestione dei rifiuti contiene informazioni sui criteri di riferimento per l'individuazione dei siti e la capacità dei futuri impianti di smaltimento o dei grandi impianti di recupero, se necessario, nonché, ai sensi della lettera l), i criteri per l'individuazione, da parte delle province, delle aree non idonee alla localizzazione degli impianti di recupero e smaltimento dei rifiuti nonché per l'individuazione dei luoghi o impianti adatti allo smaltimento dei rifiuti.
Alle province compete pertanto, ai sensi dell'art. 197, comma 1 lett. d), l'individuazione, sulla base delle previsioni del piano territoriale di coordinamento di cui all'articolo 20, comma 2, del D.Lgs. 18.08.2000, n. 267, ove già adottato, e delle previsioni di cui all'articolo 199, comma 3, lett. d) e h), nonché sentiti l'Autorità d'ambito ed i comuni, delle zone idonee alla localizzazione degli impianti di smaltimento dei rifiuti, nonché delle zone non idonee alla localizzazione di impianti di recupero e di smaltimento dei rifiuti.
A sua volta, l'articolo 20, comma 2, del D.Lgs. 18.08.2000, n. 267, prevede l'adozione da parte della provincia, in attuazione della legislazione e dei programmi regionali, del piano territoriale di coordinamento che determina gli indirizzi generali di assetto del territorio.
Dunque, secondo le indicazioni desumibili dalla normativa statale, le Province devono individuare i siti idonei nell'osservanza dei criteri definiti nel piano regionale e nel piano territoriale provinciale di coordinamento (in tal senso, TAR Piemonte, sez. I, sent. 02.01.2017, n. 3).
Il PTCP, al riguardo, ha una doppia valenza: da un lato si configura quale piano quadro, e, come tale, necessita della pianificazione comunale per essere attuato; d'altro lato, come piano generale, reca prescrizioni direttamente applicabili, prevalenti sugli strumenti di pianificazione comunale ed immediatamente vincolanti anche nei confronti dei privati, e tra queste figurano senza dubbio quelle relative all’individuazione delle aree inidonee alla localizzazione degli impianti per il trattamento dei rifiuti, in quanto derivanti da una precisa prescrizione al riguardo della normativa statale (ex art. 197 del T.U.A.).
Le prescrizioni dettate dalla Provincia, come evincibile dal chiaro tenore letterale della normativa de qua, sono pertanto di immediata e diretta applicazione, tanto è vero che esse possono essere espresse anche indipendentemente dall’esistenza dello strumento di pianificazione: tale è il senso dell’inciso “ove già adottato”, riferito al PTCP e contenuto nel co. 1, lett. d), dell’art. 197.
Nell’ipotesi di specie, per contro, il PTCP è stato adottato e ad esso deve conformarsi il parere della Provincia.

2019

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI - URBANISTICA: G.U. 28.12.2019 n. 303 "Intesa, ai sensi dell’articolo 8, comma 6, della legge 05.06.2003, n. 131, tra il Governo, le regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano sulle Linee guida nazionali per la valutazione di incidenza (VIncA) - Direttiva 92/43/CEE “HABITAT” articolo 6, paragrafi 3 e 4 (Rep. atti n. 195/CSR)" (Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, intesa 28.11.2019).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI - URBANISTICAIl Consiglio di Stato ha già avuto modo di richiamare l’attenzione sull’importanza del procedimento di valutazione d’incidenza di piani o progetti che possano avere incidenze significative su un sito naturale, singolarmente o congiuntamente ad altri piani e progetti, e tenuto conto degli obiettivi di conservazione del sito stesso.
La valutazione d’incidenza, per come costantemente interpretata dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia e delle Corti nazionali, si applica pertanto sia agli interventi che ricadono all’interno delle aree Natura 2000 (e delle Zone di protezione speciale), sia a quelli che, pur collocandosi all’esterno, possono comportare ripercussioni sullo stato di conservazione dei valori naturali tutelati nel sito.
L’art. 6, paragrafo 3, della direttiva 92/43, infatti, subordina il requisito dell’opportuna valutazione dell’incidenza di un piano o di un progetto alla condizione che vi sia una probabilità o un rischio che quest’ultimo pregiudichi significativamente il sito interessato. Tenuto conto, in particolare, del principio di precauzione, un tale rischio esiste qualora non possa escludersi, sulla base di elementi obiettivi, che detto piano o progetto pregiudichi significativamente il sito interessato.
La valutazione del rischio dev’essere effettuata segnatamente alla luce delle caratteristiche e delle condizioni ambientali specifiche del sito interessato da tale piano o progetto.
Nel contesto normativo italiano la valutazione di incidenza (VINCA) viene disciplinata dall’art. 6 del d.p.r. n. 120/2003, che ha sostituito l’art. 5 del d.p.r. n. 357/1997, di attuazione dei paragrafi 3 e 4 della citata direttiva “Habitat”.
È specificamente previsto che nella pianificazione e programmazione territoriale si debba tenere conto della valenza naturalistico-ambientale dei proposti siti di importanza comunitaria, dei siti di importanza comunitaria e delle zone speciali di conservazione.
Sono, altresì, da sottoporre a valutazione di incidenza (comma 3), tutti gli interventi non direttamente connessi e necessari al mantenimento in uno stato di conservazione soddisfacente delle specie e degli habitat presenti in un sito Natura 2000, ma che possono avere incidenze significative sul sito stesso, singolarmente o congiuntamente ad altri interventi.
L’obiettivo di tutela che, pertanto, si prefigge il Legislatore, europeo e nazionale, è quello massimo di conservazione dei siti, sia in via diretta (per piani e progetti da ubicarsi all’interno dei siti protetti) sia in via indiretta (per piani e progetti da ubicarsi al di fuori del perimetro delle dette aree, ma idonei comunque ad incidere, per le caratteristiche tecniche del progetto o la collocazione degli impianti o la conformazione del territorio, sulle caratteristiche oggetto di protezione), con attenzione sia all’impatto singolo del progetto specificamente sottoposto a valutazione, sia all’impatto cumulativo che potrebbe prodursi in connessione con altro e diverso piano o progetto.
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12.5. Pure da accogliere è il quarto motivo di appello, concernente l’impatto dell’inceneritore sulla conservazione dei siti naturali (aree naturali protette, zone di protezione speciale e siti di importanza comunitaria) e l’incidenza dei venti.
In un proprio precedente giurisprudenziale, il Consiglio di Stato (Sezione IV, sentenza n. 4327 del 2017) ha già avuto modo di richiamare l’attenzione sull’importanza del procedimento di valutazione d’incidenza di piani o progetti che possano avere incidenze significative su un sito naturale, singolarmente o congiuntamente ad altri piani e progetti, e tenuto conto degli obiettivi di conservazione del sito stesso.
La valutazione d’incidenza, per come costantemente interpretata dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia e delle Corti nazionali, si applica pertanto sia agli interventi che ricadono all’interno delle aree Natura 2000 (e delle Zone di protezione speciale), sia a quelli che, pur collocandosi all’esterno, possono comportare ripercussioni sullo stato di conservazione dei valori naturali tutelati nel sito.
L’art. 6, paragrafo 3, della direttiva 92/43, infatti, subordina il requisito dell’opportuna valutazione dell’incidenza di un piano o di un progetto alla condizione che vi sia una probabilità o un rischio che quest’ultimo pregiudichi significativamente il sito interessato. Tenuto conto, in particolare, del principio di precauzione, un tale rischio esiste qualora non possa escludersi, sulla base di elementi obiettivi, che detto piano o progetto pregiudichi significativamente il sito interessato.
La valutazione del rischio dev’essere effettuata segnatamente alla luce delle caratteristiche e delle condizioni ambientali specifiche del sito interessato da tale piano o progetto.
Nel contesto normativo italiano la valutazione di incidenza (VINCA) viene disciplinata dall’art. 6 del d.p.r. n. 120/2003 (in G.U. n. 124 del 30.05.2003), che ha sostituito l’art. 5 del d.p.r. n. 357/1997, di attuazione dei paragrafi 3 e 4 della citata direttiva “Habitat”.
È specificamente previsto che nella pianificazione e programmazione territoriale si debba tenere conto della valenza naturalistico-ambientale dei proposti siti di importanza comunitaria, dei siti di importanza comunitaria e delle zone speciali di conservazione.
Sono, altresì, da sottoporre a valutazione di incidenza (comma 3), tutti gli interventi non direttamente connessi e necessari al mantenimento in uno stato di conservazione soddisfacente delle specie e degli habitat presenti in un sito Natura 2000, ma che possono avere incidenze significative sul sito stesso, singolarmente o congiuntamente ad altri interventi.
L’obiettivo di tutela che, pertanto, si prefigge il Legislatore, europeo e nazionale, è quello massimo di conservazione dei siti, sia in via diretta (per piani e progetti da ubicarsi all’interno dei siti protetti) sia in via indiretta (per piani e progetti da ubicarsi al di fuori del perimetro delle dette aree, ma idonei comunque ad incidere, per le caratteristiche tecniche del progetto o la collocazione degli impianti o la conformazione del territorio, sulle caratteristiche oggetto di protezione), con attenzione sia all’impatto singolo del progetto specificamente sottoposto a valutazione, sia all’impatto cumulativo che potrebbe prodursi in connessione con altro e diverso piano o progetto (Consiglio di Stato, sezione VI, sentenza 14.10.2014, n. 5092).
Alla luce di tale quadro normativo, pertanto, si sarebbero dovuti sentire gli enti di gestione preposti, valutando l’impatto dell’impianto singolarmente considerato e cumulativamente rispetto ad altri piani o progetti, tenuto conto delle concrete caratteristiche dei luoghi (direzione dei venti) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 21.01.2019 n. 505 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).

2013

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: G.U.U.E. 21.12.2013 n. L 350 "DECISIONE DI ESECUZIONE DELLA COMMISSIONE del 07.11.2013 che adotta un settimo elenco aggiornato dei siti di importanza comunitaria per la regione biogeografica continentale".

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: G.U.U.E. 21.12.2013 n. L 350 "DECISIONE DI ESECUZIONE DELLA COMMISSIONE del 07.11.2013 che adotta un settimo elenco aggiornato dei siti di importanza comunitaria per la regione biogeografica alpina".

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: G.U.U.E. 21.12.2013 n. L 350 "DECISIONE DI ESECUZIONE DELLA COMMISSIONE del 07.11.2013 che adotta un settimo elenco aggiornato dei siti di importanza comunitaria per la regione biogeografica mediterranea".

AMBIENTE-ECOLOGIA - LAVORI PUBBLICI: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 50 del 12.12.2013, "Approvazione del programma di interventi di manutenzione straordinaria nelle aree protette regionali e di conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche, nei siti di rete natura 2000. Biennio 2014/2015" (deliberazione G.R. 05.12.2013 n. 1030).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 50 dell'11.12.2013, "Adozione delle misure di conservazione relative ai siti di interesse comunitario e delle misure sito-specifiche per 46 siti di importanza comunitaria (SIC), ai sensi del d.p.r. 357/97 e s.m.i. e del d.m. 184/2007 e s.m.i." (deliberazione G.R. 05.12.2013 n. 1029).

URBANISTICA: AREE PROTETTE – SIC e ZPS – Valutazione di incidenza – Disciplina – Regione Siciliana – L.r. n. 13/2007 - Competenze – Fattispecie.
La normativa di cui al D.P.R. n. 357/1997 (di recepimento delle direttive UE 92/43 e CEE 79/409) successivamente modificato dal D.P.R. n. 120/2003, distingue e definisce le aree sottoposte a speciale protezione in siti di importanza comunitaria e zone di speciale conservazione, dettando uno specifico regime autorizzatorio per gli interventi che debbano essere realizzati anche da enti pubblici in tali aree.
In particolare, questi interventi sono soggetti ad una speciale procedura, denominata valutazione di incidenza, che è disciplinata dall'art. 5 del citato D.P.R. ed è simile alla valutazione di impatto ambientale, con la quale si fonde nel caso di interventi che debbano essere sottoposti ad entrambe le procedure. Anche in tal caso, la normativa prevede, infatti, che il soggetto che voglia proporre la realizzazione di un intervento all’interno di aree di rilevanza comunitaria debba predisporre uno studio, volto ad individuare e valutare gli effetti che l'intervento proposto possa avere sull'area protetta, tenuto conto degli obiettivi di conservazione della medesima.
La normativa in esame contempla anche l’ipotesi in cui le aree oggetto di rilevanza comunitaria ricadano interamente o parzialmente all'interno di un’area protetta dalla legislazione nazionale, prescrivendo che in tal caso, ai fini della valutazione d'incidenza, che deve essere preventivamente acquisita dall’Autorità compente al rilascio dei titoli abilitativi, deve essere sentito anche l'ente cui è affidata la gestione dell’area protetta. Le disposizioni dettate a livello nazionale dar citato d.P.R. sono state, a loro volta, recepite anche dal legislatore regionale siciliano: in particolare, la Legge Regionale n. 13 dell’08.05.2007, all’art. 1, contenente disposizioni in favore dell'esercizio di attività economiche in siti SIC e ZPS, stabilisce che le determinazioni sulle valutazioni d'incidenza, previste dall’art. 5 del d.P.R. n. 357/1997 sono attribuite ai Comuni, nel cui territorio insistono i siti SIC e ZPS.
Le valutazioni di incidenza che interessino i siti SIC e ZPS ricadenti all’interno di parchi naturali sono di competenza dell'Ente parco. In attuazione di tali disposizioni, il Decreto Assessoriale del 30.03.2007 stabilisce che, quando l’intervento ricade in SIC o ZPS che ricadono in un'area naturale protetta, la valutazione d’incidenza è effettuata previo parere dell'ente gestore. Il Decreto Assessoriale 22.10.2007, invece, prescrive che la valutazione d'incidenza non è rilasciata dar Comune, se tale ente coincide con I'ente proponente l'intervento soggetto a tale valutazione.
In tal caso la valutazione d’incidenza e rilasciata dall’Assessorato. (fattispecie relativa d un intervento –di cui era soggetto promotore il Comune- da realizzare all’interno di SIC e ZPS, in zona di pre-riserva: in applicazione dell’indicata normativa, il Comune avrebbe dovuto acquisire il parere dell’ente gestore della riserva ed avviare la procedura di valutazione d’incidenza, di competenza dell’Assessorato regionale; i successivi interventi, ricadenti entro l’area della riserva, avrebbero invece dovuto essere sottoposti alla valutazione di incidenza di competenza dello stesso ente gestore) (TRIBUNALE di Agrigento, Sez. I penale, sentenza 16.09.2013 n. 432 - tratto da www.ambientediritto.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 37 del 10.09.2013, "Determinazioni relative alle misure di conservazione per la tutela delle ZPS lombarde – modifiche alle deliberazioni 9275/2009 e 18453/2004, classificazione della ZPS IT2030008 «Il Toffo» e nuova individuazione dell’ente gestore del SIC IT2010016 «Val Veddasca»" (deliberazione G.R. 06.09.2013 n. 632).
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ZPS, norme più semplici per le strade agro-silvo-pastorali.
Terzi: «Necessarie per mantenimento attività montane a rischio spopolamento».
D’ora in poi sarà più semplice realizzare strade agro-silvo-pastorali nelle ZPS (Zone di Protezione Speciale) lombarde. A deciderlo è stata la Giunta regionale su proposta dell’Assessore all’Ambiente, Energia e Sviluppo Sostenibile Claudia Maria Terzi: «Da tempo –spiega l’Assessore– gli agricoltori delle zone di montagna, e con loro i rappresentanti degli Enti locali, chiedevano un intervento per rendere meno macchinosa la realizzazione delle strade necessarie a garantire il mantenimento delle attività agro-silvo-pastorali».
RISCHIO SPOPOLAMENTO MONTAGNE – «In particolare –continua Terzi– più volte hanno segnalato che la difficoltà a raggiungere pascoli e alpeggi metteva a rischio l’economia delle montagne (vanificando perdipiù paralleli interventi regionali di incentivo all’agricoltura), con il conseguente abbandono delle attività tradizionali e il progressivo spopolamento delle comunità di montagna. Quest’ultimo ha impatti devastanti anche sull’ambiente: storicamente, le nostre sono montagne abitate, per mantenerne l’equilibrio ecosistemico è necessario provvedere alla pulizia dei boschi e al taglio dell’erba. Se queste attività mancano, aumenta la possibilità d’incendi e quindi il rischio che gli habitat protetti vengano distrutti».
NOVITÀ NORMATIVE – Per questo, il divieto di realizzare “nuove strade permanenti e l’asfaltatura delle strade agro-silvo-pastorali e delle piste forestali salvo che per ragioni di sicurezza e incolumità pubblica ovvero di stabilità dei versanti” è stato sostituito con il divieto di realizzare “nuove strade permanenti ad eccezione delle strade agro-silvo-pastorali di cui sia documentata la necessità al fine di garantire il mantenimento delle attività agro-silvo-pastorali con particolare riferimento al recupero e alla gestione delle aree aperte a vegetazione erbacea, al mantenimento e recupero delle aree a prato pascolo, alla pastorizia”.
In ogni caso, le strade dovranno essere previste nei Piani comprensoriali di sviluppo e gestione degli alpeggi o nei piani della viabilità agro-silvo-pastorali e dovrà essere valutata l’incidenza che la loro realizzazione potrebbe avere rispetto agli obiettivi di conservazione degli habitat e delle specie presenti nei siti protetti. Resta vietata l’asfaltatura delle strade agro-silvo-pastorali e delle piste forestali salvo che per ragioni di sicurezza e incolumità pubblica ovvero di stabilità dei versanti.
VICINANZA A MONTAGNA – «Con questo provvedimento –conclude Terzi– vogliamo mostrare la nostra vicinanza a coloro che la montagna la vivono tutti i giorni e contribuiscono, con il loro lavoro, a mantenere integri gli habitat della fauna delle aree protette. Né ci fermeremo qui: la nostra intenzione è di coniugare sempre più sviluppo rurale e protezione della biodiversità» (27.09.2013 - link a http://claudiaterzi.wordpress.com).

EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICAL’articolo 6, paragrafo 3, della direttiva 92/43/CEE del Consiglio, del 21.05.1992, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche, deve essere interpretato nel senso che un piano o un progetto non direttamente connesso o necessario alla gestione di un sito pregiudicherà l’integrità di tale sito se è atto a impedire il mantenimento sostenibile delle caratteristiche costitutive dello stesso, connesse alla presenza di un habitat naturale prioritario, per conservare il quale, il sito in questione è stato designato nell’elenco dei siti di importanza comunitaria (SIC) conformemente alla suddetta direttiva.
Ai fini di tale valutazione occorre applicare il principio di precauzione.

L’articolo 6, paragrafo 3, della direttiva «habitat» prevede una procedura di valutazione volta a garantire, mediante un controllo preventivo, che un piano o un progetto non direttamente connesso o necessario alla gestione del sito interessato, ma idoneo ad avere incidenze significative sullo stesso, sia autorizzato solo se non pregiudicherà l’integrità di tale sito (v. sentenza Waddenvereniging e Vogelbeschermingsvereniging, cit., punto 34, nonché sentenza del 16.02.2012, Solvay e a., C‑182/10, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 66).
Detta disposizione prevede così due fasi. La prima, di cui al primo periodo della stessa disposizione, richiede che gli Stati membri effettuino un’opportuna valutazione dell’incidenza di un piano o un progetto su un sito protetto quando è probabile che tale piano o progetto pregiudichi significativamente detto sito (v., in tal senso, sentenza Waddenvereniging e Vogelbeschermingsvereniging, cit., punti 41 e 43).
Ebbene, un piano o un progetto non direttamente connesso o necessario alla gestione di un sito che rischi di comprometterne gli obiettivi di conservazione deve essere ritenuto pregiudicare significativamente tale sito. La valutazione di detto rischio va effettuata segnatamente alla luce delle caratteristiche e delle condizioni ambientali specifiche del sito interessato da un tale piano o progetto (v., in tal senso, sentenza Waddenvereniging e Vogelbeschermingsvereniging, cit., punto 49).
La seconda fase, di cui all’articolo 6, paragrafo 3, secondo periodo, della direttiva «habitat», che interviene una volta effettuata detta opportuna valutazione, subordina l’autorizzazione di un tale piano o progetto alla condizione che lo stesso non pregiudichi l’integrità del sito interessato, fatte salve le disposizioni del paragrafo 4 del medesimo articolo.
A tale riguardo, al fine di contestualizzare la portata dell’espressione «pregiudica l’integrità del sito», occorre precisare che, come ha rilevato l’avvocato generale al paragrafo 43 delle sue conclusioni, le disposizioni dell’articolo 6 della direttiva «habitat» devono essere interpretate come un insieme coerente con riferimento agli obiettivi di conservazione perseguiti dalla direttiva. In effetti, i paragrafi 2 e 3 di detto articolo mirano ad assicurare uno stesso livello di protezione degli habitat naturali e degli habitat delle specie (v., in tal senso, sentenza del 24.11.2011, Commissione/Spagna, C‑404/09, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 142), mentre il paragrafo 4 del medesimo articolo costituisce solo una disposizione in deroga al secondo periodo del paragrafo 3.
La Corte ha già affermato che le disposizioni dell’articolo 6, paragrafo 2, della direttiva «habitat» consentono di rispondere all’obiettivo essenziale della preservazione e della protezione della qualità dell’ambiente, compresa la conservazione degli habitat naturali nonché della fauna e della flora selvatiche, e stabiliscono un obbligo di tutela generale, al fine di evitare degrado o perturbazioni che possano avere conseguenze significative per quanto riguarda gli obiettivi di tale direttiva (sentenza del 14.01.2010, Stadt Papenburg, C‑226/08, Racc. pag. I‑131, punto 49 e la giurisprudenza ivi citata).
L’articolo 6, paragrafo 4, della direttiva «habitat» prevede che, qualora, nonostante conclusioni negative nella valutazione dell’incidenza effettuata in conformità all’articolo 6, paragrafo 3, prima frase, di detta direttiva, un piano o un progetto debba essere comunque realizzato per motivi imperativi di rilevante interesse pubblico, inclusi motivi di natura sociale o economica, e in mancanza di soluzioni alternative, lo Stato membro adotti ogni misura compensativa necessaria per garantire che la coerenza globale di Natura 2000 sia tutelata (v. sentenze del 20.09.2007, Commissione/Italia, C‑304/05, Racc. pag. I‑7495, punto 81, e Solvay e a., cit., punto 72).
Ebbene, in quanto disposizione derogatoria rispetto al criterio di autorizzazione previsto dal secondo periodo del paragrafo 3 dell’articolo 6 della direttiva «habitat», il paragrafo 4 del medesimo articolo può trovare applicazione solo dopo che gli effetti di un piano o di un progetto siano stati esaminati conformemente alle disposizioni di detto paragrafo 3 (v. sentenza Solvay e a., cit., punti 73 e 74).
Ne consegue che le disposizioni dell’articolo 6, paragrafi 2‑4, della direttiva «habitat» impongono agli Stati membri una serie di obblighi e di procedure specifiche intesi ad assicurare, come risulta dall’articolo 2, paragrafo 2, della medesima direttiva, il mantenimento o, se del caso, il ripristino, in uno stato di conservazione soddisfacente, degli habitat naturali e, in particolare, delle zone speciali di conservazione.
Ora, a termini dell’articolo 1, lettera e), della direttiva «habitat», lo stato di conservazione di un habitat naturale è considerato «soddisfacente» segnatamente quando la sua area di ripartizione naturale e le superfici che comprende sono stabili o in estensione e la struttura e le funzioni specifiche necessarie al suo mantenimento a lungo termine esistono e possono continuare ad esistere in un futuro prevedibile.
In proposito la Corte ha già affermato che le disposizioni della direttiva «habitat» mirano a che gli Stati membri adottino misure di salvaguardia appropriate al fine di mantenere le caratteristiche ecologiche dei siti che comprendono tipi di habitat naturali (v. sentenze del 20.05.2010, Commissione/Spagna, C‑308/08, Racc. pag. I‑4281, punto 21, e del 24.11.2011, Commissione/Spagna, cit., punto 163).
Se ne deve inferire, di conseguenza, che, per non arrecare pregiudizio all’integrità di un sito in quanto habitat naturale, ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 3, secondo periodo, della direttiva «habitat», lo si deve conservare in uno stato soddisfacente, e ciò implica, come ha osservato l’avvocato generale ai paragrafi 54‑56 delle sue conclusioni, il mantenimento sostenibile delle caratteristiche costitutive di tale sito, connesse alla presenza di un tipo di habitat naturale, per conservare il quale, il sito in questione è stato designato nell’elenco dei SIC conformemente a detta direttiva.
L’autorizzazione di un piano o di un progetto, ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 3, della direttiva «habitat», può quindi essere concessa solo a condizione che le autorità competenti, una volta identificati tutti gli aspetti di detto piano o progetto idonei, da soli o insieme ad altri piani o progetti, a compromettere gli obiettivi di conservazione del sito di cui trattasi, e allo stato della scienza, abbiano acquisito la certezza che esso è privo di effetti pregiudizievoli stabili per l’integrità di detto sito. Ciò avviene quando non sussiste alcun dubbio ragionevole da un punto di vista scientifico quanto all’assenza di tali effetti (v., in tal senso, citate sentenze del 24.11.2011, Commissione/Spagna, punto 99, e Solvay e a., punto 67).
Al riguardo, si deve constatare che, dovendo l’autorità negare l’autorizzazione per il piano o il progetto considerato quando non è certa l’assenza di effetti pregiudizievoli per l’integrità del sito, il criterio di autorizzazione previsto all’articolo 6, paragrafo 3, secondo periodo, della direttiva «habitat» integra il principio di precauzione e consente di prevenire efficacemente i pregiudizi all’integrità dei siti protetti dovuti ai piani o progetti previsti. Un criterio di autorizzazione meno rigoroso di quello in questione non può garantire in modo altrettanto efficace la realizzazione dell’obiettivo di protezione dei siti cui tende detta disposizione (sentenza Waddenvereniging e Vogelbeschermingsvereniging, cit., punti 57 e 58).
Analoga valutazione s’impone a fortiori nel procedimento principale, in quanto l’habitat naturale interessato dal progetto stradale in questione rientra fra i tipi di habitat naturali prioritari che l’articolo 1, lettera d), della direttiva «habitat» definisce come «tipi di habitat naturali che rischiano di scomparire» per la cui conservazione l’Unione europea ha una «responsabilità particolare».
Le autorità nazionali competenti non possono, pertanto, autorizzare gli interventi che rischiano di compromettere stabilmente le caratteristiche ecologiche dei siti che comprendono tipi di habitat naturali prioritari. Sarebbe questo il caso qualora l’intervento rischi di condurre alla scomparsa o alla distruzione parziale e irreversibile di un tipo di habitat naturale prioritario presente sul sito interessato (v., riguardo alla scomparsa di specie prioritarie, citate sentenze del 20.05.2010, Commissione/Spagna, punto 21, e del 24.11.2011, Commissione/Spagna, punto 163).
Per quanto attiene alla valutazione effettuata ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 3, della direttiva «habitat», occorre precisare che essa non può comportare lacune e deve contenere rilievi e conclusioni completi, precisi e definitivi atti a dissipare qualsiasi ragionevole dubbio scientifico in merito agli effetti dei lavori previsti sul sito protetto in questione (v., in tal senso, sentenza del 24.11.2011, Commissione/Spagna, cit., punto 100 e la giurisprudenza ivi citata). Spetta al giudice nazionale verificare se la valutazione dell’incidenza sul sito soddisfi tali condizioni (Corte di Giustizia UE, Sez. III, sentenza 11.04.2013 n. C-258/11 - link a www.http://eur-lex.europa.eu).

EDILIZIA PRIVATA: INTERVENTI EDILIZI IN ZONE SIC NON PRECEDUTI DA VALUTAZIONE DI INCIDENZA E REATO EDILIZIO.
Integra il reato previsto dall’art. 44, comma 1, lett. b), del D.P.R. 06.06.2001, n. 380 l’esecuzione di interventi edilizi in zone individuate come SIC (siti di importanza comunitaria), se non preceduta dalla valutazione di incidenza prevista dall’art. 5, comma 8, del D.P.R. 08.09.1997, n. 357 da parte della Regione territorialmente competente.
Il tema oggetto di attenzione da parte della Suprema Corte verte, nel caso in esame, sulla configurabilità o meno del reato edilizio in caso di interventi eseguiti in zona individuate come siti di importanza comunitaria, in difetto della cd. valutazione di incidenza prevista dalla vigente normativa.
La vicenda processuale segue al rigetto da parte del tribunale dell’istanza di riesame proposta dall’indagato insieme ad altri interessati avverso il decreto con cui il GIP aveva disposto il sequestro preventivo di un fabbricato, da destinare a residenza agricola, composto da piano terra e seminterrato con relativa recinzione. Per tale fabbricato era stato rilasciato permesso di costruire, che, a giudizio del tribunale adito deve considerarsi illegittimo in quanto non ha tenuto conto del vincolo SIC/ZPS (sito di interesse comunitario e zona di protezione speciale) istituito con la legge regionale per l’area nella quale risulta ubicato il terreno di insediamento del manufatto (si tratta di un’area ad alta concentrazione di insediamenti rupestri, necropoli e siti archeologici, caratterizzata da fenomeni carsici e ricca di risorse naturalistiche).
La mancata rilevazione di detto vincolo, in base all’impostazione accusatoria, ha comportato l’illegittimità del titolo abilitativo edilizio per l’omessa acquisizione della valutazione d’incidenza del progetto sull’area, la cui necessità è prescritta dal D.P.R. 08.09.1997, n. 357, come modificato dal D.P.R. 12 marzo 2003, n. 120. E' stato configurato, pertanto, in ragione dell’omissione, il reato di cui al D.P.R. 06.06.2001, n. 380, art. 44, lett. b). Contro l’ordinanza proponeva ricorso per Cassazione la difesa dell’indagato deducendo la propria estraneità al fatto illecito contestato, sostenendo di essere solo l’attuale proprietario del fabbricato assoggettato a sequestro, mentre il permesso di costruire risulta rilasciato a suo padre.
La tesi non ha però convinto i giudici di legittimità che, sul punto, hanno respinto il ricorso, affermando il principio di diritto di cui in massima. La Corte, più nello specifico, ha rilevato che il D.P.R. 08.09.1997, n. 357 (Regolamento recante attuazione della direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche), all’art. 5, comma 8, in relazione agli interventi da eseguirsi nelle zone individuate come SIC (siti di interesse comunitario) stabilisce che «l’autorità competente al rilascio dell’approvazione definitiva del piano o dell’intervento acquisisce preventivamente la valutatone di incidenza, eventualmente individuando modalità di consultazione del pubblico interessato dalla realizzazione degli stessi». Viene dunque chiaramente specificato che la valutazione d’incidenza deve precedere il rilascio del titolo abilitativo edilizio.
La prevista procedura ha, infatti, lo scopo di analizzare e valutare gli effetti di una particolare attività all’interno dei siti d’importanza comunitaria, individuando anche eventuali misure per contenerne l’impatto e favorire la conservazione dell’ambiente. Si tratta, quindi, di un procedimento preventivo il cui scopo è, evidentemente, quello di assicurare un adeguato equilibrio tra la conservazione del sito ed un uso sostenibile del territorio anche in ossequio ai principi comunitari di precauzione e prevenzione dell’azione ambientale.
Da qui, dunque, la necessità della previa valutazione d’incidenza che, in difetto, rende configurabile la violazione edilizia ipotizzata (v., in senso conforme: Cass. pen., sez. III, 27.02.2012, n. 7613, in CED Cass., n. 252106) (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 21.03.2013 n. 13037 - tratto da Urbanistica e appalti n. 6/2013).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: G.U. 21.02.2013 n. 44 "Sesto elenco aggiornato dei siti di importanza comunitaria per la regione biogeografica alpina in Italia" (Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, decreto 31.01.2013).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: G.U. 21.02.2013 n. 44 "Sesto elenco aggiornato dei siti di importanza comunitaria per la regione biogeografica continentale in Italia" (Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, decreto 31.01.2013).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: G.U. 21.02.2013 n. 44 "Sesto elenco aggiornato dei siti di importanza comunitaria per la regione biogeografica mediterranea in Italia" (Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, decreto 31.01.2013).

2012

AMBIENTE-ECOLOGIA: Cava di marmo.
Domanda
A che condizioni una cava di marmo all'interno di una Zona di protezione speciale (Zps) può essere edificata?
Risposta
Il Tribunale amministrativo regionale Sicilia (Tar Sicilia), Palermo, sezione seconda, con la sentenza del 21.04.2011, numero 784, ha affermato che l'inclusione di una area adibita a cava di marmo all'interno di una Zona di protezione speciale (Zps) non comporta una condizione giuridica di inedificabilità assoluta. Si ha nel caso, per i giudici amministrativi di Palermo una condizione giuridica di inedificabilità relativa, subordinata al giudizio positivo di Valutazione di impatto ambientale (Via) e di Valutazione di incidenza ambientale (Vinca).
Per quanto sopra la pubblica amministrazione ha l'obbligo di pronunciarsi in materia in modo espresso sulla compatibilità ambientale del progetto e sulla significatività della sua incidenza rispetto agli obiettivi di conservazione del sito medesimo. Per il predetto Tribunale amministrativo regionale la pubblica amministrazione: «è tenuta a una puntuale motivazione, che non solo è immanente alla natura negativa dell'atto, ma è normativamente specificata nel suo contenuto».
La Valutazione di impatto ambientale (Via), alla luce del decreto legislativo 03.04.2006, numero 152, così come novellato sia dal decreto legislativo del 16.01.2008, numero 4, sia dal decreto legislativo del 29.06.2010, numero 128, ha per finalità di proteggere la salute umana, nonché contribuire, con un migliore ambiente, alla qualità della vita. Ha pure lo scopo di provvedere al mantenimento delle specie e di conservare la capacità di riproduzione dell'ecosistema in quanto risorsa essenziale per la vita.
La Valutazione di incidenza ambientale (Vinca) ha un rilevo settoriale, destinato alla particolare protezione di siti di importanza comunitaria. Essa è disciplinata, come già scritto, dal dpr 08.09.1997, numero 357, che contiene il Regolamento recante attuazione della direttiva numero 92/43/Ce, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche. La Valutazione di incidenza ambientale (Vinca) riguarda, quindi, piani, programmi pubblici e interventi pubblici e privati che possono produrre effetti soltanto sulle aree identificate e soggette a particolare tutela prevista dal citato dpr 357/1997 (articolo ItaliaOggi Sette del 10.09.2012).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATASulla non assimilabilità dei SIC e delle ZPS alle aree naturali protette di cui alla l. 394/1991.
Come si è evidenziato in narrativa, la Regione appellante ha incentrato le proprie tesi sulla non assimilabilità dei SIC e delle ZPS alle aree naturali protette di cui alla l. 394/1991.
In particolare, la Regione ha negato che una siffatta assimilazione sia stata introdotta dalla deliberazione del Comitato di cui all’articolo 3 della legge n. 394 del 1991 adottata in data 02.12.1996.
Ebbene, ad avviso del Collegio l’appello in epigrafe è meritevole di accoglimento laddove osserva che la deliberazione da ultimo richiamata non ha potuto sortire il richiamato effetto di assimilazione per non essere stata adottata nelle forme di legge.
Ed infatti, l’articolo 3, comma 4, lettera c), della legge n. 394, cit. demanda al Comitato (inter alia) il compito di approvare l’elenco ufficiale delle aree naturali protette previo esperimento di un iter procedurale il quale vede il coinvolgimento della Commissione per la tutela delle aree protette (in seguito: della Conferenza permanente per i rapporti i fra lo Stato e le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano).
In particolare, l’iter in questione contempla:
a) l’espletamento di una fase istruttoria preliminare, svolta da un’apposita segreteria tecnica;
b) la presentazione di una proposta di aggiornamento dell’elenco delle aree naturali protette da parte del competente Ministero dell’Ambiente (in seguito: Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare);
c) l’approvazione della proposta ad opera del comitato;
d) l’effettivo aggiornamento dell’elenco delle aree naturali protette.
Ebbene, risulta in atti che nel caso in esame l’iter dinanzi sinteticamente descritto non sia stato osservato e che, conseguentemente, non possa ritenersi che l’atto del Comitato in data 02.12.1996 possa tenere il luogo di una modifica dell’elenco delle aree naturali protette (del resto, il Comitato in parola non ha mai provveduto ad aggiornare l’elenco conformemente a quanto deliberato con l’atto in questione).
Ne consegue che venga meno lo stesso presupposto logico posto a fondamento della pronuncia in epigrafe (ossia, la circostanza per cui la delibera regionale impugnata in primo grado avrebbe comportato misure di conservazione delle ZPS nella Regione Campania di carattere peggiorativo rispetto a quanto stabilito ai sensi del comma 3 dell’articolo 4 del d.P.R. n. 357 del 1997).
E infatti, l’argomento fatto proprio dai primi Giudici (il quale si fonda sulla disposizione secondo cui, laddove una ZPS ricada all’interno di un’area naturale protetta, si applicano le misure di tutela previste per le stesse ZPS) potrebbe essere condiviso solo laddove fosse valida la sua premessa maggiore (ossia, il fatto che la delibera del Comitato del dicembre 1996 abbia determinato l’effettiva assimilazione fra le ZPS e le aree protette di cui alla l.n. 394 del 1991).
Tuttavia, una volta caduta –per le ragioni dinanzi richiamate– la predetta assimilazione, vengono conseguentemente a cadere anche le ulteriori ragioni in base alle quali il TAR ha rilevato l’illegittimità della più volte richiamata delibera regionale (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 18.05.2012 n. 2885 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: G.U. 03.04.2012 n. 79:
● "Quinto elenco aggiornato dei siti di importanza comunitaria per la regione biogeografica alpina in Italia, ai sensi della direttiva 92/43/CEE" (Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, decreto 07.03.2012);
● "Quinto elenco aggiornato dei siti di importanza comunitaria per la regione biogeografica continentale in Italia, ai sensi della direttiva 92/43/CEE" (Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, decreto 07.03.2012).
● "Quinto elenco aggiornato dei siti di importanza comunitaria per la regione biogeografica mediterranea in Italia, ai sensi della direttiva 92/43/CEE" (Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, decreto 07.03.2012).

URBANISTICA: B.U.R. Lombardia n. 9 del 02.03.2012 "Istruzioni per la pianificazione locale della RER – febbraio 2012" (comunicato regionale 27.02.2012 n. 25).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: G.U.U.E. 13.01.2012 n. L 11 "DECISIONE DI ESECUZIONE DELLA COMMISSIONE del 18.11.2011 che adotta un quinto elenco aggiornato dei siti di importanza comunitaria per la regione biogeografica continentale [notificata con il numero C(2011) 8278]".

2011

EDILIZIA PRIVATALa circostanza che l’area sulla quale insistono le opere contestate sia inserita in un ambito territoriale designato quale Sito di Importanza Comunitaria (SIC) e Zona di Protezione Speciale (ZPS), non determina l’applicazione della disciplina paesaggistica dettata dal d.lgs. n. 42 del 2004.
Con il ricorso introduttivo del presente giudizio è stata impugnata l’ordinanza con la quale l’amministrazione comunale ha ingiunto, successivamente al rigetto della domanda di sanatoria, la demolizione ed il ripristino dello stato dei luoghi in relazione ad opere edilizie abusive realizzate sull’immobile in proprietà del ricorrente, insistente su area sottoposta a vincolo paesaggistico.
...
Come correttamente rilevato dalla difesa del ricorrente, la circostanza che l’area sulla quale insistono le opere contestate sia inserita in un ambito territoriale designato quale Sito di Importanza Comunitaria e Zona di Protezione Speciale, non determina l’applicazione della disciplina paesaggistica dettata dal d.lgs. n. 42 del 2004.
I Siti di Importanza Comunitaria e le Zone di Protezione Speciale sono stati previsti dalla Direttiva Habitat 92/43/CEE, emanata dalla Comunità Europea il 21.05.1992 e recepita nell’ordinamento nazionale con D.P.R. n. 357 del 1997, successivamente modificato con il D.P.R. n. 120 del 2003.
La ratio sottesa ai suddetti interventi normativi è quella della conservazione e tutela degli habitat naturali e seminaturali nonché della flora e fauna selvatica. A tal fine, è stata dettata una specifica disciplina che prevede particolari procedure nonché l’introduzione della Valutazione di Incidenza, la quale costituisce istituto del tutto distinto dall’autorizzazione paesaggistica disciplinata dall’art. 146 del d.lgs. n. 42 del 2004. Inoltre, contrariamente a quanto sostenuto dall’amministrazione comunale, l’applicazione del d.lgs. n. 42 del 2004 non può farsi discendere, nella fattispecie, neanche dalla previsione dell’art. 142, comma 1, lett. f), ai sensi della quale “sono comunque sottoposti alle disposizioni di questo Titolo per il loro interesse paesaggistico (….) i parchi e le riserve nazionali o regionali, nonché i territori di protezione esterna dei parchi”;
Ai fini dell’applicazione della suddetta disposizione, non può ritenersi sufficiente la circostanza che l’area de qua sia stata inserita, quale zona a previsto parco naturale, nel Piano Territoriale Regionale di Coordinamento (PTRC) nonché nel Piano Territoriale Provinciale (PTP). Infatti, sebbene il PTRC assuma la valenza –in forza delle previsioni della l.r. n. 11 del 2004, che hanno sostanzialmente confermato quanto già in precedenza disposto dalla l.r. n. 9 del 1986 e dalla l.r. n. 18 del 2006– di "piano urbanistico-territoriale con specifica considerazione dei valori paesaggistici", ciò non determina l’applicazione della normativa dettata dal d.lgs. n. 42 del 2004.
Dunque, in mancanza di un provvedimento istitutivo del parco, allo stato solo previsto a livello di pianificazione regionale e provinciale, ed in mancanza dell’approvazione dei Piani Paesaggistici previsti dagli artt. 143 e 156 del d.lgs. n. 42 del 2004, del tutto illegittimamente l’amministrazione comunale ha applicato la disciplina prevista dall’art. 167 del suddetto testo normativo.
In conclusione, la domanda di annullamento va accolta, con assorbimento delle restanti censure, e vanno annullate sia l'ordinanza n. 55/2010 (prot. n. 10700/2010) del 05.10.2010 sia il provvedimento comunale n. 10/2011 del 12.04.2011, anche questo fondato sul medesimo erroneo presupposto (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 11.10.2011 n. 1535 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: AREE PROTETTE - SIC e ZPS - DPR 357/1997, art. 5, c. 3 - Intervento di lottizzazione - Inderogabile assoggettamento a previa valutazione di incidenza ambientale - Prescrizioni di cui all’All. G del DPR 357/1997.
L'intervento di lottizzazione ricadente nella perimetrazione di un SIC e, per di più, nell'ambito di una zona speciale di conservazione, era inderogabilmente soggetto, nelle more della definizione a livello comunitario delle procedure istitutive della rete Natura 2000, in forza dell’art. 5 comma 3^ del DPR 357/1997, come modificato dall’art. 6 del DPR 120/2003 (che non ammette esenzioni, se non nei limiti di cui ai commi 9 e 10), alla previa valutazione d'incidenza ambientale, i cui contenuti non solo non possono essere generici od approssimativi, ma devono al contrario risultare puntuali ed esaurienti, dal punto di vista tecnico-scientifico, rispetto alle analitiche prescrizioni dell'Allegato G del DPR 357/1997; e ciò con riferimento a tutti i possibili effetti sulla flora, sulla fauna e sugli habitat d'interesse comunitario presenti nel sito (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 26.04.2011 n. 695 - link a www.ambientediritto.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: G.U. 04.04.2011 n. 77, suppl. ord. n. 90, "Quarto elenco aggiornato dei siti di importanza comunitaria per la regione biogeografica continentale in Italia ai sensi sella direttiva 92/43/CEE" (Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, decreto 14.03.2011).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: G.U. 04.04.2011 n. 77, suppl. ord. n. 90, "Quarto elenco aggiornato dei siti di importanza comunitaria per la regione biogeografica mediterranea in Italia ai sensi sella direttiva 92/43/CEE" (Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, decreto 14.03.2011).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: G.U. 04.04.2011 n. 77, suppl. ord. n. 90, "Quarto elenco aggiornato dei siti di importanza comunitaria per la regione biogeografica alpina in Italia ai sensi sella direttiva 92/43/CEE" (Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, decreto 14.03.2011).

EDILIZIA PRIVATA: Beni ambientali. Valutazione di incidenza e permesso di costruire.
La valutazione incidenza prevista dal D.P.R. 08.09.1997, n. 357 per gli interventi da eseguirsi nelle zone individuate come SIC (siti di interesse comunitario) avendo ad oggetto l’analisi dei possibili effetti che gli interventi medesimi possono avere su detti siti con riferimento agli obiettivi di conservazione, deve necessariamente precedere il rilascio del titolo abilitativo edilizio del quale costituisce requisito di efficacia (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 09.03.2011 n. 9308 - link a www.lexambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: G.U.U.E. 08.02.2011 n. L 33 "DECISIONE DELLA COMMISSIONE del 10.01.2011 che adotta, ai sensi della direttiva 92/43/CEE del Consiglio, un quarto elenco aggiornato dei siti di importanza comunitaria per la regione biogeografica alpina [notificata con il numero C(2010) 9663]" (link a http://eur-lex.europa.eu).

2010

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: AREE PROTETTE - Siti di importanza comunitaria - Piani e progetti - Valutazione di incidenza - Natura - Mezzo preventivo di tutela dell’ambiente.
La procedura di valutazione di incidenza è, per sua natura, finalizzata alla verifica e valutazione degli effetti di attività ed interventi su siti di importanza comunitaria ed all’individuazione delle idonee misure di mitigazione, volte a prevenire il deterioramento dei medesimi. Ne consegue che la valutazione di incidenza si configura come un mezzo preventivo di tutela dell’ambiente, che si deve svolgere prima dell’approvazione del progetto, il quale deve poter essere modificato secondo le prescrizioni volte ad eliminare o ridurre l’incidenza negativa dell’opera progettata.
AREE PROTETTE - Siti di importanza comunitaria - Valutazione di incidenza - Carattere della necessaria previetà - Principi di precauzione e di prevenzione - Valutazione di incidenza postuma - Illegittimità.
Il carattere della necessaria previetà della procedura di valutazione di incidenza è funzionale al rispetto dei precetti comunitari e nazionali improntati ai principi di precauzione e prevenzione dell’azione ambientale, secondo quanto emerge anche dall’esegesi della c.d. “direttiva habitat” (n. 92/43/CEE) seguita dalla giurisprudenza comunitaria (in termini Corte Giustizia CE, 07.09.2004, in causa C-127/02; con riferimento alla V.I.A. : Corte Giustizia CE, 03.07.2008, in causa C-215/06; Corte Giustizia CE, 05.07.2007, in causa C-255/05).
Il necessario corollario di tale postulato è quello per cui la valutazione di incidenza postuma alle autorizzazioni (ed in particolare al permesso di costruire) presupponenti un progetto definitivo dell’opera deve considerarsi illegittima (in termini, con riferimento al contiguo tema della V.I.A., TAR Sicilia, Palermo, Sez. I, 20.01.2010, n. 583).
AREE PROTETTE - Siti di importanza comunitaria - Valutazione di incidenza - Atto a funzione prodromica rispetto al provvedimento autorizzatorio.
La valutazione di incidenza si caratterizza come “atto a funzione prodromica” rispetto al provvedimento autorizzatorio, che deve dunque precedere, per potere così utilmente concorrere alla valutazione ponderata degli interessi (cfr., in materia di pareri, Cons. Stato, Sez. IV, 12.06.1998, n. 941; TAR Liguria, Sez. I, 22.07.2005, n. 1080 secondo cui è inammissibile l’esercizio ex post della funzione consultiva, a sanatoria, dovendo il parere necessariamente precedere la decisione dell’organo deliberante).
AREE PROTETTE - Valutazione di incidenza - Art. 29 d.lgs. n. 152/2006 - V.I.A. - Applicazione analogica - Istituto della sanatoria - Configurabilità - Esclusione.
Nella materia coinvolgente l’interesse ambientale, ad escludere la possibilità di una valutazione di incidenza postuma concorre, sul piano dell’interpretazione analogica, anche la disposizione dell’art. 29 del codice dell’ambiente (d.lgs. 03.04.2006, n. 152), il cui primo comma, con riferimento alla V.I.A., dopo avere premesso che detta valutazione è atto presupposto, o parte integrante del procedimento di autorizzazione od approvazione del progetto, sancisce che «i provvedimenti di autorizzazione o approvazione adottati senza la previa valutazione di impatto ambientale, ove prescritta, sono annullabili per violazione di legge», sembrando così escludere ogni possibilità di sanatoria (cfr. seppure in chiave di lettura comunitaria, TAR Lombardia-Brescia, nella sentenza 11.08.2007, n. 726; cfr. altresì Ad. Gen. del Consiglio di Stato, parere del 25.01.1996 e, con specifico riferimento ai titoli edilizi, Cons. Stato, Sez. VI, 24.09.2004, n. 6255) (TAR Umbria, Sez. I, sentenza 24.08.2010 n. 429 - link a www.ambientediritto.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: G.U. 24.08.2010 n. 197, suppl. ord. n. 205:
- "Terzo elenco aggiornato dei siti di importanza comunitaria per la regione biogeografica alpina in Italia, ai sensi della direttiva 92/43/CEE" (Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, decreto 02.08.2010);
- "Terzo elenco aggiornato dei siti di importanza comunitaria per la regione biogeografica continentale in Italia, ai sensi della direttiva 92/43/CEE" (Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, decreto 02.08.2010);
- "Terzo elenco aggiornato dei siti di importanza comunitaria per la regione biogeografica mediterranea in Italia, ai sensi della direttiva 92/43/CEE" (Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, decreto 02.08.2010).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: G.U. 31.05.2010 n. 125, suppl. ord. n. 115, "Approvazione dello schema aggiornato relativo al VI Elenco ufficiale delle aree protette, ai sensi del combinato disposto dell’articolo 3, comma 4, lettera c), della legge 06.12.1994, n. 394 e dall’articolo 7, comma 1, del decreto legislativo 28.08.1997, n. 281" (Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, decreto 27.04.2010).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: G.U.U.E. 02.02.2010 n. L 30/1, "DECISIONE DELLA COMMISSIONE del 22.12.2009 che adotta, ai sensi della direttiva 92/43/CEE del Consiglio, un terzo elenco aggiornato dei siti di importanza comunitaria per la regione biogeografica alpina" (link a http://eur-lex.europa.eu).

2009

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: AREE PROTETTE - S.I.C. - Aggiornamento dei siti e della loro delimitazione - Potere regionale - Coordinamento e informazione - Potere ministeriale - Art. 3, c. 4-bis del d.P.R. n. 357/1997 - Direttiva habitat (92/43/CEE).
L’art. 3, comma 4-bis, del d.P.R. n. 357/1997, della direttiva 92/43/CEE (c.d. direttiva habitat)attribuisce alle Regioni ed alle Province autonome di Trento e Bolzano, il potere di valutazione periodica dell’idoneità dei siti all’attuazione degli obiettivi di tutela ambientale propri della direttiva, in seguito alla quale possono proporre un aggiornamento dei siti e della loro delimitazione al Ministero dell’Ambiente, che ne cura la trasmissione alla Commissione europea.
Di conseguenza, mentre alle Regioni è attribuito un potere di valutazione e di proposta in ordine alla eventuale riparametrazione dei SIC, il Ministero ha un potere di coordinamento e di informazione (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 29.12.2009 n. 6268 - link a www.ambientediritto.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: AREE PROTETTE - SIC e ZPS - Valutazione di incidenza - Direttiva 92/43/CEE - Guida interpretativa - Piani settoriali soggetti a valutazione di incidenza - Piano di classificazione acustica - Esclusione - Ragioni.
La Commissione CE ha diramato la Guida interpretativa dell’art. 6 della direttiva 92/43/CEE, in cui sono definiti i criteri in base ai quali si può ritenere che un piano o un progetto siano tali da avere incidenza sui valori tutelati dalla citata direttiva.
Alle pagine 30 e seguenti del documento (in particolare al punto 4.3.2.) la Commissione afferma che anche i Piani settoriali sono soggetti alla valutazione di incidenza, ma, nel richiamare alcune tipologie di piani settoriali, menziona quelli relativi alle reti dei trasporti, quelli inerenti la gestione dei rifiuti o quelli relativi alla gestione dell’acqua, ossia tutti piani che, pur non essendo direttamente connessi e necessari alla gestione dei siti di importanza comunitaria, hanno comunque un’incidenza significativa sugli habitat ricompresi nell’ambito di applicazione dei piani stessi.
A parte la valenza non precettiva del citato documento, ciò che rileva è il fatto che non ogni piano o progetto teoricamente interferente con il bene ambiente è soggetto a valutazione di incidenza, altrimenti non ci sarebbe stato alcun bisogno di un’interpretazione autentica da parte delle Istituzioni comunitarie, dovendo essere sottoposto a valutazione di incidenza qualsiasi piano. Ne consegue che può ritenersi escluso falla valutazione di incidenza il piano di classificazione acustica, il quale non ha natura urbanistica e non implica di per sé conseguenze sull’ambiente, attesa la funzione che ad esso riconnette la legge istitutiva.
Tale funzione è più che altro quella di “fotografare” il territorio comunale dal punto di vista acustico, nel mentre gli atti di pianificazione (generale o esecutiva) capaci di incidere direttamente sull’habitat sono quelli urbanistici e quelli relativi alla realizzazione di opere pubbliche o private che presentano un certo impatto ambientale.
AREE PROTETTE - ZPS - Attività umane teoricamente incompatibili con le esigenze di tutela ambientale - Normativa comunitaria - Valutazione di incidenza.
La delimitazione delle Z.P.S. non sempre è tale da consentire di poter scindere in maniera netta le zone ancora “incontaminate” e quelle già antropizzate, per cui è del tutto possibile che una Z.P.S. inglobi al suo interno aree che, in base ai vigenti strumenti urbanistici, ospitano attività umane teoricamente incompatibili con le esigenze di tutela ambientale.
Peraltro, la normativa comunitaria non vieta le attività umane all’interno dei siti compresi nella rete Natura 2000, ma le condiziona alla positiva valutazione di incidenza, la quale, a sua volta, è subordinata alla verifica della non compromissione di habitat naturali (TAR Marche, Sez. I, sentenza 29.09.2009 n. 930 - link a www.ambientediritto.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: F. Albanese, La valutazione d’incidenza ex art. 5 del D.P.R. 357/1997 come parere obbligatorio, preventivo e vincolante (link a www.lexambiente.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: G.U. 09.07.2009 n. 157 "Elenco delle Zone di protezione speciale (ZPS) classificate ai sensi della direttiva 79/409/CEE" (Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, decreto 19.06.2009).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: AREE PROTETTE - Protezioni degli habitat naturali - Zone speciali di conservazione (ZSC) - Procedimento di classificazione - Rete ecologica denominata «Natura 2000» - Obiettivi di conservazione - Soggetti interessati dalla decisione.
L'art. 4 della direttiva «habitat», disciplina un procedimento di classificazione dei siti naturali in zone speciali di conservazione (ZSC), procedimento che deve tra altro consentire, come risulta dall'art. 3, n. 2, della medesima direttiva, la realizzazione di una rete ecologica europea coerente di ZSC, denominata «Natura 2000», che è formata da siti in cui si trovano tipi di habitat naturali e habitat delle specie figuranti nell'allegato I e rispettivamente nell'allegato II della detta direttiva e che deve garantire il mantenimento ovvero, all'occorrenza, il ripristino, in uno stato di conservazione soddisfacente, dei tipi di habitat naturali e degli habitat delle specie interessati nella loro area di ripartizione naturale (v., in questo senso, sentenza 07/11/2000, causa C-371/98, First Corporate Shipping). Sicché, la decisione controversa, la quale contempla una serie di territori classificati come siti di importanza comunitaria al fine di consentire la realizzazione della detta rete «Natura 2000», ha, nei confronti di ogni interessato, una portata generale in quanto si applica a tutti gli operatori che, a qualsivoglia titolo, esercitano o possono esercitare, sui territori considerati, attività che possono mettere a repentaglio gli obiettivi di conservazione perseguiti dalla direttiva habitat.
Si deve tuttavia ricordare che il fatto che una disposizione abbia, per natura e portata, un carattere generale, in quanto applicabile alla totalità degli operatori economici interessati, non esclude che essa possa tuttavia interessare individualmente taluni di essi (v., in tal senso, sentenze 18/05/1994, causa C-309/89, Codorniu, nonché 22/06/2006, cause riunite C-182/03 e C-217/03, Belgique et Forum 187/Commissione). Pertanto, qualora la decisione riguardi un gruppo di soggetti individuati o individuabili, nel momento in cui l'atto è stato adottato, in base a criteri tipici dei membri di tale gruppo, tali soggetti possono essere individualmente interessati da tale atto, in quanto facenti parte di un gruppo ristretto di operatori economici (v. sentenza 13/03/2008, causa C-125/06 P, Commissione/Infront WM).
AREE PROTETTE - Elenco dei siti di importanza comunitaria per la regione biogeografica boreale adottato con decisione della Commissione - Obiettivi di conservazione - Soggetti interessati dalla decisione.
L'art. 4 della direttiva «habitat», disciplina il procedimento di classificazione dei siti naturali in zone speciali di conservazione (ZSC), tuttavia, la possibilità di determinare, con maggiore o minore precisione, il numero o anche l'identità dei soggetti di diritto ai quali si applica il provvedimento non comporta affatto che questi soggetti debbano essere considerati individualmente interessati da questo provvedimento, purché sia assodato, come nel caso di specie, che tale applicazione viene effettuata in virtù di una situazione obiettiva di diritto o di fatto definita dall'atto in esame (sentenza 22/11/2001, causa C-451/98, Antillean Rice Mills/Consiglio, nonché ordinanza 25/04/2002, causa C-96/01 P, Galileo e Galileo International/Consiglio - 08/04/2008, causa C-503/07 P, Saint-Gobain Glass Deutschland/Commissione). (Corte di Giustizia delle Comunità Europee, Sez. II, sentenza 23.04.2009 causa C-362/06 P - link a www.ambientediritto.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: G.U. 24.04.2009, suppl. ord. n. 61:
- Secondo elenco aggiornato dei siti di importanza comunitaria per la regione biogeografica alpina in Italia ai sensi della direttiva 92/43/CEE (Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, decreto 30.03.2009);
- Secondo elenco aggiornato dei siti di importanza comunitaria per la regione biogeografica continentale in Italia ai sensi della direttiva 92/43/CEE (Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, decreto 30.03.2009);
- Secondo elenco aggiornato dei siti di importanza comunitaria per la regione biogeografica mediterranea in Italia ai sensi della direttiva 92/43/CEE (Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, decreto 30.03.2009).

EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, 4° suppl. straord. al n. 16 del 23.04.2009, "Determinazioni relative alle misure di conservazione per la tutela delle ZPS lombarde in attuazione della Direttiva 92/43/CEE e del d.P.R. 357/1997 ed ai sensi degli articoli 3, 4, 5, 6 del d.m. 17.10.2007 n. 184 - Modificazioni alla d.G.R. 7884/2008" (deliberazione G.R. 08.04.2009 n. 9275).

2008

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA:  B.U.R. Lombardia, 1° suppl. straord. al n. 35 del 26.08.2008, "Misure di conservazione per la tutela delle ZPS lombarde ai sensi del d.m. 17.10.2007, n. 184 - Integrazione alla d.g.r. n. 6648/2008" (deliberazione G.R. 30.07.2008 n. 7884).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: G.U. 07.08.2008 n. 184 "Primo elenco aggiornato dei siti di importanza comunitaria per la regione biogeografica mediterranea in Italia, ai sensi della direttiva 92/43/CEE" (Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, decreto 03.07.2008).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: G.U. 05.05.2008 n. 104 "Primo elenco aggiornato dei siti di importanza comunitaria per la regione biogeografica continentale in Italia, ai sensi della direttiva 92/43/CEE" (Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, decreto 26.03.2008).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, 3° suppl. straord. al n. 10 del 06.03.2008, "Nuova classificazione delle Zone di protezione Speciale (ZPS) e individuazione di relativi divieti, obblighi e attività, in attuazione degli articoli 3, 4, 5 e 6 del d.m. 17.10.2007, n. 184 «Criteri minimi uniformi per la definizione di misure di conservazione relative a Zone Speciali di Conservazione (ZSC) e a Zone di Protezione Speciale (ZPS)»" (deliberazione G.R. 20.02.2008 n. 6648).

2007

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: G.U. 06.11.2007 n. 258 "Criteri minimi uniformi per la definizione di misure di conservazione relative a Zone speciali di conservazione (ZSC) e a Zone di protezione speciale (ZPS)" (Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, decreto 17.10.2007).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, 1° suppl. straord. al n. 33 del 14.08.2007, "Rete Natura 2000: determinazioni relative all'avvenuta classificazione come ZPS delle aree individuate con dd.gg.rr. 3624/2006 e 4197/2007 e individuazione dei relativi enti gestori" (deliberazione G.R. 18.07.2007 n. 5119).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: G.U. 24.07.2007, suppl. ord. n. 167:
- "Elenco delle zone di protezione speciale (ZPS) classificate ai sensi della direttiva 79/409/CEE" (Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, decreto 05.07.2007).
- "Elenco dei siti di importanza comunitaria per la regione biogeografica mediterranea in Italia, ai sensi della direttiva 92/43/CEE" (Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, decreto 05.07.2007).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, 2° suppl. straord. al n. 12 del 22.03.2007, ""Individuazione di aree ai fini della loro classificazione quali ZPS (Zone di Protezione Speciale) ai sensi dell'art. 4 della direttiva 79/409/CEE integrazione d.g.r. 3624/2006" (deliberazione G.R. 28.02.2007 n. 4197 - link a www.infopointi.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 2 dell'08.01.2007, "Rete Natura 2000: modifiche e integrazioni alle dd.gg.rr. n. 14106/2003, n. 19018/2004 e n. 1791/2006, aggiornamento della banca dati Natura 2000 ed individuazione degli enti gestori dei nuovi SIC proposti" (deliberazione G.R. 13.12.2006 n. 3798).

2006

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, 4° suppl. straord. al n. 50 del 14.12.2006, "Individuazione di aree ai fini della loro classificazione quali ZPS (Zone di Protezione Speciale) ai sensi dell'art. 4 della direttiva 79/409/CEE" (deliberazione G.R. 28.11.2006 n. 3624 - link a www.infopointi.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, 2° suppl. straord. al n. 8 del 23.02.2006, "Rete Europea Natura 2000: individuazione degli enti gestori di 40 Zone di Protezione Speciale (ZPS) e delle misure di conservazione transitorie per le ZPS e definizione delle procedure per l'adozione e l'approvazione dei piani di gestione dei siti" (deliberazione G.R. 25.01.2006 n. 1791 - link a www.infopoint.it).

2005

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: G.U. 21.07.2005 n. 168 "Elenco delle Zone di protezione speciale (ZPS), classificate ai sensi della direttiva 79/409/CEE" (Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio, decreto 25.03.2005).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: G.U. 08.07.2005 n. 157 "Elenco dei proposti siti di importanza comunitaria per la regione biogeografica mediterranea, ai sensi della direttiva n. 92/43/CEE" (Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio, decreto 25.03.2005).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: G.U. 07.07.2005 n. 156 "Elenco dei Siti di importanza comunitaria (SIC) per la regione biogeografica continentale, ai sensi della direttiva 92/43/CEE" (Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio, decreto 25.03.2005).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: G.U. 03.05.2005 n. 103 "Primo elenco aggiornato dei siti di importanza comunitaria per la regione biogeografica alpina in Italia, ai sensi della direttiva 92/43/CEE" (Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, decreto 26.03.2008).

2004

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, 2° suppl. straord. al n. 44 del 28.10.2004, "Cartografia a integrazione della d.g.r. n. 19018 del 15.10.2004 «Procedure per l'applicazione della valutazione di incidenza alle Zone di Protezione Speciale (Z.P.S.) ai sensi della direttiva 79/409/CEE, contestuale presa d'atto dell'avvenuta classificazione di 14 Z.P.S. ed individuazione dei relativi soggetti gestori»" (comunicato regionale 19.10.2004 n. 144 -  link a www.infopoint.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, 2° suppl. straord. al n. 44 del 28.10.2004, "Procedure per l'applicazione della valutazione di incidenza alle Zone di Protezione Speciale (Z.P.S.) ai sensi della direttiva 79/409/CEE, contestuale presa d'atto dell'avvenuta classificazione di 14 Z.P.S. ed individuazione dei relativi soggetti gestori" (deliberazione G.R. 15.10.2004 n. 19018 - link a www.infopoint.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 32 del 02.08.2004, "Rettifica dell’Allegato A della deliberazione della Giunta regionale 08.08.2003, n. 7/14106 «Elenco dei proposti siti di importanza comunitaria ai sensi della Direttiva 92/43/CEE per la Lombardia, individuazione dei soggetti gestori e modalità procedurali per l’applicazione della valutazione d’incidenza. P.R.S. 9.5.7 – Obiettivo 9.5.7.2»" (deliberazione G.R. 30.07.2004 n. 18454).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 32 del 02.08.2004, "Individuazione degli enti gestori dei proposti siti di importanza comunitaria (pSIC) e dei siti di importanza comunitaria (SIC), non ricadenti in aree naturali protette, e delle Zone di Protezione Speciale (ZPS), designate dal Decreto del Ministero dell'Ambiente 03.04.2000" (deliberazione G.R. 30.07.2004 n. 18453 - link a www.infopoint.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: G.U. 19.07.2004 n. 167 "Elenco dei siti di importanza comunitaria per la regione bio-geografica alpina in Italia, ai sensi della direttiva 92/43/CEE" (Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Mare, decreto 25.03.2004).

2003

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, 3° suppl. straord. al n. 37 del 12.09.2003, "Elenco dei proposti siti di importanza comunitaria ai sensi della direttiva 92/43/CEE per la Lombardia, individuazione dei soggetti gestori e modalità procedurali per l'applicazione della valutazione d'incidenza. P.R.S. - Obiettivo 9.5.7.2." (deliberazione G.R. 08.08.2003 n. 14106 - link a www.infopoint.it).

2002

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: G.U. 24.09.2002 n. 224 "Linee guida per la gestione dei siti Natura 2000" (Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio, decreto 03.09.2002).

2000

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: G.U. 06.06.2000 n. 130 "Correzione al titolo del decreto 03.04.2000, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 95 del 22.04.2000" (Ministero dell'Ambiente, comunicato).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: G.U. 22.04.2000, suppl. ord. n. 65, "Elenco dei siti di importanza comunitaria e delle zone di protezione speciali, individuati ai sensi delle direttive 92/43/CEE e 79/409/CEE" (Ministero dell'Ambiente, decreto 03.04.2000).

1997

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: G.U. 23.10.1997, suppl. ord. n. 219, "Regolamento recante attuazione della direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche" (D.P.R. 08.09.1997 n. 357).

 

 

V.A.S. (Valutazione Ambientale Strategica)
per approfondimenti vedi anche:

V.A.S. nazionale <---> V.A.S. Regione Lombardia
2021

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI - URBANISTICA: VIA, VAS E AIA – VAS – Fondamento – Direttiva 2001/42/CE – Finalità di salvaguardia e miglioramento della qualità dell’ambiente – Principio di precauzione.
La valutazione ambientale o VAS trova il suo fondamento nella Direttiva 2001/42/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 27.06.2001, con il dichiarato obiettivo di garantire un elevato livello di protezione dell’ambiente innestandone la tutela anche nel procedimento di adozione e di approvazione di piani e programmi astrattamente idonei ad impattare significativamente sullo stesso.
La finalità di salvaguardia e miglioramento della qualità dell’ambiente, nonché di protezione della salute umana e di utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali, ne impone una lettura ispirata al rispetto del principio di precauzione, in una prospettiva di sviluppo durevole e sostenibile dell’uso del suolo.

...
VIA, VAS E AIA – VAS – Compenetrazione tra Vas e Via – Opportunità di sviluppare una reale sinergia – Interventi del legislatore – Concentrazione sulla VIA.
La VAS si accosta, senza identificarsi con gli stessi, ad altri strumenti di valutazione, come la valutazione di impatto ambientale (VIA) su singoli progetti e quella di incidenza, riferita ai siti di Natura 2000, in modo da costituire un unico sistema che vuole l’intero ciclo della decisione teleologicamente orientato a ridette esigenze di tutela.
La stretta compenetrazione tra i richiamati istituti trova riscontro nelle considerazioni della dottrina che ha da tempo segnalato l’esigenza di sviluppare una reale sinergia tra valutazione di impatto ambientale e valutazione ambientale strategica, rafforzando qualitativamente, mediante obiettivi di sostenibilità sorretti da specifici target, la seconda, così da accelerare la prima con riferimento ad opere incardinate in piani e programmi già attentamente valutati nella loro portata generale.
Per contro, il legislatore, nella continua ricerca di un giusto punto di equilibrio tra adeguato livello di tutela ambientale e accelerazione delle procedure della opere di rilevante interesse pubblico, da ultimo riferite a quelle previste nel Piano nazionale integrato energia e clima (PNIEC) ovvero nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), ha inteso incidere pressoché essenzialmente sulla VIA, ricalibrandone le fasi, ovvero comprimendone i tempi di perfezionamento.

...
VIA, VAS E AIA – Procedura di VAS a livello statale e procedura riferibile ad ambiti regionali o locali – Rinvio alle disposizione di legge regionali o locali – Pluralità di approcci – Scelte urbanistiche – Delega di funzioni a province, città metropolitane e comuni – Concentrazione di attività istruttorie e valutative nel medesimo contesto organizzativo – Separazione e autonomia tra le articolazioni interne.
L’art. 7, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 152/2006 ha distinto la procedura di VAS a livello statale da quelle riferibili ad ambiti regionali o locali, facendo rinvio, per i casi di rilievo locale, alle disposizioni di legge regionale o delle Province autonome, ed evidenziando il limite di introdurre un’arbitraria discriminazione e ingiustificati aggravi procedimentali.
Ciò ha concretamente determinato lo sviluppo di un quadro ampio e articolato di legislazione regionale, primaria e secondaria, caratterizzato da una pluralità di approcci, soprattutto per quanto riguarda le modalità procedimentali, che è difficile ricondurre a sintesi.
Le Regioni si sono per lo più orientate nel senso di delegare le funzioni di “Autorità competente” a province, città metropolitane e comuni, in quanto preposti alle scelte urbanistiche nell’ambito del proprio territorio di riferimento. Proprio le scelte di governo del territorio, infatti, sono tipicamente atti soggetti a VAS.
Tale delega non può non risolversi, al pari del resto di quanto avviene con riferimento alla tutela del vincolo paesaggistico, ove egualmente demandata a tali Amministrazioni, nella concentrazione delle attività istruttorie e di quelle valutative nel medesimo contesto organizzativo, sicché le relative scelte devono farsi carico di garantire una reale separazione e autonomia di giudizio tra le articolazioni interne indicate come competenti in concreto.

...
VIA, VAS E AIA – VAS – Valutazione delle “ragionevoli alternative” – Opzione zero e programmazione urbanistica.
La Direttiva 2001/42/CE prevede che, una volta individuati gli opportuni indicatori ambientali, debbano essere valutate e previste sia la situazione attuale (scenario di riferimento), sia la situazione ambientale derivante dall’applicazione del Piano in fase di predisposizione, sia le «ragionevoli alternative alla luce degli obiettivi e dell’ambito territoriale del piano o del programma» (art. 5, comma 1).
Il testo non dice cosa debba intendersi per “ragionevole alternativa” a un piano o a un programma. Non essendo chiarito se si intendano piani o programmi alternativi, o alternative diverse all’interno di un piano o di un programma, è plausibile accedere ad entrambe le ipotesi ermeneutiche. In tal senso, del resto, si è espressa anche la Direzione generale dell’Ambiente della Commissione europea in un documento esplicativo destinato «ad aiutare gli Stati membri, gli Stati candidati e i Paesi in via di adesione a capire pienamente gli obblighi contenuti nella direttiva e ad assisterli nel recepimento nel diritto nazionale e, altrettanto importante, a creare o a migliorare le procedure che daranno effetto agli obblighi giuridici».
Con specifico riferimento ai piani per la destinazione dei suoli o di quelli per la pianificazione territoriale si è altresì chiarito che «le alternative ovvie sono usi diversi di aree designate ad attività o scopi specifici, nonché aree alternative per tali attività». Al contrario della VIA, per la VAS la necessità di valutare anche l’opzione zero viene desunta dai riferimenti testuali richiamati, che in realtà richiedono di configurarsi preventivamente lo scenario conseguente alla mancanza non del piano ex se, ma della sua concreta attuazione. Ovvero, essa è intrinseca nella stessa scelta di programmazione, seppure in termini generali e astratti, che nel caso concreto in quanto effettuata presuppone che «i rimedi correttivi e compensativi ipotizzati nel parere sono stati ritenuti sufficienti a far fronte alle ricadute ambientali delle varianti urbanistiche approvate».
Il necessario sviluppo senza soluzione di continuità delle scelte di governo del territorio impone a ciascuna di quelle sopravvenute di acquisire le risultanze (e gli impegni) rivenienti da quelle precedenti, attuandole, rivedendole, adattandole o innovandole, ma senza poterle certo completamente ignorare.
Va peraltro ricordato come l’attuazione in concreto delle idee racchiuse negli atti di programmazione urbanistica generale sia talvolta rimessa a provvedimenti dotati di maggiore specificità, ad iniziativa pubblica o privata. In tali ipotesi, le singole progettualità di cui essi si compongono si concretizzano solo se e quando si addivenga a ridetta pianificazione attuativa, che diviene la necessaria cinghia di trasmissione fra la generalità delle scelte e la loro concreta realizzazione.
La doverosa e auspicabile compenetrazione tra gli uni e gli altri, nell’ottica di una visione complessiva dello sviluppo del territorio, rende non solo legittima, ma addirittura opportuna la posticipazione della valutazione dell’impatto ambientale a tale seconda ed eventuale fase.

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VIA, VAS E AIA – VAS – Art. 5 d.lgs. n. 152/2006 – Definizioni di autorità procedente e di autorità competente – Nozione di separatezza – Passaggio endoprocedimentale.
Dalle definizioni contenute nell’art. 5 del d.lgs. 152 del 2006 di “autorità competente” e “autorità procedente” risulta chiaro solo che entrambe sono “amministrazioni”, non che le stesse debbano essere diverse o separate (e che, pertanto, sia precluso individuare l’autorità competente in un diverso organo o articolazione della stessa amministrazione procedente).
Non può pertanto condividersi l’approccio ermeneutico che desume la necessaria “separatezza” tra le due autorità dalla implicita convinzione che la VAS costituisca una sorta di momento di controllo sull’attività di pianificazione svolta dall’autorità proponente, con il corollario dell’impossibilità di una identità o immedesimazione tra controllore e controllato.
Siffatta ricostruzione, invero, è smentita dall’intero impianto normativo in subiecta materia, il quale invece evidenzia che le due autorità, seppur poste in rapporto dialettico in quanto chiamate a tutelare interessi diversi, operano “in collaborazione” tra di loro in vista del risultato finale della formazione di un piano o programma attento ai valori della sostenibilità e compatibilità ambientale: ciò si ricava, testualmente, dall’art. 11 del d.lgs. n. 152 del 2006, che secondo l’opinione preferibile costruisce la VAS non già come un procedimento o subprocedimento autonomo rispetto alla procedura di pianificazione, ma come un passaggio endoprocedimentale di esso, concretantesi nell’espressione di un “parere” che riflette la verifica di sostenibilità ambientale della pianificazione medesima
(per la conformità di tale lettura alla disciplina comunitaria, vedasi Cons. Stato, sez. IV, 12.01.2011, n. 133)
(Consiglio di Stato, Sez. II, sentenza 01.09.2021 n. 6152 - link a www.ambientediritto.it).

URBANISTICA: Tempi e modalità del procedimento di VAS.
La giurisprudenza ha ripetutamente affermato, con riferimento alla VIA ma con argomentazioni da ritenere mutuabili in tema di VAS, che “alla stregua dei principi comunitari e nazionali, oltre che delle sue stesse peculiari finalità, la valutazione di impatto ambientale non si sostanzia in una mera verifica di natura tecnica circa la astratta compatibilità ambientale dell'opera, ma implica una complessa e approfondita analisi comparativa tesa a valutare il sacrificio ambientale imposto rispetto all'utilità socio-economica, tenuto conto anche delle alternative possibili e dei riflessi sulla stessa c.d. opzione-zero (...)”.
Coerentemente con lo scopo ad essa assegnato, di valutare l'attività oggetto del piano anche sotto il profilo ambientale e non solo sotto quello, spesso in conflitto col primo, della immediata opportunità e convenienza, la VAS «va compiuta "contestualmente" all'elaborazione del piano o programma, comprende fra l'altro una necessaria fase di "consultazioni", ovvero deve garantire la partecipazione degli interessati sulla specifica tematica e la loro informazione, ed è prevista, per quanto qui rileva, a pena di illegittimità del piano o programma stesso (art. 11 del d.lgs. 152/2006)»
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Evidenzia ancora il Collegio, come la giurisprudenza abbia ripetutamente affermato, con riferimento alla VIA ma con argomentazioni da ritenere mutuabili in tema di VAS, che “alla stregua dei principi comunitari e nazionali, oltre che delle sue stesse peculiari finalità, la valutazione di impatto ambientale non si sostanzia in una mera verifica di natura tecnica circa la astratta compatibilità ambientale dell'opera, ma implica una complessa e approfondita analisi comparativa tesa a valutare il sacrificio ambientale imposto rispetto all'utilità socio-economica, tenuto conto anche delle alternative possibili e dei riflessi sulla stessa c.d. opzione-zero (...)” (così, Cons. Stato, Sez. V, 02.10.2014, n. 4928; che richiama anche Cons. St., sez. V, 31.05.2012, n. 3254; id., 22.06.2009, n. 4206; sez. IV, 22.01.2013, n. 361; id., 05.07.2010, n. 4246; VI, 17.05.2006, n. 2851).
Coerentemente con lo scopo ad essa assegnato, di valutare l'attività oggetto del piano anche sotto il profilo ambientale e non solo sotto quello, spesso in conflitto col primo, della immediata opportunità e convenienza, la VAS «va compiuta "contestualmente" all'elaborazione del piano o programma, comprende fra l'altro una necessaria fase di "consultazioni", ovvero deve garantire la partecipazione degli interessati sulla specifica tematica e la loro informazione, ed è prevista, per quanto qui rileva, a pena di illegittimità del piano o programma stesso (art. 11 del d.lgs. 152/2006)» (Consiglio di Stato, IV, 26.06.2016, n. 2921) (TAR Lombardia-Milano, Sez. III, sentenza 17.06.2021 n. 1487 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI - URBANISTICA: Ipotesi sottratte alla VAS.
Il TAR Milano:
   - dopo aver precisato che:
<<Nell’art 6, comma 3, del D.Lgs. 03/04/2006, n. 152, s’individuano le ipotesi sottratte alla VAS, dando alternativamente rilievo all’incidenza del piano su «piccole aree a livello locale», ovvero, alla circostanza che si tratti «modifiche minori» del piano medesimo;>>
   - aggiunge che:
<<Trattandosi di condizioni da leggersi come alternative fra loro e non come cumulative, se ne ricava che, così come l’incidenza su un’area geograficamente ristretta non esclude la VAS, qualora il piano è valutato come idoneo a produrre impatti significativi sull’ambiente, per converso, anche una modifica di piano che abbracci un ambito esteso può non essere assoggettata a VAS, ove da essa non conseguano impatti significativi sull’ambiente (arg. ex Corte cost., Sent., 22.07.2009, n. 225, ove si accenna all’irrilevanza della sola estensione dell’area ai fini dell’assoggettabilità a VAS e alla portata determinante esplicata sul punto dalla valutazione degli effetti significativi sull'ambiente).
L’aggettivo «minori», riferito alle modifiche di piano, per assumere un significato utile e non essere relegato al rango di inutile doppione dell’altra previsione, concernente i piani che interessano piccole aree, quindi, non può che riferirsi a qualcosa di diverso dall’ambito geografico o territoriale di riferimento.
Ne consegue che, “le modifiche minori” non sono tali perché riferite ad una porzione limitata di territorio, ma in quanto, lungi dal porsi come un rifacimento del piano, ne modificano soltanto alcuni aspetti, senza produrre sulle componenti ambientali conseguenze eccedenti quelle già investigate nella procedura di VAS svolta per il Piano originario>>.
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Più in generale, il Collegio ritiene di aderire all'indirizzo giurisprudenziale che, in un'ottica sostanzialistica, tesa ad evitare interpretazioni normative che si risolvono in meri adempimenti formali, approdando poi ad inutili appesantimenti del procedimento, è incline a ritenere che non debba essere sottoposto alla procedura di valutazione ambientale strategica uno strumento pianificatorio le cui previsioni non si discostano in maniera sostanziale da quelle già fatte oggetto di tale indagine (TAR Friuli-V. Giulia, Trieste, Sez. I, Sent., 10.05.2012, n. 169; TAR Lombardia, Milano, sez. II, 15.12.2011, n. 3170; id., 02.09.2011, n. 2134, id., 14.03.2011, n. 730; sulla natura dello “screening”, quale attività tipicamente connotata da discrezionalità non solo tecnica, ma anche amministrativa, la quale sfugge al sindacato di legittimità, laddove non vengano in rilievo indici sintomatici di non corretto esercizio del potere, sotto il profilo del difetto di motivazione e d’istruttoria, dell’illogicità manifesta, della erroneità dei presupposti di fatto e della incoerenza della procedura valutativa e dei relativi esiti).
Quanto, poi, al significato da attribuire alla valutazione demandata all’autorità competente e avente ad oggetto l’attitudine o meno del piano o delle sue modifiche a produrre «impatti significativi sull'ambiente, secondo le disposizioni di cui all'articolo 12 e tenuto conto del diverso livello di sensibilità ambientale dell'area oggetto di intervento» (art. 6, comma 3, D.lgs. n. 152/2006), il Collegio ritiene che meriti condivisione l’orientamento giurisprudenziale che delimita detta significatività agli impatti ambientali negativi. Invero:
   - «La valutazione ambientale strategica (V.A.S.) è stata introdotta dalla direttiva comunitaria 2001/42/CE, la quale ha imposto agli Stati membri di prevedere, nel proprio ordinamento interno, un più approfondito apprezzamento delle esigenze di tutela dell'ambiente nella fase di pianificazione del territorio, attraverso l'introduzione di una specifica fase di verifica da svolgere all'interno delle procedure di pianificazione in presenza di particolari presupposti (sinteticamente riassumibili nella possibilità di impatti ambientali significativi e negativi per effetto delle scelte in tale sede operate)»
(TAR Lombardia-Milano, Sez. III, sentenza 07.04.2021 n. 896 - commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
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8.2) Il motivo è infondato.
Nell’art 6, comma 3, del D.Lgs. 03/04/2006, n. 152, s’individuano le ipotesi sottratte alla VAS, dando alternativamente rilievo all’incidenza del piano su «piccole aree a livello locale», ovvero, alla circostanza che si tratti «modifiche minori» del piano medesimo.
Trattandosi di condizioni da leggersi come alternative fra loro e non come cumulative, se ne ricava che, così come l’incidenza su un’area geograficamente ristretta non esclude la VAS, qualora il piano è valutato come idoneo a produrre impatti significativi sull’ambiente, per converso, anche una modifica di piano che abbracci un ambito esteso può non essere assoggettata a VAS, ove da essa non conseguano impatti significativi sull’ambiente (arg. ex Corte cost., Sent., 22.07.2009, n. 225, ove si accenna all’irrilevanza della sola estensione dell’area ai fini dell’assoggettabilità a VAS e alla portata determinante esplicata sul punto dalla valutazione degli effetti significativi sull'ambiente. Sul tema, cfr., ex multis, TAR Cagliari, sez. II, 18/04/2018, n. 349).
L’aggettivo «minori», riferito alle modifiche di piano, per assumere un significato utile e non essere relegato al rango di inutile doppione dell’altra previsione, concernente i piani che interessano piccole aree, quindi, non può che riferirsi a qualcosa di diverso dall’ambito geografico o territoriale di riferimento. Ne consegue che, “le modifiche minori” non sono tali perché riferite ad una porzione limitata di territorio, ma in quanto, lungi dal porsi come un rifacimento del piano, ne modificano soltanto alcuni aspetti, senza produrre sulle componenti ambientali conseguenze eccedenti quelle già investigate nella procedura di VAS svolta per il Piano originario (cfr. TAR Lombardia, Milano, III, 18/07/2019, n. 1661; TAR Sicilia, Palermo, sez. I, 12/06/2015, n. 1422).
Più in generale, il Collegio ritiene di aderire all'indirizzo giurisprudenziale che, in un'ottica sostanzialistica, tesa ad evitare interpretazioni normative che si risolvono in meri adempimenti formali, approdando poi ad inutili appesantimenti del procedimento, è incline a ritenere che non debba essere sottoposto alla procedura di valutazione ambientale strategica uno strumento pianificatorio le cui previsioni non si discostano in maniera sostanziale da quelle già fatte oggetto di tale indagine (TAR Friuli-V. Giulia, Trieste, Sez. I, Sent., 10.05.2012, n. 169; TAR Lombardia, Milano, sez. II, 15.12.2011, n. 3170; id., 02.09.2011, n. 2134, id., 14.03.2011, n. 730; sulla natura dello “screening”, quale attività tipicamente connotata da discrezionalità non solo tecnica, ma anche amministrativa, la quale sfugge al sindacato di legittimità, laddove non vengano in rilievo indici sintomatici di non corretto esercizio del potere, sotto il profilo del difetto di motivazione e d’istruttoria, dell’illogicità manifesta, della erroneità dei presupposti di fatto e della incoerenza della procedura valutativa e dei relativi esiti, cfr., ex multis, TAR Lazio, Roma, 16/06/2019, n. 7774; Cons. Stato, sez. IV 24/04/2019, n. 2651; id., 06/05/2013, n. 2446).
Quanto, poi, al significato da attribuire alla valutazione demandata all’autorità competente e avente ad oggetto l’attitudine o meno del piano o delle sue modifiche a produrre «impatti significativi sull'ambiente, secondo le disposizioni di cui all'articolo 12 e tenuto conto del diverso livello di sensibilità ambientale dell'area oggetto di intervento» (art. 6, comma 3, D.lgs. n. 152/2006), il Collegio ritiene che meriti condivisione l’orientamento giurisprudenziale che delimita detta significatività agli impatti ambientali negativi [cfr., Cons. Stato, Sez. V, Sent., 13.09.2018, n. 5370; id., Sez. IV, Sent., 12.01.2011, n. 133, per cui: «La valutazione ambientale strategica (V.A.S.) è stata introdotta dalla direttiva comunitaria 2001/42/CE, la quale ha imposto agli Stati membri di prevedere, nel proprio ordinamento interno, un più approfondito apprezzamento delle esigenze di tutela dell'ambiente nella fase di pianificazione del territorio, attraverso l'introduzione di una specifica fase di verifica da svolgere all'interno delle procedure di pianificazione in presenza di particolari presupposti (sinteticamente riassumibili nella possibilità di impatti ambientali significativi e negativi per effetto delle scelte in tale sede operate)»; TAR Sicilia, Catania, 11.06.2015, n. 1651].

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI - URBANISTICAProcedimento di valutazione ambientale strategica: ratio e caratteri.
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Ambiente – Valutazione ambientale strategica – Autorità competente a livello locale - Individuazione.
  
Ambiente -Valutazione ambientale strategica - Concetto di “opzione zero”.
  
In caso di V.A.S. di rilievo locale, l’art. 7, commi 1 e 2, d.lgs. n. 152 del 2006 (Testo unico ambientale) ha fatto rinvio alle disposizioni di legge regionale o delle Province autonome, con l’unico limite, individuato dall’art. 3-quinquies del medesimo decreto) del divieto di introdurre un’arbitraria discriminazione e ingiustificati aggravi procedimentali (1).
  
La nozione di “opzione zero” assume un’accezione diversa in materia di V.I.A., con riferimento alla quale è espressamente declinata dal legislatore nazionale (art. 22, comma 3, lett. d), del d.lgs. n. 152/2006) e di V.A.S., per la quale il contenuto dell’Allegato I alla Direttiva 2001/42/CE, laddove prevede (lett. b) che tra le indicazioni a corredo figuri la «evoluzione probabile [del contesto ambientale] senza l’attuazione del piano o del programma», è stato testualmente riprodotto nell’allegato VI alla Parte II del T.u.a., concernente i contenuti del rapporto ambientale di cui all’art. 13 del decreto.
Trattandosi di atti di pianificazione territoriale di fatto l’“opzione zero” è esclusa dalla scelta della loro adozione. La Direttiva 2001/42/CE prevede infatti che, una volta individuati gli opportuni indicatori ambientali, debbano essere valutate e previste sia la situazione attuale (scenario di riferimento), sia la situazione ambientale derivante dall’applicazione del Piano in fase di predisposizione, sia le «ragionevoli alternative alla luce degli obiettivi e dell’ambito territoriale del piano o del programma» (art. 5, comma 1) (2).

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   (1) Ha premesso la Sezione che la valutazione ambientale (V.A.S.) che trova il suo fondamento nella Direttiva 2001/42/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 27.06.2001, ha la finalità di garantire un elevato livello di protezione dell’ambiente innestandone la tutela anche nel procedimento di adozione e di approvazione di piani e programmi astrattamente idonei ad impattare significativamente sullo stesso.
Essa condivide con altri strumenti di valutazione, come la valutazione di impatto ambientale (VIA) su singoli progetti e quella di incidenza, riferita ai siti di Natura 2000, l’ispirazione al rispetto del principio di precauzione, in una prospettiva di sviluppo durevole e sostenibile dell’uso del suolo, in modo da costituire un unico sistema che vuole l’intero ciclo della decisione teleologicamente orientato a ridette esigenze di tutela.
L’intersecarsi della disciplina della V.A.S. con quella di attuazione delle scelte urbanistiche del territorio implica la valorizzazione del ruolo di ciascun Ente territoriale coinvolto nelle stesse. Il sistema della pianificazione territoriale urbanistica successivo alla riforma costituzionale del 2001, infatti, caratterizzato dalle leggi regionali c.d. di “seconda generazione” si presenta in maniera ben diversa da quello riveniente dalla legge urbanistica del 1942.
Esso risponde, infatti, ad una visione meno “gerarchica” e più armonica, che vede nella leale collaborazione, oltre che nella sussidiarietà, i teorici principi ispiratori delle scelte. La pianificazione sovracomunale, affermatasi sia sul livello regionale sia provinciale, si connota pertanto per una natura “mista” relativamente a contenuti -prescrittivi, di indirizzo e di direttiva- e ad efficacia, nonché per la flessibilità nei rapporti con gli strumenti sottordinati. Nel momento in cui fra un atto (quello provinciale) e l’altro (quello comunale) si sia inserita la disciplina della V.A.S., il Comune non può vedersi relegato ad un ruolo di supina e meccanicistica acquiescenza a scelte che non ne abbiano ipoteticamente tenuto conto, avendo al contrario la possibilità di interloquire “dal basso” per chiedere un adeguamento dello strumento sovraordinato anziché recepirlo in maniera acritica.
Del resto, la partecipazione di tutti i soggetti coinvolti alla Conferenza dei servizi quale luogo di sintesi delle varie istanze emerse consente comunque di “recuperare” le esigenze di omogeneità emerse anche in ambito urbanistico nel corso del procedimento di V.A.S..
La diversa finalità e, soprattutto, il diverso oggetto della V.I.A. ne hanno implicato la più intensa attività di novellazione, nella continua ricerca di un giusto punto di equilibrio tra adeguato livello di tutela ambientale e accelerazione delle procedure delle opere di rilevante interesse pubblico, da ultimo riferite a quelle previste nel Piano nazionale integrato energia e clima (PNIEC) ovvero nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR). Il Legislatore ne ha dunque ricalibrato le fasi, ovvero compresso i tempi di perfezionamento (v. le modifiche apportate al d.lgs. n. 152 del 2006, già ampiamente novellato con d.lgs. n. 104 del 2017, di recepimento della Direttiva 2014/52/UE, dal d.l. 16.07.2020, n. 76, convertito nella l. n. 120 del 2020, ispirate anche dall’esigenza di superare la procedura di infrazione n. 2019/2308, nonché, ancor più di recente, dal d.l. n. 77 del 2021, convertito dalla l. n. 108 del 2021). La stretta compenetrazione tra i richiamati istituti (VAS e VIA) imporrebbe anche di svilupparne una reale sinergia rafforzando qualitativamente, mediante obiettivi di sostenibilità sorretti da specifici target, la prima, così da accelerare la seconda con riferimento ad opere incardinate in piani e programmi già attentamente valutati nella loro portata generale.
Quanto alla competenza in caso di V.A.S. di rilievo locale si è determinato lo sviluppo di un quadro ampio e articolato di legislazione regionale, primaria e secondaria, caratterizzato da una pluralità di approcci, soprattutto per quanto riguarda le modalità procedimentali, che è difficile ricondurre a sintesi. Le Regioni hanno per lo più delegato gli altri Enti territoriali, sicché accade sovente che l’Autorità proponente e l’Autorità competente si identifichino in articolazioni distinte della stessa Amministrazione.
Quanto detto non è affatto in contrasto con la disciplina comunitaria, ai fini del rispetto della quale non rilevano i meccanismi concretamente escogitati dagli Stati membri, bensì unicamente “che essi siano idonei ad assicurare il risultato voluto di garantire l’integrazione delle considerazioni ambientali nella fase di elaborazione, predisposizione e adozione di un piano o programma destinato a incidere sul territorio; il che, a ben vedere, disvela l’inconsistenza delle questioni di legittimità costituzionale ovvero comunitaria sollevate dall’appellato, sia pure in via subordinata, avverso le evocate norme nazionali e regionali laddove interpretate nel senso qui proposto”.
Sicché “alla stregua delle considerazioni che precedono, per nulla illegittima, e anzi quasi fisiologica, è l’evenienza che l’autorità competente alla V.A.S. sia identificata in un organo o ufficio interno alla stessa autorità procedente, per completezza espositiva può aggiungersi che, forse, sotto diverso profilo le determinazioni amministrative oggetto del presente contenzioso prestano il fianco a critiche di inconciliabilità con la normativa vigente di rango primario” (v. Cons. Stato, sez. IV, 12.01.2011, n. 133). Le due autorità, infatti, seppur poste in rapporto dialettico in quanto chiamate a tutelare interessi diversi, operano “in collaborazione” tra di loro in vista del risultato finale della formazione di un piano o programma attento ai valori della sostenibilità e compatibilità ambientale
Come evidenziato nel Rapporto del 2017 redatto dal Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare sullo stato di attuazione dei procedimenti di VAS, le Regioni si sono per lo più orientate nel senso di delegare le funzioni di “Autorità competente” a province, città metropolitane e comuni, in quanto preposti alle scelte urbanistiche nell’ambito del proprio territorio di riferimento.
Tale delega non può non risolversi, al pari del resto di quanto avviene con riferimento alla tutela del vincolo paesaggistico, ove egualmente demandata a tali Amministrazioni, nella concentrazione delle attività istruttorie e di quelle valutative nel medesimo contesto organizzativo, sicché l’unica cosa di cui le relative scelte devono farsi carico è di garantire una reale separazione e autonomia di giudizio tra le articolazioni interne indicate come competenti in concreto.
Non a caso, nel medesimo Rapporto ministeriale si evidenzia anche come la frammentazione dei procedimenti conseguita a tali deleghe si sia risolta in un onere aggiuntivo per le Regioni, chiamate a monitorare i procedimenti attivati sul territorio, garantendo la necessaria unitarietà della governance. Dalle definizioni oggi contenute nell’art. 5, d.lgs. n. 152 del 2006 di “autorità competente” e “autorità procedente” risulta chiaro solo che entrambe sono “amministrazioni”, non che le stesse debbano essere diverse o separate (e che, pertanto, sia precluso individuare l’autorità competente in un diverso organo o articolazione della stessa amministrazione procedente).
Più in generale, il Collegio non condivide l’approccio ermeneutico di fondo della parte odierna appellante, che desume la necessaria “separatezza” tra le due autorità dalla implicita convinzione che la VAS costituisca una sorta di momento di controllo sull’attività di pianificazione svolta dall’autorità proponente, con il corollario dell’impossibilità di una identità o immedesimazione tra controllore e controllato, appunto.
Siffatta ricostruzione, invero, è smentita dall’intero impianto normativo in subiecta materia, il quale invece evidenzia che le due autorità, seppur poste in rapporto dialettico in quanto chiamate a tutelare interessi diversi, operano “in collaborazione” tra di loro in vista del risultato finale della formazione di un piano o programma attento ai valori della sostenibilità e compatibilità ambientale: ciò si ricava, testualmente, dall’art. 11, d.lgs. n. 152 del 2006, che secondo l’opinione preferibile costruisce la V.A.S. non già come un procedimento o subprocedimento autonomo rispetto alla procedura di pianificazione, ma come un passaggio endoprocedimentale di esso, concretantesi nell’espressione di un “parere” che riflette la verifica di sostenibilità ambientale della pianificazione medesima.
Ciò trova conferma anche nelle più recenti modifiche normative, peraltro in materia di V.I.A., che declinano l’esigenza di segnalare ogni situazione di conflitto, anche potenziale, alle competenti autorità (art. 50, comma 1, lett. c), punto 3, d.l. n. 76 del 2020, che ha modificato sul punto l’art. 7-bis, comma 6, d.lgs. n. 152 del 2006); ma senza incidere sulla previgente previsione in forza della quale l’autorità competente può coincidere con l’autorità proponente di un progetto, purché ne vengano separate in maniera appropriata, nell’ambito della singola organizzazione, le funzioni potenzialmente confliggenti.
   (2) Ha chiarito la Sezione che la Direttiva 2001/42/CE prevede che, una volta individuati gli opportuni indicatori ambientali, devono essere valutate e previste sia la situazione attuale (scenario di riferimento), sia la situazione ambientale derivante dall’applicazione del Piano in fase di predisposizione, sia le “ragionevoli alternative alla luce degli obiettivi e dell’ambito territoriale del piano o del programma” (art. 5, comma 1).
Il testo non dice cosa debba intendersi per “ragionevole alternativa” a un piano o a un programma. È evidente dunque che la prima considerazione necessaria per decidere in merito alle possibili alternative ragionevoli deve tenere conto degli obiettivi e dell’ambito territoriale del piano o del programma. Non essendo chiarito se si intendano piani o programmi alternativi, o alternative diverse all’interno di un piano o di un programma, è plausibile accedere ad entrambe le ipotesi ermeneutiche.
Come chiarito anche dalla Direzione generale dell’Ambiente della Commissione europea in un documento esplicativo destinato “ad aiutare gli Stati membri, gli Stati candidati e i Paesi in via di adesione a capire pienamente gli obblighi contenuti nella direttiva e ad assisterli nel recepimento nel diritto nazionale e, altrettanto importante, a creare o a migliorare le procedure che daranno effetto agli obblighi giuridici”, con specifico riferimento ai piani per la destinazione dei suoli o di quelli per la pianificazione territoriale “le alternative ovvie sono usi diversi di aree designate ad attività o scopi specifici, nonché aree alternative per tali attività”.
Sicché nel caso di specie l’appellante non può pretendere che l’alternativa al PGT si identifichi nella sua mancata adozione (Consiglio di Stato, Sez. II, sentenza 01.09.2021 n. 6152 - commento tratto da e  link a www.giustizia-amministrativa.it).
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SENTENZA
9. Nel merito, l’appello è infondato.
10. Va innanzitutto rilevato come la sentenza di prime cure contenga due distinte statuizioni, una riferita al ricorso principale, dichiarato improcedibile per sopravvenienza del provvedimento successivo che ha di fatto assorbito contenutisticamente il precedente, l’altra ai motivi aggiunti, che sono stati invece respinti.
Legambiente non ha avanzato alcuna censura riferibile a ridetta declaratoria di improcedibilità, sicché il perimetro dell’odierna controversia è da intendersi limitato alla sola approvazione del Piano di governo del territorio, avvenuta in via definitiva con le tre deliberazioni del Consiglio comunale di Lodi nn. 35, 36 e 38 del 2011. Non è sufficiente, infatti, allo scopo la riproposta violazione della tempistica procedurale dell’atto urbanistico, la cui invocata inefficacia implicherebbe la reviviscenza del sotteso Accordo di programma (peraltro solo accennata nelle ultime tre righe del motivo sub 6).
A ciò consegue la reiezione del primo motivo di appello, nella sola parte in cui fa riferimento alla mancanza di VAS dell’Accordo di programma, nonché del terzo, riguardante il contenuto di tale specifico atto, tra l’altro per presunta contraddittorietà con il Protocollo di Intesa Quadro.
11. Delimitati come sopra i termini oggettivi della controversia, il Collegio ritiene necessario un sintetico richiamo della normativa nazionale e regionale vigente, onde valutarne l’avvenuto rispetto, nonché, ancora più a monte, la corretta interpretazione alla luce della sottesa disciplina comunitaria. Ciò avuto riguardo sia agli aspetti di tutela ambientale, che di pianificazione urbanistica, stante che oggetto di impugnativa sono atti riconducibili a tale specifica funzione sicché i relativi principi finiscono per intersecarsi.
12. La valutazione ambientale o VAS trova il suo fondamento nella Direttiva 2001/42/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 27.06.2001, con il dichiarato obiettivo di garantire un elevato livello di protezione dell’ambiente innestandone la tutela anche nel procedimento di adozione e di approvazione di piani e programmi astrattamente idonei ad impattare significativamente sullo stesso.
La finalità di salvaguardia e miglioramento della qualità dell’ambiente, nonché di protezione della salute umana e di utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali, ne impone una lettura ispirata al rispetto del principio di precauzione, in una prospettiva di sviluppo durevole e sostenibile dell’uso del suolo.
Essa si accosta, senza identificarsi con gli stessi, ad altri strumenti di valutazione, come la valutazione di impatto ambientale (VIA) su singoli progetti e quella di incidenza, riferita ai siti di Natura 2000, in modo da costituire un unico sistema che vuole l’intero ciclo della decisione teleologicamente orientato a ridette esigenze di tutela. La stretta compenetrazione tra i richiamati istituti trova riscontro nelle considerazioni della dottrina più accorta, che ha da tempo segnalato l’esigenza di sviluppare una reale sinergia tra valutazione di impatto ambientale e valutazione ambientale strategica, rafforzando qualitativamente, mediante obiettivi di sostenibilità sorretti da specifici target, la seconda, così da accelerare la prima con riferimento ad opere incardinate in piani e programmi già attentamente valutati nella loro portata generale.
Per contro, il legislatore, nella continua ricerca di un giusto punto di equilibrio tra adeguato livello di tutela ambientale e accelerazione delle procedure della opere di rilevante interesse pubblico, da ultimo riferite a quelle previste nel Piano nazionale integrato energia e clima (PNIEC) ovvero nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), ha inteso incidere pressoché essenzialmente sulla VIA, ricalibrandone le fasi, ovvero comprimendone i tempi di perfezionamento (v. le modifiche apportate al d.lgs. n. 152 del 2006, già ampiamente novellato con d.lgs. n. 104 del 2017, di recepimento della Direttiva 2014/52/UE, dal d.l. 16.07.2020, n. 76, convertito nella l. n. 120 del 2020, ispirate anche dall’esigenza di superare la procedura di infrazione n. 2019/2308, nonché, ancor più di recente, dal d.l. n. 77 del 2021, convertito dalla l. n. 108 del 2021).
13. Con riferimento alla VAS, dunque, la Direttiva 2001/42/CE è stata recepita inserendo la relativa disciplina nel richiamato d.lgs. 03.04.2006, n. 152, recante «Norme in materia ambientale», Testo unico ambientale, subito modificato ed integrato in parte qua dal d.lgs. 16.01.2008, n. 4.
14. L’art. 7, commi 1 e 2, di tale decreto ha innanzi tutto distinto la procedura di VAS a livello statale da quelle riferibili ad ambiti regionali o locali, preoccupandosi poi esclusivamente della prima, anche in relazione alla indicazione dei soggetti competenti per le varie fasi della stessa. Per i casi di rilievo locale, invece, ha fatto rinvio alle disposizioni di legge regionale o delle Province autonome, evidenziando il limite di introdurre un’arbitraria discriminazione e ingiustificati aggravi procedimentali (art. 3-quinquies del d.lgs. n. 152/2006, non a caso rubricato «Principio di sussidiarietà e di leale collaborazione»). Ciò ha concretamente determinato lo sviluppo di un quadro ampio e articolato di legislazione regionale, primaria e secondaria, caratterizzato da una pluralità di approcci, soprattutto per quanto riguarda le modalità procedimentali, che è difficile ricondurre a sintesi.
14.1. Come evidenziato nel Rapporto del 2017 redatto dal Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare sullo stato di attuazione dei procedimenti di VAS, le Regioni si sono per lo più orientate nel senso di delegare le funzioni di “Autorità competente” a province, città metropolitane e comuni, in quanto preposti alle scelte urbanistiche nell’ambito del proprio territorio di riferimento. Proprio le scelte di governo del territorio, infatti, sono tipicamente atti soggetti a VAS.
Tale delega non può non risolversi, al pari del resto di quanto avviene con riferimento alla tutela del vincolo paesaggistico, ove egualmente demandata a tali Amministrazioni, nella concentrazione delle attività istruttorie e di quelle valutative nel medesimo contesto organizzativo, sicché le relative scelte devono farsi carico di garantire una reale separazione e autonomia di giudizio tra le articolazioni interne indicate come competenti in concreto. Non a caso, nel medesimo Rapporto ministeriale si evidenzia anche come la frammentazione dei procedimenti conseguita a tali deleghe si sia risolta in un onere aggiuntivo per le Regioni, chiamate a monitorare i procedimenti attivati sul territorio, garantendo la necessaria unitarietà della governance.
Essa ha altresì fatto emergere intuibili problematiche di compatibilità della possibilità di sostenere in modo efficace la valutazione e il monitoraggio ambientale di strumenti di pianificazione territoriale caratterizzati da quadri ambientali complessi o destinatari di particolari misure di tutela e salvaguardia, con la capacità tecnica ed economica dei comuni demograficamente più piccoli. Per contro, l’analisi della giurisprudenza amministrativa, costituzionale ed eurounitaria, nonché dei contenuti delle procedure di infrazione semplicemente avviate, ha portato ad escludere qualsivoglia incompatibilità con la richiamata cornice ordinamentale della normativa nazionale in ordine ai soggetti a vario titolo coinvolti nel procedimento (v. in dettaglio i contenuti del paragrafo 2.2., intitolato «Rispetto della normativa comunitaria e nazionale»).
15. La Regione Lombardia ha introdotto la Valutazione ambientale dei piani fin dalla legge 11.03.2005, n. 12, Legge per il governo del territorio, pur demandandone la disciplina di dettaglio a successivi atti attuativi. Tali atti si identificano nella delibera del Consiglio regionale del 13.03.2007, n. VIII/351, di approvazione degli «Indirizzi Generali per la Valutazione Ambientale di piani e programmi (VAS)» e in quella della Giunta regionale del 27.12.2007, n. 6420, avente ad oggetto la «Determinazione della procedura di Valutazione ambientale di piani e programmi- VAS», che ha dettato disposizioni volte alla definitiva entrata in vigore della VAS nel contesto regionale. La immediata precettività delle disposizioni in materia contenute nella fonte primaria, tuttavia, è già stata affermata da questo Consiglio di Stato (v. Cons. Stato, sez. IV, 29.04.2019, n. 2698).
Va infatti ricordato come l’art. 7 del d.lgs.n. 152 del 2006 (nella versione antecedente alla riforma introdotta con il d.lgs. n. 4 del 2008) sottoponeva a VAS i piani e i programmi della pianificazione territoriale anche se non soggetti a VIA, solo «se possono avere effetti significativi sull’ambiente» (commi 1 e 4); pertanto «l’autorità competente all’approvazione del piano o del programma deve preliminarmente verificare se lo specifico piano o programma oggetto di approvazione possa avere effetti significativi sull’ambiente secondo i criteri di cui all’Allegato II alla parte seconda del presente decreto» (comma 5). La legge regionale n. 12 del 2005, invece, non opera alcun distinguo né contempla adempimenti preliminari ai fini della sottoposizione a VAS degli atti cui fa riferimento. Correttamente, dunque, il Comune di Lodi ha sottoposto il PGT alla VAS di cui ora la difesa civica rivendica la ultroneità, senza alcuna preliminare valutazione di screening.
16. In base a tale l.r. n. 12 del 2005, che per la Regione Lombardia ha ridefinito la materia urbanistica, tutti i comuni del territorio erano tenuti ad approvare il nuovo strumento di pianificazione territoriale generale, denominato, appunto, PGT, entro il 31.03.2009, data poi prorogata al 31.03.2012.
L’art. 4, comma 2, della legge, individua espressamente quali atti da sottoporre a VAS il piano territoriale regionale, i piani territoriali regionali d’area, i piani territoriali di coordinamento, nonché il Documento di Piano di cui al successivo art. 8 e a certe condizioni il Piano dei servizi.
Rileva il Collegio come tale indicazione sarebbe già di per sé sufficiente a sconfessare la tesi del Comune di Lodi e dell’Università che ravvisa nella mancata menzione esplicita del PGT la sua ritenuta esclusione dalla Valutazione ambientale. Ai sensi dell’art. 7, infatti, il Piano di governo del territorio è articolato in un “Documento di Piano”, un “Piano dei servizi” e un “Piano delle Regole”.
E’ evidente quindi che, anche dando rilievo alla formulazione letterale della norma, la previsione della sottoposizione a VAS del Documento di Piano, in combinato disposto con la definizione dello stesso quale componente essenziale dello strumento, ne implica il vaglio in termini di compatibilità ambientale.
Il Collegio ritiene inoltre che la elencazione di cui al comma 2 dell’art. 4 abbia portata solo esemplificativa, funzionale cioè all’obiettivo di scongiurare, con specifico riferimento agli atti programmatori espressamente menzionati, letture restrittive della previsione generale contenuta nel comma 1, laddove si richiamano genericamente e in maniera onnicomprensiva (tutti) i «piani e programmi di cui alla direttiva 2001/42/CEE».
17. La estraneità, invece, del contenuto del terzo Accordo di programma dal perimetro dell’odierna controversia, esime il Collegio dallo scrutinio della astratta sottoponibilità a VAS di tale tipologia di provvedimento, in quanto destinato a valere come variante.
18. Con i primi due motivi di appello la Associazione lamenta dunque la tardività della Valutazione ambientale, desumendola non dalla sua effettiva postergazione rispetto all’atto cui accede, bensì piuttosto dalla sua sostanziale inconsistenza contenutistica, essendosi il Comune limitato ad avallare le scelte pregresse. In tale cornice ricostruttiva, si inserisce la censurata mancata ponderazione della c.d. “opzione zero”, nonché la asserita illegittimità del rinvio della valutazione sul Businnes Park agli atti urbanistici attuativi previsti dalle N.T.A.
La sostanziale omogeneità contenutistica del rilievo ne consente una disamina congiunta assumendo a perno della ricostruzione ridetto insistito richiamo alla opzione zero.
19. La Direttiva 2001/42/CE prevede che, una volta individuati gli opportuni indicatori ambientali, debbano essere valutate e previste sia la situazione attuale (scenario di riferimento), sia la situazione ambientale derivante dall’applicazione del Piano in fase di predisposizione, sia le «ragionevoli alternative alla luce degli obiettivi e dell’ambito territoriale del piano o del programma» (art. 5, comma 1). Il testo non dice cosa debba intendersi per “ragionevole alternativa” a un piano o a un programma.
E’ evidente dunque che la prima considerazione necessaria per decidere in merito alle possibili alternative ragionevoli deve tenere conto degli obiettivi e dell’ambito territoriale del piano o del programma. Non essendo chiarito se si intendano piani o programmi alternativi, o alternative diverse all’interno di un piano o di un programma, è plausibile accedere ad entrambe le ipotesi ermeneutiche. Sicché l’appellante non può pretendere che l’alternativa al PGT si identifichi nella sua mancata adozione.
In tal senso, del resto, si è espressa anche la Direzione generale dell’Ambiente della Commissione europea in un documento esplicativo destinato «ad aiutare gli Stati membri, gli Stati candidati e i Paesi in via di adesione a capire pienamente gli obblighi contenuti nella direttiva e ad assisterli nel recepimento nel diritto nazionale e, altrettanto importante, a creare o a migliorare le procedure che daranno effetto agli obblighi giuridici». Con specifico riferimento ai piani per la destinazione dei suoli o di quelli per la pianificazione territoriale si è altresì chiarito che «le alternative ovvie sono usi diversi di aree designate ad attività o scopi specifici, nonché aree alternative per tali attività».
20. L’Allegato I alla Direttiva alla lettera b) richiede espressamente che tra le indicazioni a corredo della VAS figuri la «evoluzione probabile [del contesto ambientale] senza l’attuazione del piano o del programma». La relativa dicitura è stata mutuata alla lettera dal legislatore nazionale che l’ha trasposta nell’allegato VI alla Parte II del T.u.a., laddove vengono declinati i contenuti del rapporto ambientale di cui all’art. 13 del decreto.
20.1. Con riferimento alla VIA l’art. 22, comma 3, lett. d), del d.lgs. n. 152/2006 menziona espressamente, quale contenuto essenziale dello studio di impatto ambientale, «l’alternativa zero, con indicazioni delle ragioni principali alla base dell’opzione scelta, prendendo in considerazione gli impatti ambientali». Ciò ha comportato che ne è stata ritenuta essenziale la presenza ai fini della correttezza e compiutezza dell’istruttoria, dovendo la complessiva e approfondita analisi comparativa di tutti gli elementi incidenti sull’ambiente del progetto unitariamente considerato essere effettuata proprio «alla luce delle alternative possibili e dei riflessi della stessa c.d. opzione-zero», onde ponderare il sacrificio imposto all’ambiente rispetto all’utilità socio-economica perseguita (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 24.03.2016, n. 1225).
Al contrario, come sopra esplicitato, per la VAS la necessità di valutare anche l’opzione zero viene desunta dai riferimenti testuali richiamati, che in realtà richiedono di configurarsi preventivamente lo scenario conseguente alla mancanza non del piano ex se, ma della sua concreta attuazione. Ovvero, ritiene il Collegio, essa è intrinseca nella stessa scelta di programmazione, seppure in termini generali e astratti, che nel caso concreto in quanto effettuata presuppone che «i rimedi correttivi e compensativi ipotizzati nel parere sono stati ritenuti sufficienti a far fronte alle ricadute ambientali delle varianti urbanistiche approvate», come efficacemente evidenziato dal primo giudice.
21. L’equivoco di fondo nel quale incorre l’appellante consiste cioè nell’aver identificato il concetto di opzione zero con la sostanziale pretesa di annullare la scelta urbanistica del Comune di Lodi, vanificando tutti gli atti pregressi, di cui il terzo Accordo di programma, e poi il PGT, costituiscono solo il segmento terminale, utilizzando peraltro argomentazioni di tipo dialettico-formale, del tutto prive di effettività contenutistica.
Seguendo, infatti, l’argomentazione di parte, in alcun modo la VAS avrebbe potuto essere preventiva, se non azzerando la previsione del Polo, per il solo fatto di essere stata concepita in epoca antecedente, con conseguente ineludibile violazione delle finalità cautelari dell’istituto. Ricostruzione estranea sia al concetto di opzione zero nella VAS per come declinata dalla normativa europea e nazionale (peraltro in maniera implicita), sia alla sua attuazione al procedimento in controversia, il cui sviluppo negli anni è connotato da plurimi approfondimenti della tematica ambientale, seppure al di fuori del relativo schema formale, in quanto non ancora in vigore.
Tale ha da essere dunque il senso della contestualizzazione del quadro di partenza, cui fa riferimento anche la difesa civica, per ogni ipotesi di opzione zero riferita ad un atto urbanistico: il necessario sviluppo senza soluzione di continuità delle scelte di governo del territorio impone infatti a ciascuna di quelle sopravvenute di acquisire le risultanze (e gli impegni) rivenienti da quelle precedenti, attuandole, rivedendole, adattandole o innovandole, ma senza poterle certo completamente ignorare.
22. Va peraltro ricordato come l’attuazione in concreto delle idee racchiuse negli atti di programmazione urbanistica generale sia talvolta rimessa a provvedimenti dotati di maggiore specificità, ad iniziativa pubblica o privata. In tali ipotesi, le singole progettualità di cui essi si compongono si concretizzano solo se e quando si addivenga a ridetta pianificazione attuativa, che diviene la necessaria cinghia di trasmissione fra la generalità delle scelte e la loro concreta realizzazione.
La doverosa e auspicabile compenetrazione tra gli uni e gli altri, nell’ottica di una visione complessiva dello sviluppo del territorio, rende non solo legittima, ma addirittura opportuna la posticipazione della valutazione dell’impatto ambientale a tale seconda ed eventuale fase. Da un lato, cioè, anche per evitare al privato investimenti inutili, si afferma una astratta compatibilità con le scelte di programmazione; dall’altro, si rinvia alla loro concezione concreta l’effettività della disamina, diversamente connotata da eccesso di genericità.
Nel caso di specie, dunque, le norme tecniche di attuazione hanno espressamente demandato ad atti attuativi in particolare la realizzazione del Businnes Park, ovvero la parte di intervento ancora da realizzare all’attualità, interessante un lotto di terreno di ben mq. 395.000 e sol per questo ritenuto dalla Associazione negativamente impattante sull’ambiente.
Del tutto responsabilmente, quindi, il Comune di Lodi ha indicato in una successiva VAS, necessariamente di maggior dettaglio in quanto correlata alle specifiche attuative concretamente individuate, lo strumento più consono per la (nuova) ponderazione della compatibilità dell’intervento con l’ambiente. Nessuna violazione della finalità precauzionale dell’istituto può dunque ravvisarsi in una scelta palesemente tuzioristica e cautelativa, che si risolve in un concreto monitoraggio e verifica delle valutazioni positive effettuate sulla cornice più generale, sì da sperimentarne l’efficacia, adattando o prevedendo (eventuali) ulteriori rimedi.
23. Quanto sopra detto con riferimento alla necessaria contestualizzazione anche rispetto al passato delle indicazioni del PGT, consente di circoscrivere meglio la questione, invocata in verità dal Comune di Lodi e dall’Università di Milano, del rapporto dello stesso non con l’Accordo di programma, ma con la pianificazione urbanistica provinciale.
Il procedimento formativo dello strumento di pianificazione urbanistica, come scolpito dalla disciplina regionale, sembrerebbe attribuire alla Provincia una posizione predominante, in deroga alla disciplina di settore, che riserva al Comune il ruolo di ente esclusivamente competente in materia urbanistica. L’art. 13, comma 5, infatti, prevede che l’approvazione dello strumento urbanistico comunale (PGT) debba essere preceduta dalla sottoposizione del “Documento di Piano” (cfr. art. 13, comma 5) all’esame della Provincia per il vaglio di compatibilità con il PTCP.
Ma una lettura costituzionalmente orientata della norma non può relegare il Comune a ruolo di supina e meccanicistica acquiescenza, come dimostrato peraltro proprio dal concreto sviluppo del procedimento nel caso di specie, che ha visto la Provincia adeguarsi ai suggerimenti del Comune anziché quest’ultimo accondiscendere ai rilievi della prima, riadottando la delibera di approvazione.
Ciò a maggior ragione nel momento in cui fra un atto (quello provinciale) e l’altro (quello comunale) si sia inserita la disciplina della VAS, ammesso e non concesso la stessa non trovasse applicazione anche al primo, sì da imporre una specifica e aggiuntiva valutazione di impatto, in passato mancante (seppure solo in termini formali, essendo tutta la documentazione istruttoria in atti dimostrativa di un’attenzione anche pregressa alle problematiche in questione). Del resto, la partecipazione di tutti i soggetti coinvolti alla Conferenza dei servizi quale luogo di sintesi delle varie istanze emerse avrebbe comunque consentito di “recuperare” le esigenze di omogeneità emerse in corso di procedimento di VAS.
24. Il sistema della pianificazione territoriale urbanistica successivo alla riforma costituzionale del 2001, caratterizzato dalle leggi regionali c.d. di “seconda generazione” si presenta dunque in maniera ben diversa da quello riveniente dalla legge urbanistica del 1942. Esso risponde infatti ad una visione meno “gerarchica” e più armonica, che vede nella leale collaborazione, oltre che nella sussidiarietà, i teorici principi ispiratori delle scelte.
La pianificazione sovracomunale, affermatasi sia sul livello regionale sia provinciale, si connota pertanto per una natura “mista” relativamente a contenuti -prescrittivi, di indirizzo e di direttiva- e ad efficacia, nonché per la flessibilità nei rapporti con gli strumenti sotto ordinati. La pianificazione comunale a sua volta non si esaurisce più nel solo tradizionale piano regolatore generale (in Lombardia, dopo la legge del 2005, Piano di Governo del territorio), ma presenta un’articolazione in atti o parti tendenzialmente distinti tra il profilo strutturale e quello operativo, e si connota per l’intersecarsi di disposizioni volte ad una programmazione generale che abbia come obiettivo lo sviluppo socio-economico dell’intero contesto.
L’atto rimesso alla competenza dell’Ente sovraordinato (tipicamente, la Provincia), in quanto rivolto ad un ambito territoriale più ampio, non può che essere destinato ad indirizzare per linee generali le scelte degli enti territoriali, nel pieno rispetto dell’allocazione delle stesse, secondo il richiamato principio di sussidiarietà, al livello di governo più vicino al contesto cui si riferisce, rispondendo all’obiettivo di valorizzare le peculiarità storiche, economiche e culturali locali e insieme assicurare il principio di adeguatezza ed efficacia dell’azione amministrativa.
Nell’impostazione articolata e flessibile del sistema della pianificazione territoriale tipicamente strutturata su vari livelli, esso si colloca “a monte”, quale inquadramento degli elementi strutturali, delle reti e delle strategie, dalle quali è evidente che il Comune non può prescindere (v. Cons. Stato, sez. II, 15.10.2020, n. 6263).
Quanto detto è stato affermato anche in relazione al rapporto tra fonti formalmente normative, con riferimento alle quali si è egualmente parlato di un rapporto non gerarchico, ma di compenetrazione funzionale (cfr., da ultimo, specificamente in tema, Corte cost. n. 179 del 2019, richiamata da Cons. Stato, sez. II, 20.10.2020, n. 6330).
25. Ciò trova rispondenza sia nella configurazione multilivello dei procedimenti di definizione delle scelte urbanistiche, che vuole il coinvolgimento dei vari Enti territoriali astrattamente interessati, oltre alla acquisizione del contributo collaborativo dei cittadini formalizzato nelle relative osservazioni; sia nell’incidenza delle regole, dal generale al particolare, sul medesimo ambito territoriale, all’interno del quale l’area di riferimento di quelle di maggior dettaglio si pone come un cerchio concentrico.
25.1. Diversamente opinando, del resto, verrebbe all’evidenza anche un profilo di inammissibilità del ricorso di primo grado che non ha fatto oggetto di impugnativa il Piano provinciale, sicché gli effetti asseritamente vincolanti dello stesso sulle scelte urbanistiche dei Comuni finirebbe per vanificare l’esito favorevole dell’odierno contenzioso, non potendo l’Amministrazione di Lodi che rieditare il proprio potere in maniera conforme alla disciplina d’ambito di riferimento.
26. L’Associazione, intersecando le necessarie scansioni del procedimento urbanistico con le rivendicate valutazioni (ulteriori) ambientali, finisce dunque per ricondurre sotto l’egida del mero formalismo e della petizione di principio le doglianze avanzate. La sua evanescente prospettazione, seppure non priva di suggestioni, si fonda su un indebito sillogismo secondo il quale la mancanza di VAS a supporto del (terzo) Accordo di programma non consentirebbe più di recepire la scelta, palesandosi tardiva e in contrasto con il principio di precauzione qualsivoglia valutazione sopravvenuta, siccome necessariamente postuma rispetto a quella scelta.
In sintesi, solo un approccio rinunciatario alla pianificazione e alla gestione delle dinamiche territoriali, azzerando l’intero percorso ideativo precedente, condiviso peraltro da plurimi governi locali succedutisi nel tempo, si paleserebbe rispettoso della rivendicata “opzione zero”, seppure non se ne sia in concreto motivata e neppure enunciata la necessità, tale non potendo essere considerata la assoluta conservazione della vocazione agricola del territorio.
27. La insindacabilità del merito delle scelte urbanistiche, ove non affette da palese arbitrarietà o errore manifesto non può non impingere anche gli atti in contestazione, dei quali infatti l’Associazione appellante intende mettere in discussione l’an, non il quomodo. Ciò senza avere fornito «alcun concreto elemento che possa fare ritenere incongrue o arbitrarie le scelte di merito compiute in sede di rilascio del parere», come correttamente affermato dal primo giudice, rendendo così impossibile basare il proprio convincimento «sulla scorta di considerazioni meramente presuntive non fondate su solide basi legali o logiche».
28. A ben guardare, peraltro, non corrisponde neppure del tutto al vero la circostanza che il Rapporto ambientale censurato dall’appellante non contempli la c.d. “opzione zero”, potendo al contrario essa essere ravvisata nella descrizione del quinto scenario plausibile, ovvero la frammentazione degli insediamenti sul territorio, tale da non renderne neppure visibilmente percepibile la rappresentazione grafica. E’ evidente infatti che neutralizzando lo stesso concetto di “polo” come luogo di concentrazione di servizi e attività in genere, se ne salvaguarda l’erogazione, ma non la immediata accessibilità, con conseguente impatto negativo sulla viabilità, peraltro espressamente valutato.
29. La presunta prova in dettaglio del pregiudizio all’ambiente e della mancata serietà istruttoria della VAS risiederebbe tutta nella (ri)proposta lettura decontestualizzata di taluni passaggi del RA, che l’Autorità competente non avrebbe tenuto in debita considerazione. Nello specifico, tuttavia, quanto ai rilievi di pag. 206, l’appellante omette di riferire la preliminare affermazione in forza della quale il progetto costituisce «un’opportunità di sviluppo con evidenti ricadute, in termini socio-culturali, economici, infrastrutturali e ambientali», sicché di fatto ne è chiara la finalità di allert da monitorare nel prosieguo, di certo non di elementi ostativi alla realizzazione in toto dell’intervento.
Quanto invece agli scenari alternativi riportati a pag. 230, si è già detto di come essi contemplino anche una sorta di sostanziale opzione zero aggiuntiva, laddove immaginano il frazionamento dell’intervento in più unità minori, con conseguente «perdita del concetto stesso di Businnes Park, in quanto la concentrazione permette l’ottimizzazione del flusso stradale, senza implicare spostamenti ulteriori per chi desidera raggiungere le diverse attività dislocate sul medesimo ambito».
Le rimanenti quattro alternative, invece, diversamente da quanto opinato dalla parte, si soffermano su singoli indici di potenziale incidenza negativa, traendone un giudizio di preferibilità della originaria scelta di Piano (quella “attuale”) valutando, a seconda dei casi, il carico eccessivo sulla mobilità indotta, la attrattività insediativa, con evidente rischio di perdere la «cintura verde oggi presente e individuata dalla pianificazione sovraordinata» (ipotesi 2 e 3); i livelli di impermeabilizzazione del suolo, che avuto riguardo alla situazione della zona Oltradda ne sconsigliano l’utilizzo (ipotesi 4).
30. Del tutto priva di rilievo è poi la circostanza, peraltro sopravvenuta, che la gestione del Parco tecnologico padano affidata dal Comune ad una società a partecipazione pubblica si sarebbe rivelata fallimentare, non essendo affatto dimostrato che ciò dipenda da un’errata valutazione originaria dei profili ambientali del progetto e finanche della sua convenienza, quale fattore di ponderazione comparativa tra quelli in gioco, a prescindere dagli circostanze negative che hanno inciso nella fase dell’utilizzo della struttura.
31. Sotto il profilo procedurale, Legambiente contesta sia le modalità di individuazione (postume, anziché preventive) sia la allocazione all’interno della medesima amministrazione della c.d. “Autorità competente”. In pratica, non sarebbe corretto che il soggetto incaricato dell’istruttoria (“autorità proponente”) e quello preposto al rilascio del parere siano dipendenti del medesimo Comune, seppure preposti a settori distinti, sì da mettere a repentaglio la necessaria terzietà di giudizio che deve caratterizzare l’operato del secondo. I dubbi rivenienti al riguardo in particolare dalla disciplina regionale, imporrebbero il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia della normativa affinché ne chiarisca la corretta interpretazione, peraltro potenzialmente contrastante anche con i principi di imparzialità della pubblica amministrazione di cui all’art. 97 della Costituzione. L’attività dirigenziale, infatti, non può non subire il condizionamento del vertice politico, che nel caso di specie è anche il proponente l’iniziativa urbanistica.
32. Il Collegio ritiene innanzi tutto di sgombrare il campo dal primo profilo di asserita illegittimità della individuazione dell’Autorità competente: avendo il Comune chiarito, senza eccezioni di controparte, che essa attiene alla titolarità dell’ufficio, e non allo stesso, non si ravvisano profili di “tardività”, non rilevando certo l’attribuzione dell’incarico di funzione, che peraltro comunque precede la delibera di adozione del Piano (n. 13 del 06.02.2010), risalendo al 2009.
33. All’apparenza più complessa è invece la contestata convergenza nel medesimo Ente della funzione di controllante e controllore, terminologia peraltro di per sé foriera di equivoci concettuali circa il corretto inquadramento dell’apporto di ciascuno alla definizione del procedimento.
34. Dalle definizioni oggi contenute nell’art. 5 del d.lgs. 152 del 2006 di “autorità competente” e “autorità procedente” risulta chiaro solo che entrambe sono “amministrazioni”, non che le stesse debbano essere diverse o separate (e che, pertanto, sia precluso individuare l’autorità competente in un diverso organo o articolazione della stessa amministrazione procedente).
Più in generale, il Collegio non condivide l’approccio ermeneutico di fondo della parte odierna appellante, che desume la necessaria “separatezza” tra le due autorità dalla implicita convinzione che la VAS costituisca una sorta di momento di controllo sull’attività di pianificazione svolta dall’autorità proponente, con il corollario dell’impossibilità di una identità o immedesimazione tra controllore e controllato, appunto.
Siffatta ricostruzione, invero, è smentita dall’intero impianto normativo in subiecta materia, il quale invece evidenzia che le due autorità, seppur poste in rapporto dialettico in quanto chiamate a tutelare interessi diversi, operano “in collaborazione” tra di loro in vista del risultato finale della formazione di un piano o programma attento ai valori della sostenibilità e compatibilità ambientale: ciò si ricava, testualmente, dall’art. 11 del d.lgs. n. 152 del 2006, che secondo l’opinione preferibile costruisce la VAS non già come un procedimento o subprocedimento autonomo rispetto alla procedura di pianificazione, ma come un passaggio endoprocedimentale di esso, concretantesi nell’espressione di un “parere” che riflette la verifica di sostenibilità ambientale della pianificazione medesima.
La conformità di tale lettura alla ratio ispiratrice della retrostante disciplina comunitaria è già stata affermata da questo Consiglio di Stato proprio nella sentenza invocata in senso diametralmente opposto da Legambiente, ai cui specifici principi il Collegio intende fare integrale richiamo (v. Cons. Stato, sez. IV, 12.01.2011, n. 133).
Ai fini della conformità del diritto interno ai principi della Direttiva comunitaria 42/2001/CE non rilevano dunque i meccanismi concretamente escogitati dagli Stati membri, bensì unicamente «che essi siano idonei ad assicurare il risultato voluto di garantire l’integrazione delle considerazioni ambientali nella fase di elaborazione, predisposizione e adozione di un piano o programma destinato a incidere sul territorio; il che, a ben vedere, disvela l’inconsistenza delle questioni di legittimità costituzionale ovvero comunitaria sollevate dall’appellato, sia pure in via subordinata, avverso le evocate norme nazionali e regionali laddove interpretate nel senso qui proposto».
Sicché «alla stregua delle considerazioni che precedono, per nulla illegittima, e anzi quasi fisiologica, è l’evenienza che l’autorità competente alla V.A.S. sia identificata in un organo o ufficio interno alla stessa autorità procedente, per completezza espositiva può aggiungersi che, forse, sotto diverso profilo le determinazioni amministrative oggetto del presente contenzioso prestano il fianco a critiche di inconciliabilità con la normativa vigente di rango primario».
Né a mutare tale conclusioni può contribuire il richiamo all’art. 97 della Costituzione, ovvero, in maniera del tutto inconferente, alla competenza esclusiva dello Stato in materia di ordinamento e organizzazione amministrativa dello stesso (art. 117, lett. g). Il principio di separazione tra politica e gestione, infatti, costituisce il cardine dell’ordinamento dirigenziale e non può essere messo in discussione dalla valenza necessariamente politica nel senso etimologico del termine delle scelte di governo del territorio. Eventuali condizionamenti capaci di incidere sulla legittimità delle scelte tecniche attengono alla patologia dei rapporti interistituzionali, di certo non alla loro fisiologica e regolare dialettica.
35. Infine e per completezza, un cenno alle più recenti modifiche normative in materia di VIA, peraltro già richiamate al § 12: diversamente da quanto sostenuto dall’appellante, esse confortano proprio la ricostruzione di cui sopra, in quanto declinano sì l’esigenza di segnalare ogni situazione di conflitto, anche potenziale, alle competenti autorità (art. 50, comma 1, lett. c), punto 3, del d.l. n. 76 del 2020, che ha modificato sul punto l’art. 7-bis, comma 6, del d.lgs. n. 152/2006); ma senza incidere sulla previgente previsione in forza della quale qualora nei procedimenti di VIA o di verifica di assoggettabilità a VIA (cui la novella si riferisce specificamente) l’autorità competente coincida con l’autorità proponente di un progetto, esse provvedano a separare in maniera appropriata, nell’ambito della propria organizzazione delle competenze amministrative, le funzioni confliggenti in relazione all’assolvimento dei compiti derivanti dal Codice dell’Ambiente.
Con ciò ritenendo ancora ridetta concentrazione di funzioni astrattamente possibile, se non addirittura preferibile. Ciò è talmente vero che nel prendere atto dell’avvenuto trasferimento di molte competenze in materia di VAS statale al neo istituito Ministero della transizione ecologica si è altresì previsto che la valutazione dell’impatto ambientale venga rilasciata dall’Autorità competente nell’ambito del procedimento autorizzatorio.
Come riportato a pag. 77 della relazione illustrativa del d.l. n. 77 del 2021, «si tratta di una importante semplificazione, tenuto conto che con l’istituzione del Ministero della transizione ecologica ai sensi dell’articolo 2 del decreto legge n. 22 del 2021, convertito con modificazioni, dalla legge n. 55 del 2021, le competenze in materia di autorizzazione di numerosi impianti sono state trasferite dal Ministero dello sviluppo economico al Ministero della transizione ecologica, di talché in questi casi la procedura autorizzativa e quella di valutazione di impatto ambientale, pur se esercitate da distinte Direzioni generali, fanno capo al medesimo Ministero».
36. Esula dalle questioni strettamente ambientali la ribadita violazione del termine di approvazione del PGT statuito all’art. 13 della l.r. n. 12 del 2005, pari a 90 giorni dalla scadenza del termine per le osservazioni stabiliti «a pena di inefficacia degli atti assunti» anche per l’adeguamento ai rilievi mossi dalla Provincia in ordine alla compatibilità con il PGTP ovvero, per il suo tramite, con la pianificazione ambientale.
Ammesso e non concesso, infatti, il richiamo alla inefficacia costituisca chiaro indice della perentorietà di termini che parrebbero piuttosto ispirati alla condivisibile esigenza acceleratoria dell’iter dei provvedimenti urbanistici (contra, v. Cons. Stato, sez. IV, 10.02.2017, n. 572, alle cui conclusioni il Collegio aderisce), nel caso di specie correttamente il primo giudice ha evidenziato la inconferenza del richiamo normativo stante la peculiarità del procedimento in controversia.
Nelle interlocuzioni collaborative intercorse tra le due amministrazioni coinvolte, infatti (comune e provincia di Lodi) il primo ha inteso suggerire modifiche al secondo, anziché adeguarsi. Al che consegue che l’armonizzazione tra i vari livelli di pianificazione territoriale è stata comunque realizzata ma addivenendo ad un diverso punto di incontro che di fatto ha consentito di superare i rilievi originari. Correttamente, dunque, «ritenere che il piano adottato debba decadere per poi essere nuovamente deliberato dopo l’approvazione della variante del PTCP» si porrebbe in contrasto proprio con la richiamata esigenza di celere formazione dello strumento urbanistico comunale (Consiglio di Stato, Sez. II, sentenza 01.09.2021 n. 6152 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

2020

URBANISTICA: VAS come passaggio endoprocedimentale del procedimento di pianificazione.
Secondo consolidati principi giurisprudenziali, l'art. 11 del codice dell'ambiente d.lgs. n. 152/2006 costruisce la V.A.S. non già come un procedimento o sub-procedimento autonomo rispetto alla procedura di pianificazione, ma come un passaggio endoprocedimentale di esso, concretantesi nell'espressione di un “parere” che riflette la verifica di sostenibilità ambientale della pianificazione medesima, sicché, stante la sua natura endoprocedimentale, il relativo provvedimento non è immediatamente ed autonomamente impugnabile, prima della definizione del procedimento pianificatorio.
Per le stesse ragioni costituisce atto endoprocedimentale e non immediatamente lesivo quello con cui l’Amministrazione, a seguito di apposita verifica preliminare, stabilisce di escludere il progetto di pianificazione urbanistica o di una sua variante dall’assoggettamento a valutazione ambientale strategica.
In sostanza, ogni valutazione in merito al potenziale impatto ambientale della pianificazione urbanistica è destinato a trasfondersi, e a rimanere assorbito, nella pianificazione medesima, sicché soltanto gli atti con cui è definitivamente approvata quest’ultima possono dispiegare concreti effetti lesivi nei confronti dei soggetti direttamente incisi dalla pianificazione, che, pertanto, soltanto nei confronti di detti atti conclusivi della pianificazione hanno titolo ed interesse a dolersi in sede giurisdizionale
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E’ oggetto del presente giudizio il provvedimento con cui l’amministrazione comunale di Gargnano, ha stabilito di non assoggettare alla valutazione ambientale strategica (VAS) e di escludere dalla valutazione di incidenza (VIC) la terza variante al vigente PGT.
1. Costituendosi in giudizio, la difesa comunale ha eccepito preliminarmente l’inammissibilità del ricorso per carenza di interesse, in considerazione della natura meramente endoprocedimentale dell’atto impugnato, privo come tale di effetti immediatamente lesivi per la parte ricorrente.
L’eccezione, osserva il Collegio, è fondata e assorbente.
1.1. Secondo consolidati principi giurisprudenziali, l'art. 11 del codice dell'ambiente d.lgs. n. 152/2006 costruisce la V.A.S. non già come un procedimento o sub-procedimento autonomo rispetto alla procedura di pianificazione, ma come un passaggio endoprocedimentale di esso, concretantesi nell'espressione di un “parere” che riflette la verifica di sostenibilità ambientale della pianificazione medesima, sicché, stante la sua natura endoprocedimentale, il relativo provvedimento non è immediatamente ed autonomamente impugnabile, prima della definizione del procedimento pianificatorio (TAR Genova, sez. I, 26/02/2014, n. 359; TAR Milano, sez. II, 09/05/2013, n. 1203; TAR Napoli, sez. VIII, 19/12/2012, n. 5256; TAR Ancona, sez. I, 22/06/2012, n. 444; Consiglio di Stato, sez. IV, 14/07/2014, n. 3645).
Per le stesse ragioni costituisce atto endoprocedimentale e non immediatamente lesivo quello con cui l’Amministrazione, a seguito di apposita verifica preliminare, stabilisce di escludere il progetto di pianificazione urbanistica o di una sua variante dall’assoggettamento a valutazione ambientale strategica.
In sostanza, ogni valutazione in merito al potenziale impatto ambientale della pianificazione urbanistica è destinato a trasfondersi, e a rimanere assorbito, nella pianificazione medesima, sicché soltanto gli atti con cui è definitivamente approvata quest’ultima possono dispiegare concreti effetti lesivi nei confronti dei soggetti direttamente incisi dalla pianificazione, che, pertanto, soltanto nei confronti di detti atti conclusivi della pianificazione hanno titolo ed interesse a dolersi in sede giurisdizionale (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 28.12.2020 n. 923 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI - URBANISTICA: VIA, VAS E AIA – V.A.S. (valutazione ambientale strategica) – Tempo dell’adozione – Necessità di valutazione anteriormente all’approvazione del piano o programma e durante la fase di predisposizione di questi strumenti – Sussiste.
La V.A.S. (valutazione ambientale strategica), secondo le disposizioni del d.lgs. 03.04.2006 n. 152, deve essere avviata dall’autorità procedente assieme o parallelamente al processo di formazione del piano o programma e conclusa prima dell’approvazione.
L’art. 11, commi 3-4-5, del d.lgs. 03.04.2006 n. 152 (e l’art. 10, comma 1, della legge della Regione Puglia 14.12.2012 n. 44) stabiliscono che la fase di valutazione è effettuata anteriormente all’approvazione del piano o del programma e durante la fase di predisposizione di questi strumenti, costituendone una parte integrante del procedimento, senza inutili duplicazioni.

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VIA, VAS E AIA – V.A.S. – Piani urbanistici ed edilizi – Ricompresione nel procedimento di adozione e di approvazione del piano urbanistico o di loro varianti – Necessità – Sussiste.
L’art. 5, comma 8, ultima parte, del decreto-legge 13.05.2011 n. 70, convertito, con modificazioni, nella legge 12.07.2011 n. 106 (nel modificare l’art. 16 della legge urbanistica del 17.08.1942 n. 1150) ha previsto che i procedimenti amministrativi di valutazione ambientale strategica sono ricompresi nel procedimento di adozione e di approvazione del piano urbanistico o di loro varianti.
L’art. 11, comma 3, del d.lgs. 03.04.2006 n. 152 (come modificato dall’art. 2, comma 9, d.lgs. 29.06.2010 n. 128) ha specificato che la fase di valutazione della V.A.S. è effettuata prima dell’approvazione del piano, comunque durante la predisposizione, in quanto gli impatti significativi sull’ambiente vanno presi in considerazione ex ante.

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VIA, VAS E AIA – Procedimento di V.A.S. – Distinzione tra il c.d. documento di screening, che verifica l’assoggettabilità a V.A.S., ossia il fatto che un piano o un programma ricada nell’ambito giuridico per il quale è prevista la V.A.S., e il c.d. documento di scoping, che invece definisce l’ambito delle indagini necessarie per la successiva valutazione.
L’art. 11, comma 1, del d.lgs. 03.04.2006 n. 152 prevede che la V.A.S. venga avviata dall’autorità procedente contestualmente al processo di formazione del piano o programma e comprende, tra l’altro:
   a) lo svolgimento di una verifica di assoggettabilità (c.d. documento di screening);
   b) l’elaborazione del rapporto ambientale (c.d. documento di scoping).
In dettaglio, lo screening verifica il fatto che un piano o programma ricada nell’ambito giuridico per il quale è prevista la V.A.S. Lo scoping definisce l’ambito delle indagini necessarie per la valutazione.

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VIA, VAS E AIA – V.A.S. e documenti preliminari in relazione a successive modifiche a piani e programmi, ovvero a strumenti attuativi di piani o programmi, già positivamente sottoposti alla verifica di assoggettabilità, ai sensi dell’art. 12, comma 6, d.lgs. 03.04.2006 n. 152 (come modificato dall’art. 2, comma 10, d.lgs. 29.06.2010 n. 128) – Considerazione limitata ai soli effetti significativi sull’ambiente, che non siano stati già presi in esame da altri precedenti strumenti urbanistici, senza aggravare il procedimento – Necessità – Sussiste.
La verifica di assoggettabilità a V.A.S., ovvero la V.A.S. relative a modifiche a piani e programmi, ovvero a strumenti attuativi di piani o programmi, già positivamente sottoposti alla verifica di assoggettabilità, ai sensi dell’art. 12, comma 6, d.lgs. 03.04.2006 n. 152 (come modificato dall’art. 2, comma 10, d.lgs. 29.06.2010 n. 128), si limita a considerare i soli effetti significativi sull’ambiente, che non siano stati già considerati da altri strumenti urbanistici, senza aggravare il procedimento (TAR Puglia-Bari, Sez. II, sentenza 22.12.2020 n. 1677 - link a www.ambientediritto.it).

URBANISTICA: Autorità "procedente" e "competente" in materia di VAS.
Il TAR Brescia afferma l’illegittimità del procedimento di VAS correlato alla redazione di un P.G.T., con conseguente illegittimità derivata di quest’ultimo, per violazione della direttiva 2001/42/CE, degli artt. 5 e 7, commi 6 e 7, del d.lgs. n. 152 del 2006 e dell’art. 4 della l.r. n. 12/2005; ciò in quanto l’Autorità “procedente” e l’Autorità “competente” per la VAS sono state individuate all’interno della stessa amministrazione comunale nelle persone di due funzionari dello stesso Ufficio Tecnico, il primo dei quali superiore gerarchico del secondo e osserva al riguardo quanto segue:
   «È noto che il d.lgs. n. 152/2006 (artt. 7 e ss.) e la l.r. Lombardia n. 12/2005 (art. 4) ripartiscono le competenze in materia di valutazione ambientale strategica, e cioè di valutazione degli effetti provocati sull’ambiente da determinati piani e programmi, tra l’autorità “competente” e l’autorità “procedente”: è autorità “competente” la pubblica amministrazione cui compete “l'elaborazione del parere motivato [di impatto ambientale], nel caso di valutazione di piani e programmi” (art. 5, comma 1, lett. p), d.lgs. 152/2006); è autorità “procedente” la pubblica amministrazione “che elabora il piano, programma” soggetto a valutazione di impatto ambientale, ovvero quella “che recepisce, adotta o approva il piano, programma” (art. 5, comma 1, lett. q), d.lgs. 152/2006).
   Tra i requisiti dell’autorità “competente”, l’art. comma 3-ter della l.r. Lombardia n. 12/2005 individua, in particolare, quello della “separazione rispetto all'autorità procedente” e quello del possesso di un “adeguato grado di autonomia”, pur prevedendo, peraltro, che la medesima autorità è “individuata prioritariamente all'interno dell'ente di cui al comma 3-bis”, cioè all’interno dell’autorità “procedente”.
   Sulla scorta di tali disposizioni, è orientamento giurisprudenziale consolidato quello secondo cui “L'autorità competente alla v.a.s. non deve essere necessariamente individuata in una p.a. diversa da quella avente qualità di autorità procedente, anche nel caso in cui quest'ultima consista in un ente locale di ridotte dimensioni con un limitato numero di funzionari a disposizione”, e ciò in quanto le funzioni delle due autorità non sono in rapporto di contrapposizione o di controllo; la distinzione ha invece la finalità di assicurare che, attraverso la collaborazione o lo scambio di informazioni, entrino nella valutazione ambientale tutti gli apporti tecnici necessari.
   Questa impostazione può ritenersi oggi codificata nel sopra citato art. 4, comma 3-ter, della l.reg. Lombardia n. 12/2005, che prevede “in via prioritaria” la concentrazione delle due autorità nello stesso ente; previsione in cui non si ravvisano profili di contrasto con la normativa nazionale e con le direttive comunitarie, dal momento che la separazione che garantisce l'autonomia dell'autorità competente è quella funzionale, la quale a sua volta deriva dal possesso di una particolare qualificazione tecnico-professionale, che sia esercitabile secondo le regole tecniche della pianificazione, senza interferenze di altra natura.
   Peraltro, secondo principi giurisprudenziali altrettanto consolidati e già condivisi da questo TAR, “Condizione perché la scelta dell'autorità competente non violi i canoni comunitari è che tra l'autorità competente e l'autorità procedente, anche se appartenenti alla stessa Amministrazione, sussista un adeguato grado di autonomia”».
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(nel caso di specie sono stati designati quali autorità competente e autorità procedente in materia di VAS due funzionari incardinati entrambi all'interno dell’Ufficio Tecnico comunale, dei quali l’uno, designato quale autorità competente posto in “rapporto gerarchico di dipendenza” (come da organigramma comunale) rispetto all'altro, designato quale autorità procedente, il che esclude, per il TAR, di per sé la sussistenza dell'adeguato grado di autonomia dell’autorità competente rispetto all'autorità procedente preteso dalla normativa regionale e dalla consolidata giurisprudenza amministrativa quale condizione di legittimità della individuazione delle due autorità in questione all'interno della stessa pubblica amministrazione
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 01.09.2020 n. 628 - - commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
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SENTENZA
1. Con ricorso notificato in data 08-13.11.2013 e ritualmente depositato, i ricorrenti, premesso di essere concessionari di distinti diritti di superficie sul tratto intubato della Roggia Borgogna esistente all’interno del centro abitato di Villa di Serio (Bg), in forza di concessioni ottenute dal Consorzio di Bonifica della Media Pianura Bergamasca, ente gestore della Roggia, e di utilizzare le porzioni di aree ottenute in concessione quali pertinenze delle proprie abitazioni, hanno impugnato la deliberazione n. 7 del 13.06.2013, pubblicata sull’albo pretorio comunale il 19.07.2013, con cui il consiglio comunale di Villa di Serio ha approvato definitivamente il Piano di Governo del Territorio, e ne hanno chiesto l’annullamento nella parte in cui ha previsto la trasformazione del sedime della Roggia Borgogna tubata in un percorso ciclopedonale.
2. Il ricorso è stato affidato a quattro motivi, con cui sono stati dedotti vizi di violazione di legge e di eccesso di potere sotto plurimi profili; in particolare:
2.1.) con il primo motivo, i ricorrenti hanno dedotto l’illegittimità derivata dell’impugnato P.G.T. a causa dell’asserita illegittimità del procedimento di V.A.S. ad esso correlato, in ragione del fatto che l’Autorità “procedente” e l’Autorità “competente” per la redazione della V.A.S. sarebbero state individuate all’interno della stessa amministrazione comunale nelle persone di due funzionari dello stesso Ufficio, uno dei quali posto in posizione di dipendenza gerarchica dall’altro, in tal modo determinando una inammissibile commistione tra il ruolo di controllore e quello di controllato all’interno dello stesso ente pubblico;
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1. Con il primo motivo, come detto, i ricorrenti hanno dedotto l’illegittimità del procedimento di V.A.S. correlato alla redazione del nuovo P.G.T., con conseguente illegittimità derivata di quest’ultimo, per violazione della direttiva 2001/42/CE, degli artt. 5 e 7 commi 6 e 7 del d.lgs. n. 152 del 2006 e dell’art. 4 della l.r. n. 12/2005; ciò in quanto l’Autorità “procedente” e l’Autorità “competente” per la V.A..S sarebbero state individuate all’interno della stessa amministrazione comunale nelle persone di due funzionari dello stesso Ufficio Tecnico, l’arch. Si.Ce. quale Autorità “procedente” e la dott.ssa Li.Pe. quale Autorità “competente”, il primo dei quali superiore gerarchico del secondo, in tal modo “realizzando la confusione del ruolo di controllore con quello di controllato all’interno dello stesso ente pubblico”; una diversa interpretazione, secondo i ricorrenti, imporrebbe il rinvio alla Corte di Giustizia Europea della questione pregiudiziale circa la compatibilità con la direttiva comunitaria della normativa interna statale e regionale che consentono di individuare l’autorità competente in una persona fisica incardinata nell’autorità procedente.
La censura, osserva il collegio, è fondata e assorbente.
2. E’ noto che il d.lgs. n. 152/2006 (artt. 7 e ss.) e la l.r. Lombardia n. 12/2005 (art. 4) ripartiscono le competenze in materia di valutazione ambientale strategica, e cioè di valutazione degli effetti provocati sull’ambiente da determinati piani e programmi, tra l’autorità “competente” e l’autorità “procedente”: è autorità “competente” la pubblica amministrazione cui compete “l'elaborazione del parere motivato [di impatto ambientale], nel caso di valutazione di piani e programmi” (art. 5, comma 1, lett. p), d.lgs. 152/2006); è autorità “procedente” la pubblica amministrazione “che elabora il piano, programma” soggetto a valutazione di impatto ambientale, ovvero quella “che recepisce, adotta o approva il piano, programma” (art. 5, comma 1, lett. q), d.lgs. 152/2006).
Tra i requisiti dell’autorità “competente”, l’art. comma 3-ter della l.r. Lombardia n. 12/2005 individua, in particolare, quello della “separazione rispetto all'autorità procedente” e quello del possesso di un “adeguato grado di autonomia”, pur prevedendo, peraltro, che la medesima autorità è “individuata prioritariamente all'interno dell'ente di cui al comma 3-bis”, cioè all’interno dell’autorità “procedente”.
3. Sulla scorta di tali disposizioni, è orientamento giurisprudenziale consolidato quello secondo cui “L'autorità competente alla v.a.s. non deve essere necessariamente individuata in una p.a. diversa da quella avente qualità di autorità procedente, anche nel caso in cui quest'ultima consista in un ente locale di ridotte dimensioni con un limitato numero di funzionari a disposizione” (Consiglio di Stato, sez. IV, 17/09/2012, n. 4926; TAR Brescia, sez. I, 12/01/2016, n. 24; TAR Milano, sez. II, 05/03/2019, n. 461), e ciò in quanto le funzioni delle due autorità non sono in rapporto di contrapposizione o di controllo; la distinzione ha invece la finalità di assicurare che, attraverso la collaborazione o lo scambio di informazioni, entrino nella valutazione ambientale tutti gli apporti tecnici necessari.
4. Questa impostazione può ritenersi oggi codificata nel sopra citato art. 4, comma 3-ter, della l.reg. Lombardia n. 12/2005, che prevede “in via prioritaria” la concentrazione delle due autorità nello stesso ente; previsione in cui non si ravvisano profili di contrasto con la normativa nazionale e con le direttive comunitarie, dal momento che la separazione che garantisce l'autonomia dell'autorità competente è quella funzionale, la quale a sua volta deriva dal possesso di una particolare qualificazione tecnico-professionale, che sia esercitabile secondo le regole tecniche della pianificazione, senza interferenze di altra natura.
5. Peraltro, secondo principi giurisprudenziali altrettanto consolidati e già condivisi da questo TAR, “Condizione perché la scelta dell'autorità competente non violi i canoni comunitari è che tra l'autorità competente e l'autorità procedente, anche se appartenenti alla stessa Amministrazione, sussista un adeguato grado di autonomia” (TAR Brescia, sez. I, 12.12.2019, n. 1066; TAR Brescia, sez. I, 27.06.2018, n. 625).
6. Nel caso di specie, come emerge dalla documentazione prodotta in giudizio dalla parte ricorrente (doc. n. 8 prodotto in data 24.06.2020, da ritenersi ammissibile benché formalmente tardivo perché prodotto in replica a specifiche deduzioni contenute nella memoria di replica della difesa comunale), sono stati designati quali autorità competente e autorità procedente in materia di v.a.s. due funzionari incardinati entrambi all’interno dell’Ufficio Tecnico comunale, dei quali l’uno, la dott.ssa Li.Pe. -designata quale autorità competente nella sua qualità di “referente” dell’”Ufficio Urbanistica, lavori pubblici e politiche ambientali”- posta in “rapporto gerarchico di dipendenza” rispetto all’altro, l’arch. Si.Ce., designato quale autorità procedente nella sua qualità qualità di responsabile dell’intero “Settore IV - Gestione del territorio, lavori pubblici e ambiente”, all’interno del quale era ricompreso l’Ufficio di appartenenza della dott.ssa Pe..
7. L’esistenza tra i due uffici di un “rapporto gerarchico di dipendenza”, indicato espressamente nell’organigramma comunale prodotto in giudizio dalla parte ricorrente (cfr. “legenda” del doc. n. 8), esclude di per sé la sussistenza di quell’“adeguato grado di autonomia” dell’autorità competente rispetto all’autorità procedente preteso dalla normativa regionale e dalla consolidata giurisprudenza amministrativa quale condizione di legittimità della individuazione delle due autorità in questione all’interno della stessa pubblica amministrazione.
8. Alla luce di tali considerazioni, il motivo di ricorso qui in esame è fondato e va accolto, con conseguente annullamento del P.G.T. impugnato limitatamente alla parte oggetto di impugnazione da parte dei ricorrenti, ossia quella in cui è stata prevista la trasformazione del sedime della Roggia Borgogna tubata in un percorso ciclopedonale.
9. Restano assorbiti gli ulteriori motivi.

URBANISTICA: Secondo una consolidata giurisprudenza, le censure inerenti al procedimento di valutazione ambientale strategica (V.A.S.) sono ammissibili nei limiti in cui la parte istante specifichi quale concreta lesione alla sua proprietà sia derivata dall’inosservanza delle norme sul procedimento, essendo pertanto inammissibile una doglianza meramente “strumentale”, visto che il generico interesse ad un nuovo esercizio del potere pianificatorio dell’Amministrazione è insufficiente a distinguere la posizione del ricorrente da quella del quisque de populo.
In ogni caso, i ricorrenti non perseguono l’interesse a conseguire una più attenta valutazione e, quindi, una più intensa tutela dei valori ambientali, che costituisce l’obiettivo proprio della V.A.S., bensì quello di ottenere, in occasione di una, futura ed eventuale, rinnovata pianificazione, l’assunzione rispetto al terreno di loro proprietà di scelte meno conservative nei confronti di quegli stessi valori.
Anche sotto questo profilo, quindi, non risulta dimostrata l’incidenza del vizio prospettato rispetto all’interesse azionato nel ricorso.
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6. Con la quinta censura si evidenzia che la modifica della destinazione dell’area dei ricorrenti in fase di approvazione del P.G.T., rispetto a quanto stabilito in sede di adozione, rende del tutto incoerente la procedura di V.A.S. svolta sia dall’Autorità competente che procedente, non essendosi potuto considerare in tal modo gli effetti di tale (modificata) scelta sull’ambiente, a prescindere dal relativo esito.
6.1. La doglianza, ai limiti dell’ammissibilità, è infondata.
Va premesso che, secondo una consolidata giurisprudenza, le censure inerenti al procedimento di valutazione ambientale strategica (V.A.S.) sono ammissibili nei limiti in cui la parte istante specifichi quale concreta lesione alla sua proprietà sia derivata dall’inosservanza delle norme sul procedimento, essendo pertanto inammissibile una doglianza meramente “strumentale”, visto che il generico interesse ad un nuovo esercizio del potere pianificatorio dell’Amministrazione è insufficiente a distinguere la posizione del ricorrente da quella del quisque de populo (cfr., in termini, TAR Lombardia, Milano, II, 04.04.2019, n. 451; 26.11.2018, n. 2676; 15.12.2017, n. 2394; 26.05.2016, n. 1097).
In ogni caso, i ricorrenti non perseguono l’interesse a conseguire una più attenta valutazione e, quindi, una più intensa tutela dei valori ambientali, che costituisce l’obiettivo proprio della V.A.S., bensì quello di ottenere, in occasione di una, futura ed eventuale, rinnovata pianificazione, l’assunzione rispetto al terreno di loro proprietà di scelte meno conservative nei confronti di quegli stessi valori. Anche sotto questo profilo, quindi, non risulta dimostrata l’incidenza del vizio prospettato rispetto all’interesse azionato nel ricorso (TAR Lombardia, Milano, II, 26.11.2018, n. 2676; 15.12.2017, n. 2394; 14.01.2016, n. 81).
6.2. Di conseguenza, anche la predetta censura va respinta (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 07.07.2020 n. 1291 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICAChi lamenta l’illegittimità della procedura di VAS è tenuto a dimostrare che dagli esiti di tale procedura sia derivata l’assunzione di scelte pianificatorie lesive del proprio interesse.
L’interesse a impugnare lo strumento pianificatorio non può infatti esaurirsi nella generica aspettativa a una migliore pianificazione dei suoli di propria spettanza, richiedendosi, invece che le ‘determinazioni lesive’ fondanti l’interesse a ricorrere siano effettivamente ‘condizionate’, ossia causalmente riconducibili in modo decisivo, alle preliminari conclusioni raggiunte in sede di V.A.S., con la conseguenza che l’istante ha l’onere di precisare come e perché tali conclusioni nella specie abbiano svolto un tale ruolo decisivo sulle opzioni relative ai suoli in sua proprietà.

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2. Con i primi due motivi, da trattarsi congiuntamente per la loro connessione, i ricorrenti deducono violazione dell’art. 4 L.R. Lombardia n. 12/2005, per omissioni nella nomina dell’autorità procedente nel procedimento di Valutazione Ambientale Strategica (VAS) e altre irregolarità del medesimo procedimento, nonché vizio di incompetenza poiché la Giunta comunale avrebbe partecipato alla procedura di VAS senza che le fosse conferita tale potestà.
Come eccepito dal Comune resistente, i motivi sono inammissibili.
Non è stato allegato né dimostrato dai ricorrenti se e in quale misura le doglianze relative alla fase di VAS incidano sul “regime” riservato ai suoli di loro proprietà.
Sul punto, la giurisprudenza amministrativa ha da tempo chiarito che “chi lamenta l’illegittimità della procedura di VAS è tenuto a dimostrare che dagli esiti di tale procedura sia derivata l’assunzione di scelte pianificatorie lesive del proprio interesse. L’interesse a impugnare lo strumento pianificatorio non può infatti esaurirsi nella generica aspettativa a una migliore pianificazione dei suoli di propria spettanza, richiedendosi, invece che le ‘determinazioni lesive’ fondanti l’interesse a ricorrere siano effettivamente ‘condizionate’, ossia causalmente riconducibili in modo decisivo, alle preliminari conclusioni raggiunte in sede di V.A.S., con la conseguenza che l’istante ha l’onere di precisare come e perché tali conclusioni nella specie abbiano svolto un tale ruolo decisivo sulle opzioni relative ai suoli in sua proprietà” (cfr., ex plurimis, Cons. Stato, Sez. IV, 12.01.2011, n. 133; TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 15.11.2016 n. 2140) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 23.04.2020 n. 675 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).

URBANISTICAL’art. 5, comma 1, lett. p) e q), dlgs 152/2006 distingue tra “autorità competente” ai fini della verifica ambientale strategica e “autorità procedente” ai fini della redazione del piano o del programma; è “autorità competente” in materia di v.a.s “la pubblica amministrazione cui compete l’elaborazione del parere motivato nel caso di valutazione di piani o programmi”; è “autorità procedente” “la pubblica amministrazione che elabora il piano, programma soggetto alle disposizioni del presente decreto”.
La norma individua due organi distinti, ma non esclude che possano essere incardinati all’interno della stessa amministrazione.
Al riguardo, la giurisprudenza amministrativa è ormai concorde nel ritenere che “l’autorità competente alla v.a.s. non debba essere necessariamente individuata in una p.a. diversa da quella avente qualità di autorità procedente; se dalle definizioni di cui all’art. 5 del d.lgs. n. 152 del 2006 risulta infatti chiaro che entrambe le autorità de quibus sono sempre amministrazioni pubbliche, in nessuna definizione del t.u. ambientale si trova affermato in maniera esplicita che debba necessariamente trattarsi di amministrazioni diverse o separate (e che, pertanto, sia precluso individuare l’autorità competente in diverso organo o articolazione della stessa amministrazione procedente”.
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1. Con il primo motivo, il ricorrente ha lamentato che la Valutazione Ambientale Strategica connessa all’approvazione del PGT sia stata affidata, quale “Autorità competente per la VAS”, allo stesso soggetto individuato come “Autorità procedente per la redazione del PGT”, ossia all’arch. Vo., responsabile dell’Area Gestione Territorio del Comune di Calcio nonché responsabile del procedimento di adozione del PGT; e ciò in violazione della normativa speciale in materia di Valutazione Ambientale Strategica -in particolare, D.Lgs. n. 152/2006, art. 5, comma 1, lett. d), art. 7, comma 6, art. 11, comma 2, art. 12, comma 4; e D.Lgs. n. 4/2008, art. 5, comma 1, lett. p) q)- la quale impone di tenere distinte le due figure, a garanzia di terzietà e di imparzialità delle valutazioni ambientali, e di affidare il ruolo di Autorità competente in materia di VAS a soggetti con specifiche competenze ambientali, nel caso di specie insussistenti in capo all’arch. Vo.; illegittimo sarebbe altresì l’aver individuato come Autorità procedente il sindaco, atteso che il Comune di Calcio ha una popolazione superiore a 5.000 abitanti.
La censura è infondata.
1.1. L’art. 5, comma 1, lett. p) e q), distingue tra “autorità competente” ai fini della verifica ambientale strategica e “autorità procedente” ai fini della redazione del piano o del programma; è “autorità competente” in materia di v.a.s “la pubblica amministrazione cui compete l’elaborazione del parere motivato nel caso di valutazione di piani o programmi”; è “autorità procedente” “la pubblica amministrazione che elabora il piano, programma soggetto alle disposizioni del presente decreto”.
La norma individua due organi distinti, ma non esclude che possano essere incardinati all’interno della stessa amministrazione.
Al riguardo, la giurisprudenza amministrativa è ormai concorde nel ritenere che “l’autorità competente alla v.a.s. non debba essere necessariamente individuata in una p.a. diversa da quella avente qualità di autorità procedente; se dalle definizioni di cui all’art. 5 del d.lgs. n. 152 del 2006 risulta infatti chiaro che entrambe le autorità de quibus sono sempre amministrazioni pubbliche, in nessuna definizione del t.u. ambientale si trova affermato in maniera esplicita che debba necessariamente trattarsi di amministrazioni diverse o separate (e che, pertanto, sia precluso individuare l’autorità competente in diverso organo o articolazione della stessa amministrazione procedente” (TAR Milano, sez. II, 13/05/2019, n. 1065; TAR Brescia, sez. I, 12/01/2016, n. 24) TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 30.03.2020 n. 255 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).

URBANISTICA: La giurisprudenza è oramai univoca nel ritenere che l’Autorità competente per la VAS possa essere un organo o una articolazione interna della Autorità procedente, purché dotata di sufficiente autonomia decisionale.
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Quanto al quarto motivo di impugnazione, la giurisprudenza è oramai univoca nel ritenere che l’Autorità competente per la VAS possa essere un organo o una articolazione interna della Autorità procedente, purché dotata di sufficiente autonomia decisionale (cfr., della Sezione sentenza n. 24/2016; nello stesso senso, TAR Lombardia–Milano, Sez. II, sentenza n. 461/2019).
Ora, è ben vero che come Autorità competente per la VAS è stato nominato il Responsabile dell’Area Urbanistica del Comune, ma è altrettanto vero che la redazione materiale degli elaborati è stata affidata a professionisti esterni, e che l’Autorità procedente è il Consiglio comunale che ha prima adottato e poi approvato il PGT, con la conseguenza che risulta rispettata la dicotomia fra i centri decisionali, anche se appartenenti al medesimo Ente locale (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 30.03.2020 n. 253 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: VAS nel procedimento di approvazione del PTCP.
Con riferimento alla VAS nel procedimento di approvazione del PTCP, l’obbligo di ripetere la VAS medesima può ragionevolmente prospettarsi solo a fronte di modificazioni apportate allo strumento tali da determinare un maggior impatto sull’ambiente delle scelte di piano, mentre nessuna necessità di ripetere la procedura valutativa può ravvisarsi laddove, in sede di approvazione, si introducano misure finalizzate a incrementare le misure di tutela ambientale previste nel piano (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 10.02.2020 n. 285 - commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
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2. Il secondo motivo di ricorso, rivolto nei confronti della VAS, è infondato.
In merito la giurisprudenza è ferma nel sostenere che la procedura di VAS costituisce non già un procedimento o sub-procedimento autonomo rispetto alla procedura di pianificazione, ma un passaggio endoprocedimentale di esso, concretantesi nell'espressione di un “parere” che riflette la verifica di sostenibilità ambientale della pianificazione medesima (cfr. fra le tante TAR Liguria, sez. I, 26.02.2014, n, 359).
Con riferimento alla VAS del PTCP impugnato la giurisprudenza (TAR Lombardia, Milano, sez. II, 08/10/2014 n. 2422; idem Cons. Stato, IV, 02/09/2019 n. 6051) ha poi già chiarito che “l’obbligo di ripetere la VAS può ragionevolmente prospettarsi solo a fronte di modificazioni apportate allo strumento tali da determinare un maggior impatto sull’ambiente delle scelte di piano, mentre nessuna necessità di ripetere la procedura valutativa può ravvisarsi laddove, in sede di approvazione, si introducano misure finalizzate a incrementare le misure di tutela ambientale previste nel piano”.
Poiché le modifiche al piano adottato (modifiche che, giova ricordare, hanno un carattere fisiologico nell’ambito di un procedimento amministrativo di pianificazione che distingue la fase dell’adozione da quella successiva e definitiva dell’approvazione), sono state introdotte a seguito del parere reso dalla Giunta regionale della Lombardia con deliberazione n. IX/3398 del 09.05.2012, ai sensi dell’articolo 17 della legge regionale n. 12 del 2005, in forza del quale (cfr. il comma 7), la Giunta Regionale verifica la conformità a legge del PTCP e la sua compatibilità con gli atti di programmazione e pianificazione regionale (cfr. per il testo della delibera regionale, il doc. 4 del ricorrente), al fine di incrementare le misure di tutela ambientale previste nel piano, deve escludersi che nel caso di specie fosse necessario ripetere la VAS.

2018

URBANISTICALa fase della VAS non deve più necessariamente precedere la fase di adozione del programma o piano urbanistico, ma può ora svilupparsi all’interno del medesimo procedimento con l’unico vincolo che essa si concluda prima del provvedimento finale di approvazione del piano.
Il quadro normativo è chiaro nello stabilire quindi lo svolgimento contemporaneo della VAS e della fase preparatoria del piano urbanistico ad essa soggetto, senza però stabilire l’anteriorità temporale della VAS. La normativa regionale stabilisce poi l’anteriorità della VAS rispetto all’adozione del piano.
Ciò corrisponde, per quanto riguarda i piani urbanistici, alla mutata concezione del procedimento programmatorio che, prima dell’intervento della disciplina comunitaria iniziava con l’atto di adozione, mentre grazie all’influsso della normativa di fonte europea si è oggi arricchito di una fase preparatoria caratterizzata dall’istruttoria pubblica e dalla determinazione dei profili ambientali che la programmazione urbanistica deve rispettare, in considerazione della preminenza del valore ambientale rispetto agli altri interessi sottesi all’azione programmatoria urbanistica, secondo uno schema che trova riconoscimento nella normativa europea ma trova valido appiglio anche nella Costituzione.
Se gli interessi antropici legati al territorio trovano evidenziazione nella fase preparatoria e possono trovare accoglimento nella fase decisoria, gli interessi ambientali vengono decisi con atto autonomo in una fase anteriore, coincidente temporalmente con la fase preparatoria del piano, e non possono più essere modificati nella fase decisoria del piano urbanistico.
L’anteriorità è quindi stabilita rispetto alla fase decisoria e non a quella preparatoria del piano.

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Come previsto infatti dalla disciplina regionale vigente, l'Autorità procedente va individuata all'interno dell'Ente tra coloro che hanno responsabilità nel procedimento di PGT, generalmente il Responsabile Unico di Procedimento, mentre l'Autorità competente per la VAS va individuata all'interno dell'Ente nel rispetto dei requisiti e delle modalità previste dall'allegato 1a alla DGR 9/761 del 10/11/2010.
Dalla normativa citata non risulta che la nomina debba essere indipendente dalla necessità di apertura di un procedimento, non essendo l’autorità competente per la VAS un’articolazione necessaria della struttura organizzativa dell’ente con competenze di carattere continuativo.
Infatti la procedura di VAS, avendo per oggetto «piani» e «programmi» che possono incidere in modo significativo sull'ambiente, è un’attività amministrativa la cui necessità sorge solo a seguito della decisione pianificatoria, con la conseguenza che è qualificabile quale competenza derivata.
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1. Il primo motivo di ricorso, relativo alla procedura di VAS è infondato.
1.1 La Valutazione di Ambientale Strategia di piani e programmi (VAS) trova il proprio fondamento nella Direttiva 2001/42/CEE, che ne ha delineato gli aspetti essenziali ed ha introdotto l’obbligo per gli Stati membri di provvedere al recepimento delle relative disposizioni.
La Regione Lombardia ha provveduto autonomamente a dare attuazione alla citata direttiva, prevedendo all’art. 4, comma 1, della L.R. 11.03.2005, n. 12, da ultimo modificato dalla LR n. 4 del 13.03.2012, che la Regione e gli enti locali, al fine di promuovere lo sviluppo sostenibile ed assicurare un elevato livello di protezione dell’ambiente debbano provvedere alla valutazione degli effetti sull’ambiente dei propri piani e programmi in materia urbanistica.
Successivamente lo Stato è intervenuto in materia con la modifica degli artt. 11 e ss. del d.lgs. n. 152/2005 ad opera del D.Lgs. 4/2008 e dell'art. 2, comma 9, d.lgs. n. 128 del 2010. Il quadro normativo si completa con la normativa regionale integrativa contenuta nella DGR n. 8/6420 del 27/12/2007, nella DGR 10971 del 30/12/2009 ed infine nella DGR n. 3836 del 25.07.2012.
Per quanto riguarda il rapporto tra VAS e piano assoggettato a valutazione profilo temporale l’art. 4, c. 2, della L.R. 12/2005 stabilisce che “La valutazione ambientale di cui al presente articolo è effettuata durante la fase preparatoria del piano o del programma ed anteriormente alla sua adozione o all’avvio della relativa procedura di approvazione”.
La norma è conforme all’art. 4 della Direttiva 2001/42/CEE, secondo il quale “1. La valutazione ambientale di cui all'articolo 3 deve essere effettuata durante la fase preparatoria del piano o del programma ed anteriormente alla sua adozione o all'avvio della relativa procedura legislativa” ed all’art. 11, c. 3, del D.Lgs. 152/2005, secondo il quale “La fase di valutazione è effettuata anteriormente all'approvazione del piano o del programma, ovvero all'avvio della relativa procedura legislativa, e comunque durante la fase di predisposizione dello stesso”.
Da ultimo l’art. 5, c. 8, del D.L. 13.05.2011 n. 70 conv. in L. 12.07.2011 n. 106, ha modificato l’art. 16 della L. n. 1140/1942 il quale ora dispone che: “Lo strumento attuativo di piani urbanistici già sottoposti a valutazione ambientale strategica non è sottoposto a valutazione ambientale strategica né a verifica di assoggettabilità qualora non comporti variante e lo strumento sovraordinato in sede di valutazione ambientale strategica definisca l’assetto localizzativo delle nuove previsioni e delle dotazioni territoriali, gli indici di edificabilità, gli usi ammessi e i contenuti piani volumetrici, tipologici e costruttivi degli interventi, dettando i limiti e le condizioni di sostenibilità ambientale delle trasformazioni previste. Nei casi in cui lo strumento attuativo di piani urbanistici comporti variante allo strumento sovraordinato, la valutazione ambientale strategica e la verifica di assoggettabilità sono comunque limitate agli aspetti che non sono stati oggetto di valutazione sui piani sovraordinati. I procedimenti amministrativi di valutazione ambientale strategica e di verifica di assoggettabilità sono ricompresi nel procedimento di adozione e di approvazione del piano urbanistico o di loro varianti non rientranti nelle fattispecie di cui al presente comma.”
In altri termini, la fase della VAS non deve più necessariamente precedere la fase di adozione del programma o piano urbanistico, ma può ora svilupparsi all’interno del medesimo procedimento con l’unico vincolo che essa si concluda prima del provvedimento finale di approvazione del piano (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 27.12.2012 n. 2017).
Il quadro normativo è chiaro nello stabilire quindi lo svolgimento contemporaneo della VAS e della fase preparatoria del piano urbanistico ad essa soggetto, senza però stabilire l’anteriorità temporale della VAS. La normativa regionale stabilisce poi l’anteriorità della VAS rispetto all’adozione del piano.
Ciò corrisponde, per quanto riguarda i piani urbanistici, alla mutata concezione del procedimento programmatorio che, prima dell’intervento della disciplina comunitaria iniziava con l’atto di adozione, mentre grazie all’influsso della normativa di fonte europea si è oggi arricchito di una fase preparatoria caratterizzata dall’istruttoria pubblica e dalla determinazione dei profili ambientali che la programmazione urbanistica deve rispettare, in considerazione della preminenza del valore ambientale rispetto agli altri interessi sottesi all’azione programmatoria urbanistica, secondo uno schema che trova riconoscimento nella normativa europea ma trova valido appiglio anche nella Costituzione.
Se gli interessi antropici legati al territorio trovano evidenziazione nella fase preparatoria e possono trovare accoglimento nella fase decisoria, gli interessi ambientali vengono decisi con atto autonomo in una fase anteriore, coincidente temporalmente con la fase preparatoria del piano, e non possono più essere modificati nella fase decisoria del piano urbanistico. L’anteriorità è quindi stabilita rispetto alla fase decisoria e non a quella preparatoria del piano.
1.2 Venendo al caso di specie il primo motivo è infondato nella parte in cui contesta la mancata individuazione dell’autorità competente con atto regolamentare indipendente dall’apertura del procedimento.
Come previsto infatti dalla disciplina regionale vigente, l'Autorità procedente va individuata all'interno dell'Ente tra coloro che hanno responsabilità nel procedimento di PGT, generalmente il Responsabile Unico di Procedimento, mentre l'Autorità competente per la VAS va individuata all'interno dell'Ente nel rispetto dei requisiti e delle modalità previste dall'allegato 1a alla DGR 9/761 del 10/11/2010.
Dalla normativa citata non risulta che la nomina debba essere indipendente dalla necessità di apertura di un procedimento, non essendo l’autorità competente per la VAS un’articolazione necessaria della struttura organizzativa dell’ente con competenze di carattere continuativo. Infatti la procedura di VAS, avendo per oggetto «piani» e «programmi» che possono incidere in modo significativo sull'ambiente, è un’attività amministrativa la cui necessità sorge solo a seguito della decisione pianificatoria, con la conseguenza che è qualificabile quale competenza derivata.
Per quanto riguarda, poi, i tempi di svolgimento della VAS, occorre premettere che la scansione temporale degli atti risulta specificata nel ricorso introduttivo, dal quale si desume che con delibera di Giunta n. 154 del 13.12.2011 l'Amministrazione resistente disponeva l'avvio del procedimento per la redazione della Variante generale degli atti di P.G.T., affidandone l'incarico al Dirigente dell'Area Governo del Territorio Arch. Lu.Fr..
Successivamente, con delibera di Giunta comunale n. 217 del 18.09.2012, l'Ente locale avviava la procedura di Valutazione Ambientale Strategica (V.A.S.) della Variante al Piano di Governo del Territorio, individuando quale autorità competente il Funzionario Responsabile del SUAP, nella persona del Sig. Gi.Sa..
Al provvedimento sopra specificato faceva quindi seguito la delibera n. 275 del 17.12.2013, con la quale la Giunta comunale individuava quale nuova autorità competente per il procedimento di V.A.S. l'Arch. Pi.Ca., Responsabile del Settore Lavori Pubblici e Ambiente.
Con delibera consiliare n. 4 del 06.02.2014 l'Amministrazione locale adottava infine la Variante generale degli atti di P.G.T., la quale è intervenuta anche sulla previsione riferita alla menzionata area di proprietà dalla società B. s.p.a..
E’ chiaro quindi che la VAS si è pienamente inserita nella fase preparatoria del piano ed è terminata prima dell’inizio della fase decisoria, con la conseguenza che il dettato normativo è stato pienamente rispettato.
D’altro canto, avendo la VAS per oggetto il piano urbanistico, non si può pretendere che inizi prima ancora che la fase di redazione del piano urbanistico abbia inizio.
Il motivo va quindi respinto (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 29.10.2018 n. 2433 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: Il Consiglio di stato, dopo avere evidenziato che la Valutazione ambientale strategica (Vas) non è configurata come un procedimento o un sub procedimento autonomo rispetto alla procedura di pianificazione, ha affermato che è legittima, e anzi quasi fisiologica l'evenienza che l'Autorità competente alla Valutazione ambientale strategica (Vas) sia identificata in un organo o ufficio interno alla stessa Autorità procedente.
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B.5 Il quinto motivo è infondato.
Il Tribunale regionale amministrativo (Tar) Lombardia, Milano, Sezione II, con la sentenza numero 188, del 27.01.2010, aveva riconosciuto al ricorrente portatore di un interesse strumentale all'impugnazione di uno strumento urbanistico al fine di una riedizione del potere amministrativo pianificatorio detto interesse strumentale. Detta decisione teneva presente il precedente pronunciamento del Consiglio di stato, sezione V, espresso con la sentenza del 15.11.2001, n. 5839.
Ora, il Consiglio di stato, sezione IV, con la sentenza del 12.01.2011, numero 133, dopo avere evidenziato che la Valutazione ambientale strategica (Vas) non è configurata come un procedimento o un sub procedimento autonomo rispetto alla procedura di pianificazione, ha affermato che è legittima, e anzi quasi fisiologica l'evenienza che l'Autorità competente alla Valutazione ambientale strategica (Vas) sia identificata in un organo o ufficio interno alla stessa Autorità procedente (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 27.09.2018 n. 2163 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

2016

URBANISTICA: VAS, escludibile una piccola area purché non superi il 5% della zona di competenza.
Secondo l'Avvocato generale della Corte Ue, non è compatibile con la Direttiva VAS la norma che rimanda soltanto alla superficie indicata nel piano per la definizione di piani e programmi che «determinano l’uso di piccole aree a livello locale».
Un piano o programma non determina più, ai sensi della direttiva VAS, l’uso di una piccola area qualora la zona interessata superi il parametro di riferimento del 5% della superficie relativa alla zona di competenza delle singole amministrazioni locali.
È quanto si legge nelle conclusioni 08.09.2016 causa C-444/15 dell'Avvocato generale della Corte di giustizia europea nella, avente ad oggetto una controversia su un intervento edilizio nella laguna di Venezia.
Pur essendo stata svolta una valutazione dell’incidenza conformemente alla direttiva Habitat, le autorità italiane stabilivano, nel quadro di un esame preliminare, l’assenza di necessità di una valutazione ambientale strategica a norma della direttiva 2001/42/CE in materia di VAS (Valutazione ambientale strategica), dal momento che il sito interessato riguardava solamente una piccola area a livello locale e l’intervento non avrebbe avuto possibili effetti significativi sull’ambiente. In un caso siffatto, la direttiva VAS non prevede l’obbligo di realizzare una valutazione ambientale strategica.
Italia Nostra ha affermato che il fatto che l’articolo 3, paragrafo 3, della direttiva VAS preveda l’esenzione da una valutazione ambientale strategica per piani e programmi che formano già oggetto di una valutazione dell’incidenza a norma della direttiva Habitat, non corrisponde al livello di tutela garantito.
L'Avvocato generale ha evidenziato che la qualifica di un piano o programma come misura atta a determinare l’uso di una piccola area a livello locale è soggetta a due condizioni: da un lato, l’uso di una piccola area e, dall’altro, la determinazione a livello locale.
 Una norma, la quale per la definizione di piani e programmi che «determinano l’uso di piccole aree a livello locale», rimandi soltanto alla superficie indicata nel piano, non risulta compatibile con l’articolo 3, paragrafo 3, della direttiva VAS. Poiché la misura controversa nel procedimento principale era stata emessa dalla città di Venezia, non si deve però escludere che si tratti di una misura a livello locale.
Il criterio per stabilire l’estensione dell’area può essere esclusivamente costituito dalla superficie della zona diretta interessata dal piano, a prescindere dagli effetti del progetto sull’ambiente. Si pone quindi la questione fino a quale estensione territoriale determinate aree debbano essere intese come «piccole». Il legislatore dell’Unione si è astenuto dal fissare una soglia specifica, compito che rientra nel potere discrezionale degli Stati membri. Detto potere è limitato soltanto dal confine estremo di ciò che, secondo una prospettiva di vita naturale, può essere ancora definita come «piccola» area.
Secondo l'Avvocato generale, quale parametro di riferimento è possibile considerare sostanzialmente tre aree: l’intero territorio dell’Unione, cosicché si possa determinare una «piccola» superficie specifica, valida per tutti gli Stati membri; la superficie dei singoli Stati membri e, infine, la superficie rientrante nella sfera di competenza delle singole amministrazioni locali.
In questo contesto emerge quale parametro di riferimento una superficie pari a una percentuale massima del 5% della zona di competenza delle singole amministrazioni locali come ciò che, secondo una prospettiva di vita naturale, può essere ancora intesa come «piccola» area. Tuttavia, nel caso di enti locali con estensione territoriale particolarmente grande, l’applicazione di questo parametro di riferimento non è di norma ammissibile.
In conclusione, per l'Avvocato generale l’applicazione dell’articolo 3, paragrafo 3, della direttiva 2001/42/CE presuppone, accanto all’uso di una piccola area, che il piano o il programma rientri nella sfera di competenza di un’autorità locale. Tale disposizione osta quindi a una norma che, nell’ambito della questione se un piano o un programma determini l’uso di una piccola area a livello locale, rimanda esclusivamente alla superficie della zona interessata dal piano.
Infine, un piano o programma non determina più, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 3, della direttiva 2001/42/CE, l’uso di una piccola area qualora la zona interessata superi il parametro di riferimento del 5% della superficie relativa alla zona di competenza delle singole amministrazioni locali (commento tratto da e link a www.casaeclima.com).
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MASSIMA
Conclusione.
Suggerisco pertanto alla Corte di rispondere alla domanda di pronuncia pregiudiziale nei seguenti termini:
1) L’esame della prima questione non ha rivelato alcun elemento atto a porre in discussione la validità dell’articolo 3, paragrafo 3, della direttiva 2001/42/CE concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull’ambiente.
2) L’applicazione dell’articolo 3, paragrafo 3, della direttiva 2001/42 presuppone, accanto all’uso di una piccola area, che il piano o il programma rientri nella sfera di competenza di un’autorità locale. Tale disposizione osta quindi a una norma che, nell’ambito della questione se un piano o un programma determini l’uso di una piccola area a livello locale, rimanda esclusivamente alla superficie della zona interessata dal piano.
3) Un piano o programma non determina più, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 3, della direttiva 2001/42, l’uso di una piccola area qualora la zona interessata superi il parametro di riferimento del 5 % della superficie relativa alla zona di competenza delle singole amministrazioni locali.

2013

URBANISTICA: Piani regolatori particolareggiati.
Domanda
Per i piani regolatori particolareggiati è necessaria la valutazione ambientale strategica (Vas).
Risposta
Nel settore ambientale, «piani» e «programmi» hanno lo scopo di enucleare la funzione programmatica dell'azione della Pubblica amministrazione. Con essi, la Pubblica amministrazione viene a organizzare una serie di condotte e di decisioni degli organi pubblici in modo coordinato e convergente.
L'articolo 3 della direttiva 2001/41/CE dispone che gli Stati membri, per «piani» e «programmi» che possono incidere in modo significativo sull'ambiente, devono sottoporre detti «piani» e «programmi» alla valutazione ambientale strategica (Vas).
L'articolo 3 della citata direttiva 2001/41/CE dispone al riguardo che, fatto salvo il paragrafo 3, «viene effettuata una valutazione ambientale per tutti i piani e i programmi che sono elaborati per i settori agricolo, forestale, della pesca, energetico, industriale, dei trasporti, della gestione dei rifiuti e delle acque, delle telecomunicazioni, turistico, della pianificazione territoriale o della destinazione dei suoli e che definiscono il quadro di riferimento per l'autorizzazione dei progetti elencati negli allegati I e II della direttiva 85/337/CEE o, per i quali, in considerazione dei possibili effetti sui siti, si ritiene necessaria una valutazione ai sensi degli articoli 6 o 7 della direttiva 92/43/CEE».
La Corte di Giustizia delle Comunità Europee, sezione IV, con la sentenza del 22.03.2012, (causa C-567/10) ha affermato che la nozione di «piani» e «programmi» previsti da disposizioni legislative, regolamentari o amministrative, di cui all'articolo 2, lettera a), della direttiva 2001/42/CE, si applica ai piani regolatori particolareggiati, per cui essi sono sottoposti alla valutazione ambientale strategica (Vas).
La valutazione ambientale strategica (Vas), per i citati Giudici, è, infatti, un processo a supporto dell'attività di gestione del territorio e delle connesse scelte di programmazione e di pianificazione e si radica con lo strumento del piano o del programma urbanistico-territoriale.
Essa, pertanto, per la suddetta Corte di giustizia delle Comunità europee, trova applicazione anche in caso di modifica o abrogazione, totale o parziale dello strumento di pianificazione: modifica o abrogazione che può comportare effetti significativi sull'ambiente, per cui è sempre necessaria una nuova valutazione ambientale strategica (Vas), che per la sua connotazione duttile e plasmabile si differenzia dalla valutazione di impatto ambientale (Via), che va riferita a singoli progetti per i quali è richiesto un approccio più circoscritto e unidirezionale (articolo ItaliaOggi Sette del 30.09.2013).

URBANISTICA: Le censure inerenti il procedimento di VAS sono ammissibili nei limiti in cui la parte istante specifichi quale concreta lesione alla sua proprietà sia derivata dall’inosservanza delle norme sul procedimento; in altri termini non deve trattarsi di una doglianza meramente “strumentale”, ma sostanziale, visto che il generico interesse ad un nuovo esercizio del potere pianificatorio dell’Amministrazione è insufficiente a distinguere la posizione del ricorrente da quella del quisque de populo.
Nel caso in cui, viceversa, si lamenti la totale omissione di tale incombente procedimentale, non è dato applicare il detto principio, proprio a cagione della circostanza che non può ipotizzarsi quale sarebbe stato l’approdo della Vas, e si oblierebbe la circostanza che un possibile parere del tutto negativo avrebbe potuto indurre l’Amministrazione a rinunciare alla variante, ovvero a rimodularla integralmente.
In materia, è d'uopo richiamare la più recente giurisprudenza della Sezione sui limiti alla configurabilità dell'interesse c.d. strumentale all'impugnazione di uno strumento urbanistico, nel senso che tale impugnazione deve pur sempre ancorarsi a specifici vizi ravvisati con riferimento alle determinazioni adottate dall'Amministrazione in ordine al regime dei suoli in proprietà del ricorrente, e non può fondarsi sul generico interesse a una migliore pianificazione del proprio suolo, che in quanto tale non si differenzia dall'eguale interesse che quisque de populo potrebbe nutrire.
In altri termini, l'utilità comunque rappresentata dal possibile vantaggio che astrattamente il ricorrente potrebbe ottenere per effetto della riedizione dell'attività amministrativa non è ex se indicativa della titolarità di una posizione di interesse giuridicamente qualificata e differenziata, idonea a legittimare la tutela giurisdizionale.
Analoghe considerazioni possono farsi per l'ulteriore utilità, costituita dalla "reviviscenza" del previgente e più favorevole P.R.G. che si avrebbe per effetto dell'annullamento giurisdizionale del P.G.T.: utilità la quale, oltre a essere anch'essa non indicativa dell'esistenza di un interesse giuridicamente tutelabile, quand'anche effettivamente sussistente sarebbe comunque provvisoria, essendo jus receptum che l'effetto immediato dell'annullamento di uno strumento urbanistico consiste nel dovere dell'Amministrazione di riesercitare la propria potestà di pianificazione del territorio.
Nella richiamata decisione della Quarta Sezione si è espressamente affermata la condivisione del principio per cui "laddove la VAS si concluda con un giudizio positivo (o positivo condizionato) il soggetto che subisca determinazioni lesive della sua sfera giuridica discendenti dall'accettazione (piena o condizionata) delle proposte pianificatorie sottoposte a VAS, ben potrà censurare anche queste determinazioni preliminari condizionanti, poiché è per effetto di questo giudizio di sostenibilità complessiva di queste scelte che le stesse possono tramutarsi in atti pianificatori negativi".
Nella detta pronuncia si è altresì rilevato che per evitare di pervenire a una legitimatio generalis del tipo di quella sopra indicata, occorre che le "determinazioni lesive" fondanti l'interesse a ricorrere siano effettivamente "condizionate", ossia causalmente riconducibili in modo decisivo, alle preliminari conclusioni raggiunte in sede di V.A.S., e pertanto l'istante avrebbe dovuto precisare come e perché tali conclusioni nella specie abbiano svolto un tale ruolo decisivo sulle opzioni relative ai suoli in sua proprietà, ciò che non ha fatto.
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La cd. Valutazione ambientale strategica (VAS) è la valutazione delle conseguenze ambientali di piani e programmi al fine ultimo di assicurare lo sviluppo sostenibile di un territorio sotto il profilo ambientale. E' una procedura finalizzata precipuamente a mettere in rilievo le possibili cause di un degrado ambientale derivante dall'adozione di piani e programmi interessanti il territorio, introdotta dalla Direttiva comunitaria 2001/42/CE che prevede, appunto, la sua applicazione a piani e programmi produttivi di effetti significativi sull'ambiente.
La giurisprudenza di merito ha per il vero puntualizzato che “in un'ottica sostanzialistica tesa ad evitare interpretazioni normative che si risolvano in meri adempimenti formali e rappresentano inutili appesantimenti del procedimento, non deve essere sottoposto alla procedura di valutazione ambientale strategica (VAS), né a quella di valutazione di incidenza, uno strumento pianificatorio le cui previsioni non si discostano in maniera sostanziale da quelle già fatte oggetto di tale indagine, tanto più che parte ricorrente non fornisce alcuna dimostrazione del fatto che le previsioni derivanti dall'applicazione del piano possono avere sull'ambiente effetti significativi diversi da quelli già presi in considerazione”.
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Il Collegio non può che richiamare -in relazione alla pretesa fungibilità della procedura di Vas con quella relativa alla valutazione di incidenza dei Sic- l’affermazione secondo cui “in materia ambientale, la valutazione ambientale strategica va distinta dalla valutazione di incidenza, prevista dal D.P.R. n. 357/1997 nel sistema previgente all'entrata in vigore del D.Lgs. n. 4/2008, che ha un rilievo meramente settoriale destinato alla particolare protezione dei siti di rilevanza comunitaria.".

Il Collegio conosce –ed apprezza- la giurisprudenza del Consiglio di Stato segnalata dall’appellante amministrazione comunale (cfr. sez. IV, 12.01.2011, n. 133), per la quale le censure inerenti il procedimento di VAS sono ammissibili nei limiti in cui la parte istante specifichi quale concreta lesione alla sua proprietà sia derivata dall’inosservanza delle norme sul procedimento; in altri termini non deve trattarsi di una doglianza meramente “strumentale”, ma sostanziale, visto che il generico interesse ad un nuovo esercizio del potere pianificatorio dell’Amministrazione è insufficiente a distinguere la posizione del ricorrente da quella del quisque de populo (cfr. in termini, anche TAR Lombardia, Milano, sez. II, 12.01.2012, n. 297).
Nel caso in cui, viceversa, si lamenti la totale omissione di tale incombente procedimentale, non è dato applicare il detto principio, proprio a cagione della circostanza che non può ipotizzarsi quale sarebbe stato l’approdo della Vas, e si oblierebbe la circostanza che un possibile parere del tutto negativo avrebbe potuto indurre l’Amministrazione a rinunciare alla variante, ovvero a rimodularla integralmente.
In materia, è d'uopo richiamare la più recente giurisprudenza della Sezione sui limiti alla configurabilità dell'interesse c.d. strumentale all'impugnazione di uno strumento urbanistico, nel senso che tale impugnazione deve pur sempre ancorarsi a specifici vizi ravvisati con riferimento alle determinazioni adottate dall'Amministrazione in ordine al regime dei suoli in proprietà del ricorrente, e non può fondarsi sul generico interesse a una migliore pianificazione del proprio suolo, che in quanto tale non si differenzia dall'eguale interesse che quisque de populo potrebbe nutrire (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 13.07.2010, nr. 4546).
In altri termini, l'utilità comunque rappresentata dal possibile vantaggio che astrattamente il ricorrente potrebbe ottenere per effetto della riedizione dell'attività amministrativa non è ex se indicativa della titolarità di una posizione di interesse giuridicamente qualificata e differenziata, idonea a legittimare la tutela giurisdizionale.
Analoghe considerazioni possono farsi per l'ulteriore utilità, costituita dalla "reviviscenza" del previgente e più favorevole P.R.G. che si avrebbe per effetto dell'annullamento giurisdizionale del P.G.T.: utilità la quale, oltre a essere anch'essa non indicativa dell'esistenza di un interesse giuridicamente tutelabile, quand'anche effettivamente sussistente sarebbe comunque provvisoria, essendo jus receptum che l'effetto immediato dell'annullamento di uno strumento urbanistico consiste nel dovere dell'Amministrazione di riesercitare la propria potestà di pianificazione del territorio (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 07.06.2004, nr. 3563; Cons. Stato, sez. V, 23.04.2001, nr. 2415).
Nella richiamata decisione della Quarta Sezione (12.1.2011, n. 133) si è espressamente affermata la condivisione del principio per cui "laddove la VAS si concluda con un giudizio positivo (o positivo condizionato) il soggetto che subisca determinazioni lesive della sua sfera giuridica discendenti dall'accettazione (piena o condizionata) delle proposte pianificatorie sottoposte a VAS, ben potrà censurare anche queste determinazioni preliminari condizionanti, poiché è per effetto di questo giudizio di sostenibilità complessiva di queste scelte che le stesse possono tramutarsi in atti pianificatori negativi".
Nella detta pronuncia si è altresì rilevato che per evitare di pervenire a una legitimatio generalis del tipo di quella sopra indicata, occorre che le "determinazioni lesive" fondanti l'interesse a ricorrere siano effettivamente "condizionate", ossia causalmente riconducibili in modo decisivo, alle preliminari conclusioni raggiunte in sede di V.A.S., e pertanto l'istante avrebbe dovuto precisare come e perché tali conclusioni nella specie abbiano svolto un tale ruolo decisivo sulle opzioni relative ai suoli in sua proprietà, ciò che non ha fatto.
Nel caso di specie, tuttavia, ciò che si lamenta è la totale omissione dell’incombente. Ne consegue che da un canto non è possibile preconizzare l’esito cui sarebbe approdata la Vas e l’eventuale pregiudizio che la originaria parte ricorrente ne avrebbe potuto ricavare: è ben vero che, di solito, il detto incombente ove espletato si risolve nella imposizione di prescrizioni più stringenti rispetto a quelle contenute nel piano o programma soggetto a valutazione.
E’ ben vero però che, per un verso, detta regola non può essere elevata a canone generale (non può escludersi, in via di principio, che la espletata vas introduca elementi di giudizio non già puramente e semplicemente “restrittivi” di prescrizioni ma modificativi delle stesse, rimodulativi, etc.); per altro verso, i proprietari dei suoli soggetti a regolamentazione hanno comunque l’interesse a che ciò avvenga mediante atti immuni da censure, di guisa che possano comunque contare sulla stabilità ed incontestabilità dell’assetto di interessi prefissato nell’atto.
La doglianza va quindi disattesa.
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Quanto alla censura -connessa unicamente sotto il profilo logico a quella dianzi esaminata- secondo cui trattavasi di variante “normativa” priva di significativi impatti sull’ambiente, di guisa che la Vas non sarebbe stata obbligatoria si rimarca che questo Consiglio di Stato ha in passato affermato che (Cons. Stato Sez. IV, 13.11.2012, n. 5715) “la cd. Valutazione ambientale strategica (VAS) è la valutazione delle conseguenze ambientali di piani e programmi al fine ultimo di assicurare lo sviluppo sostenibile di un territorio sotto il profilo ambientale. E' una procedura finalizzata precipuamente a mettere in rilievo le possibili cause di un degrado ambientale derivante dall'adozione di piani e programmi interessanti il territorio, introdotta dalla Direttiva comunitaria 2001/42/CE che prevede, appunto, la sua applicazione a piani e programmi produttivi di effetti significativi sull'ambiente”.
La giurisprudenza di merito ha per il vero puntualizzato che (TAR Friuli-Venezia Giulia Trieste Sez. I, 10.05.2012, n. 169) “in un'ottica sostanzialistica tesa ad evitare interpretazioni normative che si risolvano in meri adempimenti formali e rappresentano inutili appesantimenti del procedimento, non deve essere sottoposto alla procedura di valutazione ambientale strategica (VAS), né a quella di valutazione di incidenza, uno strumento pianificatorio le cui previsioni non si discostano in maniera sostanziale da quelle già fatte oggetto di tale indagine, tanto più che parte ricorrente non fornisce alcuna dimostrazione del fatto che le previsioni derivanti dall'applicazione del piano possono avere sull'ambiente effetti significativi diversi da quelli già presi in considerazione.”.
In estrema sintesi il comune di Vasto appellante invoca l’applicazione di tale principio al caso di specie (sebbene il PRG risalisse al 2001 e nessuno studio ambientale illo tempore lo avesse supportato) al fine di pervenire all’affermazione per cui, in concreto, la variante non sarebbe stata sottoponibile a Vas. Sennonché, nel caso di specie appare evidente che la stessa esposizione di parte appellante (pag 3 dell’appello) relativa alle prescrizioni contenute nella variante (anche adeguamento a piani sovraordinati) ed all’ambito della stessa (relativa all’intero PRG) esclude che si possa individuare una “modestia” della incidenza della stessa tale da condurre alla affermazione che, in concreto, la Vas non doveva essere effettuata.
In tal modo argomentando il comune inverte i termini del ragionamento: la variante riguardava di fatto l’intero territorio comunale; le modifiche, incidenti sulle NTA incidevano quindi sulla generalità delle prescrizioni relative al suolo del comune; inferire una carenza di effetti sull’ambiente dalla mancata previsione di zonizzazioni, ovvero dalla diminuzione del carico urbanistico integra apodittica affermazione, semmai destinata -eventualmente– ad essere corroborata in sede di effettuazione della Vas e responso favorevole di quest’ultima.
Può convenirsi quindi con la affermazione del primo giudice che “fotografa” esattamente la posizione dell’ amministrazione comunale e la inversione logica che dalla stessa discende: “ il comune deduce dal contenuto delle nuove norme tecniche di attuazione la non necessità di sottoporle a una previa valutazione ambientale, mentre è proprio l’esito di tale valutazione a eventualmente considerarne nullo l’impatto ambientale.”
Ad avviso del Collegio comunque, e conclusivamente sul punto, non può dirsi che una variante incidente sull’intero territorio comunale –e volta a modificare un piano per il quale, pacificamente, in passato non era stata effettuata la Vas- potesse andare esente dall’espletamento del detto incombente.
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Quanto alle altre due doglianze, il Collegio non può che richiamare -in relazione alla pretesa fungibilità della procedura di Vas con quella relativa alla valutazione di incidenza dei Sic- l’affermazione contenuta nella decisione della Sezione VI (sent. 10.05.2011, n. 2755) secondo cui “in materia ambientale, la valutazione ambientale strategica va distinta dalla valutazione di incidenza, prevista dal D.P.R. n. 357/1997 nel sistema previgente all'entrata in vigore del D.Lgs. n. 4/2008, che ha un rilievo meramente settoriale destinato alla particolare protezione dei siti di rilevanza comunitaria.".
Da tale principio il Collegio non ravvisa motivo per discostarsi, il che esclude l’accoglibilità del mezzo
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 21.08.2013 n. 4201 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: Valutazione ambientale, censure solo se concrete. Le doglianze sotto i riflettori dei giudici di palazzo Spada
Le censure inerenti il procedimento di Valutazione ambientale strategica (Vas) sono ammissibili nei limiti in cui la parte istante specifichi quale concreta lesione alla sua proprietà sia derivata dall'inosservanza delle norme sul procedimento.

Questo ha affermato la Sez. IV del Consiglio di Stato con sentenza 21.08.2013 n. 4200.
I giudici amministrativi hanno sottolineato come la doglianza non debba essere meramente strumentale, ma sostanziale, visto che il generico interesse ad un nuovo esercizio del potere pianificatorio dell'Amministrazione pubblica è insufficiente a distinguere la posizione del ricorrente da quella del quisque de populo.
La Vas è la valutazione delle conseguenze ambientali di piani e programmi al fine ultimo di assicurare lo sviluppo sostenibile di un territorio sotto il profilo ambientale. È una procedura finalizzata precipuamente a mettere in rilievo le possibili cause di un degrado ambientale derivante dall'adozione di piani e programmi interessanti il territorio, introdotta dalla Direttiva comunitaria 2001/42/Ce che prevede, appunto, la sua applicazione a piani e programmi produttivi di effetti significativi sull'ambiente.
Circa la configurabilità dell'interesse c.d. strumentale all'impugnazione di uno strumento urbanistico, i giudici di palazzo Spada hanno poi ribadito, in ossequio alla precedente giurisprudenza che tale impugnazione deve pur sempre ancorarsi a specifici vizi ravvisati con riferimento alle determinazioni adottate dall'Amministrazione in ordine al regime dei suoli in proprietà del ricorrente, e non può fondarsi sul generico interesse a una migliore pianificazione del proprio suolo, che in quanto tale non si differenzia dall'eguale interesse che quisque de populo potrebbe nutrire (cfr. Cons. stato, sez. IV, 13.07.2010, n. 4546).
In altri termini, l'utilità comunque rappresentata dal possibile vantaggio che astrattamente il ricorrente potrebbe ottenere per effetto della riedizione dell'attività amministrativa non è ex se indicativa della titolarità di una posizione di interesse giuridicamente qualificata e differenziata, idonea a legittimare la tutela giurisdizionale.
E laddove la Vas si concluda con un giudizio positivo (o positivo condizionato) il soggetto che subisca determinazioni lesive della sua sfera giuridica discendenti dall'accettazione (piena o condizionata) delle proposte pianificatorie sottoposte a Vas, ben potrà censurare anche queste determinazioni preliminari condizionanti, poiché è per effetto di questo giudizio di sostenibilità complessiva di queste scelte che le stesse possono tramutarsi in atti pianificatori negativi (articolo ItaliaOggi Sette del 09.09.2013).

URBANISTICA: VIA, VAS E AIA – VAS – Nozione.
La valutazione ambientale strategica (VAS) è lo strumento volto a garantire gli effetti sull’ambiente dei piani e dei programmi, così da anticipare la valutazione della compatibilità ambientale ad un momento anteriore alla loro elaborazione ed adozione, in una prospettiva globale di sviluppo sostenibile idonea a conciliare, anche attraverso soluzioni alternativa, l’utilizzazione del territorio e la localizzazione degli impianti con la tutela dei valori ambientali (Cons. St. Sez. IV, 06.05.2013, n. 2446; 13.11.2012, n. 5715).
La valutazione favorevole compiuta in sede di VAS non può, quindi, (nella specie: in sede di esame della proposta di variante al piano regolatore) essere rimessa in discussione per i profili attinenti alla compatibilità con l’ambiente del piano (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 06.08.2013 n. 4151 - link a www.ambientediritto.it).

URBANISTICA: M. G. Boccia, Primi orientamenti giurisprudenziali in merito alla procedura VAS (link a www.lexambiente.it - Ambiente & Sviluppo n. 8-9/2013).

URBANISTICA: Assume rilievo di principio l’obbligo di previa sottoposizione a v.a.s. delle scelte urbanistiche, comportanti per un comparto specifico il raddoppio delle volumetrie rispetto al pregresso ed il pesante convolgimento di elementi di rilevante impatto ambientale, a partire dalla falda acquifera.
Al riguardo, ancora di recente, e rispetto ad un ordinamento simile al nostro in tema di classificazione dei piani, la Corte giustizia UE ha avuto modo di precisare, in termini di principio rispetto ai quali le eventuali previsioni di dettaglio contrarie scontano l’obbligo di disapplicazione, che la nozione di piani e programmi "previsti da disposizioni legislative, regolamentari o amministrative", di cui all'art. 2, lett. a), della direttiva 2001/42, deve essere interpretata nel senso che essa riguarda anche i piani regolatori particolareggiati, come quello oggetto del procedimento principale; ciò in quanto non può essere accolta un'interpretazione che porterebbe ad escludere dall'ambito di applicazione della direttiva 2001/42 tutti i piani e programmi, segnatamente quelli riguardanti l'assetto del territorio, per il solo motivo che una tale adozione non avrebbe in ogni caso carattere obbligatorio.
In sostanza, la disciplina VAS (art. 3 della direttiva 2001/41/CE) impone agli Stati membri di attuare «piani e programmi» che possono avere effetti significativi sull'ambiente, sottoponendoli ad una valutazione ambientale. Nel caso di specie l’impatto significativo sull’ambiente è emerso sin dall’origine degli approfondimenti istruttori.

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La VAS, quale processo a supporto dell'attività di gestione del territorio e delle connesse scelte di programmazione e di pianificazione, prima che queste vengano tradotte in interventi diretti (autorizzazioni, concessioni ecc.), e non quale strumento di verifica a posteriori delle scelte di pianificazione, ben può radicarsi con lo strumento del piano o programma urbanistico-territoriale.
Strumento mediante il quale le Autorità sono chiamate allo studio organico del territorio, della gestione delle sue risorse, all'obbligo preventivo di coinvolgimento di tutte le parti, mediante l'avvio delle procedure di informazione e di consultazione dell'opinione pubblica, in ordine a qualsiasi decisione futura che inerisca un qualunque assetto territoriale.
L'obiettivo essenziale della direttiva VAS consiste nel sottoporre a valutazione ambientale, i piani e programmi che possono avere effetti significativi sull'ambiente, durante la loro elaborazione e prima della loro adozione. La VAS, al pari di qualsiasi atto programmatico e strategico richiede che siano esaminate le informazioni riguardanti gli aspetti pertinenti allo stato attuale dell'ambiente e alla sua evoluzione probabile, con o senza la previsione del piano o del programma di riferimento, nonché alla decisione della sua modifica o abrogazione.
È in questo contesto che la direttiva (art. 2) prevede l'obbligo della VAS per qualsiasi piano e programma previsto da disposizioni legislative, regolamentari o amministrative, elaborato e/o adottato da un'Autorità a livello nazionale, regionale o locale per essere approvato mediante una procedura legislativa dal Parlamento o dal Governo, financo per qualsiasi modifica dei medesimi piani o programmi già adottati.
Su tale ultimo richiamo normativo, la Corte di giustizia, nell'ambito del decisum pregiudiziale, afferma che la VAS trova applicazione anche in caso di modifica o abrogazione, totale o parziale, dello strumento di pianificazione, nella specie, del piano regolatore preso a riferimento. Ciò in quanto anche il venir meno dell'efficacia, integrale o parziale, della strumentazione di pianificazione in essere o una sua modifica, può comportare la genesi o l'aumento degli effetti significativi sull'ambiente. Di conseguenza, una nuova VAS deve essere immediatamente apprestata prima di procedere a deliberare le varianti della pianificazione in essere.
La configurazione empirica della VAS, che emerge anche dalle chiare indicazioni della Corte di Giustizia, consente di avvalorare la sua connotazione quale impianto giuridico sperimentale, tale da presentarsi particolarmente flessibile e da assorbire e inglobare le diversificate metodologie di impiego e di studio del territorio, ove accomunate allo scopo di assicurare un controllo ex ante, in itinere ed ex post dei possibili impatti ambientali. Sono sottoposti all'obbligo della VAS tutti quegli strumenti urbanistici muniti di «indicatori di performance», che verificano il livello di conseguimento degli obiettivi assunti e generati sulla città e sul territorio e che permettono di quantificare se, quando e quanto gli obiettivi di piano siano raggiunti.
La connotazione duttile e plasmabile della VAS è invece assente in altri strumenti quali la VIA deputata a singoli progetti, in cui è richiesto un approccio più circoscritto ed unidirezionale. Nel caso di specie, peraltro, pur dinanzi alla rilevanza della trasformazione ed all’impatto sull’ambiente sono state omesse entrambe le valutazioni, e si è svolta solo ex post la mera verifica screening.
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4.3 A propria volta, la normativa ambientale impone lo svolgimento di una serie di verifiche preliminari. Sia quelle di dettaglio, solo in seguito avviate e che hanno portato a modifiche tali da rendere non coincidente quanto approvato a livello urbanistico con quanto assentito a livello ambientale, sia più generali in termini di valutazione ambientale strategica.
In tale contesto sia normativo che fattuale, anche dinanzi alle peculiarità della zona e dell’intervento, assume rilievo parimenti di principio l’obbligo di previa sottoposizione a v.a.s. delle scelte urbanistiche, comportanti per un comparto specifico il raddoppio delle volumetrie rispetto al pregresso ed il pesante convolgimento di elementi di rilevante impatto ambientale, a partire dalla falda acquifera.
Al riguardo, ancora di recente, e rispetto ad un ordinamento simile al nostro in tema di classificazione dei piani, la Corte giustizia UE (cfr. sez. IV, 22.03.2012, n. 567) ha avuto modo di precisare, in termini di principio rispetto ai quali le eventuali previsioni di dettaglio contrarie scontano l’obbligo di disapplicazione, che la nozione di piani e programmi "previsti da disposizioni legislative, regolamentari o amministrative", di cui all'art. 2, lett. a), della direttiva 2001/42, deve essere interpretata nel senso che essa riguarda anche i piani regolatori particolareggiati, come quello oggetto del procedimento principale; ciò in quanto non può essere accolta un'interpretazione che porterebbe ad escludere dall'ambito di applicazione della direttiva 2001/42 tutti i piani e programmi, segnatamente quelli riguardanti l'assetto del territorio, per il solo motivo che una tale adozione non avrebbe in ogni caso carattere obbligatorio.
In sostanza, la disciplina VAS (art. 3 della direttiva 2001/41/CE) impone agli Stati membri di attuare «piani e programmi» che possono avere effetti significativi sull'ambiente, sottoponendoli ad una valutazione ambientale. Nel caso di specie l’impatto significativo sull’ambiente è emerso sin dall’origine degli approfondimenti istruttori.
...
In via generale, come detto la disciplina VAS ex art. 3 della direttiva invocata impone agli Stati membri di attuare «piani e programmi» che possono avere effetti significativi sull'ambiente, sottoponendoli ad una valutazione ambientale. Tale obbligo discende in termini immediatamente precettivi sulla scorta dei principi predetti e della normativa attuativa di cui al d.lgs. 152 del 2006, la quale va intesa in tali termini. Le eventuali diverse indicazioni di dettaglio –comprese quelle invocate dalle difese resistenti- vanno esaminate in termini restrittivi ovvero di disapplicazione per contrasto col principio.
L'art. 3, comma 2 della direttiva aggiunge che «fatto salvo il par. 3 viene effettuata una valutazione ambientale per tutti i piani e i programmi, che sono elaborati per i settori agricolo, forestale, della pesca, energetico, industriale, dei trasporti, della gestione dei rifiuti e delle acque, delle telecomunicazioni, turistico, della pianificazione territoriale o della destinazione dei suoli, e che definiscono il quadro di riferimento per l'autorizzazione dei progetti elencati negli allegati I e II della direttiva [85/337/CEE], o per i quali, in considerazione dei possibili effetti sui siti, si ritiene necessaria una valutazione ai sensi degli articoli 6 o 7 della direttiva 92/43/CEE».
Di conseguenza, gli Stati adempiono a tale obbligo (e non facoltà), ponendo in essere tutte quelle modalità organizzative opportune e apprestando le risorse necessarie, per realizzare l'obiettivo indicato. Completa tale adempimento la divulgazione dell'informazione ai cittadini, in modo chiaro e trasparente, che tale attività è esercitata mediante un atto vincolante, non facilmente modificabile, e in attuazione di quella precisa normativa di rango primario che trova applicazione.
A propria volta il paragrafo 3 prevede la possibilità di esclusione per i piani che determinano l’uso di piccole aree, pur dovendo a priori scontare la determinazione del concetto di piccola area (e nel caso di specie rispetto al contesto interessato l’area è tutt’altro che piccola), unicamente in assenza di effetti significativi sull’ambiente; questi ultimi invece sono ampiamente presenti nel caso de quo, come emerso sin dall’origine a fronte delle diverse problematiche idrogeologiche e geotecniche evidenziate e non adeguatamente approfondite.
Con la sentenza della Corte di Giustizia, sopra richiamata, anche lo strumento programmatico del «piano regolatore particolareggiato» (esaminato nell'ordinamento belga), può integrare la nozione di «piano e programma» ricompreso nell'art. 2, tale da essere sottoposto obbligatoriamente alle norme relative alla valutazione ambientale strategica.
L'occasione della pronuncia pregiudiziale afferente allo strumento urbanistico belga, attrae l'attenzione di tutti gli ordinamenti statali, compreso il nostro che utilizza metodologie programmatiche similari. Infatti, come evidenziato in dottrina, nell'ordinamento belga, (preso di riferimento nella sentenza in commento), il Code Bruxellois de l'Aménagement du Territoire, modificato dalla legge del 2009 menziona tra le varie categorie di piani: il piano di sviluppo regionale; il piano regolatore regionale; i piani di sviluppo comunali; il piano regolatore particolareggiato etc.
Nell'ordinamento italiano si possono richiamare, senza presunzione di esaustività, il Piano regolatore generale (PRG), il piano per l'edilizia economica e popolare (PEEP), i piani di settore; il piano territoriale di coordinamento (PTC), i piani territoriali paesistici (PTP), il piano di fabbricazione (PdF), il piano particolareggiato esecutivo (PPE), il piano esecutivo convenzionato (PEC), il piano per insediamenti produttivi (PIP), il piano di recupero del patrimonio edilizio esistente (PdR) e tutta una ulteriore serie di piani di dettaglio, cui la fantasia dei legislatori regionali ha dato nuova linfa. In Italia, tali strumenti prendono avvio anche prima della legge quadro del 17.08.1942, n. 1150 (vd. i Piani paesistici che trovano la loro fonte nella legge n. 1497 del 1939).
Una visione di insieme in sede dottrinale ha portato a riassumere il fenomeno quale passaggio in quattro tappe:
a) da un approccio territoriale generale con la legge quadro 1150/1942, b) alle leggi di supporto (167/1962; 765/1967; 865/1971; 10/1977; 431/1985, 142/1990 ecc.) per settori specifici (edilizia popolare, standard, ecc.) sempre di respiro statale, c) alla visione più circoscritta nell'ambito territoriale delle singole Regioni dal 1972 così determinando nuove normative per i vari settori dell'edilizia, dell'urbanistica e del territorio per una gestione che dal governo centrale cede a quello a regionale, d) alla rivalutazione del ruolo delle città e delle peculiarità delle risorse che ineriscono all'area territoriale, in senso stretto, determinando una visione più capillare delle problematiche locali anche per contesti non considerati oculatamente in precedenza (es. tutela del paesaggio e della difesa dell'ambiente, ecc.).
In virtù dei principi espressi in sede sovranazionale pertanto si apprende che la VAS, quale processo a supporto dell'attività di gestione del territorio e delle connesse scelte di programmazione e di pianificazione, prima che queste vengano tradotte in interventi diretti (autorizzazioni, concessioni ecc.), e non quale strumento di verifica a posteriori delle scelte di pianificazione, ben può radicarsi con lo strumento del piano o programma urbanistico-territoriale.
Strumento mediante il quale le Autorità sono chiamate allo studio organico del territorio, della gestione delle sue risorse, all'obbligo preventivo di coinvolgimento di tutte le parti, mediante l'avvio delle procedure di informazione e di consultazione dell'opinione pubblica, in ordine a qualsiasi decisione futura che inerisca un qualunque assetto territoriale.
L'obiettivo essenziale della direttiva VAS consiste nel sottoporre a valutazione ambientale, i piani e programmi che possono avere effetti significativi sull'ambiente, durante la loro elaborazione e prima della loro adozione. La VAS, al pari di qualsiasi atto programmatico e strategico richiede che siano esaminate le informazioni riguardanti gli aspetti pertinenti allo stato attuale dell'ambiente e alla sua evoluzione probabile, con o senza la previsione del piano o del programma di riferimento, nonché alla decisione della sua modifica o abrogazione.
È in questo contesto che la direttiva (art. 2) prevede l'obbligo della VAS per qualsiasi piano e programma previsto da disposizioni legislative, regolamentari o amministrative, elaborato e/o adottato da un'Autorità a livello nazionale, regionale o locale per essere approvato mediante una procedura legislativa dal Parlamento o dal Governo, financo per qualsiasi modifica dei medesimi piani o programmi già adottati.
Su tale ultimo richiamo normativo, la Corte di giustizia, nell'ambito del decisum pregiudiziale, afferma che la VAS trova applicazione anche in caso di modifica o abrogazione, totale o parziale, dello strumento di pianificazione, nella specie, del piano regolatore preso a riferimento. Ciò in quanto anche il venir meno dell'efficacia, integrale o parziale, della strumentazione di pianificazione in essere o una sua modifica, può comportare la genesi o l'aumento degli effetti significativi sull'ambiente. Di conseguenza, una nuova VAS deve essere immediatamente apprestata prima di procedere a deliberare le varianti della pianificazione in essere.
La configurazione empirica della VAS, che emerge anche dalle chiare indicazioni della Corte di Giustizia, consente di avvalorare la sua connotazione quale impianto giuridico sperimentale, tale da presentarsi particolarmente flessibile e da assorbire e inglobare le diversificate metodologie di impiego e di studio del territorio, ove accomunate allo scopo di assicurare un controllo ex ante, in itinere ed ex post dei possibili impatti ambientali. Sono sottoposti all'obbligo della VAS tutti quegli strumenti urbanistici muniti di «indicatori di performance», che verificano il livello di conseguimento degli obiettivi assunti e generati sulla città e sul territorio e che permettono di quantificare se, quando e quanto gli obiettivi di piano siano raggiunti.
La connotazione duttile e plasmabile della VAS è invece assente in altri strumenti quali la VIA deputata a singoli progetti, in cui è richiesto un approccio più circoscritto ed unidirezionale. Nel caso di specie, peraltro, pur dinanzi alla rilevanza della trasformazione ed all’impatto sull’ambiente sono state omesse entrambe le valutazioni, e si è svolta solo ex post la mera verifica screening.
I principi richiamati appaiono invero già noti alla giurisprudenza, sulla scorta della normativa invocata dagli stessi ricorrenti. E’ stato statuito ad esempio (cfr. CdS 5715/2012 e Tar Sardegna 810/2012) che già ex art. 4 e ss. d.lgs. n. 152/2006, devono essere sottoposti a v.a.s. i piani e programmi che possano avere un impatto significativo sull'ambiente e sul patrimonio culturale; non è allora escluso che anche i piani attuativi possano essere sottoposti a v.a.s. in presenza di particolari presupposti da verificarsi in concreto, quali l'espressa volontà della p.a. a sottoporre a detta procedura tale tipo di piano; e all'attitudine del piano stesso a incidere sui profili ambientali delle aree interessate.
Quindi, la normativa in materia di v.i.a. e di screening ambientale si applica anche agli strumenti urbanistici attuativi, purché sussistano tutte le condizioni ulteriori richieste dalla disciplina vigente; la normativa comunitaria e nazionale, infatti, prevede la necessità di un esame e un'autorizzazione preventiva di progetti che comportino un notevole impatto ambientale e, sotto tale profilo, è proprio la pianificazione attuativa ad individuare (ed autorizzare) con sufficiente grado di dettaglio -sul piano e qualitativo e quantitativo- gli insediamenti da realizzare.
L’esame e la valutazione sul punto devono essere svolte e ciò va fatto in via preventiva. Nel caso de quo, invece, a fronte di un piano attuativo avente rilevante impatto ambientale -come emerso in sede istruttoria ed oggetto di considerazione rispetto ai precedenti motivi di gravame-, non è stata svolta alcuna v.a.s. e la verifica screening ha seguito l’approvazione definitiva del piano attuativo, in termini illogici e contraddittori rispetto ai principi sin qui richiamati.
A monte, la stessa variante di p.u.c., sia per le peculiarità critiche della zona sotto i profili ambientali, sia per il rilevante impatto derivante dal raddoppio delle volumetrie precedenti, avrebbe a priori ed a maggior ragione essere soggetto alla valutazione imposta dai principi sovranazionali invocati. Nel caso de quo nessun livello di piano è stato sottoposto alla necessaria valutazione, cosicché neppure è possibile trarre spunti positivi sul punto per il p.u.o. dalla verifica fatta in ambito variante p.u.c.. Anche qui si conferma pertanto il trascinarsi di carenze negli approfondimenti, non certo recuperabili nella mera fase edilizia.
Al riguardo, a conferma dell’illogicità del percorso seguito, è emerso (ma anche sul punto si è già svolto il relativo approfondimento) che è stato oggetto di verifica screening e modifica prescrittiva un p.u.o. non più coincidente con quanto in precedenza approvato a livello urbanistico. Da ciò la fondatezza delle censure dedotte sul punto.
Infine, in termini più ampi ricostruttivi del sistema va evidenziato che le considerazioni ed i principi di origine sovranazionale hanno trovato di recente ulteriore conferma da parte della Corte Costituzionale (cfr. sent n. 93 del 2013), la quale ha evidenziato la rilevanza della normativa comunitaria in questione e la relativa prevalenza; in dettaglio è stato ad esempio ribadito che dalla citata dir. CE UE discende un preciso obbligo gravante su tutti gli Stati membri di assoggettare a VIA non solo i progetti indicati nell'allegato I, ma anche i progetti descritti nell'allegato II, qualora si rivelino idonei a generare un impatto ambientale importante, all'esito della procedura di c.d. Screening.
Pertanto, la mancata considerazione dei predetti criteri della dir. CE UE pone la normativa regionale ovvero quella statale di dettaglio (come quelle invocate dalle difese resistenti) in evidente contrasto con le indicazioni comunitarie
(TAR Liguria, Sez. I, sentenza 02.07.2013 n. 982 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICAProcedure. Norme regionali sulla valutazione ambientale strategica - Solo Sicilia e Basilicata hanno regole precedenti la direttiva Ue.
Piani urbanistici, Vas in formato locale. Puglia e Marche esonerano dall'esame di impatto le varianti con scambio di cubature.

È un cantiere aperto quello delle leggi con cui le Regioni recepiscono le norme europee e nazionali sulla valutazione ambientale strategica (Vas) di piani e programmi di intervento. Di recente l'Associazione dei costruttori (Ance) ha fatto il punto con un monitoraggio delle disposizioni delle singole Regioni.
Di fatto solo Sicilia e Basilicata non si sono ancora dotate di una propria regolamentazione della Vas e continuano ad applicare la legge statale oppure norme regionali approvate prima della direttiva europea. Mentre, sul fronte degli aggiornamenti, le ultime novità arrivano dalla Liguria che ha appena fornito le linee guida per applicare la propria legge del 2012 e dalla Puglia che ha individuato a fine 2012 gli ambiti di esclusione dalla Vas. Diverse altre Regioni, comunque, hanno rivisto con aggiornamenti la propria disciplina (si veda la tabella a fianco).
Gli obiettivi
Tra le diverse procedure pubbliche poste a salvaguardia dell'ambiente, gli esiti della Vas offrono un quadro di riferimento per le valutazioni ambientali più di dettaglio.
La Vas deve «garantire un elevato livello di protezione dell'ambiente e contribuire all'integrazione di considerazioni ambientali all'atto del l'elaborazione, dell'adozione e approvazione dei piani e programmi assicurando che siano coerenti e contribuiscano alle condizioni per uno sviluppo sostenibile». Lo svolgimento della procedura è disciplinata dal decreto legislativo 152/ 2006, che ha recepito la direttiva 2001/42/Ce, con la quale la salvaguardia e la tutela ambientale sono state anticipate già alla fase di programmazione e pianificazione.
Le Regioni
Con la delibera della Giunta regionale 331 del 28.03.2013 la Liguria ha fornito gli indirizzi operativi per l'applicazione della Lr 10.08.2012, n. 32.
Sulla scia dell'orientamento di altre Regioni, la Liguria individua l'ambito di applicazione delle norme nei piani e programmi che –per le modificazioni diffuse che possono apportare al territorio– sono suscettibili di produrre impatti rilevanti sull'ambiente. La lista comprende quelli con i quali si interviene nei settori dell'agricoltura, della foresta, della pesca, dell'energia, del turismo, della pianificazione territoriale o della destinazione dei suoli; nel settore dei trasporti, sono compresi anche i piani regolatori dei porti di interesse internazionale.
Niente Vas, invece, per i piani di protezione civile per salvaguardare l'incolumità pubblica, i progetti di piano-stralcio per la tutela dal rischio idrogeologico e quelli operativi dei piani urbanistici comunali.
Con la legge regionale 14.12.2012, n. 44 anche la Puglia si è dotata di una propria disciplina di Vas. Nell'individuare gli ambiti di esclusione da questo livello di valutazione ambientale, il legislatore pugliese ha riservato una particolare attenzione ai piani urbanistici.
Sono escluse le varianti urbanistiche assunte per l'approvazione dei piani di alienazione e valorizzazione immobiliari che riguardano piccole aree locali o modificano marginalmente quelli già sottoposti a Vas.
Non necessitano della valutazione anche gli strumenti attuativi di piani urbanistici già sottoposti a Vas, purché la pianificazione generale definisca già l'assetto localizzativo delle nuove previsioni e delle dotazioni territoriali, gli indici di edificabilità, gli usi ammessi e i contenuti planovolumetrici, tipologici e costruttivi degli interventi.
Anche le Marche sottopongono a condizioni l'esonero dalla Vas delle varianti ai Prg e ai loro strumenti di attuazione. Non devono, tra l'altro, comportare incrementi del carico urbanistico, né prevedere opere per le quali è richiesta la valutazione di impatto ambientale o di incidenza.
Sono escluse anche le varianti che comportano il trasferimento di capacità edificatoria in siti diversi da quelli originari, purché l'incremento della stessa capacità edificatoria per uso residenziale non ecceda il 20% del volume esistente entro il tetto di 200 mc., o la stessa percentuale ma entro il limite dei 400 mq per gli usi non residenziali.
Di recente anche la Regione Veneto (articolo 40 della Lr 13/2012; Dgr 1646 del 07.08.2012) è intervenuta per dettagliare l'applicazione della Vas ai piani urbanistici.
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Le scelte. Riparto in base al principio di sussidiarietà verticale.
Competenze affidate a Province e Comuni.
Nella distribuzione, tra i diversi livelli istituzionali, delle competenze in materia di Vas, le Regioni si sono mosse in prevalenza in base al principio della sussidiarietà verticale, ovvero cercando di affidare la competenza all'ente più direttamente interessato al piano da valutare.
Alcune (Emilia-Romagna, Marche, Sardegna, Umbria) condividono la competenza solo con le Province. A questo schema si è adeguata anche la Liguria con la Lr 32/2012, di regolamentazione della materia, mentre nel Lazio l'autorità competente è individuata, per i piani e programmi relativi a tutti i livelli di governo del territorio, nella struttura regionale dell'assessorato all'Ambiente.
In via generale viene individuato il livello regionale per i piani e programmi la cui paternità è interamente attribuita alla Regione, ma in alcuni casi essa è autorità competente anche per quelli sui quali è tenuta a esprimere anche solo un parere obbligatorio. Per lo svolgimento della valutazione le Regioni si avvalgono delle proprie strutture interne oppure delle agenzie regionali per l'ambiente; la Toscana fa ricorso al nucleo di valutazione degli investimenti pubblici.
Le Province si occupano dei propri piani e programmi o di quelli promossi dagli enti istituzionalmente sotto ordinati: a esse compete quindi la Vas sui piani territoriali di coordinamento territoriale e sui piani urbanistici dei Comuni.
In alcune Regioni (tra le quali Abruzzo, Piemonte e Toscana) i piani regolatori generali vengono sottoposti a Vas dagli stessi Comuni, sulla base del criterio generale che della valutazione debba essere responsabile lo stesso livello istituzionale al quale compete l'approvazione dello strumento di pianificazione o programmazione oggetto di Vas. Questa è la ripartizione delle competenze che opera anche in Lombardia.
Molte Regioni hanno istituito degli uffici tecnici di supporto ai piccoli Comuni. La normativa della Campania (la quale con la delibera n. 63 del 07.03.2013 ha modificato il disciplinare organizzativo della valutazione) specifica che l'ufficio dell'ente preposto alla valutazione ambientale strategica deve obbligatoriamente essere diverso da quello al quale sono attribuite le funzioni in materia urbanistica ed edilizia.
La preoccupazione, di ordine più generale, di evitare che controllato e controllore coincidano è anche di altre Regioni. Lombardia e Toscana disciplinano l'argomento con norme identiche, le quali prevedono che l'autorità competente per la Vas sia individuata sulla base di questi requisiti:
- separazione rispetto all'autorità procedente;
- adeguato grado di autonomia;
- competenza in materia di tutela, protezione e valorizzazione ambientale e di sviluppo sostenibile.
L'autorità alla quale la normativa regionale attribuisce il compito di svolgere la valutazione sull'approvazione dei documenti originari di programmazione, è, ovviamente, la stessa che si occuperà della Vas nel caso ai piani vengano apportate varianti non esenti dalla valutazione.
Le normative regionali hanno posto attenzione a evitare o a contenere l'accavallarsi di valutazioni. Il principio ricorrente è quello di non sottoporre a Vas –o a verifica di assoggettabilità a Vas– i piani e i programmi di rango inferiore a quelli nei cui contesti si sviluppano, a condizione che i piani di rango superiori siano già stati oggetto di valutazione.
La regola non vale, naturalmente, se i piani attuativi prevedono interventi e iniziative che non sono già state oggetto di valutazione nei piani sovraordinati.
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Le leggi
01|I DUE LIVELLI
Alcune Regioni hanno suddiviso le competenze sulla Vas tra Regione stessa e Provincia. Tra queste Emilia Romagna, Sardegna, Marche, Umbria e Liguria. Campania, Puglia e Friuli Venezia Giulia le hanno ripartite tra Regione e Comuni
02|L'ACCENTRAMENTO
Nel Lazio e in Provincia di Bolzano la competenza è unica e affidata all'ente regionale o provinciale. Altre Regioni hanno affidato la Vas allo stesso ente che elabora il piano o il programma (articolo Il Sole 24 Ore del 10.06.2013).

EDILIZIA PRIVATANo a nuovi benzinai senza la valutazione ambientale.
Niente nuovi benzinai senza la Vas, la valutazione ambientale strategica che è necessaria per ogni intervento urbanistico che può avere effetti negativi sull'ecosistema. Annullata la delibera del consiglio comunale che introduce la variante al piano regolatore generale per disciplinare la nuova rete dei distributori di carburante ma senza adempiere a tutti i suoi doveri: in primis preparare il rapporto preliminare da sottoporre alla provincia per verificare l'assoggettabilità alla Vas. Il documento risulta privo dei contenuti richiesti dalle norme europee: gli esercenti del territorio, insomma, riescono a bloccare l'arrivo di cinque nuovi concorrenti.

È quanto emerge dalla sentenza 23.05.2013 n. 186, pubblicata dal TAR Emilia Romagna-Parma.
Un «guscio vuoto». Questo è per i giudici il rapporto preliminare alla Vas, peraltro predisposto dal comune soltanto dopo che arriva la richiesta dell'amministrazione provinciale in vista dell'approvazione del piano.
«Preliminare», insomma, è una parola grossa, visto che il documento arriva comunque dopo l'adozione da parte del comune dello strumento urbanistico che disciplina la nuova distribuzione delle pompe di benzina, con cinque nuovi punti di rifornimento concentrati nel 5% del territorio; una scelta forse discutibile ma comunque legittima se l'amministrazione avesse però effettuato una valutazione sull'impatto complessivo sull'ambiente connesso all'installazione dei chioschi in una zona ricca di «pozzi e tratti acquiferi ad alta vulnerabilità».
È vero: secondo una certa giurisprudenza amministrativa il rapporto preliminare risulta tempestivo anche se arriva dopo l'adozione del piano da parte del comune, a patto che sia emesso prima dell'approvazione della provincia.
Ma il collegio non è d'accordo e accoglie il ricorso dei benzinai già operanti sul territorio, secondo i quali risulta inutile produrre il rapporto come mero adempimento burocratico, a posteriori sulla variante già adottata «così vanificandone la finalità di indagine preventiva» (tratto da ItaliaOggi del 15.08.2013).

URBANISTICA: S. R. Masera, La VAS del piano attuativo conforme allo strumento urbanistico generale (Urbanistica e appalti n. 5/2013).

URBANISTICAIl proprietario che impugna gli atti di pianificazione urbanistica generale ha un interesse qualificato a censurare la violazione delle norme sulla VAS, laddove le determinazioni di quest’ultima abbiano inciso sulle scelte di piano relative al proprio compendio in senso sfavorevole.
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Occorre rimarcare, con riguardo all’individuazione dell’autorità competente per la VAS nella persona del sindaco, Che l’Amministrazione locale resistente ha in ogni modo dato applicazione alle prescrizioni regionali in materia, vale a dire il decreto regionale 14.12.2010, n. 13071, il quale consente nei Comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti che l’autorità competente possa essere individuata anche nell’organo esecutivo titolare della responsabilità degli uffici e dei servizi di tutela e valorizzazione ambientale.
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Va ricordata l’ampia discrezionalità di cui godono i Comuni nell’esercizio della potestà di pianificazione urbanistica, nei confronti della quale i privati possono godere di aspettative qualificate soltanto in un numero limitato di casi, peraltro insussistenti nella presente fattispecie.

La censura appare priva di pregio, sotto vari profili.
In primo luogo, essa si pone in contrasto con l’indirizzo interpretativo del Consiglio di Stato (cfr. la sentenza della Sezione IV di quest’ultimo, 12.01.2011, n. 133), per il quale il proprietario che impugna gli atti di pianificazione urbanistica generale ha un interesse qualificato a censurare la violazione delle norme sulla VAS, laddove le determinazioni di quest’ultima abbiano inciso sulle scelte di piano relative al proprio compendio in senso sfavorevole (nella citata sentenza n. 133/2011 si legge a tale proposito che: <<….occorre che le "determinazioni lesive" fondanti l'interesse a ricorrere siano effettivamente "condizionate", ossia causalmente riconducibili in modo decisivo, alle preliminari conclusioni raggiunte in sede di V.A.S., e pertanto l'istante avrebbe dovuto precisare come e perché tali conclusioni nella specie abbiano svolto un tale ruolo decisivo sulle opzioni relative ai suoli in sua proprietà…>>).
Nel caso di specie, le censure specificamente riguardanti la destinazione urbanistica dell’area degli esponenti non paiono attenere alle scelte effettuate in sede di VAS.
Fermo restando quanto sopra esposto, avente carattere assorbente, occorre altresì rimarcare, con riguardo all’individuazione dell’autorità competente nella persona del sindaco –che nel Comune di Lambrugo ricopre anche il ruolo di responsabile di servizio, ai sensi della legge 388/2000– che l’Amministrazione locale resistente ha in ogni modo dato applicazione alle prescrizioni regionali in materia, vale a dire il decreto regionale 14.12.2010, n. 13071, il quale (vedesi punto 5 dell’allegato A), consente nei Comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti che l’autorità competente possa essere individuata anche nell’organo esecutivo titolare della responsabilità degli uffici e dei servizi di tutela e valorizzazione ambientale (cfr. il documento depositato dalla difesa regionale il 28.12.2012; si rimarca altresì che tale decreto non è neppure stato oggetto di rituale impugnazione).
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Preliminarmente occorre ricordare il pacifico indirizzo giurisprudenziale, ribadito di recente in importanti arresti del Giudice Amministrativo d’appello, sull’ampia discrezionalità di cui godono i Comuni nell’esercizio della potestà di pianificazione urbanistica, nei confronti della quale i privati possono godere di aspettative qualificate soltanto in un numero limitato di casi, peraltro insussistenti nella presente fattispecie (cfr., fra le tante, la fondamentale sentenza del Consiglio di Stato, sez. IV, 10.05.2012, n. 2710, richiamata e confermata dalla successiva sentenza della stessa Sezione IV, 28.11.2012, n. 6040; Consiglio di Stato, sez. IV, 28.12.2012, n. 6703, oltre che, fra le decisioni di primo grado, TAR Lombardia, Milano, sez. II, 08.02.2012, n. 437 e TAR Basilicata, 16.12.2011, n. 602) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 26.02.2013 n. 532 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

2012

URBANISTICA: Per effetto del D.Lgs. n. 4/2008 oggi debbono essere sottoposti a valutazione ambientale strategica (VAS) tutti gli atti di “pianificazione territoriale” e di “destinazione dei suoli” e tale valutazione deve essere effettuata -come disposto dall’art. 11, n. 3- prima dell’approvazione del piano, in quanto tale normativa ha individuato, quale unico limite temporale inderogabile per l’espletamento della valutazione ambientale, la data di “approvazione” del piano e non quella di “adozione”, tanto che l’art. 11, n. 5, ha dichiarato espressamente annullabili i provvedimenti di approvazione degli strumenti pianificatori ove non siano stati preceduti dal sub-procedimento in questione.
Con la prima doglianza la parte ricorrente ha dedotto che -in violazione della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 27.06.2001 n. 2001/42/CE, e degli artt. 4 e segg. del D.Lgs. 03.04.2006, n. 152 (in vigore a decorrere al 31.07.2007)- non era stata esperita, prima dell’approvazione del piano, la prescritta valutazione ambientale strategica (VAS), né, quanto meno, era stata effettuata la relativa verifica di assoggettabilità.
Tale doglianza è fondata.
Va al riguardo ricordato che la direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 27.06.2001 n. 2001/42/CE, concernente la valutazione degli effetti i determinati piani e programmi sull’ambiente, ha imposto all’art. 3 agli Stati membri di individuare i piani ed i programmi che “possono avere effetti significativi sull’ambiente”; mentre la norma transitoria contenuta nell’art. 13 ha da un lato imposto agli Stati membri di conformarsi alla direttiva entro il 21.07.2004 e dall’altro ha precisato (al n. 3) che tale obbligo non si applica ai piani ed ai programmi il cui primo atto formale preparatorio sia precedente a tale data e “che sono stati approvati più di ventiquattro mesi dopo”.
Tale direttiva, ritenuta dalla giurisprudenza non self-executing (Cons. St., sez. IV, 14.04.2010, n. 2097, TAR Lombardia, sede Milano, sez. II, 17.02.2011, n. 481, e TAR Veneto, sez. I, 07.10.2011, n. 1503), è stata recepita con il D.Lgs. 03.04.2006, n. 152, il quale ha previsto la sottoposizione a valutazione ambientale non solo dei “piani e dei programmi statali, regionali e sovracomunali” (art. 4, n. 1, lett. a, n. 3), ma anche dei “piani e programmi che possono avere effetti significativi sull’ambiente” (art. 4, n. 1, lett. a, n. 4); l’art. 7 ha previsto a tal fine al n. 5 che “l’autorità competente all’approvazione del piano deve preliminarmente verificare se lo specifico piano o programma oggetto di approvazione possa avere effetti significativi sull’ambiente”. La norma transitoria contenuta nell’art. 52 di tale decreto ha poi previsto che i procedimenti amministrativi in corso “alla data di entrata in vigore del presente decreto, nonché i procedimenti per i quali a tale data sia già stata formalmente presentata istanza introduttiva da parte dell'interessato, si concludono in conformità alle disposizioni ed alle attribuzioni di competenza in vigore all'epoca della presentazione di detta istanza”.
Tale decreto, a seguito di successive proroghe, è entrato in vigore il 31.07.2007 (Cons. St., sez. VI, 10.05.2011, n. 2755).
Successivamente, tale decreto legislativo ha subito sostanziali modifiche a seguito prima del D.Lgs. 16.01.2008, n. 4 (c.d. primo correttivo), e poi del D.Lgs. 29.06.2010, n. 120. L’intera parte seconda del D.Lgs. 152 del 2006 è stata, infatti, abrogata dall’art. 4, comma 2, del decreto legislativo 16.01.2008, n. 4, ed è stata sostituita dagli artt. 1, comma 2, e 4, comma 3, del medesimo decreto correttivo, che hanno introdotto, in materia di VAS, una disciplina (v. gli artt. da 4 a 18 e da 30 a 36, nonché gli allegati da I a V della parte seconda) largamente differente. Le disposizioni in materia di VAS contenute nel decreto originario hanno, pertanto, avuto vigenza dal 31.07.2007 al 13.02.2008, data di entrata in vigore della nuova disciplina introdotta dal c.d. primo correttivo.
Per effetto di tale D.Lgs. n. 4/2008 oggi debbono, pertanto, essere sottoposti a valutazione ambientale strategica tutti gli atti di “pianificazione territoriale” e di “destinazione dei suoli” e tale valutazione deve essere effettuata -come disposto dall’art. 11, n. 3, e come questa stessa Sezione ha già avuto modo di chiarire con sentenze 13.12.2011, nn. 693-700- prima dell’approvazione del piano, in quanto tale normativa ha individuato, quale unico limite temporale inderogabile per l’espletamento della valutazione ambientale la data di “approvazione” del piano, e non quella di “adozione”, tanto che l’art. 11, n. 5, ha dichiarato espressamente annullabili i provvedimenti di approvazione degli strumenti pianificatori, ove non siano stati preceduti dal sub procedimento in questione (cfr. nello stesso senso TAR Sicilia, sez. Catania, sez. I, 01.09.2011, n. 2143, e sede Palermo, sez. III, 31.10.2011, n. 1934, e TAR Friuli Venezia - Giulia, 10.08.2011, n. 365).
Con riferimento a tali considerazioni ritiene il Collegio che l’atto impugnato sia inficiato dal vizio denunciato in quanto -come sembra evidente dagli atti di causa- l’atto di approvazione del piano non è stato preceduto dal sub procedimento in questione.
Né appaiono al riguardo rilevanti le difese prospettate dal Comune che ha fatto riferimento alla circostanza che il piano era stato adottato prima della predetta modifica introdotta con il D.Lgs. 16.01.2008, n. 4, e che le norme transitorie contenute nell’art. 35, n. 2-ter (nuovo testo), prevedono espressamente che “le procedure di VAS, VIA ed AIA avviate precedentemente all’entrata in vigore del presente decreto sono concluse ai sensi delle norme vigenti al momento dell'avvio del procedimento”.
Secondo la resistente, invero, l’art. 4, 1° co., n. 3), del D.Lgs. n. 152/2006, nella versione originaria, prevedeva “l’utilizzo della valutazione ambientale [strategica] nella stesura dei piani e dei programmi statali, regionali e sovra comunali” e che i PRG comunali fossero esclusi dalla VAS, la cui necessità sarebbe stata introdotta dal D.Lgs. n. 4/2008 (entrato in vigore il 13.02.2008), che, all’art. 6, ha esteso tale procedura a tutti i piani ed i programmi di pianificazione territoriale e di destinazione dei suoli, mentre il procedimento di adozione del PRG, concluso con la deliberazione n. 37 del 21.12.2007, soggiaceva alla normativa ante riforma e nessuna necessità era ravvisata in ordine alla VAS.
Deve, invero, osservarsi in merito innanzitutto che il D.Lgs. n. 152/2006 nel suo testo originario prevedeva, come si è già ricordato, la sottoposizione a valutazione ambientale anche dei “piani e programmi che possono avere effetti significativi sull’ambiente” (art. 4, n. 1, lett. a, n. 4) e tra tali piani non può non rientrare lo strumento urbanistico in questione che disciplina una zona di rilevante dimensione (l’intero territorio comunale), che comprende anche zone sottoposte a particolare tutela ambientale; tale previsione impositiva dell’obbligo di eseguire la procedura VAS era in vigore in epoca antecedente la deliberazione di adozione dello strumento urbanistico in questione. E basta al riguardo ricordare quanto questo Tribunale ha già avuto modo di evidenziare con le sopra ricordate sentente del 2011 relative ad una fattispecie per molti versi analoga relativa al P.R.G. del Comune di Vasto. Va, inoltre, considerato che la mancata adozione della procedura VAS non attiene ad un aspetto meramente formale, ma al contrario appare fondamentale per determinare le scelte di pianificazione del territorio.
Inoltre, va anche osservato per un verso che tale procedura di valutazione ambientale strategia deve precedere, come già detto, non la delibera di adozione, ma quella di approvazione del piano e per altro verso che la norma transitoria contenuta nel predetto art. 35, così come quella contenuta nel previgente art. 52, si riferisce alle ipotesi in cui fosse già stata avviata una procedura VAS, mentre nella specie tale procedura è stata omessa del tutto e non risulta sia mai stata espletata (TAR Sicilia, sez. Catania, 23.03.2012, n. 831)
(TAR Abruzzo-Pescara, sentenza 28.12.2012 n. 556 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: Se è pur vero che l’art. 4, c. 2, LR 12/2005 prevede che la VAS debba essere conclusa prima dell’adozione, occorre tener conto delle modifiche normative introdotte dall’art. 5, c. 8, del D.L. 13.05.2011 n. 70 conv. in L. 12.07.2011 n. 106, la quale ha modificato l’art. 16 della L. n. 1140/1942.
In forza di tale disposizione -che è contenuta nella Legge nazionale in tema di disciplina urbanistica, la quale pone i principi fondamentali nella materia, ai quali ex art.. 117, c. 3, Cost. le regioni devono conformare la loro legislazione di dettaglio- le procedure di VAS sono state inserite nell’ambito della procedura di approvazione del piano, sicché non è più necessario che la precedano.
In altri termini, la fase della VAS non deve più necessariamente precedere la fase di adozione del programma o piano urbanistico, ma può ora svilupparsi all’interno del medesimo procedimento con l’unico vincolo che essa si concluda prima del provvedimento finale di approvazione del piano.

Se è pur vero che l’art. 4, c. 2, LR 12/2005 prevede che la VAS debba essere conclusa prima dell’adozione, occorre tener conto delle modifiche normative introdotte dall’art. 5, c. 8, del D.L. 13.05.2011 n. 70 conv. in L. 12.07.2011 n. 106, la quale ha modificato l’art. 16 della L. n. 1140/1942.
In forza della suddetta modifica ora l’art. 16 cit. dispone che: “Lo strumento attuativo di piani urbanistici già sottoposti a valutazione ambientale strategica non è sottoposto a valutazione ambientale strategica né a verifica di assoggettabilità qualora non comporti variante e lo strumento sovraordinato in sede di valutazione ambientale strategica definisca l’assetto localizzativo delle nuove previsioni e delle dotazioni territoriali, gli indici di edificabilità, gli usi ammessi e i contenuti piani volumetrici, tipologici e costruttivi degli interventi, dettando i limiti e le condizioni di sostenibilità ambientale delle trasformazioni previste. Nei casi in cui lo strumento attuativo di piani urbanistici comporti variante allo strumento sovraordinato, la valutazione ambientale strategica e la verifica di assoggettabilità sono comunque limitate agli aspetti che non sono stati oggetto di valutazione sui piani sovraordinati. I procedimenti amministrativi di valutazione ambientale strategica e di verifica di assoggettabilità sono ricompresi nel procedimento di adozione e di approvazione del piano urbanistico o di loro varianti non rientranti nelle fattispecie di cui al presente comma.”
In forza di tale disposizione -che è contenuta nella Legge nazionale in tema di disciplina urbanistica, la quale pone i principi fondamentali nella materia, ai quali ex art.. 117, c. 3, Cost. le regioni devono conformare la loro legislazione di dettaglio (cfr. Corte Costituzionale, 23.11.2011 n. 309, 30.05.2008 n. 180)- le procedure di VAS sono state inserite nell’ambito della procedura di approvazione del piano, sicché non è più necessario che la precedano.
In altri termini, la fase della VAS non deve più necessariamente precedere la fase di adozione del programma o piano urbanistico, ma può ora svilupparsi all’interno del medesimo procedimento con l’unico vincolo che essa si concluda prima del provvedimento finale di approvazione del piano (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 27.12.2012 n. 2017 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Vas e Vinca.
Domanda
Il procedimento di Valutazione di incidenza ambientale (Vinca) può essere considerato equipollente della procedura di Valutazione ambientale strategica (Vas)?
Risposta
Il Consiglio di stato, sezione sesta, con la sentenza del 10.05.2011, numero 2755, ha affermato che, in fase di predisposizione del piano faunistico-venatorio, la regione avrebbe dovuto avviare la procedura di Valutazione ambientale strategica (Vas), relativamente al piano in esame, con riferimento alla normativa statale entrata in vigore già prima dell'emanazione del decreto legislativo numero 4, del 2008.
I supremi giudici amministrativi hanno, pure, puntualizzato che il procedimento di Valutazione di incidenza ambientale (Vinca) non può essere considerato equipollente, né una duplicazione, tenuto conto della diversità delle regole procedimentali e sostanziali che caratterizzano tale Valutazione di incidenza ambientale.
La Valutazione ambientale strategica (Vas) e la Valutazione di incidenza ambientale (Vinca) sono due strumenti che hanno lo scopo di misurare programmi e interventi sul comparto ambiente.
La Valutazione ambientale strategica (Vas), che è regolamentata dal decreto legislativo numero 152, del 03.04.2006, si riferisce agli effetti ambientali del piano, in quanto tale, e ivi esplica i suoi effetti.
La normativa recepisce i principi, gli obiettivi e le finalità della direttiva del parlamento europeo e del consiglio, concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull'ambiente, datata 27.06.2001–2001/42/Ce. Detta direttiva, all'articolo 1, stabilisce che l'obiettivo di detta procedura è quello di garantire un elevato livello di protezione dell'ambiente e di contribuire all'integrazione di considerazioni ambientali all'atto dell'elaborazione e dell'adozione di piani e programmi al fine di promuovere lo sviluppo sostenibile, assicurando che venga effettuata la valutazione ambientale di determinati piani e programmi che possono avere effetti significativi sull'ambiente.
La Valutazione di incidenza ambientale (Vinca), per il Consiglio di stato, con la summenzionata sentenza, «ha un rilevo settoriale, destinato alla particolare protezione di siti di importanza comunitaria (e da tenere in considerazione in sede di Vas, anch'essa divenuta necessaria in base alla normativa sopravvenuta del 2006)». Essa è disciplinata dal dpr 08.09.1997, numero 357, che contiene il Regolamento recante attuazione della direttiva numero 92/43 Ce, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche.
Pertanto, la Valutazione di incidenza ambientale (Vinca) riguarda piani, programmi pubblici e interventi pubblici e privati che possono produrre effetti soltanto sulle aree identificate e soggette a particolare tutela prevista dal citato dpr 357/1997 (articolo ItaliaOggi Sette del 10.09.2012).

URBANISTICA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 31 del 03.08.2012, "Determinazione della procedura di valutazione ambientale di piani e programmi - VAS (art. 4, l.r. n. 12/2005; d.c.r. n. 351/2007) - Approvazione allegato 1u - Modello metodologico procedurale e organizzativo della valutazione ambientale di piani e programmi (VAS) – Variante al piano dei servizi e piano delle regole" (deliberazione G.R. 25.07.2012 n. 3836).

URBANISTICALe censure inerenti il procedimento di VAS sono ammissibili nei limiti in cui la parte istante specifichi quale concreta lesione alla sua proprietà siano derivate dall’inosservanza delle norme sul procedimento; in altri termini, non deve trattarsi di una doglianza meramente “strumentale”, ma sostanziale, visto che il generico interesse ad un nuovo esercizio del potere pianificatorio dell’Amministrazione è insufficiente a distinguere la posizione del ricorrente da quella del quisque de populo.
Nel secondo motivo, è denunciata la violazione delle norme sulla valutazione ambientale strategica (VAS), sotto vari profili.
La censura appare però inammissibile, alla luce della giurisprudenza del Consiglio di Stato (cfr. sez. IV, 12.01.2011, n. 133), per la quale le censure inerenti il procedimento di VAS sono ammissibili nei limiti in cui la parte istante specifichi quale concreta lesione alla sua proprietà siano derivate dall’inosservanza delle norme sul procedimento; in altri termini, non deve trattarsi di una doglianza meramente “strumentale”, ma sostanziale, visto che il generico interesse ad un nuovo esercizio del potere pianificatorio dell’Amministrazione è insufficiente a distinguere la posizione del ricorrente da quella del quisque de populo (cfr. in termini, TAR Lombardia, Milano, sez. II, 12.01.2012, n. 297)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 11.07.2012 n. 1955 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: Variazione urbanistica e V.i.a.-V.a.s..
La V.A.S., ai sensi dell’art. 11 del d.lgs. 152 del 2006, non è un procedimento o subprocedimento autonomo rispetto alla procedura di pianificazione, ma un passaggio endoprocedimentale di esso, che si concreta nell’espressione di un “parere” che riflette la verifica di sostenibilità ambientale della pianificazione medesima.
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In presenza di una variazione urbanistica funzionale alla realizzazione di un progetto contemporaneamente interessato dalla procedura di valutazione di impatto ambientale, quest’ultima esaurisce le verifiche in tale fase richieste dalla legge, mentre la V.A.S e la relativa verifica di assoggettabilità (art. 12 d.lgs. n. 152/2006) riguardano i soli casi di autonoma elaborazione di piani e programmi idonei ad incidere in modo rilevante sull’ambiente.
A maggior ragione va ritenuto che, qualora sia comunque sottoposta a V.A.S. una variante sostanzialmente diretta alla realizzazione di un singolo intervento sottoposto a V.I.A., l’integrazione tra le due procedure risulta, oltre che legittima, opportuna, ed è suggerita dalla stessa lettera della legge che dà una lettura orientata allo scopo delle procedure, nella parte in cui, all’art. 13, c.4, del d.lgs 152/2006, detta le disposizioni per l’applicazione dell’allegato VI al d.lgs, prescrivendo che le sue previsioni debbano tenere conto di determinate circostanze e permettendo l’utilizzo di approfondimenti o informazioni ottenute nell’ambito di altri livelli decisionali o altrimenti acquisite.

Infine, è palesemente infondata l’eccezione di tardività per avere impugnato la variante unitamente alla Valutazione Ambientale Strategica, in quanto contrastante con la più recente e condivisibile giurisprudenza, che ha ritenuto come la V.A.S., ai sensi dell’art. 11 del d.lgs. 152 del 2006, non sia un procedimento o subprocedimento autonomo rispetto alla procedura di pianificazione, ma un passaggio endoprocedimentale di esso, che si concreta nell’espressione di un “parere” che riflette la verifica di sostenibilità ambientale della pianificazione medesima (CdS Sez. IV 12.01.2011 n. 133)
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In giurisprudenza si è condivisibilmente ritenuto che, in presenza di una variazione urbanistica funzionale alla realizzazione di un progetto contemporaneamente interessato dalla procedura di valutazione di impatto ambientale, quest’ultima esaurisca le verifiche in tale fase richieste dalla legge, mentre la V.A.S e la relativa verifica di assoggettabilità (art. 12 d.lgs. n. 152/2006) riguardano i soli casi di autonoma elaborazione di piani e programmi idonei ad incidere in modo rilevante sull’ambiente (Tar Emilia Romagna Parma 22.12.2010 n. 552). A maggior ragione va ritenuto che, qualora sia comunque sottoposta a V.A.S. una variante sostanzialmente diretta alla realizzazione di un singolo intervento sottoposto a V.I.A., come nel caso in esame (come risulta dalla determinazione 177/2008 più volte citata, alla pag. 21, e sostanzialmente incontestato dalla ricorrente) l’integrazione tra le due procedure risulta, oltre che legittima, opportuna, ed è suggerita dalla stessa lettera della legge che dà una lettura orientata allo scopo delle procedure, nella parte in cui, all’art. 13 c.4 del d.lgs 152/2006, detta le disposizioni per l’applicazione dell’allegato VI al d.lgs, prescrivendo che le sue previsioni debbano tenere conto di determinate circostanze e permettendo l’utilizzo di approfondimenti o informazioni ottenute nell’ambito di altri livelli decisionali o altrimenti acquisite
(massima tratta www.lexambiente.it - TAR Marche, sentenza 22.06.2012 n. 444 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICAOccorre indulgere verso una più rigida interpretazione delle condizioni dell’azione, ponendo forti limiti alla configurabilità dell’interesse cd. strumentale all’impugnazione dello strumento urbanistico.
Ciò, sul presupposto che, in subiecta materia, l’interesse al ricorso non può sostanziarsi in un generico interesse a una migliore pianificazione dei suoli di propria spettanza che, in quanto tale, non si differenzia dall’eguale interesse che quisque de populo potrebbe nutrire.
Per fondare l’interesse al ricorso in relazione alle censure afferenti la V.A.S., occorre fornire la dimostrazione che i lamentati vizi della V.A.S. abbiano inciso in modo diretto e determinante sulle scelte specificamente riguardanti le aree dei ricorrenti, traendo da ciò la logica conseguenza che dette scelte avrebbero potuto essere differenti ove si fosse proceduto ad una nuova V.A.S. emendata dei ridetti vizi.

Nello specifico, con particolare riguardo ai primi due motivi, che fanno leva sulla violazione delle norme in materia di V.A.S., il Collegio deve ribadirne l’inammissibilità per difetto di interesse, posto che, secondo la più recente giurisprudenza, occorre indulgere verso una più rigida interpretazione delle condizioni dell’azione, ponendo forti limiti alla configurabilità dell’interesse cd. strumentale all’impugnazione dello strumento urbanistico.
Ciò, sul presupposto che, in subiecta materia, l’interesse al ricorso non può sostanziarsi in un generico interesse a una migliore pianificazione dei suoli di propria spettanza che, in quanto tale, non si differenzia dall’eguale interesse che quisque de populo potrebbe nutrire (cfr. Consiglio di Stato sez. IV 12.01.2011 n. 133; id. 29.12.2010, n. 9537; id. 12.10.2010 n. 7439; 13.07.2010 n. 4542; 06.05.2010 n. 2629; sez. V, 07.09.2009, n. 5244; sez. IV, 22.12.2007, n. 6613; TAR Lombardia, Milano, II, 27.01.2012 n. 297; id., 24.11.2011, n. 2901).
Proprio nella richiamata sentenza del 12.01.2011 n. 133, il Consiglio di Stato ha precisato che, per fondare l’interesse al ricorso in relazione alle censure afferenti la V.A.S., occorre fornire la dimostrazione che i lamentati vizi della V.A.S. abbiano inciso in modo diretto e determinante sulle scelte specificamente riguardanti le aree dei ricorrenti, traendo da ciò la logica conseguenza che dette scelte avrebbero potuto essere differenti ove si fosse proceduto ad una nuova V.A.S. emendata dei ridetti vizi.
Applicando tali coordinate ermeneutiche al caso di specie, ne deriva che, non soltanto, non risulta fornita alcuna dimostrazione dell’incidenza dei vizi afferenti la V.A.S. rispetto alla pianificazione avente ad oggetto l’area della ricorrente ma altresì che, a conferma del predetto assunto, le censure specificamente volte a contestare il regime dei suoli di proprietà della Società sono, come si è già visto e come s’illustrerà di seguito, tutte destituite di fondamento
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 25.05.2012 n. 1440 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICAOggetto: Valutazione Ambientale Strategica (VAS) di competenza regionale di cui al d.lgs. 03.04.2006 n. 152 - Indicazioni procedurali (MIBAC, Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici del Veneto, circolare 14.05.2012 n. 26/2012).

URBANISTICA: M. Mazzoleni, Ancora sulla VAS, «alla prova» davanti ai giudici italiani (nota a C.d.S. n. 133/2011) (link a www.lexambiente.it).

URBANISTICA: Piani urbanistici: anche l'abrogazione è soggetta a VAS.
Con sentenza 22.03.2012 n. C-567/10 la Sez. IV della Corte di Giustizia UE ha fissato il duplice principio secondo cui:
1. La nozione di piani e programmi «previsti da disposizioni legislative, regolamentari o amministrative», di cui all’articolo 2, lettera a), della direttiva 2001/42/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27.06.2001, concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull’ambiente, deve essere interpretata nel senso che essa riguarda anche i piani regolatori particolareggiati, come quello oggetto della normativa nazionale belga di cui trattasi nel procedimento principale.
2. L’articolo 2, lettera a), della direttiva 2001/42 deve essere interpretato nel senso che una procedura di abrogazione totale o parziale di un piano regolatore, come quella di cui agli articoli 58-63 del code bruxellois de l’aménagement du territoire, quale modificato dalla legge regionale del 14.05.2009, rientra in linea di principio nell’ambito di applicazione di detta direttiva, sicché è soggetta alle norme relative alla valutazione ambientale previste da quest’ultima.

Chiamata a pronunciarsi i un procedimento avente ad oggetto una domanda di pronuncia pregiudiziale proposta, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dalla Cour constitutionnelle (Belgio) con decisione del 25.11.2010, la quarta sezione della Corte di Giustizia UE ha ribadito che gli obbiettivi esplicitati dalla direttiva 2001/42 all'art. 1 impongono di ritenere che, sebbene l’articolo 2, lettera a), della direttiva 2001/42 riguardi formalmente soltanto l’adozione e la modifica di piani di assetto del territorio, detta direttiva, al fine di conservare il suo effetto utile, deve essere interpretata nel senso che si applica altresì all’abrogazione di tali piani.
Nel caso di specie, afferma la Corte, "l’abrogazione di un piano regolatore particolareggiato muterebbe il contesto in cui vengono rilasciate le licenze urbanistiche e potrebbe modificare l’ambito delle autorizzazioni rilasciate per i progetti futuri".
Né sarebbe conforme alla finalità e all’effetto utile della direttiva 2001/42 escludere dall’ambito di applicazione della direttiva "un atto di abrogazione, la cui adozione, benché facoltativa, abbia avuto luogo", vero che i «piani e programmi» di cui all’articolo 2, lettera a), della direttiva in parola "sono in via generale quelli previsti dalle disposizioni legislative o regolamentari nazionali e non soltanto quelli che devono essere obbligatoriamente adottati in forza di tali disposizioni".
Pertanto, pur constatando che l’articolo 2, lettera a), della direttiva 2001/42 non riguarda l’abrogazione dei piani, la Corte ha ritenuto che dalla suddetta direttiva "emerga, tuttavia, che una valutazione ambientale deve essere realizzata non soltanto per gli atti nazionali che determinano le norme di pianificazione territoriale, ma anche per quelli che definiscono il quadro in cui l’attuazione di progetti potrà essere autorizzata in futuro. Pertanto, un atto del governo della Regione che si inserisca in un complesso di piani di assetto del territorio dovrebbe essere sottoposto a tale procedura anche quando abbia ad oggetto unicamente l’abrogazione dei piani" (link a
http://studiospallino.blogspot.it).

URBANISTICA: B.U.R. Lombardia n. 9 del 02.03.2012 "Istruzioni per la pianificazione locale della RER – febbraio 2012" (comunicato regionale 27.02.2012 n. 25).

URBANISTICA: Valutazione ambientale strategica.
Domanda.
In qualità di proprietario del terreno interessato da strumento urbanistico, posso vantare un interesse strumentale all'impugnazione di uno strumento urbanistico al fine di una riedizione del potere amministrativo pianificatorio, che abbia come risultato finale un provvedimento a me più favorevole?
Risposta.
Il Tribunale regionale amministrativo (Tar) Lombardia, Milano, Sezione II, con la sentenza numero 188, del 27.01.2010, aveva riconosciuto al ricorrente portatore di un interesse strumentale all'impugnazione di uno strumento urbanistico al fine di una riedizione del potere amministrativo pianificatorio detto interesse strumentale. Detta decisione teneva presente il precedente pronunciamento del Consiglio di stato, sezione V, espresso con la sentenza del 15.11.2001, numero 5839.
Ora, il Consiglio di stato, sezione IV, con la sentenza del 12.01.2011, numero 133, dopo avere evidenziato che la Valutazione ambientale strategica (Vas) non è configurata come un procedimento o un sub procedimento autonomo rispetto alla procedura di pianificazione, ha affermato che è legittima, e anzi quasi fisiologica l'evenienza che l'Autorità competente alla Valutazione ambientale strategica (Vas) sia identificata in un organo o ufficio interno alla stessa Autorità procedente.
I Supremi giudici amministrativi, hanno affermato, poi, che l'interesse cosiddetto strumentale all'impugnazione di uno strumento urbanistico sussiste soltanto se sussistono specifici vizi in ordine alle determinazioni che riguardano il regime dei suoli di proprietà del privato ricorrente. Pertanto, per il Consiglio di stato, il cosiddetto interesse strumentale «non può fondarsi sul generico interesse ad una migliore pianificazione del proprio suolo, che in quanto tale non si differenzia dall'eguale interesse che il quisque de populo potrebbe nutrire».
«In altri termini, aggiungono i Supremi giudici, l'utilità comunque rappresentata dal possibile vantaggio che astrattamente il ricorrente potrebbe ottenere per effetto della riedizione dell'attività amministrativa non è ex se indicativa della titolarità di una posizione di interesse giuridicamente qualificata e differenziata, idonea, a legittimare la tutela giurisdizionale». Il lettore può consultare, anche, la sentenza del Consiglio di stato, Sezione IV, del 13.07.2010, numero 4546 (articolo ItaliaOggi Sette del 13.02.2012).

URBANISTICA1. Ricorso giurisdizionale - Interesse all'impugnazione - Censure afferenti alla V.A.S. - Occorre dimostrarne l'incidenza diretta e determinante sulle scelte riguardanti le aree dei ricorrenti.
1.
Per fondare l'interesse al ricorso in relazione a censure afferenti alla V.A.S. occorre fornire la dimostrazione che i lamentati vizi della V.A.S. stessa abbiano inciso in modo diretto e determinante sulle scelte specificamente riguardanti le aree dei ricorrenti, traendo da ciò la logica conseguenza che dette scelte avrebbero potuto essere differenti ove si fosse proceduto ad una nuova V.A.S. emendata dei ridetti vizi.
L'interesse al ricorso non può infatti sostanziarsi in un generico interesse a una migliore pianificazione dei suoli di propria spettanza, che, in quanto tale, non si differenzia dall'eguale interesse che quisque de populo potrebbe nutrire (cfr. Consiglio Stato, 12.01.2011, n. 133; id. 12.10.2010, n. 7439; id. 13.07.2010, n. 4542; id. 06.05.2010, n. 2629; Ad. Plen. Consiglio Stato 07.04.2011, n. 4) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 27.01.2012 n. 297 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICAPer fondare l’interesse al ricorso in relazione alle censure afferenti la V.A.S. occorre fornire la dimostrazione che i lamentati vizi della V.A.S. stessa abbiano inciso in modo diretto e determinante sulle scelte specificamente riguardanti le aree dei ricorrenti, traendo da ciò la logica conseguenza che dette scelte avrebbero potuto essere differenti ove si fosse proceduto ad una nuova V.A.S. emendata dei ridetti vizi.
Ad avviso del Collegio, alla luce della più recente impostazione giurisprudenziale, incline a porre forti limiti alla configurabilità anche dell’interesse cd. strumentale all’impugnazione dello strumento urbanistico, neppure l’esistenza di siffatto interesse sotteso alla riedizione della procedura di V.A.S. può essere ritenuta sufficiente ad integrare la condizione dell’azione qui contestata.
Ciò, sul presupposto che, in subiecta materia, l’interesse al ricorso non può sostanziarsi in un generico interesse a una migliore pianificazione dei suoli di propria spettanza, che in quanto tale non si differenzia dall’eguale interesse che quisque de populo potrebbe nutrire.
Per evitare di pervenire a una legitimatio generalis … occorre che le “determinazioni lesive” fondanti l’interesse a ricorrere siano effettivamente “condizionate”, ossia causalmente riconducibili in modo decisivo, alle preliminari conclusioni raggiunte in sede di V.A.S., e pertanto l’istante avrebbe dovuto precisare come e perché tali conclusioni nella specie abbiano svolto un tale ruolo decisivo sulle opzioni relative ai suoli di sua proprietà, ciò che non ha fatto.

Come evidenziato dal Consiglio di Stato nella sentenza del 12.01.2011 n. 133, che ha riformato la su richiamata pronuncia di questo TAR, per fondare l’interesse al ricorso in relazione alle censure afferenti la V.A.S. occorre fornire la dimostrazione che i lamentati vizi della V.A.S. stessa abbiano inciso in modo diretto e determinante sulle scelte specificamente riguardanti le aree dei ricorrenti, traendo da ciò la logica conseguenza che dette scelte avrebbero potuto essere differenti ove si fosse proceduto ad una nuova V.A.S. emendata dei ridetti vizi.
Ad avviso del Collegio, alla luce della più recente impostazione giurisprudenziale, incline a porre forti limiti alla configurabilità anche dell’interesse cd. strumentale all’impugnazione dello strumento urbanistico, neppure l’esistenza di siffatto interesse sotteso alla riedizione della procedura di V.A.S. può essere ritenuta sufficiente ad integrare la condizione dell’azione qui contestata.
Ciò, sul presupposto che, in subiecta materia, l’interesse al ricorso non può sostanziarsi in un generico interesse a una migliore pianificazione dei suoli di propria spettanza, che in quanto tale non si differenzia dall’eguale interesse che quisque de populo potrebbe nutrire (cfr. Consiglio di Stato 12.01.2011 n. 133, cit; nonché, id. 12.10.2010 n. 7439; id. 13.07.2010 n. 4542; id. 06.05.2010 n. 2629; nonché, sempre in tema di legittimazione e interesse al ricorso, la decisione dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, del 07.04.2011 n. 4).
Applicando tali coordinate ermeneutiche al caso di specie, ne deriva che, non soltanto, non risulta fornita alcuna dimostrazione dell’incidenza dei vizi afferenti la V.A.S. rispetto alla pianificazione avente ad oggetto le aree dei ricorrenti ma altresì che, a conferma del predetto assunto, le censure specificamente volte a contestare il regime dei suoli di proprietà degli esponenti sono, come si illustrerà di seguito, tutte destituite di fondamento..
Merita, pertanto, di essere preliminarmente condivisa, la tesi resistente, secondo cui l’inammissibilità dei gravami, in parte qua, consegue alla mancata dimostrazione del se e in quale misura le doglianze relative alla fase di V.A.S. incidano sul “regime” riservato ai suoli di proprietà dei ricorrenti.
Al riguardo il Collegio non può che fare proprio l’insegnamento espresso dal Consiglio di Stato nella decisione n. 133/20111 cit., per cui: <<per evitare di pervenire a una legitimatio generalis … occorre che le “determinazioni lesive” fondanti l’interesse a ricorrere siano effettivamente “condizionate”, ossia causalmente riconducibili in modo decisivo, alle preliminari conclusioni raggiunte in sede di V.A.S., e pertanto l’istante avrebbe dovuto precisare come e perché tali conclusioni nella specie abbiano svolto un tale ruolo decisivo sulle opzioni relative ai suoli di sua proprietà, ciò che non ha fatto>>
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 27.01.2012 n. 297 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

2011

URBANISTICA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 52 del 29.12.2011, "Determinazione della procedura di valutazione ambientale di piani e programmi - VAS (art. 4, l.r. n. 12/2005) - Criteri per il coordinamento delle procedure di valutazione ambientale (VAS) – Valutazione di incidenza (VIC) - Verifica di assoggettabilità a VIA negli accordi di programma a valenza territoriale (art. 4, comma 10, l.r. 5/2010)" (deliberazione G.R. 22.12.2011 n. 2789).

URBANISTICA1. Programma Integrato di Intervento (P.I.I.) in variante al P.R.G. - Valutazione Ambientale Strategica (V.A.S.) - Possibilità di avvalersi della V.A.S. effettuata nel procedimento di adozione del Piano di Governo del Territorio (P.G.T.) - Incarico per effettuare la V.A.S. affidato ad un organo o ad ufficio della stessa Autorità procedente - Legittimità - Sussiste.
2. Programma Integrato di Intervento in variante al P.R.G. - Censure sorrette dall'interesse all'integrità delle finanze del Comune - Inammissibilità per carenza di interesse a ricorrere stante il carattere di giurisdizione soggettiva del vigente sistema di giustizia amministrativa.
3. Programma Integrato di Intervento in variante al P.R.G. - Mancanza parere di valutazione acustica - Art. 5 L.R. Lombardia n. 13/2001 - Istruttoria rinviata alla fase di rilascio dei titoli abilitativi - Legittimità.

1. In occasione dell'approvazione di un Programma Integrato di Intervento (P.I.I.) in variante al P.R.G. è legittimo avvalersi della valutazione ambientale strategica (V.A.S.) effettuata nel procedimento di adozione del Piano di Governo del Territorio (P.G.T.) anche se risulta completato solo tale sub-procedimento e non sia ancora approvato lo strumento urbanistico generale.
Al riguardo si deve, altresì, ritenere che l'autorità incaricata della V.A.S. possa legittimamente essere identificata in un organo o ufficio della stessa Autorità procedente, e che la scelta dei funzionari apicali dell'Ente costituisca una garanzia sufficiente in ordine al possesso, in capo a costoro, delle competenze necessarie per effettuare la V.A.S..
2. In occasione dell'approvazione di P.I.I. il mancato incasso di una determinata somma a compensazione dell'incremento della s.l.p., l'accollo da parte del Comune del costo delle aree a parcheggio o l'inadeguatezza dell'importo ricevuto dall'Amministrazione a fronte della monetizzazione dello standard, essendo censure sorrette dall'interesse all'integrità delle finanze del Comune -che non si configura come un interesse personale attuale e concreto dei ricorrenti- sono inammissibili.
Diversamente si ammetterebbe un'azione popolare volta al controllo oggettivo della legittimità dell'atto amministrativo da parte del giudice, che sarebbe in contrasto con il carattere di giurisdizione soggettiva attribuito al vigente sistema di giustizia amministrativa.
3. L'approvazione di un Programma Integrato di Intervento in mancanza del parere di compatibilità acustica non viola il giusto procedimento e l'art. 5 L.R. Lombardia n. 13/2001, in quanto tale norma pone l'obbligo di acquisizione del parere dell'A.R.P.A. in occasione del rilascio dei titoli abilitativi, e non nella fase antecedente di approvazione del P.I.I., risultando, conseguentemente, legittima la decisione del Comune di rinviare tali verifiche istruttorie alla fase attuativa del P.I.I., nel caso in cui l'Amministrazione abbia già affermato la necessità di un parere dell' A.R.P.A. nella successiva fase attuativa (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 15.12.2011 n. 3170 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: Valutazione ambientale strategica (VAS) - Autorità competente - Organo o ufficio interno alla stessa autorità procedente.
E' legittimo che l'autorità competente alla v.a.s. sia identificata in un organo o ufficio interno alla stessa autorità procedente.
La scelta dei funzionari apicali dell'ente costituisce una garanzia sufficiente in ordine al possesso, in capo a costoro, delle competenze necessarie per effettuare la valutazione ambientale strategica.

Parimenti infondata è la censura con cui viene lamentata l'assenza di competenze dell'autorità incaricata di effettuare la v.a.s.. Si richiama, al riguardo, quanto recentemente affermato dal Consiglio di Stato circa la legittimità dell'evenienza che l'autorità competente alla v.a.s. sia identificata in un organo o ufficio interno alla stessa autorità procedente (Consiglio Stato, sez. IV, 12.01.2011, n. 133)
La nomina del segretario comunale e dei dirigenti dell'ente, con l'esclusione del dirigente dell'area territorio, ambiente ed attività produttive e la previsione di un supporto tecnico operativo non si presta invero ad alcuna censura: in mancanza di elementi di segno contrario può, invero, ritenersi che la scelta dei funzionari apicali dell'ente costituisca una garanzia sufficiente in ordine al possesso, in capo a costoro, delle competenze necessarie per effettuare la valutazione ambientale strategica (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 15.12.2011 n. 3170 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA: 1.- Il Piano cave provinciale di Bergamo, approvato il 14.05.2008, doveva essere assoggettato a valutazione ambientale strategica (VAS): l’art. 13 della Direttiva 42/2001/CE del 21.07.2001 stabilisce che “i piani e i programmi il cui primo atto preparatorio formale è precedente a tale data (21.07.2004, termine imposto agli Stati per l’adeguamento alla Direttiva: ndr) e che sono stati approvati o sottoposti all'iter legislativo più di ventiquattro mesi dopo la stessa data (21.07.2006: ndr) sono soggetti all'obbligo (di sottoporre a VAS: ndr) di cui all'articolo 4, paragrafo 1, a meno che gli Stati membri decidano caso per caso che ciò non è possibile, informando il pubblico di tale decisione”. Il Piano cave provinciale di Bergamo rientra nella seconda ipotesi, in quanto la prima proposta provinciale (quella rivola ai Comuni) risale al 2003 e l’approvazione finale ha avuto luogo 14.05.2008, ben oltre il termine di 24 mesi calcolati dal 21.07.2004.
Con riferimento all’ultimo periodo della norma, infine, non risulta che lo Stato o la Regione siano intervenuti per evitare motivatamente la sua applicazione. La riferita disposizione dell’art. 13 consente di affermare (a differenza di quanto sostenuto dalla giurisprudenza prima della sentenza in commento) che la Direttiva è di applicazione diretta, una volta trascorso il termine del 21.07.2004 assegnato agli Stati per l’adeguamento del proprio ordinamento [sentenza, punto 2.3].
2.- In via generale, l’obbligo di assoggettamento del piano alla procedura di VAS ricorre ove sia prevista almeno una cava eccedente i parametri dimensionali prescritti dalle vigenti disposizioni (25 ettari, secondo l’allegato I alla Direttiva 337/1985/CE; 20 ettari o 500.00 mc. di materiale da estrarre, secondo l’allegato III alla parte II del D.Lgs. n. 152/2006). La valutazione deve tener conto del complesso degli ambiti di cava previsti dal piano e degli effetti reciproci e cumulativi degli ambiti stessi [sentenza, punto 2.2].
3.- Nella procedura di proposta e di approvazione del piano cave delineata dagli artt. 5/8 della L.R. n. 14/1998, la Regione, ove intenda apportare eventuali variazioni sostanziali rispetto alla proposta provinciale del piano, deve coinvolgere l’Amministrazione provinciale. Tale coinvolgimento non è invece richiesto ove le innovazioni da introdurre appaiano di mero dettaglio [sentenza, punto 3.2].
4.- I pareri e le osservazioni dei Comuni nel procedimento di proposta del piano cave non sono vincolanti, ma debbono essere esaminati e, se del caso, superati motivatamente, soprattutto ove l’aspetto segnalato dal Comune abbia una specifica rilevanza sanitaria ed ambientale e comporti l’obbligo di un approfondimento, del quale doveva essere dato espressamente (e diffusamente) conto [sentenza, punto 4].

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2.3 L’art. 13 della direttiva, recante le norme transitorie, statuisce anzitutto che “Gli Stati membri mettono in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva prima del 21.07.2004” (paragrafo 1). Il paragrafo 3 dispone che l’obbligo di VAS si applica “ai piani e ai programmi il cui primo atto preparatorio formale è successivo alla data di cui al paragrafo 1 (ossia al 21/07/2004)” mentre “I piani e i programmi il cui primo atto preparatorio formale è precedente a tale data e che sono stati approvati o sottoposti all'iter legislativo più di ventiquattro mesi dopo la stessa data sono soggetti all'obbligo di cui all'articolo 4, paragrafo 1, a meno che gli Stati membri decidano caso per caso che ciò non è possibile, informando il pubblico di tale decisione”.
E’ pacifico che il Piano cave della Provincia di Bergamo rientra nella seconda ipotesi delineata, in quanto il primo atto di impulso risale al 2003 e tuttavia l’approvazione finale ha avuto luogo ben oltre il termine di 24 mesi calcolati dal 21/07/2004. Con riferimento all’ultimo periodo della norma, non risulta che lo Stato o la Regione siano intervenuti per evitare motivatamente la sua applicazione. In senso opposto si è pronunciato il TAR Veneto, sez. II – 03/12/2010 n. 6324, ma ciò è avvenuto alla luce della Deliberazione n. 2988/04 con la quale la Giunta regionale del Veneto ha adottato i primi indirizzi operativi per la V.A.S. di piani e programmi di competenza regionale stabilendo che, se il primo atto preparatorio formale fosse stato adottato prima del 21.07.2004, gli stessi piani e programmi avrebbero dovuto essere sottoposti a VAS “qualora si preveda ragionevolmente che la loro approvazione intervenga dopo il 21.07.2006, salva l’ipotesi in cui il procedimento sia ad uno stadio avanzato tale da rendere impossibile l’espletamento della VAS”, proprio come consentito dall’art. 13, paragrafo 3, della direttiva 2001/42/CE. Non risulta viceversa che la Regione Lombardia abbia adottato una norma di tenore identico o similare.
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2.2 L’art. 3 paragrafo 2 della direttiva statuisce che “Fatto salvo il paragrafo 3, viene effettuata una valutazione ambientale per tutti i piani e i programmi” i quali (lett. a) “… sono elaborati per i settori agricolo, forestale, della pesca, energetico, industriale, dei trasporti, della gestione dei rifiuti e delle acque, delle telecomunicazioni, turistico, della pianificazione territoriale o della destinazione dei suoli, e che definiscono il quadro di riferimento per l'autorizzazione dei progetti elencati negli allegati I e II della direttiva 85/337/CEE”. L’allegato I della predetta direttiva 85/337/CE contempla, al punto 19, “Cave e attività minerarie a cielo aperto, con superficie del sito superiore a 25 ettari, oppure torbiere, con superficie del sito superiore a 150 ettari”.
L’ATE di cui si discorre rientrerebbe in astratto nel raggio di operatività della norma, poiché la sua estensione supera i 40 ettari. Peraltro parte ricorrente osserva che la VAS avrebbe dovuto essere effettuata per l’intero Piano cave, che interessa aree di ampiezza nettamente superiore. Questo rilievo consente di escludere l’applicazione del paragrafo 3 –nella parte in cui prevede la VAS soltanto previa indagine dello Stato membro sulla possibile incidenza dell’intervento sull’ambiente– che si riferisce a piani e programmi “che determinano l'uso di piccole aree a livello locale”: la vastità di un Piano cave di un’intera Provincia –che contempla (cfr. proposta della Commissione del 30/07/2007- doc. 18 ricorrente) oltre 40 ambiti per sabbia e ghiaia, 8 per argilla, 22 per calcari e dolomie, 27 per cave ornamentali e pietrisco oltre alle cave di recupero – conduce ex se ad escludere la sua sussunzione tra le aree di esigue dimensioni, raggiungendo un’estensione complessiva consistente (le superfici totali coinvolte superano i 1.000 ettari) ed interferendo con un territorio (la Provincia di Bergamo appunto) di oltre 2.700 Kmq.
E’ appena il caso di osservare, poi, che la deliberazione del Consiglio regionale 13/03/2007 – recante gli indirizzi generali sui Piani cave – specifica al punto 4.6 che “Per i Piani e programmi che determinano l’uso di piccole aree di livello locale e le modifiche minori, … si procede alla verifica di esclusione … al fine di stabilire se possono avere effetti significativi sull’ambiente”. Dunque anche per gli interventi territorialmente limitati (e non è come già visto questo il caso) è comunque prevista un’indagine preventiva che statuisca sulla necessità della VAS.
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3.2 Quanto all’obbligo di coinvolgere nuovamente la Provincia, è vero che questo Tribunale ha statuito (cfr. sentenza 22/04/2010 n. 1607) che il (rinnovato) coinvolgimento dell’autorità provinciale costituisce condotta dovuta in presenza di variazioni sostanziali del Piano o dell’ATE coinvolto, ma nella fattispecie le innovazioni introdotte appaiono di mero dettaglio.
Sull’ATE in questione, infatti, i volumi estrattivi riconosciuti dalla Provincia hanno trovato conferma sia presso la Giunta che presso il Consiglio regionale, il quale ha stabilito la quota di 2.400.000 mc. per riserve e lo stesso per la produzione prevista nel decennio. Nessuna variazione pertanto è intervenuta su tale parametro.
Con riguardo all’estensione dell’ATE, l’unica incisione è avvenuta sull’ampliamento a nord per la collocazione degli impianti di escavazione: premesso che i quantitativi non sono variati, complessivamente l’impresa ha ottenuto l’estensione per un’area a nord capace di ospitare l’impianto produttivo. Per il resto, anche la richiesta di deroga alle distanze ha trovato determinazioni sfavorevoli che si sono succedute (e mantenute) nel corso del procedimento.
In definitiva, nei passaggi tra i diversi Enti ed organi coinvolti –ed in particolare Provincia, Giunta regionale, VI Commissione, Consiglio comunale– non emergono stravolgimenti o mutamenti sensibili che avrebbero imposto la riedizione della procedura ed il riesame ad opera delle autorità proponenti.
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4. Fondata è invece l’ultima censura di eccesso di potere per difetto di istruttoria, di motivazione e ponderazione e per contraddittorietà, dato che l’estensione a tutta la superficie della possibilità di scavo in falda a 40 metri è stata accordata senza un’adeguata valutazione dell’incidenza della scelta sotto i profili ambientale e sanitario.
4.1 Il primo rilievo avanzato dall’amministrazione comunale nei confronti della Provincia è stato da questa effettivamente affrontato. Tuttavia la vicenda del rischio di inquinamento, già di per sé meritevole di particolare attenzione, ha conosciuto un elemento nuovo illustrato dal Comune nella nota 18/01/2007 richiamata nell’esposizione in fatto. A fronte di tale fatto ulteriore (superamento del limite per il cromo esavalente in uno dei punti sottoposti a periodico controllo) è evidente che l’autorità regionale era tenuta a riesaminare compiutamente la connessione tra la profondità dello scavo ammessa ed il pericolo di contaminazione, mentre la previsione del monitoraggio semestrale è evidentemente funzionale al mantenimento di un elevato livello di attenzione, destinato a sfociare in azioni concrete (o comunque in rinnovate valutazioni) quando si registrano valori che oltrepassano la soglia fissata dalla legge.
E’ vero che i pareri e le osservazioni dei Comuni nel procedimento in questione non sono vincolanti, ma l’aspetto segnalato ha una specifica rilevanza sanitaria ed ambientale e comportava l’obbligo di un approfondimento, del quale doveva essere dato espressamente (e diffusamente) conto. A tale condotta doveva indurre anche il già richiamato parere dell’autorità competente in materia paesaggistica (doc. 16 ricorrente) rilasciato il 13/12/2005 (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 21.10.2011 n. 1447 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICADirettiva 2001/42/CE – Art. 6 – Designazione, a fini di consultazione, delle autorità che possono essere interessate dagli effetti sull’ambiente dovuti all’applicazione di piani e programmi – Possibilità per un’autorità consultiva di concepire piani o programmi – Obbligo di designazione di un’autorità distinta – Modalità relative all’informazione e alla consultazione delle autorità e del pubblico.
1) In circostanze come quelle della causa principale, l’art. 6, n. 3, della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 27.06.2001, 2001/42/CE, concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull’ambiente, non impone che sia creata o designata un’altra autorità consultiva ai sensi di tale disposizione, purché, in seno all’autorità normalmente incaricata di procedere alla consultazione in materia ambientale e designata a tal fine, sia organizzata una separazione funzionale in modo tale che un’entità amministrativa, interna a tale autorità, disponga di un’autonomia reale, la quale implichi, segnatamente, che essa abbia a disposizione mezzi amministrativi e risorse umane propri, e sia in tal modo in grado di svolgere i compiti attribuiti alle autorità consultive ai sensi di tale art. 6, n. 3, e, in particolare, di fornire in modo oggettivo il proprio parere sul piano o programma previsto dall’autorità dalla quale essa promana.
2) L’art. 6, n. 2, della direttiva 2001/42 dev’essere interpretato nel senso che esso non impone che siano fissati in modo preciso nella normativa nazionale di recepimento di tale direttiva i termini entro i quali le autorità designate e il pubblico che ne è o probabilmente ne verrà toccato, ai sensi dei nn. 3 e 4 di tale articolo, devono poter esprimere il proprio parere su una determinata proposta di piano o di programma nonché sul rapporto ambientale e, di conseguenza, il citato n. 2 non osta a che siffatti termini siano stabiliti di volta in volta dall’autorità che elabora un piano o un programma.
Tuttavia, in quest’ultimo caso, tale medesimo n. 2 prescrive che, ai fini della consultazione di tali autorità e di tale pubblico su un progetto di piano o di programma determinato, il termine effettivamente stabilito sia congruo e consenta quindi di dare loro un’effettiva opportunità di esprimere, tempestivamente, il loro parere su tale proposta di piano o di programma nonché sul rapporto ambientale che lo accompagna (Corte di Giustizia, Sez. IV, sentenza 20.10.2011 n. C-474/10 - link a http://curia.europa.eu).

URBANISTICA: In materia di V.A.S.:
1) In circostanze come quelle della causa principale, l’art. 6, n. 3, della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 27.06.2001, 2001/42/CE, concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull’ambiente, non impone che sia creata o designata un’altra autorità consultiva ai sensi di tale disposizione, purché, in seno all’autorità normalmente incaricata di procedere alla consultazione in materia ambientale e designata a tal fine, sia organizzata una separazione funzionale in modo tale che un’entità amministrativa, interna a tale autorità, disponga di un’autonomia reale, la quale implichi, segnatamente, che essa abbia a disposizione mezzi amministrativi e risorse umane propri, e sia in tal modo in grado di svolgere i compiti attribuiti alle autorità consultive ai sensi di tale art. 6, n. 3, e, in particolare, di fornire in modo oggettivo il proprio parere sul piano o programma previsto dall’autorità dalla quale essa promana.
2) L’art. 6, n. 2, della direttiva 2001/42 dev’essere interpretato nel senso che esso non impone che siano fissati in modo preciso nella normativa nazionale di recepimento di tale direttiva i termini entro i quali le autorità designate e il pubblico che ne è o probabilmente ne verrà toccato, ai sensi dei nn. 3 e 4 di tale articolo, devono poter esprimere il proprio parere su una determinata proposta di piano o di programma nonché sul rapporto ambientale e, di conseguenza, il citato n. 2 non osta a che siffatti termini siano stabiliti di volta in volta dall’autorità che elabora un piano o un programma. Tuttavia, in quest’ultimo caso, tale medesimo n. 2 prescrive che, ai fini della consultazione di tali autorità e di tale pubblico su un progetto di piano o di programma determinato, il termine effettivamente stabilito sia congruo e consenta quindi di dare loro un’effettiva opportunità di esprimere, tempestivamente, il loro parere su tale proposta di piano o di programma nonché sul rapporto ambientale che lo accompagna.

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VAS, consultazione, piani e programmi: dall'UE mano libera all'autorita' promotrice.
Secondo la Corte UE, la direttiva sulla VAS non richiede che la normativa nazionale di recepimento fissi con precisione i termini entro i quali le autorità designate e il pubblico che ne e' (o probabilmente ne verrà) toccato debbano poter esprimere il proprio parere su una determinata proposta di piano o di programma nonché sul rapporto ambientale. Pertanto, tali termini possono essere stabiliti di volta in volta dall'autorità che elabora un piano o un programma, sempre che quelli effettivamente stabiliti siano congrui.

Si tratta di uno dei principi affermati con la sentenza del 20.10.2011 n. C-474/10, “Seaport e a.”, in virtù della quale la Corte di Giustizia UE, rispondendo alla domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Court of Appeal in Northern Ireland (Regno Unito) ha interpretato l’art. 6 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 27.06.2001, 2001/42/CE, concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull’ambiente (la c.d. “direttiva sulla VAS”).
Tale pronuncia pregiudiziale è sorta nel contesto di alcune controversie che vedono il Ministero dell’Ambiente dell’Irlanda del Nord contrapposto alla Seaport (NI) Ltd, Magherafelt District Council ed altri, relativamente alla validità della procedura di consultazione che è stata condotta per la preparazione delle proposte dei piani di sviluppo regionali nell'Irlanda del Nord.
La direttiva 2001/42/CE sulla VAS.
Nel 2001, dopo molti anni di discussioni e dibattiti, venne adottata la direttiva sulla Valutazione Ambientale Strategica (2001/42/CE), la quale risponde all’esigenza di “svolgere una valutazione preventiva degli effetti che possono derivare all’ambiente non solo da scelte localizzative puntuali (come avviene per opere e progetti sottoposti a VIA), ma anche da scelte strategiche e politiche lato sensu (ovvero ad atti di pianificazione e programmazione nonché a veri e propri atti regolamentari)” [G. Galotto, M. Mazzoleni, Le valutazioni ambientali: VAS, VIA e IPPC, IPSOA, pag. 1).
La direttiva 2001/42/CE comporta “[la] obbligatorietà di una valutazione e ponderazione delle conseguenze ambientali che piani e programmi, idonei –per natura e contenuti– a produrre effetti ambientali, possono provocare”. Sotto tale profilo, la VAS di matrice comunitaria ha ad oggetto tipicamente provvedimenti di natura pubblica. In particolare, per “piani e programmi, ai sensi dell’art. 2, lett. a), della direttiva 2001/42 s’intendono “i piani e i programmi, compresi quelli cofinanziati dalla Comunità europea, nonché le loro modifiche: – che sono elaborati e/o adottati da un’autorità a livello nazionale, regionale o locale oppure predisposti da un’autorità per essere approvati, mediante una procedura legislativa, dal parlamento o dal governo e – che sono previsti da disposizioni legislative, regolamentari o amministrative”.
L'obiettivo principale della VAS è, dunque, quello di valutare gli effetti ambientali dei piani o dei programmi innanzitutto “ex-ante”, cioè prima che vengano approvati, ma anche “in itinere” ed “ex-post”, cioè durante ed alla conclusione del loro periodo di validità. Nel disegno delineato dalla direttiva 2001/42/CE un ruolo fondamentale è assegnato alla redazione di un “rapporto ambientale” (art. 2, lettera c) che deve essere elaborato in vista dell’approvazione o del piano/programma, e poi trasmesso –unitamente ad una sua sintesi non tecnica, e naturalmente, alla proposta di piano o programma sottoposto a VAS– alle autorità designate dai singoli Stati membri in quanto interessate agli effetti sull’ambiente derivanti dall’applicazione del piano/programma.
Sintetizzando la procedura prevista dalla direttiva 2001/42/CE si articola nelle seguenti fasi: la verifica che un piano/programma siano soggetti alla VAS (
screening), la definizione dell'ambito delle indagini richieste per la valutazione (scoping), la valutazione degli effetti ambientali significativi probabili, espressi anche a mezzo di indicatori ambientali, l’informazione e la consultazione del pubblico e dei vari attori del processo decisionale, anche sulla base di tutte le valutazioni ambientali svolte, la decisione, che va pur’essa resa pubblica, dando conto di come e in che misura siano stati tenuti in considerazione il rapporto ambientale, i pareri ottenuti e l’esito delle consultazioni, il monitoraggio degli effetti ambientali del piano/programma.
Come è noto, la direttiva 2001/42/CE è stata recepita nel nostro ordinamento dal D.Lgs. n. 152/2006. Per maggiori approfondimenti sulla VAS, è possibile consultare l’apposita sezione del sito istituzionale della Commissione europea, o quella analoga del sito del Ministero dell’Ambiente.
Il fatto.
All’epoca dei fatti della causa principale, il Department of the Environment –l’equivalente irlandese del nostro Ministero dell’Ambiente- comprendeva quattro Agenzie esecutive, ciascuna delle quali era soggetta al suo controllo, non aveva una propria personalità giuridica distinta ed era competente ad esercitare alcuni dei poteri regolamentari e funzioni conferiti per legge a tale Department.
Tali agenzie erano: il Planning Service (servizio di pianificazione), l’Environment and Heritage Service [servizio dell’ambiente e del patrimonio culturale; in prosieguo: l’«EHS», attualmente denominato Northern Ireland Environnement Agency (NIEA)], la Driver and Vehicle Testing Agency (agenzia di controllo di conducenti e veicoli) e la Driver and Vehicle Licensing Northern Ireland (agenzia competente per il rilascio di patenti di guida e immatricolazione dei veicoli nell’Irlanda del Nord).
In particolare, il Planning Service esercitava le funzioni relative all’elaborazione dei piani di sviluppo regionali e alle decisioni in merito alle singole domande per il rilascio di permessi di pianificazione mentre l’EHS esercitava la maggior parte dei poteri conferiti al Department, riguardanti la regolamentazione dell’ambiente, esclusa la pianificazione.
Il Planning Service ha avviato, conformemente alle procedure nazionali all’epoca in vigore, l’elaborazione dei progetti di piani di sviluppo regionali denominati “Northern Area Plan 2016” e “Magherafelt Area Plan 2015”, elaborazione che ha avuto luogo anteriormente alla data entro la quale gli Stati membri avrebbero dovuto recepire la direttiva 2001/42.
Entrambe le proposte di piano, però, sono state pubblicate dopo tale data (e cioè, il progetto relativo al Magherafelt Area Plan 2015 nel 2004, mentre quello relativo al Northern Area Plan 2016 nel 2005).
Per chi volesse approfondire, questo è il link al sito istituzionale governativo dove vengono pubblicate tutte le novità nonché la documentazione relativa a tali piani di sviluppo. Nel novembre 2005 la Seaport ha proposto un ricorso dinanzi alla High Court of Justice in Northern Ireland, Queen’s Bench Division (Regno Unito), per contestare la validità delle azioni del Department of the Environment con riferimento alla pubblicazione da parte di quest’ultimo del progetto riguardante il Northern Area Plan 2016: in buona sostanza, sosteneva che la direttiva 2001/42 non era stata adeguatamente recepita nel diritto nazionale e che la valutazione e il rapporto ambientali effettuati dal Department of the Environment non erano conformi alle prescrizioni di tale direttiva.
Successivamente anche altri, con motivazioni analoghe, hanno presentato un’istanza, dinanzi allo stesso giudice, volta a contestare la pubblicazione del progetto relativo al Magherafelt Area Plan 2015, la realizzazione della valutazione ambientale e il contenuto del rapporto ambientale.
La Seaport, però, rinunciava all’azione e la domanda di pronuncia pregiudiziale che era stata presentata dalla High Court of Justice in Northern Ireland, Queen’s Bench Division, è stata annullata con ordinanza di quest’ultimo giudice 23.04.2010 (di modo che, con ordinanza del presidente della Prima Sezione della Corte 03.06.2010, Seaport/Department of the Environment for Northern Ireland, la causa C-182/09 è stata cancellata dal ruolo della Corte).
Con una sentenza del 07.09.2007, veniva decisa la causa instaurata innanzi alla High Court: quest’ultima constatava sia che le prescrizioni di cui all’art. 6, nn. 2 e 3, della direttiva 2001/42 non erano state correttamente trasposte dagli artt. 4 e 12 del regolamento del 2004, sia che l’art. 12 non aveva trasposto adeguatamente neanche le disposizioni dell’art. 6, n. 2, di tale direttiva, non avendo stabilito un termine specifico entro il quale dovesse aver luogo la consultazione.
Il 06.11.2007, il Department of the Environment, alla luce della sentenza della High Court, riesaminava la sua decisione di effettuare una valutazione ambientale della proposta di piano relativamente alle condizioni previste dalla direttiva 2001/42 e dal regolamento del 2004 e, con una nuova decisione, dichiarava “che non era possibile effettuare una valutazione ambientale della proposta di piano per la regione Nord 2016 che sia in conformità con la direttiva [2001/42] e [con il regolamento del 2004], e informa con la presente il pubblico della sua decisione a tale proposito, conformemente all’art. 6, n. 2, [del regolamento del 2004]”.
Con decisione del 13.11.2007, la High Court of Justice in Northern Ireland si è pronunciata sulle misure da adottare per porre rimedio alle carenze constatate nella sua sentenza del 07.09.2007.
Come anticipato, la questione è finita dinanzi alla Court of Appeal in Northern Ireland –il nostro giudice a quo- alla quale ha proposto appello il Department of the Environment avverso le conclusioni della High Court of Justice in Northern Ireland secondo le quali il regolamento del 2004 non aveva adeguatamente recepito le prescrizioni dell’art. 6, nn. 2 e 3, della direttiva 2001/42.
Il giudice del rinvio, con decisione 08.09.2008 ha sottoposto alla Corte questioni pregiudiziali identiche a quelle della presente causa: con ordinanza 20.05.2009, causa C-454/08, Seaport Investments, tale domanda “è stata dichiarata manifestamente irricevibile, in quanto, segnatamente, la decisione di rinvio non conteneva nessun argomento che esplicitava il quadro regolamentare e fattuale della controversia nella causa principale e non esponeva in modo sufficientemente chiaro e preciso le ragioni che avevano condotto tale giudice ad interpellare la Corte sull’interpretazione degli artt. 3, 5 e 6 della direttiva 2001/42.”
Le questioni pregiudiziali Alla luce di quanto precede la Court of Appeal in Northern Ireland ha nuovamente deciso di sospendere il giudizio e di sottoporre alla Corte tre questioni pregiudiziali.
Con le prime due questioni –esaminate dalla Corte UE congiuntamente– il giudice del rinvio chiedeva in sostanza se, in circostanze come quelle della causa principale, laddove l’autorità che è stata designata quale organo consultivo ai sensi dell’art. 6, n. 3, della direttiva 2001/42 è essa stessa incaricata dell’elaborazione di un piano ai sensi di quest’ultima, la citata disposizione debba essere interpretata nel senso che essa impone che sia designata un’altra autorità che deve, segnatamente, essere consultata nell’ambito dell’elaborazione del rapporto sugli effetti ambientali nonché dell’adozione di tale piano.
Con la sua terza questione, invece, il giudice del rinvio chiedeva se l’art. 6, n. 2, della direttiva 2001/42 debba essere interpretato nel senso che esso prevede che siano fissati in modo preciso nella normativa nazionale di recepimento di tale direttiva i «termini congrui» entro i quali le autorità designate e il pubblico, che ne sono o probabilmente ne verranno toccati, ai sensi dei nn. 3 e 4 di tale articolo, devono poter esprimere il proprio parere su una proposta di piano o di programma nonché sul rapporto ambientale che la accompagna.
La decisione della Corte.
La Quarta Sezione della Corte Ue, con la sentenza del 20.10.2011 n. C-474/10, “Seaport e a.” ha, in primo luogo, dichiarato che in circostanze come quelle della causa principale, l’art. 6, n. 3, della direttiva 2001/42/CE sulla VAS non impone che sia creata o designata un’altra autorità consultiva ai sensi di tale disposizione, purché, in seno all’autorità normalmente incaricata di procedere alla consultazione in materia ambientale e designata a tal fine, sia organizzata un’apposita separazione funzionale.
In pratica –spiegano nel dettaglio gli eurogiudici– la separazione delle funzioni da realizzare all’interno dell’autorità designata deve prevedere che un’entità amministrativa, interna a tale autorità, disponga di un’autonomia reale, la quale implichi, segnatamente, che essa abbia a disposizione mezzi amministrativi e risorse umane propri, in modo tale da poter svolgere i compiti attribuiti alle autorità consultive ai sensi di tale art. 6, n. 3 della direttiva 2001/42/CE, e, in particolare, di poter fornire in modo oggettivo il proprio parere sul piano o programma previsto dall’autorità dalla quale essa promana.
In secondo luogo, sempre secondo i giudici della Quarta Sezione, l’art. 6, n. 2, della direttiva 2001/42 non impone che siano fissati in modo preciso nella normativa nazionale di recepimento di tale direttiva i termini entro i quali le autorità designate e il pubblico che ne è o probabilmente ne verrà toccato, ai sensi dei nn. 3 e 4 di tale articolo, devono poter esprimere il proprio parere su una determinata proposta di piano o di programma nonché sul rapporto ambientale.
Di conseguenza, il citato n. 2 non osta a che siffatti termini siano stabiliti di volta in volta dall’autorità che elabora un piano o un programma.
Tuttavia, in quest’ultimo caso –sottolinea la Corte UE– tale n. 2 prescrive che, ai fini della consultazione di tali autorità e di tale pubblico su un progetto di piano o di programma determinato, il termine effettivamente stabilito sia congruo e consenta quindi di dare loro un’effettiva opportunità di esprimere, tempestivamente, il loro parere su tale proposta di piano o di programma nonché sul rapporto ambientale che lo accompagna.
In conclusione, la sentenza della Corte Ue ci sembra in linea con quanto indicato sul tema dalle Linee Guida elaborate dalla Commissione nel 2003 (Commission’s Guidance on the implementation of directive 2001/42/EC on the assessment of the effects of certain plans and programmes on the environment), in ordine alle quali si rimanda a M. Mazzoleni, “L’attuazione della direttiva sulla Valutazione Ambientale Strategica: un’occasione persa?”, in Ambiente & Sviluppo n. 7/2006. Ulteriormente, si veda la pubblicazione della Commissione europea, Attuazione della direttiva 2001/42/CE concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull’ambiente, 2003, resa disponibile in formato PDF sulle pagine del sito web del Progetto ENPLAN (Evaluation environnementale des plans et programmes) (commento tratto da www.ipsoa.it).

URBANISTICA: VAS: sono soggetti anche i piani attuativi conformi allo strumento urbanistico (link a http://studiospallino.blogspot.com).
Le procedure di valutazione ambientale strategica e di verifica di esclusione vanno estese ai piani urbanistici di particolare complessità e impatto, anche se conformi alla strumentazione urbanistica comunale.
In tal senso si è espresso il TAR Lombardia-Milano, Sez. II, nella sentenza 08.09.2011 n. 2194.
La previsione di sottoporre a procedura di v.a.s. e di verifica di esclusione anche i piani urbanistici di particolare complessità e impatto, pur se conformi alla strumentazione urbanistica comunale, è infatti conforme alla normativa in materia di valutazione ambientale strategica. Né la definizione di piani e programmi data dall’art. 5, d.lgs. n. 152/2006, né le previsioni di cui agli artt. 6 e 7 del d.lgs. n. 152/2006, consentono infatti -afferma il TAR- "di affermare l’esclusione dalla valutazione ambientale strategica dei piani urbanistici che non comportino variante al piano regolatore generale, laddove possano avere significativi impatti sull’ambiente e sul patrimonio culturale".
Né l’esclusione dalla v.a.s. dei piani conformi allo strumento urbanistico può dedursi dall’art. 4, comma 2, l.reg. Lombardia n. 12/2005. La norma "si limita, difatti, a specificare l’obbligo di sottoposizione alla v.a.s. del piano territoriale regionale, dei piani territoriali regionali d'area e dei piani territoriali di coordinamento provinciali, del documento di piano di cui all'articolo 8, nonché le varianti agli stessi, senza però con ciò dettare un’elencazione tassativa delle tipologie di piano sottoposte a valutazione ambientale strategica, che, come previsto al comma 1, sono tutti ^i piani e programmi di cui alla direttiva 2001/42/CEE del Parlamento europeo e del Consiglio del 27.06.2001^".
La sentenza merita di essere segnalata perché si discosta dall'orientamento espresso da questo stesso TAR nella sentenza 26.11.2009 n. 5171 (sentenza ^Citylife^), con cui la sezione aveva affermato la non necessità della valutazione ambientale strategica quando lo strumento attuativo non fosse in variante allo strumento urbanistico generale (link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA1. Valutazione ambientale strategica - Ambito di applicazione - Applicabilità ai piani urbanistici conformi alla strumentazione urbanistica comunale - Possibilità - Condizioni.
2. Valutazione ambientale strategica - Ambito di applicazione - Applicabilità a tutti i piani e programmi di cui alla direttiva 2001/42/CEE.

1. E' conforme alla normativa in materia di valutazione ambientale strategica la previsione di sottoporre anche i piani urbanistici di particolare complessità e impatto, pur se conformi alla strumentazione urbanistica comunale, a procedura di v.a.s. e di verifica di esclusione (il Collegio si discosta dall'orientamento di cui alla sentenza del 26.11.2009, n. 5171, con cui si affermava la non necessità della valutazione ambientale strategica quando lo strumento attuativo non fosse in variante allo strumento urbanistico generale): infatti, né la definizione di piani e programmi contenuta nell'art. 5, D.Lgs. n. 152/2006, né le previsioni di cui agli artt. 6 e 7 dello stesso decreto consentono di escludere dalla valutazione ambientale strategica i piani urbanistici che non comportino variante al piano regolatore generale, laddove possano avere significativi impatti sull'ambiente e sul patrimonio culturale.
2. L'art. 4, comma 2, della L.R. 12/2005, se da un lato prevede l'obbligo di sottoposizione alla v.a.s. del piano territoriale regionale, dei piani territoriali regionali d'area e dei piani territoriali di coordinamento provinciali, del documento di piano di cui all'articolo 8, nonché le varianti agli stessi, dall'altro non detta un'elencazione tassativa delle tipologie di piano sottoposte a valutazione ambientale strategica, che, come previsto dallo stesso articolo al comma 1, sono tutti "i piani e programmi di cui alla direttiva 2001/42/CEE", tra i quali rientrano anche i piani conformi allo strumento urbanistico (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 08.09.2011 n. 2186 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA1. Valutazione ambientale strategica - Necessità - Quando sussiste - Ratio.
2. Valutazione ambientale strategica - Differenze dalla valutazione di impatto ambientale - Conseguenze.

1. La valutazione ambientale strategica è necessaria per il piano territoriale regionale, i piani territoriali regionali d'area e i piani territoriali di coordinamento provinciali, il documento di piano di cui all'articolo 8, L.R. 12/2005, nonché per le varianti agli stessi, con esclusione degli atti che non costituiscono variante al PRG: tale scelta trova una giustificazione nella funzione e nella natura della stessa VAS, che costituisce un atto di valutazione interno al procedimento di pianificazione, cioè una valutazione degli effetti ambientali conseguenti all'esecuzione delle previsioni ivi contenute.
2. Dal momento che la VAS si colloca al livello di macroterritorio, tendente ad esaminare gli impatti strategici delle scelte di pianificazione, essa si differenza della VIA, che opera a livello di uno specifico progetto: pertanto, va esclusa la necessità di una valutazione strategica qualora lo strumento attuativo non abbia modificato la disciplina di pianificazione e programmazione (cfr. TAR Milano, sent. n. 5171/2009) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 02.09.2011 n. 2134 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICAIn applicazione della disposizione dell’art. 11, comma 5, del D.Lgs. 152/2006 (“La V.A.S. costituisce per i piani e programmi cui si applicano le disposizioni del presente decreto, parte integrante del procedimento di adozione ed approvazione. I provvedimenti amministrativi di approvazione adottati senza la previa valutazione ambientale strategica, ove prescritta, sono annullabili per violazione di legge”), l’omessa preventiva sottoposizione a V.A.S. del piano paesaggistico rende illegittimo il provvedimento di adozione.
La Valutazione Ambientale Strategica, introdotta dalla Direttiva 2001/42/CE, è la valutazione delle conseguenze ambientali di piani e programmi, finalizzata all’assunzione -attraverso la valutazione di tutte le possibili alternative pianificatorie- di determinazioni integrate e sistematiche di considerazioni di carattere ambientale, territoriale, sociale ed economico.
La V.A.S. si realizza in fase di elaborazione del piano mediante la redazione di un rapporto ambientale che deve considerare lo stato dell’ambiente attuale del territorio interessato e le sue alterazioni in presenza e non del provvedimento da valutare, confrontato anche con possibili alternative strategiche, localizzative e tecnologiche. L’art. 5 del D.Lgs. 152/2006 recante le definizioni rilevanti ai fini dell’applicazione del codice dell’ambiente afferma che “si intende per (…) piani e programmi: gli atti e provvedimenti di pianificazione e di programmazione, comunque denominati, compresi quelli cofinanziati dalla Comunità' europea, nonché le loro modifiche” (comma 1°, lettera e); il successivo art. 6 dispone: “1. La valutazione ambientale strategica riguarda i piani e i programmi che possono avere impatti significativi sull'ambiente e sul patrimonio culturale.
2. Fatto salvo quanto disposto al comma 3, viene effettuata una valutazione per tutti i piani e i programmi: a) che sono elaborati per la valutazione e gestione della qualità dell'aria ambiente, (…), della pianificazione territoriale o della destinazione dei suoli (…)
"; il comma 4°, inoltre, elenca espressamente i piani e programmi esclusi dal campo di applicazione delle norme del codice dell’ambiente (e quindi anche della V.A.S.), e tra questi non rientrano i piani paesaggistici: il solo dato letterale sarebbe quindi già sufficiente per ritenere il piano in questione sottoposto a V.A.S. E’, in ogni caso determinante la circostanza che la valutazione ambientale strategica, quale strumento di tutela dell’ambiente, va effettuata in tutti i casi in cui i piani abbiano “impatti significativi sull'ambiente e sul patrimonio culturale”.
Invero, contrariamente a quanto sostenuto dalle associazioni ambientaliste, “l’impatto significativo” non è quello caratterizzato da connotazioni negative in termini di alterazioni delle valenze ambientali, ma è quello ricavabile dalla definizione di impatto ambientale contenuto alla lette c) del’art. 5 citato quale “alterazione qualitativa e/o quantitativa, diretta ed indiretta, a breve e a lungo termine, permanente e temporanea, singola e cumulativa, POSITIVA e negativa dell'ambiente, inteso come sistema di relazioni fra i fattori antropici, naturalistici, (…)”, per cui la valutazione ambientale strategica va eseguita in tutti i casi di interazione (anche positiva) tra l’attività pianificatoria e le componenti ambientali.
Del resto, la V.A.S. è solo uno strumento rispetto al fine che è la sostenibilità ambientale delle scelte contenute negli atti di pianificazione ed indirizzo che guidano la trasformazione del territorio. In particolare la valutazione di tipo strategico si propone di verificare che gli obiettivi individuati nei piani siano coerenti con quelli propri dello sviluppo sostenibile, e che le azioni previste nella struttura degli stessi siano idonee al loro raggiungimento. Pertanto, a prescindere dalla qualificazione dell’atto di pianificazione in termini di piano urbanistico-territoriale o di piano paesaggistico, esso va comunque previamente assoggettato a valutazione ambientale strategica.
Infine, la tesi difensiva sostenuta dall’amministrazione regionale secondo la quale il piano in questione non determina alcun impatto significativo sull’ambiente e sul patrimonio culturale essendo “preordinato a dettare un quadro conoscitivo e una normativa di riferimento per l’attività di tutela, eminentemente conservativa de valori paesaggistici, non appare condivisibile alla luce di un provvedimento che è invece imperniato sulla “rivisitazione critica del rapporto tra pianificazione paesistica e governo del territorio”, sul parziale superamento della concezione solo conservativa del paesaggio e sul riconoscimento del paesaggio come risorsa per lo sviluppo (cfr. relazione generale e relazioni tematiche allegate al piano).
Peraltro, ammettere che un piano preordinato alla tutela e allo sviluppo dei valori dell’ambiente del paesaggio (e che quindi necessariamente impone forme di tutela che incidono sull’assetto del territorio) non debba essere preceduto dalla verifica ambientale finirebbe per vanificare la finalità della disciplina sulla VAS e di conseguenza di pregiudicare la corretta applicazione delle norme comunitarie, frustrando così gli scopi perseguiti dalla Comunità Europea con la direttiva 2001/42/CE, come quello di salvaguardia e promozione dello "sviluppo sostenibile", espressamente enunciato all'art. 1 della direttiva.
Per le ragioni che precedono e in applicazione della disposizione dell’art. 11, comma 5° del D.Lgs. 152/2006 (“La V.A.S. costituisce per i piani e programmi cui si applicano le disposizioni del presente decreto, parte integrante del procedimento di adozione ed approvazione. I provvedimenti amministrativi di approvazione adottati senza la previa valutazione ambientale strategica, ove prescritta, sono annullabili per violazione di legge”), l’omessa preventiva sottoposizione a V.A.S. del piano paesaggistico rende illegittimo il provvedimento di adozione impugnato con il ricorso in esame (TAR Sicilia-Catania, Sez. I, sentenza 01.09.2011 n. 2147  - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: VAS - Art. 6, c. 1, d.lgs. n. 152/2006 - Principio di precauzione - Idoneità potenziale ad incidere il bene ambiente - Impatti significativi sull’ambiente - Direttiva 27.06.2001, n. 42 CE.
La norma di cui all’art. 6, comma 1, del d.lgs. n. 152/2006 è da ascrivere al novero delle norme precauzionali, ispirate al principio di precauzione che nella materia ambientale ha ottenuto sanzione di diritto positivo ad opera del recepimento, da parte del d.lgs. n. 152/2006, delle varie direttive comunitarie che lo avevano elevato al rango di principio fondamentale nella materia dell’ambiente. La norma non richiede un’idoneità in atto ma solo in potenza, della singola iniziativa urbanistica, inserita in un contesto di pianificazione o programmazione, ad incidere il bene ambiente.
Invero, la lettera della legge si esprime significativamente nei termini di “possono” avere impatti significativi sull’ambiente. Il tutto sempre che gli impatti che l’iniziativa urbanistica può avere sul bene ambiente e sul patrimonio culturale siano “significativi”, ché, altrimenti, qualunque attività edificatoria connessa all’adozione di varianti strutturali al PRG, siccome un qualche impatto sull’ambiente indubbiamente possiede, dovrebbe, irragionevolmente ed in violazione del principio di proporzionalità comunitaria, essere sottoposta a valutazione ambientale strategica.
E’ la stessa direttiva 27.06.2001, n. 42 CE, cui si è data attuazione con il D.Lgs. n. 152/2006, a stabilire infatti che i piani urbanistici che determinano l’interessamento di piccole aree a livello locale o modifiche minori ai piani stessi, siano assoggettate a valutazione ambientale strategica soltanto in conseguenza dei possibili effetti ancora “significativi sull’ambiente” (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 17.06.2011 n. 657 - link a www.ambientediritto.it).

URBANISTICA: Perché un programma o piano urbanistico debba essere assoggettato a VAS non conta l’effettiva e significativa incisione del bene ambiente ma solo la possibilità di tali vulnera.
Col ricorso in esame una Onlus e due cittadini hanno impugnato le delibere con le quali un Comune piemontese ha approvato le controdeduzioni alle osservazioni formulate riguardo all’adozione di un piano particolareggiato di edilizia privata e ha adottato il progetto definitivo del medesimo recante contestuale variante al PRGC.
Secondo i ricorrenti la natura strutturale della variante avrebbe imposto la sua sottoposizione alla procedura di valutazione ambientale strategica (VAS), adempimento imposto dalla D.G.R. n. 12-8931 del 09.06.2008, che dispone che la VAS “deve essere effettuata obbligatoriamente” in caso di varianti strutturali. Nello stesso senso dispone anche l’art. 6, comma 1, del Codice dell’ambiente di cui al d.lgs. n. 152/2006 a termini del quale “la valutazione ambientale strategica riguarda i piani e i programmi che possono avere impatti significativi sull’ambiente e sul patrimonio culturale”. Ambedue tali norme sarebbero state infrante poiché la Regione Piemonte, ha escluso la necessità di detta procedura di verifica, pur avendo evidenziato forti aspetti di criticità del progetto in causa rispetto al patrimonio ambientale. La determinazione citata sarebbe pertanto contraddittoria.
Questa censura, ad avviso dei giudici del Tribunale amministrativo di Torino va disattesa poiché la norma di cui all’art. 6, comma 1, del d.lgs. n. 152/2006 è da ascrivere al novero delle norme precauzionali, ispirate al principio di precauzione che nella materia ambientale ha ottenuto sanzione di diritto positivo ad opera del recepimento, da parte del d.lgs. n. 152/2006, delle varie direttive comunitarie che lo avevano elevato al rango di principio fondamentale nella materia dell’ambiente.
Il principio di precauzione traduce in sostanza quello che a partire dal Protocollo di Kyoto gli Stati contemporanei vogliono sia l’atteggiamento delle Amministrazioni pubbliche preposte alla tutela dell’ambiente nei confronti di questo patrimonio dell’umanità e si sostanzia in un insieme di regole e prescrizioni, di carattere sostanziale ma anche procedurale, intese a scoraggiare comportamenti anche solo potenzialmente idonei ad arrecare vulnera all’ambiente e al paesaggio. Non richiede la norma, a parere dei giudici sabaudi, un’idoneità in atto ma solo in potenza, della singola iniziativa urbanistica, inserita in un contesto di pianificazione o programmazione, ad incidere il bene ambiente.
Invero, la lettera della legge si esprime significativamente nei termini di “possono” avere impatti significativi sull’ambiente. Il tutto, intuitivamente, sempre che gli impatti che l’iniziativa urbanistica può avere sul bene ambiente e sul patrimonio culturale siano “significativi”, ché, altrimenti, qualunque attività edificatoria connessa all’adozione di varianti strutturali al PRG, siccome un qualche impatto sull’ambiente indubbiamente possiede, dovrebbe, irragionevolmente ed in violazione del principio di proporzionalità comunitaria, essere sottoposta a valutazione ambientale strategica.
Va rammentato, proseguono i giudici piemontesi, che è la stessa direttiva 27.06.2001, n. 42 CE, cui si è data attuazione con il D.Lgs. n. 152/2006 a stabilire che i piani urbanistici che determinano l’interessamento di piccole aree a livello locale o modifiche minori ai piani stessi, siano assoggettate a valutazione ambientale strategica soltanto in conseguenza dei possibili effetti ancora “significativi sull’ambiente” (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it - TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 17.06.2011 n. 657 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: Oggetto: Individuazione delle Autorità per la procedura di valutazione ambientale VAS della variante 2 al Piano di Governo del Territorio del Comune di ... (Regione Lombardia, Direzione Generale Territorio e Urbanistica, Programmazione e Pianificazione Territoriale, Strumenti per il Governo del Territorio, nota 11.05.2011 n. 13303 di prot.).
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Ancora una censura sull'operato di un'Amministrazione Comunale lombarda, nell'ambito di un procedimento di variante al vigente P.G.T., laddove in materia di VAS:
- è stato individuato il Sindaco quale Autorità procedente (comune con più di 5.000 abitanti);
- è stato individuato il tecnico comunale di altro comune quale Autorità competente.

URBANISTICA: W. Fumagalli, La VAS dei Piani di Governo del Territorio e R. Marletta, Separata in casa: lo strano caso dell’autorità competente per la valutazione ambientale strategica (AL n. 03-04/2011).

URBANISTICA: 1° marzo 2011: Seminario sulla VAS in Lombardia.
La Direzione Generale Territorio e Urbanistica ha organizzato il 1° marzo 2011 il seminario "Valutazione ambientale strategica (VAS) in Lombardia: procedimento e rapporto ambientale di qualità", che ha visto una notevole partecipazione da parte delle amministrazioni pubbliche e del mondo professionale.
L’evento era infatti destinato a tutti coloro che, dovendo predisporre piani e programmi soggetti a VAS, hanno vissuto non poche preoccupazioni in relazione alla sentenza del TAR che aveva annullato parte della disciplina regionale in materia di VAS, dando inizio ad un periodo di incertezze, in particolare per i Comuni.
Il seminario ha costituito l’occasione per analizzare la sentenza n. 133 del Consiglio di Stato del 12.01.2011 che ha accolto il ricorso della Regione Lombardia contro la sentenza del TAR n. 1526/2010, confermando la legittimità dell'individuazione dell'Autorità competente per la Valutazione Ambientale Strategica (VAS) all’interno della stessa amministrazione che procede alla formazione del Piano.
E’ stato in particolare approfondito dall’Avvocatura regionale il principio che sta alla base dell’introduzione della VAS in Lombardia, “il principio di integrazione”: la Valutazione Ambientale Strategica non è condotta sul piano già elaborato, ma è integrata nel piano, ovvero durante tutto il suo processo di redazione, costituendone la linea guida verso la sostenibilità ambientale. Il processo di VAS non termina con l’approvazione del piano, ma evolve con il suo monitoraggio nella fase attuativa.
Tale impostazione è coerente con la filosofia che sta alla base della legge regionale 12/2005 (legge per il governo del territorio) e presuppone che ogni pubblica amministrazione, oltre a procedere all’elaborazione del piano per la sua adozione e approvazione, si occupi del relativo procedimento di VAS, individuando al suo interno le due autorità -procedente e competente in materia di VAS- e definendo le regole per il processo di informazione e partecipazione di tutti i soggetti coinvolti: i soggetti competenti in materia ambientale, gli enti territorialmente interessati ed il pubblico.
Il seminario è stato inoltre l’occasione per guardare in modo concreto, dopo una prima fase di attuazione della direttiva, a nuovi traguardi: un procedimento più efficace e un rapporto ambientale di qualità, per una VAS realmente a supporto di piani e programmi sostenibili.
Sono stati infatti puntualmente descritti gli aspetti che rendono il processo di VAS efficace e di qualità, è stato evidenziato anche il ruolo fondamentale di ARPA e delle ASL come contributo al miglioramento della qualità dei rapporti ambientali, è stato approfondito il rapporto sinergico tra la procedura di VAS e quella di VIA, è stato infine analizzato l’aspetto paesaggistico come parte integrante della VAS e in relazione alle procedure di autorizzazione paesaggistica. ... (link a www.territorio.regione.lombardia.it).
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Segnaliamo, di particolare interesse:
- intervento di Piero GARBELLI - DG Territorio e Urbanistica;
- intervento di Filippo DADONE - DG Ambiente, Energia e Reti;
- intervento di Sergio CAVALLI - DG Sistemi Verdi e Paesaggio.

URBANISTICA: VAS - Procedure avviate anteriormente all’entrata in vigore della parte seconda del d.lgs. n. 152/2006 - Disciplina transitoria - Art. 52, c. 2 d.lgs. n. 152/2006 - Regione Lombardia - L.r. Lombardia n. 12/2005.
Ai sensi dell’art. 52, c. 2, del d.lgs. n. 152/2006, “i procedimenti amministrativi in corso alla data di entrata in vigore della parte seconda del presente decreto, nonché i procedimenti per i quali a tale data sia già stata formalmente presentata istanza introduttiva da parte dell'interessato, si concludono in conformità alle disposizioni ed alle attribuzioni di competenza in vigore all'epoca della presentazione di detta istanza”.
La procedura di valutazione ambientale strategica avviata in data anteriore al 31.07.2007 trova dunque la propria regola nell’art. 4, c. 4, della l.reg. Lombardia n. 12/2005, che disciplina il periodo transitorio sino all'approvazione del provvedimento con cui la Giunta regionale detta gli adempimenti di disciplina (avvenuta con d.g.r. 27.12.2007, n. VIII/6420, la quale peraltro precisa che “i procedimenti di formazione e di approvazione di piani/programmi già avviati alla data di pubblicazione sul BURL della presente deliberazione si concludono in conformità alle disposizioni in vigore al momento dell’avvio del procedimento stesso, ovvero secondo le disposizioni di cui all’art. 4, comma 4, della l.r. 12/2005”).
VIA E VAS - Direttiva 2001/42/CE - Carattere self-executing - Esclusione.
Non possono considerarsi self executing le direttive comunitarie (nella specie, direttiva 2001/42/CE) le quali, ancorché in modo dettagliato, introducono un nuovo istituto nell'ordinamento degli Stati membri, dovendo questo necessariamente essere recepito e disciplinato dal legislatore interno (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 14.04.2010, n. 2097; 28.05.2009, n. 3333) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 17.02.2011 n. 481 - link a www.ambientediritto.it).

URBANISTICA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 4 del 26.01.2011, "Approvazione della Circolare «L’applicazione della valutazione ambientale di piani e programmi - VAS nel contesto comunale»" (decreto D.S. 14.12.2010 n. 13071).

URBANISTICA: Oggetto: VAS - Sentenza Consiglio di Stato (Regione Lombardia, Assessore a Territorio e Urbanistica, nota 24.01.2011 n. 1798 di prot.).

URBANISTICA: Anche per impugnare la VAS é necessario dimostrare l'interesse ad agire.
Con sentenza n. 133/2011 il Consiglio di Stato, sezione IV, depositata in Cancelleria il 12.01.2011, ha riformato in toto la sentenza n. 1526/2010 del TAR Lombardia in punto VAS.
In via preliminare -e al di là delle questioni di merito- pare importante segnalare che il Consiglio di Stato ha accolto la tesi degli appellanti secondo i quali il ricorrente in primo grado non avrebbe in alcun modo chiarito quale interesse specifico e qualificato assistesse le doglianze, il cui accoglimento ha determinato un generico effetto caducante del P.G.T. nel suo complesso.
Al contrario, il TAR aveva ritenuto sussistente in capo all’istante un interesse di natura “strumentale”, avente a oggetto le determinazioni future, ed eventualmente più favorevoli ai suoli in sua proprietà, che l’Amministrazione avrebbe dovuto assumere in sede di rielaborazione dello strumento urbanistico. Il punto fondamentale -sul quale peraltro ci si era già appuntati- è quindi quello secondo cui neppure la VAS sfugge al criterio generale dell'interesse ad agire, in difetto del quale (o comunque della dimostrazione della lesività del provvedimento) l'impugnazione é inammissibile. Afferma il C.S.:
"potrà anche condividersi in via di principio il rilievo per cui “laddove la VAS si concluda con un giudizio positivo (o positivo condizionato) il soggetto che subisca determinazioni lesive della sua sfera giuridica discendenti dall’accettazione (piena o condizionata) delle proposte pianificatorie sottoposte a VAS, ben potrà censurare anche queste determinazioni preliminari condizionanti, poiché è per effetto di questo giudizio di sostenibilità complessiva di queste scelte che le stesse possono tramutarsi in atti pianificatori negativi” (pagg. 68-69); tuttavia, proprio per evitare di pervenire a una legitimatio generalis del tipo di quella sopra indicata, occorre che le “determinazioni lesive” fondanti l’interesse a ricorrere siano effettivamente “condizionate”, ossia causalmente riconducibili in modo decisivo, alle preliminari conclusioni raggiunte in sede di V.A.S., e pertanto l’istante avrebbe dovuto precisare come e perché tali conclusioni nella specie abbiano svolto un tale ruolo decisivo sulle opzioni relative ai suoli in sua proprietà, ciò che non ha fatto.".
La decisione del Consiglio di Stato riallinea la giurisprudenza in materia. Si vedano, infatti:
- TAR Campania Napoli, sez. II, 20.04.2010, n. 2043, dove si afferma che considerate le indicate finalità della VAS non si deve ritenere che possa vantare un interesse giuridicamente rilevante a contestare l'eventuale carenza della VAS nel procedimento di approvazione della variante urbanistica impugnata, colui il quale ricorre per ottenere una destinazione non più agricola del fondo di sua proprietà;
- Consiglio di Stato, sez. V, 26.02.2010, n. 1134: in quel caso il provvedimento di VIA impugnato era stato censurato con specifico riferimento all'assenza di idonea istruttoria con riferimento all'impatto conseguente alla realizzazione dell'impianto autorizzato con riguardo ai fondi e alle attività dei ricorrenti: ma ciò non aveva esonerato il Consiglio di Stato dal verificare approfonditamente quale fosse la situazione di stabile e significativo collegamento dei ricorrenti rispetto all'area interessata dall'impianto e in che misura la VIA avesse, o meno, valutato l'incidenza dell'impianto sulle realtà esistenti (link a http://studiospallino.blogspot.com).

URBANISTICALombardia, VAS del PGT: il Consiglio di Stato annulla la sentenza del TAR Milano che, precedentemente, aveva annullato il PGT del Comune di Cermenate (CO).
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Le conclusioni raggiunte dal primo giudice, secondo cui l’autorità competente alla V.A.S. deve essere necessariamente individuata in una pubblica amministrazione diversa da quella avente qualità di “autorità procedente”, non trova supporto nella vigente normativa comunitaria e nazionale. In nessuna definizione del Testo Unico ambientale (D.Lgs. n. 152/2006) si trova affermato in maniera esplicita che debba necessariamente trattarsi di amministrazioni diverse o separate (e che, pertanto, sia precluso individuare l’autorità competente in diverso organo o articolazione della stessa amministrazione procedente).
Non risulta in linea con le richiamate disposizioni nazionali la scelta di individuare l’autorità competente alla V.A.S. ex post, in relazione al singolo e specifico procedimento di pianificazione, come avvenuto nel caso di specie (laddove –come già rilevato– la predetta autorità è stata individuata contestualmente alla comunicazione di avvio del procedimento stesso).

La Sezione osserva che il presupposto su cui si basano le conclusioni raggiunte dal primo giudice, secondo cui l’autorità competente alla V.A.S. deve essere necessariamente individuata in una pubblica amministrazione diversa da quella avente qualità di “autorità procedente”, non trova supporto nella vigente normativa comunitaria e nazionale.
Al riguardo, giova richiamare le definizioni oggi contenute nel citato d.lgs. nr. 152 del 2006, il cui art. 5, per quanto qui interessa, definisce:
- la “autorità competente” come “la pubblica amministrazione cui compete l’adozione del provvedimento di verifica di assoggettabilità, l’elaborazione del parere motivato, nel caso di valutazione di piani e programmi, e l’adozione dei provvedimenti conclusivi in materia di VIA, nel caso di progetti ovvero il rilascio dell'autorizzazione integrata ambientale, nel caso di impianti” (lettera p);
- la “autorità procedente” come “la pubblica amministrazione che elabora il piano, programma soggetto alle disposizioni del presente decreto, ovvero nel caso in cui il soggetto che predispone il piano, programma sia un diverso soggetto pubblico o privato, la pubblica amministrazione che recepisce, adotta o approva il piano, programma”.
Orbene, se dalle riferite definizioni risulta chiaro che entrambe le autorità de quibus sono sempre “amministrazioni” pubbliche, in nessuna definizione del Testo Unico ambientale si trova affermato in maniera esplicita che debba necessariamente trattarsi di amministrazioni diverse o separate (e che, pertanto, sia precluso individuare l’autorità competente in diverso organo o articolazione della stessa amministrazione procedente).
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La Sezione non condivide l’approccio ermeneutico di fondo della parte odierna appellata, che desume la necessaria “separatezza” tra le due autorità dal fatto che la V.A.S. costituirebbe un momento di controllo sull’attività di pianificazione svolta dall’autorità competente, con il corollario dell’impossibilità di una identità o immedesimazione tra controllore e controllato.
Siffatta ricostruzione, invero, è smentita dall’intero impianto normativo in subiecta materia, il quale invece evidenzia –come già accennato– che le due autorità, seppur poste in rapporto dialettico in quanto chiamate a tutelare interessi diversi, operano “in collaborazione” tra di loro in vista del risultato finale della formazione di un piano o programma attento ai valori della sostenibilità e compatibilità ambientale: ciò si ricava, testualmente, dal già citato art. 11, d.lgs. nr. 152 del 2006, che secondo l’opinione preferibile costruisce la V.A.S. non già come un procedimento o subprocedimento autonomo rispetto alla procedura di pianificazione, ma come un passaggio endoprocedimentale di esso, concretantesi nell’espressione di un “parere” che riflette la verifica di sostenibilità ambientale della pianificazione medesima.
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Con riferimento all’individuazione delle autorità competenti in materia di valutazioni ambientali, e con richiamo all’assetto normativo sul riparto di attribuzioni tra Stato e Regioni vigente all’epoca dell’adozione dei provvedimenti per cui è causa, vengono in rilievo:
- il comma 6 dell’art. 6 del d.lgs. nr. 152 del 2006, secondo cui l’autorità competente per la V.A.S. e la V.I.A. va individuata “secondo le disposizioni delle leggi regionali o delle province autonome”;
- il successivo comma 7 del medesimo articolo, che del pari demanda a leggi e regolamenti regionali la determinazione delle “competenze” degli altri enti locali, ivi compresi i Comuni.
Dal complesso di tali disposizioni, ad avviso della Sezione, se da un lato emerge l’intento del legislatore nazionale di lasciare alle Regioni una certa libertà di manovra quanto alla delegabilità delle competenze agli enti locali e alle modalità della loro regolamentazione, tuttavia appare evidente la volontà di assicurare che la fissazione delle “competenze” sia compiuta a priori, con atti che individuino in via generale e astratta i soggetti, uffici o organi cui viene attribuita la veste di “autorità competente”.
Ne discende che non risulta in linea con le richiamate disposizioni nazionali la scelta di individuare l’autorità competente alla V.A.S. ex post, in relazione al singolo e specifico procedimento di pianificazione, come avvenuto nel caso di specie (laddove –come già rilevato– la predetta autorità è stata individuata contestualmente alla comunicazione di avvio del procedimento stesso) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 12.01.2011 n. 133 - link a www.giustizia-amministrativa.it).
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NOTA DI COMMENTO: la sentenza del Consiglio di Stato ha risolto, definitivamente, gli interrogativi che attanagliavano gli Enti Locali lombardi?? Si può procedere ad adottare e/o approvare il P.G.T. in tutta tranquillità??
I termini del caso di specie.
Il comune di Cermenate (CO) si è visto impugnare -tra l'altro- da parte di un cittadino:
- le deliberazioni consiliari di controdeduzioni alle osservazioni ed approvazione del nuovo Piano di Governo del Territorio (P.G.T.);
- la delibera di Giunta Comunale recante avvio del procedimento di valutazione ambientale strategica per la formazione del P.G.T..
Il TAR Lombardia-Milano, Sez. II, con sentenza 15.05.2010 n. 1526 ha accolto il ricorso annullando, tra l'altro, le deliberazioni sopra menzionate.
Nel merito, il TAR [annullando altresì la deliberazione G.R. 27.12.2007 n. 6420, limitatamente all'art. 3.2. dell'Allegato 1 (modello generale), relativa alla procedura per la Valutazione Ambientale di Piani e Programmi (denominata anche Valutazione Ambientale Strategica o VAS] ha statuito quanto segue:
"In tema di VAS l'autorità procedente, nella scelta dell'autorità competente, deve individuare soggetti pubblici che offrano idonee garanzie non solo di competenza tecnica e di specializzazione in materia di tutela ambientale, ma altresì garanzie di imparzialità e di indipendenza rispetto all'autorità procedente, allo scopo di assolvere la funzione di valutazione ambientale nella maniera più obiettiva possibile, senza condizionamenti -anche indiretti- da parte dell'autorità procedente: infatti, qualora l'autorità procedente individuasse l'autorità competente esclusivamente fra soggetti collocati al proprio interno, il ruolo di verifica ambientale perderebbe ogni efficacia, risolvendosi in un semplice passaggio burocratico interno, con il rischio di vanificare la finalità della disciplina sulla VAS.".
La suddetta pronuncia è stata appellata dinanzi al Consiglio di Stato il quale con sentenza 12.01.2011 n. 133 ha riformato la stessa accogliendo gli appelli della Regione Lombardia e del Comune di Cermenate.
Nello specifico, il CdS ha statuito quanto segue:
-- "La Sezione osserva che il presupposto su cui si basano le conclusioni raggiunte dal primo giudice, secondo cui l’autorità competente alla V.A.S. deve essere necessariamente individuata in una pubblica amministrazione diversa da quella avente qualità di “autorità procedente”, non trova supporto nella vigente normativa comunitaria e nazionale.
Al riguardo, giova richiamare le definizioni oggi contenute nel citato d.lgs. nr. 152 del 2006, il cui art. 5, per quanto qui interessa, definisce:
- la “autorità competente” come “la pubblica amministrazione cui compete l’adozione del provvedimento di verifica di assoggettabilità, l’elaborazione del parere motivato, nel caso di valutazione di piani e programmi, e l’adozione dei provvedimenti conclusivi in materia di VIA, nel caso di progetti ovvero il rilascio dell'autorizzazione integrata ambientale, nel caso di impianti” (lettera p);
- la “autorità procedente” come “la pubblica amministrazione che elabora il piano, programma soggetto alle disposizioni del presente decreto, ovvero nel caso in cui il soggetto che predispone il piano, programma sia un diverso soggetto pubblico o privato, la pubblica amministrazione che recepisce, adotta o approva il piano, programma”.

Orbene, se dalle riferite definizioni risulta chiaro che entrambe le autorità de quibus sono sempre “amministrazioni” pubbliche, in nessuna definizione del Testo Unico ambientale si trova affermato in maniera esplicita che debba necessariamente trattarsi di amministrazioni diverse o separate (e che, pertanto, sia precluso individuare l’autorità competente in diverso organo o articolazione della stessa amministrazione procedente).";
-- "La Sezione non condivide l’approccio ermeneutico di fondo della parte odierna appellata, che desume la necessaria “separatezza” tra le due autorità dal fatto che la V.A.S. costituirebbe un momento di controllo sull’attività di pianificazione svolta dall’autorità competente, con il corollario dell’impossibilità di una identità o immedesimazione tra controllore e controllato.
Siffatta ricostruzione, invero, è smentita dall’intero impianto normativo in subiecta materia, il quale invece evidenzia –come già accennato– che le due autorità, seppur poste in rapporto dialettico in quanto chiamate a tutelare interessi diversi, operano “in collaborazione” tra di loro in vista del risultato finale della formazione di un piano o programma attento ai valori della sostenibilità e compatibilità ambientale: ciò si ricava, testualmente, dal già citato art. 11, d.lgs. nr. 152 del 2006, che secondo l’opinione preferibile costruisce la V.A.S. non già come un procedimento o subprocedimento autonomo rispetto alla procedura di pianificazione, ma come un passaggio endoprocedimentale di esso, concretantesi nell’espressione di un “parere” che riflette la verifica di sostenibilità ambientale della pianificazione medesima.";

-- "Con riferimento all’individuazione delle autorità competenti in materia di valutazioni ambientali, e con richiamo all’assetto normativo sul riparto di attribuzioni tra Stato e Regioni vigente all’epoca dell’adozione dei provvedimenti per cui è causa, vengono in rilievo:
- il comma 6 dell’art. 6 del d.lgs. nr. 152 del 2006, secondo cui l’autorità competente per la V.A.S. e la V.I.A. va individuata “secondo le disposizioni delle leggi regionali o delle province autonome”;
- il successivo comma 7 del medesimo articolo, che del pari demanda a leggi e regolamenti regionali la determinazione delle “competenze” degli altri enti locali, ivi compresi i Comuni.
Dal complesso di tali disposizioni, ad avviso della Sezione, se da un lato emerge l’intento del legislatore nazionale di lasciare alle Regioni una certa libertà di manovra quanto alla delegabilità delle competenze agli enti locali e alle modalità della loro regolamentazione, tuttavia appare evidente la volontà di assicurare che la fissazione delle “competenze” sia compiuta a priori, con atti che individuino in via generale e astratta i soggetti, uffici o organi cui viene attribuita la veste di “autorità competente”.
Ne discende che non risulta in linea con le richiamate disposizioni nazionali la scelta di individuare l’autorità competente alla V.A.S. ex post, in relazione al singolo e specifico procedimento di pianificazione, come avvenuto nel caso di specie (laddove –come già rilevato– la predetta autorità è stata individuata contestualmente alla comunicazione di avvio del procedimento stesso).".

Per quanto sopra esposto, si può dedurre che il Comune di Cermenate s'è visto "salvare" il proprio P.G.T. ancorché il Consiglio di Stato abbia rilevato che "non risulta in linea con le richiamate disposizioni nazionali la scelta di individuare l’autorità competente alla V.A.S. ex post, in relazione al singolo e specifico procedimento di pianificazione, come avvenuto nel caso di specie (laddove –come già rilevato– la predetta autorità è stata individuata contestualmente alla comunicazione di avvio del procedimento stesso).
Il tema, per vero, è incidentalmente evocato negli scritti difensivi della parte odierna appellata, ancorché attraverso la formula non del tutto perspicua della “abrogazione” implicita delle disposizioni regionali in subiecta materia che si sarebbe realizzata con l’entrata in vigore del d.lgs. nr. 152 del 2006; tuttavia, la già più volte rilevata carenza di ogni interesse a sollevare censure sul punto esonera da ogni approfondimento in proposito
.".
I termini della questione non dibattuti in sede giurisdizionale.
Risulta verosimile che la stragrande maggioranza dei comuni lombardi (in disparte quelli di grandi dimensioni laddove sono presenti i dirigenti) abbiano operato uniformemente nell'individuazione delle due figure in ambito di VAS del PGT ovverosia:
- l'autorità procedente è stata individuata nel Sindaco;
- l'autorità competente per la VAS è stata individuata nel responsabile dell'Ufficio Tecnico.
Al riguardo, giova qui ricordare cosa dispone in merito la normativa regionale la quale, da ultimo, risulta essere la deliberazione G.R. 10.11.2010 n. 761 (pressoché confermativa della precedente normativa, per quanto qui interessa) laddove nell'ALLEGATO 1 è stabilito quanto segue:
"
3.1-ter Autorità procedente
È la pubblica amministrazione che elabora il P/P ovvero, nel caso in cui il soggetto che predispone il P/P sia un diverso soggetto pubblico o privato, la pubblica amministrazione che recepisce, adotta o approva il piano/programma.
E’ la pubblica amministrazione cui compete l'elaborazione della dichiarazione di sintesi.
Tale autorità è individuata all’interno dell’ente tra coloro che hanno responsabilità nel procedimento di P/P.
3.2 Autorità competente per la VAS

È la pubblica amministrazione cui compete l'adozione del provvedimento di verifica di assoggettabilità e l'elaborazione del parere motivato.
L’autorità competente per la VAS è individuata all’interno dell’ente con atto formale dalla pubblica amministrazione che procede alla formazione del P/P, nel rispetto dei principi generali stabiliti dai d.lgs. 16.01.2008, n. 4 e 18.08.2000, n. 267.
Essa deve possedere i seguenti requisiti:
a) separazione rispetto all’autorità procedente;
b) adeguato grado di autonomia nel rispetto dei principi generali stabiliti dal d.lgs. 18.08.2000, n. 267, fatto salvo quanto previsto dall'articolo 29, comma 4, legge n. 448/2001;
c) competenze in materia di tutela, protezione e valorizzazione ambientale e di sviluppo sostenibile.".

Ebbene, in merito alla individuazione delle due figure come sopra indicate, la Regione Lombardia -con nota 01.07.2010 n. 15812 di prot. in risposta ad un quesito comunale relativamente alla sentenza del TAR Milano de qua- ha inequivocabilmente rilevato che:
"
1. dall'analisi della documentazione pubblicata sul sito web del Comune e nella scheda del sito regionale SIVAS (www.cartografia.regione.lombardia.it/sivas), si riscontrano alcune irregolarità nell'individuazione delle Autorità in quanto l'individuazione del Sindaco quale autorità procedente non è in ogni caso corretta, essendo data tale possibilità solo ai Comuni con meno di 5.000 abitanti (come previsto dal comma 23 dell'art. 53 della legge 23.12.2000, n. 388 modificato dal comma 4 dell'art. 29 della legge 28.12.2001, n. 448, previa assunzione delle disposizioni regolamentari ed organizzative): dovrebbe invece essere individuata all'interno dell'ente tra coloro che hanno responsabilità nel procedimento di PGT (ad es. il Responsabile Unico del Procedimento);
2. inoltre, l'Autorità competente per la VAS deve possedere i requisiti richiamati nel punto 3.2 dell'allegato 1a (ndr: della DGR 30.12.2009 n. 10971) e il dirigente del Settore Urbanistica ed Edilizia Privata del Comune di ..., nominato Autorità competente per la VAS, sembra avere competenze in materia di pianificazione e urbanistica piuttosto che in materia di tutela, protezione e valorizzazione ambientale e di sviluppo sostenibile;
3. si suggerisce, pertanto, di individuare all'interno dell'Ente le due Autorità con nuova deliberazione di Giunta Comunale, ai sensi della DGR n. 10971 del 30.12.2009; tali Autorità dovranno accompagnare il loro primo pronunciamento con un'esplicita determinazione di convalida delle attività precedentemente svolte nell'ambito della procedura di VAS e potranno proseguire nella stessa. ...".
Non solo, da ultimo la Regione Lombardia ha altresì licenziato il decreto D.S. 14.12.2010 n. 13071 avente per oggetto «APPROVAZIONE DELLA CIRCOLARE "L'APPLICAZIONE DELLA VALUTAZIONE AMBIENTALE DI PIANI E PROGRAMMI - VAS NEL CONTESTO COMUNALE"» ove al punto 5. INDIVIDUAZIONE AUTORITA' PROCEDENTE/COMPETENTE PER LA VAS conferma sostanzialmente quanto già anticipato con la nota suddetta di risposta al quesito comunale.
Ciò premesso, è chiaro come il Consiglio di Stato non sia intervenuto su questa questione, poiché non sollevata in sede di ricorso giurisdizionale. Ora, nel caso di specie qualche comune ha provveduto a convalidare gli atti già assunti siccome proposto -al precedente punto 3.- da parte della Regione Lombardia ma molti altri, forse la maggioranza, nulla ad oggi hanno fatto al riguardo.
A questo punto è lecito porsi una DOMANDA: i comuni che, dopo la sentenza del CdS sopra citata, continuano imperterriti nell'iter burocratico di adozione e/o approvazione del P.G.T. senza aver correttamente (e legittimamente) individuato preliminarmente sia l'autorità procedente sia l'autorità competente per la VAS siccome disposto dalla dGR e confermato dalla nota regionale sopra menzionate possono dormire sonni tranquilli??
E' reale -o meno- il rischio che un cittadino qualsiasi, che si veda penalizzato sull'edificabilità dei propri terreni in sede di P.G.T. e -quindi- abbia un interesse reale e concreto a ricorrere, impugni lo stesso dinanzi al TAR eccependo -tra l'altro- l'illegittima individuazione delle due figure come sopra argomentato col risultato di ottenere l'annullamento dell'intero PGT per vizio procedurale??

13.01.2011 - LA SEGRETERIA PTPL

URBANISTICA: VAS - Autorità competente - Amministrazione diversa o separata dall’autorità procedente - Necessità - Esclusione - Art. 5 d.lgs. n. 152/2006 - Modifiche ex d.lgs. n. 128/2010 - Distinzione tra parere motivato a conclusione della fase di VAS e provvedimento di VIA.
L’autorità competente alla V.A.S. non deve essere necessariamente individuata in una pubblica amministrazione diversa da quella avente qualità di “autorità procedente”; se dalle definizioni di cui all’art. 5 del d.lgs. n. 152/2006 risulta infatti chiaro che entrambe le autorità de quibus sono sempre “amministrazioni” pubbliche, in nessuna definizione del Testo Unico ambientale si trova affermato in maniera esplicita che debba necessariamente trattarsi di amministrazioni diverse o separate (e che, pertanto, sia precluso individuare l’autorità competente in diverso organo o articolazione della stessa amministrazione procedente).
Tale conclusione appare confortata dalle modifiche apportate al d.lgs. nr. 152 del 2006 dal recentissimo decreto legislativo 29.06.2010, nr. 128, laddove già a livello definitorio si distingue tra il “parere motivato” che conclude la fase di V.A.S. (art. 5, comma 1, lettera m-ter) e il “provvedimento” di V.I.A. (art. 5, comma 1, lettera p): a conferma che solo nel secondo caso, e non nel primo, si è in presenza di una sequenza procedimentale logicamente e ontologicamente autonoma.
VAS - Art. 11 d.lgs. n. 152/2006 - VAS - Natura - Passaggio endoprocedimentale della procedura di pianificazione.
L’art. 11, d.lgs. nr. 152 del 2006 costruisce la V.A.S. non già come un procedimento o subprocedimento autonomo rispetto alla procedura di pianificazione, ma come un passaggio endoprocedimentale di esso, concretantesi nell’espressione di un “parere” che riflette la verifica di sostenibilità ambientale della pianificazione medesima (Consiglio di Stato,  Sez. IV, sentenza 12.01.2011 n. 133 - link a www.ambientediritto.it).

2010

URBANISTICA: Valutazione ambientale strategica - Scelta dell'autorità competente - Principio di separazione dell'autorità competente rispetto a quella procedente - Necessità - Ratio.
Nell'ambito del procedimento amministrativo di VAS devono risultare separate l'autorità che approva il piano -autorità procedente- e quella che esprime invece la valutazione ambientale strategica sul medesimo -autorità competente- (cfr. TAR Milano, sent. n. 1526/2010) (nel caso di specie il TAR ha sospeso il giudizio, in attesa del deposito della sentenza del Consiglio di Stato sull'appello proposto avvero la sentenza 1526/2010) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 10.12.2010 n. 7512 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: Circolare Valutazione Ambientale Strategica - VAS nel contesto comunale.
In data 10.11.2010 la Giunta regionale con atto n. 9/761, ha approvato la “Determinazione della procedura di Valutazione ambientale di piani e programmi – VAS (art. 4, l.r. n. 12/2005; d.c.r. n. 351/2007) – Recepimento delle disposizioni di cui al d.lgs. 29.06.2010, n. 128, con modifica ed integrazione delle dd.g.r. 27.12.2008, n. 8/6420 e 30.12.2009, n. 8/10971“, pubblicata sul BURL n. 47, 2° SS del 25.11.2010.
Al fine di assicurare il necessario supporto operativo ai Comuni impegnati nella predisposizione dei PGT è stata predisposta ed approvata con decreto D.S. 14.12.2010 n. 13071 la circolare “L’applicazione della Valutazione ambientale di piani e programmi – VAS nel contesto comunale, che fornisce risposte concrete ai quesiti formulati agli uffici comunali.
Sul sito web regionale alla sezione VAS e sul sito sivas alla sezione normativa regionale, oltre alla circolare sopra citata è altresì disponibile il testo coordinato della deliberazione sulla Valutazione ambientale – VAS, comprendente tutti gli allegati e modelli approvati (comunicato 10.12.2010 - link a www.regione.lombardia.it).

URBANISTICA: B.U.R. Lombardia, 2° suppl. straord. al n. 47 del 25.11.2010, "Determinazione della procedura di Valutazione ambientale di piani e programmi – VAS (art. 4, l.r. n. 12/2005; d.c.r. n. 351/2007) – Recepimento delle disposizioni di cui al d.lgs. 29.06.2010, n. 128, con modifica ed integrazione delle dd.g.r. 27.12.2008, n. 6420 e 30.12.2009, n. 10971" (deliberazione G.R. 10.11.2010 n. 761).
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B.U.R. Lombardia, 2° suppl. straord. al n. 47 del 25.11.2010, "Determinazione della procedura di Valutazione ambientale di piani e programmi – VAS (art. 4, l.r. n. 12/2005; d.c.r. n. 351/2007) – Recepimento delle disposizioni di cui al d.lgs. 29.06.2010, n. 128, con modifica ed integrazione delle dd.g.r. 27.12.2008, n. 6420 e 30.12.2009, n. 10971" (deliberazione G.R. 10.11.2010 n. 761 -
TESTO COORDINATO dgr 761/2010, dgr 10971/2009 e dgr 6420/2007 - Modelli metodologici e altri allegati vigenti per la VAS - testo siccome scaricato dal sito Regione Lombardia).
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N.B.: per caso, la Regione Lombardia rivisita la disciplina della VAS prima che si pronunzi il Consiglio di Stato, il prossimo 07.12.2010, in merito alla sentenza TAR Lombardia-Milano che ha bocciato il PGT del Comune di Cermenate??

URBANISTICA: VIA e VAS - Procedura di VAS - Valutazione ambientale di piani e programmi - Varianti a singoli progetti - VIA.
Ai sensi dell’art. 5, comma 1, del citato decreto n. 152/2006, la procedura di V.A.S. è espressamente riservata alla valutazione ambientale di piani e programmi, restando conseguentemente escluse le varianti riguardanti la realizzazione di singoli progetti, per i quali il legislatore ha predisposto il diverso strumento del procedimento di V.I.A. (v. da ultimo, Cons. Stato, Sez. IV, 04.12.2009, n. 7651) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 19.11.2010 n. 8113 - link a www.ambientediritto.it).

URBANISTICA: P. Brambilla, V.A.S. E COMPETENZE - Il Consiglio di Stato non sospende la scure del Tar Milano abbattutasi sulla V.A.S. della Regione Lombardia (link a www.greenlex.it).

URBANISTICA: Chiarimenti ai Comuni sull'applicazione della VAS a seguito della sentenza del TAR Lombardia (Regione Lombardia, nota 28.07.2010 - link a www.territorio.regione.lombardia.it).

URBANISTICA: M. Luraghi e V. Latorraca, La V.A.S. secondo il TAR Milano (link a www.lavatellilatorraca.it).

URBANISTICAAncora sulla V.A.S. del P.G.T..
Ulteriori chiarimenti della Regione Lombardia sulla corretta individuazione dei soggetti quale Autorità procedente ed Autorità competente per la VAS.

La Regione Lombardia, in risposta ad un quesito del Sindaco di un comune con più di 5.000 abitanti, ha evidenziato alcune osservazioni -di interesse per tutti i Comuni lombardi- che si riportano di seguito:
"... In merito a quanto riportato nella Sua lettera si osserva quanto segue:
1. dall'analisi della documentazione pubblicata sul sito web del Comune e nella scheda del sito regionale SIVAS (www.cartografia.regione.lombardia.it/sivas), si riscontrano alcune irregolarità nell'individuazione delle Autorità in quanto l'individuazione del Sindaco quale autorità procedente non è in ogni caso corretta, essendo data tale possibilità solo ai Comuni con meno di 5.000 abitanti (come previsto dal comma 23 dell'art. 53 della legge 23.12.2000, n. 388 modificato dal comma 4 dell'art. 29 della legge 28.12.2001, n. 448, previa assunzione delle disposizioni regolamentari ed organizzative): dovrebbe invece essere individuata all'interno dell'ente tra coloro che hanno responsabilità nel procedimento di PGT (ad es. il Responsabile Unico del Procedimento);
2. inoltre, l'Autorità competente per la VAS deve possedere i requisiti richiamati nel punto 3.2 dell'allegato 1a
(ndr: della DGR 30.12.2009 n. 10971) e il dirigente del Settore Urbanistica ed Edilizia Privata del Comune di ..., nominato Autorità competente per la VAS, sembra avere competenze in materia di pianificazione  e urbanistica piuttosto che in materia di tutela, protezione e valorizzazione ambientale e di sviluppo sostenibile;
3. si suggerisce, pertanto, di individuare all'interno dell'Ente le due Autorità con nuova deliberazione di Giunta Comunale, ai sensi della DGR n. 10971 del 30.12.2009; tali Autorità dovranno accompagnare il loro primo pronunciamento con un'esplicita determinazione di convalida delle attività precedentemente svolte nell'ambito della procedura di VAS e potranno proseguire nella stessa. ..." (Regione Lombardia, Direzione Generale Territorio e Urbanistica, Programmazione e Pianificazione Territoriale, Strumenti per il Governo del Territorio, nota 01.07.2010 n. 15812 di prot.).

URBANISTICA: Vas - Scopo - Scelte strategiche dello strumento urbanistico - Valutazione della sostenibilità ambientale.
Scopo della VAS è quello di valutare la sostenibilità ambientale delle scelte strategiche implicite nello strumento urbanistico, tenuto conto, in particolare, del consumo di territorio che esse comportano (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 29.06.2010 n. 2668 - link a ww
w.ambientediritto.it).

URBANISTICA: Ambiente, il controllore va separato dal controllato. Tar Lombardia, principi in materia di valutazione strategica.
Il controllore non può essere allo stesso tempo anche il controllato. Si tratta di un principio di elementare civiltà giuridica che il Tar Lombardia ha desunto da una corretta interpretazione del dlgs 4/2008, che ha innovato le procedure Vas (Valutazione ambientale strategica) nel territorio nazionale, e che ha ora sancito nella sentenza della seconda sezione n. 1526/2010 depositata lo scorso 18.05.2010.

Con questa sentenza – presidente M. Arosio, estensore G. Zucchini – la prima emessa in Italia in tema di Vas – il Tar della Lombardia assume una chiara posizione nei confronti della problematica della definizione dell'autorità competente nei procedimenti di valutazione ambientale strategica Vas relativi allo sviluppo urbanistico ed edilizio sul territorio.
Per effetto di questa anomalia riscontrata, il Tar ha annullato il Pgt del Comune di Cermenate (dove addirittura il tecnico comunale era anche co-firmatario del Pgt), ma i principi enunciati da questa sentenza –ricordiamo la prima in Italia in materia- valgono in tutto il territorio della Regione Lombardia ed anche italiano. A rischio di annullamento, quindi, si trovano ora tutti i Piano di governo del territorio o i Programmi integrati di intervento approvati senza rispettare la regola della terzietà dell'autorità competente Vas o anche in fase di approvazione, tra cui Milano, Como e moltissimi altri comuni.
Come noto nei procedimenti Vas –che per legge debbono precedere le scelte pianificatorie dei Pii e dei Pgt– l'autorità competente esercita una funzione di controllo sulle proposte pianificatorie, che l'autorità procedente intende portare ad approvazione.
Nel caso in esame, dove addirittura il tecnico comunale aveva insieme firmato il Pgt, firmato il parere relativo alla delibera approvativa del Pgt e aveva assunto il ruolo di autorità competente per la Vas, il Pgt di Cermenate è stato completamente annullato perché preceduto da un procedimento Vas illegittimo.
Così i giudici amministrativi lombardi di primo grado, nel rispetto della regola generale dell'imparzialità amministrativa ex art. 97 della Costituzione, hanno stabilito che autorità competente ed autorità procedente non possono appartenere alla medesima amministrazione comunale, ma debbono appartenere a due diverse e distinte amministrazioni pubbliche.
«Questa sentenza è una pietra miliare nella definizione del corretto procedimento Vas» commenta a ItaliaOggi l'avv. Umberto Sgrella, difensore della parte ricorrente e vincitrice in primo grado. «Le amministrazioni comunali dovranno rivolgersi ad altri enti pubblici esperti in materia ambientale per il ruolo di autorità competente, ponendo fine alla prassi illegittima della c.d. Vas fatte in casa che spesso si risolvevano solo in un mero passaggio burocratico interno, laddove i funzionari preposti si trovavano in una situazione difficile per l'esercizio delle loro potestà, in quanto dipendenti della stessa amministrazione che desiderava far approvare lo strumento urbanistico sottoposto a Vas» (articolo ItaliaOggi del 24.06.2010, pag. 43).

EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 22 del 31.05.2010, "Direzione Centrale Affari Istituzionali e Legislativo – Nomine e designazioni di competenza della Giunta regionale: Commissioni Regionali per il Paesaggio (rif. art. 78 della l.r. 11.03.2005, n. 12 «Legge per il governo del territorio»)" (comunicato regionale 26.05.2010 n. 69 - link a www.infopoint.it).

URBANISTICA: Valutazione ambientale strategica - Scelta dell'autorità competente - Principio di separazione dell'autorità competente rispetto a quella procedente - Necessità - Ratio.
In tema di VAS l'autorità procedente, nella scelta dell'autorità competente, deve individuare soggetti pubblici che offrano idonee garanzie non solo di competenza tecnica e di specializzazione in materia di tutela ambientale, ma altresì garanzie di imparzialità e di indipendenza rispetto all'autorità procedente, allo scopo di assolvere la funzione di valutazione ambientale nella maniera più obiettiva possibile, senza condizionamenti -anche indiretti- da parte dell'autorità procedente: infatti, qualora l'autorità procedente individuasse l'autorità competente esclusivamente fra soggetti collocati al proprio interno, il ruolo di verifica ambientale perderebbe ogni efficacia, risolvendosi in un semplice passaggio burocratico interno, con il rischio di vanificare la finalità della disciplina sulla VAS (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 17.05.2010 n. 1526 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: Il TAR Lombardia-Milano ha annullato la D.G.R. 27.12.2007 n. 6420, limitatamente all'art. 3.2. dell'Allegato 1 (modello generale), relativa alla procedura per la Valutazione Ambientale di Piani e Programmi (denominata anche Valutazione Ambientale Strategica o VAS).
L
’individuazione dell’autorità competente per la VAS nell’ambito della stessa Amministrazione comunale tenuta all’approvazione del PGT è illegittima in quanto una struttura competente per la VAS completamente interna al Comune non offre sufficienti garanzie di imparzialità e terzietà nella valutazione ambientale, determinando una illegittima commistione fra funzioni di amministrazione attiva (approvazione PGT) e di controllo (valutazione ambientale), con la conseguenza di vanificare le finalità –previste dalla normativa comunitaria e da quella nazionale di attuazione– proprie della valutazione ambientale strategica.
Nel caso di specie il Comune di ..., in attuazione dell’art. 3.2 dell’allegato 1 alla delibera di Giunta del 27.12.2007, ha individuato l’autorità competente all’interno dello stesso Comune, scegliendo in particolare i Responsabili del Settore Urbanistica e del Settore Lavori Pubblici. Tale composizione dell’autorità competente, al di là di ogni valutazione sulla preparazione e sulla capacità professionale dei singoli operatori comunali, non appare in ogni caso rispettosa delle norme comunitarie e statali sopra riportate, in quanto appare assolutamente inidonea a garantire la necessaria imparzialità dell’autorità competente rispetto a quella procedente. Si aggiunga, inoltre, che il Responsabile del Settore Urbanistica del Comune, membro dell’autorità competente, risulta fra coloro che hanno contribuito alla predisposizione del documento di Piano, il che vale a rafforzare il convincimento del Collegio circa l’illegittimità della composizione dell’autorità competente, a causa dell’evidente commistione fra il ruolo di controllore e quello di controllato.
Nel secondo motivo, è denunciata la violazione, sotto molteplici profili, della normativa comunitaria, statale e regionale in materia di VAS (valutazione ambientale strategica) e a tale proposito l’esponente impugna, anche se solo in parte, la delibera di Giunta Regionale 27.12.2007 n. 8/6420 relativa alla procedura per la Valutazione Ambientale di Piani e Programmi (denominata anche Valutazione Ambientale Strategica o VAS).
Il Comune di ..., ai fini dell’obbligatoria sottoposizione del proprio PGT alla procedura di VAS, ha provveduto, con delibera di Giunta n. 38/2008 (doc. 6 del ricorrente), ad avviare il procedimento di valutazione ambientale strategica, individuando contestualmente la c.d. autorità competente per la VAS, costituta dal team composto da due dipendenti comunali, vale a dire il geom. ... ed il P.I.E. ..., rispettivamente Responsabile Settore Urbanistica e Sportello Unico Attività Produttive e Responsabile del Settore Lavori Pubblici.
Secondo il ricorrente, l’individuazione dell’autorità competente per la VAS nell’ambito della stessa Amministrazione comunale tenuta all’approvazione del PGT sarebbe illegittima, in quanto una struttura competente per la VAS completamente interna al Comune non offrirebbe sufficienti garanzie di imparzialità e terzietà nella valutazione ambientale, determinando una illegittima commistione fra funzioni di amministrazione attiva (approvazione PGT) e di controllo (valutazione ambientale), con la conseguenza di vanificare le finalità –previste dalla normativa comunitaria e da quella nazionale di attuazione– proprie della valutazione ambientale strategica.
Con riguardo a tale motivo, occorre dapprima evidenziare come sussista interesse ad agire in capo al ricorrente, visto che per effetto dell’accoglimento della censura sarebbe invalidato l’intero PGT, con obbligo per l’Amministrazione comunale di nuova adozione del Piano, nel rispetto però delle disposizioni in materia di VAS, sicché si configura in capo al geom. ... un interesse strumentale ad una riedizione del potere amministrativo, che potrebbe svolgersi in senso più favorevole al ricorrente (cfr. sul punto, TAR Lombardia, Milano, sez. II, 27.01.2010, n. 188).
Preliminarmente, appaiono necessarie talune premesse relative alla valutazione ambientale strategica (VAS), alla luce della disciplina comunitaria e nazionale in materia.
La valutazione ambientale strategica è stata introdotta dalla direttiva 2001/42/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 27.6.2001, concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull’ambiente. Lo scopo dichiarato della direttiva (art. 1), è quello di garantire un <<elevato livello di protezione dell’ambiente (...) all’atto dell’elaborazione e dell’adozione di piani e programmi al fine di promuovere lo sviluppo sostenibile>>.
E’ stato peraltro notato, dalla dottrina, che l’istituto comunitario della VAS, unitamente a quello della valutazione di impatto ambientale-VIA, affonda le proprie radici in precedenti esperienze giuridiche statunitensi degli anni sessanta del secolo scorso ed anche in alcune iniziative delle Nazioni Unite per la protezione ambientale internazionale (si vedano a tale proposito i lavori della Commissione dell’ONU per l’ambiente e lo sviluppo, conclusi con il rapporto Brundtland del 1987, che enuncia per la prima volta il principio dello “Sviluppo Sostenibile”).
Tornando, ad ogni modo, alla disciplina comunitaria, si ricordi che la legge della Regione Lombardia n. 12/2005 sul governo del territorio, all’art. 4 (“Valutazione ambientale dei piani”), richiama espressamente la direttiva 2001/42/CE, rinviando a successive deliberazioni del Consiglio e della Giunta l’approvazione di indirizzi ed ulteriori adempimenti per la valutazione ambientale dei piani. In attuazione dell’art. 4 citato, il Consiglio Regionale ha approvato gli indirizzi generali per la valutazione suindicata, con deliberazione 13.03.2007 n. VIII/351, mentre con successiva delibera di Giunta 27.12.2007 n. 8/6420 è stata disciplinata la procedura per la VAS.
Lo Stato italiano ha dato compiuta attuazione alla direttiva 2001/42/CE con il decreto legislativo 16.01.2008 n. 4, quindi successivo alla regolamentazione regionale sopra richiamata.
Per effetto del citato decreto legislativo, è stata interamente riscritta la parte II del D.Lgs. 152/2006 (“Norme in materia ambientale”, c.d. Codice dell’ambiente) ed è stata dettata una specifica disciplina per la VAS agli articoli 4 e seguenti.
Tale disciplina è stata ritenuta costituzionalmente legittima ed espressione di potestà legislativa esclusiva statale, in quanto inerente alla materia della “tutela dell’ambiente”, che l’art. 117, comma 2°, lett. s), della Costituzione, riserva alla legislazione esclusiva dello Stato (cfr. Corte Costituzionale, 22.07.2009, n. 225).
L’art. 5, comma 1, lett. a), del D.Lgs. 152/2006, definisce la VAS come valutazione ambientale di piani e programmi, comprendente lo svolgimento di una verifica di assoggettabilità, l’elaborazione di un rapporto ambientale e la conseguente valutazione del piano o programma.
Nell’ambito della procedura di VAS, l’art. 5 distingue l’autorità competente (lettera p) dall’autorità procedente (lett. q); quest’ultima è definita come la pubblica amministrazione che elabora il piano o programma, mentre la prima è la pubblica amministrazione a cui compete l’attività di valutazione ambientale. Ai fini dell’individuazione dell’autorità competente, il successivo art. 7, comma 6°, ha cura di specificare che, in sede regionale, l’autorità competente è la pubblica amministrazione con compiti di tutela, valorizzazione e protezione ambientale.
Le ulteriori disposizioni sulla VAS contenute nel Codice dell’ambiente confermano, con chiarezza, la necessità di separazione fra le due differenti autorità –quella procedente e quella competente– il cui rapporto nell’ambito del procedimento di valutazione ambientale strategica appare tutto sommato dialettico, a conferma dell’intendimento del legislatore di affidare il ruolo di autorità competente ad un soggetto pubblico specializzato, in giustapposizione all’autorità procedente, coincidente invece con il soggetto pubblico che approva il piano (cfr., fra gli altri, art. 11, comma 2°; art. 12, comma 4°; artt. 13, 14 e 15).
Viene poi confermata l’assoluta obbligatorietà della VAS, tanto è vero che i provvedimenti amministrativi di approvazione di piani e programmi adottati senza la VAS, dove prescritta, <<sono annullabili per violazione di legge>> (art. 11, comma 5°).
Dall’esame della disciplina legislativa suindicata –di recepimento della direttiva 2001/42/CE– si giunge alla conclusione, secondo lo scrivente Tribunale, per cui, nella scelta dell’autorità competente, l’autorità procedente deve individuare soggetti pubblici che offrano idonee garanzie non solo di competenza tecnica e di specializzazione in materia di tutela ambientale, ma anche di imparzialità e di indipendenza rispetto all’autorità procedente, allo scopo di assolvere la funzione di valutazione ambientale nella maniera più obiettiva possibile, senza condizionamenti –anche indiretti– da parte dell’autorità procedente.
Qualora quest’ultima, infatti, individuasse l’autorità competente esclusivamente fra soggetti collocati al proprio interno, legati magari da vincoli di subordinazione gerarchica rispetto agli organi politici o amministrativi di governo dell’Amministrazione, il ruolo di verifica ambientale finirebbe per perdere ogni efficacia, risolvendosi in un semplice passaggio burocratico interno, con il rischio tutt’altro che remoto di vanificare la finalità della disciplina sulla VAS e di conseguenza di pregiudicare la corretta applicazione delle norme comunitarie, frustrando così gli scopi perseguiti dalla Comunità Europea con la direttiva 2001/42/CE, come quello di salvaguardia e promozione dello “sviluppo sostenibile”, espressamente enunciato all’art. 1 della direttiva, come già sopra evidenziato (si ricordi che lo “sviluppo sostenibile” costituisce uno degli scopi dell’Unione Europea, espressamente enunciato all’art. 3, comma 3°, del Trattato dell’Unione Europea in vigore dal 01.12.2009).
A tale proposito, pare utile al Collegio rammentare l’obbligo del giudice nazionale di interpretare il diritto interno alla luce di quello comunitario (cfr., sul punto, Consiglio di Stato, sez. VI, 03.09.2009 n. 5197 e TAR Piemonte, sez. I, 05.06.2009, n. 1563), in modo da garantire il c.d. “primato” di quest’ultimo sugli ordinamenti difformi degli Stati membri (sul “primato” del diritto comunitario, si veda Corte di Giustizia CE, sez. III, 19.11.2009 n. 314).
Nel caso di specie il Comune di ..., in attuazione dell’art. 3.2 dell’allegato 1 alla delibera di Giunta del 27.12.2007, ha individuato l’autorità competente all’interno dello stesso Comune, scegliendo in particolare i Responsabili del Settore Urbanistica e del Settore Lavori Pubblici.
Tale composizione dell’autorità competente, al di là di ogni valutazione sulla preparazione e sulla capacità professionale dei singoli operatori comunali, non appare in ogni caso rispettosa delle norme comunitarie e statali sopra riportate, in quanto appare assolutamente inidonea a garantire la necessaria imparzialità dell’autorità competente rispetto a quella procedente.
Si aggiunga, inoltre, che il Responsabile del Settore Urbanistica del Comune, membro dell’autorità competente, risulta fra coloro che hanno contribuito alla predisposizione del documento di Piano, il che vale a rafforzare il convincimento del Collegio circa l’illegittimità della composizione dell’autorità competente, a causa dell’evidente commistione fra il ruolo di controllore e quello di controllato.
Sono quindi illegittimi sia il provvedimento comunale di designazione dell’autorità competente sia quello regionale ivi impugnato, che prevede la composizione della suddetta autorità con soggetti scelti all’interno della differente autorità procedente.
L’illegittimità della delibera regionale del 2007 non è esclusa neppure dalla lettura della legislazione regionale in materia, vale a dire l’art. 4 della L.R. 12/2005. L’articolo si limita, infatti, sotto il profilo dell’individuazione dell’autorità competente, a rinviare a successive deliberazioni del Consiglio o della Giunta Regionale, senza però altro dire. Si aggiunga –e si perdoni l’ovvietà– che in materia di VAS la Regione è in ogni caso rigidamente subordinata alla disciplina comunitaria, sicché non appare certo possibile per l’Ente regionale introdurre deroghe alla medesima.
Peraltro, la stessa Regione Lombardia non pare essere stata sempre coerente con la propria delibera del 27.12.2007, tenuto conto che, con parere espresso dalla Struttura Valutazione Ambientale Strategica e Programmazione Negoziata con nota del 06.04.2009 n. 6818, indirizzato al Comune di Campodolcino, la citata Struttura regionale escludeva che il Sindaco potesse assumere il ruolo di autorità competente, allorché l’autorità procedente era stata individuata nell’Amministrazione comunale.
Nel parere si ricorda il principio, desumibile dal D.Lgs. 4/2008 e assolutamente condiviso dallo scrivente Collegio, della separazione dell’autorità competente rispetto a quella procedente e, con riguardo alla prima, della necessità di un suo sufficiente grado di autonomia e di competenza in materia di ambiente e sviluppo sostenibile (cfr. il parere regionale, doc. 9 del ricorrente).
Ciò premesso, il motivo n. 2 del ricorso principale appare suscettibile di accoglimento, con conseguente annullamento non solo –seppure in parte qua – della delibera regionale impugnata, ma anche della delibera di Giunta Comunale n. 38/2008 di istituzione dell’autorità competente in materia di VAS e delle deliberazioni consiliari n. 12 e n. 13 del 2009, recanti approvazione di un PGT viziato nella sua totalità per l’illegittimità della procedura di VAS, come sopra indicato
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 17.05.2010 n. 1526 - link a www.giustizia-amministrativa.it).
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In merito alla citata sentenza, si legga la nota 25.05.2010 n. 344 di prot. dell'ANCI Lombardia.

URBANISTICA: 1. P.I.I. in variante al P.R.G. - Violazione art. 25 L.R. n. 12/2005 - Delibera regionale modalità applicative - Dichiarazione di congruenza - Applicazione ai piani in itinere - Sussiste.
2. P.I.I. in variante al P.R.G. - Omissione della valutazione ambientale strategica (V.A.S.) - L.R. n. 12/2005 - Non assoggettabile a verifica di esclusione - Sussiste.
3. P.I.I. in variante al P.R.G. - Rilevanza regionale - Art. 92 L.R. n. 12/2005 - Qualificazione delle strutture - Medie strutture - Non sussiste.

1. Posto che l'art. 25, c. 7, L.R. n. 12/2005 -secondo cui i Comuni, fino all'approvazione del P.G.T., non possono dar corso all'approvazione di P.I.I. in variante al P.R.G. salvo che abbiano carattere strategico e di riqualificazione da valutare sulla base dei criteri adottati con delibera regionale- si applica anche ai programmi adottati ma non ancora approvati al momento dell'entrata in vigore della disposizione, anche la delibera regionale, che impone l'adozione di una dichiarazione di congruenza con i criteri e le modalità di cui all'art. 25, c. 7, L.R. n. 12/2005 -laddove dispone di applicarsi sia alle proposte di P.I.I. presentate al Comune dopo la novella legislativa, sia a quelle presentate prima ma non oggetto di adozione- deve essere interpretata in conformità alla norma primaria, e deve applicarsi anche ai piani in itinere (adottati ma non ancora approvati), risultando il P.I.I. impugnato illegittimo in mancanza dell'elaborato tecnico richiesto dalla delibera regionale 06.05.2009 n. 8/9413.
2. Posto che l'art. 4 L.R. n. 12/2005 prescrive la valutazione ambientale strategica (V.A.S.) di piani e programmi urbanistici salvo quelli che in base alla delibera regionale attuativa della disposizione (Delibera C.R. 13.03.2007 n. VIII/351) siano assoggettabili a mera verifica di esclusione della V.A.S., si deve ritenere che il P.I.I. impugnato in quanto in variante allo strumento urbanistico e comportante la riqualificazione di un'ampia area industriale dismessa, il cambio di destinazione di aree agricole e la realizzazione di un polo scolastico, non rientri nel novero dei piani/programmi assoggettabili a mera verifica di esclusione della V.A.S., tali essendo solo i piani e programmi che determinano l'uso di piccole aree a livello locale o modifiche minori, e debba essere soggetto a V.A.S..
3. La circostanza che una media struttura di vendita possa integrare un centro commerciale o che due medie strutture di vendita possano integrare un parco commerciale ai sensi della delibera di giunta regionale 04.07.2007 n. 8/5054 può avere effetti ai fini della disciplina commerciale e del rilascio delle relative autorizzazioni, ma non costituisce ragione sufficiente per conferire all'intervento, rango di rilevanza regionale e radicare, di conseguenza, per l'approvazione del P.I.I., la competenza della Regione ex art. 92 L.R. n. 12/2005 (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 10.05.2010 n. 1452 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA VAS - Finalità - Effetti sull’ambiente di piani e programmi.
La valutazione ambientale strategica (VAS) è volta a garantire che gli effetti sull’ambiente di determinati piani e programmi siano considerati durante l'elaborazione e prima dell'adozione degli stessi, così da anticipare nella fase di pianificazione e programmazione quella valutazione di compatibilità ambientale che, se effettuata (come avviene per la valutazione di impatto ambientale) sulle singole realizzazioni progettuali, non consentirebbe di compiere un'effettiva valutazione comparativa, mancando in concreto la possibilità di disporre di soluzioni alternative per la localizzazione degli insediamenti e, in generale, per stabilire, nella prospettiva dello sviluppo sostenibile, le modalità di utilizzazione del territorio (TAR Umbria Perugia, 19.06.2006, n. 325) (TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 20.04.2010 n. 2043 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI - URBANISTICA: Oggetto: Procedure di competenza della Direzione Generale PBAAC in materia di VIA, VAS e progetti sovraregionali o trasfrontalieri – Disposizioni per la presentazione delle istanze e della relativa documentazione progettuale (Mi.B.A.C., circolare 19.03.2010 n. 6).

URBANISTICA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 5 dell'01.02.2010, "Determinazione della procedura di valutazione ambientale di piani e programmi - VAS (art. 4, l.r. n. 12/2005; d.c.r. n. 351/2007) - Recepimento delle diposizioni di cui al d.lgs. 16.01.2008, n. 4 modifica, integrazione e inclusione di nuovi modelli" (deliberazione G.R. 30.12.2009 n. 10971).
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Trovate qui gli allegati alla deliberazione, non pubblicati sul BURL, nonché un quadro generale della disciplina regionale in materia.

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI - URBANISTICA: R. Greco, VIA, VAS E AIA: QUESTE SCONOSCIUTE (link a www.giustizia-amministrativa.it).

2009

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: VIA E VAS - VAS - Art. 12 d.lgs. n. 152/2006 - Provvedimento di verifica dell’assoggettamento a VAS - Termine di novanta giorni dalla trasmissione del rapporto preliminare da parte dell’autorità procedente - Obbligo di concludere il procedimento.
In materia di VAS, ai sensi dell’art. 12, comma 1, d.lgs n. 152/2006, l’autorità procedente trasmette all’autorità competente, su supporto cartaceo ed informatico, un rapporto preliminare comprendente una descrizione del piano o programma e le informazioni e i dati necessari alla verifica degli impatti significativi sull’ambiente dell’attuazione del piano o programma; quindi, ai sensi del comma 4, “l’autorità competente, sentita l’autorità procedente, tenuto conto dei contributi pervenuti, entro novanta giorni dalla trasmissione di cui al comma 1, emette il provvedimento di verifica assoggettando o escludendo il piano o il programma dalla valutazione di cui agli articoli da 13 a 18 e, se del caso, definendo le necessarie prescrizioni”.
Ne deriva l’obbligo, per l’amministrazione regionale, di concludere il provvedimento nel termine di novanta giorni indicato (TAR Campania-Salerno, Sez. I, sentenza 26.11.2009 n. 6951 - link a
www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: S. Occhi, Delega ambientale e VAS: una riflessione sull’istruttoria tecnica delineata dagli articoli 15, 16 e 17 del D.lgs. 152/2006 e s.m.i. (link a www.simoline.com).

URBANISTICA: Ambiente in genere. VAS.
La direttiva comunitaria 42/01/CE per quanto riguarda la generalità degli atti di pianificazione territoriale non è immediatamente applicabile all’interno degli Stati membri.
Depongono in tal senso anzitutto l’art. 3 della direttiva in parola, che demanda al singolo Stato membro di apprezzare se i piani e programmi relativi a un dato settore possano o non possano avere effetto significativo sull’ambiente; nello stesso senso i successivi articoli 4 e 13, che richiedono in modo espresso che gli Stati, per conformarsi alla direttiva, emanino norme proprie, e quindi adottino atti di recepimento (TAR Lombardia-Brescia, sentenza 04.05.2009 n. 893 - link a www.lexambiente.it).

URBANISTICA: Lombardia, Corso di specializzazione sull'applicazione della L.R. n. 12/2005: 1^ lezione - parte A (valutazione ambientale dei piani) (Geometra Orobico n. 1/2009).

EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: B.U.R. Lombardia, 2° suppl. straord. al n. 8 del 26.02.2009, "Modalità per la valutazione ambientale dei Piani comprensoriali di tutela del territorio rurale e di riordino irriguo (art. 4, l.r. n. 12/2005; d.c.r. n. 351/2007)" (deliberazione G.R. 11.02.2009 n. 8950 - link a www.infopoint.it).

URBANISTICA: VAS - Piani integrati di intervento in variante a PRG - Obbligo di assoggettabilità - Sussiste.
Ai sensi dell'art. 4, comma 4 della L.R. n. 12/2005 e della deliberazione del Consiglio regionale 13.03.2007, n. 351, i piani integrati di intervento in variante ai piani regolatori devono essere sottoposti a VAS (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 22.01.2009 n. 174 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

2008

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, 2° suppl. straord. al n. 45 del 04.11.2008, "Modifica ed integrazione della d.g.r. n. 3667/2006: «Determinazioni in merito all'espletamento delle procedure previste dalla vigente normativa in materia di valutazione dell'impatto ambientale nell'ambito dei procedimenti autorizzativi connessi all'attività estrattiva di cava»" (deliberazione G.R. 13.10.2008 n. 8210 - link a www.infopoint.it).

EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 20 del 12.05.2008, "Valutazione Ambientale di Piani e programmi - VAS - Ulteriori adempimenti di disciplina in attuazione dell'articolo 4 della legge regionale 11.03.2005 n. 12, «Legge per il governo del territorio» e degli «Indirizzi generali per la valutazione ambientale dei piani e programmi» approvati con deliberazione dal Consiglio regionale il 13.03.2007 atti n. VIII/3151 (Provvedimento n. 2)" (deliberazione G.R. 18.04.2008 n. 7110).

URBANISTICA: Procedimenti di Valutazione Ambientale Strategica. Coinvolgimento Soprintendenze di settore (Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Lombardia, nota 18.03.2008 n. 3787 di prot.).

EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: Codice dell'Ambiente: come cambiano le procedure di VAS e VIA (ANCE, circolare 21.02.2008 n. 6 - link a www.ediliziaprofessionale.com).

EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: B.U.R. Lombardia, 2° suppl. straord. al n. 4 del 24.01.2008, "Determinazione della procedura per la Valutazione Ambientale di Piani e programmi - VAS - (art. 4, l.r. n. 12/2005; d.c.r. n. 351/2007)" (deliberazione G.R. 27.12.2007 n. 6420).

EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: "Determinazione della procedura per la valutazione ambientale di piani e programmi - VAS (art. 4, l.r. n. 12/2005; d.C.R. n. 351/2007" (deliberazione G.R. 27.12.2007 n. 6420).

URBANISTICARaccordo verifica Valutazione Ambientale Strategica (VAS) e Valutazione di Incidenza (VIC) sugli atti di pianificazione (Regione Lombardia, Direzione Generale Qualità dell'Ambiente, nota 15.01.2008 n. 1383 di prot.).

2007

EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 14 del 02.04.2007, "Indirizzi generali per la valutazione di piani e programmi  (articolo 4, comma 1, l.r. 11.03.2005, n. 12)" (deliberazione C.R. 13.03.2007 n. 351).

EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: Guida alla professione di ingegnere - La valutazione di impatto ambientale (VIA) e la valutazione ambientale strategica (VAS) - Volume VI  (febbraio 2007 - tratto da www.centrostudicni.it).

2001

EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: G.U.U.E. 21.07.2001 n. L/197 "DIRETTIVA 2001/42/CE DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO del 27.06.2001 concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull'ambiente" (link a http://eur-lex.europa.eu).

 

 

V.I.A. (Valutazione Impatto Ambientale)
per approfondimenti vedi anche:

V.I.A. Regione Lombardia

*
R.R. 25.03.2020 n. 2 - Disciplina delle modalità di attuazione e applicazione delle disposizioni in materia di VIA e di verifica di assoggettabilità a VIA ai sensi della l.r. 5/2010 e delle relative modifiche e integrazioni. Abrogazione del r.r. 5/2011
*
L.R. 02.02.2010 n. 5 - Norme in materia di valutazione di impatto ambientale
2021

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI - URBANISTICA: Come noto l'Amministrazione, nel formulare il giudizio sull'impatto ambientale (VIA), esercita un'amplissima discrezionalità che non si esaurisce in una mera valutazione tecnica, come tale suscettibile di una valutazione tout court sulla base di oggettivi criteri di misurazione, ma presenta al contempo profili particolarmente intensi di discrezionalità amministrativa e istituzionale in relazione all'apprezzamento degli interessi pubblici e privati coinvolti, con la conseguenza che il sindacato del giudice amministrativo in materia è necessariamente limitato alla manifesta illogicità ed incongruità, al travisamento dei fatti o a macroscopici difetti di istruttoria ovvero quando l'atto sia privo di idonea motivazione”.
Non è dunque possibile "uno scrutinio effettivo e pieno delle censure ambientali e tecnico-scientifiche dedotte con il ricorso” proprio per il rilievo -che il Collegio ritiene dirimente- dell’essere la valutazione sull’impatto ambientale espressione di discrezionalità non solo tecnica ma anche amministrativa in senso proprio, non potendosi dunque invocare nemmeno i parametri del giusto processo di cui agli artt. 6, par 1 e 13, della Convenzione EDU (nonché all’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali di Nizza) sotto il profilo della effettività e della “full jurisdiction”.
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8. - Non meritevoli di positiva considerazione sono infine le doglianze di cui al IX, X, XI e XII motivo di gravame, volte a censurare le valutazioni discrezionali dell’Amministrazione sulla VIA, come detto obbligatoria ai sensi della legge regionale n. 4/2018 per gli impianti di allevamento avicolo con la capacità produttiva di cui al progetto approvato.
8.1. - Come noto l'Amministrazione, nel formulare il giudizio sull'impatto ambientale, esercita un'amplissima discrezionalità che non si esaurisce in una mera valutazione tecnica, come tale suscettibile di una valutazione tout court sulla base di oggettivi criteri di misurazione, ma presenta al contempo profili particolarmente intensi di discrezionalità amministrativa e istituzionale in relazione all'apprezzamento degli interessi pubblici e privati coinvolti, con la conseguenza che il sindacato del giudice amministrativo in materia è necessariamente limitato alla manifesta illogicità ed incongruità, al travisamento dei fatti o a macroscopici difetti di istruttoria ovvero quando l'atto sia privo di idonea motivazione” (ex multis Consiglio di Stato, sez. II, 07.09.2020, n. 5379; id. sez. II, 15.09.2020, n.5451; id., sez. V, 27.03.2013, n. 1783; id., sez. VI, 11 febbraio 2014, n. 458; TAR Lombardia, sez. III, 08.03.2013, n. 627; TAR Marche 09.01.2014, n. 31).
8.2. - Non è dunque possibile, contrariamente a quanto auspicato dalla difesa di parte ricorrente (memoria 22.06.2021) “uno scrutinio effettivo e pieno delle censure ambientali e tecnico-scientifiche dedotte con il ricorso” proprio per il rilievo -che il Collegio ritiene dirimente- dell’essere la valutazione sull’impatto ambientale espressione di discrezionalità non solo tecnica ma anche amministrativa in senso proprio, non potendosi dunque invocare nemmeno i parametri del giusto processo di cui agli artt. 6, par 1 e 13, della Convenzione EDU (nonché all’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali di Nizza) sotto il profilo della effettività e della “full jurisdiction”.
8.3. - Ciò doverosamente premesso, parte ricorrente lamenta la sottovalutazione da parte dell’Amministrazione di vari fattori di rischio ambientale sulla salute umana e sulle limitrofe coltivazioni di ortaggi, segnatamente in merito alla gestione degli effluenti e delle sostanze veicolate dagli stessi, delle acque piovane, delle emissioni in atmosfera, depositando all’uopo perizia redatta da agronomo.
I su indicati motivi di gravame, poiché connessi, possono essere trattati congiuntamente.
8.4. - Quanto all’utilizzo agronomico della pollina (che costituisce un concime naturale) esso deve essere regolamentato in sede di AIA, come effettuato, e non già in sede di VIA, si da non richiedersi la redazione di un piano di utilizzo agronomico all’interno della VIA stessa, come confermato dallo stesso art. 15 del R.R. n. 3/2017. Irrilevante appare la stessa gestione agronomica degli effluenti, in considerazione non solo che lo stoccaggio della pollina avverrebbe in luoghi differenti, come argomentato dalla difesa dell’Arpae, ma della stessa non necessità dello stoccaggio, potendo la pollina essere accumulata sui campi.
Relativamente all’asserita erronea gestione delle acque di lavaggio dei capannoni dell’impianto, le doglianze dedotte lambiscono il merito delle valutazioni effettuate, in carenza di specifiche disposizioni tecniche applicabili, nulla prevedendo in proposito lo stesso Manuale per l’industria europea del pollame. Va poi evidenziato che la normativa di settore, come controdedotto da Arpae, privilegia la pulizia a secco rispetto a quella idrica comportante la creazione di scarichi, dal momento che anche il DM 13 dicembre 2018 citato dal consulente di parte ricorrente non smentisce tale assunto.
Quanto invece alla gestione delle acque piovane appare dirimente il rilievo per cui nelle superfici esterne impermeabili dell’allevamento non vengono svolte attività ricomprese nell’art. 8, comma 2, punti a-b-c, del DGR 268/2005 “Direttiva concernente indirizzi per la gestione delle acque di prima pioggia e di lavaggio da aree esterne (art. 39, D.Lgs. 11.05.1999, n. 152)”. Va poi rilevato come in sede di AIA l’Arpae abbia dettato puntuali prescrizioni volte ad evitare inquinamenti.
A proposito delle emissioni di ammoniaca e PM10, posto che come rilevato da Arpae il contesto rurale circostante risulta già caratterizzato da concimazioni del suolo e produzione di ammoniaca per le coltivazioni, lo studio di impatto in atmosfera ha evidenziato valori di concentrazione molto bassi, si da escludersi non illogicamente un significativo impatto anche sul contesto agricolo colturale circostante. Il fattore di emissione medio per PM10 utilizzato nello studio di impatto ambientale è d’altronde risultato conforme al BAT 2017.
Relativamente alle emissioni atmosferiche provocate dall’allevamento posto che non risultano violati i valori soglia vigenti, le stesse NTA del PAIR non precludono l’apertura di nuove attività produttive ma pongono meri obiettivi programmatici.
Più complessa è la doglianza secondo cui la controinteressata avrebbe utilizzato un fattore di emissione di ammoniaca pari a 0,05 kgN/capo/anno, inferiore rispetto a quello richiesto da ARPAE in sede di istruttoria, pari a 0,08 kgN/capo/anno.
Senza che anche in questo caso possa invocarsi una sostituzione del g.a. alle valutazioni tecniche compiute dall’Arpae, la società proponente ha stimato le emissioni di ammoniaca in base a dati recenti (lo strumento Best Avalilable Techniques BAT tool 2018) tenendo in considerazione vari elementi tra cui la dieta alimentare, si che il fattore di emissione utilizzato non appare manifestamente sottostimato.
Sotto altro profilo lo studio di impatto atmosferico non ha tenuto in considerazione le PM 25 (che costituiscono frazione del PM10) né il metano in quanto il BREF comunitario le reputa non significative.
Analoghe considerazioni possono effettuarsi per la progettazione delle “dust chamber”, dal momento che è del tutto opinabile quanto indimostrato che la soluzione indicata in sede progettuale volta a convogliare le emissioni orizzontali verso l’alto non faciliti la dispersione in atmosfera.
Infine priva di pregio è la doglianza secondo cui la soglia olfattiva minima dell’ammoniaca di 140 μg/m3 dichiarata dalla controinteressata sarebbe sottostimata, essendo in realtà di 26,6 μg/m3 “secondo la letteratura scientifica”. Il valore dichiarato dalla proponente è in realtà quello previsto dalle Linee Guida odorigene della Regione Lombardia, cui fa riferimento Arpae in assenza di Linee Guida della Regione Emilia Romagna e statali, dunque un dato sicuramente rilevante e utilizzabile in carenza di valori soglia assoluti, mentre il valore indicato dai ricorrenti desunto “dalla letteratura scientifica” è del tutto parziale ed opinabile (TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. I, sentenza 18.08.2021 n. 756 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI - URBANISTICA: VIA, VAS E AIA – Funzione tipica della VIA – Profili di discrezionalità amministrativa – Apprezzamento degli interessi pubblici in rilievo – Ponderazione rispetto all’interesse all’esecuzione dell’opera.
La funzione tipica della VIA è quella di esprimere un giudizio sulla compatibilità di un progetto valutando il complessivo sacrificio imposto all’ambiente rispetto all’utilità socio-economica perseguita (Cons. Stato, Sez. IV, 22.01.2013, n. 361; Id. 01.03.2019, n. 1423).
Il giudizio di compatibilità ambientale è reso sulla base di oggettivi criteri di misurazione e attraversato da profili particolarmente intensi di discrezionalità amministrativa sul piano dell’apprezzamento degli interessi pubblici in rilievo e della loro ponderazione rispetto all’interesse dell’esecuzione dell’opera; apprezzamento che è sindacabile dal giudice amministrativo soltanto in ipotesi di manifesta illogicità o travisamento dei fatti, nel caso in cui l’istruttoria sia mancata o sia stata svolta in modo inadeguato e risulti perciò evidente lo sconfinamento del potere discrezionale riconosciuto all’Amministrazione, anche perché la valutazione di impatto ambientale non è un mero atto tecnico di gestione ovvero di amministrazione in senso stretto, trattandosi piuttosto di un provvedimento con cui viene esercitata una vera e propria funzione di indirizzo politico–amministrativo con particolare riferimento al corretto uso del territorio, in senso ampio, attraverso la cura ed il bilanciamento della molteplicità dei contrapposti interessi pubblici (urbanistici, naturalistici, paesistici, nonché di sviluppo economico–sociale) e privati (Cons. Stato Sez. IV, 10.02.2017, n. 575; Cons. Stato, Sez. II, 06.04.2020, n. 2248).

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VIA VAS E AIA – Prelievo di sabbie relitte profonde – VIA negativa – Principi di precauzione e ragionevolezza – Destinazione delle sabbie verso un sito non regionale – Destinazione a difesa delle coste regionali – Bilanciamento delle esigenze di precauzione con quelle di proporzionalità.
E’ legittimo il decreto dell’Assessore regionale del territorio e dell’ambiente della regione Sicilia con il quale è stato dichiarato concluso con esito negativo il procedimento di Valutazione di Impatto Ambientale (VIA) ai sensi dell’art. 25, d.lgs. n. 152 del 2006 relativo ad un progetto di “Prelievo di sabbie relitte profonde” presentato da una società titolare della concessione demaniale marittima che prevede la possibilità, previo positive esperimento della VIA, di estrarre annualmente, direttamente o tramite incaricato, sabbia dal fondo marino ma non anche che l’utilizzo debba essere finalizzato prioritariamente al ripascimento delle coste regionali né vincoli di destinazione per il suo utilizzo; l’esito negativo della procedura di VIA è, infatti, frutto di una valutazione altamente discrezionale, effettuata, secondo ragionevolezza ed in ossequio al principio di precauzione: è principio pacifico che il vulnus ambientale deve essere anche solo ragionevolmente ipotizzato e non provato con l’assoluta certezza, che potrebbe certificarsi solo quando il danno ambientale si è effettivamente realizzato. L’eventuale destinazione della sabbia estratta dal sito oggetto della concessione in parola, a difesa delle coste regionali appare più coerente con il principio di bilanciare le esigenze della precauzione con quelle della proporzionalità che impone un’analisi dei vantaggi e degli oneri dalle stesse derivanti, da escludersi nel caso di destinazione verso un sito non regionale (CGARS, parere 09.08.2021 n. 271 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI - URBANISTICA: La disciplina generale contenuta nelle norme del d.lgs. n. 152 del 2006 (Codice dell'ambiente) configura espressamente la procedura di verifica dell'assoggettabilità a VIA come vero e proprio subprocedimento autonomo che si conclude, nel rispetto delle garanzie partecipative, con un atto avente natura provvedimentale, soggetto a pubblicazione, pertanto con un atto autonomamente lesivo ed immediatamente impugnabile
Invero, “Le procedure di V.I.A. e di verifica di assoggettabilità a V.I.A. (“screening”) sono dotate di autonomia, in quanto destinate a tutelare un interesse specifico (quello alla tutela dell'ambiente) e ad esprimere al riguardo una valutazione definitiva, di per sé potenzialmente lesiva dei valori ambientali, con conseguente immediata impugnabilità degli atti conclusivi, soggetti a pubblicazione, da parte dei soggetti interessati alla protezione di quei valori; l'art. 20, d.lgs. n. 152 del 2006, infatti, configura la stessa procedura di verifica di assoggettabilità a V.I.A. (“screening”) come vero e proprio subprocedimento autonomo, caratterizzato da partecipazione dei soggetti interessati e destinato a concludersi con un atto avente natura provvedimentale; da ciò consegue l'inammissibilità dei motivi di impugnazione avverso l'autorizzazione alla realizzazione di un impianto, volti a contestarne la legittimità sotto il profilo della mancata, relativa sottoposizione alla procedura di V.I.A.”.

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41. Alcuna riapertura dei termini per impugnare può, per contro, discendere dall’adozione dell’atto de quo rispetto alle censure fatte (o, meglio, non fatte) valere nel ricorso principale del giudizio R.G. 1766 del 2018 avverso il decreto n. 127 del 2017 di non assoggettabilità a V.I.A., segnatamente rivolte contro lo studio di impatto odorigeno, trattandosi di questioni non oggetto di rideterminazione da parte della commissione VIA-VAS-VI che si è limitata ad evidenziare come anche dette risultanze evidenziassero la non necessità della VI, senza per contro riesaminare le medesime.
41.1. Né in relazione all’impugnativa del decreto n. 127 del 2017 può accogliersi l’istanza di rimessione in termini avanzata dai ricorrenti nel ricorso introduttivo, fondata sul rilievo delle erroneità delle informazioni pubblicate sul sito della Regione in ordine alla localizzazione dell’impianto e relative all’avvio del procedimento, che avrebbero impedito di partecipare al procedimento medesimo.
Ed invero i vizi lamentati avrebbero dovuto comunque essere fatti valere con la tempestiva impugnazione del decreto n. 127 del 2017, regolamente pubblicato sul BURC n. 81 del 06.11.2017, data a decorrere dalla quale è cominciato a decorrere il termine decadenziale di impugnativa, come peraltro dedotto dalla difesa della Ne.Vi..
Va al riguardo evidenziato che la disciplina generale contenuta nelle norme del d.lgs. n. 152 del 2006 (Codice dell'ambiente) configura espressamente la procedura di verifica dell'assoggettabilità a VIA come vero e proprio subprocedimento autonomo che si conclude, nel rispetto delle garanzie partecipative, con un atto avente natura provvedimentale, soggetto a pubblicazione (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza n. 5092 del 14.10.2014), pertanto con un atto autonomamente lesivo ed immediatamente impugnabile (nello stesso senso, TAR Sardegna, sez. I, 11/07/2014, n. 599, secondo cui “Le procedure di V.I.A. e di verifica di assoggettabilità a V.I.A. (“screening”) sono dotate di autonomia, in quanto destinate a tutelare un interesse specifico (quello alla tutela dell'ambiente) e ad esprimere al riguardo una valutazione definitiva, di per sé potenzialmente lesiva dei valori ambientali, con conseguente immediata impugnabilità degli atti conclusivi, soggetti a pubblicazione, da parte dei soggetti interessati alla protezione di quei valori; l'art. 20, d.lgs. n. 152 del 2006, infatti, configura la stessa procedura di verifica di assoggettabilità a V.I.A. (“screening”) come vero e proprio subprocedimento autonomo, caratterizzato da partecipazione dei soggetti interessati e destinato a concludersi con un atto avente natura provvedimentale; da ciò consegue l'inammissibilità dei motivi di impugnazione avverso l'autorizzazione alla realizzazione di un impianto, volti a contestarne la legittimità sotto il profilo della mancata, relativa sottoposizione alla procedura di V.I.A.”)
(TAR Campania-Napoli, Sez. V, sentenza 17.03.2021 n. 1790 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

2020

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI - URBANISTICAValutazione di impatto ambientale (VIA) subordinata al rispetto di specifiche prescrizioni.
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Ambiente - Valutazione impatto ambientale – Subordinata al rispetto di specifiche prescrizioni – Legittimità.
E’ legittima una valutazione di impatto ambientale (VIA) che dichiari la compatibilità ambientale di un progetto subordinatamente al rispetto di specifiche prescrizioni e condizioni, da verificare all’atto del successivo rilascio dei titoli autorizzatori necessari per la concreta entrata in funzione dell’opus, nulla ostando in linea di principio a che l’Amministrazione attesti che, a seguito dell’adozione futura di ben precisi accorgimenti, l’opera possa risultare compatibile con le esigenze di tutela ambientale (1).
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   (1) Ha chiarito la Sezione che i limiti alla legittimità di tale modus procedendi attengono al grado di dettaglio e di specificità delle prescrizioni, nonché al numero ed alla complessiva incidenza delle stesse sui caratteri dell’opera, in quanto la formulazione di prescrizioni eccessivamente generiche, ovvero relative a pressoché tutti i profili di possibile criticità ambientale dell’opus, potrebbe risolversi in una sostanziale pretermissione del giudizio.
Una simile evenienza, da accertarsi nel caso concreto, ha carattere patologico e lumeggia l’illegittimità dell’azione amministrativa, che, in casi siffatti, rinviene non dalla presenza di prescrizioni in sé e per sé considerate, ma dal fatto che il carattere abnorme (qualitativamente, tipologicamente o numericamente) di tali prescrizioni disvela, a monte, l’assenza di un’effettiva, concreta ed attuale valutazione di impatto ambientale, ossia il sostanziale rifiuto dell’esercizio del potere, pur nella formale spendita dello stesso.
Ha aggiunto la sezione che la situazione soggettiva comunemente nota come potestà, di cui è investita l’Amministrazione nell’esercizio di poteri discrezionali, presenta, oltre all’aspetto del “potere” (ossia della capacità di modificare unilateralmente ed autoritativamente la sfera giuridica degli amministrati), il contestuale e parallelo tratto del “dovere” (da intendersi tanto come dovere dell’esercizio, posto che tale situazione è indisponibile, quanto come dovere della finalizzazione teleologica di tale esercizio, che deve essere volto a conseguire gli scopi indicati dalla legge): tale situazione, del resto, è altresì nota come potere-dovere (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 11.12.2020 n. 7917 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).
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SENTENZA
7. I motivi di cui supra sono, come correttamente ritenuto dal Tar, infondati, ai sensi delle considerazioni che seguono.
  
a) Tutti i tre progetti sono stati sottoposti a VIA: i procedimenti relativi alla discarica ed all’impianto di inertizzazione, conseguenti ad istanze presentate dalla società A2A rispettivamente in data 30.07.2012 e 05.04.2013, sono stati curati dalla Provincia in ossequio alla delega di funzioni disposta con l.r. n. 5 del 02.02.2010, mentre quello afferente al termovalorizzatore è stato compiuto dalla Regione in quanto la relativa istanza della società è stata presentata in data (10.11.2009) anteriore all’entrata in vigore di tale legge.
Non si apprezza, dunque, né alcuna pretermissione di VIA, né alcuna illegittima distrazione di competenza.
Ciò premesso, il Collegio osserva che le gravate valutazioni di impatto ambientale hanno concretamente tenuto conto anche dell’impatto cumulativo dei progetti.
Si ponga mente, quanto al progetto del termovalorizzatore, alle pagine 8 e 12 del provvedimento di VIA, dove rispettivamente si sostiene che:
   - “il fabbricato destinato allo stoccaggio dei rifiuti in ingresso alla sezione di termovalorizzazione sarà equipaggiato con un doppio sistema di aspirazione afferente a sistema di filtraggio a carbone attivo … il fabbricato che accoglierà l’impianto di inertizzazione delle ceneri sarà mantenuto in depressione e l’aria aspirata sarà sottoposta a trattamento mediante filtro a maniche”;
   - “i maggiori impatti saranno connessi alle diverse attività previste nella fase di cantierizzazione [movimenti terra, viabilità e macchine operatrici] e successivamente al rumore generato dai mezzi di conferimento; tali sorgenti andranno a sommarsi a quelle presenti presso il Centro Integrato; si evidenzia che il piano dell’impianto in progetto risulta ribassato di circa 4 m rispetto al piano campagna circostante nonché la presenza dei rilevati dei lotti della discarica del Centro Integrato i quali contribuiscono al contenimento dell’impatto acustico all’interno dell’area dell’impianto … lo studio previsionale ha preso in considerazione due differenti scenari operativi del Centro Integrato” sia “a breve termine, che prevede il funzionamento dell’impianto di termovalorizzazione esistente e di quello in progetto”, sia “a lungo termine, che prevede l’esercizio dell’impianto in progetto; in entrambi gli scenari è stata considerata anche la viabilità indotta ed il funzionamento in continuo [periodo diurno e notturno] di tutti le sorgenti fisse e mobili individuate”.
Quanto all’impianto di inertizzazione, si vedano le pagine 4 – 7 del relativo provvedimento, da cui si trae l’evidenza di una considerazione dell’intervento non atomistica, bensì declinata alla luce dell’attuale e prospettica configurazione strutturale del centro integrato; oltretutto, la modifica in questione mira a potenziare le capacità di trattamento dell’impianto, estese anche alle polveri decadenti dallo scarico del filtro a maniche, non più solo a quelle decadenti dai cicloni.
Quanto, infine, all’ampliamento della discarica, il relativo provvedimento di VIA:
   - considera la complessiva condizione strutturale ed operativa del centro integrato (cfr. pagine 3, 4, 7);
   - precisa i caratteri dei rifiuti ammissibili in discarica, da cui risultano esclusi, per scelta della società proponente, i residui da combustione (pagina 8);
   - opera un riferimento all’utilizzo dei rifiuti trattati dall’impianto di inertizzazione (pagina 9);
   - descrive i possibili impatti sull’ambiente della discarica, ponderati in base alla complessiva attività del centro integrato (pagine 10 ed 11);
   - svolge “approfondimenti in merito alla valutazione qualitativa degli impatti cumulativi legati agli impianti esistenti e futuri presso il centro integrato di Corteleona”, con specifico riferimento al “potenziale impatto cumulativo con il nuovo termovalorizzatore” (pagine 15 e 18).
La censura in parola, dunque, trova smentita per tabulas.
Non è ultroneo evidenziare che il provvedimento di VIA è espressione di un’ampia discrezionalità amministrativa: con esso, infatti, l’Amministrazione non è chiamata, in via per così dire notarile e “passiva”, a riscontrare la sussistenza di possibili impatti ambientali dell’opera (peraltro inevitabili, alla luce della natura dei manufatti da sottoporre ex lege a VIA), bensì a ricercare attivamente, nella ponderazione comparativa di istanze potenzialmente confliggenti, un complessivo bilanciamento fra gli interessi perseguiti con la realizzazione dell’opus, da un lato, e le contrapposte esigenze di preservazione (recte, di contenuta o, comunque, non eccessiva e sproporzionata incisione) del contesto ambientale lato sensu inteso, dall’altro.
Proprio per tale motivo, del resto, il relativo procedimento è aperto alla partecipazione di “chiunque vi abbia interesse” (art. 24 d.lgs. n. 152 del 2006), eventualmente anche mediante una “inchiesta pubblica”: la partecipazione procedimentale è, quindi, estesa oltre gli ordinari confini apprestati dagli articoli 7 e ss. l. n. 241 del 1990, non essendo necessario comprovare, da parte del soggetto che aspira alla partecipazione, che “dal provvedimento possa derivare un pregiudizio”.
In sostanza, proprio in considerazione del peculiare oggetto sostanziale, lo statuto procedimentale della VIA è speciale: invero, lo scrutinio discrezionale circa il quomodo (e, prima ancora, circa lo stesso an – cosiddetta “opzione zero”) dell’incisione dell’assetto ambientale recata dal progetto viene svolto coram populo, al fine di rendere quanto più possibile democratica, partecipata e condivisa una scelta che, inevitabilmente, si ripercuote sulla vita quotidiana di tutti gli attori (economici, sociali, collettivi, istituzionali) presenti sul territorio.
Trattandosi, dunque, di atto che non veicola un mero accertamento tecnico, ma esprime, in forme procedimentali speciali, una potestà amministrativa sostanziale stricto sensu intesa, il conseguente sindacato giurisdizionale incontra i noti limiti, arrestandosi alla soglia dell’illogicità, della contraddittorietà, dell’irragionevolezza, senza poter accedere alla diretta valutazione del merito delle scelte, ex lege riservata alle valutazioni dell’Amministrazione (cfr., da ultimo, Cons. Stato, Sez. II, 07.09.2020, n. 5380).
Nella specie, l’Amministrazione si è posta il problema del complessivo impatto delle modifiche interessanti il centro integrato, sì che la trattazione di tali profili in tre distinti procedimenti non ha comportato alcun effettivo e concreto tratto di illegittimità.
Peraltro, tale frazionamento dei procedimenti, lungi dall’essere arbitrario, è conseguito alla diversità oggettuale dei tre interventi, alla distinzione materiale e temporale delle relative istanze formulate dalla società proponente, alla ripartizione delle competenze delineata, con disposizione sopravvenuta, dalla legge regionale.
Quanto a quest’ultimo punto, è manifestamente infondata la questione di illegittimità costituzionale della l.r. n. 5 del 2010, articoli 2 e 5.
In disparte il fatto che, nella specie, la VIA è stata espletata per tutti i progetti de quibus e che la ripartizione delle competenze non ha impedito una disamina complessiva dell’impatto ambientale cumulativo dei progetti medesimi, la delega legislativa regionale alla Provincia non è, in sé, contraria ad alcun puntuale referente costituzionale, del resto neppure specificamente indicato dagli odierni appellanti.
  
b) Gli appellanti lamentano che “il SIA del proponente è rimasto carente dei requisiti prescritti a livello normativo dall’art. 22 del T.U.A. e dall’allegato 7 di riferimento, posto che non ha dato conto con il sufficiente grado di dettaglio -adeguato al progetto in esame- dello stato dell’infrastrutturazione presente ed in progetto nelle vicinanze dell’impianto, né delle criticità ambientali circostanti”; inoltre, non sarebbero stati presi nella dovuta considerazioni i rilievi negativi formulati dalla Provincia, dai Comuni, dall’associazione “Me.De.” e dall’Ente Parco Collina di S. Colombano.
Gli appellanti, inoltre, contestano “il mancato rispetto, nell’ambito del procedimento, delle norme in tema di trasparenza e partecipazione al pubblico” dettate dalla disciplina euro-unitaria e dalla conseguente normativa nazionale.
Gli appellanti, infine, sostengono l’illegittimità costituzionale della legge lombarda n. 5 del 2010, articoli 4 e 7, in punto di partecipazione procedimentale.
In proposito, il Collegio osserva che nel provvedimento relativo al termovalorizzatore (cui si dirigono, in particolare, le censure degli appellanti) l’Amministrazione ha puntualmente elencato i rilievi negativi svolti dalla Provincia, dai Comuni, dall’associazione “Me.De.” e dall’Ente Parco Collina di S. Colombano.
Nel prosieguo del provvedimento, l’Amministrazione ha poi affrontato i profili oggetto di tali rilievi, ossia la viabilità, la previsione di opere compensative, la predisposizione di un sistema di recupero dell’energia termica prodotta dal termovalorizzatore mediante una rete di teleriscaldamento, l’inferenza con la Rete Ecologica Regionale, il consumo di suolo, la pressione impiantistica cui sarebbe già allo stato soggetto il territorio provinciale, l’effettivo fabbisogno locale di trattamento dei rifiuti, il livello delle emissioni, la vicinanza con aree di pregio ambientale.
Come correttamente osservato dal Tar, l’Amministrazione non ha il dovere di prendere puntualmente, specificamente ed analiticamente posizione su ciascuno dei singoli rilievi formulati nel corso del procedimento (ciò che potrebbe essere de facto impossibile e che, comunque, potrebbe collidere con il principio di economicità dell’azione amministrativa), ma deve confezionare un provvedimento che, nell’ambito di una valutazione necessariamente di sintesi, affronti con un sufficiente grado di approfondimento tutte le questioni problematiche emerse nel corso del procedimento.
Ciò, invero, è quanto accaduto nella specie: ciascuno dei profili de quibus, infatti, è stato trattato dall’Amministrazione, che in taluni casi ha anche imposto delle prescrizioni.
Ora, in termini generali è legittima una VIA che dichiari la compatibilità ambientale di un progetto subordinatamente al rispetto di specifiche prescrizioni e condizioni, da verificare all’atto del successivo rilascio dei titoli autorizzatori necessari per la concreta entrata in funzione dell’opus (cfr., da ultimo, Cons. Stato, Sez. IV, 13.02.2020, n. 1169, § 15).
Invero, niente osta, in linea di principio, a che l’Amministrazione attesti che, a seguito dell’adozione futura di ben precisi accorgimenti, l’opera possa risultare compatibile con le esigenze di tutela ambientale.
I limiti alla legittimità di tale modus procedendi attengono al grado di dettaglio e di specificità delle prescrizioni, nonché al numero ed alla complessiva incidenza delle stesse sui caratteri dell’opera: invero, la formulazione di prescrizioni eccessivamente generiche, ovvero relative a pressoché tutti i profili di possibile criticità ambientale dell’opus, potrebbe risolversi in una sostanziale pretermissione del giudizio.
Una simile evenienza, da accertarsi nel caso concreto, ha carattere patologico e lumeggia l’illegittimità dell’azione amministrativa, che, in casi siffatti, rinviene non dalla presenza di prescrizioni in sé e per sé considerate, ma dal fatto che il carattere abnorme (qualitativamente, tipologicamente o numericamente) di tali prescrizioni disvela, a monte, l’assenza di un’effettiva, concreta ed attuale valutazione di impatto ambientale, ossia il sostanziale rifiuto dell’esercizio del potere, pur nella formale spendita dello stesso: tuttavia, una tale situazione, che avrebbe dovuto essere adeguatamente comprovata dagli appellanti, non ricorre nel caso di specie.
Non è superfluo, in proposito, ricordare che la situazione soggettiva comunemente nota come potestà, di cui è investita l’Amministrazione nell’esercizio di poteri discrezionali, presenta, oltre all’aspetto del “potere” (ossia della capacità di modificare unilateralmente ed autoritativamente la sfera giuridica degli amministrati), il contestuale e parallelo tratto del “dovere” (da intendersi tanto come dovere dell’esercizio, posto che tale situazione è indisponibile, quanto come dovere della finalizzazione teleologica di tale esercizio, che deve essere volto a conseguire gli scopi indicati dalla legge): tale situazione, del resto, è altresì nota come potere-dovere.
Gli appellanti, inoltre, lamentano la violazione della disciplina di matrice comunitaria (articolo 5, comma 2, ed art. 7, commi 2 e 4, della direttiva 2011/92/CE) e nazionale (art. 24 d.lgs. n. 152 del 2006) sulla pubblicità degli atti nelle procedure di VIA, giacché “la pubblicazione, con avviso laconico pubblicato solo sul Corriere della Sera, privo dei contenuti prescritti dal legislatore comunitario, prima che di quello nazionale, dell’avvio del deposito del progetto non soddisfa i requisiti di trasparenza della direttiva” ed ha, altresì, lasciato “i cittadini all’oscuro della maggior parte delle integrazioni del proponente, nemmeno pubblicate sul sito, oltre che delle osservazioni che avrebbero potuto illuminarli o supportarli, e quindi sono stati privati della possibilità di partecipare all’istruttoria e al procedimento che ha condotto al rilascio di una V.I.A. favorevole ma viziata”.
Sul punto, è sufficiente rilevare che:
   - la disciplina nazionale vigente ratione temporis richiedeva, per i progetti di competenza VIA regionale, la pubblicazione su un quotidiano a diffusione regionale o provinciale di un avviso che recasse “una breve descrizione del progetto e dei suoi possibili principali impatti ambientali, l'indicazione delle sedi ove possono essere consultati gli atti nella loro interezza ed i termini entro i quali è possibile presentare osservazioni”;
   - l’avviso di VIA consta essere stato pubblicato su un quotidiano a diffusione nazionale;
   - parte ricorrente non ha concretamente specificato perché ed in quale misura tale avviso violasse la disciplina nazionale.
Parti appellanti lamentano, inoltre, che la disciplina legislativa regionale (l.r. n. 5 del 2010, articoli 4 e 7) contrasterebbe con la Carta costituzionale, giacché “non prescrive che la pubblicazione abbia i contenuti minimi previsti dall’art. 5, comma 2, della direttiva” 2011/92/UE.
In proposito, il Collegio osserva che la disciplina regionale lombarda prevede un sistema informativo regionale per le procedure di VIA (individuato con l’acronimo “SILVIA”) ed istituisce un apposito sito internet dedicato espressamente alle procedure di VIA; la normativa regolamentare a valle delinea, poi, ulteriori misure di dettaglio.
Non si apprezza, dunque, una violazione della disciplina euro-unitaria, parametro indiretto di legittimità costituzionale ex art. 117, comma primo, Cost.; non è, in proposito, superfluo evidenziare che:
   - la direttiva 2011/92/UE è entrata in vigore in epoca successiva alla presentazione dell’istanza di VIA per il termovalorizzatore da parte della società contro-interessata;
   - l’art. 5, comma 2, della direttiva 2011/92/UE non si riferisce agli obblighi di pubblicazione, ma alle informazioni che debbono essere fornite dal proponente alle Autorità competenti.
Non è, infine, fondata la censura di violazione del diritto di partecipazione procedimentale, in tesi conseguente alla mancata ripubblicazione del progetto modificato a seguito delle integrazioni disposte nel corso del procedimento.
In primo luogo, l’attiva partecipazione procedimentale di molte delle parti odierne appellanti dimostra che non si è verificata alcuna concreta ed effettiva lesione delle loro istanze partecipative e defensionali; più in generale, la facoltà di partecipare al procedimento da parte dei vari cittadini dei Comuni insistenti nell’area non risulta essere stata sostanzialmente conculcata, né ab initio né durante il corso del procedimento.
Si evidenzia, in proposito, che la violazione delle facoltà procedimentali richiede la puntuale dimostrazione dell’effettivo, attuale e concreto ostacolo frapposto dall’Amministrazione al pieno dispiegarsi di tali facoltà: queste, infatti, costituiscono un agere licere e, come tali, gravano l’interessato dell’onere dell’esplicazione di un minimum di diligenza e di autonoma iniziativa.
  
c) Non si apprezza una violazione dei principi di prevenzione e precauzione.
Lo studio di impatto ambientale elaborato dalla società proponente con riferimento al termovalorizzatore ha preso in considerazione “i limiti emissivi autorizzati” e non i più bassi “limiti attesi” ed ha esteso l’indagine “ad un’area costituita da un quadrato di 5 km di lato, centrato sulla localizzazione del Centro Integrato”.
Lo studio ha consentito di individuare, quale area di “massima ricaduta dei contaminanti”, la zona ricompresa entro i 2 chilometri dall’impianto e, in base alle simulazioni ivi condotte, ha escluso che l’entrata in servizio del nuovo termovalorizzatore possa determinare “variazioni significative dello stato attuale della qualità dell’aria”.
Del resto, l’area ove sorge il centro integrato non consta rientrare nelle Aree critiche di rilevanza regionale per quanto attiene alla qualità dell’aria.
Ciononostante, l’Amministrazione ha previsto l’adozione, in sede autorizzativa, di alcune possibili cautele (definizione di valori limite dei fumi inferiori a quelli fissati dalle norme di settore, imposizione di limiti ai flussi annui di emissione di specifici contaminanti, limitazione dell’operatività dell’impianto esistente durante la fase di coesistenza con il nuovo termovalorizzatore) ed ha, altresì, disposto “una verifica dello stato di salute della popolazione coinvolta, con particolare riferimento alla fase di esercizio dell’impianto”.
Parimenti, quanto alla viabilità, l’Amministrazione ha preso atto del fatto che “gli Enti territoriali ed in particolare la Provincia di Pavia hanno evidenziato, quale elemento di criticità, la non adeguatezza delle infrastrutture viabilistiche interessate dal traffico indotto dalle attività dell’impianto in progetto” ed ha, conseguentemente, disposto che “il Proponente, prima del rilascio dell’A.I.A. sull’impianto in progetto, si faccia promotore di un tavolo di concertazione con il Competente Settore viabilità della Provincia di Pavia, al fine di definire azioni ed interventi specifici finalizzati alla risoluzione di tali criticità”.
Tali prescrizioni, costituenti parte integrante del giudizio favorevole di VIA, non presentano profili di illogicità, sia perché taluni elementi di dettaglio tecnico sono oggettivamente meglio apprezzabili solo all’atto del successivo rilascio dell’AIA, sia perché talune “criticità” (quali, ad esempio, quelle relative alla viabilità) non possono per loro natura essere risolte con interventi immediati, sia, infine, perché il compito della VIA non è quello di redigere compiutamente ed in dettaglio lo statuto ambientale dell’opus, bensì quello di individuare, in linea generale, l’ottimale punto di incontro fra le esigenze produttive-infrastrutturali e le istanze di tutela ambientale, ciò che può essere ottenuto anche con l’enucleazione di prescrizioni e con la previsione, a valle della VIA, di campagne di monitoraggio, tavoli di concertazione et similia (cfr. supra, sub lett. b).
A titolo di completezza, il Collegio osserva, infine, che gli impatti acustici risultano affrontati con specifici accorgimenti (abbassamento del nuovo termovalorizzatore rispetto al piano di campagna) e, comunque, in base alle simulazioni svolte “non si evidenziano criticità”.
  
d) La censura di compromissione di un’area ricompresa in un corridoio primario della Rete Ecologica Regionale è divenuta improcedibile, in considerazione del fatto che, in sede di AIA, la società contro-interessata risulta aver rinunciato alle opere che avrebbero dovuto essere ubicate in tale area.
Ad ogni buon conto, il Collegio rileva che nel provvedimento di VIA venivano imposte “specifiche azioni compensative al fine di garantire un adeguato livello di continuità ecologica”: in proposito, si precisa che il complessivo equilibrio fra le esigenze sottese alla realizzazione dell’opus e le istanze di tutela ambientale può essere perseguito anche con la previsione di opere compensative, tese, appunto, a recuperare aliunde i valori ambientali intaccati dall’intervento.
  
e) Non si apprezza neppure una mancata valutazione dell’impatto sulle vicine SIC e ZPS, che, secondo le parti appellanti, avrebbe richiesto l’effettuazione di una valutazione di incidenza (VINCA).
Invero:
   - l’intervento infrastrutturale de quo non insiste entro un SIC od una ZPS;
   - queste, al contrario, risultano essere localizzate ad una distanza compresa fra i sei e gli otto chilometri dal centro integrato;
   - parti appellanti non hanno specificato perché, nonostante tale oggettiva distanza, la realizzazione dell’opus possa determinare “incidenze significative” sui siti predetti;
   - la disciplina regionale impone lo studio di incidenza ambientale per i soli casi in cui l’intervento sia localizzato entro i due chilometri dal sito protetto;
   - le previsioni assunte in sede di AIA (mappatura dello stato di salute della popolazione entro il raggio di ventidue chilometri dall’impianto), lungi dal disvelare ex post l’illegittimità in parte qua della VIA, attuano di contro quel monitoraggio sulla salute della popolazione umana residente ex ante divisato dalla stessa VIA e non ineriscono, dunque, alla diversa questione dell’impatto sulla flora e sulla fauna, alla cui protezione, come noto, tendono i SIC e le ZPS.
Sempre in tema di tutela della salute, il Collegio osserva che, a quanto consta, in sede di AIA è stato altresì previsto che la costruzione del termovalorizzatore sia subordinata al previo completamento delle attività di bonifica del sottosuolo.
  
f) Quanto, infine, alla mancata valutazione dell’opzione zero, il Collegio ribadisce, anzitutto, i limiti strutturali dello scrutinio giurisdizionale in subiecta materia, che non può trascendere in considerazioni di merito circa l’opportunità dell’intervento, alla luce, oltretutto, del valore costituzionale del principio della libertà di impresa.
Ciò precisato, il Collegio rileva che i tre interventi incrementano la capacità produttiva del centro integrato, al contempo implementandone la sicurezza ambientale e il contenuto tecnologico, senza però determinare ulteriore consumo di suolo.
Tali considerazioni, non smentite ex adverso, lumeggiano la coerenza interna e la logicità del percorso motivazionale seguito dall’Amministrazione.
8. Per le esposte ragioni, pertanto, il ricorso in appello va rigettato (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 11.12.2020 n. 7917 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI - URBANISTICA: VIA, VAS E AIA – VIA – Natura e finalità.
La V.I.A. è configurata come procedura amministrativa di supporto per l’autorità competente finalizzata ad individuare, descrivere e valutare gli impatti ambientali di un’opera, il cui progetto è sottoposto ad approvazione o autorizzazione.
In altri termini, trattasi di un procedimento di valutazione ex ante degli effetti prodotti sull’ambiente da determinati interventi progettuali, il cui obiettivo è proteggere la salute umana, migliorare la qualità della vita, provvedere al mantenimento delle specie, conservare la capacità di riproduzione dell’ecosistema, promuovere uno sviluppo economico sostenibile (cfr. art. 3, direttiva n. 85/337/CEE e successive modifiche apportate dalla direttiva n. 97/11/CE).
Essa mira a stabilire, e conseguentemente governare in termini di soluzioni più idonee al perseguimento di ridetti obiettivi di salvaguardia, gli effetti sull’ambiente di determinate progettualità.
Tali effetti, comunemente sussumibili nel concetto di “impatto ambientale”, si identificano nella alterazione “qualitativa e/o quantitativa, diretta ed indiretta, a breve e a lungo termine, permanente e temporanea, singola e cumulativa, positiva e negativa” che viene a prodursi sull’ambiente, laddove quest’ultimo a sua volta è identificato in un ampio contenitore, costituito dal “sistema di relazioni fra i fattori antropici, naturalistici, chimico-fisici, climatici, paesaggistici, architettonici, culturali, agricoli ed economici, in conseguenza dell’attuazione sul territorio di piani o programmi o di progetti nelle diverse fasi della loro realizzazione, gestione e dismissione, nonché di eventuali malfunzionamenti” (art. 5, comma 1, lett. b) e c), del d.lgs. n. 152/2006).

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VIA, VAS E AIA – Screening – Oggetto – Impatto o alterazione dell’ambiente lato sensu inteso – Funzione preliminare rispetto alla VIA – Significato – Rapporto di autonomia – Categorie di progetti sottoponibili a verifica di assoggettabilità.
L’oggetto dello screening è, sostanzialmente, l’“impatto”, ovvero “alterazione” dell’ambiente lato sensu inteso, così come per la VIA: esso svolge però una funzione preliminare per così dire di “carotaggio”, nel senso che “sonda” la progettualità e solo ove ravvisi effettivamente una significatività della stessa in termini di incidenza negativa sull’ambiente, impone il passaggio alla fase successiva della relativa procedura; diversamente, consente di pretermetterla, con conseguente intuibile risparmio, sia in termini di costi effettivi, che di tempi di attuazione.
Lo screening, dunque, data la sua complessità e l’autonomia riconosciutagli dallo stesso Codice ambientale che all’art. 20 (e, più di recente, all’art. art. 9, d.lgs. del 16.06.2017, n. 104) ne disciplina lo svolgimento, è esso stesso una procedura di valutazione di impatto ambientale, meno complessa della V.I.A., la cui previsione risponde a motivazioni comprensibilmente diverse.
Per questo motivo è spesso definito in maniera impropria come un subprocedimento della V.I.A., pur non essendo necessariamente tale. Esso è qualificato altresì come preliminare alla V.I.A., dizione questa da intendere solo in senso cronologico, stante che è realizzato preventivamente, ma solo con riguardo a determinate tipologie di progetto rispetto alle quali alla valutazione vera e propria si arriva in via eventuale, in base cioè proprio all’esito in tal senso della verifica di assoggettabilità.
Le categorie di progetti, quindi, che possono essere sottoposte alla verifica di assoggettabilità coincidono con quelle rispetto alle quali la V.I.A. è solo eventuale, ovvero, in estrema sintesi: 1) progetti elencati nell’Allegato II al Codice che servono esclusivamente o essenzialmente per lo sviluppo ed il collaudo di nuovi metodi o prodotti e non sono utilizzati per più di due anni (screening di competenza statale); 2) modifiche dei progetti elencati nell’Allegato II suscettibili di produrre effetti negativi e significativi per l’ambiente (screening di competenza statale); 3) progetti elencati nell’Allegato IV (screening di competenza regionale).
La verifica di assoggettabilità, dunque, non può essere considerata una fase costitutiva ed imprescindibile della V.I.A., perché essa non deve essere esperita sempre, ma solo rispetto ai progetti appena elencati. Ne costituisce pertanto un elemento aggiuntivo eccezionale rispetto al normale iter, che per gli altri progetti prende avvio con la presentazione della relativa istanza.

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VIA, VAS E AIA – Verifica di assoggettabilità – Indicatori dimensionali e criteri di selezione – Allegato V, Parte II d.lgs. n. 152/2006.
La direttiva n. 2011/92/UE che ha armonizzato a livello comunitario la disciplina della V.I.A., specifica che lo screening può essere realizzato o mediante un’analisi caso per caso, oppure lasciando agli Stati membri la possibilità di fissare delle soglie dimensionali rispetto alle quali procedere o meno alla verifica di assoggettabilità.
Suddetta direttiva è molto chiara nello specificare che, anche qualora si decidesse di fare riferimento ad un indicatore dimensionale, data la rilevanza che riveste lo screening (perché in base al suo esito si decide se procedere o meno ad effettuare la V.I.A.), occorrerebbe fare riferimento comunque anche a specifici criteri di selezione. Pertanto non è possibile escludere un progetto solo facendo riferimento alle sue dimensioni: occorre avere una visione d’insieme.
Indicazione questa di innegabile rilevanza ai fini dello scrutinio della legittimità della decisione in termini di assoggettamento.
I criteri in questione sono stati recepiti a livello nazionale nell’Allegato V, Parte II, del Codice ambientale. Essi sono molteplici, e spaziano dalle intrinseche caratteristiche del progetto (dimensioni, cumulo con altri progetti, produzione di rifiuti, utilizzazione delle risorse naturali, produzione di inquinamento e disturbi acustici, rischio di incidenti concernenti le tecnologie o sostanze utilizzate); alla sua localizzazione (capacità di assorbimento ambientale delle aree geografiche in cui verrà situato l’impianto, effetti su riserve e parchi naturali, zone costiere e montuose, zone a forte densità demografica); alle caratteristiche dell’impatto potenziale (portata dell’impatto, probabilità di accadimento dell’impatto, durata, frequenza e reversibilità dell’impatto).
La ratio è evidentemente quella di garantire per quanto possibile il più elevato livello di tutela ambientale, senza tuttavia onerare inutilmente il cittadino richiedente.

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VIA, VAS E AIA – Presupposti per la VIA – Natura oggettiva.
I presupposti per la V.I.A. sono oggettivi, e riposano nel ricadere o meno di un certo progetto fra le tipologie per le quali la normativa contenuta nel d.lgs. n. 152 del 2006, o nelle leggi regionali, contempla la verifica ambientale, obbligatoriamente, ovvero facoltativamente, imponendo il legislatore la preliminare verifica di assoggettabilità (sul punto cfr. Cons. Stato, sez. IV, 12.05.2014, n. 2403).
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VIA, VAS E AIA – Procedimento di screening – Procedimento di VIA – Rapporti.
Il rapporto tra il procedimento di screening e quello di V.I.A. appare configurabile graficamente in termini di cerchi concentrici caratterizzati da un nucleo comune rappresentato dalla valutazione della progettualità proposta in termini di negativa incidenza sull’ambiente, nel primo caso in via sommaria e, appunto, preliminare, nel secondo in via definitiva, con conseguente formalizzazione del provvedimento di avallo o meno della stessa.
La “verifica di assoggettabilità”, come positivamente normata, anticipa sostanzialmente la valutazione di impatto, delibandone l’opportunità, sulla base della ritenuta sussistenza prima facie dei relativi presupposti, «con la conseguenza che l’attività economica, libera sulla base della nostra Costituzione, non possa che svolgersi nel pieno rispetto delle normative di tutela ambientale»
(TAR Abruzzo, L’Aquila, 18.02.2013, n. 158; TAR Sardegna, sez. II, 30.03.2010 n. 412; TAR Friuli Venezia Giulia, 09.04.2013, n. 233).

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VIA, VAS E AIA – Giudizio di screening – Preavviso di rigetto – Necessità – Esclusione.
Nel giudizio di screening non si addiviene ad un vero e proprio diniego, ma solo alla decisione di sottoporre a procedimento di valutazione un determinato progetto (cfr. TAR Calabria, sez. I, 30.03.2017, n. 536; TAR Puglia, sez. I, 10.07.2012, n. 1394).
La mancanza di un esito finale negativo rende di conseguenza il provvedimento impugnato ontologicamente incompatibile con la necessità del relativo preavviso.
La facoltà, non obbligo, di richiedere per una sola volta integrazioni o chiarimenti alla parte, implica che il legislatore ha rimesso alla discrezionalità dell’Amministrazione procedente anche la scelta di allungare i tempi dell’istruttoria, con il coinvolgimento della parte, ovvero addivenire comunque al diniego, non della V.I.A., ma della mera possibilità di pretermettere la stessa.
In sintesi, consentire di fornire apporti e chiarimenti di carattere anche tecnico al solo scopo di scongiurare più approfondite verifiche a tutela dell’ambiente, oltre ad appesantire inutilmente il procedimento, finirebbe per comprometterne la natura sommaria che necessariamente ne connota il giudizio, comunque non preclusivo degli esiti finali
(Consiglio di Stato, Sez. II, sentenza 07.09.2020 n. 5379 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI - URBANISTICAProcedimento di valutazione impatto ambientale: ratio e caratteri.
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Ambiente – Valutazione impatto ambientale – Ratio – Individuazione
  
Ambiente – Valutazione impatto ambientale – Richiesta chiarimenti - Facoltà.
  
Ambiente – Valutazione impatto ambientale – Preavviso di rigetto - Non occorre
  
La verifica di assoggettabilità a valutazione di impatto ambientale costituisce un procedimento di valutazione preliminare (cd. screening) autonomo e non necessariamente propedeutico alla V.I.A. vera e propria, con la quale condivide l’oggetto -l’“impatto ambientale”, inteso come alterazione “qualitativa e/o quantitativa, diretta ed indiretta, a breve e a lungo termine, permanente e temporanea, singola e cumulativa, positiva e negativa” che viene a prodursi sull’ambiente- ma su un piano di diverso approfondimento (1).
  
Nella fase della verifica di assoggettabilità a V.I.A. di un progetto (c.d. screening), l’Amministrazione ha la facoltà, e non l’obbligo, di richiedere chiarimenti e dettagli di carattere tecnico o di altra natura, come espressamente previsto dall’art. 19, comma 6, d.lgs. 03.04.2006, n. 152.
Nell’inserire tale previsione il legislatore ha evidentemente inteso introdurre un elemento di discrezionalità valutativa anche in ordine alla scelta tra allungare i tempi dell’istruttoria, con il coinvolgimento della parte, ovvero addivenire al diniego allo stato degli atti, avendo esso ad oggetto non la V.I.A., ma la mera possibilità di pretermetterla (2).
  
Nella fase della verifica di assoggettabilità a V.I.A. di un progetto (c.d. screening), non è dovuto l’invio del preavviso di rigetto ex art. 10-bis, l. n. 241 del 1990 giusta l’assoluta specialità del procedimento de quo, che resta un -eventuale- passaggio intermedio verso la V.I.A. completa, al cui interno verranno recuperate tutte le necessarie istanze partecipative, e gli apporti contributivi che la parte vorrà addurre, in quanto essa sì risolvibile in un atto di diniego (3).
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   (1) Ha chiarito la Sezione che la V.I.A. infatti non costituisce un subprocedimento all’interno della V.I.A., in quanto solo in caso di esito negativo è destinata a sfociare nella stessa, di cui costituisce pertanto una fase preliminare eventuale solo in senso cronologico, stante che è realizzata preventivamente, esclusivamente con riguardo a determinate tipologie di progetto rispetto alle quali alla valutazione vera e propria si arriva in via eventuale, in base cioè proprio all’esito in tal senso della verifica di assoggettabilità.
A ciò consegue una sostanziale sommarietà della delibazione, che deve essere ispirata a più rigorose esigenze di cautela: in pratica, la soglia di negatività ed incisività dell’impatto può paradossalmente essere ritenuta travalicata con margini più ampi in sede di delibazione preliminare, proprio perché di per sé essa non è preclusiva degli esiti della successiva V.I.A., ove si collocano ontologicamente i necessari approfondimenti.
La scelta di sottoposizione a V.I.A., dunque, ben può essere di cautela, purché adeguatamente motivata in relazione a fattori di oggettiva pericolosità rivenienti dagli indici di cui all’Allegato V al Codice ambientale, ciò implicando solo il rinvio ad un più approfondito scrutinio della progettualità proposta, che dalle ragioni dello stesso non risulta comunque in alcun modo condizionato.
Ha aggiunto la Sezione che il procedimento di screening non si conclude mai con un diniego di V.I.A., bensì con un giudizio di necessità di sostanziale approfondimento. Il rapporto tra i due procedimenti appare pertanto configurabile graficamente in termini di cerchi concentrici caratterizzati da un nucleo comune rappresentato dalla valutazione della progettualità proposta in termini di negativa incidenza sull’ambiente, nel primo caso in via sommaria e, appunto, preliminare, nel secondo in via definitiva, con conseguente formalizzazione del provvedimento di avallo o meno della stessa.
La “verifica di assoggettabilità”, come positivamente normata, anticipa sostanzialmente la valutazione di impatto, delibandone l’opportunità, sulla base della ritenuta sussistenza prima facie dei relativi presupposti, «con la conseguenza che l’attività economica, libera sulla base della nostra Costituzione, non possa che svolgersi nel pieno rispetto delle normative di tutela ambientale» (Tar Abruzzo 18.02.2013, n. 158; Tar Sardegna, sez. II, 30.03.2010, n. 412; Tar Friuli Venezia Giulia 09.04.2013, n. 233).
Disquisire circa la necessità di esplicitare il grado di verificabilità del nocumento ambientale in termini possibilistici, piuttosto che probabilistici, equivale ad introdurre limitazioni alla discrezionalità amministrativa non desumibili dalla norma che lo prevede: deve trattarsi di un giudizio di prognosi, intrinseco alla sua effettuazione preventiva, in forza del quale laddove per fattori obiettivamente esternati si ipotizzi la lesività dell’intervento, appare corretto cautelarsi -rectius, più propriamente, cautelare la collettività e quindi, in senso più ampio, l’ambiente- non impedendone la realizzazione, ma semplicemente imponendo l’approfondimento dei suoi esiti finali.
   (2) Ha chiarito la Sezione che i criteri cui l’Autorità competente deve attenersi nella valutazione di screening sono indicizzati al § 8, nell’allegato V al d.lgs. n. 152/2006, cui l’art. 20 fa espresso richiamo, unitamente alle osservazioni che chiunque vi abbia interesse abbia fatto pervenire dopo la pubblicazione della progettualità.
Mancano indicatori obiettivi sia della negatività, sia del livello di incidenza della stessa sull’ambiente, essendo rimesso alla più ampia discrezionalità del valutatore il giudizio finale circa la potenziale lesività per il contesto di ciascuna progettualità, ex se ovvero in relazione allo stesso.
L’ampia discrezionalità che connota la relativa valutazione è riferita anche alla scelta che l’autorità competente ha di richiedere, per una sola volta, integrazioni documentali o chiarimenti al proponente, dato che l’art. 19, d.lgs. n. 152 del 2006 la facoltizza espressamente, ma non la impone.
   (3) Ad avviso della Sezione la particolare natura del procedimento di screening, che non costituisce un vero e proprio diniego, ma solo la decisione di sottoporre a procedimento di valutazione un determinato progetto (Tar Catanzaro, sez. I, 30.03.2017, n. 536; Tar Bari, sez. I, 10.07.2012, n. 1394), giustifica l’omesso invio del preavviso di diniego ex art. 10-bis, l. n. 241 del 1990.
Consentire, infatti, di fornire apporti e chiarimenti di carattere anche tecnico al solo scopo di scongiurare più approfondite verifiche a tutela dell’ambiente, oltre ad appesantire inutilmente il procedimento, finirebbe per comprometterne la natura sommaria che necessariamente ne connota il giudizio, comunque non preclusivo degli esiti finali (Consiglio di Stato, Sez. II, sentenza 07.09.2020 n. 5379 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).
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SENTENZA
 6. Oggetto dell’odierna controversia è la correttezza del procedimento di valutazione preliminare (cd. screening), volto a decidere l’assoggettamento o meno a V.I.A. di un determinato intervento, nel caso di specie riferito alla realizzazione di una centrale fotovoltaica.
Trattasi di una fase preliminare, ma non necessariamente propedeutica alla V.I.A., in quanto funzionale proprio ad evitarne l’attivazione, la cui disciplina procedurale è contenuta in dettaglio nell’art. 20 del d.lgs. n. 152/2006.
7. Al fine di compiutamente inquadrare l’odierna controversia, il Collegio ritiene necessario premettere una breve ricostruzione della cornice giuridica che governa la materia.
Il d.lgs. 03.04.2006, n. 152, cosiddetto Codice dell’Ambiente, dopo aver tracciato nel Titolo I della Parte II le linee generali e definitorie degli istituti della V.I.A., della V.A.S. (valutazione ambientale strategica) e della autorizzazione integrata ambientale (A.I.A.), ne descrive analiticamente il procedimento nelle disposizioni successive.
Per quanto qui di interesse, la V.I.A. è configurata come procedura amministrativa di supporto per l’autorità competente finalizzata ad individuare, descrivere e valutare gli impatti ambientali di un’opera, il cui progetto è sottoposto ad approvazione o autorizzazione. In altri termini, trattasi di un procedimento di valutazione ex ante degli effetti prodotti sull’ambiente da determinati interventi progettuali, il cui obiettivo è proteggere la salute umana, migliorare la qualità della vita, provvedere al mantenimento delle specie, conservare la capacità di riproduzione dell’ecosistema, promuovere uno sviluppo economico sostenibile (cfr. art. 3, direttiva n. 85/337/CEE e successive modifiche apportate dalla direttiva n. 97/11/CE).
Essa mira a stabilire, e conseguentemente governare in termini di soluzioni più idonee al perseguimento di ridetti obiettivi di salvaguardia, gli effetti sull’ambiente di determinate progettualità. Tali effetti, comunemente sussumibili nel concetto di “impatto ambientale”, si identificano nella alterazione “qualitativa e/o quantitativa, diretta ed indiretta, a breve e a lungo termine, permanente e temporanea, singola e cumulativa, positiva e negativa” che viene a prodursi sull’ambiente, laddove quest’ultimo a sua volta è identificato in un ampio contenitore, costituito dal “sistema di relazioni fra i fattori antropici, naturalistici, chimico-fisici, climatici, paesaggistici, architettonici, culturali, agricoli ed economici, in conseguenza dell’attuazione sul territorio di piani o programmi o di progetti nelle diverse fasi della loro realizzazione, gestione e dismissione, nonché di eventuali malfunzionamenti” (art. 5, comma 1, lett. b) e c), del d.lgs. n. 152/2006).
8. Anche l’oggetto dello screening è, sostanzialmente, ridetto “impatto”, ovvero “alterazione” dell’ambiente lato sensu inteso: solo che esso svolge una funzione preliminare per così dire di “carotaggio”, nel senso che “sonda” la progettualità e solo ove ravvisi effettivamente una significatività della stessa in termini di incidenza negativa sull’ambiente, impone il passaggio alla fase successiva della relativa procedura; diversamente, consente di pretermetterla, con conseguente intuibile risparmio, sia in termini di costi effettivi, che di tempi di attuazione.
Lo screening, dunque, data la sua complessità e l’autonomia riconosciutagli dallo stesso Codice ambientale che all’art. 20 (e, più di recente, all’art. art. 9, d.lgs. del 16.06.2017, n. 104) ne disciplina lo svolgimento, è esso stesso una procedura di valutazione di impatto ambientale, meno complessa della V.I.A., la cui previsione risponde a motivazioni comprensibilmente diverse. Per questo motivo è spesso definito in maniera impropria come un subprocedimento della V.I.A., pur non essendo necessariamente tale. Esso è qualificato altresì come preliminare alla V.I.A., dizione questa da intendere solo in senso cronologico, stante che è realizzato preventivamente, ma solo con riguardo a determinate tipologie di progetto rispetto alle quali alla valutazione vera e propria si arriva in via eventuale, in base cioè proprio all’esito in tal senso della verifica di assoggettabilità.
Le categorie di progetti, quindi, che possono essere sottoposte alla verifica di assoggettabilità coincidono con quelle rispetto alle quali la V.I.A. è solo eventuale, ovvero, in estrema sintesi:
   1) progetti elencati nell’Allegato II al Codice che servono esclusivamente o essenzialmente per lo sviluppo ed il collaudo di nuovi metodi o prodotti e non sono utilizzati per più di due anni (screening di competenza statale);
   2) modifiche dei progetti elencati nell’Allegato II suscettibili di produrre effetti negativi e significativi per l’ambiente (screening di competenza statale);
   3) progetti elencati nell’Allegato IV (screening di competenza regionale).
Nel caso di specie, come esplicitato nel provvedimento impugnato, l’intervento è da ricondurre a questi ultimi, categoria progettuale di cui al punto 2, lettera c), recante “Impianti industriali non termici per la produzione di energia, vapore ed acqua calda con potenza complessiva superiore a 1 MW”.
La verifica di assoggettabilità, dunque, non può essere considerata una fase costitutiva ed imprescindibile della V.I.A., perché essa non deve essere esperita sempre, ma solo rispetto ai progetti appena elencati. Ne costituisce pertanto un elemento aggiuntivo eccezionale rispetto al normale iter, che per gli altri progetti prende avvio con la presentazione della relativa istanza.
8.1. La direttiva n. 2011/92/UE che ha armonizzato a livello comunitario la disciplina della V.I.A., specifica che lo screening può essere realizzato o mediante un’analisi caso per caso, oppure lasciando agli Stati membri la possibilità di fissare delle soglie dimensionali rispetto alle quali procedere o meno alla verifica di assoggettabilità.
Suddetta direttiva è molto chiara nello specificare che, anche qualora si decidesse di fare riferimento ad un indicatore dimensionale, data la rilevanza che riveste lo screening (perché in base al suo esito si decide se procedere o meno ad effettuare la V.I.A.), occorrerebbe fare riferimento comunque anche a specifici criteri di selezione. Pertanto non è possibile escludere un progetto solo facendo riferimento alle sue dimensioni: occorre avere una visione d’insieme. Indicazione questa di innegabile rilevanza ai fini dello scrutinio della legittimità della decisione in termini di assoggettamento.
I criteri in questione sono stati recepiti a livello nazionale nell’Allegato V, Parte II, del Codice ambientale. Essi sono molteplici, e spaziano dalle intrinseche caratteristiche del progetto (dimensioni, cumulo con altri progetti, produzione di rifiuti, utilizzazione delle risorse naturali, produzione di inquinamento e disturbi acustici, rischio di incidenti concernenti le tecnologie o sostanze utilizzate); alla sua localizzazione (capacità di assorbimento ambientale delle aree geografiche in cui verrà situato l’impianto, effetti su riserve e parchi naturali, zone costiere e montuose, zone a forte densità demografica); alle caratteristiche dell’impatto potenziale (portata dell’impatto, probabilità di accadimento dell’impatto, durata, frequenza e reversibilità dell’impatto).
La ratio è evidentemente quella di garantire per quanto possibile il più elevato livello di tutela ambientale, senza tuttavia onerare inutilmente il cittadino richiedente.
Il procedimento ha inizio con una fase introduttiva che consiste nella presentazione dell’istanza di assoggettabilità all’autorità competente del caso, con allegato il progetto preliminare, i cui contenuti saranno ovviamente meno specifici rispetto a quanto richiesto in sede di V.I.A. vera e propria. Segue poi una fase di pubblicità con la quale viene data informazione dell’avvio della procedura, nella quale il soggetto proponente ha l’obbligo di pubblicare un avviso circa l’effettivo deposito dell’istanza, per quanto qui di interesse presso il Bollettino Ufficiale della Regione e presso l’Albo Pretorio del Comune interessato per territorio.
Entro un termine prestabilito (all’epoca dei fatti, 45 giorni) dalla pubblicazione, l’autorità competente deve accertare se il progetto sia suscettibile o meno di ripercussioni negative e apprezzabili sull’ambiente, sulla base delle eventuali osservazioni presentate dai soggetti interessati, ma anche, come già ricordato, degli indicatori oggettivi di tollerabilità descritti nell’Allegato V del Codice.
Entro il medesimo lasso di tempo, può altresì richiedere, per una sola volta, l’integrazione di documenti utili a formulare un giudizio di esclusione o meno del progetto dalla procedura della V.I.A. Precisazione questa non priva di rilievo per la corretta connotazione del procedimento de quo, come meglio chiarito nel prosieguo.
9. Rileva dunque la Sezione come i presupposti per la V.I.A. siano oggettivi, e riposino nel ricadere o meno di un certo progetto fra le tipologie per le quali la normativa contenuta nel d.lgs. n. 152 del 2006, o nelle leggi regionali, contempla la verifica ambientale, obbligatoriamente, ovvero facoltativamente, imponendo il legislatore la preliminare verifica di assoggettabilità (sul punto cfr. Cons. Stato, sez. IV, 12.05.2014, n. 2403).
Quanto detto rende evidente la peculiarità dell’autonomia del procedimento di screening, che non si conclude mai con un diniego di V.I.A., bensì con un giudizio di necessità di sostanziale approfondimento. In altre parole, il rapporto tra i due procedimenti appare configurabile graficamente in termini di cerchi concentrici caratterizzati da un nucleo comune rappresentato dalla valutazione della progettualità proposta in termini di negativa incidenza sull’ambiente, nel primo caso in via sommaria e, appunto, preliminare, nel secondo in via definitiva, con conseguente formalizzazione del provvedimento di avallo o meno della stessa.
La “verifica di assoggettabilità”, come positivamente normata, anticipa sostanzialmente la valutazione di impatto, delibandone l’opportunità, sulla base della ritenuta sussistenza prima facie dei relativi presupposti, «con la conseguenza che l’attività economica, libera sulla base della nostra Costituzione, non possa che svolgersi nel pieno rispetto delle normative di tutela ambientale» (TAR Abruzzo, L’Aquila, 18.02.2013, n. 158; TAR Sardegna, sez. II, 30.03.2010 n. 412; TAR Friuli Venezia Giulia, 09.04.2013, n. 233).
10. Quanto detto consente di collocare correttamente il richiamo da parte dell’appellante ai principi europei di precauzione e prevenzione, quali necessario postulato del giudizio, solo ipotetico, di nocività per l’ambiente sotteso alla procedura di assoggettabilità.
Se è vero, infatti, che essi non possono essere intesi nel senso della meccanicistica imposizione della V.I.A. ogniqualvolta insorga un -peraltro immotivato- dubbio sulla probabilità di danno all’ambiente, con ciò vanificando la portata della specifica disciplina; lo è egualmente che la logica di tutela dell’ambiente, e non certo di punizione, sottesa all’assoggettamento a V.I.A., non può non orientare verso la stessa in tutti i casi in cui si ritenga necessario un approfondimento progettuale ben più pregnante della mera integrazione e chiarimento richiedibile in fase di screening.
Disquisire circa la necessità di esplicitare il grado di verificabilità del nocumento ambientale in termini possibilistici, piuttosto che probabilistici, equivale ad introdurre limitazioni alla discrezionalità amministrativa non desumibili dalla norma: è chiaro, infatti, che deve trattarsi di un giudizio di prognosi, intrinseco alla sua effettuazione preventiva; ma lo è altrettanto che laddove per fattori obiettivamente esternati se ne ipotizzi la lesività, appare corretto cautelarsi -rectius, più propriamente, cautelare la collettività e quindi, in senso più ampio, l’ambiente- non impedendo la realizzazione dell’intervento, ma semplicemente imponendo l’approfondimento dei suoi esiti finali.
Ove, infatti, si aderisse alla tesi opposta, ovvero si pretendesse nella fase di screening lo stesso approfondimento di potenziale lesività ambientale che connota la V.I.A. vera e propria, non se ne comprenderebbe la reiterazione in tale fase successiva, ridotta sostanzialmente ad un inutile duplicato di quanto già preliminarmente accertato.
La sottoposizione a V.I.A., dunque, ben può conseguire ad una scelta di cautela, seppur adeguatamente motivata in relazione a fattori di oggettiva pericolosità rivenienti dagli indici di cui all’Allegato V al Codice ambientale, stante che ciò implica solo il rinvio ad un più approfondito scrutinio della progettualità proposta, che dalle ragioni dello stesso non risulta comunque in alcun modo condizionata.
11. I criteri cui l’Autorità competente deve attenersi nella valutazione di screening sono indicizzati, come già chiarito al § 8, nell’allegato V al d.lgs. n. 152/2006, cui l’art. 20 fa espresso richiamo, unitamente alle osservazioni che chiunque vi abbia interesse abbia fatto pervenire dopo la pubblicazione della progettualità. Non è chi non veda come manchino indicatori obiettivi sia della negatività, sia del livello di incidenza della stessa sull’ambiente, essendo rimesso alla più ampia discrezionalità del valutatore il giudizio finale circa la potenziale lesività per il contesto di ciascuna progettualità, ex se ovvero in relazione allo stesso.
Ne emerge tuttavia la necessità che si addivenga ad un giudizio di natura complessiva, di compatibilità ambientale, appunto, all’interno del quale l’impatto sul paesaggio non esaurisce tutte le possibili sfaccettature, ma non per questo soltanto si palesa insufficiente a motivare non una valutazione negativa, bensì la necessità di effettuazione della stessa. In sintesi, l’accentuata rilevanza data alla tutela del paesaggio quale mera componente dell’ambiente complessivamente inteso, comprensivo delle istanze economiche che confluiscono al suo interno, non inficia di per sé il provvedimento impugnato.
Ciò sia perché la stessa nozione di paesaggio cui il parere -e conseguentemente il provvedimento finale– fa riferimento è intesa in senso letterale, piuttosto che giuridico, essendosi dato espressamente atto che “l’area occupata dall’impianto in oggetto non ricade all’interno di una zona vincolata, ma insiste in un ambito territoriale [solo] adiacente un’area boscata sottoposta [essa sì] a tutela paesaggistica ai sensi dell’art. 142, comma 1, lett. g), del D.Lgs. n. 42/2004”; sia perché tale parere, e la sottesa salvaguardia del paesaggio rurale, che la zona interessata dall’intervento rischia di incidere negativamente, non costituisce l’unica motivazione della scelta effettuata dalla Regione, ancorché ne rappresenti la parte maggiormente sviluppata.
12. Vero è che l’Amministrazione, nel formulare il giudizio sull’impatto ambientale, esercita un’amplissima discrezionalità che non si esaurisce in una mera valutazione tecnica, come tale suscettibile di verificazione tout court sulla base di oggettivi criteri di misurazione, ma presenta al contempo profili particolarmente intensi di discrezionalità amministrativa ed istituzionale in relazione all’apprezzamento degli interessi pubblici e privati coinvolti, con la conseguenza che il sindacato del giudice amministrativo in materia è necessariamente limitato alla manifesta illogicità ed incongruità, al travisamento dei fatti o a macroscopici difetti di istruttoria (come nei casi in cui l’istruttoria sia mancata o sia stata svolta in modo inadeguato, e sia perciò evidente lo sconfinamento del potere discrezionale riconosciuto all’Amministrazione: cfr., Cons. St., sez. V, 27.03.2013, n. 1783 e sez. VI, 11.02.2004, n. 458; TAR Lombardia, sez. III, 08.03.2013, n. 627) o quando l’atto sia privo di idonea motivazione, dato che il modello procedimentale vigente nel nostro ordinamento impone all’autorità procedente di esplicitare le ragioni sulla base delle quali è stata effettuata la comparazione tra i benefici dell’opera da un lato e, dall’altro, i potenziali impatti pregiudizievoli per l’ambiente, con riferimento ai contributi istruttori acquisiti nel corso del procedimento (v. TAR Marche, 09.01.2014 n. 31).
Discrezionalità, rileva ancora il Collegio, ancor più rilevante con riferimento alla fase di screening, connotata da una sostanziale sommarietà, e, conseguentemente, doverosamente ispirata a più rigorose esigenze di cautela: in pratica, la soglia di negatività ed incisività dell’impatto può paradossalmente essere ritenuta travalicabile con margini più ampi in sede di delibazione preliminare, proprio perché di per sé non preclusiva degli esiti della successiva V.I.A.
13. Il Consiglio di Stato ha già avuto modo di affermare, con orientamento che la Sezione condivide, che «fin dal loro ingresso nell’ordinamento (D.P.R. 12.04.1996), le procedure di VIA e di screening, pur inserendosi sempre all’interno del più ampio procedimento di realizzazione di un’opera o di un intervento, sono state considerate da dottrina e giurisprudenza prevalenti come dotate di autonomia, in quanto destinate a tutelare un interesse specifico (quello alla tutela dell’ambiente), e ad esprimere al riguardo, specie in ipotesi di esito negativo, una valutazione definitiva, già di per sé potenzialmente lesiva dei valori ambientali» (Cons. Stato, sez. IV, 03.03.2009, n. 1213).
Questo è il motivo per il quale anche gli atti conclusivi della procedura di screening, seppure connotati dal rilevato grado di provvisorietà, nell’accezione meglio esplicitata, sono stati ritenuti immediatamente impugnabili dai soggetti interessati alla protezione di quei valori, ovvero dal privato che ritenga immotivato l’aggravio procedurale impostogli. Con ciò erroneamente connotando in termini di indebito onere aggiuntivo, ciò che costituisce la regola a tutela dell’ambiente, nonché evidentemente confondendo la -spesso lamentata- farraginosità e lunghezza del procedimento di V.I.A. (sul quale, pertanto, il legislatore è reiteratamente intervenuto con finalità di semplificazione), con la essenziale finalità di tutela ambientale che ne connota l’avvenuta introduzione.
La direttiva n. 85/337/CEE (successivamente modificata dalla direttiva n. 97/11/CE), ispirata al modello statunitense di Environmental Impact Statement e a quello francese di Étude d’Impact, nel disporre l’obbligatorietà dell’istituto per tutti gli Stati membri, ha individuato nella valutazione di un progetto, sia un profilo oggettivo, facente riferimento alla possibile incidenza di un progetto su diversi fattori, che un profilo esecutivo, consistente nell’individuazione di effetti negativi e di portata considerevole sul patrimonio ambientale. Entrambi i profili sono stati recepiti al livello nazionale nell’attuale Codice ambientale che, come visto, non solo definisce la V.I.A. e il relativo procedimento, ma ne declina anche l’ambito di azione, delineando altresì nello stesso modo il giudizio preventivo di assoggettabilità.
14. L’art. 20 del d.lgs. n. 152/2006, relativo al procedimento di verifica di assoggettabilità, ha subìto successive interpolazioni volte a semplificarne lo svolgimento e renderne più certe le scansioni temporali, a riprova della ritenuta strategicità dello stesso nell’ambito della progettualità privata. Non a caso, sulla norma si è da ultimo intervenuti anche con il d.l. 16.07.2020, n. 76, recante “Misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitale”.
Per quanto qui di interesse, è in contestazione l’applicabilità o meno della versione novellata con d.lgs. 29.06.2010, n. 128, con ciò implicitamente lasciando intendere di individuare nelle modifiche apportate una richiesta di maggior pregnanza del giudizio preliminare. La riforma, tuttavia, ha inciso anche sulla più generale parte definitoria, integrando, ad esempio, l’art. 6, comma 5, del d.lgs. n. 152/2006 con l’introduzione accanto all’aggettivo “significativi” con il quale erano connotati gli impatti ambientali del progetto esaminando nella V.I.A. vera e propria, anche quello “negativi”. Tale endiadi che vuole verificato sia il disvalore dell’intervento in termini qualitativi, sia l’entità dello stesso in termini quantitativi (la significatività, appunto) connota dunque tanto la valutazione preliminare, che la V.I.A.
In effetti a ben guardare la vera portata della novella non si concretizza certo e solo nella modificata aggettivazione, bensì in più radicali interventi, anche definitori (si pensi alla nuova stesura della stessa dizione di V.I.A.), nonché di modifica dei presupposti di utilizzabilità della delibazione preliminare (comma 7).
La necessità, dunque, che si sommi un giudizio di valore in assoluto ad un giudizio di “intensità”, non costituisce una novità del legislatore del 2010, che coglie l’occasione della riforma per un’operazione di generale restyling in termini di drafting, caso mai confermando la omogeneità oggettiva dei procedimenti in esame. In sintesi, l’intensità crescente del giudizio, sostanzialmente identico per contenuto, costituisce il discrimine, comprensibilmente chiaroscurale, tra possibilità di arresto al primo step e passaggio doveroso alla fase successiva.
Da qui, sotto tale profilo, la neutralità della riforma agli effetti in controversia, come da ultimo riconosciuto dalla stessa Regione appellante.
15. Afferma dunque la Regione che al caso di specie troverebbe applicazione l’art. 20 del d.lgs. n. 152/2006 nella versione previgente alla novella apportata con il d.lgs. n. 128/2010. Ciò in quanto l’art. 4, comma 4, dello stesso prevede un termine di dodici mesi entro il quale le Regioni e le Province autonome avrebbero dovuto adeguare i propri ordinamenti, cosa che la regione Umbria ha fatto solo con la delibera di Giunta n. 861 del 26.07.2011, successiva all’adozione del provvedimento impugnato.
La ricostruzione proposta troverebbe conforto anche nella disciplina transitoria generale contenuta nell’art. 35 del d.lgs. n. 152/2006, che demanda egualmente alle Regioni l’onere “ove necessario” di adeguare i propri ordinamenti alle disposizioni del medesimo Testo unico ambientale.
L’assunto non è condivisibile.
Come correttamente richiamato dal giudice di prime cure, solo le procedure di V.A.S., V.I.A. ed A.I.A. avviate precedentemente all’entrata in vigore del decreto dovevano essere concluse ai sensi delle norme vigenti al momento dell’avvio del procedimento, giusta l’esplicita previsione in tal senso contenuta nel comma 5 del richiamato art. 4 del d.lgs. n. 128/2010.
Nel caso di specie, se è vero che l’istanza originaria era stata presentata il 02.02.2010, lo è altrettanto che essa è stata interamente sostituita, a seguito di interlocuzioni con l’Amministrazione, con una nuova del 30.03.2011, che ha comportato la riduzione della potenza originaria da Kw. 5.896,80 a 4.999, progettualità intorno alla quale si è sviluppato l’intero procedimento in contestazione. Al di fuori di tale specifica indicazione derogatoria, non possono che valere i principi generali del tempus regit actum rivenienti dall’art. 10 delle disposizioni preliminari al codice civile.
Né in senso contrario può essere intesa la disciplina di cui all’art. 35 del T.U.A., che impone l’onere alle Regioni di adeguare i propri ordinamenti ai principi della cornice nazionale, con salvezza, nelle more di ridetto adeguamento, delle disposizioni locali comunque già compatibili con la stessa. Di ciò peraltro è data conferma finanche nella invocata normativa regionale attuativa, che secondo l’Amministrazione appellante condizionerebbe l’entrata in vigore della novella: la delibera n. 861/2011, infatti, individua nell’immediato accorgimenti tecnici da seguire nelle procedure de quibus allo scopo di garantire da subito una minima conformazione alle (vigenti) indicazioni nazionali, nelle more dell’adeguamento normativo previsto.
Per tale ragione, il primo motivo di appello deve essere respinto, confermandosi sul punto la ricostruzione effettuata dal giudice di prime cure.
16. Occorre ancora ricordare il fatto che la nozione di “ambiente” con riferimento alla quale valutare, in via preliminare o meno, l’impatto, è assai più ampia di quella di paesaggio, implicando peraltro una contestualizzazione dell’intervento in chiave anche comparativa con i benefici rivenienti dalla sua realizzazione, siccome peraltro derivante anche dal ricostruito quadro normativo. Correttamente, pertanto, il TAR ne afferma tale portata più generale: salvo tuttavia argomentare in senso critico nei confronti del parere del responsabile del Servizio VII, in quanto incentrato esclusivamente su tale esigenza di salvaguardia e per giunta contraddittoriamente formulato in termini di proposte integrazioni progettuali.
La determinazione dirigenziale n. 4915 del 06.07.2011, tuttavia, diversamente da quanto affermato dal primo giudice, dopo aver ricostruito i passaggi procedurali seguiti, ivi compreso l’esito, sostanzialmente infruttuoso per assenza di partecipanti, della Conferenza istruttoria del 09.06.2011, richiama espressamente i pareri definitivi del Servizio “Geologico e sismico” (prot. n. 82502 del 06.06.2011), del Servizio “Qualità dell’ambiente, gestione rifiuti ed attività estrattive” (prot. n. 86832 del 16.06.2011) e del Servizio “Risorse idriche e rischio idraulico” (prot. 84830 del 14.06.2011), almeno due dei quali egualmente indirizzati alla necessità di sottoporre il progetto a V.I.A. In particolare, il primo di essi, dopo aver ricordato la presenza nella zona di una frana quiescente e di fenomeni di ruscellamento e di erosione lineare, conclude affermando a chiare lettere tale necessità, a prescindere dalla allocazione dell’impianto direttamente sulla zona in questione, ovvero in area limitrofa, sulla base peraltro di richiamate verifiche tecniche.
Il TAR per l’Umbria, tuttavia, nel non dare rilievo alla sommatoria di tali risultanze istruttorie, tutte richiamate per relationem nella motivazione dell’atto avversato, concentrandosi sulla asserita “centralità” -rectius, esclusività- del parere, pure esaustivo, del Servizio VII, omette di evidenziare le altre circostanze rivenienti da quest’ultimo. In esso infatti, oltre a richiamare gli elementi qualificanti per il paesaggio, seppur non vincolati, quali “formazioni lineari arborate e qualche quercia isolata” si evidenzia anche che “in prossimità dell’area di intervento è stato già realizzato un impianto fotovoltaico che non risulta essere progettualmente considerato nella valutazione dell’impatto paesaggistico visivo prodotto dall’effetto cumulo di più impianti”. Cumulo che, come già detto, costituisce uno degli indici di localizzazione espressamente individuati Allegato V al T.U.A. al fine di indirizzare lo screening.
17. Afferma ancora l’art. 20 del d.lgs. n. 152/2006 che l’autorità competente può, per una sola volta, richiedere integrazioni documentali o chiarimenti al proponente; a contrario, essa non può imporre prescrizioni, siccome sarebbe accaduto nel caso di specie recependo le indicazioni in tal senso contenute nel parere del Servizio VII (quali, ad esempio, la creazione di schermature vegetali per migliorare l’impatto visivo, utilizzando essenze autoctone con ecotipi locali).
Il Collegio, pur condividendo la rilevata ridondanza del parere utilizzato, non ritiene di poterne trarre le medesime conclusioni. Il rilevato impatto sul paesaggio, infatti, è descrittivamente enfatizzato indicando i possibili rimedi alla alterazione della visuale: ciò non ne implica affatto l’imposizione in termini di modifica progettuale alla parte, rispondendo piuttosto alla logica di evidenziare le criticità, attraverso la prospettazione dei rimedi, necessari proprio in ragione della loro ritenuta sussistenza.
In sintesi, nessuna prescrizione è stata concretamente imposta alla parte, per l’evidente ragione che in sede di screening solo l’esito positivo ne avrebbe consentito la formulazione, per corroborare la scelta minimalista effettuata. Il che non si è verificato nel caso di specie.
18. E’ dunque fondato il secondo motivo di appello con il quale si sostiene la esaustività della motivazione del provvedimento impugnato: diversamente da quanto affermato dal TAR, infatti, l’atto trae fondamento nel parere negativo di ben tre dirigenti di settore, tra i quali anche, ma non solo, quello del Servizio “Valorizzazione e tutela del paesaggio, tecnologie dell’informazione”, del quale viene mutuato anche il contenuto propositivo, non assimilabile all’imposizione di prescrizioni.
E’ la convergenza di tutti i fattori critici rivenienti da tali pareri che determina la negatività del giudizio e la sua consistente incidenza: da un lato, dunque, si stigmatizza l’impatto visivo della progettualità proposta, dall’altro se ne evoca quello ambientale sotto il profilo geologico e geomorfologico ovvero l’estensione in relazione alla presenza nelle vicinanze di centri abitati. La semplice lettura, sia del provvedimento impugnato sia dei pareri richiamati, consente di rilevare come la valutazione di assoggettare a V.I.A. il progetto presentato dalla Società sia stata motivata adducendo una pluralità di argomentazioni, peraltro queste ultime espressamente menzionate dalla stessa ricorrente nel ricorso di primo grado, al termine di una complessa attività istruttoria.
Alla conclusione di detto iter procedimentale sono stati individuati gli impatti sull’ambiente del progetto così determinati: 1) dalle possibili problematiche di tipo geologico e geomorfologiche; 2) dall’impatto sulla visuale, in ragione dello stato dei luoghi e delle zone vicine; 3) dalla necessità di cumulare tale impatto con la presenza di un altro impianto, siccome previsto espressamente dall’Allegato V al T.U.A..
Ne consegue che, in presenza di un numero così ampio di elementi, ciascuno di essi sufficiente a far ritenere sussistente una situazione di potenziale rischio per l’ambiente, inclusivo del paesaggio, che non ne esaurisce la portata ma può assumere rilevanza predominante -elementi così determinati a seguito di un contraddittorio con la ricorrente, che ha ampiamente modificato la progettualità- la Regione Umbria ha ritenuto di emanare il provvedimento di assoggettamento a V.I.A. ora impugnato.
La fondatezza di tali argomentazioni, la cui censura originaria, non scrutinata dal TAR perché assorbita nella decisione di accoglimento, neppure risulta ritualmente riproposta in questa sede dalla Società appellata, non è peraltro più in discussione, essendosene consolidata la portata con il passaggio in giudicato in parte qua della sentenza impugnata.
19. L’ampia ricostruzione effettuata, consente di respingere anche l’ulteriore censura, concernente il mancato inoltro del preavviso di diniego ex art. 10-bis della l. n. 241/1990. Il Collegio peraltro ben conosce il diverso orientamento in forza del quale la autonomia dello stesso e la immediata lesività degli interessi di parte imporrebbe comunque tale garanzia partecipativa, allo scopo di acquisire elementi potenzialmente utili alla decisione.
Coerentemente con quanto sopra detto, tuttavia, la Sezione ritiene piuttosto di aderire, ampliandola, alla diversa prospettazione in forza della quale la mancanza di un esito finale negativo rende il provvedimento impugnato ontologicamente incompatibile con la necessità del relativo preavviso. Nel giudizio di screening, infatti, non si addiviene ad un vero e proprio diniego, ma solo alla decisione di sottoporre a procedimento di valutazione un determinato progetto (cfr. TAR Calabria, sez. I, 30.03.2017, n. 536; TAR Puglia, sez. I, 10.07.2012, n. 1394).
A ben guardare, nessuna illegittimità, d’altra parte, può discendere dal fatto, in sé considerato, che la società non sia stata richiesta di fornire chiarimenti e dettagli di carattere tecnico o di altra natura, giacché non risulta che vi siano norme che impongano all’amministrazione pubblica di agire in questo senso. La facoltà, non obbligo, di richiedere per una sola volta integrazioni o chiarimenti alla parte, implica se mai la scelta inversa da parte del legislatore, che in tale momento preliminare ha rimesso alla discrezionalità dell’Amministrazione procedente anche la scelta di allungare i tempi dell’istruttoria, con il coinvolgimento della parte, ovvero addivenire comunque al diniego, non della V.I.A., ma della mera possibilità di pretermettere la stessa.
L’omesso preavviso di rigetto ex art. 10-bis della l. n. 241 del 1990, non è invocabile non solo per i provvedimenti di carattere vincolato, ma anche per quelli connotati ex lege da tratti di assoluta specialità, come pertanto riscontrabile nel caso di specie. La ribadita autonomia del procedimento di screening, infatti, non ne consente comunque lo snaturamento contenutistico, che resta quello di un –eventuale- passaggio intermedio verso la V.I.A. completa, al cui interno verranno recuperate tutte le necessarie istanze partecipative, e gli apporti contributivi che la parte vorrà addurre, in quanto essa sì risolvibile in un atto di diniego.
In sintesi, consentire di fornire apporti e chiarimenti di carattere anche tecnico al solo scopo di scongiurare più approfondite verifiche a tutela dell’ambiente, oltre ad appesantire inutilmente il procedimento, finirebbe per comprometterne la natura sommaria che necessariamente ne connota il giudizio, comunque non preclusivo degli esiti finali.
20. Alla stregua dei rilievi fin qui svolti, s’impone una decisione di accoglimento dell’appello, con riforma della sentenza impugnata e reiezione del ricorso di primo grado.

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: FAUNA E FLORA Conservazione degli habitat naturali e della flora e della fauna selvatiche – AREE PROTETTE – Zone speciali di conservazione – VIA VAS AIA – Realizzazione di una tratta stradale – Valutazione dell’incidenza di tale progetto sulla zona speciale di conservazione interessata – Autorizzazione – Motivi imperativi di rilevante interesse pubblico – Rinvio pregiudiziale – Ambiente – Direttiva 92/43/CEE.
L’articolo 6 della direttiva 92/43/CEE del Consiglio, del 21.05.1992, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche, dev’essere interpretato nel senso che esso non osta a una normativa nazionale che consente la prosecuzione, per motivi imperativi di rilevante interesse pubblico, della procedura di autorizzazione di un piano o di un progetto la cui incidenza su una zona speciale di conservazione non possa essere mitigata e sul quale l’autorità pubblica competente abbia già espresso parere negativo, a meno che non esista una soluzione alternativa che comporta minori inconvenienti per l’integrità della zona interessata, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare.
Qualora un piano o un progetto abbia formato oggetto, in applicazione dell’articolo 6, paragrafo 3, della direttiva 92/43, di una valutazione negativa quanto alla sua incidenza su una zona speciale di conservazione e lo Stato membro interessato abbia comunque deciso, ai sensi del paragrafo 4 di detto articolo, di realizzarlo per motivi imperativi di rilevante interesse pubblico, l’articolo 6 di tale direttiva dev’essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale la quale consente che detto piano o progetto, dopo la sua valutazione negativa ai sensi del paragrafo 3 di detto articolo e prima della sua adozione definitiva in applicazione del paragrafo 4 del medesimo, sia completato con misure di mitigazione della sua incidenza su tale zona e che la valutazione di detta incidenza venga proseguita.
L’articolo 6 della direttiva 92/43 non osta invece, nella stessa ipotesi, a una normativa che consente di definire le misure di compensazione nell’ambito della medesima decisione, purché siano soddisfatte anche le altre condizioni di attuazione dell’articolo 6, paragrafo 4, di tale direttiva.

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VIA VAS AIA – Prescrizioni, osservazioni e raccomandazioni di carattere paesaggistico e ambientale – Studio dell’incidenza del piano o del progetto – Valutazione di incidenza – Giurisprudenza.
La direttiva 92/43 dev’essere interpretata nel senso che essa non osta a una normativa nazionale che prevede che il soggetto proponente realizzi uno studio dell’incidenza del piano o del progetto di cui trattasi sulla zona speciale di conservazione interessata, sulla base del quale l’autorità competente procede alla valutazione di tale incidenza.
Tale direttiva osta invece a una normativa nazionale che consente di demandare al soggetto proponente di recepire, nel piano o nel progetto definitivo, prescrizioni, osservazioni e raccomandazioni di carattere paesaggistico e ambientale dopo che quest’ultimo abbia formato oggetto di una valutazione negativa da parte dell’autorità competente, senza che il piano o il progetto così modificato debba costituire oggetto di una nuova valutazione da parte di tale autorità.
La direttiva 92/43 dev’essere interpretata nel senso che essa, pur lasciando agli Stati membri il compito di designare l’autorità competente a valutare l’incidenza di un piano o di un progetto su una zona speciale di conservazione nel rispetto dei criteri enunciati dalla giurisprudenza della Corte, osta invece a che una qualsivoglia autorità prosegua o completi tale valutazione, una volta che quest’ultima sia stata realizzata
(Corte di Giustizia UE, Sez. VI, sentenza 16.07.2020 n. C‑411/19 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICILa CGUE si esprime sui limiti entro i quali può superarsi il parere negativo in materia ambientale per realizzare opere di rilevante interesse nazionale.
Secondo la Corte di giustizia UE è compatibile con il diritto europeo e, in particolare, con la direttiva 92/43/CEE del Consiglio, del 21.05.1992, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche, la normativa dello Stato membro nella parte in cui consente di superare il parere negativo dell’autorità competente in materia ambientale, in merito alla realizzazione di un’opera infrastrutturale, di rilevante interesse nazionale, che coinvolga un’area naturale protetta.
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Ambiente – Direttiva habitat – Valutazione di incidenza negativa – Superamento
   1) L’articolo 6 della direttiva 92/43/CEE del Consiglio, del 21.05.1992, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche, dev’essere interpretato nel senso che esso non osta a una normativa nazionale che consente la prosecuzione, per motivi imperativi di rilevante interesse pubblico, della procedura di autorizzazione di un piano o di un progetto la cui incidenza su una zona speciale di conservazione non possa essere mitigata e sul quale l’autorità pubblica competente abbia già espresso parere negativo, a meno che non esista una soluzione alternativa che comporta minori inconvenienti per l’integrità della zona interessata, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare.
   2) Qualora un piano o un progetto abbia formato oggetto, in applicazione dell’articolo 6, paragrafo 3, della direttiva 92/43, di una valutazione negativa quanto alla sua incidenza su una zona speciale di conservazione e lo Stato membro interessato abbia comunque deciso, ai sensi del paragrafo 4 di detto articolo, di realizzarlo per motivi imperativi di rilevante interesse pubblico, l’articolo 6 di tale direttiva dev’essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale la quale consente che detto piano o progetto, dopo la sua valutazione negativa ai sensi del paragrafo 3 di detto articolo e prima della sua adozione definitiva in applicazione del paragrafo 4 del medesimo, sia completato con misure di mitigazione della sua incidenza su tale zona e che la valutazione di detta incidenza venga proseguita.
L’articolo 6 della direttiva 92/43 non osta invece, nella stessa ipotesi, a una normativa che consente di definire le misure di compensazione nell’ambito della medesima decisione, purché siano soddisfatte anche le altre condizioni di attuazione dell’articolo 6, paragrafo 4, di tale direttiva.
   3) La direttiva 92/43 dev’essere interpretata nel senso che essa non osta a una normativa nazionale che prevede che il soggetto proponente realizzi uno studio dell’incidenza del piano o del progetto di cui trattasi sulla zona speciale di conservazione interessata, sulla base del quale l’autorità competente procede alla valutazione di tale incidenza.
Tale direttiva osta invece a una normativa nazionale che consente di demandare al soggetto proponente di recepire, nel piano o nel progetto definitivo, prescrizioni, osservazioni e raccomandazioni di carattere paesaggistico e ambientale dopo che quest’ultimo abbia formato oggetto di una valutazione negativa da parte dell’autorità competente,
senza che il piano o il progetto così modificato debba costituire oggetto di una nuova valutazione da parte di tale autorità.
   4) La direttiva 92/43 dev’essere interpretata nel senso che essa, pur lasciando agli Stati membri il compito di designare l’autorità competente a valutare l’incidenza di un piano o di un progetto su una zona speciale di conservazione nel rispetto dei criteri enunciati dalla giurisprudenza della Corte, osta invece a che una qualsivoglia autorità prosegua o completi tale valutazione, una volta che quest’ultima sia stata realizzata. progettista indicato, nell’accezione e nella terminologia dell’articolo 53, comma, del decreto legislativo n. 163 del 2006, va qualificato come professionista esterno incaricato di redigere il progetto esecutivo.
Pertanto non rientra nella figura del concorrente né tanto meno in quella di operatore economico, nel significato attribuito dalla normativa interna e da quella dell’Unione europea. Sicché non può utilizzare l’istituto dell’avvalimento per la doppia ragione che esso è riservato all’operatore economico in senso tecnico e che l’avvalimento cosiddetto “a cascata” era escluso anche nel regime del codice dei contratti pubblici, ora abrogato e sostituito dal decreto legislativo n. 50 del 2016, che espressamente lo vieta (1).

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   (1) I. – La Corte di giustizia UE ha ritenuto compatibile con l’art. 6 della direttiva 92/43/CEE del Consiglio, del 21.05.1992, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e delle flora e della fauna selvatiche, la normativa nazionale che consente la prosecuzione, per motivi imperativi di rilevante interesse pubblico, della procedura di autorizzazione di un piano o di un progetto la cui incidenza su una zona speciale di conservazione non possa essere mitigata e sul quale l’autorità pubblica competente abbia già espresso parere negativo, a meno che non esista una soluzione alternativa che comporta minori inconvenienti per l’integrità della zona interessata, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare.
Le questioni sono state rimesse all’attenzione della Corte dal Tar per il Lazio, sez. I, ordinanza, 24.01.2019, n. 908 (oggetto della News US, n. 113 del 28.10.2019; cui si rinvia, oltre che per la descrizione della vicenda sottesa:
§ i), sulla giurisprudenza in tema di valutazione di incidenza;
§ j), sulla giurisprudenza che si è espressa sulla disposizione derogatoria, rispetto al criterio della positiva valutazione di incidenza, di cui all’art. 6, par. 4, della direttiva 92/43/1992; § k), sulle direttive “habitat” e “uccelli”;
§ m), sulla V.i.a. postuma).
In particolare, secondo la Corte, qualora un piano o un progetto abbia formato oggetto di valutazione negativa, quanto alla sua incidenza su una zona speciale di conservazione, e lo Stato abbia comunque deciso di realizzarlo per motivi di rilevante interesse pubblico, l’art. 6 della direttiva:
      a) osta a una normativa nazionale che:
      a1) consente che il piano sia completato con misure di mitigazione della sua incidenza su tale zona e che la valutazione di detta incidenza venga proseguita;
      a2) consente di demandare al soggetto proponente di recepire nel piano o nel progetto definitivo, prescrizioni, osservazioni e raccomandazioni di carattere paesaggistico e ambientale dopo che quest’ultimo abbia formato oggetto di una valutazione negativa da parte dell’autorità competente, senza che il piano o il progetto così modificato debba costituire oggetto di una nuova valutazione da parte di tale autorità;
      b) non osta a una normativa nazionale che:
         b1) consente di definire le misure di compensazione nell’ambito della medesima decisione, purché siano soddisfatte anche le altre condizioni previste dall’art. 6, par. 4, della direttiva;
         b2) prevede che il soggetto proponente realizzi uno studio dell’incidenza del piano o del progetto di cui si tratta sulla zona speciale di conservazione interessata, sulla base del quale l’autorità competente procede alla valutazione della incidenza;
      c) pur lasciando agli Stati membri il compito di designare l’autorità competente a valutare l’incidenza di un piano o di un progetto su una zona speciale di conservazione nel rispetto dei criteri enunciati dalla giurisprudenza della Corte, osta invece a che una qualsivoglia autorità prosegua o completi tale valutazione, una volta che quest’ultima sia stata realizzata.
   II. – Con la sentenza in rassegna il collegio, dopo aver ricostruito la vicenda processuale ed esaminato la normativa nazionale ed europea di riferimento, ha osservato quanto segue:
      d) con la prima e la seconda questione, il giudice del rinvio chiede se l’art. 6 della direttiva “habitat”, in combinato disposto con la direttiva 2009/147/CE, debba essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale che consente la prosecuzione, per motivi imperativi di rilevante interesse pubblico, della procedura di autorizzazione di un piano o di un progetto la cui incidenza su una zona speciale di conservazione non possa essere mitigata e sul quale l’autorità pubblica competente abbia già espresso negativo, laddove esista una soluzione alternativa già approvata dal punto di vista ambientale;
      e) in base alla direttiva “habitat”:
         e1) ai sensi dell’art. 1, lett. l), una zona speciale di conservazione è un “sito di importanza comunitaria designato dagli Stati membri mediante un atto regolamentare, amministrativo e/o contrattuale in cui sono applicate le misure di conservazione necessarie al mantenimento o al ripristino, in uno stato di conservazione soddisfacente, degli habitat naturali e/o delle popolazioni delle specie per cui il sito è designato”;
         e2) all’art. 6, par. 2, sono poi definite le condizioni alle quali può essere autorizzato un piano o un progetto non direttamente connesso o necessario alla gestione del sito interessato, ma che possa avere incidenze significative su tale sito. Il caso oggetto del rinvio pregiudiziale rientra nell’ambito applicativo dell’art. 6 della direttiva;
         e3) l’art. 6, par. 2, pone a carico degli Stati membri un obbligo generale di adottare misure al fine di evitare, nelle zone speciali di conservazione, il degrado degli habitat e le perturbazioni significative delle specie per cui tali zone sono state designate. Tale obbligo contribuisce al progetto di creazione di una rete ecologica europea coerente;
         e4) l’art. 6, par. 3, prevede una procedura, applicabile alle zone speciali di conservazione, volta a garantire, mediante un controllo preventivo, che un piano o un progetto non direttamente connesso o necessario alla gestione del sito interessato, ma idoneo ad avere incidenze significative sullo stesso, sia autorizzato solo se non pregiudicherà l’integrità di tale sito;
         e5) la disposizione distingue quindi due fasi: la prima richiede che gli Stati membri effettuino un’opportuna valutazione dell’incidenza di un piano o di un progetto su un sito protetto; la seconda fase subordina l’autorizzazione di tale piano o progetto alla condizione che lo stesso non pregiudichi l’integrità del sito interessato;
         e6) l’art. 6, par. 4, prevede che, qualora, nonostante conclusioni negative della valutazione dell’incidenza effettuata in conformità all’articolo 6, paragrafo 3, prima frase, un piano o progetto debba essere comunque realizzato per motivi imperativi di rilevante interesse pubblico, inclusi motivi di natura sociale o economica, e in mancanza di soluzioni alternative, lo Stato membro adotti ogni misura compensativa necessaria per garantire che la coerenza globale di Natura 2000 sia tutelata. Tale disposizione, derogatoria rispetto al criterio di autorizzazione generale, deve essere interpretata restrittivamente;
      f) pertanto, dall’esame della direttiva “habitat” risulta che le autorità nazionali competenti devono, in linea di principio, rifiutare di dare il loro consenso su un piano o un progetto che rischi di pregiudicare l’integrità del sito interessato;
      g) tuttavia, ai sensi dell’art. 6, par. 4, per motivi di rilevante interesse pubblico, il progetto può essere realizzato, purché i pregiudizi all’integrità del sito interessato siano il più possibile ridotti, nel senso che lo Stato membro interessato “adotti le misure compensative necessarie al fine di preservare la coerenza globale della rete ecologica europea Natura 2000”;
         g1) i pregiudizi all’integrità di una zona speciale di conservazione, pur se giustificati, devono essere autorizzati solo se realmente inevitabili, vale a dire in mancanza di soluzioni alternative;
         g2) il mero costo economico delle misure non può essere determinante ai fini della scelta delle soluzioni alternative;
         g3) spetta al giudice del rinvio verificare se la variante proposta nel caso di specie debba essere considerata una soluzione alternativa che presenta inconvenienti per l’integrità della zona speciale di conservazione;
      h) con ulteriori quesiti, il giudice del rinvio ha chiesto se, qualora un progetto o un piano abbia formato oggetto di una valutazione negativa quanto alla sua incidenza su una zona speciale di conservazione e lo Stato membro interessato abbia comunque deciso di realizzarlo per motivi imperativi di rilevante interesse pubblico, l’art. 6 della direttiva debba essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale che consente di rinviare alla fase del piano o del progetto definitivo lo svolgimento di ulteriori esami e studi più approfonditi sugli effetti di detto piano o progetto su tale zona e la definizione delle adeguate misure compensative;
      i) in forza dell’art. 6, par. 3, della direttiva, l’autorità nazionale deve rifiutare di autorizzare il piano o il progetto quando sussiste un’incertezza circa l’assenza di effetti pregiudizievoli per l’integrità del sito interessato;
      j) ad integrazione del principio di precauzione, la disposizione consente di prevenire efficacemente i pregiudizi all’integrità dei siti protetti dovuti ai piano o ai progetti previsti, mentre un criterio di autorizzazione meno rigoroso non può garantire in modo altrattanto efficace la realizzazione dell’obiettivo di protezione cui è volta detta disposizione. “La valutazione effettuata ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 3, della direttiva «habitat» non può pertanto comportare lacune e deve contenere rilievi e conclusioni completi, precisi e definitivi atti a dissipare qualsiasi ragionevole dubbio scientifico in merito agli effetti dei lavori previsti sul sito protetto in questione”;
      k) pertanto, la valutazione prevista dall’art. 6, par. 3, non può essere proseguita sulla base di esami e studi realizzati successivamente;
      l) la conoscenza della incidenza dell’opera, con riferimento agli obiettivi di conservazione relativi al sito in questione, costituisce un presupposto imprescindibile ai fini dell’applicazione dell’art. 6, par. 4, della direttiva, dato che, in assenza di tale elemento, le condizioni di applicazione della disposizione derogatoria non potrebbero essere valutate. L’esame di eventuali motivi imperativi di rilevante interesse pubblico e quello dell’esistenza di alternative meno dannose per l’ambiente richiedono un giudizio di bilanciamento rispetto ai danni che il piano o il progetto in questione cagiona a detto sito;
       m) con riferimento alla possibilità di apportare misure di mitigazione:
         m1) la direttiva non contiene alcun riferimento a tali misure;
         m2) se, con tale espressione, ci si riferisce a misure di protezione intese a evitare o a ridurre l’incidenza negativa del piano o del progetto, la necessità che la valutazione di un piano o di un progetto contenga rilievi completi, precisi e definitivi obbliga a che tali misure siano valutate contemporaneamente al piano o al progetto stesso e che dette misure siano integrate nel piano o nel progetto;
         m3) le misure pertanto non possono modificare il piano o il progetto successivamente a tale valutazione, in quanto consentirne una modifica successiva equivarrebbe a rinunciare a valutare l’impatto sul sito delle misure, in violazione degli obiettivi dell’art. 6 della direttiva; m4) pertanto, la direttiva osta a una normativa nazionale che consente di rinviare la definizione delle misure di attenuazione dell’incidenza su una zona speciale di conservazione a una fase successiva all’opportuna valutazione dell’incidenza;
      n) con riferimento alla previsione di misure di compensazione:
         n1) ai sensi dell’art. 6, par. 4, tali misure sono adottate dallo Stato se, nonostante conclusioni negative della valutazione di incidenza sul sito interessato e in mancanza di soluzioni alternative, un piano o un progetto debba essere realizzato per motivi imperativi di rilevante interesse pubblico;
         n2) pertanto, tali misure sono determinate a seguito della valutazione dell’incidenza prevista dall’art. 6, par. 3, della direttiva ove si intenda realizzare il piano o il progetto di cui trattasi nonostante il suo impatto negativo sulla zona speciale di conservazione interessata e ove siano soddisfatte le altre condizioni di applicazione dell’art. 6, par. 4, di tale direttiva;
      o) con riferimento alle questioni sollevate dal giudice del rinvio con cui si chiede se la direttiva debba essere interpretata nel senso che essa osta a una normativa nazionale che prevede che il soggetto proponente effettui uno studio dell’incidenza del piano o del progetto sulla zona speciale di conservazione interessata e recepisca prescrizioni, osservazioni e raccomandazioni di carattere paesaggistico e ambientale, dopo che esso abbia formato oggetto di una valutazione negativa da parte dell’autorità competente;
         o1) la valutazione di incidenza spetta all’autorità pubblica che gli Stati membri designano per assolvere i compiti derivanti dalla direttiva;
         o2) il piano o il progetto non può essere modificato dopo la valutazione della sua incidenza sulla zona speciale di conservazione interessata, salvo rimettere in discussione il carattere completo e definitivo di tale valutazione e la garanzia che essa rappresenta per la conservazione della zona;
         o3) la direttiva non osta a una normativa nazionale che prevede che il soggetto proponente realizzi uno studio dell’incidenza del piano o del progetto di cui trattasi sulla zona speciale di conservazione interessata, sulla base del quale l’autorità competente procede alla valutazione di tale incidenza;
         o4) la direttiva osta, invece, a una normativa nazionale che consente di demandare al soggetto proponente di recepire, nel piano o nel progetto definitivo, prescrizioni, osservazioni e raccomandazioni di carattere paesaggistico e ambientale dopo che quest’ultimo abbia formato oggetto di una valutazione negativa da parte dell’autorità competente, senza che il piano o il progetto così modificato debba costituire oggetto di una nuova valutazione da parte di tale autorità;
      p) per quanto concerne l’individuazione dell’autorità incaricata di svolgere la valutazione dell’incidenza:
         p1) spetta allo Stato membro individuare l’autorità competente;
         p2) una volta che la valutazione è stata svolga, la direttiva osta a che una qualsivoglia autorità prosegua o completi tale valutazione una volta che questa è stata realizzata.
   III. – Per completezza si osserva quanto segue:
      q) sul rapporto tra le direttive 79/409/Cee, che è stata codificata e integrata dalla direttiva 2009/147, e 92/43/CE si vedano:
         q1) Corte di giustizia UE, 17.04.2018, C-441/17, secondo cui “L’art. 6, par. 1, direttiva 92/43, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche, come modificata dalla direttiva 2013/17, e l'art. 4, par. 1 e 2, direttiva 2009/147, concernente la conservazione degli uccelli selvatici, come modificata dalla direttiva 2013/17, a pena di essere privati del loro effetto utile, richiedono non soltanto l'adozione delle misure di conservazione necessarie al mantenimento di uno stato di conservazione soddisfacente degli habitat e delle specie protetti all'interno del sito interessato, ma anche, e soprattutto, la loro effettiva attuazione; tale interpretazione è suffragata dall'art. 1, par. 1, lett. l), direttiva 92/43, il quale definisce una zona speciale di conservazione come un sito di importanza comunitaria in cui sono applicate misure di conservazione, nonché dal considerando 8 della medesima direttiva, secondo il quale, in ciascuna zona designata, occorre attuare le misure necessarie in relazione agli obiettivi di conservazione previsti; a tale proposito, operazioni di gestione forestale attiva la cui attuazione porta alla scomparsa di una parte di un sito Natura 2000 non possono costituire misure che assicurano la conservazione di tale sito, ai sensi dell'art. 6, par. 1, direttiva 92/43”.
La Corte ha ancora osservato che: l’autorizzazione di un piano o di un progetto, ai sensi dell'art. 6, par. 3, direttiva 92/43, può essere concessa solo a condizione che le autorità competenti abbiano acquisito la certezza che esso è privo di effetti pregiudizievoli duraturi per l'integrità del sito interessato; ciò avviene quando non sussiste alcun dubbio ragionevole da un punto di vista scientifico quanto all'assenza di tali effetti.
Le autorità nazionali competenti non possono, pertanto, autorizzare interventi che rischino di compromettere stabilmente le caratteristiche ecologiche dei siti che ospitano tipi di habitat naturali di interesse comunitario o prioritari; ciò avverrebbe, in particolare, qualora un intervento rischi di condurre alla scomparsa o alla distruzione parziale e irreparabile di un simile tipo di habitat naturale presente nel sito interessato.
Al fine di accertare una violazione dell'art. 6, par. 3, seconda frase, direttiva 92/43, la commissione, tenuto conto del principio di precauzione non è tenuta a provare un nesso di causa ed effetto tra le operazioni in questione e il pregiudizio all'integrità degli habitat e delle specie, ma è sufficiente che essa dimostri l'esistenza di una probabilità o di un rischio che tali operazioni provochino un tale pregiudizio.
Il rispetto dell'art. 12, par. 1, lett. a) e d), direttiva 92/43, impone agli stati membri non solo l'adozione di un quadro normativo completo, bensì anche l'attuazione di misure di tutela concrete e specifiche; parimenti, il regime di rigorosa tutela presuppone l'adozione di misure coerenti e coordinate di carattere preventivo. Un tale regime di rigorosa tutela deve pertanto consentire di evitare effettivamente la cattura o l'uccisione deliberata nell'ambiente naturale nonché il deterioramento o la distruzione dei siti di riproduzione o delle aree di riposo delle specie animali di cui all'allegato IV, lett. a), direttiva 92/43;
         q2) Corte di giustizia CE, 13.06.2002, C-117/00 (in Dir. e giur. agr. e ambiente, 2003, 351, con nota di SCHEGGI; Raccolta, 2002, I, 5335), secondo cui “L'art. 3 della direttiva n. 79/409/Cee obbliga gli stati membri ad adottare tutte le misure necessarie per preservare, mantenere o ristabilire per tutte le specie di uccelli di cui alla detta direttiva una varietà e una superficie sufficiente di habitat; gli obblighi incombenti agli stati membri in forza di questa norma sussistono ancor prima che si registri una diminuzione del numero di uccelli o che vi sia un effettivo rischio di estinzione di una specie protetta; gli obblighi derivanti dall'art. 4, n. 4, prima fase, di detta direttiva sono sostituiti dagli obblighi derivanti dall'art. 6, n. 2, dir. n. 92/43/Cee a decorrere dalla data di entrata in vigore di quest'ultima o dalla data di classificazione di una zona come zps a norma della dir. n. 79/409/Cee, qualora tale data sia posteriore”;
      r) sulla disposizione derogatoria, rispetto al criterio della positiva valutazione di incidenza, di cui all’art. 6, par. 4, della direttiva 92/43/CEE, si veda, tra le altre: Corte di giustizia CE, 20.09.2007, C-304/05 (in Dir. pubbl. comparato ed europeo, 2008, 493, con nota di ZINZI; Rass. avv. Stato, 2007, fasc. 2, 97), secondo cui “L'art. 6, n. 4, direttiva 92/43, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche, il quale prevede che, qualora, nonostante conclusioni negative circa la valutazione dell'incidenza effettuata in conformità all'art. 6, n. 3, primo periodo, di tale direttiva, un piano o progetto debba essere comunque realizzato per motivi imperativi di rilevante interesse pubblico, inclusi motivi di natura sociale o economica, e in mancanza di soluzioni alternative, lo stato membro possa adottare ogni misura compensativa necessaria per garantire che la coerenza globale di Natura 2000 sia tutelata, dev'essere interpretato restrittivamente, in quanto disposizione derogatoria rispetto al criterio di autorizzazione previsto dal secondo periodo del n. 3 del citato articolo; il detto art. 6, n. 4, può essere applicato solo dopo che l'incidenza di un piano o di un progetto sia stata valutata ai sensi del n. 3 di questo stesso articolo; la conoscenza di tale incidenza con riferimento agli obiettivi di conservazione relativi al sito in questione costituisce, infatti, un presupposto imprescindibile ai fini dell'applicazione del detto n. 4, dato che, in assenza di tali elementi, non può essere valutato alcun requisito di applicazione di tale disposizione di deroga; l'esame di eventuali motivi imperativi di rilevante interesse pubblico e quello dell'esistenza di alternative meno dannose richiedono, infatti, una ponderazione con riferimento ai danni che il piano o il progetto in questione cagiona al sito; inoltre, per determinare la natura di eventuali misura compensative, i danni al detto sito devono essere individuati con precisione”;
      s) sul principio di precauzione e sulla procedura prevista dall’art. 6, par. 3, della direttiva «habitat», con cui è previsto un controllo preventivo applicabile alle zone speciali di conservazione si vedano:
         s1) Corte di giustizia CE, 26.10.2006, C-239/04 (in Foro amm.-Cons. Stato, 2006, 2695), secondo cui:
- “Ai sensi dell'art. 6 n. 3 direttiva habitat 92/43, le autorità nazionali autorizzano la realizzazione di un piano o di un progetto non direttamente connesso alla gestione della zona di protezione speciale (Zps), ma che possa avere incidenze significative sulla stessa, soltanto dopo aver avuto la certezza, mediante un'adeguata valutazione dell'impatto di tale piano o progetto sul sito, che esso non ne pregiudicherà l'integrità e, se del caso, previo parere dell'opinione pubblica”;
- “L'autorizzazione di un piano o di un progetto può essere concessa solo a condizione che le autorità nazionali competenti abbiano acquisito la certezza che esso è privo di effetti pregiudizievoli per l'integrità del sito interessato; lo stesso vale nel caso in cui non vi sia alcun ragionevole dubbio, dal punto di vista scientifico, circa l'assenza di tali effetti”;
- “Dando esecuzione ad un progetto autostradale il cui tracciato attraverso la zona di protezione speciale (Zps) di Castro Verde, nonostante le conclusioni negative della valutazione di impatto ambientale e senza aver dimostrato l'assenza di soluzioni alternative a tale tracciato, la repubblica portoghese è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti ai sensi dell'art. 6 n. 4 direttiva habitat”;
         s2) Corte di giustizia UE, 21.01.2016, C-399/14, secondo cui:
- “L'art. 6, par. 2, direttiva 92/43 deve essere interpretato nel senso che qualora, in circostanze come quelle di cui al procedimento principale, un esame a posteriori dell'incidenza sul sito in questione di un piano o progetto la cui esecuzione sia iniziata dopo l'iscrizione di tale sito nell'elenco dei siti di importanza si riveli necessario, tale esame deve essere effettuato nel rispetto dei criteri dell'art. 6, par. 3, di tale direttiva; un esame del genere deve tenere conto di tutti gli elementi esistenti alla data di tale iscrizione, nonché di tutti gli effetti che si sono verificati o che possono verificarsi in seguito all'esecuzione parziale o totale di tale piano o progetto su detto sito successivamente a tale data”;
- “L'art. 6, par. 2, direttiva 92/43/Cee del Consiglio, del 21.05.1992, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche, deve essere interpretato nel senso che un piano o progetto non direttamente connesso o necessario alla gestione di un sito e che è stato autorizzato in seguito ad uno studio che non soddisfa i requisiti dell'art. 6, par. 3, di tale direttiva, prima dell'iscrizione del sito stesso nell'elenco dei siti di importanza comunitaria, deve essere oggetto, da parte delle autorità competenti, di un esame a posteriori della sua incidenza su tale sito, qualora tale esame costituisca l'unica misura opportuna per evitare che l'esecuzione di detto piano o progetto comporti un degrado o perturbazioni che possono avere conseguenze significative per quanto riguarda gli obiettivi di tale direttiva; spetta al giudice del rinvio verificare che tali condizioni siano soddisfatte”;
- “La direttiva 92/43 deve essere interpretata nel senso che, quando è realizzato un nuovo esame dell'incidenza su un sito al fine di rimediare a errori constatati relativi alla valutazione preliminare effettuata prima dell'iscrizione di tale sito nell'elenco dei siti di importanza comunitaria o relativi all'esame a posteriori ai sensi dell'art. 6, par. 2, direttiva 92/43, allorché il piano o progetto è già stato realizzato, i criteri di un controllo eseguito nell'ambito di un esame del genere non possono essere modificati per il fatto che la decisione di approvazione di tale piano o progetto era direttamente esecutiva, che una domanda di misure cautelari era stata respinta e che tale decisione di rigetto non era più impugnabile; inoltre, detto esame deve tenere conto dei rischi di degrado o di perturbazioni che possono avere conseguenze significative ai sensi di detto art. 6, par. 2, eventualmente generati dalla realizzazione del piano o progetto in questione; l'art. 6, par. 4, direttiva 92/43 deve essere interpretato nel senso che i criteri del controllo effettuato nell'ambito dell'esame delle soluzioni alternative non possono essere modificati per il fatto che il piano o progetto è già stato realizzato”;
         s3) Corte di giustizia CE, 07.09.2004, C-127/02 (in Raccolta, 2004, I, 7405), secondo cui, tra l’altro:
- “L'art. 6, n. 3, della direttiva 92/43, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora della fauna selvatiche, istituisce, per i siti protetti, un procedimento diretto a garantire, mediante un controllo previo, che un piano o un progetto non direttamente connesso o necessario alla gestione del sito interessato, ma idoneo ad avere incidenze significative sullo stesso, può essere autorizzato dalle autorità nazionali competenti solo se non pregiudicherà l'integrità di tale sito, mentre l'art. 6, n. 2, della detta direttiva stabilisce un obbligo di protezione generale consistente nell'evitare deterioramenti nonché perturbazioni che potrebbero avere effetti significativi rispetto agli obiettivi della direttiva e non può essere applicato contemporaneamente al n. 3 del medesimo articolo”;
- “L'art. 6, n. 3, prima frase, della direttiva 92/43, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche, dev'essere interpretato nel senso che qualsiasi piano o progetto non direttamente connesso o necessario alla gestione del sito protetto è sottoposto a un'opportuna valutazione dell'incidenza che ha sullo stesso tenendo conto degli obiettivi di conservazione di tale sito, quando non possa essere escluso, sulla base di elementi obiettivi, e segnatamente alla luce delle caratteristiche e delle condizioni ambientali specifiche del sito medesimo, che esso, da solo o in combinazione con altri piani o progetti, lo pregiudichi significatamente; una siffatta valutazione di tali incidenze implica che, prima dell'approvazione del piano o del progetto, siano individuati, alla luce delle migliori conoscenze scientifiche in materia, tutti gli aspetti del piano o del progetto che possano, da soli o in combinazione con altri piani o progetti, pregiudicare gli obiettivi di conservazione di tale sito; le autorità nazionali competenti, tenuto conto dell'opportuna valutazione delle incidenze del piano o del progetto sul sito interessato con riferimento agli obiettivi di conservazione di quest'ultimo, autorizzano tale piano o tale progetto solo a condizione di aver acquisito la certezza che esso è privo di effetti pregiudizievoli per detto sito; ciò avviene quando non sussiste alcun dubbio ragionevole da un punto di vista scientifico quanto all'assenza di tali effetti”;
- “Quando un giudice nazionale è chiamato a verificare la legittimità di un'autorizzazione relativa ad un piano o ad un progetto ai sensi dell'art. 6, n. 3, della direttiva 92/43, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche, esso può controllare se i limiti posti da tale disposizione alla discrezionalità delle autorità nazionali competenti siano stati rispettati, sebbene essa non sia stata trasposta nell'ordinamento giuridico dello stato membro interessato malgrado la scadenza del termine previsto a tale effetto; invero, l'effetto utile della direttiva 92/43 sarebbe affievolito se, in un caso del genere, fosse precluso ai cittadini comunitari di valersene in giudizio e ai giudici nazionali di prenderla in considerazione”;
      t) sulla valutazione di incidenza in generale e sulle misure compensative:
         t1) Corte di giustizia UE, 07.11.2018, C-461/17 (in Foro amm., 2018, 1779; Riv. giur. ambiente, 2018, 498, con nota di BRAMBILLA; Riv. giur. edilizia, 2019, I, 267), secondo cui
- “L'art. 6, par. 3, direttiva 92/43/Cee del Consiglio, del 21.05.1992, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche, deve essere interpretato nel senso che un'«opportuna valutazione» deve, da un lato, censire la totalità dei tipi di habitat e delle specie per i quali un sito è protetto, nonché, dall'altro, individuare ed esaminare tanto l'impatto del progetto proposto sulle specie presenti su detto sito, e per le quali quest’ultimo non è stato registrato, quanto quello sui tipi di habitat e le specie situati al di fuori dei confini del suddetto sito, laddove tale impatto possa pregiudicare gli obiettivi di conservazione del sito”;
- “L'art. 6, par. 3, direttiva 92/43 deve essere interpretato nel senso che esso consente all'autorità competente di autorizzare un piano o un progetto che lascia il committente libero di determinare successivamente taluni parametri relativi alla fase di costruzione, quali l'ubicazione dei cantieri e le vie di trasporto, solo se è certo che l'autorizzazione stabilisce condizioni sufficientemente rigorose che garantiscano che tali parametri non pregiudicheranno l'integrità del sito”;
- “L'art. 6, par. 3, direttiva 92/43 deve essere interpretato nel senso che, quando l'autorità competente respinge le conclusioni di una perizia scientifica che raccomanda l'acquisizione di informazioni supplementari, l'«opportuna valutazione» deve contenere una motivazione esplicita e dettagliata, atta a dissipare ogni ragionevole dubbio scientifico in ordine agli effetti dei lavori previsti sul sito interessato”;
         t2) Corte di giustizia UE, 21.07.2016, C-387/15 e C-388/15, secondo cui “L'art. 6, par. 3, direttiva 92/43/Cee del Consiglio, del 21.05.1992, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche, deve essere interpretato nel senso che misure incluse in un piano o progetto non direttamente connesso o necessario alla gestione di un sito di importanza comunitaria, che prevedano, anteriormente al verificarsi di un impatto negativo su un tipo di habitat naturale in esso presente, lo sviluppo futuro di un'area di tale tipo, il cui completamento interverrà tuttavia successivamente alla valutazione della significatività del pregiudizio eventualmente arrecato all'integrità di tale sito, non possono essere prese in considerazione all'atto di tale valutazione; tali misure potrebbero, eventualmente, essere qualificate come «misure compensative», ai sensi del par. 4 di tale articolo, soltanto qualora siano soddisfatte le condizioni in esso enunciate”;
         t3) Corte di giustizia UE, 15.05.2014, C-521/12, secondo cui “L'art. 6, par. 3, direttiva 92/43/Cee del Consiglio, del 21.05.1992, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche, deve essere interpretato nel senso che un piano o un progetto non direttamente connesso o necessario alla gestione di un sito di importanza comunitaria, che abbia incidenze negative su un tipo di habitat naturale in esso presente e che preveda misure per lo sviluppo di un'area di superficie uguale o maggiore di tale tipo di habitat in detto sito, pregiudica l'integrità di tale sito; siffatte misure potrebbero essere eventualmente considerate «misure compensative» ai sensi del par. 4 di detto articolo, solo nei limiti in cui siano soddisfatte le condizioni ivi stabilite”;
         t4) Corte di giustizia UE, 11.04.2013, C-258/11, secondo cui “L'art. 6, par. 3, direttiva 92/43/Cee del consiglio, 21.05.1992, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche, deve essere interpretato nel senso che un piano o un progetto non direttamente connesso o necessario alla gestione di un sito pregiudicherà l'integrità di tale sito se è atto a impedire il mantenimento sostenibile delle caratteristiche costitutive dello stesso, connesse alla presenza di un habitat naturale prioritario, per conservare il quale, il sito in questione è stato designato nell'elenco dei siti di importanza comunitaria conformemente alla suddetta direttiva; ai fini di tale valutazione occorre applicare il principio di precauzione”;
      u) sul rapporto tra legislazione statale e regionale si veda Corte cost. 17.03.2015, n. 38 (in Foro it., 2015, I, 1889; Riv. giur. edilizia, 2015, I, 351), secondo cui, tra l’altro:
- “È incostituzionale l'art. 65 l.reg. Veneto 02.04.2014 n. 11, nella parte in cui prevede che la giunta regionale, con apposite linee guida, escluda determinati interventi a tutela della rete ecologica regionale «Natura 2000» dalla valutazione di incidenza ambientale (Vinca)”;
- “È infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 19 l.reg. Veneto 02.04.2014 n. 11, nella parte in cui autorizza la giunta regionale a prevedere, nel rapporto con gli appaltatori, la compensazione dell'onere per la realizzazione dei lavori di manutenzione dei corsi d'acqua con il valore del materiale litoide estratto riutilizzabile, in riferimento all'art. 117, 2º comma, lett. s), cost.”;
- “È infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 56, 1º e 4º comma, l.reg. Veneto 02.04.2014 n. 11, nella parte in cui consente la combustione controllata di materiali agricoli e vegetali sul luogo di produzione, effettuata secondo le normali pratiche e consuetudini, escludendo che essa costituisca attività di gestione dei rifiuti o di combustione illecita, in riferimento all'art. 117, 1º e 2º comma, lett. s), cost.”.
La Vinca (valutazione di incidenza ambientale) è il procedimento al quale va sottoposto ogni intervento pianificatorio o progettuale che interessi il territorio dei siti, o proposti siti, della rete «Natura 2000» quali siti di importanza comunitaria (Sic) e zone di protezione speciale (Zps), onde valutare gli effetti che la realizzazione di piani/progetti può determinare sulla conservazione degli habitat e delle specie ivi presenti.
Lo scopo della Vinca è accertare l’assenza di danno al territorio protetto, provocato dalla realizzazione delle opere; se è vero che la valutazione di incidenza negativa non assume efficacia vincolante, essa tuttavia costituisce un preciso limite alla sfera discrezionale dell’amministrazione procedente, la quale può disattenderlo soltanto per ragioni di natura eccezionale, con la conseguenza che l’adesione alla Vinca negativa e alle prescrizioni in essa racchiuse non richiede una particolare motivazione.
Sulla rete ecologica europea denominata “Natura 2000” si vedano, tra le altre:
         u1) Corte cost. 12.12.2012, n. 278 (in Foro it., 2013, I, 412; Dir. e giur. agr. e ambiente, 2013, 92, con nota di GORLANI; Giur. costit., 2012, 4411), che ha giudicato infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 22, 6° comma, l. prov. Bolzano 12.05.2010 n. 6, come sostituito dall’art. 7, 5° comma, l. prov. Bolzano 12.12.2011 n. 14, nella parte in cui stabilisce che i provvedimenti di approvazione relativi ad opere e progetti, che hanno avuto una valutazione di incidenza negativa, dispongano le misure compensative necessarie per garantire la coerenza globale della rete ecologica europea denominata «Natura 2000»;
         u2) Corte cost. 21.04.2011, n. 151 (in Foro it., 2011, I, 1607; Quaderni regionali, 2011, 797; Giur. costit., 2011, 1892; Giur. it., 2012, 1017, con nota di CONTE), che ha dichiarato incostituzionale l’art. 22, 6° comma, l. prov. Bolzano 12.05.2010 n. 6, nella parte in cui prevedeva, in caso di approvazione di piani o progetti che avessero incidenza sul sito «Natura 2000» o sulla sua conservazione, la competenza provinciale a stabilire le necessarie misure compensative da comunicare alla commissione europea;
         u3) Corte cost. 26.03.2010, n. 119 (in Foro it., 2010, I, 2619; Urbanistica e appalti, 2010, 1035, con nota di RECLA; Ambiente, 2010, 645, con nota di FIENGA; Giurisdiz. amm., 2010, III, 246; Giur. costit., 2010, 1324; Riv. giur. ambiente, 2010, 774, con nota di DI DIO), che ha dichiarato incostituzionale l’art. 2, 1°, 2° e 3° comma, l. reg. Puglia 21.10.2008 n. 31, nella parte in cui vietava la realizzazione di impianti fotovoltaici per la produzione di energia elettrica in determinate parti del territorio regionale, precisamente nelle zone agricole considerate di particolare pregio (anche individuate dai comuni con delibera consiliare), nei siti della rete «Natura 2000» (siti di importanza comunitaria e zone di protezione speciale), nelle aree protette nazionali e in quelle regionali, nelle oasi regionali e nelle zone umide tutelate a livello internazionale (Corte di giustizia UE, Sez. VI, sentenza 16.07.2020, C-411/19, WWF Italia Onlus - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI - URBANISTICASecondo la definizione contenuta nell’articolo 5, comma 1, lettera b), D.Lgs. n. 152/2006, il procedimento di VIA mira a valutare l’impatto ambientale di una nuova opera, ricadente fra quelle ritenute rilevanti ai sensi del medesimo T.U. sull’ambiente: tra di esse, per l’appunto, le autostrade (All. II).
La valutazione di impatto ambientale, cioè, ha «il fine di sensibilizzare l’autorità decidente, attraverso l’apporto di elementi tecnico-scientifici idonei ad evidenziare le ricadute sull’ambiente derivanti dalla realizzazione di una determinata opera, a salvaguardia dell’habitat: essa non si limita ad una generica verifica di natura tecnica circa l’astratta compatibilità ambientale, ma implica una complessiva ed approfondita analisi di tutti gli elementi incidenti sull’ambiente del progetto unitariamente considerato, per valutare in concreto il sacrificio imposto all’ambiente rispetto all’utilità socio-economica perseguita».
Per tale ragione, in sede di VIA l’Autorità procedente esercita un amplissima discrezionalità tecnico-amministrativa, con la conseguenza che la relativa decisione è assoggettata a un controllo di legittimità del Giudice amministrativo limitato alle ipotesi di manifesta illogicità e irrazionalità, di travisamento del dato fattuale, di incompletezza dell’istruttoria.
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4.2. Ora, secondo la definizione contenuta nell’articolo 5, comma 1, lettera b), D.Lgs. n. 152/2006, il procedimento di VIA mira a valutare l’impatto ambientale di una nuova opera, ricadente fra quelle ritenute rilevanti ai sensi del medesimo T.U. sull’ambiente: tra di esse, per l’appunto, le autostrade (All. II).
La valutazione di impatto ambientale, cioè, ha «il fine di sensibilizzare l’autorità decidente, attraverso l’apporto di elementi tecnico-scientifici idonei ad evidenziare le ricadute sull’ambiente derivanti dalla realizzazione di una determinata opera, a salvaguardia dell’habitat (Cons. Stato, sez. V, 17.10.2012, n. 5295; sez. IV, 17.09.2013, n. 4611): essa non si limita ad una generica verifica di natura tecnica circa l’astratta compatibilità ambientale, ma implica una complessiva ed approfondita analisi di tutti gli elementi incidenti sull’ambiente del progetto unitariamente considerato, per valutare in concreto il sacrificio imposto all’ambiente rispetto all’utilità socio-economica perseguita (Cons. Stato, sez. IV, 22.01.2013, n. 361; 09.01.2014, n. 36)» (così, C.d.S., Sez. V, sentenza n. 3000/2016; nello stesso senso, ex plurimis, TAR Lazio–Roma, Sez. II-bis, sentenza n. 5548/2019).
Per tale ragione, in sede di VIA l’Autorità procedente esercita un amplissima discrezionalità tecnico-amministrativa, con la conseguenza che la relativa decisione è assoggettata a un controllo di legittimità del Giudice amministrativo limitato alle ipotesi di manifesta illogicità e irrazionalità, di travisamento del dato fattuale, di incompletezza dell’istruttoria (cfr., fra le altre, C.d.S, Sez. IV, sentenza n. 3011/2018; TAR Lazio–Roma, Sez. I, sentenza n. 11921/2017; TAR Veneto, Sez. III, sentenza n. 1225/2016) (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 26.03.2020 n. 250 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).

2019

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI - URBANISTICAInosservanza di prescrizioni a tutela dell’ambiente e provvedimenti ripristinatori della P.A..
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Ambiente - Valutazione di impatto ambientale - Prescrizioni finalizzate all’eliminazione o alla mitigazione degli impatti sfavorevoli sull’ambiente - Accertamento di un profilo di responsabilità del destinatario - Necessità.
In materia di valutazione di impatto ambientale (V.I.A.), qualora la legislazione regionale consenta di subordinare l’esclusione di un progetto dalla relativa procedura a specifiche prescrizioni finalizzate all’eliminazione o alla mitigazione degli impatti sfavorevoli sull’ambiente, prevedendo la possibilità di provvedimenti sanzionatori e ripristinatori dell’amministrazione in caso di inosservanza delle prescrizioni stesse, l’adozione di questi ultimi non può prescindere dall’accertamento di un profilo di responsabilità del destinatario, quanto meno con riguardo alla sussistenza di un nesso causale tra la condotta da questi tenuta e il pregiudizio ambientale (1).
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   (1) Ha chiarito la Sezione che anche in queste ipotesi la normativa interna va interpretata in conformità agli orientamenti consolidati della giurisprudenza nazionale ed eurounitaria relative alla responsabilità cd. ambientale, per cui in materia di misure di riparazione ambientale è necessario almeno l’accertamento, anche per presunzioni, della esistenza di un nesso di causalità tra l’attività degli operatori cui sono dirette le misure di riparazione e l’inquinamento di cui trattasi.
Di conseguenza, l’amministrazione non può emettere i provvedimenti in questione nei confronti di un soggetto che sia subentrato nell’esercizio dell’impianto in un momento successivo a quello in cui le prescrizioni ambientali avrebbero dovuto essere adempiute e che non abbia concorso nella loro inosservanza né abbia avuto in concreto la possibilità di avvedersene e porvi rimedio (Consiglio di Stato, Sez. II, sentenza 15.10.2019 n. 7033 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICIPervengono spesso a questa Regione richieste di controinteressati (singoli o associati) per l'attivazione della VIA (valutazione d'impatto ambientale) anche fuori dai casi espressamente previsti dalla normativa. Può questo Ente richiederne l'attivazione?
Il D.Lgs. 03.04.2006, n. 152 definisce la "valutazione d'impatto ambientale" (VIA): "il processo che comprende, secondo le disposizioni di cui al Titolo III della parte seconda del presente decreto, l'elaborazione e la presentazione dello studio d'impatto ambientale da parte del proponente, lo svolgimento delle consultazioni, la valutazione dello studio d'impatto ambientale, delle eventuali informazioni supplementari fornite dal proponente e degli esiti delle consultazioni, l'adozione del provvedimento di VIA in merito agli impatti ambientali del progetto, l'integrazione del provvedimento di VIA nel provvedimento di approvazione o autorizzazione del progetto".
L'art. 6, comma 5, del Decreto prevede che la valutazione d'impatto ambientale si applichi ai progetti che possono avere impatti ambientali significativi e negativi, come definiti all'art. 5, comma 1, lett. c).
Ciò premesso la giurisprudenza si è posta il tema della applicabilità della VIA anche a casistiche particolari. Infatti l'Amministrazione, ove ritenga che un intervento possa determinare, in concreto, "impatti ambientali significativi e negativi", può sempre disporre l'attivazione della verifica di assoggettabilità a VIA anche al di fuori degli specifici casi prescritti dalla legge (art. 6, comma 6), adottando puntuale motivazione al fine di non costituire aggravio del procedimento.
Anche in relazione alla eventuale attivazione della "valutazione di incidenza sanitaria" si è precisato che è necessario procedervi quando le concrete evidenze istruttorie dimostrino la sussistenza di un serio pericolo per la salute pubblica, al di là dei casi specificamente indicati dal legislatore, pena conseguenze procedimentali quali il vizio di eccesso di potere sotto il profilo del mancato approfondimento istruttorio, sintomatico della disfunzione amministrativa.
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Riferimenti normativi e contrattuali
D.Lgs. 03.04.2006, n. 152, art. 6
Riferimenti di giurisprudenza

Cons. Stato Sez. IV, 29.08.2019, n. 5972
Cons. Stato Sez. IV, 01.03.2019, n. 1423
Cons. Stato Sez. IV, 11.02.2019, n. 983
Cons. Stato Sez. V, 07.01.2019, n. 127
 (25.09.2019 - tratto da www.risponde.leggiditalia.it/#doc_week=true).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI - URBANISTICANecessità di sottoporre a V.I.A. normativamente non obbligatoria le modifiche ad un progetto a suo tempo sottoposto a V.I.A..
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Ambiente - Valutazione di impatto ambientale – Modifiche e estensioni di progetti sottoposti a V.I.A. - Non soggetti a V.I.A. alla luce della normativa sopravvenuta – Conseguenza.
Non devono essere necessariamente sottoposte a valutazione di impatto ambientale (od a verifica di assoggettabilità) le "estensioni" o le "modifiche" di progetti che, in base alla normativa sopravvenuta, non siano più soggetti ex lege a V.I.A. e che, dunque, se presentati ex novo, non dovrebbero esservi necessariamente sottoposti (1).
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   (1) Ha affermato la Sezione che l’Amministrazione, ove ritenga che un intervento possa comunque determinare, in concreto, “impatti ambientali significativi e negativi”, può sempre disporre -previa idonea motivazione- l’attivazione della verifica di assoggettabilità a V.I.A. anche al di fuori degli specifici casi prescritti dalla legge; ove, invece, ritenga che esulino tali "impatti" non è tenuta a confezionare alcuna specifica motivazione, posto che, a monte, il legislatore ha escluso che quella tipologia di intervento sia, di regola, in grado di arrecare potenziali danni all’ambiente.
La rinnovazione del giudizio di compatibilità ambientale, di regola doverosa allorché siano introdotte delle modificazioni progettuali che determinino la costruzione di un manufatto significativamente diverso da quello già esaminato, è viceversa superflua ogni qualvolta al progetto originario siano apportate modifiche che risultino più conformi agli interessi pubblici, determinando, in particolare, una più efficace mitigazione del rischio ambientale presentato dall'originario progetto (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 29.08.2019 n. 5972 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrartiva.it).
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MASSIMA
5. Sulla scorta di tali premesse in fatto e in diritto, il Collegio giudica infondato il ricorso di primo grado per le seguenti ragioni.
5.1. Il Collegio prende le mosse dalla disposizione dell’Allegato IV alla Parte II del d.lgs. n. 152 del 2006, punto 8, lett. t), ai sensi del quale
sono sottoposte a verifica di assoggettabilità a VIA le “modifiche o estensioni di progetti di cui all’allegato III o all’allegato IV già autorizzati, realizzati o in fase di realizzazione, che possono avere notevoli ripercussioni negative sull’ambiente”.
Orbene, tale disposizione muove dall’implicita premessa che
il progetto “già autorizzato, realizzato o in fase di realizzazione” sia ancora da sottoporre a VIA secondo la normativa vigente: in altre parole, la disposizione sottopone a VIA le “modifiche o estensioni” di progetti che, se fossero presentati ex novo, sarebbero tuttora da sottoporre a VIA.
Siffatta interpretazione risponde a ragioni d’ordine logico: la sottoposizione di modifiche od estensioni di progetti alla procedura di VIA si spiega solo se il progetto modificato od esteso sia, a sua volta, ancora da sottoporre a VIA.

Argomentando a contrario, infatti, si avrebbe che dovrebbero essere sottoposte a VIA (ossia ad un aggravamento del procedimento - cfr. art. 1, comma 2, l. n. 241 del 1990) modifiche od estensioni di un progetto che, se fosse presentato ora, non vi dovrebbe essere ab ovo sottoposto.
Né è ragionevole opinare che, per il solo fatto che ab origine un progetto fu sottoposto a VIA, ogni successiva estensione o modifica, pur se disposta a distanza di tempo, debba comunque e per ciò solo essere sottoposta a tale sub-procedimento: ciò, invero, significherebbe, da un punto di vista giuridico, ascrivere efficacia ultra-attiva alle norme che perimetrano l’ambito dei progetti da sottoporre a VIA (od alla preliminare verifica di assoggettabilità), sterilizzando irreversibilmente l’efficacia normativa dell’eventuale disciplina sopravvenuta.

Nella specie, la richiamata novella del 2008 ha modificato l’Allegato IV, prescrivendo la verifica di assoggettabilità a VIA per i parcheggi con capacità superiore ai 500 posti e, dunque, implicitamente ma inequivocabilmente escludendola (recte, qualificandola come non doverosa) per i parcheggi con capienza minore.
Se il progetto fosse stato presentato ex novo nel 2014, quindi, non avrebbe dovuto necessariamente essere sottoposto alla verifica di assoggettabilità, in considerazione del numero di posti previsto (293), ben inferiore ai 500: ne consegue, per le esposte ragioni logico-testuali, che la modifica in questione non era ex lege da sottoporre a verifica di assoggettabilità.
5.2. Vi è, inoltre, un’altra ragione, parimenti di carattere logico-testuale.
La disposizione in esame si riferisce ai “progetti autorizzati, realizzati o in corso di realizzazione”: ora, al luglio 2014 il parcheggio de quo non era ancora né materialmente “in corso di realizzazione” (tanto meno “realizzato”), né giuridicamente “autorizzato”: difettava ancora, infatti, il titolo edilizio, unico atto con cui l’Amministrazione presta il proprio definitivo assenso alla costruzione di un opus.
Esulano anche per tale profilo, pertanto, i requisiti fattuali per applicare la disposizione de qua.
6. Vi sono, altresì, ulteriori e più pregnanti considerazioni da svolgere.
6.1. Il progetto in variante presentato da CAM ed approvato con la delibera gravata determina una generale e decisa riduzione dell’intervento contemplato dal precedente progetto: il verificatore nominato nel presente giudizio, invero, ha precisato che “il progetto del 2014 presenta un volume pari a meno della metà di quello del 2010” ed “una superficie ad ogni piano pari a molto meno della metà di quello del 2010” (così la relazione di verificazione, pag. 10).
Il nuovo progetto, per vero, presenta pure una “maggiore profondità media di scavo, pari a circa 1,5 metri”, corrispondente ad un incremento di circa il 13% rispetto al pregresso: tuttavia, una variazione di tale entità è da considerarsi “poco rilevante da un punto di vista tecnico”, giacché “i progettisti e gli enti di controllo adottano nella stesura e nell’approvazione dei progetti il giudizio di scarsa rilevanza tecnica per una differenza dimensionale del 10%. E’ questo uno dei principi fondatori per il moderno ed internazionale metodo di calcolo semiprobabilistico delle costruzioni, accettato da tutte le norme internazionali più evolute” (così la relazione di verificazione, pagine 17 e 18).
Oltretutto, “il volume ubicato al di sotto della massima quota di scavo considerata nella relazione geologica (e, quindi, valutata positivamente dall’Area Valutazione di Impatto Ambientale) è pari solo al 5,9% dello stesso volume assentito con VIA” (così la relazione di verificazione, pagina 11): anche in tal caso, dunque, la variazione risulta tecnicamente poco significativa.
Pertanto, nell’ambito di una considerazione unitaria, globale e sintetica dell’intervento, il nuovo progetto costituisce prima facie una riduzione, un contenimento, un ridimensionamento del precedente: da un lato, infatti, non si ravvisa alcuna “estensione”, dall’altro la “modifica” apportata è pressoché tutta “al ribasso”, nel senso di una contrazione strutturale dell’opus con conseguente minor impatto ambientale.
Tale, evidentemente, è stata la conclusione della Giunta capitolina, che ha implicitamente escluso che fosse il caso di procedere alla (facoltativa) verifica di assoggettabilità a VIA, in considerazione della complessiva riduzione dell’impatto ambientale recata dal nuovo progetto rispetto al pregresso, tale da non determinare alcuna “estensione” né alcuna “modifica” in senso potenzialmente deteriore per l’ambiente.
Invero,
in termini generali l’Amministrazione, ove ritenga che un intervento possa determinare, in concreto, “impatti ambientali significativi e negativi”, può sempre disporre l’attivazione della verifica di assoggettabilità a VIA anche al di fuori degli specifici casi prescritti dalla legge: evidentemente, tale scelta dovrà essere puntualmente motivata, in ossequio alla previsione di cui all’art. 1, comma 2, l. n. 241 del 1990.
Di converso,
al di fuori dei casi prescritti dalla legge la scelta di non procedere a verifica di assoggettabilità non richiede alcuna specifica motivazione, posto che, a monte, il legislatore ha escluso che quella tipologia di intervento sia, di regola, in grado di arrecare potenziali danni all’ambiente.
Nel caso di specie, pertanto, ben poteva l’Amministrazione disporre la verifica di assoggettabilità a VIA, benché il parcheggio fosse inferiore a 500 posti e, dunque, non vi fosse un puntuale obbligo in tale senso: per far ciò, tuttavia, avrebbe dovuto attendere ad una puntuale motivazione che desse ragione dell’aggravamento dell’istruttoria.
In caso contrario, viceversa, non era necessaria alcuna motivazione ed il progetto poteva essere approvato de plano: l’operato della Giunta, pertanto, non disvela sotto questo aspetto alcun vizio della funzione.
6.2. Per di più, osserva il Collegio, la verificazione disposta nel presente grado di giudizio ha confermato ex post la correttezza della valutazione giuntale: ai fini dell’impatto idraulico ed idrogeologico, infatti, il dato che assume rilievo centrale è costituito non dalla profondità di scavo, bensì dal volume dell’intervento, che, quale “rappresentativo del quantitativo di liquido spostato … costituisce l’azione di disturbo nel sottosuolo”, sì che “non appare, sulla base dei dati acquisiti, alcun motivo per il quale un manufatto notevolmente inferiore per superficie e volume rispetto a quello previsto nel progetto del 2010, seppure localmente più approfondito, potrebbe interferire con la falda profonda” (cfr. relazione di verificazione, pagine 15, 16 e 18).
In sostanza, minore il volume interrato, minore la massa d’acqua (attualmente o potenzialmente) spostata, minore il conseguente impatto idraulico ed idrogeologico.
Oltretutto, ha osservato il verificatore, “l’interferenza con la falda profonda … è meno rilevante, perché le paratie perimetrali sono meno profonde di quelle previste nel progetto del 2010” (cfr. relazione di verificazione, pagine 16 e 17).
Del resto, nel corso dei lavori, a quanto consta ultimati in data 28.07.2016, non risultano essere emerse problematiche idrauliche o idrogeologiche (cfr. relazione di verificazione, pag. 9).
7. In conclusione, l’Amministrazione, nell’approvare la variante, ha implicitamente ritenuto, con valutazione ex ante, che l’esecuzione dei relativi lavori non fosse in grado di determinare ripercussioni negative sull’ambiente ulteriori rispetto a quelle già positivamente in precedenza vagliate: tale scelta, conforme all’apparato normativo applicabile ratione temporis, si palesava ab initio logica e coerente e si è vieppiù confermata tale all’esito dello scrutinio specialistico disposto da questo Consiglio.
Il Collegio, in ottica più ampia, evidenzia che
la rinnovazione del giudizio di compatibilità ambientale –di regola doverosa allorché siano introdotte delle modificazioni progettuali che determinino la costruzione di un manufatto significativamente diverso da quello già esaminato– è superflua ogni qualvolta al progetto originario siano apportate modifiche che risultino più conformi agli interessi pubblici, determinando, in particolare, una più efficace mitigazione del rischio ambientale (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 22.11.2006, n. 6831; Cons. Stato, Sez, VI, 22.03.2012, n. 1640; in tal senso anche la Corte di Giustizia Europea con la sentenza 17.03.2011, C-275/09, Brussels Hoofdstedelijk Gewest).
Laddove, dunque, le modifiche si sostanzino, come nella presente vicenda, in un generale ridimensionamento strutturale dell’opus proprio con riferimento a quegli aspetti (nella specie, il volume) potenzialmente pericolosi per gli specifici profili di sensibilità ambientale presi in considerazione (nella specie, quelli di carattere idraulico/idrogeologico), non vi è ragione di attivare il sub-procedimento di verifica di assoggettabilità a VIA, anche alla luce della valenza generale rivestita dal principio di economicità dell’azione amministrativa (cfr. art. 1 l. n. 241 del 1990).
8. Per le esposte ragioni, i ricorsi in appello svolti da CAM e da Roma Capitale debbono essere accolti: conseguentemente, in riforma delle sentenze impugnate deve essere rigettato il ricorso di primo grado.

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI - URBANISTICA: Accertamento dell’obbligo di sottoposizione del progetto alla valutazione di compatibilità ambientale.
Le preclusioni di diritto interno devono essere valutate dalla prospettiva del diritto comunitario; è possibile, infatti, che la mancanza di rimedi giurisdizionali costituisca essa stessa un ostacolo al raggiungimento degli obiettivi fissati dalla normativa comunitaria, e debba quindi essere superata mediante la disapplicazione delle norme interne che impediscono la proposizione di nuovi ricorsi.
La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha precisato che il diritto comunitario, pur consentendo agli Stati di fissare un termine per le impugnazioni dei provvedimenti in materia di VIA, non tollera che i progetti la cui autorizzazione non è più esposta a un ricorso giurisdizionale diretto, data la scadenza del termine di ricorso previsto dalla normativa nazionale, siano puramente e semplicemente considerati autorizzati sotto il profilo dell’obbligo di valutazione della compatibilità ambientale; in particolare, non è possibile impedire la proposizione di un’azione di risarcimento basata sulla violazione dell’obbligo di valutazione della compatibilità ambientale.
Poiché il risarcimento in forma specifica può consistere, prima dell’esecuzione dei lavori, nell’apertura di una procedura di VIA, si deve ritenere che i soggetti interessati, compresi i comitati di cittadini che risentono delle conseguenze dell’opera, possano chiedere l’accertamento dell’obbligo di sottoposizione del progetto alla valutazione di compatibilità ambientale
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 13.08.2019 n. 739 - commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
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MASSIMA
Sul problema dell’ammissibilità del ricorso
17. Come si è visto sopra, il Comitato ha già proposto davanti a questo TAR un ricorso diretto a ottenere l’accertamento della decadenza del decreto di VIA del 22.10.2002 allo scadere dei cinque anni. In quel caso, è stata scelta la doppia qualificazione di ricorso per ottemperanza e di ricorso contro il silenzio. Nel presente giudizio, invece, viene proposta direttamente un’azione di accertamento. La sostanza della domanda, tuttavia, non cambia.
La causa petendi è la stessa (ossia la tesi, condivisa dalla sentenza di questo TAR n. 859/2008, della retroattività della norma nazionale del 2006 che prevede l’efficacia quinquennale della VIA), e identico è anche il petitum (accertare l’obbligo di reiterazione della valutazione di compatibilità ambientale, con blocco immediato dei lavori che si basano sulla precedente serie procedimentale, alla cui origine si colloca appunto il decreto di VIA del 22 ottobre 2002).
È quindi fondata l’eccezione di litispendenza, essendosi già pronunciato questo TAR con la sentenza in rito n. 1264/2017.
18. Occorre poi sottolineare che la presentazione di nuove istanze all’amministrazione non rimette in termini il Comitato per la formulazione di ricorsi costituenti una replica di quelli dichiarati irricevibili e inammissibili. Anche se pronunciata in rito, la sentenza n. 1264/2017 ha esaurito per il Comitato le vie interne di ricorso dedicate alle censure contro l’inottemperanza alla sentenza n. 859/2008 e contro il silenzio sull’apertura di una nuova procedura di VIA. È quindi fondata anche questa eccezione di inammissibilità.
19. La circostanza che all’azione venga ora applicato un nome nuovo (da ottemperanza/silenzio ad accertamento) non individua una realtà giuridica diversa, che possa essere oggetto di cognizione senza limiti di tempo e indipendentemente dall’esito di precedenti ricorsi.
20. Un ricorso che, riproponendo questioni già decise in passato dal giudice amministrativo su impulso di altri soggetti, cercasse di perseguire non l’ottemperanza alla precedente sentenza ma una pronuncia con lo stesso contenuto, ossia accertativa della precedente, incontrerebbe la preclusione costituita dall’assenza nell’ordinamento interno di una giurisdizione di diritto oggettivo a presidio della legittimità degli atti amministrativi. La stessa sentenza n. 859/2008, nel dichiarare la decadenza della VIA, ha specificato (v. punti 5 e 6) che la tutela giurisdizionale è stata concessa unicamente nei limiti in cui è stata ravvisata una lesione diretta e attuale dell’interesse dei Comuni ricorrenti.
Dopo che questi ultimi, tramite l’accordo transattivo del 19.12.2008, hanno rinunciato agli effetti della sentenza n. 859/2008, con alcune garanzie riferite ai rispettivi territori, non vi è alcun giudicato, né alcuna possibilità per altri soggetti di invocare l’autorità della precedente sentenza allo scopo di ottenere la medesima dichiarazione di decadenza della VIA.
Non potrebbe farlo l’interveniente Legambiente Lombardia Onlus, la cui posizione accessoria segue la sorte dei ricorrenti, come precisato nella sentenza n. 1264/2017, e a maggior ragione non possono farlo soggetti come il Comitato, del tutto estranei al giudizio originario. Dal punto di vista del Comitato, la sentenza n. 859/2008 è dunque un generico precedente giurisprudenziale, che non integra in alcun modo i presupposti processuali necessari per esperire un’autonoma azione di accertamento.
21. Peraltro, le preclusioni di diritto interno devono essere valutate dalla prospettiva del diritto comunitario. È possibile, infatti, che la mancanza di rimedi giurisdizionali costituisca essa stessa un ostacolo al raggiungimento degli obiettivi fissati dalla normativa comunitaria, e debba quindi essere superata mediante la disapplicazione delle norme interne che impediscono la proposizione di nuovi ricorsi.
La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha precisato che il diritto comunitario, pur consentendo agli Stati di fissare un termine per le impugnazioni dei provvedimenti in materia di VIA, non tollera che i progetti la cui autorizzazione non è più esposta a un ricorso giurisdizionale diretto, data la scadenza del termine di ricorso previsto dalla normativa nazionale, siano puramente e semplicemente considerati autorizzati sotto il profilo dell’obbligo di valutazione della compatibilità ambientale. In particolare, non è possibile impedire la proposizione di un’azione di risarcimento basata sulla violazione dell’obbligo di valutazione della compatibilità ambientale (v. C.Giust. Sez. I 17.11.2016 C-‘348/15, Stadt Wiener Neustadt, punti 43 e 48).
Poiché il risarcimento in forma specifica può consistere, prima dell’esecuzione dei lavori, nell’apertura di una procedura di VIA, si deve ritenere che i soggetti interessati, compresi i comitati di cittadini che risentono delle conseguenze dell’opera, possano chiedere l’accertamento dell’obbligo di sottoposizione del progetto alla valutazione di compatibilità ambientale.
22. Nel caso in esame, tuttavia, non vi sono i presupposti per riconoscere la protezione individuata dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea. Il raccordo autostradale tra la A4 e la Valtrompia è stato infatti sottoposto regolarmente alla procedura di VIA, e ha ottenuto in data 22.10.2002 una valutazione favorevole di compatibilità ambientale.
Il medesimo giudizio è stato confermato dalla Commissione Tecnica VIA-VAS in data 19.06.2008 per due stralci funzionali dell’originario progetto esecutivo, tra cui quello relativo alla realizzazione del tratto Concesio-Sarezzo, che qui interessa. Non essendovi stata quindi alcuna violazione degli obblighi comunitari, non vi è neppure l’esigenza di rimediare attraverso l’ampliamento delle facoltà processuali e la rimessione in termini di quanti si oppongono al progetto.

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI - URBANISTICA: VIA, VAS E AIA – Artt. 12 e 13 l.r. Valle d’Aosta n. 3/2018 – Illegittimità costituzionale – Provvedimento unico regionale introdotto nel cod. ambiente da d.lgs. n. 104/2017 – Natura unitaria – Frazionamento del contenuto del provvedimento di Via – Contrasto con l’assetto unitario e onnicomprensivo del provvedimento unico.
Va dichiarata l’illegittimità costituzionale degli artt. 12, 13, della legge della Regione autonoma Valle d’Aosta 20.03.2018, n. 3: il provvedimento unico regionale, introdotto nel cod. ambiente dal d.lgs. n. 104 del 2017, è finalizzato a semplificare, razionalizzare e velocizzare la VIA regionale, nella prospettiva di migliorare l’efficacia dell’azione delle amministrazioni a diverso titolo coinvolte nella realizzazione del progetto. Detto istituto non sostituisce i diversi provvedimenti emessi all’esito dei procedimenti amministrativi, di competenza eventualmente anche regionale, che possono interessare la realizzazione del progetto, ma li ricomprende nella determinazione che conclude la conferenza di servizi.
Il provvedimento unico ha, dunque, una natura per così dire unitaria, includendo in un unico atto i singoli titoli abilitativi emessi a seguito della conferenza di servizi che, come noto, riunisce in unica sede decisoria le diverse amministrazioni competenti, e non è quindi un atto sostitutivo, bensì comprensivo delle altre autorizzazioni necessarie alla realizzazione del progetto. Esso rappresenta il «nucleo centrale» di un complessivo intervento di riforma che vincola anche le regioni a statuto speciale, in quanto norma fondamentale di riforma economico sociale, riproduttiva –in aggiunta– di specifici obblighi internazionali in virtù della sua derivazione comunitaria.
La normativa regionale si pone dunque in contrasto con la disciplina statale, laddove fraziona il contenuto del provvedimento di VIA, limitandosi a contenere le informazioni e le valutazioni necessarie a stimare e a contenere l’impatto ambientale del progetto autorizzato. Nella disciplina posta dalla Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallèe d’Aoste, il provvedimento di VIA è, infatti, autonomo rispetto agli altri atti autorizzatori connessi alla realizzazione dell’opera, in evidente deroga all’assetto unitario e onnicomprensivo del provvedimento unico previsto dall’art. 27-bis del cod. ambiente.

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VIA, VAS E AIA – Art. 10 l.r. Valle d’Aosta n. 3/2018 – Illegittimità costituzionale – Ruolo meramente consultivo e marginale della conferenza di servizi – Contrasto con l’art. 27-bis del d.lgs. n. 152/2006.
Va dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 10 della legge della Regione autonoma Valle d’Aosta 20.03.2018, n. 3: tale disposizione prevede che i soggetti competenti in materia territoriale e ambientale possano esprimere il loro parere anche «nell’ambito della conferenza di servizi indetta dalla struttura competente».
La conferenza di servizi è dunque relegata, dalla legge regionale impugnata, a un ruolo meramente consultivo e marginale, secondo una previsione che contrasta con il disegno normativo prefigurato dall’art. 27-bis del cod. ambiente.

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VIA, VAS E AIA – Art. 16 l.r. Valle d’Aosta n. 3/2018 – Illegittimità costituzionale – Allocazione dei procedimenti di VIA tra Stato e Regioni – Livello di protezione uniforme sul territorio nazionale.
Va dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 16, comma 1, della legge reg. Valle d’Aosta n. 3 del 2018 e dell’Allegato A alla medesima legge regionale, e degli allegati ivi contenuti, limitatamente ai numeri 2), 3), 4), 5), 7), 8), 9) 10), 11), 17), 18), 19), 20) dell’Allegato A, e ai numeri 2.a), 2.e) 2.g), 2.h), 7.e), 7.g), 7.j), 7.m), 7.r) dell’Allegato B.
La nuova distribuzione di competenze tra Stato e Regioni, operata dal d.lgs. n. 104 del 2017, va considerata tra gli aspetti fondamentali della riforma in tema di VIA e di assoggettabilità a VIA, istituti chiave per la tutela dell’ambiente, la quale necessita di un livello di protezione uniforme sul territorio nazionale. Il d.lgs. n. 104 del 2017 (in particolare, gli artt. 5, 22, 26) ha sostituto gli Allegati alla Parte II del cod. ambiente, e così realizzato una nuova allocazione dei procedimenti di VIA tra Stato e Regioni, ampliando il novero dei procedimenti di competenza statale.
Da tali premesse discende l’illegittimità costituzionale delle norme che interferiscono con i procedimenti che il cod. ambiente riserva allo Stato, indicando tipologie di progetti non perfettamente corrispondenti alle fattispecie contenute nel d.lgs. n. 152 del 2006, o prevedendo soglie dimensionali inferiori a quanto previsto dalla disciplina statale senza contestualmente stabilire “limiti” massimi idonei ad evitare sovrapposizioni (Allegato A, numeri 2, 3, 9, 17, 18, 19 e 20; Allegato B, numeri 2a, 2e, 2g, 2h, 7e, 7g, 7j, 7m e 7r).
A conclusioni analoghe deve giungersi per i procedimenti che la legge regionale sottopone a VIA regionale o a verifica regionale di assoggettabilità a VIA non indicati dagli Allegati alla Parte II del cod. ambiente (Allegato A, numeri 4, 5, 7, 8, 10 e 11). Anche tali fattispecie sono illegittime in quanto si allontanano dalla disciplina statale, la quale, in virtù della competenza esclusiva di cui all’art. 117, secondo comma lettera s) Cost., richiede una uniformità di trattamento normativo nella allocazione dei procedimenti tra Stato e Regioni
(Corte Costituzionale, sentenza 19.06.2019 n. 147 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI - URBANISTICA: Valutazione di impatto ambientale (VIA), la Consulta boccia norme della Valle d'Aosta.
Secondo la Corte costituzionale varie disposizioni della legge regionale valdostana n. 3/2018 sono illegittime. La disciplina della VIA rientra nella competenza esclusiva dello Stato.
La disciplina della Valutazione di impatto ambientale (VIA) rientra nella competenza esclusiva statale in materia di «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema» di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione.
Lo ha ribadito la Corte costituzionale nella sentenza 19.06.2019 n. 147.
Con questa sentenza la Consulta ha:
   1) dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 10, 12, 13, della legge della Regione autonoma Valle d’Aosta 20.03.2018, n. 3, recante «Disposizioni per l’adempimento degli obblighi della Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea. Modificazioni alla legge regionale 26.05.2009, n. 12 (Legge europea 2009), in conformità alla direttiva 2014/52/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16.04.2014, che modifica la direttiva 2011/92/UE concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati (Legge europea regionale 2018)»;
   2) dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 16, comma 1, della legge reg. Valle d’Aosta n. 3 del 2018 e dell’Allegato A alla medesima legge regionale, e degli allegati ivi contenuti, limitatamente ai numeri 2), 3), 4), 5), 7), 8), 9) 10), 11), 17), 18), 19), 20) dell’Allegato A, e ai numeri 2.a), 2.e) 2.g), 2.h), 7.e), 7.g), 7.j), 7.m), 7.r) dell’Allegato B.
Il Presidente del Consiglio dei ministri ha sollevato questioni di legittimità costituzionale della suddetta legge della Regione autonoma Valle d’Aosta, per contrasto con l’art. 117, comma 2, lettera s), della Costituzione con riferimento ad alcune disposizioni del decreto legislativo 03.04.2006, n. 152 recante «Norme in materia ambientale» (cod. ambiente), e in particolare, agli artt. 7-bis e 27-bis e agli Allegati II, II-bis, III, IV, alla Parte II del menzionato cod. ambiente
(20.06.2019 - commento tratto da https://www.casaeclima.com).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICIValutazione di impatto ambientale.
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Ambiente - Valutazione di impatto ambientale – Verifica impatto che il complesso delle nuove opere ha sull’ambiente – Omissione – Illegittimità.
E’ illegittima per difetto di istruttoria la valutazione di impatto ambientale posta in essere prescindendo dal considerare l’impatto che il complesso delle nuove opere ha sull’ambiente (1).
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   (1) Il Tar Toscana stabilisce che la valutazione di impatto ambientale implica un esame dell’impatto complessivo che le singole opere hanno sull’ambiente, in quanto la definizione del grado di modifica dell’ambiente (se in misura più o meno penetrante) non può che essere essenziale, consentendo di valutare se le alterazioni conseguenti alla realizzazione delle opere possano ritenersi "accettabili" alla stregua di un giudizio comparativo che tenga conto della necessità di salvaguardare preminenti valori ambientali e dell’impatto della realizzazione di una determinata opera, in applicazione ai fondamentali principi di precauzione e prevenzione del diritto dell’ambiente.
Ne consegue l’emergere di un difetto di istruttoria tutte quelle volte che la valutazione di compatibilità ambientale sia stata posta in essere prescindendo dal considerare l’impatto che il complesso delle nuove opere ha sull’ambiente e, ciò, operando un rinvio di detta valutazione all’esecuzione di un considerevole numero di prescrizioni, in un contesto nel quale le azioni da compiere non erano sufficientemente definite e che, pertanto, avrebbero richiesto inevitabilmente nuove valutazioni conseguenti all’esame istruttorio ancora da svolgere.
Lo scopo delle prescrizioni è, infatti, quello di individuare le condizioni più idonee per meglio garantire la compatibilità ambientale, funzione quest’ultima che presuppone un’avvenuta valutazione positiva dell’opera circa l’incidenza di quest’ultima sugli elementi naturalistici del territorio.
Nel caso di specie il progetto presentato dall’Enac consisteva in un “Masterplan Aeroportuale” che rinviava alla fase esecutiva le valutazioni di incidenza sull’ambiente riferite a circa 142 prescrizioni che implicavano, tra l’altro, lo spostamento di un corso d’acqua; il sotto-attraversamento di un’autostrada; la ricollocazione del bacino denominato “Lago di Peretola” (peraltro sottoposto a vincolo paesaggistico), l’interramento di quest’ultimo e la creazione ex novo di un’area umida di circa 9,7 ettari con trasferimento della fauna e della vegetazione e, ciò, oltre all’esame degli scenari probabilistici del rischio di incidente aereo.
In particolare il Tar ha ritenuto esistenti i seguenti principi di diritto:
   a) a prescindere dal fatto che si ritenga applicabile che la disciplina introdotta dal d.lgs. n. 104 del 2017 (che modifica gli artt. 20 e ss., d.lgs. n. 152 del 2006), laddove consente che gli elaborati progettuali siano predisposti con un livello informativo e di dettaglio equivalente a quello del progetto di fattibilità, o al contrario (come sostengono i ricorrenti) un livello di definizione al progetto esecutivo di cui all’art. 93 comma 6, del d.lgs. 163/2006, è comunque indispensabile che il progetto di un’opera pubblica, alla base della valutazione di impatto ambientale, contenga quel grado di dettaglio minimo e sufficiente affinché si possa addivenire ad una corretta valutazione degli effetti che l’opera ha sull’ambiente circostante.
   b) l’art. 25, comma 4, d.lgs. n. 152 del 2006 prevede l’ammissibilità di prescrizioni che, tuttavia, sono espressamente qualificate come condizioni per la realizzazione, l'esercizio e la dismissione del progetto, nonché quelle condizioni dirette ad evitare, prevenire, ridurre e, se possibile, compensare gli impatti ambientali significativi e negativi; si tratta di allora di opere e modalità esecutive eventuali e accessorie, che si pongono a valle di un progetto comunque definito e compiuto, quanto meno in tutti quegli elementi sufficienti per effettuare un giudizio sull’impatto delle opere rispetto all’ambiente circostante.
   c) le opere e gli interventi da realizzare nell’ambito delle prescrizioni non possono che avere un carattere “accessorio” rispetto al giudizio di compatibilità, attenendo alla fase di esecuzione del progetto e non riguardare aspetti che avrebbero dovuto essere valutati e risolti in sede di VIA.
   d) la valutazione di compatibilità ambientale non può avere natura condizionata se le prescrizioni a cui è subordinata non possiedono un reale contenuto precettivo, recando per contro indicazioni meramente orientative ipotetiche, e, in ogni caso, non può trattarsi di indicazioni la cui concreta realizzabilità non sia stata preventivamente (Tar Toscana, sez. II, 23.12.2010, n. 6867);
   e) la valutazione di impatto ambientale ha, infatti, il fine di sensibilizzare l'autorità decidente, attraverso l'apporto di elementi tecnico-scientifici idonei ad evidenziare le ricadute sull'ambiente derivanti dalla realizzazione di una determinata opera, a salvaguardia dell'habitat. Tale valutazione non può che implicare una complessiva ed approfondita analisi di tutti gli elementi incidenti sull'ambiente del progetto unitariamente considerato, per valutare in concreto il sacrificio imposto all'ambiente rispetto all'utilità socio-economica perseguita (Cons. St., sez. V, 06.07.2016, n. 3000 id., sez. IV, 24.03.2016, n. 1225);
   f) il concetto di valutazione di impatto ambientale implica che le opere da valutare siano state preventivamente definite (quanto meno nelle linee essenziali), senza che possano emergere nuovi aspetti suscettibili di condizionare l’avvenuta valutazione di compatibilità ambientale.
   g) se le opere da realizzare non sono state compiutamente definite è la stessa valutazione di compatibilità ambientale a risultare parziale, non essendo stato possibile verificare in che misura l’ambiente ne risulterebbe modificato, dall'altro, dell'interesse pubblico sotteso all'esecuzione dell'opera, potendo gli organi amministrativi preposti al procedimento di v.i.a. dettare prescrizioni e condizioni diretto solo a meglio garantire la compatibilità ambientale dell'opera progettata (Tar Milano, sez. III, 08.03.2013, n. 627).
   h) nell’ipotesi in cui la progettazione esecutiva comporti importanti variazioni all'opera già esaminata, tali da alterarne le caratteristiche è necessario che in sede di approvazione del progetto definitivo l'autorità amministrativa manifesti la consapevolezza del susseguirsi dei provvedimenti e li ritenga compatibili con le risultanze della valutazione di impatto ambientale e, ciò, al fine di consentire in sede giurisdizionale il sindacato di legittimità sulla ragionevolezza di tali determinazioni e di quella che esclude la rinnovazione della medesima valutazione (Cons. St., sez. VI, 12.05.2006, n. 2694; id., sez. IV, 11.04.2007, n. 1649) (TAR Toscana, Sez. I, sentenza 27.05.2019 n. 789 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrartiva.it).
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1.8 Ciò premesso è possibile esaminare le argomentazioni proposte, anticipando sin d’ora come sia da accogliere il quarto, l’ottavo e il dodicesimo motivo.
1.9 Con dette censure le parti ricorrenti sostengono che il decreto VIA n. 377/2017, avente ad oggetto il Master Plan 2014-2029 dell’aeroporto di Firenze, sarebbe illegittimo in quanto subordinato a prescrizioni in gran parte prive di contenuto precettivo che, di fatto, avrebbero l’effetto di posticipare valutazioni che, invece, avrebbero dovuto essere eseguite prima della conclusione del procedimento di VIA.
2. Al contrario le Amministrazioni resistenti sostengono che l’aver imposto delle prescrizioni non comporterebbe un rinvio delle valutazioni di compatibilità ambientale che, in realtà, sarebbero state effettuate nell’ambito del procedimento in questione.
Le condizioni apposte sarebbero dirette esclusivamente a effettuare alcuni approfondimenti al fine di individuare le migliori modalità esecutive.
A parere delle Amministrazioni sopra citate la circostanza che procedimento VIA sia giunto a conclusione nella vigenza del d.lgs. 104/2017, consentirebbe l’applicazione di detta nuova disciplina, laddove prevede che gli elaborati progettuali siano predisposti con un livello informativo e di dettaglio equivalente a quello del progetto di fattibilità, non richiedendo così un grado di specificazione pari al progetto esecutivo di cui all’art. 93, comma 6, del d.lgs. 163/2006.
2.1 L’ottemperanza alle condizioni, inoltre, è stata verificata dall’apposito Osservatorio costituito dal Ministero dell’Ambiente che, a sua volta, ha confermato le valutazioni alle quali era giunto il decreto 377/2018.
2.2 Come si andrà a dimostrare
è dirimente constatare che il progetto sottoposto a VIA non conteneva quel grado di dettaglio minimo e sufficiente affinché il Ministero dell’Ambiente addivenisse ad una corretta valutazione di compatibilità ambientale, non essendosi individuati compiutamente le opere da realizzare.
2.3 Il progetto presentato dall’Enac consiste in un “Masterplan Aeroportuale”, documento che il Ministero dell’Ambiente ha ritenuto assimilabile ad un “progetto definitivo”, consentendo la sua sottoposizione alla procedura di compatibilità ambientale.
2.4 L’esame della documentazione in atti consente inoltre di evincere come si sia in presenza di opere di considerevole impatto ambientale che implicano, tra l’altro, lo spostamento di un tratto del Fosso Reale, il sotto-attraversamento dell’Autostrada A11; la riorganizzazione dello svincolo della A11 per Sesto Fiorentino e Osmannoro e la ricollocazione del bacino denominato “Lago di Peretola” e di alcuni bacini del sito “La Querciola”, oltre alla delocalizzazione di parte dei “boschi della piana”.
2.5 L’incidenza della realizzazione di dette opere sul sistema ambientale risulta evidente laddove si consideri che l’area di compensazione di “Mollaia” consiste nella “creazione di un sistema di nuovi ambienti ad acquitrino e bosco idrofilo, mentre l’area di compensazione di Santa Croce concerne la sostituzione del Lago di Peretola, prevedendo l’interramento di quest’ultimo e la creazione ex novo di un’area umida di circa 9,7 ettari con trasferimento della fauna e della vegetazione.
2.6 Tali considerazioni risultano paradossalmente rafforzate dall’esame della documentazione depositata nel corso del giudizio e riferita al procedimento di localizzazione delle opere di pubbliche di interesse statale, in relazione al quale è stata convocata la conferenza di servizi ai sensi dell’art. 3, comma 1, del Dpr 383/1994.
2.7 Nel prosieguo del procedimento sono intervenute una serie di variazioni e integrazioni rispetto agli atti in possesso del Ministero dell’Ambiente nel momento in cui è stato adottato il giudizio di compatibilità ambientale.
2.8 E’ stata, infatti, dettagliata la realizzazione delle opere idrauliche esterne all’area di sedime aeroportuale comprendenti, tra le altre, l’opera di deviazione del Fosso Reale, l’attraversamento dell’Autostrada A11, la realizzazione delle casse di espansione (aree di laminazione) e le opere di compensazione ambientale funzionali alla mitigazione dell’impatto sui siti protetti.
In particolare per quanto concerne le opere idrauliche va evidenziato che la documentazione progettuale originariamente prodotta in sede di VIA non conteneva l’indicazione delle relazioni geologiche, sismiche ed idrologiche, nonché le verifiche geotecniche.
2.9 La documentazione presentata nell’ambito del procedimento urbanistico conferma come in sede di VIA sia stato presentato un progetto parziale e comunque insufficiente a consentire una compiuta valutazione degli impatti ambientali, essendosi rinviato detto giudizio alle fasi progettuali successive, devolvendo le attività di verifica della corretta esecuzione delle prescrizioni al costituendo Osservatorio Ambientale.
3. L’assenza dell’esperimento di una corretta fase istruttoria risulta dimostrata dal fatto che il decreto sopra citato contiene un numero di prescrizioni (pari a circa 70) che, per le loro caratteristiche, hanno l’effetto di condizionare la valutazione di compatibilità ambientale contenuta nel provvedimento impugnato.
3.1 In particolare dalle prescrizioni contenute nel decreto 377/2018 è possibile desumere che è stato rinviato alla fase esecutiva lo studio riferito agli scenari probabilistici del rischio di incidente aereo (prescrizione n. 3) e la stima del rischio di incidente rilevante con strutture soggette alla Direttiva Seveso, presenti sulle direttrici di atterraggio e decollo (prescrizione n. 4); la verifica della conformità delle nuove aree di laminazione previste dal SIA (prescrizione n. 28); l’individuazione di una soluzione progettuale che consenta di realizzare il sotto attraversamento dell’autostrada A11 da parte del nuovo corso del Fosso Reale (prescrizione n. 29); è stata posticipata l’individuazione delle soluzioni a tutte le interferenze della nuova pista con l’assetto idraulico e con le infrastrutture stradali della zona interessata dal progetto (prescrizione n. 33); è stata rinviata l’individuazione delle soluzioni per risolvere l’interferenza tra la pista e la già programmata cassa di laminazione del PUE di Castello, nonché di quella già prevista dal Comune di Sesto Fiorentino sul Canale di Cinta Orientale per la messa in sicurezza del Polo Universitario di Sesto Fiorentino (prescrizione n. 34); non è stata posta in essere la progettazione esecutiva e l’analisi del rischio di bird strike (prescrizione n. 46), così come la redazione di un progetto di massima degli ambienti umidi previsti a compensazione della distruzione delle aree naturali, di cui al punto precedente (prescrizione n. 49).
3.2 La prescrizione n. 29 prevede che “il proponente in sede di progettazione esecutiva dovrà correttamente sviluppare la soluzione di attraversamento dell’autostrada A11 presentata nel SIA (e documentazione integrativa) risolvendo la problematica tecnica evidenziata nel parere del Genio Civile di Bacino Arno Toscana del 19.10.2015”.
3.1 Particolarmente incidenti sono le opere previste nelle prescrizioni n. 28, 30 e 33, laddove si rinvia alla fase di progettazione esecutiva la verifica dell’adeguatezza delle nuove aree di laminazione.
3.2 Tra le prescrizioni suscettibili di incidere maggiormente sulla valutazione di compatibilità ambientale vanno annoverate le opere da realizzare e relative all’assetto idrologico-idraulico della Piana fiorentina (in questo senso si veda l’ottavo motivo del ricorso).
3.3 Analogamente con la prescrizione n. 46 (dodicesimo motivo) viene integralmente rimandata alla fase di progettazione esecutiva l’analisi del rischio di “bird strike”, fattispecie quest’ultima in relazione alla quale, peraltro, si era già pronunciato questo Tribunale.
La sentenza 1310/2016 aveva avuto modo di chiarire la necessità di una preventiva realizzazione di detto studio, disponendo che “la localizzazione della pista di volo può di per sé porre un problema di intercettazione dei volatili. Il rischio di bird strike attiene infatti all’ubicazione dell’aeroporto, e quindi la sua valutazione si rende necessaria già al momento della scelta di piano. Non si tratta, cioè, di impatto sull’ambiente evidenziabile solo in sede di predisposizione del progetto, ovvero in fase di VIA, essendo già evincibile al momento della localizzazione dell’opera la possibilità o meno di intercettazione di passaggi dell’avifauna, sia in relazione ai percorsi migratori, sia in relazione alla vicinanza di aree alberate o di corsi d’acqua, che notoriamente attraggono gli uccelli”.
3.4 In questo senso è anche la prescrizione A3 “rischio di incidente aereo”, laddove si richiede la predisposizione di uno studio “riferito agli scenari probabilistici sul rischio di incidenti aerei”, finalizzato a “descrivere e quantificare i rischi per la salute umana e l’ambiente derivanti dalla vulnerabilità aeroportuale a gravi incidenti”.
3.5 Ciò premesso è evidente che il “progetto esecutivo” sia, di per sé, deputato ad introdurre solo le specifiche, i dettagli e le modalità delle lavorazioni da svolgere, non potendo costituire il momento in cui effettuare “scelte progettuali” o nuove “valutazioni” circa gli impatti dell’opera sulle componenti ambientali o in merito i rischi derivanti dall’esecuzione del progetto (si vedano ad esempio le prescrizioni nn. 3, 4, 29, 33 34, 46, 48 e 49).
3.6 L’art. 25, comma 4, del d.lgs. 152/2006 prevede l’ammissibilità di prescrizioni che sono espressamente qualificate come condizioni per la realizzazione, l'esercizio e la dismissione del progetto, nonché quelle condizioni dirette ad evitare, prevenire, ridurre e, se possibile, compensare gli impatti ambientali significativi e negativi.
3.7 Si tratta di prescrizioni, quindi, eventuali e accessorie, che si pongono a valle di un progetto comunque definito e compiuto, quanto meno in tutti quegli elementi indispensabili per effettuare un giudizio sull’impatto delle opere rispetto all’ambiente circostante.
3.8 Ne consegue che le opere e gli interventi da realizzare non possono che avere un carattere “accessorio” rispetto al giudizio di compatibilità, attenendo alla fase di esecuzione del progetto e non riguardare aspetti che dovevano essere valutati e risolti in sede di VIA.
3.9
E’, infatti, noto che la valutazione di impatto ambientale ha il fine di sensibilizzare l'autorità decidente, attraverso l'apporto di elementi tecnico-scientifici idonei ad evidenziare le ricadute sull'ambiente derivanti dalla realizzazione di una determinata opera, a salvaguardia dell'habitat.
Tale valutazione non può che implicare una complessiva ed approfondita analisi di tutti gli elementi incidenti sull'ambiente del progetto unitariamente considerato, per valutare in concreto il sacrificio imposto all'ambiente rispetto all'utilità socio-economica perseguita (Cons. di Stato Sez. V, sentenza n. 3000 del 06/07/2016; Cons. di Stato Sez. IV, sentenza n. 1225 del 24/03/2016).
4. Ulteriori pronunce hanno poi, confermato
la necessità di una nuova valutazione tutte le volte che la progettazione esecutiva comporti importanti variazioni all'opera già esaminata, tali da alterarne le caratteristiche.
In tali casi, è necessario che in sede di approvazione del progetto definitivo l'autorità amministrativa manifesti la consapevolezza del susseguirsi dei provvedimenti e li ritenga compatibili con le risultanze della valutazione di impatto ambientale e, ciò, al fine di consentire in sede giurisdizionale il sindacato di legittimità sulla ragionevolezza di tali determinazioni e di quella che esclude la rinnovazione della medesima valutazione (Cons. di Stato Sez. VI, sentenza n. 2694 del 12/05/2006 e Cons. Stato Sez. IV, 11/04/2007, n. 1649).
4.1
Nel caso di autorizzazione per la costruzione di un'opera, la violazione delle prescrizioni vincolanti dettate in sede di VIA, tali da dare vita ad un'opera da ritenersi sostanzialmente differente da quella autorizzata, si deve ritenere di per sé idonea ad inficiare irrimediabilmente la procedura (Cons. Stato Sez. VI Sent., 03/10/2007, n. 5105).
4.2
E’ evidente che la maggior parte delle opere sopra citate risultano “rilevanti” e astrattamente idonee ad alterare l’ambiente e, ciò, con l’effetto che le scelte da operare in sede esecutiva sono in realtà suscettibili di incidere sulla valutazione di idoneità ambientale già posta in essere.
4.3 Come si è avuto modo di anticipare le prescrizioni di cui si tratta si riferiscono allo spostamento di un fiume, alla necessità di reperire volumi di compensazione idrauliche delle aree agricole, opere queste ultime la cui necessità era stata rilevata anche dal Piano di Bonifica, evidenziando che gli interventi di cui si tratta ricadono in aree classificate a pericolosità idraulica media ed elevata.
4.4 Si consideri, peraltro, che la verifica dell'ottemperanza a dette condizioni non è stata demandata ai due Ministeri che hanno emesso il provvedimento di VIA, bensì ad un organismo a composizione mista dove è presente (con diritto di voto) lo stesso proponente ENAC (e senza diritto di voto) la società Toscana Aeroporti (e quindi il soggetto che gestisce l’aeroporto), mentre è stata esclusa dall'Osservatorio la presenza di ogni rappresentante dei Comuni ricorrenti, circostanza che ha impedito a questi ultimi di presentare specifici rilievi una volta approvati i progetti esecutivi.
4.5 Detta modalità di procedere contrasta con la finalità primaria del procedimento di VIA, diretta com’è a dare concreta applicazione ai fondamentali principi di precauzione e prevenzione del diritto dell’ambiente.
4.6
E’ il complessivo tenore delle prescrizioni che dimostra come la valutazione di compatibilità ambientale sia stata posta in essere prescindendo dall’esame dell’impatto che le nuove opere potrebbero avere sull’ambiente, in un contesto nel quale le azioni da compiere non sono sufficientemente definite e che, pertanto, richiedono inevitabilmente nuove valutazioni conseguenti all’esame istruttorio ancora da svolgere.
5.8 Al contrario
lo scopo delle prescrizioni è quello di individuare le condizioni più idonee per meglio garantire la compatibilità ambientale, funzione quest’ultima che presuppone un avvenuta valutazione positiva dell’opera circa l’incidenza di quest’ultima sugli elementi naturalistici del territorio.
5.9
Il concetto di valutazione di impatto ambientale implica, allora, che le opere da valutare siano state preventivamente definite (quanto meno nelle linee essenziali), risultando comunque possibile valutare l’incidenza di queste ultime sugli elementi naturalistici del territorio.
6.
Nell’ambito della VIA la definizione del grado di modifica dell’ambiente (se in misura più o meno penetrante) non può che essere essenziale, in quanto consente di valutare se le alterazioni conseguenti alla realizzazione delle opere possano ritenersi "accettabili" alla stregua di un giudizio comparativo che tenga conto, da un lato, della necessità di salvaguardare preminenti valori ambientali, dall'altro, dell'interesse pubblico sotteso all'esecuzione dell'opera, potendo gli organi amministrativi preposti al procedimento di v.i.a. dettare prescrizioni e condizioni per meglio garantire la compatibilità ambientale dell'opera progettata (TAR Lombardia Milano Sez. III Sent., 08/03/2013, n. 627).
6.1
Al contrario se le opere da realizzare non sono state compiutamente definite è la stessa valutazione di compatibilità ambientale a risultare parziale, non essendo stato possibile verificare in che misura l’ambiente ne risulterebbe modificato.
6.2 Anche questo Tribunale (TAR Toscana, Sez. II, 23.12.2010, n. 6867), ha avuto modo di affermare che
la valutazione di compatibilità ambientale non può avere natura condizionata se le prescrizioni a cui è subordinata non possiedono un reale contenuto precettivo, recando per contro indicazioni meramente orientative ipotetiche, e, in ogni caso, non può trattarsi di indicazioni la cui concreta realizzabilità non sia stata preventivamente verificata.
6.3
Ne consegue che la previsione di un numero così elevato di prescrizioni, ma soprattutto il carattere e il tenore di queste ultime, dimostra inevitabilmente il difetto di istruttoria in cui è incorsa l’Amministrazione, che è stata obbligata a posticipare la valutazione dei relativi impatti ambientali.
6.4 Le censure sopra citate sono, pertanto, fondate.
La circostanza che il procedimento di valutazione della compatibilità urbanistica è tutt’ora in corso e che verrà posto in essere nell’applicazione del diverso procedimento di cui all'art. 81 del DPR n. 616/1977 - analogamente al fatto che la pronuncia di questo Tribunale relativa al PIT e al procedimento di VAS è al vaglio del Consiglio di Stato in sede di appello, suggerisce di assorbire le ulteriori deduzioni proposte.
6.5 Il ricorso è, pertanto, fondato e va accolto, con conseguente annullamento nei limiti della parte motiva dei provvedimenti in epigrafe indicati.

URBANISTICA: VIA per un piano attuativo.
L’allegato IV (punto 7.b) al d.lgs. 152 del 2006 (richiamato dalla previsione di cui all’articolo 6, comma 7, del medesimo articolato normativo) impone di assoggettare a V.I.A. i “progetti di riassetto o sviluppo di aree urbane all’interno di aree urbane esistenti che interessano superfici superiori a 10 ettari”; in tale ipotesi la competenza spetta alla Regione, come conferma la previsione di cui all’allegato C (punto 7.b.1.) della l.r. 5 del 2010.
Non rileva la circostanza che le aree del soggetto attuatore abbiano superficie inferiore ai 10 ettari, atteso che ciò che va verificato è la superficie dell’intero piano (fattispecie relativa a piano attuativo di riqualificazione urbanistica in ambito industriale/terziario)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 26.04.2019 n. 933 - commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
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MASSIMA
... per l'annullamento:
A) Per quanto riguarda il ricorso introduttivo:
   a) della deliberazione della Giunta comunale di Olgiate Olona (VA) n. 93 del 26.05.2017 recante “Adozione piano attuativo Ch.It.”;
   b) della deliberazione della Giunta comunale di Olgiate Olona (VA) n. 125 del 20.07.2017 recante “Esame osservazioni ed approvazione P.A. Ch.It.”;
   c) della relazione sulle osservazioni pervenute redatta dal Responsabile del Settore Territorio in data 14.07.2017;
...
1. L’associazione “Comitato ValleOlonaRespira”, in persona del legale rappresentante pro tempore, e i signori Gi.Ga. e Da.Ra. adiscono questo Tribunale chiedendo l’annullamento:
   a) della deliberazione della Giunta comunale di Olgiate Olona n. 93 del 26.05.2017 recante “Adozione piano attuativo Ch.It.”;
   b) della deliberazione della Giunta comunale di Olgiate Olona (VA) n. 125 del 20.07.2017 recante “Esame osservazioni ed approvazione P.A. Ch.It.”;
   c) della relazione sulle osservazioni pervenute redatta dal Responsabile del Settore Territorio in data 14.07.2017;
   d) nonché di ogni altro atto presupposto, consequenziale e comunque connesso.
2. In punto di fatto, i ricorrenti deducono che:
   a) “a cavaliere del territorio dei Comuni di Olgiate Olona (VA) e Castellanza (VA) sorge un imponente compendio immobiliare comunemente denominato Polo Chimico “ex Montedison” della superficie di mq 260.390, di cui mq 151.353 ricompresi nel perimetro del territorio del Comune di Ogliate Olona e mq 109.037 in Comune di Castellanza”;
   b) l’attività industriale nel settore della chimica all’interno del Polo “ex Montedison” è ormai quasi totalmente dismessa e, per tale motivo, i P.G.T. dei comuni di Olgiate Olona e Castellanza prevedono, per le parti di rispettiva competenza, destinazione sostanzialmente produttiva e terziaria delle aree, soggetta a piano attuativo disciplinato dalle Norme di Attuazione del Piano delle Regole;
   c) lo strumento urbanistico del comune di Olgiate Olona colloca l’area “ex Montedison” nell’ambito D2, regolato dall’articolo 19 delle Norme di Attuazione del Piano delle Regole a mente del quale è consentito l’intervento “attraverso piano esecutivo convenzionato con possibilità di Unità Minime di Intervento secondo quanto previsto dal precedente art. 5, con esclusione degli interventi manutentivi” (e comprensivi quindi di frazionamenti di edifici o di proprietà esistenti con o senza opere edilizie, ristrutturazione edilizia, ampliamento e sopralzo, demolizione con ricostruzione, nuova costruzione);
   d) l’articolo 5 delle N.d.A. stabilisce che, “al fine di favorire l’attuazione del Piano di Governo del Territorio gli strumenti di pianificazione attuativa relativi agli ambiti D2, possono essere attuati, su parere favorevole dell’Amministrazione Comunale, anche per Unità Minime di Intervento (UMI)”, rappresentate da aree, inserite all’interno dei perimetri come sopra definiti, facenti capo ad un’unica proprietà;
   e) la previsione impone, inoltre, la presentazione del Piano attuativo da parte della maggioranza assoluta dei proprietari, “corredato da un progetto planivolumetrico di massima riferito all’intera area perimetrata nelle tavole di P.G.T., definito nelle sue componenti tipologiche e di destinazione d’uso, con indicazione delle sagome di ingombro e coperture dei singoli edifici”; inoltre, si impone al progetto di individuare la viabilità interna, le aree di uso pubblico, le aree da cedere in proprietà al Comune nonché le opere di sistemazione delle aree libere;
  f) con deliberazione del Consiglio comunale n. 37 del 25.09.2014, il comune di Olgiate Olona approva un protocollo di intesa con il comune di Castellanza per il coordinamento delle iniziative urbanistiche riguardanti l’area del Polo Chimico “
ex Montedison”, finalizzato a dotare l’area in questione di un “piano di riqualificazione urbanistica unitario, non parcellizzato, giusta le rilevanti problematiche di interesse per entrambi i Comuni contermini”;
   g) la porzione di area sita nel comune di Olgiate Olona (pari mq 151.353) è suddivisa in quattro distinte proprietà di cui mq. 98.318 di titolarità di Ch.It. s.r.l., mq 26.641 di Pe. s.p.a., mq 24.083 di Ce. s.r.l., e mq 118 di Yu.Im. S.r.l.;
   h) la sola Ch.It. si attiva per attuare il P.A. previsto dal P.d.R. del P.G.T. proponendo all’Amministrazione comunale di Olgiate Olona due diverse istanze di adozione che vengono, tuttavia, rigettate;
   i) con successiva deliberazione di Giunta comunale n. 93 del 26.05.2017 l’Amministrazione adotta il piano attuativo “Ch.It.” e contestualmente ne dispone il deposito presso gli Uffici comunali per consentire la proposizione di osservazioni ed opposizioni;
   l) presentano osservazioni il Comitato ricorrente ed alcuni cittadini;
   m) l’Amministrazione comunale delibera di approvare definitivamente il piano adottato sulla scorta della relazione di controdeduzioni redatta dal Responsabile del Settore Territorio.
3. I ricorrenti, premessa la loro legittimazione processuale, articolano nove motivi di ricorso.
...
3.3. Con il terzo motivo i ricorrenti lamentano la violazione del combinato disposto degli articoli 6, comma 7, del d.lgs. 152/2006 e del relativo allegato IV che impone la verifica di V.I.A. per i “progetti di riassetto o sviluppo di aree urbane all’interno di aree urbane esistenti che interessano superfici superiori a 10 ettari”.
Osservano che il Piano attuativo impegni 147.394,31 mq di terreno, ridisegnando completamente la fisionomia del Polo Chimico “ex Montedison” nella porzione in cui ricade nel comune di Olgiate Olona. Inoltre, osservano coma la normativa in materia di V.I.A. risulta violata anche in relazione ai parcheggi atteso che l’allegato B della L.r. 5 del 2010 impone, al punto 7.b5), l’assoggettamento a V.I.A. dei progetti che prevedono la realizzazione di parcheggi ad uso pubblico con capacità superiore a 550 posti auto.
Nel caso in esame, lo stato di progetto del piano attuativo prevede la realizzazione di 1.451 posti auto ed ulteriori 668 posti auto compresi nelle aree a standard di progetto.
3.4. Con il quarto motivo i ricorrenti lamentano la mancata verifica dell’incidenza paesistica del piano, necessaria in considerazione della portata ed estensione dello stesso.
...
3.7. Con il settimo motivo i ricorrenti lamentano la violazione dell’articolo 2 del d.lgs. 30.04.1992, n. 258 e del D.M. 05.11.2001, n. 6792 (recante “Norme funzionali e geometriche per la costruzione delle strade”) in relazione all’intervento di risistemazione della via Morelli, ritenuto non conforme alla regole indicate.
...
12. Affermata la legittimazione dell’associazione ricorrente, può procedersi ad esaminare il merito del ricorso.
12.1. Ritiene il Collegio di incentrare la disamina sulla prima parte del terzo motivo con il quale il Comitato lamenta la violazione del combinato disposto degli articoli 6, comma 7, del d.lgs. 152/2006 e del relativo allegato IV che impone la verifica di V.I.A. per i “progetti di riassetto o sviluppo di aree urbane all’interno di aree urbane esistenti che interessano superfici superiori a 10 ettari”. Osserva che il Piano attuativo impegna 147.394,31 mq di terreno, ridisegnando completamente la fisionomia del Polo Chimico “ex Montedison” nella porzione in cui ricade nel comune di Olgiate Olona.
12.2. Il motivo è fondato.
12.3.
L’allegato IV (punto 7.b) al d.lgs. 152 del 2006 (richiamato dalla previsione di cui all’articolo 6, comma 7, del medesimo articolato normativo) impone di assoggettare a V.I.A. i “progetti di riassetto o sviluppo di aree urbane all’interno di aree urbane esistenti che interessano superfici superiori a 10 ettari”. In tale ipotesi la competenza spetta alla Regione, come conferma la previsione di cui all’allegato C (punto 7.b.1.) della L.r. 5 del 2010.
12.4. Nelle memorie conclusive il comune di Olgiate Olona e la controinteressata deducono la non operatività delle previsione affermando che “il soggetto attuatore è Ch.It. e le aree di proprietà che compongono il Piano Attuativo sono pari a mq. 93.977,61”, rinviando, sul punto alle tavole 4 e 8 allegate al Piano e notando come la circostanza risulti comprovata dalla previsioni di cui all’articolo 1 del Piano. La sommatoria delle aree indicate di proprietà Ch.It. è, infatti, pari alla cifra indicata con conseguente non applicazione delle previsioni richiamate.
12.5. Osserva il Collegio che nella tavola 1 si inserisce il rilievo aerofotogrammetrico del Piano che consente di apprezzarne l’estensione. La successiva tavola 2 indica il perimetro di piano che è riportato anche nella tavola 3 con indicazione dell’estensione della varie proprietà interessate.
In particolare, si legge in tale documento che l’area di Ch.It. s.r.l. inserita nel perimetro di piano è pari a 93.318 mq; tuttavia, si indicano come interne al Piano le aree di Pe. s.p.a. (per un’estensione pari a 26.641 mq), nonché di Ce. s.r.l. (per un’estensione pari a 24.083 mq), e di Yu.Im. s.r.l. (per un’estensione pari a 118 mq).
La sommatoria delle aree interne al Piano è indicata in mq 149.160. Del pari la tavola 4 a cui rinviano il Comune e la controinteressata disegna il perimetro di piano (indicata mediante tratto discontinuo) all’interno del quale compaiono tutte le aree sopra indicate. La ricomprensione di tale aree emerge anche dalla successiva tavola 5 ove si indicano gli edifici da mantenere e da demolizione, tra cui alcuni collocati su aree di proprietà di Ce. s.r.l. e Pe. s.p.a..
Ancora, la verifica della superficie coperta e della s.l.p. è eseguita su tutte le aree esaminate (cfr., tavola 8.2 ove si indica che la superficie fondiaria totale è pari a 147.394,31). E ancora le tavole 10.2. e 11.2. effettuano, rispettivamente, una verifica dei posti auto e delle aree a standard su tutte le proprietà indicate.
12.6. In tale contesto fattuale, non rileva la circostanza che il soggetto attuatore sia Ch.It. s.r.l.
Ciò che va verificato è, infatti, la superficie del Piano che, nel caso di specie, supera il dato normativo previsto. Lo conferma la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea che impone di far riferimento alla superficie, che, come spiegato, supera il limite normativo e, quindi, impone l’assoggettamento a V.I.A. dell’area (cfr. C.G.U.E., sez. III, 21.12.2016, in C-444/15).
Né risulta fondato sostenere che l’estensione del piano debba essere circoscritta alla sola proprietà Ch.It. s.r.l. in ragione della previsione sulle U.M.I di cui all’articolo 5 delle N.d.A. del P.G.T..
Prevede tale disposizione che, “al fine di favorire l’attuazione del Piano di Governo del Territorio gli strumenti di pianificazione attuativa relativi agli ambiti D2, possono essere attuati, su parere favorevole dell’Amministrazione Comunale, anche per Unità Minime di Intervento”, rappresentate da “da aree, inserite all’interno dei perimetri come sopra definiti, facenti capo ad un’unica proprietà”.
In tale ipotesi, il P.A. deve essere presentato da almeno la “maggioranza assoluta dei proprietari, assumendo valore di pianificazione attuativa limitatamente all’UMI individuata in sede di presentazione”. A tale scopo “il Piano, oltre agli elaborati di legge sopra descritti riferiti alla UMI, dovrà essere corredato da un progetto planivolumetrico di massima riferito all’intera area perimetrata nelle tavole di P.G.T., definito nelle sue componenti tipologiche e di destinazione d’uso, con indicazione delle sagome di ingombro e coperture dei singoli edifici; il progetto dovrà altresì individuare la viabilità interna, le aree di uso pubblico, le aree da cedere in proprietà al Comune nonché le opere di sistemazione delle aree libere”.
Sostiene il comune di Olgiate Olona che le tavole allegate dai numeri 5 a 11 assumerebbero un mero valore indicativo. Tuttavia, una simile prospettazione risulta contradditoria rispetto a quanto argomentato dal Comune nella memoria difensiva del 22.11.2017 ove si afferma “che quanto ad obblighi previsti in convenzione [gli altri proprietari] dovranno adeguarsi per una visione unitaria dell'intervento”.
In tal modo, si riconosce, invero, agli obblighi imposti la valenza di pianificazione. In ogni caso,
la possibilità di prevedere unità minime di intervento non risulta, in alcun modo, idonea a deflettere dal generale principio affermato dalla giurisprudenza interna ed eurounitaria che afferma la valenza sostanziale della V.I.A. che, come tale, implica “la complessiva e approfondita analisi comparativa di tutti gli elementi incidenti sull'ambiente del progetto unitariamente considerato, al fine di valutare in concreto -alla luce delle alternative possibili e dei riflessi della stessa c.d. "opzione zero"- il sacrificio imposto all'ambiente rispetto all'utilità socioeconomica perseguita (cfr., ex multis, Consiglio di Stato, sez. IV, 28.02.2018, n. 1230).
Ne consegue che la possibilità di sviluppo del P.A. mediante singole unità non può, ovviamente, comportare la non applicazione della normativa V.I.A. in ragione dell’intero perimetro del Piano. Tanto più che, nel caso di specie gli interventi indicati contemplano (seppur in parte; cfr., tavola 5 delle demolizioni) le altre aree e, pertanto, non può ritenersi che le tavole abbiano mera valenza indicativa.
12.7. In definitiva, la prima parte del terzo motivo di ricorso deve essere accolto con annullamento degli atti impugnati. L’accoglimento di tale motivo consente al Collegio di assorbire gli ulteriori motivi di ricorso stante l’integrale realizzazione dell’interesse fatto valere dall’Associazione Comitato “ValleOlonaRespira” e la portata integralmente demolitoria dell’annullamento disposto.
13. In definitiva:
   a) deve dichiararsi estinto per rituale rinuncia ex articolo 35, comma 2, lettera c), il giudizio tra i signori Da.Ra. e Gi.Ga. e la controinteressata Ch.It. s.r.l.;
   b) deve dichiararsi improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse ex articolo 35, comma 1, lettera c), il ricorso dei signori Da.Ra. e Gi.Ga. contro il comune di Olgiate Olona;
   c) deve dichiararsi improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse ex articolo 35, comma 1, lettera c), la domanda riconvenzionale della Ch.It. s.r.l. nei confronti dei signori Da.Ra. e Gi.Ga. e dell’Associazione Comitato “ValleOlonarespira”;
   d) deve accogliersi il ricorso dell’Associazione Comitato “ValleOlonarespira” nei sensi e nei limiti indicati in motivazione.

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI - URBANISTICA: Modifiche che comportano la necessità di una nuova effettuazione della VIA.
La necessità di rinnovazione della VIA o della verifica di assoggettabilità a VIA sorge solo nel caso di modifiche che comportino la realizzazione di un'opera radicalmente diversa da quella già esaminata, che comporti il peggioramento dell'impatto dell'opera stessa sull'ambiente.
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nel rendere il giudizio di valutazione di impatto ambientale e nell'effettuare la verifica preliminare, l'amministrazione esercita un'amplissima discrezionalità che, si badi bene, non ha solo natura tecnica ma ha anche natura amministrativa dovendo la stessa amministrazione effettuare l'apprezzamento degli interessi pubblici in rilievo e la loro ponderazione rispetto all'interesse all'esecuzione dell'opera.
Questa attività di apprezzamento e bilanciamento dei contrapposti interessi è sindacabile dal giudice amministrativo soltanto in ipotesi di manifesta illogicità o travisamento dei fatti, nel caso in cui l'istruttoria sia mancata o sia stata svolta in modo inadeguato, e sia perciò evidente lo sconfinamento del potere discrezionale.
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24. Per quanto riguarda invece la ritenuta necessità di procedere ad una nuova verifica di assoggettabilità a VIA, si deve osservare che, in base all’art. 24, comma 9-bis, del d.lgs. n. 152 del 2006, solo le modifiche sostanziali comportano la necessità di una nuova effettuazione della valutazione. L’ art. 5, primo comma, lett. l-bis), del d.lgs. n. 152 del 2006 stabilisce poi che si ha modifica sostanziale di un progetto, opera o impianto solo nel caso in cui la variazione sia tale da incidere in maniera significativa e negativa sull'ambiente o sulla salute umana.
25. Applicando queste norme, la giurisprudenza ha chiarito che la necessità di rinnovazione della VIA o della verifica di assoggettabilità a VIA sorge solo nel caso di modifiche che comportino la realizzazione di un'opera radicalmente diversa da quella già esaminata, che comporti il peggioramento dell'impatto dell'opera stessa sull'ambiente (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 26.10.2010, n. 1142; id., sez. VI, 04.04.2008 n. 1414; TAR Lazio Roma, sez. I, 15.07.2013, n. 6997).
...
28. Si possono ora affrontare le specifiche questioni sollevate nel primo motivo nel quale, come visto, si evidenzia che l’Amministrazione avrebbe effettuato valutazioni non adeguate con riferimento all’impatto del traffico veicolare, ed avrebbe adottato il provvedimento finale positivo discostandosi dai pareri espressi da ARPA e dal Comune ricorrente e non attendendo il parere richiesto al Ministero dell’Ambiente.
29. A questo proposito, si osserva preliminarmente che, nel rendere il giudizio di valutazione di impatto ambientale e nell'effettuare la verifica preliminare, l'amministrazione esercita un'amplissima discrezionalità che, si badi bene, non ha solo natura tecnica ma ha anche natura amministrativa dovendo la stessa amministrazione effettuare l'apprezzamento degli interessi pubblici in rilievo e la loro ponderazione rispetto all'interesse all'esecuzione dell'opera. Questa attività di apprezzamento e bilanciamento dei contrapposti interessi è sindacabile dal giudice amministrativo soltanto in ipotesi di manifesta illogicità o travisamento dei fatti, nel caso in cui l'istruttoria sia mancata o sia stata svolta in modo inadeguato, e sia perciò evidente lo sconfinamento del potere discrezionale (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 28.02.2018, n. 1240; id., 27.03.2017, n. 1392; TAR Lazio Roma, sez. II, 26.11.2018, n. 11460)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. III, sentenza 17.04.2019 n. 861 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

2018

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI - URBANISTICA: VIA, VAS E AIA - Valutazione di impatto ambientale - Complessiva e approfondita analisi comparativa di tutti gli elementi incidenti sull’ambiente - Fattispecie: Attività di prospezione geofisica attraverso la tecnologia cd. “air-gun”.
La valutazione di impatto ambientale non concerne una mera e generica verifica di natura tecnica circa l'astratta compatibilità ambientale dell'opera, ma deve implicare la complessiva e approfondita analisi comparativa di tutti gli elementi incidenti sull'ambiente del progetto unitariamente considerato, al fine di valutare in concreto -alla luce delle alternative possibili e dei riflessi della stessa c.d. "opzione zero"- il sacrificio imposto all'ambiente rispetto all'utilità socioeconomica perseguita (cfr. Cons. Stato, sez. V, 06.07.2016, n. 3000; id., 31.05.2012 n. 3254).
VIA, VAS E AIA - Profili di discrezionalità amministrativa - Valutazione di legittimità giudiziale - Limiti.
E’ stato chiarito che nel rendere il giudizio di valutazione di impatto ambientale, l’amministrazione esercita una amplissima discrezionalità che non si esaurisce in un mero giudizio tecnico, in quanto tale suscettibile di verificazione tout court sulla base di oggettivi criteri di misurazione, ma presenta al contempo profili particolarmente intensi di discrezionalità amministrativa e istituzionale in relazione all’apprezzamento degli interessi pubblici e privati coinvolti; la natura schiettamente discrezionale della decisione finale risente dunque dei suoi presupposti sia sul versante tecnico che amministrativo (cfr., Cons. St., sez. II, 02.10.2014, n. 3938; sez. IV, 09.01.2014, n. 36; sez. IV, 17.09.2013, n. 4611 sez. VI, 13.06.2011, n. 3561; Corte giust., 25.07.2008, c-142/07; Corte cost., 07.11.2007, n. 367).
In ragione di tali particolari profili che caratterizzano il giudizio di valutazione di impatto ambientale, la relativa valutazione di legittimità giudiziale deve essere limitata ad evidenziare la sussistenza di vizi rilevabili ictu oculi, a causa della loro abnormità, irragionevolezza, contraddittorietà e superficialità.
VIA, VAS E AIA - Principio di precauzione - Esistenza di un rischio specifico - Attività foriere di rischi per la salute delle persone e per l’ambiente - Seria e prudenziale valutazione - Attuale stato delle conoscenze scientifiche disponibili - Giudizio scientificamente attendibile.
Il principio di precauzione, i cui tratti giuridici si individuano lungo un percorso esegetico fondato sul binomio analisi dei rischi-carattere necessario delle misure adottate, presuppone l'esistenza di un rischio specifico all'esito di una valutazione quanto più possibile completa, condotta alla luce dei dati disponibili che risultino maggiormente affidabili e che deve concludersi con un giudizio di stretta necessità della misura; non può legittimare un'interpretazione delle disposizioni normative, tecniche ed amministrative vigenti in un dato settore che ne dilati il senso fino a ricomprendervi vicende non significativamente pregiudizievoli; non conduce automaticamente a vietare ogni attività che, in via di mera ipotesi, si assuma foriera di eventuali rischi per la salute delle persone e per l'ambiente, privi di ogni riscontro oggettivo e verificabile, richiedendo esso stesso una seria e prudenziale valutazione, alla stregua dell'attuale stato delle conoscenze scientifiche disponibili, dell'attività che potrebbe ipoteticamente presentare dei rischi, valutazione consistente nella formulazione di un giudizio scientificamente attendibile (ex multis, Consiglio di Stato, sez. V, 27/12/2013, n. 6250; Cons. giust. amm. Sicilia sez. giurisd., 03/09/2015, n. 581) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 28.02.2018 n. 1240 - link a
www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: Corte Ue: la Via postuma è ammissibile. Marche. Nel 2012 un impianto di energia a biogas era stato autorizzato senza essere stato sottoposto a valutazione impatto ambientale.
L'esame "postumo" di un progetto già realizzato per verificare se vada sottoposto a Via è possibile, ma nel rispetto di precise condizioni.
Questo è il principio espresso dalla Corte di Giustizia Ue con sentenza 28.02.2018 n. C‑117/17 sulla domanda di pronuncia pregiudiziale presentata dal Tar Marche.
Nel 2012 un impianto di energia a biogas di potenza inferiore a 1 Mw era stato autorizzato senza essere stato sottoposto a Via poiché non prevista dalla legge regionale Marche 3/2012, ma contemplata dalle norme Ue.
Il Comune territorialmente competente aveva impugnato l'autorizzazione rilasciata per violazione delle norme Ue sulla Via. Nel frattempo, nel 2013 la Corte Costituzionale aveva dichiarato il legittima la legge marchigiana (sentenza 93/2013) e con DM 30.03.2015 erano state date ulteriori indicazioni sui criteri di assoggettamento degli impianti a screening o a Via (in aggiunta ai criteri già presenti nel Dlgs 152/2006, parte II).
In ragione del mutato quadro normativo il 03.06.2015 la Regione Marche, su istanza dell'impresa, dichiarava che l'impianto non doveva essere sottoposto a Via e confermava l'autorizzazione rilasciata nel 2012. Il Comune impugnava questa decisione delle Marche e il Tar investiva la Corte Ue in materia chiedendo se fosse compatibile col diritto Ue una valutazione "ex post" sulla sottoposizione di un impianto a verifica di assoggettabilità a Via o a Via. I giudici hanno risposto che la mancanza di Via, quando prevista, è un'omissione illegittima.
Inoltre, poiché gli Stati membri devono adottare tutte le misure necessarie ad eliminare le conseguenze illecite dell'omissione, tra queste ci può essere anche un esame postumo sulla necessità o meno della Via, a due condizioni: la regolarizzazione postuma sia un modo per eludere le norme Ue; l'esame sulla necessità della Via ex post consideri anche il concreto impatto ambientale eventualmente già verificatosi per effetto della costruzione.
L'esame "postumo" potrebbe anche, in ipotesi, condurre perla non necessità della Via in base alle norme nazionali, purché compatibili con la direttiva
(articolo Il Sole 24 Ore dell'01.03.2018 - tratto da www.centrostudicni.it).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: La Corte di giustizia UE detta ulteriori condizioni in tema di c.d. V.I.A. postuma.
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Ambiente – V.i.a. – Impianti produzione energia elettrica – Omissione – Costruzione e messa in esercizio – Regolarizzazione – Ammissibilità – Condizioni.
Qualora un progetto di potenziamento di un impianto per la produzione di energia elettrica, come quello di cui trattasi nel procedimento principale, non sia stato sottoposto a una verifica preliminare di assoggettabilità a una valutazione di impatto ambientale ai sensi di disposizioni nazionali successivamente dichiarate incompatibili quanto a tale aspetto con la direttiva 2011/92/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13.12.2011, concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati, il diritto dell’Unione prescrive che gli Stati membri eliminino le conseguenze illecite di detta violazione e non osta a che tale impianto formi oggetto, dopo la realizzazione di tale progetto, di una nuova procedura di valutazione da parte delle nuove autorità competenti al fine di verificare la conformità ai requisiti di tale direttiva e, eventualmente, di sottoporlo a una valutazione di impatto ambientale, purché le norme nazionali che consentono tale regolarizzazione non forniscano agli interessati l’occasione di eludere le norme di diritto dell’Unione o di esimersi dall’applicarle.
Occorre altresì tenere conto dell’impatto ambientale intervenuto a partire dalla realizzazione del progetto. Tali autorità nazionali possono considerare, ai sensi delle disposizioni nazionali in vigore alla data in cui esse sono chiamate a pronunciarsi, che una tale valutazione di impatto ambientale non risulti necessaria, nei limiti in cui dette disposizioni siano compatibili con la direttiva di cui trattasi (1).

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   (1) I. - Con la pronuncia in epigrafe, la Corte di giustizia ha risolto i dubbi sollevati dal Tar per le Marche (cfr. sentenza non definitiva 10.02.2017, n. 114), pronunciando sulla possibilità di sottoporre a verifica di assoggettabilità a valutazione di impatto ambientale (ed eventualmente alla stessa VIA) un impianto già realizzato nel caso di annullamento dell’autorizzazione proprio a cagione della mancata sottoposizione a verifica di assoggettabilità a VIA.
La decisione in oggetto si riconnette a quella resa dalla medesima Corte il 26.07.2017 (oggetto della News in data 28.02.2018), sempre su rimessione del Tar per le Marche in una fattispecie analoga.
Per maggiore chiarezza va evidenziato come, nella vicenda decisa dalla sentenza della Corte del luglio 2017, venisse in rilievo la problematica della c.d. VIA postuma, caratterizzata dall’annullamento -in applicazione della sentenza della Corte costituzionale 22.05.2013, n. 93 (in Giur. costit, 2013, 3, 1592 con nota di CALZOLAIO e LONGO; Dir. e giur. agr. e ambiente, 2013, 520, con nota di SAVINI)- dell’autorizzazione unica alla realizzazione dell’infrastruttura energetica, dopo che i proponenti avevano attivato la procedura di VIA, che si era conclusa favorevolmente e che in alcuni casi era stata già seguita dal rilascio di una nuova autorizzazione unica (tali provvedimenti erano stati impugnati dai soggetti pubblici o privati che avevano ottenuto l’annullamento delle autorizzazioni originarie).
Nella presente controversia la questione veniva reputata ancor più rilevante in quanto nei casi precedenti la VIA era stata quantomeno svolta (sia pure ad impianto già realizzato), mentre nella specie la valutazione di impatto ambientale non era stata svolta né ab origine -in applicazione di una norma poi dichiarata incostituzionale- né in via postuma.
   II.- Nell’impostare il ragionamento che ha portato alla soluzione di cui alla massima, la sentenza parte dal richiamo a quanto evidenziato nella precedente sentenza del 26.07.2017, con particolare riferimento al fatto che, in caso di omissione di una VIA prescritta dal diritto dell’Unione, gli Stati membri hanno l’obbligo di eliminare le conseguenze illecite di detta omissione e che il diritto dell’Unione non osta a che una tale valutazione sia effettuata a titolo di regolarizzazione, dopo la costruzione e la messa in servizio dell’impianto interessato, alla duplice condizione, da un lato, che le norme nazionali che consentono tale regolarizzazione non offrano agli interessati l’occasione di eludere le norme di diritto dell’Unione o di disapplicarle e, dall’altro, che la valutazione effettuata a titolo di regolarizzazione non si limiti all’impatto futuro di tale impianto sull’ambiente, ma prenda in considerazione altresì l’impatto ambientale intervenuto a partire dalla sua realizzazione.
La Corte prosegue, sempre richiamando il precedente predetto, ribadendo le condizioni in presenza delle quali il diritto dell’Unione non osta, qualora un progetto non sia stato sottoposto alla verifica preliminare dell’assoggettabilità a VIA in applicazione di disposizioni incompatibili con la direttiva 2011/92, a che tale progetto, anche successivamente alla sua realizzazione, sia oggetto di una verifica delle autorità competenti per determinare se esso debba o meno essere sottoposto a VIA, eventualmente in base a una normativa nazionale sopravvenuta, a condizione che quest’ultima sia compatibile con tale direttiva.
A fronte delle peculiarità del caso di specie, la Corte fornisce poi ulteriori precisazioni. Qualora un progetto di potenziamento di un impianto per la produzione di energia elettrica, come quello di cui trattasi nel procedimento principale, non sia stato sottoposto a una verifica preliminare di assoggettabilità a VIA ai sensi di disposizioni nazionali successivamente dichiarate incompatibili con la direttiva 2011/92 quanto a tale aspetto, il diritto dell’Unione prescrive che gli Stati membri eliminino le conseguenze illecite di detta violazione e non osta a che tale impianto formi oggetto, dopo la realizzazione di tale progetto, di una nuova procedura di valutazione da parte delle autorità competenti al fine di verificare la conformità ai requisiti di tale direttiva e, eventualmente, di sottoporlo a VIA, purché le norme nazionali che consentono tale regolarizzazione non forniscano agli interessati l’occasione di eludere le norme di diritto dell’Unione o di esimersi dall’applicarle.
Occorre altresì tenere conto dell’impatto ambientale intervenuto a partire dalla realizzazione del progetto. Tali autorità nazionali possono considerare, ai sensi delle disposizioni nazionali in vigore alla data in cui esse sono chiamate a pronunciarsi, che una tale VIA risulta necessaria, nei limiti in cui dette disposizioni siano compatibili con la direttiva di cui trattasi.
   III. - A fini di completezza si richiama:
      a) la precedente decisione della Corte di giustizia dell’UE, Sez. I, 26.07.2017, C-196/16 e C-197/16, Comune di Corridonia, su cui cfr. News US 28.02.2018 ai cui approfondimenti si rinvia, secondo la quale “nel caso di omessa valutazione di impatto ambientale di un progetto di impianto per la produzione di energia elettrica da biogas, ottenuto dalla digestione anaerobica di biomasse, le norme di diritto dell'Unione Europea (art. 2 della Direttiva 85/337/CEE, poi sostituito dall'art. 2 della Direttiva 2011/92/UE), da un lato, impongono agli Stati membri di rimuovere le conseguenze illecite derivanti da tale omissione e, dall'altro, non ostano a che tale valutazione venga effettuata a titolo di regolarizzazione dopo la costruzione e la messa in esercizio dell'impianto, purché le norme nazionali che consentono tale regolarizzazione non offrano agli interessati l'occasione di eludere le norme di diritto dell'Unione o di disapplicarle e sempre che la valutazione effettuata a titolo di regolarizzazione non si limiti a valutare le ripercussioni future dell'impianto sull'ambiente, ma prenda in considerazione anche l'impatto ambientale intervenuto a partire dal momento della sua realizzazione”;
      b) Cons. Stato sez. IV, 09.022016, n. 521, secondo cui “il giudizio di compatibilità ambientale può essere rifiutato dall'Amministrazione preposta nel caso in cui le opere oggetto di verifica siano già state iniziate dal soggetto proponente, atteso che il procedimento di Via è un mezzo preventivo di tutela dell'ambiente, che si svolge prima dell'approvazione del progetto e quindi prima della realizzazione dell'opera; ne consegue che una Via postuma all'autorizzazione dell'opera e allo svolgimento dei lavori è illegittima” (Corte giust. comm. ue., sez. VI, sentenza 28.02.2018 n. C‑117/17 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).

2016

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICISulla Via «ex post» parola alla Corte Ue. Ambiente. Il Tar Marche ha rimesso ai giudici comunitari la decisione sulla valutazione resa per impianti già realizzati.
Il Tar Marche investe la Corte di Giustizia Ue con la questione pregiudiziale relativa alla «Via postuma». In sintesi, si tratta della possibilità di esperire il procedimento di valutazione di impatto ambientale per un impianto già realizzato, ma mai sottoposto a verifica di assoggettabilità a Via (screening). Il che ha comportato l’annullamento dell’autorizzazione.
La delicata questione scaturisce da una vicenda sorta per un impianto di biogas con potenza nominale di 999 KWe ed è stata sollevata dal TAR Marche con ordinanza 22.03.2016 n. 185. La soluzione del quesito sottoposto alla cognizione dei giudici di Strasburgo non mancherà di avere conseguenze importantissime.
Infatti, il Tar Marche chiede se sia compatibile con il diritto comunitario un procedimento di screening (ed eventualmente di Via) implementato dopo la realizzazione dell’impianto, qualora l’autorizzazione sia stata annullata dal giudice nazionale per mancata sottoposizione a verifica di assoggettabilità a Via, poiché esclusa in base a normativa interna (regionale) in contrasto con il diritto comunitario.
Le norme comunitarie prese a riferimento dal giudice amministrativo nazionale sono l’articolo 191 Tfue e l’articolo 2 della direttiva 2011/92/Ue che paiono disporre per il carattere preventivo della Via.
Tuttavia, il dubbio è sorto poiché la giurisprudenza della Corte Ue (oggetto di puntuale ricognizione da parte dell’ordinanza marchigiana), anche se non recentissima, sembrerebbe non escludere a priori la possibilità di porre rimedio al mancato esperimento dello screening.
Un dubbio ulteriormente amplificato in ragione di un’altra pronuncia comunitaria, ma di segno contrario alle precedenti che, puntualmente censita dal Tar Marche (sentenza 03.07.2008 C-215/06, Commissione contro Irlanda, punto 51) ravvisa come contrastante con il diritto Ue una norma generale che permetta la realizzazione successiva della procedura di Via, ribadendone così la natura preventiva.
In questa ondivaga situazione, il Tar marchigiano nella sua ordinanza non manca però di prendere posizione sul caso specifico e ritiene che l’annullamento sottoposto alla sua cognizione potrebbe essere assimilabile all’annullamento dell’autorizzazione per illegittimità, per la quale anche la normativa nazionale (articolo 29, comma 5, decreto legislativo n. 152/2006) prevede la possibilità di ripetere la Via annullata. Il che sarebbe coerente con la giurisprudenza europea più rigorosa.
Non solo, l’esperimento postumo della procedura di Via potrebbe non essere in contrasto con le norme Ue, alla luce della sentenza comunitaria 07.01.2004 (C-201/02 – Wells) dove al punto 69 afferma che «a tale proposito spetta al giudice nazionale accertare se il diritto interno preveda la possibilità di revocare o di sospendere un’autorizzazione già rilasciata al fine di sottoporre il detto progetto a una valutazione dell’impatto ambientale, conformemente a quanto richiesto dalla direttiva 85/337»
(articolo Il Sole 24 Ore del 03.04.2016).
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MASSIMA
1 Va premesso che il Collegio ritiene che il giudizio debba essere sospeso al fine di richiedere alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea una decisione in ordine alla compatibilità comunitaria dell’esperibilità della verifica di assoggettabilità a valutazione di impatto ambientale (art. 4, c. 2, direttiva 2011/92/UE) e, conseguentemente, alla VIA, relativamente ad un impianto già realizzato.
Nel caso in esame, ciò è avvenuto a seguito di annullamento giurisdizionale dell’autorizzazione concessa in assenza di verifica di assoggettabilità a VIA. Le autorizzazioni concesse illegittimamente in assenza di verifica di assoggettamento a valutazione di impatto ambientale sono state oggetto di diverse sentenze di annullamento di questo Tribunale (Tar Marche 559/2013, 659/2013, 61/2014, 64/2014, 707/2014, 377/2015 e 486/2015), alcune delle quali, come quella oggetto del presente ricorso, confermate in appello, e hanno riguardato il periodo di vigenza delle leggi Regione Marche 20/2011 e 3/2012, fino alle modifiche introdotte dalla successiva legge regionale 30/2012.
1.1 Riguardo la normativa nazionale e regionale applicabile, va premesso che all’epoca dell’adozione del provvedimento autorizzativo successivamente annullato (autorizzazione regionale n. 52/EFR del 25.06.2012 ), la normativa nazionale prevedeva la verifica di assoggettabilità alla VIA solo per gli impianti per la produzione di energia elettrica (e di vapore e acqua calda) con potenza termica complessiva superiore a 50 MW (v. punto 2-a dell'allegato IV alla parte seconda del d.lgs. 152/2006).
1.2 In dichiarata attuazione di quanto previsto dalla legge nazionale, la legge regione Marche 20/2011 (in vigore dal 09.11.2011) prevedeva l’esenzione della verifica di assoggettabilità a VIA per gli “Impianti termici, inclusi quelli a celle a combustibile, per la produzione di energia elettrici vapore e acqua calda alimentati a biomasse, a oli combustibili vegetali o a biodiesel, di potenza termica nominale inferiore ad 3 MW”.
1.3 Come già accennato, l’archiviazione del procedimento di verifica di assoggettabilità a VIA, sulla base dell’entrata in vigore della legge appena richiamata, e quindi la mancata sottoposizione a verifica di assoggettabilità a valutazione di impatto ambientale ha portato all’annullamento dell’autorizzazione rilasciata dalla Regione Marche, con l’impianto già in funzione, che è stato successivamente spento, con avvio della procedura di verifica di assoggettabilità di cui al combinato disposto dell'art. 23 e segg. d.lgs. 152/2006 e dell'art. 12 e segg. della L.R. 3/2012.
1.4 La legge Regione Marche 20/2011 è stata modificata dalla legge regionale 3/2012 (quest’ultima legge, che confermava l’esenzione da verifica di assoggettabilità a VIA sulla base di soglie numeriche, come già accennato è stata dichiarata incostituzionale, per tale parte, dalla sentenza 22.05.2013 n. 93 della Corte Costituzionale).
Infine quest’ultima legge è stata modificata dalla legge Regione Marche 19.10.2012 n. 30, con la quale la Regione ha provveduto ad introdurre modifiche sia all’art. 3 che all’allegato C della legge regionale 3 del 2012, recanti l’esplicita previsione della necessità di tener conto, caso per caso ed indipendentemente dalle soglie dimensionali, di tutti i criteri di selezione dei progetti indicati negli allegati della direttiva. La nuova procedura di VIA è stata effettuata secondo le previsioni di cui sopra, nonché secondo quelle della normativa nazionale.
2 Sempre con riguardo alla normativa nazionale, l’art. 15, c. 4, del DL 25.06.2014 n. 91 recava la previsione che, nei casi in cui dovessero essere sottoposti a verifica di assoggettabilità postuma, anche a seguito di annullamento dell'autorizzazione in sede giurisdizionale, impianti già autorizzati e in esercizio per i quali tale procedura era stata a suo tempo ritenuta esclusa sulla base delle soglie individuate nell'Allegato IV alla parte seconda del decreto legislativo 03.04.2006, n. 152, e nella legislazione regionale di attuazione la procedura di verifica di assoggettabilità fosse svolta a norma dell'articolo 6, comma 7, lettera c), del predetto decreto legislativo, ferma restando la prosecuzione dell'attività fino all'adozione dell'atto definitivo da parte dell'autorità competente e, comunque non oltre il termine di centottanta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto. La norma non è stata convertita in legge, per cui non ha trovato applicazione.
2.1 Per completezza, sempre con riguardo alla normativa nazionale, con la modifica all'art. 6, comma 7-c, del d.lgs. 152/2006 introdotta dall'art. 15, comma 1-c, del già citato DL 24.06.2014 n. 91 è stata prevista l'introduzione di nuove soglie mediante decreto ministeriale, con la precisazione che nel frattempo la valutazione circa la verifica di assoggettamento doveva essere effettuata caso per caso sulla base dei criteri stabiliti nell'allegato V alla parte seconda del d.lgs. 152/2006.
Come è noto, in precedenza la Commissione Europea aveva avviato la procedura d’infrazione di infrazione 2009/2086 per non conformità delle norme nazionali (Parte Seconda del D.Lgs. 152/2006) con la direttiva VIA 2011/92/UE relativamente, tra l’altro, alla procedura di verifica di assoggettabilità a VIA. Con il decreto ministeriale n. 52 del 30.03.2015 sono state emanate le “Linee guida nazionali destinate a ridefinire i criteri e le soglie per determinare l’assoggettamento alla procedura di verifica dei progetti dell’Allegato IV del D.Lgs. 152/2006”, portando all’archiviazione della procedura in data 19.11.1015. Il decreto però non è applicabile ratione temporis al giudizio in esame per cui la sua conformità alla direttiva non è oggetto del presente giudizio.
3 Ne consegue, ad avviso del Collegio, che
nell’ordinamento interno italiano non è attualmente presente alcuna norma che disciplini la valutazione di impatto ambientale cosiddetta postuma, ad impianto realizzato. Per gli impianti già autorizzati, l’art. 29, comma 1, del d.lgs. n. 152/2006 stabilisce semplicemente che i provvedimenti di autorizzazione o approvazione adottati senza la previa valutazione di impatto ambientale sono annullabili per violazione di legge, come avvenuto nel caso in esame.
In caso di realizzazione degli impianti senza la previa sottoposizione alle fasi di verifica di assoggettabilità o di valutazione, il medesimo art. 29 del d.lgs. n. 152/2006 dispone, al comma 4, che l’autorità competente, valutata l'entità del pregiudizio ambientale arrecato e quello conseguente alla applicazione della sanzione, dispone la sospensione dei lavori e può disporre la demolizione ed il ripristino dello stato dei luoghi e della situazione ambientale a cura e spese del responsabile, o, in caso di inottemperanza, d'ufficio.

Il successivo comma 5 prevede che “in caso di annullamento in sede giurisdizionale o di autotutela di autorizzazioni o concessioni rilasciate previa valutazione di impatto ambientale o di annullamento del giudizio di compatibilità ambientale, i poteri di cui al comma 4 sono esercitati previa nuova valutazione di impatto ambientale”.
3.1 Con riguardo alla posizione del giudice interno, recenti pronunce hanno affermato la compatibilità comunitaria, della VIA successiva alla realizzazione dell’impianto. Essa non sarebbe in contrasto con le indicazioni provenienti dalla giurisprudenza comunitaria, la quale si preoccupa di chiarire quali conseguenze derivino dalla mancata previa effettuazione della VIA o della verifica di assoggettabilità alla VIA.
Si è argomentato che l’omissione comporta, in generale, la sospensione o l'annullamento dell'autorizzazione, salvo casi eccezionali in cui risulti preferibile per l'interesse pubblico che gli effetti del provvedimento siano conservati, ma il vero vincolo per le autorità e i giudici nazionali è che le conseguenze della violazione del diritto comunitario siano cancellate (Corte Giust. 28.2.2012 C-41/11, Inter-Environnement Wallonie, punto 63). La sospensione o l'annullamento sono quindi soluzioni giuridiche strumentali, il cui scopo è consentire l'applicazione del diritto comunitario, anche attraverso l'effettuazione della valutazione non eseguita in precedenza, o in alternativa attraverso il risarcimento chiesto dai soggetti che abbiano subito pregiudizi a causa dell'omissione (Corte Giust. 14.03.2013 C-420/11, Leth, punto 37; Corte Giust. 07.01.2004 C-201/02, Wells, punto 65).
Si è quindi ritenuta, sulla base delle predette argomentazioni, la possibilità di effettuare in un secondo momento l'esame necessario per escludere la verifica di assoggettabilità alla VIA (Tar Brescia 04.06.2015 n. 795: in questo caso la verifica di assoggettabilità è stata successiva ma ha avuto esito negativo,per cui l’impianto non è stato sottoposto a VIA). Al contrario, il giudice di appello, in casi analoghi al presente, sembra avere escluso possibilità di una VIA postuma, seppure con riferimento alla possibilità di mantenere in esercizio gli impianti (in particolare, in sede cautelare Cons. Stato Sez. IV 19.02.2014 n. 798, che, in un caso simile a quello in esame, ordinava l’astensione “da qualsiasi attività comportante l’ulteriore prosieguo della realizzazione e/o dell’esercizio dell’impianto per cui è causa (fermo e impregiudicato, come è ovvio, l’iter procedimentale della VIA. nel frattempo chiesta dalla società odierna appellante, che non è però sufficiente a legittimare ad oggi l’operatività dell’impianto, in considerazione della nota e consolidata giurisprudenza –anche europea– che non ammette una VIA ex post)”.
Anche nella sentenza Cons. Stato, sez. III, 05.03.2013, n. 1324 si è affermato il necessario carattere preventivo della VIA, in una decisione che però non riguardava un caso di VIA cosiddetta postuma, ma l’annullamento di un’autorizzazione per l’omesso svolgimento della procedura di VIA.
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Il problema riguarda quindi l’esperibilità della Valutazione di Impatto Ambientale ad impianto già realizzato nel caso di annullamento dell’autorizzazione per mancata sottoposizione a verifica di assoggettabilità a VIA.
4.1 L’art. 191 TFUE definisce i principi della politica dell’Unione Europea in materia ambientale e in particolare, al punto 2, afferma che “La politica dell'Unione in materia ambientale mira a un elevato livello di tutela, tenendo conto della diversità delle situazioni nelle varie regioni dell'Unione". Essa è fondata sui principi della precauzione e dell'azione preventiva, sul principio della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all'ambiente, nonché sul principio "chi inquina paga".
L’art. 2 della direttiva 2011/92/UE (e, in precedenza, l’art. 2 della direttiva 85/337/CEE) stabilisce che gli Stati membri adottano le disposizioni necessarie affinché, prima del rilascio dell’autorizzazione, per i progetti per i quali si prevede un significativo impatto ambientale, in particolare per la loro natura, le loro dimensioni o la loro ubicazione, sia prevista un’autorizzazione e una valutazione del loro impatto.
4.2 Pur in presenza di una chiara enunciazione del carattere preventivo della VIA, la giurisprudenza della Corte di Giustizia citata in precedenza sembra non escludere del tutto la possibilità di rimediare al mancato esperimento dalla procedura. E’ però ben noto come, in un’altra sentenza, la Corte di Giustizia si sia espressa per la contrarietà al diritto comunitario di una norma generale che permettesse la realizzazione della VIA a posteriori (Corte giust. 03.07.2008, causa C-215/06 Commissione contro Irlanda), ribadendo la natura preventiva della procedura di VIA (in particolare punto 51).
5 Con riguardo alla posizione del Collegio sul tema, si tratta di valutare se nel caso in esame ci si trovi di fronte a circostanze eccezionali che permettano l’esperimento a posteriori della procedura di VIA, (in presenza, si ripete, di autorizzazioni annullate a causa della mancata sottoposizione a a verifica di assoggettabilità alla valutazione di impatto ambientale in ragione di norme contrarie al diritto comunitario).
La posizione del Tribunale è che tale possibilità non appare in contrasto con il diritto comunitario, dovendo essere valutato in particolare quanto contenuto nella sentenza 07.01.2004 C-201/02, Wells. Ne consegue che, dopo l'annullamento dell’autorizzazione, deve essere consentita l’applicazione del diritto comunitario, anche attraverso l'effettuazione della valutazione non eseguita in precedenza. Va altresì valutato che la fattispecie all’esame del Tribunale è assimilabile all’annullamento dell’autorizzazione per illegittimità, per la quale anche la normativa interna (art. 29, c. 5, d.lgs 152/2006) prevede la possibilità di ripetere la VIA annullata.
Ciò appare coerente con quanto stabilito dalla già citata sentenza Corte giust., 03.07.2008, causa C-215/06 Wells, che nella parte finale (69) afferma “A tale proposito spetta al giudice nazionale accertare se il diritto interno preveda la possibilità di revocare o di sospendere un'autorizzazione già rilasciata al fine di sottoporre il detto progetto ad una valutazione dell'impatto ambientale, conformemente a quanto richiesto dalla direttiva 85/337”.
5.1 Anche la stessa, già citata, sentenza Corte giust., 03.07.2008, causa C-215/06, che afferma come tale possibilità dovrebbe essere subordinata alla condizione che essa non offra agli interessati l’occasione di aggirare le norme comunitarie o di disapplicarle, e che rimanga eccezionale, nella parte in cui richiama la già citata sentenza Wells, afferma che la valutazione dell’impatto ambientale può essere effettuata, ad esempio revocando o sospendendo un’autorizzazione già rilasciata al fine di effettuare una tale valutazione, nel rispetto dei limiti dell’autonomia procedurale degli Stati membri (59).
Tale posizione sembra assimilabile al caso in esame, dove le autorizzazioni contrarie al diritto comunitario sono state annullate dal giudice nazionale, portando alla riedizione dell’intero procedura, partendo dalla verifica di assoggettabilità alla VIA, l’esperimento di quest’ultima e, infine, eventuale adozione della successiva autorizzazione (che deve essere ancora rilasciata).
6 Alla luce di quanto sopra esposto, il Collegio ritiene necessaria la rimessione alla Corte di Giustizia UE della questione interpretativa alla base dell’odierno ricorso: “
Se, in riferimento alle previsioni di cui all’art. 191 del TFUE e all’art. 2 della direttiva 2011/92/UE, sia compatibile con il diritto comunitario l’esperimento di un procedimento di verifica di assoggettabilità a valutazione di impatto ambientale (ed eventualmente a VIA) successivamente alla realizzazione dell’opera, qualora l’autorizzazione sia stata annullata dal giudice nazionale per mancata sottoposizione a verifica di assoggettabilità a valutazione di impatto ambientale, in quanto tale verifica era stata esclusa in base a normativa interna in contrasto con il diritto comunitario”.
6.1 Considerato che il primo del ricorso introduttivo all’esame del Tribunale deduce appunto l’impossibilità di esperire la cosiddetta VIA postuma, per violazione della normativa comunitaria appena citata, in tutta evidenza la soluzione della questione interpretativa proposta è necessaria per la soluzione della controversia, ai sensi del capo I, par. 14, della nota informativa (2011/C 160/01), pubblicata nella G.U.C.E. C 160/1 del 28.05.2011.
6.2 La giurisprudenza nazionale citata nella presente ordinanza è reperibile al seguente indirizzo web.
6.3 Tutto ciò premesso, il Collegio, vista la “Nota informativa riguardante le domande di pronuncia pregiudiziale da parte dei giudici nazionali ora vigente” (2011/C 160/01), pubblicata nella G.U.C.E. C 160/1 del 28.05.2011, propone alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea il seguente quesito pregiudiziale.
6.4 “
Se, in riferimento alle previsioni di cui all’art. 191 del TFUE e all’art. 2 della direttiva 2011/92/UE, sia compatibile con il diritto comunitario l’esperimento di un procedimento di verifica di assoggettabilità a valutazione di impatto ambientale (ed eventualmente a VIA) successivamente alla realizzazione dell’impianto, qualora l’autorizzazione sia stata annullata dal giudice nazionale per mancata sottoposizione a verifica di assoggettabilità a valutazione di impatto ambientale, in quanto tale verifica era stata esclusa in base a normativa interna in contrasto con il diritto comunitario”.
6.5 Alla luce di quanto suesposto, quindi, il Collegio sospende il giudizio e rimette la predetta questione interpretativa alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea.
6.6 Ai sensi dell’art. 80 del d.lgs. n. 104/2010, spetterà, perciò, alla parte più diligente proseguire il presente giudizio presentando apposita istanza di fissazione entro novanta giorni dalla comunicazione della decisione della Corte di Giustizia.

2015
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 27 dell'01.07.2015, "Modalità di pubblicazione dell’avviso al pubblico dell’istanza di verifica di assoggettabilità e delle decisioni dell’autorità competente in materia di VIA e di verifica di assoggettabilità" (comunicato regionale 25.06.2015 n. 97).
2014

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: Alla stregua dei principi comunitari e nazionali, oltre che delle sue stesse peculiari finalità, la valutazione di impatto ambientale non si sostanzia in una mera verifica di natura tecnica circa la astratta compatibilità ambientale dell'opera, ma implica una complessa e approfondita analisi comparativa tesa a valutare il sacrificio ambientale imposto rispetto all'utilità socio-economica, tenuto conto anche delle alternative possibili e dei riflessi sulla stessa c.d. opzione-zero.
In particolare, è stato evidenziato che "la natura schiettamente discrezionale della decisione finale (e della preliminare verifica di assoggettabilità), sul versante tecnico ed anche amministrativo, rende allora fisiologico ed obbediente alla ratio su evidenziata che si pervenga ad una soluzione negativa ove l'intervento proposto cagioni un sacrificio ambientale superiore a quello necessario per il soddisfacimento dell'interesse diverso sotteso all'iniziativa; da qui la possibilità di bocciare progetti che arrechino vulnus non giustificato da esigenze produttive, ma suscettibile di venir meno, per il tramite di soluzioni meno impattanti in conformità al criterio dello sviluppo sostenibile e alla logica della proporzionalità tra consumazione delle risorse naturali e benefici per la collettività che deve governare il bilanciamento di istanze antagoniste”.
La valutazione di impatto ambientale non è perciò un mero atto (tecnico) di gestione ovvero di amministrazione in senso stretto, rientrante come tale nelle attribuzioni proprie dei dirigenti, trattandosi piuttosto di un provvedimento con cui viene esercitata una vera e propria funzione di indirizzo politico-amministrativo con particolare riferimento al corretto uso del territorio (in senso ampio), attraverso la cura ed il bilanciamento della molteplicità dei (contrapposti) interessi, pubblici (urbanistici, naturalistici, paesistici, nonché di sviluppo economico-sociale) e privati.
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La funzione stessa della valutazione di impatto ambientale “è preordinata alla salvaguardia dell'habitat nel quale l'uomo vive, che assurge a valore primario ed assoluto, in quanto espressivo della personalità umana, attribuendo ad ogni singolo un autentico diritto fondamentale, di derivazione comunitaria (direttiva 27.07.1985 n. 85/337/CEE, concernente la valutazione dell'impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati); diritto che obbliga l'amministrazione a giustificare, quantomeno ex post ed a richiesta dell'interessato, le ragioni del rifiuto di sottoporre un progetto a V.I.A. all'esito di verifica preliminare.
A tali fini, l'ambiente rileva non solo come paesaggio, ma anche come assetto del territorio, comprensivo di ogni suo profilo, e finanche degli aspetti scientifico-naturalistici (come quelli relativi alla protezione di una particolare flora e fauna), pur non afferenti specificamente ai profili estetici della zona”, sottolineandosi che la stessa Corte Costituzionale, ha affermato che "lo stesso aspetto del territorio, per i contenuti ambientali e culturali che contiene, è di per sé un valore costituzionale", da intendersi come valore "primario".
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E’ stato anche sottolineato che proprio per le finalità cui è preordinata la valutazione di impatto ambientale, la disciplina relativa normativa ha prefigurato un modello di istruttoria aperto ai contributi partecipativi dei soggetti portatori di interessi pubblici e privati coinvolti nell'opera, con la conseguenza che l'impegno motivazionale dell'autorità deliberante è tanto più pregnante quanto più l'istruttoria abbia fatto emergere, mediante apporti partecipativi di soggetti, pubblici e privati, anche esponenziali di interessi collettivi, ricadute potenzialmente negative sul contesto ambientale ed insediativo interessato dall'iniziativa, fermo restando che l’amministrazione, nel rendere il giudizio di valutazione ambientale, esercita un'amplissima discrezionalità che non si esaurisce in un mero giudizio tecnico, in quanto tale suscettibile di verificazione tout court sulla base di oggettivi criteri di misurazione, ma presenta al contempo profili particolarmente intensi di discrezionalità amministrativa e istituzionale in relazione all'apprezzamento degli interessi pubblici e privati coinvolti, con conseguenti limiti al sindacato giurisdizionale sulla determinazione finale emessa.
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Sono state inoltre delineate le differenze tra valutazione di impatto ambientale e autorizzazione integrata ambientale, evidenziando che mentre la prima si sostanzia in una complessa e approfondita analisi comparativa tesa a valutare il sacrificio ambientale imposto dal progetto rispetto all'utilità socio-economica dallo stesso ritraibile, tenuto conto anche delle alternativi possibili e dei riflessi sulla c.d. opzione zero, investendo propriamente gli aspetti localizzativi e strutturali di un impianto (e più in generale dell'opera da realizzare), la seconda -introdotta nel nostro ordinamento in attuazione della direttiva 96/61/CE relativa alla prevenzione e riduzione integrate dell'inquinamento- è atto che sostituisce, con un unico titolo abilitativo, tutti i numerosi titoli che erano invece precedentemente necessari per far funzionare un impianto industriale inquinante, assicurando così efficacia, efficienza, speditezza ed economicità all'azione amministrativa nel giusto contemperamento degli interessi pubblici e privati in gioco, e incide quindi sugli aspetti gestionali dell'impianto.

La giurisprudenza ha ripetutamente affermato (Cons. St., sez. V, 31.05.2012, n. 3254; 22.06.2009, n. 4206; sez. IV, 22.01.2013, n. 361; 05.07.2010, n. 4246; VI, 17.05.2006, n. 2851) che, alla stregua dei principi comunitari e nazionali, oltre che delle sue stesse peculiari finalità, la valutazione di impatto ambientale non si sostanzia in una mera verifica di natura tecnica circa la astratta compatibilità ambientale dell'opera, ma implica una complessa e approfondita analisi comparativa tesa a valutare il sacrificio ambientale imposto rispetto all'utilità socio-economica, tenuto conto anche delle alternative possibili e dei riflessi sulla stessa c.d. opzione-zero; in particolare, è stato evidenziato che "la natura schiettamente discrezionale della decisione finale (e della preliminare verifica di assoggettabilità), sul versante tecnico ed anche amministrativo, rende allora fisiologico ed obbediente alla ratio su evidenziata che si pervenga ad una soluzione negativa ove l'intervento proposto cagioni un sacrificio ambientale superiore a quello necessario per il soddisfacimento dell'interesse diverso sotteso all'iniziativa; da qui la possibilità di bocciare progetti che arrechino vulnus non giustificato da esigenze produttive, ma suscettibile di venir meno, per il tramite di soluzioni meno impattanti in conformità al criterio dello sviluppo sostenibile e alla logica della proporzionalità tra consumazione delle risorse naturali e benefici per la collettività che deve governare il bilanciamento di istanze antagoniste” (Cons. St, sez. IV, 05.07.2010, n. 4246; sez. VI, 22.02.2007, n. 933).
La valutazione di impatto ambientale non è perciò un mero atto (tecnico) di gestione ovvero di amministrazione in senso stretto, rientrante come tale nelle attribuzioni proprie dei dirigenti, trattandosi piuttosto di un provvedimento con cui viene esercitata una vera e propria funzione di indirizzo politico-amministrativo con particolare riferimento al corretto uso del territorio (in senso ampio), attraverso la cura ed il bilanciamento della molteplicità dei (contrapposti) interessi, pubblici (urbanistici, naturalistici, paesistici, nonché di sviluppo economico-sociale) e privati.
Ciò del resto è del tutto coerente con la funzione stessa della valutazione di impatto ambientale che (Cons. St., sez. IV, 09.01.2014, n. 36), “è preordinata alla salvaguardia dell'habitat nel quale l'uomo vive, che assurge a valore primario ed assoluto, in quanto espressivo della personalità umana (Cons. St., sez. VI, 18.03.2008, n. 1109), attribuendo ad ogni singolo un autentico diritto fondamentale, di derivazione comunitaria (direttiva 27.07.1985 n. 85/337/CEE, concernente la valutazione dell'impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati); diritto che obbliga l'amministrazione a giustificare, quantomeno ex post ed a richiesta dell'interessato, le ragioni del rifiuto di sottoporre un progetto a V.I.A. all'esito di verifica preliminare (Corte giust. 30.04.2009, C75/08). A tali fini, l'ambiente rileva non solo come paesaggio, ma anche come assetto del territorio, comprensivo di ogni suo profilo, e finanche degli aspetti scientifico-naturalistici (come quelli relativi alla protezione di una particolare flora e fauna), pur non afferenti specificamente ai profili estetici della zona”, sottolineandosi che la stessa Corte Costituzionale (sent. 07.11.2007, n. 367), ha affermato che "lo stesso aspetto del territorio, per i contenuti ambientali e culturali che contiene, è di per sé un valore costituzionale", da intendersi come valore "primario" (Corte Cost., sentt. nn. 151/1986; 182/2006), ed "assoluto" (sent. n. 641/1987).
E’ stato anche sottolineato che proprio per le finalità cui è preordinata la valutazione di impatto ambientale, la disciplina relativa normativa ha prefigurato un modello di istruttoria aperto ai contributi partecipativi dei soggetti portatori di interessi pubblici e privati coinvolti nell'opera, con la conseguenza che l'impegno motivazionale dell'autorità deliberante è tanto più pregnante quanto più l'istruttoria abbia fatto emergere, mediante apporti partecipativi di soggetti, pubblici e privati, anche esponenziali di interessi collettivi, ricadute potenzialmente negative sul contesto ambientale ed insediativo interessato dall'iniziativa (Cons. St., sez. V, 18.04.2012, n. 2234), fermo restando che l’amministrazione, nel rendere il giudizio di valutazione ambientale, esercita un'amplissima discrezionalità che non si esaurisce in un mero giudizio tecnico, in quanto tale suscettibile di verificazione tout court sulla base di oggettivi criteri di misurazione, ma presenta al contempo profili particolarmente intensi di discrezionalità amministrativa e istituzionale in relazione all'apprezzamento degli interessi pubblici e privati coinvolti, con conseguenti limiti al sindacato giurisdizionale sulla determinazione finale emessa (Cons. St., sez. V, 27.03.2013, n. 1783).
Sono state inoltre delineate le differenze tra valutazione di impatto ambientale e autorizzazione integrata ambientale, evidenziando che mentre la prima si sostanzia in una complessa e approfondita analisi comparativa tesa a valutare il sacrificio ambientale imposto dal progetto rispetto all'utilità socio-economica dallo stesso ritraibile, tenuto conto anche delle alternativi possibili e dei riflessi sulla c.d. opzione zero, investendo propriamente gli aspetti localizzativi e strutturali di un impianto (e più in generale dell'opera da realizzare), la seconda -introdotta nel nostro ordinamento in attuazione della direttiva 96/61/CE relativa alla prevenzione e riduzione integrate dell'inquinamento- è atto che sostituisce, con un unico titolo abilitativo, tutti i numerosi titoli che erano invece precedentemente necessari per far funzionare un impianto industriale inquinante, assicurando così efficacia, efficienza, speditezza ed economicità all'azione amministrativa nel giusto contemperamento degli interessi pubblici e privati in gioco, e incide quindi sugli aspetti gestionali dell'impianto (Cons. St, sez. V, 17.01.2012, n. 5292)
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 02.10.2014 n. 4928 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: Via, Vas e Aia - Vas - Progetti di sviluppo di aree urbane - Piano di lottizzazione (residenziale) superiore a 10 ettari, ma non riguardante il riassetto o lo sviluppo di aree urbane esistenti - Assoggettabilità a VAS - Esclusione - Attivazione cautelare della verifica di assoggettabilità - Legittimità.
L'allegato 4 alla parte II del Dlgs 152/2006 individua tra le opere sottoposte alla verifica di assoggettabilità a VAS (punto 7-b) i "progetti di sviluppo di aree urbane, nuove o in estensione, interessanti superfici superiori ai 40 ettari" nonché i "progetti di riassetto o sviluppo di aree urbane all'interno di aree urbane esistenti che interessano superfici superiori a 10 ettari".
Il piano di lottizzazione (residenziale) che interessa una superficie pari a 114.822,74 mq, ma non riguarda il riassetto o lo sviluppo di aree urbane esistenti, non solo non è direttamente soggetto a VAS ma non ricade in nessuna delle due ipotesi di verifica di assoggettabilità.
Cautelativamente, tuttavia, in forza del principio secondo cui l'amministrazione deve comunque accertare se le opere, anche di piccole dimensioni, producano impatti significativi sull'ambiente (v. articolo 6, comma 3, del Dlgs 152/2006), l'attivazione della verifica di assoggettabilità appare corretta.
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... per l'annullamento:
   - della deliberazione consiliare n. 77 del 21.12.2010, con la quale è stato approvato il piano di lottizzazione residenziale n. 12;
   - della deliberazione consiliare n. 61 dell’08.09.2010, con la quale il predetto piano di lottizzazione è stato adottato;
...
1. Le ricorrenti Ca.Co.Po.Pa. e Co.Ab. il Te. sono cooperative sociali che hanno come scopo statutario l’assegnazione ai soci di abitazioni in proprietà, locazione, o godimento con altre forme contrattuali.
2. Per quanto riguarda l’interesse a promuovere il presente ricorso, le ricorrenti sono promissarie acquirenti di terreni situati nel Comune di Montichiari e inseriti nel piano di lottizzazione n. 12.
Più in dettaglio, Ca.Co.Po.Pa. ha sottoscritto in data 22.12.2006 un preliminare di acquisto relativo ai mappali n. 76 e 77 con i proprietari Ez.Be. e Ma.Pa.. In seguito, con accordo del 03.05.2007, la predetta cooperativa ha ceduto il 50% dei diritti sull’area alla cooperativa Ma.Un.. Quest’ultima è stata incorporata in Co.Ab. il Te. in data 28.03.2009 (v. visura camerale).
3. In data 27.03.2009 i controinteressati, tra cui i danti causa delle ricorrenti, hanno presentato al Comune il progetto del piano di lottizzazione n. 12, che prevede un’importante edificazione residenziale a sud dell’azienda agricola di Gi.Ca.Pi. e Al.Pi., dove è presente un allevamento di bovini con circa 300 capi.
Il comparto, che si trova in zona C2 (residenziale di espansione) ha una superficie pari a 114.822,74 mq e un volume edificabile pari a 120.010 mc. Rispetto alle strutture dell’allevamento i nuovi edifici si posizionano, nel punto più vicino, a una distanza di circa 100 metri.
4. La ASL di Brescia Distretto di Montichiari con nota del 31.12.2009 ha espresso parere negativo sul progetto, in quanto la distanza dall’allevamento, seppure conforme alle previsioni del regolamento locale di igiene del Comune, è inferiore alla misura di 500 metri stabilita dal regolamento di igiene tipo approvato con deliberazione del direttore generale n. 797 del 17.11.2003.
5. Nonostante il parere negativo della ASL, il Comune con deliberazioni consiliari n. 61 dell’08.09.2010 e n. 77 del 21.12.2010 ha rispettivamente adottato e approvato il piano di lottizzazione.
...
Sulla procedura di VAS
27. L’allegato 4 alla parte II del Dlgs. 152/2006 individua tra le opere sottoposte alla verifica di assoggettabilità a VAS (punto 7-b) i “progetti di sviluppo di aree urbane, nuove o in estensione, interessanti superfici superiori ai 40 ettari” nonché i “progetti di riassetto o sviluppo di aree urbane all'interno di aree urbane esistenti che interessano superfici superiori a 10 ettari”.
Il piano di lottizzazione in questione interessa una superficie pari a 114.822,74 mq, ma non riguarda il riassetto o lo sviluppo di aree urbane esistenti. Pertanto, non solo non è direttamente soggetto a VAS ma non ricade in nessuna delle due ipotesi di verifica di assoggettabilità.
28. Cautelativamente, in forza del principio secondo cui l’amministrazione deve comunque accertare se le opere, anche di piccole dimensioni, producano impatti significativi sull'ambiente (v. art. 6, comma 3, del Dlgs. 152/2006), l’attivazione della verifica di assoggettabilità appare corretta. In concreto, l’esame delle criticità della lottizzazione è stato effettuato dalla conferenza di servizi del 15.06.2010, che si è soffermata anche sul problema della distanza minima dall’allevamento.
29. Per quanto riguarda la distinzione tra autorità competente e autorità procedente (v. art. 5 e 12 del Dlgs. 152/2006), si rinvia all’interpretazione giurisprudenziale che considera normale la collocazione delle stesse all’interno del medesimo ente, trattandosi di funzioni non in rapporto di contrapposizione o controllo, ma chiamate a collaborare allo scopo di consentire una decisione finale basata sul necessario approfondimento tecnico (v. CdS Sez. IV 12.01.2011 n. 133; TAR Brescia Sez. II 02.05.2013 n. 400) (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 29.04.2014 n. 997 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Centri commerciali.
Domanda
I centri commerciali di media dimensione sono soggetti alla procedura di valutazione di impatto ambientale?
Risposta
La Corte costituzionale, con la sentenza del 28.10.2013, numero 251, ha affermato che sono soggetti alla procedura di valutazione di impatto ambientale (Via) anche i centri commerciali di media dimensione, alla luce della disciplina nazionale dettata dal Testo unico ambientale (decreto legislativo numero 152, del 03.04.2006), che all'allegato IV, parte II, punto 7, lettera b), prevede espressamente che siano sottoposti alla citata procedura di valutazione di impatto ambientale (Via) tutti i «centri commerciali».
Di conseguenza, i giudici costituzionali hanno dichiarato costituzionalmente illegittimo l'articolo 22 della legge della regione Veneto del 28.12.2012, numero 50, per violazione dell'articolo 117, comma 2, lettera s), della Costituzione. E ciò in considerazione del fatto che la procedura di valutazione di impatto ambientale (Via) rientra nella competenza esclusiva dello stato. Per la Corte costituzionale, però, rimane in vita, alla luce della normativa vigente, la deroga dell'allargamento dei casi di verifica di assoggettabilità a Via delle grandi strutture di vendita che non costituiscano centri commerciali.
Peraltro, è da dire che l'articolo 6, comma 9, del Testo unico ambientale, su citato, prevede testualmente che: «Le regioni e le province di Trento e di Bolzano possono definire, per determinate tipologie progettuali o aree predeterminate, sulla base degli elementi indicati nell'allegato V, un incremento nella misura massima del trenta per cento o decremento delle soglie di cui all'allegato IV. Con riferimento ai progetti di cui all'allegato IV, qualora non ricadenti neppure parzialmente in aree naturali protette, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano possono determinare, per specifiche categorie progettuali o in particolari situazioni ambientali e territoriali, sulla base degli elementi di cui all'allegato V, criteri o condizioni di esclusione dalla verifica di assoggettabilità».
Alla luce di detta disposizione, la legislazione regionale potrebbe escludere l'applicazione della verifica di assoggettabilità a Via quelle strutture di modeste dimensioni che non determinino significativi impatti anche se qualificabili come centro commerciale ai sensi della normativa del commercio (articolo ItaliaOggi Sette del 29.09.2014).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 6 del 05.02.2014, "Approvazione delle linee guida per la componente salute pubblica degli studi di impatto ambientale ai sensi dell’art. 12, comma 2, del regolamento regionale 21.11.2011, n. 5" (deliberazione G.R. 24.01.2014 n. 1266).

EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 5 del 29.01.2014, "Interventi riguardanti medie e grandi strutture di vendita da sottoporre alla «Verifica di assoggettabilità a VIA» o alla «VIA» in applicazione della direttiva comunitaria n. 2011/92/UE. Disciplina transitoria" (deliberazione G.R. 24.01.2014 n. 1267).

EDILIZIA PRIVATA: S. Deliperi, I progetti non possono essere “spezzettati” per eludere le procedure di valutazione di impatto ambientale (16.01.2014 - link a www.lexambiente.it).

2013

EDILIZIA PRIVATA: Shopping center sempre con la «Via». Corte costituzionale. Per il Veneto niente valutazione per i centri inferiori a 8mila metri quadrati.
La valutazione di impatto ambientale va fatta anche sui centri commerciali di medie dimensioni. E la regione non può dribblare l'obbligo con una legge che rende la Via obbligatoria solo per le grandi strutture.
La Corte costituzionale, con la sentenza 28.10.2013 n. 251 redatta dal giudice Marta Cartabia e depositata ieri, ha sancito l'illegittimità costituzionale dell'articolo 22 della legge regionale 50/2012. Una norma con cui il Veneto si è allontanato dai criteri fissati dallo Stato, nel prevedere la Via per le strutture che hanno una superficie di vendita superiore a 8mila metri quadrati e la procedura di verifica o lo screenig per quelle che vanno dai 2.501 agli 8mila.
Il legislatore regionale impone dunque esplicitamente la Valutazione di impatto ambientale o la verifica all'assoggettabilità alla Via, solo per le costruzioni che superano i 2.500 metri quadrati, "disobbedendo" così al legislatore statale (Dlgs 152/2006) che impone le stesse procedure per qualunque centro commerciale. Lo scollamento con il decreto legislativo c'è anche riguardo alle definizioni.
La norma statale considera centri commerciali «le strutture di vendita di medie e grandi dimensioni, nelle quali più esercizi commerciali sono inseriti in una struttura a destinazione specifica e usufruiscono di infrastrutture comuni e spazi di servizio gestiti unitariamente».
La regione Veneto ha considerato invece solo la grandezza dei grandi impianti destinati alla vendita senza dare rilevo alla caratteristica della pluralità di esercizi presenti in un medesimo spazio.
Secondo la Consulta la disposizione impugnata, sotto questo aspetto, è più ampia perché comprende anche i grandi locali che sfuggono alla definizione di centro commerciale, è però più restrittiva per la parte in cui lascia sfuggire alle verifiche di compatibilità ambientale gli shopping center di medie dimensioni.
I giudici costituzionali ricordano che con le sentenze 221 del 2010 e 234 del 2009 è stato sgombrato il campo da ogni dubbio sulla competenza esclusiva dello Stato nella tutela dell'ambiente in cui rientra la disciplina della Via.
Per questo, facendo a modo suo, la regione Veneto ha violato l'articolo 117 della Carta che assegna allo Stato il compito di legiferare in tema di ambiente e di ecosistema
 (articolo Il Sole 24 Ore del 29.10.2013).

EDILIZIA PRIVATA: La Via vale per i centri commerciali, non per le grandi strutture di vendita. La corte costituzionale su una legge del veneto.
Se è assoggettata a Via la realizzazione di un centro commerciale, non per questo analoga procedura deve essere rispettata per le grandi strutture commerciali che centri commerciali non sono. Insomma, la regione Veneto avrebbe voluto rimediare ad un errore del legislatore nazionale ma la Corte costituzionale non glielo consente. Ciò in quanto la materia relativa alla tutela dell'ambiente è di esclusiva competenza dello stato.

È questo, in sostanza, il nocciolo della questione contenuto nella
sentenza 28.10.2013 n. 251 della Corte Costituzionale e che ha fatto seguito all'impugnativa del Governo della legge regionale veneta 50/2012.
Ciò in quanto altre due questioni che trattavano, invece, i procedimenti di competenza del Suap e la procedura di variante mediante conferenza di servizi sono state dichiarate infondate. In pratica, la Regione Veneto aveva ritenuto un paradosso il fatto che l'allegato IV alla Parte II, punto 7, lettera b), del dlgs n. 152 del 2006, assoggetti a screening la costruzione di centri commerciali previsti dal dlgs 114/1998 a prescindere dalla loro dimensione.
Perché ciò condurrebbe a ritenere che qualsiasi struttura qualificabile come centro commerciale sia da sottoporre necessariamente alla valutazione a prescindere dalla dimensione dell'insediamento, con l'esito di obbligare alla procedura di screening anche accostamenti di esercizi commerciali di dimensioni molto contenute, laddove grandi strutture di vendita, anche molto grandi ma non qualificabili come centri commerciali ai sensi della disciplina statale, non sarebbero soggette ad analoga procedura.
Da ciò la scelta del legislatore regionale di prevedere esplicitamente la Via o la verifica di assoggettabilità a Via per le «grandi strutture di vendita», che comprendono quindi anche i centri commerciali, aventi superficie superiore ai 2.500 metri quadrati, ed escludere quindi la verifica per le opere che «grandi strutture di vendita» non sono anche se strutturate con la modalità di centro commerciale.
Ma, secondo il giudice delle leggi, riferirsi a categoria diversa da quella utilizzata dal legislatore statale, anche se per alcuni aspetti essa è più ampia, perché al suo interno annovera anche le strutture che non possono essere definite centri commerciali, non è consentito, perché in tal modo sarebbero esclusi i centri commerciali minori per i quali, invece, il legislatore nazionale ha imposto la verifica (articolo ItaliaOggi del 29.10.2013).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: Protezione sostenibile.
Domanda.
In materia di Valutazione di impatto ambientale (Via), cosa deve intendersi per protezione sostenibile?
Risposta.
In tema di Valutazione di impatto ambientale (Via) la pubblica amministrazione competente, nel valutare l'impatto che l'intervento dell'uomo sull'ambiente procura, deve valutarlo non soltanto alla luce del principio dello sviluppo sostenibile, codificato nell'articolo 3-quater del decreto legislativo 03.04.2006, numero 152, ma anche alla luce della cosiddetta «protezione sostenibile», che è una tutela rafforzata che contempera, come afferma il Consiglio di stato, sezione VI, con la sentenza numero 7472, del 16.11.2004, i vantaggi economici che la protezione in sé assicura con gli equilibri che sono essenziali per qualsiasi cittadino, che ha diritto a tutte le informazioni all'uopo necessarie, per una sempre maggiore trasparenza sul procedimento. Trasparenza che deve giustificare le scelte che la pubblica amministrazione ha effettuato, quale garante nella tutela dell'ambiente.
Il Tribunale amministrativo regionale (Tar) del Veneto, sezione III, con la sentenza dell'08.03.2012, numero 333, ha puntualizzato che la normativa portata dall'articolo 21 comma 2, lettera b), del citato decreto legislativo 03.04.2006, numero 152, per la procedura di Valutazione di impatto ambientale (Via), fissa l'obbligo di identificare e valutare ogni possibile alternativa al progetto, compresa la sua non realizzazione, con l'indicazione delle principali ragioni della scelta effettuata. Infatti, la scelta deve essere resa trasparente sia sotto il profilo dell'impatto ambientale, sia al fine di evitare interventi che possano causare sacrifici ambientali superiori a quelli necessari per soddisfare l'interesse che si sottende con l'iniziativa.
E, il Consiglio di stato, sezione VI, con la sentenza numero 933, del 22.02.2007, ebbe ad affermare, sempre in tema di rilascio della Valutazione di impatto ambientale (Via), che «la natura schiettamente discrezionale della decisione finale (e della preliminare verifica di assoggettabilità) sul versante tecnico e anche amministrativo, rende fisiologico ed obbediente alla ratio su evidenziata che si pervenga ad una soluzione negativa ove l'intervento proposto cagioni un sacrificio ambientale superiore a quello necessario per il soddisfacimento dell'interesse diverso sotteso all'iniziativa: da qui la possibilità di bocciare progetti che arrechino vulnus non giustificato da esigenze produttive, ma suscettibile di venire meno, per il tramite di soluzioni meno impattanti in conformità al criterio di sviluppo sostenibile ed alla logica della proporzionalità tra consumazione delle risorse naturali e benefici per la collettività che deve governare il bilanciamento di istanze antagoniste» (articolo ItaliaOggi Sette del 24.06.2013).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: Opzione zero.
Domanda.
La pubblica amministrazione, in sede di Valutazione di impatto ambientale (Via), deve esaminare anche la cosiddetta «opzione zero»?
Risposta.
La pubblica amministrazione, in sede di Valutazione di impatto ambientale (Via), deve esaminare tutte le opzioni alternative, relative al tipo di intervento richiesto, compresa quella relativa alla non realizzazione dell'opera, cosiddetta «opzione zero». Pertanto, come anche sostenuto dal Tribunale amministrativo regionale (Tar) del Veneto, sezione III, con la sentenza dell'08.03.2012, numero 333, è illegittima una Valutazione di impatto ambientale (Via) che non prende in considerazione o le prende in maniera insufficiente, le opzioni suddette, compresa la cosiddetta «opzione zero».
Peraltro, la Corte di giustizia europea, sezione VI, con la sentenza numero 435, del 16.09.1999, causa C-435/97, ebbe a puntualizzare che: «Gli articoli 4, n. 2, e 2, n. 1, della direttiva del Consiglio 27.06.1985, 85/337/Cee_ vanno intesi nel senso che non conferiscono ad uno Stato membro né il potere di dispensare, a priori e globalmente, dalla procedura di valutazione di impatto ambientale istituita dalla direttiva determinate classi di progetti elencate nell'allegato II di quest'ultima, ivi comprese le modifiche di tali progetti, né il potere di sottrarre a tale procedura uno specifico progetto, a meno che l'insieme di tali classi di progetto o il progetto specifico possa essere ritenuto, sulla base di una valutazione complessiva, inidoneo ad avere un impatto ambientale importante. Spetta al giudice nazionale verificare se le Autorità competenti, sulla base dell'esame in concreto da esse eseguito che le ha condotte ad esonerare il progetto dalla procedura di valutazione istituita dalla direttiva, abbiano concretamente valutato, in conformità alla stessa, l'importanza dell'impatto ambientale dello specifico progetto in questione».
In ogni caso l'Autorità amministrativa competente ha l'obbligo di comunicare, a richiesta, i motivi per i quali la decisione è stata assunta, ovvero le informazioni ed i documenti pertinenti in risposta alle richieste formulate (Corte di giustizia, sezione II, sentenza del 04.05.2006, causa C-508/2003) (articolo ItaliaOggi Sette del 24.06.2013).

EDILIZIA PRIVATA: Ambiente in genere. Illegittimità autorizzazione impianto produzione di calcestruzzo in ampliamento di un impianto di recupero rifiuti inerti senza preventiva VIA.
E’ illegittima l’approvazione del progetto ed autorizzazione alla realizzazione di un impianto per la produzione di calcestruzzo con materiali inerti e rifiuti non pericolosi in ampliamento di un impianto di recupero rifiuti inerti senza preventiva VIA.
Quand’anche il progetto per la produzione di calcestruzzo dovesse essere qualificato come ampliamento di quello esistente di frantumazione, si dovrebbe comunque definire il medesimo come comportante una variante sostanziale al progetto originario in quanto tale assoggettabile alla medesima disciplina applicabile ai nuovi impianti ai sensi dell’art. 208, comma 19, del Dlgs. n. 152 del 2006, per il quale le procedure di autorizzazione di nuovi impianti si applicano anche per la realizzazione di varianti sostanziali a seguito delle quali gli impianti non sono più conformi all'autorizzazione rilasciata.

L’art. 16, comma 2, della legge regionale n. 11 del 2010, ha previsto che nelle more dell’approvazione del piano regionale di gestione dei rifiuti speciali, “non possono essere rilasciati provvedimenti di approvazione dei progetti di impianti di smaltimento o recupero di rifiuti speciali, pericolosi e non pericolosi, né concesse autorizzazioni all’esercizio di nuovi impianti di smaltimento o recupero di rifiuti speciali, pericolosi e non pericolosi, in assenza di una deliberazione del consiglio provinciale competente per il territorio, previo parere dell’Osservatorio rifiuti dell’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente del Veneto, che accerti l’indispensabilità degli impianti stessi ai fini dello smaltimento o recupero, in ragione dell’osservanza del principio di prossimità tra luogo di produzione e luogo di smaltimento prescritto dall’articolo 11, commi 1 e 2, della legge regionale 21.01.2000, n. 3 e dall’articolo 199, comma 3, lettera d), del decreto legislativo 03.04.2006, n. 152”.
Nel caso in esame la Provincia di Verona si è rivolta all’Osservatorio rifiuti dell’Arpav e questo con parere n. 01377407211 del 16.11.2010, ha affermato che il progetto presentato non è soggetto alle limitazioni dettate dalla predetta norma, in quanto va qualificato come mero ampliamento di impianti esistenti in termini di potenzialità, superficie o modifiche gestionali, e quindi come rientrante nelle esenzioni previste dalla deliberazione della Giunta regionale n. 1210 del 23.03.2010, recante disposizioni attuative della legge regionale.
La Provincia di Verona, la Società controinteressata e l’Arpav nelle proprie difese sostengono la tesi enunciata in tale parere, affermando che nel caso di specie l’impianto per la produzione di calcestruzzo deve considerarsi ampliamento dell’impianto di frantumazione, e che questo deve considerarsi già esistente in quanto già autorizzato, ai fini della non applicabilità dei vincoli previsti dall’art. 16 della legge regionale n. 11 del 2010, come previsto dalla sopra menzionata deliberazione della Giunta regionale.
Questa tesi non può essere condivisa perché si basa su di una non corretta interpretazione delle norme.
Dalla cronistoria delle procedure autorizzative intercorse emerge che:
- la dante causa dell’odierna controinteressata Ecoblu Srl, la ditta Cava Mirabei Srl, è stata autorizzata con determinazione n. 270/04 del 16.01.2004 alla realizzazione di un impianto per l’attività di recupero di materiali inerti e rifiuti tramite frantumazione, non realizzato, e la cui scadenza del termine di realizzazione è stata più volte prorogata, da ultimo fino al 26.06.2011, dal provvedimento impugnato;
- il progetto originario che ha dato luogo alla determinazione n. 270/04 del 16.01.2004 prevedeva, unitamente alla realizzazione dell’impianto di frantumazione, anche la realizzazione di un impianto di betonaggio per la produzione di calcestruzzo e di una tettoia per ricovero mezzi, ma la parte di progetto relativa a tale impianto non è stata approvata in quanto ritenuta afferente ad un insediamento produttivo non attinente al recupero dei rifiuti, e pertanto di competenza del Comune e non della Provincia (nel progetto era previsto l’utilizzo di rifiuti provenienti da scavi e demolizioni; cocciame da estrazioni e lavorazioni di pietre naturali per l’ottenimento di inerti a granulometria stabilizzata utilizzabili per la realizzazione di sottofondi di capannoni e la costruzione di opere stradali, come risulta dal parere n. 113 di cui al verbale n. 18 del 13.10.2003 della commissione tecnica provinciale per l’ambiente della Provincia di Verona allegato al doc. 17 del ricorso);
- successivamente, in data 11.05.2004, la ditta ha presentato domanda di approvazione di un diverso progetto per un impianto per la produzione di calcestruzzo con materiali inerti e rifiuti provenienti da centrali termoelettriche ed altri rifiuti compatibili;
- l’istanza per ottenere l’autorizzazione di tale progetto è stata respinta con determinazione prot. n. 65504 del 25.06.2008 del dirigente del settore ecologia della Provincia di Verona, facendo riferimento a ragioni di tutela paesaggistica;
- il Tar Veneto, Sez. II, con sentenza 14.11.2008, n. 3567, ha annullato il diniego di autorizzazione accogliendo la censura di difetto di motivazione;
- in esecuzione di tale sentenza, il dirigente del settore ambiente della Provincia di Verona con nota prot. n. 24271 del 05.03.2009, ha inviato una comunicazione di avvio del procedimento per il riesame del progetto, e successivamente ha sospeso i termini per la conclusione del procedimento, in quanto vi era la necessità di verificare l’assoggettabilità del progetto alla valutazione di impatto ambientale;
- in data 30.11.2009, la ditta ha presentato domanda di verifica di assoggettabilità del progetto a valutazione di impatto ambientale;
- il dirigente del settore ambiente della Provincia di Verona con determinazione n. 2355/10 del 4 maggio 2010, ha escluso dalla procedura di valutazione di impatto ambientale il progetto denominato “impianto di recupero di materiali inerti tramite frantumazione, mediante l’inserimento di un impianto per la produzione di calcestruzzo con materiali e rifiuti inerti”;
- tale provvedimento reca tuttavia la prescrizione che, prima dell’approvazione del progetto, deve essere presentato uno studio con la valutazione degli effetti cumulativi con le altre attività di gestione dei rifiuti presenti sulle aree limitrofe;
- il 19.10.2010 la Provincia di Verona ha chiesto all’Osservatorio rifiuti dell’Arpav il parere prescritto dall’art. 16 della legge regionale n. 11 del 2010;
- l’Arpav ha affermato che il progetto non soggiace alle limitazioni previste dall’art. 16 delle legge regionale n. 11 del 2010, e pertanto può essere autorizzato senza l’acquisizione del parere del consiglio provinciale circa l’indispensabilità dello stesso ai fini dello smaltimento o recupero dei rifiuti, in ragione dell’osservanza del principio di prossimità tra luogo di produzione e luogo di smaltimento.
Da quanto esposto risulta quindi che il progetto ricade tra quelli assoggettati alla disciplina dell’art. 16 della legge regionale n. 11 del 2010, perché si tratta di un progetto relativo ad un nuovo impianto.
In fatto emerge che in passato non è stata mai approvata l’autorizzazione di un impianto per la produzione del calcestruzzo con materiali inerti e rifiuti (la produzione del calcestruzzo mediante l’utilizzo di rifiuti rende ininfluente, ai fini della definizione della controversia, la preesistenza di un impianto di betonaggio molto risalente), in quanto la richiesta di approvazione del progetto relativo ad un impianto di questo tipo presentata nel 2003, era stata respinta, e che l’impianto di recupero di inerti mediante frantumazione autorizzato con la determinazione n. 270/04 del 16 gennaio 2004, che si pretenderebbe oggetto di ampliamento, non è stato ancora realizzato, in quanto il termine di scadenza dell’autorizzazione è stato ripetutamente prorogato.
Ne discende, contrariamente a quanto afferma l’Arpav nel proprio parere, la non applicabilità al progetto relativo all’impianto per la produzione di calcestruzzo con inerti e rifiuti, della disciplina sulle esenzioni previste dalla deliberazione della Giunta regionale n. 1210 del 23.03.2010, recante disposizioni attuative dell’art. 16 della legge regionale n. 11 del 2010.
Questa infatti, che ha valenza interpretativa della legge regionale, precisa le casistiche che non devono ritenersi soggette all’applicazione dell’art. 16 della legge regionale n. 11 del 2010, e tra queste menziona le domande relative alla “realizzazione di interventi di ampliamento di impianti esistenti autorizzati allo smaltimento o recupero di rifiuti speciali, pericolosi e non, in termini di potenzialità, superficie o modifiche gestionali”.
Nel caso in esame il progetto per la produzione di calcestruzzo con materiali inerti e rifiuti non può essere definito come mero ampliamento in termini di potenzialità, superficie o modifiche gestionali del progetto di realizzazione di un impianto di recupero di inerti mediante frantumazione, in primo luogo perché non può parlarsi di ampliamento tra impianti tra loro diversi, strutturalmente e funzionalmente autonomi, che sono solo collegati tra loro, in secondo luogo perché l’impianto di frantumazione, quand’anche fosse da qualificare, secondo la prospettazione delle parti resistenti e della controinteressata, come ampliato dall’impianto di produzione del calcestruzzo, non potrebbe neppure essere definito come già “esistente”, atteso che, benché autorizzato, non è stato ancora realizzato e l’espressione impianti “esistenti ed autorizzati” utilizzata dalla citata deliberazione della Giunta regionale non costituisce un’endiadi.
Infatti laddove il legislatore ha definito cosa debba intendersi per “impianto esistente”, ha inteso fare riferimento non solo all’impianto che abbia ottenuto tutte le autorizzazioni necessarie, ma che sia anche entrato in funzione (in tali termini l’art. 5, comma 1, lett. i-quinquies del Dlgs. n. 152 del 2006 dispone che si definisce impianto esistente “un impianto che, al 10.11.1999, aveva ottenuto tutte le autorizzazioni ambientali necessarie all'esercizio, o il provvedimento positivo di compatibilità ambientale, o per il quale a tale data erano state presentate richieste complete per tutte le autorizzazioni ambientali necessarie per il suo esercizio, a condizione che esso sia entrato in funzione entro il 10.11.2000”).
Una tale conclusione è coerente, sotto un profilo sistematico, con la logica sottesa alla norma regionale, posto che l’art. 16 della legge regionale n. 11 del 2010, si prefigge di non compromettere il raggiungimento degli obiettivi della pianificazione, nelle more del perfezionamento dell’iter di approvazione del piano regionale di gestione dei rifiuti speciali.
Solo per completezza va anche soggiunto che, quand’anche il progetto per la produzione di calcestruzzo dovesse essere qualificato come ampliamento di quello di frantumazione, si dovrebbe comunque definire il medesimo come comportante una variante sostanziale al progetto originario in quanto tale assoggettabile alla medesima disciplina applicabile ai nuovi impianti ai sensi dell’art. 208, comma 19, del Dlgs. n. 152 del 2006, per il quale le procedure di autorizzazione di nuovi impianti si applicano anche per la realizzazione di varianti sostanziali a seguito delle quali gli impianti non sono più conformi all'autorizzazione rilasciata.
Da quanto premesso, discende che il progetto ricade tra quelli assoggettati alla disciplina dell’art. 16 della legge regionale n. 11 del 2010, e che non può quindi essere autorizzato senza una deliberazione del consiglio provinciale competente per territorio che, previo parere dell’Osservatorio rifiuti dell’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente del Veneto, accerti l’indispensabilità degli impianti stessi ai fini dello smaltimento o recupero, in ragione dell’osservanza del principio di prossimità tra luogo di produzione e luogo di smaltimento (massima tratta da www.lexambiente.it - TAR Veneto, Sez. III, sentenza 05.02.2013 n. 137 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Necessità VIA per insediamento turistico-residenziale con procedura semplificata ex DPR n. 447/1998 in area agricola con ulivi secolari.
E’ legittima la richiesta della valutazione di compatibilità ambientale (VIA) per insediamento turistico-residenziale con richiesta di procedura semplificata ex DPR n. 447/1998, visto che il progetto comporta variazione alle destinazioni del PRG e l’area interessata ad ospitare l’insediamento produttivo ricade in parte in zona agricola contrassegnata dalla presenza di una moltitudine di ulivi secolari se non millenari che tipizza i luoghi nella loro specificità sì da farne un “unicum” di bellezza e di patrimonio naturale, rendendo necessariamente del tutto non compatibile con un tale assetto ambientale del territorio un intervento edilizio che comporta tra l’altro, proprio in riferimento alla superficie ulivetata l’espianto e successivo reimpianto in altro loco di numerose piante di ulivo, con chiaro pericolo di alterazione dello stato dei luoghi.
L’istituto della VIA è finalizzato alla tutela preventiva dell’ambiente inteso nella sua più ampia accezione, con riferimento alle sue varie componenti : il paesaggio, le risorse naturali, le condizioni di vivibilità degli abitanti, gli aspetti culturali, alla luce del valore primario ed assoluto riconosciuto dalla Costituzione al paesaggio e all’ambiente.

Con riferimento al primo aspetto parte appellante lamenta il fatto che l’Amministrazione regionale avrebbe immotivatamente sconfessato l’istruttoria concordata tra proponente e Regione stessa, tenuto in non cale, in sede di istruttoria della pratica, gli apporti documentali della Società Pettolecchia nonché obliterato in pratica la regola del contraddittorio che pure avrebbe dovuto informare la valutazione dello studio di impatto ambientale (S.I.A.), inoltrato dall’appellante.
Orbene, la lettura della parte narrativa del parere di cui alla determina dirigenziale n. 87/2005 consente agevolmente di rilevare che la Regione nell’istruire la richiesta di compatibilità ambientale ha sufficientemente interloquito con Pettolecchia, dato altresì contezza delle integrazioni documentali fatte pervenire dalla predetta Società e preso altresì atto di procedere ad una definizione concordata dei contenuti del S.I.A ai sensi dell’art. 9 della legge regionale n. 11/2001.
Da come si è svolto l’iter procedurale, non è dato evincere insomma che la determinazione di carattere negativo sia stata assunta, per così dire, “ex abrupto”, mentre risulta documentato che è stata assicurata alla richiedente ampia possibilità di contraddittorio e di partecipazione.
E’ altresì evidente che naturalmente sia pure in un rapporto di interlocuzione e contraddittorio rimane integro il potere della P.A. in subiecta materia di non essere obbligata a seguire il soggetto proponente nelle valutazione e risultanze da questo indicate: un tanto ci introduce nel campo più strettamente di “merito“ della procedura in parola,avuto riguardo cioè a quei profili sostanzialistici (infondatamente ritenuti violati dall’appellante) della quaestio iuris che impongono qui di richiamare sia pure in termini di estrema sintesi i principi che governano la procedura della V.I.A. onde rilevarne natura giuridica del procedimento e ratio applicativa.
L’istituto in parola è finalizzato alla tutela preventiva dell’ambiente inteso nella sua più ampia accezione, con riferimento alle sue varie componenti: il paesaggio, le risorse naturali, le condizioni di vivibilità degli abitanti, gli aspetti culturali e al riguardo il Collegio ritiene di condividere pienamente quanto affermato dalla giurisprudenza costituzionale ed amministrativa in ordine alla natura sostanzialmente insindacabile delle scelte effettuate, giustificandola alla luce del valore primario ed assoluto riconosciuto dalla Costituzione al paesaggio e all’ambiente (in tali sensi, Cons. Stato, Sez. V, 12.06.2009 n. 3770; Corte Costituzionale 07.11.2007 n. 367).
Inoltre, è stato altresì sottolineato che l’ambiente rileva non solo come paesaggio ma anche come assetto del territorio comprensivo degli aspetti naturalistici, e, in particolare, di quelli relativi alla protezione oltreché della fauna anche delle specie vegetazionali (Cons. Stato, Sez. IV, 05.07.2010 n. 4246).
Insomma, nella disciplina della V.I.A. è insita la valenza del principio fondamentale per cui detta procedura è preordinata alla salvaguardia dell’habitat nel quale l’uomo vive e ciò non può non assurgere a valore primario ed assoluto in quanto espressivo della personalità umana (Cons. Stato, Sez. VI, 18.03.2008 n. 1109),
E’ stato parimenti affermato che nel rendere il giudizio di impatto ambientale l’amministrazione esercita una amplissima discrezionalità tecnica censurabile solo per macroscopici vizi logici, per errori di fatto o per travisamento dei presupposti (Cons. Stato, Sez. VI, 19.02.2008 n. 561; idem, 30.01.2004 n. 316), vizi nella specie non rinvenibili (massima tratta da www.lexambiente.it - Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 24.01.2013 n. 468 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

2012

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICIEsiste una proposta di direttiva che modifica la disciplina della VIA? Perché? (06.11.2012 - link a www.ambientelegale.it).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICIQuali sono i termini della proposta di modifica della Commissione UE alla disciplina della VIA? (06.11.2012 - link a www.ambientelegale.it).

EDILIZIA PRIVATAImpianti idroelettrici: quando occorre la verifica di assoggettabilità a VIA? (05.11.2012 - link a www.ambientelegale.it).

EDILIZIA PRIVATA: A. Milone, VIA e AIA delle centrali termoelettriche: un’interessante sentenza (nota a TAR Lazio n. 5327/2012) (link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: A. Muratori, VIA e AIA: affinità e differenze di finalità e contenuti tra giurisprudenza e norme «espresse» (link a www.ipsoa.it).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: Ambiente in genere. V.I.A. come strumento di tutela dell'ambiente nella sua accezione più ampia.
La V.i.a. è stata individuata come uno strumento di tutela dell'ambiente nella sua accezione più ampia, e cioè quale sistema integrato che condiziona la qualità della vita dell'uomo anche nella sua proiezione futura; appare, dunque errato, limitare la disciplina in tema di V.i.a. alla sola tutela delle specie animali e vegetali e omettere l'importanza rivestita anche ai fini del paesaggio e del contesto in cui le specie viventi e l'uomo si collocano.
Tale impostazione appare pienamente confermata d.lgs. 03.04.2006, n.152, come emerge dai contenuti del preambolo, dall'art. 1, comma 1, lett. b, ove le procedure di V.a.s. e di V.i.a. sono poste in relazione anche alla tutela del suolo, dall'art.2, concernente le specifiche finalità che la disciplina si propone (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 26.09.2012 n. 37051 - tratto da www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: La valutazione di impatto ambientale (V.I.A.) non si sostanzia in una mera verifica di natura tecnica circa la astratta compatibilità ambientale dell’opera, ma implica una complessa e approfondita analisi comparativa tesa a valutare il sacrificio ambientale imposto rispetto all’utilità socio–economica, tenuto conto anche delle alternative possibili e dei riflessi sulla stessa c.d. opzione–zero.
Pur essendo pacifico che il sindacato giurisdizionale sugli apprezzamenti tecnici dell’amministrazione possa svolgersi attraverso la verifica diretta dell’attendibilità delle operazioni compiute da quest’ultima, sotto il profilo della loro correttezza quanto a criterio tecnico ed a procedimento applicativo, è necessario precisare che il controllo del giudice amministrativo sulle valutazioni discrezionali deve essere svolto extrinsecus, nei limiti della rilevabilità ictu oculi dei vizi di legittimità dedotti, essendo diretto ad accertare il ricorrere di seri indici di invalidità e non alla sostituzione dell’amministrazione.

Secondo la più recente giurisprudenza, “la valutazione di impatto ambientale non si sostanzia in una mera verifica di natura tecnica circa la astratta compatibilità ambientale dell’opera, ma implica una complessa e approfondita analisi comparativa tesa a valutare il sacrificio ambientale imposto rispetto all’utilità socio–economica, tenuto conto anche delle alternative possibili e dei riflessi sulla stessa c.d. opzione–zero” (Consiglio di Stato, V, 31.05.2102, n. 3254).
Inoltre è consolidato l’orientamento che, pur essendo pacifico che il sindacato giurisdizionale sugli apprezzamenti tecnici dell’amministrazione possa svolgersi attraverso la verifica diretta dell’attendibilità delle operazioni compiute da quest’ultima, sotto il profilo della loro correttezza quanto a criterio tecnico ed a procedimento applicativo, è necessario precisare che il controllo del giudice amministrativo sulle valutazioni discrezionali deve essere svolto extrinsecus, nei limiti della rilevabilità ictu oculi dei vizi di legittimità dedotti, essendo diretto ad accertare il ricorrere di seri indici di invalidità e non alla sostituzione dell’amministrazione (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 14.09.2012 n. 2331 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 36 del 05.09.2012, "Modalità di versamento degli oneri istruttori per i procedimenti di competenza regionale di cui alla l.r. 02.02.2010 n. 5 “Norme in materia di valutazione di impatto ambientale” (decreto D.U.O. 04.09.2012 n.  7600).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: La disciplina relativa alla valutazione di impatto ambientale non può essere elusa a mezzo di un riferimento a realizzazioni o interventi parziali, caratteristici nelle opere da realizzarsi per "tronchi" o "lotti", …La valutazione ambientale necessita, infatti, di una valutazione unitaria dell'opera, non essendo possibile che, con un meccanismo di stampo elusivo, l'opera venga artificiosamente frazionata in porzioni eseguite in assenza della valutazione perché, isolatamente prese, non configurano interventi sottoposti al regime protettivo.
La giurisprudenza della Corte Giustizia UE (Corte Giustizia CE, Sez. II, 10.12.2009) e del Giudice amministrativo italiano (Cons. Stato, sez. VI, 30.08.2002, n. 4368; sez. IV, 02.10.2006, n. 5760; sez. V, 16.06.2009, n. 3849; TAR Puglia, Lecce, sez. I, 16.04.2010, n. 926; TAR Puglia, Bari, sez. II, 23.06.2010 n. 2602) è, infatti, concorde nello stigmatizzare il cd. scorporo in lotti di opere aventi carattere unitario, al fine di eludere la normativa in tema di valutazione di impatto ambientale: <<la disciplina relativa alla valutazione di impatto ambientale non può essere elusa a mezzo di un riferimento a realizzazioni o interventi parziali, caratteristici nelle opere da realizzarsi per "tronchi" o "lotti", …La valutazione ambientale necessita, infatti, di una valutazione unitaria dell'opera, non essendo possibile che, con un meccanismo di stampo elusivo, l'opera venga artificiosamente frazionata in porzioni eseguite in assenza della valutazione perché, isolatamente prese, non configurano interventi sottoposti al regime protettivo>> (Cons. Stato, sez. V, 16.06.2009, n. 3849) (TAR Toscana, Sez. II, sentenza 30.07.2012 n. 1388 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: La valutazione di impatto ambientale, per giurisprudenza pacifica, si caratterizza quale giudizio espressione di ampia discrezionalità oltre che di tipo tecnico, anche amministrativa, sul piano dell’apprezzamento degli interessi pubblici in rilievo e della loro ponderazione rispetto all’interesse all’esecuzione dell’opera.
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L’asserita non corrispondenza contenutistica tra il preavviso di diniego e la v.i.a. negativa non può assurgere a vizio invalidante ex art. 21-octies legge 241/1990. Infatti, benché tale corrispondenza sia tendenzialmente da reputarsi necessaria al fine di non eludere la funzione collaborativa e deflattiva propria dell’istituto essa non deve essere assoluta, ben potendo l’Amministrazione, sulla base delle osservazioni dell’istante ma anche in via del tutto autonoma, precisare le proprie posizioni in sede decisoria, nel limite dei soli “punti salienti indicati nel preavviso.

Preliminarmente, va evidenziato come la valutazione di impatto ambientale, per giurisprudenza pacifica, si caratterizza quale giudizio espressione di ampia discrezionalità oltre che di tipo tecnico, anche amministrativa, sul piano dell’apprezzamento degli interessi pubblici in rilievo e della loro ponderazione rispetto all’interesse all’esecuzione dell’opera (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 22.06.2009, n. 4206; id., sez. V, 21.11.2007, n. 5910; id., sez. VI, 17.05.2006, n. 2851; id., sez. IV, 22.07.2005, n. 3917; TAR Puglia Bari sez I, 14.05. 2010, n. 1897; TAR Toscana sez II, 20.04.2010, n. 986).
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Infine, anche le censure “formali” di violazione del giusto procedimento (art. 7 e 10-bis legge 241/1990) sono prive di pregio, avendo l’Amministrazione puntualmente controdedotto alle osservazioni prodotte dalla ricorrente in seguito al preavviso di diniego.
L’asserita non corrispondenza contenutistica tra il preavviso di diniego e la v.i.a. negativa non può d’altronde assurgere a vizio invalidante ex art. 21-octies legge 241/1990. Infatti, benché tale corrispondenza sia tendenzialmente da reputarsi necessaria (Consiglio di Stato sez. IV 13.11.2007, n. 6325; TAR Piemonte, sez I, 07.02.2007, n. 503) al fine di non eludere la funzione collaborativa e deflattiva propria dell’istituto (TAR Puglia Bari, sez III, 25.03.2011, n. 500) essa non deve essere assoluta, ben potendo l’Amministrazione, sulla base delle osservazioni dell’istante ma anche in via del tutto autonoma, precisare le proprie posizioni in sede decisoria, nel limite dei soli “punti salienti indicati nel preavviso” (Consiglio di Stato sez. IV 13.11.2007, n. 6325) secondo quindi un criterio di “ragionevole flessibilità
(TAR Puglia-Bari, Sez. I, sentenza 24.07.2012 n. 1512 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Nel rendere il giudizio di valutazione d’impatto ambientale e nell’effettuare la verifica preliminare, l’Amministrazione esercita un’amplissima discrezionalità tecnica, censurabile solo in presenza di macroscopici vizi logici o di travisamento dei presupposti.
Ed in ogni caso, la valutazione d’impatto ambientale non costituisce un mero giudizio tecnico, suscettibile in quanto tale di verificazione sulla base di oggettivi criteri di misurazione, ma presenta al contempo profili particolarmente intensi di discrezionalità amministrativa, sul piano dell’apprezzamento degli interessi pubblici in rilievo e della loro ponderazione rispetto all’interesse all’esecuzione dell’opera, apprezzamento che è sindacabile dal giudice amministrativo soltanto in ipotesi di manifesta illogicità o travisamento dei fatti, nel caso in cui l’istruttoria sia mancata, o sia stata svolta in modo inadeguato, e sia perciò evidente lo sconfinamento del potere discrezionale riconosciuto all’Amministrazione.

La giurisprudenza ha ripetutamente chiarito che, nel rendere il giudizio di valutazione d’impatto ambientale e nell’effettuare la verifica preliminare, l’Amministrazione esercita un’amplissima discrezionalità tecnica, censurabile solo in presenza di macroscopici vizi logici o di travisamento dei presupposti (cfr. Trib. Sup. acque pubbliche, 11.03.2009, n. 35; Cons. Stato, Sez. VI, 19.02.2008 n. 561; Id., Sez. IV, 05.07.2010 n. 4246).
Ed in ogni caso, la valutazione d’impatto ambientale non costituisce un mero giudizio tecnico, suscettibile in quanto tale di verificazione sulla base di oggettivi criteri di misurazione, ma presenta al contempo profili particolarmente intensi di discrezionalità amministrativa, sul piano dell’apprezzamento degli interessi pubblici in rilievo e della loro ponderazione rispetto all’interesse all’esecuzione dell’opera, apprezzamento che è sindacabile dal giudice amministrativo soltanto in ipotesi di manifesta illogicità o travisamento dei fatti, nel caso in cui l’istruttoria sia mancata, o sia stata svolta in modo inadeguato, e sia perciò evidente lo sconfinamento del potere discrezionale riconosciuto all’Amministrazione (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 22.06.2009 n. 4206; Id., Sez. V, 21.11.2007 n. 5910; Id., Sez. VI, 17.05.2006 n. 2851; Id., Sez. IV, 22.07.2005 n. 3917; cfr. da ultimo TAR Puglia, Bari, Sez. I, 14.05.2010, n. 1897) (TAR Puglia-Bari, Sez. I, sentenza 10.07.2012 n. 1395 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA-PRIVATA: ENERGIA ELETTRICA - INQUINAMENTO.
Il principio di precauzione di cui all'art. 3 Codice dell'Ambiente presuppone la deduzione di validi elementi idonei a contrastare ragionevolmente l'insediamento energetico, in quanto diversamente opinando si verrebbe a paralizzare ogni utile iniziativa, quale un impianto per la produzione elettrica con fonti rinnovabili, costituente un obiettivo comunitario altamente prioritario ex art. 6 Dir. CE n. 2001/77/CE ed art. 13 Dir. CE n. 2009/28/CE.
Ai fini della costruzione e dell'esercizio di un impianto di produzione di energia elettrica alimentato da fonti rinnovabili (specificamente oli vegetali in motori endotermici) la valutazione di incidenza ambientale non è necessaria nell'ipotesi in cui l'intervento non risulti essere ubicato all'interno di un Sito d'Interesse Comunitario (cosiddetto SIC), bensì unicamente nelle vicinanze all'esterno del sito (nella specie circa metri 200 dallo stesso) (TAR Abruzzo-Pescara, sentenza 03.07.2012 n. 325 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: A. C. Bartoccioni, DISCREZIONALITÀ TECNICA ED AMMINISTRATIVA IN TEMA DI VALUTAZIONI D’IMPATTO AMBIENTALE (Gazzetta Amministrativa n. 2/2012).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 23 del 07.06.2012, "Testo coordinato della l.r. 02.02.2010 n. 5 «Norme in materia di valutazione di impatto ambientale»".

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: La valutazione di impatto ambientale non si sostanzia in una mera verifica di natura tecnica circa la astratta compatibilità ambientale dell’opera, ma implica una complessa e approfondita analisi comparativa tesa a valutare il sacrificio ambientale imposto rispetto all’utilità socio–economica, tenuto conto anche delle alternative possibili e dei riflessi sulla stessa c.d. opzione–zero.
In particolare, è stato evidenziato che “la natura schiettamente discrezionale della decisione finale (e della preliminare verifica di assoggettabilità), sul versante tecnico ed anche amministrativo, rende allora fisiologico ed obbediente alla ratio su evidenziata che si pervenga ad una soluzione negativa ove l’intervento proposto cagioni un sacrificio ambientale superiore a quello necessario per il soddisfacimento dell’interesse diverso sotteso all’iniziativa; da qui la possibilità di bocciare progetti che arrechino vulnus non giustificato da esigenze produttive, ma suscettibile di venir meno, per il tramite di soluzioni meno impattanti in conformità al criterio dello sviluppo sostenibile e alla logica della proporzionalità tra consumazione delle risorse naturali e benefici per la collettività che deve governare il bilanciamento di istanze antagoniste.
Non può sostenersi, pertanto, che la valutazione di impatto ambientale sia un mero atto (tecnico) di gestione ovvero di amministrazione in senso stretto, rientrante come tale nelle attribuzioni proprie dei dirigenti, trattandosi piuttosto di un provvedimento con cui viene esercitata una vera e propria funzione di indirizzo politico–amministrativo con particolare riferimento al corretto uso del territorio (in senso ampio), attraverso la cura ed il bilanciamento della molteplicità dei (contrapposti) interessi, pubblici (urbanistici, naturalistici, paesistici, nonché di sviluppo economico–sociale) e privati, che su di esso insistono, come tale correttamente affidata all’organo di governo, nel caso di specie la Giunta regionale.

Com’è stato recentemente ribadito (C.d.S., sez. IV, 05.07.2010, n. 4246; sez. V, 22.06.2009, n. 4206; VI, 17.05.2006, n. 2851), alla stregua dei principi comunitari e nazionali, oltre che delle sue stesse peculiari finalità, la valutazione di impatto ambientale non si sostanzia in una mera verifica di natura tecnica circa la astratta compatibilità ambientale dell’opera, ma implica una complessa e approfondita analisi comparativa tesa a valutare il sacrificio ambientale imposto rispetto all’utilità socio–economica, tenuto conto anche delle alternative possibili e dei riflessi sulla stessa c.d. opzione–zero; in particolare (C.d.S., sez. IV, 05.07.2010, n. 4245, cit.), è stato evidenziato che “la natura schiettamente discrezionale della decisione finale (e della preliminare verifica di assoggettabilità), sul versante tecnico ed anche amministrativo, rende allora fisiologico ed obbediente alla ratio su evidenziata che si pervenga ad una soluzione negativa ove l’intervento proposto cagioni un sacrificio ambientale superiore a quello necessario per il soddisfacimento dell’interesse diverso sotteso all’iniziativa; da qui la possibilità di bocciare progetti che arrechino vulnus non giustificato da esigenze produttive, ma suscettibile di venir meno, per il tramite di soluzioni meno impattanti in conformità al criterio dello sviluppo sostenibile e alla logica della proporzionalità tra consumazione delle risorse naturali e benefici per la collettività che deve governare il bilanciamento di istanze antagoniste (cfr. Cons. St., sez. VI, 22.02.2007, n. 933)”.
Non può sostenersi pertanto che la valutazione di impatto ambientale sia un mero atto (tecnico) di gestione ovvero di amministrazione in senso stretto, rientrante come tale nelle attribuzioni proprie dei dirigenti, trattandosi piuttosto di un provvedimento con cui viene esercitata una vera e propria funzione di indirizzo politico–amministrativo con particolare riferimento al corretto uso del territorio (in senso ampio), attraverso la cura ed il bilanciamento della molteplicità dei (contrapposti) interessi, pubblici (urbanistici, naturalistici, paesistici, nonché di sviluppo economico–sociale) e privati, che su di esso insistono, come tale correttamente affidata all’organo di governo, nel caso di specie la Giunta regionale.
La normativa regionale indicata dal comune appellante si sottrae pertanto al dubbio di legittimità costituzionale, in relazione agli articoli 3 e 97 della Costituzione, per la prospettata violazione del principio di separazione della funzione di indirizzo politico–amministrativo da quella gestionale–amministrativo di attuazione della prima, come delineata dall’art. 3 del d.lgs. 03.02.1993, n. 29 e dall’art. 4 del d.lgs. 30.03.2001, n. 165
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 31.05.2012 n. 3254 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICIProcedura di Valutazione di Impatto Ambientale: natura, posizioni soggettive coinvolte e limiti del sindacato del giudice amministrativo.
Il Consiglio di Stato nella controversia in esame ha ritenuto di soffermarsi, sia pur sinteticamente, sopra la natura della procedura di VIA e delle posizioni soggettive in essa coinvolte, il tipo di sindacato esercitabile dal giudice amministrativo, e le relative conseguenze in ordine ai limiti, cognitori e probatori, dei suoi poteri.
Circa l’esatta individuazione della natura del potere e l’ampia latitudine della discrezionalità esercitata dall’amministrazione in sede di VIA, in quanto istituto finalizzato alla tutela preventiva dell’ambiente inteso in senso ampio, il collegio non intende deflettere dagli approdi esegetici cui è pervenuta la più recente giurisprudenza (internazionale e nazionale), da cui emerge la natura ampiamente discrezionale delle scelte effettuate, giustificate alla luce dei valori primari ed assoluti coinvolti (cfr., da ultimo, Cons. St., sez. VI, 13.06.2011, n. 3561; sez. IV, 05.07.2010, n. 4246; sez. V, 12.06.2009, n. 3770; Corte giust., 25.07.2008, c-142/2007; Corte cost., 07.11.2007, n. 367, cui si rinvia a mente del combinato disposto degli artt. 74, co.1, e 88, co. 2, lett. d), c.p.a.).
E’ stato chiarito che nel rendere il giudizio di valutazione di impatto ambientale, l’amministrazione esercita una amplissima discrezionalità che non si esaurisce in un mero giudizio tecnico, in quanto tale suscettibile di verificazione tout court sulla base di oggettivi criteri di misurazione, ma presenta al contempo profili particolarmente intensi di discrezionalità amministrativa e istituzionale in relazione all’apprezzamento degli interessi pubblici e privati coinvolti; la natura schiettamente discrezionale della decisione finale risente dunque dei suoi presupposti sia sul versante tecnico che amministrativo.
Le posizioni soggettive delle persone e degli enti coinvolti nella procedura sono pacificamente qualificabili in termini di interesse legittimo ed è altrettanto assodato che le relative controversie non rientrano nel novero delle tassative ed eccezionali ipotesi di giurisdizione di merito sancite oggi dall’art. 134 c.p.a. (cfr., sotto l’egida della precedente normativa, identica in parte qua, Cons. St., ad. plen., 09.01.2002, n. 1).
Premesso che a seguito della storica decisione di questo Consiglio (cfr. sez. IV, 09.04.1999, n. 601), è pacifico che il sindacato giurisdizionale sugli apprezzamenti tecnici dell’amministrazione possa svolgersi attraverso la verifica diretta dell’attendibilità delle operazioni compiute da quest’ultima, sotto il profilo della loro correttezza quanto a criterio tecnico ed a procedimento applicativo, è necessario precisare che il controllo del giudice amministrativo sulle valutazioni discrezionali deve essere svolto extrinsecus, nei limiti della rilevabilità ictu oculi dei vizi di legittimità dedotti, essendo diretto ad accertare il ricorrere di seri indici di invalidità e non alla sostituzione dell’amministrazione.
Sulla scorta di ricevuti principi (cfr., da ultimo e negli esatti termini, Cass. civ., sez. un., 17.02.2012, nn. 2312 e 2313; Corte cost., 03.03.2011, n. 175; Cons. St., sez. VI, 09.02.2011, n. 871), cui si rinvia a mente del combinato disposto degli artt. 74, co. 1, e 88, co. 2, lett. d), c.p.a.:
a) la sostituzione, da parte del giudice amministrativo, della propria valutazione a quella riservata alla discrezionalità dell’amministrazione costituisce ipotesi di sconfinamento vietato della giurisdizione di legittimità nella sfera riservata alla p.a., quand’anche l’eccesso in questione sia compiuto da una pronuncia il cui contenuto dispositivo si mantenga nell’area dell’annullamento dell’atto;
b) in base al principio di separazione dei poteri sotteso al nostro ordinamento costituzionale, solo l’amministrazione è in grado di apprezzare, in via immediata e diretta, l’interesse pubblico affidato dalla legge alle sue cure;
c) conseguentemente, il sindacato sulla motivazione delle valutazioni discrezionali:
   I) deve essere rigorosamente mantenuto sul piano della verifica della non pretestuosità della valutazione degli elementi di fatto acquisiti;
   II) non può avvalersi di criteri che portano ad evidenziare la mera non condivisibilità della valutazione stessa;
   III) deve tenere distinti i profili meramente accertativi da quelli valutativi (a più alto tasso di opinabilità) rimessi all’organo amministrativo, potendo esercitare più penetranti controlli, anche mediante c.t.u. o verificazione, solo avuto riguardo ai primi (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 22.03.2012 n. 1640
- massima tratta da www.gazzettaamministrativa.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: Oggetto: Procedimento di Valutazione di Impatto Ambientale (VIA) ai sensi dell'art. 23 del d.lgs. 03.04.2006 n. 152 (MIBAC, Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici del Veneto, circolare 20.02.2012 n. 11/2012).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICIQuali novità nella disciplina in materia di V.I.A.? (09.02.2012 - link a www.ambientelegale.it).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: G.U.U.E. 28.01.2012 n. L 26/1 "DIRETTIVA 2011/92/UE DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO del 13.12.2011 concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati" (link a http://eur-lex.europa.eu).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICILe procedure di v.i.a. e di verifica di assoggettabilità a v.i.a. ("screening"), pur inserendosi sempre all'interno del più ampio procedimento di realizzazione di un'opera o di un intervento, sono dotate di autonomia, in quanto destinate a tutelare un interesse specifico (quello alla tutela dell'ambiente) e ad esprimere al riguardo una valutazione definitiva, di per sé potenzialmente lesiva dei valori ambientali, con conseguente immediata impugnabilità degli atti conclusivi da parte dei soggetti interessati alla protezione di quei valori (siano essi associazioni di tutela ambientale ovvero cittadini residenti in loco); l’art. 20, d.lgs. n. 152 del 2006, infatti, configura la stessa procedura di verifica di assoggettabilità a v.i.a. ("screening") come vero e proprio subprocedimento autonomo, caratterizzato da partecipazione dei soggetti interessati e destinato a concludersi con un atto avente natura provvedimentale, soggetto a pubblicazione.
In proposito è sufficiente richiamare l’orientamento della giurisprudenza amministrativa, al quale il collegio si riporta, in base a cui le procedure di v.i.a. e di verifica di assoggettabilità a v.i.a. ("screening"), pur inserendosi sempre all'interno del più ampio procedimento di realizzazione di un'opera o di un intervento, sono dotate di autonomia, in quanto destinate a tutelare un interesse specifico (quello alla tutela dell'ambiente) e ad esprimere al riguardo una valutazione definitiva, di per sé potenzialmente lesiva dei valori ambientali, con conseguente immediata impugnabilità degli atti conclusivi da parte dei soggetti interessati alla protezione di quei valori (siano essi associazioni di tutela ambientale ovvero cittadini residenti in loco); l’art. 20, d.lgs. n. 152 del 2006, infatti, configura la stessa procedura di verifica di assoggettabilità a v.i.a. ("screening") come vero e proprio subprocedimento autonomo, caratterizzato da partecipazione dei soggetti interessati e destinato a concludersi con un atto avente natura provvedimentale, soggetto a pubblicazione (cfr. per tutte Cons. Stato, sez. IV, 03.03.2009, n. 1213) (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 11.01.2012 n. 67 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

2011

EDILIZIA PRIVATA: Procedimento di VIA, si conclude con il diniego di autorizzazione di un progetto privato diretto a realizzare un'attività produttiva.
Domanda.
Il procedimento di VIA può legittimamente concludersi con il diniego di autorizzazione di un progetto privato diretto a realizzare un'attività produttiva destinata ad incrementare l'occupazione?
Risposta.
Al fine di rispondere al quesito giova ricordare che il D.Lgs. 03-04-2006, n. 152, come integrato dall'art. 1, comma 2, D.Lgs. 16-01-2008, n. 4, ha recepito nella legislazione ambientale interna il principio del c.d. sviluppo sostenibile.
In base all'art. 3-quater, D.Lgs. 03-04-2006, n. 152 cit., infatti "1. Ogni attività umana giuridicamente rilevante ai sensi del presente codice deve conformarsi al principio dello sviluppo sostenibile, al fine di garantire che il soddisfacimento dei bisogni delle generazioni attuali non possa compromettere la qualità della vita e le possibilità delle generazioni future.
2. Anche l'attività della pubblica amministrazione deve essere finalizzata a consentire la migliore attuazione possibile del principio dello sviluppo sostenibile, per cui nell'ambito della scelta comparativa di interessi pubblici e privati connotata da discrezionalità gli interessi alla tutela dell'ambiente e del patrimonio culturale devono essere oggetto di prioritaria considerazione.
3. Data la complessità delle relazioni e delle interferenze tra natura e attività umane, il principio dello sviluppo sostenibile deve consentire di individuare un equilibrato rapporto, nell'ambito delle risorse ereditate, tra quelle da risparmiare e quelle da trasmettere, affinché nell'ambito delle dinamiche della produzione e del consumo si inserisca altresì il principio di solidarietà per salvaguardare e per migliorare la qualità dell'ambiente anche futuro.
4. La risoluzione delle questioni che involgono aspetti ambientali deve essere cercata e trovata nella prospettiva di garanzia dello sviluppo sostenibile, in modo da salvaguardare il corretto funzionamento e l'evoluzione degli ecosistemi naturali dalle modificazioni negative che possono essere prodotte dalle attività umane
".
La Giurisprudenza ha chiarito la portata della novella legislativa nel quadro della soluzione di controversie relative alla legittimità di provvedimenti di assoggettamento a VIA ovvero di diniego della VIA relativa a progetti aventi significativi impatti sull'ambiente.
Il Consiglio di Stato ha osservato che nel rendere il giudizio di valutazione di impatto ambientale (ed a maggior ragione nell'effettuare la verifica preliminare), l'Amministrazione -che esercita una amplissima discrezionalità tecnica sebbene censurabile sia per macroscopici vizi logici, sia per errore di fatto, sia per travisamento dei presupposti- non deve limitarsi ad apprezzare solo i profili di ubicazione e dimensione del progetto, ma ha l'obbligo di accertarne la natura sostanziale (cfr. da ultimo Corte giustizia comunità Europee Sez. III, 25.07.2008, n. 142/07).
Secondo i Giudici amministrativi, il problema del punto di equilibrio tra realizzazione di infrastrutture e tutela dell'ambiente e del paesaggio e, dunque, del concreto atteggiarsi del principio dello sviluppo sostenibile (ora codificato dall'art. 3-quater, D.Lgs. 03-04-2006, n. 152), meglio si chiarisce anche in relazione alla valutazione dell'utilizzazione economica delle aree protette; per cui non dovrebbe parlarsi di sviluppo sostenibile ossia di sfruttamento economico dell'ecosistema compatibile con esigenza di protezione, ma, con prospettiva rovesciata, di protezione sostenibile, intendendosi con tale terminologia evocare i vantaggi economici che la protezione in sé assicura senza compromissione di equilibri economici essenziali per la collettività, ed ammettere il coordinamento fra interesse alla protezione integrale ed altri interessi solo negli stretti limiti in cui l'utilizzazione del territorio non alteri in modo significativo il complesso dei beni compresi nell'area protetta; si deve ammettere l'alterazione dei valori ambientali solo in quanto non vi siano alternative possibili da individuarsi proprio grazie alla procedura di VIA (Cons. Stato Sez. VI, 16.11.2004, n. 7472).
Detto altrimenti, alla stregua della disciplina comunitaria e nazionale (ed eventualmente regionale), la VIA non può essere intesa come limitata alla verifica della astratta compatibilità ambientale dell'opera ma si sostanzia in una analisi comparata tesa a valutare il sacrificio ambientale imposto rispetto all'utilità socio economica, tenuto conto delle alternative praticabili e dei riflessi della stessa "opzione zero"; la natura schiettamente discrezionale della decisione finale (e della preliminare verifica di assoggettabilità), sul versante tecnico ed anche amministrativo, rende allora fisiologico ed obbediente alla ratio su evidenziata che si pervenga ad una soluzione negativa ove l'intervento proposto cagioni un sacrificio ambientale superiore a quello necessario per il soddisfacimento dell'interesse diverso sotteso all'iniziativa; da qui la possibilità di bocciare progetti che arrechino vulnus non giustificato da esigenze produttive, ma suscettibile di venir meno, per il tramite di soluzioni meno impattanti in conformità al criterio dello sviluppo sostenibile e alla logica della proporzionalità tra consumazione delle risorse naturali e benefici per la collettività che deve governare il bilanciamento di istanze antagoniste (Cons. Stato Sez. IV, 05.07.2010, n. 4246).
Pertanto, alla luce della Giurisprudenza più recente, deve ritenersi conforme a legge che il procedimento di VIA si concluda con il diniego di autorizzazione di un progetto privato diretto a realizzare un'attività produttiva, ancorché destinata a incrementare l'occupazione (06.12.2011 - tratto da www.ipsoa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Elettrodotti.
Domanda.
Per gli elettrodotti, l'effettuazione della Via deve essere subordinata allo svolgimento di un sub procedimento preventivo, volto alla verifica dell'assoggettabilità dell'opera, che deve essere realizzata, alla suddetta Via o alla determinazione delle soglie?
Risposta.
La Corte costituzionale, con la sentenza del 26.03.2010, numero 120, ha affermato, in tema di elettrodotti, che a seguito e per l'effetto delle modifiche apportate al Codice dell'ambiente dal decreto legislativo numero 4, del 2008, l'effettuazione della Via deve essere subordinata allo svolgimento di un sub procedimento preventivo, volto alla verifica dell'assoggettabilità dell'opera, che deve essere realizzata, alla predetta Via, e non già alla determinazione delle soglie.
I giudici delle leggi non ignorano il fatto che la normativa comunitaria, nella specifica fattispecie, ha affermato, con l'articolo 4, paragrafo 2, in relazione al punto 3, lettera b), del la direttiva 85/337/Cee, la necessità di esperire la procedura Via con valutazioni caso per caso o con la fissazione di soglie. Però, la consulta, pur sottolineando che la giurisprudenza comunitaria (Corte di giustizia Ce, 23.11.2006, in causa n. C-486/04; Corte di giustizia Ce, 08.09.2005, in causa n. C-121/03) rimette alla normativa interna, per certe materie, l'individuazione delle soglie, ha focalizzato la sua attenzione sul procedimento, che costituisce l'attuazione del succitato articolo 4 paragrafo 2, in relazione al punto 3, lettera b), della direttiva 85/337/Cee, disciplinato dall'articolo 20 del codice dell'ambiente.
La Corte costituzionale, difatti, ha affermato che l'obbligo della sottoposizione del progetto alla procedura Via, scaturisce dal valore della tutela ambientale, che, nella disciplina dello Stato italiano, in attuazione del succitato articolo 4, paragrafo 2, in relazione al punto 3, lettera b), della direttiva 85/337/Cee, è un livello di tutela uniforme, con valenza su tutto il territorio nazionale, pur rispettando la concorrenza delle altre materie di competenza delle regioni. Ne consegue, che ogni intervento che comporti modifica dell'habitat deve essere soggetto alla verifica della assoggettabilità dell'opera da realizzare alla Via.
E ciò, in particolare, nei casi in cui esso consista in una modifica di un'opera la cui costruzione possa rientrare oggettivamente tra le ipotesi comprese nella valutazione. Al riguardo sorge spontaneo il richiamo della sentenza della Corte di giustizia delle comunità europee del 28.02.2008, in causa C-2 paragrafo 2, in relazione al punto 3, lettera b), della direttiva 85/337/Cee (Quesitario ItaliaOggi Sette del 05.12.2011).

EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 48 del 02.12.2011, "Verifica di assoggettabilità a VIA delle grandi strutture di vendita ai sensi della legge regionale 02.02.2010 n. 5 allegato B), punto 7, lettere B1, B2, B3 e B4 e punto 8, lettera T" (deliberazione G.R. 30.11.2011 n. 2598).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 48 del 30.11.2011, "Attuazione della legge regionale 02.02.2010, n. 5 (Norme in materia di valutazione di impatto ambientale)" (regolamento regionale 21.11.2011 n. 5).

LAVORI PUBBLICI1. Opere strategiche - Normativa applicabile - E' disciplina speciale - Differenze dal procedimento ordinario - Possibilità di partecipazione di soggetti privati - Non sussiste.
2. Opere pubbliche - Valutazione di impatto ambientale - Finalità - Realizzazione della migliore mediazione possibile tra le esigenze funzionali dell'opera e l'impatto che la sua esecuzione effettivamente produce.
3. Opere strategiche - Valutazione di impatto ambientale - Oggetto della valutazione - Progetto preliminare - Conseguenze.
4. Opere strategiche - Valutazione di impatto ambientale - Necessità di nuovo procedimento di V.I.A. in sede di progetto definitivo - Non sussiste.

1. Il procedimento delle opere strategiche, disciplinato dalla normativa speciale -in particolare art. 3, D.Lgs. n. 190/2002 dettato in attuazione della Legge 443/2001 per la realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi strategici di interesse nazionale, norma poi abrogata dall'art. 256, D.Lgs. 12.04.2006- diverge significativamente dall'ordinario procedimento, in quanto non è prevista alcuna forma di partecipazione dei soggetti privati; le maggiori differenze attengono, poi, al progetto preliminare, che (i) deve evidenziare tutta una serie di elementi oltre a quanto previsto nell'art. 16 della legge quadro, (ii) non è sottoposto a conferenza di servizi, (iii) comporta l'accertamento della compatibilità ambientale, (iv) viene a comportare un assoggettamento di tutti gli immobili in cui è localizzata l'opera al vincolo preordinato all'esproprio ai sensi dell'art. 10 D.P.R. 327/2001, con variazione automatica degli strumenti urbanistici vigenti.
2. La valutazione dell'impatto ambientale, quale prevista nelle indicate direttive comunitarie n. 337/85 CEE e n. 11/97/CE e dalla normativa interna di relativo recepimento, è specificamente finalizzata all'individuazione, descrizione e quantificazione degli effetti che un determinato progetto, opera o attività potrebbero avere sull'ambiente: la procedura tende ad accertare la sostenibilità ambientale degli interventi, verificando, per il singolo progetto, il suo inserimento ottimale nel territorio e realizzando la migliore mediazione possibile tra le esigenze funzionali dell'opera e l'impatto che la sua esecuzione effettivamente produce.
3. Per le opere strategiche la VIA si svolge sul progetto preliminare e non su quello definitivo: è, quindi, nel primo livello di progettazione che devono essere individuati gli elementi che possono avere una incidenza negativa sull'ambiente, in modo da poter adeguare il progetto definitivo.
Il tutto, al fine di prevenire il danno ambientale, con il passaggio da un sistema di ripristino, a valle, del danno medesimo ad un sistema di previsione-prevenzione, a monte, dello stesso nella gestione del territorio e delle risorse naturali.
4. Poiché per le infrastrutture strategiche la procedura V.I.A. viene effettuata sul progetto preliminare, in sede di progetto definitivo la Commissione competente deve limitarsi a verificare che il progetto definitivo abbia rispettato le prescrizioni contenute nel parere di compatibilità ambientale, ma non viene previsto in alcun caso un nuovo procedimento di V.I.A. (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 22.11.2011 n. 2822 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAOpere soggette a VIA: termini per l'impugnazione degli atti adottati dalla Conferenza di servizi.
Il procedimento di VIA rappresenta solo una fase interna al procedimento di rilascio dell’autorizzazione unica. L’autorizzazione unica è, infatti, prevista dall'art. 12 del d.lgs n. 387/2003, come epilogo procedimentale per le opere finalizzate alla costruzione ed esercizio degli impianti eolici di produzione di energia.
Gli atti presupposti costituiscono atti interni di una Conferenza dei servizi decisoria, nei cui confronti non è ammissibile una impugnazione diretta con la conseguenza che il dies a quo per la proposizione dell’impugnazione avverso i provvedimenti adottati in Conferenza dei servizi per opere soggette a VIA è rappresentato dalla pubblicazione del provvedimento finale nella Gazzetta Ufficiale (massima tratta da www.gazzettaamministrativa.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 09.11.2011 n. 5921 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: Sull'interpretazione dell'art. 1, n. 5, della direttiva 85/337/CEE, concernente la valutazione dell'impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati, come modificata dalla direttiva 2003/35/CE.
Convenzione di Aarhus – Accesso alla giustizia in materia ambientale – Portata del diritto di ricorso contro un atto legislativo.

L'art. 1, n. 5, della direttiva del Consiglio 27.06.1985, 85/337/CEE, concernente la valutazione dell'impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati, come modificata dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 26.05.2003, 2003/35/CE, deve essere interpretato nel senso che sono esclusi dall'ambito di applicazione di tale direttiva soltanto i progetti adottati nei dettagli mediante un atto legislativo specifico, di modo che gli obiettivi della medesima direttiva siano stati raggiunti tramite la procedura legislativa. Spetta al giudice nazionale verificare che detti due requisiti siano stati rispettati tenendo conto sia del contenuto dell'atto legislativo adottato sia di tutta la procedura legislativa che ha condotto alla sua adozione e, in particolare, degli atti preparatori e dei dibattiti parlamentari. Al riguardo, un atto legislativo che non faccia altro che "ratificare" puramente e semplicemente un atto amministrativo preesistente, limitandosi a constatare l'esistenza di motivi imperativi di interesse generale, senza il previo avvio di una procedura legislativa nel merito che consenta di rispettare detti requisiti, non può essere considerato un atto legislativo specifico ai sensi della citata disposizione e non è dunque sufficiente ad escludere un progetto dall'ambito di applicazione della direttiva 85/337, come modificata dalla direttiva 2003/35.
L'art. 9, n. 2, della convenzione sull'accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l'accesso alla giustizia in materia ambientale, conclusa il 25.06.1998 e approvata a nome della Comunità europea con decisione del Consiglio 17.02.2005, 2005/370/CE, e l'art. 10-bis della direttiva 85/337, come modificata dalla direttiva 2003/35, devono essere interpretati nel senso che:
- qualora un progetto rientrante nell'ambito d'applicazione di tali disposizioni sia adottato mediante un atto legislativo, la verifica del rispetto, da parte di quest'ultimo, dei requisiti stabiliti all'art. 1, n. 5, di detta direttiva deve poter essere sottoposta, in base alle norme nazionali procedurali, ad un organo giurisdizionale o ad un organo indipendente e imparziale istituito dalla legge;
- nel caso in cui contro un simile atto non sia esperibile alcun ricorso della natura e della portata sopra rammentate, spetterebbe ad ogni organo giurisdizionale nazionale adito nell'ambito della sua competenza esercitare il controllo descritto al precedente trattino e trarne le eventuali conseguenze, disapplicando tale atto legislativo (Corte di giustizia europea, Grande Sezione, sentenza 18.10.2011 n. C-128/09 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

EDILIZIA PRIVATA: VIA - Provvedimento di esclusione - Efficacia - Pubblicazione sul B.U.R. - Necessità - Esclusione - Art. 32 d.lgs. n. 152/2006.
L’efficacia del provvedimento regionale di esclusione dalla procedura di VIA, ai sensi dell’art. 32 d.lgs. n. 152 del 2006 (nel testo all’epoca vigente), non dipende dalla sua pubblicazione, che non risulta prescritta come obbligatoria per legge.
E’ pertanto irrilevante la mancata pubblicazione sul B.U.R. ai fini della decorrenza del termine per l’impugnazione, che deve farsi pertanto decorrere per il soggetto che si ritenga leso dalla piena conoscenza dei suoi elementi essenziali, quali l’autorità emanante, la data, il contenuto dispositivo ed il suo effetto lesivo, salva la possibilità di proporre motivi aggiunti ove dalla conoscenza integrale del provvedimento emergano profili di illegittimità specifici ed ulteriori relativi al suo contenuto (Cons. St. Sez. IV, 13.06.2011, n. 3583, Sez. V, 23.05.2011, n. 2842) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 25.07.2011 n. 4454 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Impianti di energia rinnovabile - Criteri di inserimento nel paesaggio - Competenza - Conferenza Unificata - Linee guida statali - Art. 12, c. 10 d.lgs. n. 387/2003 - Regioni - Competenza in via attuativa - Province e comuni - Incompetenza.
Le competenze in tema di individuazione di aree idonee e di elaborazione di criteri di corretto inserimento degli impianti di energie rinnovabili nel paesaggio appartengono unicamente alla Conferenza Unificata (mediante linee guida c.d. statali - cfr. art. 12, c. 10 d.lgs. n. 387/2003) in via generale ed alle Regioni in via meramente attuativa; non anche a province e comuni, i quali potranno tutt’al più provvedere, ai sensi dell’art. 117, sesto comma, Cost., alla disciplina degli aspetti più propriamente organizzativi e procedimentali, nel rispetto di quanto già stabilito in proposito dalle linee guida statali e regionali, non anche gli aspetti sostanziali come quelli che nella specie si è inteso in senso assolutamente prevalente regolare (cfr. TAR Lecce, sez. I, 26.01.2011, n. 140).
VIA - Impianti fotovoltaici - Regolamento per la redazione degli studi e la valutazione della compatibilità ambientale - Provincia - Incompetenza relativa.
L’incompetenza della Provincia all’emanazione di un regolamento per la redazione degli studi e la valutazione della compatibilità ambientale di impianti fotovoltaici deve essere ritenuta non assoluta ma relativa.
E ciò in forza di una interpretazione più restrittiva del concetto di incompetenza assoluta che, anche a seguito della riforma costituzionale del 2001, deve essere letta come impossibilità non tanto di adottare il singolo atto ma, piuttosto, di intervenire in generale sull’intero settore di attività: circostanza questa che nel caso di specie non si verifica, posto che la Provincia esercita comunque numerose competenze -anche al di là di quelle specificamente delegate in tema di VIA- in materia di tutela dell’ambiente [cfr. art. 19, comma 1, lettere a) ed e), del decreto legislativo n. 267 del 2000) e di valorizzazione delle risorse energetiche [cfr. lettera b) della stessa disposizione] (TAR Puglia Lecce, sez. I, 29.06.2011 nn. 1215, 1216 e 1218 e 11.07.2011 n. 1286) (TAR Puglia-Lecce, Sez. I, sentenza 18.07.2011 n. 1356 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: VIA - Regione Puglia - Delega alle province delle competenze sulla VIA - L.r. Puglia n. 17/2007 - Titolarità del potere - Regione - Istituto della delegazione - Principi generali.
Se è pur vero che con la l.r. Puglia n. 17 del 2007 sono state delegate alle province pugliesi le competenze sulla VIA, dall’altro lato è anche vero che tale delega ha riguardato soltanto l’esercizio delle funzioni stesse, non anche la loro titolarità. In questa direzione il delegante conserva poteri di coordinamento e di alta sorveglianza, e tra questi anche quello di emanare direttive.
Del resto, in applicazione di principi generali dell’ordinamento costituzionale ed amministrativo l’istituto della delegazione non spoglia il delegante del potere di provvedere sulla materia delegata, conservando anzi in merito ad esso il potere di (re)intervenire in ogni momento: non è un caso, infatti, che nulla è mutato in ordine al potere della Regione Puglia di adottare atti di indirizzo in materia di VIA (cfr. art. 7 della legge regionale n. 11 del 2001).
VIA - Art. 7, c. 7 d.lgs. n. 152/2006 - Competenze in materia di VIA - Principio di sussidiarietà verticale.
Il codice dell’ambiente (cfr. art. 7, comma 7) assegna unicamente alle Regioni ed alle province autonome il potere di disciplinare in materia di VIA “le competenze proprie e quelle degli altri enti locali”.
Si tratta di una applicazione del principio di sussidiarietà verticale in base al quale lo Stato, nell’esercizio della competenza esclusiva in materia di tutela dell’ambiente [cfr. art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.], ha ritenuto di allocare tale specifica competenza, per ragioni per l’appunto di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, al livello di governo regionale (TAR Puglia Lecce, sez. I, 29.06.2011 nn. 1215, 1216 e 1218 e 11.07.2011 n. 1286) (TAR Puglia-Lecce, Sez. I, sentenza 18.07.2011 n. 1356 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: VIA - Art. 5, c. 1, lett. c), d.lgs. n. 152/2006 - Impatti cumulativi - Insuscettibilità di analisi frazionata.
Quando l’intervento progettato, pur essendo suddiviso in singole frazioni anche al solo fine di soddisfare esigenze di snellezza procedimentale dell’impresa, appare riconducibile ad un unico programma imprenditoriale, la conseguenza che si registra sul terreno del doveroso assoggettamento a VIA è senz’altro quella di una analisi che tenga conto necessariamente dei cd impatti cumulativi.
Il codice dell’ambiente, con l’art. 5, comma 1, lettera c, restituisce invero un concetto di impatto ambientale che , per sua natura, appare insuscettibile di analisi frazionata. Logica conseguenza di questo approccio alla nozione di impatto ambientale appare l’obbligo, per l’imprenditore, di evidenziare gli interventi connessi, complementari o a servizio di quello proposto -così come prescritto dall’art 3, comma 2, lettera b), n. 2, del DPCM 27.12.1988- perché solo così è possibile una verifica illuminante ed esaustiva della incidenza ambientale di un progetto complesso.
Ciò significa che, pur a fronte di una pluralità di procedimenti amministrativi messi in moto dall’imprenditore, l’organo preposto a compiere la valutazione di impatto ambientale ha il preciso dovere di operarne la reductio ad unitatem, specie in presenza di elementi sintomatici della unicità di intervento (Consiglio Stato, sez. V, 16.06.2009, n. 3849).
DIRITTO AMBIENTALE - Principio di precauzione - Art. 3-ter d.lgs. n. 152/2006.
Dal principio di precauzione (art. 3-ter d.lgs. n. 152/2006) deriva l’esigenza di un’azione ambientale consapevole e capace di svolgere un ruolo teso alla salvaguardia dell’ecosistema in funzione preventiva , anche quando non sussistono evidenze scientifiche conclamate che illustrino la certa riconducibilità di un effetto devastante per l’ambiente ad una determinata causa umana.
VIA - Tutela preventiva dell’interesse pubblico ambientale - Principio di precauzione.
La valutazione di impatto ambientale comporta una valutazione anticipata finalizzata, nel quadro del principio comunitario di precauzione, alla tutela preventiva dell'interesse pubblico ambientale, con la conseguenza che, in presenza di una situazione ambientale connotata da profili di specifica e documentata sensibilità, anche la semplice possibilità di un'alterazione negativa va considerata un ragionevole motivo di opposizione alla realizzazione di un'attività, sfuggendo, per l'effetto, al sindacato giurisdizionale la scelta discrezionale della p.a. di non sottoporre beni di primario rango costituzionale, qual è quello dell'integrità ambientale, ad ulteriori fattori di rischio che, con riferimento alle peculiarità dell'area, possono implicare l'eventualità, non dimostrabile in positivo ma neanche suscettibile di esclusione, di eventi lesivi (TAR Toscana Firenze, sez. II, 20.04.2010, n. 986) (TAR Puglia-Lecce, Sez. I, sentenza 14.07.2011 n. 1341 - link a www.ambientediritto.it).

LAVORI PUBBLICI: VIA - Opera pubblica di rilevanza statale o regionale - Individuazione dell’ente competente in materia di VIA - Disciplina previgente al T.U.A. - Criterio ontologico strutturale.
Per stabilire, ai fini della individuazione dell’ente competente in materia di VIA, se una determinata opera pubblica sia di rilevanza regionale o statale, occorre verificare se tale opera incida o meno su un perimetro circoscritto del territorio.
Nella disciplina previgente al testo unico (o codice) ambientale di cui al d.lgs. 152 del 2006 -che oggi rinvia agli allegati ai fini della ripartizione di competenze tra Stato e Regioni (articolo 7 che rinvia agli allegati alla parte seconda)- sia la normativa nazionale (art. 1 DPCM 10.08.1988, n. 377) che quella regionale ligure, facevano riferimento ad un criterio ontologico strutturale e non già funzionale per stabilire la competenza sulla VIA.
VIA - Progettazione preliminare e definitiva - Opera pubblica approvata con progetto preliminare - Sensibile variazione in sede di approvazione del progetto definitivo - Nuova sottoposizione a VIA - D.lgs. n. 113/2007 - Art. 185 d.lgs. n. 163/2006.
Tra i due elaborati di progettazione preliminare e definitiva è ragionevole che emerga una differenza nella parte in cui la progettazione definitiva raccoglie i suggerimenti emersi nel corso della conferenza di servizi; si tratta di una integrazione che la normativa (artt. 18 e 25 D.P.R. 554 del 1999) e le fasi dei diversi livelli di progetto considerano fisiologica. Infatti, non avrebbe avuto significato la previsione di distinti momenti e livelli progettuali, ove fosse stato fin da subito prevedere tutta la conformazione possibile dell’opera.
La normativa successiva, in piena aderenza alla normativa comunitaria, ha previsto (con modifiche introdotte dal decreto legislativo n. 113 del 31.07.2007 all’art. 185 codice dei contratti pubblici) che l’opera pubblica approvata con progetto preliminare debba essere nuovamente sottoposta a valutazione ambientale, ove vi sia stata in sede di approvazione del progetto definitivo una sensibile variazione rispetto alla valutazione effettuata al momento del progetto preliminare e vi sia stata una significativa modificazione dell’impatto globale del progetto sull’ambiente, in conformità con le direttive in materia (85/337CE e 97/11/CE) che prevede che la valutazione ambientale debba coincidere con l’atto che autorizza alla realizzazione dell’intervento (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 07.07.2011 n. 4072 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: VIA - Soggetto che intende realizzare un intervento con effetti rilevanti sull’ambiente - Art. 22, c. 3, d.lgs. n. 152/2006 - Elaborazione di uno Studio di Impatto - Valutazione soggettiva preliminare - Successiva valutazione della competente PA - Autonomia di giudizio.
Ai sensi dell’art. 22, c. 3, d.lgs. n. 152/2006 e dell’allegato VII al codice stesso, il soggetto che intende realizzare un determinato intervento con effetti rilevanti sull’ambiente deve elaborare uno studio di impatto con il quale non solo descrivere il relativo progetto ma anche compiere una prima valutazione -sebbene soggettivamente rimessa alle proprie personali (ma pur sempre tecniche) considerazioni- in ordine agli impatti che il medesimo intervento è idoneo ad arrecare sulle principali matrici ambientali.
Valutazione preliminare cui seguirà poi quella della competente PA che dovrà essere condotta in piena autonomia di giudizio secondo i consueti canoni della discrezionalità tecnica. Pertanto, nella elaborazione del SIA non basta limitarsi a segnalare la sussistenza di un determinato fenomeno con potenziali effetti sull’ambiente, dovendosi altresì valutare -almeno in prima battuta- le relative conseguenze in termini di impatto negativo.
VIA - Assoggettabilità a VIA - Presupposto - Possibili effetti negativi e significativi sull’ambiente.
L’assoggettabilità a VIA è subordinata alla presenza di possibili (dunque non certi) effetti negativi e significativi sull'ambiente (cfr. art. 19, comma 4, del decreto legislativo n. 152 del 2006).
VIA - Integrazioni sostanziali del SIA - Riattivazione del procedimento di VIA - Meccanismi partecipativi ex art. 24 d.lgs. n. 152/2006.
A fronte di integrazioni sostanziali dello studio di impatto ambientale, deve ritenersi necessari ala riattivazione del procedimento VIA, se non altro per garantire il pieno rispetto dei meccanismi partecipativi di cui all’art. 24 del codice ambiente (TAR Puglia-Lecce, Sez. I, sentenza 25.05.2011 n. 957 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: VIA - Artt. 19-24 d.lgs. n. 152/2006 - Procedimento a doppio stadio - Verifica di assoggettabilità.
La Valutazione di impatto ambientale è l’istituto, previsto ora dagli artt. 19-24 del D.lgs. 03.04.2006 n. 152, mediante il quale, nella formula dell’art. 5 lettera b) del T.U. “vengono preventivamente individuati gli effetti sull'ambiente di un progetto”.
Detto istituto prevede, in sintesi, l’elaborazione di uno studio particolarmente complesso ed oneroso, che per tal ragione, come previsto dal legislatore nazionale in ossequio alla normativa uniforme europea, non è imposto indiscriminatamente per tutti gli interventi capaci di influenzare negativamente l’ambiente.
Per taluni di essi è previsto infatti un procedimento a doppio stadio: nella prima fase, si compie appunto lo screening, ovvero nella terminologia dell’art. 5 lettera m) del T.U. la “verifica di assoggettabilità”, che serve a “valutare, ove previsto, se progetti possono avere un impatto significativo e negativo sull'ambiente e devono essere sottoposti alla fase di valutazione”; la VIA poi si fa nella seconda fase, che è eventuale, ovvero ha luogo solo se lo screening conclude in tal senso.
VIA - Verifica di assoggettabilità - Discrezionalità tecnica - Sindacato giurisdizionale - Limiti.
L’attività mediante la quale l’amministrazione provvede alle valutazioni poste alla base della verifica di assoggettabilità a VIA è connotata da discrezionalità tecnica, e quindi può essere sindacata in sede giurisdizionale di legittimità nei limiti del non corretto esercizio del potere sotto il profilo del difetto di motivazione, di illogicità manifesta, della erroneità dei presupposti di fatto e di incoerenza della procedura valutativa e dei relativi esiti (C.d.S. sez. V 01.10.2002 n. 7262); le illegittimità e incongruenze debbono essere “macroscopiche” e “manifeste” (C.d.S. sez. V 17.05.2005 n. 2460, con riguardo al sindacato sulla VIA di un impianto industriale; conforme, sempre in tema di valutazioni di impatto ambientale, anche C.d.S. sez. VI 19.02.2008 n. 561).
VIA - Parere con prescrizioni - Equivalenza a parere negativo - Inconfigurabilità.
In tema di Valutazione di Impatto Ambientale, parere con prescrizioni non significa inidoneità del progetto ad essere positivamente valutato; piuttosto progetto in sé è accettabile, che si presta, secondo l’amministrazione consulente, ad essere ulteriormente migliorato: ne consegue che il ricorso allo strumento delle "prescrizioni" non può essere visto come sintomatico di un progetto incompatibile con l'ambiente e che non può assumersi un’equivalenza fra parere negativo e parere con prescrizioni (C.d.S. sez. V 05.01.2004 n° 1) (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 11.03.2011 n. 398 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICILa Valutazione di impatto ambientale, in sigla VIA, è l'istituto, mediante il quale devono essere preventivamente individuati gli effetti sull'ambiente di un dato progetto. Tale istituto, proprio perché richiede l'elaborazione di uno studio particolarmente complesso ed oneroso, non è imposto indiscriminatamente per tutti gli interventi capaci di incidere negativamente sull'ambiente.
Per tale ragione, per taluni interventi, (fra cui rientra in astratto quello per cui è causa, consistente nel progetto di ampliamento di un impianto per la produzione e la lavorazione dell'acciaio) è previsto un procedimento a doppio stadio: nella prima fase, si compie appunto lo screening, ovvero la "verifica di assoggettabilità", al fine di stabilire se sia necessaria o meno la fase della valutazione; nella seconda fase, si ha la valutazione che è eventuale, ovvero ha luogo solo se lo screening conclude in tal senso.
L'attività mediante la quale l'Amministrazione interessata provvede alle valutazioni poste alla base dello screening è, dunque, connotata da discrezionalità tecnica, con la conseguenza che essa non può essere sindacata in sede giurisdizionale di legittimità, salvo il caso in cui ci sia stato un non corretto esercizio del potere sotto il profilo del difetto di motivazione, di illogicità manifesta, della erroneità dei presupposti di fatto e di incoerenza della procedura valutativa e dei relativi esiti.
In tal senso, è altresì necessario che sia la parte ricorrente ad indicare i vizi presenti nella valutazione operata dall'Amministrazione, non essendo sufficienti generiche contestazioni (come ravvisabile nella fattispecie concreta).
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18. E’ a sua volta infondato il motivo terzo, con il quale si valorizzano, in sintesi estrema, presunte lacune e illogicità del decreto screening impugnato, e si sostiene che comunque l’intervento per cui è causa si sarebbe dovuto comunque assoggettare a VIA per le sue concrete caratteristiche. In proposito, per maggior chiarezza, vanno richiamati la normativa e i principi giurisprudenziali applicabili alla fattispecie.
19. Sotto il profilo normativo, come è noto, la Valutazione di impatto ambientale, in sigla VIA, è l’istituto, già previsto dal D.P.R. 12.04.1996 ed ora dagli artt. 19-24 del D.lgs. 03.04.2006 n. 152, o T.U. ambiente mediante il quale, nella formula dell’art. 5, lettera b), del T.U. “vengono preventivamente individuati gli effetti sull'ambiente di un progetto”.
Detto istituto prevede, in sintesi, l’elaborazione di uno studio particolarmente complesso ed oneroso, che per tal ragione, come previsto dal legislatore nazionale in ossequio alla normativa uniforme europea, non è imposto indiscriminatamente per tutti gli interventi capaci di influenzare negativamente l’ambiente.
Per taluni di essi, fra i quali rientra in astratto quello per cui è causa, è previsto infatti un procedimento a doppio stadio: nella prima fase, si compie appunto lo screening, ovvero nella terminologia dell’art. 5, lettera m), del T.U. la “verifica di assoggettabilità”, che serve a “valutare, ove previsto, se progetti possono avere un impatto significativo e negativo sull'ambiente e devono essere sottoposti alla fase di valutazione”; la VIA poi si fa nella seconda fase, che è eventuale, ovvero ha luogo solo se lo screening conclude in tal senso.
20. Ciò posto, è di tutta evidenza che l’attività mediante la quale l’amministrazione provvede alle valutazioni poste alla base dello screening è connotata da discrezionalità tecnica, e quindi può essere sindacata nella presente sede giurisdizionale di legittimità nei limiti che la giurisprudenza ha in generale elaborato al riguardo.
In proposito, è anzitutto costante l’affermazione di principio, ribadita da ultimo da C.d.S. sez. V 01.10.2002 n. 7262, per cui “il giudizio di discrezionalità tecnica, caratterizzato dalla complessità delle discipline specialistiche di riferimento e dalla opinabilità dell'esito della valutazione, sfugge al sindacato del giudice amministrativo in sede di legittimità laddove non vengano in rilievo indici sintomatici del non corretto esercizio del potere sotto il profilo del difetto di motivazione, di illogicità manifesta, della erroneità dei presupposti di fatto e di incoerenza della procedura valutativa e dei relativi esiti”, precisandosi anzi che le illegittimità e incongruenze debbono essere “macroscopiche” e “manifeste”, come si legge in motivazione di C.d.S. sez. V 17.05.2005 n. 2460, proprio con riguardo al sindacato sulla VIA di un impianto industriale; conforme, sempre in tema di valutazioni di impatto ambientale, anche C.d.S. sez. VI 19.02.2008 n. 561.
21. Se il sindacato in tema di discrezionalità tecnica postula che nell’atto sia rinvenibile, in sintesi, una illogicità, è senz’altro conforme a logica, oltre che ai principi processuali, che sia la parte ricorrente a dover indicare in modo specifico in cosa tale illogicità consisterebbe, senza limitarsi a generiche contestazioni.
In tal senso è la giurisprudenza, secondo la quale, in termini generali, è necessario che “il ricorrente supporti la propria domanda, allegando e dimostrando in giudizio tutti gli elementi costitutivi della sua pretesa”, e solo ove non vi riesca “per la sua posizione di disparità sostanziale con l'amministrazione” potrà chiedere che il giudice faccia ricorso al “metodo acquisitivo” della prova, fermo che anche in tal caso egli è soggetto a un “onere di principio di prova”, nel senso che “è tenuto… a prospettare al giudice adito una ricostruzione attendibile sotto il profilo di fatto e giuridico delle circostanze addotte”, ricostruzione rispetto alla quale il giudice potrà acquisire d’ufficio gli elementi rilevanti.
In tali termini, sempre su questione tecnica, C.d.S. sez. VI 04.09.2007 n. 4621, con argomentazione che appare tuttora valida alla luce dell’art. 64, comma 1, c.p.a., secondo il quale l’onere probatorio posto a carico delle parti si riferisce comunque agli elementi che “siano nella loro disponibilità”.
22. Sempre secondo logica, sia la dimostrazione diretta dell’illogicità di un dato atto sia la prospettazione della possibilità di essa in termini attendibili vanno compiute in modo analitico e discorsivo, ovvero spiegando quali dovrebbero essere gli errori commessi e perché; non sarà invece sufficiente la mera allegazione apodittica di elementi di segno contrario a quelli valorizzati dall’amministrazione, quali pareri di esperti di propria fiducia e simili.
In tal senso, sempre in termini generali, ad esempio C.d.S. sez. IV 05.08.2005 n. 4196, per cui “il sindacato giurisdizionale sulla discrezionalità tecnica non può sfociare nella sostituzione dell'opinione del giudice, e a maggior ragione della parte, a quella espressa dall'organo amministrativo, ove tale opinione, pur se non condivisa sul piano soggettivo in dipendenza della fisiologica opinabilità che connota la interpretazione e applicazione di scienze non esatte, non venga considerata errata sul piano della tecnica”.
23. Le considerazioni sin qui esposte, lo si dice per completezza, non sono poi contraddette dalla giurisprudenza europea e nazionale citata dai ricorrenti alle pp. 20 e 21 del ricorso principale, giurisprudenza che in sintesi si limita a ribadire il ruolo, e pertanto l’importanza, del procedimento di VIA, senza però indicare regole particolari alle quali il sindacato del Giudice in proposito dovrebbe soggiacere.
Ciò è in particolare vero con riguardo al ruolo del principio di precauzione, che i ricorrenti invocano a loro favore alle pp. 28-29 dell’atto, sostenendo che “il rischio è… ritenuto inaccettabile finché non sia dimostrato il contrario” (p. 29, quarto e quinto rigo), ovvero secondo logica che sussisterebbe una sorta di presunzione di impossibilità di realizzare interventi come quello per cui è causa. Tale interpretazione infatti non va condivisa.
24. Come è noto, il principio di precauzione, recepito dal Trattato dell’Unione europea e in precedenza dal Trattato comunitario, si fonda in termini giuridici sull’art. 15 della Dichiarazione di Rio del 1992, per cui “In order to protect the environment, the precautionary approach shall be widely applied by States according to their capabilities. Where there are threats of serious or irreversible damage, lack of full scientific certainty shall not be used as a reason for postponing cost-effective measures to prevent environmental degradation.”, il che in traduzione suona “Al fine di proteggere l'ambiente, un approccio cautelativo dovrebbe essere ampiamente utilizzato dagli Stati in funzione delle proprie capacità . In caso di rischio di danno grave o irreversibile, l'assenza di una piena certezza scientifica non deve costituire un motivo per differire l'adozione di misure adeguate ed effettive, anche in rapporto ai costi, dirette a prevenire il degrado ambientale”.
25. Come è pure noto, il principio in questione ha dato luogo a dispute scientifiche, filosofiche e politiche sul suo effettivo valore, sembrando ad alcuni interpretabile in modo estremo; si è sostenuto infatti che infatti che esso equivarrebbe alla “prudenza imposta per legge”, ovvero al divieto di utilizzare tutti i risultati della ricerca scientifica prima di esser certi della loro assoluta non pericolosità per l’ambiente; si è sostenuto poi che la certezza in merito non si potrebbe mai raggiungere, perché le verità scientifiche sono sempre come tali provvisorie e suscettibili di modifica.
26. Nella sede presente, va però sottolineato che tale lettura estrema del principio, quale che sia l’opinione intellettuale al riguardo che si ritenga di condividere, non è quella adottata dalla giurisprudenza europea e nazionale, che è invece prudente. Essa ha infatti sottolineato che “protective measures”, ovvero “misure preventive”, adottate in base al principio stesso e comprensive all’evidenza della proibizione preventiva di una certa attività “may not properly be based on a purely hypothetical approach to risk, founded on mere suppositions which are not yet scientifically verified”, ovvero “non si possono fondare sull’apprezzamento di un rischio puramente ipotetico, fondato su mere supposizioni allo stato non ancora verificate in termini scientifici”.
L’enunciato è di Corte CE 09.09.2003 C-236/01 Monsanto, ed è richiamato in modo esplicito, fra le molte, in Corte CE 05.02.2004 C- 24/2000 Commissione vs. Repubblica Francese; la stessa lettura è presupposta, nella giurisprudenza nazionale, ad esempio da TAR Lombardia Brescia 11.04.2005 n. 304, TAR Campania Napoli 27.02.2007 n. 1231, TAR Veneto 24.02.2004 n. 396 e da ultimo C.d.S. sez. VI 19.01.2010 n. 183. Ciò si giustifica anche osservando, con Cass. civ. 23.01.2007 n. 1391, relativa all’attività di un impianto che emetteva radiazioni elettromagnetiche, che le attività pericolose nel nostro ordinamento, se svolte entro date condizioni, sono lecite.
Si ritorna quindi al punto già ribadito, la necessità di una dimostrazione discorsiva da parte del ricorrente, non limitata a mere allegazioni, di errori di apprezzamento compiuti dalla p.a.
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 11.03.2011 n. 398 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: VIA - Provvedimento di esclusione - Presupposti ex art. 20 d.lgs. n. 152/2006 - Motivazione - Principio comunitario di massima precauzione in materia di tutela dell’ambiente.
L’art. 20 del decreto legislativo n. 152 del 2006 (codice dell’ambiente) delinea tra i presupposti per poter procedere all’esclusione dalla VIA l’assenza di impatti significativi sull’ambiente nonché la assenza di una modifica sostanziale dello stato dei luoghi.
Ne deriva che è palesemente generica la motivazione del provvedimento di esclusione della necessità di VIA laddove si limita ad affermare che “non si rileva alcun elemento di interesse relativo all’impatto ambientale dell’opera”, senza soffermarsi sui presupoosti indicati dalla norma.
Né può ritenersi che il provvedimento di esclusione dalla VIA non richieda necessariamente una articolata ed approfondita motivazione qualora in sede istruttoria sia stata prodotta tutta la necessaria documentazione, e ciò in quanto una siffatta conclusione, diretta in sostanza ad elidere una autonoma valutazione in tal senso in capo alla competente amministrazione, sarebbe contraria al principio comunitario di massima precauzione in materia di tutela dell’ambiente (TAR Puglia-Lecce, Sez. I, sentenza 25.02.2011 n. 405 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: VIA - Conclusione del procedimento - Termine di 150 giorni - Art. 26 d.lgs. n. 152/2006 - Principio fondamentale non derogabile della Regione e dagli enti delegati.
La conclusione del procedimento di valutazione di impatto ambientale è sottoposta al termine di centocinquanta giorni dalla presentazione dell’istanza, ai sensi dell’art. 26 del dlgs. n. 152/2006.
L’obbligo, per l’Amministrazione preposta, di pronunciarsi entro termini perentori sulle istanze di compatibilità ambientale costituisce principio fondamentale della materia non derogabile dalle Regioni e dagli enti delegati (TAR Puglia-Bari, Sez. I, sentenza 18.02.2011 n. 289 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: V.I.A. - Impianti di produzione di energia elettrica - Art. 31, c. 2, d.lgs. n. 112/1998 - Parere positivo espresso in sede di v.i.a. - Affidamento della parte circa la realizzazione dell’impianto - Limiti - Emersione di sopravvenienze rilevanti - Subordinazione dell’autorizzazione finale a ulteriori prescrizioni - Legittimità.
Nell'ambito della più ampia procedura volta al rilascio dell'autorizzazione finale di cui all'art. 31, comma 2, lett. b), del Dlgs. 31.03.1998, n. 112, il parere espresso in sede di valutazione di impatto ambientale, sul piano istruttorio e per le tematiche ad esso inerenti, comporta un forte vincolo procedimentale e pertanto i risultati cui è pervenuto, non potrebbero essere legittimamente disattesi dalla successiva attività istruttoria per le parti che costituiscono il presupposto logico essenziale del giudizio espresso in quella sede.
Tuttavia la positiva valutazione di impatto ambientale non esaurisce ogni aspetto della procedura autorizzativa e non è pertanto idonea ad esprimere un giudizio definitivo sull’intervento, reso possibile solo dal rilascio dell’autorizzazione finale (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 18.01.2006, n. 129).
Deve pertanto ritenersi che l'Amministrazione competente al rilascio del provvedimento finale sia comunque legittimata a chiedere chiarimenti ed integrazioni ovvero a subordinare ad ulteriori condizioni e prescrizioni il rilascio dell'autorizzazione finale, qualora, nel corso dell'istruttoria, emergano nuovi elementi prima non considerati i quali rendano evidente l'impossibilità di conseguire quelle fondamentali esigenze di equilibrio ecologico e ambientale poste a fondamento del giudizio favorevole di compatibilità ambientale (cfr. Cass. civ., s.u., 07.07.2010, n. 16039).
Pertanto, l’affidamento della parte alla realizzazione dell’impianto determinato dal rilascio della v.i.a. non cristallizza la situazione al momento in cui la stessa è stata rilasciata, ma consente di valutare anche sopravvenienze, purché naturalmente esse vi siano e siano anche rilevanti (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 16.02.2011 n. 282 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: V.I.A. - Provvedimento di esclusione della procedura di VIA - Provvedimento di autorizzazione del progetto - Onere di impugnazione - Rapporti e limiti - Comuni interessati diversi da quello nel cui territorio è prevista l’ubicazione dell’impianto - Espressione del parere nell’ambito della procedura di VIA - Art. 2, lett. m), L.r. Veneto n. 10/1999.
L’onere di impugnazione del provvedimento che decide in merito all’esclusione della procedura di VIA non preclude ai soggetti interessati l’impugnazione del provvedimento con cui il progetto viene autorizzato.
Tuttavia nel caso in cui sia impugnata soltanto l’autorizzazione all’esecuzione del progetto non potranno essere fatti valere con il ricorso censure relative alla mancata effettuazione della procedura di VIA, perché tale aspetto è stato già autonomamente e definitivamente considerato dal presupposto provvedimento, non tempestivamente impugnato, con cui è stata esclusa la procedura di VIA.
Né è possibile sostenere che solo con l’autorizzazione all’esecuzione del progetto sorga la lesione e dunque l’interesse all’impugnazione, perché la decisione di non effettuare la VIA comporta già un pregiudizio per la tutela ambientale che consiste nell’impiego di minori cautele nella definizione della procedura autorizzatoria.
Tale circostanza è particolarmente evidente con riferimento ai Comuni interessati (diversi da quello nel cui territorio è prevista l’ubicazione dell’impianto) ai quali la procedura di VIA consentirebbe, in relazione all’impatto ambientale ai sensi dell’art. 2, lettera m), della legge regionale del Veneto n. 10 del 1999, di esprimere il parere nell’ambito della procedura di VIA (TAR Veneto, Sez. III, sentenza 16.02.2011 n. 265 - link a www.ambientediritto.it).

2010

URBANISTICA: VIA e VAS - Procedura di VAS - Valutazione ambientale di piani e programmi - Varianti a singoli progetti - VIA.
Ai sensi dell’art. 5, comma 1, del citato decreto n. 152/2006, la procedura di V.A.S. è espressamente riservata alla valutazione ambientale di piani e programmi, restando conseguentemente escluse le varianti riguardanti la realizzazione di singoli progetti, per i quali il legislatore ha predisposto il diverso strumento del procedimento di V.I.A. (v. da ultimo, Cons. Stato, Sez. IV, 04.12.2009, n. 7651) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 19.11.2010 n. 8113 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: R. Greco, BREVI OSSERVAZIONI SULLE MODIFICHE AL PROCEDIMENTO DI VALUTAZIONE DI IMPATTO AMBIENTALE (VIA) INTRODOTTE DAL DECRETO LEGISLATIVO 29.06.2010, N. 128 (link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: B.U.R. Lombardia, 1° suppl. straord. al n. 38 del 21.09.2010, "Testo coordinato della L.R. 02.02.2010 n. 5 «Norme in materia di Valutazione di Impatto Ambientale»" (testo coordinato L.R. 02.02.2010 n. 5 - link a www.infopoint.it).

EDILIZIA PRIVATA: VIA - Tutela preventiva dell’ambiente - Discrezionalità amministrativa - Natura sostanzialmente insindacabile delle scelte effettuate.
L’istituto della VIA, in quanto finalizzato alla tutela preventiva dell’ambiente, è caratterizzato da un’ampia discrezionalità amministrativa: le scelte effettuate hanno natura sostanzialmente insindacabile, alla luce del valore primario ed assoluto riconosciuto dalla Costituzione al paesaggio e all’ambiente (cfr. da ultimo Cons. St., sez. V, 12.06.2009, n. 3770; Corte cost., 07.11.2007, n. 367).
VIA - Tutela del paesaggio - Preminenza costituzionale - Ponderazione dell’interesse privato - Limiti.
La ponderazione degli interessi privati, unitamente ed in coerenza con gli interessi pubblici connessi con la tutela paesaggistica ed ambientale, non deve essere giustificata neppure allo scopo di dimostrare che il sacrificio imposto al privato (per altro di natura essenzialmente procedimentale nel caso di ammissione a v.i.a. all’esito della verifica di assoggettabilità perché il bene della vita finale non è pregiudicato), sia stato contenuto nel minimo possibile, perché tale giudizio si colloca all’interno della disciplina costituzionale del paesaggio (art. 9 Cost.) che erige il valore estetico-culturale a valore primario dell’ordinamento.
VIA - Disciplina - Finalità - Diritto fondamentali di derivazione comunitaria - Direttiva 85/337/CEE - Rifiuto di sottoporre un progetto a via all’esito di verifica preliminare - Giustificazione delle ragioni.
La disciplina sulla v.i.a. è preordinata alla salvaguardia dell’habitat nel quale l’uomo vive che assurge a valore primario ed assoluto in quanto espressivo della personalità umana (cfr. Cons. St., sez. VI, 18.03.2008, n. 1109), attribuendo ad ogni singolo un autentico diritto fondamentale, di derivazione comunitaria (direttiva 85/337), che obbliga l’amministrazione a giustificare, quantomeno ex post ed a richiesta dell’interessato, le ragioni del rifiuto di sottoporre un progetto a v.i.a. all’esito di verifica preliminare (cfr. Corte giust. 30.04.2009, c-75/08, Mellor).
VIA - Discrezionalità tecnica - Direttiva 85/337/CEE - Progetto - Profili di ubicazione e dimensione - Natura sostanziale.
Nel rendere il giudizio di valutazione di impatto ambientale (ed a maggior ragione nell’effettuare la verifica preliminare), l’amministrazione esercita una amplissima discrezionalità tecnica sebbene censurabile sia per macroscopici vizi logici, sia per errore di fatto, sia per travisamento dei presupposti (cfr. Trib. Sup. acque pubbliche, 11.03.2009, n. 35; Cons. St., sez. VI, 19.02.2008, n. 561; sez. VI, 30.01.2004, n. 316); essa non deve limitarsi, a mente della direttiva 85/337/CEE, ad apprezzare solo i profili di ubicazione e dimensione del progetto, ma ha l’obbligo di accertarne la natura sostanziale (cfr. da ultimo Corte giust., 25 luglio 2008, c-142/07).
VIA - Analisi comparata tra il sacrificio ambientale e l’utilità economica - Opzione zero - Sviluppo sostenibile - Art. 3-quater d.lgs. n. 152/2006 - Proporzionalità tra consumazione delle risorse naturali e benefici per la collettività.
Alla stregua della disciplina comunitaria e nazionale (ed eventualmente regionale), la v.i.a. non può essere intesa come limitata alla verifica della astratta compatibilità ambientale dell’opera ma si sostanzia in una analisi comparata tesa a valutare il sacrificio ambientale imposto rispetto all’utilità socio economica, tenuto conto delle alternative praticabili e dei riflessi della stessa “opzione zero”; la natura schiettamente discrezionale della decisione finale (e della preliminare verifica di assoggettabilità), sul versante tecnico ed anche amministrativo, rende allora fisiologico che si pervenga ad una soluzione negativa ove l’intervento proposto cagioni un sacrificio ambientale superiore a quello necessario per il soddisfacimento dell’interesse diverso sotteso all’iniziativa; da qui la possibilità di bocciare progetti che arrechino vulnus non giustificato da esigenze produttive, ma suscettibile di venir meno, per il tramite di soluzioni meno impattanti in conformità al criterio dello sviluppo sostenibile (ora codificato dall’art. 3-quater, d.leg. 152/2006) e alla logica della proporzionalità tra consumazione delle risorse naturali e benefici per la collettività che deve governare il bilanciamento di istanze antagoniste (cfr. Cons. St., sez. VI, 22.02.2007, n. 933).
VIA - Direttiva 85/337/CEE - Politica comunitaria dell’ambiente - Tutela preventiva da inquinamenti e altre perturbazioni.
La giurisprudenza comunitaria conferisce un ruolo strategico alla procedura di v.i.a., nel quadro dei mezzi e modelli positivi preordinati alla tutela dell’ambiente, valorizzando le disposizioni della direttiva 85/337/CEE. che evidenziano come la politica comunitaria dell’ambiente consista, ante omnia, nell’evitare fin dall’inizio inquinamenti ed altre perturbazioni, anziché combatterne successivamente gli effetti: conformemente ai principi “costituzionali” dei trattati, scopo dell’U.E. è la tutela preventiva dell’ambiente (cfr. Corte giust., sez. V, 21.09.1999, c-392/96; sez. VI, 16.09.1999, c-435/97).
VIA - Nozione di centro abitato - Riferimento alla disciplina di cui al codice della strada - Eccentricità - Diversa connotazione giuridica dell’analogo concetto urbanistico.
E’ eccentrico, rispetto al quadro delle norme e dei principi in materia di VIA, valorizzare la nozione di “centro abitato” contemplata dal codice della strada (artt. 3 e 4).
La giurisprudenza è univoca nel segnalarne la diversa connotazione giuridica rispetto all’analogo concetto previsto dalla disciplina urbanistica (art. 41-quinquies, l. n. 1150 del 1942); a fortiori queste conclusioni valgono per la procedura di v.i.a. atteso che scopo essenziale della normativa stradale è quello di assicurare la sicurezza della circolazione mediante prescrizioni tecniche e norme di comportamento (cfr. da ultimo Cons. St., sez. II, 11.03.2009; sez. IV, 05.04.2005, n. 1560).
VIA - Art. 10, c. 2, d.P.R. 12.04.1996 - Meccanismo del silenzio assenso - Disapplicazione - Contrasto con la direttiva 85/337/CEE.
La disposizione sancita dall’art. 10, co. 2, d.P.R. del 12.04.1996 nella parte in cui fa discendere l’esenzione dalla v.i.a. dal silenzio dell’amministrazione protratto per oltre sessanta giorni dall’inoltro della richiesta di verifica, va disapplicata (cfr. Cons. St., 28.09.2001, n. 5169), per contrasto con lo spirito della direttiva 85/337/CEE (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 05.07.2010 n. 4246 - link a ww
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EDILIZIA PRIVATA: VIA - RIFIUTI - Discarica - Impatto sul territorio - Intera area funzionale all’esercizio - Coinvolgimento di comune diverso da quello nel cui territorio è prevista la localizzazione.
L’impatto sul territorio, idoneo a giustificare il coinvolgimento, nella procedura di VIA, di un comune diverso da quello nel cui territorio è prevista la localizzazione dell’impianto, non può ritenersi circoscritto all’area destinata alla escavazione, ove si valuta di realizzare la discarica, ma deve essere esteso fino a ricomprendere l’intera area funzionale all’esercizio della discarica medesima.
VIA - Giudizio di compatibilità ambientale - Tutela preventiva - Discrezionalità mista - Ambito del sindacato giurisdizionale.
Il giudizio di compatibilità ambientale, in quanto implica una valutazione anticipata, finalizzata alla tutela preventiva dell’interesse pubblico, non si risolve in un puro e semplice giudizio tecnico, ma presenta comunque profili elevati di discrezionalità amministrativa.
A questo proposito si parla, anche in giurisprudenza, di discrezionalità mista. L’ampiezza della discrezionalità restringe l’ambito del sindacato giurisdizionale ai casi di illogicità manifesta, di errore di fatto e di difetto di istruttoria e di motivazione (conf., “ex multis”, in tema di VIA, Cons, St. nn. 5910/2007, 1462/2005 -che conf. Tar Veneto, n. 3098/2001- e 1/2004).
VIA - RIFIUTI - Realizzazione ed esercizio di discarica su area di cava in atto - Condizioni.
La realizzazione e l’esercizio di una discarica possono essere consentiti sull’area di una cava, in atto, una volta esaurita l’attività estrattiva anche solo su una porzione della cava medesima, sempre che vi siano le condizioni per organizzare e svolgere in modo differenziato l’attività di discarica e quella di cava , al fine di consentire il regolare svolgimento dell’attività di trasporto connessa con la cava e la discarica (cfr. DGRV n. 924/1998 - direttiva sull’applicazione delle ll. reg. nn. 44/1982 e 33/1985).
VIA - DPCM 27.09.1988 - Provvedimento finale - Osservazioni prodotte nel procedimento - Analitica indicazione delle ragioni che hanno condotto a disattenderle - Necessità - Esclusione.
In tema di VIA, la normativa (DPCM 27.09.1988) non impone alla P. A. autrice del provvedimenti finale di manifestare le ragioni che l’hanno indotta a disattendere le osservazioni prodotte nel procedimento, prescrivendo soltanto che di tali osservazioni si tenga conto nella fase di maturazione della scelta finale la quale, a sua volta, assorbe e riassume tutte le valutazioni compiute nell’istruttoria (CdS, VI, n. 129/2006) (TAR Veneto, Sez. III, sentenza 14.06.2010 n. 2512 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: VIA - Natura - Profili di discrezionalità amministrativa - Sindacato del giudice amministrativo - Limiti.
La valutazione d’impatto ambientale, anche con riferimento alla tutela dei siti di interesse naturalistico SIC e ZPS, non costituisce un mero giudizio tecnico, suscettibile in quanto tale di verificazione sulla base di oggettivi criteri di misurazione, ma presenta profili particolarmente intensi di discrezionalità amministrativa, sul piano dell’apprezzamento degli interessi pubblici in rilievo e della loro ponderazione rispetto all’interesse all’esecuzione dell’opera, apprezzamento che è sindacabile dal giudice amministrativo soltanto in ipotesi di manifesta illogicità o travisamento dei fatti, nel caso in cui l’istruttoria sia mancata, o sia stata svolta in modo inadeguato, e sia perciò evidente lo sconfinamento del potere discrezionale riconosciuto all’Amministrazione (cfr. Cons. Stato, sez. V, 22.06.2009 n. 4206; Id., sez. V, 21.11.2007 n. 5910; Id., sez. VI, 17.05.2006 n. 2851; Id., sez. IV, 22.07.2005 n. 3917) (TAR Puglia-Bari, Sez. I, sentenza 14.05.2010 n. 1897 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: VIA - Progetti di sviluppo di aree urbane - Sottoposizione a VIA - Superfici inferiori a 40 ha - Esclusione - All. B, punto 7, lett. b), d.P.R. 12.04.1996.
Ai sensi dell'all. B), punto 7, lett. b), del D.P.R. 12.04.1996, devono essere sottoposti alla valutazione di impatto ambientale i soli progetti di sviluppo di aree urbane, nuove o in estensione, interessanti superfici superiori ai 40 ha, sicché è correttamente escluso dal procedimento in questione il progetto inerente un’area di superficie inferiore (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza  05.05.2010 n. 1236 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: VIA - Procedimento - Strumento preventivo di tutela ambientale - Prescrizioni - Radicale diniego.
Il procedimento di valutazione di impatto ambientale è, per sua natura e per sua configurazione normativa, uno strumento preventivo di tutela dell’ambiente, che si svolge prima rispetto all’approvazione del progetto, il quale dovrà essere modificato secondo le prescrizioni intese ad eliminare o ridurre l’incidenza negativa per l’ambiente (cfr. TAR Liguria, Sez. I, 15.06.2006, n. 563) a condizione che ciò sia possibile e che non si imponga il radicale diniego di approvazione del progetto.
VIA - Tutela preventiva dell’interesse pubblico - Profili elevati di discrezionalità amministrativa - Sindacato giurisdizionale - Limiti.
La valutazione di impatto ambientale, giacché finalizzata alla tutela preventiva dell’interesse pubblico, non si risolve in un mero giudizio tecnico, ma presenta profili particolarmente elevati di discrezionalità amministrativa, che sottraggono al sindacato giurisdizionale le scelte della P.A., ove non siano manifestamente illogiche ed incongrue (C.d.S., Sez. V, 21.11.2007, n. 5910; C.d.S., Sez. V, n. 4206/2009; TAR Lazio, Roma, Sez. I, n. 5403/2007).
VIA - Principio di precauzione - Mera possibilità, insuscettibile di esclusione, di alterazioni negative - Opposizione alla realizzazione di un’attività - Discrezionalità amministrativa.
La valutazione di impatto ambientale comporta una valutazione anticipata finalizzata, nel quadro del principio comunitario di precauzione, alla tutela preventiva dell’interesse pubblico ambientale.
Ne deriva che, in presenza di una situazione ambientale connotata da profili di specifica e documentata sensibilità, anche la semplice possibilità di un’alterazione negativa va considerata un ragionevole motivo di opposizione alla realizzazione di un’attività: anche alla luce degli ampi profili di discrezionalità amministrativa che presenta la valutazione di impatto ambientale sul piano dell’apprezzamento degli interessi pubblici, sfugge, pertanto, al sindacato giurisdizionale la scelta discrezionale della P.A. di non sottoporre beni di primario rango costituzionale, qual è quello dell’integrità ambientale, ad ulteriori fattori di rischio che, con riferimento alle peculiarità dell’area, possono implicare l’eventualità, non dimostrabile in positivo ma neanche suscettibile di esclusione, di eventi lesivi (così C.d.S., Sez. VI, 04.04.2005, n. 1462, in relazione ad un caso di inquinamento di una falda acquifera).
DIRITTO DELL’ENERGIA - VIA - Illegittimità del procedimento di autorizzazione unica ex art. 12 d.lgs. n. 387/2003 - Illegittimità derivata del giudizio di compatibilità ambientale - Esclusione - Autonomia.
L’eventuale illegittimità del procedimento di autorizzazione unica ex art. 12 del d.lgs. n. 387/2003, non può dispiegare alcuna illegittimità derivata sulla valutazione negativa di compatibilità ambientale, stante l’autonoma funzione di quest’ultima (cfr. TAR Liguria, Sez. I, n. 563/2006) (TAR Toscana, Sez. II, sentenza 20.04.2010 n. 986 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI - URBANISTICA: Oggetto: Procedure di competenza della Direzione Generale PBAAC in materia di VIA, VAS e progetti sovraregionali o trasfrontalieri – Disposizioni per la presentazione delle istanze e della relativa documentazione progettuale (Mi.B.A.C., circolare 19.03.2010 n. 6).

LAVORI PUBBLICI: VIA - Progetto definitivo sensibilmente diverso da quello preliminare - Art. 42 d.lgs. n. 152/2006 - Rinnovo dell’istruttoria - Successivo procedimento autorizzatorio.
L’art. 42, c. 4 del d.lgs. 03.04.2006, n. 152 impone la rinnovazione dell’istruttoria ai fini del rilascio della VIA anche nel caso di progetto definitivo sensibilmente diverso da quello preliminare; il successivo procedimento autorizzatorio non può che svolgersi sullo stesso progetto che la VIA abbia ottenuto, sicché, nel caso di variazioni sostanziali del medesimo che portino ad un progetto “sensibilmente diverso” deve al riguardo essere acquisita nuova VIA su quest’ultimo, pena altrimenti l’elusione del giudizio di compatibilità ambientale e restando ovviamente irrilevante l’istruttoria compiuta sul progetto variato in sede di conferenza di servizi.(cfr. Cons. St., Sez. VI, 31.01.2007, n. 370; cfr. altresì Cons. St., Sez. V, 16.06.2009, n. 3849, laddove è stata affermata, sia pure in diversa fattispecie concernente la sottoposizione a VIA di porzioni di opera, la necessità che la valutazione ambientale debba riguardare unitariamente l’opera nel suo complesso allo scopo di poterne apprezzare i livelli di qualità finale, pena altrimenti l’elusione delle finalità perseguite dalla legge attraverso la stessa VIA) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 26.02.2010 n. 1142 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, 5° suppl. straord, al n. 8 del 26.02.2010, "Metodo per l'espletamento della verifica di assoggettabilità alla VIA per gli impianti smaltimento e/o recupero rifiuti" (deliberazione G.R. 10.02.2010 n. 11317 - link a www.infopoint.it).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: B.U.R. Lombardia, 2° suppl. ord. al n. 5 del 04.02.2010, "Norme in materia di valutazione di impatto ambientale" (L.R. 02.10.2010 n. 5 - link a www.infopoint.it).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: VIA - AIA - Evoluzione normativa - Rapporti tra le due procedure.
Nell’impostazione originaria del DPR 12.04.1996 l’impatto ambientale di un’opera o di un impianto era misurato esclusivamente attraverso la procedura di VIA (previo esame dell’assoggettabilità qualora il progetto non rientrasse nei casi di VIA codificati).
Alla decisione sulla VIA si collegavano poi le singole autorizzazioni necessarie per la realizzazione dell’opera o il funzionamento dell’impianto. Con l’introduzione dell’AIA tutte queste autorizzazioni sono state raggruppate in un giudizio complessivo. Nell’AIA sono tra l’altro confluite (v. allegato II del Dlgs. 59/2005) l’autorizzazione alle emissioni in atmosfera di cui al DPR 203/1988, l’autorizzazione allo scarico di cui al Dlgs. 152/1999, l’autorizzazione alla realizzazione e modifica di impianti di smaltimento o recupero di rifiuti ex art. 27 del Dlgs. 22/1997, nonché l’autorizzazione all'esercizio delle operazioni di smaltimento o recupero di rifiuti ex art. 28 del Dlgs. 22/1997.
Formalmente è rimasta autonoma la procedura di VIA, che deve precedere il rilascio dell’AIA e ne condiziona il contenuto (v. art. 5, comma 12, e art. 7, comma 2, del Dlgs. 59/2005). È però evidente che l’ampiezza delle valutazioni svolte in relazione all’AIA si riflette sulla procedura di VIA, nella quale assumono rilievo necessariamente anche gli studi effettuati in vista del rilascio dell’AIA.
L’impatto ambientale di un’opera o di un impianto non potrebbe infatti essere compiutamente inquadrato senza prendere in considerazione gli approfondimenti tecnici che conducono al rilascio dell’AIA e alla contestuale formulazione dei limiti relativi alla produzione di inquinanti (v. art. 7, commi 3 e 4, del Dlgs. 59/2005).
VIA - AIA - Impugnazione separata dei relativi atti - Possibilità.
Il fatto che la VIA e l’AIA tendano a formare un unicum non impedisce l’impugnazione separata dei relativi atti, in quanto se il materiale tecnico è comune rimangono diversi gli effetti giuridici dei provvedimenti finali. Con la VIA (e con la valutazione di assoggettabilità) viene emessa una pronuncia sulla localizzazione dell’opera o dell’impianto.
Chi si oppone alla localizzazione scelta (o al giudizio circa l’idoneità dell’area a sostenere le modifiche strutturali o gli ampliamenti di opere e impianti già esistenti) ha interesse a impugnare in modo autonomo il relativo provvedimento, ottenendo così anche un effetto inibitorio sull’AIA.
D’altra parte l’impugnazione degli atti relativi alla VIA deve comunque essere seguita dall’impugnazione del rilascio dell’AIA, perché l’oggetto della VIA è definito dalle prescrizioni formulate contestualmente all’AIA, e pertanto è il provvedimento favorevole su quest’ultima che stabilisce a quali condizioni l’impatto ambientale sia accettabile (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 22.01.2010 n. 211 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, 4° suppl. straord. al n. 3 del 21.01.2010 (link a www.infopoint.it):
- "Nuove determinazioni in materia di attività estrattiva di cava, relativamente alle procedure per le verifiche di assoggettabilità a VIA di cave e torbiere, all'autorizzazione all'esercizio di cave per opere pubbliche e al funzionamento del Comitato tecnico consultivo per le attività estrattive" (deliberazione G.R. 30.12.2009 n. 10964);
-  "Criteri di verifica di assoggettabilità a Valutazione di Impatto Ambientale di cave e torbiere" (comunicato regionale 08.01.2010 n. 2).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: VIA - AREE PROTETTE - Progetti assoggettati a VIA interessanti P-SIC, SIC o ZPS - Valutazione di incidenza - Assorbimento nell’ambito della procedura di VIA - Art. 5, c. 4 d.P.R. n. 357/1997.
Ai sensi dell’art. 5, c. 4 del d.P.R. n. 357/1997, per i progetti assoggettati a procedura di valutazione di impatto ambientale che interessano proposti siti di importanza comunitaria, siti di importanza comunitaria e zone speciali di conservazione, la valutazione di incidenza è ricompresa nell'ambito della procedura di V.I.A., che, in tal caso, considera anche gli effetti diretti ed indiretti dei progetti sugli habitat e sulle specie per i quali detti siti e zone sono stati individuati. (cfr. C.d.S., Sez. VI, 22.11.2006, n. 6831).
VIA - Atti di autorizzazione o approvazione non preceduti da VIA - Sanzione della nullità - Art. 4, ultimo comma, d.lgs. n. 152/2006 - Disciplina ante e post novella ex d.lgs. n. 3/2008.
Mentre il legislatore del 2006 all’art. 4, ult. comma del Codice dell’Ambiente, aveva previsto la più grave sanzione della nullità degli atti di autorizzazione od approvazione non preceduti dalla VIA, con l’art. 1, comma 3 del D.Lg.vo 16.01.2008 n. 3, che ha modificato il citato art. 29 del D. Lg.vo 152/2006, si è tornati all’inquadramento della violazione di legge in esame nella generale categoria dell’annullamento (per la “sola” annullabilità, prima dell’entrata in vigore del Codice dell’Ambiente, si era già espresso C.d.S, Sez. VI, 03.03.2006, n. 1023).
VIA - Procedimento - Natura - Mezzo preventivo di tutela ambientale - VIA postuma alla realizzazione dell’opera - Illegittimità.
Il procedimento di valutazione di impatto ambientale è per sua natura e configurazione normativa un mezzo preventivo di tutela dell'ambiente, che si svolge prima rispetto all'approvazione del progetto (il quale deve essere modificato secondo le prescrizioni intese ad eliminare o ridurre l'incidenza negativa dell’opera progettata) e conseguentemente prima della realizzazione dell’opera (fisiologicamente successiva all’approvazione del progetto).
La natura ontologicamente preventiva della V.I.A. è costantemente affermata tanto dalla giurisprudenza comunitaria (cfr. Corte Giustizia CE, Sez. II, 03.07.2008, nella causa C-215/06, nonché Corte Giustizia CE, Sez. II, 05.07.2007, nella causa C-255/05), quanto da quella nazionale (TAR Liguria, Sez. I, 15.06.2006, n. 563; nonché TAR Puglia-Bari, Sez. I, 10.04.2008, n. 894; TAR Liguria, Sez. I, 16.02.2008, n. 306; TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, 11.08.2007, n. 726).
Ne consegue che una VIA postuma all’autorizzazione dell’opera e allo svolgimento dei lavori deve considerarsi illegittima, perché adottata in violazione dei precetti comunitari (dr. 85/337) e nazionali (artt. 3-ter e 29 del d.lgs. n. 152/2006) improntati al principi di precauzione e prevenzione dell’azione ambientale.
VIA - Amministrazione preposta al giudizio di compatibilità - Pronuncia successiva alla realizzazione delle opere - Obbligatorietà - Esclusione.
In linea di principio, l’Amministrazione preposta al giudizio di compatibilità ambientale non può considerarsi tenuta ad esprimere tale giudizio dopo l’inizio delle opere.
VIA - Giudizio di compatibilità ambientale negativo - Interventi o progetti oggetto di verifica - realizzabilità in funzione di eccezionali motivi di interesse pubblico - Art. 5, cc. 9 e 10 d.P.R. n. 357/1997 - Art. 1, ult. comma, D.M. 17/10/2007 - Ponderazione e giudizio di prevalenza - Soggetti preposti all’autorizzazione dell’opera.
Anche a fronte di un giudizio di compatibilità ambientale negativo, gli interventi o i progetti oggetto di verifica possono comunque essere “autorizzati”, laddove ricorrano quei pregnanti ed eccezionali motivi di interesse pubblico espressamente indicati dal legislatore (cfr.art. 5, cc. 9 e 10 del d.P.R. n. 357/1997 e art. 1, ultimo comma, D.M. 17/10/2007).
La ponderazione ed il giudizio di prevalenza degli interessi de quibus intervengono in un momento successivo al giudizio negativo di compatibilità ambientale e gravano sui soggetti preposti all’autorizzazione dell’opera, soggetti che, acquisita la previa VIA negativa, sono chiamati a vagliare ed esternare le eccezionali e prevalenti ragioni pubbliche (per come tipizzate dal legislatore) che eventualmente impongano comunque la realizzazione dell’intervento (TAR Sicilia-Palermo, Sez. I, sentenza 20.01.2010 n. 583 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI - URBANISTICA: R. Greco, VIA, VAS E AIA: QUESTE SCONOSCIUTE (link a www.giustizia-amministrativa.it).

2009

EDILIZIA PRIVATA: VALUTAZIONE IMPATTO AMBIENTALE (V.I.A.) - Commissione speciale VIA - Richiesta di integrazione documentale - Termine di trenta giorni - Natura ordinatoria - Decorso del termine - Azioni sollecitatorie - Produzione tardiva - Art. 20 d.lgs. n. 190/2002.
Il termine di 30 giorni, fissato dall’art. 20, secondo e terzo comma, del D.Lgs. 2002, n. 190, per dare risposta alla richiesta di integrazione documentale presentata dalla commissione speciale VIA ha natura ordinatoria.
E’ vero che la norma recita che decorso il termine suddetto il parere si intende negativo; peraltro, avverso l’interpretazione strettamente letterale, deve essere rilevato che la norma in discussione non prescrive affatto che decorso il suddetto termine l’opera non possa essere realizzata. Deve quindi essere affermato che una volta decorso il suddetto termine chi ha interesse alla realizzazione dell’opera può porre in essere azioni sollecitatorie; inoltre, è consentito alla commissione ammettere una produzione tardiva.
In base alle stesse considerazioni, anche il termine di 90 giorni di cui al quarto comma dello stesso art. 20 deve essere considerato ordinatorio (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 28.12.2009 n. 8786 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 48 del 30.11.2009, "Modalità applicative delle disposizioni in materia di sanzioni amministrative per la violazione delle procedure di Valutazione di Impatto Ambientale e di verifica di assoggettabilità (art. 7, l.r. n. 20/1999 e art. 29, comma 4, d.lgs. n. 152/2006)" (deliberazione G.R. 18.11.2009 n. 10564 - link a www.infopoint.it).

EDILIZIA PRIVATA: DIRITTO PROCESSUALE AMMINISTRATIVO - Legittimazione ad agire - Localizzazione di un campo nomadi - Residenti nella zona interessata - Interesse diretto e immediato - Sussistenza.
I residenti nella zona interessata dalla localizzazione del campo nomadi ovvero in aree limitrofe hanno un interesse diretto ed immediato a dolersi della delibera di approvazione del progetto per la realizzazione del nuovo villaggio nomadi che è, indubbiamente, idonea ad incidere sulle condizioni di vita e di relazione nella zona dove hanno la propria residenza.
VIA - Progetto per la realizzazione di un campo nomadi - Sottoposizione a V.I.A. - esclusione.
Il progetto esecutivo per la realizzazione di un campo nomadi , di dimensione limitata e concernente un’area urbana, non richiede la valutazione di impatto ambientale.
Campo nomadi - Estensione - Computo delle strade di accesso e delle strade interne - Esclusione.
In ordine all’estensione di un campo nomadi, non vi è ragione di computare nella sua ampiezza anche le strade di accesso e quelle previste al suo interno per il collegamento delle abitazioni: si tratta, infatti, di opere di urbanizzazione che, ove siano rispettati i limiti volumetrici per la edificazione delle unità abitative, possono essere assunte a carico del Comune senza che debbano incidere sulle dimensioni riconosciute al campo in questione (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 04.11.2009 n. 6866 - link a
www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: A. Scialò, Procedura di verifica di assoggettabilità a VIA: le prime riflessioni del Consiglio di Stato (link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Ambiente in genere. V.i.a. e termini di durata della procedura.
I termini di durata della procedura di Via non possono essere considerati perentori: essi infatti non sono assistiti da alcuna espressa decadenza, né sono previste conseguenze giuridicamente significative o sanzioni per la loro decorrenza.
Essi, invece, hanno carattere sollecitatorio rispetto alla definizione dell’iter procedimentale, rispondono all’interesse primario di contenere in tempi ragionevoli e giustificati le varie fasi delle procedure autorizzative e, perciò, non possono che essere stabiliti a favore del solo proponente (TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. I, sentenza 06.10.2009 n. 1755 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Beni ambientali. Valutazione di incidenza.
Il tenore delle disposizioni relative alla disciplina normativa che regola il procedimento di valutazione d’incidenza ambientale, costituita dall’art. 5 del d.p.r. 08.09.1997, n. 357, è univoco nell’ammettere la possibilità che il procedimento di valutazione dell’incidenza si concluda in senso negativo per il proponente, con un’unica eccezione nel caso che “il piano o l'intervento debba essere realizzato per motivi imperativi di rilevante interesse pubblico, inclusi motivi di natura sociale ed economica”: solo in quest’ultima evenienza, che certamente non si ravvisa nel caso in esame, il legislatore prevede che il procedimento debba comunque terminare con l’autorizzazione dell’intervento proposto (TAR Sardegna, Sez. II, sentenza 09.06.2009 n. 921 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Impianti eolici e v.i.a..
Deve escludersi che dall’assenza di una preventiva pianificazione territoriale ed urbanistica possa farsi discendere un divieto generale di dare corso all’approvazione e realizzazione di progetti, come quello dell’impianto eolico per cui è causa, relativi ad opere suscettibili di potenziale impatto sull’ambiente, ovvero un altrettanto generale obbligo di sottoporre a procedura di VIA i progetti stessi: nessuna indicazione in tal senso si trae, infatti, dalla normativa statale e regionale di rango primario (TAR Toscana, Sez. II, sentenza 25.05.2009 n. 888 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Valutazione di impatto ambientale.
Non è corretto il frazionamento del progetto in singole opere che isolatamente considerate non sarebbero sottoposte a valutazione di impatto ambientale, quando per contro, nella loro interezza ed unitariamente considerate lo sarebbero. Infatti la normativa comunitaria mira a sottoporre alla procedura di valutazione di impatto ambientale i progetti che possono avere un riflesso rilevante sull’ambiente.
Alcuni progetti, elencati all’allegato I della direttiva 85/337/CEE, sono obbligatoriamente sottoposti a tale valutazione; altri, elencati nell’allegato II, tra i quali, come ricordato, vi sono gli impianti industriali per la produzione di energia elettrica, vapore e acqua calda con potenza termica inferiore a 300 MW, sono soggetti a valutazione solo qualora possano avere un impatto ambientale importante per la loro natura, le loro dimensioni o la loro ubicazione (TAR Veneto, Sez. III, sentenza 22.05.2009 n. 1539 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: VALUTAZIONE IMPATTO AMBIENTALE - Valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti - Obbligo di rendere pubblica la motivazione di una decisione di non sottoporre un progetto ad una valutazione - Direttiva 85/337/CEE mod. dalla Dir. 2003/35/CE.
L’art. 4 della direttiva del Consiglio 27.06.1985, 85/337/CEE, concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati, come modificata dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 26.05.2003, 2003/35/CE, deve essere interpretato nel senso che esso non richiede che la decisione secondo la quale non è necessario che un progetto rientrante nell’allegato II della citata direttiva sia sottoposto ad una valutazione dell’impatto ambientale, contenga essa stessa le ragioni per le quali l’autorità competente ha deciso che questa non fosse necessaria. Tuttavia, nell’ipotesi in cui una persona interessata lo chieda, l’autorità amministrativa competente ha l’obbligo di comunicarle i motivi per i quali tale decisione è stata assunta, ovvero le informazioni e i documenti pertinenti in risposta alla richiesta formulata.
VALUTAZIONE IMPATTO AMBIENTALE - DIRITTO PROCESSUALE EUROPEO - All. II dir. n. 85/337 e s.m. - Mancata sottoposizione di un progetto alla VIA - Motivazione - Obbligo.
Nell’ipotesi in cui la decisione di uno Stato membro di non sottoporre un progetto rientrante nell’allegato II della direttiva 85/337, come modificata dalla direttiva 2003/35, ad una valutazione dell’impatto ambientale, in conformità agli artt. 5 e 10 della citata direttiva, indichi i motivi su cui essa si basa, tale decisione è sufficientemente motivata qualora la motivazione che essa contiene, unitamente agli elementi che sono già stati portati a conoscenza degli interessati, ed eventualmente completati dalle ulteriori informazioni necessarie che l’amministrazione nazionale competente è tenuta a fornire a detti interessati, su loro richiesta, siano tali da consentire a questi ultimi di valutare l’opportunità di presentare un ricorso avverso tale decisione.
VALUTAZIONE IMPATTO AMBIENTALE - DIRITTO PROCESSUALE EUROPEO - Valutazione dei progetti idonei ad avere un impatto ambientale importante - Sottoposizione alla VIA - Discrezionalità per progetti di cui al suo allegato II Dir. n. 85/337 succ. mod. dalla dir. n. 35/2003 - Esame specifico della questione - Necessità - Obbligo di motivazione e comunicazione - Diritto fondamentale attribuito dal diritto comunitario - Valutazione dell’opportunità di presentare ricorso - Sindacato giurisdizionale.
Ai sensi della direttiva 85/337 (come succ. mod. dalla direttiva 2003/35), i progetti di cui al suo allegato II devono essere assoggettati a valutazione solo qualora possano avere un impatto ambientale importante e la direttiva 85/337 conferisce agli Stati membri, a tal proposito, un margine discrezionale.
Tuttavia, tale margine discrezionale trova il proprio limite nell’obbligo di tali Stati, enunciato all’art. 2, n. 1, della direttiva 85/337, di sottoporre ad una simile valutazione i progetti idonei ad avere un impatto ambientale importante, segnatamente per la loro natura, le loro dimensioni o la loro ubicazione (v., in tal senso, sentenze 24/10/1996, causa C-72/95, Kraaijeveld, e 23/11/2006, causa C-486/04, Commissione/Italia). Risulta quindi inevitabilmente dagli obiettivi della direttiva 85/337 che le autorità nazionali competenti, investite di una domanda di autorizzazione di un progetto rientrante nell’allegato II di tale direttiva, devono svolgere un esame specifico della questione se, tenuto conto dei criteri di cui all’allegato III della direttiva stessa, si debba procedere ad una VIA. Inoltre, l’efficacia del sindacato giurisdizionale, che deve poter riguardare la legittimità della motivazione della decisione impugnata, comporta, in via generale, che il giudice adito possa richiedere all’autorità competente la comunicazione di tale motivazione.
Tuttavia, trattandosi più specificamente di assicurare la tutela effettiva di un diritto fondamentale attribuito dal diritto comunitario, bisogna anche che le persone interessate possano difendere tale diritto nelle migliori condizioni possibili e che ad esse sia riconosciuta la facoltà di decidere, con piena cognizione di causa, se sia utile per loro adire il giudice. Ne deriva che in una tale ipotesi l’autorità nazionale competente ha l’obbligo di fare loro conoscere i motivi sui quali è basato il suo rifiuto, vuoi nella decisione stessa, vuoi in una comunicazione successiva effettuata su loro richiesta (v. sentenza 15.10.1987, causa 222/86, Heylens e a., Racc. pag. 4097, punto 15). Tale successiva comunicazione può assumere la forma non solo di un’enunciazione espressa dei motivi, ma anche della messa a disposizione di informazioni e di documenti pertinenti in risposta alla richiesta formulata.
VALUTAZIONE IMPATTO AMBIENTALE - DIRITTO PROCESSUALE EUROPEO - Allegato II, Direttiva 85/337/CEE mod. dalla Dir. 2003/35/CE - Interpretazione autentica.
L’art. 4 della direttiva 85/337 deve essere interpretato nel senso che esso non richiede che la decisione secondo la quale non è necessario che un progetto rientrante nell’allegato II della citata direttiva sia sottoposto ad una VIA contenga essa stessa le ragioni per le quali l’autorità competente ha deciso che questa non era necessaria.
Tuttavia, nell’ipotesi in cui una persona interessata lo chieda, l’autorità amministrativa competente ha l’obbligo di comunicarle i motivi per i quali tale decisione è stata assunta, ovvero le informazioni e i documenti pertinenti in risposta alla richiesta formulata. (Corte di Giustizia CE, Sez. II, sentenza 30.04.2009, proc. n. C-75/08 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: Beni ambientali. V.i.a..
L’art. 2, n. 1, della direttiva del Consiglio 27.06.1985, 85/337/CEE, concernente la valutazione dell'impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati, come modificata dalla direttiva del Consiglio 03.03.1997, 97/11/CE, deve essere interpretato nel senso che esso non richiede che tutti i progetti destinati ad avere un notevole impatto ambientale siano sottoposti alla procedura di valutazione dell’'impatto ambientale prevista da tale disciplina di fonte comunitaria, bensì che devono esserlo solo quelli che sono citati agli allegati I e II di detta direttiva, nelle condizioni previste all’art. 4 di quest'ultima e fatti salvi gli art. 1, n. 4 e 5, e 2 n. 3, della medesima direttiva (TAR Veneto, Sez. I, sentenza 09.04.2009 n. 1207 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Valutazione impatto ambientale.
Fin dal loro ingresso nel loro ordinamento, le procedure di V.I.A. e di screening, pur inserendosi sempre all’interno del più ampio procedimento di realizzazione di un opera o di un intervento, sono state considerate da dottrina e giurisprudenza prevalenti come dotate di autonomia, in quanto destinate a tutelare un interesse specifico (quello alla tutela dell’ambiente), e ad esprimere al riguardo, specie in ipotesi di esito negativo, una valutazione definitiva, già di per sé potenzialmente lesiva dei valori ambientali; di conseguenza, gli atti conclusivi di dette procedure sono stati ritenuti immediatamente impugnabili dai soggetti interessati alla protezione di quei valori (siano essi associazioni di tutela ambientale ovvero, come nel caso che occupa, cittadini residenti in loco).
Tali conclusioni appaiono oggi confortate dalla disciplina generale di cui all’art. 20 del decreto legislativo 03.04.2006 n. 152 (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 03.03.2009 n.  1213 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: Gli atti conclusivi delle procedure di V.I.A. sono immediatamente impugnabili dai soggetti interessati alla protezione dei valori ambientali siano essi associazioni di tutela ambientale o cittadini residenti in loco.
La procedura di V.I.A. pur inserendosi sempre all'interno del più ampio procedimento di realizzazione di un opera o di un intervento, è stata considerata da dottrina e giurisprudenza prevalenti come dotata di autonomia, in quanto destinata a tutelare un interesse specifico (quello alla tutela dell'ambiente), e ad esprimere al riguardo, specie in ipotesi di esito negativo, una valutazione definitiva, già di per sé potenzialmente lesiva dei valori ambientali; di conseguenza, gli atti conclusivi delle procedure di valutazione di impatto ambientale (V.I.A.) sono immediatamente impugnabili dai soggetti interessati alla protezione di quei valori siano essi associazioni di tutela ambientale ovvero, come nel caso di specie, cittadini residenti in loco (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 03.03.2009 n. 1213 - link a www.dirittodeiservizipubblici.it).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: V.I.A. - Procedure di VIA e screening - Natura di subprocedimento autonomo - Immediata impugnabilità - Art. 20 d.lgs. n. 152/2006.
Fin dal loro ingresso nel loro ordinamento, le procedure di V.I.A. e di screening, pur inserendosi sempre all’interno del più ampio procedimento di realizzazione di un opera o di un intervento, sono state considerate da dottrina e giurisprudenza prevalenti come dotate di autonomia, in quanto destinate a tutelare un interesse specifico (quello alla tutela dell’ambiente), e ad esprimere al riguardo, specie in ipotesi di esito negativo, una valutazione definitiva, già di per sé potenzialmente lesiva dei valori ambientali; di conseguenza, gli atti conclusivi di dette procedure sono stati ritenuti immediatamente impugnabili dai soggetti interessati alla protezione di quei valori (siano essi associazioni di tutela ambientale ovvero cittadini residenti in loco). Tali conclusioni appaiono oggi confortate dalla disciplina generale di cui all’art. 20 del decreto legislativo 03.04.2006, nr. 152, che configura la stessa procedura di verifica dell’assoggettabilità a V.I.A. come vero e proprio subprocedimento autonomo, caratterizzato da partecipazione dei soggetti interessati e destinato a concludersi con un atto avente natura provvedimentale, soggetto a pubblicazione.
V.I.A. - Screening - Soggetti residenti nella zona interessata dall’intervento - Comunicazione di avvio del procedimento - Art. 24 L.P. Trento n. 23/1992 - Art. 7 L. n. 241/1990 - Necessità - Esclusione.
L’art. 24 della L. Prov. Trento nr. 23 del 1992, riproducendo a livello locale la disposizione generale di cui all’art. 7 della legge 07.08.1990, nr. 241, dispone che la pubblica amministrazione sia tenuta a notificare la comunicazione di avvio del procedimento amministrativo “ai soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti e a quelli che per legge debbono intervenirvi”. Tale disposizione è sempre stata interpretata nel senso di individuare, quali soggetti legittimati a ricevere la comunicazione, gli specifici destinatari dell’azione amministrativa, siano o meno direttamente contemplati nel provvedimento finale, nonché i soggetti dei quali la legge disponga obbligatoriamente la partecipazione al procedimento stesso. Sicché non sussiste l’obbligo di comunicazione dell’avio del procedimento di screening nei confronti dei residenti nella zona interessata dall’intervento, come tali destinati a subirne gli effetti - non diversamente però dalla collettività indifferenziata degli abitanti del Comune; non si tratta, infatti, né di destinatari specifici del provvedimento emanando né di soggetti di cui fosse obbligatoria la consultazione (essendo previsti particolari meccanismi di informazione e partecipazione del pubblico interessato).
V.I.A. - Procedura di screening - Omissione - Vizio di legittimità - Accertamento giurisdizionale Travolgimento di tutti gli atti che avrebbero dovuto essere preceduti dallo screening - Distinzione tra aspetti urbanistici e aspetti ambientali - Artificiosità.
Allorché sia accertata la sussistenza di un vizio di legittimità all’interno dell’iter di un procedimento amministrativo, questo investe non solo l’atto che direttamente lo riguarda, ma anche tutti gli atti successivi e consequenziali della sequenza procedimentale, cosicché, in sede di successiva rinnovazione degli atti, il procedimento deve riprendere dal momento in cui si era verificato il vizio accertato. Con specifico riferimento all’omissione della necessaria procedura di screening, il conseguente vizio di legittimità travolge tutti gli atti del procedimento che avrebbero dovuto essere preceduti dallo screening (approvazione del progetto e conferenza di servizi all’uopo convocata). Tale travolgimento, peraltro, non può che essere integrale, non potendosi artificiosamente scindersi tra aspetti urbanistici e aspetti ambientali (a parte l’opinabilità della distinzione e la sicura interferenza reciproca tra i due profili) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 03.03.2009 n. 1213 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: V.I.A. - Approvazione di uno strumento urbanistico attuativo - Sottoposizione a V.I.A. - Esclusione.
L’approvazione di uno strumento urbanistico attuativo, a differenza dell’approvazione di un progetto di lavori per infrastrutture o di uno degli interventi contemplati dall’art. 1 della direttiva 85/337/CEE, non richiede la verifica preliminare o la valutazione dell’impatto sull’ambiente (fattispecie relativa a variante di piano particolareggiato con inserimento di una centrale energetica in area già destinata a verde pubblico) (TAR Marche, Sez. I, sentenza 03.03.2009 n. 75 - link a www.ambientediritto.it).

2008

EDILIZIA PRIVATA: Quesito 5 - Sulla competenza per l'espletamento della procedura di VIA per opere ricadenti in territorio comunale ma parte di intervento interessante ambito territoriale più ampio (Geometra Orobico n. 3/2008).

EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: Codice dell'Ambiente: come cambiano le procedure di VAS e VIA (ANCE, circolare 21.02.2008 n. 6 - link a www.ediliziaprofessionale.com).

EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 24 del 09.06.2008, "Approvazione dell'elenco e dei formati della documentazione tecnico-amministrativa che il proponente è tenuto a presentare all'autorità competente a corredo dell'istanza di Valutazione di Impatto Ambientale regionale o di verifica di assoggettabilità alla procedura di VIA ai sensi del d.lgs. 152/2006" (decreto D.U.O. 22.05.2008 n. 5307 - link a www.infopoint.it).

2007

EDILIZIA PRIVATA – LAVORI PUBBLICI: VIA - Per insediamenti abitativi - Normativa regionale – Fattispecie.

Non essendo applicabile al caso di specie la normativa regionale in materia di grandi insediamenti commerciali (tale non essendo un insediamento residenziale con albergo), per decidere dell'assoggettabilità di un intervento edilizio a VIA occorre guardare alle altre previsioni normative regionali e non a considerazioni ulteriori sul generico pregio dell'area interessata, che nella specie assoggettano a verifica di VIA gli interventi tra i 10 e i 40 ettari che sia all'interno di aree urbane esistenti, ciò che nella specie, ad un accertamento di fatto dei luoghi, ricorre, con conseguente legittimità dei successivi dinieghi di costruire.

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VIA - Mancata verifica di sottoposizione dell'intervento a VIA - Inidoneità dei documenti presentati alla valutazione - Richiesta di integrazione documentale prima di procedere alla VIA - Necessità.

I principi di partecipazione al procedimento e di leale cooperazione fra P.A. ed amministrati, nonché quello di economicità, vanno interpretati nel senso che l'amministrazione, ove nutra dubbi sulla possibilità di accogliere l'istanza del privato, debba prioritariamente chiedere a quest'ultimo i chiarimenti che consentirebbero di evitare un esito negativo, o comunque un esito al quale il privato non è indifferente (come nel caso in cui gli si imponga l'obbligo di procedere a VIA).

Se, dunque, non è in questione il merito della vicenda, ma solo l'idoneità dei documenti presentati a valutarlo, l'amministrazione dovrà richiedere ulteriore documentazione prima di valutare se l'incertezza non sia superabile se non con la compiuta procedura di VIA.

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… per l'annullamento, previa sospensione dell'efficacia, AVVERSO ORD. DIR. 04.11.2005 n. 187: SOSPENSIONE LAVORI DI ESECUZIONE OPERE DI URBANIZZAZIONE; PROVV. DIR. 31.07.2006 n. 21843: DENEGATO PROVVEDIMENTO AUTORIZZATIVO UNICO ED ATTI CONNESSI.

La “La.Im. S.r.l.” [d’ora in avanti, soltanto “La.”] è proprietaria in Mantova di un appezzamento di terreno di 334.727 mq, distinto al Catasto di detto Comune al foglio 40, mappali 22, 38, 40, 42, 43, 44, 112, 114, 124, 135 e 166, sito in prossimità della sponda est del Lago Inferiore e classificato dal vigente P.R.G. come parte del “Comparto Strada Cipata 1”, zona C soggetta a piano attuativo obbligatorio; del comparto in questione fa parte anche altro terreno contermine, di 23.460 mq, distinto al Catasto comunale allo stesso foglio 40, mappali 39, 58 e 59 e di proprietà di un terzo soggetto, certa Co.Im. S.a.s. di Co.Gi. (per tutti i dati citati, peraltro non controversi in causa, v. comunque il doc. 13 ricorrente, copia convenzione urbanistica, ove anche gli esatti estremi dei terreni di cui consta il comparto).

In particolare, una variante al P.R.G. di Mantova approvata da ultimo con delibera consiliare 07.09.2004 n. 82 (doc. 7 ricorrente, copia di essa; v. anche il doc. 4 depositato dal Comune in ossequio all’ordinanza istruttoria 1-17.01.2007 n. 101 di questo Tribunale, ove un estratto della cartografia di piano e copia delle N.T.A. nelle quali è compreso il comparto di cui si tratta; il dato comunque è sempre non controverso) ha dapprima impresso la suddetta classificazione al terreno in parola; in attuazione di tale variante, è stato poi adottato e approvato, con delibere consiliari 02.12.2004 n. 112 e 10.02.2005 n. 14 (doc.ti 10 e 11 ricorrente, copia di esse), il piano attuativo previsto dallo strumento generale, integrato il 28.02.2005 dalla relativa convenzione urbanistica conclusa fra il Comune, la La. e la ricordata Co. S.a.s. (doc. 13 ricorrente cit., copia convenzione).

A norma del piano attuativo e della convenzione citati, la La. programma allora un intervento di superficie complessiva di 308.187 mq, ripartiti in 142.811 mq a destinazione residenziale e terziaria, 109.719 a parco pubblico, 20.977 a parcheggio pubblico, 28.629 a strade ed il residuo a rispetto stradale; sulla superficie a ciò destinata programma poi 184.899 mc di edificazione- corrispondenti ad una superficie lorda di pavimento di 61.633 mq destinati a residenza e, in piccola parte, ad albergo- per 1233 abitanti teorici insediabili (per tutto ciò, v. § 2 della convenzione urbanistica, doc. 13 ricorrente citato).

Per l’intervento descritto, la La. presenta al Comune la richiesta di provvedimento autorizzativo unico necessaria a realizzare le opere di urbanizzazione privata di cui al piano attuativo, richiesta comprensiva di istanza di autorizzazione paesistica e di denuncia inizio attività (cfr. nel doc. 16 ricorrente, copia contratto di appalto, l’allegato C, che comprende le copie delle relative richieste); a fronte di ciò ottiene il 01.06.2005 la sostanziale approvazione dell’Ente Parco del Mincio, nel cui perimetro si trova il terreno interessato e che si limita ad una breve serie di prescrizioni relative all’illuminazione stradale (doc. 14 ricorrente, copia parere Ente citato: si nota che essa occupa una sola facciata di foglio); e contestualmente il rilascio della autorizzazione paesistica 02.04.2005 n. 74 (doc. 15 ricorrente, copia di essa); procede allora ad appaltare le opere in questione (doc. 16 ricorrente, cit.).

Peraltro, il 14.11.2005, la La. riceve notifica dell’ordinanza comunale 187/2005, la quale in sintesi premette da un lato che l’area oggetto dell’intervento è soggetta a “vincolo apposto con D.M. 26.05.1970 ‘dichiarazione di notevole interesse pubblico degli spondali del Lago di Mezzo ed Inferiore’”, a “vincolo automatico ai sensi dell’art. 142, lettere b) e f), del d.lgs. 22.01.2004 n. 42” ed è inoltre “compresa all’interno della perimetrazione del Piano territoriale di coordinamento del Parco regionale del Mincio”; dall’altro che l’intervento in corso di realizzazione deve essere sottoposto in ragione delle sue caratteristiche a verifica di sottoponibilità a valutazione di impatto ambientale e a studio di incidenza delle possibili sue conseguenze sul vicino sito naturalistico di interesse comunitario denominato “Vallazza”; ciò premesso ordina la “sospensione dei…lavori in corso presso l’area del Piano di lottizzazione Strada Cipata n. 1 dalla data di notifica della presente ordinanza sino all’esito dell’istruttoria…” (doc. 1 ricorrente, copia ordinanza citata).

Consultando gli atti richiamati nella predetta ordinanza di sospensione, la La. apprende allora in primo luogo che ad avviso della competente struttura regionale l’intervento in questione, di superficie superiore a 10 ha, va ritenuto ai sensi del punto 7.7 della delibera 18.12.2003 n. VII/15701 come “ambito urbano”, soggetto quindi a verifica di assoggettabilità a v.i.a. “in quanto il relativo perimetro risulta contiguo, per oltre il 50% della sua estensione, ad aree azzonate dal vigente P.R.G. come A, B,C, D e servizi a valenza comunale” (cfr. doc. 2 ricorrente, copia nota 27.10.2005 prot. n. 32149 del Dirigente della struttura valutazione impatto ambientale della Regione Lombardia); apprende poi che ad avviso dell’Ente Parco del Mincio “per l’espressione dei pareri di competenza è necessario che la documentazione di progetto venga integrata da uno studio di incidenza…sul sito di importanza comunitaria Vallazza” (doc. 4 ricorrente, copia nota 19.10.2005 del Direttore del parco del Mincio).

Avverso tali atti, meglio indicati in epigrafe, la La. ha proposto il ricorso principale, articolato in tre censure, riportabili secondo logica ai seguenti quattro motivi:

- con il terzo motivo (pp. 16-27 del ricorso principale), si deduce la violazione delle norme concernenti l’assoggettabilità a v.i.a., in particolare del D.P.R. 12.04.1996, art. 1, comma 6, in relazione dell’allegato B punto 7.

In proposito, si evidenzia ancora quanto sopra esposto, ovvero che a monte dell’impugnata sospensione lavori vi è la nota 27.10.2005 prot. n. 32149 del Dirigente della struttura valutazione impatto ambientale della Regione Lombardia (doc. 2 ricorrente cit., copia di essa), secondo la quale l’intervento in parola è soggetto a verifica di assoggettabilità a v.i.a. perché “con riferimento all’allegato B al D.P.R. 12.04.1996, punto 7, lettera b, l’ambito di intervento di estensione superiore a 10 ha può essere classificato (ai sensi del punto 7.7 dell’allegato A alla deliberazione della Giunta regionale della Lombardia 18.12.2003 n. 7/15701 in calce alla presente) come ‘ambito urbano’ in quanto il relativo perimetro risulta contiguo, per oltre il 50% della sua estensione, ad aree azzonate dal vigente P.R.G. come A, B, C, D e servizi a valenza comunale” (cfr. sempre doc. 2 ricorrente cit.).

Ciò posto, si evidenzia altresì che la citata delibera della Giunta regionale 18.12.2003 n. 7/15701 (doc. 3 ricorrente, copia di essa) riguarda in realtà i progetti di centri commerciali e di grandi strutture di vendita, non quindi gli insediamenti residenziali come quello per cui è causa.

In tali termini, si deduce l’illegittimità della nota regionale, e in via derivata dell’ordinanza di sospensione che la recepisce, sotto due distinti profili. In primo luogo, si afferma che sarebbe illogico volere applicare ad un intervento residenziale un criterio dettato in origine, come si è visto, per il settore commerciale.

In tal senso, si osserva che il concetto di “ambito urbano” di cui alla delibera 18.12.2003 n. 7/15701 non potrebbe in ogni caso assumere valenza generale, riferita agli interventi di ogni specie, perché definito in rapporto alla classificazione dei vari comuni operata dal Programma per lo sviluppo del settore commerciale, e quindi all’evidenza valido solo per tali fini, e che comunque la delibera in parola, ove fosse ritenuta applicabile puramente e semplicemente anche a fattispecie diverse da quelle contemplate in modo espresso, sarebbe da ritenere illegittima per illogicità.

In secondo luogo, si afferma che comunque nemmeno applicando in via diretta la normativa del D.P.R. 12.04.1996 si potrebbe argomentare la necessità di assoggettare l’intervento in parola a verifica di sottoponibilità a v.i.a.

Si osserva infatti in tal senso che a norma dell’allegato B punto 7 del decreto in parola, un intervento di costruzione di superficie superiore a 10 ettari, ma inferiore a 40 ettari come il presente, è soggetto alle norme sulla v.i.a. solo qualora si configuri come “progetto di sviluppo urbano all’interno di aree urbane esistenti”.

Tale non sarebbe l’intervento in esame, il quale si collocherebbe all’esterno dell’area urbana, configurerebbe un progetto di sviluppo di “aree urbane nuove o in estensione”, e quindi sarebbe soggetto alle norme sulla v.i.a. solo ove superasse i 40 ha di estensione, il che nella specie pacificamente non avviene;

10. La questione della necessità o no di sottoporre l’intervento per il quale è processo a verifica di assoggettabilità a v.i.a. va allora decisa in base alle norme, pure richiamate dalla nota regionale 27.10.2005 prot. n. 32149, del D.P.R. 12.04.1996, che contrariamente a quanto sostenuto in sede di discussione dal patrocinio del Comune resistente hanno valore non meramente esemplificativo. In altri termini, un dato intervento è soggetto o no alla procedura in esame se rientra o no in una delle previsioni della norma, e non può invece esservi assoggettato in base a considerazioni ulteriori sul generico pregio dell’area interessata.

11. Ciò posto, le norme rilevanti per gli interventi di costruzione come quello in questione sono, come ricordato in narrativa, quelle dell’allegato B punto 7 del decreto citato, valide per i casi come il presente, in cui, come ricordato in narrativa, è interessata una zona al momento non costituita in area protetta.

Le norme in questione distinguono allora fra progetto di sviluppo situato “all’interno di aree urbane esistenti, soggetto a verifica di v.i.a. sol che superi i 10 ettari di estensione, e progetto di sviluppo relativo ad “aree urbane nuove o in estensione, soggetto invece a verifica di v.i.a. nel solo caso in cui superi i 40 ettari.

Poiché il progetto della La., come è incontestato, supera i 10 ettari, ma è inferiore ai 40, la sua soggezione alla procedura in parola dipende dalla sua appartenenza alla prima o alla seconda categoria, che quindi vanno previamente definite.

12. Occorre partire in proposito dal concetto di area urbana, che, come correttamente ricordato dalla difesa della ricorrente (cfr. in part. il doc. 51 cit. a p. 6), appartiene alla scienza urbanistica, come tale è dato per presupposto dalla normativa, e si identifica, per vero anche alla luce del senso comune, con un’area edificata in modo compatto e continuo, delimitata da zone agricole, prive di edificazione, ovvero da interruzioni fisiche naturali od artificiali: in tal senso si condivide la definizione generale riportata dall’esperto di parte ricorrente arch. Pi., nel documento appena citato, che argomenta in modo coerente e corretto da opere generalmente apprezzate nel settore, e non è stato contestato sul punto specifico.

13. Accettato il concetto generale di cui sopra, il Collegio ritiene però di dissentire dalle conclusioni che lo stesso esperto di parte ritiene di trarne quanto al caso concreto.

Osservando la tavola 1 a pag. 8 del doc. 51 di parte ricorrente, la quale riproduce la conurbazione di Mantova, si possono per quanto interessa individuare due insediamenti: l’uno, contraddistinto con il numero “1” nella tavola in parola, corrisponde al centro storico di Mantova; l’altro, entro il quale dovrebbe situarsi il complesso La., è contraddistinto con il numero “3” e comprende gli abitati di Frassino, Lunetta e Virgiliana e il complesso industriale del petrolchimico.

Secondo l’architetto Pi., gli insediamenti 1 e 3 citati costituirebbero aree urbane distinte, in quanto fra le due vi sarebbe l’interruzione rappresentata dal corso del Mincio, che in quel punto forma i laghi Superiore, di Mezzo ed Inferiore. Ne seguirebbe allora che l’intervento della La., situato fra il margine dell’insediamento 3 e la riva dei laghi, dovrebbe integrare un progetto di sviluppo in espansione di area esistente, appunto l’area urbana 3, che si andrebbe a sviluppare verso il Mincio (doc. 51 ricorrente, pp. 12 e 13).

14. Il ragionamento appena riferito, peraltro, sta e cade con la premessa per cui gli insediamenti 1 e 3 costituirebbero, appunto, aree urbane distinte, in altre parole con l’effettiva idoneità del corso del Mincio a fungere da “interruzione” fra le due, nel senso proprio della definizione proposta.

E’ tale premessa che il Collegio non ritiene di condividere, osservando come, in base alla stessa tavola 1 citata, oltre che per fatto notorio, gli insediamenti 1 e 3 siano uniti fra loro da due ponti sul Mincio, che fungono da collegamento agevolmente praticabile, sì che di interruzione vera e propria fra le due aree non si può parlare, dato che i cittadini dal corso d’acqua nella loro quotidiana esperienza possono in sostanza prescindere nei loro spostamenti di vita sociale e di lavoro.

Ciò corrisponde anche al dato, sempre di comune esperienza, per cui il centro storico e i quartieri circostanti di Mantova –ma lo stesso si potrebbe dire per molte altre città non solo italiane- costituiscono ormai un tutto unitario, che come tale deve essere apprezzato in tutti i casi di pianificazione ampiamente intesa.

Ne segue la necessità di considerare l’intervento della La. come progetto di sviluppo all’interno di area urbana, soggetto quindi a verifica di v.i.a. per le ragioni già esposte. Ne segue, secondo logica, la legittimità dei successivi dinieghi di permesso di costruire pronunciati dal Comune, in quanto fondati sul presupposto della necessità di sottoporre l’intervento alla verifica stessa (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 06.11.2007 n. 1161 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: Guida alla professione di ingegnere - La valutazione di impatto ambientale (VIA) e la valutazione ambientale strategica (VAS) - Volume VI  (febbraio 2007 - tratto da www.centrostudicni.it).

EDILIZIA PRIVATAProcedimenti valutazione impatto ambientale.
Il Comune XXX pone un triplice quesito attinente all’applicazione della normativa in materia di procedimenti di valutazione di impatto ambientale (V.I.A.) (Regione Piemonte, parere n. 15/2007 - link a www.regione.piemonte.it).