S.I.C. -
Z.S.C. - Z.P.S. - V.Inc.A
(Sito di Importanza Comunitaria - Zona Speciale di Conservazione - Zona di Protezione Speciale
- Valutazione di Incidenza Ambientale)
per approfondimenti vedi anche:
Minambiente
<--->
Regione Lombardia
<--->
Rete Natura 2000 e V.Inc.A. <--->
guarda le aree protette della Regione Lombardia con Google Earth
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2021 |
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EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI - URBANISTICA:
B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 46 del 19.11.2021, "Aggiornamento
delle disposizioni di cui alla d.g.r. 29.03.2021 - n. XI/4488
«Armonizzazione e semplificazione dei procedimenti relativi all’applicazione
della valutazione di incidenza per il recepimento delle linee guida
nazionali oggetto dell’intesa sancita il 28.11.2019 tra il Governo, le
Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano»"
(deliberazione
G.R. 16.11.2021 n. 5523). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
Consiglio di Stato dice no alla V.Inc.A. postuma.
In relazione ad un Sito di
Importanza Comunitaria-SIC, istituito ed operante ai sensi della direttiva
92/43/CEE del Consiglio del 21.05.1992:
- è sufficientemente inequivoco il fatto che, proprio a mente della
norma sovranazionale, la valutazione d’incidenza ambientale costituisce atto
ed adempimento procedurale che deve necessariamente antecedere, non invece
che può anche seguire, un “Qualsiasi piano o progetto [incluso,
evidentemente, un progetto edilizio che sia alla base di un eventuale
permesso di costruire] non direttamente connesso e necessario alla gestione
del sito ma che possa avere incidenze significative su tale sito (…)”;
- l’indispensabile anteriorità della valutazione di incidenza,
rispetto ad un possibile atto di assenso edilizio per opere da eseguire
all’interno di un SIC (e non direttamente connesse e necessarie alla sua
gestione), è sufficientemente palese ed indiscutibile, se si considera che
la norma sovranazionale –a scanso di equivoci sull’importanza di una tale
anteriorità– addirittura prevede che “le autorità nazionali competenti
[nella specie, in primo luogo il Comune ma poi anche, derivatamente, il
competente ufficio della Soprintendenza] danno il loro accordo su tale piano
o progetto [nella specie, quanto meno, il permesso di costruire] soltanto
dopo aver avuto la certezza che esso non pregiudicherà l’integrità del sito
in causa e, se del caso, previo parere dell’opinione pubblica”. La fase di
un’eventuale e pur tuttavia possibile pubblica consultazione sulla
meritevolezza di un progetto edilizio che interessi le aree del SIC
dimostrano ancor più, ove pure occorra, che la valutazione di incidenza deve
necessariamente precedere, giammai seguire, un qualunque atto di assenso
edilizio, a maggior salvaguardia dell’originaria integrità stessa di un SIC;
- da questi punti di vista la norma sovranazionale non mostra di
sottilizzare introducendo differenze speculative fra validità ovvero mera
efficacia del riflesso giuridico di una valutazione di incidenza rispetto ad
un permesso di costruire che fosse adottato senza una preventiva
acquisizione di siffatta valutazione. In quest’ottica, appare allora
condivisibile la considerazione formulata dalla sentenza appellata secondo
la quale la valutazione di incidenza in discorso non vale come semplice
condizione di efficacia di un atto di assenso edilizio ma ne costituisce un
vero e proprio requisito di validità;
- la norma sovranazionale, quale possibile regime derogatorio a
quanto ora appena ricordato, non contempla un rimedio pari a quello
dell’istituto (conosciuto dal nostro ordinamento) della ‘validazione’
postuma. In altri termini, detta norma non mostra di offrire la possibilità
che, nonostante la mancata anteriorità della valutazione di incidenza, un
atto di assenso edilizio adottato in carenza di tale previo adempimento
possa comunque ricevere una postuma convalida;
- stando al ricordato paragrafo 4 dell’art. 6 della citata
direttiva comunitaria, non resta escluso il fatto che “nonostante
conclusioni negative della valutazione dell’incidenza sul sito e in mancanza
di soluzioni alternative, un piano o progetto debba essere realizzato”.
Nondimeno si pretende che, almeno, vengano individuati “motivi imperativi di
rilevante interesse pubblico, inclusi motivi di natura sociale o economica”
a che una tale realizzazione si attui comunque. E nemmeno basta, se è vero
che la norma richiamata aggiunge pure che “Stato membro adotta ogni misura
compensativa necessaria per garantire che la coerenza globale di Natura 2000
[ossia l’obiettivo progettuale sovranazionale che ha costituito la premessa
per l’adozione della citata direttiva comunitaria, secondo il quale –stando
alle stesse parole evincibili dall’apposita pagina del sito internet
dell’Unione europea– “I siti Natura 2000 sono stati designati specificamente
per tutelare aree che rivestono un’importanza cruciale per una serie di
specie o tipi di habitat elencati nelle direttive Habitat e Uccelli e sono
ritenute di rilevanza unionale perché sono in pericolo, vulnerabili, rare,
endemiche o perché costituiscono esempi notevoli di caratteristiche tipiche
di una o più delle nove regioni biogeografiche d’Europa. In totale, devono
essere designate come siti Natura 2000 le aree di importanza cruciale per
circa 2000 specie e 230 tipi di habitat”] sia tutelata” ed inoltre che “Lo
Stato membro informa la Commissione delle misure compensative adottate”.
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9. L’appello è infondato e deve pertanto essere respinto.
10. Deve preliminarmente darsi atto che parte appellante ha lealmente
riconosciuto le ragioni che sono alla base della presente controversia,
consistenti nel fatto che:
- né essa né il Comune (e, derivatamente, neppure l’ufficio statale
della Soprintendenza) sapessero ovvero ricordassero che i terreni
interessati dalla progettata edificazione stavano all’interno del perimetro
di un Sito di Importanza Comunitaria-SIC, istituito ed operante ai sensi
della direttiva 92/43/CEE del Consiglio del 21.05.1992 (segnatamente, quello
denominato “Beigua-Monte Dente-Gargassa-Pavaglione”);
- conseguentemente, era potuto accadere che gli atti di assenso
edilizio comunali all’edificazione progettata (in estrema sintesi, tre
fabbricati destinati ad abitazione ed una strada di comunicazione) venissero
adottati prima, non dopo, la valutazione della loro incidenza (ossia quel
particolare giudizio valutativo appositamente introdotto e disciplinato
direttamente dalla citata direttiva comunitaria) sul SIC in questione.
11. Vale poi ricordare subito che l’art. 6 della citata direttiva
comunitaria prevede:
- al suo paragrafo 3 che “Qualsiasi piano o progetto non
direttamente connesso e necessario alla gestione del sito ma che possa avere
incidenze significative su tale sito, singolarmente o congiuntamente ad
altri piani e progetti, forma oggetto di una opportuna valutazione
dell’incidenza che ha sul sito, tenendo conto degli obiettivi di
conservazione del medesimo. Alla luce delle conclusioni della valutazione
dell’incidenza sul sito e fatto salvo il paragrafo 4, le autorità nazionali
competenti danno il loro accordo su tale piano o progetto soltanto dopo aver
avuto la certezza che esso non pregiudicherà l’integrità del sito in causa
e, se del caso, previo parere dell’opinione pubblica.”;
- al suo paragrafo 4 che “Qualora, nonostante conclusioni
negative della valutazione dell’incidenza sul sito e in mancanza di
soluzioni alternative, un piano o progetto debba essere realizzato per
motivi imperativi di rilevante interesse pubblico, inclusi motivi di natura
sociale o economica, lo Stato membro adotta ogni misura compensativa
necessaria per garantire che la coerenza globale di Natura 2000 sia
tutelata. Lo Stato membro informa la Commissione delle misure compensative
adottate.”.
11.1. Di queste disposizioni è bene sottolineare i seguenti tratti
distintivi e le possibili connesse considerazioni che qui pure si
tratteggiano:
- è sufficientemente inequivoco il fatto che, proprio a mente della
norma sovranazionale, la predetta valutazione d’incidenza costituisce atto
ed adempimento procedurale che deve necessariamente antecedere, non invece
che può anche seguire, un “Qualsiasi piano o progetto [incluso,
evidentemente, un progetto edilizio che sia alla base di un eventuale
permesso di costruire] non direttamente connesso e necessario alla gestione
del sito ma che possa avere incidenze significative su tale sito (…)”;
- l’indispensabile anteriorità della valutazione di incidenza,
rispetto ad un possibile atto di assenso edilizio per opere da eseguire
all’interno di un SIC (e, come nella specie, non direttamente connesse e
necessarie alla sua gestione), è sufficientemente palese ed indiscutibile,
se si considera che la norma sovranazionale –a scanso di equivoci
sull’importanza di una tale anteriorità– addirittura prevede che “le
autorità nazionali competenti [nella specie, in primo luogo il Comune ma poi
anche, derivatamente, il competente ufficio della Soprintendenza] danno il
loro accordo su tale piano o progetto [nella specie, quanto meno, il
permesso di costruire] soltanto dopo aver avuto la certezza che esso non
pregiudicherà l’integrità del sito in causa e, se del caso, previo parere
dell’opinione pubblica”. La fase di un’eventuale e pur tuttavia
possibile pubblica consultazione sulla meritevolezza di un progetto edilizio
che interessi le aree del SIC dimostrano ancor più, ove pure occorra, che la
valutazione di incidenza deve necessariamente precedere, giammai seguire, un
qualunque atto di assenso edilizio, a maggior salvaguardia dell’originaria
integrità stessa di un SIC;
- da questi punti di vista la norma sovranazionale non mostra di
sottilizzare introducendo differenze speculative fra validità ovvero mera
efficacia del riflesso giuridico di una valutazione di incidenza rispetto ad
un permesso di costruire che fosse adottato senza una preventiva
acquisizione di siffatta valutazione. In quest’ottica, appare allora
condivisibile la considerazione formulata dalla sentenza appellata (v. sub
1.2. supra) secondo la quale la valutazione di incidenza in discorso non
vale come semplice condizione di efficacia di un atto di assenso edilizio ma
ne costituisce un vero e proprio requisito di validità;
- la norma sovranazionale, quale possibile regime derogatorio a
quanto ora appena ricordato, non contempla un rimedio pari a quello
dell’istituto (conosciuto dal nostro ordinamento) della ‘validazione’
postuma. In altri termini, detta norma non mostra di offrire la possibilità
che, nonostante la mancata anteriorità della valutazione di incidenza, un
atto di assenso edilizio adottato in carenza di tale previo adempimento
possa comunque ricevere una postuma convalida;
- stando al ricordato paragrafo 4 dell’art. 6 della citata
direttiva comunitaria, non resta escluso il fatto che “nonostante
conclusioni negative della valutazione dell’incidenza sul sito e in mancanza
di soluzioni alternative, un piano o progetto debba essere realizzato”.
Nondimeno si pretende che, almeno, vengano individuati “motivi imperativi
di rilevante interesse pubblico, inclusi motivi di natura sociale o
economica” a che una tale realizzazione si attui comunque. E nemmeno
basta, se è vero che la norma richiamata aggiunge pure che “Stato membro
adotta ogni misura compensativa necessaria per garantire che la coerenza
globale di Natura 2000 [ossia l’obiettivo progettuale sovranazionale che ha
costituito la premessa per l’adozione della citata direttiva comunitaria,
secondo il quale –stando alle stesse parole evincibili dall’apposita pagina
del sito internet dell’Unione europea– “I siti Natura 2000 sono stati
designati specificamente per tutelare aree che rivestono un’importanza
cruciale per una serie di specie o tipi di habitat elencati nelle direttive
Habitat e Uccelli e sono ritenute di rilevanza unionale perché sono in
pericolo, vulnerabili, rare, endemiche o perché costituiscono esempi
notevoli di caratteristiche tipiche di una o più delle nove regioni
biogeografiche d’Europa. In totale, devono essere designate come siti Natura
2000 le aree di importanza cruciale per circa 2000 specie e 230 tipi di
habitat”] sia tutelata” ed inoltre che “Lo Stato membro informa la
Commissione delle misure compensative adottate”.
Ebbene, nel caso di specie
non risultano essere stati individuati e provati né i ‘motivi imperativi di
rilevante interesse pubblico, inclusi motivi di natura sociale o economica’
che avrebbero potuto comunque giustificare la persistenza degli atti di
assenso edilizio conseguiti dalla parte appellante né le possibili ‘misure compensative’ occorrenti per garantire che gli interventi edilizi progettati
(e voluti dalla parte appellante) mantenessero la ‘coerenza globale di
Natura 2000’.
12. La sopra citata direttiva comunitaria è stata trasposta nell’ordinamento
interno in virtù del regolamento governativo di autonomia emanato con d.P.R.
n. 357/1997.
Per quanto qui di più stretto interesse, di questo testo normativo meritano
ricordo:
- l’art. 4, rubricato “Misure di conservazione”, che al suo
co. 1 ha previsto che “Le regioni (…) assicurano per i proposti siti di
importanza comunitaria opportune misure per evitare (…) la perturbazione
delle specie per cui le zone sono state designate, nella misura in cui tale
perturbazione potrebbe avere conseguenze significative per quanto riguarda
gli obiettivi del presente regolamento”;
- l’art. 5, rubricato “Valutazione di incidenza”, in seno al
quale:
-- il co. 3 ha disposto che “I proponenti di
interventi non direttamente connessi e necessari al mantenimento in uno
stato di conservazione soddisfacente delle specie e degli habitat presenti
nel sito, ma che possono avere incidenze significative sul sito stesso,
singolarmente o congiuntamente ad altri interventi, presentano, ai fini
della valutazione di incidenza, uno studio volto ad individuare e valutare,
secondo gli indirizzi espressi nell'allegato G, i principali effetti che
detti interventi possono avere sul proposto sito di importanza comunitaria,
sul sito di importanza comunitaria o sulla zona speciale di conservazione,
tenuto conto degli obiettivi di conservazione dei medesimi.”;
-- il cui co. 8 ha disposto che “L’autorità
competente al rilascio dell’approvazione definitiva del piano o
dell’intervento acquisisce preventivamente la valutazione di incidenza,
eventualmente individuando modalità di consultazione del pubblico
interessato dalla realizzazione degli stessi.”.
12.1. Le menzionate disposizioni di detto art. 5 risultano confermare
ulteriormente (ove pure ve ne fosse stato bisogno, dato che il parametro
normativo di diretto riferimento, in materia, è e resta una norma di rango
sovranazionale) che la ‘valutazione di incidenza’ costituisce un adempimento
procedurale la cui anteriorità, rispetto ad ogni ulteriore adempimento
amministrativo idoneo a condurre al rilascio di un permesso di costruire
all’interno di un SIC, è di certo fattore non interpretativamente
negoziabile.
Da questo punto di vista, allora, la tesi di parte appellante secondo la
quale la Provincia avrebbe errato a non tenere conto dell’istanza dei
soggetti attuatori, volta a conseguirne la postergazione della definizione
del procedimento di annullamento alla definizione delle istanze di
valutazione di incidenza avanzate all’Ente Parco del Beigua, non può essere
seguita per il semplice fatto che il vizio rilevato (ossia l’inversione
temporale tra atti di assenso edilizio e valutazione di incidenza) non
conosce, né in seno alla norma sovranazionale innanzi ricordata né in quello
della fonte nazionale di trasposizione di detta norma nell’ordinamento
interno, il temperamento dato dalla possibilità di (quella che sarebbe
rivelata allora) una sorta di valutazione di incidenza postuma.
In carenza,
dunque, di una adeguata base giuridica al riguardo, non poteva essere certo
la Provincia a legittimarne la pratica in via del tutto amministrativa. Né,
in proposito, può far premio alcun tipo di accostamento ideale tra la
fattispecie in discorso e l’esperienza della c.d. VIA postuma, in quanto quest’ultima in tanto può avere cittadinanza nel nostro ordinamento in
quanto di fatto appositamente contemplata sul piano delle fonti.
12.2. La trascritta disposizione di detto art. 4, poi, conforta nel ritenere
ben possibile per una Regione l’adozione di ogni misura idonea a scongiurare
(assicurandone la non evenienza, come appunto dice la norma nazionale) ‘la
perturbazione delle specie per cui le zone sono state designate’, tra le
quali non v’è motivo per non annoverare anche la previsione di poteri di
vigilanza, controllo e vanificazione di atti di assenso edilizio
suscettibili di creare detta ‘perturbazione’, specie perché non preceduti
doverosamente dalla relativa ‘valutazione di incidenza’.
Misura quest’ultima
particolarmente efficace, quanto alla tutela dei SIC, proprio perché capace
di elidere in radice un’attività edificatoria non preventivamente vagliata
(eventualmente anche col conforto della pubblica consultazione) secondo
quanto disposto dalla norma sovranazionale di riferimento.
13. Ecco dunque che, in coerenza con tali premesse normative, la legge della
Regione Liguria n. 28/2009, recante disposizioni in materia di tutela e
valorizzazione della biodiversità, al suo art. 6, rubricato “Valutazione di
incidenza”, ha previsto al co. 1 che “L’approvazione di piani, progetti e
interventi che interessano i siti della rete Natura 2000 è condizionata
all’esito favorevole della (ossia, dopo la) valutazione di incidenza, fatti
salvi i casi previsti dall’articolo 5, commi 9 e 10, del D.P.R. n. 357/1997
e successive modifiche ed integrazioni. La Valutazione di incidenza, ove
richiesta in base ai criteri di cui al comma 2, costituisce parte integrante
del procedimento ordinario di autorizzazione o approvazione. I provvedimenti
di autorizzazione o approvazione adottati senza la previa Valutazione di
incidenza, ove richiesta, sono annullabili per violazione di legge.”.
Di questa proposizione normativa meritano particolare attenzione le
affermazioni:
- per cui la ‘valutazione di incidenza costituisce parte integrante
del procedimento ordinario di autorizzazione o approvazione’, come appunto
può essere l’iter proprio di adozione di atti di assenso edilizio
all’interno di un’area SIC;
- per cui ‘i provvedimenti di autorizzazione o approvazione
adottati senza la previa valutazione di incidenza, ove richiesta, sono
annullabili per violazione di legge’. Previsione quest’ultima, ossia
quella della mera annullabilità dei provvedimenti illegittimi a causa della
non preventività della loro valutazione di incidenza, che ha costituito una
mitigazione introdotta dalla legge della Regione Liguria n. 50/2012 che, col
suo art. 19, co. 2, a decorrere dal giorno stesso della sua pubblicazione
(ai sensi di quanto stabilito dall’art. 27 della medesima legge), ossia dal
27.12.2012, l’ha sostituita alla precedente ben più severa previsione della
nullità di detti provvedimenti, illegittimi per la ragione detta.
E non sfugga qui che i permessi di costruire nn. 74/2009, 79/2010 e 82/2010,
annullati dalla Provincia di Genova, come del resto anche il suo
originariamente censurato provvedimento dirigenziale dell’01.08.2011, n. 4495,
risalivano ad un’epoca antecedente l’intervento mitigatore portato dalla l.r. n. 50/2012.
14. In quest’ottica di analisi poi decolora, stemperandosi, anche la
prospettata questione di costituzionalità dell’art. 53 della l.r. n.
16/2008, che ha costituito la base giuridica d’intervento dei provvedimenti
originariamente censurati. Questione che peraltro, in tesi, riguarda
eminentemente le sole autorizzazioni paesaggistiche che erano state
rilasciate in corrispondenza dei tre permessi di costruire introduttivamente
ricordati.
Invero, in aggiunta alle condivisibili argomentazioni svolte al riguardo
dalla sentenza di primo grado impugnata, può qui peraltro affiancarsi anche
la considerazione del fatto che, nel quadro dell’art. 117 Cost., la materia
dell’ambiente non è contemplata soltanto nel secondo comma ma altresì nel
terzo comma dell’articolo, dedicato alla potestà legislativa concorrente
delle Regioni, e che in seno a tale ultimo comma detta materia è richiamata
in rapporto al potere di ‘valorizzazione dei beni ambientali’ assegnato a
tali enti sub statali.
La menzione di tale materia anche nel terzo comma della predetta norma
costituzionale è ulteriore riprova del fatto che in questa norma la parola
‘materia’ non deve essere assunta in senso strettamente tecnico e come
sintomo di unicità tematica affidata alla sola potestà legislativa statale,
peraltro evidentemente in linea con una tradizione risalente, se è vero che
–come ricordato– già nel 1997 la fonte regolatoria statale (d.P.R. n. 357
cit.) chiamava le Regioni a concorrere alla salvaguardia di beni ambientali
particolarmente rilevanti e sensibili, come sono i SIC, spingendole ad
‘assicurare’ (evidentemente anche attraverso appositi presidi legislativi)
che fosse evitata ‘la perturbazione delle specie per cui le zone’ SIC sono
state individuate (e questo certamente al fine di una ‘valorizzazione’ del
‘bene ambientale’ SIC).
14.1. Dato allora che il potere attribuito dalla Regione alla Provincia con
la l.r. n. 16/2008 risulta posto anche a tutela di un ‘valore ambientale’
(non dunque solo urbanistico ed edilizio), rispetto al quale non si
escludono poteri regolatori regionali nel rispetto dei principi generali
(questi sì) di fonte statale e, comunque, anche a salvaguardia di un
corretto governo del territorio (questo sì di materia regionale concorrente)
e considerato il fatto che, nella specie, il controllo provinciale è stato
di mero riscontro della legittimità procedimentale di atti comunali, alla
luce del parametro di cui all’art. 6, co. 3, della citata direttiva
comunitaria (oltre che di quelli di cui al menzionato d.P.R. n. 357/1997),
non pare proprio che debbano ricorrano i dubbi di costituzionalità sopra
detti.
Considerato poi che il vizio rilevato dalla Provincia è stato di tipo
procedurale (di per sé non superabile attesa la rilevanza comunitaria della
norma parametro in argomento), allora neppure è dato esaminare tutte le
altre censure degli appellanti che attengono invece al merito
tecnico-amministrativo della vicenda edificatoria sopra illustrata.
15. Né peraltro si ometta di considerare che, nel caso di specie, le
autorizzazioni paesaggistiche ricordate attenevano tra l’altro a permessi di
costruire di per se stessi illegittimi, per tutte le ragioni sopra dette.
16. Non si deve poi mancare di osservare che, a conforto delle proprie tesi
di non conformità a parametro costituzionale del predetto art. 53 della l.r.
n. 16/2008, parte appellante ha insistito nell’indicare come possibile
precedente a sé utile la sentenza dello stesso Tar per la Liguria n.
969/2013, resa peraltro in epoca successiva alla decisone qui appellata e
come tale perciò, sempre in tesi, meritevole di attenzione quale possibile
revirement da parte del medesimo Giudice di primo grado.
Tuttavia, in disparte la non piena sovrapponibilità tra la vicenda oggetto
del giudizio chiusosi col precedente invocato e quella oggetto della
presente controversia, occorre rilevare che, nella definizione di quel caso
allora esame, il primo Giudice ha infine deviato argomentativamente su una
soluzione prescindente il tema della conformità costituzionale dell’art. 53
della l.r. n. 16/2008 (diversamente, del resto, dovendo detto Giudice
proporre in quell’occasione questione di costituzionalità, che invece lo
stesso non ha sollevato).
Se ne deve allora concludere che l’intero ragionamento svolto dalla sentenza
n. 969/2013 in ordine ad un possibile dubbio di costituzionalità della norma
regionale citata altro non ha costituito all’epoca e non un mero obiter,
come tale inadatto a fungere da presupposto significativo per la soluzione
della vicenda (peraltro, come detto, pure in parte diversa) oggetto di
questo giudizio.
17. L’esito di questo giudizio non preclude peraltro alla parte appellante
l’eventuale ripresa del suo iter progettuale, questa volta però nel rispetto
della scansione temporale delle fasi procedurali sopra richiamate.
18. La reiezione dell’appello comporta la conferma della sentenza impugnata
(Consiglio di Stato, Sez. II,
sentenza 28.05.2021 n. 4135 - link a www.giustizia-amministrativa.it).
---------------
Al riguardo si legga anche:
●
P. Brambilla,
Il Consiglio di Stato dice no alla V.inc.a. postuma - Consiglio di Stato,
Sez. II, sentenza 28.05.2021, n. 4135
(luglio 2021 - link a http://rgaonline.it).
---------------
Il Consiglio di Stato, confermando la legittimità
dell’annullamento in autotutela di permessi di costruire rilasciati in siti
di Rete Natura 2000 senza valutazione di incidenza, afferma
inequivocabilmente che la V.INC.A. è requisito di validità e non di
efficacia, insuscettibile di venire sanato ex post o di venir temperato da
affidamenti di sorta sul rilascio di titoli conseguiti illegittimamente
all’esito di procedure non partecipate dal pubblico. |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI - URBANISTICA: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 14 del 07.04.2021, "Armonizzazione e
semplificazione dei procedimenti relativi all’applicazione della valutazione
di incidenza per il recepimento delle linee guida nazionali oggetto
dell’intesa sancita il 28.11.2019 tra il governo, le regioni e le province
autonome di Trento e di Bolzano" (deliberazione
G.R. 29.03.2021 n. 4488). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI - URBANISTICA: Ambito
di applicazione della c.d. “valutazione d'incidenza” di un piano -
Competenza tra Stato e Regioni in materia di rifiuti.
---------------
●
Ambiente - Valutazione d'incidenza - Ambito di applicazione
●
Rifiuti – Competenza - Individuazione
●
La valutazione d'incidenza di un piano o di un progetto si applica sia agli
interventi che ricadono all'interno delle aree Natura 2000 (e delle Zone di
protezione speciale), sia a quelli che, pur collocandosi all'esterno,
possono comportare ripercussioni sullo stato di conservazione dei valori
naturali tutelati nel sito (1).
●
In materia di smaltimento dei rifiuti, lo Stato è titolare di una
competenza statale esclusiva, riconducibile all'ipotesi della “tutela
dell'ambiente e dell'ecosistema" prevista dall'art. 117, comma 2, lett. s),
Cost. per cui deve intendersi inibito al legislatore regionale introdurre
deroghe o limiti di varia natura e portata.
Pertanto, non è consentito al
legislatore regionale derogare alla ripartizione di competenze stabilita a
livello nazionale fra le Regioni, che hanno il potere di autorizzare i nuovi
impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti ex artt. 196, comma 1,
lett. d), e 208 t.u. ambiente e le Province, che hanno il potere di
pianificare le zone idonee e non idonee agli impianti sulla base dei criteri
stabiliti nel piano di gestione dei rifiuti della Regione, ex art. 197,
comma 1, lett. d), T.U.A. (2).
---------------
(1) Ha ricordato la Sezione che l’art. 6 della Direttiva 92/43/CEE
è il riferimento che dispone previsioni in merito al rapporto tra
conservazione e attività socio-economiche all’interno dei siti della Rete
Natura 2000, e riveste un ruolo chiave per la conservazione degli habitat e
delle specie ed il raggiungimento degli obiettivi previsti all'interno della
rete Natura 2000.
Globalmente, le sue disposizioni riflettono l’orientamento generale dei “considerando”
della direttiva, tra cui la necessità di promuovere la biodiversità,
mantenendo o ripristinando determinati habitat e specie in uno «stato di
conservazione soddisfacente» nel contesto dei siti Natura 2000, tenendo
conto delle esigenze economiche, sociali e culturali, nell’ottica di uno
sviluppo sostenibile. Tale disposto normativo può essere considerato un
elemento chiave per attuare il principio di integrazione in quanto
incoraggia gli Stati membri a gestire in maniera sostenibile le zone
protette e stabilisce limiti alle attività atte ad avere un impatto negativo
sulle zone stesse, consentendo alcune deroghe in circostanze specifiche.
In particolare, i paragrafi 3 e 4 relativi alla Valutazione di Incidenza,
dispongono misure preventive e procedure progressivamente volte alla
valutazione dei possibili effetti negativi, le "incidenze negative
significative", determinati da piani e progetti non direttamente
connessi o necessari alla gestione di un Sito Natura 2000, definendo altresì
gli obblighi degli Stati membri in materia di Valutazione di Incidenza e di
Misure di Compensazione. La valutazione d'incidenza, come costantemente
interpretata dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia e delle Corti
nazionali, si applica sia agli interventi che ricadono all'interno delle
aree Natura 2000 (e delle Zone di protezione speciale), sia a quelli che,
pur collocandosi all'esterno, possono comportare ripercussioni sullo stato
di conservazione dei valori naturali tutelati nel sito.
L'art. 6, par. 3, Dir. 92/43/CE, infatti, subordina il requisito
dell'opportuna valutazione dell'incidenza di un piano o di un progetto alla
condizione che vi sia una probabilità o un rischio che quest'ultimo
pregiudichi significativamente il sito interessato. Tenuto conto, in
particolare, del principio di precauzione, un tale rischio esiste qualora
non possa escludersi, sulla base di elementi obiettivi, che detto piano o
progetto pregiudichi significativamente il sito interessato. La valutazione
del rischio dev'essere effettuata segnatamente alla luce delle
caratteristiche e delle condizioni ambientali specifiche del sito
interessato da tale piano o progetto. Nel contesto normativo italiano la
valutazione di incidenza viene disciplinata dall'art. 5, d.P.R. n. 357 del
1997, come sostituito dall’art. 6, d.P.R. n. 120 del 2003, adottato in
attuazione dei parr. 3 e 4 della citata Direttiva "Habitat".
L'obiettivo di tutela che si prefigge il legislatore europeo e nazionale, è
quello massimo di conservazione dei siti, sia in via diretta (per piani e
progetti da ubicarsi all'interno dei siti protetti) sia in via indiretta
(per piani e progetti da ubicarsi al di fuori del perimetro delle dette
aree, ma idonei comunque ad incidere, per le caratteristiche tecniche del
progetto o la collocazione degli impianti o la conformazione del territorio,
sulle caratteristiche oggetto di protezione), con attenzione sia all'impatto
singolo del progetto specificamente sottoposto a valutazione, sia
all'impatto cumulativo che potrebbe prodursi in connessione con altro e
diverso piano o progetto.
Ha aggiunto la Sezione che la certezza in ordine alla assenza di “incidenza
significativa” sull’habitat dev’essere acquisita
dall’amministrazione procedente mediante un procedimento tipico che prevede
la preliminare verifica di assoggettabilità a valutazione di incidenza (c.d.
screening), previa redazione da parte del proponente il progetto di
uno “studio di incidenza”, ovvero con la valutazione di incidenza
appropriata, laddove la fase di verifica preliminare faccia emergere il
rischio di effetti pregiudizievoli sul sito interessato.
Le vigenti norme regionali campane costituite dal Regolamento regionale n. 1
del 2010 (recante Disposizioni in materia di procedimento di valutazione di
incidenza), all’art. 5, dispongono: “1. Al fine di determinare la
significatività dell’incidenza di progetti ed interventi ricadenti
nell’ambito di applicazione del presente regolamento, è previsto che sia
espletata una fase preliminare chiamata “screening”. Tale verifica determina
la decisione di procedere o meno alla successiva fase di valutazione di
incidenza (valutazione appropriata), qualora le possibili incidenze negative
risultino significative in relazione agli obiettivi di conservazione del
sito stesso”.
Dalla medesima normativa regionale si evince la non necessità di una
valutazione di incidenza, neppure relativa alla fase di screening, per i
soli interventi indicati nell’art. 3 del medesimo regolamento regionale n. 1
del 2010, rubricato infatti “Progetti ed interventi non direttamente
connessi e non significativamente incidenti sui siti della Rete Natura 2000”,
cui rinvia anche l’art. 4, comma 2, ultima parte. Solo detti interventi sono
pertanto presuntivamente ritenuti non significativamente incidenti sui siti
della Rete 2000, fatta peraltro salva la possibilità, secondo quanto
prescritto dal successivo comma 4, per l’Autorità preposta all’approvazione
del progetto o all’autorizzazione dell’intervento, di richiedere
l’esperimento della verifica preliminare nei casi in cui non si abbia la
certezza dell’assenza di incidenza negativa o comunque significativa.
Per contro, per gli interventi indicati nell’art. 4, comma 2, del medesimo
regolamento, fra i quali vanno annoverati i progetti e gli interventi
ricompresi negli allegati II e IV della parte seconda del decreto
legislativo 03.04.2006, n. 152, indipendentemente dalle eventuali soglie
dimensionali, vi è una presunzione di incidenza significativa, tanto è vero
che per i medesimi deve essere espletata direttamente la valutazione
appropriata. Gli interventi non ricadenti in nessuna di queste due opposte
presunzioni vanno per contro sottoposti alla fase di screening.
Alcuna valutazione di incidenza, neppure ascrivibile alla fase di screening,
può intendersi effettuata, in assenza dei necessari presupposti, ed in
particolare del riferimento nello studio preliminare ambientale del
proponente al SIC viciniore e dell’inserimento nel medesimo di un capitolo
conforme agli indirizzi di cui al all’allegato G del d.P.R. n. 357 del 1997,
finalizzato anche a valutare le interferenze avuto riguardo alle componenti
abiotiche, biotiche e alle connessioni ecologiche; con il che la denunciata
violazione formale (mancanza di studio preliminare completo delle
indicazioni di cui all’allegato G) assurge a violazione sostanziale delle
disposizioni di tutela, non potendosi in alcun modo sanare la carenza degli
elementi istruttori normativamente necessari a fondare la valutazione
rimessa all’Autorità competente ove gli stessi non siano stati di fatto
acquisiti, mediante atti contenutisticamente definiti, nella loro valenza
fattuale ed effettuale.
(2) Ha affermato la Sezione che l’art. 197, comma 1, lett. d),
T.U.A. va letta in coordinamento con le norme di cui agli artt. 196 e 199
del medesimo T.U.A.
Ai sensi dell'art. 196, comma 1, lett. a), D.Lgs. n. 152 del 2006, è di
competenza della regione la predisposizione, l'adozione e l'aggiornamento,
sentiti le province, i comuni e le Autorità d'ambito, dei piani regionali di
gestione dei rifiuti, di cui all'articolo 199. In particolare, ai sensi
dell'art. 199, comma 3, lett. d), il piano regionale per la gestione dei
rifiuti contiene informazioni sui criteri di riferimento per
l'individuazione dei siti e la capacità dei futuri impianti di smaltimento o
dei grandi impianti di recupero, se necessario, nonché, ai sensi della
lettera l), i criteri per l'individuazione, da parte delle province, delle
aree non idonee alla localizzazione degli impianti di recupero e smaltimento
dei rifiuti nonché per l'individuazione dei luoghi o impianti adatti allo
smaltimento dei rifiuti.
Alle province compete pertanto, ai sensi dell'art. 197, comma 1, lett. d),
l'individuazione, sulla base delle previsioni del piano territoriale di
coordinamento di cui all'art. 20, comma 2, d.lgs. 18.08.2000, n. 267, ove
già adottato, e delle previsioni di cui all'art. 199, comma 3, lett. d) e
h), nonché sentiti l'Autorità d'ambito ed i comuni, delle zone idonee alla
localizzazione degli impianti di smaltimento dei rifiuti, nonché delle zone
non idonee alla localizzazione di impianti di recupero e di smaltimento dei
rifiuti.
A sua volta, l'art. 20, comma 2, d.lgs. n. 267 del 2000, prevede l'adozione
da parte della provincia, in attuazione della legislazione e dei programmi
regionali, del piano territoriale di coordinamento che determina gli
indirizzi generali di assetto del territorio. Pertanto non è revocabile in
dubbio che la provincia è tenuta ad individuare le zone del territorio
provinciale da ritenersi in generale, ovvero per qualsiasi tipologia di
impianti per il trattamento e la gestione dei rifiuti, non idonee alla
ubicazione degli impianti medesimi.
Tale competenza è rimasta in capo all’Ente Provincia anche dopo l’entrata in
vigore della l. n. 56 del 2014, cd. “legge Del Rio”. Infatti, fra le
funzioni fondamentali assegnate alle province “riformate”, così come
elencate al comma 85 dell’articolo unico di detta normativa, figurano la “pianificazione
territoriale provinciale di coordinamento, nonché tutela e valorizzazione
dell'ambiente, per gli aspetti di competenza”.
Dalla norma di cui all’art. 197 T.UA. si evince inoltre che l’intervento
dell’Autorità d’ambito è puramente consultivo, al pari di quello dei Comuni,
ferma rimanendo la prevalenza delle previsioni del piano territoriale di
coordinamento, ove già adottato, che deve peraltro uniformarsi agli
indirizzi espressi dalla Regione nel piano regionale per la gestione dei
rifiuti
(TAR
Campania-Napoli, Sez. V,
sentenza 17.03.2021 n. 1790 -
commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).
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SENTENZA
42. Alla stregua di quanto in precedenza accennato circa la natura
provvedimentale del c.d. atto di rideterminazione della commissione
VAS-VIA-VI, con cui la medesima commissione ha nella sostanza ritenuto non
necessaria, rispetto alla realizzazione dell’impianto de quo, la valutazione
di incidenza, vanno pertanto, ad avviso del collegio, analizzate in ordine
logico le censure articolate nei primi ricorsi per motivi aggiunti, come
proposte nei connessi giudizi, in quanto afferenti ad una procedura
presupposta rispetto all’autorizzazione ex art. 208 T.U.A..
42.1. Prima di analizzare tali censure, giova illustrare, sia pure per sommi
capi, la normativa in materia, comunitaria e nazionale, onde poi
approfondire, nell’affrontare i motivi di ricorso, gli aspetti della
medesima normativa nonché della normativa regionale aventi rilevanza
rispetto al presente contenzioso.
43. Il primo capitolo della direttiva 92/43/CEE, che comprende gli articoli
1 e 2, è intitolato «Definizioni». Questo capitolo enuncia lo scopo della
direttiva di «contribuire a salvaguardare la biodiversità mediante la
conservazione degli habitat naturali, nonché della flora e della fauna
selvatiche nel territorio europeo degli Stati membri al quale si applica il
trattato». Esso fornisce anche orientamenti generali con riferimento alla
necessità che le misure adottate a norma della direttiva siano intese a
mantenere o ripristinare alcuni habitat e specie «in uno stato di
conservazione soddisfacente», nonché alla necessità di misure adottate a
norma della direttiva per tener conto «delle esigenze economiche, sociali e
culturali, nonché delle particolarità regionali e locali».
I principali requisiti specifici della direttiva 92/43/CEE sono raggruppati
nei due capitoli successivi. Il primo, intitolato «Conservazione degli
habitat naturali e degli habitat delle specie», comprende gli articoli da 3
a 11. Il secondo, intitolato «Tutela delle specie», comprende gli articoli
da 12 a 16.
Il capitolo «Conservazione degli habitat naturali e degli habitat delle
specie» tratta gli aspetti più ambiziosi e di vasta portata della direttiva:
l’istituzione e la conservazione della rete di siti Natura 2000. In questo
capitolo, l’articolo 6 contiene le disposizioni che disciplinano la
conservazione e la gestione dei siti Natura 2000. In questo contesto,
l’articolo 6 è uno dei più importanti tra i 24 articoli della direttiva in
quanto è quello che maggiormente determina il rapporto tra conservazione ed
uso del territorio.
43.1. L'articolo 6 della Direttiva 92/43/CEE “Habitat” stabilisce, in
quattro paragrafi, il quadro generale per la conservazione e la gestione dei
Siti che costituiscono la rete Natura 2000, fornendo tre tipi di
disposizioni: propositive, preventive e procedurali.
In generale, l’art. 6 della Direttiva 92/43/CEE è il riferimento che dispone
previsioni in merito al rapporto tra conservazione e attività
socio-economiche all’interno dei siti della Rete Natura 2000, e riveste un
ruolo chiave per la conservazione degli habitat e delle specie ed il
raggiungimento degli obiettivi previsti all'interno della rete Natura 2000.
Globalmente, le disposizioni dell’articolo 6 riflettono l’orientamento
generale dei “considerando” della direttiva, tra cui la necessità di
promuovere la biodiversità, mantenendo o ripristinando determinati habitat e
specie in uno «stato di conservazione soddisfacente» nel contesto dei siti
Natura 2000, tenendo conto delle esigenze economiche, sociali e culturali,
nell’ottica di uno sviluppo sostenibile.
L’articolo 6 può essere considerato un elemento chiave per attuare il
principio di integrazione in quanto incoraggia gli Stati membri a gestire in
maniera sostenibile le zone protette e stabilisce limiti alle attività atte
ad avere un impatto negativo sulle zone stesse, consentendo alcune deroghe
in circostanze specifiche.
In particolare, i paragrafi 3 e 4 relativi alla Valutazione di Incidenza,
dispongono misure preventive e procedure progressivamente volte alla
valutazione dei possibili effetti negativi, le "incidenze negative
significative", determinati da piani e progetti non direttamente connessi o
necessari alla gestione di un Sito Natura 2000, definendo altresì gli
obblighi degli Stati membri in materia di Valutazione di Incidenza e di
Misure di Compensazione. Infatti, ai sensi dell’art. 6, paragrafo 3, della
Direttiva Habitat, la Valutazione di Incidenza rappresenta, al di là degli
ambiti connessi o necessari alla gestione del sito, lo strumento individuato
per conciliare le esigenze di sviluppo locale e garantire il raggiungimento
degli obiettivi di conservazione della rete Natura 2000.
La necessità di introdurre questa tipologia di valutazione deriva dalle
peculiarità della costituzione e definizione della rete Natura 2000,
all'interno della quale ogni singolo sito fornisce un contributo qualitativo
e quantitativo in termini di habitat e specie da tutelare a livello europeo,
al fine di garantire il mantenimento ovvero, all'occorrenza, il ripristino,
in uno stato di conservazione soddisfacente, di tali habitat e specie.
43.2. La valutazione di Incidenza è pertanto il procedimento di carattere
preventivo al quale è necessario sottoporre qualsiasi piano, programma,
progetto, intervento od attività (P/P/P/I/A) che possa avere incidenze
significative su un sito o proposto sito della rete Natura 2000,
singolarmente o congiuntamente ad altri piani e progetti e tenuto conto
degli obiettivi di conservazione del sito stesso.
Per quanto riguarda l'ambito geografico, le disposizioni dell'articolo 6,
paragrafo 3 non si limitano ai piani e ai progetti localizzati
esclusivamente all'interno di un sito Natura 2000; essi hanno come obiettivo
anche piani e progetti situati al di fuori del sito ma che, nondimeno,
potrebbero avere un effetto significativo su di esso, indipendentemente
dalla loro distanza dal sito in questione (cause C-98/03, paragrafo 51,
C-418/04, paragrafi 232, 233).
Attraverso l'art. 7 della direttiva Habitat, gli obblighi derivanti
dall'art. 6, paragrafi 2, 3, e 4, sono estesi alle Zone di Protezione
Speciale (ZPS) di cui alla Direttiva 2009/147/UE “Uccelli”.
43.3. Gli orientamenti forniti agli Stati membri sull’interpretazione dei
concetti chiave dell’articolo 6 della Direttiva Habitat, anche in
considerazione delle sentenze emesse dalla Corte di giustizia dell’UE a
riguardo, sono contenuti nella comunicazione della Commissione "Gestione dei
siti Natura 2000” pubblicata nell’aprile 2000 (poi sostituita dalla
successiva “Guida all'interpretazione dell’articolo 6 della direttiva
92/43/CEE (direttiva Habitat)”, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
dell’Unione europea 25.01.2019 (2019/C 33/01), successiva ai fatti di
causa).
43.4. In ambito nazionale, la Valutazione di Incidenza è disciplinata
dall'art. 5 del DPR 08.09.1997, n. 357, così come sostituito dall’art. 6 del
DPR 12.03.2003, n. 120 (G.U. n. 124 del 30.05.2003).
In particolare rileva, rispetto alla fattispecie de qua, il disposto dei
commi 3, 4, 5 del predetto articolo, secondo cui “3. I proponenti di
interventi non direttamente connessi e necessari al mantenimento in uno
stato di conservazione soddisfacente delle specie e degli habitat presenti
nel sito, ma che possono avere incidenze significative sul sito stesso,
singolarmente o congiuntamente ad altri interventi, presentano, ai fini
della valutazione di incidenza, uno studio volto ad individuare e valutare,
secondo gli indirizzi espressi nell'allegato G, i principali effetti che
detti interventi possono avere sul proposto sito di importanza comunitaria,
sul sito di importanza comunitaria o sulla zona speciale di conservazione,
tenuto conto degli obiettivi di conservazione dei medesimi.
4. Per i progetti assoggettati a procedura di valutazione di
impatto ambientale, ai sensi dell'articolo 6 della legge 08.07.1986, n.
349, e del decreto del Presidente della Repubblica 12.04.1996,
pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 210 del 07.09.1996, e
successive modificazioni ed integrazioni, che interessano proposti siti di
importanza comunitaria, siti di importanza comunitaria e zone speciali di
conservazione, come definiti dal presente regolamento, la valutazione di
incidenza è ricompresa nell'àmbito della predetta procedura che, in tal
caso, considera anche gli effetti diretti ed indiretti dei progetti sugli
habitat e sulle specie per i quali detti siti e zone sono stati individuati.
A tale fine lo studio di impatto ambientale predisposto dal proponente deve
contenere gli elementi relativi alla compatibilità del progetto con le
finalità conservative previste dal presente regolamento, facendo riferimento
agli indirizzi di cui all'allegato G.
5. Ai fini della valutazione di incidenza dei piani e degli
interventi di cui ai commi da 1 a 4, le regioni e le province autonome, per
quanto di propria competenza, definiscono le modalità di presentazione dei
relativi studi, individuano le autorità competenti alla verifica degli
stessi, da effettuarsi secondo gli indirizzi di cui all'allegato G, i tempi
per l'effettuazione della medesima verifica, nonché le modalità di
partecipazione alle procedure nel caso di piani interregionali”.
Anche ai sensi dell’art. 10, comma 3, del D.lgs. 152/2006 e s.m.i., detta
valutazione è inoltre integrata nei procedimenti di VIA e VAS.
Nei casi di procedure integrate VIA-VI(ncA), VAS-VI(ncA), l’esito della
Valutazione di Incidenza è vincolante ai fini dell’espressione del parere
motivato di VAS o del provvedimento di VIA, che può essere favorevole solo
se vi è certezza riguardo all'assenza di incidenza significativa negativa
sui siti Natura 2000.
43.5. La metodologia per l’espletamento della Valutazione di Incidenza
rappresenta un percorso di analisi e valutazione progressiva che si compone
di 3 fasi principali, come desumibile dalla disamina dell’art. 6 della
Direttiva 92/43/CEE e dalla Guida all'interpretazione dell’articolo 6 della
direttiva 92/43/CEE (direttiva Habitat), successivamente esplicitato dalle
Linee Guida Nazionali per la Valutazione di Incidenza, che, sebbene adottate
in data successiva all’adozione dell’atto di rideterminazione della
commissione VAS-VIA-VI, si limitano a formulare opportuni indirizzi sulla
base della normativa e della Guida all’interpretazione dell’articolo 6 della
direttiva 92/43/CEE (direttiva Habitat) adottata in ambito comunitario,
quale ausilio per le autorità competenti degli Stati membri, articolato come
segue.
Livello I: screening - E’ disciplinato dall'articolo 6, paragrafo 3, prima
frase ed è riferito al processo d'individuazione delle implicazioni
potenziali di un piano o progetto su un Sito Natura 2000 o più siti,
singolarmente o congiuntamente ad altri piani o progetti, e determinazione
del possibile grado di significatività di tali incidenze. Pertanto, in
questa fase occorre determinare in primo luogo se il piano o il progetto
sono direttamente connessi o necessari alla gestione del sito e, in secondo
luogo, se è probabile avere un effetto significativo sul sito.
Livello II: valutazione appropriata - Questa parte della procedura è
disciplinata dall'articolo 6, paragrafo 3, seconda frase, e riguarda la
valutazione appropriata e la decisione delle autorità nazionali competenti
ed è relativa all’individuazione del livello di incidenza del piano o
progetto sull'integrità del sito, singolarmente o congiuntamente ad altri
piani o progetti, tenendo conto della struttura e della funzione del sito,
nonché dei suoi obiettivi di conservazione. In caso di incidenza negativa,
si definiscono misure di mitigazione appropriate atte a eliminare o a
limitare tale incidenza al di sotto di un livello significativo.
Livello III: possibilità di deroga all’articolo 6, paragrafo 3, in presenza
di determinate condizioni - Questa parte della procedura è disciplinata
dall'articolo 6, paragrafo 4, ed entra in gioco se, nonostante una
valutazione negativa, si propone di non respingere un piano o un progetto,
ma di darne ulteriore considerazione. In questo caso, infatti, l'articolo 6,
paragrafo 4 consente deroghe all'articolo 6, paragrafo 3, a determinate
condizioni, che comprendono l'assenza di soluzioni alternative, l'esistenza
di motivi imperativi di rilevante interesse pubblico prevalente (IROPI) per
la realizzazione del progetto e l’individuazione di idonee misure
compensative da adottare.
Peraltro, detta scansione procedimentale è ripresa anche nel Regolamento
regionale n. 1 del 2010 (artt. 4, 5, 6, 79).
Solo a seguito di dette verifiche, l’Autorità competente per la Valutazione
di Incidenza potrà dare il proprio accordo alla realizzazione della
proposta, avendo valutato con ragionevole certezza scientifica che essa non
pregiudicherà l'integrità del sito Natura 2000 interessato.
43. Ciò posto, può passarsi in ordine logico alla disamina dei motivi di
ricorso formulati nei primi motivi aggiunti.
Le censure, in quanto strettamente connesse, possono essere esaminate
congiuntamente ed in ordine logico e sono fondate, secondo quanto di seguito
specificato.
43.1. Fondata è in primo luogo la prima censura contenuta nel primo ricorso
per motivi aggiunti del giudizio R.G. n. 1127 del 2018, con cui si deduce
che l’atto della Commissione VAS-VIA-VI del 18.12.2018, sottoscritto anche
dal dirigente regionale delle valutazioni ambientali, è illegittimo per
contrasto con le norme rubricate – artt. 5 e 4, commi 1, 2 e 3, regolamento
regionale 1/2010, recante “disposizioni in materia di procedimento di
Valutazione di Incidenza”; punti 2 e 4.1.1 delle “linee guida e criteri di
indirizzo per la valutazione di incidenza in Regione Campania”, approvate
con delibera di giunta regionale 3.1.2015, n. 167 (in BURC n. 29 del maggio
2015); art. 5 del dpr 357/1997; art. 6, comma 3, direttiva del consiglio
21.05.1992, 92/43/CEEe s.m.i. - che impongono il preventivo procedimento di
valutazione di incidenza per tutti i progetti di impianti di gestione dei
rifiuti significativamente incidenti sui siti di interesse comunitario,
anche se localizzati all’esterno degli stessi.
Ed invero le salvaguardie di cui all’articolo 6, paragrafi 3 e 4, per quanto
sopra esposto, sono attivate non già da una assoluta certezza, ma da una
mera probabilità di incidenze significative. In linea con il principio di
precauzione, non si può quindi accettare che la valutazione non sia
effettuata facendo valere che le incidenze significative non sono certe.
La valutazione, pertanto, dev’essere effettuata in modo tale che le autorità
competenti possano acquisire la certezza che un piano o un progetto sarà
privo di effetti pregiudizievoli per l’integrità del sito di cui trattasi,
dato che, quando sussiste un’incertezza riguardo all’assenza di tali
effetti, le autorità suddette sono tenute a negare l’autorizzazione
richiesta (cfr., ex multis, CGCE, sentenza Commissione/Italia, C-304/05,
punto 58).
Come affermato anche dalla giurisprudenza interna (ex multis, Cons. Stato,
sez. IV, 29/11/2018, n. 6773), “La valutazione di incidenza è il
procedimento di carattere preventivo al quale è necessario sottoporre
qualsiasi piano o progetto che possa avere incidenze significative su un
sito o proposto sito della rete Natura 2000, singolarmente o congiuntamente
ad altri piani e progetti e tenuto conto degli obiettivi di conservazione
del sito stesso. Tale procedura è stata introdotta dall'art. 6, comma 3, Dir. 92/43/CEE "Habitat" con lo scopo di salvaguardare l'integrità dei siti
attraverso l'esame delle interferenze di piani e progetti non direttamente
connessi alla conservazione degli habitat e delle specie per cui essi sono
stati individuati, ma in grado di condizionarne l'equilibrio ambientale.
In particolare, la disposizione afferma: "Qualsiasi piano o progetto non
direttamente connesso e necessario alla gestione del sito, ma che possa
avere incidenze significative su tale sito, singolarmente o congiuntamente
ad altri piani e progetti, forma oggetto di una opportuna valutazione
dell'incidenza che ha sul sito, tenendo conto degli obiettivi di
conservazione del medesimo".
La valutazione d'incidenza, come costantemente interpretata dalla
giurisprudenza della Corte di Giustizia e delle Corti nazionali, si applica
pertanto sia agli interventi che ricadono all'interno delle aree Natura 2000
(e delle Zone di protezione speciale), sia a quelli che, pur collocandosi
all'esterno, possono comportare ripercussioni sullo stato di conservazione
dei valori naturali tutelati nel sito. L'art. 6, par. 3, Dir. 92/43/CE,
infatti, subordina il requisito dell'opportuna valutazione dell'incidenza di
un piano o di un progetto alla condizione che vi sia una probabilità o un
rischio che quest'ultimo pregiudichi significativamente il sito interessato.
Tenuto conto, in particolare, del principio di precauzione, un tale rischio
esiste qualora non possa escludersi, sulla base di elementi obiettivi, che
detto piano o progetto pregiudichi significativamente il sito interessato.
La valutazione del rischio dev'essere effettuata segnatamente alla luce
delle caratteristiche e delle condizioni ambientali specifiche del sito
interessato da tale piano o progetto. Nel contesto normativo italiano la
valutazione di incidenza viene disciplinata dall'art. 6, D.P.R. n. 120/2003,
che ha sostituito l'art. 5, D.P.R. n. 357/1997, di attuazione dei parr. 3 e
4 della citata Direttiva "Habitat".
È specificamente previsto che nella pianificazione e programmazione
territoriale si debba tenere conto della valenza naturalistico-ambientale
dei proposti siti di importanza comunitaria, dei siti di importanza
comunitaria e delle zone speciali di conservazione. Sono, altresì, da
sottoporre a valutazione di incidenza (comma 3), tutti gli interventi non
direttamente connessi e necessari al mantenimento in uno stato di
conservazione soddisfacente delle specie e degli habitat presenti in un sito
Natura 2000, ma che possono avere incidenze significative sul sito stesso,
singolarmente o congiuntamente ad altri interventi.
L'obiettivo di tutela
che, pertanto, si prefigge il legislatore europeo e nazionale, è quello
massimo di conservazione dei siti, sia in via diretta (per piani e progetti
da ubicarsi all'interno dei siti protetti) sia in via indiretta (per piani e
progetti da ubicarsi al di fuori del perimetro delle dette aree, ma idonei
comunque ad incidere, per le caratteristiche tecniche del progetto o la
collocazione degli impianti o la conformazione del territorio, sulle
caratteristiche oggetto di protezione), con attenzione sia all'impatto
singolo del progetto specificamente sottoposto a valutazione, sia
all'impatto cumulativo che potrebbe prodursi in connessione con altro e
diverso piano o progetto. Qualora il sito in causa sia un sito in cui si
trovano un tipo di habitat naturale e/o una specie prioritari, possono
essere addotte soltanto considerazioni connesse con la salute dell'uomo e la
sicurezza pubblica o relative a conseguenze positive di primaria importanza
per l'ambiente ovvero, previo parere della Commissione, altri motivi
imperativi di rilevante interesse pubblico".
Tale possibilità di realizzare comunque l'intervento è, tuttavia, limitata
per i siti "in cui si trovano un tipo di habitat naturale e/o una specie
prioritari", nel qual caso l'attuazione del progetto (che ha ricevuto una
valutazione negativa) può avvenire solo per "considerazioni connesse con la
salute dell'uomo e la sicurezza pubblica o relative a conseguenze positive
di primaria importanza per l'ambiente ovvero, previo parere della
Commissione, altri motivi imperativi di rilevante interesse pubblico".
In
definitiva, non sussiste, anche in tali ultimi siti, un "divieto assoluto"
di nuovo progetto, ma solo un divieto di quel progetto che, avendo innanzi
tutto ricevuto una valutazione negativa, non rientri in una delle
considerazioni "derogatorie" espressamente indicate dalla norma”.
Parimenti il Cons. giust. amm. Sicilia, con sentenza del 15/01/2014, n. 4,
ha affermato che, “Ai sensi dell'art. 5, D.P.R. n. 357/1997 interpretato
alla luce dell'art. 6 della direttiva n. 92/43/CEE del 21.05.1992, relativa
alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e
della fauna selvatiche, l'effettuazione di una preventiva valutazione di
incidenza è indispensabile anche nelle ipotesi in cui l'autorità nazionale
competente intenda approvare una variante di un piano urbanistico sebbene
non direttamente connessa e necessaria alla gestione del sito, ma che possa
comunque avere incidenze significative su tale sito, singolarmente o
congiuntamente ad altri piani e progetti: le nozioni di "piano" e di
"possibilità di incidenza significativa" come enucleate dal documento della
Commissione europea "La gestione dei siti della Rete Natura 2000. Guida
all'interpretazione dell'art. 6 della direttiva "Habitat 92/43/CE", portano
a concludere che: la valutazione di incidenza deve essere svolta anche con
riferimento a piani urbanistici (e le loro varianti) a contenuto generale e
non solo a quelli attuativi di singoli interventi; la valutazione di
incidenza riguarda anche piani, come sopra individuati, posti all'esterno di
un sito della Rete Natura 2000; la valutazione deve essere effettuata
ogniqualvolta vi sia la probabilità di un'incidenza significativa e può
essere omessa soltanto quando vi sia la certezza di un'assenza di incidenze;
le amministrazioni nazionali devono comunque motivare sul punto dell'assenza
di incidenze. La mera distanza dell'area oggetto di intervento dai limitrofi
siti della Rete Natura 2000 non è pertanto un elemento di per sé sufficiente
ad escludere la probabilità di una incidenza significativa sui predetti siti”.
44. Orbene, la certezza in ordine alla assenza di “incidenza
significativa” sull’habitat dev’essere acquisita dall’amministrazione
procedente mediante un procedimento tipico che prevede la preliminare
verifica di assoggettabilità a valutazione di incidenza (c.d. screening),
previa redazione da parte del proponente il progetto di uno “studio di
incidenza”, ovvero con la valutazione di incidenza appropriata, laddove
la fase di verifica preliminare faccia emergere il rischio di effetti
pregiudizievoli sul sito interessato.
In tal senso peraltro, come dedotto dal Comune di Sassinoro in tale primo
motivo di ricorso all’esame, le vigenti norme regionali campane costituite
dal Regolamento regionale 1/2010, recante Disposizioni in materia di
procedimento di valutazione di incidenza, all’art. 5, dispongono quanto
segue: “1. Al fine di determinare la significatività dell’incidenza di
progetti ed interventi ricadenti nell’ambito di applicazione del presente
regolamento, è previsto che sia espletata una fase preliminare chiamata
“screening”. Tale verifica determina la decisione di procedere o meno alla
successiva fase di valutazione di incidenza (valutazione appropriata),
qualora le possibili incidenze negative risultino significative in relazione
agli obiettivi di conservazione del sito stesso”.
Nell’ipotesi di specie, per contro, tale fase, da attivare su iniziativa del
proponente, sulla base di uno studio preliminare ambientale contenente anche
i riferimenti agli indirizzi di cui all’allegato G del d.p.r. 357/1997,
secondo quanto di seguito precisato, non è stata attivata, né può
assimilarsi ad una procedura di screening l’atto di rideterminazione della
Commissione VAS-VIA-VI, in quanto trattasi di valutazione compiuta in
assenza di una richiesta del proponente e del riferimento necessario nello
studio preliminare ambientale agli indirizzi di al citato allegato G, da
esplicitare in un separato capitolo, con riferimento alle caratteristiche
del sito oggetto di protezione.
44.1. Peraltro, secondo quanto del pari correttamente dedotto nel primo
motivo del ricorso per motivi aggiunti presentato dal Comune di Sassinoro,
in relazione al progetto de quo non sarebbe stata sufficiente neanche la
procedura di screening, in quanto avrebbe dovuto procedersi piuttosto ad una
valutazione di incidenza appropriata, avuto riguardo alla tipologia di
impianto e alla sua estrema vicinanza con il sito protetto.
Ciò in quanto, per quanto riguarda specificamente i progetti di impianti di
gestione dei rifiuti, l’art. 4, comma 2, del medesimo Regolamento regionale
1/2010 dispone quanto segue: “La fase di screening non si applica ai
piani e programmi e per essi la procedura di valutazione di incidenza ha
inizio con la successiva fase di cui al comma 1. Inoltre la fase di
screening non si applica alle tipologie di progetti e interventi ricompresi
negli allegati III e IV alla parte seconda del decreto legislativo
03.04.2006, n. 152, indipendentemente dalle eventuali soglie dimensionali,
per i quali dovrà essere espletata direttamente la valutazione appropriata”.
In piena conformità con la richiamata norma regolamentare, il punto 4.1.1
delle “Linee Guida e Criteri di indirizzo per la Valutazione di Incidenza
in Regione Campania”, approvate con delibera di Giunta regionale
3.1.2015, n. 167 (in BURC n. 29 del maggio 2015), ribadisce: “Inoltre la
verifica preliminare non si applica alle tipologie di progetti e/o
interventi, indipendentemente dalle eventuali soglie dimensionali,
ricompresi negli Allegati III e IV alla parte seconda del D.lgs. 152/2006,
per i quali dovrà essere espletata la valutazione appropriata, integrata,
ove ne ricorrano i termini, alla procedura di valutazione di impatto
ambientale secondo le previsioni dell’art. 10, comma 3, del D.lgs. 152/2006”.
Il progetto di impianto di gestione dei rifiuti oggetto degli atti impugnati
con il presente gravame ricade nell’ambito di applicabilità di tale
normativa in quanto, come risulta dalla scheda istruttoria regionale, è
sussumibile nella lett. z.b) del punto 7 dell’Allegato IV Parte II del D.Lgs.
152/2006 (Impianti di smaltimento e recupero di rifiuti non pericolosi, con
capacità complessiva superiore a 10 t/giorno, mediante operazioni di cui
all'Allegato C, lettere da R1 a R9, della parte quarta del decreto
legislativo 03.04.2006, n. 152).
44.2. Dalla medesima normativa regionale si evince la non necessità di una
valutazione di incidenza, neppure relativa alla fase di screening, per i
soli interventi indicati nell’art. 3 del medesimo regolamento regionale n. 1
del 2010, rubricato infatti “Progetti ed interventi non direttamente
connessi e non significativamente incidenti sui siti della Rete Natura 2000”,
cui rinvia anche l’art. 4 comma 2 ultima parte. Solo detti interventi sono
pertanto presuntivamente ritenuti non significativamente incidenti sui siti
della Rete 2000, fatta peraltro salva la possibilità, secondo quanto
prescritto dal successivo comma 4, per l’Autorità preposta all’approvazione
del progetto o all’autorizzazione dell’intervento, di richiedere
l’esperimento della verifica preliminare nei casi in cui non si abbia la
certezza dell’assenza di incidenza negativa o comunque significativa.
Per contro, per gli interventi indicati nell’art. 4, comma 2, del medesimo
regolamento, fra i quali, come detto, vanno annoverati i progetti e gli
interventi ricompresi negli allegati II e IV della parte seconda del decreto
legislativo 03.04.2006, n. 152, indipendentemente dalle eventuali soglie
dimensionali, vi è una presunzione di incidenza significativa, tanto è vero
che per i medesimi deve essere espletata direttamente la valutazione
appropriata. Gli interventi non ricadenti in nessuna di queste due opposte
presunzioni vanno per contro sottoposti alla fase di screening.
Né al riguardo, al fine di escludere l’intervento de quo dalla valutazione
di incidenza, e persino dalla correlativa e preliminare procedura di
screening, può ritenersi sufficiente il richiamo, operato dalla Regione
Campania e dalla New Vision, alla prescrizione dell’art. 2, comma 3, del
medesimo Regolamento (da leggersi a contrario), secondo cui “La
valutazione di incidenza si applica inoltre ai progetti e agli interventi
che riguardano ambiti esterni ai siti della Rete Natura 2000, qualora, per
localizzazione o natura, possano produrre incidenze significative sulla
specie e sugli habitat presenti nel sito stesso”, avuto riguardo alla
circostanza che, quanto alla localizzazione, l’intervento progettato è posto
a soli 255 metri dal sito protetto, mentre la natura dell’intervento e la
possibile incidenza significativa del medesimo vanno valutate alla stregua
delle chiare indicazioni contenute nei successivi art. 3 e 4, per cui non
può seriamente sostenersi che un intervento, relativo alla realizzazione di
un impianto per cui l’art. 4, comma 2, del regolamento regionale prescrive
una valutazione di incidenza appropriata, debba essere escluso persino dalla
fase di screening della valutazione di incidenza –quanto meno necessaria a
valutare la localizzazione dell’intervento, la natura del medesimo e
pertanto la sua incidenza significativa sul sito viciniore– solo perché
posto all’esterno del sito.
Ed invero, per la costante giurisprudenza in materia, quale dianzi
riportata, la valutazione d’incidenza, per come costantemente interpretata
dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia e delle Corti nazionali, si
applica sia agli interventi che ricadono all’interno delle aree Natura 2000
(e delle Zone di protezione speciale), sia a quelli che, pur collocandosi
all’esterno, possono comportare ripercussioni sullo stato di conservazione
dei valori naturali tutelati nel sito (ex multis, Consiglio di Stato,
Sez. IV, n. 4327/2017; TAR Sicilia, Catania, Sez. II, n. 1323 del
06/06/2017; TAR Abruzzo, Pescara, n. 233/2015), in quanto ciò che “si
prefigge il Legislatore, europeo e nazionale, è quello massimo di
conservazione dei siti, sia in via diretta (per piani e progetti da ubicarsi
all’interno dei siti protetti) sia in via indiretta (per piani e progetti da
ubicarsi al di fuori del perimetro delle dette aree, ma idonei comunque ad
incidere, per le caratteristiche tecniche del progetto o la collocazione
degli impianti o la conformazione del territorio, sulle caratteristiche
oggetto di protezione”) (Consiglio di Stato, sezione VI, sentenza
14.10.2014, n. 5092).
La assoluta mancanza di tale passaggio procedimentale –la valutazione di
incidenza– determina l’illegittimità degli atti impugnati.
45. Nonostante il carattere assorbente di tale motivo di ricorso, con il
quale, come detto, si postula la necessità di una valutazione di incidenza
appropriata, che è del tutto mancata, anche a ritenere sufficiente la sola
procedura di screening –circostanza da escludersi alla luce di quanto
dianzi indicato–, gli atti gravati, ivi compreso l’atto di rideterminazione
della commissione VAS-VIA-VI, devono ritenersi illegittimi anche avuto
riguardo alla fondatezza degli ulteriori motivi dei primi ricorsi per motivi
aggiunti, secondo quanto di seguito specificato.
Infatti, come evidenziato dalle parti ricorrenti nel giudizio R.G. n. 1766
del 2018 nella prima parte del secondo motivo del ricorso per motivi
aggiunti, la Ne.Vi. non ha presentato una richiesta di valutazione di
incidenza in relazione all’area protetta. La medesima ha presentato solo una
relazione tecnica di verifica di assoggettabilità alla Valutazione di
Impatto Ambientale ai sensi dell’art. 20 del D.Lgs. 152/2006, in cui non ha
rappresentato affatto che l’intervento ricadeva in area prossima ad un sito
protetto, e non ha dunque compiuto alcuna valutazione in ordine agli effetti
che l’intervento potrebbe avere in relazione ai beni protetti nella zona
vincolata.
Giova al riguardo evidenziare come la stessa non abbia neanche inserito,
secondo quanto di seguito precisato, un apposito capitolo nello studio
preliminare ambientale, rispondente agli indirizzi di cui all’allegato G del
D.P.R. 357/1997.
Vi è di più.
Nella “relazione” e nella “scheda istruttoria” è stato solo
più volte evidenziato che l’intervento non ricadeva in area protetta,
sottacendo che il medesimo per contro ricadesse in area limitrofa ad un sito
protetto.
45.1. Le medesime fondate doglianze sono articolate anche nel terzo motivo
del ricorso per motivi aggiunti presentato dal Comune di Sassinoro, con cui
si rappresenta che, nell’ambito del procedimento di valutazione di
assoggettabilità a valutazione di impatto ambientale, la proponente ha
depositato lo studio preliminare ambientale ove, tuttavia, come risultante
per tabulas, non aveva neanche evidenziato l’esistenza a 255 metri del sito
di interesse comunitario Codice IT 8020001 “Alta Valle del Fiume Tammaro”.
45.2. Inoltre, secondo quanto evidenziato in tale motivo di ricorso, nonché
nella seconda parte del secondo motivo del ricorso per motivi aggiunti del
giudizio R.G. n. 1766 del 2018, nello studio preliminare ambientale la
proponente non ha inserito uno specifico capitolo contenente gli elementi da
indicarsi ai sensi dell’Allegato G del DPR 357/1997, riferito
specificatamente al sito protetto, limitandosi genericamente a dichiarare
che il progetto di impianto non è localizzato all’interno di aree SIC/ZPS e
per tale motivo “non è interessato da uno studio di incidenza ambientale”
(cfr. pagg. 103/104).
A ciò consegue la dedotta violazione dell’art. 5 (commi 3 e 4) D.P.R.
08/09/1997, n. 357, come sostituito dall’art. 6, D.P.R. 12.03.2003, n. 120,
secondo cui “i proponenti di interventi non direttamente connessi e
necessari al mantenimento in uno stato di conservazione soddisfacente delle
specie e degli habitat presenti nel sito, ma che possono avere incidenze
significative sul sito stesso, singolarmente o congiuntamente ad altri
interventi, presentano, ai fini della valutazione di incidenza, uno studio
volto ad individuare e valutare, secondo gli indirizzi espressi
nell'allegato G, i principali effetti che detti interventi possono avere sul
proposto sito di importanza comunitaria, sul sito di importanza comunitaria
o sulla zona speciale di conservazione, tenuto conto degli obiettivi di
conservazione dei medesimi.
Per i progetti assoggettati a procedura di valutazione di impatto
ambientale, ai sensi dell'articolo 6 della legge 08.07.1986, n. 349, e del
decreto del Presidente della Repubblica 12.04.1996, pubblicato nella
Gazzetta Ufficiale n. 210 del 07.09.1996, e successive modificazioni ed
integrazioni, che interessano proposti siti di importanza comunitaria, siti
di importanza comunitaria e zone speciali di conservazione, come definiti
dal presente regolamento, la valutazione di incidenza è ricompresa nell'àmbito
della predetta procedura che, in tal caso, considera anche gli effetti
diretti ed indiretti dei progetti sugli habitat e sulle specie per i quali
detti siti e zone sono stati individuati. A tale fine lo studio di impatto
ambientale predisposto dal proponente deve contenere gli elementi relativi
alla compatibilità del progetto con le finalità conservative previste dal
presente regolamento, facendo riferimento agli indirizzi di cui all'allegato
G”.
Pertanto, in alcun modo potrebbe ritenersi che, nell’ipotesi di specie,
anche a seguito dell’atto di rideterminazione della commissione VAS-VIA-VI,
sia stata condotta una procedura di screening in quanto: non vi è stata
l’istanza di parte; lo studio preliminare ambientale non è stato redatto
tenendo contro degli indirizzi di cui all’allegato G del D.P.R. 357 del 1997
e con specifico riferimento al Sito Natura 2000 viciniore e alle finalità
conservative previste dalla normativa in materia; non sono stati dunque
esaminati gli aspetti di interferenza considerando -come prescritto dalla
normativa- le componenti abiotiche, le componenti biotiche, le connessioni
ecologiche ed è stata addirittura sottaciuta la vicinanza con il SIC (cfr.,
al riguardo, TAR Sicilia–Palermo, sez. I, sent. 20/01/2010, n. 583, secondo
cui “Per i progetti che interessano siti di importanza comunitaria, la
valutazione di incidenza è ricompresa nella procedura di VIA, che, in tal
caso, considera anche gli effetti diretti ed indiretti dei progetti sugli
habitat e sulle specie per i quali detti siti e zone sono stati individuati,
pertanto lo studio di impatto ambientale predisposto in simile evenienza dal
proponente deve contenere altresì gli elementi relativi alla compatibilità
del progetto con le finalità conservative previste dal comma 4 dell'art. 5
del D.P.R. n. 357 del 1997, peraltro il giudizio di compatibilità ambientale
richiesto può essere rifiutato dall'amministrazione preposta anche nel caso
in cui le opere oggetto di verifica siano state già iniziate dal soggetto
proponente”).
Ed invero, secondo l’allegato G del D.P.R. 357/1997, ai fini della
valutazione di incidenza, le caratteristiche dei piani e progetti debbono
essere descritte con riferimento, in particolare:
- alle tipologie delle azioni e/o opere;
- alle dimensioni e/o àmbito di riferimento;
- alla complementarietà con altri piani e/o progetti;
- all'uso delle risorse naturali;
- alla produzione di rifiuti;
- all'inquinamento e disturbi ambientali;
- al rischio di incidenti per quanto riguarda le sostanze e le
tecnologie utilizzate.
Inoltre, le interferenze di piani e progetti debbono essere descritte con
riferimento al sistema ambientale considerando: le componenti abiotiche; le
componenti biotiche; le connessioni ecologiche.
Le interferenze debbono tener conto della qualità, della capacità di
rigenerazione delle risorse naturali della zona e della capacità di carico
dell'ambiente naturale, con riferimento minimo alla cartografia del progetto
CORINE LAND COVER (si tratta di un progetto che fa parte del programma
comunitario CORINE, il sistema informativo creato allo scopo di coordinare a
livello europeo le attività di rilevamento, archiviazione, elaborazione e
gestione di dati territoriali relativi allo stato dell'ambiente. Tale
progetto ha previsto la redazione, per tutto il territorio nazionale, di una
carta della copertura del suolo in scala 1:100.000).
Nello studio preliminare ambientale prodotto dalla proponente New Vision
alcun riferimento vi è, come detto, alla valutazione di detti elementi in
riferimento alla possibili incidenze sul sito protetto, neppure indicato,
come evincibile anche dalle cartografie relative ai vincoli che fanno
riferimento alle sole aree sottoposte a tutela paesaggistica e ai vincoli
del PCTP (pagg. 101-103); alcun cenno vi è inoltre in relazione alle
interferenze con piani e progetti da valutarsi con riferimento al sistema
ambientale considerando specificatamente: le componenti abiotiche; le
componenti biotiche; le connessioni ecologiche.
Pertanto, l’atto di rideterminazione della Commissione VAS-VIA-VI è
illegittimo in quanto con il medesimo la Regione ha ritenuto che le proprie
conclusioni istruttorie in materia di non assoggettabilità a valutazione di
impatto ambientale “abbiano avuto come presupposto una esauriente
trattazione istruttoria degli impatti del progetto in relazione alla
localizzazione rispetto ai siti appartenenti alla Rete Natura 2000”,
richiamando a tal riguardo anche una nota indirizzata al Ministero
dell’Ambiente successivamente alla conclusione della precedente istruttoria
da cui emergerebbe la non significativa incidenza del progetto, nonché il
decreto di valutazione di incidenza successivamente espresso sul PUC di
Sassinoro, secondo quanto denunciato dalle parti ricorrenti del giudizio
R.G. n. 1766 del 2018 nell’ambito del secondo motivo del primo ricorso per
motivi aggiunti, nonché nel quarto motivo del ricorso per motivi aggiunti
presentato dal Comune di Sassinoro; ciò in quanto alcuna valutazione di
incidenza, neppure ascrivibile alla fase di screening, può intendersi
effettuata, in assenza dei necessari presupposti, ed in particolare del
riferimento nello studio preliminare ambientale al predetto SIC e
dell’inserimento nel medesimo di un capitolo conforme agli indirizzi di cui
al più volte citato allegato G, finalizzato anche a valutare le interferenze
avuto riguardo alle componenti abiotiche, biotiche e alle connessioni
ecologiche; con il che la denunciata violazione formale (mancanza di studio
preliminare completo delle indicazioni di cui all’allegato G) assurge a
violazione sostanziale delle disposizioni di tutela non potendosi in alcun
modo sanare la carenza degli elementi istruttori normativamente necessari a
fondare la valutazione rimessa all’Autorità competente ove gli stessi non
siano stati di fatto acquisiti, mediante atti contenutisticamente definiti,
nella loro valenza fattuale ed effettuale.
Se invero è completamente pretermesso finanche il riferimento al SIC, non è
necessario spendere altri argomenti per dimostrare come non si possa
pervenire ad una seria valutazione di non significatività degli impatti e
dunque di certezza circa l’assenza di impatti significativi.
45.3. Ciò senza mancare di rilevare che, come denunciato da entrambe le
parti ricorrenti, la richiamata nota indirizzata al Ministero dell’Ambiente,
a sostegno della postulata “integrazione motivazionale”, è stata
formata all’esterno del procedimento –senza pertanto alcun apporto
procedimentale- e che, come dedotto dal Comune di Sassinoro, il riferimento
alla circostanza che la zona industriale di Sassinoro sia separata dal SIC
dalla Strada Statale 87, che costituirebbe di fatto una barriera fisica che
non consente connessioni di carattere ecologico, in disparte la evidente
apoditticità dell’asserzione, alcuna rilevanza può avere in assenza di uno
studio preliminare ambientale comprensivo di tutti gli indirizzi di cui
all’allegato G del D.P.R. n. 357/1997, finalizzato alla valutazione delle
possibili incidenze significative sul sito protetto.
Ed invero la mera esistenza di una strada, a separare il SIC dall’impianto
progettato, non può di per se escludere l’incidenza sull’habitat del
confinante SIC dei fattori inquinanti, in considerazione della diffusività
delle immissioni in atmosfera, del rumore e dell’inquinamento in genere, né
la stessa strada, in considerazione della naturale mobilità delle specie
animali, e, soprattutto delle specie segnalate dal formulario del sito -in
alcun modo citate nello studio preliminare ambientale-, potrebbe di per sé
escludere l’incidenza sul confinante habitat in cui dette specie sono
protette.
45.6. Peraltro, l’inadeguatezza della motivazione contenuta nell’atto di
rideterminazione della Commissione, anche nella parte in cui richiama tale
nota, risulta anche nel fatto che la destinazione urbanistica ed il grado di
antropizzazione non escludono che il progetto non possa essere in concreto
realizzato per il suo contrasto con interessi ambientali. Anzi, al
contrario, tali fattori implicano il dovere dell’autorità procedente di
considerare, in sede di screening e/o di valutazione di incidenza, gli
effetti cumulativi del nuovo progetto con i preesistenti impianti limitrofi.
Il difetto di motivazione in parte qua dell’atto di rideterminazione della
Commissione VAS-VIA-VI è stato peraltro denunciato anche nel terzo motivo
del ricorso per motivi aggiunti presentato nell’ambito del ricorso R.G. n.
1766 del 2018.
46. Pertanto, alla stregua dei precedenti rilievi, in alcun modo la
Commissione avrebbe potuto qualificare adeguata la propria precedente
istruttoria e rideterminarsi in ordine alla inesistenza di incidenza
significativa sul confinante SIC, in assenza di uno studio preliminare
ambientale redatto anche in conformità degli indirizzi di cui all’allegato G
e senza previa disamina del formulario Natura 2000 del SIC Codice IT 8020001
“Alta Valle del Fiume Tammaro”, la cui esistenza, come detto, non
risulta neanche evidenziata nello studio preliminare ambientale depositato
ai fini dell’esclusione dalla VIA, come evidenziato dal Comune di Sassinoro
nel terzo motivo del ricorso per motivi aggiunti.
47. Al riguardo fondato risulta anche il quinto motivo di ricorso per motivi
aggiunti del Comune di Sassinoro con cui si denuncia la violazione del punto
4.2.6 delle Linee guida regionali sulla valutazione di incidenza approvate
con DGR n. 167/2015, applicabili ratione temporis, avuto riguardo
alla data di avvio della procedura di assoggettabilità a VIA, che, per il
caso di integrazione dei procedimenti di VI e di VIA, rimanda alle Linee
Guida regionali VIA, approvate con DGR 2011/2011, applicabili anche per i
progetti localizzati all’esterno del perimetro delle aree Natura 2000 che,
al punto 2.3, prevedono che:
“- nell’istanza della proponente dev’essere dato atto della
richiesta di integrare la valutazione di incidenza nel procedimento di
assoggettabilità a VIA;
- nello studio preliminare ambientale deve essere inserito un
apposito capitolo con la relazione per la valutazione di incidenza redatta
secondo l’Allegato G all’art. 5 dpr 357/1997;
-nel testo dell’avviso pubblicato sul BURC dev’essere espressamente
evidenziato il codice del sito o dei siti Natura 2000 interessati”.
Ed invero, per contro, dagli atti depositati in giudizio risulta che:
- l’istanza della proponente, di sola verifica di assoggettabilità
a VIA, non contiene alcun riferimento alla integrazione con la valutazione
di incidenza, del resto coerentemente con la premessa che il progetto non
ricade all’interno di alcun SIC;
- lo studio preliminare ambientale non contiene alcun riferimento,
neanche meramente cartografico, al sito di interesse comunitario Cod. IT
802001 “Alta Valle del fiume Tammaro”, posto a soli 255 metri
dall’autorizzato impianto e, anzi, reca, alle pagg. 103/104, la precisazione
secondo la quale il progetto di impianto non è localizzato all’interno di
aree SIC/ZPS e pertanto “non è interessato da uno studio di incidenza
ambientale”; il medesimo studio, inoltre, è privo di alcun capitolo
contenente tutti i dati di cui all’Allegato G del dpr 357/1997 ai fini
specifici della valutazione di incidenza;
- l’avviso pubblicato sul BURC è parimenti privo di qualsivoglia
riferimento a siti della rete Natura 2000.
A ciò consegue anche, secondo quanto dedotto nel terzo motivo di ricorso per
motivi aggiunti del Comune di Sassinoro, l’eccesso di potere per carenza
assoluta di istruttoria, falsa motivazione, travisamento dei fatti,
sviamento di potere e perplessità degli atti impugnati; ciò in quanto l’atto
di rideterminazione impugnato, in assenza della redazione dello studio
preliminare ambientale conforme anche agli indirizzi di cui all’allegato G
del D.P.R. 357/1997 e dell’acquisizione dei dati concernenti il SIC
confinante, non potrebbe essere considerato come screening, mancando
degli elementi essenziali prescritti dal richiamato allegato G.
48. Parimenti meritevoli di accoglimento sono le identiche censure contenute
nel quarto motivo del ricorso per motivi aggiunti presentato dal Comune di
Sassinoro e nel terzo motivo del ricorso per motivi aggiunti presentato
nell’ambito del giudizio R.G. n. 1766 del 2018, secondo cui contraddittoria
è l’ulteriore motivazione contenuta nell’impugnato atto della Commissione
VAS-VIA-VI del 18.12.2018, costituito dalla valutazione di incidenza
favorevole rilasciata, successivamente alla definizione dell’istruttoria del
progetto Ne.Vi. srl ai fini dell’esclusione della valutazione di impatto
ambientale, sul progetto di Piano Urbanistico Comunale di Sassinoro che
conferma la localizzazione dell’area PIP, rilasciata con decreto
dirigenziale regionale n. 32 del 05.04.2018.
Infatti, detto decreto regionale, con il quale è stato favorevolmente
definito il procedimento di valutazione di incidenza dell’adottando PUC, con
la prescrizione n. 1, per contro obbliga il Comune a “inserire nelle
Norme Tecniche di Attuazione un paragrafo relativo alla valutazione di
incidenza nel quale si chiarisca che vanno assoggettate a procedura di
valutazione di incidenza tutte le opere che possano avere incidenze
significative negative sul SIC IT8020001 “Alta Valle del Fiume Tammaro”. In
tale sezione andrà evidenziato che lo studio di incidenza dovrà rispondere
nei contenuti alle disposizioni dell’Allegato G del DPR 357/97 e s.m.i. ed
in particolare dovrà contenere una descrizione degli habitat e delle specie
di flora e fauna tutelati nel sito Natura 2000 e rinvenibili nell’area
oggetto di intervento, una valutazione delle incidenze significative che le
opere da realizzare possono determinare sulle componenti abiotiche, biotiche
e sulle connessioni ecologiche caratterizzanti i siti interessati nonché una
descrizione delle ipotesi alternative e delle eventuali misure di
mitigazione o compensazione da prevedere per la eliminazione/riduzione delle
incidenze eventualmente rilevate”.
Tale prescrizione del decreto di valutazione di incidenza sul progetto di
PUC dimostra, ove ancora necessario, la contraddittorietà dell’atto della
medesima Commissione regionale VAS-VIA-VI del 18.12.2018, non essendo dato
comprendere come quanto prescritto dal medesimo organo tecnico regionale per
tutte le nuove iniziative nell’area PIP non debba valere anche per
l’impianto della Ne.Vi. srl in ordine al quale non si è proceduto
neppure alla procedura di screening, al fine di valutare la possibile
incidenza sul SIC “Alta Valle del Fiume Tammaro”.
55.
Nell’esaminare le censure proposte, va innanzi tutto disattesa l’eccezione
formulata dalla Ne.Vi. secondo la quale le prescrizioni contenute nel PTCP citate dalle parti sarebbero da considerare quale misura di
salvaguardia nelle more della approvazione del Piano Provinciale dei
Rifiuti, da intendersi decadute dopo il decorso del quinquennio dalla sua
approvazione, ovvero in quanto afferenti ad una competenza ormai passata
all’Ente d’Ambito.
55.1. Al riguardo si rappresenta in primo luogo come detta prospettazione
sia sconfessata anche dalla circostanza che nelle cartografie allegate allo
studio preliminare ambientale era fatto esplicito riferimento ai vincoli
discendenti dal PTCP (pagg. 101-102).
55.2. Peraltro al riguardo non può prescindersi dalla disanima dell’art. 197
T.U.A. secondo cui, “1. In attuazione dell'articolo 19 del decreto
legislativo 18.08.2000, n. 267, alle province competono in linea generale le
funzioni amministrative concernenti la programmazione ed organizzazione del
recupero e dello smaltimento dei rifiuti a livello provinciale, da
esercitarsi con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a
legislazione vigente, ed in particolare:
d) l'individuazione, sulla base delle previsioni del piano
territoriale di coordinamento di cui all'articolo 20, comma 2, del decreto
legislativo 18.08.2000, n. 267, ove già adottato, e delle previsioni di cui
all'articolo 199, comma 3, lett. d) e h), nonché sentiti l'ente di governo
dell'ambito ed i comuni, delle zone idonee alla localizzazione degli
impianti di smaltimento dei rifiuti, nonché delle zone non idonee alla
localizzazione di impianti di recupero e di smaltimento dei rifiuti.”
Tale competenza è rimasta in capo all’Ente Provincia anche dopo l’entrata in
vigore della Legge 56/2014, cd. “legge Del Rio”.
Infatti, fra le funzioni fondamentali assegnate alle Province “riformate”,
così come elencate al comma 85 dell’articolo unico dei detta normativa,
figurano la “pianificazione territoriale provinciale di coordinamento,
nonché tutela e valorizzazione dell'ambiente, per gli aspetti di
competenza”. Pertanto non è revocabile in dubbio che la Provincia è tenuta
ad individuare le zone del territorio provinciale da ritenersi in generale,
ovvero per qualsiasi tipologia di impianti per il trattamento e la gestione
dei rifiuti, non idonee alla ubicazione degli impianti medesimi.
55.3. Nel caso di specie, le prescrizioni contenute nel Piano Territoriale
di Coordinamento Provinciale devono ritenersi dotate di perdurante
efficacia, avuto tra l’altro riguardo alla circostanza che la prescrizione
di cui all’art. 34, comma 1, lett. g), della L.R. Campania 14/2016 –che
riserva al Piano d'Ambito Territoriale l'individuazione, nel rispetto degli
indirizzi del Piano regionale delle aree dove localizzare gli impianti di
recupero e smaltimento dei rifiuti urbani- non può ancora dirsi operativa,
non essendo stato adottato detto Piano d’Ambito Territoriale.
Vi è inoltre da evidenziare che, nel corso della Conferenza di servizi, l’ATO
Rifiuti Benevento non ha espresso alcun parere, avendo richiesto un
aggiornamento ulteriore dei lavori della Conferenza per esaminare la
documentazione trasmessa, aggiornamento rifiutato; inoltre, nel verbale
conclusivo dei lavori della Conferenza di Servizi, è altresì precisato che
l’ATO aveva fatto pervenire una nota del 12.01.2018 con cui aveva comunicato
che allo stato era sprovvisto della figura del direttore generale, “il
quale assumerà la responsabilità della gestione, tecnica, amministrativa,
contabile e si occuperà della stesura del piano d’ambito territoriale che
costituirà, in attuazione del PRGRU, lo strumento per il governo delle
attività necessarie per lo svolgimento del servizio di gestione integrata
dei rifiuti che prevederà anche programmi di investimento per gli
adeguamenti tecnologici dell’impiantistica esistente o di nuova
realizzazione. Pertanto questo Ente non esprime parere in merito alla
questione in oggetto, in attesa della costituzione dell’Eda entri in una
piena governance”.
55.4. Dette considerazioni sono espresse a prescindere dalla disamina della
questione di costituzionalità dell’art. 34, comma 1, lett. g), della L.R.
Campania per contrasto con la previsione dell’art. 197, comma 1, lett. d),
da esaminarsi alla luce del disposto dell’art. 117, comma 1, lett. s) Cost.;
questione, questa, invero non rilevante rispetto alla presente fattispecie,
avuto riguardo alla non applicabilità allo stato della previsione della
normativa regionale indicata.
In materia di smaltimento dei rifiuti, infatti, lo Stato è titolare di una
competenza statale esclusiva, riconducibile all'ipotesi della “tutela
dell'ambiente e dell'ecosistema" prevista dall'art. 117, comma 2, lett.
s), Cost., per cui deve intendersi inibito al legislatore regionale
introdurre deroghe o limiti di varia natura e portata (cfr. Corte
Costituzionale, sentenze 02.04.2014, n. 67 e 02.12.2013, n. 285).
Non è dunque consentito al legislatore regionale derogare alla ripartizione
di competenze stabilita a livello nazionale fra le Regioni, che hanno il
potere di autorizzare i nuovi impianti, e le Province, che hanno il potere
di pianificare le zone idonee e non idonee agli impianti sulla base dei
criteri stabiliti nel piano di gestione dei rifiuti della Regione.
Tra le norme nazionali rilevanti ai fini del presente giudizio vengono in
rilievo, in primo luogo, quelle che attribuiscono alle Regioni il potere di
autorizzare i nuovi impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti ex
artt. 196, comma 1, lett. d), e 208 t.u. ambiente, mentre alle Province è
tra l'altro devoluto il potere di individuazione, sulla base delle
previsioni del piano territoriale di coordinamento di cui all'articolo 20,
comma 2, del decreto legislativo 18.08.2000, n. 267, ove già adottato, e
delle previsioni di cui all'articolo 199, comma 3, lett. d) e h), l) nonché,
sentiti l'Autorità d'ambito ed i comuni, delle zone idonee alla
localizzazione degli impianti di smaltimento dei rifiuti.
Diversamente opinando, si attribuirebbe un potere di veto ad un ente privo
di competenza primaria nella funzione di autorizzazione di impianti di
smaltimento e recupero di rifiuti (cfr. Cons. Stato, sez. V, 23/03/2015, n.
1556).
Dalla norma di cui all’art. 197 T.UA. si evince pertanto che l’intervento
dell’Autorità d’ambito è puramente consultivo, al pari di quello dei Comuni,
mentre rimane ferma la prevalenza delle previsioni del piano territoriale di
coordinamento ove già adottato, come nell’ipotesi di specie, e degli
indirizzi espressi dalla Regione. In considerazione di tali rilievi non
sarebbe pertanto consentito al legislatore regionale derogare alla
ripartizione di competenze stabilita a livello nazionale, né tanto meno
configurare le norme del piano territoriale di coordinamento della
Provincia, già adottate, come mere norme di salvaguardia destinate a
decadere ove il Piano d’Ambito territoriale non sia adottato nel quinquennio
successivo.
Pertanto, compete alla Provincia individuare le aree per la localizzazione
degli impianti, secondo una valutazione urbanistica complessiva del
territorio provinciale, che muove dalle previsioni del piano territoriale di
coordinamento (in tal senso, Corte cost., sent., 04/12/2009, n. 314, secondo
cui “Non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.
1, comma 1, lett. c), della L.R. 14.04.2008, n. 4, Campania, sollevata in
riferimento all'art. 117, secondo comma, lett. s), Cost.. La disposizione
impugnata si propone di disciplinare la localizzazione degli impianti di
recupero dei rifiuti:nel dettare tale norma, la Regione ha esercitato la
propria competenza legislativa, che afferisce all'uso del proprio
territorio, abilitando la Provincia, in quanto ente deputato dalla
legislazione statale ad esercitare le funzioni in tema di "difesa del suolo"
(art. 197 del D.Lgs. n. 152 del 2006), ad individuare le aree per la
localizzazione degli impianti, secondo una valutazione urbanistica
complessiva del territorio provinciale, che muove dalle previsioni del piano
territoriale di coordinamento, anche perché la stessa normativa statale
riconosce che "il piano regionale di gestione dei rifiuti è coordinato con
gli altri strumenti di pianificazione di competenza regionale previsti dalla
normativa vigente, ove adottati" (art. 199, comma 4, del D.Lgs. n. 152 del
2006). La disciplina dettata dalla disposizione regionale risponde ad
esigenze di coordinamento territoriale e non appronta una disciplina dei
rifiuti di minor rigore rispetto a quella statale”).
55.5. Peraltro la norma di cui all’art. 197 T.U.A. va letta in coordinamento
con le norme di cui agli artt. 196 e 199 del medesimo T.U.A.
Ai sensi dell'art. 196, comma 1, lett. a), D.Lgs. n. 152 del 2006, è di
competenza della regione la predisposizione, l'adozione e l'aggiornamento,
sentiti le province, i comuni e le Autorità d'ambito, dei piani regionali di
gestione dei rifiuti, di cui all'articolo 199.
In particolare, ai sensi dell'art. 199, comma 3, lett. d), il piano
regionale per la gestione dei rifiuti contiene informazioni sui criteri di
riferimento per l'individuazione dei siti e la capacità dei futuri impianti
di smaltimento o dei grandi impianti di recupero, se necessario, nonché, ai
sensi della lettera l), i criteri per l'individuazione, da parte delle
province, delle aree non idonee alla localizzazione degli impianti di
recupero e smaltimento dei rifiuti nonché per l'individuazione dei luoghi o
impianti adatti allo smaltimento dei rifiuti.
Alle province compete pertanto, ai sensi dell'art. 197, comma 1 lett. d),
l'individuazione, sulla base delle previsioni del piano territoriale di
coordinamento di cui all'articolo 20, comma 2, del D.Lgs. 18.08.2000, n.
267, ove già adottato, e delle previsioni di cui all'articolo 199, comma 3,
lett. d) e h), nonché sentiti l'Autorità d'ambito ed i comuni, delle zone
idonee alla localizzazione degli impianti di smaltimento dei rifiuti, nonché
delle zone non idonee alla localizzazione di impianti di recupero e di
smaltimento dei rifiuti.
A sua volta, l'articolo 20, comma 2, del D.Lgs. 18.08.2000, n. 267, prevede
l'adozione da parte della provincia, in attuazione della legislazione e dei
programmi regionali, del piano territoriale di coordinamento che determina
gli indirizzi generali di assetto del territorio.
Dunque, secondo le indicazioni desumibili dalla normativa statale, le
Province devono individuare i siti idonei nell'osservanza dei criteri
definiti nel piano regionale e nel piano territoriale provinciale di
coordinamento (in tal senso, TAR Piemonte, sez. I, sent. 02.01.2017, n. 3).
Il PTCP, al riguardo, ha una doppia valenza: da un lato si configura quale
piano quadro, e, come tale, necessita della pianificazione comunale per
essere attuato; d'altro lato, come piano generale, reca prescrizioni
direttamente applicabili, prevalenti sugli strumenti di pianificazione
comunale ed immediatamente vincolanti anche nei confronti dei privati, e tra
queste figurano senza dubbio quelle relative all’individuazione delle aree
inidonee alla localizzazione degli impianti per il trattamento dei rifiuti,
in quanto derivanti da una precisa prescrizione al riguardo della normativa
statale (ex art. 197 del T.U.A.).
Le prescrizioni dettate dalla Provincia, come evincibile dal chiaro tenore
letterale della normativa de qua, sono pertanto di immediata e diretta
applicazione, tanto è vero che esse possono essere espresse anche
indipendentemente dall’esistenza dello strumento di pianificazione: tale è
il senso dell’inciso “ove già adottato”, riferito al PTCP e contenuto
nel co. 1, lett. d), dell’art. 197.
Nell’ipotesi di specie, per contro, il PTCP è stato adottato e ad esso deve
conformarsi il parere della Provincia. |
2019 |
|
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI - URBANISTICA: G.U.
28.12.2019 n. 303 "Intesa, ai sensi dell’articolo 8,
comma 6, della legge 05.06.2003, n. 131, tra il Governo, le
regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano sulle
Linee guida nazionali per la valutazione di incidenza
(VIncA) - Direttiva 92/43/CEE “HABITAT” articolo 6,
paragrafi 3 e 4 (Rep. atti n. 195/CSR)" (Conferenza
permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le
Province autonome di Trento e Bolzano,
intesa 28.11.2019). |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI - URBANISTICA: Il Consiglio di Stato ha già avuto
modo di richiamare l’attenzione sull’importanza del procedimento di
valutazione d’incidenza di piani o progetti che possano avere incidenze
significative su un sito naturale, singolarmente o congiuntamente ad altri
piani e progetti, e tenuto conto degli obiettivi di conservazione del sito
stesso.
La valutazione d’incidenza, per come costantemente interpretata dalla
giurisprudenza della Corte di Giustizia e delle Corti nazionali, si applica
pertanto sia agli interventi che ricadono all’interno delle aree Natura 2000
(e delle Zone di protezione speciale), sia a quelli che, pur collocandosi
all’esterno, possono comportare ripercussioni sullo stato di conservazione
dei valori naturali tutelati nel sito.
L’art. 6, paragrafo 3, della direttiva 92/43, infatti, subordina il
requisito dell’opportuna valutazione dell’incidenza di un piano o di un
progetto alla condizione che vi sia una probabilità o un rischio che quest’ultimo
pregiudichi significativamente il sito interessato. Tenuto conto, in
particolare, del principio di precauzione, un tale rischio esiste qualora
non possa escludersi, sulla base di elementi obiettivi, che detto piano o
progetto pregiudichi significativamente il sito interessato.
La valutazione del rischio dev’essere effettuata segnatamente alla luce
delle caratteristiche e delle condizioni ambientali specifiche del sito
interessato da tale piano o progetto.
Nel contesto normativo italiano la valutazione di incidenza (VINCA) viene
disciplinata dall’art. 6 del d.p.r. n. 120/2003, che ha sostituito l’art. 5
del d.p.r. n. 357/1997, di attuazione dei paragrafi 3 e 4 della citata
direttiva “Habitat”.
È specificamente previsto che nella pianificazione e programmazione
territoriale si debba tenere conto della valenza naturalistico-ambientale
dei proposti siti di importanza comunitaria, dei siti di importanza
comunitaria e delle zone speciali di conservazione.
Sono, altresì, da sottoporre a valutazione di incidenza (comma 3), tutti gli
interventi non direttamente connessi e necessari al mantenimento in uno
stato di conservazione soddisfacente delle specie e degli habitat presenti
in un sito Natura 2000, ma che possono avere incidenze significative sul
sito stesso, singolarmente o congiuntamente ad altri interventi.
L’obiettivo di tutela che, pertanto, si prefigge il Legislatore, europeo e
nazionale, è quello massimo di conservazione dei siti, sia in via diretta
(per piani e progetti da ubicarsi all’interno dei siti protetti) sia in via
indiretta (per piani e progetti da ubicarsi al di fuori del perimetro delle
dette aree, ma idonei comunque ad incidere, per le caratteristiche tecniche
del progetto o la collocazione degli impianti o la conformazione del
territorio, sulle caratteristiche oggetto di protezione), con attenzione sia
all’impatto singolo del progetto specificamente sottoposto a valutazione,
sia all’impatto cumulativo che potrebbe prodursi in connessione con altro e
diverso piano o progetto.
---------------
12.5. Pure da accogliere è il quarto motivo di appello, concernente
l’impatto dell’inceneritore sulla conservazione dei siti naturali (aree
naturali protette, zone di protezione speciale e siti di importanza
comunitaria) e l’incidenza dei venti.
In un proprio precedente giurisprudenziale, il Consiglio di Stato (Sezione
IV, sentenza n. 4327 del 2017) ha già avuto modo di richiamare l’attenzione
sull’importanza del procedimento di valutazione d’incidenza di piani o
progetti che possano avere incidenze significative su un sito naturale,
singolarmente o congiuntamente ad altri piani e progetti, e tenuto conto
degli obiettivi di conservazione del sito stesso.
La valutazione d’incidenza, per come costantemente interpretata dalla
giurisprudenza della Corte di Giustizia e delle Corti nazionali, si applica
pertanto sia agli interventi che ricadono all’interno delle aree Natura 2000
(e delle Zone di protezione speciale), sia a quelli che, pur collocandosi
all’esterno, possono comportare ripercussioni sullo stato di conservazione
dei valori naturali tutelati nel sito.
L’art. 6, paragrafo 3, della direttiva 92/43, infatti, subordina il
requisito dell’opportuna valutazione dell’incidenza di un piano o di un
progetto alla condizione che vi sia una probabilità o un rischio che quest’ultimo
pregiudichi significativamente il sito interessato. Tenuto conto, in
particolare, del principio di precauzione, un tale rischio esiste qualora
non possa escludersi, sulla base di elementi obiettivi, che detto piano o
progetto pregiudichi significativamente il sito interessato.
La valutazione del rischio dev’essere effettuata segnatamente alla luce
delle caratteristiche e delle condizioni ambientali specifiche del sito
interessato da tale piano o progetto.
Nel contesto normativo italiano la valutazione di incidenza (VINCA) viene
disciplinata dall’art. 6 del d.p.r. n. 120/2003 (in G.U. n. 124 del
30.05.2003), che ha sostituito l’art. 5 del d.p.r. n. 357/1997, di
attuazione dei paragrafi 3 e 4 della citata direttiva “Habitat”.
È specificamente previsto che nella pianificazione e programmazione
territoriale si debba tenere conto della valenza naturalistico-ambientale
dei proposti siti di importanza comunitaria, dei siti di importanza
comunitaria e delle zone speciali di conservazione.
Sono, altresì, da sottoporre a valutazione di incidenza (comma 3), tutti gli
interventi non direttamente connessi e necessari al mantenimento in uno
stato di conservazione soddisfacente delle specie e degli habitat presenti
in un sito Natura 2000, ma che possono avere incidenze significative sul
sito stesso, singolarmente o congiuntamente ad altri interventi.
L’obiettivo di tutela che, pertanto, si prefigge il Legislatore, europeo e
nazionale, è quello massimo di conservazione dei siti, sia in via diretta
(per piani e progetti da ubicarsi all’interno dei siti protetti) sia in via
indiretta (per piani e progetti da ubicarsi al di fuori del perimetro delle
dette aree, ma idonei comunque ad incidere, per le caratteristiche tecniche
del progetto o la collocazione degli impianti o la conformazione del
territorio, sulle caratteristiche oggetto di protezione), con attenzione sia
all’impatto singolo del progetto specificamente sottoposto a valutazione,
sia all’impatto cumulativo che potrebbe prodursi in connessione con altro e
diverso piano o progetto (Consiglio di Stato, sezione VI, sentenza
14.10.2014, n. 5092).
Alla luce di tale quadro normativo, pertanto, si sarebbero dovuti sentire
gli enti di gestione preposti, valutando l’impatto dell’impianto
singolarmente considerato e cumulativamente rispetto ad altri piani o
progetti, tenuto conto delle concrete caratteristiche dei luoghi (direzione
dei venti)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 21.01.2019 n. 505 - link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
2013 |
|
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA: G.U.U.E.
21.12.2013 n. L 350 "DECISIONE
DI ESECUZIONE DELLA COMMISSIONE del 07.11.2013 che
adotta un settimo elenco aggiornato dei siti di importanza
comunitaria per la regione biogeografica continentale". |
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA: G.U.U.E.
21.12.2013 n. L 350 "DECISIONE
DI ESECUZIONE DELLA COMMISSIONE del 07.11.2013 che
adotta un settimo elenco aggiornato dei siti di importanza
comunitaria per la regione biogeografica alpina". |
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA: G.U.U.E.
21.12.2013 n. L 350 "DECISIONE
DI ESECUZIONE DELLA COMMISSIONE del 07.11.2013 che
adotta un settimo elenco aggiornato dei siti di importanza
comunitaria per la regione biogeografica mediterranea". |
AMBIENTE-ECOLOGIA - LAVORI PUBBLICI:
B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 50 del 12.12.2013, "Approvazione
del programma di interventi di manutenzione straordinaria
nelle aree protette regionali e di conservazione degli
habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della
fauna selvatiche, nei siti di rete natura 2000. Biennio
2014/2015"
(deliberazione
G.R. 05.12.2013 n. 1030). |
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 50 dell'11.12.2013,
"Adozione delle misure di conservazione relative ai siti
di interesse comunitario e delle misure sito-specifiche per
46 siti di importanza comunitaria (SIC), ai sensi del d.p.r.
357/97 e s.m.i. e del d.m. 184/2007 e s.m.i." (deliberazione
G.R. 05.12.2013 n. 1029). |
URBANISTICA:
AREE PROTETTE – SIC e ZPS – Valutazione
di incidenza – Disciplina – Regione Siciliana – L.r. n.
13/2007 - Competenze – Fattispecie.
La normativa di cui al D.P.R. n. 357/1997 (di recepimento
delle direttive UE 92/43 e CEE 79/409) successivamente
modificato dal D.P.R. n. 120/2003, distingue e definisce le
aree sottoposte a speciale protezione in siti di importanza
comunitaria e zone di speciale conservazione, dettando uno
specifico regime autorizzatorio per gli interventi che
debbano essere realizzati anche da enti pubblici in tali
aree.
In particolare, questi interventi sono soggetti ad una
speciale procedura, denominata valutazione di incidenza, che
è disciplinata dall'art. 5 del citato D.P.R. ed è simile
alla valutazione di impatto ambientale, con la quale si
fonde nel caso di interventi che debbano essere sottoposti
ad entrambe le procedure. Anche in tal caso, la normativa
prevede, infatti, che il soggetto che voglia proporre la
realizzazione di un intervento all’interno di aree di
rilevanza comunitaria debba predisporre uno studio, volto ad
individuare e valutare gli effetti che l'intervento proposto
possa avere sull'area protetta, tenuto conto degli obiettivi
di conservazione della medesima.
La normativa in esame contempla anche l’ipotesi in cui le
aree oggetto di rilevanza comunitaria ricadano interamente o
parzialmente all'interno di un’area protetta dalla
legislazione nazionale, prescrivendo che in tal caso, ai
fini della valutazione d'incidenza, che deve essere
preventivamente acquisita dall’Autorità compente al rilascio
dei titoli abilitativi, deve essere sentito anche l'ente cui
è affidata la gestione dell’area protetta. Le disposizioni
dettate a livello nazionale dar citato d.P.R. sono state, a
loro volta, recepite anche dal legislatore regionale
siciliano: in particolare, la Legge Regionale n. 13
dell’08.05.2007, all’art. 1, contenente disposizioni in
favore dell'esercizio di attività economiche in siti SIC e
ZPS, stabilisce che le determinazioni sulle valutazioni
d'incidenza, previste dall’art. 5 del d.P.R. n. 357/1997
sono attribuite ai Comuni, nel cui territorio insistono i
siti SIC e ZPS.
Le valutazioni di incidenza che interessino i siti SIC e ZPS
ricadenti all’interno di parchi naturali sono di competenza
dell'Ente parco. In attuazione di tali disposizioni, il
Decreto Assessoriale del 30.03.2007 stabilisce che, quando
l’intervento ricade in SIC o ZPS che ricadono in un'area
naturale protetta, la valutazione d’incidenza è effettuata
previo parere dell'ente gestore. Il Decreto Assessoriale
22.10.2007, invece, prescrive che la valutazione d'incidenza
non è rilasciata dar Comune, se tale ente coincide con
I'ente proponente l'intervento soggetto a tale valutazione.
In tal caso la valutazione d’incidenza e rilasciata
dall’Assessorato. (fattispecie relativa d un intervento –di
cui era soggetto promotore il Comune- da realizzare
all’interno di SIC e ZPS, in zona di pre-riserva: in
applicazione dell’indicata normativa, il Comune avrebbe
dovuto acquisire il parere dell’ente gestore della riserva
ed avviare la procedura di valutazione d’incidenza, di
competenza dell’Assessorato regionale; i successivi
interventi, ricadenti entro l’area della riserva, avrebbero
invece dovuto essere sottoposti alla valutazione di
incidenza di competenza dello stesso ente gestore)
(TRIBUNALE di Agrigento, Sez. I penale,
sentenza 16.09.2013 n. 432 - tratto da
www.ambientediritto.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA:
B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 37 del 10.09.2013, "Determinazioni
relative alle misure di conservazione per la tutela delle
ZPS lombarde – modifiche alle deliberazioni 9275/2009 e
18453/2004, classificazione della ZPS IT2030008 «Il Toffo» e
nuova individuazione dell’ente gestore del SIC IT2010016 «Val
Veddasca»" (deliberazione
G.R. 06.09.2013 n. 632).
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ZPS, norme più semplici per le strade agro-silvo-pastorali.
Terzi: «Necessarie per mantenimento attività montane a
rischio spopolamento».
D’ora in poi sarà più semplice realizzare strade
agro-silvo-pastorali nelle ZPS (Zone di Protezione Speciale)
lombarde. A deciderlo è stata la Giunta regionale su
proposta dell’Assessore all’Ambiente, Energia e Sviluppo
Sostenibile Claudia Maria Terzi: «Da tempo –spiega
l’Assessore– gli agricoltori delle zone di montagna, e con
loro i rappresentanti degli Enti locali, chiedevano un
intervento per rendere meno macchinosa la realizzazione
delle strade necessarie a garantire il mantenimento delle
attività agro-silvo-pastorali».
RISCHIO SPOPOLAMENTO MONTAGNE
– «In particolare –continua Terzi– più volte hanno segnalato
che la difficoltà a raggiungere pascoli e alpeggi metteva a
rischio l’economia delle montagne (vanificando perdipiù
paralleli interventi regionali di incentivo
all’agricoltura), con il conseguente abbandono delle
attività tradizionali e il progressivo spopolamento delle
comunità di montagna. Quest’ultimo ha impatti devastanti
anche sull’ambiente: storicamente, le nostre sono montagne
abitate, per mantenerne l’equilibrio ecosistemico è
necessario provvedere alla pulizia dei boschi e al taglio
dell’erba. Se queste attività mancano, aumenta la
possibilità d’incendi e quindi il rischio che gli habitat
protetti vengano distrutti».
NOVITÀ NORMATIVE
– Per questo, il divieto di realizzare “nuove strade
permanenti e l’asfaltatura delle strade agro-silvo-pastorali
e delle piste forestali salvo che per ragioni di sicurezza e
incolumità pubblica ovvero di stabilità dei versanti” è
stato sostituito con il divieto di realizzare “nuove strade
permanenti ad eccezione delle strade agro-silvo-pastorali di
cui sia documentata la necessità al fine di garantire il
mantenimento delle attività agro-silvo-pastorali con
particolare riferimento al recupero e alla gestione delle
aree aperte a vegetazione erbacea, al mantenimento e
recupero delle aree a prato pascolo, alla pastorizia”.
In
ogni caso, le strade dovranno essere previste nei Piani
comprensoriali di sviluppo e gestione degli alpeggi o nei
piani della viabilità agro-silvo-pastorali e dovrà essere
valutata l’incidenza che la loro realizzazione potrebbe
avere rispetto agli obiettivi di conservazione degli habitat
e delle specie presenti nei siti protetti. Resta vietata
l’asfaltatura delle strade agro-silvo-pastorali e delle
piste forestali salvo che per ragioni di sicurezza e
incolumità pubblica ovvero di stabilità dei versanti.
VICINANZA A MONTAGNA
– «Con questo provvedimento –conclude Terzi– vogliamo
mostrare la nostra vicinanza a coloro che la montagna la
vivono tutti i giorni e contribuiscono, con il loro lavoro,
a mantenere integri gli habitat della fauna delle aree
protette. Né ci fermeremo qui: la nostra intenzione è di
coniugare sempre più sviluppo rurale e protezione della
biodiversità»
(27.09.2013 - link a
http://claudiaterzi.wordpress.com). |
EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: L’articolo
6, paragrafo 3, della direttiva 92/43/CEE del Consiglio, del
21.05.1992, relativa alla conservazione degli habitat
naturali e seminaturali e della flora e della fauna
selvatiche, deve essere interpretato nel senso che un piano
o un progetto non direttamente connesso o necessario alla
gestione di un sito pregiudicherà l’integrità di tale sito
se è atto a impedire il mantenimento sostenibile delle
caratteristiche costitutive dello stesso, connesse alla
presenza di un habitat naturale prioritario, per conservare
il quale, il sito in questione è stato designato nell’elenco
dei siti di importanza comunitaria (SIC) conformemente alla
suddetta direttiva.
Ai fini di tale valutazione occorre applicare il principio
di precauzione.
L’articolo 6, paragrafo 3, della direttiva «habitat» prevede
una procedura di valutazione volta a garantire, mediante un
controllo preventivo, che un piano o un progetto non
direttamente connesso o necessario alla gestione del sito
interessato, ma idoneo ad avere incidenze significative
sullo stesso, sia autorizzato solo se non pregiudicherà
l’integrità di tale sito (v. sentenza Waddenvereniging e
Vogelbeschermingsvereniging, cit., punto 34, nonché sentenza
del 16.02.2012, Solvay e a., C‑182/10, non ancora pubblicata
nella Raccolta, punto 66).
Detta disposizione prevede così due fasi. La prima, di cui
al primo periodo della stessa disposizione, richiede che gli
Stati membri effettuino un’opportuna valutazione
dell’incidenza di un piano o un progetto su un sito protetto
quando è probabile che tale piano o progetto pregiudichi
significativamente detto sito (v., in tal senso, sentenza
Waddenvereniging e Vogelbeschermingsvereniging, cit., punti
41 e 43).
Ebbene, un piano o un progetto non direttamente connesso o
necessario alla gestione di un sito che rischi di
comprometterne gli obiettivi di conservazione deve essere
ritenuto pregiudicare significativamente tale sito. La
valutazione di detto rischio va effettuata segnatamente alla
luce delle caratteristiche e delle condizioni ambientali
specifiche del sito interessato da un tale piano o progetto
(v., in tal senso, sentenza Waddenvereniging e
Vogelbeschermingsvereniging, cit., punto 49).
La seconda fase, di cui all’articolo 6, paragrafo 3, secondo
periodo, della direttiva «habitat», che interviene una volta
effettuata detta opportuna valutazione, subordina
l’autorizzazione di un tale piano o progetto alla condizione
che lo stesso non pregiudichi l’integrità del sito
interessato, fatte salve le disposizioni del paragrafo 4 del
medesimo articolo.
A tale riguardo, al fine di contestualizzare la portata
dell’espressione «pregiudica l’integrità del sito», occorre
precisare che, come ha rilevato l’avvocato generale al
paragrafo 43 delle sue conclusioni, le disposizioni
dell’articolo 6 della direttiva «habitat» devono essere
interpretate come un insieme coerente con riferimento agli
obiettivi di conservazione perseguiti dalla direttiva. In
effetti, i paragrafi 2 e 3 di detto articolo mirano ad
assicurare uno stesso livello di protezione degli habitat
naturali e degli habitat delle specie (v., in tal senso,
sentenza del 24.11.2011, Commissione/Spagna, C‑404/09, non
ancora pubblicata nella Raccolta, punto 142), mentre il
paragrafo 4 del medesimo articolo costituisce solo una
disposizione in deroga al secondo periodo del paragrafo 3.
La Corte ha già affermato che le disposizioni dell’articolo
6, paragrafo 2, della direttiva «habitat» consentono di
rispondere all’obiettivo essenziale della preservazione e
della protezione della qualità dell’ambiente, compresa la
conservazione degli habitat naturali nonché della fauna e
della flora selvatiche, e stabiliscono un obbligo di tutela
generale, al fine di evitare degrado o perturbazioni che
possano avere conseguenze significative per quanto riguarda
gli obiettivi di tale direttiva (sentenza del 14.01.2010,
Stadt Papenburg, C‑226/08, Racc. pag. I‑131, punto 49 e la
giurisprudenza ivi citata).
L’articolo 6, paragrafo 4, della direttiva «habitat» prevede
che, qualora, nonostante conclusioni negative nella
valutazione dell’incidenza effettuata in conformità
all’articolo 6, paragrafo 3, prima frase, di detta
direttiva, un piano o un progetto debba essere comunque
realizzato per motivi imperativi di rilevante interesse
pubblico, inclusi motivi di natura sociale o economica, e in
mancanza di soluzioni alternative, lo Stato membro adotti
ogni misura compensativa necessaria per garantire che la
coerenza globale di Natura 2000 sia tutelata (v. sentenze
del 20.09.2007, Commissione/Italia, C‑304/05, Racc. pag.
I‑7495, punto 81, e Solvay e a., cit., punto 72).
Ebbene, in quanto disposizione derogatoria rispetto al
criterio di autorizzazione previsto dal secondo periodo del
paragrafo 3 dell’articolo 6 della direttiva «habitat», il
paragrafo 4 del medesimo articolo può trovare applicazione
solo dopo che gli effetti di un piano o di un progetto siano
stati esaminati conformemente alle disposizioni di detto
paragrafo 3 (v. sentenza Solvay e a., cit., punti 73 e 74).
Ne consegue che le disposizioni dell’articolo 6, paragrafi
2‑4, della direttiva «habitat» impongono agli Stati membri
una serie di obblighi e di procedure specifiche intesi ad
assicurare, come risulta dall’articolo 2, paragrafo 2, della
medesima direttiva, il mantenimento o, se del caso, il
ripristino, in uno stato di conservazione soddisfacente,
degli habitat naturali e, in particolare, delle zone
speciali di conservazione.
Ora, a termini dell’articolo 1, lettera e), della direttiva
«habitat», lo stato di conservazione di un habitat naturale
è considerato «soddisfacente» segnatamente quando la sua
area di ripartizione naturale e le superfici che comprende
sono stabili o in estensione e la struttura e le funzioni
specifiche necessarie al suo mantenimento a lungo termine
esistono e possono continuare ad esistere in un futuro
prevedibile.
In proposito la Corte ha già affermato che le disposizioni
della direttiva «habitat» mirano a che gli Stati membri
adottino misure di salvaguardia appropriate al fine di
mantenere le caratteristiche ecologiche dei siti che
comprendono tipi di habitat naturali (v. sentenze del
20.05.2010, Commissione/Spagna, C‑308/08, Racc. pag. I‑4281,
punto 21, e del 24.11.2011, Commissione/Spagna, cit., punto
163).
Se ne deve inferire, di conseguenza, che, per non arrecare
pregiudizio all’integrità di un sito in quanto habitat
naturale, ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 3, secondo
periodo, della direttiva «habitat», lo si deve conservare in
uno stato soddisfacente, e ciò implica, come ha osservato
l’avvocato generale ai paragrafi 54‑56 delle sue
conclusioni, il mantenimento sostenibile delle
caratteristiche costitutive di tale sito, connesse alla
presenza di un tipo di habitat naturale, per conservare il
quale, il sito in questione è stato designato nell’elenco
dei SIC conformemente a detta direttiva.
L’autorizzazione di un piano o di un progetto, ai sensi
dell’articolo 6, paragrafo 3, della direttiva «habitat», può
quindi essere concessa solo a condizione che le autorità
competenti, una volta identificati tutti gli aspetti di
detto piano o progetto idonei, da soli o insieme ad altri
piani o progetti, a compromettere gli obiettivi di
conservazione del sito di cui trattasi, e allo stato della
scienza, abbiano acquisito la certezza che esso è privo di
effetti pregiudizievoli stabili per l’integrità di detto
sito. Ciò avviene quando non sussiste alcun dubbio
ragionevole da un punto di vista scientifico quanto
all’assenza di tali effetti (v., in tal senso, citate
sentenze del 24.11.2011, Commissione/Spagna, punto 99, e
Solvay e a., punto 67).
Al riguardo, si deve constatare che, dovendo l’autorità
negare l’autorizzazione per il piano o il progetto
considerato quando non è certa l’assenza di effetti
pregiudizievoli per l’integrità del sito, il criterio di
autorizzazione previsto all’articolo 6, paragrafo 3, secondo
periodo, della direttiva «habitat» integra il principio di
precauzione e consente di prevenire efficacemente i
pregiudizi all’integrità dei siti protetti dovuti ai piani o
progetti previsti. Un criterio di autorizzazione meno
rigoroso di quello in questione non può garantire in modo
altrettanto efficace la realizzazione dell’obiettivo di
protezione dei siti cui tende detta disposizione (sentenza
Waddenvereniging e Vogelbeschermingsvereniging, cit., punti
57 e 58).
Analoga valutazione s’impone a fortiori nel procedimento
principale, in quanto l’habitat naturale interessato dal
progetto stradale in questione rientra fra i tipi di habitat
naturali prioritari che l’articolo 1, lettera d), della
direttiva «habitat» definisce come «tipi di habitat naturali
che rischiano di scomparire» per la cui conservazione
l’Unione europea ha una «responsabilità particolare».
Le autorità nazionali competenti non possono, pertanto,
autorizzare gli interventi che rischiano di compromettere
stabilmente le caratteristiche ecologiche dei siti che
comprendono tipi di habitat naturali prioritari. Sarebbe
questo il caso qualora l’intervento rischi di condurre alla
scomparsa o alla distruzione parziale e irreversibile di un
tipo di habitat naturale prioritario presente sul sito
interessato (v., riguardo alla scomparsa di specie
prioritarie, citate sentenze del 20.05.2010,
Commissione/Spagna, punto 21, e del 24.11.2011,
Commissione/Spagna, punto 163).
Per quanto attiene alla valutazione effettuata ai sensi
dell’articolo 6, paragrafo 3, della direttiva «habitat»,
occorre precisare che essa non può comportare lacune e deve
contenere rilievi e conclusioni completi, precisi e
definitivi atti a dissipare qualsiasi ragionevole dubbio
scientifico in merito agli effetti dei lavori previsti sul
sito protetto in questione (v., in tal senso, sentenza del
24.11.2011, Commissione/Spagna, cit., punto 100 e la
giurisprudenza ivi citata). Spetta al giudice nazionale
verificare se la valutazione dell’incidenza sul sito
soddisfi tali condizioni
(Corte di Giustizia UE, Sez. III,
sentenza 11.04.2013
n.
C-258/11 - link a www.http://eur-lex.europa.eu). |
EDILIZIA PRIVATA: INTERVENTI EDILIZI IN ZONE SIC NON PRECEDUTI
DA VALUTAZIONE DI INCIDENZA E REATO EDILIZIO.
Integra il reato previsto dall’art. 44, comma 1, lett. b),
del D.P.R. 06.06.2001, n. 380 l’esecuzione di interventi
edilizi in zone individuate come SIC (siti di importanza
comunitaria), se non preceduta dalla valutazione di
incidenza
prevista dall’art. 5, comma 8, del D.P.R. 08.09.1997, n. 357 da parte della Regione territorialmente
competente.
Il tema oggetto di attenzione da parte della Suprema Corte
verte, nel caso in esame, sulla configurabilità o meno del
reato edilizio in caso di interventi eseguiti in zona
individuate
come siti di importanza comunitaria, in difetto della cd.
valutazione di incidenza prevista dalla vigente normativa.
La
vicenda processuale segue al rigetto da parte del tribunale
dell’istanza di riesame proposta dall’indagato insieme ad
altri
interessati avverso il decreto con cui il GIP aveva disposto
il sequestro preventivo di un fabbricato, da destinare a
residenza agricola, composto da piano terra e seminterrato
con relativa recinzione. Per tale fabbricato era stato
rilasciato
permesso di costruire, che, a giudizio del tribunale adito
deve considerarsi illegittimo in quanto non ha tenuto conto
del vincolo SIC/ZPS (sito di interesse comunitario e zona di
protezione speciale) istituito con la legge regionale per
l’area
nella quale risulta ubicato il terreno di insediamento del
manufatto (si tratta di un’area ad alta concentrazione di
insediamenti
rupestri, necropoli e siti archeologici, caratterizzata
da fenomeni carsici e ricca di risorse naturalistiche).
La
mancata rilevazione di detto vincolo, in base
all’impostazione
accusatoria, ha comportato l’illegittimità del titolo
abilitativo
edilizio per l’omessa acquisizione della valutazione
d’incidenza
del progetto sull’area, la cui necessità è prescritta
dal D.P.R. 08.09.1997, n. 357, come modificato dal
D.P.R. 12 marzo 2003, n. 120. E' stato configurato,
pertanto,
in ragione dell’omissione, il reato di cui al D.P.R. 06.06.2001, n. 380, art. 44, lett. b). Contro l’ordinanza
proponeva
ricorso per Cassazione la difesa dell’indagato deducendo la
propria estraneità al fatto illecito contestato, sostenendo
di
essere solo l’attuale proprietario del fabbricato
assoggettato
a sequestro, mentre il permesso di costruire risulta
rilasciato
a suo padre.
La tesi non ha però convinto i giudici di legittimità che,
sul
punto, hanno respinto il ricorso, affermando il principio di
diritto
di cui in massima. La Corte, più nello specifico, ha
rilevato
che il D.P.R. 08.09.1997, n. 357 (Regolamento
recante attuazione della direttiva 92/43/CEE relativa alla
conservazione
degli habitat naturali e seminaturali, nonché della
flora e della fauna selvatiche), all’art. 5, comma 8, in
relazione
agli interventi da eseguirsi nelle zone individuate come
SIC (siti di interesse comunitario) stabilisce che «l’autorità
competente al rilascio dell’approvazione definitiva del
piano
o dell’intervento acquisisce preventivamente la valutatone
di
incidenza, eventualmente individuando modalità di
consultazione
del pubblico interessato dalla realizzazione degli stessi». Viene dunque chiaramente specificato che la valutazione
d’incidenza deve precedere il rilascio del titolo
abilitativo
edilizio.
La prevista procedura ha, infatti, lo scopo di
analizzare
e valutare gli effetti di una particolare attività
all’interno
dei siti d’importanza comunitaria, individuando anche
eventuali
misure per contenerne l’impatto e favorire la conservazione
dell’ambiente. Si tratta, quindi, di un procedimento
preventivo il cui scopo è, evidentemente, quello di
assicurare
un adeguato equilibrio tra la conservazione del sito ed un
uso sostenibile del territorio anche in ossequio ai principi
comunitari
di precauzione e prevenzione dell’azione ambientale.
Da qui, dunque, la necessità della previa valutazione
d’incidenza
che, in difetto, rende configurabile la violazione edilizia
ipotizzata (v., in senso conforme: Cass. pen., sez. III, 27.02.2012, n. 7613, in CED Cass., n. 252106)
(Corte di
Cassazione, Sez. III penale, sentenza 21.03.2013 n. 13037
- tratto da Urbanistica e appalti n. 6/2013). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: G.U.
21.02.2013 n. 44 "Sesto elenco aggiornato dei siti di
importanza comunitaria per la regione biogeografica alpina
in Italia" (Ministero dell'Ambiente e della Tutela
del Territorio e del Mare,
decreto 31.01.2013). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: G.U.
21.02.2013 n. 44 "Sesto elenco aggiornato dei siti di
importanza comunitaria per la regione biogeografica
continentale in Italia" (Ministero dell'Ambiente e
della Tutela del Territorio e del Mare,
decreto 31.01.2013). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: G.U.
21.02.2013 n. 44 "Sesto elenco aggiornato dei siti di
importanza comunitaria per la regione biogeografica
mediterranea in Italia" (Ministero dell'Ambiente e
della Tutela del Territorio e del Mare,
decreto 31.01.2013). |
2012 |
|
AMBIENTE-ECOLOGIA:
Cava di marmo.
Domanda
A che condizioni una cava di marmo all'interno di una Zona
di protezione speciale (Zps) può essere edificata?
Risposta
Il Tribunale amministrativo regionale Sicilia (Tar Sicilia),
Palermo, sezione seconda, con la sentenza del 21.04.2011, numero 784, ha affermato che l'inclusione di una area
adibita a cava di marmo all'interno di una Zona di
protezione speciale (Zps) non comporta una condizione
giuridica di inedificabilità assoluta. Si ha nel caso, per i
giudici amministrativi di Palermo una condizione giuridica
di inedificabilità relativa, subordinata al giudizio
positivo di Valutazione di impatto ambientale (Via) e di
Valutazione di incidenza ambientale (Vinca).
Per quanto
sopra la pubblica amministrazione ha l'obbligo di
pronunciarsi in materia in modo espresso sulla compatibilità
ambientale del progetto e sulla significatività della sua
incidenza rispetto agli obiettivi di conservazione del sito
medesimo. Per il predetto Tribunale amministrativo regionale
la pubblica amministrazione: «è tenuta a una puntuale
motivazione, che non solo è immanente alla natura negativa
dell'atto, ma è normativamente specificata nel suo
contenuto».
La Valutazione di impatto ambientale (Via), alla luce del
decreto legislativo 03.04.2006, numero 152, così come
novellato sia dal decreto legislativo del 16.01.2008,
numero 4, sia dal decreto legislativo del 29.06.2010,
numero 128, ha per finalità di proteggere la salute umana,
nonché contribuire, con un migliore ambiente, alla qualità
della vita. Ha pure lo scopo di provvedere al mantenimento
delle specie e di conservare la capacità di riproduzione
dell'ecosistema in quanto risorsa essenziale per la vita.
La Valutazione di incidenza ambientale (Vinca) ha un rilevo
settoriale, destinato alla particolare protezione di siti di
importanza comunitaria. Essa è disciplinata, come già
scritto, dal dpr 08.09.1997, numero 357, che contiene il
Regolamento recante attuazione della direttiva numero
92/43/Ce, relativa alla conservazione degli habitat naturali
e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche.
La Valutazione di incidenza ambientale (Vinca) riguarda,
quindi, piani, programmi pubblici e interventi pubblici e
privati che possono produrre effetti soltanto sulle aree
identificate e soggette a particolare tutela prevista dal
citato dpr 357/1997 (articolo
ItaliaOggi Sette del 10.09.2012). |
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA: Sulla
non assimilabilità dei SIC e delle ZPS alle
aree naturali protette di cui alla l.
394/1991.
Come si è evidenziato in narrativa, la
Regione appellante ha incentrato le proprie
tesi sulla non assimilabilità dei SIC e
delle ZPS alle aree naturali protette di cui
alla l. 394/1991.
In particolare, la Regione ha negato che una
siffatta assimilazione sia stata introdotta
dalla deliberazione del Comitato di cui
all’articolo 3 della legge n. 394 del 1991
adottata in data 02.12.1996.
Ebbene, ad avviso del Collegio l’appello in
epigrafe è meritevole di accoglimento
laddove osserva che la deliberazione da
ultimo richiamata non ha potuto sortire il
richiamato effetto di assimilazione per non
essere stata adottata nelle forme di legge.
Ed infatti, l’articolo 3, comma 4, lettera
c), della legge n. 394, cit. demanda al
Comitato (inter alia) il compito di
approvare l’elenco ufficiale delle aree
naturali protette previo esperimento di un
iter procedurale il quale vede il
coinvolgimento della Commissione per la
tutela delle aree protette (in seguito:
della Conferenza permanente per i rapporti i
fra lo Stato e le regioni e le province
autonome di Trento e Bolzano).
In particolare, l’iter in questione
contempla:
a) l’espletamento di una fase istruttoria
preliminare, svolta da un’apposita
segreteria tecnica;
b) la presentazione di una proposta di
aggiornamento dell’elenco delle aree
naturali protette da parte del competente
Ministero dell’Ambiente (in seguito:
Ministero dell’ambiente e della tutela del
territorio e del mare);
c) l’approvazione della proposta ad opera
del comitato;
d) l’effettivo aggiornamento dell’elenco
delle aree naturali protette.
Ebbene, risulta in atti che nel caso in
esame l’iter dinanzi sinteticamente
descritto non sia stato osservato e che,
conseguentemente, non possa ritenersi che
l’atto del Comitato in data 02.12.1996 possa
tenere il luogo di una modifica dell’elenco
delle aree naturali protette (del resto, il
Comitato in parola non ha mai provveduto ad
aggiornare l’elenco conformemente a quanto
deliberato con l’atto in questione).
Ne consegue che venga meno lo stesso
presupposto logico posto a fondamento della
pronuncia in epigrafe (ossia, la circostanza
per cui la delibera regionale impugnata in
primo grado avrebbe comportato misure di
conservazione delle ZPS nella Regione
Campania di carattere peggiorativo rispetto
a quanto stabilito ai sensi del comma 3
dell’articolo 4 del d.P.R. n. 357 del 1997).
E infatti, l’argomento fatto proprio dai
primi Giudici (il quale si fonda sulla
disposizione secondo cui, laddove una ZPS
ricada all’interno di un’area naturale
protetta, si applicano le misure di tutela
previste per le stesse ZPS) potrebbe essere
condiviso solo laddove fosse valida la sua
premessa maggiore (ossia, il fatto che la
delibera del Comitato del dicembre 1996
abbia determinato l’effettiva assimilazione
fra le ZPS e le aree protette di cui alla
l.n. 394 del 1991).
Tuttavia, una volta caduta –per le ragioni
dinanzi richiamate– la predetta
assimilazione, vengono conseguentemente a
cadere anche le ulteriori ragioni in base
alle quali il TAR ha rilevato
l’illegittimità della più volte richiamata
delibera regionale
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza
18.05.2012 n. 2885
- link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA: G.U.
03.04.2012 n. 79:
● "Quinto elenco aggiornato dei siti di
importanza comunitaria per la regione
biogeografica alpina in Italia, ai sensi
della direttiva 92/43/CEE" (Ministero
dell'Ambiente e della Tutela del Territorio
e del Mare,
decreto 07.03.2012);
● "Quinto elenco aggiornato dei siti di
importanza comunitaria per la regione
biogeografica continentale in Italia, ai
sensi della direttiva 92/43/CEE"
(Ministero dell'Ambiente e della Tutela del
Territorio e del Mare,
decreto 07.03.2012).
● "Quinto elenco aggiornato dei siti di
importanza comunitaria per la regione
biogeografica mediterranea in Italia, ai
sensi della direttiva 92/43/CEE"
(Ministero dell'Ambiente e della Tutela del
Territorio e del Mare,
decreto 07.03.2012). |
URBANISTICA:
B.U.R. Lombardia n. 9 del 02.03.2012 "Istruzioni per la
pianificazione locale della RER – febbraio 2012" (comunicato
regionale 27.02.2012 n. 25). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA:
G.U.U.E. 13.01.2012 n. L 11 "DECISIONE
DI ESECUZIONE DELLA COMMISSIONE del 18.11.2011 che
adotta un quinto elenco aggiornato dei siti di importanza
comunitaria per la regione biogeografica continentale
[notificata con il numero C(2011) 8278]". |
2011 |
|
EDILIZIA PRIVATA: La
circostanza che l’area sulla quale insistono
le opere contestate sia inserita in un
ambito territoriale designato quale Sito di
Importanza Comunitaria (SIC) e Zona di
Protezione Speciale (ZPS), non determina
l’applicazione della disciplina
paesaggistica dettata dal d.lgs. n. 42 del
2004.
Con il ricorso introduttivo del presente
giudizio è stata impugnata l’ordinanza con
la quale l’amministrazione comunale ha
ingiunto, successivamente al rigetto della
domanda di sanatoria, la demolizione ed il
ripristino dello stato dei luoghi in
relazione ad opere edilizie abusive
realizzate sull’immobile in proprietà del
ricorrente, insistente su area sottoposta a
vincolo paesaggistico.
...
Come correttamente rilevato dalla difesa del
ricorrente, la circostanza che l’area sulla
quale insistono le opere contestate sia
inserita in un ambito territoriale designato
quale Sito di Importanza Comunitaria e Zona
di Protezione Speciale, non determina
l’applicazione della disciplina
paesaggistica dettata dal d.lgs. n. 42 del
2004.
I Siti di Importanza Comunitaria e le Zone
di Protezione Speciale sono stati previsti
dalla Direttiva Habitat 92/43/CEE, emanata
dalla Comunità Europea il 21.05.1992 e
recepita nell’ordinamento nazionale con
D.P.R. n. 357 del 1997, successivamente
modificato con il D.P.R. n. 120 del 2003.
La ratio sottesa ai suddetti
interventi normativi è quella della
conservazione e tutela degli habitat
naturali e seminaturali nonché della flora e
fauna selvatica. A tal fine, è stata dettata
una specifica disciplina che prevede
particolari procedure nonché l’introduzione
della Valutazione di Incidenza, la quale
costituisce istituto del tutto distinto
dall’autorizzazione paesaggistica
disciplinata dall’art. 146 del d.lgs. n. 42
del 2004. Inoltre, contrariamente a quanto
sostenuto dall’amministrazione comunale,
l’applicazione del d.lgs. n. 42 del 2004 non
può farsi discendere, nella fattispecie,
neanche dalla previsione dell’art. 142,
comma 1, lett. f), ai sensi della quale “sono
comunque sottoposti alle disposizioni di
questo Titolo per il loro interesse
paesaggistico (….) i parchi e le riserve
nazionali o regionali, nonché i territori di
protezione esterna dei parchi”;
Ai fini dell’applicazione della suddetta
disposizione, non può ritenersi sufficiente
la circostanza che l’area de qua sia
stata inserita, quale zona a previsto parco
naturale, nel Piano Territoriale Regionale
di Coordinamento (PTRC) nonché nel Piano
Territoriale Provinciale (PTP). Infatti,
sebbene il PTRC assuma la valenza –in forza
delle previsioni della l.r. n. 11 del 2004,
che hanno sostanzialmente confermato quanto
già in precedenza disposto dalla l.r. n. 9
del 1986 e dalla l.r. n. 18 del 2006– di "piano
urbanistico-territoriale con specifica
considerazione dei valori paesaggistici",
ciò non determina l’applicazione della
normativa dettata dal d.lgs. n. 42 del 2004.
Dunque, in mancanza di un provvedimento
istitutivo del parco, allo stato solo
previsto a livello di pianificazione
regionale e provinciale, ed in mancanza
dell’approvazione dei Piani Paesaggistici
previsti dagli artt. 143 e 156 del d.lgs. n.
42 del 2004, del tutto illegittimamente
l’amministrazione comunale ha applicato la
disciplina prevista dall’art. 167 del
suddetto testo normativo.
In conclusione, la domanda di annullamento
va accolta, con assorbimento delle restanti
censure, e vanno annullate sia l'ordinanza
n. 55/2010 (prot. n. 10700/2010) del
05.10.2010 sia il provvedimento comunale n.
10/2011 del 12.04.2011, anche questo fondato
sul medesimo erroneo presupposto
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 11.10.2011 n. 1535 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
AREE PROTETTE - SIC e ZPS - DPR
357/1997, art. 5, c. 3 - Intervento di
lottizzazione - Inderogabile assoggettamento
a previa valutazione di incidenza ambientale
- Prescrizioni di cui all’All. G del DPR
357/1997.
L'intervento di lottizzazione ricadente
nella perimetrazione di un SIC e, per di
più, nell'ambito di una zona speciale di
conservazione, era inderogabilmente
soggetto, nelle more della definizione a
livello comunitario delle procedure
istitutive della rete Natura 2000, in forza
dell’art. 5 comma 3^ del DPR 357/1997, come
modificato dall’art. 6 del DPR 120/2003 (che
non ammette esenzioni, se non nei limiti di
cui ai commi 9 e 10), alla previa
valutazione d'incidenza ambientale, i cui
contenuti non solo non possono essere
generici od approssimativi, ma devono al
contrario risultare puntuali ed esaurienti,
dal punto di vista tecnico-scientifico,
rispetto alle analitiche prescrizioni
dell'Allegato G del DPR 357/1997; e ciò con
riferimento a tutti i possibili effetti
sulla flora, sulla fauna e sugli habitat
d'interesse comunitario presenti nel sito
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 26.04.2011 n. 695 - link
a www.ambientediritto.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA: G.U.
04.04.2011 n. 77, suppl. ord. n. 90, "Quarto
elenco aggiornato dei siti di importanza
comunitaria per la regione biogeografica
continentale in Italia ai sensi sella
direttiva 92/43/CEE" (Ministero
dell'Ambiente e della Tutela del Territorio
e del Mare,
decreto 14.03.2011). |
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA: G.U.
04.04.2011 n. 77, suppl. ord. n. 90, "Quarto
elenco aggiornato dei siti di importanza
comunitaria per la regione biogeografica
mediterranea in Italia ai sensi sella
direttiva 92/43/CEE" (Ministero
dell'Ambiente e della Tutela del Territorio
e del Mare,
decreto 14.03.2011). |
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA: G.U.
04.04.2011 n. 77, suppl. ord. n. 90, "Quarto
elenco aggiornato dei siti di importanza
comunitaria per la regione biogeografica
alpina in Italia ai sensi sella direttiva
92/43/CEE" (Ministero dell'Ambiente e
della Tutela del Territorio e del Mare,
decreto 14.03.2011). |
EDILIZIA PRIVATA:
Beni ambientali. Valutazione di
incidenza e permesso di costruire.
La valutazione incidenza prevista dal D.P.R.
08.09.1997, n. 357 per gli interventi da
eseguirsi nelle zone individuate come SIC
(siti di interesse comunitario) avendo ad
oggetto l’analisi dei possibili effetti che
gli interventi medesimi possono avere su
detti siti con riferimento agli obiettivi di
conservazione, deve necessariamente
precedere il rilascio del titolo abilitativo
edilizio del quale costituisce requisito di
efficacia (Corte di Cassazione, Sez. III
penale,
sentenza 09.03.2011 n. 9308 -
link a www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA:
G.U.U.E. 08.02.2011 n. L 33 "DECISIONE
DELLA COMMISSIONE del 10.01.2011
che adotta, ai sensi della direttiva
92/43/CEE del Consiglio, un quarto elenco
aggiornato dei siti di importanza
comunitaria per la regione biogeografica
alpina [notificata con il numero C(2010)
9663]" (link a
http://eur-lex.europa.eu). |
2010 |
|
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA:
AREE PROTETTE - Siti di
importanza comunitaria - Piani e progetti -
Valutazione di incidenza - Natura - Mezzo
preventivo di tutela dell’ambiente.
La procedura di valutazione di incidenza è,
per sua natura, finalizzata alla verifica e
valutazione degli effetti di attività ed
interventi su siti di importanza comunitaria
ed all’individuazione delle idonee misure di
mitigazione, volte a prevenire il
deterioramento dei medesimi. Ne consegue che
la valutazione di incidenza si configura
come un mezzo preventivo di tutela
dell’ambiente, che si deve svolgere prima
dell’approvazione del progetto, il quale
deve poter essere modificato secondo le
prescrizioni volte ad eliminare o ridurre
l’incidenza negativa dell’opera progettata.
AREE PROTETTE - Siti di
importanza comunitaria - Valutazione di
incidenza - Carattere della necessaria
previetà - Principi di precauzione e di
prevenzione - Valutazione di incidenza
postuma - Illegittimità.
Il carattere della necessaria previetà della
procedura di valutazione di incidenza è
funzionale al rispetto dei precetti
comunitari e nazionali improntati ai
principi di precauzione e prevenzione
dell’azione ambientale, secondo quanto
emerge anche dall’esegesi della c.d. “direttiva
habitat” (n. 92/43/CEE) seguita dalla
giurisprudenza comunitaria (in termini Corte
Giustizia CE, 07.09.2004, in causa
C-127/02; con riferimento alla V.I.A. :
Corte Giustizia CE, 03.07.2008, in causa
C-215/06; Corte Giustizia CE, 05.07.2007, in
causa C-255/05).
Il necessario corollario di tale postulato è
quello per cui la valutazione di incidenza
postuma alle autorizzazioni (ed in
particolare al permesso di costruire)
presupponenti un progetto definitivo
dell’opera deve considerarsi illegittima (in
termini, con riferimento al contiguo tema
della V.I.A., TAR Sicilia, Palermo, Sez. I,
20.01.2010, n. 583).
AREE PROTETTE - Siti di
importanza comunitaria - Valutazione di
incidenza - Atto a funzione prodromica
rispetto al provvedimento autorizzatorio.
La valutazione di incidenza si caratterizza
come “atto a funzione prodromica”
rispetto al provvedimento autorizzatorio,
che deve dunque precedere, per potere così
utilmente concorrere alla valutazione
ponderata degli interessi (cfr., in materia
di pareri, Cons. Stato, Sez. IV, 12.06.1998,
n. 941; TAR Liguria, Sez. I, 22.07.2005, n.
1080 secondo cui è inammissibile l’esercizio
ex post della funzione consultiva, a
sanatoria, dovendo il parere necessariamente
precedere la decisione dell’organo
deliberante).
AREE PROTETTE -
Valutazione di incidenza - Art. 29 d.lgs. n.
152/2006 - V.I.A. - Applicazione analogica -
Istituto della sanatoria - Configurabilità -
Esclusione.
Nella materia coinvolgente l’interesse
ambientale, ad escludere la possibilità di
una valutazione di incidenza postuma
concorre, sul piano dell’interpretazione
analogica, anche la disposizione dell’art.
29 del codice dell’ambiente (d.lgs.
03.04.2006, n. 152), il cui primo comma, con
riferimento alla V.I.A., dopo avere premesso
che detta valutazione è atto presupposto, o
parte integrante del procedimento di
autorizzazione od approvazione del progetto,
sancisce che «i provvedimenti di
autorizzazione o approvazione adottati senza
la previa valutazione di impatto ambientale,
ove prescritta, sono annullabili per
violazione di legge», sembrando così
escludere ogni possibilità di sanatoria
(cfr. seppure in chiave di lettura
comunitaria, TAR Lombardia-Brescia, nella
sentenza 11.08.2007, n. 726; cfr. altresì
Ad. Gen. del Consiglio di Stato, parere del
25.01.1996 e, con specifico riferimento ai
titoli edilizi, Cons. Stato, Sez. VI,
24.09.2004, n. 6255) (TAR Umbria, Sez. I,
sentenza 24.08.2010 n. 429 - link
a www.ambientediritto.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA: G.U.
24.08.2010 n. 197, suppl. ord. n. 205:
- "Terzo elenco aggiornato dei siti di
importanza comunitaria per la regione
biogeografica alpina in Italia, ai sensi
della direttiva 92/43/CEE" (Ministero
dell'Ambiente e della Tutela del Territorio
e del Mare,
decreto 02.08.2010);
- "Terzo elenco aggiornato dei siti di
importanza comunitaria per la regione
biogeografica continentale in Italia, ai
sensi della direttiva 92/43/CEE"
(Ministero dell'Ambiente e della Tutela del
Territorio e del Mare,
decreto 02.08.2010);
- "Terzo elenco aggiornato dei siti di
importanza comunitaria per la regione
biogeografica mediterranea in Italia, ai
sensi della direttiva 92/43/CEE"
(Ministero dell'Ambiente e della Tutela del
Territorio e del Mare,
decreto 02.08.2010). |
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA:
G.U. 31.05.2010 n. 125, suppl. ord. n. 115,
"Approvazione dello schema aggiornato
relativo al VI Elenco ufficiale delle aree
protette, ai sensi del combinato disposto
dell’articolo 3, comma 4, lettera c), della
legge 06.12.1994, n. 394 e dall’articolo 7,
comma 1, del decreto legislativo 28.08.1997,
n. 281" (Ministero dell'Ambiente e
della Tutela del Territorio e del Mare,
decreto 27.04.2010). |
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA: G.U.U.E.
02.02.2010 n. L 30/1, "DECISIONE
DELLA COMMISSIONE del 22.12.2009
che adotta, ai sensi della direttiva
92/43/CEE del Consiglio, un terzo elenco
aggiornato dei siti di importanza
comunitaria per la regione biogeografica
alpina" (link a http://eur-lex.europa.eu). |
2009 |
|
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA:
AREE PROTETTE - S.I.C. -
Aggiornamento dei siti e della loro
delimitazione - Potere regionale -
Coordinamento e informazione - Potere
ministeriale - Art. 3, c. 4-bis del d.P.R.
n. 357/1997 - Direttiva habitat (92/43/CEE).
L’art. 3, comma 4-bis, del d.P.R. n.
357/1997, della direttiva 92/43/CEE (c.d.
direttiva habitat)attribuisce alle Regioni
ed alle Province autonome di Trento e
Bolzano, il potere di valutazione periodica
dell’idoneità dei siti all’attuazione degli
obiettivi di tutela ambientale propri della
direttiva, in seguito alla quale possono
proporre un aggiornamento dei siti e della
loro delimitazione al Ministero
dell’Ambiente, che ne cura la trasmissione
alla Commissione europea.
Di conseguenza, mentre alle Regioni è
attribuito un potere di valutazione e di
proposta in ordine alla eventuale
riparametrazione dei SIC, il Ministero ha un
potere di coordinamento e di informazione
(TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 29.12.2009 n. 6268 -
link a www.ambientediritto.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA:
AREE PROTETTE - SIC e ZPS -
Valutazione di incidenza - Direttiva
92/43/CEE - Guida interpretativa - Piani
settoriali soggetti a valutazione di
incidenza - Piano di classificazione
acustica - Esclusione - Ragioni.
La Commissione CE ha diramato la Guida
interpretativa dell’art. 6 della direttiva
92/43/CEE, in cui sono definiti i criteri in
base ai quali si può ritenere che un piano o
un progetto siano tali da avere incidenza
sui valori tutelati dalla citata direttiva.
Alle pagine 30 e seguenti del documento (in
particolare al punto 4.3.2.) la Commissione
afferma che anche i Piani settoriali sono
soggetti alla valutazione di incidenza, ma,
nel richiamare alcune tipologie di piani
settoriali, menziona quelli relativi alle
reti dei trasporti, quelli inerenti la
gestione dei rifiuti o quelli relativi alla
gestione dell’acqua, ossia tutti piani che,
pur non essendo direttamente connessi e
necessari alla gestione dei siti di
importanza comunitaria, hanno comunque
un’incidenza significativa sugli habitat
ricompresi nell’ambito di applicazione dei
piani stessi.
A parte la valenza non precettiva del citato
documento, ciò che rileva è il fatto che non
ogni piano o progetto teoricamente
interferente con il bene ambiente è soggetto
a valutazione di incidenza, altrimenti non
ci sarebbe stato alcun bisogno di
un’interpretazione autentica da parte delle
Istituzioni comunitarie, dovendo essere
sottoposto a valutazione di incidenza
qualsiasi piano. Ne consegue che può
ritenersi escluso falla valutazione di
incidenza il piano di classificazione
acustica, il quale non ha natura urbanistica
e non implica di per sé conseguenze
sull’ambiente, attesa la funzione che ad
esso riconnette la legge istitutiva.
Tale funzione è più che altro quella di
“fotografare” il territorio comunale dal
punto di vista acustico, nel mentre gli atti
di pianificazione (generale o esecutiva)
capaci di incidere direttamente sull’habitat
sono quelli urbanistici e quelli relativi
alla realizzazione di opere pubbliche o
private che presentano un certo impatto
ambientale.
AREE PROTETTE - ZPS -
Attività umane teoricamente incompatibili
con le esigenze di tutela ambientale -
Normativa comunitaria - Valutazione di
incidenza.
La delimitazione delle Z.P.S. non sempre è
tale da consentire di poter scindere in
maniera netta le zone ancora “incontaminate”
e quelle già antropizzate, per cui è del
tutto possibile che una Z.P.S. inglobi al
suo interno aree che, in base ai vigenti
strumenti urbanistici, ospitano attività
umane teoricamente incompatibili con le
esigenze di tutela ambientale.
Peraltro, la normativa comunitaria non vieta
le attività umane all’interno dei siti
compresi nella rete Natura 2000, ma le
condiziona alla positiva valutazione di
incidenza, la quale, a sua volta, è
subordinata alla verifica della non
compromissione di habitat naturali (TAR
Marche, Sez. I,
sentenza 29.09.2009 n. 930 - link
a www.ambientediritto.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA:
F. Albanese,
La valutazione d’incidenza ex art. 5 del
D.P.R. 357/1997 come parere obbligatorio,
preventivo e vincolante (link a
www.lexambiente.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA: G.U.
09.07.2009 n. 157 "Elenco delle Zone di
protezione speciale (ZPS) classificate ai
sensi della direttiva 79/409/CEE"
(Ministero dell'Ambiente e della Tutela del
Territorio e del Mare,
decreto 19.06.2009). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA:
AREE PROTETTE - Protezioni degli
habitat naturali - Zone speciali di
conservazione (ZSC) - Procedimento di
classificazione - Rete ecologica denominata
«Natura 2000» - Obiettivi di conservazione -
Soggetti interessati dalla decisione.
L'art. 4 della direttiva «habitat»,
disciplina un procedimento di
classificazione dei siti naturali in zone
speciali di conservazione (ZSC),
procedimento che deve tra altro consentire,
come risulta dall'art. 3, n. 2, della
medesima direttiva, la realizzazione di una
rete ecologica europea coerente di ZSC,
denominata «Natura 2000», che è formata da
siti in cui si trovano tipi di habitat
naturali e habitat delle specie figuranti
nell'allegato I e rispettivamente
nell'allegato II della detta direttiva e che
deve garantire il mantenimento ovvero,
all'occorrenza, il ripristino, in uno stato
di conservazione soddisfacente, dei tipi di
habitat naturali e degli habitat delle
specie interessati nella loro area di
ripartizione naturale (v., in questo senso,
sentenza 07/11/2000, causa C-371/98, First
Corporate Shipping). Sicché, la decisione
controversa, la quale contempla una serie di
territori classificati come siti di
importanza comunitaria al fine di consentire
la realizzazione della detta rete «Natura
2000», ha, nei confronti di ogni
interessato, una portata generale in quanto
si applica a tutti gli operatori che, a
qualsivoglia titolo, esercitano o possono
esercitare, sui territori considerati,
attività che possono mettere a repentaglio
gli obiettivi di conservazione perseguiti
dalla direttiva habitat.
Si deve tuttavia ricordare che il fatto che
una disposizione abbia, per natura e
portata, un carattere generale, in quanto
applicabile alla totalità degli operatori
economici interessati, non esclude che essa
possa tuttavia interessare individualmente
taluni di essi (v., in tal senso, sentenze
18/05/1994, causa C-309/89, Codorniu, nonché
22/06/2006, cause riunite C-182/03 e
C-217/03, Belgique et Forum
187/Commissione). Pertanto, qualora la
decisione riguardi un gruppo di soggetti
individuati o individuabili, nel momento in
cui l'atto è stato adottato, in base a
criteri tipici dei membri di tale gruppo,
tali soggetti possono essere individualmente
interessati da tale atto, in quanto facenti
parte di un gruppo ristretto di operatori
economici (v. sentenza 13/03/2008, causa
C-125/06 P, Commissione/Infront WM).
AREE PROTETTE - Elenco
dei siti di importanza comunitaria per la
regione biogeografica boreale adottato con
decisione della Commissione - Obiettivi di
conservazione - Soggetti interessati dalla
decisione.
L'art. 4 della direttiva «habitat»,
disciplina il procedimento di
classificazione dei siti naturali in zone
speciali di conservazione (ZSC), tuttavia,
la possibilità di determinare, con maggiore
o minore precisione, il numero o anche
l'identità dei soggetti di diritto ai quali
si applica il provvedimento non comporta
affatto che questi soggetti debbano essere
considerati individualmente interessati da
questo provvedimento, purché sia assodato,
come nel caso di specie, che tale
applicazione viene effettuata in virtù di
una situazione obiettiva di diritto o di
fatto definita dall'atto in esame (sentenza
22/11/2001, causa C-451/98, Antillean Rice
Mills/Consiglio, nonché ordinanza
25/04/2002, causa C-96/01 P, Galileo e
Galileo International/Consiglio -
08/04/2008, causa C-503/07 P, Saint-Gobain
Glass Deutschland/Commissione). (Corte di
Giustizia delle Comunità Europee, Sez. II,
sentenza 23.04.2009 causa C-362/06 P
- link a www.ambientediritto.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA: G.U.
24.04.2009, suppl. ord. n. 61:
- Secondo elenco aggiornato dei siti di
importanza comunitaria per la regione
biogeografica alpina in Italia ai sensi
della direttiva 92/43/CEE (Ministero
dell'Ambiente e della Tutela del Territorio
e del Mare,
decreto
30.03.2009);
- Secondo elenco aggiornato dei siti di
importanza comunitaria per la regione
biogeografica continentale in Italia ai
sensi della direttiva 92/43/CEE
(Ministero dell'Ambiente e della Tutela del
Territorio e del Mare,
decreto 30.03.2009);
- Secondo elenco aggiornato dei siti di
importanza comunitaria per la regione
biogeografica mediterranea in Italia ai
sensi della direttiva 92/43/CEE
(Ministero dell'Ambiente e della Tutela del
Territorio e del Mare,
decreto 30.03.2009). |
EDILIZIA PRIVATA: B.U.R.
Lombardia, 4° suppl. straord. al n. 16 del
23.04.2009, "Determinazioni relative alle
misure di conservazione per la tutela delle
ZPS lombarde in attuazione della Direttiva
92/43/CEE e del d.P.R. 357/1997 ed ai sensi
degli articoli 3, 4, 5, 6 del d.m.
17.10.2007 n. 184 - Modificazioni alla
d.G.R. 7884/2008"
(deliberazione
G.R. 08.04.2009 n. 9275). |
2008 |
|
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA: B.U.R.
Lombardia, 1° suppl. straord. al n. 35 del
26.08.2008, "Misure di conservazione per
la tutela delle ZPS lombarde ai sensi del
d.m. 17.10.2007, n. 184 - Integrazione
alla d.g.r. n. 6648/2008" (deliberazione
G.R. 30.07.2008 n. 7884). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA:
G.U. 07.08.2008 n. 184 "Primo elenco
aggiornato dei siti di importanza
comunitaria per la regione biogeografica
mediterranea in Italia, ai sensi della
direttiva 92/43/CEE" (Ministero
dell'Ambiente e della Tutela del Territorio
e del Mare,
decreto
03.07.2008). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA:
G.U. 05.05.2008 n. 104 "Primo elenco
aggiornato dei siti di importanza
comunitaria per la regione biogeografica
continentale in Italia, ai sensi della
direttiva 92/43/CEE" (Ministero
dell'Ambiente e della Tutela del Territorio
e del Mare,
decreto
26.03.2008). |
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA:
B.U.R. Lombardia, 3°
suppl. straord. al n. 10 del 06.03.2008, "Nuova
classificazione delle Zone di protezione Speciale (ZPS) e
individuazione di relativi divieti, obblighi e attività, in
attuazione degli articoli 3, 4, 5 e 6 del d.m. 17.10.2007, n. 184 «Criteri minimi uniformi per la definizione di
misure di conservazione relative a Zone Speciali di
Conservazione (ZSC) e a Zone di Protezione Speciale (ZPS)»"
(deliberazione
G.R. 20.02.2008 n. 6648). |
2007 |
|
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA:
G.U. 06.11.2007 n. 258 "Criteri
minimi uniformi per la definizione di misure
di conservazione relative a Zone speciali di
conservazione (ZSC) e a Zone di protezione
speciale (ZPS)" (Ministero dell'Ambiente
e della Tutela del Territorio e del Mare,
decreto 17.10.2007). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA:
B.U.R. Lombardia, 1° suppl. straord. al n. 33 del 14.08.2007, "Rete
Natura 2000: determinazioni relative all'avvenuta classificazione come
ZPS delle aree individuate con dd.gg.rr. 3624/2006 e 4197/2007 e
individuazione dei relativi enti gestori" (deliberazione
G.R. 18.07.2007 n. 5119). |
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA:
G.U. 24.07.2007, suppl. ord. n. 167:
- "Elenco delle zone di protezione
speciale (ZPS) classificate ai sensi della
direttiva 79/409/CEE" (Ministero
dell'Ambiente e della Tutela del Territorio
e del Mare,
decreto
05.07.2007).
- "Elenco dei siti di importanza
comunitaria per la regione biogeografica
mediterranea in Italia, ai sensi della
direttiva 92/43/CEE" (Ministero
dell'Ambiente e della Tutela del Territorio
e del Mare,
decreto
05.07.2007). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA:
B.U.R. Lombardia, 2° suppl. straord. al n. 12 del 22.03.2007, ""Individuazione
di aree ai fini della loro classificazione quali ZPS (Zone di Protezione
Speciale) ai sensi dell'art. 4 della direttiva 79/409/CEE integrazione
d.g.r. 3624/2006" (deliberazione
G.R. 28.02.2007 n. 4197 - link a www.infopointi.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA:
B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 2 dell'08.01.2007, "Rete Natura
2000: modifiche e integrazioni alle dd.gg.rr. n. 14106/2003, n.
19018/2004 e n. 1791/2006, aggiornamento della banca dati Natura 2000 ed
individuazione degli enti gestori dei nuovi SIC proposti" (deliberazione
G.R. 13.12.2006 n. 3798). |
2006 |
|
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA:
B.U.R. Lombardia, 4° suppl. straord. al n. 50 del 14.12.2006, "Individuazione
di aree ai fini della loro classificazione quali ZPS (Zone di Protezione
Speciale) ai sensi dell'art. 4 della direttiva 79/409/CEE" (deliberazione
G.R. 28.11.2006 n. 3624 - link a www.infopointi.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA: B.U.R.
Lombardia, 2° suppl. straord. al n. 8 del 23.02.2006, "Rete
Europea Natura 2000: individuazione degli enti gestori di 40 Zone di
Protezione Speciale (ZPS) e delle misure di conservazione transitorie
per le ZPS e definizione delle procedure per l'adozione e l'approvazione
dei piani di gestione dei siti" (deliberazione
G.R. 25.01.2006 n. 1791
- link a www.infopoint.it). |
2005 |
|
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA:
G.U. 21.07.2005 n. 168 "Elenco delle Zone
di protezione speciale (ZPS), classificate
ai sensi della direttiva 79/409/CEE"
(Ministero dell'Ambiente e della Tutela del
Territorio,
decreto
25.03.2005). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA:
G.U. 08.07.2005 n. 157 "Elenco dei
proposti siti di importanza comunitaria per
la regione biogeografica mediterranea, ai
sensi della direttiva n. 92/43/CEE"
(Ministero dell'Ambiente e della Tutela del
Territorio,
decreto
25.03.2005). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA:
G.U. 07.07.2005 n. 156 "Elenco dei Siti
di importanza comunitaria (SIC) per la
regione biogeografica continentale, ai sensi
della direttiva 92/43/CEE" (Ministero
dell'Ambiente e della Tutela del Territorio,
decreto 25.03.2005). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA:
G.U. 03.05.2005 n. 103 "Primo elenco
aggiornato dei siti di importanza
comunitaria per la regione biogeografica
alpina in Italia, ai sensi della direttiva
92/43/CEE" (Ministero dell'Ambiente e
della Tutela del Territorio e del Mare,
decreto 26.03.2008). |
2004 |
|
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA:
B.U.R. Lombardia, 2° suppl. straord. al n. 44 del 28.10.2004, "Cartografia
a integrazione della d.g.r. n. 19018 del 15.10.2004 «Procedure per
l'applicazione della valutazione di incidenza alle Zone di Protezione
Speciale (Z.P.S.) ai sensi della direttiva 79/409/CEE, contestuale presa
d'atto dell'avvenuta classificazione di 14 Z.P.S. ed individuazione dei
relativi soggetti gestori»" (comunicato
regionale 19.10.2004 n. 144
- link a www.infopoint.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA:
B.U.R. Lombardia, 2° suppl. straord. al n. 44 del 28.10.2004, "Procedure
per l'applicazione della valutazione di incidenza alle Zone di
Protezione Speciale (Z.P.S.) ai sensi della direttiva 79/409/CEE,
contestuale presa d'atto dell'avvenuta classificazione di 14 Z.P.S. ed
individuazione dei relativi soggetti gestori" (deliberazione
G.R. 15.10.2004 n. 19018
- link a www.infopoint.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA:
B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 32 del 02.08.2004, "Rettifica
dell’Allegato A della deliberazione della Giunta regionale 08.08.2003,
n. 7/14106 «Elenco dei proposti siti di importanza comunitaria ai sensi
della Direttiva 92/43/CEE per la Lombardia, individuazione dei soggetti
gestori e modalità procedurali per l’applicazione della valutazione
d’incidenza. P.R.S. 9.5.7 – Obiettivo 9.5.7.2»" (deliberazione
G.R. 30.07.2004 n. 18454). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA:
B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 32 del 02.08.2004, "Individuazione
degli enti gestori dei proposti siti di importanza comunitaria (pSIC) e
dei siti di importanza comunitaria (SIC), non ricadenti in aree naturali
protette, e delle Zone di Protezione Speciale (ZPS), designate dal
Decreto del Ministero dell'Ambiente 03.04.2000" (deliberazione
G.R. 30.07.2004 n. 18453
- link a www.infopoint.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA:
G.U. 19.07.2004 n. 167 "Elenco dei siti
di importanza comunitaria per la regione
bio-geografica alpina in Italia, ai sensi
della direttiva 92/43/CEE" (Ministero
dell'Ambiente e della Tutela del Mare,
decreto 25.03.2004). |
2003 |
|
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA:
B.U.R. Lombardia, 3° suppl. straord. al n. 37 del 12.09.2003, "Elenco
dei proposti siti di importanza comunitaria ai sensi della direttiva
92/43/CEE per la Lombardia, individuazione dei soggetti gestori e
modalità procedurali per l'applicazione della valutazione d'incidenza.
P.R.S. - Obiettivo 9.5.7.2." (deliberazione
G.R. 08.08.2003 n. 14106
- link a www.infopoint.it). |
2002 |
|
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA:
G.U. 24.09.2002 n. 224 "Linee guida per
la gestione dei siti Natura 2000"
(Ministero dell'Ambiente e della Tutela del
Territorio,
decreto
03.09.2002). |
2000 |
|
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA:
G.U. 06.06.2000 n. 130 "Correzione al
titolo del decreto 03.04.2000, pubblicato
nel supplemento ordinario alla Gazzetta
Ufficiale n. 95 del 22.04.2000"
(Ministero dell'Ambiente,
comunicato). |
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA:
G.U. 22.04.2000, suppl. ord. n. 65, "Elenco
dei siti di importanza comunitaria e delle
zone di protezione speciali, individuati ai
sensi delle direttive 92/43/CEE e 79/409/CEE"
(Ministero dell'Ambiente,
decreto 03.04.2000). |
1997 |
|
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA:
G.U. 23.10.1997, suppl. ord. n. 219, "Regolamento
recante attuazione della direttiva 92/43/CEE
relativa alla conservazione degli habitat
naturali e seminaturali, nonché della flora
e della fauna selvatiche" (D.P.R.
08.09.1997 n. 357). |
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V.A.S.
(Valutazione Ambientale Strategica)
per approfondimenti vedi anche:
V.A.S. nazionale
<--->
V.A.S. Regione Lombardia |
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2021 |
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EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI - URBANISTICA:
VIA, VAS E AIA – VAS – Fondamento – Direttiva 2001/42/CE –
Finalità di salvaguardia e miglioramento della qualità
dell’ambiente – Principio di precauzione.
La valutazione ambientale o VAS trova il
suo fondamento nella Direttiva 2001/42/CE del Parlamento
europeo e del Consiglio del 27.06.2001, con il dichiarato
obiettivo di garantire un elevato livello di protezione
dell’ambiente innestandone la tutela anche nel procedimento
di adozione e di approvazione di piani e programmi
astrattamente idonei ad impattare significativamente sullo
stesso.
La finalità di salvaguardia e miglioramento della qualità
dell’ambiente, nonché di protezione della salute umana e di
utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali, ne
impone una lettura ispirata al rispetto del principio di
precauzione, in una prospettiva di sviluppo durevole e
sostenibile dell’uso del suolo.
...
VIA, VAS E AIA – VAS – Compenetrazione tra Vas e Via –
Opportunità di sviluppare una reale sinergia – Interventi
del legislatore – Concentrazione sulla VIA.
La VAS si accosta, senza identificarsi
con gli stessi, ad altri strumenti di valutazione, come la
valutazione di impatto ambientale (VIA) su singoli progetti
e quella di incidenza, riferita ai siti di Natura 2000, in
modo da costituire un unico sistema che vuole l’intero ciclo
della decisione teleologicamente orientato a ridette
esigenze di tutela.
La stretta compenetrazione tra i richiamati istituti trova
riscontro nelle considerazioni della dottrina che ha da
tempo segnalato l’esigenza di sviluppare una reale sinergia
tra valutazione di impatto ambientale e valutazione
ambientale strategica, rafforzando qualitativamente,
mediante obiettivi di sostenibilità sorretti da specifici
target, la seconda, così da accelerare la prima con
riferimento ad opere incardinate in piani e programmi già
attentamente valutati nella loro portata generale.
Per contro, il legislatore, nella continua ricerca di un
giusto punto di equilibrio tra adeguato livello di tutela
ambientale e accelerazione delle procedure della opere di
rilevante interesse pubblico, da ultimo riferite a quelle
previste nel Piano nazionale integrato energia e clima (PNIEC)
ovvero nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR),
ha inteso incidere pressoché essenzialmente sulla VIA,
ricalibrandone le fasi, ovvero comprimendone i tempi di
perfezionamento.
...
VIA, VAS E AIA – Procedura di VAS a livello statale e
procedura riferibile ad ambiti regionali o locali – Rinvio
alle disposizione di legge regionali o locali – Pluralità di
approcci – Scelte urbanistiche – Delega di funzioni a
province, città metropolitane e comuni – Concentrazione di
attività istruttorie e valutative nel medesimo contesto
organizzativo – Separazione e autonomia tra le articolazioni
interne.
L’art. 7, commi 1 e 2, del d.lgs. n.
152/2006 ha distinto la procedura di VAS a livello statale
da quelle riferibili ad ambiti regionali o locali, facendo
rinvio, per i casi di rilievo locale, alle disposizioni di
legge regionale o delle Province autonome, ed evidenziando
il limite di introdurre un’arbitraria discriminazione e
ingiustificati aggravi procedimentali.
Ciò ha concretamente determinato lo sviluppo di un quadro
ampio e articolato di legislazione regionale, primaria e
secondaria, caratterizzato da una pluralità di approcci,
soprattutto per quanto riguarda le modalità procedimentali,
che è difficile ricondurre a sintesi.
Le Regioni si sono per lo più orientate nel senso di
delegare le funzioni di “Autorità competente” a province,
città metropolitane e comuni, in quanto preposti alle scelte
urbanistiche nell’ambito del proprio territorio di
riferimento. Proprio le scelte di governo del territorio,
infatti, sono tipicamente atti soggetti a VAS.
Tale delega non può non risolversi, al pari del resto di
quanto avviene con riferimento alla tutela del vincolo
paesaggistico, ove egualmente demandata a tali
Amministrazioni, nella concentrazione delle attività
istruttorie e di quelle valutative nel medesimo contesto
organizzativo, sicché le relative scelte devono farsi carico
di garantire una reale separazione e autonomia di giudizio
tra le articolazioni interne indicate come competenti in
concreto.
...
VIA, VAS E AIA – VAS – Valutazione delle “ragionevoli
alternative” – Opzione zero e programmazione
urbanistica.
La Direttiva 2001/42/CE prevede che, una
volta individuati gli opportuni indicatori ambientali,
debbano essere valutate e previste sia la situazione attuale
(scenario di riferimento), sia la situazione ambientale
derivante dall’applicazione del Piano in fase di
predisposizione, sia le «ragionevoli alternative alla luce
degli obiettivi e dell’ambito territoriale del piano o del
programma» (art. 5, comma 1).
Il testo non dice cosa debba intendersi per “ragionevole
alternativa” a un piano o a un programma. Non essendo
chiarito se si intendano piani o programmi alternativi, o
alternative diverse all’interno di un piano o di un
programma, è plausibile accedere ad entrambe le ipotesi
ermeneutiche. In tal senso, del resto, si è espressa anche
la Direzione generale dell’Ambiente della Commissione
europea in un documento esplicativo destinato «ad aiutare
gli Stati membri, gli Stati candidati e i Paesi in via di
adesione a capire pienamente gli obblighi contenuti nella
direttiva e ad assisterli nel recepimento nel diritto
nazionale e, altrettanto importante, a creare o a migliorare
le procedure che daranno effetto agli obblighi giuridici».
Con specifico riferimento ai piani per la destinazione dei
suoli o di quelli per la pianificazione territoriale si è
altresì chiarito che «le alternative ovvie sono usi diversi
di aree designate ad attività o scopi specifici, nonché aree
alternative per tali attività». Al contrario della VIA, per
la VAS la necessità di valutare anche l’opzione zero viene
desunta dai riferimenti testuali richiamati, che in realtà
richiedono di configurarsi preventivamente lo scenario
conseguente alla mancanza non del piano ex se, ma della sua
concreta attuazione. Ovvero, essa è intrinseca nella stessa
scelta di programmazione, seppure in termini generali e
astratti, che nel caso concreto in quanto effettuata
presuppone che «i rimedi correttivi e compensativi
ipotizzati nel parere sono stati ritenuti sufficienti a far
fronte alle ricadute ambientali delle varianti urbanistiche
approvate».
Il necessario sviluppo senza soluzione di continuità delle
scelte di governo del territorio impone a ciascuna di quelle
sopravvenute di acquisire le risultanze (e gli impegni)
rivenienti da quelle precedenti, attuandole, rivedendole,
adattandole o innovandole, ma senza poterle certo
completamente ignorare.
Va peraltro ricordato come l’attuazione in concreto delle
idee racchiuse negli atti di programmazione urbanistica
generale sia talvolta rimessa a provvedimenti dotati di
maggiore specificità, ad iniziativa pubblica o privata. In
tali ipotesi, le singole progettualità di cui essi si
compongono si concretizzano solo se e quando si addivenga a
ridetta pianificazione attuativa, che diviene la necessaria
cinghia di trasmissione fra la generalità delle scelte e la
loro concreta realizzazione.
La doverosa e auspicabile compenetrazione tra gli uni e gli
altri, nell’ottica di una visione complessiva dello sviluppo
del territorio, rende non solo legittima, ma addirittura
opportuna la posticipazione della valutazione dell’impatto
ambientale a tale seconda ed eventuale fase.
...
VIA, VAS E AIA – VAS – Art. 5 d.lgs. n. 152/2006 –
Definizioni di autorità procedente e di autorità competente
– Nozione di separatezza – Passaggio endoprocedimentale.
Dalle definizioni contenute nell’art. 5
del d.lgs. 152 del 2006 di “autorità competente” e “autorità
procedente” risulta chiaro solo che entrambe sono
“amministrazioni”, non che le stesse debbano essere diverse
o separate (e che, pertanto, sia precluso individuare
l’autorità competente in un diverso organo o articolazione
della stessa amministrazione procedente).
Non può pertanto condividersi l’approccio ermeneutico che
desume la necessaria “separatezza” tra le due autorità dalla
implicita convinzione che la VAS costituisca una sorta di
momento di controllo sull’attività di pianificazione svolta
dall’autorità proponente, con il corollario
dell’impossibilità di una identità o immedesimazione tra
controllore e controllato.
Siffatta ricostruzione, invero, è smentita dall’intero
impianto normativo in subiecta materia, il quale invece
evidenzia che le due autorità, seppur poste in rapporto
dialettico in quanto chiamate a tutelare interessi diversi,
operano “in collaborazione” tra di loro in vista del
risultato finale della formazione di un piano o programma
attento ai valori della sostenibilità e compatibilità
ambientale: ciò si ricava, testualmente, dall’art. 11 del
d.lgs. n. 152 del 2006, che secondo l’opinione preferibile
costruisce la VAS non già come un procedimento o
subprocedimento autonomo rispetto alla procedura di
pianificazione, ma come un passaggio endoprocedimentale di
esso, concretantesi nell’espressione di un “parere” che
riflette la verifica di sostenibilità ambientale della
pianificazione medesima
(per la conformità di tale lettura alla disciplina
comunitaria, vedasi Cons. Stato, sez. IV, 12.01.2011, n.
133)
(Consiglio di
Stato, Sez. II,
sentenza 01.09.2021 n. 6152 - link a www.ambientediritto.it). |
URBANISTICA: Tempi
e modalità del procedimento di VAS.
La giurisprudenza ha
ripetutamente affermato, con riferimento
alla VIA ma con argomentazioni da ritenere
mutuabili in tema di VAS, che “alla stregua
dei principi comunitari e nazionali, oltre
che delle sue stesse peculiari finalità, la
valutazione di impatto ambientale non si
sostanzia in una mera verifica di natura
tecnica circa la astratta compatibilità
ambientale dell'opera, ma implica una
complessa e approfondita analisi comparativa
tesa a valutare il sacrificio ambientale
imposto rispetto all'utilità
socio-economica, tenuto conto anche delle
alternative possibili e dei riflessi sulla
stessa c.d. opzione-zero (...)”.
Coerentemente con lo scopo ad essa
assegnato, di valutare l'attività oggetto
del piano anche sotto il profilo ambientale
e non solo sotto quello, spesso in conflitto
col primo, della immediata opportunità e
convenienza, la VAS «va compiuta
"contestualmente" all'elaborazione del piano
o programma, comprende fra l'altro una
necessaria fase di "consultazioni", ovvero
deve garantire la partecipazione degli
interessati sulla specifica tematica e la
loro informazione, ed è prevista, per quanto
qui rileva, a pena di illegittimità del
piano o programma stesso (art. 11 del d.lgs.
152/2006)».
---------------
Evidenzia ancora il Collegio, come la
giurisprudenza abbia ripetutamente
affermato, con riferimento alla VIA ma con
argomentazioni da ritenere mutuabili in tema
di VAS, che “alla stregua dei principi
comunitari e nazionali, oltre che delle sue
stesse peculiari finalità, la valutazione di
impatto ambientale non si sostanzia in una
mera verifica di natura tecnica circa la
astratta compatibilità ambientale
dell'opera, ma implica una complessa e
approfondita analisi comparativa tesa a
valutare il sacrificio ambientale imposto
rispetto all'utilità socio-economica, tenuto
conto anche delle alternative possibili e
dei riflessi sulla stessa c.d. opzione-zero
(...)” (così, Cons. Stato, Sez. V,
02.10.2014, n. 4928; che richiama anche
Cons. St., sez. V, 31.05.2012, n. 3254; id.,
22.06.2009, n. 4206; sez. IV, 22.01.2013, n.
361; id., 05.07.2010, n. 4246; VI,
17.05.2006, n. 2851).
Coerentemente con lo scopo ad essa
assegnato, di valutare l'attività oggetto
del piano anche sotto il profilo ambientale
e non solo sotto quello, spesso in conflitto
col primo, della immediata opportunità e
convenienza, la VAS «va compiuta
"contestualmente" all'elaborazione del piano
o programma, comprende fra l'altro una
necessaria fase di "consultazioni", ovvero
deve garantire la partecipazione degli
interessati sulla specifica tematica e la
loro informazione, ed è prevista, per quanto
qui rileva, a pena di illegittimità del
piano o programma stesso (art. 11 del d.lgs.
152/2006)» (Consiglio di Stato, IV,
26.06.2016, n. 2921) (TAR Lombardia-Milano,
Sez. III,
sentenza 17.06.2021 n. 1487 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI -
URBANISTICA: Ipotesi
sottratte alla VAS.
Il TAR Milano:
- dopo aver precisato che:
<<Nell’art 6, comma 3, del D.Lgs.
03/04/2006, n. 152, s’individuano le ipotesi
sottratte alla VAS, dando alternativamente
rilievo all’incidenza del piano su «piccole
aree a livello locale», ovvero, alla
circostanza che si tratti «modifiche minori»
del piano medesimo;>>
- aggiunge che:
<<Trattandosi di condizioni da leggersi come
alternative fra loro e non come cumulative,
se ne ricava che, così come l’incidenza su
un’area geograficamente ristretta non
esclude la VAS, qualora il piano è valutato
come idoneo a produrre impatti significativi
sull’ambiente, per converso, anche una
modifica di piano che abbracci un ambito
esteso può non essere assoggettata a VAS,
ove da essa non conseguano impatti
significativi sull’ambiente (arg. ex Corte
cost., Sent., 22.07.2009, n. 225, ove si
accenna all’irrilevanza della sola
estensione dell’area ai fini dell’assoggettabilità
a VAS e alla portata determinante esplicata
sul punto dalla valutazione degli effetti
significativi sull'ambiente).
L’aggettivo «minori», riferito alle
modifiche di piano, per assumere un
significato utile e non essere relegato al
rango di inutile doppione dell’altra
previsione, concernente i piani che
interessano piccole aree, quindi, non può
che riferirsi a qualcosa di diverso
dall’ambito geografico o territoriale di
riferimento.
Ne consegue che, “le modifiche minori” non
sono tali perché riferite ad una porzione
limitata di territorio, ma in quanto, lungi
dal porsi come un rifacimento del piano, ne
modificano soltanto alcuni aspetti, senza
produrre sulle componenti ambientali
conseguenze eccedenti quelle già investigate
nella procedura di VAS svolta per il Piano
originario>>.
---------------
Più in generale, il Collegio ritiene di
aderire all'indirizzo giurisprudenziale che,
in un'ottica sostanzialistica, tesa ad
evitare interpretazioni normative che si
risolvono in meri adempimenti formali,
approdando poi ad inutili appesantimenti del
procedimento, è incline a ritenere che non
debba essere sottoposto alla procedura di
valutazione ambientale strategica uno
strumento pianificatorio le cui previsioni
non si discostano in maniera sostanziale da
quelle già fatte oggetto di tale indagine
(TAR Friuli-V. Giulia, Trieste, Sez. I, Sent.,
10.05.2012, n. 169; TAR Lombardia, Milano,
sez. II, 15.12.2011, n. 3170; id.,
02.09.2011, n. 2134, id., 14.03.2011, n.
730; sulla natura dello “screening”, quale
attività tipicamente connotata da
discrezionalità non solo tecnica, ma anche
amministrativa, la quale sfugge al sindacato
di legittimità, laddove non vengano in
rilievo indici sintomatici di non corretto
esercizio del potere, sotto il profilo del
difetto di motivazione e d’istruttoria,
dell’illogicità manifesta, della erroneità
dei presupposti di fatto e della incoerenza
della procedura valutativa e dei relativi
esiti).
Quanto, poi, al significato da attribuire
alla valutazione demandata all’autorità
competente e avente ad oggetto l’attitudine
o meno del piano o delle sue modifiche a
produrre «impatti significativi
sull'ambiente, secondo le disposizioni di
cui all'articolo 12 e tenuto conto del
diverso livello di sensibilità ambientale
dell'area oggetto di intervento» (art. 6,
comma 3, D.lgs. n. 152/2006), il Collegio
ritiene che meriti condivisione
l’orientamento giurisprudenziale che
delimita detta significatività agli impatti
ambientali negativi. Invero:
- «La valutazione ambientale strategica (V.A.S.) è stata introdotta
dalla direttiva comunitaria 2001/42/CE, la
quale ha imposto agli Stati membri di
prevedere, nel proprio ordinamento interno,
un più approfondito apprezzamento delle
esigenze di tutela dell'ambiente nella fase
di pianificazione del territorio, attraverso
l'introduzione di una specifica fase di
verifica da svolgere all'interno delle
procedure di pianificazione in presenza di
particolari presupposti (sinteticamente
riassumibili nella possibilità di impatti
ambientali significativi e negativi per
effetto delle scelte in tale sede operate)»
(TAR Lombardia-Milano, Sez. III,
sentenza 07.04.2021 n. 896 - commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
---------------
8.2) Il motivo è infondato.
Nell’art 6, comma 3, del D.Lgs. 03/04/2006,
n. 152, s’individuano le ipotesi sottratte
alla VAS, dando alternativamente rilievo
all’incidenza del piano su «piccole aree
a livello locale», ovvero, alla
circostanza che si tratti «modifiche
minori» del piano medesimo.
Trattandosi di condizioni da leggersi come
alternative fra loro e non come cumulative,
se ne ricava che, così come l’incidenza su
un’area geograficamente ristretta non
esclude la VAS, qualora il piano è valutato
come idoneo a produrre impatti significativi
sull’ambiente, per converso, anche una
modifica di piano che abbracci un ambito
esteso può non essere assoggettata a VAS,
ove da essa non conseguano impatti
significativi sull’ambiente (arg. ex Corte
cost., Sent., 22.07.2009, n. 225, ove si
accenna all’irrilevanza della sola
estensione dell’area ai fini dell’assoggettabilità
a VAS e alla portata determinante esplicata
sul punto dalla valutazione degli effetti
significativi sull'ambiente. Sul tema, cfr.,
ex multis, TAR Cagliari, sez. II,
18/04/2018, n. 349).
L’aggettivo «minori», riferito alle
modifiche di piano, per assumere un
significato utile e non essere relegato al
rango di inutile doppione dell’altra
previsione, concernente i piani che
interessano piccole aree, quindi, non può
che riferirsi a qualcosa di diverso
dall’ambito geografico o territoriale di
riferimento. Ne consegue che, “le
modifiche minori” non sono tali perché
riferite ad una porzione limitata di
territorio, ma in quanto, lungi dal porsi
come un rifacimento del piano, ne modificano
soltanto alcuni aspetti, senza produrre
sulle componenti ambientali conseguenze
eccedenti quelle già investigate nella
procedura di VAS svolta per il Piano
originario (cfr. TAR Lombardia, Milano, III,
18/07/2019, n. 1661; TAR Sicilia, Palermo,
sez. I, 12/06/2015, n. 1422).
Più in generale, il Collegio ritiene di
aderire all'indirizzo giurisprudenziale che,
in un'ottica sostanzialistica, tesa ad
evitare interpretazioni normative che si
risolvono in meri adempimenti formali,
approdando poi ad inutili appesantimenti del
procedimento, è incline a ritenere che non
debba essere sottoposto alla procedura di
valutazione ambientale strategica uno
strumento pianificatorio le cui previsioni
non si discostano in maniera sostanziale da
quelle già fatte oggetto di tale indagine
(TAR Friuli-V. Giulia, Trieste, Sez. I, Sent.,
10.05.2012, n. 169; TAR Lombardia, Milano,
sez. II, 15.12.2011, n. 3170; id.,
02.09.2011, n. 2134, id., 14.03.2011, n.
730; sulla natura dello “screening”,
quale attività tipicamente connotata da
discrezionalità non solo tecnica, ma anche
amministrativa, la quale sfugge al sindacato
di legittimità, laddove non vengano in
rilievo indici sintomatici di non corretto
esercizio del potere, sotto il profilo del
difetto di motivazione e d’istruttoria,
dell’illogicità manifesta, della erroneità
dei presupposti di fatto e della incoerenza
della procedura valutativa e dei relativi
esiti, cfr., ex multis, TAR Lazio,
Roma, 16/06/2019, n. 7774; Cons. Stato, sez.
IV 24/04/2019, n. 2651; id., 06/05/2013, n.
2446).
Quanto, poi, al significato da attribuire
alla valutazione demandata all’autorità
competente e avente ad oggetto l’attitudine
o meno del piano o delle sue modifiche a
produrre «impatti significativi
sull'ambiente, secondo le disposizioni di
cui all'articolo 12 e tenuto conto del
diverso livello di sensibilità ambientale
dell'area oggetto di intervento» (art.
6, comma 3, D.lgs. n. 152/2006), il Collegio
ritiene che meriti condivisione
l’orientamento giurisprudenziale che
delimita detta significatività agli impatti
ambientali negativi [cfr., Cons. Stato, Sez.
V, Sent., 13.09.2018, n. 5370; id., Sez. IV,
Sent., 12.01.2011, n. 133, per cui: «La
valutazione ambientale strategica (V.A.S.) è
stata introdotta dalla direttiva comunitaria
2001/42/CE, la quale ha imposto agli Stati
membri di prevedere, nel proprio ordinamento
interno, un più approfondito apprezzamento
delle esigenze di tutela dell'ambiente nella
fase di pianificazione del territorio,
attraverso l'introduzione di una specifica
fase di verifica da svolgere all'interno
delle procedure di pianificazione in
presenza di particolari presupposti
(sinteticamente riassumibili nella
possibilità di impatti ambientali
significativi e negativi per effetto delle
scelte in tale sede operate)»; TAR
Sicilia, Catania, 11.06.2015, n. 1651]. |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI - URBANISTICA: Procedimento
di valutazione ambientale strategica: ratio e caratteri.
---------------
●
Ambiente – Valutazione ambientale strategica – Autorità competente a livello
locale - Individuazione.
●
Ambiente -Valutazione ambientale strategica - Concetto di “opzione zero”.
●
In caso di V.A.S. di rilievo locale, l’art. 7, commi 1 e 2, d.lgs. n. 152
del 2006 (Testo unico ambientale) ha fatto rinvio alle disposizioni di legge
regionale o delle Province autonome, con l’unico limite, individuato
dall’art. 3-quinquies del medesimo decreto) del divieto di introdurre
un’arbitraria discriminazione e ingiustificati aggravi procedimentali (1).
●
La nozione di “opzione zero” assume un’accezione diversa in
materia di V.I.A., con riferimento alla quale è espressamente declinata dal
legislatore nazionale (art. 22, comma 3, lett. d), del d.lgs. n. 152/2006) e
di V.A.S., per la quale il contenuto dell’Allegato I alla Direttiva
2001/42/CE, laddove prevede (lett. b) che tra le indicazioni a corredo
figuri la «evoluzione probabile [del contesto ambientale] senza l’attuazione
del piano o del programma», è stato testualmente riprodotto nell’allegato VI
alla Parte II del T.u.a., concernente i contenuti del rapporto ambientale di
cui all’art. 13 del decreto.
Trattandosi di atti di pianificazione territoriale di fatto l’“opzione zero”
è esclusa dalla scelta della loro adozione. La Direttiva 2001/42/CE prevede
infatti che, una volta individuati gli opportuni indicatori ambientali,
debbano essere valutate e previste sia la situazione attuale (scenario di
riferimento), sia la situazione ambientale derivante dall’applicazione del
Piano in fase di predisposizione, sia le «ragionevoli alternative alla luce
degli obiettivi e dell’ambito territoriale del piano o del programma» (art.
5, comma 1) (2).
---------------
(1) Ha premesso la Sezione che la valutazione ambientale (V.A.S.)
che trova il suo fondamento nella Direttiva 2001/42/CE del Parlamento
europeo e del Consiglio del 27.06.2001, ha la finalità di garantire un
elevato livello di protezione dell’ambiente innestandone la tutela anche nel
procedimento di adozione e di approvazione di piani e programmi
astrattamente idonei ad impattare significativamente sullo stesso.
Essa condivide con altri strumenti di valutazione, come la valutazione di
impatto ambientale (VIA) su singoli progetti e quella di incidenza, riferita
ai siti di Natura 2000, l’ispirazione al rispetto del principio di
precauzione, in una prospettiva di sviluppo durevole e sostenibile dell’uso
del suolo, in modo da costituire un unico sistema che vuole l’intero ciclo
della decisione teleologicamente orientato a ridette esigenze di tutela.
L’intersecarsi della disciplina della V.A.S. con quella di attuazione delle
scelte urbanistiche del territorio implica la valorizzazione del ruolo di
ciascun Ente territoriale coinvolto nelle stesse. Il sistema della
pianificazione territoriale urbanistica successivo alla riforma
costituzionale del 2001, infatti, caratterizzato dalle leggi regionali c.d.
di “seconda generazione” si presenta in maniera ben diversa da quello
riveniente dalla legge urbanistica del 1942.
Esso risponde, infatti, ad una visione meno “gerarchica” e più armonica, che
vede nella leale collaborazione, oltre che nella sussidiarietà, i teorici
principi ispiratori delle scelte. La pianificazione sovracomunale,
affermatasi sia sul livello regionale sia provinciale, si connota pertanto
per una natura “mista” relativamente a contenuti -prescrittivi, di
indirizzo e di direttiva- e ad efficacia, nonché per la flessibilità nei
rapporti con gli strumenti sottordinati. Nel momento in cui fra un atto
(quello provinciale) e l’altro (quello comunale) si sia inserita la
disciplina della V.A.S., il Comune non può vedersi relegato ad un ruolo di
supina e meccanicistica acquiescenza a scelte che non ne abbiano
ipoteticamente tenuto conto, avendo al contrario la possibilità di
interloquire “dal basso” per chiedere un adeguamento dello strumento sovraordinato anziché recepirlo in maniera acritica.
Del resto, la partecipazione di tutti i soggetti coinvolti alla Conferenza
dei servizi quale luogo di sintesi delle varie istanze emerse consente
comunque di “recuperare” le esigenze di omogeneità emerse anche in ambito
urbanistico nel corso del procedimento di V.A.S..
La diversa finalità e, soprattutto, il diverso oggetto della V.I.A. ne hanno
implicato la più intensa attività di novellazione, nella continua ricerca di
un giusto punto di equilibrio tra adeguato livello di tutela ambientale e
accelerazione delle procedure delle opere di rilevante interesse pubblico,
da ultimo riferite a quelle previste nel Piano nazionale integrato energia e
clima (PNIEC) ovvero nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR). Il
Legislatore ne ha dunque ricalibrato le fasi, ovvero compresso i tempi di
perfezionamento (v. le modifiche apportate al d.lgs. n. 152 del 2006, già
ampiamente novellato con d.lgs. n. 104 del 2017, di recepimento della
Direttiva 2014/52/UE, dal d.l. 16.07.2020, n. 76, convertito nella l. n.
120 del 2020, ispirate anche dall’esigenza di superare la procedura di
infrazione n. 2019/2308, nonché, ancor più di recente, dal d.l. n. 77 del
2021, convertito dalla l. n. 108 del 2021). La stretta compenetrazione tra i
richiamati istituti (VAS e VIA) imporrebbe anche di svilupparne una reale
sinergia rafforzando qualitativamente, mediante obiettivi di sostenibilità
sorretti da specifici target, la prima, così da accelerare la seconda con
riferimento ad opere incardinate in piani e programmi già attentamente
valutati nella loro portata generale.
Quanto alla competenza in caso di V.A.S. di rilievo locale si è determinato
lo sviluppo di un quadro ampio e articolato di legislazione regionale,
primaria e secondaria, caratterizzato da una pluralità di approcci,
soprattutto per quanto riguarda le modalità procedimentali, che è difficile
ricondurre a sintesi. Le Regioni hanno per lo più delegato gli altri Enti
territoriali, sicché accade sovente che l’Autorità proponente e l’Autorità
competente si identifichino in articolazioni distinte della stessa
Amministrazione.
Quanto detto non è affatto in contrasto con la disciplina
comunitaria, ai fini del rispetto della quale non rilevano i meccanismi
concretamente escogitati dagli Stati membri, bensì unicamente “che essi
siano idonei ad assicurare il risultato voluto di garantire l’integrazione
delle considerazioni ambientali nella fase di elaborazione, predisposizione
e adozione di un piano o programma destinato a incidere sul territorio; il
che, a ben vedere, disvela l’inconsistenza delle questioni di legittimità
costituzionale ovvero comunitaria sollevate dall’appellato, sia pure in via
subordinata, avverso le evocate norme nazionali e regionali laddove
interpretate nel senso qui proposto”.
Sicché “alla stregua delle considerazioni che precedono, per nulla
illegittima, e anzi quasi fisiologica, è l’evenienza che l’autorità
competente alla V.A.S. sia identificata in un organo o ufficio interno alla
stessa autorità procedente, per completezza espositiva può aggiungersi che,
forse, sotto diverso profilo le determinazioni amministrative oggetto del
presente contenzioso prestano il fianco a critiche di inconciliabilità con
la normativa vigente di rango primario” (v.
Cons. Stato, sez. IV, 12.01.2011, n. 133). Le due autorità,
infatti, seppur poste in rapporto dialettico in quanto chiamate a tutelare
interessi diversi, operano “in collaborazione” tra di loro in vista del
risultato finale della formazione di un piano o programma attento ai valori
della sostenibilità e compatibilità ambientale
Come evidenziato nel Rapporto del 2017 redatto dal Ministero dell’ambiente e
della tutela del territorio e del mare sullo stato di attuazione dei
procedimenti di VAS, le Regioni si sono per lo più orientate nel senso di
delegare le funzioni di “Autorità competente” a province, città
metropolitane e comuni, in quanto preposti alle scelte urbanistiche
nell’ambito del proprio territorio di riferimento.
Tale delega non può non
risolversi, al pari del resto di quanto avviene con riferimento alla tutela
del vincolo paesaggistico, ove egualmente demandata a tali Amministrazioni,
nella concentrazione delle attività istruttorie e di quelle valutative nel
medesimo contesto organizzativo, sicché l’unica cosa di cui le relative
scelte devono farsi carico è di garantire una reale separazione e autonomia
di giudizio tra le articolazioni interne indicate come competenti in
concreto.
Non a caso, nel medesimo Rapporto ministeriale si evidenzia anche come la
frammentazione dei procedimenti conseguita a tali deleghe si sia risolta in
un onere aggiuntivo per le Regioni, chiamate a monitorare i procedimenti
attivati sul territorio, garantendo la necessaria unitarietà della
governance. Dalle definizioni oggi contenute nell’art. 5, d.lgs. n. 152 del
2006 di “autorità competente” e “autorità procedente” risulta chiaro solo
che entrambe sono “amministrazioni”, non che le stesse debbano essere
diverse o separate (e che, pertanto, sia precluso individuare l’autorità
competente in un diverso organo o articolazione della stessa amministrazione
procedente).
Più in generale, il Collegio non condivide l’approccio ermeneutico di fondo
della parte odierna appellante, che desume la necessaria “separatezza” tra
le due autorità dalla implicita convinzione che la VAS costituisca una sorta
di momento di controllo sull’attività di pianificazione svolta dall’autorità
proponente, con il corollario dell’impossibilità di una identità o
immedesimazione tra controllore e controllato, appunto.
Siffatta
ricostruzione, invero, è smentita dall’intero impianto normativo in subiecta
materia, il quale invece evidenzia che le due autorità, seppur poste in
rapporto dialettico in quanto chiamate a tutelare interessi diversi, operano
“in collaborazione” tra di loro in vista del risultato finale della
formazione di un piano o programma attento ai valori della sostenibilità e
compatibilità ambientale: ciò si ricava, testualmente, dall’art. 11, d.lgs.
n. 152 del 2006, che secondo l’opinione preferibile costruisce la V.A.S. non
già come un procedimento o subprocedimento autonomo rispetto alla procedura
di pianificazione, ma come un passaggio endoprocedimentale di esso,
concretantesi nell’espressione di un “parere” che riflette la verifica di
sostenibilità ambientale della pianificazione medesima.
Ciò trova conferma anche nelle più recenti modifiche normative, peraltro in
materia di V.I.A., che declinano l’esigenza di segnalare ogni situazione di
conflitto, anche potenziale, alle competenti autorità (art. 50, comma 1,
lett. c), punto 3, d.l. n. 76 del 2020, che ha modificato sul punto l’art. 7-bis, comma 6, d.lgs. n. 152 del 2006); ma senza incidere sulla previgente
previsione in forza della quale l’autorità competente può coincidere con
l’autorità proponente di un progetto, purché ne vengano separate in maniera
appropriata, nell’ambito della singola organizzazione, le funzioni
potenzialmente confliggenti.
(2) Ha chiarito la Sezione che la Direttiva 2001/42/CE prevede che,
una volta individuati gli opportuni indicatori ambientali, devono essere
valutate e previste sia la situazione attuale (scenario di riferimento), sia
la situazione ambientale derivante dall’applicazione del Piano in fase di
predisposizione, sia le “ragionevoli alternative alla luce degli obiettivi e
dell’ambito territoriale del piano o del programma” (art. 5, comma 1).
Il testo non dice cosa debba intendersi per “ragionevole alternativa” a un
piano o a un programma. È evidente dunque che la prima considerazione
necessaria per decidere in merito alle possibili alternative ragionevoli
deve tenere conto degli obiettivi e dell’ambito territoriale del piano o del
programma. Non essendo chiarito se si intendano piani o programmi
alternativi, o alternative diverse all’interno di un piano o di un
programma, è plausibile accedere ad entrambe le ipotesi ermeneutiche.
Come chiarito anche dalla Direzione generale dell’Ambiente della Commissione
europea in un documento esplicativo destinato “ad aiutare gli Stati membri,
gli Stati candidati e i Paesi in via di adesione a capire pienamente gli
obblighi contenuti nella direttiva e ad assisterli nel recepimento nel
diritto nazionale e, altrettanto importante, a creare o a migliorare le
procedure che daranno effetto agli obblighi giuridici”, con specifico
riferimento ai piani per la destinazione dei suoli o di quelli per la
pianificazione territoriale “le alternative ovvie sono usi diversi di aree
designate ad attività o scopi specifici, nonché aree alternative per tali
attività”.
Sicché nel caso di specie l’appellante non può pretendere che
l’alternativa al PGT si identifichi nella sua mancata adozione (Consiglio
di Stato, Sez. II,
sentenza 01.09.2021 n. 6152 -
commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).
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SENTENZA
9. Nel merito, l’appello è infondato.
10. Va innanzitutto rilevato come la sentenza di prime cure contenga due
distinte statuizioni, una riferita al ricorso principale, dichiarato improcedibile per sopravvenienza del provvedimento successivo che ha di
fatto assorbito contenutisticamente il precedente, l’altra ai motivi
aggiunti, che sono stati invece respinti.
Legambiente non ha avanzato alcuna censura riferibile a ridetta declaratoria
di improcedibilità, sicché il perimetro dell’odierna controversia è da
intendersi limitato alla sola approvazione del Piano di governo del
territorio, avvenuta in via definitiva con le tre deliberazioni del
Consiglio comunale di Lodi nn. 35, 36 e 38 del 2011. Non è sufficiente,
infatti, allo scopo la riproposta violazione della tempistica procedurale
dell’atto urbanistico, la cui invocata inefficacia implicherebbe la
reviviscenza del sotteso Accordo di programma (peraltro solo accennata nelle
ultime tre righe del motivo sub 6).
A ciò consegue la reiezione del primo motivo di appello, nella sola parte in
cui fa riferimento alla mancanza di VAS dell’Accordo di programma, nonché
del terzo, riguardante il contenuto di tale specifico atto, tra l’altro per
presunta contraddittorietà con il Protocollo di Intesa Quadro.
11. Delimitati come sopra i termini oggettivi della controversia, il
Collegio ritiene necessario un sintetico richiamo della normativa nazionale
e regionale vigente, onde valutarne l’avvenuto rispetto, nonché, ancora più
a monte, la corretta interpretazione alla luce della sottesa disciplina
comunitaria. Ciò avuto riguardo sia agli aspetti di tutela ambientale, che
di pianificazione urbanistica, stante che oggetto di impugnativa sono atti
riconducibili a tale specifica funzione sicché i relativi principi finiscono
per intersecarsi.
12. La valutazione ambientale o VAS trova il suo fondamento nella Direttiva
2001/42/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 27.06.2001, con il
dichiarato obiettivo di garantire un elevato livello di protezione
dell’ambiente innestandone la tutela anche nel procedimento di adozione e di
approvazione di piani e programmi astrattamente idonei ad impattare
significativamente sullo stesso.
La finalità di salvaguardia e miglioramento
della qualità dell’ambiente, nonché di protezione della salute umana e di
utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali, ne impone una
lettura ispirata al rispetto del principio di precauzione, in una
prospettiva di sviluppo durevole e sostenibile dell’uso del suolo.
Essa si
accosta, senza identificarsi con gli stessi, ad altri strumenti di
valutazione, come la valutazione di impatto ambientale (VIA) su singoli
progetti e quella di incidenza, riferita ai siti di Natura 2000, in modo da
costituire un unico sistema che vuole l’intero ciclo della decisione teleologicamente orientato a ridette esigenze di tutela. La stretta
compenetrazione tra i richiamati istituti trova riscontro nelle
considerazioni della dottrina più accorta, che ha da tempo segnalato
l’esigenza di sviluppare una reale sinergia tra valutazione di impatto
ambientale e valutazione ambientale strategica, rafforzando
qualitativamente, mediante obiettivi di sostenibilità sorretti da specifici
target, la seconda, così da accelerare la prima con riferimento ad opere
incardinate in piani e programmi già attentamente valutati nella loro
portata generale.
Per contro, il legislatore, nella continua ricerca di un
giusto punto di equilibrio tra adeguato livello di tutela ambientale e
accelerazione delle procedure della opere di rilevante interesse pubblico,
da ultimo riferite a quelle previste nel Piano nazionale integrato energia e
clima (PNIEC) ovvero nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), ha
inteso incidere pressoché essenzialmente sulla VIA, ricalibrandone le fasi,
ovvero comprimendone i tempi di perfezionamento (v. le modifiche apportate
al d.lgs. n. 152 del 2006, già ampiamente novellato con d.lgs. n. 104 del
2017, di recepimento della Direttiva 2014/52/UE, dal d.l. 16.07.2020, n.
76, convertito nella l. n. 120 del 2020, ispirate anche dall’esigenza di
superare la procedura di infrazione n. 2019/2308, nonché, ancor più di
recente, dal d.l. n. 77 del 2021, convertito dalla l. n. 108 del 2021).
13. Con riferimento alla VAS, dunque, la Direttiva 2001/42/CE è stata
recepita inserendo la relativa disciplina nel richiamato d.lgs. 03.04.2006, n. 152, recante «Norme in materia ambientale», Testo unico ambientale,
subito modificato ed integrato in parte qua dal d.lgs. 16.01.2008, n.
4.
14. L’art. 7, commi 1 e 2, di tale decreto ha innanzi tutto distinto la
procedura di VAS a livello statale da quelle riferibili ad ambiti regionali
o locali, preoccupandosi poi esclusivamente della prima, anche in relazione
alla indicazione dei soggetti competenti per le varie fasi della stessa. Per
i casi di rilievo locale, invece, ha fatto rinvio alle disposizioni di legge
regionale o delle Province autonome, evidenziando il limite di introdurre
un’arbitraria discriminazione e ingiustificati aggravi procedimentali (art. 3-quinquies del d.lgs. n. 152/2006, non a caso rubricato «Principio di sussidiarietà e di leale collaborazione»). Ciò ha concretamente determinato
lo sviluppo di un quadro ampio e articolato di legislazione regionale,
primaria e secondaria, caratterizzato da una pluralità di approcci,
soprattutto per quanto riguarda le modalità procedimentali, che è difficile
ricondurre a sintesi.
14.1. Come evidenziato nel Rapporto del 2017 redatto dal Ministero
dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare sullo stato di
attuazione dei procedimenti di VAS, le Regioni si sono per lo più orientate
nel senso di delegare le funzioni di “Autorità competente” a province, città
metropolitane e comuni, in quanto preposti alle scelte urbanistiche
nell’ambito del proprio territorio di riferimento. Proprio le scelte di
governo del territorio, infatti, sono tipicamente atti soggetti a VAS.
Tale
delega non può non risolversi, al pari del resto di quanto avviene con
riferimento alla tutela del vincolo paesaggistico, ove egualmente demandata
a tali Amministrazioni, nella concentrazione delle attività istruttorie e di
quelle valutative nel medesimo contesto organizzativo, sicché le relative
scelte devono farsi carico di garantire una reale separazione e autonomia di
giudizio tra le articolazioni interne indicate come competenti in concreto.
Non a caso, nel medesimo Rapporto ministeriale si evidenzia anche come la
frammentazione dei procedimenti conseguita a tali deleghe si sia risolta in
un onere aggiuntivo per le Regioni, chiamate a monitorare i procedimenti
attivati sul territorio, garantendo la necessaria unitarietà della governance.
Essa ha altresì fatto emergere intuibili problematiche di
compatibilità della possibilità di sostenere in modo efficace la valutazione
e il monitoraggio ambientale di strumenti di pianificazione territoriale
caratterizzati da quadri ambientali complessi o destinatari di particolari
misure di tutela e salvaguardia, con la capacità tecnica ed economica dei
comuni demograficamente più piccoli. Per contro, l’analisi della
giurisprudenza amministrativa, costituzionale ed eurounitaria, nonché dei
contenuti delle procedure di infrazione semplicemente avviate, ha portato ad
escludere qualsivoglia incompatibilità con la richiamata cornice
ordinamentale della normativa nazionale in ordine ai soggetti a vario titolo
coinvolti nel procedimento (v. in dettaglio i contenuti del paragrafo 2.2.,
intitolato «Rispetto della normativa comunitaria e nazionale»).
15. La Regione Lombardia ha introdotto la Valutazione ambientale dei piani
fin dalla legge 11.03.2005, n. 12, Legge per il governo del territorio,
pur demandandone la disciplina di dettaglio a successivi atti attuativi.
Tali atti si identificano nella delibera del Consiglio regionale del 13.03.2007, n. VIII/351, di approvazione degli «Indirizzi Generali per la
Valutazione Ambientale di piani e programmi (VAS)» e in quella della Giunta
regionale del 27.12.2007, n. 6420, avente ad oggetto la
«Determinazione della procedura di Valutazione ambientale di piani e
programmi- VAS», che ha dettato disposizioni volte alla definitiva entrata
in vigore della VAS nel contesto regionale. La immediata precettività delle
disposizioni in materia contenute nella fonte primaria, tuttavia, è già
stata affermata da questo Consiglio di Stato (v. Cons. Stato, sez. IV, 29.04.2019, n. 2698).
Va infatti ricordato come l’art. 7 del d.lgs.n. 152
del 2006 (nella versione antecedente alla riforma introdotta con il d.lgs.
n. 4 del 2008) sottoponeva a VAS i piani e i programmi della pianificazione
territoriale anche se non soggetti a VIA, solo «se possono avere effetti
significativi sull’ambiente» (commi 1 e 4); pertanto «l’autorità competente
all’approvazione del piano o del programma deve preliminarmente verificare
se lo specifico piano o programma oggetto di approvazione possa avere
effetti significativi sull’ambiente secondo i criteri di cui all’Allegato II
alla parte seconda del presente decreto» (comma 5). La legge regionale n. 12
del 2005, invece, non opera alcun distinguo né contempla adempimenti
preliminari ai fini della sottoposizione a VAS degli atti cui fa
riferimento. Correttamente, dunque, il Comune di Lodi ha sottoposto il PGT
alla VAS di cui ora la difesa civica rivendica la ultroneità, senza alcuna
preliminare valutazione di screening.
16. In base a tale l.r. n. 12 del 2005, che per la Regione Lombardia ha
ridefinito la materia urbanistica, tutti i comuni del territorio erano
tenuti ad approvare il nuovo strumento di pianificazione territoriale
generale, denominato, appunto, PGT, entro il 31.03.2009, data poi
prorogata al 31.03.2012.
L’art. 4, comma 2, della legge, individua espressamente quali atti da
sottoporre a VAS il piano territoriale regionale, i piani territoriali
regionali d’area, i piani territoriali di coordinamento, nonché il Documento
di Piano di cui al successivo art. 8 e a certe condizioni il Piano dei
servizi.
Rileva il Collegio come tale indicazione sarebbe già di per sé
sufficiente a sconfessare la tesi del Comune di Lodi e dell’Università che
ravvisa nella mancata menzione esplicita del PGT la sua ritenuta esclusione
dalla Valutazione ambientale. Ai sensi dell’art. 7, infatti, il Piano di
governo del territorio è articolato in un “Documento di Piano”, un “Piano
dei servizi” e un “Piano delle Regole”.
E’ evidente quindi che, anche dando
rilievo alla formulazione letterale della norma, la previsione della
sottoposizione a VAS del Documento di Piano, in combinato disposto con la
definizione dello stesso quale componente essenziale dello strumento, ne
implica il vaglio in termini di compatibilità ambientale.
Il Collegio
ritiene inoltre che la elencazione di cui al comma 2 dell’art. 4 abbia
portata solo esemplificativa, funzionale cioè all’obiettivo di scongiurare,
con specifico riferimento agli atti programmatori espressamente menzionati,
letture restrittive della previsione generale contenuta nel comma 1, laddove
si richiamano genericamente e in maniera onnicomprensiva (tutti) i «piani e
programmi di cui alla direttiva 2001/42/CEE».
17. La estraneità, invece, del contenuto del terzo Accordo di programma dal
perimetro dell’odierna controversia, esime il Collegio dallo scrutinio della
astratta sottoponibilità a VAS di tale tipologia di provvedimento, in quanto
destinato a valere come variante.
18. Con i primi due motivi di appello la Associazione lamenta dunque la tardività della Valutazione ambientale, desumendola non dalla sua effettiva
postergazione rispetto all’atto cui accede, bensì piuttosto dalla sua
sostanziale inconsistenza contenutistica, essendosi il Comune limitato ad
avallare le scelte pregresse. In tale cornice ricostruttiva, si inserisce la
censurata mancata ponderazione della c.d. “opzione zero”, nonché la asserita
illegittimità del rinvio della valutazione sul Businnes Park agli atti
urbanistici attuativi previsti dalle N.T.A.
La sostanziale omogeneità contenutistica del rilievo ne consente una
disamina congiunta assumendo a perno della ricostruzione ridetto insistito
richiamo alla opzione zero.
19. La Direttiva 2001/42/CE prevede che, una volta individuati gli opportuni
indicatori ambientali, debbano essere valutate e previste sia la situazione
attuale (scenario di riferimento), sia la situazione ambientale derivante
dall’applicazione del Piano in fase di predisposizione, sia le «ragionevoli
alternative alla luce degli obiettivi e dell’ambito territoriale del piano o
del programma» (art. 5, comma 1). Il testo non dice cosa debba intendersi
per “ragionevole alternativa” a un piano o a un programma.
E’ evidente
dunque che la prima considerazione necessaria per decidere in merito alle
possibili alternative ragionevoli deve tenere conto degli obiettivi e
dell’ambito territoriale del piano o del programma. Non essendo chiarito se
si intendano piani o programmi alternativi, o alternative diverse
all’interno di un piano o di un programma, è plausibile accedere ad entrambe
le ipotesi ermeneutiche. Sicché l’appellante non può pretendere che
l’alternativa al PGT si identifichi nella sua mancata adozione.
In tal senso, del resto, si è espressa anche la Direzione generale
dell’Ambiente della Commissione europea in un documento esplicativo
destinato «ad aiutare gli Stati membri, gli Stati candidati e i Paesi in via
di adesione a capire pienamente gli obblighi contenuti nella direttiva e ad
assisterli nel recepimento nel diritto nazionale e, altrettanto importante,
a creare o a migliorare le procedure che daranno effetto agli obblighi
giuridici». Con specifico riferimento ai piani per la destinazione dei suoli
o di quelli per la pianificazione territoriale si è altresì chiarito che «le
alternative ovvie sono usi diversi di aree designate ad attività o scopi
specifici, nonché aree alternative per tali attività».
20. L’Allegato I alla Direttiva alla lettera b) richiede espressamente che
tra le indicazioni a corredo della VAS figuri la «evoluzione probabile [del
contesto ambientale] senza l’attuazione del piano o del programma». La
relativa dicitura è stata mutuata alla lettera dal legislatore nazionale che
l’ha trasposta nell’allegato VI alla Parte II del T.u.a., laddove vengono
declinati i contenuti del rapporto ambientale di cui all’art. 13 del
decreto.
20.1. Con riferimento alla VIA l’art. 22, comma 3, lett. d), del d.lgs. n.
152/2006 menziona espressamente, quale contenuto essenziale dello studio di
impatto ambientale, «l’alternativa zero, con indicazioni delle ragioni
principali alla base dell’opzione scelta, prendendo in considerazione gli
impatti ambientali». Ciò ha comportato che ne è stata ritenuta essenziale la
presenza ai fini della correttezza e compiutezza dell’istruttoria, dovendo
la complessiva e approfondita analisi comparativa di tutti gli elementi
incidenti sull’ambiente del progetto unitariamente considerato essere
effettuata proprio «alla luce delle alternative possibili e dei riflessi
della stessa c.d. opzione-zero», onde ponderare il sacrificio imposto
all’ambiente rispetto all’utilità socio-economica perseguita (cfr. Cons.
Stato, sez. IV, 24.03.2016, n. 1225).
Al contrario, come sopra esplicitato, per la VAS la necessità di valutare
anche l’opzione zero viene desunta dai riferimenti testuali richiamati, che
in realtà richiedono di configurarsi preventivamente lo scenario conseguente
alla mancanza non del piano ex se, ma della sua concreta attuazione. Ovvero,
ritiene il Collegio, essa è intrinseca nella stessa scelta di
programmazione, seppure in termini generali e astratti, che nel caso
concreto in quanto effettuata presuppone che «i rimedi correttivi e
compensativi ipotizzati nel parere sono stati ritenuti sufficienti a far
fronte alle ricadute ambientali delle varianti urbanistiche approvate», come
efficacemente evidenziato dal primo giudice.
21. L’equivoco di fondo nel quale incorre l’appellante consiste cioè
nell’aver identificato il concetto di opzione zero con la sostanziale
pretesa di annullare la scelta urbanistica del Comune di Lodi, vanificando
tutti gli atti pregressi, di cui il terzo Accordo di programma, e poi il PGT,
costituiscono solo il segmento terminale, utilizzando peraltro
argomentazioni di tipo dialettico-formale, del tutto prive di effettività
contenutistica.
Seguendo, infatti, l’argomentazione di parte, in alcun modo
la VAS avrebbe potuto essere preventiva, se non azzerando la previsione del
Polo, per il solo fatto di essere stata concepita in epoca antecedente, con
conseguente ineludibile violazione delle finalità cautelari dell’istituto.
Ricostruzione estranea sia al concetto di opzione zero nella VAS per come
declinata dalla normativa europea e nazionale (peraltro in maniera
implicita), sia alla sua attuazione al procedimento in controversia, il cui
sviluppo negli anni è connotato da plurimi approfondimenti della tematica
ambientale, seppure al di fuori del relativo schema formale, in quanto non
ancora in vigore.
Tale ha da essere dunque il senso della contestualizzazione del quadro di partenza, cui fa riferimento anche la
difesa civica, per ogni ipotesi di opzione zero riferita ad un atto
urbanistico: il necessario sviluppo senza soluzione di continuità delle
scelte di governo del territorio impone infatti a ciascuna di quelle
sopravvenute di acquisire le risultanze (e gli impegni) rivenienti da quelle
precedenti, attuandole, rivedendole, adattandole o innovandole, ma senza
poterle certo completamente ignorare.
22. Va peraltro ricordato come l’attuazione in concreto delle idee racchiuse
negli atti di programmazione urbanistica generale sia talvolta rimessa a
provvedimenti dotati di maggiore specificità, ad iniziativa pubblica o
privata. In tali ipotesi, le singole progettualità di cui essi si compongono
si concretizzano solo se e quando si addivenga a ridetta pianificazione
attuativa, che diviene la necessaria cinghia di trasmissione fra la
generalità delle scelte e la loro concreta realizzazione.
La doverosa e
auspicabile compenetrazione tra gli uni e gli altri, nell’ottica di una
visione complessiva dello sviluppo del territorio, rende non solo legittima,
ma addirittura opportuna la posticipazione della valutazione dell’impatto
ambientale a tale seconda ed eventuale fase. Da un lato, cioè, anche per
evitare al privato investimenti inutili, si afferma una astratta
compatibilità con le scelte di programmazione; dall’altro, si rinvia alla
loro concezione concreta l’effettività della disamina, diversamente
connotata da eccesso di genericità.
Nel caso di specie, dunque, le norme tecniche di attuazione hanno
espressamente demandato ad atti attuativi in particolare la realizzazione
del Businnes Park, ovvero la parte di intervento ancora da realizzare
all’attualità, interessante un lotto di terreno di ben mq. 395.000 e sol per
questo ritenuto dalla Associazione negativamente impattante sull’ambiente.
Del tutto responsabilmente, quindi, il Comune di Lodi ha indicato in una
successiva VAS, necessariamente di maggior dettaglio in quanto correlata
alle specifiche attuative concretamente individuate, lo strumento più
consono per la (nuova) ponderazione della compatibilità dell’intervento con
l’ambiente. Nessuna violazione della finalità precauzionale dell’istituto
può dunque ravvisarsi in una scelta palesemente tuzioristica e cautelativa,
che si risolve in un concreto monitoraggio e verifica delle valutazioni
positive effettuate sulla cornice più generale, sì da sperimentarne
l’efficacia, adattando o prevedendo (eventuali) ulteriori rimedi.
23. Quanto sopra detto con riferimento alla necessaria contestualizzazione
anche rispetto al passato delle indicazioni del PGT, consente di
circoscrivere meglio la questione, invocata in verità dal Comune di Lodi e
dall’Università di Milano, del rapporto dello stesso non con l’Accordo di
programma, ma con la pianificazione urbanistica provinciale.
Il procedimento formativo dello strumento di pianificazione urbanistica,
come scolpito dalla disciplina regionale, sembrerebbe attribuire alla
Provincia una posizione predominante, in deroga alla disciplina di settore,
che riserva al Comune il ruolo di ente esclusivamente competente in materia
urbanistica. L’art. 13, comma 5, infatti, prevede che l’approvazione dello
strumento urbanistico comunale (PGT) debba essere preceduta dalla
sottoposizione del “Documento di Piano” (cfr. art. 13, comma 5) all’esame
della Provincia per il vaglio di compatibilità con il PTCP.
Ma una lettura costituzionalmente orientata della norma non può relegare il
Comune a ruolo di supina e meccanicistica acquiescenza, come dimostrato
peraltro proprio dal concreto sviluppo del procedimento nel caso di specie,
che ha visto la Provincia adeguarsi ai suggerimenti del Comune anziché
quest’ultimo accondiscendere ai rilievi della prima, riadottando la delibera
di approvazione.
Ciò a maggior ragione nel momento in cui fra un atto
(quello provinciale) e l’altro (quello comunale) si sia inserita la
disciplina della VAS, ammesso e non concesso la stessa non trovasse
applicazione anche al primo, sì da imporre una specifica e aggiuntiva
valutazione di impatto, in passato mancante (seppure solo in termini
formali, essendo tutta la documentazione istruttoria in atti dimostrativa di
un’attenzione anche pregressa alle problematiche in questione). Del resto,
la partecipazione di tutti i soggetti coinvolti alla Conferenza dei servizi
quale luogo di sintesi delle varie istanze emerse avrebbe comunque
consentito di “recuperare” le esigenze di omogeneità emerse in corso di
procedimento di VAS.
24. Il sistema della pianificazione territoriale urbanistica successivo alla
riforma costituzionale del 2001, caratterizzato dalle leggi regionali c.d.
di “seconda generazione” si presenta dunque in maniera ben diversa da quello
riveniente dalla legge urbanistica del 1942. Esso risponde infatti ad una
visione meno “gerarchica” e più armonica, che vede nella leale
collaborazione, oltre che nella sussidiarietà, i teorici principi ispiratori
delle scelte.
La pianificazione sovracomunale, affermatasi sia sul livello
regionale sia provinciale, si connota pertanto per una natura “mista”
relativamente a contenuti -prescrittivi, di indirizzo e di direttiva- e ad
efficacia, nonché per la flessibilità nei rapporti con gli strumenti sotto ordinati. La pianificazione comunale a sua volta non si esaurisce più
nel solo tradizionale piano regolatore generale (in Lombardia, dopo la legge
del 2005, Piano di Governo del territorio), ma presenta un’articolazione in
atti o parti tendenzialmente distinti tra il profilo strutturale e quello
operativo, e si connota per l’intersecarsi di disposizioni volte ad una
programmazione generale che abbia come obiettivo lo sviluppo socio-economico
dell’intero contesto.
L’atto rimesso alla competenza dell’Ente sovraordinato
(tipicamente, la Provincia), in quanto rivolto ad un ambito territoriale più
ampio, non può che essere destinato ad indirizzare per linee generali le
scelte degli enti territoriali, nel pieno rispetto dell’allocazione delle
stesse, secondo il richiamato principio di sussidiarietà, al livello di
governo più vicino al contesto cui si riferisce, rispondendo all’obiettivo
di valorizzare le peculiarità storiche, economiche e culturali locali e
insieme assicurare il principio di adeguatezza ed efficacia dell’azione
amministrativa.
Nell’impostazione articolata e flessibile del sistema della
pianificazione territoriale tipicamente strutturata su vari livelli, esso si
colloca “a monte”, quale inquadramento degli elementi strutturali, delle
reti e delle strategie, dalle quali è evidente che il Comune non può
prescindere (v. Cons. Stato, sez. II, 15.10.2020, n. 6263).
Quanto
detto è stato affermato anche in relazione al rapporto tra fonti formalmente
normative, con riferimento alle quali si è egualmente parlato di un rapporto
non gerarchico, ma di compenetrazione funzionale (cfr., da ultimo,
specificamente in tema, Corte cost. n. 179 del 2019, richiamata da Cons.
Stato, sez. II, 20.10.2020, n. 6330).
25. Ciò trova rispondenza sia nella configurazione multilivello dei
procedimenti di definizione delle scelte urbanistiche, che vuole il
coinvolgimento dei vari Enti territoriali astrattamente interessati, oltre
alla acquisizione del contributo collaborativo dei cittadini formalizzato
nelle relative osservazioni; sia nell’incidenza delle regole, dal generale
al particolare, sul medesimo ambito territoriale, all’interno del quale
l’area di riferimento di quelle di maggior dettaglio si pone come un cerchio
concentrico.
25.1. Diversamente opinando, del resto, verrebbe all’evidenza anche un
profilo di inammissibilità del ricorso di primo grado che non ha fatto
oggetto di impugnativa il Piano provinciale, sicché gli effetti
asseritamente vincolanti dello stesso sulle scelte urbanistiche dei Comuni
finirebbe per vanificare l’esito favorevole dell’odierno contenzioso, non
potendo l’Amministrazione di Lodi che rieditare il proprio potere in maniera
conforme alla disciplina d’ambito di riferimento.
26. L’Associazione, intersecando le necessarie scansioni del procedimento
urbanistico con le rivendicate valutazioni (ulteriori) ambientali, finisce
dunque per ricondurre sotto l’egida del mero formalismo e della petizione di
principio le doglianze avanzate. La sua evanescente prospettazione, seppure
non priva di suggestioni, si fonda su un indebito sillogismo secondo il
quale la mancanza di VAS a supporto del (terzo) Accordo di programma non
consentirebbe più di recepire la scelta, palesandosi tardiva e in contrasto
con il principio di precauzione qualsivoglia valutazione sopravvenuta,
siccome necessariamente postuma rispetto a quella scelta.
In sintesi, solo
un approccio rinunciatario alla pianificazione e alla gestione delle
dinamiche territoriali, azzerando l’intero percorso ideativo precedente,
condiviso peraltro da plurimi governi locali succedutisi nel tempo, si
paleserebbe rispettoso della rivendicata “opzione zero”, seppure non se ne
sia in concreto motivata e neppure enunciata la necessità, tale non potendo
essere considerata la assoluta conservazione della vocazione agricola del
territorio.
27. La insindacabilità del merito delle scelte urbanistiche, ove non affette
da palese arbitrarietà o errore manifesto non può non impingere anche gli
atti in contestazione, dei quali infatti l’Associazione appellante intende
mettere in discussione l’an, non il quomodo. Ciò senza avere fornito «alcun
concreto elemento che possa fare ritenere incongrue o arbitrarie le scelte
di merito compiute in sede di rilascio del parere», come correttamente
affermato dal primo giudice, rendendo così impossibile basare il proprio
convincimento «sulla scorta di considerazioni meramente presuntive non
fondate su solide basi legali o logiche».
28. A ben guardare, peraltro, non corrisponde neppure del tutto al vero la
circostanza che il Rapporto ambientale censurato dall’appellante non
contempli la c.d. “opzione zero”, potendo al contrario essa essere ravvisata
nella descrizione del quinto scenario plausibile, ovvero la frammentazione
degli insediamenti sul territorio, tale da non renderne neppure visibilmente
percepibile la rappresentazione grafica. E’ evidente infatti che
neutralizzando lo stesso concetto di “polo” come luogo di concentrazione di
servizi e attività in genere, se ne salvaguarda l’erogazione, ma non la
immediata accessibilità, con conseguente impatto negativo sulla viabilità,
peraltro espressamente valutato.
29. La presunta prova in dettaglio del pregiudizio all’ambiente e della
mancata serietà istruttoria della VAS risiederebbe tutta nella (ri)proposta
lettura decontestualizzata di taluni passaggi del RA, che l’Autorità
competente non avrebbe tenuto in debita considerazione. Nello specifico,
tuttavia, quanto ai rilievi di pag. 206, l’appellante omette di riferire la
preliminare affermazione in forza della quale il progetto costituisce
«un’opportunità di sviluppo con evidenti ricadute, in termini
socio-culturali, economici, infrastrutturali e ambientali», sicché di fatto
ne è chiara la finalità di allert da monitorare nel prosieguo, di certo non
di elementi ostativi alla realizzazione in toto dell’intervento.
Quanto
invece agli scenari alternativi riportati a pag. 230, si è già detto di come
essi contemplino anche una sorta di sostanziale opzione zero aggiuntiva,
laddove immaginano il frazionamento dell’intervento in più unità minori, con
conseguente «perdita del concetto stesso di Businnes Park, in quanto la
concentrazione permette l’ottimizzazione del flusso stradale, senza
implicare spostamenti ulteriori per chi desidera raggiungere le diverse
attività dislocate sul medesimo ambito».
Le rimanenti quattro alternative,
invece, diversamente da quanto opinato dalla parte, si soffermano su singoli
indici di potenziale incidenza negativa, traendone un giudizio di preferibilità della originaria scelta di Piano (quella “attuale”) valutando,
a seconda dei casi, il carico eccessivo sulla mobilità indotta, la attrattività insediativa, con evidente rischio di perdere la «cintura verde
oggi presente e individuata dalla pianificazione sovraordinata» (ipotesi 2
e 3); i livelli di impermeabilizzazione del suolo, che avuto riguardo alla
situazione della zona Oltradda ne sconsigliano l’utilizzo (ipotesi 4).
30. Del tutto priva di rilievo è poi la circostanza, peraltro sopravvenuta,
che la gestione del Parco tecnologico padano affidata dal Comune ad una
società a partecipazione pubblica si sarebbe rivelata fallimentare, non
essendo affatto dimostrato che ciò dipenda da un’errata valutazione
originaria dei profili ambientali del progetto e finanche della sua
convenienza, quale fattore di ponderazione comparativa tra quelli in gioco,
a prescindere dagli circostanze negative che hanno inciso nella fase
dell’utilizzo della struttura.
31. Sotto il profilo procedurale, Legambiente contesta sia le modalità di
individuazione (postume, anziché preventive) sia la allocazione all’interno
della medesima amministrazione della c.d. “Autorità competente”. In pratica,
non sarebbe corretto che il soggetto incaricato dell’istruttoria (“autorità
proponente”) e quello preposto al rilascio del parere siano dipendenti del
medesimo Comune, seppure preposti a settori distinti, sì da mettere a
repentaglio la necessaria terzietà di giudizio che deve caratterizzare
l’operato del secondo. I dubbi rivenienti al riguardo in particolare dalla
disciplina regionale, imporrebbero il rinvio pregiudiziale alla Corte di
Giustizia della normativa affinché ne chiarisca la corretta interpretazione,
peraltro potenzialmente contrastante anche con i principi di imparzialità
della pubblica amministrazione di cui all’art. 97 della Costituzione.
L’attività dirigenziale, infatti, non può non subire il condizionamento del
vertice politico, che nel caso di specie è anche il proponente l’iniziativa
urbanistica.
32. Il Collegio ritiene innanzi tutto di sgombrare il campo dal primo
profilo di asserita illegittimità della individuazione dell’Autorità
competente: avendo il Comune chiarito, senza eccezioni di controparte, che
essa attiene alla titolarità dell’ufficio, e non allo stesso, non si
ravvisano profili di “tardività”, non rilevando certo l’attribuzione
dell’incarico di funzione, che peraltro comunque precede la delibera di
adozione del Piano (n. 13 del 06.02.2010), risalendo al 2009.
33. All’apparenza più complessa è invece la contestata convergenza nel
medesimo Ente della funzione di controllante e controllore, terminologia
peraltro di per sé foriera di equivoci concettuali circa il corretto
inquadramento dell’apporto di ciascuno alla definizione del procedimento.
34. Dalle definizioni oggi contenute nell’art. 5 del d.lgs. 152 del 2006 di
“autorità competente” e “autorità procedente” risulta chiaro solo che
entrambe sono “amministrazioni”, non che le stesse debbano essere diverse o
separate (e che, pertanto, sia precluso individuare l’autorità competente in
un diverso organo o articolazione della stessa amministrazione procedente).
Più in generale, il Collegio non condivide l’approccio ermeneutico di fondo
della parte odierna appellante, che desume la necessaria “separatezza” tra
le due autorità dalla implicita convinzione che la VAS costituisca una sorta
di momento di controllo sull’attività di pianificazione svolta dall’autorità
proponente, con il corollario dell’impossibilità di una identità o
immedesimazione tra controllore e controllato, appunto.
Siffatta
ricostruzione, invero, è smentita dall’intero impianto normativo in subiecta
materia, il quale invece evidenzia che le due autorità, seppur poste in
rapporto dialettico in quanto chiamate a tutelare interessi diversi, operano
“in collaborazione” tra di loro in vista del risultato finale della
formazione di un piano o programma attento ai valori della sostenibilità e
compatibilità ambientale: ciò si ricava, testualmente, dall’art. 11 del d.lgs. n. 152 del 2006, che secondo l’opinione preferibile costruisce la VAS
non già come un procedimento o subprocedimento autonomo rispetto alla
procedura di pianificazione, ma come un passaggio endoprocedimentale di
esso, concretantesi nell’espressione di un “parere” che riflette la verifica
di sostenibilità ambientale della pianificazione medesima.
La conformità di tale lettura alla ratio ispiratrice della retrostante
disciplina comunitaria è già stata affermata da questo Consiglio di Stato
proprio nella sentenza invocata in senso diametralmente opposto da
Legambiente, ai cui specifici principi il Collegio intende fare integrale
richiamo (v. Cons. Stato, sez. IV, 12.01.2011, n. 133).
Ai fini della
conformità del diritto interno ai principi della Direttiva comunitaria
42/2001/CE non rilevano dunque i meccanismi concretamente escogitati dagli
Stati membri, bensì unicamente «che essi siano idonei ad assicurare il
risultato voluto di garantire l’integrazione delle considerazioni ambientali
nella fase di elaborazione, predisposizione e adozione di un piano o
programma destinato a incidere sul territorio; il che, a ben vedere, disvela
l’inconsistenza delle questioni di legittimità costituzionale ovvero
comunitaria sollevate dall’appellato, sia pure in via subordinata, avverso
le evocate norme nazionali e regionali laddove interpretate nel senso qui
proposto».
Sicché «alla stregua delle considerazioni che precedono, per
nulla illegittima, e anzi quasi fisiologica, è l’evenienza che l’autorità
competente alla V.A.S. sia identificata in un organo o ufficio interno alla
stessa autorità procedente, per completezza espositiva può aggiungersi che,
forse, sotto diverso profilo le determinazioni amministrative oggetto del
presente contenzioso prestano il fianco a critiche di inconciliabilità con
la normativa vigente di rango primario».
Né a mutare tale conclusioni può contribuire il richiamo all’art. 97 della
Costituzione, ovvero, in maniera del tutto inconferente, alla competenza
esclusiva dello Stato in materia di ordinamento e organizzazione
amministrativa dello stesso (art. 117, lett. g). Il principio di separazione
tra politica e gestione, infatti, costituisce il cardine dell’ordinamento
dirigenziale e non può essere messo in discussione dalla valenza
necessariamente politica nel senso etimologico del termine delle scelte di
governo del territorio. Eventuali condizionamenti capaci di incidere sulla
legittimità delle scelte tecniche attengono alla patologia dei rapporti
interistituzionali, di certo non alla loro fisiologica e regolare
dialettica.
35. Infine e per completezza, un cenno alle più recenti modifiche normative
in materia di VIA, peraltro già richiamate al § 12: diversamente da quanto
sostenuto dall’appellante, esse confortano proprio la ricostruzione di cui
sopra, in quanto declinano sì l’esigenza di segnalare ogni situazione di
conflitto, anche potenziale, alle competenti autorità (art. 50, comma 1,
lett. c), punto 3, del d.l. n. 76 del 2020, che ha modificato sul punto
l’art. 7-bis, comma 6, del d.lgs. n. 152/2006); ma senza incidere sulla
previgente previsione in forza della quale qualora nei procedimenti di VIA o
di verifica di assoggettabilità a VIA (cui la novella si riferisce
specificamente) l’autorità competente coincida con l’autorità proponente di
un progetto, esse provvedano a separare in maniera appropriata, nell’ambito
della propria organizzazione delle competenze amministrative, le funzioni
confliggenti in relazione all’assolvimento dei compiti derivanti dal Codice
dell’Ambiente.
Con ciò ritenendo ancora ridetta concentrazione di funzioni
astrattamente possibile, se non addirittura preferibile. Ciò è talmente vero
che nel prendere atto dell’avvenuto trasferimento di molte competenze in
materia di VAS statale al neo istituito Ministero della transizione
ecologica si è altresì previsto che la valutazione dell’impatto ambientale
venga rilasciata dall’Autorità competente nell’ambito del procedimento
autorizzatorio.
Come riportato a pag. 77 della relazione illustrativa del
d.l. n. 77 del 2021, «si tratta di una importante semplificazione, tenuto
conto che con l’istituzione del Ministero della transizione ecologica ai
sensi dell’articolo 2 del decreto legge n. 22 del 2021, convertito con
modificazioni, dalla legge n. 55 del 2021, le competenze in materia di
autorizzazione di numerosi impianti sono state trasferite dal Ministero
dello sviluppo economico al Ministero della transizione ecologica, di talché
in questi casi la procedura autorizzativa e quella di valutazione di impatto
ambientale, pur se esercitate da distinte Direzioni generali, fanno capo al
medesimo Ministero».
36. Esula dalle questioni strettamente ambientali la ribadita violazione del
termine di approvazione del PGT statuito all’art. 13 della l.r. n. 12 del
2005, pari a 90 giorni dalla scadenza del termine per le osservazioni
stabiliti «a pena di inefficacia degli atti assunti» anche per l’adeguamento
ai rilievi mossi dalla Provincia in ordine alla compatibilità con il PGTP
ovvero, per il suo tramite, con la pianificazione ambientale.
Ammesso e non
concesso, infatti, il richiamo alla inefficacia costituisca chiaro indice
della perentorietà di termini che parrebbero piuttosto ispirati alla
condivisibile esigenza acceleratoria dell’iter dei provvedimenti urbanistici
(contra, v. Cons. Stato, sez. IV, 10.02.2017, n. 572, alle cui
conclusioni il Collegio aderisce), nel caso di specie correttamente il primo
giudice ha evidenziato la inconferenza del richiamo normativo stante la
peculiarità del procedimento in controversia.
Nelle interlocuzioni collaborative intercorse tra le due amministrazioni coinvolte, infatti
(comune e provincia di Lodi) il primo ha inteso suggerire modifiche al
secondo, anziché adeguarsi. Al che consegue che l’armonizzazione tra i vari
livelli di pianificazione territoriale è stata comunque realizzata ma
addivenendo ad un diverso punto di incontro che di fatto ha consentito di
superare i rilievi originari. Correttamente, dunque, «ritenere che il piano
adottato debba decadere per poi essere nuovamente deliberato dopo
l’approvazione della variante del PTCP» si porrebbe in contrasto proprio
con la richiamata esigenza di celere formazione dello strumento urbanistico
comunale
(Consiglio
di Stato, Sez. II,
sentenza 01.09.2021 n. 6152 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
2020 |
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URBANISTICA: VAS
come passaggio endoprocedimentale del
procedimento di pianificazione.
Secondo consolidati
principi giurisprudenziali, l'art. 11 del
codice dell'ambiente d.lgs. n. 152/2006
costruisce la V.A.S. non già come un
procedimento o sub-procedimento autonomo
rispetto alla procedura di pianificazione,
ma come un passaggio endoprocedimentale di
esso, concretantesi nell'espressione di un
“parere” che riflette la verifica di
sostenibilità ambientale della
pianificazione medesima, sicché, stante la
sua natura endoprocedimentale, il relativo
provvedimento non è immediatamente ed
autonomamente impugnabile, prima della
definizione del procedimento pianificatorio.
Per le stesse ragioni costituisce atto
endoprocedimentale e non immediatamente
lesivo quello con cui l’Amministrazione, a
seguito di apposita verifica preliminare,
stabilisce di escludere il progetto di
pianificazione urbanistica o di una sua
variante dall’assoggettamento a valutazione
ambientale strategica.
In sostanza, ogni valutazione in merito al
potenziale impatto ambientale della
pianificazione urbanistica è destinato a
trasfondersi, e a rimanere assorbito, nella
pianificazione medesima, sicché soltanto gli
atti con cui è definitivamente approvata
quest’ultima possono dispiegare concreti
effetti lesivi nei confronti dei soggetti
direttamente incisi dalla pianificazione,
che, pertanto, soltanto nei confronti di
detti atti conclusivi della pianificazione
hanno titolo ed interesse a dolersi in sede
giurisdizionale.
---------------
E’ oggetto del presente giudizio il
provvedimento con cui l’amministrazione
comunale di Gargnano, ha stabilito di non
assoggettare alla valutazione ambientale
strategica (VAS) e di escludere dalla
valutazione di incidenza (VIC) la terza
variante al vigente PGT.
1. Costituendosi in giudizio, la difesa
comunale ha eccepito preliminarmente
l’inammissibilità del ricorso per carenza di
interesse, in considerazione della natura
meramente endoprocedimentale dell’atto
impugnato, privo come tale di effetti
immediatamente lesivi per la parte
ricorrente.
L’eccezione, osserva il Collegio, è fondata
e assorbente.
1.1. Secondo consolidati principi
giurisprudenziali, l'art. 11 del codice
dell'ambiente d.lgs. n. 152/2006 costruisce
la V.A.S. non già come un procedimento o
sub-procedimento autonomo rispetto alla
procedura di pianificazione, ma come un
passaggio endoprocedimentale di esso,
concretantesi nell'espressione di un “parere”
che riflette la verifica di sostenibilità
ambientale della pianificazione medesima,
sicché, stante la sua natura
endoprocedimentale, il relativo
provvedimento non è immediatamente ed
autonomamente impugnabile, prima della
definizione del procedimento pianificatorio
(TAR Genova, sez. I, 26/02/2014, n. 359; TAR
Milano, sez. II, 09/05/2013, n. 1203; TAR
Napoli, sez. VIII, 19/12/2012, n. 5256; TAR
Ancona, sez. I, 22/06/2012, n. 444;
Consiglio di Stato, sez. IV, 14/07/2014, n.
3645).
Per le stesse ragioni costituisce atto
endoprocedimentale e non immediatamente
lesivo quello con cui l’Amministrazione, a
seguito di apposita verifica preliminare,
stabilisce di escludere il progetto di
pianificazione urbanistica o di una sua
variante dall’assoggettamento a valutazione
ambientale strategica.
In sostanza, ogni valutazione in merito al
potenziale impatto ambientale della
pianificazione urbanistica è destinato a
trasfondersi, e a rimanere assorbito, nella
pianificazione medesima, sicché soltanto gli
atti con cui è definitivamente approvata
quest’ultima possono dispiegare concreti
effetti lesivi nei confronti dei soggetti
direttamente incisi dalla pianificazione,
che, pertanto, soltanto nei confronti di
detti atti conclusivi della pianificazione
hanno titolo ed interesse a dolersi in sede
giurisdizionale (TAR Lombardia-Brescia, Sez.
I,
sentenza 28.12.2020 n. 923 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI - URBANISTICA:
VIA, VAS E AIA – V.A.S. (valutazione ambientale strategica)
– Tempo dell’adozione – Necessità di valutazione
anteriormente all’approvazione del piano o programma e
durante la fase di predisposizione di questi strumenti –
Sussiste.
La V.A.S. (valutazione ambientale
strategica), secondo le disposizioni del d.lgs. 03.04.2006
n. 152, deve essere avviata dall’autorità procedente assieme
o parallelamente al processo di formazione del piano o
programma e conclusa prima dell’approvazione.
L’art. 11, commi 3-4-5, del d.lgs. 03.04.2006 n. 152 (e
l’art. 10, comma 1, della legge della Regione Puglia
14.12.2012 n. 44) stabiliscono che la fase di valutazione è
effettuata anteriormente all’approvazione del piano o del
programma e durante la fase di predisposizione di questi
strumenti, costituendone una parte integrante del
procedimento, senza inutili duplicazioni.
...
VIA, VAS E AIA – V.A.S. – Piani urbanistici ed edilizi –
Ricompresione nel procedimento di adozione e di approvazione
del piano urbanistico o di loro varianti – Necessità –
Sussiste.
L’art. 5, comma 8, ultima parte, del
decreto-legge 13.05.2011 n. 70, convertito, con
modificazioni, nella legge 12.07.2011 n. 106 (nel modificare
l’art. 16 della legge urbanistica del 17.08.1942 n. 1150) ha
previsto che i procedimenti amministrativi di valutazione
ambientale strategica sono ricompresi nel procedimento di
adozione e di approvazione del piano urbanistico o di loro
varianti.
L’art. 11, comma 3, del d.lgs. 03.04.2006 n. 152 (come
modificato dall’art. 2, comma 9, d.lgs. 29.06.2010 n. 128)
ha specificato che la fase di valutazione della V.A.S. è
effettuata prima dell’approvazione del piano, comunque
durante la predisposizione, in quanto gli impatti
significativi sull’ambiente vanno presi in considerazione ex
ante.
...
VIA, VAS E AIA – Procedimento di V.A.S. – Distinzione tra il
c.d. documento di screening, che verifica l’assoggettabilità
a V.A.S., ossia il fatto che un piano o un programma ricada
nell’ambito giuridico per il quale è prevista la V.A.S., e
il c.d. documento di scoping, che invece definisce
l’ambito delle indagini necessarie per la successiva
valutazione.
L’art. 11, comma 1, del d.lgs.
03.04.2006 n. 152 prevede che la V.A.S. venga avviata
dall’autorità procedente contestualmente al processo di
formazione del piano o programma e comprende, tra l’altro:
a) lo svolgimento di una verifica di assoggettabilità (c.d.
documento di screening);
b) l’elaborazione del rapporto ambientale (c.d. documento di
scoping).
In dettaglio, lo screening verifica il fatto che un piano o
programma ricada nell’ambito giuridico per il quale è
prevista la V.A.S. Lo scoping definisce l’ambito delle
indagini necessarie per la valutazione.
...
VIA, VAS E AIA – V.A.S. e documenti preliminari in relazione
a successive modifiche a piani e programmi, ovvero a
strumenti attuativi di piani o programmi, già positivamente
sottoposti alla verifica di assoggettabilità, ai sensi
dell’art. 12, comma 6, d.lgs. 03.04.2006 n. 152 (come
modificato dall’art. 2, comma 10, d.lgs. 29.06.2010 n. 128)
– Considerazione limitata ai soli effetti significativi
sull’ambiente, che non siano stati già presi in esame da
altri precedenti strumenti urbanistici, senza aggravare il
procedimento – Necessità – Sussiste.
La verifica di assoggettabilità a V.A.S.,
ovvero la V.A.S. relative a modifiche a piani e programmi,
ovvero a strumenti attuativi di piani o programmi, già
positivamente sottoposti alla verifica di assoggettabilità,
ai sensi dell’art. 12, comma 6, d.lgs. 03.04.2006 n. 152
(come modificato dall’art. 2, comma 10, d.lgs. 29.06.2010 n.
128), si limita a considerare i soli effetti significativi
sull’ambiente, che non siano stati già considerati da altri
strumenti urbanistici, senza aggravare il procedimento (TAR
Puglia-Bari, Sez. II,
sentenza 22.12.2020 n. 1677 - link a www.ambientediritto.it). |
URBANISTICA: Autorità
"procedente" e "competente" in materia di VAS.
Il TAR Brescia afferma
l’illegittimità del procedimento di VAS
correlato alla redazione di un P.G.T., con
conseguente illegittimità derivata di quest’ultimo,
per violazione della direttiva 2001/42/CE,
degli artt. 5 e 7, commi 6 e 7, del d.lgs. n.
152 del 2006 e dell’art. 4 della l.r. n.
12/2005; ciò in quanto l’Autorità
“procedente” e l’Autorità “competente” per
la VAS sono state individuate all’interno
della stessa amministrazione comunale nelle
persone di due funzionari dello stesso
Ufficio Tecnico, il primo dei quali
superiore gerarchico del secondo e osserva
al riguardo quanto segue:
«È noto che il d.lgs. n. 152/2006 (artt.
7 e ss.) e la l.r. Lombardia n. 12/2005
(art. 4) ripartiscono le competenze in
materia di valutazione ambientale
strategica, e cioè di valutazione degli
effetti provocati sull’ambiente da
determinati piani e programmi, tra
l’autorità “competente” e l’autorità
“procedente”: è autorità “competente” la
pubblica amministrazione cui compete
“l'elaborazione del parere motivato [di
impatto ambientale], nel caso di valutazione
di piani e programmi” (art. 5, comma 1,
lett. p), d.lgs. 152/2006); è autorità
“procedente” la pubblica amministrazione
“che elabora il piano, programma” soggetto a
valutazione di impatto ambientale, ovvero
quella “che recepisce, adotta o approva il
piano, programma” (art. 5, comma 1, lett. q), d.lgs. 152/2006).
Tra i requisiti dell’autorità “competente”,
l’art. comma 3-ter della l.r. Lombardia n.
12/2005 individua, in particolare, quello
della “separazione rispetto all'autorità
procedente” e quello del possesso di un
“adeguato grado di autonomia”, pur
prevedendo, peraltro, che la medesima
autorità è “individuata prioritariamente
all'interno dell'ente di cui al comma
3-bis”, cioè all’interno dell’autorità
“procedente”.
Sulla scorta di tali disposizioni, è
orientamento giurisprudenziale consolidato
quello secondo cui “L'autorità competente
alla v.a.s. non deve essere necessariamente
individuata in una p.a. diversa da quella
avente qualità di autorità procedente, anche
nel caso in cui quest'ultima consista in un
ente locale di ridotte dimensioni con un
limitato numero di funzionari a
disposizione”, e ciò in quanto le
funzioni delle due autorità non sono in
rapporto di contrapposizione o di controllo;
la distinzione ha invece la finalità di
assicurare che, attraverso la collaborazione
o lo scambio di informazioni, entrino nella
valutazione ambientale tutti gli apporti
tecnici necessari.
Questa impostazione può ritenersi oggi
codificata nel sopra citato art. 4, comma
3-ter, della l.reg. Lombardia n. 12/2005,
che prevede “in via prioritaria” la
concentrazione delle due autorità nello
stesso ente; previsione in cui non si
ravvisano profili di contrasto con la
normativa nazionale e con le direttive
comunitarie, dal momento che la separazione
che garantisce l'autonomia dell'autorità
competente è quella funzionale, la quale a
sua volta deriva dal possesso di una
particolare qualificazione
tecnico-professionale, che sia esercitabile
secondo le regole tecniche della
pianificazione, senza interferenze di altra
natura.
Peraltro, secondo principi
giurisprudenziali altrettanto consolidati e
già condivisi da questo TAR, “Condizione
perché la scelta dell'autorità competente
non violi i canoni comunitari è che tra
l'autorità competente e l'autorità
procedente, anche se appartenenti alla
stessa Amministrazione, sussista un adeguato
grado di autonomia”».
...
(nel caso di specie sono stati designati
quali autorità competente e autorità
procedente in materia di VAS due funzionari
incardinati entrambi all'interno
dell’Ufficio Tecnico comunale, dei quali
l’uno, designato quale autorità
competente posto in “rapporto gerarchico di
dipendenza” (come da organigramma comunale)
rispetto all'altro, designato quale
autorità procedente, il che esclude, per il
TAR, di per sé la sussistenza dell'adeguato
grado di autonomia dell’autorità competente
rispetto all'autorità procedente preteso
dalla normativa regionale e dalla
consolidata giurisprudenza amministrativa
quale condizione di legittimità della
individuazione delle due autorità in
questione all'interno della stessa pubblica
amministrazione
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 01.09.2020 n. 628 - - commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
---------------
SENTENZA
1. Con ricorso notificato in data
08-13.11.2013 e ritualmente depositato, i
ricorrenti, premesso di essere concessionari
di distinti diritti di superficie sul tratto
intubato della Roggia Borgogna esistente
all’interno del centro abitato di Villa di
Serio (Bg), in forza di concessioni ottenute
dal Consorzio di Bonifica della Media
Pianura Bergamasca, ente gestore della
Roggia, e di utilizzare le porzioni di aree
ottenute in concessione quali pertinenze
delle proprie abitazioni, hanno impugnato la
deliberazione n. 7 del 13.06.2013,
pubblicata sull’albo pretorio comunale il
19.07.2013, con cui il consiglio comunale di
Villa di Serio ha approvato definitivamente
il Piano di Governo del Territorio, e ne
hanno chiesto l’annullamento nella parte in
cui ha previsto la trasformazione del sedime
della Roggia Borgogna tubata in un percorso
ciclopedonale.
2. Il ricorso è stato affidato a quattro
motivi, con cui sono stati dedotti vizi
di violazione di legge e di eccesso di
potere sotto plurimi profili; in
particolare:
2.1.) con il primo motivo, i
ricorrenti hanno dedotto l’illegittimità
derivata dell’impugnato P.G.T. a causa
dell’asserita illegittimità del procedimento
di V.A.S. ad esso correlato, in ragione del
fatto che l’Autorità “procedente” e
l’Autorità “competente” per la redazione
della V.A.S. sarebbero state individuate
all’interno della stessa amministrazione
comunale nelle persone di due funzionari
dello stesso Ufficio, uno dei quali posto in
posizione di dipendenza gerarchica
dall’altro, in tal modo determinando una
inammissibile commistione tra il ruolo di
controllore e quello di controllato
all’interno dello stesso ente pubblico;
...
1. Con il primo motivo, come detto, i
ricorrenti hanno dedotto l’illegittimità del
procedimento di V.A.S. correlato alla
redazione del nuovo P.G.T., con conseguente
illegittimità derivata di quest’ultimo, per
violazione della direttiva 2001/42/CE, degli
artt. 5 e 7 commi 6 e 7 del d.lgs. n. 152
del 2006 e dell’art. 4 della l.r. n.
12/2005; ciò in quanto l’Autorità
“procedente” e l’Autorità “competente” per
la V.A..S sarebbero state individuate
all’interno della stessa amministrazione
comunale nelle persone di due funzionari
dello stesso Ufficio Tecnico, l’arch. Si.Ce. quale Autorità “procedente” e la dott.ssa Li.Pe. quale Autorità
“competente”, il primo dei quali superiore
gerarchico del secondo, in tal modo
“realizzando la confusione del ruolo di
controllore con quello di controllato
all’interno dello stesso ente pubblico”; una
diversa interpretazione, secondo i
ricorrenti, imporrebbe il rinvio alla Corte
di Giustizia Europea della questione
pregiudiziale circa la compatibilità con la
direttiva comunitaria della normativa
interna statale e regionale che consentono
di individuare l’autorità competente in una
persona fisica incardinata nell’autorità
procedente.
La censura, osserva il collegio, è fondata e
assorbente.
2. E’ noto che il d.lgs. n. 152/2006 (artt.
7 e ss.) e la l.r. Lombardia n. 12/2005
(art. 4) ripartiscono le competenze in
materia di valutazione ambientale
strategica, e cioè di valutazione degli
effetti provocati sull’ambiente da
determinati piani e programmi, tra
l’autorità “competente” e l’autorità
“procedente”: è autorità “competente” la
pubblica amministrazione cui compete
“l'elaborazione del parere motivato [di
impatto ambientale], nel caso di valutazione
di piani e programmi” (art. 5, comma 1, lett.
p), d.lgs. 152/2006); è autorità
“procedente” la pubblica amministrazione
“che elabora il piano, programma” soggetto a
valutazione di impatto ambientale, ovvero
quella “che recepisce, adotta o approva il
piano, programma” (art. 5, comma 1, lett. q), d.lgs. 152/2006).
Tra i requisiti dell’autorità “competente”,
l’art. comma 3-ter della l.r. Lombardia n.
12/2005 individua, in particolare, quello
della “separazione rispetto all'autorità
procedente” e quello del possesso di un
“adeguato grado di autonomia”, pur
prevedendo, peraltro, che la medesima
autorità è “individuata prioritariamente
all'interno dell'ente di cui al comma
3-bis”, cioè all’interno dell’autorità
“procedente”.
3. Sulla scorta di tali disposizioni, è
orientamento giurisprudenziale consolidato
quello secondo cui “L'autorità competente
alla v.a.s. non deve essere necessariamente
individuata in una p.a. diversa da quella
avente qualità di autorità procedente, anche
nel caso in cui quest'ultima consista in un
ente locale di ridotte dimensioni con un
limitato numero di funzionari a
disposizione” (Consiglio di Stato, sez. IV,
17/09/2012, n. 4926; TAR Brescia, sez. I,
12/01/2016, n. 24; TAR Milano, sez. II,
05/03/2019, n. 461), e ciò in quanto le
funzioni delle due autorità non sono in
rapporto di contrapposizione o di controllo;
la distinzione ha invece la finalità di
assicurare che, attraverso la collaborazione
o lo scambio di informazioni, entrino nella
valutazione ambientale tutti gli apporti
tecnici necessari.
4. Questa impostazione può ritenersi oggi
codificata nel sopra citato art. 4, comma 3-ter, della l.reg. Lombardia n. 12/2005, che
prevede “in via prioritaria” la
concentrazione delle due autorità nello
stesso ente; previsione in cui non si
ravvisano profili di contrasto con la
normativa nazionale e con le direttive
comunitarie, dal momento che la separazione
che garantisce l'autonomia dell'autorità
competente è quella funzionale, la quale a
sua volta deriva dal possesso di una
particolare qualificazione
tecnico-professionale, che sia esercitabile
secondo le regole tecniche della
pianificazione, senza interferenze di altra
natura.
5. Peraltro, secondo principi
giurisprudenziali altrettanto consolidati e
già condivisi da questo TAR, “Condizione
perché la scelta dell'autorità competente
non violi i canoni comunitari è che tra
l'autorità competente e l'autorità
procedente, anche se appartenenti alla
stessa Amministrazione, sussista un adeguato
grado di autonomia” (TAR Brescia, sez. I, 12.12.2019, n. 1066; TAR Brescia, sez. I,
27.06.2018, n. 625).
6. Nel caso di specie, come emerge dalla
documentazione prodotta in giudizio dalla
parte ricorrente (doc. n. 8 prodotto in data
24.06.2020, da ritenersi ammissibile benché
formalmente tardivo perché prodotto in
replica a specifiche deduzioni contenute
nella memoria di replica della difesa
comunale), sono stati designati quali
autorità competente e autorità procedente in
materia di v.a.s. due funzionari incardinati
entrambi all’interno dell’Ufficio Tecnico
comunale, dei quali l’uno, la dott.ssa
Li.Pe. -designata quale autorità
competente nella sua qualità di “referente”
dell’”Ufficio Urbanistica, lavori pubblici e
politiche ambientali”- posta in “rapporto
gerarchico di dipendenza” rispetto
all’altro, l’arch. Si.Ce., designato
quale autorità procedente nella sua qualità
qualità di responsabile dell’intero “Settore IV - Gestione del territorio, lavori
pubblici e ambiente”, all’interno del quale
era ricompreso l’Ufficio di appartenenza
della dott.ssa Pe..
7. L’esistenza tra i due uffici di un “rapporto
gerarchico di dipendenza”, indicato
espressamente nell’organigramma comunale
prodotto in giudizio dalla parte ricorrente
(cfr. “legenda” del doc. n. 8),
esclude di per sé la sussistenza di quell’“adeguato
grado di autonomia” dell’autorità
competente rispetto all’autorità procedente
preteso dalla normativa regionale e dalla
consolidata giurisprudenza amministrativa
quale condizione di legittimità della
individuazione delle due autorità in
questione all’interno della stessa pubblica
amministrazione.
8. Alla luce di tali considerazioni, il
motivo di ricorso qui in esame è fondato e
va accolto, con conseguente annullamento del
P.G.T. impugnato limitatamente alla parte
oggetto di impugnazione da parte dei
ricorrenti, ossia quella in cui è stata
prevista la trasformazione del sedime della
Roggia Borgogna tubata in un percorso
ciclopedonale.
9. Restano assorbiti gli ulteriori motivi. |
URBANISTICA:
Secondo una consolidata
giurisprudenza, le censure inerenti al
procedimento di valutazione ambientale
strategica (V.A.S.) sono ammissibili nei
limiti in cui la parte istante specifichi
quale concreta lesione alla sua proprietà
sia derivata dall’inosservanza delle norme
sul procedimento, essendo pertanto
inammissibile una doglianza meramente
“strumentale”, visto che il generico
interesse ad un nuovo esercizio del potere pianificatorio dell’Amministrazione è
insufficiente a distinguere la posizione del
ricorrente da quella del quisque de populo.
In ogni caso, i ricorrenti non perseguono
l’interesse a conseguire una più attenta
valutazione e, quindi, una più intensa
tutela dei valori ambientali, che
costituisce l’obiettivo proprio della V.A.S.,
bensì quello di ottenere, in occasione di
una, futura ed eventuale, rinnovata
pianificazione, l’assunzione rispetto al
terreno di loro proprietà di scelte meno
conservative nei confronti di quegli stessi
valori.
Anche sotto questo profilo, quindi, non
risulta dimostrata l’incidenza del vizio
prospettato rispetto all’interesse azionato
nel ricorso.
---------------
6. Con la quinta censura si evidenzia
che la modifica della destinazione dell’area
dei ricorrenti in fase di approvazione del
P.G.T., rispetto a quanto stabilito in sede
di adozione, rende del tutto incoerente la
procedura di V.A.S. svolta sia dall’Autorità
competente che procedente, non essendosi
potuto considerare in tal modo gli effetti
di tale (modificata) scelta sull’ambiente, a
prescindere dal relativo esito.
6.1. La doglianza, ai limiti
dell’ammissibilità, è infondata.
Va premesso che, secondo una consolidata
giurisprudenza, le censure inerenti al
procedimento di valutazione ambientale
strategica (V.A.S.) sono ammissibili nei
limiti in cui la parte istante specifichi
quale concreta lesione alla sua proprietà
sia derivata dall’inosservanza delle norme
sul procedimento, essendo pertanto
inammissibile una doglianza meramente
“strumentale”, visto che il generico
interesse ad un nuovo esercizio del potere pianificatorio dell’Amministrazione è
insufficiente a distinguere la posizione del
ricorrente da quella del quisque de populo (cfr.,
in termini, TAR Lombardia, Milano, II, 04.04.2019, n. 451; 26.11.2018, n.
2676; 15.12.2017, n. 2394; 26.05.2016, n. 1097).
In ogni caso, i ricorrenti non perseguono
l’interesse a conseguire una più attenta
valutazione e, quindi, una più intensa
tutela dei valori ambientali, che
costituisce l’obiettivo proprio della V.A.S.,
bensì quello di ottenere, in occasione di
una, futura ed eventuale, rinnovata
pianificazione, l’assunzione rispetto al
terreno di loro proprietà di scelte meno
conservative nei confronti di quegli stessi
valori. Anche sotto questo profilo, quindi,
non risulta dimostrata l’incidenza del vizio
prospettato rispetto all’interesse azionato
nel ricorso (TAR Lombardia, Milano, II,
26.11.2018, n. 2676; 15.12.2017,
n. 2394; 14.01.2016, n. 81).
6.2. Di conseguenza, anche la predetta
censura va respinta (TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 07.07.2020 n. 1291 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA: Chi
lamenta l’illegittimità della procedura di VAS è tenuto a dimostrare che
dagli esiti di tale procedura sia derivata l’assunzione di scelte
pianificatorie lesive del proprio interesse.
L’interesse a impugnare lo
strumento pianificatorio non può infatti esaurirsi nella generica
aspettativa a una migliore pianificazione dei suoli di propria spettanza,
richiedendosi, invece che le ‘determinazioni lesive’ fondanti l’interesse a
ricorrere siano effettivamente ‘condizionate’, ossia causalmente
riconducibili in modo decisivo, alle preliminari conclusioni raggiunte in
sede di V.A.S., con la conseguenza che l’istante ha l’onere di precisare
come e perché tali conclusioni nella specie abbiano svolto un tale ruolo
decisivo sulle opzioni relative ai suoli in sua proprietà.
---------------
2. Con i primi due motivi, da trattarsi congiuntamente per la loro
connessione, i ricorrenti deducono violazione dell’art. 4 L.R. Lombardia n.
12/2005, per omissioni nella nomina dell’autorità procedente nel
procedimento di Valutazione Ambientale Strategica (VAS) e altre irregolarità
del medesimo procedimento, nonché vizio di incompetenza poiché la Giunta
comunale avrebbe partecipato alla procedura di VAS senza che le fosse
conferita tale potestà.
Come eccepito dal Comune resistente, i motivi sono inammissibili.
Non è stato allegato né dimostrato dai ricorrenti se e in quale misura le
doglianze relative alla fase di VAS incidano sul “regime” riservato ai suoli
di loro proprietà.
Sul punto, la giurisprudenza amministrativa ha da tempo chiarito che “chi
lamenta l’illegittimità della procedura di VAS è tenuto a dimostrare che
dagli esiti di tale procedura sia derivata l’assunzione di scelte
pianificatorie lesive del proprio interesse. L’interesse a impugnare lo
strumento pianificatorio non può infatti esaurirsi nella generica
aspettativa a una migliore pianificazione dei suoli di propria spettanza,
richiedendosi, invece che le ‘determinazioni lesive’ fondanti l’interesse a
ricorrere siano effettivamente ‘condizionate’, ossia causalmente
riconducibili in modo decisivo, alle preliminari conclusioni raggiunte in
sede di V.A.S., con la conseguenza che l’istante ha l’onere di precisare
come e perché tali conclusioni nella specie abbiano svolto un tale ruolo
decisivo sulle opzioni relative ai suoli in sua proprietà” (cfr., ex plurimis, Cons. Stato, Sez. IV, 12.01.2011, n. 133; TAR Lombardia,
Milano, Sez. II, 15.11.2016 n. 2140)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 23.04.2020 n. 675 - link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
URBANISTICA: L’art.
5, comma 1, lett. p) e q), dlgs 152/2006 distingue tra “autorità competente” ai
fini della verifica ambientale strategica e “autorità procedente” ai fini
della redazione del piano o del programma; è “autorità competente” in
materia di v.a.s “la pubblica amministrazione cui compete l’elaborazione del
parere motivato nel caso di valutazione di piani o programmi”; è “autorità
procedente” “la pubblica amministrazione che elabora il piano, programma
soggetto alle disposizioni del presente decreto”.
La norma individua due organi distinti, ma non esclude che possano essere
incardinati all’interno della stessa amministrazione.
Al riguardo, la giurisprudenza amministrativa è ormai concorde nel ritenere
che “l’autorità competente alla v.a.s. non debba essere necessariamente
individuata in una p.a. diversa da quella avente qualità di autorità
procedente; se dalle definizioni di cui all’art. 5 del d.lgs. n. 152 del
2006 risulta infatti chiaro che entrambe le autorità de quibus sono sempre
amministrazioni pubbliche, in nessuna definizione del t.u. ambientale si
trova affermato in maniera esplicita che debba necessariamente trattarsi di
amministrazioni diverse o separate (e che, pertanto, sia precluso
individuare l’autorità competente in diverso organo o articolazione della
stessa amministrazione procedente”.
---------------
1. Con il primo motivo, il ricorrente ha lamentato che la
Valutazione Ambientale Strategica connessa all’approvazione del PGT sia
stata affidata, quale “Autorità competente per la VAS”, allo stesso soggetto
individuato come “Autorità procedente per la redazione del PGT”, ossia
all’arch. Vo., responsabile dell’Area Gestione Territorio del Comune di
Calcio nonché responsabile del procedimento di adozione del PGT; e ciò in
violazione della normativa speciale in materia di Valutazione Ambientale
Strategica -in particolare, D.Lgs. n. 152/2006, art. 5, comma 1, lett. d),
art. 7, comma 6, art. 11, comma 2, art. 12, comma 4; e D.Lgs. n. 4/2008, art.
5, comma 1, lett. p) q)- la quale impone di tenere distinte le due figure, a
garanzia di terzietà e di imparzialità delle valutazioni ambientali, e di
affidare il ruolo di Autorità competente in materia di VAS a soggetti con
specifiche competenze ambientali, nel caso di specie insussistenti in capo
all’arch. Vo.; illegittimo sarebbe altresì l’aver individuato come
Autorità procedente il sindaco, atteso che il Comune di Calcio ha una
popolazione superiore a 5.000 abitanti.
La censura è infondata.
1.1. L’art. 5, comma 1, lett. p) e q), distingue tra “autorità competente” ai
fini della verifica ambientale strategica e “autorità procedente” ai fini
della redazione del piano o del programma; è “autorità competente” in
materia di v.a.s “la pubblica amministrazione cui compete l’elaborazione del
parere motivato nel caso di valutazione di piani o programmi”; è “autorità
procedente” “la pubblica amministrazione che elabora il piano, programma
soggetto alle disposizioni del presente decreto”.
La norma individua due organi distinti, ma non esclude che possano essere
incardinati all’interno della stessa amministrazione.
Al riguardo, la giurisprudenza amministrativa è ormai concorde nel ritenere
che “l’autorità competente alla v.a.s. non debba essere necessariamente
individuata in una p.a. diversa da quella avente qualità di autorità
procedente; se dalle definizioni di cui all’art. 5 del d.lgs. n. 152 del
2006 risulta infatti chiaro che entrambe le autorità de quibus sono sempre
amministrazioni pubbliche, in nessuna definizione del t.u. ambientale si
trova affermato in maniera esplicita che debba necessariamente trattarsi di
amministrazioni diverse o separate (e che, pertanto, sia precluso
individuare l’autorità competente in diverso organo o articolazione della
stessa amministrazione procedente” (TAR Milano, sez. II, 13/05/2019, n.
1065; TAR Brescia, sez. I, 12/01/2016, n. 24)
TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 30.03.2020 n. 255 - link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
URBANISTICA:
La giurisprudenza è oramai
univoca nel ritenere che l’Autorità
competente per la VAS possa essere un organo
o una articolazione interna della Autorità
procedente, purché dotata di sufficiente
autonomia decisionale.
---------------
Quanto al quarto motivo di
impugnazione, la giurisprudenza è oramai
univoca nel ritenere che l’Autorità
competente per la VAS possa essere un organo
o una articolazione interna della Autorità
procedente, purché dotata di sufficiente
autonomia decisionale (cfr., della Sezione
sentenza n. 24/2016; nello stesso senso, TAR
Lombardia–Milano, Sez. II, sentenza n.
461/2019).
Ora, è ben vero che come Autorità competente
per la VAS è stato nominato il Responsabile
dell’Area Urbanistica del Comune, ma è
altrettanto vero che la redazione materiale
degli elaborati è stata affidata a
professionisti esterni, e che l’Autorità
procedente è il Consiglio comunale che ha
prima adottato e poi approvato il PGT, con
la conseguenza che risulta rispettata la
dicotomia fra i centri decisionali, anche se
appartenenti al medesimo Ente locale (TAR
Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 30.03.2020 n. 253 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
VAS nel procedimento di approvazione del
PTCP.
Con
riferimento alla VAS nel procedimento di
approvazione del PTCP, l’obbligo
di ripetere la VAS medesima può ragionevolmente
prospettarsi solo a fronte di modificazioni
apportate allo strumento tali da determinare
un maggior impatto sull’ambiente delle
scelte di piano, mentre nessuna necessità di
ripetere la procedura valutativa può
ravvisarsi laddove, in sede di approvazione,
si introducano misure finalizzate a
incrementare le misure di tutela ambientale
previste nel piano
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 10.02.2020 n. 285 - commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
---------------
2. Il secondo motivo di ricorso,
rivolto nei confronti della VAS, è
infondato.
In merito la giurisprudenza è ferma nel
sostenere che la procedura di VAS
costituisce non già un procedimento o
sub-procedimento autonomo rispetto alla
procedura di pianificazione, ma un passaggio
endoprocedimentale di esso, concretantesi
nell'espressione di un “parere” che riflette
la verifica di sostenibilità ambientale
della pianificazione medesima (cfr. fra le
tante TAR Liguria, sez. I, 26.02.2014,
n, 359).
Con riferimento alla VAS del PTCP impugnato
la giurisprudenza (TAR Lombardia, Milano,
sez. II, 08/10/2014 n. 2422; idem Cons.
Stato, IV, 02/09/2019 n. 6051) ha poi già
chiarito che “l’obbligo di ripetere la VAS
può ragionevolmente prospettarsi solo a
fronte di modificazioni apportate allo
strumento tali da determinare un maggior
impatto sull’ambiente delle scelte di piano,
mentre nessuna necessità di ripetere la
procedura valutativa può ravvisarsi laddove,
in sede di approvazione, si introducano
misure finalizzate a incrementare le misure
di tutela ambientale previste nel piano”.
Poiché le modifiche al piano adottato
(modifiche che, giova ricordare, hanno un
carattere fisiologico nell’ambito di un
procedimento amministrativo di
pianificazione che distingue la fase
dell’adozione da quella successiva e
definitiva dell’approvazione), sono state
introdotte a seguito del parere reso dalla
Giunta regionale della Lombardia con
deliberazione n. IX/3398 del 09.05.2012,
ai sensi dell’articolo 17 della legge
regionale n. 12 del 2005, in forza del quale
(cfr. il comma 7), la Giunta Regionale
verifica la conformità a legge del PTCP e la
sua compatibilità con gli atti di
programmazione e pianificazione regionale (cfr.
per il testo della delibera regionale, il
doc. 4 del ricorrente), al fine di
incrementare le misure di tutela ambientale
previste nel piano, deve escludersi che nel
caso di specie fosse necessario ripetere la
VAS. |
2018 |
|
URBANISTICA: La
fase della VAS non deve più necessariamente precedere la fase di adozione
del programma o piano urbanistico, ma può ora svilupparsi all’interno del
medesimo procedimento con l’unico vincolo che essa si concluda prima del
provvedimento finale di approvazione del piano.
Il quadro normativo è chiaro nello stabilire quindi lo svolgimento
contemporaneo della VAS e della fase preparatoria del piano urbanistico ad
essa soggetto, senza però stabilire l’anteriorità temporale della VAS. La
normativa regionale stabilisce poi l’anteriorità della VAS rispetto
all’adozione del piano.
Ciò corrisponde, per quanto riguarda i piani urbanistici, alla mutata
concezione del procedimento programmatorio che, prima dell’intervento della
disciplina comunitaria iniziava con l’atto di adozione, mentre grazie
all’influsso della normativa di fonte europea si è oggi arricchito di una
fase preparatoria caratterizzata dall’istruttoria pubblica e dalla
determinazione dei profili ambientali che la programmazione urbanistica deve
rispettare, in considerazione della preminenza del valore ambientale
rispetto agli altri interessi sottesi all’azione programmatoria urbanistica,
secondo uno schema che trova riconoscimento nella normativa europea ma trova
valido appiglio anche nella Costituzione.
Se gli interessi antropici legati al territorio trovano evidenziazione nella
fase preparatoria e possono trovare accoglimento nella fase decisoria, gli
interessi ambientali vengono decisi con atto autonomo in una fase anteriore,
coincidente temporalmente con la fase preparatoria del piano, e non possono
più essere modificati nella fase decisoria del piano urbanistico.
L’anteriorità è quindi stabilita rispetto alla fase decisoria e non a quella
preparatoria del piano.
---------------
Come previsto infatti dalla disciplina regionale vigente, l'Autorità
procedente va individuata all'interno dell'Ente tra coloro che hanno
responsabilità nel procedimento di PGT, generalmente il Responsabile Unico
di Procedimento, mentre l'Autorità competente per la VAS va individuata
all'interno dell'Ente nel rispetto dei requisiti e delle modalità previste
dall'allegato 1a alla DGR 9/761 del 10/11/2010.
Dalla normativa citata non risulta che la nomina debba essere indipendente
dalla necessità di apertura di un procedimento, non essendo l’autorità
competente per la VAS un’articolazione necessaria della struttura
organizzativa dell’ente con competenze di carattere continuativo.
Infatti la
procedura di VAS, avendo per oggetto «piani» e «programmi» che
possono incidere in modo significativo sull'ambiente, è un’attività
amministrativa la cui necessità sorge solo a seguito della decisione
pianificatoria, con la conseguenza che è qualificabile quale competenza
derivata.
---------------
1. Il primo motivo di ricorso, relativo alla procedura di VAS è
infondato.
1.1 La Valutazione di Ambientale Strategia di piani e programmi (VAS) trova
il proprio fondamento nella Direttiva 2001/42/CEE, che ne ha delineato gli
aspetti essenziali ed ha introdotto l’obbligo per gli Stati membri di
provvedere al recepimento delle relative disposizioni.
La Regione Lombardia ha provveduto autonomamente a dare attuazione alla
citata direttiva, prevedendo all’art. 4, comma 1, della L.R. 11.03.2005, n.
12, da ultimo modificato dalla LR n. 4 del 13.03.2012, che la Regione e gli
enti locali, al fine di promuovere lo sviluppo sostenibile ed assicurare un
elevato livello di protezione dell’ambiente debbano provvedere alla
valutazione degli effetti sull’ambiente dei propri piani e programmi in
materia urbanistica.
Successivamente lo Stato è intervenuto in materia con la modifica degli artt.
11 e ss. del d.lgs. n. 152/2005 ad opera del D.Lgs. 4/2008 e dell'art. 2,
comma 9, d.lgs. n. 128 del 2010. Il quadro normativo si completa con la
normativa regionale integrativa contenuta nella DGR n. 8/6420 del
27/12/2007, nella DGR 10971 del 30/12/2009 ed infine nella DGR n. 3836 del
25.07.2012.
Per quanto riguarda il rapporto tra VAS e piano assoggettato a valutazione
profilo temporale l’art. 4, c. 2, della L.R. 12/2005 stabilisce che “La
valutazione ambientale di cui al presente articolo è effettuata durante la
fase preparatoria del piano o del programma ed anteriormente alla sua
adozione o all’avvio della relativa procedura di approvazione”.
La norma è conforme all’art. 4 della Direttiva 2001/42/CEE, secondo il quale
“1. La valutazione ambientale di cui all'articolo 3 deve essere
effettuata durante la fase preparatoria del piano o del programma ed
anteriormente alla sua adozione o all'avvio della relativa procedura
legislativa” ed all’art. 11, c. 3, del D.Lgs. 152/2005, secondo il quale
“La fase di valutazione è effettuata anteriormente all'approvazione del
piano o del programma, ovvero all'avvio della relativa procedura
legislativa, e comunque durante la fase di predisposizione dello stesso”.
Da ultimo l’art. 5, c. 8, del D.L. 13.05.2011 n. 70 conv. in L. 12.07.2011
n. 106, ha modificato l’art. 16 della L. n. 1140/1942 il quale ora dispone
che: “Lo strumento attuativo di piani urbanistici già sottoposti a
valutazione ambientale strategica non è sottoposto a valutazione ambientale
strategica né a verifica di assoggettabilità qualora non comporti variante e
lo strumento sovraordinato in sede di valutazione ambientale strategica
definisca l’assetto localizzativo delle nuove previsioni e delle dotazioni
territoriali, gli indici di edificabilità, gli usi ammessi e i contenuti
piani volumetrici, tipologici e costruttivi degli interventi, dettando i
limiti e le condizioni di sostenibilità ambientale delle trasformazioni
previste. Nei casi in cui lo strumento attuativo di piani urbanistici
comporti variante allo strumento sovraordinato, la valutazione ambientale
strategica e la verifica di assoggettabilità sono comunque limitate agli
aspetti che non sono stati oggetto di valutazione sui piani sovraordinati. I
procedimenti amministrativi di valutazione ambientale strategica e di
verifica di assoggettabilità sono ricompresi nel procedimento di adozione e
di approvazione del piano urbanistico o di loro varianti non rientranti
nelle fattispecie di cui al presente comma.”
In altri termini, la fase della VAS non deve più necessariamente precedere
la fase di adozione del programma o piano urbanistico, ma può ora
svilupparsi all’interno del medesimo procedimento con l’unico vincolo che
essa si concluda prima del provvedimento finale di approvazione del piano
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 27.12.2012 n. 2017).
Il quadro normativo è chiaro nello stabilire quindi lo svolgimento
contemporaneo della VAS e della fase preparatoria del piano urbanistico ad
essa soggetto, senza però stabilire l’anteriorità temporale della VAS. La
normativa regionale stabilisce poi l’anteriorità della VAS rispetto
all’adozione del piano.
Ciò corrisponde, per quanto riguarda i piani urbanistici, alla mutata
concezione del procedimento programmatorio che, prima dell’intervento della
disciplina comunitaria iniziava con l’atto di adozione, mentre grazie
all’influsso della normativa di fonte europea si è oggi arricchito di una
fase preparatoria caratterizzata dall’istruttoria pubblica e dalla
determinazione dei profili ambientali che la programmazione urbanistica deve
rispettare, in considerazione della preminenza del valore ambientale
rispetto agli altri interessi sottesi all’azione programmatoria urbanistica,
secondo uno schema che trova riconoscimento nella normativa europea ma trova
valido appiglio anche nella Costituzione.
Se gli interessi antropici legati al territorio trovano evidenziazione nella
fase preparatoria e possono trovare accoglimento nella fase decisoria, gli
interessi ambientali vengono decisi con atto autonomo in una fase anteriore,
coincidente temporalmente con la fase preparatoria del piano, e non possono
più essere modificati nella fase decisoria del piano urbanistico.
L’anteriorità è quindi stabilita rispetto alla fase decisoria e non a quella
preparatoria del piano.
1.2 Venendo al caso di specie il primo motivo è infondato nella parte in cui
contesta la mancata individuazione dell’autorità competente con atto
regolamentare indipendente dall’apertura del procedimento.
Come previsto infatti dalla disciplina regionale vigente, l'Autorità
procedente va individuata all'interno dell'Ente tra coloro che hanno
responsabilità nel procedimento di PGT, generalmente il Responsabile Unico
di Procedimento, mentre l'Autorità competente per la VAS va individuata
all'interno dell'Ente nel rispetto dei requisiti e delle modalità previste
dall'allegato 1a alla DGR 9/761 del 10/11/2010.
Dalla normativa citata non risulta che la nomina debba essere indipendente
dalla necessità di apertura di un procedimento, non essendo l’autorità
competente per la VAS un’articolazione necessaria della struttura
organizzativa dell’ente con competenze di carattere continuativo. Infatti la
procedura di VAS, avendo per oggetto «piani» e «programmi» che
possono incidere in modo significativo sull'ambiente, è un’attività
amministrativa la cui necessità sorge solo a seguito della decisione
pianificatoria, con la conseguenza che è qualificabile quale competenza
derivata.
Per quanto riguarda, poi, i tempi di svolgimento della VAS, occorre
premettere che la scansione temporale degli atti risulta specificata nel
ricorso introduttivo, dal quale si desume che con delibera di Giunta n. 154
del 13.12.2011 l'Amministrazione resistente disponeva l'avvio del
procedimento per la redazione della Variante generale degli atti di P.G.T.,
affidandone l'incarico al Dirigente dell'Area Governo del Territorio Arch.
Lu.Fr..
Successivamente, con delibera di Giunta comunale n. 217 del 18.09.2012,
l'Ente locale avviava la procedura di Valutazione Ambientale Strategica (V.A.S.)
della Variante al Piano di Governo del Territorio, individuando quale
autorità competente il Funzionario Responsabile del SUAP, nella persona del
Sig. Gi.Sa..
Al provvedimento sopra specificato faceva quindi seguito la delibera n. 275
del 17.12.2013, con la quale la Giunta comunale individuava quale nuova
autorità competente per il procedimento di V.A.S. l'Arch. Pi.Ca.,
Responsabile del Settore Lavori Pubblici e Ambiente.
Con delibera consiliare n. 4 del 06.02.2014 l'Amministrazione locale
adottava infine la Variante generale degli atti di P.G.T., la quale è
intervenuta anche sulla previsione riferita alla menzionata area di
proprietà dalla società B. s.p.a..
E’ chiaro quindi che la VAS si è pienamente inserita nella fase preparatoria
del piano ed è terminata prima dell’inizio della fase decisoria, con la
conseguenza che il dettato normativo è stato pienamente rispettato.
D’altro canto, avendo la VAS per oggetto il piano urbanistico, non si può
pretendere che inizi prima ancora che la fase di redazione del piano
urbanistico abbia inizio.
Il motivo va quindi respinto
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 29.10.2018 n. 2433 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
Il Consiglio di stato, dopo avere evidenziato che la
Valutazione ambientale strategica (Vas) non è configurata
come un procedimento o un sub procedimento autonomo rispetto
alla procedura di pianificazione, ha affermato che è
legittima, e anzi quasi fisiologica l'evenienza che
l'Autorità competente alla Valutazione ambientale strategica
(Vas) sia identificata in un organo o ufficio interno alla
stessa Autorità procedente.
---------------
B.5 Il quinto motivo è infondato.
Il Tribunale regionale amministrativo (Tar) Lombardia,
Milano, Sezione II, con la sentenza numero 188, del
27.01.2010, aveva riconosciuto al ricorrente portatore di un
interesse strumentale all'impugnazione di uno strumento
urbanistico al fine di una riedizione del potere
amministrativo pianificatorio detto interesse strumentale.
Detta decisione teneva presente il precedente pronunciamento
del Consiglio di stato, sezione V, espresso con la sentenza
del 15.11.2001, n. 5839.
Ora, il Consiglio di stato, sezione IV, con la sentenza del
12.01.2011, numero 133, dopo avere evidenziato che la
Valutazione ambientale strategica (Vas) non è configurata
come un procedimento o un sub procedimento autonomo rispetto
alla procedura di pianificazione, ha affermato che è
legittima, e anzi quasi fisiologica l'evenienza che
l'Autorità competente alla Valutazione ambientale strategica
(Vas) sia identificata in un organo o ufficio interno alla
stessa Autorità procedente (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 27.09.2018 n. 2163 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
2016 |
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URBANISTICA:
VAS, escludibile una piccola area purché non superi il 5%
della zona di competenza.
Secondo l'Avvocato generale della Corte Ue, non è
compatibile con la Direttiva VAS la norma che rimanda
soltanto alla superficie indicata nel piano per la
definizione di piani e programmi che «determinano l’uso di
piccole aree a livello locale».
Un piano o programma non determina più,
ai sensi della direttiva VAS, l’uso di una piccola area
qualora la zona interessata superi il parametro di
riferimento del 5% della superficie relativa alla zona di
competenza delle singole amministrazioni locali.
È quanto si legge nelle
conclusioni 08.09.2016 causa C-444/15
dell'Avvocato generale della Corte di giustizia europea
nella, avente ad oggetto una controversia su un intervento
edilizio nella laguna di Venezia.
Pur essendo stata svolta una valutazione dell’incidenza
conformemente alla direttiva Habitat, le autorità italiane
stabilivano, nel quadro di un esame preliminare, l’assenza
di necessità di una valutazione ambientale strategica a
norma della direttiva 2001/42/CE in materia di VAS
(Valutazione ambientale strategica), dal momento che il sito
interessato riguardava solamente una piccola area a livello
locale e l’intervento non avrebbe avuto possibili effetti
significativi sull’ambiente. In un caso siffatto, la
direttiva VAS non prevede l’obbligo di realizzare una
valutazione ambientale strategica.
Italia Nostra ha affermato che il fatto che l’articolo 3,
paragrafo 3, della direttiva VAS preveda l’esenzione da una
valutazione ambientale strategica per piani e programmi che
formano già oggetto di una valutazione dell’incidenza a
norma della direttiva Habitat, non corrisponde al livello di
tutela garantito.
L'Avvocato generale ha evidenziato che la qualifica di un
piano o programma come misura atta a determinare l’uso di
una piccola area a livello locale è soggetta a due
condizioni: da un lato, l’uso di una piccola area e,
dall’altro, la determinazione a livello locale.
Una norma,
la quale per la definizione di piani e programmi che «determinano
l’uso di piccole aree a livello locale», rimandi
soltanto alla superficie indicata nel piano, non risulta
compatibile con l’articolo 3, paragrafo 3, della direttiva
VAS. Poiché la misura controversa nel procedimento
principale era stata emessa dalla città di Venezia, non si
deve però escludere che si tratti di una misura a livello
locale.
Il criterio per stabilire l’estensione dell’area può essere
esclusivamente costituito dalla superficie della zona
diretta interessata dal piano, a prescindere dagli effetti
del progetto sull’ambiente. Si pone quindi la questione fino
a quale estensione territoriale determinate aree debbano
essere intese come «piccole». Il legislatore
dell’Unione si è astenuto dal fissare una soglia specifica,
compito che rientra nel potere discrezionale degli Stati
membri. Detto potere è limitato soltanto dal confine estremo
di ciò che, secondo una prospettiva di vita naturale, può
essere ancora definita come «piccola» area.
Secondo l'Avvocato generale, quale parametro di riferimento
è possibile considerare sostanzialmente tre aree: l’intero
territorio dell’Unione, cosicché si possa determinare una «piccola»
superficie specifica, valida per tutti gli Stati membri; la
superficie dei singoli Stati membri e, infine, la superficie
rientrante nella sfera di competenza delle singole
amministrazioni locali.
In questo contesto emerge quale parametro di riferimento una
superficie pari a una percentuale massima del 5% della zona
di competenza delle singole amministrazioni locali come ciò
che, secondo una prospettiva di vita naturale, può essere
ancora intesa come «piccola» area. Tuttavia, nel caso
di enti locali con estensione territoriale particolarmente
grande, l’applicazione di questo parametro di riferimento
non è di norma ammissibile.
In conclusione, per l'Avvocato generale l’applicazione
dell’articolo 3, paragrafo 3, della direttiva 2001/42/CE
presuppone, accanto all’uso di una piccola area, che il
piano o il programma rientri nella sfera di competenza di
un’autorità locale. Tale disposizione osta quindi a una
norma che, nell’ambito della questione se un piano o un
programma determini l’uso di una piccola area a livello
locale, rimanda esclusivamente alla superficie della zona
interessata dal piano.
Infine, un piano o programma non determina più, ai sensi
dell’articolo 3, paragrafo 3, della direttiva 2001/42/CE,
l’uso di una piccola area qualora la zona interessata superi
il parametro di riferimento del 5% della superficie relativa
alla zona di competenza delle singole amministrazioni locali
(commento tratto da e link a www.casaeclima.com).
---------------
MASSIMA
Conclusione.
Suggerisco pertanto alla Corte di rispondere alla domanda di
pronuncia pregiudiziale nei seguenti termini:
1) L’esame della prima questione non ha
rivelato alcun elemento atto a porre in discussione la
validità dell’articolo 3, paragrafo 3, della direttiva
2001/42/CE concernente la valutazione degli effetti di
determinati piani e programmi sull’ambiente.
2) L’applicazione dell’articolo 3, paragrafo 3, della
direttiva 2001/42 presuppone, accanto all’uso di una piccola
area, che il piano o il programma rientri nella sfera di
competenza di un’autorità locale. Tale disposizione osta
quindi a una norma che, nell’ambito della questione se un
piano o un programma determini l’uso di una piccola area a
livello locale, rimanda esclusivamente alla superficie della
zona interessata dal piano.
3) Un piano o programma non determina più, ai sensi
dell’articolo 3, paragrafo 3, della direttiva 2001/42, l’uso
di una piccola area qualora la zona interessata superi il
parametro di riferimento del 5 % della superficie relativa
alla zona di competenza delle singole amministrazioni
locali. |
2013 |
|
URBANISTICA: Piani
regolatori particolareggiati.
Domanda
Per i piani regolatori particolareggiati è necessaria la
valutazione ambientale strategica (Vas).
Risposta
Nel settore ambientale, «piani» e «programmi» hanno lo scopo
di enucleare la funzione programmatica dell'azione della
Pubblica amministrazione. Con essi, la Pubblica
amministrazione viene a organizzare una serie di condotte e
di decisioni degli organi pubblici in modo coordinato e
convergente.
L'articolo 3 della direttiva 2001/41/CE dispone che gli
Stati membri, per «piani» e «programmi» che possono incidere
in modo significativo sull'ambiente, devono sottoporre detti
«piani» e «programmi» alla valutazione ambientale strategica
(Vas).
L'articolo 3 della citata direttiva 2001/41/CE dispone al
riguardo che, fatto salvo il paragrafo 3, «viene effettuata
una valutazione ambientale per tutti i piani e i programmi
che sono elaborati per i settori agricolo, forestale, della
pesca, energetico, industriale, dei trasporti, della
gestione dei rifiuti e delle acque, delle telecomunicazioni,
turistico, della pianificazione territoriale o della
destinazione dei suoli e che definiscono il quadro di
riferimento per l'autorizzazione dei progetti elencati negli
allegati I e II della direttiva 85/337/CEE o, per i quali,
in considerazione dei possibili effetti sui siti, si ritiene
necessaria una valutazione ai sensi degli articoli 6 o 7
della direttiva 92/43/CEE».
La Corte di Giustizia delle Comunità Europee, sezione IV,
con la sentenza del 22.03.2012, (causa C-567/10) ha
affermato che la nozione di «piani» e «programmi» previsti
da disposizioni legislative, regolamentari o amministrative,
di cui all'articolo 2, lettera a), della direttiva
2001/42/CE, si applica ai piani regolatori
particolareggiati, per cui essi sono sottoposti alla
valutazione ambientale strategica (Vas).
La valutazione ambientale strategica (Vas), per i citati
Giudici, è, infatti, un processo a supporto dell'attività di
gestione del territorio e delle connesse scelte di
programmazione e di pianificazione e si radica con lo
strumento del piano o del programma urbanistico-territoriale.
Essa, pertanto, per la suddetta Corte di giustizia delle
Comunità europee, trova applicazione anche in caso di
modifica o abrogazione, totale o parziale dello strumento di
pianificazione: modifica o abrogazione che può comportare
effetti significativi sull'ambiente, per cui è sempre
necessaria una nuova valutazione ambientale strategica (Vas),
che per la sua connotazione duttile e plasmabile si
differenzia dalla valutazione di impatto ambientale (Via),
che va riferita a singoli progetti per i quali è richiesto
un approccio più circoscritto e unidirezionale
(articolo ItaliaOggi Sette del
30.09.2013). |
URBANISTICA:
Le censure inerenti il procedimento di VAS sono
ammissibili nei limiti in cui la parte istante specifichi
quale concreta lesione alla sua proprietà sia derivata
dall’inosservanza delle norme sul procedimento; in altri
termini non deve trattarsi di una doglianza meramente
“strumentale”, ma sostanziale, visto che il generico
interesse ad un nuovo esercizio del potere pianificatorio
dell’Amministrazione è insufficiente a distinguere la
posizione del ricorrente da quella del quisque de populo.
Nel caso in cui, viceversa, si lamenti la totale omissione
di tale incombente procedimentale, non è dato applicare il
detto principio, proprio a cagione della circostanza che non
può ipotizzarsi quale sarebbe stato l’approdo della Vas, e
si oblierebbe la circostanza che un possibile parere del
tutto negativo avrebbe potuto indurre l’Amministrazione a
rinunciare alla variante, ovvero a rimodularla
integralmente.
In materia, è d'uopo richiamare la più recente
giurisprudenza della Sezione sui limiti alla configurabilità
dell'interesse c.d. strumentale all'impugnazione di uno
strumento urbanistico, nel senso che tale impugnazione deve
pur sempre ancorarsi a specifici vizi ravvisati con
riferimento alle determinazioni adottate
dall'Amministrazione in ordine al regime dei suoli in
proprietà del ricorrente, e non può fondarsi sul generico
interesse a una migliore pianificazione del proprio suolo,
che in quanto tale non si differenzia dall'eguale interesse
che quisque de populo potrebbe nutrire.
In altri termini, l'utilità comunque rappresentata dal
possibile vantaggio che astrattamente il ricorrente potrebbe
ottenere per effetto della riedizione dell'attività
amministrativa non è ex se indicativa della titolarità di
una posizione di interesse giuridicamente qualificata e
differenziata, idonea a legittimare la tutela
giurisdizionale.
Analoghe considerazioni possono farsi per l'ulteriore
utilità, costituita dalla "reviviscenza" del previgente e
più favorevole P.R.G. che si avrebbe per effetto
dell'annullamento giurisdizionale del P.G.T.: utilità la
quale, oltre a essere anch'essa non indicativa
dell'esistenza di un interesse giuridicamente tutelabile,
quand'anche effettivamente sussistente sarebbe comunque
provvisoria, essendo jus receptum che l'effetto immediato
dell'annullamento di uno strumento urbanistico consiste nel
dovere dell'Amministrazione di riesercitare la propria
potestà di pianificazione del territorio.
Nella richiamata decisione della Quarta Sezione si è
espressamente affermata la condivisione del principio per
cui "laddove la VAS si concluda con un giudizio positivo (o
positivo condizionato) il soggetto che subisca
determinazioni lesive della sua sfera giuridica discendenti
dall'accettazione (piena o condizionata) delle proposte
pianificatorie sottoposte a VAS, ben potrà censurare anche
queste determinazioni preliminari condizionanti, poiché è
per effetto di questo giudizio di sostenibilità complessiva
di queste scelte che le stesse possono tramutarsi in atti
pianificatori negativi".
Nella detta pronuncia si è altresì rilevato che per evitare
di pervenire a una legitimatio generalis del tipo di quella
sopra indicata, occorre che le "determinazioni lesive"
fondanti l'interesse a ricorrere siano effettivamente
"condizionate", ossia causalmente riconducibili in modo
decisivo, alle preliminari conclusioni raggiunte in sede di
V.A.S., e pertanto l'istante avrebbe dovuto precisare come e
perché tali conclusioni nella specie abbiano svolto un tale
ruolo decisivo sulle opzioni relative ai suoli in sua
proprietà, ciò che non ha fatto.
---------------
La cd. Valutazione ambientale strategica (VAS) è la
valutazione delle conseguenze ambientali di piani e
programmi al fine ultimo di assicurare lo sviluppo
sostenibile di un territorio sotto il profilo ambientale. E'
una procedura finalizzata precipuamente a mettere in rilievo
le possibili cause di un degrado ambientale derivante
dall'adozione di piani e programmi interessanti il
territorio, introdotta dalla Direttiva comunitaria
2001/42/CE che prevede, appunto, la sua applicazione a piani
e programmi produttivi di effetti significativi
sull'ambiente.
La giurisprudenza di merito ha per il vero puntualizzato che
“in un'ottica sostanzialistica tesa ad evitare
interpretazioni normative che si risolvano in meri
adempimenti formali e rappresentano inutili appesantimenti
del procedimento, non deve essere sottoposto alla procedura
di valutazione ambientale strategica (VAS), né a quella di
valutazione di incidenza, uno strumento pianificatorio le
cui previsioni non si discostano in maniera sostanziale da
quelle già fatte oggetto di tale indagine, tanto più che
parte ricorrente non fornisce alcuna dimostrazione del fatto
che le previsioni derivanti dall'applicazione del piano
possono avere sull'ambiente effetti significativi diversi da
quelli già presi in considerazione”.
---------------
Il Collegio non può che richiamare -in relazione alla
pretesa fungibilità della procedura di Vas con quella
relativa alla valutazione di incidenza dei Sic-
l’affermazione secondo cui “in materia ambientale, la
valutazione ambientale strategica va distinta dalla
valutazione di incidenza, prevista dal D.P.R. n. 357/1997
nel sistema previgente all'entrata in vigore del D.Lgs. n.
4/2008, che ha un rilievo meramente settoriale destinato
alla particolare protezione dei siti di rilevanza
comunitaria.".
Il Collegio conosce –ed apprezza-
la giurisprudenza del Consiglio di Stato segnalata
dall’appellante amministrazione comunale (cfr. sez. IV,
12.01.2011, n. 133), per la quale le censure inerenti il
procedimento di VAS sono ammissibili nei limiti in cui la
parte istante specifichi quale concreta lesione alla sua
proprietà sia derivata dall’inosservanza delle norme sul
procedimento; in altri termini non deve trattarsi di una
doglianza meramente “strumentale”, ma sostanziale, visto che
il generico interesse ad un nuovo esercizio del potere pianificatorio dell’Amministrazione è insufficiente a
distinguere la posizione del ricorrente da quella del
quisque de populo (cfr. in termini, anche TAR Lombardia,
Milano, sez. II, 12.01.2012, n. 297).
Nel caso in cui, viceversa, si lamenti la totale omissione
di tale incombente procedimentale, non è dato applicare il
detto principio, proprio a cagione della circostanza che non
può ipotizzarsi quale sarebbe stato l’approdo della Vas, e
si oblierebbe la circostanza che un possibile parere del
tutto negativo avrebbe potuto indurre l’Amministrazione a
rinunciare alla variante, ovvero a rimodularla
integralmente.
In materia, è d'uopo richiamare la più recente
giurisprudenza della Sezione sui limiti alla configurabilità
dell'interesse c.d. strumentale all'impugnazione di uno
strumento urbanistico, nel senso che tale impugnazione deve
pur sempre ancorarsi a specifici vizi ravvisati con
riferimento alle determinazioni adottate
dall'Amministrazione in ordine al regime dei suoli in
proprietà del ricorrente, e non può fondarsi sul generico
interesse a una migliore pianificazione del proprio suolo,
che in quanto tale non si differenzia dall'eguale interesse
che quisque de populo potrebbe nutrire (cfr. Cons. Stato,
sez. IV, 13.07.2010, nr. 4546).
In altri termini, l'utilità comunque rappresentata dal
possibile vantaggio che astrattamente il ricorrente potrebbe
ottenere per effetto della riedizione dell'attività
amministrativa non è ex se indicativa della titolarità di
una posizione di interesse giuridicamente qualificata e
differenziata, idonea a legittimare la tutela
giurisdizionale.
Analoghe considerazioni possono farsi per l'ulteriore
utilità, costituita dalla "reviviscenza" del previgente e
più favorevole P.R.G. che si avrebbe per effetto
dell'annullamento giurisdizionale del P.G.T.: utilità la
quale, oltre a essere anch'essa non indicativa
dell'esistenza di un interesse giuridicamente tutelabile,
quand'anche effettivamente sussistente sarebbe comunque
provvisoria, essendo jus receptum che l'effetto immediato
dell'annullamento di uno strumento urbanistico consiste nel
dovere dell'Amministrazione di riesercitare la propria
potestà di pianificazione del territorio (cfr. Cons. Stato,
sez. IV, 07.06.2004, nr. 3563; Cons. Stato, sez. V, 23.04.2001, nr. 2415).
Nella richiamata decisione della Quarta Sezione (12.1.2011,
n. 133) si è espressamente affermata la condivisione del
principio per cui "laddove la VAS si concluda con un
giudizio positivo (o positivo condizionato) il soggetto che
subisca determinazioni lesive della sua sfera giuridica
discendenti dall'accettazione (piena o condizionata) delle
proposte pianificatorie sottoposte a VAS, ben potrà
censurare anche queste determinazioni preliminari
condizionanti, poiché è per effetto di questo giudizio di
sostenibilità complessiva di queste scelte che le stesse
possono tramutarsi in atti pianificatori negativi".
Nella detta pronuncia si è altresì rilevato che per evitare
di pervenire a una legitimatio generalis del tipo di quella
sopra indicata, occorre che le "determinazioni lesive"
fondanti l'interesse a ricorrere siano effettivamente
"condizionate", ossia causalmente riconducibili in modo
decisivo, alle preliminari conclusioni raggiunte in sede di
V.A.S., e pertanto l'istante avrebbe dovuto precisare come e
perché tali conclusioni nella specie abbiano svolto un tale
ruolo decisivo sulle opzioni relative ai suoli in sua
proprietà, ciò che non ha fatto.
Nel caso di specie, tuttavia, ciò che si lamenta è la totale
omissione dell’incombente. Ne consegue che da un canto non è
possibile preconizzare l’esito cui sarebbe approdata la Vas
e l’eventuale pregiudizio che la originaria parte ricorrente
ne avrebbe potuto ricavare: è ben vero che, di solito, il
detto incombente ove espletato si risolve nella imposizione
di prescrizioni più stringenti rispetto a quelle contenute
nel piano o programma soggetto a valutazione.
E’ ben vero però che, per un verso, detta regola non può
essere elevata a canone generale (non può escludersi, in via
di principio, che la espletata vas introduca elementi di
giudizio non già puramente e semplicemente “restrittivi” di
prescrizioni ma modificativi delle stesse, rimodulativi, etc.);
per altro verso, i proprietari dei suoli soggetti a
regolamentazione hanno comunque l’interesse a che ciò
avvenga mediante atti immuni da censure, di guisa che
possano comunque contare sulla stabilità ed incontestabilità
dell’assetto di interessi prefissato nell’atto.
La doglianza va quindi disattesa.
---------------
Quanto alla
censura -connessa unicamente sotto il profilo logico a
quella dianzi esaminata- secondo cui trattavasi di variante
“normativa” priva di significativi impatti sull’ambiente, di
guisa che la Vas non sarebbe stata obbligatoria si rimarca
che questo Consiglio di Stato ha in passato affermato che
(Cons. Stato Sez. IV, 13.11.2012, n. 5715) “la cd.
Valutazione ambientale strategica (VAS) è la valutazione
delle conseguenze ambientali di piani e programmi al fine
ultimo di assicurare lo sviluppo sostenibile di un
territorio sotto il profilo ambientale. E' una procedura
finalizzata precipuamente a mettere in rilievo le possibili
cause di un degrado ambientale derivante dall'adozione di
piani e programmi interessanti il territorio, introdotta
dalla Direttiva comunitaria 2001/42/CE che prevede, appunto,
la sua applicazione a piani e programmi produttivi di
effetti significativi sull'ambiente”.
La giurisprudenza di merito ha per il vero puntualizzato che
(TAR Friuli-Venezia Giulia Trieste Sez. I, 10.05.2012, n.
169) “in un'ottica sostanzialistica tesa ad evitare
interpretazioni normative che si risolvano in meri
adempimenti formali e rappresentano inutili appesantimenti
del procedimento, non deve essere sottoposto alla procedura
di valutazione ambientale strategica (VAS), né a quella di
valutazione di incidenza, uno strumento pianificatorio le
cui previsioni non si discostano in maniera sostanziale da
quelle già fatte oggetto di tale indagine, tanto più che
parte ricorrente non fornisce alcuna dimostrazione del fatto
che le previsioni derivanti dall'applicazione del piano
possono avere sull'ambiente effetti significativi diversi da
quelli già presi in considerazione.”.
In estrema sintesi il comune di Vasto appellante invoca
l’applicazione di tale principio al caso di specie (sebbene
il PRG risalisse al 2001 e nessuno studio ambientale illo
tempore lo avesse supportato) al fine di pervenire
all’affermazione per cui, in concreto, la variante non
sarebbe stata sottoponibile a Vas. Sennonché, nel caso di
specie appare evidente che la stessa esposizione di parte
appellante (pag 3 dell’appello) relativa alle prescrizioni
contenute nella variante (anche adeguamento a piani
sovraordinati) ed all’ambito della stessa (relativa
all’intero PRG) esclude che si possa individuare una
“modestia” della incidenza della stessa tale da condurre
alla affermazione che, in concreto, la Vas non doveva essere
effettuata.
In tal modo argomentando il comune inverte i termini del
ragionamento: la variante riguardava di fatto l’intero
territorio comunale; le modifiche, incidenti sulle NTA
incidevano quindi sulla generalità delle prescrizioni
relative al suolo del comune; inferire una carenza di
effetti sull’ambiente dalla mancata previsione di
zonizzazioni, ovvero dalla diminuzione del carico
urbanistico integra apodittica affermazione, semmai
destinata -eventualmente– ad essere corroborata in sede di
effettuazione della Vas e responso favorevole di
quest’ultima.
Può convenirsi quindi con la affermazione del primo giudice
che “fotografa” esattamente la posizione dell’
amministrazione comunale e la inversione logica che dalla
stessa discende: “ il comune deduce dal contenuto delle
nuove norme tecniche di attuazione la non necessità di
sottoporle a una previa valutazione ambientale, mentre è
proprio l’esito di tale valutazione a eventualmente
considerarne nullo l’impatto ambientale.”
Ad avviso del Collegio comunque, e conclusivamente sul
punto, non può dirsi che una variante incidente sull’intero
territorio comunale –e volta a modificare un piano per il
quale, pacificamente, in passato non era stata effettuata la Vas- potesse andare esente dall’espletamento del detto
incombente.
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Quanto alle
altre due doglianze, il Collegio non può che richiamare -in
relazione alla pretesa fungibilità della procedura di Vas
con quella relativa alla valutazione di incidenza dei Sic-
l’affermazione contenuta nella decisione della Sezione VI
(sent. 10.05.2011, n. 2755) secondo cui “in materia
ambientale, la valutazione ambientale strategica va distinta
dalla valutazione di incidenza, prevista dal D.P.R. n.
357/1997 nel sistema previgente all'entrata in vigore del D.Lgs. n. 4/2008, che ha un rilievo meramente settoriale
destinato alla particolare protezione dei siti di rilevanza
comunitaria.".
Da tale principio il Collegio non ravvisa motivo per
discostarsi, il che esclude l’accoglibilità del mezzo (Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza 21.08.2013
n. 4201 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
Valutazione ambientale, censure solo se concrete.
Le doglianze sotto i riflettori dei
giudici di palazzo Spada
Le censure inerenti il procedimento di Valutazione
ambientale strategica (Vas) sono ammissibili nei limiti in
cui la parte istante specifichi quale concreta lesione alla
sua proprietà sia derivata dall'inosservanza delle norme sul
procedimento.
Questo ha affermato la Sez. IV del Consiglio di Stato
con
sentenza 21.08.2013 n. 4200.
I giudici amministrativi hanno sottolineato come la
doglianza non debba essere meramente strumentale, ma
sostanziale, visto che il generico interesse ad un nuovo
esercizio del potere pianificatorio dell'Amministrazione
pubblica è insufficiente a distinguere la posizione del
ricorrente da quella del quisque de populo.
La Vas è la valutazione delle conseguenze ambientali di
piani e programmi al fine ultimo di assicurare lo sviluppo
sostenibile di un territorio sotto il profilo ambientale. È
una procedura finalizzata precipuamente a mettere in rilievo
le possibili cause di un degrado ambientale derivante
dall'adozione di piani e programmi interessanti il
territorio, introdotta dalla Direttiva comunitaria
2001/42/Ce che prevede, appunto, la sua applicazione a piani
e programmi produttivi di effetti significativi
sull'ambiente.
Circa la configurabilità dell'interesse c.d. strumentale
all'impugnazione di uno strumento urbanistico, i giudici di
palazzo Spada hanno poi ribadito, in ossequio alla
precedente giurisprudenza che tale impugnazione deve pur
sempre ancorarsi a specifici vizi ravvisati con riferimento
alle determinazioni adottate dall'Amministrazione in ordine
al regime dei suoli in proprietà del ricorrente, e non può
fondarsi sul generico interesse a una migliore
pianificazione del proprio suolo, che in quanto tale non si
differenzia dall'eguale interesse che quisque de populo
potrebbe nutrire (cfr. Cons. stato, sez. IV, 13.07.2010,
n. 4546).
In altri termini, l'utilità comunque rappresentata dal
possibile vantaggio che astrattamente il ricorrente potrebbe
ottenere per effetto della riedizione dell'attività
amministrativa non è ex se indicativa della titolarità di
una posizione di interesse giuridicamente qualificata e
differenziata, idonea a legittimare la tutela
giurisdizionale.
E laddove la Vas si concluda con un giudizio positivo (o
positivo condizionato) il soggetto che subisca
determinazioni lesive della sua sfera giuridica discendenti
dall'accettazione (piena o condizionata) delle proposte
pianificatorie sottoposte a Vas, ben potrà censurare anche
queste determinazioni preliminari condizionanti, poiché è
per effetto di questo giudizio di sostenibilità complessiva
di queste scelte che le stesse possono tramutarsi in atti
pianificatori negativi (articolo
ItaliaOggi Sette del 09.09.2013). |
URBANISTICA:
VIA, VAS E AIA – VAS – Nozione.
La valutazione ambientale strategica (VAS) è lo strumento
volto a garantire gli effetti sull’ambiente dei piani e dei
programmi, così da anticipare la valutazione della
compatibilità ambientale ad un momento anteriore alla loro
elaborazione ed adozione, in una prospettiva globale di
sviluppo sostenibile idonea a conciliare, anche attraverso
soluzioni alternativa, l’utilizzazione del territorio e la
localizzazione degli impianti con la tutela dei valori
ambientali (Cons. St. Sez. IV, 06.05.2013, n. 2446;
13.11.2012, n. 5715).
La valutazione favorevole compiuta in sede di VAS non può,
quindi, (nella specie: in sede di esame della proposta di
variante al piano regolatore) essere rimessa in discussione
per i profili attinenti alla compatibilità con l’ambiente
del piano (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 06.08.2013 n. 4151 - link a
www.ambientediritto.it). |
URBANISTICA:
M. G. Boccia,
Primi orientamenti giurisprudenziali in merito alla
procedura VAS (link a www.lexambiente.it -
Ambiente & Sviluppo n. 8-9/2013). |
URBANISTICA:
Assume
rilievo di principio l’obbligo di previa sottoposizione a v.a.s. delle scelte urbanistiche,
comportanti per un comparto specifico il raddoppio delle
volumetrie rispetto al pregresso ed il pesante convolgimento
di elementi di rilevante impatto ambientale, a partire dalla
falda acquifera.
Al riguardo, ancora di recente, e rispetto ad un ordinamento
simile al nostro in tema di classificazione dei piani, la
Corte giustizia UE ha
avuto modo di precisare, in termini di principio rispetto ai
quali le eventuali previsioni di dettaglio contrarie
scontano l’obbligo di disapplicazione, che la nozione di
piani e programmi "previsti da disposizioni legislative,
regolamentari o amministrative", di cui all'art. 2, lett.
a), della direttiva 2001/42, deve essere interpretata nel
senso che essa riguarda anche i piani regolatori
particolareggiati, come quello oggetto del procedimento
principale; ciò in quanto non può essere accolta
un'interpretazione che porterebbe ad escludere dall'ambito
di applicazione della direttiva 2001/42 tutti i piani e
programmi, segnatamente quelli riguardanti l'assetto del
territorio, per il solo motivo che una tale adozione non
avrebbe in ogni caso carattere obbligatorio.
In sostanza, la disciplina VAS (art. 3 della direttiva
2001/41/CE) impone agli Stati membri di attuare «piani e
programmi» che possono avere effetti significativi
sull'ambiente, sottoponendoli ad una valutazione ambientale.
Nel caso di specie l’impatto significativo sull’ambiente è
emerso sin dall’origine degli approfondimenti istruttori.
---------------
La VAS, quale processo a supporto dell'attività di gestione
del territorio e delle connesse scelte di programmazione e
di pianificazione, prima che queste vengano tradotte in
interventi diretti (autorizzazioni, concessioni ecc.), e non
quale strumento di verifica a posteriori delle scelte di
pianificazione, ben può radicarsi con lo strumento del piano
o programma urbanistico-territoriale.
Strumento mediante il quale le Autorità sono chiamate allo
studio organico del territorio, della gestione delle sue
risorse, all'obbligo preventivo di coinvolgimento di tutte
le parti, mediante l'avvio delle procedure di informazione e
di consultazione dell'opinione pubblica, in ordine a
qualsiasi decisione futura che inerisca un qualunque assetto
territoriale.
L'obiettivo essenziale della direttiva VAS consiste nel
sottoporre a valutazione ambientale, i piani e programmi che
possono avere effetti significativi sull'ambiente, durante
la loro elaborazione e prima della loro adozione. La VAS, al
pari di qualsiasi atto programmatico e strategico richiede
che siano esaminate le informazioni riguardanti gli aspetti
pertinenti allo stato attuale dell'ambiente e alla sua
evoluzione probabile, con o senza la previsione del piano o
del programma di riferimento, nonché alla decisione della
sua modifica o abrogazione.
È in questo contesto che la direttiva (art. 2) prevede
l'obbligo della VAS per qualsiasi piano e programma previsto
da disposizioni legislative, regolamentari o amministrative,
elaborato e/o adottato da un'Autorità a livello nazionale,
regionale o locale per essere approvato mediante una
procedura legislativa dal Parlamento o dal Governo, financo
per qualsiasi modifica dei medesimi piani o programmi già
adottati.
Su tale ultimo richiamo normativo, la Corte di giustizia,
nell'ambito del decisum pregiudiziale, afferma che la VAS
trova applicazione anche in caso di modifica o abrogazione,
totale o parziale, dello strumento di pianificazione, nella
specie, del piano regolatore preso a riferimento. Ciò in
quanto anche il venir meno dell'efficacia, integrale o
parziale, della strumentazione di pianificazione in essere o
una sua modifica, può comportare la genesi o l'aumento degli
effetti significativi sull'ambiente. Di conseguenza, una
nuova VAS deve essere immediatamente apprestata prima di
procedere a deliberare le varianti della pianificazione in
essere.
La configurazione empirica della VAS, che emerge anche dalle
chiare indicazioni della Corte di Giustizia, consente di
avvalorare la sua connotazione quale impianto giuridico
sperimentale, tale da presentarsi particolarmente flessibile
e da assorbire e inglobare le diversificate metodologie di
impiego e di studio del territorio, ove accomunate allo
scopo di assicurare un controllo ex ante, in itinere ed ex
post dei possibili impatti ambientali. Sono sottoposti
all'obbligo della VAS tutti quegli strumenti urbanistici
muniti di «indicatori di performance», che verificano il
livello di conseguimento degli obiettivi assunti e generati
sulla città e sul territorio e che permettono di
quantificare se, quando e quanto gli obiettivi di piano
siano raggiunti.
La connotazione duttile e plasmabile della VAS è invece
assente in altri strumenti quali la VIA deputata a singoli
progetti, in cui è richiesto un approccio più circoscritto
ed unidirezionale. Nel caso di specie, peraltro, pur dinanzi
alla rilevanza della trasformazione ed all’impatto
sull’ambiente sono state omesse entrambe le valutazioni, e
si è svolta solo ex post la mera verifica screening.
---------------
4.3 A propria volta,
la normativa ambientale impone lo svolgimento di una serie
di verifiche preliminari. Sia quelle di dettaglio, solo in
seguito avviate e che hanno portato a modifiche tali da
rendere non coincidente quanto approvato a livello
urbanistico con quanto assentito a livello ambientale, sia
più generali in termini di valutazione ambientale
strategica.
In tale contesto sia normativo che fattuale, anche dinanzi
alle peculiarità della zona e dell’intervento, assume
rilievo parimenti di principio l’obbligo di previa
sottoposizione a v.a.s. delle scelte urbanistiche,
comportanti per un comparto specifico il raddoppio delle
volumetrie rispetto al pregresso ed il pesante convolgimento
di elementi di rilevante impatto ambientale, a partire dalla
falda acquifera.
Al riguardo, ancora di recente, e rispetto ad un ordinamento
simile al nostro in tema di classificazione dei piani, la
Corte giustizia UE (cfr. sez. IV, 22.03.2012, n. 567) ha
avuto modo di precisare, in termini di principio rispetto ai
quali le eventuali previsioni di dettaglio contrarie
scontano l’obbligo di disapplicazione, che la nozione di
piani e programmi "previsti da disposizioni legislative,
regolamentari o amministrative", di cui all'art. 2, lett.
a), della direttiva 2001/42, deve essere interpretata nel
senso che essa riguarda anche i piani regolatori
particolareggiati, come quello oggetto del procedimento
principale; ciò in quanto non può essere accolta
un'interpretazione che porterebbe ad escludere dall'ambito
di applicazione della direttiva 2001/42 tutti i piani e
programmi, segnatamente quelli riguardanti l'assetto del
territorio, per il solo motivo che una tale adozione non
avrebbe in ogni caso carattere obbligatorio.
In sostanza, la disciplina VAS (art. 3 della direttiva
2001/41/CE) impone agli Stati membri di attuare «piani e
programmi» che possono avere effetti significativi
sull'ambiente, sottoponendoli ad una valutazione ambientale.
Nel caso di specie l’impatto significativo sull’ambiente è
emerso sin dall’origine degli approfondimenti istruttori.
...
In via generale, come detto la disciplina VAS ex art. 3
della direttiva invocata impone agli Stati membri di attuare
«piani e programmi» che possono avere effetti
significativi sull'ambiente, sottoponendoli ad una
valutazione ambientale. Tale obbligo discende in termini
immediatamente precettivi sulla scorta dei principi predetti
e della normativa attuativa di cui al d.lgs. 152 del 2006,
la quale va intesa in tali termini. Le eventuali diverse
indicazioni di dettaglio –comprese quelle invocate dalle
difese resistenti- vanno esaminate in termini restrittivi
ovvero di disapplicazione per contrasto col principio.
L'art. 3, comma 2 della direttiva aggiunge che «fatto salvo
il par. 3 viene effettuata una valutazione ambientale per
tutti i piani e i programmi, che sono elaborati per i
settori agricolo, forestale, della pesca, energetico,
industriale, dei trasporti, della gestione dei rifiuti e
delle acque, delle telecomunicazioni, turistico, della
pianificazione territoriale o della destinazione dei suoli,
e che definiscono il quadro di riferimento per
l'autorizzazione dei progetti elencati negli allegati I e II
della direttiva [85/337/CEE], o per i quali, in
considerazione dei possibili effetti sui siti, si ritiene
necessaria una valutazione ai sensi degli articoli 6 o 7
della direttiva 92/43/CEE».
Di conseguenza, gli Stati adempiono a tale obbligo (e non
facoltà), ponendo in essere tutte quelle modalità
organizzative opportune e apprestando le risorse necessarie,
per realizzare l'obiettivo indicato. Completa tale
adempimento la divulgazione dell'informazione ai cittadini,
in modo chiaro e trasparente, che tale attività è esercitata
mediante un atto vincolante, non facilmente modificabile, e
in attuazione di quella precisa normativa di rango primario
che trova applicazione.
A propria volta il paragrafo 3 prevede la possibilità di
esclusione per i piani che determinano l’uso di piccole
aree, pur dovendo a priori scontare la determinazione del
concetto di piccola area (e nel caso di specie rispetto al
contesto interessato l’area è tutt’altro che piccola),
unicamente in assenza di effetti significativi
sull’ambiente; questi ultimi invece sono ampiamente presenti
nel caso de quo, come emerso sin dall’origine a fronte delle
diverse problematiche idrogeologiche e geotecniche
evidenziate e non adeguatamente approfondite.
Con la sentenza della Corte di Giustizia, sopra richiamata,
anche lo strumento programmatico del «piano regolatore
particolareggiato» (esaminato nell'ordinamento belga),
può integrare la nozione di «piano e programma»
ricompreso nell'art. 2, tale da essere sottoposto
obbligatoriamente alle norme relative alla valutazione
ambientale strategica.
L'occasione della pronuncia pregiudiziale afferente allo
strumento urbanistico belga, attrae l'attenzione di tutti
gli ordinamenti statali, compreso il nostro che utilizza
metodologie programmatiche similari. Infatti, come
evidenziato in dottrina, nell'ordinamento belga, (preso di
riferimento nella sentenza in commento), il Code Bruxellois
de l'Aménagement du Territoire, modificato dalla legge del
2009 menziona tra le varie categorie di piani: il piano di
sviluppo regionale; il piano regolatore regionale; i piani
di sviluppo comunali; il piano regolatore particolareggiato
etc.
Nell'ordinamento italiano si possono richiamare, senza
presunzione di esaustività, il Piano regolatore generale (PRG),
il piano per l'edilizia economica e popolare (PEEP), i piani
di settore; il piano territoriale di coordinamento (PTC), i
piani territoriali paesistici (PTP), il piano di
fabbricazione (PdF), il piano particolareggiato esecutivo (PPE),
il piano esecutivo convenzionato (PEC), il piano per
insediamenti produttivi (PIP), il piano di recupero del
patrimonio edilizio esistente (PdR) e tutta una ulteriore
serie di piani di dettaglio, cui la fantasia dei legislatori
regionali ha dato nuova linfa. In Italia, tali strumenti
prendono avvio anche prima della legge quadro del
17.08.1942, n. 1150 (vd. i Piani paesistici che trovano la
loro fonte nella legge n. 1497 del 1939).
Una visione di insieme in sede dottrinale ha portato a
riassumere il fenomeno quale passaggio in quattro tappe:
a)
da un approccio territoriale generale con la legge quadro
1150/1942,
b)
alle leggi di supporto (167/1962; 765/1967; 865/1971;
10/1977; 431/1985, 142/1990 ecc.) per settori specifici
(edilizia popolare, standard, ecc.) sempre di respiro
statale,
c)
alla visione più circoscritta nell'ambito territoriale delle
singole Regioni dal 1972 così determinando nuove normative
per i vari settori dell'edilizia, dell'urbanistica e del
territorio per una gestione che dal governo centrale cede a
quello a regionale,
d)
alla rivalutazione del ruolo delle città e delle
peculiarità delle risorse che ineriscono all'area
territoriale, in senso stretto, determinando una visione più
capillare delle problematiche locali anche per contesti non
considerati oculatamente in precedenza (es. tutela del
paesaggio e della difesa dell'ambiente, ecc.).
In virtù dei principi espressi in sede sovranazionale
pertanto si apprende che la VAS, quale processo a supporto
dell'attività di gestione del territorio e delle connesse
scelte di programmazione e di pianificazione, prima che
queste vengano tradotte in interventi diretti
(autorizzazioni, concessioni ecc.), e non quale strumento di
verifica a posteriori delle scelte di pianificazione, ben
può radicarsi con lo strumento del piano o programma
urbanistico-territoriale.
Strumento mediante il quale le Autorità sono chiamate allo
studio organico del territorio, della gestione delle sue
risorse, all'obbligo preventivo di coinvolgimento di tutte
le parti, mediante l'avvio delle procedure di informazione e
di consultazione dell'opinione pubblica, in ordine a
qualsiasi decisione futura che inerisca un qualunque assetto
territoriale.
L'obiettivo essenziale della direttiva VAS consiste nel
sottoporre a valutazione ambientale, i piani e programmi che
possono avere effetti significativi sull'ambiente, durante
la loro elaborazione e prima della loro adozione. La VAS, al
pari di qualsiasi atto programmatico e strategico richiede
che siano esaminate le informazioni riguardanti gli aspetti
pertinenti allo stato attuale dell'ambiente e alla sua
evoluzione probabile, con o senza la previsione del piano o
del programma di riferimento, nonché alla decisione della
sua modifica o abrogazione.
È in questo contesto che la direttiva (art. 2) prevede
l'obbligo della VAS per qualsiasi piano e programma previsto
da disposizioni legislative, regolamentari o amministrative,
elaborato e/o adottato da un'Autorità a livello nazionale,
regionale o locale per essere approvato mediante una
procedura legislativa dal Parlamento o dal Governo, financo
per qualsiasi modifica dei medesimi piani o programmi già
adottati.
Su tale ultimo richiamo normativo, la Corte di giustizia,
nell'ambito del decisum pregiudiziale, afferma che la
VAS trova applicazione anche in caso di modifica o
abrogazione, totale o parziale, dello strumento di
pianificazione, nella specie, del piano regolatore preso a
riferimento. Ciò in quanto anche il venir meno
dell'efficacia, integrale o parziale, della strumentazione
di pianificazione in essere o una sua modifica, può
comportare la genesi o l'aumento degli effetti significativi
sull'ambiente. Di conseguenza, una nuova VAS deve essere
immediatamente apprestata prima di procedere a deliberare le
varianti della pianificazione in essere.
La configurazione empirica della VAS, che emerge anche dalle
chiare indicazioni della Corte di Giustizia, consente di
avvalorare la sua connotazione quale impianto giuridico
sperimentale, tale da presentarsi particolarmente flessibile
e da assorbire e inglobare le diversificate metodologie di
impiego e di studio del territorio, ove accomunate allo
scopo di assicurare un controllo ex ante, in itinere ed
ex post dei possibili impatti ambientali. Sono
sottoposti all'obbligo della VAS tutti quegli strumenti
urbanistici muniti di «indicatori di performance»,
che verificano il livello di conseguimento degli obiettivi
assunti e generati sulla città e sul territorio e che
permettono di quantificare se, quando e quanto gli obiettivi
di piano siano raggiunti.
La connotazione duttile e plasmabile della VAS è invece
assente in altri strumenti quali la VIA deputata a singoli
progetti, in cui è richiesto un approccio più circoscritto
ed unidirezionale. Nel caso di specie, peraltro, pur dinanzi
alla rilevanza della trasformazione ed all’impatto
sull’ambiente sono state omesse entrambe le valutazioni, e
si è svolta solo ex post la mera verifica screening.
I principi richiamati appaiono invero già noti alla
giurisprudenza, sulla scorta della normativa invocata dagli
stessi ricorrenti. E’ stato statuito ad esempio (cfr. CdS
5715/2012 e Tar Sardegna 810/2012) che già ex art. 4 e ss.
d.lgs. n. 152/2006, devono essere sottoposti a v.a.s. i
piani e programmi che possano avere un impatto significativo
sull'ambiente e sul patrimonio culturale; non è allora
escluso che anche i piani attuativi possano essere
sottoposti a v.a.s. in presenza di particolari presupposti
da verificarsi in concreto, quali l'espressa volontà della
p.a. a sottoporre a detta procedura tale tipo di piano; e
all'attitudine del piano stesso a incidere sui profili
ambientali delle aree interessate.
Quindi, la normativa in materia di v.i.a. e di screening
ambientale si applica anche agli strumenti urbanistici
attuativi, purché sussistano tutte le condizioni ulteriori
richieste dalla disciplina vigente; la normativa comunitaria
e nazionale, infatti, prevede la necessità di un esame e
un'autorizzazione preventiva di progetti che comportino un
notevole impatto ambientale e, sotto tale profilo, è proprio
la pianificazione attuativa ad individuare (ed autorizzare)
con sufficiente grado di dettaglio -sul piano e qualitativo
e quantitativo- gli insediamenti da realizzare.
L’esame e la valutazione sul punto devono essere svolte e
ciò va fatto in via preventiva. Nel caso de quo,
invece, a fronte di un piano attuativo avente rilevante
impatto ambientale -come emerso in sede istruttoria ed
oggetto di considerazione rispetto ai precedenti motivi di
gravame-, non è stata svolta alcuna v.a.s. e la verifica
screening ha seguito l’approvazione definitiva del piano
attuativo, in termini illogici e contraddittori rispetto ai
principi sin qui richiamati.
A monte, la stessa variante di p.u.c., sia per le
peculiarità critiche della zona sotto i profili ambientali,
sia per il rilevante impatto derivante dal raddoppio delle
volumetrie precedenti, avrebbe a priori ed a maggior ragione
essere soggetto alla valutazione imposta dai principi
sovranazionali invocati. Nel caso de quo nessun livello di
piano è stato sottoposto alla necessaria valutazione,
cosicché neppure è possibile trarre spunti positivi sul
punto per il p.u.o. dalla verifica fatta in ambito variante
p.u.c.. Anche qui si conferma pertanto il trascinarsi di
carenze negli approfondimenti, non certo recuperabili nella
mera fase edilizia.
Al riguardo, a conferma dell’illogicità del percorso
seguito, è emerso (ma anche sul punto si è già svolto il
relativo approfondimento) che è stato oggetto di verifica
screening e modifica prescrittiva un p.u.o. non più
coincidente con quanto in precedenza approvato a livello
urbanistico. Da ciò la fondatezza delle censure dedotte sul
punto.
Infine, in termini più ampi ricostruttivi del sistema va
evidenziato che le considerazioni ed i principi di origine
sovranazionale hanno trovato di recente ulteriore conferma
da parte della Corte Costituzionale (cfr. sent n. 93 del
2013), la quale ha evidenziato la rilevanza della normativa
comunitaria in questione e la relativa prevalenza; in
dettaglio è stato ad esempio ribadito che dalla citata dir.
CE UE discende un preciso obbligo gravante su tutti gli
Stati membri di assoggettare a VIA non solo i progetti
indicati nell'allegato I, ma anche i progetti descritti
nell'allegato II, qualora si rivelino idonei a generare un
impatto ambientale importante, all'esito della procedura di
c.d. Screening.
Pertanto, la mancata considerazione dei predetti criteri
della dir. CE UE pone la normativa regionale ovvero quella
statale di dettaglio (come quelle invocate dalle difese
resistenti) in evidente contrasto con le indicazioni
comunitarie (TAR
Liguria, Sez. I,
sentenza 02.07.2013 n. 982 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA: Procedure. Norme regionali sulla valutazione ambientale
strategica - Solo Sicilia e Basilicata hanno regole
precedenti la direttiva Ue.
Piani urbanistici, Vas in formato locale.
Puglia e Marche esonerano dall'esame di impatto le varianti
con scambio di cubature.
È un cantiere aperto quello delle leggi con cui le Regioni
recepiscono le norme europee e nazionali sulla valutazione
ambientale strategica (Vas) di piani e programmi di
intervento. Di recente l'Associazione dei costruttori (Ance)
ha fatto il punto con un monitoraggio delle disposizioni
delle singole Regioni.
Di fatto solo Sicilia e Basilicata non si sono ancora dotate
di una propria regolamentazione della Vas e continuano ad
applicare la legge statale oppure norme regionali approvate
prima della direttiva europea. Mentre, sul fronte degli
aggiornamenti, le ultime novità arrivano dalla Liguria che
ha appena fornito le linee guida per applicare la propria
legge del 2012 e dalla Puglia che ha individuato a fine 2012
gli ambiti di esclusione dalla Vas. Diverse altre Regioni,
comunque, hanno rivisto con aggiornamenti la propria
disciplina (si veda la tabella a fianco).
Gli obiettivi
Tra le diverse procedure pubbliche poste a salvaguardia
dell'ambiente, gli esiti della Vas offrono un quadro di
riferimento per le valutazioni ambientali più di dettaglio.
La Vas deve «garantire un elevato livello di protezione
dell'ambiente e contribuire all'integrazione di
considerazioni ambientali all'atto del l'elaborazione,
dell'adozione e approvazione dei piani e programmi
assicurando che siano coerenti e contribuiscano alle
condizioni per uno sviluppo sostenibile». Lo svolgimento
della procedura è disciplinata dal decreto legislativo 152/
2006, che ha recepito la direttiva 2001/42/Ce, con la quale
la salvaguardia e la tutela ambientale sono state anticipate
già alla fase di programmazione e pianificazione.
Le Regioni
Con la delibera della Giunta regionale 331 del 28.03.2013
la Liguria ha fornito gli indirizzi operativi per
l'applicazione della Lr 10.08.2012, n. 32.
Sulla scia dell'orientamento di altre Regioni, la Liguria
individua l'ambito di applicazione delle norme nei piani e
programmi che –per le modificazioni diffuse che possono
apportare al territorio– sono suscettibili di produrre
impatti rilevanti sull'ambiente. La lista comprende quelli
con i quali si interviene nei settori dell'agricoltura,
della foresta, della pesca, dell'energia, del turismo, della
pianificazione territoriale o della destinazione dei suoli;
nel settore dei trasporti, sono compresi anche i piani
regolatori dei porti di interesse internazionale.
Niente Vas, invece, per i piani di protezione civile per
salvaguardare l'incolumità pubblica, i progetti di
piano-stralcio per la tutela dal rischio idrogeologico e
quelli operativi dei piani urbanistici comunali.
Con la legge regionale 14.12.2012, n. 44 anche la
Puglia si è dotata di una propria disciplina di Vas.
Nell'individuare gli ambiti di esclusione da questo livello
di valutazione ambientale, il legislatore pugliese ha
riservato una particolare attenzione ai piani urbanistici.
Sono escluse le varianti urbanistiche assunte per
l'approvazione dei piani di alienazione e valorizzazione
immobiliari che riguardano piccole aree locali o modificano
marginalmente quelli già sottoposti a Vas.
Non necessitano della valutazione anche gli strumenti
attuativi di piani urbanistici già sottoposti a Vas, purché
la pianificazione generale definisca già l'assetto
localizzativo delle nuove previsioni e delle dotazioni
territoriali, gli indici di edificabilità, gli usi ammessi e
i contenuti planovolumetrici, tipologici e costruttivi degli
interventi.
Anche le Marche sottopongono a condizioni l'esonero dalla
Vas delle varianti ai Prg e ai loro strumenti di attuazione.
Non devono, tra l'altro, comportare incrementi del carico
urbanistico, né prevedere opere per le quali è richiesta la
valutazione di impatto ambientale o di incidenza.
Sono escluse anche le varianti che comportano il
trasferimento di capacità edificatoria in siti diversi da
quelli originari, purché l'incremento della stessa capacità
edificatoria per uso residenziale non ecceda il 20% del
volume esistente entro il tetto di 200 mc., o la stessa
percentuale ma entro il limite dei 400 mq per gli usi non
residenziali.
Di recente anche la Regione Veneto (articolo 40 della Lr
13/2012; Dgr 1646 del 07.08.2012) è intervenuta per
dettagliare l'applicazione della Vas ai piani urbanistici.
---------------
Le scelte. Riparto in base al principio di sussidiarietà
verticale.
Competenze affidate a Province e Comuni.
Nella distribuzione, tra i diversi livelli istituzionali,
delle competenze in materia di Vas, le Regioni si sono mosse
in prevalenza in base al principio della sussidiarietà
verticale, ovvero cercando di affidare la competenza
all'ente più direttamente interessato al piano da valutare.
Alcune (Emilia-Romagna, Marche, Sardegna, Umbria)
condividono la competenza solo con le Province. A questo
schema si è adeguata anche la Liguria con la Lr 32/2012, di
regolamentazione della materia, mentre nel Lazio l'autorità
competente è individuata, per i piani e programmi relativi a
tutti i livelli di governo del territorio, nella struttura
regionale dell'assessorato all'Ambiente.
In via generale viene individuato il livello regionale per i
piani e programmi la cui paternità è interamente attribuita
alla Regione, ma in alcuni casi essa è autorità competente
anche per quelli sui quali è tenuta a esprimere anche solo
un parere obbligatorio. Per lo svolgimento della valutazione
le Regioni si avvalgono delle proprie strutture interne
oppure delle agenzie regionali per l'ambiente; la Toscana fa
ricorso al nucleo di valutazione degli investimenti
pubblici.
Le Province si occupano dei propri piani e programmi o di
quelli promossi dagli enti istituzionalmente sotto ordinati:
a esse compete quindi la Vas sui piani territoriali di
coordinamento territoriale e sui piani urbanistici dei
Comuni.
In alcune Regioni (tra le quali Abruzzo, Piemonte e Toscana)
i piani regolatori generali vengono sottoposti a Vas dagli
stessi Comuni, sulla base del criterio generale che della
valutazione debba essere responsabile lo stesso livello
istituzionale al quale compete l'approvazione dello
strumento di pianificazione o programmazione oggetto di Vas.
Questa è la ripartizione delle competenze che opera anche in
Lombardia.
Molte Regioni hanno istituito degli uffici tecnici di
supporto ai piccoli Comuni. La normativa della Campania (la
quale con la delibera n. 63 del 07.03.2013 ha modificato
il disciplinare organizzativo della valutazione) specifica
che l'ufficio dell'ente preposto alla valutazione ambientale
strategica deve obbligatoriamente essere diverso da quello
al quale sono attribuite le funzioni in materia urbanistica
ed edilizia.
La preoccupazione, di ordine più generale, di evitare che
controllato e controllore coincidano è anche di altre
Regioni. Lombardia e Toscana disciplinano l'argomento con
norme identiche, le quali prevedono che l'autorità
competente per la Vas sia individuata sulla base di questi
requisiti:
- separazione rispetto all'autorità procedente;
- adeguato grado di autonomia;
- competenza in materia di tutela, protezione e
valorizzazione ambientale e di sviluppo sostenibile.
L'autorità alla quale la normativa regionale attribuisce il
compito di svolgere la valutazione sull'approvazione dei
documenti originari di programmazione, è, ovviamente, la
stessa che si occuperà della Vas nel caso ai piani vengano
apportate varianti non esenti dalla valutazione.
Le normative regionali hanno posto attenzione a evitare o a
contenere l'accavallarsi di valutazioni. Il principio
ricorrente è quello di non sottoporre a Vas –o a verifica
di assoggettabilità a Vas– i piani e i programmi di rango
inferiore a quelli nei cui contesti si sviluppano, a
condizione che i piani di rango superiori siano già stati
oggetto di valutazione.
La regola non vale, naturalmente, se i piani attuativi
prevedono interventi e iniziative che non sono già state
oggetto di valutazione nei piani sovraordinati.
---------------
Le leggi
01|I DUE LIVELLI
Alcune Regioni hanno suddiviso le competenze sulla Vas tra
Regione stessa e Provincia. Tra queste Emilia Romagna,
Sardegna, Marche, Umbria e Liguria. Campania, Puglia e
Friuli Venezia Giulia le hanno ripartite tra Regione e
Comuni
02|L'ACCENTRAMENTO
Nel Lazio e in Provincia di Bolzano la competenza è unica e
affidata all'ente regionale o provinciale. Altre Regioni
hanno affidato la Vas allo stesso ente che elabora il piano
o il programma (articolo
Il Sole 24 Ore del 10.06.2013). |
EDILIZIA PRIVATA: No a nuovi benzinai senza la valutazione ambientale.
Niente nuovi benzinai senza la Vas, la valutazione
ambientale strategica che è necessaria per ogni intervento
urbanistico che può avere effetti negativi sull'ecosistema.
Annullata la delibera del consiglio comunale che introduce
la variante al piano regolatore generale per disciplinare la
nuova rete dei distributori di carburante ma senza adempiere
a tutti i suoi doveri: in primis preparare il rapporto
preliminare da sottoporre alla provincia per verificare
l'assoggettabilità alla Vas. Il documento risulta privo dei
contenuti richiesti dalle norme europee: gli esercenti del
territorio, insomma, riescono a bloccare l'arrivo di cinque
nuovi concorrenti.
È quanto emerge dalla
sentenza
23.05.2013 n. 186,
pubblicata dal TAR Emilia Romagna-Parma.
Un «guscio vuoto». Questo è per i giudici il rapporto
preliminare alla Vas, peraltro predisposto dal comune
soltanto dopo che arriva la richiesta dell'amministrazione
provinciale in vista dell'approvazione del piano.
«Preliminare», insomma, è una parola grossa, visto che il
documento arriva comunque dopo l'adozione da parte del
comune dello strumento urbanistico che disciplina la nuova
distribuzione delle pompe di benzina, con cinque nuovi punti
di rifornimento concentrati nel 5% del territorio; una
scelta forse discutibile ma comunque legittima se
l'amministrazione avesse però effettuato una valutazione
sull'impatto complessivo sull'ambiente connesso
all'installazione dei chioschi in una zona ricca di «pozzi e
tratti acquiferi ad alta vulnerabilità».
È vero: secondo una
certa giurisprudenza amministrativa il rapporto preliminare
risulta tempestivo anche se arriva dopo l'adozione del piano
da parte del comune, a patto che sia emesso prima
dell'approvazione della provincia.
Ma il collegio non è
d'accordo e accoglie il ricorso dei benzinai già operanti
sul territorio, secondo i quali risulta inutile produrre il
rapporto come mero adempimento burocratico, a posteriori
sulla variante già adottata «così vanificandone la finalità
di indagine preventiva»
(tratto da ItaliaOggi del
15.08.2013). |
URBANISTICA:
S. R. Masera,
La VAS del piano attuativo conforme allo strumento
urbanistico generale
(Urbanistica e appalti n. 5/2013). |
URBANISTICA: Il
proprietario che impugna gli atti di pianificazione
urbanistica generale ha un interesse qualificato a censurare
la violazione delle norme sulla VAS, laddove le
determinazioni di quest’ultima abbiano inciso sulle scelte
di piano relative al proprio compendio in senso sfavorevole.
---------------
Occorre rimarcare, con riguardo all’individuazione
dell’autorità competente per la VAS nella persona del
sindaco, Che l’Amministrazione locale resistente ha in ogni
modo dato applicazione alle prescrizioni regionali in
materia, vale a dire il decreto regionale 14.12.2010, n.
13071, il quale consente nei Comuni con popolazione
inferiore a 5.000 abitanti che l’autorità competente possa
essere individuata anche nell’organo esecutivo titolare
della responsabilità degli uffici e dei servizi di tutela e
valorizzazione ambientale.
---------------
Va ricordata l’ampia discrezionalità di cui godono i Comuni
nell’esercizio della potestà di pianificazione urbanistica,
nei confronti della quale i privati possono godere di
aspettative qualificate soltanto in un numero limitato di
casi, peraltro insussistenti nella presente fattispecie.
La censura appare priva di pregio, sotto vari profili.
In primo luogo, essa si pone in contrasto con l’indirizzo
interpretativo del Consiglio di Stato (cfr. la sentenza
della Sezione IV di quest’ultimo, 12.01.2011, n. 133), per
il quale il proprietario che impugna gli atti di
pianificazione urbanistica generale ha un interesse
qualificato a censurare la violazione delle norme sulla VAS,
laddove le determinazioni di quest’ultima abbiano inciso
sulle scelte di piano relative al proprio compendio in senso
sfavorevole (nella citata sentenza n. 133/2011 si legge a
tale proposito che: <<….occorre che le "determinazioni
lesive" fondanti l'interesse a ricorrere siano
effettivamente "condizionate", ossia causalmente
riconducibili in modo decisivo, alle preliminari conclusioni
raggiunte in sede di V.A.S., e pertanto l'istante avrebbe
dovuto precisare come e perché tali conclusioni nella specie
abbiano svolto un tale ruolo decisivo sulle opzioni relative
ai suoli in sua proprietà…>>).
Nel caso di specie, le censure specificamente riguardanti la
destinazione urbanistica dell’area degli esponenti non
paiono attenere alle scelte effettuate in sede di VAS.
Fermo restando quanto sopra esposto, avente carattere
assorbente, occorre altresì rimarcare, con riguardo
all’individuazione dell’autorità competente nella persona
del sindaco –che nel Comune di Lambrugo ricopre anche il
ruolo di responsabile di servizio, ai sensi della legge
388/2000– che l’Amministrazione locale resistente ha in ogni
modo dato applicazione alle prescrizioni regionali in
materia, vale a dire il decreto regionale 14.12.2010, n.
13071, il quale (vedesi punto 5 dell’allegato A), consente
nei Comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti che
l’autorità competente possa essere individuata anche
nell’organo esecutivo titolare della responsabilità degli
uffici e dei servizi di tutela e valorizzazione ambientale
(cfr. il documento depositato dalla difesa regionale il
28.12.2012; si rimarca altresì che tale decreto non è
neppure stato oggetto di rituale impugnazione).
---------------
Preliminarmente occorre
ricordare il pacifico indirizzo giurisprudenziale, ribadito
di recente in importanti arresti del Giudice Amministrativo
d’appello, sull’ampia discrezionalità di cui godono i Comuni
nell’esercizio della potestà di pianificazione urbanistica,
nei confronti della quale i privati possono godere di
aspettative qualificate soltanto in un numero limitato di
casi, peraltro insussistenti nella presente fattispecie
(cfr., fra le tante, la fondamentale sentenza del Consiglio
di Stato, sez. IV, 10.05.2012, n. 2710, richiamata e
confermata dalla successiva sentenza della stessa Sezione IV,
28.11.2012, n. 6040; Consiglio di Stato, sez. IV,
28.12.2012, n. 6703, oltre che, fra le decisioni di primo
grado, TAR Lombardia, Milano, sez. II, 08.02.2012, n. 437 e
TAR Basilicata, 16.12.2011, n. 602) (TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 26.02.2013 n. 532 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
2012 |
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URBANISTICA:
Per effetto del D.Lgs. n. 4/2008 oggi debbono
essere sottoposti a valutazione ambientale strategica (VAS)
tutti gli atti di “pianificazione territoriale” e di
“destinazione dei suoli” e tale valutazione deve essere
effettuata -come disposto dall’art. 11, n. 3- prima
dell’approvazione del piano, in quanto tale normativa ha
individuato, quale unico limite temporale inderogabile per
l’espletamento della valutazione ambientale, la data di
“approvazione” del piano e non quella di “adozione”, tanto
che l’art. 11, n. 5, ha dichiarato espressamente annullabili
i provvedimenti di approvazione degli strumenti
pianificatori ove non siano stati preceduti dal
sub-procedimento in questione.
Con la prima doglianza la
parte ricorrente ha dedotto che -in violazione della
direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 27.06.2001 n. 2001/42/CE, e degli artt. 4 e segg. del D.Lgs.
03.04.2006, n. 152 (in vigore a decorrere al 31.07.2007)- non era stata esperita, prima dell’approvazione del
piano, la prescritta valutazione ambientale strategica (VAS),
né, quanto meno, era stata effettuata la relativa verifica
di assoggettabilità.
Tale doglianza è fondata.
Va al riguardo ricordato che la direttiva del Parlamento
europeo e del Consiglio 27.06.2001 n. 2001/42/CE,
concernente la valutazione degli effetti i determinati piani
e programmi sull’ambiente, ha imposto all’art. 3 agli Stati
membri di individuare i piani ed i programmi che “possono
avere effetti significativi sull’ambiente”; mentre la norma
transitoria contenuta nell’art. 13 ha da un lato imposto
agli Stati membri di conformarsi alla direttiva entro il 21.07.2004 e dall’altro ha precisato (al n. 3) che tale
obbligo non si applica ai piani ed ai programmi il cui primo
atto formale preparatorio sia precedente a tale data e “che
sono stati approvati più di ventiquattro mesi dopo”.
Tale direttiva, ritenuta dalla giurisprudenza non
self-executing (Cons. St., sez. IV, 14.04.2010, n. 2097,
TAR Lombardia, sede Milano, sez. II, 17.02.2011, n.
481, e TAR Veneto, sez. I, 07.10.2011, n. 1503), è
stata recepita con il D.Lgs. 03.04.2006, n. 152, il quale
ha previsto la sottoposizione a valutazione ambientale non
solo dei “piani e dei programmi statali, regionali e sovracomunali” (art. 4, n. 1, lett. a, n. 3), ma anche dei
“piani e programmi che possono avere effetti significativi
sull’ambiente” (art. 4, n. 1, lett. a, n. 4); l’art. 7 ha
previsto a tal fine al n. 5 che “l’autorità competente
all’approvazione del piano deve preliminarmente verificare
se lo specifico piano o programma oggetto di approvazione
possa avere effetti significativi sull’ambiente”. La norma
transitoria contenuta nell’art. 52 di tale decreto ha poi
previsto che i procedimenti amministrativi in corso “alla
data di entrata in vigore del presente decreto, nonché i
procedimenti per i quali a tale data sia già stata
formalmente presentata istanza introduttiva da parte
dell'interessato, si concludono in conformità alle
disposizioni ed alle attribuzioni di competenza in vigore
all'epoca della presentazione di detta istanza”.
Tale decreto, a seguito di successive proroghe, è entrato in
vigore il 31.07.2007 (Cons. St., sez. VI, 10.05.2011, n. 2755).
Successivamente, tale decreto legislativo ha subito
sostanziali modifiche a seguito prima del D.Lgs. 16.01.2008, n. 4 (c.d. primo correttivo), e poi del D.Lgs. 29.06.2010, n. 120. L’intera parte seconda del D.Lgs. 152
del 2006 è stata, infatti, abrogata dall’art. 4, comma 2,
del decreto legislativo 16.01.2008, n. 4, ed è stata
sostituita dagli artt. 1, comma 2, e 4, comma 3, del
medesimo decreto correttivo, che hanno introdotto, in
materia di VAS, una disciplina (v. gli artt. da 4 a 18 e da
30 a 36, nonché gli allegati da I a V della parte seconda)
largamente differente. Le disposizioni in materia di VAS
contenute nel decreto originario hanno, pertanto, avuto
vigenza dal 31.07.2007 al 13.02.2008, data di
entrata in vigore della nuova disciplina introdotta dal c.d.
primo correttivo.
Per effetto di tale D.Lgs. n. 4/2008 oggi debbono, pertanto,
essere sottoposti a valutazione ambientale strategica tutti
gli atti di “pianificazione territoriale” e di “destinazione
dei suoli” e tale valutazione deve essere effettuata -come
disposto dall’art. 11, n. 3, e come questa stessa Sezione ha
già avuto modo di chiarire con sentenze 13.12.2011, nn.
693-700- prima dell’approvazione del piano, in quanto tale
normativa ha individuato, quale unico limite temporale
inderogabile per l’espletamento della valutazione ambientale
la data di “approvazione” del piano, e non quella di
“adozione”, tanto che l’art. 11, n. 5, ha dichiarato
espressamente annullabili i provvedimenti di approvazione
degli strumenti pianificatori, ove non siano stati preceduti
dal sub procedimento in questione (cfr. nello stesso senso
TAR Sicilia, sez. Catania, sez. I, 01.09.2011, n.
2143, e sede Palermo, sez. III, 31.10.2011, n. 1934, e
TAR Friuli Venezia - Giulia, 10.08.2011, n. 365).
Con riferimento a tali considerazioni ritiene il Collegio
che l’atto impugnato sia inficiato dal vizio denunciato in
quanto -come sembra evidente dagli atti di causa- l’atto
di approvazione del piano non è stato preceduto dal sub
procedimento in questione.
Né appaiono al riguardo rilevanti le difese prospettate dal
Comune che ha fatto riferimento alla circostanza che il
piano era stato adottato prima della predetta modifica
introdotta con il D.Lgs. 16.01.2008, n. 4, e che le
norme transitorie contenute nell’art. 35, n. 2-ter (nuovo
testo), prevedono espressamente che “le procedure di VAS,
VIA ed AIA avviate precedentemente all’entrata in vigore del
presente decreto sono concluse ai sensi delle norme vigenti
al momento dell'avvio del procedimento”.
Secondo la resistente, invero, l’art. 4, 1° co., n. 3), del
D.Lgs. n. 152/2006, nella versione originaria, prevedeva
“l’utilizzo della valutazione ambientale [strategica] nella
stesura dei piani e dei programmi statali, regionali e sovra
comunali” e che i PRG comunali fossero esclusi dalla VAS, la
cui necessità sarebbe stata introdotta dal D.Lgs. n. 4/2008
(entrato in vigore il 13.02.2008), che, all’art. 6, ha
esteso tale procedura a tutti i piani ed i programmi di
pianificazione territoriale e di destinazione dei suoli,
mentre il procedimento di adozione del PRG, concluso con la
deliberazione n. 37 del 21.12.2007, soggiaceva alla
normativa ante riforma e nessuna necessità era ravvisata in
ordine alla VAS.
Deve, invero, osservarsi in merito innanzitutto che il D.Lgs. n. 152/2006 nel suo testo originario prevedeva, come
si è già ricordato, la sottoposizione a valutazione
ambientale anche dei “piani e programmi che possono avere
effetti significativi sull’ambiente” (art. 4, n. 1, lett. a,
n. 4) e tra tali piani non può non rientrare lo strumento
urbanistico in questione che disciplina una zona di
rilevante dimensione (l’intero territorio comunale), che
comprende anche zone sottoposte a particolare tutela
ambientale; tale previsione impositiva dell’obbligo di
eseguire la procedura VAS era in vigore in epoca antecedente
la deliberazione di adozione dello strumento urbanistico in
questione. E basta al riguardo ricordare quanto questo
Tribunale ha già avuto modo di evidenziare con le sopra
ricordate sentente del 2011 relative ad una fattispecie per
molti versi analoga relativa al P.R.G. del Comune di Vasto.
Va, inoltre, considerato che la mancata adozione della
procedura VAS non attiene ad un aspetto meramente formale,
ma al contrario appare fondamentale per determinare le
scelte di pianificazione del territorio.
Inoltre, va anche osservato per un verso che tale procedura
di valutazione ambientale strategia deve precedere, come già
detto, non la delibera di adozione, ma quella di
approvazione del piano e per altro verso che la norma
transitoria contenuta nel predetto art. 35, così come quella
contenuta nel previgente art. 52, si riferisce alle ipotesi
in cui fosse già stata avviata una procedura VAS, mentre
nella specie tale procedura è stata omessa del tutto e non
risulta sia mai stata espletata (TAR Sicilia, sez.
Catania, 23.03.2012, n. 831)
(TAR Abruzzo-Pescara,
sentenza 28.12.2012 n. 556 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
Se è pur vero che l’art. 4, c. 2, LR 12/2005
prevede che la VAS debba essere conclusa prima
dell’adozione, occorre tener conto delle modifiche normative
introdotte dall’art. 5, c. 8, del D.L. 13.05.2011 n. 70 conv.
in L. 12.07.2011 n. 106, la quale ha modificato l’art. 16
della L. n. 1140/1942.
In forza di tale disposizione -che è contenuta nella Legge
nazionale in tema di disciplina urbanistica, la quale pone i
principi fondamentali nella materia, ai quali ex art.. 117,
c. 3, Cost. le regioni devono conformare la loro
legislazione di dettaglio- le procedure di VAS sono state
inserite nell’ambito della procedura di approvazione del
piano, sicché non è più necessario che la precedano.
In altri termini, la fase della VAS non deve più
necessariamente precedere la fase di adozione del programma
o piano urbanistico, ma può ora svilupparsi all’interno del
medesimo procedimento con l’unico vincolo che essa si
concluda prima del provvedimento finale di approvazione del
piano.
Se è pur vero che l’art. 4, c. 2, LR
12/2005 prevede che la VAS debba essere conclusa prima
dell’adozione, occorre tener conto delle modifiche normative
introdotte dall’art. 5, c. 8, del D.L. 13.05.2011 n. 70 conv.
in L. 12.07.2011 n. 106, la quale ha modificato l’art. 16
della L. n. 1140/1942.
In forza della suddetta modifica ora l’art. 16 cit. dispone
che: “Lo strumento attuativo di piani urbanistici già
sottoposti a valutazione ambientale strategica non è
sottoposto a valutazione ambientale strategica né a verifica
di assoggettabilità qualora non comporti variante e lo
strumento sovraordinato in sede di valutazione ambientale
strategica definisca l’assetto localizzativo delle nuove
previsioni e delle dotazioni territoriali, gli indici di
edificabilità, gli usi ammessi e i contenuti piani
volumetrici, tipologici e costruttivi degli interventi,
dettando i limiti e le condizioni di sostenibilità
ambientale delle trasformazioni previste. Nei casi in cui lo
strumento attuativo di piani urbanistici comporti variante
allo strumento sovraordinato, la valutazione ambientale
strategica e la verifica di assoggettabilità sono comunque
limitate agli aspetti che non sono stati oggetto di
valutazione sui piani sovraordinati. I procedimenti
amministrativi di valutazione ambientale strategica e di
verifica di assoggettabilità sono ricompresi nel
procedimento di adozione e di approvazione del piano
urbanistico o di loro varianti non rientranti nelle
fattispecie di cui al presente comma.”
In forza di tale disposizione -che è contenuta nella Legge
nazionale in tema di disciplina urbanistica, la quale pone i
principi fondamentali nella materia, ai quali ex art.. 117,
c. 3, Cost. le regioni devono conformare la loro legislazione
di dettaglio (cfr. Corte Costituzionale, 23.11.2011 n.
309, 30.05.2008 n. 180)- le procedure di VAS sono state
inserite nell’ambito della procedura di approvazione del
piano, sicché non è più necessario che la precedano.
In altri termini, la fase della VAS non deve più
necessariamente precedere la fase di adozione del programma
o piano urbanistico, ma può ora svilupparsi all’interno del
medesimo procedimento con l’unico vincolo che essa si
concluda prima del provvedimento finale di approvazione del
piano
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 27.12.2012 n. 2017 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Vas e Vinca.
Domanda
Il procedimento di Valutazione di incidenza ambientale
(Vinca) può essere considerato equipollente della procedura
di Valutazione ambientale strategica (Vas)?
Risposta
Il Consiglio di stato, sezione sesta, con la sentenza del 10.05.2011, numero 2755, ha affermato che, in fase di
predisposizione del piano faunistico-venatorio, la regione
avrebbe dovuto avviare la procedura di Valutazione
ambientale strategica (Vas), relativamente al piano in
esame, con riferimento alla normativa statale entrata in
vigore già prima dell'emanazione del decreto legislativo
numero 4, del 2008.
I supremi giudici amministrativi hanno,
pure, puntualizzato che il procedimento di Valutazione di
incidenza ambientale (Vinca) non può essere considerato
equipollente, né una duplicazione, tenuto conto della
diversità delle regole procedimentali e sostanziali che
caratterizzano tale Valutazione di incidenza ambientale.
La Valutazione ambientale strategica (Vas) e la Valutazione
di incidenza ambientale (Vinca) sono due strumenti che hanno
lo scopo di misurare programmi e interventi sul comparto
ambiente.
La Valutazione ambientale strategica (Vas), che è
regolamentata dal decreto legislativo numero 152, del 03.04.2006, si riferisce agli effetti ambientali del piano,
in quanto tale, e ivi esplica i suoi effetti.
La normativa recepisce i principi, gli obiettivi e le
finalità della direttiva del parlamento europeo e del
consiglio, concernente la valutazione degli effetti di
determinati piani e programmi sull'ambiente, datata 27.06.2001–2001/42/Ce. Detta direttiva, all'articolo 1,
stabilisce che l'obiettivo di detta procedura è quello di
garantire un elevato livello di protezione dell'ambiente e
di contribuire all'integrazione di considerazioni ambientali
all'atto dell'elaborazione e dell'adozione di piani e
programmi al fine di promuovere lo sviluppo sostenibile,
assicurando che venga effettuata la valutazione ambientale
di determinati piani e programmi che possono avere effetti
significativi sull'ambiente.
La Valutazione di incidenza ambientale (Vinca), per il
Consiglio di stato, con la summenzionata sentenza, «ha un
rilevo settoriale, destinato alla particolare protezione di
siti di importanza comunitaria (e da tenere in
considerazione in sede di Vas, anch'essa divenuta necessaria
in base alla normativa sopravvenuta del 2006)». Essa è
disciplinata dal dpr 08.09.1997, numero 357, che contiene il
Regolamento recante attuazione della direttiva numero 92/43
Ce, relativa alla conservazione degli habitat naturali e
seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche.
Pertanto, la Valutazione di incidenza ambientale (Vinca)
riguarda piani, programmi pubblici e interventi pubblici e
privati che possono produrre effetti soltanto sulle aree
identificate e soggette a particolare tutela prevista dal
citato dpr 357/1997 (articolo
ItaliaOggi Sette del 10.09.2012). |
URBANISTICA: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 31 del
03.08.2012, "Determinazione della
procedura di valutazione ambientale di piani
e programmi - VAS (art. 4, l.r. n. 12/2005;
d.c.r. n. 351/2007) - Approvazione allegato
1u - Modello metodologico procedurale e
organizzativo della valutazione ambientale
di piani e programmi (VAS) – Variante al
piano dei servizi e piano delle regole"
(deliberazione
G.R. 25.07.2012 n. 3836). |
URBANISTICA: Le
censure inerenti il procedimento di VAS sono
ammissibili nei limiti in cui la parte
istante specifichi quale concreta lesione
alla sua proprietà siano derivate
dall’inosservanza delle norme sul
procedimento; in altri termini, non deve
trattarsi di una doglianza meramente
“strumentale”, ma sostanziale, visto che il
generico interesse ad un nuovo esercizio del
potere pianificatorio dell’Amministrazione è
insufficiente a distinguere la posizione del
ricorrente da quella del quisque de populo.
Nel
secondo motivo, è denunciata la violazione
delle norme sulla valutazione ambientale
strategica (VAS), sotto vari profili.
La censura appare però inammissibile, alla
luce della giurisprudenza del Consiglio di
Stato (cfr. sez. IV, 12.01.2011, n. 133), per
la quale le censure inerenti il procedimento
di VAS sono ammissibili nei limiti in cui la
parte istante specifichi quale concreta
lesione alla sua proprietà siano derivate
dall’inosservanza delle norme sul
procedimento; in altri termini, non deve
trattarsi di una doglianza meramente
“strumentale”, ma sostanziale, visto che il
generico interesse ad un nuovo esercizio del
potere pianificatorio dell’Amministrazione è
insufficiente a distinguere la posizione del
ricorrente da quella del quisque de populo
(cfr. in termini, TAR Lombardia, Milano,
sez. II, 12.01.2012, n. 297) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 11.07.2012 n. 1955 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA: Variazione urbanistica e V.i.a.-V.a.s..
La V.A.S., ai
sensi dell’art. 11 del d.lgs. 152 del 2006, non è un
procedimento o subprocedimento autonomo rispetto alla
procedura di pianificazione, ma un passaggio
endoprocedimentale di esso, che si concreta nell’espressione
di un “parere” che riflette la verifica di sostenibilità
ambientale della pianificazione medesima.
---------------
In presenza di una variazione urbanistica funzionale alla
realizzazione di un progetto contemporaneamente interessato
dalla procedura di valutazione di impatto ambientale,
quest’ultima esaurisce le verifiche in tale fase richieste
dalla legge, mentre la V.A.S e la relativa verifica di
assoggettabilità (art. 12 d.lgs. n. 152/2006) riguardano i
soli casi di autonoma elaborazione di piani e programmi
idonei ad incidere in modo rilevante sull’ambiente.
A
maggior ragione va ritenuto che, qualora sia comunque
sottoposta a V.A.S. una variante sostanzialmente diretta
alla realizzazione di un singolo intervento sottoposto a V.I.A., l’integrazione tra le due procedure risulta, oltre
che legittima, opportuna, ed è suggerita dalla stessa
lettera della legge che dà una lettura orientata allo scopo
delle procedure, nella parte in cui, all’art. 13, c.4, del d.lgs 152/2006, detta le disposizioni per l’applicazione
dell’allegato VI al d.lgs, prescrivendo che le sue
previsioni debbano tenere conto di determinate circostanze e
permettendo l’utilizzo di approfondimenti o informazioni
ottenute nell’ambito di altri livelli decisionali o
altrimenti acquisite.
Infine, è palesemente infondata
l’eccezione di tardività per avere impugnato la variante
unitamente alla Valutazione Ambientale Strategica, in quanto
contrastante con la più recente e condivisibile
giurisprudenza, che ha ritenuto come la V.A.S., ai sensi
dell’art. 11 del d.lgs. 152 del 2006, non sia un
procedimento o subprocedimento autonomo rispetto alla
procedura di pianificazione, ma un passaggio
endoprocedimentale di esso, che si concreta nell’espressione
di un “parere” che riflette la verifica di
sostenibilità ambientale della pianificazione medesima (CdS
Sez. IV 12.01.2011 n. 133)
---------------
In giurisprudenza si è condivisibilmente ritenuto che, in
presenza di una variazione urbanistica funzionale alla
realizzazione di un progetto contemporaneamente interessato
dalla procedura di valutazione di impatto ambientale,
quest’ultima esaurisca le verifiche in tale fase richieste
dalla legge, mentre la V.A.S e la relativa verifica di
assoggettabilità (art. 12 d.lgs. n. 152/2006) riguardano i
soli casi di autonoma elaborazione di piani e programmi
idonei ad incidere in modo rilevante sull’ambiente (Tar
Emilia Romagna Parma 22.12.2010 n. 552). A maggior ragione
va ritenuto che, qualora sia comunque sottoposta a V.A.S.
una variante sostanzialmente diretta alla realizzazione di
un singolo intervento sottoposto a V.I.A., come nel caso in
esame (come risulta dalla determinazione 177/2008 più volte
citata, alla pag. 21, e sostanzialmente incontestato dalla
ricorrente) l’integrazione tra le due procedure risulta,
oltre che legittima, opportuna, ed è suggerita dalla stessa
lettera della legge che dà una lettura orientata allo scopo
delle procedure, nella parte in cui, all’art. 13 c.4 del
d.lgs 152/2006, detta le disposizioni per l’applicazione
dell’allegato VI al d.lgs, prescrivendo che le sue
previsioni debbano tenere conto di determinate circostanze e
permettendo l’utilizzo di approfondimenti o informazioni
ottenute nell’ambito di altri livelli decisionali o
altrimenti acquisite (massima
tratta www.lexambiente.it - TAR
Marche,
sentenza 22.06.2012 n. 444
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA: Occorre
indulgere verso una più rigida
interpretazione delle condizioni
dell’azione, ponendo forti limiti alla
configurabilità dell’interesse cd.
strumentale all’impugnazione dello strumento
urbanistico.
Ciò, sul presupposto che, in subiecta
materia, l’interesse al ricorso non può
sostanziarsi in un generico interesse a una
migliore pianificazione dei suoli di propria
spettanza che, in quanto tale, non si
differenzia dall’eguale interesse che
quisque de populo potrebbe nutrire.
Per fondare l’interesse al ricorso in
relazione alle censure afferenti la V.A.S.,
occorre fornire la dimostrazione che i
lamentati vizi della V.A.S. abbiano inciso
in modo diretto e determinante sulle scelte
specificamente riguardanti le aree dei
ricorrenti, traendo da ciò la logica
conseguenza che dette scelte avrebbero
potuto essere differenti ove si fosse
proceduto ad una nuova V.A.S. emendata dei
ridetti vizi.
Nello
specifico, con particolare riguardo ai primi
due motivi, che fanno leva sulla violazione
delle norme in materia di V.A.S., il
Collegio deve ribadirne l’inammissibilità
per difetto di interesse, posto che, secondo
la più recente giurisprudenza, occorre
indulgere verso una più rigida
interpretazione delle condizioni
dell’azione, ponendo forti limiti alla
configurabilità dell’interesse cd.
strumentale all’impugnazione dello strumento
urbanistico.
Ciò, sul presupposto che, in subiecta materia, l’interesse al ricorso non
può sostanziarsi in un generico interesse a
una migliore pianificazione dei suoli di
propria spettanza che, in quanto tale, non
si differenzia dall’eguale interesse che quisque de populo potrebbe nutrire (cfr.
Consiglio di Stato sez. IV 12.01.2011 n.
133; id. 29.12.2010, n. 9537; id.
12.10.2010 n. 7439; 13.07.2010 n. 4542;
06.05.2010 n. 2629; sez. V, 07.09.2009,
n. 5244; sez. IV, 22.12.2007, n. 6613;
TAR Lombardia, Milano, II, 27.01.2012 n.
297; id., 24.11.2011, n. 2901).
Proprio
nella richiamata sentenza del 12.01.2011 n.
133, il Consiglio di Stato ha precisato che,
per fondare l’interesse al ricorso in
relazione alle censure afferenti la V.A.S.,
occorre fornire la dimostrazione che i
lamentati vizi della V.A.S. abbiano inciso
in modo diretto e determinante sulle scelte
specificamente riguardanti le aree dei
ricorrenti, traendo da ciò la logica
conseguenza che dette scelte avrebbero
potuto essere differenti ove si fosse
proceduto ad una nuova V.A.S. emendata dei
ridetti vizi.
Applicando tali coordinate ermeneutiche al
caso di specie, ne deriva che, non soltanto,
non risulta fornita alcuna dimostrazione
dell’incidenza dei vizi afferenti la V.A.S.
rispetto alla pianificazione avente ad
oggetto l’area della ricorrente ma altresì
che, a conferma del predetto assunto, le
censure specificamente volte a contestare il
regime dei suoli di proprietà della Società
sono, come si è già visto e come
s’illustrerà di seguito, tutte destituite di
fondamento
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 25.05.2012 n. 1440 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA: Oggetto:
Valutazione Ambientale Strategica (VAS) di competenza
regionale di cui al d.lgs. 03.04.2006 n. 152 - Indicazioni
procedurali
(MIBAC, Direzione Regionale per i Beni Culturali e
Paesaggistici del Veneto,
circolare 14.05.2012
n. 26/2012). |
URBANISTICA:
M. Mazzoleni,
Ancora sulla VAS, «alla prova»
davanti ai giudici italiani (nota a C.d.S.
n. 133/2011) (link a
www.lexambiente.it). |
URBANISTICA:
Piani urbanistici: anche l'abrogazione è
soggetta a VAS.
Con
sentenza 22.03.2012 n. C-567/10 la Sez.
IV della Corte di Giustizia UE ha fissato il
duplice principio secondo cui:
1. La nozione di piani e
programmi «previsti da disposizioni
legislative, regolamentari o
amministrative», di cui all’articolo 2,
lettera a), della direttiva 2001/42/CE del
Parlamento europeo e del Consiglio, del
27.06.2001, concernente la valutazione degli
effetti di determinati piani e programmi
sull’ambiente, deve essere interpretata nel
senso che essa riguarda anche i piani
regolatori particolareggiati, come quello
oggetto della normativa nazionale belga di
cui trattasi nel procedimento principale.
2. L’articolo 2, lettera a), della direttiva
2001/42 deve essere interpretato nel senso
che una procedura di abrogazione totale o
parziale di un piano regolatore, come quella
di cui agli articoli 58-63 del code
bruxellois de l’aménagement du territoire,
quale modificato dalla legge regionale del
14.05.2009, rientra in linea di principio
nell’ambito di applicazione di detta
direttiva, sicché è soggetta alle norme
relative alla valutazione ambientale
previste da quest’ultima.
Chiamata a pronunciarsi i un procedimento
avente ad oggetto una domanda di pronuncia
pregiudiziale proposta, ai sensi
dell’articolo 267 TFUE, dalla Cour
constitutionnelle (Belgio) con decisione del
25.11.2010, la quarta sezione della Corte di
Giustizia UE ha ribadito che gli obbiettivi
esplicitati dalla direttiva 2001/42 all'art.
1 impongono di ritenere che, sebbene
l’articolo 2, lettera a), della direttiva
2001/42 riguardi formalmente soltanto
l’adozione e la modifica di piani di assetto
del territorio, detta direttiva, al fine di
conservare il suo effetto utile, deve essere
interpretata nel senso che si applica
altresì all’abrogazione di tali piani.
Nel caso di specie, afferma la Corte, "l’abrogazione
di un piano regolatore particolareggiato
muterebbe il contesto in cui vengono
rilasciate le licenze urbanistiche e
potrebbe modificare l’ambito delle
autorizzazioni rilasciate per i progetti
futuri".
Né sarebbe conforme alla finalità e
all’effetto utile della direttiva 2001/42
escludere dall’ambito di applicazione della
direttiva "un atto di abrogazione, la cui
adozione, benché facoltativa, abbia avuto
luogo", vero che i «piani e programmi» di
cui all’articolo 2, lettera a), della
direttiva in parola "sono in via generale
quelli previsti dalle disposizioni
legislative o regolamentari nazionali e non
soltanto quelli che devono essere
obbligatoriamente adottati in forza di tali
disposizioni".
Pertanto, pur constatando che l’articolo 2,
lettera a), della direttiva 2001/42 non
riguarda l’abrogazione dei piani, la Corte
ha ritenuto che dalla suddetta direttiva "emerga,
tuttavia, che una valutazione ambientale
deve essere realizzata non soltanto per gli
atti nazionali che determinano le norme di
pianificazione territoriale, ma anche per
quelli che definiscono il quadro in cui
l’attuazione di progetti potrà essere
autorizzata in futuro. Pertanto, un atto del
governo della Regione che si inserisca in un
complesso di piani di assetto del territorio
dovrebbe essere sottoposto a tale procedura
anche quando abbia ad oggetto unicamente
l’abrogazione dei piani" (link a
http://studiospallino.blogspot.it). |
URBANISTICA:
B.U.R. Lombardia n. 9 del 02.03.2012 "Istruzioni per la
pianificazione locale della RER – febbraio 2012" (comunicato
regionale 27.02.2012 n. 25). |
URBANISTICA:
Valutazione ambientale strategica.
Domanda.
In qualità di proprietario del terreno
interessato da strumento urbanistico, posso
vantare un interesse strumentale
all'impugnazione di uno strumento
urbanistico al fine di una riedizione del
potere amministrativo pianificatorio, che
abbia come risultato finale un provvedimento
a me più favorevole?
Risposta.
Il Tribunale regionale amministrativo (Tar)
Lombardia, Milano, Sezione II, con la
sentenza numero 188, del 27.01.2010,
aveva riconosciuto al ricorrente portatore
di un interesse strumentale all'impugnazione
di uno strumento urbanistico al fine di una
riedizione del potere amministrativo pianificatorio detto interesse strumentale.
Detta decisione teneva presente il
precedente pronunciamento del Consiglio di
stato, sezione V, espresso con la sentenza
del 15.11.2001, numero 5839.
Ora, il Consiglio di stato, sezione IV, con
la sentenza del 12.01.2011, numero 133,
dopo avere evidenziato che la Valutazione
ambientale strategica (Vas) non è
configurata come un procedimento o un sub
procedimento autonomo rispetto alla
procedura di pianificazione, ha affermato
che è legittima, e anzi quasi fisiologica
l'evenienza che l'Autorità competente alla
Valutazione ambientale strategica (Vas) sia
identificata in un organo o ufficio interno
alla stessa Autorità procedente.
I Supremi
giudici amministrativi, hanno affermato,
poi, che l'interesse cosiddetto strumentale
all'impugnazione di uno strumento
urbanistico sussiste soltanto se sussistono
specifici vizi in ordine alle determinazioni
che riguardano il regime dei suoli di
proprietà del privato ricorrente. Pertanto,
per il Consiglio di stato, il cosiddetto
interesse strumentale «non può fondarsi sul
generico interesse ad una migliore
pianificazione del proprio suolo, che in
quanto tale non si differenzia dall'eguale
interesse che il quisque de populo potrebbe
nutrire».
«In altri termini, aggiungono i
Supremi giudici, l'utilità comunque
rappresentata dal possibile vantaggio che
astrattamente il ricorrente potrebbe
ottenere per effetto della riedizione
dell'attività amministrativa non è ex se
indicativa della titolarità di una posizione
di interesse giuridicamente qualificata e
differenziata, idonea, a legittimare la
tutela giurisdizionale». Il lettore può
consultare, anche, la sentenza del Consiglio
di stato, Sezione IV, del 13.07.2010,
numero 4546 (articolo ItaliaOggi
Sette del 13.02.2012). |
URBANISTICA: 1. Ricorso giurisdizionale - Interesse
all'impugnazione - Censure afferenti alla
V.A.S. - Occorre dimostrarne l'incidenza
diretta e determinante sulle scelte
riguardanti le aree dei ricorrenti.
1. Per fondare l'interesse al ricorso in
relazione a censure afferenti alla V.A.S.
occorre fornire la dimostrazione che i
lamentati vizi della V.A.S. stessa abbiano
inciso in modo diretto e determinante sulle
scelte specificamente riguardanti le aree
dei ricorrenti, traendo da ciò la logica
conseguenza che dette scelte avrebbero
potuto essere differenti ove si fosse
proceduto ad una nuova V.A.S. emendata dei
ridetti vizi.
L'interesse al ricorso non può
infatti sostanziarsi in un generico
interesse a una migliore pianificazione dei
suoli di propria spettanza, che, in quanto
tale, non si differenzia dall'eguale
interesse che quisque de populo potrebbe
nutrire (cfr. Consiglio Stato, 12.01.2011, n. 133; id. 12.10.2010, n. 7439;
id. 13.07.2010, n. 4542; id. 06.05.2010, n. 2629; Ad. Plen. Consiglio Stato
07.04.2011, n. 4)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 27.01.2012 n.
297 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA: Per
fondare l’interesse al ricorso in relazione
alle censure afferenti la V.A.S. occorre
fornire la dimostrazione che i lamentati
vizi della V.A.S. stessa abbiano inciso in
modo diretto e determinante sulle scelte
specificamente riguardanti le aree dei
ricorrenti, traendo da ciò la logica
conseguenza che dette scelte avrebbero
potuto essere differenti ove si fosse
proceduto ad una nuova V.A.S. emendata dei
ridetti vizi.
Ad avviso del Collegio, alla luce della
più recente impostazione giurisprudenziale,
incline a porre forti limiti alla
configurabilità anche dell’interesse cd.
strumentale all’impugnazione dello strumento
urbanistico, neppure l’esistenza di siffatto
interesse sotteso alla riedizione della
procedura di V.A.S. può essere ritenuta
sufficiente ad integrare la condizione
dell’azione qui contestata.
Ciò, sul presupposto che, in subiecta
materia, l’interesse al ricorso non può
sostanziarsi in un generico interesse a una
migliore pianificazione dei suoli di propria
spettanza, che in quanto tale non si
differenzia dall’eguale interesse che quisque de populo
potrebbe nutrire.
Per evitare di pervenire a una legitimatio
generalis … occorre che le “determinazioni
lesive” fondanti l’interesse a ricorrere
siano effettivamente “condizionate”, ossia
causalmente riconducibili in modo decisivo,
alle preliminari conclusioni raggiunte in
sede di V.A.S., e pertanto l’istante avrebbe
dovuto precisare come e perché tali
conclusioni nella specie abbiano svolto un
tale ruolo decisivo sulle opzioni relative
ai suoli di sua proprietà, ciò che non ha
fatto.
Come evidenziato dal Consiglio di Stato nella sentenza del
12.01.2011 n. 133, che ha riformato la su
richiamata pronuncia di questo TAR, per
fondare l’interesse al ricorso in relazione
alle censure afferenti la V.A.S. occorre
fornire la dimostrazione che i lamentati
vizi della V.A.S. stessa abbiano inciso in
modo diretto e determinante sulle scelte
specificamente riguardanti le aree dei
ricorrenti, traendo da ciò la logica
conseguenza che dette scelte avrebbero
potuto essere differenti ove si fosse
proceduto ad una nuova V.A.S. emendata dei
ridetti vizi.
Ad avviso del Collegio, alla luce della
più recente impostazione giurisprudenziale,
incline a porre forti limiti alla
configurabilità anche dell’interesse cd.
strumentale all’impugnazione dello strumento
urbanistico, neppure l’esistenza di siffatto
interesse sotteso alla riedizione della
procedura di V.A.S. può essere ritenuta
sufficiente ad integrare la condizione
dell’azione qui contestata.
Ciò, sul presupposto che, in subiecta
materia, l’interesse al ricorso non può
sostanziarsi in un generico interesse a una
migliore pianificazione dei suoli di propria
spettanza, che in quanto tale non si
differenzia dall’eguale interesse che quisque de populo potrebbe nutrire (cfr.
Consiglio di Stato 12.01.2011 n. 133, cit;
nonché, id. 12.10.2010 n. 7439; id.
13.07.2010 n. 4542; id. 06.05.2010 n. 2629;
nonché, sempre in tema di legittimazione e
interesse al ricorso, la decisione
dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di
Stato, del 07.04.2011 n. 4).
Applicando tali coordinate ermeneutiche
al caso di specie, ne deriva che, non
soltanto, non risulta fornita alcuna
dimostrazione dell’incidenza dei vizi
afferenti la V.A.S. rispetto alla
pianificazione avente ad oggetto le aree dei
ricorrenti ma altresì che, a conferma del
predetto assunto, le censure specificamente
volte a contestare il regime dei suoli di
proprietà degli esponenti sono, come si
illustrerà di seguito, tutte destituite di
fondamento..
Merita, pertanto, di essere
preliminarmente condivisa, la tesi
resistente, secondo cui l’inammissibilità
dei gravami, in parte qua, consegue alla
mancata dimostrazione del se e in quale
misura le doglianze relative alla fase di
V.A.S. incidano sul “regime” riservato ai
suoli di proprietà dei ricorrenti.
Al riguardo il Collegio non può che fare
proprio l’insegnamento espresso dal
Consiglio di Stato nella decisione n.
133/20111 cit., per cui: <<per evitare di
pervenire a una legitimatio generalis …
occorre che le “determinazioni lesive”
fondanti l’interesse a ricorrere siano
effettivamente “condizionate”, ossia
causalmente riconducibili in modo decisivo,
alle preliminari conclusioni raggiunte in
sede di V.A.S., e pertanto l’istante avrebbe
dovuto precisare come e perché tali
conclusioni nella specie abbiano svolto un
tale ruolo decisivo sulle opzioni relative
ai suoli di sua proprietà, ciò che non ha
fatto>>
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza
27.01.2012 n.
297 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
2011 |
|
URBANISTICA: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 52 del
29.12.2011, "Determinazione della
procedura di valutazione ambientale di piani
e programmi - VAS (art. 4, l.r. n. 12/2005)
- Criteri per il coordinamento delle
procedure di valutazione ambientale (VAS) –
Valutazione di incidenza (VIC) - Verifica di
assoggettabilità a VIA negli accordi di
programma a valenza territoriale (art. 4,
comma 10, l.r. 5/2010)"
(deliberazione
G.R. 22.12.2011 n. 2789). |
URBANISTICA: 1. Programma
Integrato di Intervento (P.I.I.) in variante
al P.R.G. - Valutazione Ambientale
Strategica (V.A.S.) - Possibilità di
avvalersi della V.A.S. effettuata nel
procedimento di adozione del Piano di
Governo del Territorio (P.G.T.) - Incarico
per effettuare la V.A.S. affidato ad un
organo o ad ufficio della stessa Autorità
procedente - Legittimità - Sussiste.
2. Programma
Integrato di Intervento in variante al
P.R.G. - Censure sorrette dall'interesse
all'integrità delle finanze del Comune -
Inammissibilità per carenza di interesse a
ricorrere stante il carattere di
giurisdizione soggettiva del vigente sistema
di giustizia amministrativa.
3. Programma
Integrato di Intervento in variante al
P.R.G. - Mancanza parere di valutazione
acustica - Art. 5 L.R. Lombardia n. 13/2001
- Istruttoria rinviata alla fase di rilascio
dei titoli abilitativi - Legittimità.
1. In occasione dell'approvazione di un
Programma Integrato di Intervento (P.I.I.)
in variante al P.R.G. è legittimo avvalersi
della valutazione ambientale strategica
(V.A.S.) effettuata nel procedimento di
adozione del Piano di Governo del Territorio
(P.G.T.) anche se risulta completato solo
tale sub-procedimento e non sia ancora
approvato lo strumento urbanistico generale.
Al riguardo si deve, altresì, ritenere che
l'autorità incaricata della V.A.S. possa
legittimamente essere identificata in un
organo o ufficio della stessa Autorità
procedente, e che la scelta dei funzionari
apicali dell'Ente costituisca una garanzia
sufficiente in ordine al possesso, in capo a
costoro, delle competenze necessarie per
effettuare la V.A.S..
2. In occasione dell'approvazione di P.I.I.
il mancato incasso di una determinata somma
a compensazione dell'incremento della s.l.p.,
l'accollo da parte del Comune del costo
delle aree a parcheggio o l'inadeguatezza
dell'importo ricevuto dall'Amministrazione a
fronte della monetizzazione dello standard,
essendo censure sorrette dall'interesse
all'integrità delle finanze del Comune -che
non si configura come un interesse personale
attuale e concreto dei ricorrenti- sono
inammissibili.
Diversamente si ammetterebbe
un'azione popolare volta al controllo
oggettivo della legittimità dell'atto
amministrativo da parte del giudice, che
sarebbe in contrasto con il carattere di
giurisdizione soggettiva attribuito al
vigente sistema di giustizia amministrativa.
3. L'approvazione di un Programma Integrato
di Intervento in mancanza del parere di
compatibilità acustica non viola il giusto
procedimento e l'art. 5 L.R. Lombardia n.
13/2001, in quanto tale norma pone l'obbligo
di acquisizione del parere dell'A.R.P.A. in
occasione del rilascio dei titoli
abilitativi, e non nella fase antecedente di
approvazione del P.I.I., risultando,
conseguentemente, legittima la decisione del
Comune di rinviare tali verifiche
istruttorie alla fase attuativa del P.I.I.,
nel caso in cui l'Amministrazione abbia già
affermato la necessità di un parere dell'
A.R.P.A. nella successiva fase attuativa
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 15.12.2011 n.
3170 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA: Valutazione
ambientale strategica (VAS) - Autorità
competente - Organo o ufficio interno alla
stessa autorità procedente.
E' legittimo che
l'autorità competente alla v.a.s. sia
identificata in un organo o ufficio interno
alla stessa autorità procedente.
La scelta dei funzionari apicali dell'ente
costituisce una garanzia sufficiente in
ordine al possesso, in capo a costoro, delle
competenze necessarie per effettuare la
valutazione ambientale strategica.
Parimenti infondata è la censura con cui
viene lamentata l'assenza di competenze
dell'autorità incaricata di effettuare la
v.a.s.. Si richiama, al riguardo, quanto
recentemente affermato dal Consiglio di
Stato circa la legittimità dell'evenienza
che l'autorità competente alla v.a.s. sia
identificata in un organo o ufficio interno
alla stessa autorità procedente (Consiglio
Stato, sez. IV, 12.01.2011, n. 133)
La nomina del segretario comunale e dei
dirigenti dell'ente, con l'esclusione del
dirigente dell'area territorio, ambiente ed
attività produttive e la previsione di un
supporto tecnico operativo non si presta
invero ad alcuna censura: in mancanza di
elementi di segno contrario può, invero,
ritenersi che la scelta dei funzionari
apicali dell'ente costituisca una garanzia
sufficiente in ordine al possesso, in capo a
costoro, delle competenze necessarie per
effettuare la valutazione ambientale
strategica
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 15.12.2011 n. 3170 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA:
1.- Il Piano cave provinciale di
Bergamo, approvato il 14.05.2008, doveva
essere assoggettato a valutazione ambientale
strategica (VAS): l’art. 13 della Direttiva
42/2001/CE del 21.07.2001 stabilisce che “i
piani e i programmi il cui primo atto
preparatorio formale è precedente a tale
data (21.07.2004, termine imposto agli Stati
per l’adeguamento alla Direttiva: ndr) e che
sono stati approvati o sottoposti all'iter
legislativo più di ventiquattro mesi dopo la
stessa data (21.07.2006: ndr) sono soggetti
all'obbligo (di sottoporre a VAS: ndr) di
cui all'articolo 4, paragrafo 1, a meno che
gli Stati membri decidano caso per caso che
ciò non è possibile, informando il pubblico
di tale decisione”. Il Piano cave
provinciale di Bergamo rientra nella seconda
ipotesi, in quanto la prima proposta
provinciale (quella rivola ai Comuni) risale
al 2003 e l’approvazione finale ha avuto
luogo 14.05.2008, ben oltre il termine di 24
mesi calcolati dal 21.07.2004.
Con riferimento all’ultimo periodo della
norma, infine, non risulta che lo Stato o la
Regione siano intervenuti per evitare
motivatamente la sua applicazione. La
riferita disposizione dell’art. 13 consente
di affermare (a differenza di quanto
sostenuto dalla giurisprudenza prima della
sentenza in commento) che la Direttiva è di
applicazione diretta, una volta trascorso il
termine del 21.07.2004 assegnato agli Stati
per l’adeguamento del proprio ordinamento
[sentenza, punto 2.3].
2.- In via generale, l’obbligo di
assoggettamento del piano alla procedura di
VAS ricorre ove sia prevista almeno una cava
eccedente i parametri dimensionali
prescritti dalle vigenti disposizioni (25
ettari, secondo l’allegato I alla Direttiva
337/1985/CE; 20 ettari o 500.00 mc. di
materiale da estrarre, secondo l’allegato
III alla parte II del D.Lgs. n. 152/2006).
La valutazione deve tener conto del
complesso degli ambiti di cava previsti dal
piano e degli effetti reciproci e cumulativi
degli ambiti stessi [sentenza, punto 2.2].
3.- Nella procedura di proposta e di
approvazione del piano cave delineata dagli
artt. 5/8 della L.R. n. 14/1998, la Regione,
ove intenda apportare eventuali variazioni
sostanziali rispetto alla proposta
provinciale del piano, deve coinvolgere
l’Amministrazione provinciale. Tale
coinvolgimento non è invece richiesto ove le
innovazioni da introdurre appaiano di mero
dettaglio [sentenza, punto 3.2].
4.- I pareri e le osservazioni dei Comuni
nel procedimento di proposta del piano cave
non sono vincolanti, ma debbono essere
esaminati e, se del caso, superati
motivatamente, soprattutto ove l’aspetto
segnalato dal Comune abbia una specifica
rilevanza sanitaria ed ambientale e comporti
l’obbligo di un approfondimento, del quale
doveva essere dato espressamente (e
diffusamente) conto [sentenza, punto 4].
---------------
2.3 L’art. 13 della direttiva, recante le
norme transitorie, statuisce anzitutto che “Gli
Stati membri mettono in vigore le
disposizioni legislative, regolamentari e
amministrative necessarie per conformarsi
alla presente direttiva prima del 21.07.2004”
(paragrafo 1). Il paragrafo 3 dispone che
l’obbligo di VAS si applica “ai piani e
ai programmi il cui primo atto preparatorio
formale è successivo alla data di cui al
paragrafo 1 (ossia al 21/07/2004)”
mentre “I piani e i programmi il cui
primo atto preparatorio formale è precedente
a tale data e che sono stati approvati o
sottoposti all'iter legislativo più di
ventiquattro mesi dopo la stessa data sono
soggetti all'obbligo di cui all'articolo 4,
paragrafo 1, a meno che gli Stati membri
decidano caso per caso che ciò non è
possibile, informando il pubblico di tale
decisione”.
E’ pacifico che il Piano cave della
Provincia di Bergamo rientra nella seconda
ipotesi delineata, in quanto il primo atto
di impulso risale al 2003 e tuttavia
l’approvazione finale ha avuto luogo ben
oltre il termine di 24 mesi calcolati dal
21/07/2004. Con riferimento all’ultimo
periodo della norma, non risulta che lo
Stato o la Regione siano intervenuti per
evitare motivatamente la sua applicazione.
In senso opposto si è pronunciato il TAR
Veneto, sez. II – 03/12/2010 n. 6324, ma ciò
è avvenuto alla luce della Deliberazione n.
2988/04 con la quale la Giunta regionale del
Veneto ha adottato i primi indirizzi
operativi per la V.A.S. di piani e programmi
di competenza regionale stabilendo che, se
il primo atto preparatorio formale fosse
stato adottato prima del 21.07.2004, gli
stessi piani e programmi avrebbero dovuto
essere sottoposti a VAS “qualora si
preveda ragionevolmente che la loro
approvazione intervenga dopo il 21.07.2006,
salva l’ipotesi in cui il procedimento sia
ad uno stadio avanzato tale da rendere
impossibile l’espletamento della VAS”,
proprio come consentito dall’art. 13,
paragrafo 3, della direttiva 2001/42/CE. Non
risulta viceversa che la Regione Lombardia
abbia adottato una norma di tenore identico
o similare.
---------------
2.2 L’art. 3 paragrafo 2 della direttiva
statuisce che “Fatto salvo il paragrafo
3, viene effettuata una valutazione
ambientale per tutti i piani e i programmi”
i quali (lett. a) “… sono elaborati per i
settori agricolo, forestale, della pesca,
energetico, industriale, dei trasporti,
della gestione dei rifiuti e delle acque,
delle telecomunicazioni, turistico, della
pianificazione territoriale o della
destinazione dei suoli, e che definiscono il
quadro di riferimento per l'autorizzazione
dei progetti elencati negli allegati I e II
della direttiva 85/337/CEE”. L’allegato
I della predetta direttiva 85/337/CE
contempla, al punto 19, “Cave e attività
minerarie a cielo aperto, con superficie del
sito superiore a 25 ettari, oppure torbiere,
con superficie del sito superiore a 150
ettari”.
L’ATE di cui si discorre rientrerebbe in
astratto nel raggio di operatività della
norma, poiché la sua estensione supera i 40
ettari. Peraltro parte ricorrente osserva
che la VAS avrebbe dovuto essere effettuata
per l’intero Piano cave, che interessa aree
di ampiezza nettamente superiore. Questo
rilievo consente di escludere l’applicazione
del paragrafo 3 –nella parte in cui prevede
la VAS soltanto previa indagine dello Stato
membro sulla possibile incidenza
dell’intervento sull’ambiente– che si
riferisce a piani e programmi “che
determinano l'uso di piccole aree a livello
locale”: la vastità di un Piano cave di
un’intera Provincia –che contempla (cfr.
proposta della Commissione del 30/07/2007-
doc. 18 ricorrente) oltre 40 ambiti per
sabbia e ghiaia, 8 per argilla, 22 per
calcari e dolomie, 27 per cave ornamentali e
pietrisco oltre alle cave di recupero –
conduce ex se ad escludere la sua
sussunzione tra le aree di esigue
dimensioni, raggiungendo un’estensione
complessiva consistente (le superfici totali
coinvolte superano i 1.000 ettari) ed
interferendo con un territorio (la Provincia
di Bergamo appunto) di oltre 2.700 Kmq.
E’ appena il caso di osservare, poi, che la
deliberazione del Consiglio regionale
13/03/2007 – recante gli indirizzi generali
sui Piani cave – specifica al punto 4.6 che
“Per i Piani e programmi che determinano
l’uso di piccole aree di livello locale e le
modifiche minori, … si procede alla verifica
di esclusione … al fine di stabilire se
possono avere effetti significativi
sull’ambiente”. Dunque anche per gli
interventi territorialmente limitati (e non
è come già visto questo il caso) è comunque
prevista un’indagine preventiva che
statuisca sulla necessità della VAS.
---------------
3.2 Quanto all’obbligo di coinvolgere
nuovamente la Provincia, è vero che questo
Tribunale ha statuito (cfr. sentenza
22/04/2010 n. 1607) che il (rinnovato)
coinvolgimento dell’autorità provinciale
costituisce condotta dovuta in presenza di
variazioni sostanziali del Piano o dell’ATE
coinvolto, ma nella fattispecie le
innovazioni introdotte appaiono di mero
dettaglio.
Sull’ATE in questione, infatti, i volumi
estrattivi riconosciuti dalla Provincia
hanno trovato conferma sia presso la Giunta
che presso il Consiglio regionale, il quale
ha stabilito la quota di 2.400.000 mc. per
riserve e lo stesso per la produzione
prevista nel decennio. Nessuna variazione
pertanto è intervenuta su tale parametro.
Con riguardo all’estensione dell’ATE,
l’unica incisione è avvenuta
sull’ampliamento a nord per la collocazione
degli impianti di escavazione: premesso che
i quantitativi non sono variati,
complessivamente l’impresa ha ottenuto
l’estensione per un’area a nord capace di
ospitare l’impianto produttivo. Per il
resto, anche la richiesta di deroga alle
distanze ha trovato determinazioni
sfavorevoli che si sono succedute (e
mantenute) nel corso del procedimento.
In definitiva, nei passaggi tra i diversi
Enti ed organi coinvolti –ed in particolare
Provincia, Giunta regionale, VI Commissione,
Consiglio comunale– non emergono
stravolgimenti o mutamenti sensibili che
avrebbero imposto la riedizione della
procedura ed il riesame ad opera delle
autorità proponenti.
---------------
4. Fondata è invece l’ultima censura di
eccesso di potere per difetto di
istruttoria, di motivazione e ponderazione e
per contraddittorietà, dato che l’estensione
a tutta la superficie della possibilità di
scavo in falda a 40 metri è stata accordata
senza un’adeguata valutazione dell’incidenza
della scelta sotto i profili ambientale e
sanitario.
4.1 Il primo rilievo avanzato
dall’amministrazione comunale nei confronti
della Provincia è stato da questa
effettivamente affrontato. Tuttavia la
vicenda del rischio di inquinamento, già di
per sé meritevole di particolare attenzione,
ha conosciuto un elemento nuovo illustrato
dal Comune nella nota 18/01/2007 richiamata
nell’esposizione in fatto. A fronte di tale
fatto ulteriore (superamento del limite per
il cromo esavalente in uno dei punti
sottoposti a periodico controllo) è evidente
che l’autorità regionale era tenuta a
riesaminare compiutamente la connessione tra
la profondità dello scavo ammessa ed il
pericolo di contaminazione, mentre la
previsione del monitoraggio semestrale è
evidentemente funzionale al mantenimento di
un elevato livello di attenzione, destinato
a sfociare in azioni concrete (o comunque in
rinnovate valutazioni) quando si registrano
valori che oltrepassano la soglia fissata
dalla legge.
E’ vero che i pareri e le osservazioni dei
Comuni nel procedimento in questione non
sono vincolanti, ma l’aspetto segnalato ha
una specifica rilevanza sanitaria ed
ambientale e comportava l’obbligo di un
approfondimento, del quale doveva essere
dato espressamente (e diffusamente) conto. A
tale condotta doveva indurre anche il già
richiamato parere dell’autorità competente
in materia paesaggistica (doc. 16
ricorrente) rilasciato il 13/12/2005 (TAR
Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 21.10.2011 n. 1447 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA: Direttiva
2001/42/CE – Art. 6 – Designazione, a fini
di consultazione, delle autorità che possono
essere interessate dagli effetti
sull’ambiente dovuti all’applicazione di
piani e programmi – Possibilità per
un’autorità consultiva di concepire piani o
programmi – Obbligo di designazione di
un’autorità distinta – Modalità relative
all’informazione e alla consultazione delle
autorità e del pubblico.
1)
In circostanze come quelle della causa
principale, l’art. 6, n. 3, della direttiva
del Parlamento europeo e del Consiglio
27.06.2001, 2001/42/CE, concernente la
valutazione degli effetti di determinati
piani e programmi sull’ambiente, non impone
che sia creata o designata un’altra autorità
consultiva ai sensi di tale disposizione,
purché, in seno all’autorità normalmente
incaricata di procedere alla consultazione
in materia ambientale e designata a tal
fine, sia organizzata una separazione
funzionale in modo tale che un’entità
amministrativa, interna a tale autorità,
disponga di un’autonomia reale, la quale
implichi, segnatamente, che essa abbia a
disposizione mezzi amministrativi e risorse
umane propri, e sia in tal modo in grado di
svolgere i compiti attribuiti alle autorità
consultive ai sensi di tale art. 6, n. 3, e,
in particolare, di fornire in modo oggettivo
il proprio parere sul piano o programma
previsto dall’autorità dalla quale essa
promana.
2)
L’art. 6, n. 2, della direttiva 2001/42 dev’essere
interpretato nel senso che esso non impone
che siano fissati in modo preciso nella
normativa nazionale di recepimento di tale
direttiva i termini entro i quali le
autorità designate e il pubblico che ne è o
probabilmente ne verrà toccato, ai sensi dei
nn. 3 e 4 di tale articolo, devono poter
esprimere il proprio parere su una
determinata proposta di piano o di programma
nonché sul rapporto ambientale e, di
conseguenza, il citato n. 2 non osta a che
siffatti termini siano stabiliti di volta in
volta dall’autorità che elabora un piano o
un programma.
Tuttavia, in quest’ultimo caso, tale
medesimo n. 2 prescrive che, ai fini della
consultazione di tali autorità e di tale
pubblico su un progetto di piano o di
programma determinato, il termine
effettivamente stabilito sia congruo e
consenta quindi di dare loro un’effettiva
opportunità di esprimere, tempestivamente,
il loro parere su tale proposta di piano o
di programma nonché sul rapporto ambientale
che lo accompagna
(Corte di Giustizia, Sez. IV,
sentenza 20.10.2011 n. C-474/10 - link a
http://curia.europa.eu). |
URBANISTICA:
In materia di V.A.S.:
1) In circostanze come
quelle della causa principale, l’art. 6, n.
3, della direttiva del Parlamento europeo e
del Consiglio 27.06.2001, 2001/42/CE,
concernente la valutazione degli effetti di
determinati piani e programmi sull’ambiente,
non impone che sia creata o designata
un’altra autorità consultiva ai sensi di
tale disposizione, purché, in seno
all’autorità normalmente incaricata di
procedere alla consultazione in materia
ambientale e designata a tal fine, sia
organizzata una separazione funzionale in
modo tale che un’entità amministrativa,
interna a tale autorità, disponga di
un’autonomia reale, la quale implichi,
segnatamente, che essa abbia a disposizione
mezzi amministrativi e risorse umane propri,
e sia in tal modo in grado di svolgere i
compiti attribuiti alle autorità consultive
ai sensi di tale art. 6, n. 3, e, in
particolare, di fornire in modo oggettivo il
proprio parere sul piano o programma
previsto dall’autorità dalla quale essa
promana.
2) L’art. 6, n. 2, della direttiva 2001/42
dev’essere interpretato nel senso che esso
non impone che siano fissati in modo preciso
nella normativa nazionale di recepimento di
tale direttiva i termini entro i quali le
autorità designate e il pubblico che ne è o
probabilmente ne verrà toccato, ai sensi dei
nn. 3 e 4 di tale articolo, devono poter
esprimere il proprio parere su una
determinata proposta di piano o di programma
nonché sul rapporto ambientale e, di
conseguenza, il citato n. 2 non osta a che
siffatti termini siano stabiliti di volta in
volta dall’autorità che elabora un piano o
un programma. Tuttavia, in quest’ultimo
caso, tale medesimo n. 2 prescrive che, ai
fini della consultazione di tali autorità e
di tale pubblico su un progetto di piano o
di programma determinato, il termine
effettivamente stabilito sia congruo e
consenta quindi di dare loro un’effettiva
opportunità di esprimere, tempestivamente,
il loro parere su tale proposta di piano o
di programma nonché sul rapporto ambientale
che lo accompagna.
---------------
VAS, consultazione,
piani e programmi: dall'UE mano libera all'autorita'
promotrice.
Secondo la Corte UE, la direttiva sulla VAS
non richiede che la normativa nazionale di
recepimento fissi con precisione i termini
entro i quali le autorità designate e il
pubblico che ne e' (o probabilmente ne
verrà) toccato debbano poter esprimere il
proprio parere su una determinata proposta
di piano o di programma nonché sul rapporto
ambientale. Pertanto, tali termini possono
essere stabiliti di volta in volta
dall'autorità che elabora un piano o un
programma, sempre che quelli effettivamente
stabiliti siano congrui.
Si tratta di uno dei principi affermati con
la
sentenza del 20.10.2011 n. C-474/10,
“Seaport e a.”, in virtù della quale la
Corte di Giustizia UE, rispondendo alla
domanda di pronuncia pregiudiziale proposta
dalla Court of Appeal in Northern Ireland
(Regno Unito) ha interpretato l’art. 6 della
direttiva del Parlamento europeo e del
Consiglio 27.06.2001, 2001/42/CE,
concernente la valutazione degli effetti di
determinati piani e programmi sull’ambiente
(la c.d. “direttiva sulla VAS”).
Tale pronuncia pregiudiziale è sorta nel
contesto di alcune controversie che vedono
il Ministero dell’Ambiente dell’Irlanda del
Nord contrapposto alla Seaport (NI) Ltd,
Magherafelt District Council ed altri,
relativamente alla validità della procedura
di consultazione che è stata condotta per la
preparazione delle proposte dei piani di
sviluppo regionali nell'Irlanda del Nord.
La direttiva 2001/42/CE
sulla VAS.
Nel 2001, dopo molti anni di discussioni e
dibattiti, venne adottata la direttiva sulla
Valutazione Ambientale Strategica
(2001/42/CE), la quale risponde all’esigenza
di “svolgere una valutazione preventiva
degli effetti che possono derivare
all’ambiente non solo da scelte
localizzative puntuali (come avviene per
opere e progetti sottoposti a VIA), ma anche
da scelte strategiche e politiche lato sensu
(ovvero ad atti di pianificazione e
programmazione nonché a veri e propri atti
regolamentari)” [G. Galotto, M.
Mazzoleni, Le valutazioni ambientali: VAS,
VIA e IPPC, IPSOA, pag. 1).
La direttiva 2001/42/CE comporta “[la]
obbligatorietà di una valutazione e
ponderazione delle conseguenze ambientali
che piani e programmi, idonei –per natura e
contenuti– a produrre effetti ambientali,
possono provocare”. Sotto tale profilo,
la VAS di matrice comunitaria ha ad oggetto
tipicamente provvedimenti di natura
pubblica. In particolare, per “piani e
programmi, ai sensi dell’art. 2, lett. a),
della direttiva 2001/42 s’intendono “i piani
e i programmi, compresi quelli cofinanziati
dalla Comunità europea, nonché le loro
modifiche: – che sono elaborati e/o adottati
da un’autorità a livello nazionale,
regionale o locale oppure predisposti da
un’autorità per essere approvati, mediante
una procedura legislativa, dal parlamento o
dal governo e – che sono previsti da
disposizioni legislative, regolamentari o
amministrative”.
L'obiettivo principale della VAS è, dunque,
quello di valutare gli effetti ambientali
dei piani o dei programmi innanzitutto “ex-ante”,
cioè prima che vengano approvati, ma anche “in
itinere” ed “ex-post”, cioè
durante ed alla conclusione del loro periodo
di validità. Nel disegno delineato dalla
direttiva 2001/42/CE un ruolo fondamentale è
assegnato alla redazione di un “rapporto
ambientale” (art. 2, lettera c) che deve
essere elaborato in vista dell’approvazione
o del piano/programma, e poi trasmesso
–unitamente ad una sua sintesi non tecnica,
e naturalmente, alla proposta di piano o
programma sottoposto a VAS– alle autorità
designate dai singoli Stati membri in quanto
interessate agli effetti sull’ambiente
derivanti dall’applicazione del
piano/programma.
Sintetizzando la procedura prevista dalla
direttiva 2001/42/CE si articola nelle
seguenti fasi: la verifica che un
piano/programma siano soggetti alla VAS (screening),
la definizione dell'ambito delle indagini
richieste per la valutazione (scoping),
la valutazione degli effetti ambientali
significativi probabili, espressi anche a
mezzo di indicatori ambientali,
l’informazione e la consultazione del
pubblico e dei vari attori del processo
decisionale, anche sulla base di tutte le
valutazioni ambientali svolte, la decisione,
che va pur’essa resa pubblica, dando conto
di come e in che misura siano stati tenuti
in considerazione il rapporto ambientale, i
pareri ottenuti e l’esito delle
consultazioni, il monitoraggio degli effetti
ambientali del piano/programma.
Come è noto, la direttiva 2001/42/CE è stata
recepita nel nostro ordinamento dal D.Lgs.
n. 152/2006. Per maggiori approfondimenti
sulla VAS, è possibile consultare l’apposita
sezione del sito istituzionale della
Commissione europea, o quella analoga del
sito del Ministero dell’Ambiente.
Il fatto.
All’epoca dei fatti della causa principale,
il Department of the Environment
–l’equivalente irlandese del nostro
Ministero dell’Ambiente- comprendeva quattro
Agenzie esecutive, ciascuna delle quali era
soggetta al suo controllo, non aveva una
propria personalità giuridica distinta ed
era competente ad esercitare alcuni dei
poteri regolamentari e funzioni conferiti
per legge a tale Department.
Tali agenzie erano: il Planning Service
(servizio di pianificazione), l’Environment
and Heritage Service [servizio
dell’ambiente e del patrimonio culturale; in
prosieguo: l’«EHS», attualmente denominato
Northern Ireland Environnement Agency (NIEA)],
la Driver and Vehicle Testing Agency
(agenzia di controllo di conducenti e
veicoli) e la Driver and Vehicle
Licensing Northern Ireland (agenzia
competente per il rilascio di patenti di
guida e immatricolazione dei veicoli
nell’Irlanda del Nord).
In particolare, il Planning Service
esercitava le funzioni relative
all’elaborazione dei piani di sviluppo
regionali e alle decisioni in merito alle
singole domande per il rilascio di permessi
di pianificazione mentre l’EHS esercitava la
maggior parte dei poteri conferiti al
Department, riguardanti la regolamentazione
dell’ambiente, esclusa la pianificazione.
Il Planning Service ha avviato,
conformemente alle procedure nazionali
all’epoca in vigore, l’elaborazione dei
progetti di piani di sviluppo regionali
denominati “Northern Area Plan 2016”
e “Magherafelt Area Plan 2015”,
elaborazione che ha avuto luogo
anteriormente alla data entro la quale gli
Stati membri avrebbero dovuto recepire la
direttiva 2001/42.
Entrambe le proposte di piano, però, sono
state pubblicate dopo tale data (e cioè, il
progetto relativo al Magherafelt Area
Plan 2015 nel 2004, mentre quello
relativo al Northern Area Plan 2016
nel 2005).
Per chi volesse approfondire, questo è il
link al sito istituzionale governativo dove
vengono pubblicate tutte le novità nonché la
documentazione relativa a tali piani di
sviluppo. Nel novembre 2005 la Seaport ha
proposto un ricorso dinanzi alla High
Court of Justice in Northern Ireland,
Queen’s Bench Division (Regno Unito),
per contestare la validità delle azioni del
Department of the Environment con
riferimento alla pubblicazione da parte di
quest’ultimo del progetto riguardante il
Northern Area Plan 2016: in buona
sostanza, sosteneva che la direttiva 2001/42
non era stata adeguatamente recepita nel
diritto nazionale e che la valutazione e il
rapporto ambientali effettuati dal
Department of the Environment non erano
conformi alle prescrizioni di tale
direttiva.
Successivamente anche altri, con motivazioni
analoghe, hanno presentato un’istanza,
dinanzi allo stesso giudice, volta a
contestare la pubblicazione del progetto
relativo al Magherafelt Area Plan 2015,
la realizzazione della valutazione
ambientale e il contenuto del rapporto
ambientale.
La Seaport, però, rinunciava all’azione e la
domanda di pronuncia pregiudiziale che era
stata presentata dalla High Court of
Justice in Northern Ireland, Queen’s Bench
Division, è stata annullata con
ordinanza di quest’ultimo giudice 23.04.2010
(di modo che, con ordinanza del presidente
della Prima Sezione della Corte 03.06.2010,
Seaport/Department of the Environment for
Northern Ireland, la causa C-182/09 è
stata cancellata dal ruolo della Corte).
Con una sentenza del 07.09.2007, veniva
decisa la causa instaurata innanzi alla
High Court: quest’ultima constatava sia
che le prescrizioni di cui all’art. 6, nn. 2
e 3, della direttiva 2001/42 non erano state
correttamente trasposte dagli artt. 4 e 12
del regolamento del 2004, sia che l’art. 12
non aveva trasposto adeguatamente neanche le
disposizioni dell’art. 6, n. 2, di tale
direttiva, non avendo stabilito un termine
specifico entro il quale dovesse aver luogo
la consultazione.
Il 06.11.2007, il Department of the
Environment, alla luce della sentenza
della High Court, riesaminava la sua
decisione di effettuare una valutazione
ambientale della proposta di piano
relativamente alle condizioni previste dalla
direttiva 2001/42 e dal regolamento del 2004
e, con una nuova decisione, dichiarava “che
non era possibile effettuare una valutazione
ambientale della proposta di piano per la
regione Nord 2016 che sia in conformità con
la direttiva [2001/42] e [con il regolamento
del 2004], e informa con la presente il
pubblico della sua decisione a tale
proposito, conformemente all’art. 6, n. 2,
[del regolamento del 2004]”.
Con decisione del 13.11.2007, la High
Court of Justice in Northern Ireland si
è pronunciata sulle misure da adottare per
porre rimedio alle carenze constatate nella
sua sentenza del 07.09.2007.
Come anticipato, la questione è finita
dinanzi alla Court of Appeal in Northern
Ireland –il nostro giudice a quo- alla
quale ha proposto appello il Department
of the Environment avverso le
conclusioni della High Court of Justice
in Northern Ireland secondo le quali il
regolamento del 2004 non aveva adeguatamente
recepito le prescrizioni dell’art. 6, nn. 2
e 3, della direttiva 2001/42.
Il giudice del rinvio, con decisione
08.09.2008 ha sottoposto alla Corte
questioni pregiudiziali identiche a quelle
della presente causa: con ordinanza
20.05.2009, causa C-454/08, Seaport
Investments, tale domanda “è stata
dichiarata manifestamente irricevibile, in
quanto, segnatamente, la decisione di rinvio
non conteneva nessun argomento che
esplicitava il quadro regolamentare e
fattuale della controversia nella causa
principale e non esponeva in modo
sufficientemente chiaro e preciso le ragioni
che avevano condotto tale giudice ad
interpellare la Corte sull’interpretazione
degli artt. 3, 5 e 6 della direttiva 2001/42.”
Le questioni pregiudiziali Alla luce di
quanto precede la Court of Appeal in
Northern Ireland ha nuovamente deciso di
sospendere il giudizio e di sottoporre alla
Corte tre questioni pregiudiziali.
Con le prime due questioni –esaminate dalla
Corte UE congiuntamente– il giudice del
rinvio chiedeva in sostanza se, in
circostanze come quelle della causa
principale, laddove l’autorità che è stata
designata quale organo consultivo ai sensi
dell’art. 6, n. 3, della direttiva 2001/42 è
essa stessa incaricata dell’elaborazione di
un piano ai sensi di quest’ultima, la citata
disposizione debba essere interpretata nel
senso che essa impone che sia designata
un’altra autorità che deve, segnatamente,
essere consultata nell’ambito
dell’elaborazione del rapporto sugli effetti
ambientali nonché dell’adozione di tale
piano.
Con la sua terza questione, invece, il
giudice del rinvio chiedeva se l’art. 6, n.
2, della direttiva 2001/42 debba essere
interpretato nel senso che esso prevede che
siano fissati in modo preciso nella
normativa nazionale di recepimento di tale
direttiva i «termini congrui» entro i
quali le autorità designate e il pubblico,
che ne sono o probabilmente ne verranno
toccati, ai sensi dei nn. 3 e 4 di tale
articolo, devono poter esprimere il proprio
parere su una proposta di piano o di
programma nonché sul rapporto ambientale che
la accompagna.
La decisione della Corte.
La Quarta Sezione della Corte Ue, con la
sentenza del 20.10.2011 n. C-474/10,
“Seaport e a.” ha, in primo luogo,
dichiarato che in circostanze come quelle
della causa principale, l’art. 6, n. 3,
della direttiva 2001/42/CE sulla VAS non
impone che sia creata o designata un’altra
autorità consultiva ai sensi di tale
disposizione, purché, in seno all’autorità
normalmente incaricata di procedere alla
consultazione in materia ambientale e
designata a tal fine, sia organizzata
un’apposita separazione funzionale.
In pratica –spiegano nel dettaglio gli
eurogiudici– la separazione delle funzioni
da realizzare all’interno dell’autorità
designata deve prevedere che un’entità
amministrativa, interna a tale autorità,
disponga di un’autonomia reale, la quale
implichi, segnatamente, che essa abbia a
disposizione mezzi amministrativi e risorse
umane propri, in modo tale da poter svolgere
i compiti attribuiti alle autorità
consultive ai sensi di tale art. 6, n. 3
della direttiva 2001/42/CE, e, in
particolare, di poter fornire in modo
oggettivo il proprio parere sul piano o
programma previsto dall’autorità dalla quale
essa promana.
In secondo luogo, sempre secondo i giudici
della Quarta Sezione, l’art. 6, n. 2, della
direttiva 2001/42 non impone che siano
fissati in modo preciso nella normativa
nazionale di recepimento di tale direttiva i
termini entro i quali le autorità designate
e il pubblico che ne è o probabilmente ne
verrà toccato, ai sensi dei nn. 3 e 4 di
tale articolo, devono poter esprimere il
proprio parere su una determinata proposta
di piano o di programma nonché sul rapporto
ambientale.
Di conseguenza, il citato n. 2 non osta a
che siffatti termini siano stabiliti di
volta in volta dall’autorità che elabora un
piano o un programma.
Tuttavia, in quest’ultimo caso –sottolinea
la Corte UE– tale n. 2 prescrive che, ai
fini della consultazione di tali autorità e
di tale pubblico su un progetto di piano o
di programma determinato, il termine
effettivamente stabilito sia congruo e
consenta quindi di dare loro un’effettiva
opportunità di esprimere, tempestivamente,
il loro parere su tale proposta di piano o
di programma nonché sul rapporto ambientale
che lo accompagna.
In conclusione, la sentenza della Corte Ue
ci sembra in linea con quanto indicato sul
tema dalle Linee Guida elaborate dalla
Commissione nel 2003 (Commission’s
Guidance on the implementation of directive
2001/42/EC on the assessment of the effects
of certain plans and programmes on the
environment), in ordine alle quali si
rimanda a M. Mazzoleni, “L’attuazione
della direttiva sulla Valutazione Ambientale
Strategica: un’occasione persa?”, in
Ambiente & Sviluppo n. 7/2006.
Ulteriormente, si veda la pubblicazione
della Commissione europea, Attuazione della
direttiva 2001/42/CE concernente la
valutazione degli effetti di determinati
piani e programmi sull’ambiente, 2003, resa
disponibile in formato PDF sulle pagine del
sito web del Progetto ENPLAN (Evaluation
environnementale des plans et programmes)
(commento tratto da www.ipsoa.it). |
URBANISTICA:
VAS: sono soggetti anche i piani attuativi
conformi allo strumento urbanistico
(link a http://studiospallino.blogspot.com).
Le procedure di
valutazione ambientale strategica e di
verifica di esclusione vanno estese ai piani
urbanistici di particolare complessità e
impatto, anche se conformi alla
strumentazione urbanistica comunale.
In tal senso si è espresso il TAR
Lombardia-Milano, Sez. II, nella
sentenza 08.09.2011 n. 2194.
La previsione di sottoporre a procedura di
v.a.s. e di verifica di esclusione anche i
piani urbanistici di particolare complessità
e impatto, pur se conformi alla
strumentazione urbanistica comunale, è
infatti conforme alla normativa in materia
di valutazione ambientale strategica. Né la
definizione di piani e programmi data
dall’art. 5, d.lgs. n. 152/2006, né le
previsioni di cui agli artt. 6 e 7 del
d.lgs. n. 152/2006, consentono infatti
-afferma il TAR- "di affermare
l’esclusione dalla valutazione ambientale
strategica dei piani urbanistici che non
comportino variante al piano regolatore
generale, laddove possano avere
significativi impatti sull’ambiente e sul
patrimonio culturale".
Né l’esclusione dalla v.a.s. dei piani
conformi allo strumento urbanistico può
dedursi dall’art. 4, comma 2, l.reg.
Lombardia n. 12/2005. La norma "si
limita, difatti, a specificare l’obbligo di
sottoposizione alla v.a.s. del piano
territoriale regionale, dei piani
territoriali regionali d'area e dei piani
territoriali di coordinamento provinciali,
del documento di piano di cui all'articolo
8, nonché le varianti agli stessi, senza
però con ciò dettare un’elencazione
tassativa delle tipologie di piano
sottoposte a valutazione ambientale
strategica, che, come previsto al comma 1,
sono tutti ^i piani e programmi di cui alla
direttiva 2001/42/CEE del Parlamento europeo
e del Consiglio del 27.06.2001^".
La sentenza merita di essere segnalata
perché si discosta dall'orientamento
espresso da questo stesso TAR nella
sentenza 26.11.2009 n. 5171
(sentenza ^Citylife^), con cui la
sezione aveva affermato la non necessità
della valutazione ambientale strategica
quando lo strumento attuativo non fosse in
variante allo strumento urbanistico generale
(link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA: 1. Valutazione
ambientale strategica - Ambito di
applicazione - Applicabilità ai piani
urbanistici conformi alla strumentazione
urbanistica comunale - Possibilità -
Condizioni.
2. Valutazione
ambientale strategica - Ambito di
applicazione - Applicabilità a tutti i piani
e programmi di cui alla direttiva
2001/42/CEE.
1. E' conforme alla normativa in materia di
valutazione ambientale strategica la
previsione di sottoporre anche i piani
urbanistici di particolare complessità e
impatto, pur se conformi alla strumentazione
urbanistica comunale, a procedura di v.a.s.
e di verifica di esclusione (il Collegio si
discosta dall'orientamento di cui alla
sentenza del 26.11.2009, n. 5171, con
cui si affermava la non necessità della
valutazione ambientale strategica quando lo
strumento attuativo non fosse in variante
allo strumento urbanistico generale):
infatti, né la definizione di piani e
programmi contenuta nell'art. 5, D.Lgs. n.
152/2006, né le previsioni di cui agli artt.
6 e 7 dello stesso decreto consentono di
escludere dalla valutazione ambientale
strategica i piani urbanistici che non
comportino variante al piano regolatore
generale, laddove possano avere
significativi impatti sull'ambiente e sul
patrimonio culturale.
2. L'art. 4, comma 2, della L.R. 12/2005, se
da un lato prevede l'obbligo di
sottoposizione alla v.a.s. del piano
territoriale regionale, dei piani
territoriali regionali d'area e dei piani
territoriali di coordinamento provinciali,
del documento di piano di cui all'articolo
8, nonché le varianti agli stessi,
dall'altro non detta un'elencazione
tassativa delle tipologie di piano
sottoposte a valutazione ambientale
strategica, che, come previsto dallo stesso
articolo al comma 1, sono tutti "i piani
e programmi di cui alla direttiva
2001/42/CEE", tra i quali rientrano
anche i piani conformi allo strumento
urbanistico
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 08.09.2011 n.
2186 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA: 1. Valutazione
ambientale strategica - Necessità - Quando
sussiste - Ratio.
2. Valutazione
ambientale strategica - Differenze dalla
valutazione di impatto ambientale -
Conseguenze.
1. La valutazione ambientale strategica è
necessaria per il piano territoriale
regionale, i piani territoriali regionali
d'area e i piani territoriali di
coordinamento provinciali, il documento di
piano di cui all'articolo 8, L.R. 12/2005,
nonché per le varianti agli stessi, con
esclusione degli atti che non costituiscono
variante al PRG: tale scelta trova una
giustificazione nella funzione e nella
natura della stessa VAS, che costituisce un
atto di valutazione interno al procedimento
di pianificazione, cioè una valutazione
degli effetti ambientali conseguenti
all'esecuzione delle previsioni ivi
contenute.
2. Dal momento che la VAS si colloca al
livello di macroterritorio, tendente ad
esaminare gli impatti strategici delle
scelte di pianificazione, essa si differenza
della VIA, che opera a livello di uno
specifico progetto: pertanto, va esclusa la
necessità di una valutazione strategica
qualora lo strumento attuativo non abbia
modificato la disciplina di pianificazione e
programmazione (cfr. TAR Milano, sent. n.
5171/2009)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 02.09.2011 n.
2134 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA: In
applicazione della disposizione dell’art.
11, comma 5, del D.Lgs. 152/2006 (“La V.A.S.
costituisce per i piani e programmi cui si
applicano le disposizioni del presente
decreto, parte integrante del procedimento
di adozione ed approvazione. I provvedimenti
amministrativi di approvazione adottati
senza la previa valutazione ambientale
strategica, ove prescritta, sono annullabili
per violazione di legge”), l’omessa
preventiva sottoposizione a V.A.S. del piano
paesaggistico rende illegittimo il
provvedimento di adozione.
La Valutazione Ambientale Strategica,
introdotta dalla Direttiva 2001/42/CE, è la
valutazione delle conseguenze ambientali di
piani e programmi, finalizzata
all’assunzione -attraverso la valutazione di
tutte le possibili alternative
pianificatorie- di determinazioni integrate
e sistematiche di considerazioni di
carattere ambientale, territoriale, sociale
ed economico.
La V.A.S. si realizza in fase di
elaborazione del piano mediante la redazione
di un rapporto ambientale che deve
considerare lo stato dell’ambiente attuale
del territorio interessato e le sue
alterazioni in presenza e non del
provvedimento da valutare, confrontato anche
con possibili alternative strategiche,
localizzative e tecnologiche. L’art. 5 del
D.Lgs. 152/2006 recante le definizioni
rilevanti ai fini dell’applicazione del
codice dell’ambiente afferma che “si
intende per (…) piani e programmi: gli atti
e provvedimenti di pianificazione e di
programmazione, comunque denominati,
compresi quelli cofinanziati dalla Comunità'
europea, nonché le loro modifiche”
(comma 1°, lettera e); il successivo art. 6
dispone: “1. La valutazione ambientale
strategica riguarda i piani e i programmi
che possono avere impatti significativi
sull'ambiente e sul patrimonio culturale.
2. Fatto salvo quanto disposto al comma 3,
viene effettuata una valutazione per tutti i
piani e i programmi: a) che sono elaborati
per la valutazione e gestione della qualità
dell'aria ambiente, (…), della
pianificazione territoriale o della
destinazione dei suoli (…)"; il comma
4°, inoltre, elenca espressamente i piani e
programmi esclusi dal campo di applicazione
delle norme del codice dell’ambiente (e
quindi anche della V.A.S.), e tra questi non
rientrano i piani paesaggistici: il solo
dato letterale sarebbe quindi già
sufficiente per ritenere il piano in
questione sottoposto a V.A.S. E’, in ogni
caso determinante la circostanza che la
valutazione ambientale strategica, quale
strumento di tutela dell’ambiente, va
effettuata in tutti i casi in cui i piani
abbiano “impatti significativi
sull'ambiente e sul patrimonio culturale”.
Invero, contrariamente a quanto sostenuto
dalle associazioni ambientaliste, “l’impatto
significativo” non è quello
caratterizzato da connotazioni negative in
termini di alterazioni delle valenze
ambientali, ma è quello ricavabile dalla
definizione di impatto ambientale contenuto
alla lette c) del’art. 5 citato quale “alterazione
qualitativa e/o quantitativa, diretta ed
indiretta, a breve e a lungo termine,
permanente e temporanea, singola e
cumulativa, POSITIVA e negativa
dell'ambiente, inteso come sistema di
relazioni fra i fattori antropici,
naturalistici, (…)”, per cui la
valutazione ambientale strategica va
eseguita in tutti i casi di interazione
(anche positiva) tra l’attività
pianificatoria e le componenti ambientali.
Del resto, la V.A.S. è solo uno strumento
rispetto al fine che è la sostenibilità
ambientale delle scelte contenute negli atti
di pianificazione ed indirizzo che guidano
la trasformazione del territorio. In
particolare la valutazione di tipo
strategico si propone di verificare che gli
obiettivi individuati nei piani siano
coerenti con quelli propri dello sviluppo
sostenibile, e che le azioni previste nella
struttura degli stessi siano idonee al loro
raggiungimento. Pertanto, a prescindere
dalla qualificazione dell’atto di
pianificazione in termini di piano
urbanistico-territoriale o di piano
paesaggistico, esso va comunque previamente
assoggettato a valutazione ambientale
strategica.
Infine, la tesi difensiva sostenuta
dall’amministrazione regionale secondo la
quale il piano in questione non determina
alcun impatto significativo sull’ambiente e
sul patrimonio culturale essendo “preordinato
a dettare un quadro conoscitivo e una
normativa di riferimento per l’attività di
tutela, eminentemente conservativa de valori
paesaggistici, non appare condivisibile alla
luce di un provvedimento che è invece
imperniato sulla “rivisitazione critica del
rapporto tra pianificazione paesistica e
governo del territorio”, sul parziale
superamento della concezione solo
conservativa del paesaggio e sul
riconoscimento del paesaggio come risorsa
per lo sviluppo (cfr. relazione generale e
relazioni tematiche allegate al piano).
Peraltro, ammettere che un piano preordinato
alla tutela e allo sviluppo dei valori
dell’ambiente del paesaggio (e che quindi
necessariamente impone forme di tutela che
incidono sull’assetto del territorio) non
debba essere preceduto dalla verifica
ambientale finirebbe per vanificare la
finalità della disciplina sulla VAS e di
conseguenza di pregiudicare la corretta
applicazione delle norme comunitarie,
frustrando così gli scopi perseguiti dalla
Comunità Europea con la direttiva
2001/42/CE, come quello di salvaguardia e
promozione dello "sviluppo sostenibile",
espressamente enunciato all'art. 1 della
direttiva.
Per le ragioni che precedono e in
applicazione della disposizione dell’art.
11, comma 5° del D.Lgs. 152/2006 (“La
V.A.S. costituisce per i piani e programmi
cui si applicano le disposizioni del
presente decreto, parte integrante del
procedimento di adozione ed approvazione. I
provvedimenti amministrativi di approvazione
adottati senza la previa valutazione
ambientale strategica, ove prescritta, sono
annullabili per violazione di legge”),
l’omessa preventiva sottoposizione a V.A.S.
del piano paesaggistico rende illegittimo il
provvedimento di adozione impugnato con il
ricorso in esame
(TAR Sicilia-Catania, Sez. I,
sentenza 01.09.2011 n. 2147
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
VAS - Art. 6, c. 1, d.lgs. n.
152/2006 - Principio di precauzione -
Idoneità potenziale ad incidere il bene
ambiente - Impatti significativi
sull’ambiente - Direttiva 27.06.2001, n. 42
CE.
La norma di cui all’art. 6, comma 1, del
d.lgs. n. 152/2006 è da ascrivere al novero
delle norme precauzionali, ispirate al
principio di precauzione che nella materia
ambientale ha ottenuto sanzione di diritto
positivo ad opera del recepimento, da parte
del d.lgs. n. 152/2006, delle varie
direttive comunitarie che lo avevano elevato
al rango di principio fondamentale nella
materia dell’ambiente. La norma non richiede
un’idoneità in atto ma solo in potenza,
della singola iniziativa urbanistica,
inserita in un contesto di pianificazione o
programmazione, ad incidere il bene
ambiente.
Invero, la lettera della legge si esprime
significativamente nei termini di “possono”
avere impatti significativi sull’ambiente.
Il tutto sempre che gli impatti che
l’iniziativa urbanistica può avere sul bene
ambiente e sul patrimonio culturale siano “significativi”,
ché, altrimenti, qualunque attività
edificatoria connessa all’adozione di
varianti strutturali al PRG, siccome un
qualche impatto sull’ambiente indubbiamente
possiede, dovrebbe, irragionevolmente ed in
violazione del principio di proporzionalità
comunitaria, essere sottoposta a valutazione
ambientale strategica.
E’ la stessa direttiva 27.06.2001, n. 42 CE,
cui si è data attuazione con il D.Lgs. n.
152/2006, a stabilire infatti che i piani
urbanistici che determinano l’interessamento
di piccole aree a livello locale o modifiche
minori ai piani stessi, siano assoggettate a
valutazione ambientale strategica soltanto
in conseguenza dei possibili effetti ancora
“significativi sull’ambiente” (TAR
Piemonte, Sez. I,
sentenza 17.06.2011 n. 657 - link
a www.ambientediritto.it). |
URBANISTICA:
Perché un programma o piano
urbanistico debba essere assoggettato a VAS
non conta l’effettiva e significativa
incisione del bene ambiente ma solo la
possibilità di tali vulnera.
Col ricorso in esame una Onlus e due
cittadini hanno impugnato le delibere con le
quali un Comune piemontese ha approvato le
controdeduzioni alle osservazioni formulate
riguardo all’adozione di un piano
particolareggiato di edilizia privata e ha
adottato il progetto definitivo del medesimo
recante contestuale variante al PRGC.
Secondo i ricorrenti la natura strutturale
della variante avrebbe imposto la sua
sottoposizione alla procedura di valutazione
ambientale strategica (VAS), adempimento
imposto dalla D.G.R. n. 12-8931 del
09.06.2008, che dispone che la VAS “deve
essere effettuata obbligatoriamente” in
caso di varianti strutturali. Nello stesso
senso dispone anche l’art. 6, comma 1, del
Codice dell’ambiente di cui al d.lgs. n.
152/2006 a termini del quale “la
valutazione ambientale strategica riguarda i
piani e i programmi che possono avere
impatti significativi sull’ambiente e sul
patrimonio culturale”. Ambedue tali
norme sarebbero state infrante poiché la
Regione Piemonte, ha escluso la necessità di
detta procedura di verifica, pur avendo
evidenziato forti aspetti di criticità del
progetto in causa rispetto al patrimonio
ambientale. La determinazione citata sarebbe
pertanto contraddittoria.
Questa censura, ad avviso dei giudici del
Tribunale amministrativo di Torino va
disattesa poiché la norma di cui all’art. 6,
comma 1, del d.lgs. n. 152/2006 è da
ascrivere al novero delle norme
precauzionali, ispirate al principio di
precauzione che nella materia ambientale ha
ottenuto sanzione di diritto positivo ad
opera del recepimento, da parte del d.lgs.
n. 152/2006, delle varie direttive
comunitarie che lo avevano elevato al rango
di principio fondamentale nella materia
dell’ambiente.
Il principio di precauzione traduce in
sostanza quello che a partire dal Protocollo
di Kyoto gli Stati contemporanei vogliono
sia l’atteggiamento delle Amministrazioni
pubbliche preposte alla tutela dell’ambiente
nei confronti di questo patrimonio
dell’umanità e si sostanzia in un insieme di
regole e prescrizioni, di carattere
sostanziale ma anche procedurale, intese a
scoraggiare comportamenti anche solo
potenzialmente idonei ad arrecare vulnera
all’ambiente e al paesaggio. Non richiede la
norma, a parere dei giudici sabaudi,
un’idoneità in atto ma solo in potenza,
della singola iniziativa urbanistica,
inserita in un contesto di pianificazione o
programmazione, ad incidere il bene
ambiente.
Invero, la lettera della legge si esprime
significativamente nei termini di “possono”
avere impatti significativi sull’ambiente.
Il tutto, intuitivamente, sempre che gli
impatti che l’iniziativa urbanistica può
avere sul bene ambiente e sul patrimonio
culturale siano “significativi”, ché,
altrimenti, qualunque attività edificatoria
connessa all’adozione di varianti
strutturali al PRG, siccome un qualche
impatto sull’ambiente indubbiamente
possiede, dovrebbe, irragionevolmente ed in
violazione del principio di proporzionalità
comunitaria, essere sottoposta a valutazione
ambientale strategica.
Va rammentato, proseguono i giudici
piemontesi, che è la stessa direttiva
27.06.2001, n. 42 CE, cui si è data
attuazione con il D.Lgs. n. 152/2006 a
stabilire che i piani urbanistici che
determinano l’interessamento di piccole aree
a livello locale o modifiche minori ai piani
stessi, siano assoggettate a valutazione
ambientale strategica soltanto in
conseguenza dei possibili effetti ancora “significativi
sull’ambiente” (commento tratto da
www.documentazione.ancitel.it - TAR
Piemonte, Sez. I,
sentenza 17.06.2011 n. 657 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
Oggetto: Individuazione delle Autorità
per la procedura di valutazione ambientale
VAS della variante 2 al Piano di Governo del
Territorio del Comune di ... (Regione
Lombardia, Direzione Generale Territorio e
Urbanistica, Programmazione e Pianificazione
Territoriale, Strumenti per il Governo del
Territorio,
nota 11.05.2011 n. 13303 di prot.).
---------------
Ancora una censura sull'operato di
un'Amministrazione Comunale lombarda,
nell'ambito di un procedimento di variante
al vigente P.G.T., laddove in materia di VAS:
- è stato individuato il Sindaco quale
Autorità procedente (comune con più di
5.000 abitanti);
- è stato individuato il tecnico comunale di
altro comune quale Autorità competente. |
URBANISTICA:
W. Fumagalli,
La VAS dei Piani di
Governo del Territorio e R.
Marletta,
Separata in casa: lo strano caso
dell’autorità competente per la valutazione
ambientale strategica
(AL n. 03-04/2011). |
URBANISTICA:
1° marzo 2011: Seminario sulla VAS in
Lombardia.
La Direzione Generale Territorio e
Urbanistica ha organizzato il 1° marzo 2011
il seminario "Valutazione ambientale
strategica (VAS) in Lombardia: procedimento
e rapporto ambientale di qualità", che
ha visto una notevole partecipazione da
parte delle amministrazioni pubbliche e del
mondo professionale.
L’evento era infatti destinato a tutti
coloro che, dovendo predisporre piani e
programmi soggetti a VAS, hanno vissuto non
poche preoccupazioni in relazione alla
sentenza del TAR che aveva annullato parte
della disciplina regionale in materia di VAS,
dando inizio ad un periodo di incertezze, in
particolare per i Comuni.
Il seminario ha costituito l’occasione per
analizzare la sentenza n. 133 del Consiglio
di Stato del 12.01.2011 che ha accolto il
ricorso della Regione Lombardia contro la
sentenza del TAR n. 1526/2010, confermando
la legittimità dell'individuazione
dell'Autorità competente per la Valutazione
Ambientale Strategica (VAS) all’interno
della stessa amministrazione che procede
alla formazione del Piano.
E’ stato in particolare approfondito
dall’Avvocatura regionale il principio che
sta alla base dell’introduzione della VAS in
Lombardia, “il principio di integrazione”:
la Valutazione Ambientale Strategica non è
condotta sul piano già elaborato, ma è
integrata nel piano, ovvero durante tutto il
suo processo di redazione, costituendone la
linea guida verso la sostenibilità
ambientale. Il processo di VAS non termina
con l’approvazione del piano, ma evolve con
il suo monitoraggio nella fase attuativa.
Tale impostazione è coerente con la
filosofia che sta alla base della legge
regionale 12/2005 (legge per il governo del
territorio) e presuppone che ogni pubblica
amministrazione, oltre a procedere
all’elaborazione del piano per la sua
adozione e approvazione, si occupi del
relativo procedimento di VAS, individuando
al suo interno le due autorità -procedente e
competente in materia di VAS- e definendo le
regole per il processo di informazione e
partecipazione di tutti i soggetti
coinvolti: i soggetti competenti in materia
ambientale, gli enti territorialmente
interessati ed il pubblico.
Il seminario è stato inoltre l’occasione per
guardare in modo concreto, dopo una prima
fase di attuazione della direttiva, a nuovi
traguardi: un procedimento più efficace e un
rapporto ambientale di qualità, per una VAS
realmente a supporto di piani e programmi
sostenibili.
Sono stati infatti puntualmente descritti
gli aspetti che rendono il processo di VAS
efficace e di qualità, è stato evidenziato
anche il ruolo fondamentale di ARPA e delle
ASL come contributo al miglioramento della
qualità dei rapporti ambientali, è stato
approfondito il rapporto sinergico tra la
procedura di VAS e quella di VIA, è stato
infine analizzato l’aspetto paesaggistico
come parte integrante della VAS e in
relazione alle procedure di autorizzazione
paesaggistica. ... (link a
www.territorio.regione.lombardia.it).
---------------
Segnaliamo, di particolare interesse:
-
intervento di Piero GARBELLI - DG Territorio
e Urbanistica;
-
intervento di Filippo DADONE - DG Ambiente,
Energia e Reti;
-
intervento di Sergio CAVALLI - DG Sistemi
Verdi e Paesaggio. |
URBANISTICA:
VAS - Procedure avviate
anteriormente all’entrata in vigore della
parte seconda del d.lgs. n. 152/2006 -
Disciplina transitoria - Art. 52, c. 2
d.lgs. n. 152/2006 - Regione Lombardia -
L.r. Lombardia n. 12/2005.
Ai sensi dell’art. 52, c. 2, del d.lgs. n.
152/2006, “i procedimenti amministrativi
in corso alla data di entrata in vigore
della parte seconda del presente decreto,
nonché i procedimenti per i quali a tale
data sia già stata formalmente presentata
istanza introduttiva da parte
dell'interessato, si concludono in
conformità alle disposizioni ed alle
attribuzioni di competenza in vigore
all'epoca della presentazione di detta
istanza”.
La procedura di valutazione ambientale
strategica avviata in data anteriore al
31.07.2007 trova dunque la propria regola
nell’art. 4, c. 4, della l.reg. Lombardia n.
12/2005, che disciplina il periodo
transitorio sino all'approvazione del
provvedimento con cui la Giunta regionale
detta gli adempimenti di disciplina
(avvenuta con d.g.r. 27.12.2007, n. VIII/6420,
la quale peraltro precisa che “i
procedimenti di formazione e di approvazione
di piani/programmi già avviati alla data di
pubblicazione sul BURL della presente
deliberazione si concludono in conformità
alle disposizioni in vigore al momento
dell’avvio del procedimento stesso, ovvero
secondo le disposizioni di cui all’art. 4,
comma 4, della l.r. 12/2005”).
VIA E VAS - Direttiva
2001/42/CE - Carattere self-executing -
Esclusione.
Non possono considerarsi self executing
le direttive comunitarie (nella specie,
direttiva 2001/42/CE) le quali, ancorché in
modo dettagliato, introducono un nuovo
istituto nell'ordinamento degli Stati
membri, dovendo questo necessariamente
essere recepito e disciplinato dal
legislatore interno (cfr. Cons. Stato, sez.
IV, 14.04.2010, n. 2097; 28.05.2009, n.
3333) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 17.02.2011 n. 481 - link
a www.ambientediritto.it). |
URBANISTICA: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 4 del
26.01.2011, "Approvazione della Circolare
«L’applicazione della valutazione ambientale
di piani e programmi - VAS nel contesto
comunale»"
(decreto
D.S. 14.12.2010 n. 13071). |
URBANISTICA:
Oggetto: VAS - Sentenza Consiglio di
Stato
(Regione Lombardia, Assessore a Territorio e
Urbanistica,
nota 24.01.2011 n. 1798 di prot.). |
URBANISTICA:
Anche per impugnare la VAS é necessario
dimostrare l'interesse ad agire.
Con sentenza n. 133/2011
il Consiglio di Stato, sezione IV,
depositata in Cancelleria il 12.01.2011, ha
riformato in toto la sentenza n. 1526/2010
del TAR Lombardia in punto VAS.
In via preliminare -e al di là delle
questioni di merito- pare importante
segnalare che il Consiglio di Stato ha
accolto la tesi degli appellanti secondo i
quali il ricorrente in primo grado non
avrebbe in alcun modo chiarito quale
interesse specifico e qualificato assistesse
le doglianze, il cui accoglimento ha
determinato un generico effetto caducante
del P.G.T. nel suo complesso.
Al contrario, il TAR aveva ritenuto
sussistente in capo all’istante un interesse
di natura “strumentale”, avente a
oggetto le determinazioni future, ed
eventualmente più favorevoli ai suoli in sua
proprietà, che l’Amministrazione avrebbe
dovuto assumere in sede di rielaborazione
dello strumento urbanistico. Il punto
fondamentale -sul quale peraltro ci si era
già appuntati- è quindi quello secondo cui
neppure la VAS sfugge al criterio generale
dell'interesse ad agire, in difetto del
quale (o comunque della dimostrazione della
lesività del provvedimento) l'impugnazione é
inammissibile. Afferma il C.S.:
"potrà anche condividersi in via di
principio il rilievo per cui “laddove la VAS
si concluda con un giudizio positivo (o
positivo condizionato) il soggetto che
subisca determinazioni lesive della sua
sfera giuridica discendenti
dall’accettazione (piena o condizionata)
delle proposte pianificatorie sottoposte a
VAS, ben potrà censurare anche queste
determinazioni preliminari condizionanti,
poiché è per effetto di questo giudizio di
sostenibilità complessiva di queste scelte
che le stesse possono tramutarsi in atti
pianificatori negativi” (pagg. 68-69);
tuttavia, proprio per evitare di pervenire a
una legitimatio generalis del tipo di quella
sopra indicata, occorre che le
“determinazioni lesive” fondanti l’interesse
a ricorrere siano effettivamente
“condizionate”, ossia causalmente
riconducibili in modo decisivo, alle
preliminari conclusioni raggiunte in sede di
V.A.S., e pertanto l’istante avrebbe dovuto
precisare come e perché tali conclusioni
nella specie abbiano svolto un tale ruolo
decisivo sulle opzioni relative ai suoli in
sua proprietà, ciò che non ha fatto.".
La decisione del Consiglio di Stato
riallinea la giurisprudenza in materia. Si
vedano, infatti:
- TAR Campania Napoli, sez. II, 20.04.2010,
n. 2043, dove si afferma che considerate le
indicate finalità della VAS non si deve
ritenere che possa vantare un interesse
giuridicamente rilevante a contestare
l'eventuale carenza della VAS nel
procedimento di approvazione della variante
urbanistica impugnata, colui il quale
ricorre per ottenere una destinazione non
più agricola del fondo di sua proprietà;
- Consiglio di Stato, sez. V, 26.02.2010, n.
1134: in quel caso il provvedimento di VIA
impugnato era stato censurato con specifico
riferimento all'assenza di idonea
istruttoria con riferimento all'impatto
conseguente alla realizzazione dell'impianto
autorizzato con riguardo ai fondi e alle
attività dei ricorrenti: ma ciò non aveva
esonerato il Consiglio di Stato dal
verificare approfonditamente quale fosse la
situazione di stabile e significativo
collegamento dei ricorrenti rispetto
all'area interessata dall'impianto e in che
misura la VIA avesse, o meno, valutato
l'incidenza dell'impianto sulle realtà
esistenti (link a http://studiospallino.blogspot.com). |
URBANISTICA: Lombardia,
VAS del PGT: il Consiglio di Stato annulla
la sentenza del TAR Milano che,
precedentemente, aveva annullato il PGT del
Comune di Cermenate (CO).
---------------
Le conclusioni raggiunte dal primo giudice,
secondo cui l’autorità competente alla
V.A.S. deve essere necessariamente
individuata in una pubblica amministrazione
diversa da quella avente qualità di “autorità
procedente”, non trova supporto nella
vigente normativa comunitaria e nazionale.
In nessuna definizione del Testo Unico
ambientale (D.Lgs. n. 152/2006) si trova
affermato in maniera esplicita che debba
necessariamente trattarsi di amministrazioni
diverse o separate (e che, pertanto, sia
precluso individuare l’autorità
competente in diverso organo o
articolazione della stessa
amministrazione procedente).
Non risulta in linea con le richiamate
disposizioni nazionali la scelta di
individuare l’autorità competente alla
V.A.S. ex post, in relazione al singolo e
specifico procedimento di pianificazione,
come avvenuto nel caso di specie (laddove
–come già rilevato– la predetta autorità è
stata individuata contestualmente alla
comunicazione di avvio del procedimento
stesso).
La Sezione osserva che il presupposto su cui
si basano le conclusioni raggiunte dal primo
giudice, secondo cui l’autorità competente
alla V.A.S. deve essere necessariamente
individuata in una pubblica amministrazione
diversa da quella avente qualità di “autorità
procedente”, non trova supporto nella
vigente normativa comunitaria e nazionale.
Al riguardo, giova richiamare le definizioni
oggi contenute nel citato d.lgs. nr. 152 del
2006, il cui art. 5, per quanto qui
interessa, definisce:
- la “autorità competente”
come “la pubblica amministrazione cui
compete l’adozione del provvedimento di
verifica di assoggettabilità, l’elaborazione
del parere motivato, nel caso di valutazione
di piani e programmi, e l’adozione dei
provvedimenti conclusivi in materia di VIA,
nel caso di progetti ovvero il rilascio
dell'autorizzazione integrata ambientale,
nel caso di impianti” (lettera p);
- la “autorità procedente”
come “la pubblica amministrazione che
elabora il piano, programma soggetto alle
disposizioni del presente decreto, ovvero
nel caso in cui il soggetto che predispone
il piano, programma sia un diverso soggetto
pubblico o privato, la pubblica
amministrazione che recepisce, adotta o
approva il piano, programma”.
Orbene, se dalle riferite definizioni
risulta chiaro che entrambe le autorità
de quibus sono sempre “amministrazioni”
pubbliche, in nessuna definizione del Testo
Unico ambientale si trova affermato in
maniera esplicita che debba necessariamente
trattarsi di amministrazioni diverse o
separate (e che, pertanto, sia precluso
individuare l’autorità competente in diverso
organo o articolazione della stessa
amministrazione procedente).
---------------
La Sezione non condivide l’approccio
ermeneutico di fondo della parte odierna
appellata, che desume la necessaria “separatezza”
tra le due autorità dal fatto che la V.A.S.
costituirebbe un momento di controllo
sull’attività di pianificazione svolta
dall’autorità competente, con il corollario
dell’impossibilità di una identità o
immedesimazione tra controllore e
controllato.
Siffatta ricostruzione, invero, è smentita
dall’intero impianto normativo in
subiecta materia, il quale invece
evidenzia –come già accennato– che le due
autorità, seppur poste in rapporto
dialettico in quanto chiamate a tutelare
interessi diversi, operano “in
collaborazione” tra di loro in vista del
risultato finale della formazione di un
piano o programma attento ai valori della
sostenibilità e compatibilità ambientale:
ciò si ricava, testualmente, dal già citato
art. 11, d.lgs. nr. 152 del 2006, che
secondo l’opinione preferibile costruisce la
V.A.S. non già come un procedimento o
subprocedimento autonomo rispetto alla
procedura di pianificazione, ma come un
passaggio endoprocedimentale di esso,
concretantesi nell’espressione di un “parere”
che riflette la verifica di sostenibilità
ambientale della pianificazione medesima.
---------------
Con riferimento all’individuazione delle
autorità competenti in materia di
valutazioni ambientali, e con richiamo
all’assetto normativo sul riparto di
attribuzioni tra Stato e Regioni vigente
all’epoca dell’adozione dei provvedimenti
per cui è causa, vengono in rilievo:
- il comma 6 dell’art. 6 del d.lgs. nr. 152
del 2006, secondo cui l’autorità
competente per la V.A.S. e la V.I.A. va
individuata “secondo le disposizioni
delle leggi regionali o delle province
autonome”;
- il successivo comma 7 del medesimo
articolo, che del pari demanda a leggi e
regolamenti regionali la determinazione
delle “competenze” degli altri enti
locali, ivi compresi i Comuni.
Dal complesso di tali disposizioni, ad
avviso della Sezione, se da un lato emerge
l’intento del legislatore nazionale di
lasciare alle Regioni una certa libertà di
manovra quanto alla delegabilità delle
competenze agli enti locali e alle modalità
della loro regolamentazione, tuttavia appare
evidente la volontà di assicurare che la
fissazione delle “competenze” sia
compiuta a priori, con atti che individuino
in via generale e astratta i soggetti,
uffici o organi cui viene attribuita la
veste di “autorità competente”.
Ne discende che non risulta in linea con le
richiamate disposizioni nazionali la scelta
di individuare l’autorità competente alla
V.A.S. ex post, in relazione al
singolo e specifico procedimento di
pianificazione, come avvenuto nel caso di
specie (laddove –come già rilevato– la
predetta autorità è stata individuata
contestualmente alla comunicazione di avvio
del procedimento stesso)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 12.01.2011 n. 133 - link a www.giustizia-amministrativa.it).
§ § § § § § § § § § § § § § § §
NOTA DI COMMENTO: la sentenza del
Consiglio di Stato ha risolto,
definitivamente, gli interrogativi che
attanagliavano gli Enti Locali lombardi?? Si
può procedere ad adottare e/o approvare il
P.G.T. in tutta tranquillità??
I termini del caso
di specie.
Il comune di Cermenate (CO) si è visto
impugnare -tra l'altro- da parte di un
cittadino:
- le deliberazioni consiliari di
controdeduzioni alle osservazioni ed
approvazione del nuovo Piano di Governo del
Territorio (P.G.T.);
- la delibera di Giunta Comunale recante
avvio del procedimento di valutazione
ambientale strategica per la formazione del
P.G.T..
Il TAR Lombardia-Milano, Sez. II, con
sentenza 15.05.2010 n. 1526 ha
accolto il ricorso annullando, tra l'altro,
le deliberazioni sopra menzionate.
Nel merito, il TAR [annullando altresì la
deliberazione G.R. 27.12.2007 n. 6420,
limitatamente all'art. 3.2. dell'Allegato 1
(modello generale), relativa alla procedura
per la Valutazione Ambientale di Piani e
Programmi (denominata anche Valutazione
Ambientale Strategica o VAS] ha statuito
quanto segue:
"In tema di VAS l'autorità procedente,
nella scelta dell'autorità competente, deve
individuare soggetti pubblici che offrano
idonee garanzie non solo di competenza
tecnica e di specializzazione in materia di
tutela ambientale, ma altresì garanzie di
imparzialità e di indipendenza rispetto
all'autorità procedente, allo scopo di
assolvere la funzione di valutazione
ambientale nella maniera più obiettiva
possibile, senza condizionamenti -anche
indiretti- da parte dell'autorità
procedente: infatti, qualora l'autorità
procedente individuasse l'autorità
competente esclusivamente fra soggetti
collocati al proprio interno, il ruolo di
verifica ambientale perderebbe ogni
efficacia, risolvendosi in un semplice
passaggio burocratico interno, con il
rischio di vanificare la finalità della
disciplina sulla VAS.".
La suddetta pronuncia è stata appellata
dinanzi al Consiglio di Stato il quale con
sentenza 12.01.2011 n. 133 ha
riformato la stessa accogliendo gli appelli
della Regione Lombardia e del Comune di
Cermenate.
Nello specifico, il CdS ha statuito quanto
segue:
-- "La Sezione osserva che il presupposto
su cui si basano le conclusioni raggiunte
dal primo giudice, secondo cui l’autorità
competente alla V.A.S. deve essere
necessariamente individuata in una pubblica
amministrazione diversa da quella avente
qualità di “autorità procedente”, non
trova supporto nella vigente normativa
comunitaria e nazionale.
Al riguardo, giova richiamare le definizioni
oggi contenute nel citato d.lgs. nr. 152 del
2006, il cui art. 5, per quanto qui
interessa, definisce:
- la “autorità competente” come “la
pubblica amministrazione cui compete
l’adozione del provvedimento di verifica di
assoggettabilità, l’elaborazione del parere
motivato, nel caso di valutazione di piani e
programmi, e l’adozione dei provvedimenti
conclusivi in materia di VIA, nel caso di
progetti ovvero il rilascio
dell'autorizzazione integrata ambientale,
nel caso di impianti” (lettera p);
- la “autorità procedente” come “la
pubblica amministrazione che elabora il
piano, programma soggetto alle disposizioni
del presente decreto, ovvero nel caso in cui
il soggetto che predispone il piano,
programma sia un diverso soggetto pubblico o
privato, la pubblica amministrazione che
recepisce, adotta o approva il piano,
programma”.
Orbene, se dalle riferite definizioni
risulta chiaro che entrambe le autorità de
quibus sono sempre “amministrazioni”
pubbliche, in nessuna definizione del Testo
Unico ambientale si trova affermato in
maniera esplicita che debba necessariamente
trattarsi di amministrazioni diverse o
separate (e che, pertanto, sia precluso
individuare l’autorità competente in diverso
organo o articolazione della stessa
amministrazione procedente).";
-- "La Sezione non condivide l’approccio
ermeneutico di fondo della parte odierna
appellata, che desume la necessaria
“separatezza” tra le due autorità dal fatto
che la V.A.S. costituirebbe un momento di
controllo sull’attività di pianificazione
svolta dall’autorità competente, con il
corollario dell’impossibilità di una
identità o immedesimazione tra controllore e
controllato.
Siffatta ricostruzione, invero, è smentita
dall’intero impianto normativo in subiecta
materia, il quale invece evidenzia –come già
accennato– che le due autorità, seppur poste
in rapporto dialettico in quanto chiamate a
tutelare interessi diversi, operano “in
collaborazione” tra di loro in vista del
risultato finale della formazione di un
piano o programma attento ai valori della
sostenibilità e compatibilità ambientale:
ciò si ricava, testualmente, dal già citato
art. 11, d.lgs. nr. 152 del 2006, che
secondo l’opinione preferibile costruisce la
V.A.S. non già come un procedimento o
subprocedimento autonomo rispetto alla
procedura di pianificazione, ma come un
passaggio endoprocedimentale di esso,
concretantesi nell’espressione di un
“parere” che riflette la verifica di
sostenibilità ambientale della
pianificazione medesima.";
-- "Con riferimento all’individuazione
delle autorità competenti in materia di
valutazioni ambientali, e con richiamo
all’assetto normativo sul riparto di
attribuzioni tra Stato e Regioni vigente
all’epoca dell’adozione dei provvedimenti
per cui è causa, vengono in rilievo:
- il comma 6 dell’art. 6 del d.lgs. nr. 152
del 2006, secondo cui l’autorità competente
per la V.A.S. e la V.I.A. va individuata
“secondo le disposizioni delle leggi
regionali o delle province autonome”;
- il successivo comma 7 del medesimo
articolo, che del pari demanda a leggi e
regolamenti regionali la determinazione
delle “competenze” degli altri enti locali,
ivi compresi i Comuni.
Dal complesso di tali disposizioni, ad
avviso della Sezione, se da un lato emerge
l’intento del legislatore nazionale di
lasciare alle Regioni una certa libertà di
manovra quanto alla delegabilità delle
competenze agli enti locali e alle modalità
della loro regolamentazione, tuttavia appare
evidente la volontà di assicurare che la
fissazione delle “competenze” sia compiuta a
priori, con atti che individuino in via
generale e astratta i soggetti, uffici o
organi cui viene attribuita la veste di
“autorità competente”.
Ne discende che non risulta in linea con le
richiamate disposizioni nazionali la scelta
di individuare l’autorità competente alla
V.A.S. ex post, in relazione al singolo e
specifico procedimento di pianificazione,
come avvenuto nel caso di specie (laddove
–come già rilevato– la predetta autorità è
stata individuata contestualmente alla
comunicazione di avvio del procedimento
stesso).".
Per quanto sopra esposto, si può dedurre che
il Comune di Cermenate s'è visto "salvare"
il proprio P.G.T. ancorché il Consiglio di
Stato abbia rilevato che "non risulta in
linea con le richiamate disposizioni
nazionali la scelta di individuare
l’autorità competente alla V.A.S. ex post,
in relazione al singolo e specifico
procedimento di pianificazione, come
avvenuto nel caso di specie (laddove –come
già rilevato– la predetta autorità è stata
individuata contestualmente alla
comunicazione di avvio del procedimento
stesso).
Il tema, per vero, è incidentalmente evocato
negli scritti difensivi della parte odierna
appellata, ancorché attraverso la formula
non del tutto perspicua della “abrogazione”
implicita delle disposizioni regionali in
subiecta materia che si sarebbe realizzata
con l’entrata in vigore del d.lgs. nr. 152
del 2006; tuttavia, la già più volte
rilevata carenza di ogni interesse a
sollevare censure sul punto esonera da ogni
approfondimento in proposito.".
I termini della
questione non dibattuti in sede
giurisdizionale.
Risulta verosimile che la stragrande
maggioranza dei comuni lombardi (in disparte
quelli di grandi dimensioni laddove sono
presenti i dirigenti) abbiano operato
uniformemente nell'individuazione delle due
figure in ambito di VAS del PGT ovverosia:
- l'autorità procedente è stata
individuata nel Sindaco;
- l'autorità competente per la VAS è
stata individuata nel responsabile
dell'Ufficio Tecnico.
Al riguardo, giova qui ricordare cosa
dispone in merito la normativa regionale la
quale, da ultimo, risulta essere la deliberazione
G.R. 10.11.2010 n. 761 (pressoché
confermativa della precedente normativa, per
quanto qui interessa) laddove nell'ALLEGATO
1 è stabilito quanto segue:
"3.1-ter Autorità
procedente
È la pubblica amministrazione che elabora il
P/P ovvero, nel caso in cui il soggetto che
predispone il P/P sia un diverso soggetto
pubblico o privato, la pubblica
amministrazione che recepisce, adotta o
approva il piano/programma.
E’ la pubblica amministrazione cui compete
l'elaborazione della dichiarazione di
sintesi.
Tale autorità è individuata all’interno
dell’ente tra coloro che hanno
responsabilità nel procedimento di P/P.
3.2 Autorità competente per
la VAS
È la pubblica amministrazione cui compete
l'adozione del provvedimento di verifica di
assoggettabilità e l'elaborazione del parere
motivato.
L’autorità competente per la VAS è
individuata all’interno dell’ente con atto
formale dalla pubblica amministrazione che
procede alla formazione del P/P, nel
rispetto dei principi generali stabiliti dai
d.lgs. 16.01.2008, n. 4 e 18.08.2000, n.
267.
Essa deve possedere i seguenti requisiti:
a) separazione rispetto all’autorità
procedente;
b) adeguato grado di autonomia nel rispetto
dei principi generali stabiliti dal d.lgs.
18.08.2000, n. 267, fatto salvo quanto
previsto dall'articolo 29, comma 4, legge n.
448/2001;
c) competenze in materia di tutela,
protezione e valorizzazione ambientale e di
sviluppo sostenibile.".
Ebbene, in merito alla individuazione delle
due figure come sopra indicate, la Regione
Lombardia -con
nota 01.07.2010 n. 15812 di prot.
in risposta ad un quesito comunale
relativamente alla sentenza del TAR Milano
de qua- ha inequivocabilmente
rilevato che:
"1.
dall'analisi della documentazione pubblicata
sul sito web del Comune e nella scheda del
sito regionale SIVAS
(www.cartografia.regione.lombardia.it/sivas),
si riscontrano alcune irregolarità
nell'individuazione delle Autorità in quanto
l'individuazione del Sindaco quale autorità
procedente non è in ogni caso corretta,
essendo data tale possibilità solo ai Comuni
con meno di 5.000 abitanti (come previsto
dal comma 23 dell'art. 53 della legge
23.12.2000, n. 388 modificato dal comma 4
dell'art. 29 della legge 28.12.2001, n. 448,
previa assunzione delle disposizioni
regolamentari ed organizzative): dovrebbe
invece essere individuata all'interno
dell'ente tra coloro che hanno
responsabilità nel procedimento di PGT (ad
es. il Responsabile Unico del Procedimento);
2.
inoltre, l'Autorità competente per la VAS
deve possedere i requisiti richiamati nel
punto 3.2 dell'allegato 1a (ndr: della
DGR
30.12.2009 n. 10971) e il dirigente del
Settore Urbanistica ed Edilizia Privata del
Comune di ..., nominato Autorità competente
per la VAS, sembra avere competenze in
materia di pianificazione e urbanistica
piuttosto che in materia di tutela,
protezione e valorizzazione ambientale e di
sviluppo sostenibile;
3.
si suggerisce, pertanto, di individuare
all'interno dell'Ente le due Autorità con
nuova deliberazione di Giunta Comunale, ai
sensi della
DGR n. 10971 del 30.12.2009;
tali Autorità dovranno accompagnare il loro
primo pronunciamento con un'esplicita
determinazione di convalida delle attività
precedentemente svolte nell'ambito della
procedura di VAS e potranno proseguire nella
stessa. ...".
Non solo, da ultimo la Regione Lombardia ha
altresì licenziato il
decreto D.S. 14.12.2010 n. 13071
avente per oggetto «APPROVAZIONE DELLA
CIRCOLARE "L'APPLICAZIONE DELLA VALUTAZIONE
AMBIENTALE DI PIANI E PROGRAMMI - VAS NEL
CONTESTO COMUNALE"» ove al punto 5.
INDIVIDUAZIONE AUTORITA'
PROCEDENTE/COMPETENTE PER LA VAS
conferma sostanzialmente quanto già
anticipato con la nota suddetta di risposta
al quesito comunale.
Ciò premesso, è chiaro come il Consiglio di
Stato non sia intervenuto su questa
questione, poiché non sollevata in sede di
ricorso giurisdizionale. Ora, nel caso di
specie qualche comune ha provveduto a
convalidare gli atti già assunti siccome
proposto -al precedente punto 3.- da parte
della Regione Lombardia ma molti altri,
forse la maggioranza, nulla ad oggi hanno
fatto al riguardo.
A
questo punto è lecito porsi una
DOMANDA: i comuni che, dopo la sentenza
del CdS sopra citata, continuano
imperterriti nell'iter burocratico di
adozione e/o approvazione del P.G.T. senza
aver correttamente (e legittimamente)
individuato preliminarmente sia l'autorità
procedente sia l'autorità competente
per la VAS siccome disposto dalla dGR e
confermato dalla nota regionale sopra
menzionate possono dormire sonni
tranquilli??
E' reale -o meno- il rischio che un
cittadino qualsiasi, che si veda penalizzato
sull'edificabilità dei propri terreni in
sede di P.G.T. e -quindi- abbia un interesse
reale e concreto a ricorrere, impugni lo
stesso dinanzi al TAR eccependo -tra
l'altro- l'illegittima individuazione delle
due figure come sopra argomentato col
risultato di ottenere l'annullamento
dell'intero PGT per vizio procedurale??
13.01.2011 - LA SEGRETERIA PTPL |
URBANISTICA:
VAS - Autorità competente -
Amministrazione diversa o separata
dall’autorità procedente - Necessità -
Esclusione - Art. 5 d.lgs. n. 152/2006 -
Modifiche ex d.lgs. n. 128/2010 -
Distinzione tra parere motivato a
conclusione della fase di VAS e
provvedimento di VIA.
L’autorità competente alla V.A.S. non deve
essere necessariamente individuata in una
pubblica amministrazione diversa da quella
avente qualità di “autorità procedente”;
se dalle definizioni di cui all’art. 5 del
d.lgs. n. 152/2006 risulta infatti chiaro
che entrambe le autorità de quibus
sono sempre “amministrazioni”
pubbliche, in nessuna definizione del Testo
Unico ambientale si trova affermato in
maniera esplicita che debba necessariamente
trattarsi di amministrazioni diverse o
separate (e che, pertanto, sia precluso
individuare l’autorità competente in diverso
organo o articolazione della stessa
amministrazione procedente).
Tale conclusione appare confortata dalle
modifiche apportate al d.lgs. nr. 152 del
2006 dal recentissimo decreto legislativo
29.06.2010, nr. 128, laddove già a livello
definitorio si distingue tra il “parere
motivato” che conclude la fase di V.A.S.
(art. 5, comma 1, lettera m-ter) e il “provvedimento”
di V.I.A. (art. 5, comma 1, lettera p): a
conferma che solo nel secondo caso, e non
nel primo, si è in presenza di una sequenza
procedimentale logicamente e ontologicamente
autonoma.
VAS - Art. 11 d.lgs. n.
152/2006 - VAS - Natura - Passaggio
endoprocedimentale della procedura di
pianificazione.
L’art. 11, d.lgs. nr. 152 del 2006
costruisce la V.A.S. non già come un
procedimento o subprocedimento autonomo
rispetto alla procedura di pianificazione,
ma come un passaggio endoprocedimentale di
esso, concretantesi nell’espressione di un “parere”
che riflette la verifica di sostenibilità
ambientale della pianificazione medesima
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 12.01.2011 n. 133 - link
a www.ambientediritto.it). |
2010 |
|
URBANISTICA:
Valutazione ambientale strategica - Scelta
dell'autorità competente - Principio di
separazione dell'autorità competente
rispetto a quella procedente - Necessità -
Ratio.
Nell'ambito del procedimento amministrativo
di VAS devono risultare separate l'autorità
che approva il piano -autorità procedente-
e quella che esprime invece la valutazione
ambientale strategica sul medesimo -autorità competente- (cfr. TAR Milano,
sent. n. 1526/2010) (nel caso di specie il
TAR ha sospeso il giudizio, in attesa del
deposito della sentenza del Consiglio di
Stato sull'appello proposto avvero la
sentenza 1526/2010) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 10.12.2010 n.
7512 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
Circolare Valutazione Ambientale
Strategica - VAS nel contesto comunale.
In data 10.11.2010 la Giunta regionale con
atto n. 9/761, ha approvato la “Determinazione
della procedura di Valutazione ambientale di
piani e programmi – VAS (art. 4, l.r. n.
12/2005; d.c.r. n. 351/2007) – Recepimento
delle disposizioni di cui al d.lgs.
29.06.2010, n. 128, con modifica ed
integrazione delle dd.g.r. 27.12.2008, n.
8/6420 e 30.12.2009, n. 8/10971“,
pubblicata sul BURL n. 47, 2° SS del
25.11.2010.
Al fine di assicurare il necessario supporto
operativo ai Comuni impegnati nella
predisposizione dei PGT è stata predisposta
ed approvata con
decreto
D.S. 14.12.2010 n. 13071 la circolare “L’applicazione
della Valutazione ambientale di piani e
programmi – VAS nel contesto comunale”,
che fornisce risposte concrete ai quesiti
formulati agli uffici comunali.
Sul sito web regionale alla sezione VAS e
sul sito sivas alla sezione normativa
regionale, oltre alla circolare sopra citata
è altresì disponibile il testo coordinato
della deliberazione sulla Valutazione
ambientale – VAS, comprendente tutti gli
allegati e modelli approvati (comunicato
10.12.2010 - link a
www.regione.lombardia.it). |
URBANISTICA: B.U.R.
Lombardia, 2° suppl. straord. al n. 47 del
25.11.2010, "Determinazione della
procedura di Valutazione ambientale di piani
e programmi – VAS (art. 4, l.r. n. 12/2005;
d.c.r. n. 351/2007) – Recepimento delle
disposizioni di cui al d.lgs. 29.06.2010, n.
128, con modifica ed integrazione delle
dd.g.r. 27.12.2008, n. 6420 e 30.12.2009, n.
10971"
(deliberazione
G.R. 10.11.2010 n. 761).
---------------
B.U.R. Lombardia, 2° suppl. straord. al n.
47 del 25.11.2010, "Determinazione della
procedura di Valutazione ambientale di piani
e programmi – VAS (art. 4, l.r. n. 12/2005;
d.c.r. n. 351/2007) – Recepimento delle
disposizioni di cui al d.lgs. 29.06.2010, n.
128, con modifica ed integrazione delle
dd.g.r. 27.12.2008, n. 6420 e 30.12.2009, n.
10971" (deliberazione
G.R. 10.11.2010 n. 761 -
TESTO COORDINATO
dgr 761/2010, dgr 10971/2009 e dgr 6420/2007
- Modelli metodologici e altri allegati
vigenti per la VAS - testo siccome scaricato
dal
sito Regione Lombardia).
---------------
N.B.: per caso, la
Regione Lombardia rivisita la disciplina
della VAS prima che si pronunzi il Consiglio
di Stato, il prossimo 07.12.2010, in merito
alla sentenza TAR Lombardia-Milano che ha
bocciato il PGT del Comune di Cermenate?? |
URBANISTICA:
VIA e VAS - Procedura di VAS -
Valutazione ambientale di piani e programmi
- Varianti a singoli progetti - VIA.
Ai sensi dell’art. 5, comma 1, del citato
decreto n. 152/2006, la procedura di V.A.S.
è espressamente riservata alla valutazione
ambientale di piani e programmi, restando
conseguentemente escluse le varianti
riguardanti la realizzazione di singoli
progetti, per i quali il legislatore ha
predisposto il diverso strumento del
procedimento di V.I.A. (v. da ultimo, Cons.
Stato, Sez. IV, 04.12.2009, n. 7651)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 19.11.2010 n. 8113 -
link a www.ambientediritto.it). |
URBANISTICA:
P. Brambilla,
V.A.S. E COMPETENZE - Il Consiglio di Stato
non sospende la scure del Tar Milano
abbattutasi sulla V.A.S. della Regione
Lombardia (link a
www.greenlex.it). |
URBANISTICA:
Chiarimenti ai Comuni sull'applicazione
della VAS a seguito della sentenza del TAR
Lombardia (Regione Lombardia,
nota 28.07.2010 - link a
www.territorio.regione.lombardia.it). |
URBANISTICA:
M. Luraghi e V. Latorraca,
La V.A.S. secondo il TAR Milano
(link a www.lavatellilatorraca.it). |
URBANISTICA: Ancora
sulla V.A.S. del P.G.T..
Ulteriori chiarimenti della Regione
Lombardia sulla corretta individuazione dei
soggetti quale Autorità procedente ed
Autorità competente per la VAS.
La Regione Lombardia, in risposta ad un
quesito del Sindaco di un comune con più di
5.000 abitanti, ha evidenziato alcune
osservazioni -di interesse per tutti i
Comuni lombardi- che si riportano di
seguito:
"... In merito a quanto riportato nella
Sua lettera si osserva quanto segue:
1.
dall'analisi della documentazione pubblicata
sul sito web del Comune e nella scheda del
sito regionale SIVAS
(www.cartografia.regione.lombardia.it/sivas),
si riscontrano alcune irregolarità
nell'individuazione delle Autorità in quanto
l'individuazione del Sindaco quale autorità
procedente non è in ogni caso corretta,
essendo data tale possibilità solo ai Comuni
con meno di 5.000 abitanti (come previsto
dal comma 23 dell'art. 53 della legge
23.12.2000, n. 388 modificato dal comma 4
dell'art. 29 della legge 28.12.2001, n. 448,
previa assunzione delle disposizioni
regolamentari ed organizzative): dovrebbe
invece essere individuata all'interno
dell'ente tra coloro che hanno
responsabilità nel procedimento di PGT (ad
es. il Responsabile Unico del Procedimento);
2.
inoltre, l'Autorità competente per la VAS
deve possedere i requisiti richiamati nel
punto 3.2 dell'allegato 1a (ndr: della
DGR 30.12.2009 n. 10971) e il dirigente
del Settore Urbanistica ed Edilizia Privata
del Comune di ..., nominato Autorità
competente per la VAS, sembra avere
competenze in materia di pianificazione
e urbanistica piuttosto che in materia di
tutela, protezione e valorizzazione
ambientale e di sviluppo sostenibile;
3.
si suggerisce, pertanto, di individuare
all'interno dell'Ente le due Autorità con
nuova deliberazione di Giunta Comunale, ai
sensi della DGR n. 10971 del 30.12.2009;
tali Autorità dovranno accompagnare il loro
primo pronunciamento con un'esplicita
determinazione di convalida delle attività
precedentemente svolte nell'ambito della
procedura di VAS e potranno proseguire nella
stessa. ..."
(Regione Lombardia, Direzione Generale
Territorio e Urbanistica, Programmazione e
Pianificazione Territoriale, Strumenti per
il Governo del Territorio,
nota
01.07.2010 n. 15812 di prot.). |
URBANISTICA:
Vas - Scopo - Scelte strategiche
dello strumento urbanistico - Valutazione
della sostenibilità ambientale.
Scopo della VAS è quello di valutare la
sostenibilità ambientale delle scelte
strategiche implicite nello strumento
urbanistico, tenuto conto, in particolare,
del consumo di territorio che esse
comportano (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 29.06.2010 n. 2668 -
link a www.ambientediritto.it). |
URBANISTICA:
Ambiente, il controllore va
separato dal controllato. Tar Lombardia,
principi in materia di valutazione
strategica.
Il controllore non può essere allo stesso
tempo anche il controllato. Si tratta di un
principio di elementare civiltà giuridica
che il Tar Lombardia ha desunto da una
corretta interpretazione del dlgs 4/2008,
che ha innovato le procedure Vas
(Valutazione ambientale strategica) nel
territorio nazionale, e che ha ora sancito
nella sentenza della seconda sezione n.
1526/2010 depositata lo scorso 18.05.2010.
Con questa sentenza – presidente M. Arosio,
estensore G. Zucchini – la prima emessa in
Italia in tema di Vas – il Tar della
Lombardia assume una chiara posizione nei
confronti della problematica della
definizione dell'autorità competente nei
procedimenti di valutazione ambientale
strategica Vas relativi allo sviluppo
urbanistico ed edilizio sul territorio.
Per effetto di questa anomalia riscontrata,
il Tar ha annullato il Pgt del Comune di
Cermenate (dove addirittura il tecnico
comunale era anche co-firmatario del Pgt),
ma i principi enunciati da questa sentenza
–ricordiamo la prima in Italia in materia-
valgono in tutto il territorio della Regione
Lombardia ed anche italiano. A rischio di
annullamento, quindi, si trovano ora tutti i
Piano di governo del territorio o i
Programmi integrati di intervento approvati
senza rispettare la regola della terzietà
dell'autorità competente Vas o anche in fase
di approvazione, tra cui Milano, Como e
moltissimi altri comuni.
Come noto nei procedimenti Vas –che per
legge debbono precedere le scelte
pianificatorie dei Pii e dei Pgt– l'autorità
competente esercita una funzione di
controllo sulle proposte pianificatorie, che
l'autorità procedente intende portare ad
approvazione.
Nel caso in esame, dove addirittura il
tecnico comunale aveva insieme firmato il
Pgt, firmato il parere relativo alla
delibera approvativa del Pgt e aveva assunto
il ruolo di autorità competente per la Vas,
il Pgt di Cermenate è stato completamente
annullato perché preceduto da un
procedimento Vas illegittimo.
Così i giudici amministrativi lombardi di
primo grado, nel rispetto della regola
generale dell'imparzialità amministrativa ex
art. 97 della Costituzione, hanno stabilito
che autorità competente ed autorità
procedente non possono appartenere alla
medesima amministrazione comunale, ma
debbono appartenere a due diverse e distinte
amministrazioni pubbliche.
«Questa sentenza è una pietra miliare
nella definizione del corretto procedimento
Vas» commenta a ItaliaOggi l'avv.
Umberto Sgrella, difensore della parte
ricorrente e vincitrice in primo grado. «Le
amministrazioni comunali dovranno rivolgersi
ad altri enti pubblici esperti in materia
ambientale per il ruolo di autorità
competente, ponendo fine alla prassi
illegittima della c.d. Vas fatte in casa che
spesso si risolvevano solo in un mero
passaggio burocratico interno, laddove i
funzionari preposti si trovavano in una
situazione difficile per l'esercizio delle
loro potestà, in quanto dipendenti della
stessa amministrazione che desiderava far
approvare lo strumento urbanistico
sottoposto a Vas» (articolo ItaliaOggi
del 24.06.2010, pag. 43). |
EDILIZIA PRIVATA: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 22 del
31.05.2010, "Direzione Centrale Affari
Istituzionali e Legislativo – Nomine e
designazioni di competenza della Giunta
regionale: Commissioni Regionali per il
Paesaggio (rif. art. 78 della l.r.
11.03.2005, n. 12 «Legge per il governo del
territorio»)" (comunicato
regionale 26.05.2010 n. 69 - link
a www.infopoint.it). |
URBANISTICA:
Valutazione ambientale strategica -
Scelta dell'autorità competente - Principio
di separazione dell'autorità competente
rispetto a quella procedente - Necessità - Ratio.
In tema di VAS l'autorità procedente,
nella scelta dell'autorità competente, deve
individuare soggetti pubblici che offrano
idonee garanzie non solo di competenza
tecnica e di specializzazione in materia di
tutela ambientale, ma altresì garanzie di
imparzialità e di indipendenza rispetto
all'autorità procedente, allo scopo di
assolvere la funzione di valutazione
ambientale nella maniera più obiettiva
possibile, senza condizionamenti -anche
indiretti- da parte dell'autorità
procedente: infatti, qualora l'autorità
procedente individuasse l'autorità
competente esclusivamente fra soggetti
collocati al proprio interno, il ruolo di
verifica ambientale perderebbe ogni
efficacia, risolvendosi in un semplice
passaggio burocratico interno, con il
rischio di vanificare la finalità della
disciplina sulla VAS (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 17.05.2010 n. 1526 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
Il TAR Lombardia-Milano
ha annullato la D.G.R. 27.12.2007 n. 6420,
limitatamente all'art. 3.2. dell'Allegato 1
(modello generale),
relativa alla
procedura per la Valutazione Ambientale di
Piani e Programmi (denominata anche
Valutazione Ambientale Strategica o VAS).
L’individuazione
dell’autorità competente per la VAS
nell’ambito della stessa Amministrazione
comunale tenuta all’approvazione del PGT è illegittima in quanto una struttura
competente per la VAS completamente interna
al Comune non offre sufficienti
garanzie di imparzialità e terzietà nella
valutazione ambientale, determinando una
illegittima commistione fra funzioni di
amministrazione attiva (approvazione PGT) e
di controllo (valutazione ambientale), con
la conseguenza di vanificare le finalità
–previste dalla normativa comunitaria e da
quella nazionale di attuazione– proprie
della valutazione ambientale strategica.
Nel caso di
specie il Comune di ..., in attuazione
dell’art. 3.2 dell’allegato 1 alla delibera
di Giunta del 27.12.2007, ha individuato
l’autorità competente all’interno dello
stesso Comune, scegliendo in particolare i
Responsabili del Settore Urbanistica e del
Settore Lavori Pubblici. Tale composizione
dell’autorità competente, al di là di ogni
valutazione sulla preparazione e sulla
capacità professionale dei singoli operatori
comunali, non appare in ogni caso rispettosa
delle norme comunitarie e statali sopra
riportate, in quanto appare assolutamente
inidonea a garantire la necessaria
imparzialità dell’autorità competente
rispetto a quella procedente. Si aggiunga,
inoltre, che il Responsabile del Settore
Urbanistica del Comune, membro dell’autorità
competente, risulta fra coloro che hanno
contribuito alla predisposizione del
documento di Piano, il che vale a rafforzare
il convincimento del Collegio circa
l’illegittimità della composizione
dell’autorità competente, a causa
dell’evidente commistione fra il ruolo di
controllore e quello di controllato.
Nel secondo
motivo, è denunciata la violazione, sotto
molteplici profili, della normativa
comunitaria, statale e regionale in materia
di VAS (valutazione ambientale strategica) e
a tale proposito l’esponente impugna, anche
se solo in parte, la delibera di Giunta
Regionale 27.12.2007 n. 8/6420 relativa alla
procedura per la Valutazione Ambientale di
Piani e Programmi (denominata anche
Valutazione Ambientale Strategica o VAS).
Il Comune di ..., ai fini
dell’obbligatoria sottoposizione del proprio
PGT alla procedura di VAS, ha provveduto,
con delibera di Giunta n. 38/2008 (doc. 6
del ricorrente), ad avviare il procedimento
di valutazione ambientale strategica,
individuando contestualmente la c.d.
autorità competente per la VAS, costituta
dal team composto da due dipendenti
comunali, vale a dire il geom. ... ed il
P.I.E. ..., rispettivamente
Responsabile Settore Urbanistica e Sportello
Unico Attività Produttive e Responsabile del
Settore Lavori Pubblici.
Secondo il ricorrente, l’individuazione
dell’autorità competente per la VAS
nell’ambito della stessa Amministrazione
comunale tenuta all’approvazione del PGT
sarebbe illegittima, in quanto una struttura
competente per la VAS completamente interna
al Comune non offrirebbe sufficienti
garanzie di imparzialità e terzietà nella
valutazione ambientale, determinando una
illegittima commistione fra funzioni di
amministrazione attiva (approvazione PGT) e
di controllo (valutazione ambientale), con
la conseguenza di vanificare le finalità
–previste dalla normativa comunitaria e da
quella nazionale di attuazione– proprie
della valutazione ambientale strategica.
Con riguardo a tale motivo, occorre dapprima
evidenziare come sussista interesse ad agire
in capo al ricorrente, visto che per effetto
dell’accoglimento della censura sarebbe
invalidato l’intero PGT, con obbligo per
l’Amministrazione comunale di nuova adozione
del Piano, nel rispetto però delle
disposizioni in materia di VAS, sicché si
configura in capo al geom. ... un
interesse strumentale ad una riedizione del
potere amministrativo, che potrebbe
svolgersi in senso più favorevole al
ricorrente (cfr. sul punto, TAR Lombardia,
Milano, sez. II, 27.01.2010, n. 188).
Preliminarmente, appaiono necessarie talune
premesse relative alla valutazione
ambientale strategica (VAS), alla luce della
disciplina comunitaria e nazionale in
materia.
La valutazione ambientale strategica è stata
introdotta dalla direttiva 2001/42/CE del
Parlamento Europeo e del Consiglio del
27.6.2001, concernente la valutazione degli
effetti di determinati piani e programmi
sull’ambiente. Lo scopo dichiarato della
direttiva (art. 1), è quello di garantire un
<<elevato livello di protezione
dell’ambiente (...) all’atto
dell’elaborazione e dell’adozione di piani e
programmi al fine di promuovere lo sviluppo
sostenibile>>.
E’ stato peraltro notato, dalla dottrina,
che l’istituto comunitario della VAS,
unitamente a quello della valutazione di
impatto ambientale-VIA, affonda le proprie
radici in precedenti esperienze giuridiche
statunitensi degli anni sessanta del secolo
scorso ed anche in alcune iniziative delle
Nazioni Unite per la protezione ambientale
internazionale (si vedano a tale proposito i
lavori della Commissione dell’ONU per
l’ambiente e lo sviluppo, conclusi con il
rapporto Brundtland del 1987, che enuncia
per la prima volta il principio dello “Sviluppo
Sostenibile”).
Tornando, ad ogni modo, alla disciplina
comunitaria, si ricordi che la legge della
Regione Lombardia n. 12/2005 sul governo del
territorio, all’art. 4 (“Valutazione
ambientale dei piani”), richiama
espressamente la direttiva 2001/42/CE,
rinviando a successive deliberazioni del
Consiglio e della Giunta l’approvazione di
indirizzi ed ulteriori adempimenti per la
valutazione ambientale dei piani. In
attuazione dell’art. 4 citato, il Consiglio
Regionale ha approvato gli indirizzi
generali per la valutazione suindicata, con
deliberazione 13.03.2007 n. VIII/351, mentre
con successiva delibera di Giunta 27.12.2007
n. 8/6420 è stata disciplinata la procedura
per la VAS.
Lo Stato italiano ha dato compiuta
attuazione alla direttiva 2001/42/CE con il
decreto legislativo 16.01.2008 n. 4, quindi
successivo alla regolamentazione regionale
sopra richiamata.
Per effetto del citato decreto legislativo,
è stata interamente riscritta la parte II
del D.Lgs. 152/2006 (“Norme in materia
ambientale”, c.d. Codice dell’ambiente)
ed è stata dettata una specifica disciplina
per la VAS agli articoli 4 e seguenti.
Tale disciplina è stata ritenuta
costituzionalmente legittima ed espressione
di potestà legislativa esclusiva statale, in
quanto inerente alla materia della “tutela
dell’ambiente”, che l’art. 117, comma
2°, lett. s), della Costituzione, riserva
alla legislazione esclusiva dello Stato
(cfr. Corte Costituzionale, 22.07.2009, n.
225).
L’art. 5, comma 1, lett. a), del D.Lgs.
152/2006, definisce la VAS come valutazione
ambientale di piani e programmi,
comprendente lo svolgimento di una verifica
di assoggettabilità, l’elaborazione di un
rapporto ambientale e la conseguente
valutazione del piano o programma.
Nell’ambito della procedura di VAS, l’art. 5
distingue l’autorità competente (lettera p)
dall’autorità procedente (lett. q);
quest’ultima è definita come la pubblica
amministrazione che elabora il piano o
programma, mentre la prima è la pubblica
amministrazione a cui compete l’attività di
valutazione ambientale. Ai fini
dell’individuazione dell’autorità
competente, il successivo art. 7, comma 6°,
ha cura di specificare che, in sede
regionale, l’autorità competente è la
pubblica amministrazione con compiti di
tutela, valorizzazione e protezione
ambientale.
Le ulteriori disposizioni sulla VAS
contenute nel Codice dell’ambiente
confermano, con chiarezza, la necessità di
separazione fra le due differenti autorità
–quella procedente e quella competente– il
cui rapporto nell’ambito del procedimento di
valutazione ambientale strategica appare
tutto sommato dialettico, a conferma
dell’intendimento del legislatore di
affidare il ruolo di autorità competente ad
un soggetto pubblico specializzato, in
giustapposizione all’autorità procedente,
coincidente invece con il soggetto pubblico
che approva il piano (cfr., fra gli altri,
art. 11, comma 2°; art. 12, comma 4°; artt.
13, 14 e 15).
Viene poi confermata l’assoluta
obbligatorietà della VAS, tanto è vero che i
provvedimenti amministrativi di approvazione
di piani e programmi adottati senza la VAS,
dove prescritta, <<sono annullabili per
violazione di legge>> (art. 11, comma
5°).
Dall’esame della disciplina legislativa
suindicata –di recepimento della direttiva
2001/42/CE– si giunge alla conclusione,
secondo lo scrivente Tribunale, per cui,
nella scelta dell’autorità competente,
l’autorità procedente deve individuare
soggetti pubblici che offrano idonee
garanzie non solo di competenza tecnica e di
specializzazione in materia di tutela
ambientale, ma anche di imparzialità e di
indipendenza rispetto all’autorità
procedente, allo scopo di assolvere la
funzione di valutazione ambientale nella
maniera più obiettiva possibile, senza
condizionamenti –anche indiretti– da parte
dell’autorità procedente.
Qualora quest’ultima, infatti, individuasse
l’autorità competente esclusivamente fra
soggetti collocati al proprio interno,
legati magari da vincoli di subordinazione
gerarchica rispetto agli organi politici o
amministrativi di governo
dell’Amministrazione, il ruolo di verifica
ambientale finirebbe per perdere ogni
efficacia, risolvendosi in un semplice
passaggio burocratico interno, con il
rischio tutt’altro che remoto di vanificare
la finalità della disciplina sulla VAS e di
conseguenza di pregiudicare la corretta
applicazione delle norme comunitarie,
frustrando così gli scopi perseguiti dalla
Comunità Europea con la direttiva
2001/42/CE, come quello di salvaguardia e
promozione dello “sviluppo sostenibile”,
espressamente enunciato all’art. 1 della
direttiva, come già sopra evidenziato (si
ricordi che lo “sviluppo sostenibile”
costituisce uno degli scopi dell’Unione
Europea, espressamente enunciato all’art. 3,
comma 3°, del Trattato dell’Unione Europea
in vigore dal 01.12.2009).
A tale proposito, pare utile al Collegio
rammentare l’obbligo del giudice nazionale
di interpretare il diritto interno alla luce
di quello comunitario (cfr., sul punto,
Consiglio di Stato, sez. VI, 03.09.2009 n.
5197 e TAR Piemonte, sez. I, 05.06.2009, n.
1563), in modo da garantire il c.d.
“primato” di quest’ultimo sugli ordinamenti
difformi degli Stati membri (sul “primato”
del diritto comunitario, si veda Corte di
Giustizia CE, sez. III, 19.11.2009 n. 314).
Nel caso di specie il Comune di ...,
in attuazione dell’art. 3.2 dell’allegato 1
alla delibera di Giunta del 27.12.2007, ha
individuato l’autorità competente
all’interno dello stesso Comune, scegliendo
in particolare i Responsabili del Settore
Urbanistica e del Settore Lavori Pubblici.
Tale composizione dell’autorità competente,
al di là di ogni valutazione sulla
preparazione e sulla capacità professionale
dei singoli operatori comunali, non appare
in ogni caso rispettosa delle norme
comunitarie e statali sopra riportate, in
quanto appare assolutamente inidonea a
garantire la necessaria imparzialità
dell’autorità competente rispetto a quella
procedente.
Si aggiunga, inoltre, che il Responsabile
del Settore Urbanistica del Comune, membro
dell’autorità competente, risulta fra coloro
che hanno contribuito alla predisposizione
del documento di Piano, il che vale a
rafforzare il convincimento del Collegio
circa l’illegittimità della composizione
dell’autorità competente, a causa
dell’evidente commistione fra il ruolo di
controllore e quello di controllato.
Sono quindi illegittimi sia il provvedimento
comunale di designazione dell’autorità
competente sia quello regionale ivi
impugnato, che prevede la composizione della
suddetta autorità con soggetti scelti
all’interno della differente autorità
procedente.
L’illegittimità della delibera regionale del
2007 non è esclusa neppure dalla lettura
della legislazione regionale in materia,
vale a dire l’art. 4 della L.R. 12/2005.
L’articolo si limita, infatti, sotto il
profilo dell’individuazione dell’autorità
competente, a rinviare a successive
deliberazioni del Consiglio o della Giunta
Regionale, senza però altro dire. Si
aggiunga –e si perdoni l’ovvietà– che in
materia di VAS la Regione è in ogni caso
rigidamente subordinata alla disciplina
comunitaria, sicché non appare certo
possibile per l’Ente regionale introdurre
deroghe alla medesima.
Peraltro, la stessa Regione Lombardia non
pare essere stata sempre coerente con la
propria delibera del 27.12.2007, tenuto
conto che, con parere espresso dalla
Struttura Valutazione Ambientale Strategica
e Programmazione Negoziata con nota del
06.04.2009 n. 6818, indirizzato al Comune di
Campodolcino, la citata Struttura regionale
escludeva che il Sindaco potesse assumere il
ruolo di autorità competente, allorché
l’autorità procedente era stata individuata
nell’Amministrazione comunale.
Nel parere si ricorda il principio,
desumibile dal D.Lgs. 4/2008 e assolutamente
condiviso dallo scrivente Collegio, della
separazione dell’autorità competente
rispetto a quella procedente e, con riguardo
alla prima, della necessità di un suo
sufficiente grado di autonomia e di
competenza in materia di ambiente e sviluppo
sostenibile (cfr. il parere regionale, doc.
9 del ricorrente).
Ciò premesso, il motivo n. 2 del ricorso
principale appare suscettibile di
accoglimento, con conseguente annullamento
non solo –seppure in parte qua –
della delibera regionale impugnata, ma anche
della delibera di Giunta Comunale n. 38/2008
di istituzione dell’autorità competente in
materia di VAS e delle deliberazioni
consiliari n. 12 e n. 13 del 2009, recanti
approvazione di un PGT viziato nella sua
totalità per l’illegittimità della procedura
di VAS, come sopra indicato
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 17.05.2010 n. 1526 - link a www.giustizia-amministrativa.it).
---------------
In merito alla citata sentenza, si legga la
nota 25.05.2010 n. 344
di prot. dell'ANCI Lombardia. |
URBANISTICA:
1. P.I.I. in
variante al P.R.G. - Violazione art. 25 L.R.
n. 12/2005 - Delibera regionale modalità
applicative - Dichiarazione di congruenza -
Applicazione ai piani in itinere - Sussiste.
2. P.I.I. in
variante al P.R.G. - Omissione della
valutazione ambientale strategica (V.A.S.) -
L.R. n. 12/2005 - Non assoggettabile a
verifica di esclusione - Sussiste.
3. P.I.I. in
variante al P.R.G. - Rilevanza regionale -
Art. 92 L.R. n. 12/2005 - Qualificazione
delle strutture - Medie strutture - Non
sussiste.
1. Posto che l'art. 25, c. 7, L.R. n.
12/2005 -secondo cui i Comuni, fino
all'approvazione del P.G.T., non possono dar
corso all'approvazione di P.I.I. in variante
al P.R.G. salvo che abbiano carattere
strategico e di riqualificazione da valutare
sulla base dei criteri adottati con delibera
regionale- si applica anche ai programmi
adottati ma non ancora approvati al momento
dell'entrata in vigore della disposizione,
anche la delibera regionale, che impone
l'adozione di una dichiarazione di
congruenza con i criteri e le modalità di
cui all'art. 25, c. 7, L.R. n. 12/2005
-laddove dispone di applicarsi sia alle
proposte di P.I.I. presentate al Comune dopo
la novella legislativa, sia a quelle
presentate prima ma non oggetto di adozione-
deve essere interpretata in conformità alla
norma primaria, e deve applicarsi anche ai
piani in itinere (adottati ma non ancora
approvati), risultando il P.I.I. impugnato
illegittimo in mancanza dell'elaborato
tecnico richiesto dalla delibera regionale 06.05.2009 n. 8/9413.
2. Posto che l'art. 4 L.R. n. 12/2005
prescrive la valutazione ambientale
strategica (V.A.S.) di piani e programmi
urbanistici salvo quelli che in base alla
delibera regionale attuativa della
disposizione (Delibera C.R. 13.03.2007 n.
VIII/351) siano assoggettabili a mera
verifica di esclusione della V.A.S., si deve
ritenere che il P.I.I. impugnato in quanto
in variante allo strumento urbanistico e
comportante la riqualificazione di un'ampia
area industriale dismessa, il cambio di
destinazione di aree agricole e la
realizzazione di un polo scolastico, non
rientri nel novero dei piani/programmi
assoggettabili a mera verifica di esclusione
della V.A.S., tali essendo solo i piani e
programmi che determinano l'uso di piccole
aree a livello locale o modifiche minori, e
debba essere soggetto a V.A.S..
3. La circostanza che una media struttura di
vendita possa integrare un centro
commerciale o che due medie strutture di
vendita possano integrare un parco
commerciale ai sensi della delibera di
giunta regionale 04.07.2007 n. 8/5054 può
avere effetti ai fini della disciplina
commerciale e del rilascio delle relative
autorizzazioni, ma non costituisce ragione
sufficiente per conferire all'intervento,
rango di rilevanza regionale e radicare, di
conseguenza, per l'approvazione del P.I.I.,
la competenza della Regione ex art. 92 L.R.
n. 12/2005 (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 10.05.2010 n.
1452 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
VAS - Finalità - Effetti
sull’ambiente di piani e programmi.
La valutazione ambientale strategica (VAS) è
volta a garantire che gli effetti
sull’ambiente di determinati piani e
programmi siano considerati durante
l'elaborazione e prima dell'adozione degli
stessi, così da anticipare nella fase di
pianificazione e programmazione quella
valutazione di compatibilità ambientale che,
se effettuata (come avviene per la
valutazione di impatto ambientale) sulle
singole realizzazioni progettuali, non
consentirebbe di compiere un'effettiva
valutazione comparativa, mancando in
concreto la possibilità di disporre di
soluzioni alternative per la localizzazione
degli insediamenti e, in generale, per
stabilire, nella prospettiva dello sviluppo
sostenibile, le modalità di utilizzazione
del territorio (TAR Umbria Perugia,
19.06.2006, n. 325) (TAR Campania-Napoli,
Sez. II,
sentenza 20.04.2010 n. 2043 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI -
URBANISTICA:
Oggetto: Procedure di competenza della
Direzione Generale PBAAC in materia di VIA,
VAS e progetti sovraregionali o
trasfrontalieri – Disposizioni per la
presentazione delle istanze e della relativa
documentazione progettuale (Mi.B.A.C.,
circolare 19.03.2010 n. 6). |
URBANISTICA: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 5
dell'01.02.2010, "Determinazione della
procedura di valutazione ambientale di piani
e programmi - VAS (art. 4, l.r. n. 12/2005;
d.c.r. n. 351/2007) - Recepimento delle
diposizioni di cui al d.lgs. 16.01.2008, n.
4 modifica, integrazione e inclusione di
nuovi modelli"
(deliberazione
G.R. 30.12.2009 n. 10971).
---------------
Trovate qui gli allegati alla
deliberazione, non pubblicati sul BURL,
nonché un quadro generale della disciplina
regionale in materia. |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI -
URBANISTICA: R.
Greco,
VIA, VAS E AIA: QUESTE SCONOSCIUTE
(link a www.giustizia-amministrativa.it). |
2009 |
|
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI:
VIA E VAS - VAS - Art. 12 d.lgs.
n. 152/2006 - Provvedimento di verifica
dell’assoggettamento a VAS - Termine di
novanta giorni dalla trasmissione del
rapporto preliminare da parte dell’autorità
procedente - Obbligo di concludere il
procedimento.
In materia di VAS, ai sensi dell’art. 12,
comma 1, d.lgs n. 152/2006, l’autorità
procedente trasmette all’autorità
competente, su supporto cartaceo ed
informatico, un rapporto preliminare
comprendente una descrizione del piano o
programma e le informazioni e i dati
necessari alla verifica degli impatti
significativi sull’ambiente dell’attuazione
del piano o programma; quindi, ai sensi del
comma 4, “l’autorità competente, sentita
l’autorità procedente, tenuto conto dei
contributi pervenuti, entro novanta giorni
dalla trasmissione di cui al comma 1, emette
il provvedimento di verifica assoggettando o
escludendo il piano o il programma dalla
valutazione di cui agli articoli da 13 a 18
e, se del caso, definendo le necessarie
prescrizioni”.
Ne deriva l’obbligo, per l’amministrazione
regionale, di concludere il provvedimento
nel termine di novanta giorni indicato (TAR
Campania-Salerno, Sez. I,
sentenza 26.11.2009 n. 6951 -
link a
www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA:
S. Occhi,
Delega ambientale e VAS: una riflessione
sull’istruttoria tecnica delineata dagli
articoli 15, 16 e 17 del D.lgs. 152/2006 e
s.m.i. (link a www.simoline.com). |
URBANISTICA:
Ambiente in genere. VAS.
La direttiva comunitaria 42/01/CE per quanto
riguarda la generalità degli atti di
pianificazione territoriale non è
immediatamente applicabile all’interno degli
Stati membri.
Depongono in tal senso anzitutto l’art. 3
della direttiva in parola, che demanda al
singolo Stato membro di apprezzare se i
piani e programmi relativi a un dato settore
possano o non possano avere effetto
significativo sull’ambiente; nello stesso
senso i successivi articoli 4 e 13, che
richiedono in modo espresso che gli Stati,
per conformarsi alla direttiva, emanino
norme proprie, e quindi adottino atti di
recepimento (TAR Lombardia-Brescia,
sentenza 04.05.2009 n. 893 - link
a www.lexambiente.it). |
URBANISTICA: Lombardia,
Corso di specializzazione sull'applicazione
della L.R. n. 12/2005:
1^ lezione - parte A (valutazione ambientale
dei piani) (Geometra Orobico n.
1/2009). |
EDILIZIA PRIVATA -
URBANISTICA: B.U.R.
Lombardia, 2° suppl. straord. al n. 8 del
26.02.2009, "Modalità per la valutazione
ambientale dei Piani comprensoriali di
tutela del territorio rurale e di riordino
irriguo (art. 4, l.r. n. 12/2005; d.c.r. n.
351/2007)"
(deliberazione
G.R. 11.02.2009 n. 8950 - link a www.infopoint.it). |
URBANISTICA:
VAS - Piani
integrati di intervento in variante a PRG -
Obbligo di assoggettabilità - Sussiste.
Ai sensi dell'art. 4, comma 4 della L.R.
n. 12/2005 e della deliberazione del
Consiglio regionale 13.03.2007, n. 351, i
piani integrati di intervento in variante ai
piani regolatori devono essere sottoposti a VAS (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 22.01.2009 n. 174 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
2008 |
|
AMBIENTE-ECOLOGIA
- EDILIZIA PRIVATA:
B.U.R. Lombardia, 2° suppl. straord. al
n. 45 del 04.11.2008, "Modifica ed
integrazione della d.g.r. n. 3667/2006:
«Determinazioni in merito all'espletamento
delle procedure previste dalla vigente
normativa in materia di valutazione
dell'impatto ambientale nell'ambito dei
procedimenti autorizzativi connessi
all'attività estrattiva di cava»" (deliberazione
G.R. 13.10.2008 n. 8210 - link
a www.infopoint.it). |
EDILIZIA PRIVATA -
URBANISTICA: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 20 del
12.05.2008, "Valutazione Ambientale di Piani e
programmi - VAS - Ulteriori adempimenti di disciplina in
attuazione dell'articolo 4 della legge regionale 11.03.2005
n. 12, «Legge per il governo del territorio» e degli
«Indirizzi generali per la valutazione ambientale dei piani
e programmi» approvati con deliberazione dal Consiglio
regionale il 13.03.2007 atti n. VIII/3151 (Provvedimento n.
2)" (deliberazione
G.R. 18.04.2008 n. 7110). |
URBANISTICA:
Procedimenti di Valutazione Ambientale
Strategica. Coinvolgimento Soprintendenze di
settore
(Ministero per i Beni e le Attività
Culturali, Direzione Regionale per i Beni
Culturali e Paesaggistici della Lombardia,
nota 18.03.2008 n.
3787 di prot.). |
EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA:
Codice dell'Ambiente: come cambiano le
procedure di VAS e VIA (ANCE,
circolare 21.02.2008 n. 6 - link
a www.ediliziaprofessionale.com). |
EDILIZIA
PRIVATA - URBANISTICA:
B.U.R. Lombardia, 2° suppl. straord. al n. 4 del 24.01.2008,
"Determinazione della procedura per la Valutazione
Ambientale di Piani e programmi - VAS - (art. 4, l.r. n.
12/2005; d.c.r. n. 351/2007)" (deliberazione
G.R. 27.12.2007 n. 6420). |
EDILIZIA
PRIVATA - URBANISTICA:
"Determinazione della procedura per la valutazione
ambientale di piani e programmi - VAS (art. 4, l.r. n.
12/2005; d.C.R. n. 351/2007" (deliberazione
G.R. 27.12.2007 n. 6420). |
URBANISTICA: Raccordo
verifica Valutazione Ambientale Strategica (VAS)
e Valutazione di Incidenza (VIC) sugli atti
di pianificazione
(Regione Lombardia, Direzione Generale
Qualità dell'Ambiente,
nota 15.01.2008 n. 1383 di prot.). |
2007 |
|
EDILIZIA PRIVATA -
URBANISTICA: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 14 del 02.04.2007, "Indirizzi
generali per la valutazione di piani e programmi (articolo 4,
comma 1, l.r. 11.03.2005, n. 12)" (deliberazione
C.R. 13.03.2007 n. 351). |
EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA:
Guida alla professione di ingegnere - La
valutazione di impatto ambientale (VIA) e la
valutazione ambientale strategica (VAS) -
Volume VI (febbraio 2007 -
tratto da www.centrostudicni.it). |
2001 |
|
EDILIZIA PRIVATA -
URBANISTICA:
G.U.U.E. 21.07.2001 n. L/197 "DIRETTIVA
2001/42/CE DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO del 27.06.2001
concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e
programmi sull'ambiente" (link a http://eur-lex.europa.eu). |
|
|
V.I.A.
(Valutazione Impatto Ambientale)
per approfondimenti vedi anche:
V.I.A. Regione Lombardia
*
R.R. 25.03.2020 n. 2 - Disciplina delle modalità di attuazione e
applicazione delle disposizioni in materia di VIA e di verifica di
assoggettabilità a VIA ai sensi della l.r. 5/2010 e delle relative modifiche
e integrazioni. Abrogazione del r.r. 5/2011
*
L.R. 02.02.2010 n. 5 - Norme in materia di valutazione di impatto ambientale |
|
2021 |
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EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI - URBANISTICA:
Come noto l'Amministrazione, nel formulare il giudizio
sull'impatto ambientale (VIA), esercita un'amplissima discrezionalità che
non si esaurisce in una mera valutazione tecnica, come tale suscettibile di
una valutazione tout court sulla base di oggettivi criteri di misurazione,
ma presenta al contempo profili particolarmente intensi di discrezionalità
amministrativa e istituzionale in relazione all'apprezzamento degli
interessi pubblici e privati coinvolti, con la conseguenza che il sindacato
del giudice amministrativo in materia è necessariamente limitato alla
manifesta illogicità ed incongruità, al travisamento dei fatti o a
macroscopici difetti di istruttoria ovvero quando l'atto sia privo di idonea
motivazione”.
Non è dunque possibile "uno scrutinio effettivo
e pieno delle censure ambientali e tecnico-scientifiche dedotte con il
ricorso” proprio per il rilievo -che il Collegio ritiene dirimente-
dell’essere la valutazione sull’impatto ambientale espressione di
discrezionalità non solo tecnica ma anche amministrativa in senso proprio,
non potendosi dunque invocare nemmeno i parametri del giusto processo di cui
agli artt. 6, par 1 e 13, della Convenzione EDU (nonché all’art. 47 della
Carta dei diritti fondamentali di Nizza) sotto il profilo della effettività
e della “full jurisdiction”.
---------------
8. - Non meritevoli di positiva considerazione sono infine le doglianze di
cui al IX, X, XI e XII motivo di gravame, volte a censurare le valutazioni
discrezionali dell’Amministrazione sulla VIA, come detto obbligatoria ai
sensi della legge regionale n. 4/2018 per gli impianti di allevamento
avicolo con la capacità produttiva di cui al progetto approvato.
8.1. - Come noto l'Amministrazione, nel formulare il giudizio sull'impatto
ambientale, esercita un'amplissima discrezionalità che non si esaurisce in
una mera valutazione tecnica, come tale suscettibile di una valutazione tout
court sulla base di oggettivi criteri di misurazione, ma presenta al
contempo profili particolarmente intensi di discrezionalità amministrativa e
istituzionale in relazione all'apprezzamento degli interessi pubblici e
privati coinvolti, con la conseguenza che il sindacato del giudice
amministrativo in materia è necessariamente limitato alla manifesta
illogicità ed incongruità, al travisamento dei fatti o a macroscopici
difetti di istruttoria ovvero quando l'atto sia privo di idonea motivazione”
(ex multis Consiglio di Stato, sez. II, 07.09.2020, n. 5379; id. sez. II, 15.09.2020, n.5451; id., sez. V, 27.03.2013, n. 1783; id.,
sez. VI, 11 febbraio 2014, n. 458; TAR Lombardia, sez. III, 08.03.2013,
n. 627; TAR Marche 09.01.2014, n. 31).
8.2. - Non è dunque possibile, contrariamente a quanto auspicato dalla
difesa di parte ricorrente (memoria 22.06.2021) “uno scrutinio effettivo
e pieno delle censure ambientali e tecnico-scientifiche dedotte con il
ricorso” proprio per il rilievo -che il Collegio ritiene dirimente-
dell’essere la valutazione sull’impatto ambientale espressione di
discrezionalità non solo tecnica ma anche amministrativa in senso proprio,
non potendosi dunque invocare nemmeno i parametri del giusto processo di cui
agli artt. 6, par 1 e 13, della Convenzione EDU (nonché all’art. 47 della
Carta dei diritti fondamentali di Nizza) sotto il profilo della effettività
e della “full jurisdiction”.
8.3. - Ciò doverosamente premesso, parte ricorrente lamenta la
sottovalutazione da parte dell’Amministrazione di vari fattori di rischio
ambientale sulla salute umana e sulle limitrofe coltivazioni di ortaggi,
segnatamente in merito alla gestione degli effluenti e delle sostanze
veicolate dagli stessi, delle acque piovane, delle emissioni in atmosfera,
depositando all’uopo perizia redatta da agronomo.
I su indicati motivi di gravame, poiché connessi, possono essere trattati
congiuntamente.
8.4. - Quanto all’utilizzo agronomico della pollina (che costituisce un
concime naturale) esso deve essere regolamentato in sede di AIA, come
effettuato, e non già in sede di VIA, si da non richiedersi la redazione di
un piano di utilizzo agronomico all’interno della VIA stessa, come
confermato dallo stesso art. 15 del R.R. n. 3/2017. Irrilevante appare la
stessa gestione agronomica degli effluenti, in considerazione non solo che
lo stoccaggio della pollina avverrebbe in luoghi differenti, come
argomentato dalla difesa dell’Arpae, ma della stessa non necessità dello
stoccaggio, potendo la pollina essere accumulata sui campi.
Relativamente all’asserita erronea gestione delle acque di lavaggio dei
capannoni dell’impianto, le doglianze dedotte lambiscono il merito delle
valutazioni effettuate, in carenza di specifiche disposizioni tecniche
applicabili, nulla prevedendo in proposito lo stesso Manuale per l’industria
europea del pollame. Va poi evidenziato che la normativa di settore, come
controdedotto da Arpae, privilegia la pulizia a secco rispetto a quella
idrica comportante la creazione di scarichi, dal momento che anche il DM 13
dicembre 2018 citato dal consulente di parte ricorrente non smentisce tale
assunto.
Quanto invece alla gestione delle acque piovane appare dirimente il rilievo
per cui nelle superfici esterne impermeabili dell’allevamento non vengono
svolte attività ricomprese nell’art. 8, comma 2, punti a-b-c, del DGR 268/2005
“Direttiva concernente indirizzi per la gestione delle acque di prima
pioggia e di lavaggio da aree esterne (art. 39, D.Lgs. 11.05.1999, n.
152)”. Va poi rilevato come in sede di AIA l’Arpae abbia dettato puntuali
prescrizioni volte ad evitare inquinamenti.
A proposito delle emissioni di ammoniaca e PM10, posto che come rilevato da
Arpae il contesto rurale circostante risulta già caratterizzato da
concimazioni del suolo e produzione di ammoniaca per le coltivazioni, lo
studio di impatto in atmosfera ha evidenziato valori di concentrazione molto
bassi, si da escludersi non illogicamente un significativo impatto anche sul
contesto agricolo colturale circostante. Il fattore di emissione medio per
PM10 utilizzato nello studio di impatto ambientale è d’altronde risultato
conforme al BAT 2017.
Relativamente alle emissioni atmosferiche provocate dall’allevamento posto
che non risultano violati i valori soglia vigenti, le stesse NTA del PAIR
non precludono l’apertura di nuove attività produttive ma pongono meri
obiettivi programmatici.
Più complessa è la doglianza secondo cui la controinteressata avrebbe
utilizzato un fattore di emissione di ammoniaca pari a 0,05 kgN/capo/anno,
inferiore rispetto a quello richiesto da ARPAE in sede di istruttoria, pari
a 0,08 kgN/capo/anno.
Senza che anche in questo caso possa invocarsi una sostituzione del g.a.
alle valutazioni tecniche compiute dall’Arpae, la società proponente ha
stimato le emissioni di ammoniaca in base a dati recenti (lo strumento Best Avalilable Techniques BAT tool 2018) tenendo in considerazione vari elementi
tra cui la dieta alimentare, si che il fattore di emissione utilizzato non
appare manifestamente sottostimato.
Sotto altro profilo lo studio di impatto atmosferico non ha tenuto in
considerazione le PM 25 (che costituiscono frazione del PM10) né il metano
in quanto il BREF comunitario le reputa non significative.
Analoghe considerazioni possono effettuarsi per la progettazione delle “dust chamber”, dal momento che è del tutto opinabile quanto indimostrato che la
soluzione indicata in sede progettuale volta a convogliare le emissioni
orizzontali verso l’alto non faciliti la dispersione in atmosfera.
Infine priva di pregio è la doglianza secondo cui la soglia olfattiva minima
dell’ammoniaca di 140 μg/m3 dichiarata dalla controinteressata sarebbe
sottostimata, essendo in realtà di 26,6 μg/m3 “secondo la letteratura
scientifica”. Il valore dichiarato dalla proponente è in realtà quello
previsto dalle Linee Guida odorigene della Regione Lombardia, cui fa
riferimento Arpae in assenza di Linee Guida della Regione Emilia Romagna e
statali, dunque un dato sicuramente rilevante e utilizzabile in carenza di
valori soglia assoluti, mentre il valore indicato dai ricorrenti desunto “dalla
letteratura scientifica” è del tutto parziale ed opinabile
(TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez.
I,
sentenza 18.08.2021 n. 756 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI - URBANISTICA:
VIA, VAS E AIA – Funzione tipica della VIA – Profili di
discrezionalità amministrativa – Apprezzamento degli
interessi pubblici in rilievo – Ponderazione rispetto
all’interesse all’esecuzione dell’opera.
La funzione tipica della VIA è quella di
esprimere un giudizio sulla compatibilità di un progetto
valutando il complessivo sacrificio imposto all’ambiente
rispetto all’utilità socio-economica perseguita
(Cons. Stato, Sez. IV, 22.01.2013, n. 361; Id. 01.03.2019,
n. 1423).
Il giudizio di compatibilità ambientale è
reso sulla base di oggettivi criteri di misurazione e
attraversato da profili particolarmente intensi di
discrezionalità amministrativa sul piano dell’apprezzamento
degli interessi pubblici in rilievo e della loro
ponderazione rispetto all’interesse dell’esecuzione
dell’opera; apprezzamento che è sindacabile dal giudice
amministrativo soltanto in ipotesi di manifesta illogicità o
travisamento dei fatti, nel caso in cui l’istruttoria sia
mancata o sia stata svolta in modo inadeguato e risulti
perciò evidente lo sconfinamento del potere discrezionale
riconosciuto all’Amministrazione, anche perché la
valutazione di impatto ambientale non è un mero atto tecnico
di gestione ovvero di amministrazione in senso stretto,
trattandosi piuttosto di un provvedimento con cui viene
esercitata una vera e propria funzione di indirizzo
politico–amministrativo con particolare riferimento al
corretto uso del territorio, in senso ampio, attraverso la
cura ed il bilanciamento della molteplicità dei contrapposti
interessi pubblici (urbanistici, naturalistici, paesistici,
nonché di sviluppo economico–sociale) e privati
(Cons. Stato Sez. IV, 10.02.2017, n. 575; Cons. Stato, Sez.
II, 06.04.2020, n. 2248).
---------------
VIA VAS E AIA – Prelievo di sabbie relitte profonde – VIA
negativa – Principi di precauzione e ragionevolezza –
Destinazione delle sabbie verso un sito non regionale –
Destinazione a difesa delle coste regionali – Bilanciamento
delle esigenze di precauzione con quelle di proporzionalità.
E’ legittimo il decreto dell’Assessore
regionale del territorio e dell’ambiente della regione
Sicilia con il quale è stato dichiarato concluso con esito
negativo il procedimento di Valutazione di Impatto
Ambientale (VIA) ai sensi dell’art. 25, d.lgs. n. 152 del
2006 relativo ad un progetto di “Prelievo di sabbie relitte
profonde” presentato da una società titolare della
concessione demaniale marittima che prevede la possibilità,
previo positive esperimento della VIA, di estrarre
annualmente, direttamente o tramite incaricato, sabbia dal
fondo marino ma non anche che l’utilizzo debba essere
finalizzato prioritariamente al ripascimento delle coste
regionali né vincoli di destinazione per il suo utilizzo;
l’esito negativo della procedura di VIA è, infatti, frutto
di una valutazione altamente discrezionale, effettuata,
secondo ragionevolezza ed in ossequio al principio di
precauzione: è principio pacifico che il vulnus ambientale
deve essere anche solo ragionevolmente ipotizzato e non
provato con l’assoluta certezza, che potrebbe certificarsi
solo quando il danno ambientale si è effettivamente
realizzato. L’eventuale destinazione della sabbia estratta
dal sito oggetto della concessione in parola, a difesa delle
coste regionali appare più coerente con il principio di
bilanciare le esigenze della precauzione con quelle della
proporzionalità che impone un’analisi dei vantaggi e degli
oneri dalle stesse derivanti, da escludersi nel caso di
destinazione verso un sito non regionale (CGARS,
parere 09.08.2021 n. 271 - link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI - URBANISTICA:
La disciplina generale
contenuta nelle norme del d.lgs. n. 152 del 2006 (Codice dell'ambiente) configura espressamente la
procedura di verifica dell'assoggettabilità a VIA come vero e proprio
subprocedimento autonomo che si conclude, nel rispetto delle garanzie
partecipative, con un atto avente natura provvedimentale, soggetto a
pubblicazione, pertanto con un atto autonomamente lesivo ed immediatamente
impugnabile
Invero, “Le procedure di V.I.A. e di verifica di assoggettabilità a
V.I.A. (“screening”) sono dotate di autonomia, in quanto destinate a
tutelare un interesse specifico (quello alla tutela dell'ambiente) e ad
esprimere al riguardo una valutazione definitiva, di per sé potenzialmente
lesiva dei valori ambientali, con conseguente immediata impugnabilità degli
atti conclusivi, soggetti a pubblicazione, da parte dei soggetti interessati
alla protezione di quei valori; l'art. 20, d.lgs. n. 152 del 2006, infatti,
configura la stessa procedura di verifica di assoggettabilità a V.I.A.
(“screening”) come vero e proprio subprocedimento autonomo, caratterizzato
da partecipazione dei soggetti interessati e destinato a concludersi con un
atto avente natura provvedimentale; da ciò consegue l'inammissibilità dei
motivi di impugnazione avverso l'autorizzazione alla realizzazione di un
impianto, volti a contestarne la legittimità sotto il profilo della mancata,
relativa sottoposizione alla procedura di V.I.A.”.
---------------
41.
Alcuna riapertura dei termini per impugnare può, per contro, discendere
dall’adozione dell’atto de quo rispetto alle censure fatte (o, meglio, non
fatte) valere nel ricorso principale del giudizio R.G. 1766 del 2018 avverso
il decreto n. 127 del 2017 di non assoggettabilità a V.I.A., segnatamente
rivolte contro lo studio di impatto odorigeno, trattandosi di questioni non
oggetto di rideterminazione da parte della commissione VIA-VAS-VI che si è
limitata ad evidenziare come anche dette risultanze evidenziassero la non
necessità della VI, senza per contro riesaminare le medesime.
41.1. Né in relazione all’impugnativa del decreto n. 127 del 2017 può
accogliersi l’istanza di rimessione in termini avanzata dai ricorrenti nel
ricorso introduttivo, fondata sul rilievo delle erroneità delle informazioni
pubblicate sul sito della Regione in ordine alla localizzazione
dell’impianto e relative all’avvio del procedimento, che avrebbero impedito
di partecipare al procedimento medesimo.
Ed invero i vizi lamentati avrebbero dovuto comunque essere fatti valere con
la tempestiva impugnazione del decreto n. 127 del 2017, regolamente
pubblicato sul BURC n. 81 del 06.11.2017, data a decorrere dalla quale è
cominciato a decorrere il termine decadenziale di impugnativa, come peraltro
dedotto dalla difesa della Ne.Vi..
Va al riguardo evidenziato che la disciplina generale contenuta nelle norme
del d.lgs. n. 152 del 2006 (Codice dell'ambiente) configura espressamente la
procedura di verifica dell'assoggettabilità a VIA come vero e proprio
subprocedimento autonomo che si conclude, nel rispetto delle garanzie
partecipative, con un atto avente natura provvedimentale, soggetto a
pubblicazione (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza n. 5092 del
14.10.2014), pertanto con un atto autonomamente lesivo ed immediatamente
impugnabile (nello stesso senso, TAR Sardegna, sez. I, 11/07/2014, n. 599,
secondo cui “Le procedure di V.I.A. e di verifica di assoggettabilità a
V.I.A. (“screening”) sono dotate di autonomia, in quanto destinate a
tutelare un interesse specifico (quello alla tutela dell'ambiente) e ad
esprimere al riguardo una valutazione definitiva, di per sé potenzialmente
lesiva dei valori ambientali, con conseguente immediata impugnabilità degli
atti conclusivi, soggetti a pubblicazione, da parte dei soggetti interessati
alla protezione di quei valori; l'art. 20, d.lgs. n. 152 del 2006, infatti,
configura la stessa procedura di verifica di assoggettabilità a V.I.A.
(“screening”) come vero e proprio subprocedimento autonomo, caratterizzato
da partecipazione dei soggetti interessati e destinato a concludersi con un
atto avente natura provvedimentale; da ciò consegue l'inammissibilità dei
motivi di impugnazione avverso l'autorizzazione alla realizzazione di un
impianto, volti a contestarne la legittimità sotto il profilo della mancata,
relativa sottoposizione alla procedura di V.I.A.”) (TAR
Campania-Napoli, Sez. V,
sentenza 17.03.2021 n. 1790 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
2020 |
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EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI - URBANISTICA: Valutazione
di impatto ambientale (VIA) subordinata al rispetto di specifiche prescrizioni.
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Ambiente - Valutazione impatto ambientale – Subordinata al rispetto di
specifiche prescrizioni – Legittimità.
E’ legittima una valutazione di impatto ambientale
(VIA) che dichiari la compatibilità ambientale di un progetto
subordinatamente al rispetto di specifiche prescrizioni e condizioni, da
verificare all’atto del successivo rilascio dei titoli autorizzatori
necessari per la concreta entrata in funzione dell’opus, nulla ostando in
linea di principio a che l’Amministrazione attesti che, a seguito
dell’adozione futura di ben precisi accorgimenti, l’opera possa risultare
compatibile con le esigenze di tutela ambientale (1).
---------------
(1) Ha chiarito la Sezione che i limiti alla legittimità di tale
modus procedendi attengono al grado di dettaglio e di specificità delle
prescrizioni, nonché al numero ed alla complessiva incidenza delle stesse
sui caratteri dell’opera, in quanto la formulazione di prescrizioni
eccessivamente generiche, ovvero relative a pressoché tutti i profili di
possibile criticità ambientale dell’opus, potrebbe risolversi in una
sostanziale pretermissione del giudizio.
Una simile evenienza, da accertarsi nel caso concreto, ha carattere
patologico e lumeggia l’illegittimità dell’azione amministrativa, che, in
casi siffatti, rinviene non dalla presenza di prescrizioni in sé e per sé
considerate, ma dal fatto che il carattere abnorme (qualitativamente,
tipologicamente o numericamente) di tali prescrizioni disvela, a monte,
l’assenza di un’effettiva, concreta ed attuale valutazione di impatto
ambientale, ossia il sostanziale rifiuto dell’esercizio del potere, pur
nella formale spendita dello stesso.
Ha aggiunto la sezione che la situazione soggettiva comunemente nota come
potestà, di cui è investita l’Amministrazione nell’esercizio di poteri
discrezionali, presenta, oltre all’aspetto del “potere” (ossia della
capacità di modificare unilateralmente ed autoritativamente la sfera
giuridica degli amministrati), il contestuale e parallelo tratto del “dovere”
(da intendersi tanto come dovere dell’esercizio, posto che tale situazione è
indisponibile, quanto come dovere della finalizzazione teleologica di tale
esercizio, che deve essere volto a conseguire gli scopi indicati dalla
legge): tale situazione, del resto, è altresì nota come potere-dovere (Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza 11.12.2020 n. 7917 -
commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).
---------------
SENTENZA
7. I motivi di cui supra sono, come correttamente ritenuto dal Tar,
infondati, ai sensi delle considerazioni che seguono.
a)
Tutti i tre progetti sono stati sottoposti a VIA: i procedimenti
relativi alla discarica ed all’impianto di inertizzazione, conseguenti ad
istanze presentate dalla società A2A rispettivamente in data 30.07.2012
e 05.04.2013, sono stati curati dalla Provincia in ossequio alla delega
di funzioni disposta con l.r. n. 5 del 02.02.2010, mentre quello
afferente al termovalorizzatore è stato compiuto dalla Regione in quanto la
relativa istanza della società è stata presentata in data (10.11.2009)
anteriore all’entrata in vigore di tale legge.
Non si apprezza, dunque, né alcuna pretermissione di VIA, né alcuna
illegittima distrazione di competenza.
Ciò premesso, il Collegio osserva che le gravate valutazioni di impatto
ambientale hanno concretamente tenuto conto anche dell’impatto cumulativo
dei progetti.
Si ponga mente, quanto al progetto del termovalorizzatore, alle pagine 8 e
12 del provvedimento di VIA, dove rispettivamente si sostiene che:
- “il fabbricato destinato allo stoccaggio dei rifiuti in ingresso
alla sezione di termovalorizzazione sarà equipaggiato con un doppio sistema
di aspirazione afferente a sistema di filtraggio a carbone attivo … il
fabbricato che accoglierà l’impianto di inertizzazione delle ceneri sarà
mantenuto in depressione e l’aria aspirata sarà sottoposta a trattamento
mediante filtro a maniche”;
- “i maggiori impatti saranno connessi alle diverse attività
previste nella fase di cantierizzazione [movimenti terra, viabilità e
macchine operatrici] e successivamente al rumore generato dai mezzi di
conferimento; tali sorgenti andranno a sommarsi a quelle presenti presso il
Centro Integrato; si evidenzia che il piano dell’impianto in progetto
risulta ribassato di circa 4 m rispetto al piano campagna circostante nonché
la presenza dei rilevati dei lotti della discarica del Centro Integrato i
quali contribuiscono al contenimento dell’impatto acustico all’interno
dell’area dell’impianto … lo studio previsionale ha preso in considerazione
due differenti scenari operativi del Centro Integrato” sia “a breve termine,
che prevede il funzionamento dell’impianto di termovalorizzazione esistente
e di quello in progetto”, sia “a lungo termine, che prevede l’esercizio
dell’impianto in progetto; in entrambi gli scenari è stata considerata anche
la viabilità indotta ed il funzionamento in continuo [periodo diurno e
notturno] di tutti le sorgenti fisse e mobili individuate”.
Quanto all’impianto di inertizzazione, si vedano le pagine 4 – 7 del
relativo provvedimento, da cui si trae l’evidenza di una considerazione
dell’intervento non atomistica, bensì declinata alla luce dell’attuale e
prospettica configurazione strutturale del centro integrato; oltretutto, la
modifica in questione mira a potenziare le capacità di trattamento
dell’impianto, estese anche alle polveri decadenti dallo scarico del filtro
a maniche, non più solo a quelle decadenti dai cicloni.
Quanto, infine, all’ampliamento della discarica, il relativo provvedimento
di VIA:
- considera la complessiva condizione strutturale ed operativa del
centro integrato (cfr. pagine 3, 4, 7);
- precisa i caratteri dei rifiuti ammissibili in discarica, da cui
risultano esclusi, per scelta della società proponente, i residui da
combustione (pagina 8);
- opera un riferimento all’utilizzo dei rifiuti trattati
dall’impianto di inertizzazione (pagina 9);
- descrive i possibili impatti sull’ambiente della discarica,
ponderati in base alla complessiva attività del centro integrato (pagine 10
ed 11);
- svolge “approfondimenti in merito alla valutazione qualitativa
degli impatti cumulativi legati agli impianti esistenti e futuri presso il
centro integrato di Corteleona”, con specifico riferimento al “potenziale
impatto cumulativo con il nuovo termovalorizzatore” (pagine 15 e 18).
La censura in parola, dunque, trova smentita per tabulas.
Non è ultroneo evidenziare che il provvedimento di VIA è espressione di
un’ampia discrezionalità amministrativa: con esso, infatti,
l’Amministrazione non è chiamata, in via per così dire notarile e “passiva”,
a riscontrare la sussistenza di possibili impatti ambientali dell’opera
(peraltro inevitabili, alla luce della natura dei manufatti da sottoporre
ex lege a VIA), bensì a ricercare attivamente, nella ponderazione
comparativa di istanze potenzialmente confliggenti, un complessivo
bilanciamento fra gli interessi perseguiti con la realizzazione dell’opus,
da un lato, e le contrapposte esigenze di preservazione (recte, di
contenuta o, comunque, non eccessiva e sproporzionata incisione) del
contesto ambientale lato sensu inteso, dall’altro.
Proprio per tale motivo, del resto, il relativo procedimento è aperto alla
partecipazione di “chiunque vi abbia interesse” (art. 24 d.lgs. n.
152 del 2006), eventualmente anche mediante una “inchiesta pubblica”: la
partecipazione procedimentale è, quindi, estesa oltre gli ordinari confini
apprestati dagli articoli 7 e ss. l. n. 241 del 1990, non essendo necessario
comprovare, da parte del soggetto che aspira alla partecipazione, che “dal
provvedimento possa derivare un pregiudizio”.
In sostanza, proprio in considerazione del peculiare oggetto sostanziale, lo
statuto procedimentale della VIA è speciale: invero, lo scrutinio
discrezionale circa il quomodo (e, prima ancora, circa lo stesso an –
cosiddetta “opzione zero”) dell’incisione dell’assetto ambientale recata dal
progetto viene svolto coram populo, al fine di rendere quanto più possibile
democratica, partecipata e condivisa una scelta che, inevitabilmente, si
ripercuote sulla vita quotidiana di tutti gli attori (economici, sociali,
collettivi, istituzionali) presenti sul territorio.
Trattandosi, dunque, di atto che non veicola un mero accertamento tecnico,
ma esprime, in forme procedimentali speciali, una potestà amministrativa
sostanziale stricto sensu intesa, il conseguente sindacato
giurisdizionale incontra i noti limiti, arrestandosi alla soglia
dell’illogicità, della contraddittorietà, dell’irragionevolezza, senza poter
accedere alla diretta valutazione del merito delle scelte, ex lege riservata
alle valutazioni dell’Amministrazione (cfr., da ultimo, Cons. Stato, Sez. II,
07.09.2020, n. 5380).
Nella specie, l’Amministrazione si è posta il problema del complessivo
impatto delle modifiche interessanti il centro integrato, sì che la
trattazione di tali profili in tre distinti procedimenti non ha comportato
alcun effettivo e concreto tratto di illegittimità.
Peraltro, tale frazionamento dei procedimenti, lungi dall’essere arbitrario,
è conseguito alla diversità oggettuale dei tre interventi, alla distinzione
materiale e temporale delle relative istanze formulate dalla società
proponente, alla ripartizione delle competenze delineata, con disposizione
sopravvenuta, dalla legge regionale.
Quanto a quest’ultimo punto, è manifestamente infondata la questione di
illegittimità costituzionale della l.r. n. 5 del 2010, articoli 2 e 5.
In disparte il fatto che, nella specie, la VIA è stata espletata per tutti i
progetti de quibus e che la ripartizione delle competenze non ha impedito
una disamina complessiva dell’impatto ambientale cumulativo dei progetti
medesimi, la delega legislativa regionale alla Provincia non è, in sé,
contraria ad alcun puntuale referente costituzionale, del resto neppure
specificamente indicato dagli odierni appellanti.
b)
Gli appellanti lamentano che “il SIA del proponente è rimasto carente dei
requisiti prescritti a livello normativo dall’art. 22 del T.U.A. e
dall’allegato 7 di riferimento, posto che non ha dato conto con il
sufficiente grado di dettaglio -adeguato al progetto in esame- dello stato
dell’infrastrutturazione presente ed in progetto nelle vicinanze
dell’impianto, né delle criticità ambientali circostanti”; inoltre, non
sarebbero stati presi nella dovuta considerazioni i rilievi negativi
formulati dalla Provincia, dai Comuni, dall’associazione “Me.De.” e dall’Ente Parco Collina di S. Colombano.
Gli appellanti, inoltre, contestano “il mancato rispetto, nell’ambito del
procedimento, delle norme in tema di trasparenza e partecipazione al
pubblico” dettate dalla disciplina euro-unitaria e dalla conseguente
normativa nazionale.
Gli appellanti, infine, sostengono l’illegittimità costituzionale della
legge lombarda n. 5 del 2010, articoli 4 e 7, in punto di partecipazione
procedimentale.
In proposito, il Collegio osserva che nel provvedimento relativo al
termovalorizzatore (cui si dirigono, in particolare, le censure degli
appellanti) l’Amministrazione ha puntualmente elencato i rilievi negativi
svolti dalla Provincia, dai Comuni, dall’associazione “Me.De.”
e dall’Ente Parco Collina di S. Colombano.
Nel prosieguo del provvedimento, l’Amministrazione ha poi affrontato i
profili oggetto di tali rilievi, ossia la viabilità, la previsione di opere
compensative, la predisposizione di un sistema di recupero dell’energia
termica prodotta dal termovalorizzatore mediante una rete di
teleriscaldamento, l’inferenza con la Rete Ecologica Regionale, il consumo
di suolo, la pressione impiantistica cui sarebbe già allo stato soggetto il
territorio provinciale, l’effettivo fabbisogno locale di trattamento dei
rifiuti, il livello delle emissioni, la vicinanza con aree di pregio
ambientale.
Come correttamente osservato dal Tar, l’Amministrazione non ha il dovere
di prendere puntualmente, specificamente ed analiticamente posizione su
ciascuno dei singoli rilievi formulati nel corso del procedimento (ciò che
potrebbe essere de facto impossibile e che, comunque, potrebbe collidere con
il principio di economicità dell’azione amministrativa), ma deve
confezionare un provvedimento che, nell’ambito di una valutazione
necessariamente di sintesi, affronti con un sufficiente grado di
approfondimento tutte le questioni problematiche emerse nel corso del
procedimento.
Ciò, invero, è quanto accaduto nella specie: ciascuno dei profili de quibus,
infatti, è stato trattato dall’Amministrazione, che in taluni casi ha anche
imposto delle prescrizioni.
Ora, in termini generali è legittima una VIA che dichiari la compatibilità
ambientale di un progetto subordinatamente al rispetto di specifiche
prescrizioni e condizioni, da verificare all’atto del successivo rilascio
dei titoli autorizzatori necessari per la concreta entrata in funzione dell’opus
(cfr., da ultimo, Cons. Stato, Sez. IV, 13.02.2020, n. 1169, § 15).
Invero, niente osta, in linea di principio, a che l’Amministrazione attesti
che, a seguito dell’adozione futura di ben precisi accorgimenti, l’opera
possa risultare compatibile con le esigenze di tutela ambientale.
I limiti alla legittimità di tale modus procedendi attengono al grado di
dettaglio e di specificità delle prescrizioni, nonché al numero ed alla
complessiva incidenza delle stesse sui caratteri dell’opera: invero, la
formulazione di prescrizioni eccessivamente generiche, ovvero relative a
pressoché tutti i profili di possibile criticità ambientale dell’opus,
potrebbe risolversi in una sostanziale pretermissione del giudizio.
Una simile evenienza, da accertarsi nel caso concreto, ha carattere
patologico e lumeggia l’illegittimità dell’azione amministrativa, che, in
casi siffatti, rinviene non dalla presenza di prescrizioni in sé e per sé
considerate, ma dal fatto che il carattere abnorme (qualitativamente,
tipologicamente o numericamente) di tali prescrizioni disvela, a monte,
l’assenza di un’effettiva, concreta ed attuale valutazione di impatto
ambientale, ossia il sostanziale rifiuto dell’esercizio del potere, pur
nella formale spendita dello stesso: tuttavia, una tale situazione, che
avrebbe dovuto essere adeguatamente comprovata dagli appellanti, non ricorre
nel caso di specie.
Non è superfluo, in proposito, ricordare che la situazione soggettiva
comunemente nota come potestà, di cui è investita l’Amministrazione
nell’esercizio di poteri discrezionali, presenta, oltre all’aspetto del
“potere” (ossia della capacità di modificare unilateralmente ed autoritativamente la sfera giuridica degli amministrati), il contestuale e
parallelo tratto del “dovere” (da intendersi tanto come dovere
dell’esercizio, posto che tale situazione è indisponibile, quanto come
dovere della finalizzazione teleologica di tale esercizio, che deve essere
volto a conseguire gli scopi indicati dalla legge): tale situazione, del
resto, è altresì nota come potere-dovere.
Gli appellanti, inoltre, lamentano la violazione della disciplina di matrice
comunitaria (articolo 5, comma 2, ed art. 7, commi 2 e 4, della direttiva
2011/92/CE) e nazionale (art. 24 d.lgs. n. 152 del 2006) sulla pubblicità
degli atti nelle procedure di VIA, giacché “la pubblicazione, con avviso
laconico pubblicato solo sul Corriere della Sera, privo dei contenuti
prescritti dal legislatore comunitario, prima che di quello nazionale,
dell’avvio del deposito del progetto non soddisfa i requisiti di trasparenza
della direttiva” ed ha, altresì, lasciato “i cittadini all’oscuro della
maggior parte delle integrazioni del proponente, nemmeno pubblicate sul
sito, oltre che delle osservazioni che avrebbero potuto illuminarli o
supportarli, e quindi sono stati privati della possibilità di partecipare
all’istruttoria e al procedimento che ha condotto al rilascio di una V.I.A.
favorevole ma viziata”.
Sul punto, è sufficiente rilevare che:
- la disciplina nazionale vigente ratione temporis richiedeva, per i
progetti di competenza VIA regionale, la pubblicazione su un quotidiano a
diffusione regionale o provinciale di un avviso che recasse “una breve
descrizione del progetto e dei suoi possibili principali impatti ambientali,
l'indicazione delle sedi ove possono essere consultati gli atti nella loro
interezza ed i termini entro i quali è possibile presentare osservazioni”;
- l’avviso di VIA consta essere stato pubblicato su un quotidiano a
diffusione nazionale;
- parte ricorrente non ha concretamente specificato perché ed in quale
misura tale avviso violasse la disciplina nazionale.
Parti appellanti lamentano, inoltre, che la disciplina legislativa regionale
(l.r. n. 5 del 2010, articoli 4 e 7) contrasterebbe con la Carta
costituzionale, giacché “non prescrive che la pubblicazione abbia i
contenuti minimi previsti dall’art. 5, comma 2, della direttiva” 2011/92/UE.
In proposito, il Collegio osserva che la disciplina regionale lombarda
prevede un sistema informativo regionale per le procedure di VIA
(individuato con l’acronimo “SILVIA”) ed istituisce un apposito sito
internet dedicato espressamente alle procedure di VIA; la normativa
regolamentare a valle delinea, poi, ulteriori misure di dettaglio.
Non si apprezza, dunque, una violazione della disciplina euro-unitaria,
parametro indiretto di legittimità costituzionale ex art. 117, comma primo,
Cost.; non è, in proposito, superfluo evidenziare che:
- la direttiva 2011/92/UE è entrata in vigore in epoca successiva alla
presentazione dell’istanza di VIA per il termovalorizzatore da parte della
società contro-interessata;
- l’art. 5, comma 2, della direttiva 2011/92/UE non si riferisce agli
obblighi di pubblicazione, ma alle informazioni che debbono essere fornite
dal proponente alle Autorità competenti.
Non è, infine, fondata la censura di violazione del diritto di
partecipazione procedimentale, in tesi conseguente alla mancata
ripubblicazione del progetto modificato a seguito delle integrazioni
disposte nel corso del procedimento.
In primo luogo, l’attiva partecipazione procedimentale di molte delle parti
odierne appellanti dimostra che non si è verificata alcuna concreta ed
effettiva lesione delle loro istanze partecipative e defensionali; più in
generale, la facoltà di partecipare al procedimento da parte dei vari
cittadini dei Comuni insistenti nell’area non risulta essere stata
sostanzialmente conculcata, né ab initio né durante il corso del
procedimento.
Si evidenzia, in proposito, che la violazione delle facoltà procedimentali
richiede la puntuale dimostrazione dell’effettivo, attuale e concreto
ostacolo frapposto dall’Amministrazione al pieno dispiegarsi di tali
facoltà: queste, infatti, costituiscono un agere licere e, come tali,
gravano l’interessato dell’onere dell’esplicazione di un minimum di
diligenza e di autonoma iniziativa.
c)
Non si apprezza una violazione dei principi di prevenzione e precauzione.
Lo studio di impatto ambientale elaborato dalla società proponente con
riferimento al termovalorizzatore ha preso in considerazione “i limiti
emissivi autorizzati” e non i più bassi “limiti attesi” ed ha esteso
l’indagine “ad un’area costituita da un quadrato di 5 km di lato, centrato
sulla localizzazione del Centro Integrato”.
Lo studio ha consentito di individuare, quale area di “massima ricaduta dei
contaminanti”, la zona ricompresa entro i 2 chilometri dall’impianto e, in
base alle simulazioni ivi condotte, ha escluso che l’entrata in servizio del
nuovo termovalorizzatore possa determinare “variazioni significative dello
stato attuale della qualità dell’aria”.
Del resto, l’area ove sorge il centro integrato non consta rientrare nelle
Aree critiche di rilevanza regionale per quanto attiene alla qualità
dell’aria.
Ciononostante, l’Amministrazione ha previsto l’adozione, in sede
autorizzativa, di alcune possibili cautele (definizione di valori limite dei
fumi inferiori a quelli fissati dalle norme di settore, imposizione di
limiti ai flussi annui di emissione di specifici contaminanti, limitazione
dell’operatività dell’impianto esistente durante la fase di coesistenza con
il nuovo termovalorizzatore) ed ha, altresì, disposto “una verifica dello
stato di salute della popolazione coinvolta, con particolare riferimento
alla fase di esercizio dell’impianto”.
Parimenti, quanto alla viabilità, l’Amministrazione ha preso atto del fatto
che “gli Enti territoriali ed in particolare la Provincia di Pavia hanno
evidenziato, quale elemento di criticità, la non adeguatezza delle
infrastrutture viabilistiche interessate dal traffico indotto dalle attività
dell’impianto in progetto” ed ha, conseguentemente, disposto che “il
Proponente, prima del rilascio dell’A.I.A. sull’impianto in progetto, si
faccia promotore di un tavolo di concertazione con il Competente Settore
viabilità della Provincia di Pavia, al fine di definire azioni ed interventi
specifici finalizzati alla risoluzione di tali criticità”.
Tali prescrizioni, costituenti parte integrante del giudizio favorevole di
VIA, non presentano profili di illogicità, sia perché taluni elementi di
dettaglio tecnico sono oggettivamente meglio apprezzabili solo all’atto del
successivo rilascio dell’AIA, sia perché talune “criticità” (quali, ad
esempio, quelle relative alla viabilità) non possono per loro natura essere
risolte con interventi immediati, sia, infine, perché il compito della VIA
non è quello di redigere compiutamente ed in dettaglio lo statuto ambientale
dell’opus, bensì quello di individuare, in linea generale, l’ottimale punto
di incontro fra le esigenze produttive-infrastrutturali e le istanze di
tutela ambientale, ciò che può essere ottenuto anche con l’enucleazione di
prescrizioni e con la previsione, a valle della VIA, di campagne di
monitoraggio, tavoli di concertazione et similia (cfr. supra, sub lett. b).
A titolo di completezza, il Collegio osserva, infine, che gli impatti
acustici risultano affrontati con specifici accorgimenti (abbassamento del
nuovo termovalorizzatore rispetto al piano di campagna) e, comunque, in base
alle simulazioni svolte “non si evidenziano criticità”.
d)
La censura di compromissione di un’area ricompresa in un corridoio
primario della Rete Ecologica Regionale è divenuta improcedibile, in
considerazione del fatto che, in sede di AIA, la società contro-interessata
risulta aver rinunciato alle opere che avrebbero dovuto essere ubicate in
tale area.
Ad ogni buon conto, il Collegio rileva che nel provvedimento di VIA venivano
imposte “specifiche azioni compensative al fine di garantire un adeguato
livello di continuità ecologica”: in proposito, si precisa che il
complessivo equilibrio fra le esigenze sottese alla realizzazione dell’opus
e le istanze di tutela ambientale può essere perseguito anche con la
previsione di opere compensative, tese, appunto, a recuperare aliunde i
valori ambientali intaccati dall’intervento.
e)
Non si apprezza neppure una mancata valutazione dell’impatto sulle vicine
SIC e ZPS, che, secondo le parti appellanti, avrebbe richiesto
l’effettuazione di una valutazione di incidenza (VINCA).
Invero:
- l’intervento infrastrutturale de quo non insiste entro un SIC od una ZPS;
- queste, al contrario, risultano essere localizzate ad una distanza
compresa fra i sei e gli otto chilometri dal centro integrato;
- parti appellanti non hanno specificato perché, nonostante tale oggettiva
distanza, la realizzazione dell’opus possa determinare “incidenze
significative” sui siti predetti;
- la disciplina regionale impone lo studio di incidenza ambientale per i
soli casi in cui l’intervento sia localizzato entro i due chilometri dal
sito protetto;
- le previsioni assunte in sede di AIA (mappatura dello stato di salute
della popolazione entro il raggio di ventidue chilometri dall’impianto),
lungi dal disvelare ex post l’illegittimità in parte qua della VIA, attuano
di contro quel monitoraggio sulla salute della popolazione umana residente
ex ante divisato dalla stessa VIA e non ineriscono, dunque, alla diversa
questione dell’impatto sulla flora e sulla fauna, alla cui protezione, come
noto, tendono i SIC e le ZPS.
Sempre in tema di tutela della salute, il Collegio osserva che, a quanto
consta, in sede di AIA è stato altresì previsto che la costruzione del
termovalorizzatore sia subordinata al previo completamento delle attività di
bonifica del sottosuolo.
f)
Quanto, infine, alla mancata valutazione dell’opzione zero, il Collegio
ribadisce, anzitutto, i limiti strutturali dello scrutinio giurisdizionale
in subiecta materia, che non può trascendere in considerazioni di merito
circa l’opportunità dell’intervento, alla luce, oltretutto, del valore
costituzionale del principio della libertà di impresa.
Ciò precisato, il Collegio rileva che i tre interventi incrementano la
capacità produttiva del centro integrato, al contempo implementandone la
sicurezza ambientale e il contenuto tecnologico, senza però determinare
ulteriore consumo di suolo.
Tali considerazioni, non smentite ex adverso, lumeggiano la coerenza interna
e la logicità del percorso motivazionale seguito dall’Amministrazione.
8. Per le esposte ragioni, pertanto, il ricorso in appello va rigettato
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 11.12.2020 n. 7917 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI - URBANISTICA:
VIA, VAS E AIA – VIA – Natura e finalità.
La V.I.A. è configurata come procedura
amministrativa di supporto per l’autorità competente
finalizzata ad individuare, descrivere e valutare gli
impatti ambientali di un’opera, il cui progetto è sottoposto
ad approvazione o autorizzazione.
In altri termini, trattasi di un procedimento di valutazione
ex ante degli effetti prodotti sull’ambiente da determinati
interventi progettuali, il cui obiettivo è proteggere la
salute umana, migliorare la qualità della vita, provvedere
al mantenimento delle specie, conservare la capacità di
riproduzione dell’ecosistema, promuovere uno sviluppo
economico sostenibile (cfr. art. 3, direttiva n. 85/337/CEE
e successive modifiche apportate dalla direttiva n.
97/11/CE).
Essa mira a stabilire, e conseguentemente governare in
termini di soluzioni più idonee al perseguimento di ridetti
obiettivi di salvaguardia, gli effetti sull’ambiente di
determinate progettualità.
Tali effetti, comunemente sussumibili nel concetto di
“impatto ambientale”, si identificano nella alterazione
“qualitativa e/o quantitativa, diretta ed indiretta, a breve
e a lungo termine, permanente e temporanea, singola e
cumulativa, positiva e negativa” che viene a prodursi
sull’ambiente, laddove quest’ultimo a sua volta è
identificato in un ampio contenitore, costituito dal
“sistema di relazioni fra i fattori antropici,
naturalistici, chimico-fisici, climatici, paesaggistici,
architettonici, culturali, agricoli ed economici, in
conseguenza dell’attuazione sul territorio di piani o
programmi o di progetti nelle diverse fasi della loro
realizzazione, gestione e dismissione, nonché di eventuali
malfunzionamenti” (art. 5, comma 1, lett. b) e c), del
d.lgs. n. 152/2006).
...
VIA, VAS E AIA – Screening – Oggetto – Impatto o alterazione
dell’ambiente lato sensu inteso – Funzione
preliminare rispetto alla VIA – Significato – Rapporto di
autonomia – Categorie di progetti sottoponibili a verifica
di assoggettabilità.
L’oggetto dello screening è,
sostanzialmente, l’“impatto”, ovvero “alterazione”
dell’ambiente lato sensu inteso, così come per la VIA: esso
svolge però una funzione preliminare per così dire di
“carotaggio”, nel senso che “sonda” la progettualità e solo
ove ravvisi effettivamente una significatività della stessa
in termini di incidenza negativa sull’ambiente, impone il
passaggio alla fase successiva della relativa procedura;
diversamente, consente di pretermetterla, con conseguente
intuibile risparmio, sia in termini di costi effettivi, che
di tempi di attuazione.
Lo screening, dunque, data la sua complessità e l’autonomia
riconosciutagli dallo stesso Codice ambientale che all’art.
20 (e, più di recente, all’art. art. 9, d.lgs. del
16.06.2017, n. 104) ne disciplina lo svolgimento, è esso
stesso una procedura di valutazione di impatto ambientale,
meno complessa della V.I.A., la cui previsione risponde a
motivazioni comprensibilmente diverse.
Per questo motivo è spesso definito in maniera impropria
come un subprocedimento della V.I.A., pur non essendo
necessariamente tale. Esso è qualificato altresì come
preliminare alla V.I.A., dizione questa da intendere solo in
senso cronologico, stante che è realizzato preventivamente,
ma solo con riguardo a determinate tipologie di progetto
rispetto alle quali alla valutazione vera e propria si
arriva in via eventuale, in base cioè proprio all’esito in
tal senso della verifica di assoggettabilità.
Le categorie di progetti, quindi, che possono essere
sottoposte alla verifica di assoggettabilità coincidono con
quelle rispetto alle quali la V.I.A. è solo eventuale,
ovvero, in estrema sintesi: 1) progetti elencati
nell’Allegato II al Codice che servono esclusivamente o
essenzialmente per lo sviluppo ed il collaudo di nuovi
metodi o prodotti e non sono utilizzati per più di due anni
(screening di competenza statale); 2) modifiche dei progetti
elencati nell’Allegato II suscettibili di produrre effetti
negativi e significativi per l’ambiente (screening di
competenza statale); 3) progetti elencati nell’Allegato IV
(screening di competenza regionale).
La verifica di assoggettabilità, dunque, non può essere
considerata una fase costitutiva ed imprescindibile della
V.I.A., perché essa non deve essere esperita sempre, ma solo
rispetto ai progetti appena elencati. Ne costituisce
pertanto un elemento aggiuntivo eccezionale rispetto al
normale iter, che per gli altri progetti prende avvio con la
presentazione della relativa istanza.
...
VIA, VAS E AIA – Verifica di assoggettabilità – Indicatori
dimensionali e criteri di selezione – Allegato V, Parte II
d.lgs. n. 152/2006.
La direttiva n. 2011/92/UE che ha
armonizzato a livello comunitario la disciplina della V.I.A.,
specifica che lo screening può essere realizzato o mediante
un’analisi caso per caso, oppure lasciando agli Stati membri
la possibilità di fissare delle soglie dimensionali rispetto
alle quali procedere o meno alla verifica di
assoggettabilità.
Suddetta direttiva è molto chiara nello specificare che,
anche qualora si decidesse di fare riferimento ad un
indicatore dimensionale, data la rilevanza che riveste lo
screening (perché in base al suo esito si decide se
procedere o meno ad effettuare la V.I.A.), occorrerebbe fare
riferimento comunque anche a specifici criteri di selezione.
Pertanto non è possibile escludere un progetto solo facendo
riferimento alle sue dimensioni: occorre avere una visione
d’insieme.
Indicazione questa di innegabile rilevanza ai fini dello
scrutinio della legittimità della decisione in termini di
assoggettamento.
I criteri in questione sono stati recepiti a livello
nazionale nell’Allegato V, Parte II, del Codice ambientale.
Essi sono molteplici, e spaziano dalle intrinseche
caratteristiche del progetto (dimensioni, cumulo con altri
progetti, produzione di rifiuti, utilizzazione delle risorse
naturali, produzione di inquinamento e disturbi acustici,
rischio di incidenti concernenti le tecnologie o sostanze
utilizzate); alla sua localizzazione (capacità di
assorbimento ambientale delle aree geografiche in cui verrà
situato l’impianto, effetti su riserve e parchi naturali,
zone costiere e montuose, zone a forte densità demografica);
alle caratteristiche dell’impatto potenziale (portata
dell’impatto, probabilità di accadimento dell’impatto,
durata, frequenza e reversibilità dell’impatto).
La ratio è evidentemente quella di garantire per quanto
possibile il più elevato livello di tutela ambientale, senza
tuttavia onerare inutilmente il cittadino richiedente.
...
VIA, VAS E AIA – Presupposti per la VIA – Natura oggettiva.
I presupposti per la V.I.A. sono
oggettivi, e riposano nel ricadere o meno di un certo
progetto fra le tipologie per le quali la normativa
contenuta nel d.lgs. n. 152 del 2006, o nelle leggi
regionali, contempla la verifica ambientale,
obbligatoriamente, ovvero facoltativamente, imponendo il
legislatore la preliminare verifica di assoggettabilità
(sul punto cfr. Cons. Stato, sez. IV, 12.05.2014, n. 2403).
...
VIA, VAS E AIA – Procedimento di screening – Procedimento di
VIA – Rapporti.
Il rapporto tra il procedimento di
screening e quello di V.I.A. appare configurabile
graficamente in termini di cerchi concentrici caratterizzati
da un nucleo comune rappresentato dalla valutazione della
progettualità proposta in termini di negativa incidenza
sull’ambiente, nel primo caso in via sommaria e, appunto,
preliminare, nel secondo in via definitiva, con conseguente
formalizzazione del provvedimento di avallo o meno della
stessa.
La “verifica di assoggettabilità”, come positivamente
normata, anticipa sostanzialmente la valutazione di impatto,
delibandone l’opportunità, sulla base della ritenuta
sussistenza prima facie dei relativi presupposti, «con la
conseguenza che l’attività economica, libera sulla base
della nostra Costituzione, non possa che svolgersi nel pieno
rispetto delle normative di tutela ambientale»
(TAR Abruzzo, L’Aquila, 18.02.2013, n. 158; TAR Sardegna,
sez. II, 30.03.2010 n. 412; TAR Friuli Venezia Giulia,
09.04.2013, n. 233).
...
VIA, VAS E AIA – Giudizio di screening – Preavviso di
rigetto – Necessità – Esclusione.
Nel giudizio di
screening non si addiviene ad un vero e proprio diniego, ma
solo alla decisione di sottoporre a procedimento di
valutazione un determinato progetto
(cfr. TAR Calabria, sez. I, 30.03.2017, n. 536; TAR Puglia,
sez. I, 10.07.2012, n. 1394).
La mancanza di un
esito finale negativo rende di conseguenza il provvedimento
impugnato ontologicamente incompatibile con la necessità del
relativo preavviso.
La facoltà, non obbligo, di richiedere per una sola volta
integrazioni o chiarimenti alla parte, implica che il
legislatore ha rimesso alla discrezionalità
dell’Amministrazione procedente anche la scelta di allungare
i tempi dell’istruttoria, con il coinvolgimento della parte,
ovvero addivenire comunque al diniego, non della V.I.A., ma
della mera possibilità di pretermettere la stessa.
In sintesi, consentire di fornire apporti e chiarimenti di
carattere anche tecnico al solo scopo di scongiurare più
approfondite verifiche a tutela dell’ambiente, oltre ad
appesantire inutilmente il procedimento, finirebbe per
comprometterne la natura sommaria che necessariamente ne
connota il giudizio, comunque non preclusivo degli esiti
finali (Consiglio
di Stato, Sez. II,
sentenza 07.09.2020 n. 5379 - link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI - URBANISTICA: Procedimento
di valutazione impatto ambientale: ratio e caratteri.
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Ambiente – Valutazione impatto ambientale – Ratio – Individuazione
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Ambiente – Valutazione impatto ambientale – Richiesta chiarimenti - Facoltà.
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Ambiente – Valutazione impatto ambientale – Preavviso di rigetto - Non
occorre
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La verifica di assoggettabilità a valutazione di impatto ambientale
costituisce un procedimento di valutazione preliminare (cd. screening)
autonomo e non necessariamente propedeutico alla V.I.A. vera e propria, con
la quale condivide l’oggetto -l’“impatto ambientale”, inteso come
alterazione “qualitativa e/o quantitativa, diretta ed indiretta, a breve e a
lungo termine, permanente e temporanea, singola e cumulativa, positiva e
negativa” che viene a prodursi sull’ambiente- ma su un piano di diverso
approfondimento (1).
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Nella fase della verifica di assoggettabilità a V.I.A. di un progetto (c.d.
screening), l’Amministrazione ha la facoltà, e non l’obbligo, di richiedere
chiarimenti e dettagli di carattere tecnico o di altra natura, come
espressamente previsto dall’art. 19, comma 6, d.lgs. 03.04.2006, n. 152.
Nell’inserire tale previsione il legislatore ha evidentemente inteso
introdurre un elemento di discrezionalità valutativa anche in ordine alla
scelta tra allungare i tempi dell’istruttoria, con il coinvolgimento della
parte, ovvero addivenire al diniego allo stato degli atti, avendo esso ad
oggetto non la V.I.A., ma la mera possibilità di pretermetterla (2).
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Nella fase della verifica di assoggettabilità a V.I.A. di un
progetto (c.d. screening), non è dovuto l’invio del preavviso di rigetto ex
art. 10-bis, l. n. 241 del 1990 giusta l’assoluta specialità del
procedimento de quo, che resta un -eventuale- passaggio intermedio verso la
V.I.A. completa, al cui interno verranno recuperate tutte le necessarie
istanze partecipative, e gli apporti contributivi che la parte vorrà
addurre, in quanto essa sì risolvibile in un atto di diniego (3).
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(1) Ha chiarito la Sezione che la V.I.A. infatti non costituisce un
subprocedimento all’interno della V.I.A., in quanto solo in caso di esito
negativo è destinata a sfociare nella stessa, di cui costituisce pertanto
una fase preliminare eventuale solo in senso cronologico, stante che è
realizzata preventivamente, esclusivamente con riguardo a determinate
tipologie di progetto rispetto alle quali alla valutazione vera e propria si
arriva in via eventuale, in base cioè proprio all’esito in tal senso della
verifica di assoggettabilità.
A ciò consegue una sostanziale sommarietà della delibazione, che deve essere
ispirata a più rigorose esigenze di cautela: in pratica, la soglia di
negatività ed incisività dell’impatto può paradossalmente essere ritenuta
travalicata con margini più ampi in sede di delibazione preliminare, proprio
perché di per sé essa non è preclusiva degli esiti della successiva V.I.A.,
ove si collocano ontologicamente i necessari approfondimenti.
La scelta di sottoposizione a V.I.A., dunque, ben può essere di cautela,
purché adeguatamente motivata in relazione a fattori di oggettiva
pericolosità rivenienti dagli indici di cui all’Allegato V al Codice
ambientale, ciò implicando solo il rinvio ad un più approfondito scrutinio
della progettualità proposta, che dalle ragioni dello stesso non risulta
comunque in alcun modo condizionato.
Ha aggiunto la Sezione che il procedimento di screening non si conclude mai
con un diniego di V.I.A., bensì con un giudizio di necessità di sostanziale
approfondimento. Il rapporto tra i due procedimenti appare pertanto
configurabile graficamente in termini di cerchi concentrici caratterizzati
da un nucleo comune rappresentato dalla valutazione della progettualità
proposta in termini di negativa incidenza sull’ambiente, nel primo caso in
via sommaria e, appunto, preliminare, nel secondo in via definitiva, con
conseguente formalizzazione del provvedimento di avallo o meno della stessa.
La “verifica di assoggettabilità”, come positivamente normata,
anticipa sostanzialmente la valutazione di impatto, delibandone
l’opportunità, sulla base della ritenuta sussistenza prima facie dei
relativi presupposti, «con la conseguenza che l’attività economica,
libera sulla base della nostra Costituzione, non possa che svolgersi nel
pieno rispetto delle normative di tutela ambientale» (Tar Abruzzo
18.02.2013, n. 158; Tar Sardegna, sez. II, 30.03.2010, n. 412; Tar Friuli
Venezia Giulia 09.04.2013, n. 233).
Disquisire circa la necessità di esplicitare il grado di verificabilità del
nocumento ambientale in termini possibilistici, piuttosto che
probabilistici, equivale ad introdurre limitazioni alla discrezionalità
amministrativa non desumibili dalla norma che lo prevede: deve trattarsi di
un giudizio di prognosi, intrinseco alla sua effettuazione preventiva, in
forza del quale laddove per fattori obiettivamente esternati si ipotizzi la
lesività dell’intervento, appare corretto cautelarsi -rectius, più
propriamente, cautelare la collettività e quindi, in senso più ampio,
l’ambiente- non impedendone la realizzazione, ma semplicemente imponendo
l’approfondimento dei suoi esiti finali.
(2) Ha chiarito la Sezione che i criteri cui l’Autorità competente
deve attenersi nella valutazione di screening sono indicizzati al § 8,
nell’allegato V al d.lgs. n. 152/2006, cui l’art. 20 fa espresso richiamo,
unitamente alle osservazioni che chiunque vi abbia interesse abbia fatto
pervenire dopo la pubblicazione della progettualità.
Mancano indicatori obiettivi sia della negatività, sia del livello di
incidenza della stessa sull’ambiente, essendo rimesso alla più ampia
discrezionalità del valutatore il giudizio finale circa la potenziale
lesività per il contesto di ciascuna progettualità, ex se ovvero in
relazione allo stesso.
L’ampia discrezionalità che connota la relativa valutazione è riferita anche
alla scelta che l’autorità competente ha di richiedere, per una sola volta,
integrazioni documentali o chiarimenti al proponente, dato che l’art. 19,
d.lgs. n. 152 del 2006 la facoltizza espressamente, ma non la impone.
(3) Ad avviso della Sezione la particolare natura del procedimento
di screening, che non costituisce un vero e proprio diniego, ma solo la
decisione di sottoporre a procedimento di valutazione un determinato
progetto (Tar Catanzaro, sez. I, 30.03.2017, n. 536; Tar Bari, sez. I,
10.07.2012, n. 1394), giustifica l’omesso invio del preavviso di diniego ex
art. 10-bis, l. n. 241 del 1990.
Consentire, infatti, di fornire apporti e chiarimenti di carattere anche
tecnico al solo scopo di scongiurare più approfondite verifiche a tutela
dell’ambiente, oltre ad appesantire inutilmente il procedimento, finirebbe
per comprometterne la natura sommaria che necessariamente ne connota il
giudizio, comunque non preclusivo degli esiti finali
(Consiglio di Stato, Sez. II,
sentenza 07.09.2020 n. 5379 -
commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).
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SENTENZA
6. Oggetto dell’odierna controversia è la correttezza del
procedimento di valutazione preliminare (cd. screening), volto a decidere
l’assoggettamento o meno a V.I.A. di un determinato intervento, nel caso di
specie riferito alla realizzazione di una centrale fotovoltaica.
Trattasi di
una fase preliminare, ma non necessariamente propedeutica alla V.I.A., in
quanto funzionale proprio ad evitarne l’attivazione, la cui disciplina
procedurale è contenuta in dettaglio nell’art. 20 del d.lgs. n. 152/2006.
7. Al fine di compiutamente inquadrare l’odierna controversia, il Collegio
ritiene necessario premettere una breve ricostruzione della cornice
giuridica che governa la materia.
Il d.lgs. 03.04.2006, n. 152, cosiddetto Codice dell’Ambiente, dopo aver
tracciato nel Titolo I della Parte II le linee generali e definitorie degli
istituti della V.I.A., della V.A.S. (valutazione ambientale strategica) e
della autorizzazione integrata ambientale (A.I.A.), ne descrive
analiticamente il procedimento nelle disposizioni successive.
Per quanto qui di interesse, la V.I.A. è configurata come procedura
amministrativa di supporto per l’autorità competente finalizzata ad
individuare, descrivere e valutare gli impatti ambientali di un’opera, il
cui progetto è sottoposto ad approvazione o autorizzazione. In altri
termini, trattasi di un procedimento di valutazione ex ante degli
effetti prodotti sull’ambiente da determinati interventi progettuali, il cui
obiettivo è proteggere la salute umana, migliorare la qualità della vita,
provvedere al mantenimento delle specie, conservare la capacità di
riproduzione dell’ecosistema, promuovere uno sviluppo economico sostenibile
(cfr. art. 3, direttiva n. 85/337/CEE e successive modifiche apportate dalla
direttiva n. 97/11/CE).
Essa mira a stabilire, e conseguentemente governare in termini di soluzioni
più idonee al perseguimento di ridetti obiettivi di salvaguardia, gli
effetti sull’ambiente di determinate progettualità. Tali effetti,
comunemente sussumibili nel concetto di “impatto ambientale”, si
identificano nella alterazione “qualitativa e/o quantitativa, diretta ed
indiretta, a breve e a lungo termine, permanente e temporanea, singola e
cumulativa, positiva e negativa” che viene a prodursi sull’ambiente,
laddove quest’ultimo a sua volta è identificato in un ampio contenitore,
costituito dal “sistema di relazioni fra i fattori antropici,
naturalistici, chimico-fisici, climatici, paesaggistici, architettonici,
culturali, agricoli ed economici, in conseguenza dell’attuazione sul
territorio di piani o programmi o di progetti nelle diverse fasi della loro
realizzazione, gestione e dismissione, nonché di eventuali malfunzionamenti”
(art. 5, comma 1, lett. b) e c), del d.lgs. n. 152/2006).
8. Anche l’oggetto dello screening è, sostanzialmente, ridetto “impatto”,
ovvero “alterazione” dell’ambiente lato sensu inteso: solo che
esso svolge una funzione preliminare per così dire di “carotaggio”,
nel senso che “sonda” la progettualità e solo ove ravvisi
effettivamente una significatività della stessa in termini di incidenza
negativa sull’ambiente, impone il passaggio alla fase successiva della
relativa procedura; diversamente, consente di pretermetterla, con
conseguente intuibile risparmio, sia in termini di costi effettivi, che di
tempi di attuazione.
Lo screening, dunque, data la sua complessità e l’autonomia riconosciutagli
dallo stesso Codice ambientale che all’art. 20 (e, più di recente, all’art.
art. 9, d.lgs. del 16.06.2017, n. 104) ne disciplina lo svolgimento, è esso
stesso una procedura di valutazione di impatto ambientale, meno complessa
della V.I.A., la cui previsione risponde a motivazioni comprensibilmente
diverse. Per questo motivo è spesso definito in maniera impropria come un
subprocedimento della V.I.A., pur non essendo necessariamente tale. Esso è
qualificato altresì come preliminare alla V.I.A., dizione questa da
intendere solo in senso cronologico, stante che è realizzato
preventivamente, ma solo con riguardo a determinate tipologie di progetto
rispetto alle quali alla valutazione vera e propria si arriva in via
eventuale, in base cioè proprio all’esito in tal senso della verifica di
assoggettabilità.
Le categorie di progetti, quindi, che possono essere sottoposte alla
verifica di assoggettabilità coincidono con quelle rispetto alle quali la
V.I.A. è solo eventuale, ovvero, in estrema sintesi:
1) progetti elencati
nell’Allegato II al Codice che servono esclusivamente o essenzialmente per
lo sviluppo ed il collaudo di nuovi metodi o prodotti e non sono utilizzati
per più di due anni (screening di competenza statale);
2) modifiche dei
progetti elencati nell’Allegato II suscettibili di produrre effetti negativi
e significativi per l’ambiente (screening di competenza statale);
3)
progetti elencati nell’Allegato IV (screening di competenza regionale).
Nel caso di specie, come esplicitato nel provvedimento impugnato,
l’intervento è da ricondurre a questi ultimi, categoria progettuale di cui
al punto 2, lettera c), recante “Impianti industriali non termici per la
produzione di energia, vapore ed acqua calda con potenza complessiva
superiore a 1 MW”.
La verifica di assoggettabilità, dunque, non può essere considerata una fase
costitutiva ed imprescindibile della V.I.A., perché essa non deve essere
esperita sempre, ma solo rispetto ai progetti appena elencati. Ne
costituisce pertanto un elemento aggiuntivo eccezionale rispetto al normale
iter, che per gli altri progetti prende avvio con la presentazione della
relativa istanza.
8.1. La direttiva n. 2011/92/UE che ha armonizzato a livello comunitario la
disciplina della V.I.A., specifica che lo screening può essere realizzato o
mediante un’analisi caso per caso, oppure lasciando agli Stati membri la
possibilità di fissare delle soglie dimensionali rispetto alle quali
procedere o meno alla verifica di assoggettabilità.
Suddetta direttiva è molto chiara nello specificare che, anche qualora si
decidesse di fare riferimento ad un indicatore dimensionale, data la
rilevanza che riveste lo screening (perché in base al suo esito si decide se
procedere o meno ad effettuare la V.I.A.), occorrerebbe fare riferimento
comunque anche a specifici criteri di selezione. Pertanto non è possibile
escludere un progetto solo facendo riferimento alle sue dimensioni: occorre
avere una visione d’insieme. Indicazione questa di innegabile rilevanza ai
fini dello scrutinio della legittimità della decisione in termini di
assoggettamento.
I criteri in questione sono stati recepiti a livello nazionale nell’Allegato
V, Parte II, del Codice ambientale. Essi sono molteplici, e spaziano dalle
intrinseche caratteristiche del progetto (dimensioni, cumulo con altri
progetti, produzione di rifiuti, utilizzazione delle risorse naturali,
produzione di inquinamento e disturbi acustici, rischio di incidenti
concernenti le tecnologie o sostanze utilizzate); alla sua localizzazione
(capacità di assorbimento ambientale delle aree geografiche in cui verrà
situato l’impianto, effetti su riserve e parchi naturali, zone costiere e
montuose, zone a forte densità demografica); alle caratteristiche
dell’impatto potenziale (portata dell’impatto, probabilità di accadimento
dell’impatto, durata, frequenza e reversibilità dell’impatto).
La ratio è evidentemente quella di garantire per quanto possibile il più
elevato livello di tutela ambientale, senza tuttavia onerare inutilmente il
cittadino richiedente.
Il procedimento ha inizio con una fase introduttiva che consiste nella
presentazione dell’istanza di assoggettabilità all’autorità competente del
caso, con allegato il progetto preliminare, i cui contenuti saranno
ovviamente meno specifici rispetto a quanto richiesto in sede di V.I.A. vera
e propria. Segue poi una fase di pubblicità con la quale viene data
informazione dell’avvio della procedura, nella quale il soggetto proponente
ha l’obbligo di pubblicare un avviso circa l’effettivo deposito
dell’istanza, per quanto qui di interesse presso il Bollettino Ufficiale
della Regione e presso l’Albo Pretorio del Comune interessato per
territorio.
Entro un termine prestabilito (all’epoca dei fatti, 45 giorni) dalla
pubblicazione, l’autorità competente deve accertare se il progetto sia
suscettibile o meno di ripercussioni negative e apprezzabili sull’ambiente,
sulla base delle eventuali osservazioni presentate dai soggetti interessati,
ma anche, come già ricordato, degli indicatori oggettivi di tollerabilità
descritti nell’Allegato V del Codice.
Entro il medesimo lasso di tempo, può altresì richiedere, per una sola
volta, l’integrazione di documenti utili a formulare un giudizio di
esclusione o meno del progetto dalla procedura della V.I.A. Precisazione
questa non priva di rilievo per la corretta connotazione del procedimento de
quo, come meglio chiarito nel prosieguo.
9. Rileva dunque la Sezione come i presupposti per la V.I.A. siano
oggettivi, e riposino nel ricadere o meno di un certo progetto fra le
tipologie per le quali la normativa contenuta nel d.lgs. n. 152 del 2006, o
nelle leggi regionali, contempla la verifica ambientale, obbligatoriamente,
ovvero facoltativamente, imponendo il legislatore la preliminare verifica di
assoggettabilità (sul punto cfr. Cons. Stato, sez. IV, 12.05.2014, n. 2403).
Quanto detto rende evidente la peculiarità dell’autonomia del procedimento
di screening, che non si conclude mai con un diniego di V.I.A., bensì con un
giudizio di necessità di sostanziale approfondimento. In altre parole, il
rapporto tra i due procedimenti appare configurabile graficamente in termini
di cerchi concentrici caratterizzati da un nucleo comune rappresentato dalla
valutazione della progettualità proposta in termini di negativa incidenza
sull’ambiente, nel primo caso in via sommaria e, appunto, preliminare, nel
secondo in via definitiva, con conseguente formalizzazione del provvedimento
di avallo o meno della stessa.
La “verifica di assoggettabilità”, come positivamente normata,
anticipa sostanzialmente la valutazione di impatto, delibandone
l’opportunità, sulla base della ritenuta sussistenza prima facie dei
relativi presupposti, «con la conseguenza che l’attività economica,
libera sulla base della nostra Costituzione, non possa che svolgersi nel
pieno rispetto delle normative di tutela ambientale» (TAR Abruzzo,
L’Aquila, 18.02.2013, n. 158; TAR Sardegna, sez. II, 30.03.2010 n. 412; TAR
Friuli Venezia Giulia, 09.04.2013, n. 233).
10. Quanto detto consente di collocare correttamente il richiamo da parte
dell’appellante ai principi europei di precauzione e prevenzione, quali
necessario postulato del giudizio, solo ipotetico, di nocività per
l’ambiente sotteso alla procedura di assoggettabilità.
Se è vero, infatti, che essi non possono essere intesi nel senso della
meccanicistica imposizione della V.I.A. ogniqualvolta insorga un -peraltro
immotivato- dubbio sulla probabilità di danno all’ambiente, con ciò
vanificando la portata della specifica disciplina; lo è egualmente che la
logica di tutela dell’ambiente, e non certo di punizione, sottesa
all’assoggettamento a V.I.A., non può non orientare verso la stessa in tutti
i casi in cui si ritenga necessario un approfondimento progettuale ben più
pregnante della mera integrazione e chiarimento richiedibile in fase di
screening.
Disquisire circa la necessità di esplicitare il grado di verificabilità del
nocumento ambientale in termini possibilistici, piuttosto che
probabilistici, equivale ad introdurre limitazioni alla discrezionalità
amministrativa non desumibili dalla norma: è chiaro, infatti, che deve
trattarsi di un giudizio di prognosi, intrinseco alla sua effettuazione
preventiva; ma lo è altrettanto che laddove per fattori obiettivamente
esternati se ne ipotizzi la lesività, appare corretto cautelarsi -rectius,
più propriamente, cautelare la collettività e quindi, in senso più ampio,
l’ambiente- non impedendo la realizzazione dell’intervento, ma semplicemente
imponendo l’approfondimento dei suoi esiti finali.
Ove, infatti, si aderisse alla tesi opposta, ovvero si pretendesse nella
fase di screening lo stesso approfondimento di potenziale lesività
ambientale che connota la V.I.A. vera e propria, non se ne comprenderebbe la
reiterazione in tale fase successiva, ridotta sostanzialmente ad un inutile
duplicato di quanto già preliminarmente accertato.
La sottoposizione a V.I.A., dunque, ben può conseguire ad una scelta di
cautela, seppur adeguatamente motivata in relazione a fattori di oggettiva
pericolosità rivenienti dagli indici di cui all’Allegato V al Codice
ambientale, stante che ciò implica solo il rinvio ad un più approfondito
scrutinio della progettualità proposta, che dalle ragioni dello stesso non
risulta comunque in alcun modo condizionata.
11. I criteri cui l’Autorità competente deve attenersi nella valutazione di
screening sono indicizzati, come già chiarito al § 8, nell’allegato V al
d.lgs. n. 152/2006, cui l’art. 20 fa espresso richiamo, unitamente alle
osservazioni che chiunque vi abbia interesse abbia fatto pervenire dopo la
pubblicazione della progettualità. Non è chi non veda come manchino
indicatori obiettivi sia della negatività, sia del livello di incidenza
della stessa sull’ambiente, essendo rimesso alla più ampia discrezionalità
del valutatore il giudizio finale circa la potenziale lesività per il
contesto di ciascuna progettualità, ex se ovvero in relazione allo
stesso.
Ne emerge tuttavia la necessità che si addivenga ad un giudizio di natura
complessiva, di compatibilità ambientale, appunto, all’interno del quale
l’impatto sul paesaggio non esaurisce tutte le possibili sfaccettature, ma
non per questo soltanto si palesa insufficiente a motivare non una
valutazione negativa, bensì la necessità di effettuazione della stessa. In
sintesi, l’accentuata rilevanza data alla tutela del paesaggio quale mera
componente dell’ambiente complessivamente inteso, comprensivo delle istanze
economiche che confluiscono al suo interno, non inficia di per sé il
provvedimento impugnato.
Ciò sia perché la stessa nozione di paesaggio cui il parere -e
conseguentemente il provvedimento finale– fa riferimento è intesa in senso
letterale, piuttosto che giuridico, essendosi dato espressamente atto che “l’area
occupata dall’impianto in oggetto non ricade all’interno di una zona
vincolata, ma insiste in un ambito territoriale [solo] adiacente un’area
boscata sottoposta [essa sì] a tutela paesaggistica ai sensi dell’art. 142,
comma 1, lett. g), del D.Lgs. n. 42/2004”; sia perché tale parere, e la
sottesa salvaguardia del paesaggio rurale, che la zona interessata
dall’intervento rischia di incidere negativamente, non costituisce l’unica
motivazione della scelta effettuata dalla Regione, ancorché ne rappresenti
la parte maggiormente sviluppata.
12. Vero è che l’Amministrazione, nel formulare il giudizio sull’impatto
ambientale, esercita un’amplissima discrezionalità che non si esaurisce in
una mera valutazione tecnica, come tale suscettibile di verificazione tout
court sulla base di oggettivi criteri di misurazione, ma presenta al
contempo profili particolarmente intensi di discrezionalità amministrativa
ed istituzionale in relazione all’apprezzamento degli interessi pubblici e
privati coinvolti, con la conseguenza che il sindacato del giudice
amministrativo in materia è necessariamente limitato alla manifesta
illogicità ed incongruità, al travisamento dei fatti o a macroscopici
difetti di istruttoria (come nei casi in cui l’istruttoria sia mancata o sia
stata svolta in modo inadeguato, e sia perciò evidente lo sconfinamento del
potere discrezionale riconosciuto all’Amministrazione: cfr., Cons. St., sez.
V, 27.03.2013, n. 1783 e sez. VI, 11.02.2004, n. 458; TAR Lombardia, sez.
III, 08.03.2013, n. 627) o quando l’atto sia privo di idonea motivazione,
dato che il modello procedimentale vigente nel nostro ordinamento impone
all’autorità procedente di esplicitare le ragioni sulla base delle quali è
stata effettuata la comparazione tra i benefici dell’opera da un lato e,
dall’altro, i potenziali impatti pregiudizievoli per l’ambiente, con
riferimento ai contributi istruttori acquisiti nel corso del procedimento
(v. TAR Marche, 09.01.2014 n. 31).
Discrezionalità, rileva ancora il Collegio, ancor più rilevante con
riferimento alla fase di screening, connotata da una sostanziale sommarietà,
e, conseguentemente, doverosamente ispirata a più rigorose esigenze di
cautela: in pratica, la soglia di negatività ed incisività dell’impatto può
paradossalmente essere ritenuta travalicabile con margini più ampi in sede
di delibazione preliminare, proprio perché di per sé non preclusiva degli
esiti della successiva V.I.A.
13. Il Consiglio di Stato ha già avuto modo di affermare, con orientamento
che la Sezione condivide, che «fin dal loro ingresso nell’ordinamento
(D.P.R. 12.04.1996), le procedure di VIA e di screening, pur inserendosi
sempre all’interno del più ampio procedimento di realizzazione di un’opera o
di un intervento, sono state considerate da dottrina e giurisprudenza
prevalenti come dotate di autonomia, in quanto destinate a tutelare un
interesse specifico (quello alla tutela dell’ambiente), e ad esprimere al
riguardo, specie in ipotesi di esito negativo, una valutazione definitiva,
già di per sé potenzialmente lesiva dei valori ambientali» (Cons. Stato,
sez. IV, 03.03.2009, n. 1213).
Questo è il motivo per il quale anche gli atti conclusivi della procedura di
screening, seppure connotati dal rilevato grado di provvisorietà,
nell’accezione meglio esplicitata, sono stati ritenuti immediatamente
impugnabili dai soggetti interessati alla protezione di quei valori, ovvero
dal privato che ritenga immotivato l’aggravio procedurale impostogli. Con
ciò erroneamente connotando in termini di indebito onere aggiuntivo, ciò che
costituisce la regola a tutela dell’ambiente, nonché evidentemente
confondendo la -spesso lamentata- farraginosità e lunghezza del procedimento
di V.I.A. (sul quale, pertanto, il legislatore è reiteratamente intervenuto
con finalità di semplificazione), con la essenziale finalità di tutela
ambientale che ne connota l’avvenuta introduzione.
La direttiva n. 85/337/CEE (successivamente modificata dalla direttiva n.
97/11/CE), ispirata al modello statunitense di Environmental Impact
Statement e a quello francese di Étude d’Impact, nel disporre
l’obbligatorietà dell’istituto per tutti gli Stati membri, ha individuato
nella valutazione di un progetto, sia un profilo oggettivo, facente
riferimento alla possibile incidenza di un progetto su diversi fattori, che
un profilo esecutivo, consistente nell’individuazione di effetti negativi e
di portata considerevole sul patrimonio ambientale. Entrambi i profili sono
stati recepiti al livello nazionale nell’attuale Codice ambientale che, come
visto, non solo definisce la V.I.A. e il relativo procedimento, ma ne
declina anche l’ambito di azione, delineando altresì nello stesso modo il
giudizio preventivo di assoggettabilità.
14. L’art. 20 del d.lgs. n. 152/2006, relativo al procedimento di verifica
di assoggettabilità, ha subìto successive interpolazioni volte a
semplificarne lo svolgimento e renderne più certe le scansioni temporali, a
riprova della ritenuta strategicità dello stesso nell’ambito della
progettualità privata. Non a caso, sulla norma si è da ultimo intervenuti
anche con il d.l. 16.07.2020, n. 76, recante “Misure urgenti per la
semplificazione e l’innovazione digitale”.
Per quanto qui di interesse, è in contestazione l’applicabilità o meno della
versione novellata con d.lgs. 29.06.2010, n. 128, con ciò implicitamente
lasciando intendere di individuare nelle modifiche apportate una richiesta
di maggior pregnanza del giudizio preliminare. La riforma, tuttavia, ha
inciso anche sulla più generale parte definitoria, integrando, ad esempio,
l’art. 6, comma 5, del d.lgs. n. 152/2006 con l’introduzione accanto
all’aggettivo “significativi” con il quale erano connotati gli
impatti ambientali del progetto esaminando nella V.I.A. vera e propria,
anche quello “negativi”. Tale endiadi che vuole verificato sia il
disvalore dell’intervento in termini qualitativi, sia l’entità dello stesso
in termini quantitativi (la significatività, appunto) connota dunque tanto
la valutazione preliminare, che la V.I.A.
In effetti a ben guardare la vera portata della novella non si concretizza
certo e solo nella modificata aggettivazione, bensì in più radicali
interventi, anche definitori (si pensi alla nuova stesura della stessa
dizione di V.I.A.), nonché di modifica dei presupposti di utilizzabilità
della delibazione preliminare (comma 7).
La necessità, dunque, che si sommi un giudizio di valore in assoluto ad un
giudizio di “intensità”, non costituisce una novità del legislatore
del 2010, che coglie l’occasione della riforma per un’operazione di generale
restyling in termini di drafting, caso mai confermando la
omogeneità oggettiva dei procedimenti in esame. In sintesi, l’intensità
crescente del giudizio, sostanzialmente identico per contenuto, costituisce
il discrimine, comprensibilmente chiaroscurale, tra possibilità di arresto
al primo step e passaggio doveroso alla fase successiva.
Da qui, sotto tale profilo, la neutralità della riforma agli effetti in
controversia, come da ultimo riconosciuto dalla stessa Regione appellante.
15. Afferma dunque la Regione che al caso di specie troverebbe applicazione
l’art. 20 del d.lgs. n. 152/2006 nella versione previgente alla novella
apportata con il d.lgs. n. 128/2010. Ciò in quanto l’art. 4, comma 4, dello
stesso prevede un termine di dodici mesi entro il quale le Regioni e le
Province autonome avrebbero dovuto adeguare i propri ordinamenti, cosa che
la regione Umbria ha fatto solo con la delibera di Giunta n. 861 del
26.07.2011, successiva all’adozione del provvedimento impugnato.
La
ricostruzione proposta troverebbe conforto anche nella disciplina
transitoria generale contenuta nell’art. 35 del d.lgs. n. 152/2006, che
demanda egualmente alle Regioni l’onere “ove necessario” di adeguare
i propri ordinamenti alle disposizioni del medesimo Testo unico ambientale.
L’assunto non è condivisibile.
Come correttamente richiamato dal giudice di prime cure, solo le procedure
di V.A.S., V.I.A. ed A.I.A. avviate precedentemente all’entrata in vigore
del decreto dovevano essere concluse ai sensi delle norme vigenti al momento
dell’avvio del procedimento, giusta l’esplicita previsione in tal senso
contenuta nel comma 5 del richiamato art. 4 del d.lgs. n. 128/2010.
Nel caso di specie, se è vero che l’istanza originaria era stata presentata
il 02.02.2010, lo è altrettanto che essa è stata interamente sostituita, a
seguito di interlocuzioni con l’Amministrazione, con una nuova del
30.03.2011, che ha comportato la riduzione della potenza originaria da Kw.
5.896,80 a 4.999, progettualità intorno alla quale si è sviluppato l’intero
procedimento in contestazione. Al di fuori di tale specifica indicazione
derogatoria, non possono che valere i principi generali del tempus regit
actum rivenienti dall’art. 10 delle disposizioni preliminari al codice
civile.
Né in senso contrario può essere intesa la disciplina di cui all’art. 35 del
T.U.A., che impone l’onere alle Regioni di adeguare i propri ordinamenti ai
principi della cornice nazionale, con salvezza, nelle more di ridetto
adeguamento, delle disposizioni locali comunque già compatibili con la
stessa. Di ciò peraltro è data conferma finanche nella invocata normativa
regionale attuativa, che secondo l’Amministrazione appellante
condizionerebbe l’entrata in vigore della novella: la delibera n. 861/2011,
infatti, individua nell’immediato accorgimenti tecnici da seguire nelle
procedure de quibus allo scopo di garantire da subito una minima
conformazione alle (vigenti) indicazioni nazionali, nelle more
dell’adeguamento normativo previsto.
Per tale ragione, il primo motivo di appello deve essere respinto,
confermandosi sul punto la ricostruzione effettuata dal giudice di prime
cure.
16. Occorre ancora ricordare il fatto che la nozione di “ambiente”
con riferimento alla quale valutare, in via preliminare o meno, l’impatto, è
assai più ampia di quella di paesaggio, implicando peraltro una
contestualizzazione dell’intervento in chiave anche comparativa con i
benefici rivenienti dalla sua realizzazione, siccome peraltro derivante
anche dal ricostruito quadro normativo. Correttamente, pertanto, il TAR ne
afferma tale portata più generale: salvo tuttavia argomentare in senso
critico nei confronti del parere del responsabile del Servizio VII, in
quanto incentrato esclusivamente su tale esigenza di salvaguardia e per
giunta contraddittoriamente formulato in termini di proposte integrazioni
progettuali.
La determinazione dirigenziale n. 4915 del 06.07.2011, tuttavia,
diversamente da quanto affermato dal primo giudice, dopo aver ricostruito i
passaggi procedurali seguiti, ivi compreso l’esito, sostanzialmente
infruttuoso per assenza di partecipanti, della Conferenza istruttoria del
09.06.2011, richiama espressamente i pareri definitivi del Servizio “Geologico
e sismico” (prot. n. 82502 del 06.06.2011), del Servizio “Qualità
dell’ambiente, gestione rifiuti ed attività estrattive” (prot. n. 86832
del 16.06.2011) e del Servizio “Risorse idriche e rischio idraulico”
(prot. 84830 del 14.06.2011), almeno due dei quali egualmente indirizzati
alla necessità di sottoporre il progetto a V.I.A. In particolare, il primo
di essi, dopo aver ricordato la presenza nella zona di una frana quiescente
e di fenomeni di ruscellamento e di erosione lineare, conclude affermando a
chiare lettere tale necessità, a prescindere dalla allocazione dell’impianto
direttamente sulla zona in questione, ovvero in area limitrofa, sulla base
peraltro di richiamate verifiche tecniche.
Il TAR per l’Umbria, tuttavia, nel non dare rilievo alla sommatoria di tali
risultanze istruttorie, tutte richiamate per relationem nella
motivazione dell’atto avversato, concentrandosi sulla asserita “centralità”
-rectius, esclusività- del parere, pure esaustivo, del Servizio VII,
omette di evidenziare le altre circostanze rivenienti da quest’ultimo. In
esso infatti, oltre a richiamare gli elementi qualificanti per il paesaggio,
seppur non vincolati, quali “formazioni lineari arborate e qualche quercia
isolata” si evidenzia anche che “in prossimità dell’area di intervento è
stato già realizzato un impianto fotovoltaico che non risulta essere
progettualmente considerato nella valutazione dell’impatto paesaggistico
visivo prodotto dall’effetto cumulo di più impianti”. Cumulo che, come
già detto, costituisce uno degli indici di localizzazione espressamente
individuati Allegato V al T.U.A. al fine di indirizzare lo screening.
17. Afferma ancora l’art. 20 del d.lgs. n. 152/2006 che l’autorità
competente può, per una sola volta, richiedere integrazioni documentali o
chiarimenti al proponente; a contrario, essa non può imporre prescrizioni,
siccome sarebbe accaduto nel caso di specie recependo le indicazioni in tal
senso contenute nel parere del Servizio VII (quali, ad esempio, la creazione
di schermature vegetali per migliorare l’impatto visivo, utilizzando essenze
autoctone con ecotipi locali).
Il Collegio, pur condividendo la rilevata ridondanza del parere utilizzato,
non ritiene di poterne trarre le medesime conclusioni. Il rilevato impatto
sul paesaggio, infatti, è descrittivamente enfatizzato indicando i possibili
rimedi alla alterazione della visuale: ciò non ne implica affatto
l’imposizione in termini di modifica progettuale alla parte, rispondendo
piuttosto alla logica di evidenziare le criticità, attraverso la
prospettazione dei rimedi, necessari proprio in ragione della loro ritenuta
sussistenza.
In sintesi, nessuna prescrizione è stata concretamente imposta
alla parte, per l’evidente ragione che in sede di screening solo l’esito
positivo ne avrebbe consentito la formulazione, per corroborare la scelta
minimalista effettuata. Il che non si è verificato nel caso di specie.
18. E’ dunque fondato il secondo motivo di appello con il quale si sostiene
la esaustività della motivazione del provvedimento impugnato: diversamente
da quanto affermato dal TAR, infatti, l’atto trae fondamento nel parere
negativo di ben tre dirigenti di settore, tra i quali anche, ma non solo,
quello del Servizio “Valorizzazione e tutela del paesaggio, tecnologie
dell’informazione”, del quale viene mutuato anche il contenuto
propositivo, non assimilabile all’imposizione di prescrizioni.
E’ la convergenza di tutti i fattori critici rivenienti da tali pareri che
determina la negatività del giudizio e la sua consistente incidenza: da un
lato, dunque, si stigmatizza l’impatto visivo della progettualità proposta,
dall’altro se ne evoca quello ambientale sotto il profilo geologico e
geomorfologico ovvero l’estensione in relazione alla presenza nelle
vicinanze di centri abitati. La semplice lettura, sia del provvedimento
impugnato sia dei pareri richiamati, consente di rilevare come la
valutazione di assoggettare a V.I.A. il progetto presentato dalla Società
sia stata motivata adducendo una pluralità di argomentazioni, peraltro
queste ultime espressamente menzionate dalla stessa ricorrente nel ricorso
di primo grado, al termine di una complessa attività istruttoria.
Alla conclusione di detto iter procedimentale sono stati individuati gli
impatti sull’ambiente del progetto così determinati: 1) dalle possibili
problematiche di tipo geologico e geomorfologiche; 2) dall’impatto sulla
visuale, in ragione dello stato dei luoghi e delle zone vicine; 3) dalla
necessità di cumulare tale impatto con la presenza di un altro impianto,
siccome previsto espressamente dall’Allegato V al T.U.A..
Ne consegue che, in presenza di un numero così ampio di elementi, ciascuno
di essi sufficiente a far ritenere sussistente una situazione di potenziale
rischio per l’ambiente, inclusivo del paesaggio, che non ne esaurisce la
portata ma può assumere rilevanza predominante -elementi così determinati a
seguito di un contraddittorio con la ricorrente, che ha ampiamente
modificato la progettualità- la Regione Umbria ha ritenuto di emanare il
provvedimento di assoggettamento a V.I.A. ora impugnato.
La fondatezza di tali argomentazioni, la cui censura originaria, non
scrutinata dal TAR perché assorbita nella decisione di accoglimento, neppure
risulta ritualmente riproposta in questa sede dalla Società appellata, non è
peraltro più in discussione, essendosene consolidata la portata con il
passaggio in giudicato in parte qua della sentenza impugnata.
19. L’ampia ricostruzione effettuata, consente di respingere anche
l’ulteriore censura, concernente il mancato inoltro del preavviso di diniego
ex art. 10-bis della l. n. 241/1990. Il Collegio peraltro ben conosce il
diverso orientamento in forza del quale la autonomia dello stesso e la
immediata lesività degli interessi di parte imporrebbe comunque tale
garanzia partecipativa, allo scopo di acquisire elementi potenzialmente
utili alla decisione.
Coerentemente con quanto sopra detto, tuttavia, la Sezione ritiene piuttosto
di aderire, ampliandola, alla diversa prospettazione in forza della quale la
mancanza di un esito finale negativo rende il provvedimento impugnato
ontologicamente incompatibile con la necessità del relativo preavviso. Nel
giudizio di screening, infatti, non si addiviene ad un vero e proprio
diniego, ma solo alla decisione di sottoporre a procedimento di valutazione
un determinato progetto (cfr. TAR Calabria, sez. I, 30.03.2017, n. 536; TAR
Puglia, sez. I, 10.07.2012, n. 1394).
A ben guardare, nessuna illegittimità, d’altra parte, può discendere dal
fatto, in sé considerato, che la società non sia stata richiesta di fornire
chiarimenti e dettagli di carattere tecnico o di altra natura, giacché non
risulta che vi siano norme che impongano all’amministrazione pubblica di
agire in questo senso. La facoltà, non obbligo, di richiedere per una sola
volta integrazioni o chiarimenti alla parte, implica se mai la scelta
inversa da parte del legislatore, che in tale momento preliminare ha rimesso
alla discrezionalità dell’Amministrazione procedente anche la scelta di
allungare i tempi dell’istruttoria, con il coinvolgimento della parte,
ovvero addivenire comunque al diniego, non della V.I.A., ma della mera
possibilità di pretermettere la stessa.
L’omesso preavviso di rigetto ex art. 10-bis della l. n. 241 del 1990, non è
invocabile non solo per i provvedimenti di carattere vincolato, ma anche per
quelli connotati ex lege da tratti di assoluta specialità, come
pertanto riscontrabile nel caso di specie. La ribadita autonomia del
procedimento di screening, infatti, non ne consente comunque lo snaturamento
contenutistico, che resta quello di un –eventuale- passaggio intermedio
verso la V.I.A. completa, al cui interno verranno recuperate tutte le
necessarie istanze partecipative, e gli apporti contributivi che la parte
vorrà addurre, in quanto essa sì risolvibile in un atto di diniego.
In sintesi, consentire di fornire apporti e chiarimenti di carattere anche
tecnico al solo scopo di scongiurare più approfondite verifiche a tutela
dell’ambiente, oltre ad appesantire inutilmente il procedimento, finirebbe
per comprometterne la natura sommaria che necessariamente ne connota il
giudizio, comunque non preclusivo degli esiti finali.
20. Alla stregua dei rilievi fin qui svolti, s’impone una decisione di
accoglimento dell’appello, con riforma della sentenza impugnata e reiezione
del ricorso di primo grado. |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI:
FAUNA E FLORA Conservazione degli habitat naturali e della
flora e della fauna selvatiche – AREE PROTETTE – Zone
speciali di conservazione – VIA VAS AIA – Realizzazione di
una tratta stradale – Valutazione dell’incidenza di tale
progetto sulla zona speciale di conservazione interessata –
Autorizzazione – Motivi imperativi di rilevante interesse
pubblico – Rinvio pregiudiziale – Ambiente – Direttiva
92/43/CEE.
L’articolo 6 della direttiva 92/43/CEE
del Consiglio, del 21.05.1992, relativa alla conservazione
degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della
fauna selvatiche, dev’essere interpretato nel senso che esso
non osta a una normativa nazionale che consente la
prosecuzione, per motivi imperativi di rilevante interesse
pubblico, della procedura di autorizzazione di un piano o di
un progetto la cui incidenza su una zona speciale di
conservazione non possa essere mitigata e sul quale
l’autorità pubblica competente abbia già espresso parere
negativo, a meno che non esista una soluzione alternativa
che comporta minori inconvenienti per l’integrità della zona
interessata, circostanza che spetta al giudice del rinvio
verificare.
Qualora un piano o un progetto abbia formato oggetto, in
applicazione dell’articolo 6, paragrafo 3, della direttiva
92/43, di una valutazione negativa quanto alla sua incidenza
su una zona speciale di conservazione e lo Stato membro
interessato abbia comunque deciso, ai sensi del paragrafo 4
di detto articolo, di realizzarlo per motivi imperativi di
rilevante interesse pubblico, l’articolo 6 di tale direttiva
dev’essere interpretato nel senso che esso osta a una
normativa nazionale la quale consente che detto piano o
progetto, dopo la sua valutazione negativa ai sensi del
paragrafo 3 di detto articolo e prima della sua adozione
definitiva in applicazione del paragrafo 4 del medesimo, sia
completato con misure di mitigazione della sua incidenza su
tale zona e che la valutazione di detta incidenza venga
proseguita.
L’articolo 6 della direttiva 92/43 non osta invece, nella
stessa ipotesi, a una normativa che consente di definire le
misure di compensazione nell’ambito della medesima
decisione, purché siano soddisfatte anche le altre
condizioni di attuazione dell’articolo 6, paragrafo 4, di
tale direttiva.
...
VIA VAS AIA – Prescrizioni, osservazioni e raccomandazioni
di carattere paesaggistico e ambientale – Studio
dell’incidenza del piano o del progetto – Valutazione di
incidenza – Giurisprudenza.
La direttiva 92/43 dev’essere
interpretata nel senso che essa non osta a una normativa
nazionale che prevede che il soggetto proponente realizzi
uno studio dell’incidenza del piano o del progetto di cui
trattasi sulla zona speciale di conservazione interessata,
sulla base del quale l’autorità competente procede alla
valutazione di tale incidenza.
Tale direttiva osta invece a una normativa nazionale che
consente di demandare al soggetto proponente di recepire,
nel piano o nel progetto definitivo, prescrizioni,
osservazioni e raccomandazioni di carattere paesaggistico e
ambientale dopo che quest’ultimo abbia formato oggetto di
una valutazione negativa da parte dell’autorità competente,
senza che il piano o il progetto così modificato debba
costituire oggetto di una nuova valutazione da parte di tale
autorità.
La direttiva 92/43 dev’essere interpretata nel senso che
essa, pur lasciando agli Stati membri il compito di
designare l’autorità competente a valutare l’incidenza di un
piano o di un progetto su una zona speciale di conservazione
nel rispetto dei criteri enunciati dalla giurisprudenza
della Corte, osta invece a che una qualsivoglia autorità
prosegua o completi tale valutazione, una volta che quest’ultima
sia stata realizzata (Corte
di Giustizia UE, Sez. VI,
sentenza 16.07.2020 n. C‑411/19 - link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: La
CGUE si esprime sui limiti entro i quali può superarsi il parere negativo in
materia ambientale per realizzare opere di rilevante interesse nazionale.
Secondo la Corte di giustizia UE è compatibile con il diritto europeo e, in
particolare, con la direttiva 92/43/CEE del Consiglio, del 21.05.1992,
relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e
della flora e della fauna selvatiche, la normativa dello Stato membro nella
parte in cui consente di superare il parere negativo dell’autorità
competente in materia ambientale, in merito alla realizzazione di un’opera
infrastrutturale, di rilevante interesse nazionale, che coinvolga un’area
naturale protetta.
---------------
Ambiente – Direttiva habitat – Valutazione di incidenza negativa –
Superamento
1) L’articolo 6 della direttiva
92/43/CEE del Consiglio, del 21.05.1992, relativa alla conservazione degli
habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche, dev’essere
interpretato nel senso che esso non osta a una normativa nazionale che
consente la prosecuzione, per motivi imperativi di rilevante interesse
pubblico, della procedura di autorizzazione di un piano o di un progetto la
cui incidenza su una zona speciale di conservazione non possa essere
mitigata e sul quale l’autorità pubblica competente abbia già espresso
parere negativo, a meno che non esista una soluzione alternativa che
comporta minori inconvenienti per l’integrità della zona interessata,
circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare.
2) Qualora un piano o un progetto abbia formato oggetto, in
applicazione dell’articolo 6, paragrafo 3, della direttiva 92/43, di una
valutazione negativa quanto alla sua incidenza su una zona speciale di
conservazione e lo Stato membro interessato abbia comunque deciso, ai sensi
del paragrafo 4 di detto articolo, di realizzarlo per motivi imperativi di
rilevante interesse pubblico, l’articolo 6 di tale direttiva dev’essere
interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale la quale
consente che detto piano o progetto, dopo la sua valutazione negativa ai
sensi del paragrafo 3 di detto articolo e prima della sua adozione
definitiva in applicazione del paragrafo 4 del medesimo, sia completato con
misure di mitigazione della sua incidenza su tale zona e che la valutazione
di detta incidenza venga proseguita.
L’articolo 6 della direttiva 92/43 non osta invece, nella stessa ipotesi, a
una normativa che consente di definire le misure di compensazione
nell’ambito della medesima decisione, purché siano soddisfatte anche le
altre condizioni di attuazione dell’articolo 6, paragrafo 4, di tale
direttiva.
3) La direttiva 92/43 dev’essere interpretata nel senso che essa
non osta a una normativa nazionale che prevede che il soggetto proponente
realizzi uno studio dell’incidenza del piano o del progetto di cui trattasi
sulla zona speciale di conservazione interessata, sulla base del quale
l’autorità competente procede alla valutazione di tale incidenza.
Tale direttiva osta invece a una normativa nazionale che consente di
demandare al soggetto proponente di recepire, nel piano o nel progetto
definitivo, prescrizioni, osservazioni e raccomandazioni di carattere
paesaggistico e ambientale dopo che quest’ultimo abbia formato oggetto di
una valutazione negativa da parte dell’autorità competente,
senza che il piano o il progetto così modificato debba costituire oggetto di
una nuova valutazione da parte di tale autorità.
4) La direttiva 92/43 dev’essere interpretata nel senso che essa,
pur lasciando agli Stati membri il compito di designare l’autorità
competente a valutare l’incidenza di un piano o di un progetto su una zona
speciale di conservazione nel rispetto dei criteri enunciati dalla
giurisprudenza della Corte, osta invece a che una qualsivoglia autorità
prosegua o completi tale valutazione, una volta che quest’ultima sia stata
realizzata. progettista indicato, nell’accezione e nella terminologia
dell’articolo 53, comma, del decreto legislativo n. 163 del 2006, va
qualificato come professionista esterno incaricato di redigere il progetto
esecutivo.
Pertanto non rientra nella figura del concorrente né tanto meno in quella di
operatore economico, nel significato attribuito dalla normativa interna e da
quella dell’Unione europea. Sicché non può utilizzare l’istituto dell’avvalimento
per la doppia ragione che esso è riservato all’operatore economico in senso
tecnico e che l’avvalimento cosiddetto “a cascata” era escluso anche nel
regime del codice dei contratti pubblici, ora abrogato e sostituito dal
decreto legislativo n. 50 del 2016, che espressamente lo vieta (1).
---------------
(1) I. – La Corte di
giustizia UE ha ritenuto compatibile con l’art. 6 della direttiva 92/43/CEE
del Consiglio, del 21.05.1992, relativa alla conservazione degli habitat
naturali e seminaturali e delle flora e della fauna selvatiche, la normativa
nazionale che consente la prosecuzione, per motivi imperativi di rilevante
interesse pubblico, della procedura di autorizzazione di un piano o di un
progetto la cui incidenza su una zona speciale di conservazione non possa
essere mitigata e sul quale l’autorità pubblica competente abbia già
espresso parere negativo, a meno che non esista una soluzione alternativa
che comporta minori inconvenienti per l’integrità della zona interessata,
circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare.
Le questioni sono state rimesse all’attenzione della Corte dal
Tar per il Lazio, sez. I, ordinanza, 24.01.2019, n. 908 (oggetto
della
News US, n. 113 del 28.10.2019; cui si rinvia, oltre che per la
descrizione della vicenda sottesa:
§ i), sulla giurisprudenza in tema di valutazione di incidenza;
§ j), sulla giurisprudenza che si è espressa sulla disposizione derogatoria,
rispetto al criterio della positiva valutazione di incidenza, di cui
all’art. 6, par. 4, della direttiva 92/43/1992; § k), sulle direttive “habitat”
e “uccelli”;
§ m), sulla V.i.a. postuma).
In particolare, secondo la Corte, qualora un piano o un progetto abbia
formato oggetto di valutazione negativa, quanto alla sua incidenza su una
zona speciale di conservazione, e lo Stato abbia comunque deciso di
realizzarlo per motivi di rilevante interesse pubblico, l’art. 6 della
direttiva:
a) osta a una normativa nazionale che:
a1) consente che il piano sia completato con
misure di mitigazione della sua incidenza su tale zona e che la valutazione
di detta incidenza venga proseguita;
a2) consente di demandare al soggetto proponente
di recepire nel piano o nel progetto definitivo, prescrizioni, osservazioni
e raccomandazioni di carattere paesaggistico e ambientale dopo che quest’ultimo
abbia formato oggetto di una valutazione negativa da parte dell’autorità
competente, senza che il piano o il progetto così modificato debba
costituire oggetto di una nuova valutazione da parte di tale autorità;
b) non osta a una normativa nazionale che:
b1) consente di definire le
misure di compensazione nell’ambito della medesima decisione, purché siano
soddisfatte anche le altre condizioni previste dall’art. 6, par. 4, della
direttiva;
b2) prevede che il soggetto
proponente realizzi uno studio dell’incidenza del piano o del progetto di
cui si tratta sulla zona speciale di conservazione interessata, sulla base
del quale l’autorità competente procede alla valutazione della incidenza;
c) pur lasciando agli Stati membri il compito di
designare l’autorità competente a valutare l’incidenza di un piano o di un
progetto su una zona speciale di conservazione nel rispetto dei criteri
enunciati dalla giurisprudenza della Corte, osta invece a che una
qualsivoglia autorità prosegua o completi tale valutazione, una volta che
quest’ultima sia stata realizzata.
II. – Con la sentenza in rassegna il collegio, dopo aver
ricostruito la vicenda processuale ed esaminato la normativa nazionale ed
europea di riferimento, ha osservato quanto segue:
d) con la prima e la seconda questione, il
giudice del rinvio chiede se l’art. 6 della direttiva “habitat”, in
combinato disposto con la direttiva 2009/147/CE, debba essere interpretato
nel senso che esso osta a una normativa nazionale che consente la
prosecuzione, per motivi imperativi di rilevante interesse pubblico, della
procedura di autorizzazione di un piano o di un progetto la cui incidenza su
una zona speciale di conservazione non possa essere mitigata e sul quale
l’autorità pubblica competente abbia già espresso negativo, laddove esista
una soluzione alternativa già approvata dal punto di vista ambientale;
e) in base alla direttiva “habitat”:
e1) ai sensi dell’art. 1, lett.
l), una zona speciale di conservazione è un “sito di importanza
comunitaria designato dagli Stati membri mediante un atto regolamentare,
amministrativo e/o contrattuale in cui sono applicate le misure di
conservazione necessarie al mantenimento o al ripristino, in uno stato di
conservazione soddisfacente, degli habitat naturali e/o delle popolazioni
delle specie per cui il sito è designato”;
e2) all’art. 6, par. 2,
sono poi definite le condizioni alle quali può essere autorizzato un piano o
un progetto non direttamente connesso o necessario alla gestione del sito
interessato, ma che possa avere incidenze significative su tale sito. Il
caso oggetto del rinvio pregiudiziale rientra nell’ambito applicativo
dell’art. 6 della direttiva;
e3) l’art. 6, par. 2, pone a
carico degli Stati membri un obbligo generale di adottare misure al fine di
evitare, nelle zone speciali di conservazione, il degrado degli habitat e le
perturbazioni significative delle specie per cui tali zone sono state
designate. Tale obbligo contribuisce al progetto di creazione di una rete
ecologica europea coerente;
e4) l’art. 6, par. 3, prevede
una procedura, applicabile alle zone speciali di conservazione, volta a
garantire, mediante un controllo preventivo, che un piano o un progetto non
direttamente connesso o necessario alla gestione del sito interessato, ma
idoneo ad avere incidenze significative sullo stesso, sia autorizzato solo
se non pregiudicherà l’integrità di tale sito;
e5) la disposizione distingue
quindi due fasi: la prima richiede che gli Stati membri effettuino
un’opportuna valutazione dell’incidenza di un piano o di un progetto su un
sito protetto; la seconda fase subordina l’autorizzazione di tale piano o
progetto alla condizione che lo stesso non pregiudichi l’integrità del sito
interessato;
e6) l’art. 6, par. 4, prevede
che, qualora, nonostante conclusioni negative della valutazione
dell’incidenza effettuata in conformità all’articolo 6, paragrafo 3, prima
frase, un piano o progetto debba essere comunque realizzato per motivi
imperativi di rilevante interesse pubblico, inclusi motivi di natura sociale
o economica, e in mancanza di soluzioni alternative, lo Stato membro adotti
ogni misura compensativa necessaria per garantire che la coerenza globale di
Natura 2000 sia tutelata. Tale disposizione, derogatoria rispetto al
criterio di autorizzazione generale, deve essere interpretata
restrittivamente;
f) pertanto, dall’esame della direttiva “habitat”
risulta che le autorità nazionali competenti devono, in linea di principio,
rifiutare di dare il loro consenso su un piano o un progetto che rischi di
pregiudicare l’integrità del sito interessato;
g) tuttavia, ai sensi dell’art. 6, par. 4, per
motivi di rilevante interesse pubblico, il progetto può essere realizzato,
purché i pregiudizi all’integrità del sito interessato siano il più
possibile ridotti, nel senso che lo Stato membro interessato “adotti le
misure compensative necessarie al fine di preservare la coerenza globale
della rete ecologica europea Natura 2000”;
g1) i pregiudizi all’integrità
di una zona speciale di conservazione, pur se giustificati, devono essere
autorizzati solo se realmente inevitabili, vale a dire in mancanza di
soluzioni alternative;
g2) il mero costo economico
delle misure non può essere determinante ai fini della scelta delle
soluzioni alternative;
g3) spetta al giudice del
rinvio verificare se la variante proposta nel caso di specie debba essere
considerata una soluzione alternativa che presenta inconvenienti per
l’integrità della zona speciale di conservazione;
h) con ulteriori quesiti, il giudice del rinvio
ha chiesto se, qualora un progetto o un piano abbia formato oggetto di una
valutazione negativa quanto alla sua incidenza su una zona speciale di
conservazione e lo Stato membro interessato abbia comunque deciso di
realizzarlo per motivi imperativi di rilevante interesse pubblico, l’art. 6
della direttiva debba essere interpretato nel senso che esso osta a una
normativa nazionale che consente di rinviare alla fase del piano o del
progetto definitivo lo svolgimento di ulteriori esami e studi più
approfonditi sugli effetti di detto piano o progetto su tale zona e la
definizione delle adeguate misure compensative;
i) in forza dell’art. 6, par. 3, della direttiva,
l’autorità nazionale deve rifiutare di autorizzare il piano o il progetto
quando sussiste un’incertezza circa l’assenza di effetti pregiudizievoli per
l’integrità del sito interessato;
j) ad integrazione del principio di precauzione,
la disposizione consente di prevenire efficacemente i pregiudizi
all’integrità dei siti protetti dovuti ai piano o ai progetti previsti,
mentre un criterio di autorizzazione meno rigoroso non può garantire in modo
altrattanto efficace la realizzazione dell’obiettivo di protezione cui è
volta detta disposizione. “La valutazione effettuata ai sensi
dell’articolo 6, paragrafo 3, della direttiva «habitat» non può pertanto
comportare lacune e deve contenere rilievi e conclusioni completi, precisi e
definitivi atti a dissipare qualsiasi ragionevole dubbio scientifico in
merito agli effetti dei lavori previsti sul sito protetto in questione”;
k) pertanto, la valutazione prevista dall’art. 6,
par. 3, non può essere proseguita sulla base di esami e studi realizzati
successivamente;
l) la conoscenza della incidenza dell’opera, con
riferimento agli obiettivi di conservazione relativi al sito in questione,
costituisce un presupposto imprescindibile ai fini dell’applicazione
dell’art. 6, par. 4, della direttiva, dato che, in assenza di tale elemento,
le condizioni di applicazione della disposizione derogatoria non potrebbero
essere valutate. L’esame di eventuali motivi imperativi di rilevante
interesse pubblico e quello dell’esistenza di alternative meno dannose per
l’ambiente richiedono un giudizio di bilanciamento rispetto ai danni che il
piano o il progetto in questione cagiona a detto sito;
m) con riferimento alla possibilità di
apportare misure di mitigazione:
m1) la direttiva non contiene
alcun riferimento a tali misure;
m2) se, con tale espressione,
ci si riferisce a misure di protezione intese a evitare o a ridurre
l’incidenza negativa del piano o del progetto, la necessità che la
valutazione di un piano o di un progetto contenga rilievi completi, precisi
e definitivi obbliga a che tali misure siano valutate contemporaneamente al
piano o al progetto stesso e che dette misure siano integrate nel piano o
nel progetto;
m3) le misure pertanto non
possono modificare il piano o il progetto successivamente a tale
valutazione, in quanto consentirne una modifica successiva equivarrebbe a
rinunciare a valutare l’impatto sul sito delle misure, in violazione degli
obiettivi dell’art. 6 della direttiva; m4) pertanto, la direttiva osta a una
normativa nazionale che consente di rinviare la definizione delle misure di
attenuazione dell’incidenza su una zona speciale di conservazione a una fase
successiva all’opportuna valutazione dell’incidenza;
n) con riferimento alla previsione di misure di
compensazione:
n1) ai sensi dell’art. 6, par.
4, tali misure sono adottate dallo Stato se, nonostante conclusioni negative
della valutazione di incidenza sul sito interessato e in mancanza di
soluzioni alternative, un piano o un progetto debba essere realizzato per
motivi imperativi di rilevante interesse pubblico;
n2) pertanto, tali misure sono
determinate a seguito della valutazione dell’incidenza prevista dall’art. 6,
par. 3, della direttiva ove si intenda realizzare il piano o il progetto di
cui trattasi nonostante il suo impatto negativo sulla zona speciale di
conservazione interessata e ove siano soddisfatte le altre condizioni di
applicazione dell’art. 6, par. 4, di tale direttiva;
o) con riferimento alle questioni sollevate dal
giudice del rinvio con cui si chiede se la direttiva debba essere
interpretata nel senso che essa osta a una normativa nazionale che prevede
che il soggetto proponente effettui uno studio dell’incidenza del piano o
del progetto sulla zona speciale di conservazione interessata e recepisca
prescrizioni, osservazioni e raccomandazioni di carattere paesaggistico e
ambientale, dopo che esso abbia formato oggetto di una valutazione negativa
da parte dell’autorità competente;
o1) la valutazione di incidenza
spetta all’autorità pubblica che gli Stati membri designano per assolvere i
compiti derivanti dalla direttiva;
o2) il piano o il progetto non
può essere modificato dopo la valutazione della sua incidenza sulla zona
speciale di conservazione interessata, salvo rimettere in discussione il
carattere completo e definitivo di tale valutazione e la garanzia che essa
rappresenta per la conservazione della zona;
o3) la direttiva non osta a una
normativa nazionale che prevede che il soggetto proponente realizzi uno
studio dell’incidenza del piano o del progetto di cui trattasi sulla zona
speciale di conservazione interessata, sulla base del quale l’autorità
competente procede alla valutazione di tale incidenza;
o4) la direttiva osta, invece,
a una normativa nazionale che consente di demandare al soggetto proponente
di recepire, nel piano o nel progetto definitivo, prescrizioni, osservazioni
e raccomandazioni di carattere paesaggistico e ambientale dopo che quest’ultimo
abbia formato oggetto di una valutazione negativa da parte dell’autorità
competente, senza che il piano o il progetto così modificato debba
costituire oggetto di una nuova valutazione da parte di tale autorità;
p) per quanto concerne l’individuazione
dell’autorità incaricata di svolgere la valutazione dell’incidenza:
p1) spetta allo Stato membro
individuare l’autorità competente;
p2) una volta che la
valutazione è stata svolga, la direttiva osta a che una qualsivoglia
autorità prosegua o completi tale valutazione una volta che questa è stata
realizzata.
III. – Per completezza si osserva quanto segue:
q) sul rapporto tra le direttive 79/409/Cee, che
è stata codificata e integrata dalla direttiva 2009/147, e 92/43/CE si
vedano:
q1) Corte di giustizia UE,
17.04.2018, C-441/17, secondo cui “L’art. 6, par. 1, direttiva 92/43,
relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della
flora e della fauna selvatiche, come modificata dalla direttiva 2013/17, e
l'art. 4, par. 1 e 2, direttiva 2009/147, concernente la conservazione degli
uccelli selvatici, come modificata dalla direttiva 2013/17, a pena di essere
privati del loro effetto utile, richiedono non soltanto l'adozione delle
misure di conservazione necessarie al mantenimento di uno stato di
conservazione soddisfacente degli habitat e delle specie protetti
all'interno del sito interessato, ma anche, e soprattutto, la loro effettiva
attuazione; tale interpretazione è suffragata dall'art. 1, par. 1, lett. l),
direttiva 92/43, il quale definisce una zona speciale di conservazione come
un sito di importanza comunitaria in cui sono applicate misure di
conservazione, nonché dal considerando 8 della medesima direttiva, secondo
il quale, in ciascuna zona designata, occorre attuare le misure necessarie
in relazione agli obiettivi di conservazione previsti; a tale proposito,
operazioni di gestione forestale attiva la cui attuazione porta alla
scomparsa di una parte di un sito Natura 2000 non possono costituire misure
che assicurano la conservazione di tale sito, ai sensi dell'art. 6, par. 1,
direttiva 92/43”.
La Corte ha ancora osservato che: l’autorizzazione di un piano o di un
progetto, ai sensi dell'art. 6, par. 3, direttiva 92/43, può essere concessa
solo a condizione che le autorità competenti abbiano acquisito la certezza
che esso è privo di effetti pregiudizievoli duraturi per l'integrità del
sito interessato; ciò avviene quando non sussiste alcun dubbio ragionevole
da un punto di vista scientifico quanto all'assenza di tali effetti.
Le autorità nazionali competenti non possono, pertanto, autorizzare
interventi che rischino di compromettere stabilmente le caratteristiche
ecologiche dei siti che ospitano tipi di habitat naturali di interesse
comunitario o prioritari; ciò avverrebbe, in particolare, qualora un
intervento rischi di condurre alla scomparsa o alla distruzione parziale e
irreparabile di un simile tipo di habitat naturale presente nel sito
interessato.
Al fine di accertare una violazione dell'art. 6, par. 3, seconda frase,
direttiva 92/43, la commissione, tenuto conto del principio di precauzione
non è tenuta a provare un nesso di causa ed effetto tra le operazioni in
questione e il pregiudizio all'integrità degli habitat e delle specie, ma è
sufficiente che essa dimostri l'esistenza di una probabilità o di un rischio
che tali operazioni provochino un tale pregiudizio.
Il rispetto dell'art. 12, par. 1, lett. a) e d), direttiva 92/43, impone
agli stati membri non solo l'adozione di un quadro normativo completo, bensì
anche l'attuazione di misure di tutela concrete e specifiche; parimenti, il
regime di rigorosa tutela presuppone l'adozione di misure coerenti e
coordinate di carattere preventivo. Un tale regime di rigorosa tutela deve
pertanto consentire di evitare effettivamente la cattura o l'uccisione
deliberata nell'ambiente naturale nonché il deterioramento o la distruzione
dei siti di riproduzione o delle aree di riposo delle specie animali di cui
all'allegato IV, lett. a), direttiva 92/43;
q2) Corte di giustizia CE,
13.06.2002, C-117/00 (in Dir. e giur. agr. e ambiente, 2003, 351, con nota
di SCHEGGI; Raccolta, 2002, I, 5335), secondo cui “L'art. 3 della
direttiva n. 79/409/Cee obbliga gli stati membri ad adottare tutte le misure
necessarie per preservare, mantenere o ristabilire per tutte le specie di
uccelli di cui alla detta direttiva una varietà e una superficie sufficiente
di habitat; gli obblighi incombenti agli stati membri in forza di questa
norma sussistono ancor prima che si registri una diminuzione del numero di
uccelli o che vi sia un effettivo rischio di estinzione di una specie
protetta; gli obblighi derivanti dall'art. 4, n. 4, prima fase, di detta
direttiva sono sostituiti dagli obblighi derivanti dall'art. 6, n. 2, dir.
n. 92/43/Cee a decorrere dalla data di entrata in vigore di quest'ultima o
dalla data di classificazione di una zona come zps a norma della dir. n.
79/409/Cee, qualora tale data sia posteriore”;
r) sulla disposizione derogatoria, rispetto al
criterio della positiva valutazione di incidenza, di cui all’art. 6, par. 4,
della direttiva 92/43/CEE, si veda, tra le altre: Corte di giustizia CE,
20.09.2007, C-304/05 (in Dir. pubbl. comparato ed europeo, 2008, 493, con
nota di ZINZI; Rass. avv. Stato, 2007, fasc. 2, 97), secondo cui “L'art.
6, n. 4, direttiva 92/43, relativa alla conservazione degli habitat naturali
e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche, il quale prevede che,
qualora, nonostante conclusioni negative circa la valutazione dell'incidenza
effettuata in conformità all'art. 6, n. 3, primo periodo, di tale direttiva,
un piano o progetto debba essere comunque realizzato per motivi imperativi
di rilevante interesse pubblico, inclusi motivi di natura sociale o
economica, e in mancanza di soluzioni alternative, lo stato membro possa
adottare ogni misura compensativa necessaria per garantire che la coerenza
globale di Natura 2000 sia tutelata, dev'essere interpretato
restrittivamente, in quanto disposizione derogatoria rispetto al criterio di
autorizzazione previsto dal secondo periodo del n. 3 del citato articolo; il
detto art. 6, n. 4, può essere applicato solo dopo che l'incidenza di un
piano o di un progetto sia stata valutata ai sensi del n. 3 di questo stesso
articolo; la conoscenza di tale incidenza con riferimento agli obiettivi di
conservazione relativi al sito in questione costituisce, infatti, un
presupposto imprescindibile ai fini dell'applicazione del detto n. 4, dato
che, in assenza di tali elementi, non può essere valutato alcun requisito di
applicazione di tale disposizione di deroga; l'esame di eventuali motivi
imperativi di rilevante interesse pubblico e quello dell'esistenza di
alternative meno dannose richiedono, infatti, una ponderazione con
riferimento ai danni che il piano o il progetto in questione cagiona al
sito; inoltre, per determinare la natura di eventuali misura compensative, i
danni al detto sito devono essere individuati con precisione”;
s) sul principio di precauzione e sulla procedura
prevista dall’art. 6, par. 3, della direttiva «habitat», con cui è
previsto un controllo preventivo applicabile alle zone speciali di
conservazione si vedano:
s1) Corte di giustizia CE,
26.10.2006, C-239/04 (in Foro amm.-Cons. Stato, 2006, 2695), secondo cui:
- “Ai sensi dell'art. 6 n. 3 direttiva habitat 92/43, le autorità
nazionali autorizzano la realizzazione di un piano o di un progetto non
direttamente connesso alla gestione della zona di protezione speciale (Zps),
ma che possa avere incidenze significative sulla stessa, soltanto dopo aver
avuto la certezza, mediante un'adeguata valutazione dell'impatto di tale
piano o progetto sul sito, che esso non ne pregiudicherà l'integrità e, se
del caso, previo parere dell'opinione pubblica”;
- “L'autorizzazione di un piano o di un progetto può essere concessa solo
a condizione che le autorità nazionali competenti abbiano acquisito la
certezza che esso è privo di effetti pregiudizievoli per l'integrità del
sito interessato; lo stesso vale nel caso in cui non vi sia alcun
ragionevole dubbio, dal punto di vista scientifico, circa l'assenza di tali
effetti”;
- “Dando esecuzione ad un progetto autostradale il cui tracciato
attraverso la zona di protezione speciale (Zps) di Castro Verde, nonostante
le conclusioni negative della valutazione di impatto ambientale e senza aver
dimostrato l'assenza di soluzioni alternative a tale tracciato, la
repubblica portoghese è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti ai
sensi dell'art. 6 n. 4 direttiva habitat”;
s2) Corte di giustizia UE,
21.01.2016, C-399/14, secondo cui:
- “L'art. 6, par. 2, direttiva 92/43 deve essere interpretato nel senso
che qualora, in circostanze come quelle di cui al procedimento principale,
un esame a posteriori dell'incidenza sul sito in questione di un piano o
progetto la cui esecuzione sia iniziata dopo l'iscrizione di tale sito
nell'elenco dei siti di importanza si riveli necessario, tale esame deve
essere effettuato nel rispetto dei criteri dell'art. 6, par. 3, di tale
direttiva; un esame del genere deve tenere conto di tutti gli elementi
esistenti alla data di tale iscrizione, nonché di tutti gli effetti che si
sono verificati o che possono verificarsi in seguito all'esecuzione parziale
o totale di tale piano o progetto su detto sito successivamente a tale data”;
- “L'art. 6, par. 2, direttiva 92/43/Cee del Consiglio, del 21.05.1992,
relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della
flora e della fauna selvatiche, deve essere interpretato nel senso che un
piano o progetto non direttamente connesso o necessario alla gestione di un
sito e che è stato autorizzato in seguito ad uno studio che non soddisfa i
requisiti dell'art. 6, par. 3, di tale direttiva, prima dell'iscrizione del
sito stesso nell'elenco dei siti di importanza comunitaria, deve essere
oggetto, da parte delle autorità competenti, di un esame a posteriori della
sua incidenza su tale sito, qualora tale esame costituisca l'unica misura
opportuna per evitare che l'esecuzione di detto piano o progetto comporti un
degrado o perturbazioni che possono avere conseguenze significative per
quanto riguarda gli obiettivi di tale direttiva; spetta al giudice del
rinvio verificare che tali condizioni siano soddisfatte”;
- “La direttiva 92/43 deve essere interpretata nel senso che, quando è
realizzato un nuovo esame dell'incidenza su un sito al fine di rimediare a
errori constatati relativi alla valutazione preliminare effettuata prima
dell'iscrizione di tale sito nell'elenco dei siti di importanza comunitaria
o relativi all'esame a posteriori ai sensi dell'art. 6, par. 2, direttiva
92/43, allorché il piano o progetto è già stato realizzato, i criteri di un
controllo eseguito nell'ambito di un esame del genere non possono essere
modificati per il fatto che la decisione di approvazione di tale piano o
progetto era direttamente esecutiva, che una domanda di misure cautelari era
stata respinta e che tale decisione di rigetto non era più impugnabile;
inoltre, detto esame deve tenere conto dei rischi di degrado o di
perturbazioni che possono avere conseguenze significative ai sensi di detto
art. 6, par. 2, eventualmente generati dalla realizzazione del piano o
progetto in questione; l'art. 6, par. 4, direttiva 92/43 deve essere
interpretato nel senso che i criteri del controllo effettuato nell'ambito
dell'esame delle soluzioni alternative non possono essere modificati per il
fatto che il piano o progetto è già stato realizzato”;
s3) Corte di giustizia CE,
07.09.2004, C-127/02 (in Raccolta, 2004, I, 7405), secondo cui, tra l’altro:
- “L'art. 6, n. 3, della direttiva 92/43, relativa alla conservazione
degli habitat naturali e seminaturali e della flora della fauna selvatiche,
istituisce, per i siti protetti, un procedimento diretto a garantire,
mediante un controllo previo, che un piano o un progetto non direttamente
connesso o necessario alla gestione del sito interessato, ma idoneo ad avere
incidenze significative sullo stesso, può essere autorizzato dalle autorità
nazionali competenti solo se non pregiudicherà l'integrità di tale sito,
mentre l'art. 6, n. 2, della detta direttiva stabilisce un obbligo di
protezione generale consistente nell'evitare deterioramenti nonché
perturbazioni che potrebbero avere effetti significativi rispetto agli
obiettivi della direttiva e non può essere applicato contemporaneamente al
n. 3 del medesimo articolo”;
- “L'art. 6, n. 3, prima frase, della direttiva 92/43, relativa alla
conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della
fauna selvatiche, dev'essere interpretato nel senso che qualsiasi piano o
progetto non direttamente connesso o necessario alla gestione del sito
protetto è sottoposto a un'opportuna valutazione dell'incidenza che ha sullo
stesso tenendo conto degli obiettivi di conservazione di tale sito, quando
non possa essere escluso, sulla base di elementi obiettivi, e segnatamente
alla luce delle caratteristiche e delle condizioni ambientali specifiche del
sito medesimo, che esso, da solo o in combinazione con altri piani o
progetti, lo pregiudichi significatamente; una siffatta valutazione di tali
incidenze implica che, prima dell'approvazione del piano o del progetto,
siano individuati, alla luce delle migliori conoscenze scientifiche in
materia, tutti gli aspetti del piano o del progetto che possano, da soli o
in combinazione con altri piani o progetti, pregiudicare gli obiettivi di
conservazione di tale sito; le autorità nazionali competenti, tenuto conto
dell'opportuna valutazione delle incidenze del piano o del progetto sul sito
interessato con riferimento agli obiettivi di conservazione di quest'ultimo,
autorizzano tale piano o tale progetto solo a condizione di aver acquisito
la certezza che esso è privo di effetti pregiudizievoli per detto sito; ciò
avviene quando non sussiste alcun dubbio ragionevole da un punto di vista
scientifico quanto all'assenza di tali effetti”;
- “Quando un giudice nazionale è chiamato a verificare la legittimità di
un'autorizzazione relativa ad un piano o ad un progetto ai sensi dell'art.
6, n. 3, della direttiva 92/43, relativa alla conservazione degli habitat
naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche, esso può
controllare se i limiti posti da tale disposizione alla discrezionalità
delle autorità nazionali competenti siano stati rispettati, sebbene essa non
sia stata trasposta nell'ordinamento giuridico dello stato membro
interessato malgrado la scadenza del termine previsto a tale effetto;
invero, l'effetto utile della direttiva 92/43 sarebbe affievolito se, in un
caso del genere, fosse precluso ai cittadini comunitari di valersene in
giudizio e ai giudici nazionali di prenderla in considerazione”;
t) sulla valutazione di incidenza in generale e
sulle misure compensative:
t1) Corte di giustizia UE,
07.11.2018, C-461/17 (in Foro amm., 2018, 1779; Riv. giur. ambiente, 2018,
498, con nota di BRAMBILLA; Riv. giur. edilizia, 2019, I, 267), secondo cui
- “L'art. 6, par. 3, direttiva 92/43/Cee del Consiglio, del 21.05.1992,
relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della
flora e della fauna selvatiche, deve essere interpretato nel senso che
un'«opportuna valutazione» deve, da un lato, censire la totalità dei tipi di
habitat e delle specie per i quali un sito è protetto, nonché, dall'altro,
individuare ed esaminare tanto l'impatto del progetto proposto sulle specie
presenti su detto sito, e per le quali quest’ultimo non è stato registrato,
quanto quello sui tipi di habitat e le specie situati al di fuori dei
confini del suddetto sito, laddove tale impatto possa pregiudicare gli
obiettivi di conservazione del sito”;
- “L'art. 6, par. 3, direttiva 92/43 deve essere interpretato nel senso
che esso consente all'autorità competente di autorizzare un piano o un
progetto che lascia il committente libero di determinare successivamente
taluni parametri relativi alla fase di costruzione, quali l'ubicazione dei
cantieri e le vie di trasporto, solo se è certo che l'autorizzazione
stabilisce condizioni sufficientemente rigorose che garantiscano che tali
parametri non pregiudicheranno l'integrità del sito”;
- “L'art. 6, par. 3, direttiva 92/43 deve essere interpretato nel senso
che, quando l'autorità competente respinge le conclusioni di una perizia
scientifica che raccomanda l'acquisizione di informazioni supplementari,
l'«opportuna valutazione» deve contenere una motivazione esplicita e
dettagliata, atta a dissipare ogni ragionevole dubbio scientifico in ordine
agli effetti dei lavori previsti sul sito interessato”;
t2) Corte di giustizia UE,
21.07.2016, C-387/15 e C-388/15, secondo cui “L'art. 6, par. 3, direttiva
92/43/Cee del Consiglio, del 21.05.1992, relativa alla conservazione degli
habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche, deve
essere interpretato nel senso che misure incluse in un piano o progetto non
direttamente connesso o necessario alla gestione di un sito di importanza
comunitaria, che prevedano, anteriormente al verificarsi di un impatto
negativo su un tipo di habitat naturale in esso presente, lo sviluppo futuro
di un'area di tale tipo, il cui completamento interverrà tuttavia
successivamente alla valutazione della significatività del pregiudizio
eventualmente arrecato all'integrità di tale sito, non possono essere prese
in considerazione all'atto di tale valutazione; tali misure potrebbero,
eventualmente, essere qualificate come «misure compensative», ai sensi del
par. 4 di tale articolo, soltanto qualora siano soddisfatte le condizioni in
esso enunciate”;
t3) Corte di giustizia UE,
15.05.2014, C-521/12, secondo cui “L'art. 6, par. 3, direttiva 92/43/Cee
del Consiglio, del 21.05.1992, relativa alla conservazione degli habitat
naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche, deve essere
interpretato nel senso che un piano o un progetto non direttamente connesso
o necessario alla gestione di un sito di importanza comunitaria, che abbia
incidenze negative su un tipo di habitat naturale in esso presente e che
preveda misure per lo sviluppo di un'area di superficie uguale o maggiore di
tale tipo di habitat in detto sito, pregiudica l'integrità di tale sito;
siffatte misure potrebbero essere eventualmente considerate «misure
compensative» ai sensi del par. 4 di detto articolo, solo nei limiti in cui
siano soddisfatte le condizioni ivi stabilite”;
t4) Corte di giustizia UE,
11.04.2013, C-258/11, secondo cui “L'art. 6, par. 3, direttiva 92/43/Cee
del consiglio, 21.05.1992, relativa alla conservazione degli habitat
naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche, deve essere
interpretato nel senso che un piano o un progetto non direttamente connesso
o necessario alla gestione di un sito pregiudicherà l'integrità di tale sito
se è atto a impedire il mantenimento sostenibile delle caratteristiche
costitutive dello stesso, connesse alla presenza di un habitat naturale
prioritario, per conservare il quale, il sito in questione è stato designato
nell'elenco dei siti di importanza comunitaria conformemente alla suddetta
direttiva; ai fini di tale valutazione occorre applicare il principio di
precauzione”;
u) sul rapporto tra legislazione statale e
regionale si veda Corte cost. 17.03.2015, n. 38 (in Foro it., 2015, I, 1889;
Riv. giur. edilizia, 2015, I, 351), secondo cui, tra l’altro:
- “È incostituzionale l'art. 65 l.reg. Veneto 02.04.2014 n. 11, nella
parte in cui prevede che la giunta regionale, con apposite linee guida,
escluda determinati interventi a tutela della rete ecologica regionale
«Natura 2000» dalla valutazione di incidenza ambientale (Vinca)”;
- “È infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 19
l.reg. Veneto 02.04.2014 n. 11, nella parte in cui autorizza la giunta
regionale a prevedere, nel rapporto con gli appaltatori, la compensazione
dell'onere per la realizzazione dei lavori di manutenzione dei corsi d'acqua
con il valore del materiale litoide estratto riutilizzabile, in riferimento
all'art. 117, 2º comma, lett. s), cost.”;
- “È infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 56,
1º e 4º comma, l.reg. Veneto 02.04.2014 n. 11, nella parte in cui consente
la combustione controllata di materiali agricoli e vegetali sul luogo di
produzione, effettuata secondo le normali pratiche e consuetudini,
escludendo che essa costituisca attività di gestione dei rifiuti o di
combustione illecita, in riferimento all'art. 117, 1º e 2º comma, lett. s),
cost.”.
La Vinca (valutazione di incidenza ambientale) è il procedimento al quale va
sottoposto ogni intervento pianificatorio o progettuale che interessi il
territorio dei siti, o proposti siti, della rete «Natura 2000» quali
siti di importanza comunitaria (Sic) e zone di protezione speciale (Zps),
onde valutare gli effetti che la realizzazione di piani/progetti può
determinare sulla conservazione degli habitat e delle specie ivi presenti.
Lo scopo della Vinca è accertare l’assenza di danno al territorio protetto,
provocato dalla realizzazione delle opere; se è vero che la valutazione di
incidenza negativa non assume efficacia vincolante, essa tuttavia
costituisce un preciso limite alla sfera discrezionale dell’amministrazione
procedente, la quale può disattenderlo soltanto per ragioni di natura
eccezionale, con la conseguenza che l’adesione alla Vinca negativa e alle
prescrizioni in essa racchiuse non richiede una particolare motivazione.
Sulla rete ecologica europea denominata “Natura 2000” si vedano, tra
le altre:
u1) Corte cost. 12.12.2012, n.
278 (in Foro it., 2013, I, 412; Dir. e giur. agr. e ambiente, 2013, 92, con
nota di GORLANI; Giur. costit., 2012, 4411), che ha giudicato infondata la
questione di legittimità costituzionale dell’art. 22, 6° comma, l. prov.
Bolzano 12.05.2010 n. 6, come sostituito dall’art. 7, 5° comma, l. prov.
Bolzano 12.12.2011 n. 14, nella parte in cui stabilisce che i provvedimenti
di approvazione relativi ad opere e progetti, che hanno avuto una
valutazione di incidenza negativa, dispongano le misure compensative
necessarie per garantire la coerenza globale della rete ecologica europea
denominata «Natura 2000»;
u2) Corte cost. 21.04.2011, n.
151 (in Foro it., 2011, I, 1607; Quaderni regionali, 2011, 797; Giur. costit.,
2011, 1892; Giur. it., 2012, 1017, con nota di CONTE), che ha dichiarato
incostituzionale l’art. 22, 6° comma, l. prov. Bolzano 12.05.2010 n. 6,
nella parte in cui prevedeva, in caso di approvazione di piani o progetti
che avessero incidenza sul sito «Natura 2000» o sulla sua
conservazione, la competenza provinciale a stabilire le necessarie misure
compensative da comunicare alla commissione europea;
u3) Corte cost. 26.03.2010, n.
119 (in Foro it., 2010, I, 2619; Urbanistica e appalti, 2010, 1035, con nota
di RECLA; Ambiente, 2010, 645, con nota di FIENGA; Giurisdiz. amm., 2010,
III, 246; Giur. costit., 2010, 1324; Riv. giur. ambiente, 2010, 774, con
nota di DI DIO), che ha dichiarato incostituzionale l’art. 2, 1°, 2° e 3°
comma, l. reg. Puglia 21.10.2008 n. 31, nella parte in cui vietava la
realizzazione di impianti fotovoltaici per la produzione di energia
elettrica in determinate parti del territorio regionale, precisamente nelle
zone agricole considerate di particolare pregio (anche individuate dai
comuni con delibera consiliare), nei siti della rete «Natura 2000»
(siti di importanza comunitaria e zone di protezione speciale), nelle aree
protette nazionali e in quelle regionali, nelle oasi regionali e nelle zone
umide tutelate a livello internazionale
(Corte di giustizia UE, Sez. VI,
sentenza 16.07.2020, C-411/19, WWF Italia Onlus -
commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI - URBANISTICA: Secondo
la definizione contenuta nell’articolo 5, comma 1, lettera b), D.Lgs. n. 152/2006, il procedimento di VIA mira a valutare
l’impatto ambientale di una nuova opera, ricadente fra quelle ritenute
rilevanti ai sensi del medesimo T.U. sull’ambiente: tra di esse, per
l’appunto, le autostrade (All. II).
La valutazione di impatto ambientale,
cioè, ha «il fine di sensibilizzare l’autorità decidente, attraverso
l’apporto di elementi tecnico-scientifici idonei ad evidenziare le ricadute
sull’ambiente derivanti dalla realizzazione di una determinata opera, a
salvaguardia dell’habitat: essa non si limita ad una generica verifica di
natura tecnica circa l’astratta compatibilità ambientale, ma implica una
complessiva ed approfondita analisi di tutti gli elementi incidenti
sull’ambiente del progetto unitariamente considerato, per valutare in
concreto il sacrificio imposto all’ambiente rispetto all’utilità
socio-economica perseguita».
Per tale ragione, in sede di VIA l’Autorità procedente esercita un
amplissima discrezionalità tecnico-amministrativa, con la conseguenza che la
relativa decisione è assoggettata a un controllo di legittimità del Giudice
amministrativo limitato alle ipotesi di manifesta illogicità e
irrazionalità, di travisamento del dato fattuale, di incompletezza
dell’istruttoria.
---------------
4.2. Ora, secondo la definizione contenuta nell’articolo 5, comma 1,
lettera b), D.Lgs. n. 152/2006, il procedimento di VIA mira a valutare
l’impatto ambientale di una nuova opera, ricadente fra quelle ritenute
rilevanti ai sensi del medesimo T.U. sull’ambiente: tra di esse, per
l’appunto, le autostrade (All. II).
La valutazione di impatto ambientale,
cioè, ha «il fine di sensibilizzare l’autorità decidente, attraverso
l’apporto di elementi tecnico-scientifici idonei ad evidenziare le ricadute
sull’ambiente derivanti dalla realizzazione di una determinata opera, a
salvaguardia dell’habitat (Cons. Stato, sez. V, 17.10.2012, n. 5295;
sez. IV, 17.09.2013, n. 4611): essa non si limita ad una generica
verifica di natura tecnica circa l’astratta compatibilità ambientale, ma
implica una complessiva ed approfondita analisi di tutti gli elementi
incidenti sull’ambiente del progetto unitariamente considerato, per valutare
in concreto il sacrificio imposto all’ambiente rispetto all’utilità
socio-economica perseguita (Cons. Stato, sez. IV, 22.01.2013, n. 361; 09.01.2014, n. 36)» (così, C.d.S., Sez. V, sentenza n. 3000/2016; nello
stesso senso, ex plurimis, TAR Lazio–Roma, Sez. II-bis, sentenza n.
5548/2019).
Per tale ragione, in sede di VIA l’Autorità procedente esercita un
amplissima discrezionalità tecnico-amministrativa, con la conseguenza che la
relativa decisione è assoggettata a un controllo di legittimità del Giudice
amministrativo limitato alle ipotesi di manifesta illogicità e
irrazionalità, di travisamento del dato fattuale, di incompletezza
dell’istruttoria (cfr., fra le altre, C.d.S, Sez. IV, sentenza n. 3011/2018;
TAR Lazio–Roma, Sez. I, sentenza n. 11921/2017; TAR Veneto, Sez. III,
sentenza n. 1225/2016)
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 26.03.2020 n. 250 - link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
2019 |
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EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI - URBANISTICA: Inosservanza
di prescrizioni a tutela dell’ambiente e provvedimenti ripristinatori della
P.A..
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Ambiente - Valutazione di impatto ambientale - Prescrizioni finalizzate
all’eliminazione o alla mitigazione degli impatti sfavorevoli sull’ambiente
- Accertamento di un profilo di responsabilità del destinatario - Necessità.
In materia di valutazione di impatto ambientale (V.I.A.),
qualora la legislazione regionale consenta di subordinare l’esclusione di un
progetto dalla relativa procedura a specifiche prescrizioni finalizzate
all’eliminazione o alla mitigazione degli impatti sfavorevoli sull’ambiente,
prevedendo la possibilità di provvedimenti sanzionatori e ripristinatori
dell’amministrazione in caso di inosservanza delle prescrizioni stesse,
l’adozione di questi ultimi non può prescindere dall’accertamento di un
profilo di responsabilità del destinatario, quanto meno con riguardo alla
sussistenza di un nesso causale tra la condotta da questi tenuta e il
pregiudizio ambientale (1).
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(1) Ha chiarito la Sezione che anche in queste ipotesi la normativa
interna va interpretata in conformità agli orientamenti consolidati della
giurisprudenza nazionale ed eurounitaria relative alla responsabilità cd.
ambientale, per cui in materia di misure di riparazione ambientale è
necessario almeno l’accertamento, anche per presunzioni, della esistenza di
un nesso di causalità tra l’attività degli operatori cui sono dirette le
misure di riparazione e l’inquinamento di cui trattasi.
Di conseguenza, l’amministrazione non può emettere i provvedimenti in
questione nei confronti di un soggetto che sia subentrato nell’esercizio
dell’impianto in un momento successivo a quello in cui le prescrizioni
ambientali avrebbero dovuto essere adempiute e che non abbia concorso nella
loro inosservanza né abbia avuto in concreto la possibilità di avvedersene e
porvi rimedio
(Consiglio di Stato, Sez. II,
sentenza 15.10.2019 n. 7033 - link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: Pervengono
spesso a questa Regione richieste di controinteressati (singoli o associati)
per l'attivazione della VIA (valutazione d'impatto ambientale) anche fuori
dai casi espressamente previsti dalla normativa. Può questo Ente richiederne
l'attivazione?
Il D.Lgs. 03.04.2006, n. 152 definisce la "valutazione d'impatto
ambientale" (VIA): "il processo che comprende, secondo le
disposizioni di cui al Titolo III della parte seconda del presente decreto,
l'elaborazione e la presentazione dello studio d'impatto ambientale da parte
del proponente, lo svolgimento delle consultazioni, la valutazione dello
studio d'impatto ambientale, delle eventuali informazioni supplementari
fornite dal proponente e degli esiti delle consultazioni, l'adozione del
provvedimento di VIA in merito agli impatti ambientali del progetto,
l'integrazione del provvedimento di VIA nel provvedimento di approvazione o
autorizzazione del progetto".
L'art. 6, comma 5, del Decreto prevede che la valutazione d'impatto
ambientale si applichi ai progetti che possono avere impatti ambientali
significativi e negativi, come definiti all'art. 5, comma 1, lett. c).
Ciò premesso la giurisprudenza si è posta il tema della applicabilità della
VIA anche a casistiche particolari. Infatti l'Amministrazione, ove ritenga
che un intervento possa determinare, in concreto, "impatti ambientali
significativi e negativi", può sempre disporre l'attivazione della
verifica di assoggettabilità a VIA anche al di fuori degli specifici casi
prescritti dalla legge (art. 6, comma 6), adottando puntuale motivazione al
fine di non costituire aggravio del procedimento.
Anche in relazione alla eventuale attivazione della "valutazione di
incidenza sanitaria" si è precisato che è necessario procedervi quando
le concrete evidenze istruttorie dimostrino la sussistenza di un serio
pericolo per la salute pubblica, al di là dei casi specificamente indicati
dal legislatore, pena conseguenze procedimentali quali il vizio di eccesso
di potere sotto il profilo del mancato approfondimento istruttorio,
sintomatico della disfunzione amministrativa.
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Riferimenti normativi e contrattuali
D.Lgs. 03.04.2006, n. 152, art. 6
Riferimenti di giurisprudenza
Cons. Stato Sez. IV, 29.08.2019, n. 5972
Cons. Stato Sez. IV, 01.03.2019, n. 1423
Cons. Stato Sez. IV, 11.02.2019, n. 983
Cons. Stato Sez. V, 07.01.2019, n. 127 (25.09.2019 -
tratto da www.risponde.leggiditalia.it/#doc_week=true). |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI - URBANISTICA: Necessità
di sottoporre a V.I.A. normativamente non obbligatoria le modifiche ad un
progetto a suo tempo sottoposto a V.I.A..
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Ambiente - Valutazione di impatto ambientale – Modifiche e estensioni di
progetti sottoposti a V.I.A. - Non soggetti a V.I.A. alla luce della
normativa sopravvenuta – Conseguenza.
Non devono essere necessariamente sottoposte a
valutazione di impatto ambientale (od a verifica di assoggettabilità) le
"estensioni" o le "modifiche" di progetti che, in base alla normativa
sopravvenuta, non siano più soggetti ex lege a V.I.A. e che, dunque, se
presentati ex novo, non dovrebbero esservi necessariamente sottoposti (1).
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(1) Ha affermato la Sezione che l’Amministrazione, ove ritenga che
un intervento possa comunque determinare, in concreto, “impatti ambientali
significativi e negativi”, può sempre disporre -previa idonea motivazione-
l’attivazione della verifica di assoggettabilità a V.I.A. anche al di fuori
degli specifici casi prescritti dalla legge; ove, invece, ritenga che
esulino tali "impatti" non è tenuta a confezionare alcuna specifica
motivazione, posto che, a monte, il legislatore ha escluso che quella
tipologia di intervento sia, di regola, in grado di arrecare potenziali
danni all’ambiente.
La rinnovazione del giudizio di compatibilità ambientale, di regola doverosa
allorché siano introdotte delle modificazioni progettuali che determinino la
costruzione di un manufatto significativamente diverso da quello già
esaminato, è viceversa superflua ogni qualvolta al progetto originario siano
apportate modifiche che risultino più conformi agli interessi pubblici,
determinando, in particolare, una più efficace mitigazione del rischio
ambientale presentato dall'originario progetto
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 29.08.2019 n. 5972 -
commento tratto da e link a www.giustizia-amministrartiva.it).
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MASSIMA
5. Sulla scorta di tali premesse in fatto e in diritto, il Collegio
giudica infondato il ricorso di primo grado per le seguenti ragioni.
5.1. Il Collegio prende le mosse dalla disposizione dell’Allegato IV alla
Parte II del d.lgs. n. 152 del 2006, punto 8, lett. t), ai sensi del quale
sono sottoposte a verifica di assoggettabilità a VIA le “modifiche o
estensioni di progetti di cui all’allegato III o all’allegato IV già
autorizzati, realizzati o in fase di realizzazione, che possono avere
notevoli ripercussioni negative sull’ambiente”.
Orbene, tale disposizione muove dall’implicita premessa che
il progetto “già
autorizzato, realizzato o in fase di realizzazione” sia ancora da sottoporre
a VIA secondo la normativa vigente: in altre parole, la disposizione
sottopone a VIA le “modifiche o estensioni” di progetti che, se fossero
presentati ex novo, sarebbero tuttora da sottoporre a VIA.
Siffatta interpretazione risponde a ragioni d’ordine logico: la
sottoposizione di modifiche od estensioni di progetti alla procedura di VIA
si spiega solo se il progetto modificato od esteso sia, a sua volta, ancora
da sottoporre a VIA.
Argomentando a contrario, infatti, si avrebbe che dovrebbero essere
sottoposte a VIA (ossia ad un aggravamento del procedimento - cfr. art. 1,
comma 2, l. n. 241 del 1990) modifiche od estensioni di un progetto che, se
fosse presentato ora, non vi dovrebbe essere ab ovo sottoposto.
Né è ragionevole opinare che, per il solo fatto che ab origine un progetto
fu sottoposto a VIA, ogni successiva estensione o modifica, pur se disposta
a distanza di tempo, debba comunque e per ciò solo essere sottoposta a tale
sub-procedimento: ciò, invero, significherebbe, da un punto di vista
giuridico, ascrivere efficacia ultra-attiva alle norme che perimetrano
l’ambito dei progetti da sottoporre a VIA (od alla preliminare verifica di
assoggettabilità), sterilizzando irreversibilmente l’efficacia normativa
dell’eventuale disciplina sopravvenuta.
Nella specie, la richiamata novella del 2008 ha modificato l’Allegato IV,
prescrivendo la verifica di assoggettabilità a VIA per i parcheggi con
capacità superiore ai 500 posti e, dunque, implicitamente ma
inequivocabilmente escludendola (recte, qualificandola come non doverosa)
per i parcheggi con capienza minore.
Se il progetto fosse stato presentato ex novo nel 2014, quindi, non avrebbe
dovuto necessariamente essere sottoposto alla verifica di assoggettabilità,
in considerazione del numero di posti previsto (293), ben inferiore ai 500:
ne consegue, per le esposte ragioni logico-testuali, che la modifica in
questione non era ex lege da sottoporre a verifica di assoggettabilità.
5.2. Vi è, inoltre, un’altra ragione, parimenti di carattere
logico-testuale.
La disposizione in esame si riferisce ai “progetti autorizzati, realizzati o
in corso di realizzazione”: ora, al luglio 2014 il parcheggio de quo non era
ancora né materialmente “in corso di realizzazione” (tanto meno
“realizzato”), né giuridicamente “autorizzato”: difettava ancora, infatti,
il titolo edilizio, unico atto con cui l’Amministrazione presta il proprio
definitivo assenso alla costruzione di un opus.
Esulano anche per tale profilo, pertanto, i requisiti fattuali per applicare
la disposizione de qua.
6. Vi sono, altresì, ulteriori e più pregnanti considerazioni da svolgere.
6.1. Il progetto in variante presentato da CAM ed approvato con la delibera
gravata determina una generale e decisa riduzione dell’intervento
contemplato dal precedente progetto: il verificatore nominato nel presente
giudizio, invero, ha precisato che “il progetto del 2014 presenta un volume
pari a meno della metà di quello del 2010” ed “una superficie ad ogni piano
pari a molto meno della metà di quello del 2010” (così la relazione di
verificazione, pag. 10).
Il nuovo progetto, per vero, presenta pure una “maggiore profondità media di
scavo, pari a circa 1,5 metri”, corrispondente ad un incremento di circa il
13% rispetto al pregresso: tuttavia, una variazione di tale entità è da
considerarsi “poco rilevante da un punto di vista tecnico”, giacché “i
progettisti e gli enti di controllo adottano nella stesura e
nell’approvazione dei progetti il giudizio di scarsa rilevanza tecnica per
una differenza dimensionale del 10%. E’ questo uno dei principi fondatori
per il moderno ed internazionale metodo di calcolo semiprobabilistico delle
costruzioni, accettato da tutte le norme internazionali più evolute” (così
la relazione di verificazione, pagine 17 e 18).
Oltretutto, “il volume ubicato al di sotto della massima quota di scavo
considerata nella relazione geologica (e, quindi, valutata positivamente
dall’Area Valutazione di Impatto Ambientale) è pari solo al 5,9% dello
stesso volume assentito con VIA” (così la relazione di verificazione, pagina
11): anche in tal caso, dunque, la variazione risulta tecnicamente poco
significativa.
Pertanto, nell’ambito di una considerazione unitaria, globale e sintetica
dell’intervento, il nuovo progetto costituisce prima facie una riduzione, un
contenimento, un ridimensionamento del precedente: da un lato, infatti, non
si ravvisa alcuna “estensione”, dall’altro la “modifica” apportata è
pressoché tutta “al ribasso”, nel senso di una contrazione strutturale dell’opus
con conseguente minor impatto ambientale.
Tale, evidentemente, è stata la conclusione della Giunta capitolina, che ha
implicitamente escluso che fosse il caso di procedere alla (facoltativa)
verifica di assoggettabilità a VIA, in considerazione della complessiva
riduzione dell’impatto ambientale recata dal nuovo progetto rispetto al
pregresso, tale da non determinare alcuna “estensione” né alcuna “modifica”
in senso potenzialmente deteriore per l’ambiente.
Invero, in termini generali l’Amministrazione, ove ritenga che un intervento
possa determinare, in concreto, “impatti ambientali significativi e
negativi”, può sempre disporre l’attivazione della verifica di assoggettabilità a VIA anche al di fuori degli specifici casi prescritti
dalla legge: evidentemente, tale scelta dovrà essere puntualmente motivata,
in ossequio alla previsione di cui all’art. 1, comma 2, l. n. 241 del 1990.
Di converso, al di fuori dei casi prescritti dalla legge la scelta di non
procedere a verifica di assoggettabilità non richiede alcuna specifica
motivazione, posto che, a monte, il legislatore ha escluso che quella
tipologia di intervento sia, di regola, in grado di arrecare potenziali
danni all’ambiente.
Nel caso di specie, pertanto, ben poteva l’Amministrazione disporre la
verifica di assoggettabilità a VIA, benché il parcheggio fosse inferiore a
500 posti e, dunque, non vi fosse un puntuale obbligo in tale senso: per far
ciò, tuttavia, avrebbe dovuto attendere ad una puntuale motivazione che
desse ragione dell’aggravamento dell’istruttoria.
In caso contrario, viceversa, non era necessaria alcuna motivazione ed il
progetto poteva essere approvato de plano: l’operato della Giunta, pertanto,
non disvela sotto questo aspetto alcun vizio della funzione.
6.2. Per di più, osserva il Collegio, la verificazione disposta nel presente
grado di giudizio ha confermato ex post la correttezza della valutazione
giuntale: ai fini dell’impatto idraulico ed idrogeologico, infatti, il dato
che assume rilievo centrale è costituito non dalla profondità di scavo,
bensì dal volume dell’intervento, che, quale “rappresentativo del
quantitativo di liquido spostato … costituisce l’azione di disturbo nel
sottosuolo”, sì che “non appare, sulla base dei dati acquisiti, alcun motivo
per il quale un manufatto notevolmente inferiore per superficie e volume
rispetto a quello previsto nel progetto del 2010, seppure localmente più
approfondito, potrebbe interferire con la falda profonda” (cfr. relazione di
verificazione, pagine 15, 16 e 18).
In sostanza, minore il volume interrato, minore la massa d’acqua
(attualmente o potenzialmente) spostata, minore il conseguente impatto
idraulico ed idrogeologico.
Oltretutto, ha osservato il verificatore, “l’interferenza con la falda
profonda … è meno rilevante, perché le paratie perimetrali sono meno
profonde di quelle previste nel progetto del 2010” (cfr. relazione di
verificazione, pagine 16 e 17).
Del resto, nel corso dei lavori, a quanto consta ultimati in data 28.07.2016, non risultano essere emerse problematiche idrauliche o idrogeologiche
(cfr. relazione di verificazione, pag. 9).
7. In conclusione, l’Amministrazione, nell’approvare la variante, ha
implicitamente ritenuto, con valutazione ex ante, che l’esecuzione dei
relativi lavori non fosse in grado di determinare ripercussioni negative
sull’ambiente ulteriori rispetto a quelle già positivamente in precedenza
vagliate: tale scelta, conforme all’apparato normativo applicabile ratione
temporis, si palesava ab initio logica e coerente e si è vieppiù confermata
tale all’esito dello scrutinio specialistico disposto da questo Consiglio.
Il Collegio, in ottica più ampia, evidenzia che la rinnovazione del giudizio
di compatibilità ambientale –di regola doverosa allorché siano introdotte
delle modificazioni progettuali che determinino la costruzione di un
manufatto significativamente diverso da quello già esaminato– è superflua
ogni qualvolta al progetto originario siano apportate modifiche che
risultino più conformi agli interessi pubblici, determinando, in
particolare, una più efficace mitigazione del rischio ambientale (cfr. Cons.
Stato, Sez. VI, 22.11.2006, n. 6831; Cons. Stato, Sez, VI, 22.03.2012, n. 1640; in tal senso anche la Corte di Giustizia Europea con la
sentenza 17.03.2011, C-275/09, Brussels Hoofdstedelijk Gewest).
Laddove, dunque, le modifiche si sostanzino, come nella presente vicenda, in
un generale ridimensionamento strutturale dell’opus proprio con riferimento
a quegli aspetti (nella specie, il volume) potenzialmente pericolosi per gli
specifici profili di sensibilità ambientale presi in considerazione (nella
specie, quelli di carattere idraulico/idrogeologico), non vi è ragione di
attivare il sub-procedimento di verifica di assoggettabilità a VIA, anche
alla luce della valenza generale rivestita dal principio di economicità
dell’azione amministrativa (cfr. art. 1 l. n. 241 del 1990).
8. Per le esposte ragioni, i ricorsi in appello svolti da CAM e da Roma
Capitale debbono essere accolti: conseguentemente, in riforma delle sentenze
impugnate deve essere rigettato il ricorso di primo grado. |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI -
URBANISTICA: Accertamento
dell’obbligo di sottoposizione del progetto
alla valutazione di compatibilità
ambientale.
Le preclusioni di
diritto interno devono essere valutate dalla
prospettiva del diritto comunitario; è
possibile, infatti, che la mancanza di
rimedi giurisdizionali costituisca essa
stessa un ostacolo al raggiungimento degli
obiettivi fissati dalla normativa
comunitaria, e debba quindi essere superata
mediante la disapplicazione delle norme
interne che impediscono la proposizione di
nuovi ricorsi.
La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha
precisato che il diritto comunitario, pur
consentendo agli Stati di fissare un termine
per le impugnazioni dei provvedimenti in
materia di VIA, non tollera che i progetti
la cui autorizzazione non è più esposta a un
ricorso giurisdizionale diretto, data la
scadenza del termine di ricorso previsto
dalla normativa nazionale, siano puramente e
semplicemente considerati autorizzati sotto
il profilo dell’obbligo di valutazione della
compatibilità ambientale; in particolare,
non è possibile impedire la proposizione di
un’azione di risarcimento basata sulla
violazione dell’obbligo di valutazione della
compatibilità ambientale.
Poiché il risarcimento in forma specifica
può consistere, prima dell’esecuzione dei
lavori, nell’apertura di una procedura di
VIA, si deve ritenere che i soggetti
interessati, compresi i comitati di
cittadini che risentono delle conseguenze
dell’opera, possano chiedere l’accertamento
dell’obbligo di sottoposizione del progetto
alla valutazione di compatibilità ambientale
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 13.08.2019 n. 739 - commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
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MASSIMA
Sul problema dell’ammissibilità del
ricorso
17. Come si è visto sopra, il Comitato ha
già proposto davanti a questo TAR un ricorso
diretto a ottenere l’accertamento della
decadenza del decreto di VIA del 22.10.2002 allo scadere dei cinque anni. In quel
caso, è stata scelta la doppia
qualificazione di ricorso per ottemperanza e
di ricorso contro il silenzio. Nel presente
giudizio, invece, viene proposta
direttamente un’azione di accertamento. La
sostanza della domanda, tuttavia, non
cambia.
La causa petendi è la stessa (ossia
la tesi, condivisa dalla sentenza di questo
TAR n. 859/2008, della retroattività della
norma nazionale del 2006 che prevede
l’efficacia quinquennale della VIA), e
identico è anche il petitum (accertare
l’obbligo di reiterazione della valutazione
di compatibilità ambientale, con blocco
immediato dei lavori che si basano sulla
precedente serie procedimentale, alla cui
origine si colloca appunto il decreto di VIA
del 22 ottobre 2002).
È quindi fondata
l’eccezione di litispendenza, essendosi già
pronunciato questo TAR con la sentenza in
rito n. 1264/2017.
18. Occorre poi sottolineare che la
presentazione di nuove istanze
all’amministrazione non rimette in termini
il Comitato per la formulazione di ricorsi
costituenti una replica di quelli dichiarati
irricevibili e inammissibili. Anche se
pronunciata in rito, la sentenza n.
1264/2017 ha esaurito per il Comitato le vie
interne di ricorso dedicate alle censure
contro l’inottemperanza alla sentenza n.
859/2008 e contro il silenzio sull’apertura
di una nuova procedura di VIA. È quindi
fondata anche questa eccezione di
inammissibilità.
19. La circostanza che all’azione venga ora
applicato un nome nuovo (da
ottemperanza/silenzio ad accertamento) non
individua una realtà giuridica diversa, che
possa essere oggetto di cognizione senza
limiti di tempo e indipendentemente
dall’esito di precedenti ricorsi.
20. Un ricorso che, riproponendo questioni
già decise in passato dal giudice
amministrativo su impulso di altri soggetti,
cercasse di perseguire non l’ottemperanza
alla precedente sentenza ma una pronuncia
con lo stesso contenuto, ossia accertativa
della precedente, incontrerebbe la
preclusione costituita dall’assenza
nell’ordinamento interno di una
giurisdizione di diritto oggettivo a
presidio della legittimità degli atti
amministrativi. La stessa sentenza n.
859/2008, nel dichiarare la decadenza della
VIA, ha specificato (v. punti 5 e 6) che la
tutela giurisdizionale è stata concessa
unicamente nei limiti in cui è stata
ravvisata una lesione diretta e attuale
dell’interesse dei Comuni ricorrenti.
Dopo
che questi ultimi, tramite l’accordo transattivo del 19.12.2008, hanno
rinunciato agli effetti della sentenza n.
859/2008, con alcune garanzie riferite ai
rispettivi territori, non vi è alcun
giudicato, né alcuna possibilità per altri
soggetti di invocare l’autorità della
precedente sentenza allo scopo di ottenere
la medesima dichiarazione di decadenza della
VIA.
Non potrebbe farlo l’interveniente Legambiente Lombardia Onlus, la cui
posizione accessoria segue la sorte dei
ricorrenti, come precisato nella sentenza n.
1264/2017, e a maggior ragione non possono
farlo soggetti come il Comitato, del tutto
estranei al giudizio originario. Dal punto
di vista del Comitato, la sentenza n.
859/2008 è dunque un generico precedente
giurisprudenziale, che non integra in alcun
modo i presupposti processuali necessari per
esperire un’autonoma azione di accertamento.
21. Peraltro, le preclusioni di diritto
interno devono essere valutate dalla
prospettiva del diritto comunitario. È
possibile, infatti, che la mancanza di
rimedi giurisdizionali costituisca essa
stessa un ostacolo al raggiungimento degli
obiettivi fissati dalla normativa
comunitaria, e debba quindi essere superata
mediante la disapplicazione delle norme
interne che impediscono la proposizione di
nuovi ricorsi.
La Corte di Giustizia
dell’Unione Europea ha precisato che il
diritto comunitario, pur consentendo agli
Stati di fissare un termine per le
impugnazioni dei provvedimenti in materia di
VIA, non tollera che i progetti la cui
autorizzazione non è più esposta a un
ricorso giurisdizionale diretto, data la
scadenza del termine di ricorso previsto
dalla normativa nazionale, siano puramente e
semplicemente considerati autorizzati sotto
il profilo dell’obbligo di valutazione della
compatibilità ambientale. In particolare,
non è possibile impedire la proposizione di
un’azione di risarcimento basata sulla
violazione dell’obbligo di valutazione della
compatibilità ambientale (v. C.Giust. Sez. I
17.11.2016 C-‘348/15, Stadt Wiener
Neustadt, punti 43 e 48).
Poiché il
risarcimento in forma specifica può
consistere, prima dell’esecuzione dei
lavori, nell’apertura di una procedura di
VIA, si deve ritenere che i soggetti
interessati, compresi i comitati di
cittadini che risentono delle conseguenze
dell’opera, possano chiedere l’accertamento
dell’obbligo di sottoposizione del progetto
alla valutazione di compatibilità
ambientale.
22. Nel caso in esame, tuttavia, non vi sono
i presupposti per riconoscere la protezione
individuata dalla giurisprudenza della Corte
di Giustizia dell’Unione Europea. Il
raccordo autostradale tra la A4 e la
Valtrompia è stato infatti sottoposto
regolarmente alla procedura di VIA, e ha
ottenuto in data 22.10.2002 una
valutazione favorevole di compatibilità
ambientale.
Il medesimo giudizio è stato
confermato dalla Commissione Tecnica VIA-VAS
in data 19.06.2008 per due stralci
funzionali dell’originario progetto
esecutivo, tra cui quello relativo alla
realizzazione del tratto Concesio-Sarezzo,
che qui interessa. Non essendovi stata
quindi alcuna violazione degli obblighi
comunitari, non vi è neppure l’esigenza di
rimediare attraverso l’ampliamento delle
facoltà processuali e la rimessione in
termini di quanti si oppongono al progetto. |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI - URBANISTICA:
VIA, VAS E AIA – Artt. 12 e 13 l.r. Valle d’Aosta n. 3/2018
– Illegittimità costituzionale – Provvedimento unico
regionale introdotto nel cod. ambiente da d.lgs. n. 104/2017
– Natura unitaria – Frazionamento del contenuto del
provvedimento di Via – Contrasto con l’assetto unitario e
onnicomprensivo del provvedimento unico.
Va dichiarata l’illegittimità
costituzionale degli artt. 12, 13, della legge della Regione
autonoma Valle d’Aosta 20.03.2018, n. 3: il provvedimento
unico regionale, introdotto nel cod. ambiente dal d.lgs. n.
104 del 2017, è finalizzato a semplificare, razionalizzare e
velocizzare la VIA regionale, nella prospettiva di
migliorare l’efficacia dell’azione delle amministrazioni a
diverso titolo coinvolte nella realizzazione del progetto.
Detto istituto non sostituisce i diversi provvedimenti
emessi all’esito dei procedimenti amministrativi, di
competenza eventualmente anche regionale, che possono
interessare la realizzazione del progetto, ma li ricomprende
nella determinazione che conclude la conferenza di servizi.
Il provvedimento unico ha, dunque, una natura per così dire
unitaria, includendo in un unico atto i singoli titoli
abilitativi emessi a seguito della conferenza di servizi
che, come noto, riunisce in unica sede decisoria le diverse
amministrazioni competenti, e non è quindi un atto
sostitutivo, bensì comprensivo delle altre autorizzazioni
necessarie alla realizzazione del progetto. Esso rappresenta
il «nucleo centrale» di un complessivo intervento di riforma
che vincola anche le regioni a statuto speciale, in quanto
norma fondamentale di riforma economico sociale,
riproduttiva –in aggiunta– di specifici obblighi
internazionali in virtù della sua derivazione comunitaria.
La normativa regionale si pone dunque in contrasto con la
disciplina statale, laddove fraziona il contenuto del
provvedimento di VIA, limitandosi a contenere le
informazioni e le valutazioni necessarie a stimare e a
contenere l’impatto ambientale del progetto autorizzato.
Nella disciplina posta dalla Regione autonoma Valle
d’Aosta/Vallèe d’Aoste, il provvedimento di VIA è, infatti,
autonomo rispetto agli altri atti autorizzatori connessi
alla realizzazione dell’opera, in evidente deroga
all’assetto unitario e onnicomprensivo del provvedimento
unico previsto dall’art. 27-bis del cod. ambiente.
...
VIA, VAS E AIA – Art. 10 l.r. Valle d’Aosta n. 3/2018 –
Illegittimità costituzionale – Ruolo meramente consultivo e
marginale della conferenza di servizi – Contrasto con l’art.
27-bis del d.lgs. n. 152/2006.
Va dichiarata l’illegittimità
costituzionale dell’art. 10 della legge della Regione
autonoma Valle d’Aosta 20.03.2018, n. 3: tale disposizione
prevede che i soggetti competenti in materia territoriale e
ambientale possano esprimere il loro parere anche
«nell’ambito della conferenza di servizi indetta dalla
struttura competente».
La conferenza di servizi è dunque relegata, dalla legge
regionale impugnata, a un ruolo meramente consultivo e
marginale, secondo una previsione che contrasta con il
disegno normativo prefigurato dall’art. 27-bis del cod.
ambiente.
...
VIA, VAS E AIA – Art. 16 l.r. Valle d’Aosta n. 3/2018 –
Illegittimità costituzionale – Allocazione dei procedimenti
di VIA tra Stato e Regioni – Livello di protezione uniforme
sul territorio nazionale.
Va dichiarata l’illegittimità
costituzionale dell’art. 16, comma 1, della legge reg. Valle
d’Aosta n. 3 del 2018 e dell’Allegato A alla medesima legge
regionale, e degli allegati ivi contenuti, limitatamente ai
numeri 2), 3), 4), 5), 7), 8), 9) 10), 11), 17), 18), 19),
20) dell’Allegato A, e ai numeri 2.a), 2.e) 2.g), 2.h),
7.e), 7.g), 7.j), 7.m), 7.r) dell’Allegato B.
La nuova distribuzione di competenze tra Stato e Regioni,
operata dal d.lgs. n. 104 del 2017, va considerata tra gli
aspetti fondamentali della riforma in tema di VIA e di
assoggettabilità a VIA, istituti chiave per la tutela
dell’ambiente, la quale necessita di un livello di
protezione uniforme sul territorio nazionale. Il d.lgs. n.
104 del 2017 (in particolare, gli artt. 5, 22, 26) ha
sostituto gli Allegati alla Parte II del cod. ambiente, e
così realizzato una nuova allocazione dei procedimenti di
VIA tra Stato e Regioni, ampliando il novero dei
procedimenti di competenza statale.
Da tali premesse discende l’illegittimità costituzionale
delle norme che interferiscono con i procedimenti che il
cod. ambiente riserva allo Stato, indicando tipologie di
progetti non perfettamente corrispondenti alle fattispecie
contenute nel d.lgs. n. 152 del 2006, o prevedendo soglie
dimensionali inferiori a quanto previsto dalla disciplina
statale senza contestualmente stabilire “limiti” massimi
idonei ad evitare sovrapposizioni (Allegato A, numeri 2, 3,
9, 17, 18, 19 e 20; Allegato B, numeri 2a, 2e, 2g, 2h, 7e,
7g, 7j, 7m e 7r).
A conclusioni analoghe deve giungersi per i procedimenti che
la legge regionale sottopone a VIA regionale o a verifica
regionale di assoggettabilità a VIA non indicati dagli
Allegati alla Parte II del cod. ambiente (Allegato A, numeri
4, 5, 7, 8, 10 e 11). Anche tali fattispecie sono
illegittime in quanto si allontanano dalla disciplina
statale, la quale, in virtù della competenza esclusiva di
cui all’art. 117, secondo comma lettera s) Cost., richiede
una uniformità di trattamento normativo nella allocazione
dei procedimenti tra Stato e Regioni (Corte
Costituzionale,
sentenza 19.06.2019 n. 147 - link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI - URBANISTICA: Valutazione
di impatto ambientale (VIA), la Consulta boccia norme della Valle d'Aosta.
Secondo la Corte costituzionale varie disposizioni della legge regionale
valdostana n. 3/2018 sono illegittime. La disciplina della VIA rientra nella
competenza esclusiva dello Stato.
La disciplina della Valutazione di impatto ambientale
(VIA) rientra nella competenza esclusiva statale in materia di «tutela
dell’ambiente e dell’ecosistema» di cui all’art. 117, secondo comma, lettera
s), della Costituzione.
Lo ha ribadito la Corte costituzionale nella
sentenza
19.06.2019 n. 147.
Con questa sentenza la Consulta ha:
1) dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 10, 12,
13, della legge della Regione autonoma Valle d’Aosta 20.03.2018, n. 3,
recante «Disposizioni per l’adempimento degli obblighi della Regione
autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste derivanti dall’appartenenza
dell’Italia all’Unione europea. Modificazioni alla legge regionale 26.05.2009, n. 12 (Legge europea 2009), in conformità alla direttiva 2014/52/UE
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16.04.2014, che modifica la
direttiva 2011/92/UE concernente la valutazione dell’impatto ambientale di
determinati progetti pubblici e privati (Legge europea regionale 2018)»;
2) dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 16, comma 1,
della legge reg. Valle d’Aosta n. 3 del 2018 e dell’Allegato A alla medesima
legge regionale, e degli allegati ivi contenuti, limitatamente ai numeri 2),
3), 4), 5), 7), 8), 9) 10), 11), 17), 18), 19), 20) dell’Allegato A, e ai
numeri 2.a), 2.e) 2.g), 2.h), 7.e), 7.g), 7.j), 7.m), 7.r) dell’Allegato B.
Il Presidente del Consiglio dei ministri ha sollevato questioni di
legittimità costituzionale della suddetta legge della Regione autonoma Valle
d’Aosta, per contrasto con l’art. 117, comma 2, lettera s), della
Costituzione con riferimento ad alcune disposizioni del decreto legislativo
03.04.2006, n. 152 recante «Norme in materia ambientale» (cod.
ambiente), e in particolare, agli artt. 7-bis e 27-bis e agli Allegati II,
II-bis, III, IV, alla Parte II del menzionato cod. ambiente
(20.06.2019 - commento tratto da https://www.casaeclima.com). |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: Valutazione
di impatto ambientale.
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Ambiente - Valutazione di impatto ambientale – Verifica impatto che il
complesso delle nuove opere ha sull’ambiente – Omissione – Illegittimità.
E’ illegittima per difetto di istruttoria la
valutazione di impatto ambientale posta in essere prescindendo dal
considerare l’impatto che il complesso delle nuove opere ha sull’ambiente
(1).
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(1) Il Tar Toscana stabilisce che la valutazione di impatto
ambientale implica un esame dell’impatto complessivo che le singole opere
hanno sull’ambiente, in quanto la definizione del grado di modifica
dell’ambiente (se in misura più o meno penetrante) non può che essere
essenziale, consentendo di valutare se le alterazioni conseguenti alla
realizzazione delle opere possano ritenersi "accettabili" alla
stregua di un giudizio comparativo che tenga conto della necessità di
salvaguardare preminenti valori ambientali e dell’impatto della
realizzazione di una determinata opera, in applicazione ai fondamentali
principi di precauzione e prevenzione del diritto dell’ambiente.
Ne consegue l’emergere di un difetto di istruttoria tutte quelle volte che
la valutazione di compatibilità ambientale sia stata posta in essere
prescindendo dal considerare l’impatto che il complesso delle nuove opere ha
sull’ambiente e, ciò, operando un rinvio di detta valutazione all’esecuzione
di un considerevole numero di prescrizioni, in un contesto nel quale le
azioni da compiere non erano sufficientemente definite e che, pertanto,
avrebbero richiesto inevitabilmente nuove valutazioni conseguenti all’esame
istruttorio ancora da svolgere.
Lo scopo delle prescrizioni è, infatti, quello di individuare le condizioni
più idonee per meglio garantire la compatibilità ambientale, funzione quest’ultima
che presuppone un’avvenuta valutazione positiva dell’opera circa l’incidenza
di quest’ultima sugli elementi naturalistici del territorio.
Nel caso di specie il progetto presentato dall’Enac consisteva in un “Masterplan
Aeroportuale” che rinviava alla fase esecutiva le valutazioni di
incidenza sull’ambiente riferite a circa 142 prescrizioni che implicavano,
tra l’altro, lo spostamento di un corso d’acqua; il sotto-attraversamento di
un’autostrada; la ricollocazione del bacino denominato “Lago di Peretola”
(peraltro sottoposto a vincolo paesaggistico), l’interramento di quest’ultimo
e la creazione ex novo di un’area umida di circa 9,7 ettari con
trasferimento della fauna e della vegetazione e, ciò, oltre all’esame degli
scenari probabilistici del rischio di incidente aereo.
In particolare il Tar ha ritenuto esistenti i seguenti principi di diritto:
a) a prescindere dal fatto che si ritenga applicabile che la
disciplina introdotta dal d.lgs. n. 104 del 2017 (che modifica gli artt. 20
e ss., d.lgs. n. 152 del 2006), laddove consente che gli elaborati
progettuali siano predisposti con un livello informativo e di dettaglio
equivalente a quello del progetto di fattibilità, o al contrario (come
sostengono i ricorrenti) un livello di definizione al progetto esecutivo di
cui all’art. 93 comma 6, del d.lgs. 163/2006, è comunque indispensabile che
il progetto di un’opera pubblica, alla base della valutazione di impatto
ambientale, contenga quel grado di dettaglio minimo e sufficiente affinché
si possa addivenire ad una corretta valutazione degli effetti che l’opera ha
sull’ambiente circostante.
b) l’art. 25, comma 4, d.lgs. n. 152 del 2006 prevede
l’ammissibilità di prescrizioni che, tuttavia, sono espressamente
qualificate come condizioni per la realizzazione, l'esercizio e la
dismissione del progetto, nonché quelle condizioni dirette ad evitare,
prevenire, ridurre e, se possibile, compensare gli impatti ambientali
significativi e negativi; si tratta di allora di opere e modalità esecutive
eventuali e accessorie, che si pongono a valle di un progetto comunque
definito e compiuto, quanto meno in tutti quegli elementi sufficienti per
effettuare un giudizio sull’impatto delle opere rispetto all’ambiente
circostante.
c) le opere e gli interventi da realizzare nell’ambito delle
prescrizioni non possono che avere un carattere “accessorio” rispetto
al giudizio di compatibilità, attenendo alla fase di esecuzione del progetto
e non riguardare aspetti che avrebbero dovuto essere valutati e risolti in
sede di VIA.
d) la valutazione di compatibilità ambientale non può avere natura
condizionata se le prescrizioni a cui è subordinata non possiedono un reale
contenuto precettivo, recando per contro indicazioni meramente orientative
ipotetiche, e, in ogni caso, non può trattarsi di indicazioni la cui
concreta realizzabilità non sia stata preventivamente (Tar Toscana, sez. II,
23.12.2010, n. 6867);
e) la valutazione di impatto ambientale ha, infatti, il fine di
sensibilizzare l'autorità decidente, attraverso l'apporto di elementi
tecnico-scientifici idonei ad evidenziare le ricadute sull'ambiente
derivanti dalla realizzazione di una determinata opera, a salvaguardia
dell'habitat. Tale valutazione non può che implicare una complessiva ed
approfondita analisi di tutti gli elementi incidenti sull'ambiente del
progetto unitariamente considerato, per valutare in concreto il sacrificio
imposto all'ambiente rispetto all'utilità socio-economica perseguita (Cons.
St., sez. V, 06.07.2016, n. 3000 id., sez. IV, 24.03.2016, n. 1225);
f) il concetto di valutazione di impatto ambientale implica che le
opere da valutare siano state preventivamente definite (quanto meno nelle
linee essenziali), senza che possano emergere nuovi aspetti suscettibili di
condizionare l’avvenuta valutazione di compatibilità ambientale.
g) se le opere da realizzare non sono state compiutamente definite
è la stessa valutazione di compatibilità ambientale a risultare parziale,
non essendo stato possibile verificare in che misura l’ambiente ne
risulterebbe modificato, dall'altro, dell'interesse pubblico sotteso
all'esecuzione dell'opera, potendo gli organi amministrativi preposti al
procedimento di v.i.a. dettare prescrizioni e condizioni diretto solo a
meglio garantire la compatibilità ambientale dell'opera progettata (Tar
Milano, sez. III, 08.03.2013, n. 627).
h) nell’ipotesi in cui la progettazione esecutiva comporti
importanti variazioni all'opera già esaminata, tali da alterarne le
caratteristiche è necessario che in sede di approvazione del progetto
definitivo l'autorità amministrativa manifesti la consapevolezza del
susseguirsi dei provvedimenti e li ritenga compatibili con le risultanze
della valutazione di impatto ambientale e, ciò, al fine di consentire in
sede giurisdizionale il sindacato di legittimità sulla ragionevolezza di
tali determinazioni e di quella che esclude la rinnovazione della medesima
valutazione (Cons. St., sez. VI, 12.05.2006, n. 2694; id., sez. IV,
11.04.2007, n. 1649) (TAR Toscana,
Sez. I,
sentenza 27.05.2019 n. 789 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrartiva.it).
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1.8 Ciò premesso è possibile esaminare le argomentazioni proposte,
anticipando sin d’ora come sia da accogliere il quarto, l’ottavo
e il dodicesimo motivo.
1.9 Con dette censure le parti ricorrenti sostengono che il decreto VIA n.
377/2017, avente ad oggetto il Master Plan 2014-2029 dell’aeroporto di
Firenze, sarebbe illegittimo in quanto subordinato a prescrizioni in gran
parte prive di contenuto precettivo che, di fatto, avrebbero l’effetto di
posticipare valutazioni che, invece, avrebbero dovuto essere eseguite prima
della conclusione del procedimento di VIA.
2. Al contrario le Amministrazioni resistenti sostengono che l’aver imposto
delle prescrizioni non comporterebbe un rinvio delle valutazioni di
compatibilità ambientale che, in realtà, sarebbero state effettuate
nell’ambito del procedimento in questione.
Le condizioni apposte sarebbero dirette esclusivamente a effettuare alcuni
approfondimenti al fine di individuare le migliori modalità esecutive.
A parere delle Amministrazioni sopra citate la circostanza che procedimento
VIA sia giunto a conclusione nella vigenza del d.lgs. 104/2017,
consentirebbe l’applicazione di detta nuova disciplina, laddove prevede che
gli elaborati progettuali siano predisposti con un livello informativo e di
dettaglio equivalente a quello del progetto di fattibilità, non richiedendo
così un grado di specificazione pari al progetto esecutivo di cui all’art.
93, comma 6, del d.lgs. 163/2006.
2.1 L’ottemperanza alle condizioni, inoltre, è stata verificata
dall’apposito Osservatorio costituito dal Ministero dell’Ambiente che, a sua
volta, ha confermato le valutazioni alle quali era giunto il decreto
377/2018.
2.2 Come si andrà a dimostrare è dirimente constatare che
il progetto sottoposto a VIA non conteneva quel grado di dettaglio minimo e
sufficiente affinché il Ministero dell’Ambiente addivenisse ad una corretta
valutazione di compatibilità ambientale, non essendosi individuati
compiutamente le opere da realizzare.
2.3 Il progetto presentato dall’Enac consiste in un “Masterplan
Aeroportuale”, documento che il Ministero dell’Ambiente ha ritenuto
assimilabile ad un “progetto definitivo”, consentendo la sua
sottoposizione alla procedura di compatibilità ambientale.
2.4 L’esame della documentazione in atti consente inoltre di evincere come
si sia in presenza di opere di considerevole impatto ambientale che
implicano, tra l’altro, lo spostamento di un tratto del Fosso Reale, il
sotto-attraversamento dell’Autostrada A11; la riorganizzazione dello
svincolo della A11 per Sesto Fiorentino e Osmannoro e la ricollocazione del
bacino denominato “Lago di Peretola” e di alcuni bacini del sito “La
Querciola”, oltre alla delocalizzazione di parte dei “boschi della
piana”.
2.5 L’incidenza della realizzazione di dette opere sul sistema ambientale
risulta evidente laddove si consideri che l’area di compensazione di “Mollaia”
consiste nella “creazione di un sistema di nuovi ambienti ad acquitrino e
bosco idrofilo, mentre l’area di compensazione di Santa Croce concerne la
sostituzione del Lago di Peretola, prevedendo l’interramento di quest’ultimo
e la creazione ex novo di un’area umida di circa 9,7 ettari con
trasferimento della fauna e della vegetazione.
2.6 Tali considerazioni risultano paradossalmente rafforzate dall’esame
della documentazione depositata nel corso del giudizio e riferita al
procedimento di localizzazione delle opere di pubbliche di interesse
statale, in relazione al quale è stata convocata la conferenza di servizi ai
sensi dell’art. 3, comma 1, del Dpr 383/1994.
2.7 Nel prosieguo del procedimento sono intervenute una serie di variazioni
e integrazioni rispetto agli atti in possesso del Ministero dell’Ambiente
nel momento in cui è stato adottato il giudizio di compatibilità ambientale.
2.8 E’ stata, infatti, dettagliata la realizzazione delle opere idrauliche
esterne all’area di sedime aeroportuale comprendenti, tra le altre, l’opera
di deviazione del Fosso Reale, l’attraversamento dell’Autostrada A11, la
realizzazione delle casse di espansione (aree di laminazione) e le opere di
compensazione ambientale funzionali alla mitigazione dell’impatto sui siti
protetti.
In particolare per quanto concerne le opere idrauliche va evidenziato che la
documentazione progettuale originariamente prodotta in sede di VIA non
conteneva l’indicazione delle relazioni geologiche, sismiche ed idrologiche,
nonché le verifiche geotecniche.
2.9 La documentazione presentata nell’ambito del procedimento urbanistico
conferma come in sede di VIA sia stato presentato un progetto parziale e
comunque insufficiente a consentire una compiuta valutazione degli impatti
ambientali, essendosi rinviato detto giudizio alle fasi progettuali
successive, devolvendo le attività di verifica della corretta esecuzione
delle prescrizioni al costituendo Osservatorio Ambientale.
3. L’assenza dell’esperimento di una corretta fase istruttoria risulta
dimostrata dal fatto che il decreto sopra citato contiene un numero di
prescrizioni (pari a circa 70) che, per le loro caratteristiche, hanno
l’effetto di condizionare la valutazione di compatibilità ambientale
contenuta nel provvedimento impugnato.
3.1 In particolare dalle prescrizioni contenute nel decreto 377/2018 è
possibile desumere che è stato rinviato alla fase esecutiva lo studio
riferito agli scenari probabilistici del rischio di incidente aereo
(prescrizione n. 3) e la stima del rischio di incidente rilevante con
strutture soggette alla Direttiva Seveso, presenti sulle direttrici di
atterraggio e decollo (prescrizione n. 4); la verifica della conformità
delle nuove aree di laminazione previste dal SIA (prescrizione n. 28);
l’individuazione di una soluzione progettuale che consenta di realizzare il
sotto attraversamento dell’autostrada A11 da parte del nuovo corso del Fosso
Reale (prescrizione n. 29); è stata posticipata l’individuazione delle
soluzioni a tutte le interferenze della nuova pista con l’assetto idraulico
e con le infrastrutture stradali della zona interessata dal progetto
(prescrizione n. 33); è stata rinviata l’individuazione delle soluzioni per
risolvere l’interferenza tra la pista e la già programmata cassa di
laminazione del PUE di Castello, nonché di quella già prevista dal Comune di
Sesto Fiorentino sul Canale di Cinta Orientale per la messa in sicurezza del
Polo Universitario di Sesto Fiorentino (prescrizione n. 34); non è stata
posta in essere la progettazione esecutiva e l’analisi del rischio di bird
strike (prescrizione n. 46), così come la redazione di un progetto di
massima degli ambienti umidi previsti a compensazione della distruzione
delle aree naturali, di cui al punto precedente (prescrizione n. 49).
3.2 La prescrizione n. 29 prevede che “il proponente in sede di
progettazione esecutiva dovrà correttamente sviluppare la soluzione di
attraversamento dell’autostrada A11 presentata nel SIA (e documentazione
integrativa) risolvendo la problematica tecnica evidenziata nel parere del
Genio Civile di Bacino Arno Toscana del 19.10.2015”.
3.1 Particolarmente incidenti sono le opere previste nelle prescrizioni n.
28, 30 e 33, laddove si rinvia alla fase di progettazione esecutiva la
verifica dell’adeguatezza delle nuove aree di laminazione.
3.2 Tra le prescrizioni suscettibili di incidere maggiormente sulla
valutazione di compatibilità ambientale vanno annoverate le opere da
realizzare e relative all’assetto idrologico-idraulico della Piana
fiorentina (in questo senso si veda l’ottavo motivo del ricorso).
3.3 Analogamente con la prescrizione n. 46 (dodicesimo motivo) viene
integralmente rimandata alla fase di progettazione esecutiva l’analisi del
rischio di “bird strike”, fattispecie quest’ultima in relazione alla
quale, peraltro, si era già pronunciato questo Tribunale.
La sentenza 1310/2016 aveva avuto modo di chiarire la necessità di una
preventiva realizzazione di detto studio, disponendo che “la
localizzazione della pista di volo può di per sé porre un problema di
intercettazione dei volatili. Il rischio di bird strike attiene infatti
all’ubicazione dell’aeroporto, e quindi la sua valutazione si rende
necessaria già al momento della scelta di piano. Non si tratta, cioè, di
impatto sull’ambiente evidenziabile solo in sede di predisposizione del
progetto, ovvero in fase di VIA, essendo già evincibile al momento della
localizzazione dell’opera la possibilità o meno di intercettazione di
passaggi dell’avifauna, sia in relazione ai percorsi migratori, sia in
relazione alla vicinanza di aree alberate o di corsi d’acqua, che
notoriamente attraggono gli uccelli”.
3.4 In questo senso è anche la prescrizione A3 “rischio di incidente
aereo”, laddove si richiede la predisposizione di uno studio “riferito
agli scenari probabilistici sul rischio di incidenti aerei”, finalizzato
a “descrivere e quantificare i rischi per la salute umana e l’ambiente
derivanti dalla vulnerabilità aeroportuale a gravi incidenti”.
3.5 Ciò premesso è evidente che il “progetto esecutivo” sia, di per
sé, deputato ad introdurre solo le specifiche, i dettagli e le modalità
delle lavorazioni da svolgere, non potendo costituire il momento in cui
effettuare “scelte progettuali” o nuove “valutazioni” circa
gli impatti dell’opera sulle componenti ambientali o in merito i rischi
derivanti dall’esecuzione del progetto (si vedano ad esempio le prescrizioni
nn. 3, 4, 29, 33 34, 46, 48 e 49).
3.6 L’art. 25, comma 4, del d.lgs. 152/2006 prevede l’ammissibilità di
prescrizioni che sono espressamente qualificate come condizioni per la
realizzazione, l'esercizio e la dismissione del progetto, nonché quelle
condizioni dirette ad evitare, prevenire, ridurre e, se possibile,
compensare gli impatti ambientali significativi e negativi.
3.7 Si tratta di prescrizioni, quindi, eventuali e accessorie, che si
pongono a valle di un progetto comunque definito e compiuto, quanto meno in
tutti quegli elementi indispensabili per effettuare un giudizio sull’impatto
delle opere rispetto all’ambiente circostante.
3.8 Ne consegue che le opere e gli interventi da realizzare non possono che
avere un carattere “accessorio” rispetto al giudizio di
compatibilità, attenendo alla fase di esecuzione del progetto e non
riguardare aspetti che dovevano essere valutati e risolti in sede di VIA.
3.9 E’, infatti, noto che la valutazione di impatto
ambientale ha il fine di sensibilizzare l'autorità decidente, attraverso
l'apporto di elementi tecnico-scientifici idonei ad evidenziare le ricadute
sull'ambiente derivanti dalla realizzazione di una determinata opera, a
salvaguardia dell'habitat.
Tale valutazione non può che implicare una complessiva ed
approfondita analisi di tutti gli elementi incidenti sull'ambiente del
progetto unitariamente considerato, per valutare in concreto il sacrificio
imposto all'ambiente rispetto all'utilità socio-economica perseguita
(Cons. di Stato Sez. V, sentenza n. 3000 del 06/07/2016; Cons. di Stato Sez.
IV, sentenza n. 1225 del 24/03/2016).
4. Ulteriori pronunce hanno poi, confermato la necessità di
una nuova valutazione tutte le volte che la progettazione esecutiva comporti
importanti variazioni all'opera già esaminata, tali da alterarne le
caratteristiche.
In tali casi, è necessario che in sede di approvazione del
progetto definitivo l'autorità amministrativa manifesti la consapevolezza
del susseguirsi dei provvedimenti e li ritenga compatibili con le risultanze
della valutazione di impatto ambientale e, ciò, al fine di consentire in
sede giurisdizionale il sindacato di legittimità sulla ragionevolezza di
tali determinazioni e di quella che esclude la rinnovazione della medesima
valutazione (Cons. di Stato Sez.
VI, sentenza n. 2694 del 12/05/2006 e Cons. Stato Sez. IV, 11/04/2007, n.
1649).
4.1 Nel caso di autorizzazione per la costruzione di
un'opera, la violazione delle prescrizioni vincolanti dettate in sede di
VIA, tali da dare vita ad un'opera da ritenersi sostanzialmente differente
da quella autorizzata, si deve ritenere di per sé idonea ad inficiare
irrimediabilmente la procedura (Cons.
Stato Sez. VI Sent., 03/10/2007, n. 5105).
4.2 E’ evidente che la maggior parte delle opere sopra
citate risultano “rilevanti” e astrattamente idonee ad alterare
l’ambiente e, ciò, con l’effetto che le scelte da operare in sede esecutiva
sono in realtà suscettibili di incidere sulla valutazione di idoneità
ambientale già posta in essere.
4.3 Come si è avuto modo di anticipare le prescrizioni di cui si tratta si
riferiscono allo spostamento di un fiume, alla necessità di reperire volumi
di compensazione idrauliche delle aree agricole, opere queste ultime la cui
necessità era stata rilevata anche dal Piano di Bonifica, evidenziando che
gli interventi di cui si tratta ricadono in aree classificate a pericolosità
idraulica media ed elevata.
4.4 Si consideri, peraltro, che la verifica dell'ottemperanza a dette
condizioni non è stata demandata ai due Ministeri che hanno emesso il
provvedimento di VIA, bensì ad un organismo a composizione mista dove è
presente (con diritto di voto) lo stesso proponente ENAC (e senza diritto di
voto) la società Toscana Aeroporti (e quindi il soggetto che gestisce
l’aeroporto), mentre è stata esclusa dall'Osservatorio la presenza di ogni
rappresentante dei Comuni ricorrenti, circostanza che ha impedito a questi
ultimi di presentare specifici rilievi una volta approvati i progetti
esecutivi.
4.5 Detta modalità di procedere contrasta con la finalità primaria del
procedimento di VIA, diretta com’è a dare concreta applicazione ai
fondamentali principi di precauzione e prevenzione del diritto
dell’ambiente.
4.6 E’ il complessivo tenore delle prescrizioni che dimostra come la
valutazione di compatibilità ambientale sia stata posta in essere
prescindendo dall’esame dell’impatto che le nuove opere potrebbero avere
sull’ambiente, in un contesto nel quale le azioni da compiere non sono
sufficientemente definite e che, pertanto, richiedono inevitabilmente nuove
valutazioni conseguenti all’esame istruttorio ancora da svolgere.
5.8 Al contrario lo scopo delle prescrizioni è quello di individuare le
condizioni più idonee per meglio garantire la compatibilità ambientale,
funzione quest’ultima che presuppone un avvenuta valutazione positiva
dell’opera circa l’incidenza di quest’ultima sugli elementi naturalistici
del territorio.
5.9 Il concetto di valutazione di impatto ambientale
implica, allora,
che le opere da valutare siano state preventivamente definite (quanto meno
nelle linee essenziali), risultando comunque possibile valutare l’incidenza
di queste ultime sugli elementi naturalistici del territorio.
6. Nell’ambito della VIA la definizione del grado di
modifica dell’ambiente (se in misura più o meno penetrante) non può che
essere essenziale, in quanto consente di valutare se le alterazioni
conseguenti alla realizzazione delle opere possano ritenersi "accettabili"
alla stregua di un giudizio comparativo che tenga conto, da un lato, della
necessità di salvaguardare preminenti valori ambientali, dall'altro,
dell'interesse pubblico sotteso all'esecuzione dell'opera, potendo gli
organi amministrativi preposti al procedimento di v.i.a. dettare
prescrizioni e condizioni per meglio garantire la compatibilità ambientale
dell'opera progettata (TAR
Lombardia Milano Sez. III Sent., 08/03/2013, n. 627).
6.1 Al contrario se le opere da realizzare non sono state
compiutamente definite è la stessa valutazione di compatibilità ambientale a
risultare parziale, non essendo stato possibile verificare in che misura
l’ambiente ne risulterebbe modificato.
6.2 Anche questo Tribunale (TAR Toscana, Sez. II, 23.12.2010, n. 6867), ha
avuto modo di affermare che la valutazione di compatibilità
ambientale non può avere natura condizionata se le prescrizioni a cui è
subordinata non possiedono un reale contenuto precettivo, recando per contro
indicazioni meramente orientative ipotetiche, e, in ogni caso, non può
trattarsi di indicazioni la cui concreta realizzabilità non sia stata
preventivamente verificata.
6.3 Ne consegue che la previsione di un numero così elevato
di prescrizioni, ma soprattutto il carattere e il tenore di queste ultime,
dimostra inevitabilmente il difetto di istruttoria in cui è incorsa
l’Amministrazione, che è stata obbligata a posticipare la valutazione dei
relativi impatti ambientali.
6.4 Le censure sopra citate sono, pertanto, fondate.
La circostanza che il procedimento di valutazione della compatibilità
urbanistica è tutt’ora in corso e che verrà posto in essere
nell’applicazione del diverso procedimento di cui all'art. 81 del DPR n.
616/1977 - analogamente al fatto che la pronuncia di questo Tribunale
relativa al PIT e al procedimento di VAS è al vaglio del Consiglio di Stato
in sede di appello, suggerisce di assorbire le ulteriori deduzioni proposte.
6.5 Il ricorso è, pertanto, fondato e va accolto, con conseguente
annullamento nei limiti della parte motiva dei provvedimenti in epigrafe
indicati. |
URBANISTICA: VIA
per un piano attuativo.
L’allegato IV (punto
7.b) al d.lgs. 152 del 2006 (richiamato
dalla previsione di cui all’articolo 6,
comma 7, del medesimo articolato normativo)
impone di assoggettare a V.I.A. i “progetti
di riassetto o sviluppo di aree urbane
all’interno di aree urbane esistenti che
interessano superfici superiori a 10
ettari”; in tale ipotesi la competenza
spetta alla Regione, come conferma la
previsione di cui all’allegato C (punto
7.b.1.) della l.r. 5 del 2010.
Non rileva la circostanza che le aree del
soggetto attuatore abbiano superficie
inferiore ai 10 ettari, atteso che ciò che
va verificato è la superficie dell’intero
piano (fattispecie relativa a piano
attuativo di riqualificazione urbanistica in
ambito industriale/terziario)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 26.04.2019 n. 933 - commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
---------------
MASSIMA
... per l'annullamento:
A) Per quanto riguarda il ricorso
introduttivo:
a) della deliberazione della Giunta comunale di Olgiate Olona (VA)
n. 93 del 26.05.2017 recante “Adozione
piano attuativo Ch.It.”;
b) della deliberazione della Giunta comunale di Olgiate Olona (VA)
n. 125 del 20.07.2017 recante “Esame
osservazioni ed approvazione P.A. Ch.It.”;
c) della relazione sulle osservazioni pervenute redatta dal
Responsabile del Settore Territorio in data
14.07.2017;
...
1. L’associazione “Comitato
ValleOlonaRespira”, in persona del
legale rappresentante pro tempore, e i
signori Gi.Ga. e Da.Ra. adiscono questo
Tribunale chiedendo l’annullamento:
a) della deliberazione della Giunta comunale di Olgiate Olona n. 93
del 26.05.2017 recante “Adozione piano
attuativo Ch.It.”;
b) della deliberazione della Giunta comunale di Olgiate Olona (VA)
n. 125 del 20.07.2017 recante “Esame
osservazioni ed approvazione P.A. Ch.It.”;
c) della relazione sulle osservazioni pervenute redatta dal
Responsabile del Settore Territorio in data
14.07.2017;
d) nonché di ogni altro atto presupposto, consequenziale e comunque
connesso.
2. In punto di fatto, i ricorrenti deducono
che:
a) “a cavaliere del territorio dei Comuni di Olgiate Olona (VA)
e Castellanza (VA) sorge un imponente
compendio immobiliare comunemente denominato
Polo Chimico “ex Montedison” della
superficie di mq 260.390, di cui mq 151.353
ricompresi nel perimetro del territorio del
Comune di Ogliate Olona e mq 109.037 in
Comune di Castellanza”;
b) l’attività industriale nel settore della chimica all’interno del
Polo “ex Montedison” è ormai quasi
totalmente dismessa e, per tale motivo, i
P.G.T. dei comuni di Olgiate Olona e
Castellanza prevedono, per le parti di
rispettiva competenza, destinazione
sostanzialmente produttiva e terziaria delle
aree, soggetta a piano attuativo
disciplinato dalle Norme di Attuazione del
Piano delle Regole;
c) lo strumento urbanistico del comune di Olgiate Olona colloca
l’area “ex Montedison” nell’ambito
D2, regolato dall’articolo 19 delle Norme di
Attuazione del Piano delle Regole a mente
del quale è consentito l’intervento “attraverso
piano esecutivo convenzionato con
possibilità di Unità Minime di Intervento
secondo quanto previsto dal precedente art.
5, con esclusione degli interventi
manutentivi” (e comprensivi quindi di
frazionamenti di edifici o di proprietà
esistenti con o senza opere edilizie,
ristrutturazione edilizia, ampliamento e
sopralzo, demolizione con ricostruzione,
nuova costruzione);
d) l’articolo 5 delle N.d.A. stabilisce che, “al fine di
favorire l’attuazione del Piano di Governo
del Territorio gli strumenti di
pianificazione attuativa relativi agli
ambiti D2, possono essere attuati, su parere
favorevole dell’Amministrazione Comunale,
anche per Unità Minime di Intervento (UMI)”,
rappresentate da aree, inserite all’interno
dei perimetri come sopra definiti, facenti
capo ad un’unica proprietà;
e) la previsione impone, inoltre, la presentazione del Piano
attuativo da parte della maggioranza
assoluta dei proprietari, “corredato da
un progetto planivolumetrico di massima
riferito all’intera area perimetrata nelle
tavole di P.G.T., definito nelle sue
componenti tipologiche e di destinazione
d’uso, con indicazione delle sagome di
ingombro e coperture dei singoli edifici”;
inoltre, si impone al progetto di
individuare la viabilità interna, le aree di
uso pubblico, le aree da cedere in proprietà
al Comune nonché le opere di sistemazione
delle aree libere;
f) con deliberazione del Consiglio comunale n. 37 del 25.09.2014, il
comune di Olgiate Olona approva un
protocollo di intesa con il comune di
Castellanza per il coordinamento delle
iniziative urbanistiche riguardanti l’area
del Polo Chimico “ex
Montedison”,
finalizzato a dotare l’area in questione di
un “piano di riqualificazione urbanistica
unitario, non parcellizzato, giusta le
rilevanti problematiche di interesse per
entrambi i Comuni contermini”;
g) la porzione di area sita nel comune di Olgiate Olona (pari mq
151.353) è suddivisa in quattro distinte
proprietà di cui mq. 98.318 di titolarità di
Ch.It. s.r.l., mq 26.641 di Pe. s.p.a., mq
24.083 di Ce. s.r.l., e mq 118 di Yu.Im.
S.r.l.;
h) la sola Ch.It. si attiva per attuare il P.A. previsto dal P.d.R.
del P.G.T. proponendo all’Amministrazione
comunale di Olgiate Olona due diverse
istanze di adozione che vengono, tuttavia,
rigettate;
i) con successiva deliberazione di Giunta comunale n. 93 del
26.05.2017 l’Amministrazione adotta il piano
attuativo “Ch.It.” e contestualmente
ne dispone il deposito presso gli Uffici
comunali per consentire la proposizione di
osservazioni ed opposizioni;
l) presentano osservazioni il Comitato ricorrente ed alcuni
cittadini;
m) l’Amministrazione comunale delibera di approvare definitivamente
il piano adottato sulla scorta della
relazione di controdeduzioni redatta dal
Responsabile del Settore Territorio.
3. I ricorrenti, premessa la loro
legittimazione processuale, articolano
nove motivi di ricorso.
...
3.3. Con il terzo motivo i ricorrenti
lamentano la violazione del combinato
disposto degli articoli 6, comma 7, del
d.lgs. 152/2006 e del relativo allegato IV
che impone la verifica di V.I.A. per i “progetti
di riassetto o sviluppo di aree urbane
all’interno di aree urbane esistenti che
interessano superfici superiori a 10 ettari”.
Osservano che il Piano attuativo impegni
147.394,31 mq di terreno, ridisegnando
completamente la fisionomia del Polo Chimico
“ex Montedison” nella porzione in cui
ricade nel comune di Olgiate Olona. Inoltre,
osservano coma la normativa in materia di
V.I.A. risulta violata anche in relazione ai
parcheggi atteso che l’allegato B della L.r.
5 del 2010 impone, al punto 7.b5),
l’assoggettamento a V.I.A. dei progetti che
prevedono la realizzazione di parcheggi ad
uso pubblico con capacità superiore a 550
posti auto.
Nel caso in esame, lo stato di progetto del
piano attuativo prevede la realizzazione di
1.451 posti auto ed ulteriori 668 posti auto
compresi nelle aree a standard di progetto.
3.4. Con il quarto motivo i
ricorrenti lamentano la mancata verifica
dell’incidenza paesistica del piano,
necessaria in considerazione della portata
ed estensione dello stesso.
...
3.7. Con il settimo motivo i
ricorrenti lamentano la violazione
dell’articolo 2 del d.lgs. 30.04.1992, n.
258 e del D.M. 05.11.2001, n. 6792 (recante
“Norme funzionali e geometriche per la
costruzione delle strade”) in relazione
all’intervento di risistemazione della via
Morelli, ritenuto non conforme alla regole
indicate.
...
12. Affermata la legittimazione
dell’associazione ricorrente, può procedersi
ad esaminare il merito del ricorso.
12.1. Ritiene il Collegio di incentrare la
disamina sulla prima parte del
terzo motivo con il quale il Comitato
lamenta la violazione del combinato disposto
degli articoli 6, comma 7, del d.lgs.
152/2006 e del relativo allegato IV che
impone la verifica di V.I.A. per i “progetti
di riassetto o sviluppo di aree urbane
all’interno di aree urbane esistenti che
interessano superfici superiori a 10 ettari”.
Osserva che il Piano attuativo impegna
147.394,31 mq di terreno, ridisegnando
completamente la fisionomia del Polo Chimico
“ex Montedison” nella porzione in cui
ricade nel comune di Olgiate Olona.
12.2. Il motivo è fondato.
12.3. L’allegato
IV (punto 7.b) al d.lgs. 152 del 2006
(richiamato dalla previsione di cui
all’articolo 6, comma 7, del medesimo
articolato normativo) impone di
assoggettare a V.I.A. i “progetti di
riassetto o sviluppo di aree urbane
all’interno di aree urbane esistenti che
interessano superfici superiori a 10 ettari”.
In tale ipotesi la competenza spetta alla
Regione, come conferma la previsione di cui
all’allegato
C (punto 7.b.1.) della L.r. 5 del 2010.
12.4. Nelle memorie conclusive il comune di
Olgiate Olona e la controinteressata
deducono la non operatività delle previsione
affermando che “il soggetto attuatore è
Ch.It. e le aree di proprietà che compongono
il Piano Attuativo sono pari a mq. 93.977,61”,
rinviando, sul punto alle tavole 4 e 8
allegate al Piano e notando come la
circostanza risulti comprovata dalla
previsioni di cui all’articolo 1 del Piano.
La sommatoria delle aree indicate di
proprietà Ch.It. è, infatti, pari alla cifra
indicata con conseguente non applicazione
delle previsioni richiamate.
12.5. Osserva il Collegio che nella tavola 1
si inserisce il rilievo aerofotogrammetrico
del Piano che consente di apprezzarne
l’estensione. La successiva tavola 2 indica
il perimetro di piano che è riportato anche
nella tavola 3 con indicazione
dell’estensione della varie proprietà
interessate.
In particolare, si legge in tale documento
che l’area di Ch.It. s.r.l. inserita nel
perimetro di piano è pari a 93.318 mq;
tuttavia, si indicano come interne al Piano
le aree di Pe. s.p.a. (per un’estensione
pari a 26.641 mq), nonché di Ce. s.r.l. (per
un’estensione pari a 24.083 mq), e di Yu.Im.
s.r.l. (per un’estensione pari a 118 mq).
La sommatoria delle aree interne al Piano è
indicata in mq 149.160. Del pari la tavola 4
a cui rinviano il Comune e la
controinteressata disegna il perimetro di
piano (indicata mediante tratto discontinuo)
all’interno del quale compaiono tutte le
aree sopra indicate. La ricomprensione di
tale aree emerge anche dalla successiva
tavola 5 ove si indicano gli edifici da
mantenere e da demolizione, tra cui alcuni
collocati su aree di proprietà di Ce. s.r.l.
e Pe. s.p.a..
Ancora, la verifica della superficie coperta
e della s.l.p. è eseguita su tutte le aree
esaminate (cfr., tavola 8.2 ove si indica
che la superficie fondiaria totale è pari a
147.394,31). E ancora le tavole 10.2. e
11.2. effettuano, rispettivamente, una
verifica dei posti auto e delle aree a
standard su tutte le proprietà indicate.
12.6. In tale contesto fattuale, non rileva
la circostanza che il soggetto attuatore sia
Ch.It. s.r.l. Ciò che va
verificato è,
infatti, la superficie del
Piano che, nel caso di specie, supera il
dato normativo previsto. Lo conferma la
giurisprudenza della Corte di Giustizia
dell’Unione europea che impone di far
riferimento alla superficie, che, come
spiegato, supera il limite normativo e,
quindi, impone l’assoggettamento a V.I.A.
dell’area
(cfr.
C.G.U.E., sez. III, 21.12.2016, in C-444/15).
Né risulta fondato sostenere che
l’estensione del piano debba essere
circoscritta alla sola proprietà Ch.It.
s.r.l. in ragione della previsione sulle
U.M.I di cui all’articolo 5 delle N.d.A. del
P.G.T..
Prevede tale disposizione che, “al fine
di favorire l’attuazione del Piano di
Governo del Territorio gli strumenti di
pianificazione attuativa relativi agli
ambiti D2, possono essere attuati, su parere
favorevole dell’Amministrazione Comunale,
anche per Unità Minime di Intervento”,
rappresentate da “da aree, inserite
all’interno dei perimetri come sopra
definiti, facenti capo ad un’unica proprietà”.
In tale ipotesi, il P.A. deve essere
presentato da almeno la “maggioranza
assoluta dei proprietari, assumendo valore
di pianificazione attuativa limitatamente
all’UMI individuata in sede di presentazione”.
A tale scopo “il Piano, oltre agli
elaborati di legge sopra descritti riferiti
alla UMI, dovrà essere corredato da un
progetto planivolumetrico di massima
riferito all’intera area perimetrata nelle
tavole di P.G.T., definito nelle sue
componenti tipologiche e di destinazione
d’uso, con indicazione delle sagome di
ingombro e coperture dei singoli edifici; il
progetto dovrà altresì individuare la
viabilità interna, le aree di uso pubblico,
le aree da cedere in proprietà al Comune
nonché le opere di sistemazione delle aree
libere”.
Sostiene il comune di Olgiate Olona che le
tavole allegate dai numeri 5 a 11
assumerebbero un mero valore indicativo.
Tuttavia, una simile prospettazione risulta
contradditoria rispetto a quanto argomentato
dal Comune nella memoria difensiva del
22.11.2017 ove si afferma “che quanto ad
obblighi previsti in convenzione [gli altri
proprietari] dovranno adeguarsi per una
visione unitaria dell'intervento”.
In tal modo, si riconosce, invero, agli
obblighi imposti la valenza di
pianificazione. In ogni caso,
la possibilità di prevedere unità
minime di intervento non risulta, in alcun
modo, idonea a deflettere dal generale
principio affermato dalla giurisprudenza
interna ed eurounitaria che afferma la
valenza sostanziale della V.I.A. che, come
tale, implica “la complessiva e
approfondita analisi comparativa di tutti
gli elementi incidenti sull'ambiente del
progetto unitariamente considerato, al fine
di valutare in concreto -alla luce delle
alternative possibili e dei riflessi della
stessa c.d. "opzione zero"- il sacrificio
imposto all'ambiente rispetto all'utilità
socioeconomica perseguita”
(cfr., ex multis, Consiglio di Stato,
sez. IV, 28.02.2018, n. 1230).
Ne consegue che la
possibilità di sviluppo del P.A. mediante
singole unità non può, ovviamente,
comportare la non applicazione della
normativa V.I.A. in ragione dell’intero
perimetro del Piano.
Tanto più che, nel caso di specie gli
interventi indicati contemplano (seppur in
parte; cfr., tavola 5 delle demolizioni) le
altre aree e, pertanto, non può ritenersi
che le tavole abbiano mera valenza
indicativa.
12.7. In definitiva, la prima parte del
terzo motivo di ricorso deve essere
accolto con annullamento degli atti
impugnati. L’accoglimento di tale motivo
consente al Collegio di assorbire gli
ulteriori motivi di ricorso stante
l’integrale realizzazione dell’interesse
fatto valere dall’Associazione Comitato “ValleOlonaRespira”
e la portata integralmente demolitoria
dell’annullamento disposto.
13. In definitiva:
a) deve dichiararsi estinto per rituale rinuncia ex articolo 35,
comma 2, lettera c), il giudizio tra i
signori Da.Ra. e Gi.Ga. e la
controinteressata Ch.It. s.r.l.;
b) deve dichiararsi improcedibile per sopravvenuta carenza di
interesse ex articolo 35, comma 1, lettera
c), il ricorso dei signori Da.Ra. e Gi.Ga.
contro il comune di Olgiate Olona;
c) deve dichiararsi improcedibile per sopravvenuta carenza di
interesse ex articolo 35, comma 1, lettera
c), la domanda riconvenzionale della Ch.It.
s.r.l. nei confronti dei signori Da.Ra. e
Gi.Ga. e dell’Associazione Comitato “ValleOlonarespira”;
d) deve accogliersi il ricorso dell’Associazione Comitato “ValleOlonarespira”
nei sensi e nei limiti indicati in
motivazione. |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI -
URBANISTICA:
Modifiche che comportano la necessità di una
nuova effettuazione della VIA.
La necessità di
rinnovazione della VIA o della verifica di
assoggettabilità a VIA sorge solo nel caso
di modifiche che comportino la realizzazione
di un'opera radicalmente diversa da quella
già esaminata, che comporti il peggioramento
dell'impatto dell'opera stessa sull'ambiente.
---------------
nel rendere il giudizio di valutazione di
impatto ambientale e nell'effettuare la
verifica preliminare, l'amministrazione
esercita un'amplissima discrezionalità che,
si badi bene, non ha solo natura tecnica ma
ha anche natura amministrativa dovendo la
stessa amministrazione effettuare
l'apprezzamento degli interessi pubblici in
rilievo e la loro ponderazione rispetto
all'interesse all'esecuzione dell'opera.
Questa attività di apprezzamento e
bilanciamento dei contrapposti interessi è
sindacabile dal giudice amministrativo
soltanto in ipotesi di manifesta illogicità
o travisamento dei fatti, nel caso in cui
l'istruttoria sia mancata o sia stata svolta
in modo inadeguato, e sia perciò evidente lo
sconfinamento del potere discrezionale.
---------------
24. Per quanto riguarda invece la ritenuta
necessità di procedere ad una nuova verifica
di assoggettabilità a VIA, si deve osservare
che, in base all’art. 24, comma 9-bis, del
d.lgs. n. 152 del 2006, solo le modifiche
sostanziali comportano la necessità di una
nuova effettuazione della valutazione. L’
art. 5, primo comma, lett. l-bis), del
d.lgs. n. 152 del 2006 stabilisce poi che si
ha modifica sostanziale di un progetto,
opera o impianto solo nel caso in cui la
variazione sia tale da incidere in maniera
significativa e negativa sull'ambiente o
sulla salute umana.
25. Applicando queste norme, la
giurisprudenza ha chiarito che la necessità
di rinnovazione della VIA o della verifica
di assoggettabilità a VIA sorge solo nel
caso di modifiche che comportino la
realizzazione di un'opera radicalmente
diversa da quella già esaminata, che
comporti il peggioramento dell'impatto
dell'opera stessa sull'ambiente (cfr.
Consiglio di Stato, sez. V, 26.10.2010, n.
1142; id., sez. VI, 04.04.2008 n. 1414; TAR
Lazio Roma, sez. I, 15.07.2013, n. 6997).
...
28. Si possono
ora affrontare le specifiche questioni
sollevate nel primo motivo nel quale, come
visto, si evidenzia che l’Amministrazione
avrebbe effettuato valutazioni non adeguate
con riferimento all’impatto del traffico
veicolare, ed avrebbe adottato il
provvedimento finale positivo discostandosi
dai pareri espressi da ARPA e dal Comune
ricorrente e non attendendo il parere
richiesto al Ministero dell’Ambiente.
29. A questo proposito, si osserva
preliminarmente che, nel rendere il giudizio
di valutazione di impatto ambientale e
nell'effettuare la verifica preliminare,
l'amministrazione esercita un'amplissima
discrezionalità che, si badi bene, non ha
solo natura tecnica ma ha anche natura
amministrativa dovendo la stessa
amministrazione effettuare l'apprezzamento
degli interessi pubblici in rilievo e la
loro ponderazione rispetto all'interesse
all'esecuzione dell'opera. Questa attività
di apprezzamento e bilanciamento dei
contrapposti interessi è sindacabile dal
giudice amministrativo soltanto in ipotesi
di manifesta illogicità o travisamento dei
fatti, nel caso in cui l'istruttoria sia
mancata o sia stata svolta in modo
inadeguato, e sia perciò evidente lo
sconfinamento del potere discrezionale (cfr.
Consiglio di Stato, sez. IV, 28.02.2018, n.
1240; id., 27.03.2017, n. 1392; TAR Lazio
Roma, sez. II, 26.11.2018, n. 11460)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. III,
sentenza 17.04.2019 n. 861 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
2018 |
|
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI - URBANISTICA:
VIA, VAS E AIA - Valutazione di impatto
ambientale - Complessiva e approfondita analisi comparativa
di tutti gli elementi incidenti sull’ambiente - Fattispecie:
Attività di prospezione geofisica attraverso la tecnologia
cd. “air-gun”.
La valutazione di impatto ambientale non concerne una mera e
generica verifica di natura tecnica circa l'astratta
compatibilità ambientale dell'opera, ma deve implicare la
complessiva e approfondita analisi comparativa di tutti gli
elementi incidenti sull'ambiente del progetto unitariamente
considerato, al fine di valutare in concreto -alla luce
delle alternative possibili e dei riflessi della stessa c.d.
"opzione zero"- il sacrificio imposto all'ambiente
rispetto all'utilità socioeconomica perseguita (cfr. Cons.
Stato, sez. V, 06.07.2016, n. 3000; id., 31.05.2012 n.
3254).
VIA, VAS E AIA - Profili di
discrezionalità amministrativa - Valutazione di legittimità
giudiziale - Limiti.
E’ stato chiarito che nel rendere il giudizio di valutazione
di impatto ambientale, l’amministrazione esercita una
amplissima discrezionalità che non si esaurisce in un mero
giudizio tecnico, in quanto tale suscettibile di
verificazione tout court sulla base di oggettivi criteri di
misurazione, ma presenta al contempo profili particolarmente
intensi di discrezionalità amministrativa e istituzionale in
relazione all’apprezzamento degli interessi pubblici e
privati coinvolti; la natura schiettamente discrezionale
della decisione finale risente dunque dei suoi presupposti
sia sul versante tecnico che amministrativo (cfr., Cons.
St., sez. II, 02.10.2014, n. 3938; sez. IV, 09.01.2014, n.
36; sez. IV, 17.09.2013, n. 4611 sez. VI, 13.06.2011, n.
3561; Corte giust., 25.07.2008, c-142/07; Corte cost.,
07.11.2007, n. 367).
In ragione di tali particolari profili che caratterizzano il
giudizio di valutazione di impatto ambientale, la relativa
valutazione di legittimità giudiziale deve essere limitata
ad evidenziare la sussistenza di vizi rilevabili ictu
oculi, a causa della loro abnormità, irragionevolezza,
contraddittorietà e superficialità.
VIA, VAS E AIA - Principio di
precauzione - Esistenza di un rischio specifico - Attività
foriere di rischi per la salute delle persone e per
l’ambiente - Seria e prudenziale valutazione - Attuale stato
delle conoscenze scientifiche disponibili - Giudizio
scientificamente attendibile.
Il principio di precauzione, i cui tratti giuridici si
individuano lungo un percorso esegetico fondato sul binomio
analisi dei rischi-carattere necessario delle misure
adottate, presuppone l'esistenza di un rischio specifico
all'esito di una valutazione quanto più possibile completa,
condotta alla luce dei dati disponibili che risultino
maggiormente affidabili e che deve concludersi con un
giudizio di stretta necessità della misura; non può
legittimare un'interpretazione delle disposizioni normative,
tecniche ed amministrative vigenti in un dato settore che ne
dilati il senso fino a ricomprendervi vicende non
significativamente pregiudizievoli; non conduce
automaticamente a vietare ogni attività che, in via di mera
ipotesi, si assuma foriera di eventuali rischi per la salute
delle persone e per l'ambiente, privi di ogni riscontro
oggettivo e verificabile, richiedendo esso stesso una seria
e prudenziale valutazione, alla stregua dell'attuale stato
delle conoscenze scientifiche disponibili, dell'attività che
potrebbe ipoteticamente presentare dei rischi, valutazione
consistente nella formulazione di un giudizio
scientificamente attendibile (ex multis, Consiglio di
Stato, sez. V, 27/12/2013, n. 6250; Cons. giust. amm.
Sicilia sez. giurisd., 03/09/2015, n. 581) (Consiglio di
Stato, Sez. IV,
sentenza 28.02.2018 n. 1240 - link a
www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI:
Corte Ue: la Via postuma è ammissibile. Marche. Nel 2012 un
impianto di energia a biogas era stato autorizzato senza essere stato
sottoposto a valutazione impatto ambientale.
L'esame "postumo" di un progetto già realizzato per verificare se vada
sottoposto a Via è possibile, ma nel rispetto di precise condizioni.
Questo
è il principio espresso dalla Corte di Giustizia Ue con
sentenza 28.02.2018 n. C‑117/17 sulla domanda di pronuncia pregiudiziale presentata dal Tar
Marche.
Nel 2012 un impianto di energia a biogas di potenza inferiore a 1 Mw era stato
autorizzato senza essere stato sottoposto a Via poiché non prevista dalla
legge regionale Marche 3/2012, ma contemplata dalle norme Ue.
Il Comune territorialmente competente aveva impugnato l'autorizzazione
rilasciata per violazione delle norme Ue sulla Via. Nel frattempo, nel 2013
la Corte Costituzionale aveva dichiarato il legittima la legge marchigiana
(sentenza 93/2013) e con DM 30.03.2015 erano state date ulteriori
indicazioni sui criteri di assoggettamento degli impianti a screening o a
Via (in aggiunta ai criteri già presenti nel Dlgs 152/2006, parte II).
In
ragione del mutato quadro normativo il 03.06.2015 la Regione Marche, su
istanza dell'impresa, dichiarava che l'impianto non doveva essere sottoposto
a Via e confermava l'autorizzazione rilasciata nel 2012. Il Comune impugnava
questa decisione delle Marche e il Tar investiva la Corte Ue in materia
chiedendo se fosse compatibile col diritto Ue una valutazione "ex post"
sulla sottoposizione di un impianto a verifica di assoggettabilità a Via o a
Via. I giudici hanno risposto che la mancanza di Via, quando prevista, è
un'omissione illegittima.
Inoltre, poiché gli Stati membri devono adottare tutte le misure necessarie
ad eliminare le conseguenze illecite dell'omissione, tra queste ci può
essere anche un esame postumo sulla necessità o meno della Via, a due
condizioni: la regolarizzazione postuma sia un modo per eludere le norme Ue;
l'esame sulla necessità della Via ex post consideri anche il concreto
impatto ambientale eventualmente già verificatosi per effetto della
costruzione.
L'esame "postumo" potrebbe anche, in ipotesi, condurre perla non necessità
della Via in base alle norme nazionali, purché compatibili con la direttiva
(articolo
Il Sole 24 Ore dell'01.03.2018 - tratto da
www.centrostudicni.it). |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: La
Corte di giustizia UE detta ulteriori condizioni in tema di
c.d. V.I.A. postuma.
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Ambiente – V.i.a. – Impianti produzione energia elettrica
– Omissione – Costruzione e messa in esercizio –
Regolarizzazione – Ammissibilità – Condizioni.
Qualora un progetto di potenziamento
di un impianto per la produzione di energia elettrica, come
quello di cui trattasi nel procedimento principale, non sia
stato sottoposto a una verifica preliminare di
assoggettabilità a una valutazione di impatto ambientale ai
sensi di disposizioni nazionali successivamente dichiarate
incompatibili quanto a tale aspetto con la direttiva
2011/92/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del
13.12.2011, concernente la valutazione dell’impatto
ambientale di determinati progetti pubblici e privati, il
diritto dell’Unione prescrive che gli Stati membri eliminino
le conseguenze illecite di detta violazione e non osta a che
tale impianto formi oggetto, dopo la realizzazione di tale
progetto, di una nuova procedura di valutazione da parte
delle nuove autorità competenti al fine di verificare la
conformità ai requisiti di tale direttiva e, eventualmente,
di sottoporlo a una valutazione di impatto ambientale,
purché le norme nazionali che consentono tale
regolarizzazione non forniscano agli interessati l’occasione
di eludere le norme di diritto dell’Unione o di esimersi
dall’applicarle.
Occorre altresì tenere conto dell’impatto ambientale
intervenuto a partire dalla realizzazione del progetto. Tali
autorità nazionali possono considerare, ai sensi delle
disposizioni nazionali in vigore alla data in cui esse sono
chiamate a pronunciarsi, che una tale valutazione di impatto
ambientale non risulti necessaria, nei limiti in cui dette
disposizioni siano compatibili con la direttiva di cui
trattasi (1).
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(1)
I. - Con la pronuncia in epigrafe, la Corte di giustizia ha
risolto i dubbi sollevati dal Tar per le Marche (cfr.
sentenza non definitiva 10.02.2017, n. 114),
pronunciando sulla possibilità di sottoporre a verifica di
assoggettabilità a valutazione di impatto ambientale (ed
eventualmente alla stessa VIA) un impianto già realizzato
nel caso di annullamento dell’autorizzazione proprio a
cagione della mancata sottoposizione a verifica di
assoggettabilità a VIA.
La decisione in oggetto si riconnette a quella resa dalla
medesima
Corte il 26.07.2017 (oggetto della
News in data 28.02.2018), sempre su rimessione
del Tar per le Marche in una fattispecie analoga.
Per maggiore chiarezza va evidenziato come, nella vicenda
decisa dalla sentenza della Corte del luglio 2017, venisse
in rilievo la problematica della c.d. VIA postuma,
caratterizzata dall’annullamento -in applicazione della
sentenza della Corte costituzionale 22.05.2013, n. 93 (in
Giur. costit, 2013, 3, 1592 con nota di CALZOLAIO e LONGO;
Dir. e giur. agr. e ambiente, 2013, 520, con nota di SAVINI)-
dell’autorizzazione unica alla realizzazione
dell’infrastruttura energetica, dopo che i proponenti
avevano attivato la procedura di VIA, che si era conclusa
favorevolmente e che in alcuni casi era stata già seguita
dal rilascio di una nuova autorizzazione unica (tali
provvedimenti erano stati impugnati dai soggetti pubblici o
privati che avevano ottenuto l’annullamento delle
autorizzazioni originarie).
Nella presente controversia la questione veniva reputata
ancor più rilevante in quanto nei casi precedenti la VIA era
stata quantomeno svolta (sia pure ad impianto già
realizzato), mentre nella specie la valutazione di impatto
ambientale non era stata svolta né ab origine -in
applicazione di una norma poi dichiarata incostituzionale-
né in via postuma.
II.- Nell’impostare il ragionamento che ha portato alla soluzione
di cui alla massima, la sentenza parte dal richiamo a quanto
evidenziato nella precedente sentenza del 26.07.2017, con
particolare riferimento al fatto che, in caso di omissione
di una VIA prescritta dal diritto dell’Unione, gli Stati
membri hanno l’obbligo di eliminare le conseguenze illecite
di detta omissione e che il diritto dell’Unione non osta a
che una tale valutazione sia effettuata a titolo di
regolarizzazione, dopo la costruzione e la messa in servizio
dell’impianto interessato, alla duplice condizione, da un
lato, che le norme nazionali che consentono tale
regolarizzazione non offrano agli interessati l’occasione di
eludere le norme di diritto dell’Unione o di disapplicarle
e, dall’altro, che la valutazione effettuata a titolo di
regolarizzazione non si limiti all’impatto futuro di tale
impianto sull’ambiente, ma prenda in considerazione altresì
l’impatto ambientale intervenuto a partire dalla sua
realizzazione.
La Corte prosegue, sempre richiamando il precedente
predetto, ribadendo le condizioni in presenza delle quali il
diritto dell’Unione non osta, qualora un progetto non sia
stato sottoposto alla verifica preliminare
dell’assoggettabilità a VIA in applicazione di disposizioni
incompatibili con la direttiva 2011/92, a che tale progetto,
anche successivamente alla sua realizzazione, sia oggetto di
una verifica delle autorità competenti per determinare se
esso debba o meno essere sottoposto a VIA, eventualmente in
base a una normativa nazionale sopravvenuta, a condizione
che quest’ultima sia compatibile con tale direttiva.
A fronte delle peculiarità del caso di specie, la Corte
fornisce poi ulteriori precisazioni. Qualora un progetto di
potenziamento di un impianto per la produzione di energia
elettrica, come quello di cui trattasi nel procedimento
principale, non sia stato sottoposto a una verifica
preliminare di assoggettabilità a VIA ai sensi di
disposizioni nazionali successivamente dichiarate
incompatibili con la direttiva 2011/92 quanto a tale
aspetto, il diritto dell’Unione prescrive che gli Stati
membri eliminino le conseguenze illecite di detta violazione
e non osta a che tale impianto formi oggetto, dopo la
realizzazione di tale progetto, di una nuova procedura di
valutazione da parte delle autorità competenti al fine di
verificare la conformità ai requisiti di tale direttiva e,
eventualmente, di sottoporlo a VIA, purché le norme
nazionali che consentono tale regolarizzazione non
forniscano agli interessati l’occasione di eludere le norme
di diritto dell’Unione o di esimersi dall’applicarle.
Occorre altresì tenere conto dell’impatto ambientale
intervenuto a partire dalla realizzazione del progetto. Tali
autorità nazionali possono considerare, ai sensi delle
disposizioni nazionali in vigore alla data in cui esse sono
chiamate a pronunciarsi, che una tale VIA risulta
necessaria, nei limiti in cui dette disposizioni siano
compatibili con la direttiva di cui trattasi.
III. - A fini di completezza si richiama:
a) la precedente decisione della
Corte di giustizia dell’UE, Sez. I, 26.07.2017, C-196/16 e
C-197/16, Comune di Corridonia, su cui cfr.
News US 28.02.2018 ai cui approfondimenti si
rinvia, secondo la quale “nel caso di omessa valutazione
di impatto ambientale di un progetto di impianto per la
produzione di energia elettrica da biogas, ottenuto dalla
digestione anaerobica di biomasse, le norme di diritto
dell'Unione Europea (art. 2 della Direttiva 85/337/CEE, poi
sostituito dall'art. 2 della Direttiva 2011/92/UE), da un
lato, impongono agli Stati membri di rimuovere le
conseguenze illecite derivanti da tale omissione e,
dall'altro, non ostano a che tale valutazione venga
effettuata a titolo di regolarizzazione dopo la costruzione
e la messa in esercizio dell'impianto, purché le norme
nazionali che consentono tale regolarizzazione non offrano
agli interessati l'occasione di eludere le norme di diritto
dell'Unione o di disapplicarle e sempre che la valutazione
effettuata a titolo di regolarizzazione non si limiti a
valutare le ripercussioni future dell'impianto
sull'ambiente, ma prenda in considerazione anche l'impatto
ambientale intervenuto a partire dal momento della sua
realizzazione”;
b) Cons. Stato sez. IV, 09.022016, n. 521,
secondo cui “il giudizio di compatibilità ambientale può
essere rifiutato dall'Amministrazione preposta nel caso in
cui le opere oggetto di verifica siano già state iniziate
dal soggetto proponente, atteso che il procedimento di Via è
un mezzo preventivo di tutela dell'ambiente, che si svolge
prima dell'approvazione del progetto e quindi prima della
realizzazione dell'opera; ne consegue che una Via postuma
all'autorizzazione dell'opera e allo svolgimento dei lavori
è illegittima”
(Corte giust.
comm. ue., sez. VI,
sentenza 28.02.2018 n. C‑117/17 -
commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it). |
2016 |
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EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: Sulla
Via «ex post» parola alla Corte Ue. Ambiente. Il Tar Marche
ha rimesso ai giudici comunitari la decisione sulla
valutazione resa per impianti già realizzati.
Il Tar Marche investe la Corte di
Giustizia Ue con la questione pregiudiziale relativa alla
«Via postuma». In sintesi, si tratta della possibilità di
esperire il procedimento di valutazione di impatto
ambientale per un impianto già realizzato, ma mai sottoposto
a verifica di assoggettabilità a Via (screening). Il che ha
comportato l’annullamento dell’autorizzazione.
La delicata questione scaturisce da una vicenda sorta per un
impianto di biogas con potenza nominale di 999 KWe ed è
stata sollevata dal TAR Marche con
ordinanza 22.03.2016 n. 185. La soluzione del
quesito sottoposto alla cognizione dei giudici di Strasburgo
non mancherà di avere conseguenze importantissime.
Infatti, il Tar Marche chiede se sia compatibile con il
diritto comunitario un procedimento di screening (ed
eventualmente di Via) implementato dopo la realizzazione
dell’impianto, qualora l’autorizzazione sia stata annullata
dal giudice nazionale per mancata sottoposizione a verifica
di assoggettabilità a Via, poiché esclusa in base a
normativa interna (regionale) in contrasto con il diritto
comunitario.
Le norme comunitarie prese a riferimento dal giudice
amministrativo nazionale sono l’articolo 191 Tfue e
l’articolo 2 della direttiva 2011/92/Ue che paiono disporre
per il carattere preventivo della Via.
Tuttavia, il dubbio è sorto poiché la giurisprudenza della
Corte Ue (oggetto di puntuale ricognizione da parte
dell’ordinanza marchigiana), anche se non recentissima,
sembrerebbe non escludere a priori la possibilità di porre
rimedio al mancato esperimento dello screening.
Un dubbio ulteriormente amplificato in ragione di un’altra
pronuncia comunitaria, ma di segno contrario alle precedenti
che, puntualmente censita dal Tar Marche (sentenza
03.07.2008 C-215/06, Commissione contro Irlanda, punto 51)
ravvisa come contrastante con il diritto Ue una norma
generale che permetta la realizzazione successiva della
procedura di Via, ribadendone così la natura preventiva.
In questa ondivaga situazione, il Tar marchigiano nella sua
ordinanza non manca però di prendere posizione sul caso
specifico e ritiene che l’annullamento sottoposto alla sua
cognizione potrebbe essere assimilabile all’annullamento
dell’autorizzazione per illegittimità, per la quale anche la
normativa nazionale (articolo 29, comma 5, decreto
legislativo n. 152/2006) prevede la possibilità di ripetere
la Via annullata. Il che sarebbe coerente con la
giurisprudenza europea più rigorosa.
Non solo, l’esperimento postumo della procedura di Via
potrebbe non essere in contrasto con le norme Ue, alla luce
della sentenza comunitaria 07.01.2004 (C-201/02 – Wells)
dove al punto 69 afferma che «a tale proposito spetta al
giudice nazionale accertare se il diritto interno preveda la
possibilità di revocare o di sospendere un’autorizzazione
già rilasciata al fine di sottoporre il detto progetto a una
valutazione dell’impatto ambientale, conformemente a quanto
richiesto dalla direttiva 85/337» (articolo Il Sole 24 Ore
del 03.04.2016).
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MASSIMA
1 Va premesso che il Collegio ritiene che il giudizio
debba essere sospeso al fine di richiedere alla Corte di
Giustizia dell’Unione Europea una decisione in ordine alla
compatibilità comunitaria dell’esperibilità della verifica
di assoggettabilità a valutazione di impatto ambientale
(art. 4, c. 2, direttiva 2011/92/UE) e, conseguentemente,
alla VIA, relativamente ad un impianto già realizzato.
Nel caso in esame, ciò è avvenuto a seguito di annullamento
giurisdizionale dell’autorizzazione concessa in assenza di
verifica di assoggettabilità a VIA. Le autorizzazioni
concesse illegittimamente in assenza di verifica di
assoggettamento a valutazione di impatto ambientale sono
state oggetto di diverse sentenze di annullamento di questo
Tribunale (Tar Marche 559/2013, 659/2013, 61/2014, 64/2014,
707/2014, 377/2015 e 486/2015), alcune delle quali, come
quella oggetto del presente ricorso, confermate in appello,
e hanno riguardato il periodo di vigenza delle leggi Regione
Marche 20/2011 e 3/2012, fino alle modifiche introdotte
dalla successiva legge regionale 30/2012.
1.1 Riguardo la normativa nazionale e regionale applicabile,
va premesso che all’epoca dell’adozione del provvedimento
autorizzativo successivamente annullato (autorizzazione
regionale n. 52/EFR del 25.06.2012 ), la normativa nazionale
prevedeva la verifica di assoggettabilità alla VIA solo per
gli impianti per la produzione di energia elettrica (e di
vapore e acqua calda) con potenza termica complessiva
superiore a 50 MW (v. punto 2-a dell'allegato IV alla parte
seconda del d.lgs. 152/2006).
1.2 In dichiarata attuazione di quanto previsto dalla legge
nazionale, la legge regione Marche 20/2011 (in vigore dal
09.11.2011) prevedeva l’esenzione della verifica di
assoggettabilità a VIA per gli “Impianti termici, inclusi
quelli a celle a combustibile, per la produzione di energia
elettrici vapore e acqua calda alimentati a biomasse, a oli
combustibili vegetali o a biodiesel, di potenza termica
nominale inferiore ad 3 MW”.
1.3 Come già accennato, l’archiviazione del procedimento di
verifica di assoggettabilità a VIA, sulla base dell’entrata
in vigore della legge appena richiamata, e quindi la mancata
sottoposizione a verifica di assoggettabilità a valutazione
di impatto ambientale ha portato all’annullamento
dell’autorizzazione rilasciata dalla Regione Marche, con
l’impianto già in funzione, che è stato successivamente
spento, con avvio della procedura di verifica di
assoggettabilità di cui al combinato disposto dell'art. 23 e
segg. d.lgs. 152/2006 e dell'art. 12 e segg. della L.R.
3/2012.
1.4 La legge Regione Marche 20/2011 è stata modificata dalla
legge regionale 3/2012 (quest’ultima legge, che confermava
l’esenzione da verifica di assoggettabilità a VIA sulla base
di soglie numeriche, come già accennato è stata dichiarata
incostituzionale, per tale parte, dalla sentenza 22.05.2013
n. 93 della Corte Costituzionale).
Infine quest’ultima legge è stata modificata dalla legge
Regione Marche 19.10.2012 n. 30, con la quale la Regione ha
provveduto ad introdurre modifiche sia all’art. 3 che
all’allegato C della legge regionale 3 del 2012, recanti
l’esplicita previsione della necessità di tener conto, caso
per caso ed indipendentemente dalle soglie dimensionali, di
tutti i criteri di selezione dei progetti indicati negli
allegati della direttiva. La nuova procedura di VIA è stata
effettuata secondo le previsioni di cui sopra, nonché
secondo quelle della normativa nazionale.
2 Sempre con riguardo alla normativa nazionale, l’art. 15,
c. 4, del DL 25.06.2014 n. 91 recava la previsione che, nei
casi in cui dovessero essere sottoposti a verifica di
assoggettabilità postuma, anche a seguito di annullamento
dell'autorizzazione in sede giurisdizionale, impianti già
autorizzati e in esercizio per i quali tale procedura era
stata a suo tempo ritenuta esclusa sulla base delle soglie
individuate nell'Allegato IV alla parte seconda del decreto
legislativo 03.04.2006, n. 152, e nella legislazione
regionale di attuazione la procedura di verifica di
assoggettabilità fosse svolta a norma dell'articolo 6, comma
7, lettera c), del predetto decreto legislativo, ferma
restando la prosecuzione dell'attività fino all'adozione
dell'atto definitivo da parte dell'autorità competente e,
comunque non oltre il termine di centottanta giorni dalla
data di entrata in vigore del decreto. La norma non è stata
convertita in legge, per cui non ha trovato applicazione.
2.1 Per completezza, sempre con riguardo alla normativa
nazionale, con la modifica all'art. 6, comma 7-c, del d.lgs.
152/2006 introdotta dall'art. 15, comma 1-c, del già citato
DL 24.06.2014 n. 91 è stata prevista l'introduzione di nuove
soglie mediante decreto ministeriale, con la precisazione
che nel frattempo la valutazione circa la verifica di
assoggettamento doveva essere effettuata caso per caso sulla
base dei criteri stabiliti nell'allegato V alla parte
seconda del d.lgs. 152/2006.
Come è noto, in precedenza la Commissione Europea aveva
avviato la procedura d’infrazione di infrazione 2009/2086
per non conformità delle norme nazionali (Parte Seconda del
D.Lgs. 152/2006) con la direttiva VIA 2011/92/UE
relativamente, tra l’altro, alla procedura di verifica di
assoggettabilità a VIA. Con il decreto ministeriale n. 52
del 30.03.2015 sono state emanate le “Linee guida
nazionali destinate a ridefinire i criteri e le soglie per
determinare l’assoggettamento alla procedura di verifica dei
progetti dell’Allegato IV del D.Lgs. 152/2006”, portando
all’archiviazione della procedura in data 19.11.1015. Il
decreto però non è applicabile ratione temporis al
giudizio in esame per cui la sua conformità alla direttiva
non è oggetto del presente giudizio.
3 Ne consegue, ad avviso del Collegio, che
nell’ordinamento interno italiano non è attualmente presente
alcuna norma che disciplini la valutazione di impatto
ambientale cosiddetta postuma, ad impianto realizzato. Per
gli impianti già autorizzati, l’art. 29, comma 1, del d.lgs.
n. 152/2006 stabilisce semplicemente che i provvedimenti di
autorizzazione o approvazione adottati senza la previa
valutazione di impatto ambientale sono annullabili per
violazione di legge, come avvenuto nel caso in esame.
In caso di realizzazione degli impianti senza la previa
sottoposizione alle fasi di verifica di assoggettabilità o
di valutazione, il medesimo art. 29 del d.lgs. n. 152/2006
dispone, al comma 4, che l’autorità competente, valutata
l'entità del pregiudizio ambientale arrecato e quello
conseguente alla applicazione della sanzione, dispone la
sospensione dei lavori e può disporre la demolizione ed il
ripristino dello stato dei luoghi e della situazione
ambientale a cura e spese del responsabile, o, in caso di
inottemperanza, d'ufficio.
Il successivo comma 5 prevede che “in caso di
annullamento in sede giurisdizionale o di autotutela di
autorizzazioni o concessioni rilasciate previa valutazione
di impatto ambientale o di annullamento del giudizio di
compatibilità ambientale, i poteri di cui al comma 4 sono
esercitati previa nuova valutazione di impatto ambientale”.
3.1 Con riguardo alla posizione del giudice interno, recenti
pronunce hanno affermato la compatibilità comunitaria, della
VIA successiva alla realizzazione dell’impianto. Essa non
sarebbe in contrasto con le indicazioni provenienti dalla
giurisprudenza comunitaria, la quale si preoccupa di
chiarire quali conseguenze derivino dalla mancata previa
effettuazione della VIA o della verifica di assoggettabilità
alla VIA.
Si è argomentato che l’omissione comporta, in generale, la
sospensione o l'annullamento dell'autorizzazione, salvo casi
eccezionali in cui risulti preferibile per l'interesse
pubblico che gli effetti del provvedimento siano conservati,
ma il vero vincolo per le autorità e i giudici nazionali è
che le conseguenze della violazione del diritto comunitario
siano cancellate (Corte Giust. 28.2.2012 C-41/11,
Inter-Environnement Wallonie, punto 63). La sospensione o
l'annullamento sono quindi soluzioni giuridiche strumentali,
il cui scopo è consentire l'applicazione del diritto
comunitario, anche attraverso l'effettuazione della
valutazione non eseguita in precedenza, o in alternativa
attraverso il risarcimento chiesto dai soggetti che abbiano
subito pregiudizi a causa dell'omissione (Corte Giust.
14.03.2013 C-420/11, Leth, punto 37; Corte Giust. 07.01.2004
C-201/02, Wells, punto 65).
Si è quindi ritenuta, sulla base delle predette
argomentazioni, la possibilità di effettuare in un secondo
momento l'esame necessario per escludere la verifica di
assoggettabilità alla VIA (Tar Brescia 04.06.2015 n. 795: in
questo caso la verifica di assoggettabilità è stata
successiva ma ha avuto esito negativo,per cui l’impianto non
è stato sottoposto a VIA). Al contrario, il giudice di
appello, in casi analoghi al presente, sembra avere escluso
possibilità di una VIA postuma, seppure con riferimento alla
possibilità di mantenere in esercizio gli impianti (in
particolare, in sede cautelare Cons. Stato Sez. IV
19.02.2014 n. 798, che, in un caso simile a quello in esame,
ordinava l’astensione “da qualsiasi attività comportante
l’ulteriore prosieguo della realizzazione e/o dell’esercizio
dell’impianto per cui è causa (fermo e impregiudicato, come
è ovvio, l’iter procedimentale della VIA. nel frattempo
chiesta dalla società odierna appellante, che non è però
sufficiente a legittimare ad oggi l’operatività
dell’impianto, in considerazione della nota e consolidata
giurisprudenza –anche europea– che non ammette una VIA ex
post)”.
Anche nella sentenza Cons. Stato, sez. III, 05.03.2013, n.
1324 si è affermato il necessario carattere preventivo della
VIA, in una decisione che però non riguardava un caso di VIA
cosiddetta postuma, ma l’annullamento di un’autorizzazione
per l’omesso svolgimento della procedura di VIA.
4 Il problema riguarda quindi l’esperibilità
della Valutazione di Impatto Ambientale ad impianto già
realizzato nel caso di annullamento dell’autorizzazione per
mancata sottoposizione a verifica di assoggettabilità a VIA.
4.1 L’art. 191
TFUE definisce i principi della politica dell’Unione Europea
in materia ambientale e in particolare, al punto 2, afferma
che “La politica dell'Unione in materia ambientale mira a
un elevato livello di tutela, tenendo conto della diversità
delle situazioni nelle varie regioni dell'Unione". Essa
è fondata sui principi della precauzione e dell'azione
preventiva, sul principio della correzione, in via
prioritaria alla fonte, dei danni causati all'ambiente,
nonché sul principio "chi inquina paga".
L’art. 2 della direttiva 2011/92/UE (e, in precedenza,
l’art. 2 della direttiva 85/337/CEE) stabilisce che gli
Stati membri adottano le disposizioni necessarie affinché,
prima del rilascio dell’autorizzazione, per i progetti per i
quali si prevede un significativo impatto ambientale, in
particolare per la loro natura, le loro dimensioni o la loro
ubicazione, sia prevista un’autorizzazione e una valutazione
del loro impatto.
4.2 Pur in presenza di una chiara enunciazione del carattere
preventivo della VIA, la giurisprudenza della Corte di
Giustizia citata in precedenza sembra non escludere del
tutto la possibilità di rimediare al mancato esperimento
dalla procedura. E’ però ben noto come, in un’altra
sentenza, la Corte di Giustizia si sia espressa per la
contrarietà al diritto comunitario di una norma generale che
permettesse la realizzazione della VIA a posteriori (Corte
giust. 03.07.2008, causa C-215/06 Commissione contro
Irlanda), ribadendo la natura preventiva della procedura di
VIA (in particolare punto 51).
5 Con riguardo alla posizione del Collegio sul tema, si
tratta di valutare se nel caso in esame ci si trovi di
fronte a circostanze eccezionali che permettano
l’esperimento a posteriori della procedura di VIA, (in
presenza, si ripete, di autorizzazioni annullate a causa
della mancata sottoposizione a a verifica di
assoggettabilità alla valutazione di impatto ambientale in
ragione di norme contrarie al diritto comunitario).
La posizione del Tribunale è che tale possibilità non appare
in contrasto con il diritto comunitario, dovendo essere
valutato in particolare quanto contenuto nella sentenza
07.01.2004 C-201/02, Wells. Ne consegue che, dopo
l'annullamento dell’autorizzazione, deve essere consentita
l’applicazione del diritto comunitario, anche attraverso
l'effettuazione della valutazione non eseguita in
precedenza. Va altresì valutato che la fattispecie all’esame
del Tribunale è assimilabile all’annullamento
dell’autorizzazione per illegittimità, per la quale anche la
normativa interna (art. 29, c. 5, d.lgs 152/2006) prevede la
possibilità di ripetere la VIA annullata.
Ciò appare coerente con quanto stabilito dalla già citata
sentenza Corte giust., 03.07.2008, causa C-215/06 Wells, che
nella parte finale (69) afferma “A tale proposito spetta
al giudice nazionale accertare se il diritto interno preveda
la possibilità di revocare o di sospendere un'autorizzazione
già rilasciata al fine di sottoporre il detto progetto ad
una valutazione dell'impatto ambientale, conformemente a
quanto richiesto dalla direttiva 85/337”.
5.1 Anche la stessa, già citata, sentenza Corte giust.,
03.07.2008, causa C-215/06, che afferma come tale
possibilità dovrebbe essere subordinata alla condizione che
essa non offra agli interessati l’occasione di aggirare le
norme comunitarie o di disapplicarle, e che rimanga
eccezionale, nella parte in cui richiama la già citata
sentenza Wells, afferma che la valutazione dell’impatto
ambientale può essere effettuata, ad esempio revocando o
sospendendo un’autorizzazione già rilasciata al fine di
effettuare una tale valutazione, nel rispetto dei limiti
dell’autonomia procedurale degli Stati membri (59).
Tale posizione sembra assimilabile al caso in esame, dove le
autorizzazioni contrarie al diritto comunitario sono state
annullate dal giudice nazionale, portando alla riedizione
dell’intero procedura, partendo dalla verifica di
assoggettabilità alla VIA, l’esperimento di quest’ultima e,
infine, eventuale adozione della successiva autorizzazione
(che deve essere ancora rilasciata).
6 Alla luce di quanto sopra esposto, il Collegio ritiene
necessaria la rimessione alla Corte di Giustizia UE della
questione interpretativa alla base dell’odierno ricorso: “Se,
in riferimento alle previsioni di cui all’art. 191 del TFUE
e all’art. 2 della direttiva 2011/92/UE, sia compatibile con
il diritto comunitario l’esperimento di un procedimento di
verifica di assoggettabilità a valutazione di impatto
ambientale (ed eventualmente a VIA) successivamente alla
realizzazione dell’opera, qualora l’autorizzazione sia stata
annullata dal giudice nazionale per mancata sottoposizione a
verifica di assoggettabilità a valutazione di impatto
ambientale, in quanto tale verifica era stata esclusa in
base a normativa interna in contrasto con il diritto
comunitario”.
6.1 Considerato che il primo del ricorso introduttivo
all’esame del Tribunale deduce appunto l’impossibilità di
esperire la cosiddetta VIA postuma, per violazione della
normativa comunitaria appena citata, in tutta evidenza la
soluzione della questione interpretativa proposta è
necessaria per la soluzione della controversia, ai sensi del
capo I, par. 14, della nota informativa (2011/C 160/01),
pubblicata nella G.U.C.E. C 160/1 del 28.05.2011.
6.2 La giurisprudenza nazionale citata nella presente
ordinanza è reperibile al
seguente indirizzo web.
6.3 Tutto ciò premesso, il Collegio, vista la “Nota
informativa riguardante le domande di pronuncia
pregiudiziale da parte dei giudici nazionali ora vigente”
(2011/C 160/01), pubblicata nella G.U.C.E. C 160/1 del
28.05.2011, propone alla Corte di Giustizia dell’Unione
Europea il seguente quesito pregiudiziale.
6.4 “Se, in riferimento alle previsioni
di cui all’art. 191 del TFUE e all’art. 2 della direttiva
2011/92/UE, sia compatibile con il diritto comunitario
l’esperimento di un procedimento di verifica di
assoggettabilità a valutazione di impatto ambientale (ed
eventualmente a VIA) successivamente alla realizzazione
dell’impianto, qualora l’autorizzazione sia stata annullata
dal giudice nazionale per mancata sottoposizione a verifica
di assoggettabilità a valutazione di impatto ambientale, in
quanto tale verifica era stata esclusa in base a normativa
interna in contrasto con il diritto comunitario”.
6.5 Alla luce di quanto suesposto, quindi, il Collegio
sospende il giudizio e rimette la predetta questione
interpretativa alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea.
6.6 Ai sensi dell’art. 80 del d.lgs. n. 104/2010, spetterà,
perciò, alla parte più diligente proseguire il presente
giudizio presentando apposita istanza di fissazione entro
novanta giorni dalla comunicazione della decisione della
Corte di Giustizia. |
2015 |
|
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI:
B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 27 dell'01.07.2015, "Modalità
di pubblicazione dell’avviso al pubblico dell’istanza di
verifica di assoggettabilità e delle decisioni dell’autorità
competente in materia di VIA e di verifica di
assoggettabilità" (comunicato
regionale 25.06.2015 n. 97). |
2014 |
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EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI:
Alla stregua dei principi comunitari e nazionali,
oltre che delle sue stesse peculiari
finalità, la valutazione di impatto
ambientale non si sostanzia in una mera
verifica di natura tecnica circa la astratta
compatibilità ambientale dell'opera, ma
implica una complessa e approfondita analisi
comparativa tesa a valutare il sacrificio
ambientale imposto rispetto all'utilità
socio-economica, tenuto conto anche delle
alternative possibili e dei riflessi sulla
stessa c.d. opzione-zero.
In particolare, è stato evidenziato che "la
natura schiettamente discrezionale della
decisione finale (e della preliminare
verifica di assoggettabilità), sul versante
tecnico ed anche amministrativo, rende
allora fisiologico ed obbediente alla ratio
su evidenziata che si pervenga ad una
soluzione negativa ove l'intervento proposto
cagioni un sacrificio ambientale superiore a
quello necessario per il soddisfacimento
dell'interesse diverso sotteso
all'iniziativa; da qui la possibilità di
bocciare progetti che arrechino vulnus non
giustificato da esigenze produttive, ma
suscettibile di venir meno, per il tramite
di soluzioni meno impattanti in conformità
al criterio dello sviluppo sostenibile e
alla logica della proporzionalità tra
consumazione delle risorse naturali e
benefici per la collettività che deve
governare il bilanciamento di istanze
antagoniste”.
La valutazione di impatto ambientale non è
perciò un mero atto (tecnico) di gestione
ovvero di amministrazione in senso stretto,
rientrante come tale nelle attribuzioni
proprie dei dirigenti, trattandosi piuttosto
di un provvedimento con cui viene esercitata
una vera e propria funzione di indirizzo
politico-amministrativo con particolare
riferimento al corretto uso del territorio
(in senso ampio), attraverso la cura ed il
bilanciamento della molteplicità dei
(contrapposti) interessi, pubblici
(urbanistici, naturalistici, paesistici,
nonché di sviluppo economico-sociale) e
privati.
---------------
La funzione stessa della valutazione di
impatto ambientale “è preordinata alla
salvaguardia dell'habitat nel quale l'uomo
vive, che assurge a valore primario ed
assoluto, in quanto espressivo della
personalità umana, attribuendo ad ogni
singolo un autentico diritto fondamentale,
di derivazione comunitaria (direttiva
27.07.1985 n. 85/337/CEE, concernente la
valutazione dell'impatto ambientale di
determinati progetti pubblici e privati);
diritto che obbliga l'amministrazione a
giustificare, quantomeno ex post ed a
richiesta dell'interessato, le ragioni del
rifiuto di sottoporre un progetto a V.I.A.
all'esito di verifica preliminare.
A tali fini, l'ambiente rileva non solo come
paesaggio, ma anche come assetto del
territorio, comprensivo di ogni suo profilo,
e finanche degli aspetti
scientifico-naturalistici (come quelli
relativi alla protezione di una particolare
flora e fauna), pur non afferenti
specificamente ai profili estetici della
zona”, sottolineandosi che la stessa Corte
Costituzionale, ha affermato che "lo stesso
aspetto del territorio, per i contenuti
ambientali e culturali che contiene, è di
per sé un valore costituzionale", da
intendersi come valore "primario".
---------------
E’ stato anche sottolineato che proprio per
le finalità cui è preordinata la valutazione
di impatto ambientale, la disciplina
relativa normativa ha prefigurato un modello
di istruttoria aperto ai contributi
partecipativi dei soggetti portatori di
interessi pubblici e privati coinvolti
nell'opera, con la conseguenza che l'impegno
motivazionale dell'autorità deliberante è
tanto più pregnante quanto più l'istruttoria
abbia fatto emergere, mediante apporti
partecipativi di soggetti, pubblici e
privati, anche esponenziali di interessi
collettivi, ricadute potenzialmente negative
sul contesto ambientale ed insediativo
interessato dall'iniziativa, fermo restando
che l’amministrazione, nel rendere il
giudizio di valutazione ambientale, esercita
un'amplissima discrezionalità che non si
esaurisce in un mero giudizio tecnico, in
quanto tale suscettibile di verificazione
tout court sulla base di oggettivi criteri
di misurazione, ma presenta al contempo
profili particolarmente intensi di
discrezionalità amministrativa e
istituzionale in relazione all'apprezzamento
degli interessi pubblici e privati
coinvolti, con conseguenti limiti al
sindacato giurisdizionale sulla
determinazione finale emessa.
---------------
Sono state inoltre delineate le differenze
tra valutazione di impatto ambientale e
autorizzazione integrata ambientale,
evidenziando che mentre la prima si
sostanzia in una complessa e approfondita
analisi comparativa tesa a valutare il
sacrificio ambientale imposto dal progetto
rispetto all'utilità socio-economica dallo
stesso ritraibile, tenuto conto anche delle
alternativi possibili e dei riflessi sulla
c.d. opzione zero, investendo propriamente
gli aspetti localizzativi e strutturali di
un impianto (e più in generale dell'opera da
realizzare), la seconda -introdotta nel
nostro ordinamento in attuazione della
direttiva 96/61/CE relativa alla prevenzione
e riduzione integrate dell'inquinamento- è
atto che sostituisce, con un unico titolo
abilitativo, tutti i numerosi titoli che
erano invece precedentemente necessari per
far funzionare un impianto industriale
inquinante, assicurando così efficacia,
efficienza, speditezza ed economicità
all'azione amministrativa nel giusto
contemperamento degli interessi pubblici e
privati in gioco, e incide quindi sugli
aspetti gestionali dell'impianto.
La giurisprudenza ha
ripetutamente affermato (Cons. St., sez. V,
31.05.2012, n. 3254; 22.06.2009, n. 4206;
sez. IV, 22.01.2013, n. 361; 05.07.2010, n.
4246; VI, 17.05.2006, n. 2851) che, alla
stregua dei principi comunitari e nazionali,
oltre che delle sue stesse peculiari
finalità, la valutazione di impatto
ambientale non si sostanzia in una mera
verifica di natura tecnica circa la astratta
compatibilità ambientale dell'opera, ma
implica una complessa e approfondita analisi
comparativa tesa a valutare il sacrificio
ambientale imposto rispetto all'utilità
socio-economica, tenuto conto anche delle
alternative possibili e dei riflessi sulla
stessa c.d. opzione-zero; in particolare, è
stato evidenziato che "la natura
schiettamente discrezionale della decisione
finale (e della preliminare verifica di
assoggettabilità), sul versante tecnico ed
anche amministrativo, rende allora
fisiologico ed obbediente alla ratio su
evidenziata che si pervenga ad una soluzione
negativa ove l'intervento proposto cagioni
un sacrificio ambientale superiore a quello
necessario per il soddisfacimento
dell'interesse diverso sotteso
all'iniziativa; da qui la possibilità di
bocciare progetti che arrechino vulnus non
giustificato da esigenze produttive, ma
suscettibile di venir meno, per il tramite
di soluzioni meno impattanti in conformità
al criterio dello sviluppo sostenibile e
alla logica della proporzionalità tra
consumazione delle risorse naturali e
benefici per la collettività che deve
governare il bilanciamento di istanze
antagoniste” (Cons. St, sez. IV,
05.07.2010, n. 4246; sez. VI, 22.02.2007, n.
933).
La valutazione di impatto ambientale non è
perciò un mero atto (tecnico) di gestione
ovvero di amministrazione in senso stretto,
rientrante come tale nelle attribuzioni
proprie dei dirigenti, trattandosi piuttosto
di un provvedimento con cui viene esercitata
una vera e propria funzione di indirizzo
politico-amministrativo con particolare
riferimento al corretto uso del territorio
(in senso ampio), attraverso la cura ed il
bilanciamento della molteplicità dei
(contrapposti) interessi, pubblici
(urbanistici, naturalistici, paesistici,
nonché di sviluppo economico-sociale) e
privati.
Ciò del resto è del tutto coerente con la
funzione stessa della valutazione di impatto
ambientale che (Cons. St., sez. IV,
09.01.2014, n. 36), “è preordinata alla
salvaguardia dell'habitat nel quale l'uomo
vive, che assurge a valore primario ed
assoluto, in quanto espressivo della
personalità umana (Cons. St., sez. VI,
18.03.2008, n. 1109), attribuendo ad ogni
singolo un autentico diritto fondamentale,
di derivazione comunitaria (direttiva
27.07.1985 n. 85/337/CEE, concernente la
valutazione dell'impatto ambientale di
determinati progetti pubblici e privati);
diritto che obbliga l'amministrazione a
giustificare, quantomeno ex post ed a
richiesta dell'interessato, le ragioni del
rifiuto di sottoporre un progetto a V.I.A.
all'esito di verifica preliminare (Corte
giust. 30.04.2009, C75/08). A tali fini,
l'ambiente rileva non solo come paesaggio,
ma anche come assetto del territorio,
comprensivo di ogni suo profilo, e finanche
degli aspetti scientifico-naturalistici
(come quelli relativi alla protezione di una
particolare flora e fauna), pur non
afferenti specificamente ai profili estetici
della zona”, sottolineandosi che la
stessa Corte Costituzionale (sent.
07.11.2007, n. 367), ha affermato che "lo
stesso aspetto del territorio, per i
contenuti ambientali e culturali che
contiene, è di per sé un valore
costituzionale", da intendersi come
valore "primario" (Corte Cost., sentt.
nn. 151/1986; 182/2006), ed "assoluto"
(sent. n. 641/1987).
E’ stato anche sottolineato che proprio per
le finalità cui è preordinata la valutazione
di impatto ambientale, la disciplina
relativa normativa ha prefigurato un modello
di istruttoria aperto ai contributi
partecipativi dei soggetti portatori di
interessi pubblici e privati coinvolti
nell'opera, con la conseguenza che l'impegno
motivazionale dell'autorità deliberante è
tanto più pregnante quanto più l'istruttoria
abbia fatto emergere, mediante apporti
partecipativi di soggetti, pubblici e
privati, anche esponenziali di interessi
collettivi, ricadute potenzialmente negative
sul contesto ambientale ed insediativo
interessato dall'iniziativa (Cons. St., sez.
V, 18.04.2012, n. 2234), fermo restando che
l’amministrazione, nel rendere il giudizio
di valutazione ambientale, esercita
un'amplissima discrezionalità che non si
esaurisce in un mero giudizio tecnico, in
quanto tale suscettibile di verificazione
tout court sulla base di oggettivi criteri
di misurazione, ma presenta al contempo
profili particolarmente intensi di
discrezionalità amministrativa e
istituzionale in relazione all'apprezzamento
degli interessi pubblici e privati
coinvolti, con conseguenti limiti al
sindacato giurisdizionale sulla
determinazione finale emessa (Cons. St.,
sez. V, 27.03.2013, n. 1783).
Sono state inoltre delineate le differenze
tra valutazione di impatto ambientale e
autorizzazione integrata ambientale,
evidenziando che mentre la prima si
sostanzia in una complessa e approfondita
analisi comparativa tesa a valutare il
sacrificio ambientale imposto dal progetto
rispetto all'utilità socio-economica dallo
stesso ritraibile, tenuto conto anche delle
alternativi possibili e dei riflessi sulla
c.d. opzione zero, investendo propriamente
gli aspetti localizzativi e strutturali di
un impianto (e più in generale dell'opera da
realizzare), la seconda -introdotta nel
nostro ordinamento in attuazione della
direttiva 96/61/CE relativa alla prevenzione
e riduzione integrate dell'inquinamento- è
atto che sostituisce, con un unico titolo
abilitativo, tutti i numerosi titoli che
erano invece precedentemente necessari per
far funzionare un impianto industriale
inquinante, assicurando così efficacia,
efficienza, speditezza ed economicità
all'azione amministrativa nel giusto
contemperamento degli interessi pubblici e
privati in gioco, e incide quindi sugli
aspetti gestionali dell'impianto (Cons. St,
sez. V, 17.01.2012, n. 5292)
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 02.10.2014 n. 4928 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA: Via,
Vas e Aia - Vas - Progetti di sviluppo di aree urbane - Piano di
lottizzazione (residenziale) superiore a 10 ettari, ma non riguardante il
riassetto o lo sviluppo di aree urbane esistenti - Assoggettabilità a VAS -
Esclusione - Attivazione cautelare della verifica di assoggettabilità -
Legittimità.
L'allegato 4 alla parte II del Dlgs 152/2006 individua
tra le opere sottoposte alla verifica di assoggettabilità a VAS (punto 7-b)
i "progetti di sviluppo di aree urbane, nuove o in estensione,
interessanti superfici superiori ai 40 ettari" nonché i "progetti di
riassetto o sviluppo di aree urbane all'interno di aree urbane esistenti che
interessano superfici superiori a 10 ettari".
Il piano di lottizzazione (residenziale) che interessa una superficie pari a
114.822,74 mq, ma non riguarda il riassetto o lo sviluppo di aree urbane
esistenti, non solo non è direttamente soggetto a VAS ma non ricade in
nessuna delle due ipotesi di verifica di assoggettabilità.
Cautelativamente, tuttavia, in forza del principio secondo cui
l'amministrazione deve comunque accertare se le opere, anche di piccole
dimensioni, producano impatti significativi sull'ambiente (v. articolo 6,
comma 3, del Dlgs 152/2006), l'attivazione della verifica di
assoggettabilità appare corretta.
---------------
... per l'annullamento:
- della deliberazione consiliare n. 77 del 21.12.2010, con la quale
è stato approvato il piano di lottizzazione residenziale n. 12;
- della deliberazione consiliare n. 61 dell’08.09.2010, con la
quale il predetto piano di lottizzazione è stato adottato;
...
1. Le ricorrenti Ca.Co.Po.Pa. e Co.Ab. il Te. sono cooperative sociali
che hanno come scopo statutario l’assegnazione ai soci di abitazioni in
proprietà, locazione, o godimento con altre forme contrattuali.
2. Per quanto riguarda l’interesse a promuovere il presente ricorso, le
ricorrenti sono promissarie acquirenti di terreni situati nel Comune di
Montichiari e inseriti nel piano di lottizzazione n. 12.
Più in dettaglio, Ca.Co.Po.Pa. ha sottoscritto in data 22.12.2006 un
preliminare di acquisto relativo ai mappali n. 76 e 77 con i proprietari
Ez.Be. e Ma.Pa.. In seguito, con accordo del 03.05.2007, la predetta
cooperativa ha ceduto il 50% dei diritti sull’area alla cooperativa Ma.Un..
Quest’ultima è stata incorporata in Co.Ab. il Te. in data 28.03.2009 (v.
visura camerale).
3. In data 27.03.2009 i controinteressati, tra cui i danti causa delle
ricorrenti, hanno presentato al Comune il progetto del piano di
lottizzazione n. 12, che prevede un’importante edificazione residenziale a
sud dell’azienda agricola di Gi.Ca.Pi. e Al.Pi., dove è presente un
allevamento di bovini con circa 300 capi.
Il comparto, che si trova in zona C2 (residenziale di espansione) ha una
superficie pari a 114.822,74 mq e un volume edificabile pari a 120.010 mc.
Rispetto alle strutture dell’allevamento i nuovi edifici si posizionano, nel
punto più vicino, a una distanza di circa 100 metri.
4. La ASL di Brescia Distretto di Montichiari con nota del 31.12.2009 ha
espresso parere negativo sul progetto, in quanto la distanza
dall’allevamento, seppure conforme alle previsioni del regolamento locale di
igiene del Comune, è inferiore alla misura di 500 metri stabilita dal
regolamento di igiene tipo approvato con deliberazione del direttore
generale n. 797 del 17.11.2003.
5. Nonostante il parere negativo della ASL, il Comune con deliberazioni
consiliari n. 61 dell’08.09.2010 e n. 77 del 21.12.2010 ha rispettivamente
adottato e approvato il piano di lottizzazione.
...
Sulla procedura di VAS
27. L’allegato
4 alla parte II del Dlgs. 152/2006 individua tra le opere
sottoposte alla verifica di assoggettabilità a VAS (punto 7-b) i “progetti
di sviluppo di aree urbane, nuove o in estensione, interessanti superfici
superiori ai 40 ettari” nonché i “progetti di riassetto o
sviluppo di aree urbane all'interno di aree urbane esistenti che interessano
superfici superiori a 10 ettari”.
Il piano di lottizzazione in questione interessa una superficie pari a
114.822,74 mq, ma non riguarda il riassetto o lo sviluppo di aree urbane
esistenti. Pertanto, non solo non è direttamente soggetto a VAS ma non
ricade in nessuna delle due ipotesi di verifica di assoggettabilità.
28. Cautelativamente, in forza del principio secondo cui l’amministrazione
deve comunque accertare se le opere, anche di piccole dimensioni, producano
impatti significativi sull'ambiente (v. art. 6, comma 3, del Dlgs.
152/2006), l’attivazione della verifica di assoggettabilità appare corretta.
In concreto, l’esame delle criticità della lottizzazione è stato effettuato
dalla conferenza di servizi del 15.06.2010, che si è soffermata anche sul
problema della distanza minima dall’allevamento.
29. Per quanto riguarda la distinzione tra autorità competente e autorità
procedente (v. art. 5 e 12 del Dlgs. 152/2006), si rinvia
all’interpretazione giurisprudenziale che considera normale la collocazione
delle stesse all’interno del medesimo ente, trattandosi di funzioni non in
rapporto di contrapposizione o controllo, ma chiamate a collaborare allo
scopo di consentire una decisione finale basata sul necessario
approfondimento tecnico (v. CdS Sez. IV 12.01.2011 n. 133; TAR Brescia Sez.
II 02.05.2013 n. 400) (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 29.04.2014 n. 997 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Centri
commerciali.
Domanda
I centri commerciali di media dimensione sono soggetti alla
procedura di valutazione di impatto ambientale?
Risposta
La Corte costituzionale, con la sentenza del 28.10.2013, numero 251, ha affermato che sono soggetti alla
procedura di valutazione di impatto ambientale (Via) anche i
centri commerciali di media dimensione, alla luce della
disciplina nazionale dettata dal Testo unico ambientale
(decreto legislativo numero 152, del 03.04.2006), che
all'allegato IV, parte II, punto 7, lettera b), prevede
espressamente che siano sottoposti alla citata procedura di
valutazione di impatto ambientale (Via) tutti i «centri
commerciali».
Di conseguenza, i giudici costituzionali hanno
dichiarato costituzionalmente illegittimo l'articolo 22
della legge della regione Veneto del 28.12.2012,
numero 50, per violazione dell'articolo 117, comma 2,
lettera s), della Costituzione. E ciò in considerazione del
fatto che la procedura di valutazione di impatto ambientale
(Via) rientra nella competenza esclusiva dello stato. Per la
Corte costituzionale, però, rimane in vita, alla luce della
normativa vigente, la deroga dell'allargamento dei casi di
verifica di assoggettabilità a Via delle grandi strutture di
vendita che non costituiscano centri commerciali.
Peraltro, è da dire che l'articolo 6, comma 9, del Testo
unico ambientale, su citato, prevede testualmente che: «Le
regioni e le province di Trento e di Bolzano possono
definire, per determinate tipologie progettuali o aree
predeterminate, sulla base degli elementi indicati
nell'allegato V, un incremento nella misura massima del
trenta per cento o decremento delle soglie di cui
all'allegato IV.
Con riferimento ai progetti di cui all'allegato IV, qualora
non ricadenti neppure parzialmente in aree naturali
protette, le regioni e le province autonome di Trento e di
Bolzano possono determinare, per specifiche categorie
progettuali o in particolari situazioni ambientali e
territoriali, sulla base degli elementi di cui all'allegato
V, criteri o condizioni di esclusione dalla verifica di
assoggettabilità».
Alla luce di detta disposizione, la legislazione regionale
potrebbe escludere l'applicazione della verifica di
assoggettabilità a Via quelle strutture di modeste
dimensioni che non determinino significativi impatti anche
se qualificabili come centro commerciale ai sensi della
normativa del commercio
(articolo ItaliaOggi Sette del 29.09.2014). |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 6 del 05.02.2014, "Approvazione
delle linee guida per la componente salute pubblica degli
studi di impatto ambientale ai sensi dell’art. 12, comma 2,
del regolamento regionale 21.11.2011, n. 5" (deliberazione
G.R. 24.01.2014 n. 1266). |
EDILIZIA PRIVATA:
B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 5 del
29.01.2014, "Interventi riguardanti
medie e grandi strutture di vendita da
sottoporre alla «Verifica di
assoggettabilità a VIA» o alla «VIA» in
applicazione della direttiva comunitaria n.
2011/92/UE. Disciplina transitoria" (deliberazione
G.R. 24.01.2014 n. 1267). |
EDILIZIA PRIVATA:
S. Deliperi,
I progetti non possono essere “spezzettati” per
eludere le procedure di valutazione di impatto ambientale (16.01.2014
- link a
www.lexambiente.it). |
2013 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Shopping center sempre con la «Via».
Corte costituzionale. Per il Veneto niente
valutazione per i centri inferiori a 8mila metri quadrati.
La valutazione
di impatto ambientale va fatta anche sui centri commerciali
di medie dimensioni. E la regione non può dribblare
l'obbligo con una legge che rende la Via obbligatoria solo
per le grandi strutture.
La Corte costituzionale, con la
sentenza
28.10.2013 n. 251 redatta dal giudice Marta Cartabia e depositata
ieri, ha sancito l'illegittimità costituzionale
dell'articolo 22 della legge regionale 50/2012. Una norma
con cui il Veneto si è allontanato dai criteri fissati dallo
Stato, nel prevedere la Via per le strutture che hanno una
superficie di vendita superiore a 8mila metri quadrati e la
procedura di verifica o lo screenig per quelle che vanno dai
2.501 agli 8mila.
Il legislatore regionale impone dunque esplicitamente la
Valutazione di impatto ambientale o la verifica
all'assoggettabilità alla Via, solo per le costruzioni che
superano i 2.500 metri quadrati, "disobbedendo" così al
legislatore statale (Dlgs 152/2006) che impone le stesse
procedure per qualunque centro commerciale. Lo scollamento
con il decreto legislativo c'è anche riguardo alle
definizioni.
La norma statale considera centri commerciali «le strutture
di vendita di medie e grandi dimensioni, nelle quali più
esercizi commerciali sono inseriti in una struttura a
destinazione specifica e usufruiscono di infrastrutture
comuni e spazi di servizio gestiti unitariamente».
La regione Veneto ha considerato invece solo la grandezza
dei grandi impianti destinati alla vendita senza dare rilevo
alla caratteristica della pluralità di esercizi presenti in
un medesimo spazio.
Secondo la Consulta la disposizione impugnata, sotto questo
aspetto, è più ampia perché comprende anche i grandi locali
che sfuggono alla definizione di centro commerciale, è però
più restrittiva per la parte in cui lascia sfuggire alle
verifiche di compatibilità ambientale gli shopping center di
medie dimensioni.
I giudici costituzionali ricordano che con le sentenze 221
del 2010 e 234 del 2009 è stato sgombrato il campo da ogni
dubbio sulla competenza esclusiva dello Stato nella tutela
dell'ambiente in cui rientra la disciplina della Via.
Per questo, facendo a modo suo, la regione Veneto ha violato
l'articolo 117 della Carta che assegna allo Stato il compito
di legiferare in tema di ambiente e di ecosistema (articolo Il Sole 24 Ore del
29.10.2013). |
EDILIZIA PRIVATA:
La Via vale per i centri commerciali, non per le grandi
strutture di vendita. La corte
costituzionale su una legge del veneto.
Se è assoggettata a Via la realizzazione di un centro
commerciale, non per questo analoga procedura deve essere
rispettata per le grandi strutture commerciali che centri
commerciali non sono. Insomma, la regione Veneto avrebbe
voluto rimediare ad un errore del legislatore nazionale ma
la Corte costituzionale non glielo consente. Ciò in quanto
la materia relativa alla tutela dell'ambiente è di esclusiva
competenza dello stato.
È questo, in sostanza, il nocciolo
della questione contenuto nella
sentenza
28.10.2013 n. 251
della Corte Costituzionale
e che ha fatto seguito all'impugnativa del Governo della
legge regionale veneta 50/2012.
Ciò in quanto altre due
questioni che trattavano, invece, i procedimenti di
competenza del Suap e la procedura di variante mediante
conferenza di servizi sono state dichiarate infondate. In
pratica, la Regione Veneto aveva ritenuto un paradosso il
fatto che l'allegato IV alla Parte II, punto 7, lettera b),
del dlgs n. 152 del 2006, assoggetti a screening la
costruzione di centri commerciali previsti dal dlgs 114/1998
a prescindere dalla loro dimensione.
Perché ciò condurrebbe a ritenere che qualsiasi struttura
qualificabile come centro commerciale sia da sottoporre
necessariamente alla valutazione a prescindere dalla
dimensione dell'insediamento, con l'esito di obbligare alla
procedura di screening anche accostamenti di esercizi
commerciali di dimensioni molto contenute, laddove grandi
strutture di vendita, anche molto grandi ma non
qualificabili come centri commerciali ai sensi della
disciplina statale, non sarebbero soggette ad analoga
procedura.
Da ciò la scelta del legislatore regionale di prevedere
esplicitamente la Via o la verifica di assoggettabilità a
Via per le «grandi strutture di vendita», che
comprendono quindi anche i centri commerciali, aventi
superficie superiore ai 2.500 metri quadrati, ed escludere
quindi la verifica per le opere che «grandi strutture di
vendita» non sono anche se strutturate con la modalità
di centro commerciale.
Ma, secondo il giudice delle leggi, riferirsi a categoria
diversa da quella utilizzata dal legislatore statale, anche
se per alcuni aspetti essa è più ampia, perché al suo
interno annovera anche le strutture che non possono essere
definite centri commerciali, non è consentito, perché in tal
modo sarebbero esclusi i centri commerciali minori per i
quali, invece, il legislatore nazionale ha imposto la
verifica (articolo ItaliaOggi
del 29.10.2013). |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: Protezione sostenibile.
Domanda.
In materia di Valutazione di impatto ambientale (Via), cosa
deve intendersi per protezione sostenibile?
Risposta.
In tema di Valutazione di impatto ambientale (Via) la
pubblica amministrazione competente, nel valutare l'impatto
che l'intervento dell'uomo sull'ambiente procura, deve
valutarlo non soltanto alla luce del principio dello
sviluppo sostenibile, codificato nell'articolo 3-quater del
decreto legislativo 03.04.2006, numero 152, ma anche alla
luce della cosiddetta «protezione sostenibile», che è una
tutela rafforzata che contempera, come afferma il Consiglio
di stato, sezione VI, con la sentenza numero 7472, del 16.11.2004, i vantaggi economici che la protezione in sé
assicura con gli equilibri che sono essenziali per qualsiasi
cittadino, che ha diritto a tutte le informazioni all'uopo
necessarie, per una sempre maggiore trasparenza sul
procedimento. Trasparenza che deve giustificare le scelte
che la pubblica amministrazione ha effettuato, quale garante
nella tutela dell'ambiente.
Il Tribunale amministrativo regionale (Tar) del Veneto,
sezione III, con la sentenza dell'08.03.2012, numero 333,
ha puntualizzato che la normativa portata dall'articolo 21
comma 2, lettera b), del citato decreto legislativo 03.04.2006, numero 152, per la procedura di Valutazione di impatto
ambientale (Via), fissa l'obbligo di identificare e valutare
ogni possibile alternativa al progetto, compresa la sua non
realizzazione, con l'indicazione delle principali ragioni
della scelta effettuata. Infatti, la scelta deve essere resa
trasparente sia sotto il profilo dell'impatto ambientale,
sia al fine di evitare interventi che possano causare
sacrifici ambientali superiori a quelli necessari per
soddisfare l'interesse che si sottende con l'iniziativa.
E,
il Consiglio di stato, sezione VI, con la sentenza numero
933, del 22.02.2007, ebbe ad affermare, sempre in tema
di rilascio della Valutazione di impatto ambientale (Via),
che «la natura schiettamente discrezionale della decisione
finale (e della preliminare verifica di assoggettabilità)
sul versante tecnico e anche amministrativo, rende
fisiologico ed obbediente alla ratio su evidenziata che si
pervenga ad una soluzione negativa ove l'intervento proposto
cagioni un sacrificio ambientale superiore a quello
necessario per il soddisfacimento dell'interesse diverso
sotteso all'iniziativa: da qui la possibilità di bocciare
progetti che arrechino vulnus non giustificato da esigenze
produttive, ma suscettibile di venire meno, per il tramite
di soluzioni meno impattanti in conformità al criterio di
sviluppo sostenibile ed alla logica della proporzionalità
tra consumazione delle risorse naturali e benefici per la
collettività che deve governare il bilanciamento di istanze
antagoniste» (articolo ItaliaOggi Sette del
24.06.2013). |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI:
Opzione zero.
Domanda.
La pubblica amministrazione, in sede di Valutazione di
impatto ambientale (Via), deve esaminare anche la cosiddetta
«opzione zero»?
Risposta.
La pubblica amministrazione, in sede di Valutazione di
impatto ambientale (Via), deve esaminare tutte le opzioni
alternative, relative al tipo di intervento richiesto,
compresa quella relativa alla non realizzazione dell'opera,
cosiddetta «opzione zero». Pertanto, come anche sostenuto
dal Tribunale amministrativo regionale (Tar) del Veneto,
sezione III, con la sentenza dell'08.03.2012, numero 333,
è illegittima una Valutazione di impatto ambientale (Via)
che non prende in considerazione o le prende in maniera
insufficiente, le opzioni suddette, compresa la cosiddetta
«opzione zero».
Peraltro, la Corte di giustizia europea, sezione VI, con la
sentenza numero 435, del 16.09.1999, causa C-435/97,
ebbe a puntualizzare che: «Gli articoli 4, n. 2, e 2, n. 1,
della direttiva del Consiglio 27.06.1985, 85/337/Cee_
vanno intesi nel senso che non conferiscono ad uno Stato
membro né il potere di dispensare, a priori e globalmente,
dalla procedura di valutazione di impatto ambientale
istituita dalla direttiva determinate classi di progetti
elencate nell'allegato II di quest'ultima, ivi comprese le
modifiche di tali progetti, né il potere di sottrarre a tale
procedura uno specifico progetto, a meno che l'insieme di
tali classi di progetto o il progetto specifico possa essere
ritenuto, sulla base di una valutazione complessiva,
inidoneo ad avere un impatto ambientale importante. Spetta
al giudice nazionale verificare se le Autorità competenti,
sulla base dell'esame in concreto da esse eseguito che le ha
condotte ad esonerare il progetto dalla procedura di
valutazione istituita dalla direttiva, abbiano concretamente
valutato, in conformità alla stessa, l'importanza
dell'impatto ambientale dello specifico progetto in
questione».
In ogni caso l'Autorità amministrativa
competente ha l'obbligo di comunicare, a richiesta, i motivi
per i quali la decisione è stata assunta, ovvero le
informazioni ed i documenti pertinenti in risposta alle
richieste formulate (Corte di giustizia, sezione II,
sentenza del 04.05.2006, causa C-508/2003) (articolo ItaliaOggi Sette
del 24.06.2013). |
EDILIZIA
PRIVATA: Ambiente in genere. Illegittimità autorizzazione impianto
produzione di calcestruzzo in ampliamento di un impianto di
recupero rifiuti inerti senza preventiva VIA.
E’ illegittima l’approvazione del progetto ed autorizzazione
alla realizzazione di un impianto per la produzione di
calcestruzzo con materiali inerti e rifiuti non pericolosi
in ampliamento di un impianto di recupero rifiuti inerti
senza preventiva VIA.
Quand’anche il progetto per la
produzione di calcestruzzo dovesse essere qualificato come
ampliamento di quello esistente di frantumazione, si
dovrebbe comunque definire il medesimo come comportante una
variante sostanziale al progetto originario in quanto tale
assoggettabile alla medesima disciplina applicabile ai nuovi
impianti ai sensi dell’art. 208, comma 19, del Dlgs. n. 152
del 2006, per il quale le procedure di autorizzazione di
nuovi impianti si applicano anche per la realizzazione di
varianti sostanziali a seguito delle quali gli impianti non
sono più conformi all'autorizzazione rilasciata.
L’art. 16, comma 2, della legge regionale n. 11 del 2010, ha
previsto che nelle more dell’approvazione del piano
regionale di gestione dei rifiuti speciali, “non possono
essere rilasciati provvedimenti di approvazione dei progetti
di impianti di smaltimento o recupero di rifiuti speciali,
pericolosi e non pericolosi, né concesse autorizzazioni
all’esercizio di nuovi impianti di smaltimento o recupero di
rifiuti speciali, pericolosi e non pericolosi, in assenza di
una deliberazione del consiglio provinciale competente per
il territorio, previo parere dell’Osservatorio rifiuti
dell’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente del
Veneto, che accerti l’indispensabilità degli impianti stessi
ai fini dello smaltimento o recupero, in ragione
dell’osservanza del principio di prossimità tra luogo di
produzione e luogo di smaltimento prescritto dall’articolo
11, commi 1 e 2, della legge regionale 21.01.2000, n. 3 e
dall’articolo 199, comma 3, lettera d), del decreto
legislativo 03.04.2006, n. 152”.
Nel caso in esame la Provincia di Verona si è rivolta
all’Osservatorio rifiuti dell’Arpav e questo con parere n.
01377407211 del 16.11.2010, ha affermato che il progetto
presentato non è soggetto alle limitazioni dettate dalla
predetta norma, in quanto va qualificato come mero
ampliamento di impianti esistenti in termini di
potenzialità, superficie o modifiche gestionali, e quindi
come rientrante nelle esenzioni previste dalla deliberazione
della Giunta regionale n. 1210 del 23.03.2010, recante
disposizioni attuative della legge regionale.
La Provincia di Verona, la Società controinteressata e l’Arpav
nelle proprie difese sostengono la tesi enunciata in tale
parere, affermando che nel caso di specie l’impianto per la
produzione di calcestruzzo deve considerarsi ampliamento
dell’impianto di frantumazione, e che questo deve
considerarsi già esistente in quanto già autorizzato, ai
fini della non applicabilità dei vincoli previsti dall’art.
16 della legge regionale n. 11 del 2010, come previsto dalla
sopra menzionata deliberazione della Giunta regionale.
Questa tesi non può essere condivisa perché si basa su di
una non corretta interpretazione delle norme.
Dalla cronistoria delle procedure autorizzative intercorse
emerge che:
- la dante causa dell’odierna controinteressata Ecoblu Srl,
la ditta Cava Mirabei Srl, è stata autorizzata con
determinazione n. 270/04 del 16.01.2004 alla realizzazione
di un impianto per l’attività di recupero di materiali
inerti e rifiuti tramite frantumazione, non realizzato, e la
cui scadenza del termine di realizzazione è stata più volte
prorogata, da ultimo fino al 26.06.2011, dal provvedimento
impugnato;
- il progetto originario che ha dato luogo alla
determinazione n. 270/04 del 16.01.2004 prevedeva,
unitamente alla realizzazione dell’impianto di
frantumazione, anche la realizzazione di un impianto di
betonaggio per la produzione di calcestruzzo e di una
tettoia per ricovero mezzi, ma la parte di progetto relativa
a tale impianto non è stata approvata in quanto ritenuta
afferente ad un insediamento produttivo non attinente al
recupero dei rifiuti, e pertanto di competenza del Comune e
non della Provincia (nel progetto era previsto l’utilizzo di
rifiuti provenienti da scavi e demolizioni; cocciame da
estrazioni e lavorazioni di pietre naturali per
l’ottenimento di inerti a granulometria stabilizzata
utilizzabili per la realizzazione di sottofondi di capannoni
e la costruzione di opere stradali, come risulta dal parere
n. 113 di cui al verbale n. 18 del 13.10.2003 della
commissione tecnica provinciale per l’ambiente della
Provincia di Verona allegato al doc. 17 del ricorso);
- successivamente, in data 11.05.2004, la ditta ha
presentato domanda di approvazione di un diverso progetto
per un impianto per la produzione di calcestruzzo con
materiali inerti e rifiuti provenienti da centrali
termoelettriche ed altri rifiuti compatibili;
- l’istanza per ottenere l’autorizzazione di tale progetto è
stata respinta con determinazione prot. n. 65504 del 25.06.2008 del dirigente del settore ecologia della
Provincia di Verona, facendo riferimento a ragioni di tutela
paesaggistica;
- il Tar Veneto, Sez. II, con sentenza 14.11.2008, n. 3567,
ha annullato il diniego di autorizzazione accogliendo la
censura di difetto di motivazione;
- in esecuzione di tale sentenza, il dirigente del settore
ambiente della Provincia di Verona con nota prot. n. 24271
del 05.03.2009, ha inviato una comunicazione di avvio del
procedimento per il riesame del progetto, e successivamente
ha sospeso i termini per la conclusione del procedimento, in
quanto vi era la necessità di verificare l’assoggettabilità
del progetto alla valutazione di impatto ambientale;
- in data 30.11.2009, la ditta ha presentato domanda di
verifica di assoggettabilità del progetto a valutazione di
impatto ambientale;
- il dirigente del settore ambiente della Provincia di
Verona con determinazione n. 2355/10 del 4 maggio 2010, ha
escluso dalla procedura di valutazione di impatto ambientale
il progetto denominato “impianto di recupero di materiali
inerti tramite frantumazione, mediante l’inserimento di un
impianto per la produzione di calcestruzzo con materiali e
rifiuti inerti”;
- tale provvedimento reca tuttavia la prescrizione che,
prima dell’approvazione del progetto, deve essere presentato
uno studio con la valutazione degli effetti cumulativi con
le altre attività di gestione dei rifiuti presenti sulle
aree limitrofe;
- il 19.10.2010 la Provincia di Verona ha chiesto
all’Osservatorio rifiuti dell’Arpav il parere prescritto
dall’art. 16 della legge regionale n. 11 del 2010;
- l’Arpav ha affermato che il progetto non soggiace alle
limitazioni previste dall’art. 16 delle legge regionale n.
11 del 2010, e pertanto può essere autorizzato senza
l’acquisizione del parere del consiglio provinciale circa
l’indispensabilità dello stesso ai fini dello smaltimento o
recupero dei rifiuti, in ragione dell’osservanza del
principio di prossimità tra luogo di produzione e luogo di
smaltimento.
Da quanto esposto risulta quindi che il progetto ricade tra
quelli assoggettati alla disciplina dell’art. 16 della legge
regionale n. 11 del 2010, perché si tratta di un progetto
relativo ad un nuovo impianto.
In fatto emerge che in passato non è stata mai approvata
l’autorizzazione di un impianto per la produzione del
calcestruzzo con materiali inerti e rifiuti (la produzione
del calcestruzzo mediante l’utilizzo di rifiuti rende
ininfluente, ai fini della definizione della controversia,
la preesistenza di un impianto di betonaggio molto
risalente), in quanto la richiesta di approvazione del
progetto relativo ad un impianto di questo tipo presentata
nel 2003, era stata respinta, e che l’impianto di recupero
di inerti mediante frantumazione autorizzato con la
determinazione n. 270/04 del 16 gennaio 2004, che si
pretenderebbe oggetto di ampliamento, non è stato ancora
realizzato, in quanto il termine di scadenza
dell’autorizzazione è stato ripetutamente prorogato.
Ne discende, contrariamente a quanto afferma l’Arpav nel
proprio parere, la non applicabilità al progetto relativo
all’impianto per la produzione di calcestruzzo con inerti e
rifiuti, della disciplina sulle esenzioni previste dalla
deliberazione della Giunta regionale n. 1210 del 23.03.2010,
recante disposizioni attuative dell’art. 16 della legge
regionale n. 11 del 2010.
Questa infatti, che ha valenza interpretativa della legge
regionale, precisa le casistiche che non devono ritenersi
soggette all’applicazione dell’art. 16 della legge regionale
n. 11 del 2010, e tra queste menziona le domande relative
alla “realizzazione di interventi di ampliamento di
impianti esistenti autorizzati allo smaltimento o recupero
di rifiuti speciali, pericolosi e non, in termini di
potenzialità, superficie o modifiche gestionali”.
Nel caso in esame il progetto per la produzione di
calcestruzzo con materiali inerti e rifiuti non può essere
definito come mero ampliamento in termini di potenzialità,
superficie o modifiche gestionali del progetto di
realizzazione di un impianto di recupero di inerti mediante
frantumazione, in primo luogo perché non può parlarsi di
ampliamento tra impianti tra loro diversi, strutturalmente e
funzionalmente autonomi, che sono solo collegati tra loro,
in secondo luogo perché l’impianto di frantumazione,
quand’anche fosse da qualificare, secondo la prospettazione
delle parti resistenti e della controinteressata, come
ampliato dall’impianto di produzione del calcestruzzo, non
potrebbe neppure essere definito come già “esistente”,
atteso che, benché autorizzato, non è stato ancora
realizzato e l’espressione impianti “esistenti ed
autorizzati” utilizzata dalla citata deliberazione della
Giunta regionale non costituisce un’endiadi.
Infatti laddove il legislatore ha definito cosa debba
intendersi per “impianto esistente”, ha inteso fare
riferimento non solo all’impianto che abbia ottenuto tutte
le autorizzazioni necessarie, ma che sia anche entrato in
funzione (in tali termini l’art. 5, comma 1, lett.
i-quinquies del Dlgs. n. 152 del 2006 dispone che si
definisce impianto esistente “un impianto che, al
10.11.1999, aveva ottenuto tutte le autorizzazioni
ambientali necessarie all'esercizio, o il provvedimento
positivo di compatibilità ambientale, o per il quale a tale
data erano state presentate richieste complete per tutte le
autorizzazioni ambientali necessarie per il suo esercizio, a
condizione che esso sia entrato in funzione entro il
10.11.2000”).
Una tale conclusione è coerente, sotto un profilo
sistematico, con la logica sottesa alla norma regionale,
posto che l’art. 16 della legge regionale n. 11 del 2010, si
prefigge di non compromettere il raggiungimento degli
obiettivi della pianificazione, nelle more del
perfezionamento dell’iter di approvazione del piano
regionale di gestione dei rifiuti speciali.
Solo per completezza va anche soggiunto che, quand’anche il
progetto per la produzione di calcestruzzo dovesse essere
qualificato come ampliamento di quello di frantumazione, si
dovrebbe comunque definire il medesimo come comportante una
variante sostanziale al progetto originario in quanto tale
assoggettabile alla medesima disciplina applicabile ai nuovi
impianti ai sensi dell’art. 208, comma 19, del Dlgs. n. 152
del 2006, per il quale le procedure di autorizzazione di
nuovi impianti si applicano anche per la realizzazione di
varianti sostanziali a seguito delle quali gli impianti non
sono più conformi all'autorizzazione rilasciata.
Da quanto premesso, discende che il progetto ricade tra
quelli assoggettati alla disciplina dell’art. 16 della legge
regionale n. 11 del 2010, e che non può quindi essere
autorizzato senza una deliberazione del consiglio
provinciale competente per territorio che, previo parere
dell’Osservatorio rifiuti dell’Agenzia regionale per la
protezione dell’ambiente del Veneto, accerti
l’indispensabilità degli impianti stessi ai fini dello
smaltimento o recupero, in ragione dell’osservanza del
principio di prossimità tra luogo di produzione e luogo di
smaltimento (massima tratta da www.lexambiente.it -
TAR
Veneto, Sez. III,
sentenza 05.02.2013 n. 137
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Necessità VIA per insediamento turistico-residenziale con procedura semplificata ex DPR
n. 447/1998 in area agricola con ulivi secolari.
E’ legittima la richiesta della valutazione di compatibilità
ambientale (VIA) per insediamento turistico-residenziale con
richiesta di procedura semplificata ex DPR n. 447/1998, visto
che il progetto comporta variazione alle destinazioni del PRG e l’area interessata ad ospitare l’insediamento
produttivo ricade in parte in zona agricola contrassegnata
dalla presenza di una moltitudine di ulivi secolari se non
millenari che tipizza i luoghi nella loro specificità sì da
farne un “unicum” di bellezza e di patrimonio naturale,
rendendo necessariamente del tutto non compatibile con un
tale assetto ambientale del territorio un intervento
edilizio che comporta tra l’altro, proprio in riferimento
alla superficie ulivetata l’espianto e successivo reimpianto
in altro loco di numerose piante di ulivo, con chiaro
pericolo di alterazione dello stato dei luoghi.
L’istituto della VIA è finalizzato alla tutela preventiva
dell’ambiente inteso nella sua più ampia accezione, con
riferimento alle sue varie componenti : il paesaggio, le
risorse naturali, le condizioni di vivibilità degli
abitanti, gli aspetti culturali, alla luce del valore
primario ed assoluto riconosciuto dalla Costituzione al
paesaggio e all’ambiente.
Con riferimento al primo aspetto parte appellante lamenta il
fatto che l’Amministrazione regionale avrebbe
immotivatamente sconfessato l’istruttoria concordata tra
proponente e Regione stessa, tenuto in non cale, in sede di
istruttoria della pratica, gli apporti documentali della
Società Pettolecchia nonché obliterato in pratica la regola
del contraddittorio che pure avrebbe dovuto informare la
valutazione dello studio di impatto ambientale (S.I.A.),
inoltrato dall’appellante.
Orbene, la lettura della parte narrativa del parere di cui
alla determina dirigenziale n. 87/2005 consente agevolmente
di rilevare che la Regione nell’istruire la richiesta di
compatibilità ambientale ha sufficientemente interloquito
con Pettolecchia, dato altresì contezza delle integrazioni
documentali fatte pervenire dalla predetta Società e preso
altresì atto di procedere ad una definizione concordata dei
contenuti del S.I.A ai sensi dell’art. 9 della legge
regionale n. 11/2001.
Da come si è svolto l’iter procedurale, non è dato evincere
insomma che la determinazione di carattere negativo sia
stata assunta, per così dire, “ex abrupto”, mentre
risulta documentato che è stata assicurata alla richiedente
ampia possibilità di contraddittorio e di partecipazione.
E’ altresì evidente che naturalmente sia pure in un rapporto
di interlocuzione e contraddittorio rimane integro il potere
della P.A. in subiecta materia di non essere
obbligata a seguire il soggetto proponente nelle valutazione
e risultanze da questo indicate: un tanto ci introduce nel
campo più strettamente di “merito“ della procedura in
parola,avuto riguardo cioè a quei profili sostanzialistici
(infondatamente ritenuti violati dall’appellante) della
quaestio iuris che impongono qui di richiamare sia pure
in termini di estrema sintesi i principi che governano la
procedura della V.I.A. onde rilevarne natura giuridica del
procedimento e ratio applicativa.
L’istituto in parola è finalizzato alla tutela preventiva
dell’ambiente inteso nella sua più ampia accezione, con
riferimento alle sue varie componenti: il paesaggio, le
risorse naturali, le condizioni di vivibilità degli
abitanti, gli aspetti culturali e al riguardo il Collegio
ritiene di condividere pienamente quanto affermato dalla
giurisprudenza costituzionale ed amministrativa in ordine
alla natura sostanzialmente insindacabile delle scelte
effettuate, giustificandola alla luce del valore primario ed
assoluto riconosciuto dalla Costituzione al paesaggio e
all’ambiente (in tali sensi, Cons. Stato, Sez. V, 12.06.2009
n. 3770; Corte Costituzionale 07.11.2007 n. 367).
Inoltre, è stato altresì sottolineato che l’ambiente rileva
non solo come paesaggio ma anche come assetto del territorio
comprensivo degli aspetti naturalistici, e, in particolare,
di quelli relativi alla protezione oltreché della fauna
anche delle specie vegetazionali (Cons. Stato, Sez. IV,
05.07.2010 n. 4246).
Insomma, nella disciplina della V.I.A. è insita la valenza
del principio fondamentale per cui detta procedura è
preordinata alla salvaguardia dell’habitat nel quale l’uomo
vive e ciò non può non assurgere a valore primario ed
assoluto in quanto espressivo della personalità umana (Cons.
Stato, Sez. VI, 18.03.2008 n. 1109),
E’ stato parimenti affermato che nel rendere il giudizio di
impatto ambientale l’amministrazione esercita una amplissima
discrezionalità tecnica censurabile solo per macroscopici
vizi logici, per errori di fatto o per travisamento dei
presupposti (Cons. Stato, Sez. VI, 19.02.2008 n. 561; idem,
30.01.2004 n. 316), vizi nella specie non rinvenibili
(massima tratta da www.lexambiente.it -
Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 24.01.2013 n. 468 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
2012 |
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EDILIZIA
PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: Esiste
una proposta di direttiva che modifica la disciplina della
VIA? Perché?
(06.11.2012 - link a www.ambientelegale.it). |
EDILIZIA
PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: Quali
sono i termini della proposta di modifica della Commissione
UE alla disciplina della VIA?
(06.11.2012 - link a www.ambientelegale.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Impianti
idroelettrici: quando occorre la verifica di
assoggettabilità a VIA?
(05.11.2012 - link a www.ambientelegale.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
A. Milone,
VIA e AIA delle centrali termoelettriche: un’interessante
sentenza (nota a TAR Lazio n. 5327/2012) (link a
www.lexambiente.it). |
EDILIZIA
PRIVATA - LAVORI PUBBLICI:
A. Muratori,
VIA e AIA: affinità e differenze di finalità e contenuti tra
giurisprudenza e norme «espresse» (link a
www.ipsoa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA - LAVORI PUBBLICI:
Ambiente in genere. V.I.A. come strumento di tutela
dell'ambiente nella sua accezione più ampia.
La V.i.a. è stata individuata come uno strumento di tutela
dell'ambiente nella sua accezione più ampia, e cioè quale
sistema integrato che condiziona la qualità della vita
dell'uomo anche nella sua proiezione futura; appare, dunque
errato, limitare la disciplina in tema di V.i.a. alla sola
tutela delle specie animali e vegetali e omettere
l'importanza rivestita anche ai fini del paesaggio e del
contesto in cui le specie viventi e l'uomo si collocano.
Tale impostazione appare pienamente confermata d.lgs. 03.04.2006, n.152, come emerge dai contenuti del preambolo, dall'art. 1, comma 1, lett. b, ove le procedure di V.a.s. e di
V.i.a. sono poste in relazione anche alla tutela del suolo,
dall'art.2, concernente le specifiche finalità che la
disciplina si propone (Corte
di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 26.09.2012 n.
37051 - tratto da
www.lexambiente.it). |
EDILIZIA
PRIVATA - LAVORI PUBBLICI:
La valutazione di
impatto ambientale (V.I.A.) non si sostanzia in una mera verifica di
natura tecnica circa la astratta compatibilità ambientale
dell’opera, ma implica una complessa e approfondita analisi
comparativa tesa a valutare il sacrificio ambientale imposto
rispetto all’utilità socio–economica, tenuto conto anche
delle alternative possibili e dei riflessi sulla stessa c.d.
opzione–zero.
Pur essendo pacifico che il sindacato giurisdizionale sugli
apprezzamenti tecnici dell’amministrazione possa svolgersi
attraverso la verifica diretta dell’attendibilità delle
operazioni compiute da quest’ultima, sotto il profilo della
loro correttezza quanto a criterio tecnico ed a procedimento
applicativo, è necessario precisare che il controllo del
giudice amministrativo sulle valutazioni discrezionali deve
essere svolto extrinsecus, nei limiti della rilevabilità
ictu oculi dei vizi di legittimità dedotti, essendo diretto
ad accertare il ricorrere di seri indici di invalidità e non
alla sostituzione dell’amministrazione.
Secondo la più recente giurisprudenza, “la valutazione di
impatto ambientale non si sostanzia in una mera verifica di
natura tecnica circa la astratta compatibilità ambientale
dell’opera, ma implica una complessa e approfondita analisi
comparativa tesa a valutare il sacrificio ambientale imposto
rispetto all’utilità socio–economica, tenuto conto anche
delle alternative possibili e dei riflessi sulla stessa c.d.
opzione–zero” (Consiglio di Stato, V, 31.05.2102, n.
3254).
Inoltre è consolidato l’orientamento che, pur essendo
pacifico che il sindacato giurisdizionale sugli
apprezzamenti tecnici dell’amministrazione possa svolgersi
attraverso la verifica diretta dell’attendibilità delle
operazioni compiute da quest’ultima, sotto il profilo della
loro correttezza quanto a criterio tecnico ed a procedimento
applicativo, è necessario precisare che il controllo del
giudice amministrativo sulle valutazioni discrezionali deve
essere svolto extrinsecus, nei limiti della rilevabilità
ictu oculi dei vizi di legittimità dedotti, essendo
diretto ad accertare il ricorrere di seri indici di
invalidità e non alla sostituzione dell’amministrazione
(TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 14.09.2012 n. 2331 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA - LAVORI PUBBLICI:
B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 36 del 05.09.2012, "Modalità
di versamento degli oneri istruttori per i procedimenti di
competenza regionale di cui alla l.r. 02.02.2010 n. 5 “Norme
in materia di valutazione di impatto ambientale” (decreto
D.U.O. 04.09.2012 n. 7600). |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI:
La disciplina relativa alla
valutazione di impatto ambientale non può
essere elusa a mezzo di un riferimento a
realizzazioni o interventi parziali,
caratteristici nelle opere da realizzarsi
per "tronchi" o "lotti", …La valutazione
ambientale necessita, infatti, di una
valutazione unitaria dell'opera, non essendo
possibile che, con un meccanismo di stampo
elusivo, l'opera venga artificiosamente
frazionata in porzioni eseguite in assenza
della valutazione perché, isolatamente
prese, non configurano interventi sottoposti
al regime protettivo.
La giurisprudenza della Corte Giustizia UE
(Corte Giustizia CE, Sez. II, 10.12.2009) e
del Giudice amministrativo italiano (Cons.
Stato, sez. VI, 30.08.2002, n. 4368; sez. IV,
02.10.2006, n. 5760; sez. V, 16.06.2009, n.
3849; TAR Puglia, Lecce, sez. I, 16.04.2010,
n. 926; TAR Puglia, Bari, sez. II,
23.06.2010 n. 2602) è, infatti, concorde
nello stigmatizzare il cd. scorporo in lotti
di opere aventi carattere unitario, al fine
di eludere la normativa in tema di
valutazione di impatto ambientale: <<la
disciplina relativa alla valutazione di
impatto ambientale non può essere elusa a
mezzo di un riferimento a realizzazioni o
interventi parziali, caratteristici nelle
opere da realizzarsi per "tronchi" o
"lotti", …La valutazione ambientale
necessita, infatti, di una valutazione
unitaria dell'opera, non essendo possibile
che, con un meccanismo di stampo elusivo,
l'opera venga artificiosamente frazionata in
porzioni eseguite in assenza della
valutazione perché, isolatamente prese, non
configurano interventi sottoposti al regime
protettivo>> (Cons. Stato, sez. V,
16.06.2009, n. 3849) (TAR Toscana, Sez. II,
sentenza 30.07.2012 n. 1388 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI:
La valutazione di impatto
ambientale, per giurisprudenza pacifica, si
caratterizza quale giudizio espressione di
ampia discrezionalità oltre che di tipo
tecnico, anche amministrativa, sul piano
dell’apprezzamento degli interessi pubblici
in rilievo e della loro ponderazione
rispetto all’interesse all’esecuzione
dell’opera.
--------------
L’asserita non corrispondenza contenutistica
tra il preavviso di diniego e la v.i.a.
negativa non può assurgere a vizio
invalidante ex art. 21-octies legge
241/1990. Infatti, benché tale
corrispondenza sia tendenzialmente da
reputarsi necessaria al fine di non eludere
la funzione collaborativa e deflattiva
propria dell’istituto essa non deve essere
assoluta, ben potendo l’Amministrazione,
sulla base delle osservazioni dell’istante
ma anche in via del tutto autonoma,
precisare le proprie posizioni in sede
decisoria, nel limite dei soli “punti
salienti indicati nel preavviso.
Preliminarmente, va evidenziato come la
valutazione di impatto ambientale, per
giurisprudenza pacifica, si caratterizza
quale giudizio espressione di ampia
discrezionalità oltre che di tipo tecnico,
anche amministrativa, sul piano
dell’apprezzamento degli interessi pubblici
in rilievo e della loro ponderazione
rispetto all’interesse all’esecuzione
dell’opera (cfr. Consiglio di Stato, sez. V,
22.06.2009, n. 4206; id., sez. V, 21.11.2007, n. 5910; id., sez. VI, 17.05.2006, n. 2851; id., sez. IV, 22.07.2005, n. 3917; TAR Puglia Bari sez
I, 14.05. 2010, n. 1897; TAR Toscana
sez II, 20.04.2010, n. 986).
---------------
Infine, anche le censure “formali” di
violazione del giusto procedimento (art. 7 e
10-bis legge 241/1990) sono prive di pregio,
avendo l’Amministrazione puntualmente controdedotto alle osservazioni prodotte
dalla ricorrente in seguito al preavviso di
diniego.
L’asserita non corrispondenza contenutistica
tra il preavviso di diniego e la v.i.a.
negativa non può d’altronde assurgere a
vizio invalidante ex art. 21-octies legge
241/1990. Infatti, benché tale corrispondenza
sia tendenzialmente da reputarsi necessaria
(Consiglio di Stato sez. IV 13.11.2007, n. 6325; TAR Piemonte, sez I,
07.02.2007, n. 503) al fine di non
eludere la funzione collaborativa e
deflattiva propria dell’istituto (TAR
Puglia Bari, sez III, 25.03.2011, n. 500)
essa non deve essere assoluta, ben potendo
l’Amministrazione, sulla base delle
osservazioni dell’istante ma anche in via
del tutto autonoma, precisare le proprie
posizioni in sede decisoria, nel limite dei
soli “punti salienti indicati nel preavviso”
(Consiglio di Stato sez. IV 13.11.2007, n. 6325) secondo quindi un criterio di
“ragionevole flessibilità”
(TAR Puglia-Bari, Sez. I,
sentenza 24.07.2012 n. 1512 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Nel rendere il giudizio
di valutazione d’impatto ambientale e
nell’effettuare la verifica preliminare,
l’Amministrazione esercita un’amplissima
discrezionalità tecnica, censurabile solo in
presenza di macroscopici vizi logici o di
travisamento dei presupposti.
Ed in ogni caso, la valutazione d’impatto
ambientale non costituisce un mero giudizio
tecnico, suscettibile in quanto tale di
verificazione sulla base di oggettivi
criteri di misurazione, ma presenta al
contempo profili particolarmente intensi di
discrezionalità amministrativa, sul piano
dell’apprezzamento degli interessi pubblici
in rilievo e della loro ponderazione
rispetto all’interesse all’esecuzione
dell’opera, apprezzamento che è sindacabile
dal giudice amministrativo soltanto in
ipotesi di manifesta illogicità o
travisamento dei fatti, nel caso in cui
l’istruttoria sia mancata, o sia stata
svolta in modo inadeguato, e sia perciò
evidente lo sconfinamento del potere
discrezionale riconosciuto
all’Amministrazione.
La giurisprudenza ha ripetutamente chiarito
che, nel rendere il giudizio di valutazione
d’impatto ambientale e nell’effettuare la
verifica preliminare, l’Amministrazione
esercita un’amplissima discrezionalità
tecnica, censurabile solo in presenza di
macroscopici vizi logici o di travisamento
dei presupposti (cfr. Trib. Sup. acque
pubbliche, 11.03.2009, n. 35; Cons. Stato,
Sez. VI, 19.02.2008 n. 561; Id., Sez. IV,
05.07.2010 n. 4246).
Ed in ogni caso, la valutazione d’impatto
ambientale non costituisce un mero giudizio
tecnico, suscettibile in quanto tale di
verificazione sulla base di oggettivi
criteri di misurazione, ma presenta al
contempo profili particolarmente intensi di
discrezionalità amministrativa, sul piano
dell’apprezzamento degli interessi pubblici
in rilievo e della loro ponderazione
rispetto all’interesse all’esecuzione
dell’opera, apprezzamento che è sindacabile
dal giudice amministrativo soltanto in
ipotesi di manifesta illogicità o
travisamento dei fatti, nel caso in cui
l’istruttoria sia mancata, o sia stata
svolta in modo inadeguato, e sia perciò
evidente lo sconfinamento del potere
discrezionale riconosciuto
all’Amministrazione (cfr. Cons. Stato, Sez.
V, 22.06.2009 n. 4206; Id., Sez. V,
21.11.2007 n. 5910; Id., Sez. VI, 17.05.2006
n. 2851; Id., Sez. IV, 22.07.2005 n. 3917;
cfr. da ultimo TAR Puglia, Bari, Sez. I,
14.05.2010, n. 1897) (TAR Puglia-Bari, Sez. I,
sentenza 10.07.2012 n. 1395 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA-PRIVATA:
ENERGIA ELETTRICA - INQUINAMENTO.
Il principio di precauzione di cui all'art.
3 Codice dell'Ambiente presuppone la
deduzione di validi elementi idonei a
contrastare ragionevolmente l'insediamento
energetico, in quanto diversamente opinando
si verrebbe a paralizzare ogni utile
iniziativa, quale un impianto per la
produzione elettrica con fonti rinnovabili,
costituente un obiettivo comunitario
altamente prioritario ex art. 6 Dir. CE n.
2001/77/CE ed art. 13 Dir. CE n. 2009/28/CE.
Ai fini della costruzione e dell'esercizio
di un impianto di produzione di energia
elettrica alimentato da fonti rinnovabili
(specificamente oli vegetali in motori
endotermici) la valutazione di incidenza
ambientale non è necessaria nell'ipotesi in
cui l'intervento non risulti essere ubicato
all'interno di un Sito d'Interesse
Comunitario (cosiddetto SIC), bensì
unicamente nelle vicinanze all'esterno del
sito (nella specie circa metri 200 dallo
stesso) (TAR Abruzzo-Pescara,
sentenza 03.07.2012 n. 325 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA - LAVORI PUBBLICI:
A. C. Bartoccioni,
DISCREZIONALITÀ TECNICA ED AMMINISTRATIVA
IN TEMA DI VALUTAZIONI D’IMPATTO AMBIENTALE (Gazzetta
Amministrativa n. 2/2012). |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 23 del
07.06.2012, "Testo
coordinato della l.r. 02.02.2010 n. 5 «Norme
in materia di valutazione di impatto
ambientale»". |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI:
La valutazione di impatto
ambientale non si sostanzia in una mera
verifica di natura tecnica circa la astratta
compatibilità ambientale dell’opera, ma
implica una complessa e approfondita analisi
comparativa tesa a valutare il sacrificio
ambientale imposto rispetto all’utilità
socio–economica, tenuto conto anche delle
alternative possibili e dei riflessi sulla
stessa c.d. opzione–zero.
In particolare, è stato evidenziato che “la
natura schiettamente discrezionale della
decisione finale (e della preliminare
verifica di assoggettabilità), sul versante
tecnico ed anche amministrativo, rende
allora fisiologico ed obbediente alla ratio
su evidenziata che si pervenga ad una
soluzione negativa ove l’intervento proposto
cagioni un sacrificio ambientale superiore a
quello necessario per il soddisfacimento
dell’interesse diverso sotteso
all’iniziativa; da qui la possibilità di
bocciare progetti che arrechino vulnus non
giustificato da esigenze produttive, ma
suscettibile di venir meno, per il tramite
di soluzioni meno impattanti in conformità
al criterio dello sviluppo sostenibile e
alla logica della proporzionalità tra
consumazione delle risorse naturali e
benefici per la collettività che deve
governare il bilanciamento di istanze
antagoniste.
Non può sostenersi, pertanto, che la
valutazione di impatto ambientale sia un
mero atto (tecnico) di gestione ovvero di
amministrazione in senso stretto, rientrante
come tale nelle attribuzioni proprie dei
dirigenti, trattandosi piuttosto di un
provvedimento con cui viene esercitata una
vera e propria funzione di indirizzo
politico–amministrativo con particolare
riferimento al corretto uso del territorio
(in senso ampio), attraverso la cura ed il
bilanciamento della molteplicità dei
(contrapposti) interessi, pubblici
(urbanistici, naturalistici, paesistici,
nonché di sviluppo economico–sociale) e
privati, che su di esso insistono, come tale
correttamente affidata all’organo di
governo, nel caso di specie la Giunta
regionale.
Com’è
stato recentemente ribadito (C.d.S., sez. IV,
05.07.2010, n. 4246; sez. V, 22.06.2009, n. 4206; VI, 17.05.2006, n. 2851),
alla stregua dei principi comunitari e
nazionali, oltre che delle sue stesse
peculiari finalità, la valutazione di
impatto ambientale non si sostanzia in una
mera verifica di natura tecnica circa la
astratta compatibilità ambientale
dell’opera, ma implica una complessa e
approfondita analisi comparativa tesa a
valutare il sacrificio ambientale imposto
rispetto all’utilità socio–economica,
tenuto conto anche delle alternative
possibili e dei riflessi sulla stessa c.d.
opzione–zero; in particolare (C.d.S., sez. IV,
05.07.2010, n. 4245, cit.), è stato
evidenziato che “la natura schiettamente
discrezionale della decisione finale (e
della preliminare verifica di
assoggettabilità), sul versante tecnico ed
anche amministrativo, rende allora
fisiologico ed obbediente alla ratio su
evidenziata che si pervenga ad una soluzione
negativa ove l’intervento proposto cagioni
un sacrificio ambientale superiore a quello
necessario per il soddisfacimento
dell’interesse diverso sotteso
all’iniziativa; da qui la possibilità di
bocciare progetti che arrechino vulnus non
giustificato da esigenze produttive, ma
suscettibile di venir meno, per il tramite
di soluzioni meno impattanti in conformità
al criterio dello sviluppo sostenibile e
alla logica della proporzionalità tra
consumazione delle risorse naturali e
benefici per la collettività che deve
governare il bilanciamento di istanze
antagoniste (cfr. Cons. St., sez. VI, 22.02.2007, n. 933)”.
Non può sostenersi pertanto che la
valutazione di impatto ambientale sia un
mero atto (tecnico) di gestione ovvero di
amministrazione in senso stretto, rientrante
come tale nelle attribuzioni proprie dei
dirigenti, trattandosi piuttosto di un
provvedimento con cui viene esercitata una
vera e propria funzione di indirizzo
politico–amministrativo con particolare
riferimento al corretto uso del territorio
(in senso ampio), attraverso la cura ed il
bilanciamento della molteplicità dei
(contrapposti) interessi, pubblici
(urbanistici, naturalistici, paesistici,
nonché di sviluppo economico–sociale) e
privati, che su di esso insistono, come tale
correttamente affidata all’organo di
governo, nel caso di specie la Giunta
regionale.
La normativa regionale indicata dal comune
appellante si sottrae pertanto al dubbio di
legittimità costituzionale, in relazione
agli articoli 3 e 97 della Costituzione, per
la prospettata violazione del principio di
separazione della funzione di indirizzo
politico–amministrativo da quella
gestionale–amministrativo di attuazione
della prima, come delineata dall’art. 3 del d.lgs.
03.02.1993, n. 29 e dall’art. 4
del d.lgs. 30.03.2001, n. 165
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 31.05.2012 n. 3254 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: Procedura
di Valutazione di Impatto Ambientale:
natura, posizioni soggettive coinvolte e
limiti del sindacato del giudice
amministrativo.
Il Consiglio di Stato nella controversia in
esame ha ritenuto di soffermarsi, sia pur
sinteticamente, sopra la natura della
procedura di VIA e delle posizioni
soggettive in essa coinvolte, il tipo di
sindacato esercitabile dal giudice
amministrativo, e le relative conseguenze in
ordine ai limiti, cognitori e probatori, dei
suoi poteri.
Circa l’esatta individuazione
della natura del potere e l’ampia latitudine
della discrezionalità esercitata
dall’amministrazione in sede di VIA, in
quanto istituto finalizzato alla tutela
preventiva dell’ambiente inteso in senso
ampio, il collegio non intende deflettere
dagli approdi esegetici cui è pervenuta la
più recente giurisprudenza (internazionale e
nazionale), da cui emerge la natura
ampiamente discrezionale delle scelte
effettuate, giustificate alla luce dei
valori primari ed assoluti coinvolti (cfr.,
da ultimo, Cons. St., sez. VI, 13.06.2011, n. 3561; sez. IV,
05.07.2010, n.
4246; sez. V, 12.06.2009, n. 3770; Corte giust., 25.07.2008, c-142/2007; Corte
cost., 07.11.2007, n. 367, cui si
rinvia a mente del combinato disposto degli
artt. 74, co.1, e 88, co. 2, lett. d),
c.p.a.).
E’ stato chiarito che nel rendere
il giudizio di valutazione di impatto
ambientale, l’amministrazione esercita una
amplissima discrezionalità che non si
esaurisce in un mero giudizio tecnico, in
quanto tale suscettibile di verificazione
tout court sulla base di oggettivi criteri
di misurazione, ma presenta al contempo
profili particolarmente intensi di
discrezionalità amministrativa e
istituzionale in relazione all’apprezzamento
degli interessi pubblici e privati
coinvolti; la natura schiettamente
discrezionale della decisione finale risente
dunque dei suoi presupposti sia sul versante
tecnico che amministrativo.
Le posizioni
soggettive delle persone e degli enti
coinvolti nella procedura sono pacificamente
qualificabili in termini di interesse
legittimo ed è altrettanto assodato che le
relative controversie non rientrano nel
novero delle tassative ed eccezionali
ipotesi di giurisdizione di merito sancite
oggi dall’art. 134 c.p.a. (cfr., sotto
l’egida della precedente normativa, identica
in parte qua, Cons. St., ad. plen., 09.01.2002, n. 1).
Premesso che a seguito
della storica decisione di questo Consiglio
(cfr. sez. IV, 09.04.1999, n. 601), è
pacifico che il sindacato giurisdizionale
sugli apprezzamenti tecnici
dell’amministrazione possa svolgersi
attraverso la verifica diretta
dell’attendibilità delle operazioni compiute
da quest’ultima, sotto il profilo della loro
correttezza quanto a criterio tecnico ed a
procedimento applicativo, è necessario
precisare che il controllo del giudice
amministrativo sulle valutazioni
discrezionali deve essere svolto extrinsecus,
nei limiti della rilevabilità ictu oculi dei
vizi di legittimità dedotti, essendo diretto
ad accertare il ricorrere di seri indici di
invalidità e non alla sostituzione
dell’amministrazione.
Sulla scorta di
ricevuti principi (cfr., da ultimo e negli
esatti termini, Cass. civ., sez. un., 17.02.2012, nn. 2312 e 2313; Corte cost.,
03.03.2011, n. 175; Cons. St., sez. VI, 09.02.2011, n. 871), cui si rinvia a
mente del combinato disposto degli artt. 74,
co. 1, e 88, co. 2, lett. d), c.p.a.:
a) la
sostituzione, da parte del giudice
amministrativo, della propria valutazione a
quella riservata alla discrezionalità
dell’amministrazione costituisce ipotesi di
sconfinamento vietato della giurisdizione di
legittimità nella sfera riservata alla p.a.,
quand’anche l’eccesso in questione sia
compiuto da una pronuncia il cui contenuto
dispositivo si mantenga nell’area
dell’annullamento dell’atto;
b) in base al
principio di separazione dei poteri sotteso
al nostro ordinamento costituzionale, solo
l’amministrazione è in grado di apprezzare,
in via immediata e diretta, l’interesse
pubblico affidato dalla legge alle sue cure;
c) conseguentemente, il sindacato sulla
motivazione delle valutazioni discrezionali:
I) deve essere rigorosamente mantenuto sul
piano della verifica della non pretestuosità
della valutazione degli elementi di fatto
acquisiti;
II) non può avvalersi di criteri
che portano ad evidenziare la mera non
condivisibilità della valutazione stessa;
III) deve tenere distinti i profili
meramente accertativi da quelli valutativi
(a più alto tasso di opinabilità) rimessi
all’organo amministrativo, potendo
esercitare più penetranti controlli, anche
mediante c.t.u. o verificazione, solo avuto
riguardo ai primi (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza
22.03.2012 n. 1640 - massima
tratta da
www.gazzettaamministrativa.it - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI:
Oggetto: Procedimento di Valutazione di Impatto
Ambientale (VIA) ai sensi dell'art. 23 del d.lgs. 03.04.2006
n. 152
(MIBAC, Direzione Regionale per i Beni Culturali e
Paesaggistici del Veneto,
circolare 20.02.2012
n. 11/2012). |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: Quali
novità nella disciplina in materia di
V.I.A.?
(09.02.2012 - link a www.ambientelegale.it). |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: G.U.U.E.
28.01.2012 n. L 26/1 "DIRETTIVA
2011/92/UE DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL
CONSIGLIO del 13.12.2011
concernente la valutazione dell’impatto
ambientale di determinati progetti pubblici
e privati" (link a http://eur-lex.europa.eu). |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: Le
procedure di v.i.a. e di verifica di
assoggettabilità a v.i.a. ("screening"), pur
inserendosi sempre all'interno del più ampio
procedimento di realizzazione di un'opera o
di un intervento, sono dotate di autonomia,
in quanto destinate a tutelare un interesse
specifico (quello alla tutela dell'ambiente)
e ad esprimere al riguardo una valutazione
definitiva, di per sé potenzialmente lesiva
dei valori ambientali, con conseguente
immediata impugnabilità degli atti
conclusivi da parte dei soggetti interessati
alla protezione di quei valori (siano essi
associazioni di tutela ambientale ovvero
cittadini residenti in loco); l’art. 20,
d.lgs. n. 152 del 2006, infatti, configura
la stessa procedura di verifica di
assoggettabilità a v.i.a. ("screening") come
vero e proprio subprocedimento autonomo,
caratterizzato da partecipazione dei
soggetti interessati e destinato a
concludersi con un atto avente natura
provvedimentale, soggetto a pubblicazione.
In proposito è sufficiente richiamare
l’orientamento della giurisprudenza
amministrativa, al quale il collegio si
riporta, in base a cui le procedure di
v.i.a. e di verifica di assoggettabilità a
v.i.a. ("screening"), pur inserendosi
sempre all'interno del più ampio
procedimento di realizzazione di un'opera o
di un intervento, sono dotate di autonomia,
in quanto destinate a tutelare un interesse
specifico (quello alla tutela dell'ambiente)
e ad esprimere al riguardo una valutazione
definitiva, di per sé potenzialmente lesiva
dei valori ambientali, con conseguente
immediata impugnabilità degli atti
conclusivi da parte dei soggetti interessati
alla protezione di quei valori (siano essi
associazioni di tutela ambientale ovvero
cittadini residenti in loco); l’art. 20,
d.lgs. n. 152 del 2006, infatti, configura
la stessa procedura di verifica di
assoggettabilità a v.i.a. ("screening")
come vero e proprio subprocedimento
autonomo, caratterizzato da partecipazione
dei soggetti interessati e destinato a
concludersi con un atto avente natura
provvedimentale, soggetto a pubblicazione
(cfr. per tutte Cons. Stato, sez. IV,
03.03.2009, n. 1213)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 11.01.2012 n. 67 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
2011 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Procedimento di VIA, si conclude con il
diniego di autorizzazione di un progetto
privato diretto a realizzare un'attività
produttiva.
Domanda.
Il procedimento di VIA può legittimamente
concludersi con il diniego di autorizzazione
di un progetto privato diretto a realizzare
un'attività produttiva destinata ad
incrementare l'occupazione?
Risposta.
Al fine di rispondere al quesito giova
ricordare che il D.Lgs. 03-04-2006, n. 152,
come integrato dall'art. 1, comma 2, D.Lgs.
16-01-2008, n. 4, ha recepito nella
legislazione ambientale interna il principio
del c.d. sviluppo sostenibile.
In base all'art. 3-quater, D.Lgs.
03-04-2006, n. 152 cit., infatti "1. Ogni
attività umana giuridicamente rilevante ai
sensi del presente codice deve conformarsi
al principio dello sviluppo sostenibile, al
fine di garantire che il soddisfacimento dei
bisogni delle generazioni attuali non possa
compromettere la qualità della vita e le
possibilità delle generazioni future.
2. Anche l'attività della pubblica
amministrazione deve essere finalizzata a
consentire la migliore attuazione possibile
del principio dello sviluppo sostenibile,
per cui nell'ambito della scelta comparativa
di interessi pubblici e privati connotata da
discrezionalità gli interessi alla tutela
dell'ambiente e del patrimonio culturale
devono essere oggetto di prioritaria
considerazione.
3. Data la complessità delle relazioni e
delle interferenze tra natura e attività
umane, il principio dello sviluppo
sostenibile deve consentire di individuare
un equilibrato rapporto, nell'ambito delle
risorse ereditate, tra quelle da risparmiare
e quelle da trasmettere, affinché
nell'ambito delle dinamiche della produzione
e del consumo si inserisca altresì il
principio di solidarietà per salvaguardare e
per migliorare la qualità dell'ambiente
anche futuro.
4. La risoluzione delle questioni che
involgono aspetti ambientali deve essere
cercata e trovata nella prospettiva di
garanzia dello sviluppo sostenibile, in modo
da salvaguardare il corretto funzionamento e
l'evoluzione degli ecosistemi naturali dalle
modificazioni negative che possono essere
prodotte dalle attività umane".
La Giurisprudenza ha chiarito la portata
della novella legislativa nel quadro della
soluzione di controversie relative alla
legittimità di provvedimenti di
assoggettamento a VIA ovvero di diniego
della VIA relativa a progetti aventi
significativi impatti sull'ambiente.
Il Consiglio di Stato ha osservato che nel
rendere il giudizio di valutazione di
impatto ambientale (ed a maggior ragione
nell'effettuare la verifica preliminare),
l'Amministrazione -che esercita una
amplissima discrezionalità tecnica sebbene
censurabile sia per macroscopici vizi
logici, sia per errore di fatto, sia per
travisamento dei presupposti- non deve
limitarsi ad apprezzare solo i profili di
ubicazione e dimensione del progetto, ma ha
l'obbligo di accertarne la natura
sostanziale (cfr. da ultimo Corte giustizia
comunità Europee Sez. III, 25.07.2008, n.
142/07).
Secondo i Giudici amministrativi, il
problema del punto di equilibrio tra
realizzazione di infrastrutture e tutela
dell'ambiente e del paesaggio e, dunque, del
concreto atteggiarsi del principio dello
sviluppo sostenibile (ora codificato
dall'art. 3-quater, D.Lgs. 03-04-2006, n.
152), meglio si chiarisce anche in relazione
alla valutazione dell'utilizzazione
economica delle aree protette; per cui non
dovrebbe parlarsi di sviluppo sostenibile
ossia di sfruttamento economico
dell'ecosistema compatibile con esigenza di
protezione, ma, con prospettiva rovesciata,
di protezione sostenibile, intendendosi con
tale terminologia evocare i vantaggi
economici che la protezione in sé assicura
senza compromissione di equilibri economici
essenziali per la collettività, ed ammettere
il coordinamento fra interesse alla
protezione integrale ed altri interessi solo
negli stretti limiti in cui l'utilizzazione
del territorio non alteri in modo
significativo il complesso dei beni compresi
nell'area protetta; si deve ammettere
l'alterazione dei valori ambientali solo in
quanto non vi siano alternative possibili da
individuarsi proprio grazie alla procedura
di VIA (Cons. Stato Sez. VI, 16.11.2004, n.
7472).
Detto altrimenti, alla stregua della
disciplina comunitaria e nazionale (ed
eventualmente regionale), la VIA non può
essere intesa come limitata alla verifica
della astratta compatibilità ambientale
dell'opera ma si sostanzia in una analisi
comparata tesa a valutare il sacrificio
ambientale imposto rispetto all'utilità
socio economica, tenuto conto delle
alternative praticabili e dei riflessi della
stessa "opzione zero"; la natura
schiettamente discrezionale della decisione
finale (e della preliminare verifica di
assoggettabilità), sul versante tecnico ed
anche amministrativo, rende allora
fisiologico ed obbediente alla ratio
su evidenziata che si pervenga ad una
soluzione negativa ove l'intervento proposto
cagioni un sacrificio ambientale superiore a
quello necessario per il soddisfacimento
dell'interesse diverso sotteso
all'iniziativa; da qui la possibilità di
bocciare progetti che arrechino vulnus non
giustificato da esigenze produttive, ma
suscettibile di venir meno, per il tramite
di soluzioni meno impattanti in conformità
al criterio dello sviluppo sostenibile e
alla logica della proporzionalità tra
consumazione delle risorse naturali e
benefici per la collettività che deve
governare il bilanciamento di istanze
antagoniste (Cons. Stato Sez. IV,
05.07.2010, n. 4246).
Pertanto, alla luce della Giurisprudenza più
recente, deve ritenersi conforme a legge che
il procedimento di VIA si concluda con il
diniego di autorizzazione di un progetto
privato diretto a realizzare un'attività
produttiva, ancorché destinata a
incrementare l'occupazione (06.12.2011
- tratto da www.ipsoa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Elettrodotti.
Domanda.
Per gli elettrodotti, l'effettuazione della
Via deve essere subordinata allo svolgimento
di un sub procedimento preventivo, volto
alla verifica dell'assoggettabilità
dell'opera, che deve essere realizzata, alla
suddetta Via o alla determinazione delle
soglie?
Risposta.
La Corte costituzionale, con la sentenza del
26.03.2010, numero 120, ha affermato, in
tema di elettrodotti, che a seguito e per
l'effetto delle modifiche apportate al
Codice dell'ambiente dal decreto legislativo
numero 4, del 2008, l'effettuazione della
Via deve essere subordinata allo svolgimento
di un sub procedimento preventivo, volto
alla verifica dell'assoggettabilità
dell'opera, che deve essere realizzata, alla
predetta Via, e non già alla determinazione
delle soglie.
I giudici delle leggi non
ignorano il fatto che la normativa
comunitaria, nella specifica fattispecie, ha
affermato, con l'articolo 4, paragrafo 2, in
relazione al punto 3, lettera b), del la
direttiva 85/337/Cee, la necessità di
esperire la procedura Via con valutazioni
caso per caso o con la fissazione di soglie.
Però, la consulta, pur sottolineando che la
giurisprudenza comunitaria (Corte di
giustizia Ce, 23.11.2006, in causa n.
C-486/04; Corte di giustizia Ce, 08.09.2005, in causa n. C-121/03) rimette alla
normativa interna, per certe materie,
l'individuazione delle soglie, ha
focalizzato la sua attenzione sul
procedimento, che costituisce l'attuazione
del succitato articolo 4 paragrafo 2, in
relazione al punto 3, lettera b), della
direttiva 85/337/Cee, disciplinato
dall'articolo 20 del codice dell'ambiente.
La Corte costituzionale, difatti, ha
affermato che l'obbligo della sottoposizione
del progetto alla procedura Via, scaturisce
dal valore della tutela ambientale, che,
nella disciplina dello Stato italiano, in
attuazione del succitato articolo 4,
paragrafo 2, in relazione al punto 3,
lettera b), della direttiva 85/337/Cee, è un
livello di tutela uniforme, con valenza su
tutto il territorio nazionale, pur
rispettando la concorrenza delle altre
materie di competenza delle regioni. Ne
consegue, che ogni intervento che comporti
modifica dell'habitat deve essere soggetto
alla verifica della assoggettabilità
dell'opera da realizzare alla Via.
E ciò, in particolare, nei casi in cui esso
consista in una modifica di un'opera la cui
costruzione possa rientrare oggettivamente
tra le ipotesi comprese nella valutazione.
Al riguardo sorge spontaneo il richiamo
della sentenza della Corte di giustizia
delle comunità europee del 28.02.2008,
in causa C-2 paragrafo 2, in relazione al
punto 3, lettera b), della direttiva 85/337/Cee
(Quesitario ItaliaOggi
Sette del 05.12.2011). |
EDILIZIA PRIVATA: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 48 del
02.12.2011, "Verifica di assoggettabilità
a VIA delle grandi strutture di vendita ai
sensi della legge regionale 02.02.2010 n. 5
allegato B), punto 7, lettere B1, B2, B3 e
B4 e punto 8, lettera T"
(deliberazione
G.R. 30.11.2011 n. 2598). |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI:
B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 48 del
30.11.2011, "Attuazione della legge
regionale 02.02.2010, n. 5 (Norme in materia
di valutazione di impatto ambientale)" (regolamento
regionale 21.11.2011 n. 5). |
LAVORI PUBBLICI: 1. Opere strategiche - Normativa applicabile
- E' disciplina speciale - Differenze dal
procedimento ordinario - Possibilità di
partecipazione di soggetti privati - Non
sussiste.
2. Opere pubbliche - Valutazione di impatto
ambientale - Finalità - Realizzazione della
migliore mediazione possibile tra le
esigenze funzionali dell'opera e l'impatto
che la sua esecuzione effettivamente
produce.
3. Opere strategiche - Valutazione di
impatto ambientale - Oggetto della
valutazione - Progetto preliminare -
Conseguenze.
4. Opere strategiche - Valutazione di
impatto ambientale - Necessità di nuovo
procedimento di V.I.A. in sede di progetto
definitivo - Non sussiste.
1. Il procedimento delle opere strategiche,
disciplinato dalla normativa speciale -in
particolare art. 3, D.Lgs. n. 190/2002
dettato in attuazione della Legge 443/2001
per la realizzazione delle infrastrutture e
degli insediamenti produttivi strategici di
interesse nazionale, norma poi abrogata
dall'art. 256, D.Lgs. 12.04.2006-
diverge significativamente dall'ordinario
procedimento, in quanto non è prevista
alcuna forma di partecipazione dei soggetti
privati; le maggiori differenze attengono,
poi, al progetto preliminare, che (i) deve
evidenziare tutta una serie di elementi
oltre a quanto previsto nell'art. 16 della
legge quadro, (ii) non è sottoposto a
conferenza di servizi, (iii) comporta
l'accertamento della compatibilità
ambientale, (iv) viene a comportare un
assoggettamento di tutti gli immobili in cui
è localizzata l'opera al vincolo preordinato
all'esproprio ai sensi dell'art. 10 D.P.R.
327/2001, con variazione automatica degli
strumenti urbanistici vigenti.
2. La valutazione dell'impatto ambientale,
quale prevista nelle indicate direttive
comunitarie n. 337/85 CEE e n. 11/97/CE e
dalla normativa interna di relativo
recepimento, è specificamente finalizzata
all'individuazione, descrizione e
quantificazione degli effetti che un
determinato progetto, opera o attività
potrebbero avere sull'ambiente: la procedura
tende ad accertare la sostenibilità
ambientale degli interventi, verificando,
per il singolo progetto, il suo inserimento
ottimale nel territorio e realizzando la
migliore mediazione possibile tra le
esigenze funzionali dell'opera e l'impatto
che la sua esecuzione effettivamente
produce.
3. Per le opere strategiche la VIA si svolge
sul progetto preliminare e non su quello
definitivo: è, quindi, nel primo livello di
progettazione che devono essere individuati
gli elementi che possono avere una incidenza
negativa sull'ambiente, in modo da poter
adeguare il progetto definitivo.
Il tutto,
al fine di prevenire il danno ambientale,
con il passaggio da un sistema di
ripristino, a valle, del danno medesimo ad
un sistema di previsione-prevenzione, a
monte, dello stesso nella gestione del
territorio e delle risorse naturali.
4. Poiché per le infrastrutture strategiche
la procedura V.I.A. viene effettuata sul
progetto preliminare, in sede di progetto
definitivo la Commissione competente deve
limitarsi a verificare che il progetto
definitivo abbia rispettato le prescrizioni
contenute nel parere di compatibilità
ambientale, ma non viene previsto in alcun
caso un nuovo procedimento di V.I.A.
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza
22.11.2011 n.
2822 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Opere
soggette a VIA: termini per l'impugnazione
degli atti adottati dalla Conferenza di
servizi.
Il procedimento di VIA rappresenta solo una
fase interna al procedimento di rilascio
dell’autorizzazione unica. L’autorizzazione
unica è, infatti, prevista dall'art. 12 del
d.lgs n. 387/2003, come epilogo
procedimentale per le opere finalizzate alla
costruzione ed esercizio degli impianti
eolici di produzione di energia.
Gli atti presupposti costituiscono atti
interni di una Conferenza dei servizi
decisoria, nei cui confronti non è
ammissibile una impugnazione diretta con la
conseguenza che il dies a quo per la
proposizione dell’impugnazione avverso i
provvedimenti adottati in Conferenza dei
servizi per opere soggette a VIA è
rappresentato dalla pubblicazione del
provvedimento finale nella Gazzetta
Ufficiale
(massima tratta da
www.gazzettaamministrativa.it - Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 09.11.2011 n. 5921 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI:
Sull'interpretazione dell'art. 1,
n. 5, della direttiva 85/337/CEE,
concernente la valutazione dell'impatto
ambientale di determinati progetti pubblici
e privati, come modificata dalla direttiva
2003/35/CE.
Convenzione di Aarhus – Accesso alla
giustizia in materia ambientale – Portata
del diritto di ricorso contro un atto
legislativo.
L'art. 1, n. 5, della direttiva del
Consiglio 27.06.1985, 85/337/CEE,
concernente la valutazione dell'impatto
ambientale di determinati progetti pubblici
e privati, come modificata dalla direttiva
del Parlamento europeo e del Consiglio
26.05.2003, 2003/35/CE, deve essere
interpretato nel senso che sono esclusi
dall'ambito di applicazione di tale
direttiva soltanto i progetti adottati nei
dettagli mediante un atto legislativo
specifico, di modo che gli obiettivi della
medesima direttiva siano stati raggiunti
tramite la procedura legislativa. Spetta al
giudice nazionale verificare che detti due
requisiti siano stati rispettati tenendo
conto sia del contenuto dell'atto
legislativo adottato sia di tutta la
procedura legislativa che ha condotto alla
sua adozione e, in particolare, degli atti
preparatori e dei dibattiti parlamentari. Al
riguardo, un atto legislativo che non faccia
altro che "ratificare" puramente e
semplicemente un atto amministrativo
preesistente, limitandosi a constatare
l'esistenza di motivi imperativi di
interesse generale, senza il previo avvio di
una procedura legislativa nel merito che
consenta di rispettare detti requisiti, non
può essere considerato un atto legislativo
specifico ai sensi della citata disposizione
e non è dunque sufficiente ad escludere un
progetto dall'ambito di applicazione della
direttiva 85/337, come modificata dalla
direttiva 2003/35.
L'art. 9, n. 2, della convenzione
sull'accesso alle informazioni, la
partecipazione del pubblico ai processi
decisionali e l'accesso alla giustizia in
materia ambientale, conclusa il 25.06.1998 e
approvata a nome della Comunità europea con
decisione del Consiglio 17.02.2005,
2005/370/CE, e l'art. 10-bis della direttiva
85/337, come modificata dalla direttiva
2003/35, devono essere interpretati nel
senso che:
- qualora un progetto rientrante nell'ambito
d'applicazione di tali disposizioni sia
adottato mediante un atto legislativo, la
verifica del rispetto, da parte di
quest'ultimo, dei requisiti stabiliti
all'art. 1, n. 5, di detta direttiva deve
poter essere sottoposta, in base alle norme
nazionali procedurali, ad un organo
giurisdizionale o ad un organo indipendente
e imparziale istituito dalla legge;
- nel caso in cui contro un simile atto non
sia esperibile alcun ricorso della natura e
della portata sopra rammentate, spetterebbe
ad ogni organo giurisdizionale nazionale
adito nell'ambito della sua competenza
esercitare il controllo descritto al
precedente trattino e trarne le eventuali
conseguenze, disapplicando tale atto
legislativo (Corte di giustizia europea,
Grande Sezione,
sentenza 18.10.2011 n. C-128/09 -
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EDILIZIA PRIVATA:
VIA - Provvedimento di esclusione
- Efficacia - Pubblicazione sul B.U.R. -
Necessità - Esclusione - Art. 32 d.lgs. n.
152/2006.
L’efficacia del provvedimento regionale di
esclusione dalla procedura di VIA, ai sensi
dell’art. 32 d.lgs. n. 152 del 2006 (nel
testo all’epoca vigente), non dipende dalla
sua pubblicazione, che non risulta
prescritta come obbligatoria per legge.
E’ pertanto irrilevante la mancata
pubblicazione sul B.U.R. ai fini della
decorrenza del termine per l’impugnazione,
che deve farsi pertanto decorrere per il
soggetto che si ritenga leso dalla piena
conoscenza dei suoi elementi essenziali,
quali l’autorità emanante, la data, il
contenuto dispositivo ed il suo effetto
lesivo, salva la possibilità di proporre
motivi aggiunti ove dalla conoscenza
integrale del provvedimento emergano profili
di illegittimità specifici ed ulteriori
relativi al suo contenuto (Cons. St. Sez. IV,
13.06.2011, n. 3583, Sez. V, 23.05.2011, n.
2842) (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 25.07.2011 n. 4454 -
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EDILIZIA PRIVATA:
Impianti di energia rinnovabile -
Criteri di inserimento nel paesaggio -
Competenza - Conferenza Unificata - Linee
guida statali - Art. 12, c. 10 d.lgs. n.
387/2003 - Regioni - Competenza in via
attuativa - Province e comuni -
Incompetenza.
Le competenze in tema di individuazione di
aree idonee e di elaborazione di criteri di
corretto inserimento degli impianti di
energie rinnovabili nel paesaggio
appartengono unicamente alla Conferenza
Unificata (mediante linee guida c.d. statali
- cfr. art. 12, c. 10 d.lgs. n. 387/2003) in
via generale ed alle Regioni in via
meramente attuativa; non anche a province e
comuni, i quali potranno tutt’al più
provvedere, ai sensi dell’art. 117, sesto
comma, Cost., alla disciplina degli aspetti
più propriamente organizzativi e
procedimentali, nel rispetto di quanto già
stabilito in proposito dalle linee guida
statali e regionali, non anche gli aspetti
sostanziali come quelli che nella specie si
è inteso in senso assolutamente prevalente
regolare (cfr. TAR Lecce, sez. I,
26.01.2011, n. 140).
VIA - Impianti
fotovoltaici - Regolamento per la redazione
degli studi e la valutazione della
compatibilità ambientale - Provincia -
Incompetenza relativa.
L’incompetenza della Provincia
all’emanazione di un regolamento per la
redazione degli studi e la valutazione della
compatibilità ambientale di impianti
fotovoltaici deve essere ritenuta non
assoluta ma relativa.
E ciò in forza di una interpretazione più
restrittiva del concetto di incompetenza
assoluta che, anche a seguito della riforma
costituzionale del 2001, deve essere letta
come impossibilità non tanto di adottare il
singolo atto ma, piuttosto, di intervenire
in generale sull’intero settore di attività:
circostanza questa che nel caso di specie
non si verifica, posto che la Provincia
esercita comunque numerose competenze -anche
al di là di quelle specificamente delegate
in tema di VIA- in materia di tutela
dell’ambiente [cfr. art. 19, comma 1,
lettere a) ed e), del decreto legislativo n.
267 del 2000) e di valorizzazione delle
risorse energetiche [cfr. lettera b) della
stessa disposizione] (TAR Puglia Lecce, sez.
I, 29.06.2011 nn. 1215, 1216 e 1218 e
11.07.2011 n. 1286) (TAR Puglia-Lecce, Sez.
I,
sentenza 18.07.2011 n. 1356 -
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EDILIZIA PRIVATA:
VIA - Regione Puglia - Delega
alle province delle competenze sulla VIA -
L.r. Puglia n. 17/2007 - Titolarità del
potere - Regione - Istituto della
delegazione - Principi generali.
Se è pur vero che con la l.r. Puglia n. 17
del 2007 sono state delegate alle province
pugliesi le competenze sulla VIA, dall’altro
lato è anche vero che tale delega ha
riguardato soltanto l’esercizio delle
funzioni stesse, non anche la loro
titolarità. In questa direzione il delegante
conserva poteri di coordinamento e di alta
sorveglianza, e tra questi anche quello di
emanare direttive.
Del resto, in applicazione di principi
generali dell’ordinamento costituzionale ed
amministrativo l’istituto della delegazione
non spoglia il delegante del potere di
provvedere sulla materia delegata,
conservando anzi in merito ad esso il potere
di (re)intervenire in ogni momento: non è un
caso, infatti, che nulla è mutato in ordine
al potere della Regione Puglia di adottare
atti di indirizzo in materia di VIA (cfr.
art. 7 della legge regionale n. 11 del
2001).
VIA - Art. 7, c. 7
d.lgs. n. 152/2006 - Competenze in materia
di VIA - Principio di sussidiarietà
verticale.
Il codice dell’ambiente (cfr. art. 7, comma
7) assegna unicamente alle Regioni ed alle
province autonome il potere di disciplinare
in materia di VIA “le competenze proprie
e quelle degli altri enti locali”.
Si tratta di una applicazione del principio
di sussidiarietà verticale in base al quale
lo Stato, nell’esercizio della competenza
esclusiva in materia di tutela dell’ambiente
[cfr. art. 117, secondo comma, lettera s),
Cost.], ha ritenuto di allocare tale
specifica competenza, per ragioni per
l’appunto di sussidiarietà, differenziazione
e adeguatezza, al livello di governo
regionale (TAR Puglia Lecce, sez. I,
29.06.2011 nn. 1215, 1216 e 1218 e
11.07.2011 n. 1286) (TAR Puglia-Lecce, Sez.
I,
sentenza 18.07.2011 n. 1356 -
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EDILIZIA PRIVATA:
VIA - Art. 5, c. 1, lett. c),
d.lgs. n. 152/2006 - Impatti cumulativi -
Insuscettibilità di analisi frazionata.
Quando l’intervento progettato, pur essendo
suddiviso in singole frazioni anche al solo
fine di soddisfare esigenze di snellezza
procedimentale dell’impresa, appare
riconducibile ad un unico programma
imprenditoriale, la conseguenza che si
registra sul terreno del doveroso
assoggettamento a VIA è senz’altro quella di
una analisi che tenga conto necessariamente
dei cd impatti cumulativi.
Il codice dell’ambiente, con l’art. 5, comma
1, lettera c, restituisce invero un concetto
di impatto ambientale che , per sua natura,
appare insuscettibile di analisi frazionata.
Logica conseguenza di questo approccio alla
nozione di impatto ambientale appare
l’obbligo, per l’imprenditore, di
evidenziare gli interventi connessi,
complementari o a servizio di quello
proposto -così come prescritto dall’art 3,
comma 2, lettera b), n. 2, del DPCM
27.12.1988- perché solo così è possibile una
verifica illuminante ed esaustiva della
incidenza ambientale di un progetto
complesso.
Ciò significa che, pur a fronte di una
pluralità di procedimenti amministrativi
messi in moto dall’imprenditore, l’organo
preposto a compiere la valutazione di
impatto ambientale ha il preciso dovere di
operarne la reductio ad unitatem,
specie in presenza di elementi sintomatici
della unicità di intervento (Consiglio
Stato, sez. V, 16.06.2009, n. 3849).
DIRITTO AMBIENTALE -
Principio di precauzione - Art. 3-ter d.lgs.
n. 152/2006.
Dal principio di precauzione (art. 3-ter
d.lgs. n. 152/2006) deriva l’esigenza di
un’azione ambientale consapevole e capace di
svolgere un ruolo teso alla salvaguardia
dell’ecosistema in funzione preventiva ,
anche quando non sussistono evidenze
scientifiche conclamate che illustrino la
certa riconducibilità di un effetto
devastante per l’ambiente ad una determinata
causa umana.
VIA - Tutela preventiva
dell’interesse pubblico ambientale -
Principio di precauzione.
La valutazione di impatto ambientale
comporta una valutazione anticipata
finalizzata, nel quadro del principio
comunitario di precauzione, alla tutela
preventiva dell'interesse pubblico
ambientale, con la conseguenza che, in
presenza di una situazione ambientale
connotata da profili di specifica e
documentata sensibilità, anche la semplice
possibilità di un'alterazione negativa va
considerata un ragionevole motivo di
opposizione alla realizzazione di
un'attività, sfuggendo, per l'effetto, al
sindacato giurisdizionale la scelta
discrezionale della p.a. di non sottoporre
beni di primario rango costituzionale, qual
è quello dell'integrità ambientale, ad
ulteriori fattori di rischio che, con
riferimento alle peculiarità dell'area,
possono implicare l'eventualità, non
dimostrabile in positivo ma neanche
suscettibile di esclusione, di eventi lesivi
(TAR Toscana Firenze, sez. II, 20.04.2010,
n. 986) (TAR Puglia-Lecce, Sez. I,
sentenza 14.07.2011 n. 1341 -
link a www.ambientediritto.it). |
LAVORI PUBBLICI:
VIA - Opera pubblica di rilevanza
statale o regionale - Individuazione
dell’ente competente in materia di VIA -
Disciplina previgente al T.U.A. - Criterio
ontologico strutturale.
Per stabilire, ai fini della individuazione
dell’ente competente in materia di VIA, se
una determinata opera pubblica sia di
rilevanza regionale o statale, occorre
verificare se tale opera incida o meno su un
perimetro circoscritto del territorio.
Nella disciplina previgente al testo unico
(o codice) ambientale di cui al d.lgs. 152
del 2006 -che oggi rinvia agli allegati ai
fini della ripartizione di competenze tra
Stato e Regioni (articolo 7 che rinvia agli
allegati alla parte seconda)- sia la
normativa nazionale (art. 1 DPCM 10.08.1988,
n. 377) che quella regionale ligure,
facevano riferimento ad un criterio
ontologico strutturale e non già funzionale
per stabilire la competenza sulla VIA.
VIA - Progettazione
preliminare e definitiva - Opera pubblica
approvata con progetto preliminare -
Sensibile variazione in sede di approvazione
del progetto definitivo - Nuova
sottoposizione a VIA - D.lgs. n. 113/2007 -
Art. 185 d.lgs. n. 163/2006.
Tra i due elaborati di progettazione
preliminare e definitiva è ragionevole che
emerga una differenza nella parte in cui la
progettazione definitiva raccoglie i
suggerimenti emersi nel corso della
conferenza di servizi; si tratta di una
integrazione che la normativa (artt. 18 e 25
D.P.R. 554 del 1999) e le fasi dei diversi
livelli di progetto considerano fisiologica.
Infatti, non avrebbe avuto significato la
previsione di distinti momenti e livelli
progettuali, ove fosse stato fin da subito
prevedere tutta la conformazione possibile
dell’opera.
La normativa successiva, in piena aderenza
alla normativa comunitaria, ha previsto (con
modifiche introdotte dal decreto legislativo
n. 113 del 31.07.2007 all’art. 185 codice
dei contratti pubblici) che l’opera pubblica
approvata con progetto preliminare debba
essere nuovamente sottoposta a valutazione
ambientale, ove vi sia stata in sede di
approvazione del progetto definitivo una
sensibile variazione rispetto alla
valutazione effettuata al momento del
progetto preliminare e vi sia stata una
significativa modificazione dell’impatto
globale del progetto sull’ambiente, in
conformità con le direttive in materia
(85/337CE e 97/11/CE) che prevede che la
valutazione ambientale debba coincidere con
l’atto che autorizza alla realizzazione
dell’intervento (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 07.07.2011 n. 4072 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
VIA - Soggetto che intende
realizzare un intervento con effetti
rilevanti sull’ambiente - Art. 22, c. 3,
d.lgs. n. 152/2006 - Elaborazione di uno
Studio di Impatto - Valutazione soggettiva
preliminare - Successiva valutazione della
competente PA - Autonomia di giudizio.
Ai sensi dell’art. 22, c. 3, d.lgs. n.
152/2006 e dell’allegato VII al codice
stesso, il soggetto che intende realizzare
un determinato intervento con effetti
rilevanti sull’ambiente deve elaborare uno
studio di impatto con il quale non solo
descrivere il relativo progetto ma anche
compiere una prima valutazione -sebbene
soggettivamente rimessa alle proprie
personali (ma pur sempre tecniche)
considerazioni- in ordine agli impatti che
il medesimo intervento è idoneo ad arrecare
sulle principali matrici ambientali.
Valutazione preliminare cui seguirà poi
quella della competente PA che dovrà essere
condotta in piena autonomia di giudizio
secondo i consueti canoni della
discrezionalità tecnica. Pertanto, nella
elaborazione del SIA non basta limitarsi a
segnalare la sussistenza di un determinato
fenomeno con potenziali effetti
sull’ambiente, dovendosi altresì valutare
-almeno in prima battuta- le relative
conseguenze in termini di impatto negativo.
VIA - Assoggettabilità a
VIA - Presupposto - Possibili effetti
negativi e significativi sull’ambiente.
L’assoggettabilità a VIA è subordinata alla
presenza di possibili (dunque non certi)
effetti negativi e significativi
sull'ambiente (cfr. art. 19, comma 4, del
decreto legislativo n. 152 del 2006).
VIA - Integrazioni
sostanziali del SIA - Riattivazione del
procedimento di VIA - Meccanismi
partecipativi ex art. 24 d.lgs. n. 152/2006.
A fronte di integrazioni sostanziali dello
studio di impatto ambientale, deve ritenersi
necessari ala riattivazione del procedimento
VIA, se non altro per garantire il pieno
rispetto dei meccanismi partecipativi di cui
all’art. 24 del codice ambiente (TAR
Puglia-Lecce, Sez. I,
sentenza 25.05.2011 n. 957 - link
a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI:
VIA - Artt. 19-24 d.lgs. n.
152/2006 - Procedimento a doppio stadio -
Verifica di assoggettabilità.
La Valutazione di impatto ambientale è
l’istituto, previsto ora dagli artt. 19-24
del D.lgs. 03.04.2006 n. 152, mediante il
quale, nella formula dell’art. 5 lettera b)
del T.U. “vengono preventivamente
individuati gli effetti sull'ambiente di un
progetto”.
Detto istituto prevede, in sintesi,
l’elaborazione di uno studio particolarmente
complesso ed oneroso, che per tal ragione,
come previsto dal legislatore nazionale in
ossequio alla normativa uniforme europea,
non è imposto indiscriminatamente per tutti
gli interventi capaci di influenzare
negativamente l’ambiente.
Per taluni di essi è previsto infatti un
procedimento a doppio stadio: nella prima
fase, si compie appunto lo screening, ovvero
nella terminologia dell’art. 5 lettera m)
del T.U. la “verifica di assoggettabilità”,
che serve a “valutare, ove previsto, se
progetti possono avere un impatto
significativo e negativo sull'ambiente e
devono essere sottoposti alla fase di
valutazione”; la VIA poi si fa nella
seconda fase, che è eventuale, ovvero ha
luogo solo se lo screening conclude in tal
senso.
VIA - Verifica di
assoggettabilità - Discrezionalità tecnica -
Sindacato giurisdizionale - Limiti.
L’attività mediante la quale
l’amministrazione provvede alle valutazioni
poste alla base della verifica di
assoggettabilità a VIA è connotata da
discrezionalità tecnica, e quindi può essere
sindacata in sede giurisdizionale di
legittimità nei limiti del non corretto
esercizio del potere sotto il profilo del
difetto di motivazione, di illogicità
manifesta, della erroneità dei presupposti
di fatto e di incoerenza della procedura
valutativa e dei relativi esiti (C.d.S. sez.
V 01.10.2002 n. 7262); le illegittimità e
incongruenze debbono essere “macroscopiche”
e “manifeste” (C.d.S. sez. V
17.05.2005 n. 2460, con riguardo al
sindacato sulla VIA di un impianto
industriale; conforme, sempre in tema di
valutazioni di impatto ambientale, anche
C.d.S. sez. VI 19.02.2008 n. 561).
VIA - Parere con
prescrizioni - Equivalenza a parere negativo
- Inconfigurabilità.
In tema di Valutazione di Impatto
Ambientale, parere con prescrizioni non
significa inidoneità del progetto ad essere
positivamente valutato; piuttosto progetto
in sé è accettabile, che si presta, secondo
l’amministrazione consulente, ad essere
ulteriormente migliorato: ne consegue che il
ricorso allo strumento delle "prescrizioni"
non può essere visto come sintomatico di un
progetto incompatibile con l'ambiente e che
non può assumersi un’equivalenza fra parere
negativo e parere con prescrizioni (C.d.S.
sez. V 05.01.2004 n° 1) (TAR Lombardia-Brescia,
Sez. I,
sentenza 11.03.2011 n. 398 - link
a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: La
Valutazione di impatto ambientale, in sigla VIA, è l'istituto, mediante il
quale devono essere preventivamente individuati gli effetti sull'ambiente di
un dato progetto. Tale istituto, proprio perché richiede l'elaborazione di
uno studio particolarmente complesso ed oneroso, non è imposto
indiscriminatamente per tutti gli interventi capaci di incidere
negativamente sull'ambiente.
Per tale ragione, per taluni interventi, (fra cui rientra in astratto quello
per cui è causa, consistente nel progetto di ampliamento di un impianto per
la produzione e la lavorazione dell'acciaio) è previsto un procedimento a
doppio stadio: nella prima fase, si compie appunto lo screening, ovvero la
"verifica di assoggettabilità", al fine di stabilire se sia necessaria o
meno la fase della valutazione; nella seconda fase, si ha la valutazione che
è eventuale, ovvero ha luogo solo se lo screening conclude in tal senso.
L'attività mediante la quale l'Amministrazione interessata provvede alle
valutazioni poste alla base dello screening è, dunque, connotata da
discrezionalità tecnica, con la conseguenza che essa non può essere
sindacata in sede giurisdizionale di legittimità, salvo il caso in cui ci
sia stato un non corretto esercizio del potere sotto il profilo del difetto
di motivazione, di illogicità manifesta, della erroneità dei presupposti di
fatto e di incoerenza della procedura valutativa e dei relativi esiti.
In tal senso, è altresì necessario che sia la parte ricorrente ad indicare i
vizi presenti nella valutazione operata dall'Amministrazione, non essendo
sufficienti generiche contestazioni (come ravvisabile nella fattispecie
concreta).
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18. E’ a sua volta infondato il motivo terzo, con il quale si
valorizzano, in sintesi estrema, presunte lacune e illogicità del decreto
screening impugnato, e si sostiene che comunque l’intervento per cui è causa
si sarebbe dovuto comunque assoggettare a VIA per le sue concrete
caratteristiche. In proposito, per maggior chiarezza, vanno richiamati la
normativa e i principi giurisprudenziali applicabili alla fattispecie.
19. Sotto il profilo normativo, come è noto, la Valutazione di impatto
ambientale, in sigla VIA, è l’istituto, già previsto dal D.P.R. 12.04.1996
ed ora dagli artt. 19-24 del D.lgs. 03.04.2006 n. 152, o T.U. ambiente
mediante il quale, nella formula dell’art. 5, lettera b), del T.U. “vengono
preventivamente individuati gli effetti sull'ambiente di un progetto”.
Detto istituto prevede, in sintesi, l’elaborazione di uno studio
particolarmente complesso ed oneroso, che per tal ragione, come previsto dal
legislatore nazionale in ossequio alla normativa uniforme europea, non è
imposto indiscriminatamente per tutti gli interventi capaci di influenzare
negativamente l’ambiente.
Per taluni di essi, fra i quali rientra in astratto quello per cui è causa,
è previsto infatti un procedimento a doppio stadio: nella prima fase, si
compie appunto lo screening, ovvero nella terminologia dell’art. 5,
lettera m), del T.U. la “verifica di assoggettabilità”, che serve a “valutare,
ove previsto, se progetti possono avere un impatto significativo e negativo
sull'ambiente e devono essere sottoposti alla fase di valutazione”; la
VIA poi si fa nella seconda fase, che è eventuale, ovvero ha luogo solo se
lo screening conclude in tal senso.
20. Ciò posto, è di tutta evidenza che l’attività mediante la quale
l’amministrazione provvede alle valutazioni poste alla base dello screening
è connotata da discrezionalità tecnica, e quindi può essere sindacata nella
presente sede giurisdizionale di legittimità nei limiti che la
giurisprudenza ha in generale elaborato al riguardo.
In proposito, è anzitutto costante l’affermazione di principio, ribadita da
ultimo da C.d.S. sez. V 01.10.2002 n. 7262, per cui “il giudizio di
discrezionalità tecnica, caratterizzato dalla complessità delle discipline
specialistiche di riferimento e dalla opinabilità dell'esito della
valutazione, sfugge al sindacato del giudice amministrativo in sede di
legittimità laddove non vengano in rilievo indici sintomatici del non
corretto esercizio del potere sotto il profilo del difetto di motivazione,
di illogicità manifesta, della erroneità dei presupposti di fatto e di
incoerenza della procedura valutativa e dei relativi esiti”,
precisandosi anzi che le illegittimità e incongruenze debbono essere “macroscopiche”
e “manifeste”, come si legge in motivazione di C.d.S. sez. V
17.05.2005 n. 2460, proprio con riguardo al sindacato sulla VIA di un
impianto industriale; conforme, sempre in tema di valutazioni di impatto
ambientale, anche C.d.S. sez. VI 19.02.2008 n. 561.
21. Se il sindacato in tema di discrezionalità tecnica postula che nell’atto
sia rinvenibile, in sintesi, una illogicità, è senz’altro conforme a logica,
oltre che ai principi processuali, che sia la parte ricorrente a dover
indicare in modo specifico in cosa tale illogicità consisterebbe, senza
limitarsi a generiche contestazioni.
In tal senso è la giurisprudenza, secondo la quale, in termini generali, è
necessario che “il ricorrente supporti la propria domanda, allegando e
dimostrando in giudizio tutti gli elementi costitutivi della sua pretesa”,
e solo ove non vi riesca “per la sua posizione di disparità sostanziale
con l'amministrazione” potrà chiedere che il giudice faccia ricorso al
“metodo acquisitivo” della prova, fermo che anche in tal caso egli è
soggetto a un “onere di principio di prova”, nel senso che “è
tenuto… a prospettare al giudice adito una ricostruzione attendibile sotto
il profilo di fatto e giuridico delle circostanze addotte”,
ricostruzione rispetto alla quale il giudice potrà acquisire d’ufficio gli
elementi rilevanti.
In tali termini, sempre su questione tecnica, C.d.S. sez. VI 04.09.2007 n.
4621, con argomentazione che appare tuttora valida alla luce dell’art. 64,
comma 1, c.p.a., secondo il quale l’onere probatorio posto a carico delle
parti si riferisce comunque agli elementi che “siano nella loro
disponibilità”.
22. Sempre secondo logica, sia la dimostrazione diretta dell’illogicità di
un dato atto sia la prospettazione della possibilità di essa in termini
attendibili vanno compiute in modo analitico e discorsivo, ovvero spiegando
quali dovrebbero essere gli errori commessi e perché; non sarà invece
sufficiente la mera allegazione apodittica di elementi di segno contrario a
quelli valorizzati dall’amministrazione, quali pareri di esperti di propria
fiducia e simili.
In tal senso, sempre in termini generali, ad esempio C.d.S. sez. IV
05.08.2005 n. 4196, per cui “il sindacato giurisdizionale sulla
discrezionalità tecnica non può sfociare nella sostituzione dell'opinione
del giudice, e a maggior ragione della parte, a quella espressa dall'organo
amministrativo, ove tale opinione, pur se non condivisa sul piano soggettivo
in dipendenza della fisiologica opinabilità che connota la interpretazione e
applicazione di scienze non esatte, non venga considerata errata sul piano
della tecnica”.
23. Le considerazioni sin qui esposte, lo si dice per completezza, non sono
poi contraddette dalla giurisprudenza europea e nazionale citata dai
ricorrenti alle pp. 20 e 21 del ricorso principale, giurisprudenza che in
sintesi si limita a ribadire il ruolo, e pertanto l’importanza, del
procedimento di VIA, senza però indicare regole particolari alle quali il
sindacato del Giudice in proposito dovrebbe soggiacere.
Ciò è in particolare vero con riguardo al ruolo del principio di
precauzione, che i ricorrenti invocano a loro favore alle pp. 28-29
dell’atto, sostenendo che “il rischio è… ritenuto inaccettabile finché
non sia dimostrato il contrario” (p. 29, quarto e quinto rigo), ovvero
secondo logica che sussisterebbe una sorta di presunzione di impossibilità
di realizzare interventi come quello per cui è causa. Tale interpretazione
infatti non va condivisa.
24. Come è noto, il principio di precauzione, recepito dal Trattato
dell’Unione europea e in precedenza dal Trattato comunitario, si fonda in
termini giuridici sull’art. 15 della Dichiarazione di Rio del 1992, per cui
“In order to protect the environment, the precautionary approach shall be
widely applied by States according to their capabilities. Where there are
threats of serious or irreversible damage, lack of full scientific certainty
shall not be used as a reason for postponing cost-effective measures to
prevent environmental degradation.”, il che in traduzione suona “Al
fine di proteggere l'ambiente, un approccio cautelativo dovrebbe essere
ampiamente utilizzato dagli Stati in funzione delle proprie capacità . In
caso di rischio di danno grave o irreversibile, l'assenza di una piena
certezza scientifica non deve costituire un motivo per differire l'adozione
di misure adeguate ed effettive, anche in rapporto ai costi, dirette a
prevenire il degrado ambientale”.
25. Come è pure noto, il principio in questione ha dato luogo a dispute
scientifiche, filosofiche e politiche sul suo effettivo valore, sembrando ad
alcuni interpretabile in modo estremo; si è sostenuto infatti che infatti
che esso equivarrebbe alla “prudenza imposta per legge”, ovvero al
divieto di utilizzare tutti i risultati della ricerca scientifica prima di
esser certi della loro assoluta non pericolosità per l’ambiente; si è
sostenuto poi che la certezza in merito non si potrebbe mai raggiungere,
perché le verità scientifiche sono sempre come tali provvisorie e
suscettibili di modifica.
26. Nella sede presente, va però sottolineato che tale lettura estrema del
principio, quale che sia l’opinione intellettuale al riguardo che si ritenga
di condividere, non è quella adottata dalla giurisprudenza europea e
nazionale, che è invece prudente. Essa ha infatti sottolineato che “protective
measures”, ovvero “misure preventive”, adottate in base al
principio stesso e comprensive all’evidenza della proibizione preventiva di
una certa attività “may not properly be based on a purely hypothetical
approach to risk, founded on mere suppositions which are not yet
scientifically verified”, ovvero “non si possono fondare
sull’apprezzamento di un rischio puramente ipotetico, fondato su mere
supposizioni allo stato non ancora verificate in termini scientifici”.
L’enunciato è di Corte CE 09.09.2003 C-236/01 Monsanto, ed è richiamato in
modo esplicito, fra le molte, in Corte CE 05.02.2004 C- 24/2000 Commissione
vs. Repubblica Francese; la stessa lettura è presupposta, nella
giurisprudenza nazionale, ad esempio da TAR Lombardia Brescia 11.04.2005 n.
304, TAR Campania Napoli 27.02.2007 n. 1231, TAR Veneto 24.02.2004 n. 396 e
da ultimo C.d.S. sez. VI 19.01.2010 n. 183. Ciò si giustifica anche
osservando, con Cass. civ. 23.01.2007 n. 1391, relativa all’attività di un
impianto che emetteva radiazioni elettromagnetiche, che le attività
pericolose nel nostro ordinamento, se svolte entro date condizioni, sono
lecite.
Si ritorna quindi al punto già ribadito, la necessità di una dimostrazione
discorsiva da parte del ricorrente, non limitata a mere allegazioni, di
errori di apprezzamento compiuti dalla p.a.
(TAR
Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 11.03.2011 n. 398 - link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI:
VIA - Provvedimento di esclusione
- Presupposti ex art. 20 d.lgs. n. 152/2006
- Motivazione - Principio comunitario di
massima precauzione in materia di tutela
dell’ambiente.
L’art. 20 del decreto legislativo n. 152 del
2006 (codice dell’ambiente) delinea tra i
presupposti per poter procedere
all’esclusione dalla VIA l’assenza di
impatti significativi sull’ambiente nonché
la assenza di una modifica sostanziale dello
stato dei luoghi.
Ne deriva che è palesemente generica la
motivazione del provvedimento di esclusione
della necessità di VIA laddove si limita ad
affermare che “non si rileva alcun
elemento di interesse relativo all’impatto
ambientale dell’opera”, senza
soffermarsi sui presupoosti indicati dalla
norma.
Né può ritenersi che il provvedimento di
esclusione dalla VIA non richieda
necessariamente una articolata ed
approfondita motivazione qualora in sede
istruttoria sia stata prodotta tutta la
necessaria documentazione, e ciò in quanto
una siffatta conclusione, diretta in
sostanza ad elidere una autonoma valutazione
in tal senso in capo alla competente
amministrazione, sarebbe contraria al
principio comunitario di massima precauzione
in materia di tutela dell’ambiente (TAR
Puglia-Lecce, Sez. I,
sentenza 25.02.2011 n. 405 - link
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EDILIZIA PRIVATA:
VIA - Conclusione del
procedimento - Termine di 150 giorni - Art.
26 d.lgs. n. 152/2006 - Principio
fondamentale non derogabile della Regione e
dagli enti delegati.
La conclusione del procedimento di
valutazione di impatto ambientale è
sottoposta al termine di centocinquanta
giorni dalla presentazione dell’istanza, ai
sensi dell’art. 26 del dlgs. n. 152/2006.
L’obbligo, per l’Amministrazione preposta,
di pronunciarsi entro termini perentori
sulle istanze di compatibilità ambientale
costituisce principio fondamentale della
materia non derogabile dalle Regioni e dagli
enti delegati (TAR Puglia-Bari, Sez. I,
sentenza 18.02.2011 n. 289 - link
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EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI:
V.I.A. - Impianti di produzione
di energia elettrica - Art. 31, c. 2, d.lgs.
n. 112/1998 - Parere positivo espresso in
sede di v.i.a. - Affidamento della parte
circa la realizzazione dell’impianto -
Limiti - Emersione di sopravvenienze
rilevanti - Subordinazione
dell’autorizzazione finale a ulteriori
prescrizioni - Legittimità.
Nell'ambito della più ampia procedura volta
al rilascio dell'autorizzazione finale di
cui all'art. 31, comma 2, lett. b), del Dlgs.
31.03.1998, n. 112, il parere espresso in
sede di valutazione di impatto ambientale,
sul piano istruttorio e per le tematiche ad
esso inerenti, comporta un forte vincolo
procedimentale e pertanto i risultati cui è
pervenuto, non potrebbero essere
legittimamente disattesi dalla successiva
attività istruttoria per le parti che
costituiscono il presupposto logico
essenziale del giudizio espresso in quella
sede.
Tuttavia la positiva valutazione di impatto
ambientale non esaurisce ogni aspetto della
procedura autorizzativa e non è pertanto
idonea ad esprimere un giudizio definitivo
sull’intervento, reso possibile solo dal
rilascio dell’autorizzazione finale (cfr.
Consiglio di Stato, Sez. VI, 18.01.2006, n.
129).
Deve pertanto ritenersi che
l'Amministrazione competente al rilascio del
provvedimento finale sia comunque
legittimata a chiedere chiarimenti ed
integrazioni ovvero a subordinare ad
ulteriori condizioni e prescrizioni il
rilascio dell'autorizzazione finale,
qualora, nel corso dell'istruttoria,
emergano nuovi elementi prima non
considerati i quali rendano evidente
l'impossibilità di conseguire quelle
fondamentali esigenze di equilibrio
ecologico e ambientale poste a fondamento
del giudizio favorevole di compatibilità
ambientale (cfr. Cass. civ., s.u.,
07.07.2010, n. 16039).
Pertanto, l’affidamento della parte alla
realizzazione dell’impianto determinato dal
rilascio della v.i.a. non cristallizza la
situazione al momento in cui la stessa è
stata rilasciata, ma consente di valutare
anche sopravvenienze, purché naturalmente
esse vi siano e siano anche rilevanti (TAR
Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 16.02.2011 n. 282 - link
a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI:
V.I.A. - Provvedimento di
esclusione della procedura di VIA -
Provvedimento di autorizzazione del progetto
- Onere di impugnazione - Rapporti e limiti
- Comuni interessati diversi da quello nel
cui territorio è prevista l’ubicazione
dell’impianto - Espressione del parere
nell’ambito della procedura di VIA - Art. 2,
lett. m), L.r. Veneto n. 10/1999.
L’onere di impugnazione del provvedimento
che decide in merito all’esclusione della
procedura di VIA non preclude ai soggetti
interessati l’impugnazione del provvedimento
con cui il progetto viene autorizzato.
Tuttavia nel caso in cui sia impugnata
soltanto l’autorizzazione all’esecuzione del
progetto non potranno essere fatti valere
con il ricorso censure relative alla mancata
effettuazione della procedura di VIA, perché
tale aspetto è stato già autonomamente e
definitivamente considerato dal presupposto
provvedimento, non tempestivamente
impugnato, con cui è stata esclusa la
procedura di VIA.
Né è possibile sostenere che solo con
l’autorizzazione all’esecuzione del progetto
sorga la lesione e dunque l’interesse
all’impugnazione, perché la decisione di non
effettuare la VIA comporta già un
pregiudizio per la tutela ambientale che
consiste nell’impiego di minori cautele
nella definizione della procedura
autorizzatoria.
Tale circostanza è particolarmente evidente
con riferimento ai Comuni interessati
(diversi da quello nel cui territorio è
prevista l’ubicazione dell’impianto) ai
quali la procedura di VIA consentirebbe, in
relazione all’impatto ambientale ai sensi
dell’art. 2, lettera m), della legge
regionale del Veneto n. 10 del 1999, di
esprimere il parere nell’ambito della
procedura di VIA (TAR Veneto, Sez. III,
sentenza 16.02.2011 n. 265 - link
a www.ambientediritto.it). |
2010 |
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URBANISTICA:
VIA e VAS - Procedura di VAS -
Valutazione ambientale di piani e programmi
- Varianti a singoli progetti - VIA.
Ai sensi dell’art. 5, comma 1, del citato
decreto n. 152/2006, la procedura di V.A.S.
è espressamente riservata alla valutazione
ambientale di piani e programmi, restando
conseguentemente escluse le varianti
riguardanti la realizzazione di singoli
progetti, per i quali il legislatore ha
predisposto il diverso strumento del
procedimento di V.I.A. (v. da ultimo, Cons.
Stato, Sez. IV, 04.12.2009, n. 7651)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 19.11.2010 n. 8113 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
R. Greco,
BREVI OSSERVAZIONI SULLE MODIFICHE AL
PROCEDIMENTO DI VALUTAZIONE DI IMPATTO
AMBIENTALE (VIA) INTRODOTTE DAL DECRETO
LEGISLATIVO 29.06.2010, N. 128
(link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI:
B.U.R. Lombardia, 1° suppl. straord. al n.
38 del 21.09.2010, "Testo coordinato
della L.R. 02.02.2010 n. 5 «Norme in materia
di Valutazione di Impatto Ambientale»"
(testo
coordinato L.R. 02.02.2010 n. 5 - link a www.infopoint.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
VIA - Tutela preventiva
dell’ambiente - Discrezionalità
amministrativa - Natura sostanzialmente
insindacabile delle scelte effettuate.
L’istituto della VIA, in quanto finalizzato
alla tutela preventiva dell’ambiente, è
caratterizzato da un’ampia discrezionalità
amministrativa: le scelte effettuate hanno
natura sostanzialmente insindacabile, alla
luce del valore primario ed assoluto
riconosciuto dalla Costituzione al paesaggio
e all’ambiente (cfr. da ultimo Cons. St.,
sez. V, 12.06.2009, n. 3770; Corte cost.,
07.11.2007, n. 367).
VIA - Tutela del
paesaggio - Preminenza costituzionale -
Ponderazione dell’interesse privato -
Limiti.
La ponderazione degli interessi privati,
unitamente ed in coerenza con gli interessi
pubblici connessi con la tutela
paesaggistica ed ambientale, non deve essere
giustificata neppure allo scopo di
dimostrare che il sacrificio imposto al
privato (per altro di natura essenzialmente
procedimentale nel caso di ammissione a
v.i.a. all’esito della verifica di
assoggettabilità perché il bene della vita
finale non è pregiudicato), sia stato
contenuto nel minimo possibile, perché tale
giudizio si colloca all’interno della
disciplina costituzionale del paesaggio
(art. 9 Cost.) che erige il valore
estetico-culturale a valore primario
dell’ordinamento.
VIA - Disciplina -
Finalità - Diritto fondamentali di
derivazione comunitaria - Direttiva
85/337/CEE - Rifiuto di sottoporre un
progetto a via all’esito di verifica
preliminare - Giustificazione delle ragioni.
La disciplina sulla v.i.a. è preordinata
alla salvaguardia dell’habitat nel quale
l’uomo vive che assurge a valore primario ed
assoluto in quanto espressivo della
personalità umana (cfr. Cons. St., sez. VI,
18.03.2008, n. 1109), attribuendo ad ogni
singolo un autentico diritto fondamentale,
di derivazione comunitaria (direttiva
85/337), che obbliga l’amministrazione a
giustificare, quantomeno ex post ed a
richiesta dell’interessato, le ragioni del
rifiuto di sottoporre un progetto a v.i.a.
all’esito di verifica preliminare (cfr.
Corte giust. 30.04.2009, c-75/08, Mellor).
VIA - Discrezionalità
tecnica - Direttiva 85/337/CEE - Progetto -
Profili di ubicazione e dimensione - Natura
sostanziale.
Nel rendere il giudizio di valutazione di
impatto ambientale (ed a maggior ragione
nell’effettuare la verifica preliminare),
l’amministrazione esercita una amplissima
discrezionalità tecnica sebbene censurabile
sia per macroscopici vizi logici, sia per
errore di fatto, sia per travisamento dei
presupposti (cfr. Trib. Sup. acque
pubbliche, 11.03.2009, n. 35; Cons. St.,
sez. VI, 19.02.2008, n. 561; sez. VI,
30.01.2004, n. 316); essa non deve
limitarsi, a mente della direttiva
85/337/CEE, ad apprezzare solo i profili di
ubicazione e dimensione del progetto, ma ha
l’obbligo di accertarne la natura
sostanziale (cfr. da ultimo Corte giust., 25
luglio 2008, c-142/07).
VIA - Analisi comparata
tra il sacrificio ambientale e l’utilità
economica - Opzione zero - Sviluppo
sostenibile - Art. 3-quater d.lgs. n.
152/2006 - Proporzionalità tra consumazione
delle risorse naturali e benefici per la
collettività.
Alla stregua della disciplina comunitaria e
nazionale (ed eventualmente regionale), la
v.i.a. non può essere intesa come limitata
alla verifica della astratta compatibilità
ambientale dell’opera ma si sostanzia in una
analisi comparata tesa a valutare il
sacrificio ambientale imposto rispetto
all’utilità socio economica, tenuto conto
delle alternative praticabili e dei riflessi
della stessa “opzione zero”; la
natura schiettamente discrezionale della
decisione finale (e della preliminare
verifica di assoggettabilità), sul versante
tecnico ed anche amministrativo, rende
allora fisiologico che si pervenga ad una
soluzione negativa ove l’intervento proposto
cagioni un sacrificio ambientale superiore a
quello necessario per il soddisfacimento
dell’interesse diverso sotteso
all’iniziativa; da qui la possibilità di
bocciare progetti che arrechino vulnus
non giustificato da esigenze produttive, ma
suscettibile di venir meno, per il tramite
di soluzioni meno impattanti in conformità
al criterio dello sviluppo sostenibile (ora
codificato dall’art. 3-quater, d.leg.
152/2006) e alla logica della
proporzionalità tra consumazione delle
risorse naturali e benefici per la
collettività che deve governare il
bilanciamento di istanze antagoniste (cfr.
Cons. St., sez. VI, 22.02.2007, n. 933).
VIA - Direttiva
85/337/CEE - Politica comunitaria
dell’ambiente - Tutela preventiva da
inquinamenti e altre perturbazioni.
La giurisprudenza comunitaria conferisce un
ruolo strategico alla procedura di v.i.a.,
nel quadro dei mezzi e modelli positivi
preordinati alla tutela dell’ambiente,
valorizzando le disposizioni della direttiva
85/337/CEE. che evidenziano come la politica
comunitaria dell’ambiente consista, ante
omnia, nell’evitare fin dall’inizio
inquinamenti ed altre perturbazioni, anziché
combatterne successivamente gli effetti:
conformemente ai principi “costituzionali”
dei trattati, scopo dell’U.E. è la tutela
preventiva dell’ambiente (cfr. Corte giust.,
sez. V, 21.09.1999, c-392/96; sez. VI,
16.09.1999, c-435/97).
VIA - Nozione di centro
abitato - Riferimento alla disciplina di cui
al codice della strada - Eccentricità -
Diversa connotazione giuridica dell’analogo
concetto urbanistico.
E’ eccentrico, rispetto al quadro delle
norme e dei principi in materia di VIA,
valorizzare la nozione di “centro abitato”
contemplata dal codice della strada (artt. 3
e 4).
La giurisprudenza è univoca nel segnalarne
la diversa connotazione giuridica rispetto
all’analogo concetto previsto dalla
disciplina urbanistica (art. 41-quinquies,
l. n. 1150 del 1942); a fortiori queste
conclusioni valgono per la procedura di
v.i.a. atteso che scopo essenziale della
normativa stradale è quello di assicurare la
sicurezza della circolazione mediante
prescrizioni tecniche e norme di
comportamento (cfr. da ultimo Cons. St.,
sez. II, 11.03.2009; sez. IV, 05.04.2005, n.
1560).
VIA - Art. 10, c. 2,
d.P.R. 12.04.1996 - Meccanismo del silenzio
assenso - Disapplicazione - Contrasto con la
direttiva 85/337/CEE.
La disposizione sancita dall’art. 10, co. 2,
d.P.R. del 12.04.1996 nella parte in cui fa
discendere l’esenzione dalla v.i.a. dal
silenzio dell’amministrazione protratto per
oltre sessanta giorni dall’inoltro della
richiesta di verifica, va disapplicata (cfr.
Cons. St., 28.09.2001, n. 5169), per
contrasto con lo spirito della direttiva
85/337/CEE (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 05.07.2010 n. 4246 -
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EDILIZIA PRIVATA:
VIA - RIFIUTI - Discarica -
Impatto sul territorio - Intera area
funzionale all’esercizio - Coinvolgimento di
comune diverso da quello nel cui territorio
è prevista la localizzazione.
L’impatto sul territorio, idoneo a
giustificare il coinvolgimento, nella
procedura di VIA, di un comune diverso da
quello nel cui territorio è prevista la
localizzazione dell’impianto, non può
ritenersi circoscritto all’area destinata
alla escavazione, ove si valuta di
realizzare la discarica, ma deve essere
esteso fino a ricomprendere l’intera area
funzionale all’esercizio della discarica
medesima.
VIA - Giudizio di
compatibilità ambientale - Tutela preventiva
- Discrezionalità mista - Ambito del
sindacato giurisdizionale.
Il giudizio di compatibilità ambientale, in
quanto implica una valutazione anticipata,
finalizzata alla tutela preventiva
dell’interesse pubblico, non si risolve in
un puro e semplice giudizio tecnico, ma
presenta comunque profili elevati di
discrezionalità amministrativa.
A questo proposito si parla, anche in
giurisprudenza, di discrezionalità mista.
L’ampiezza della discrezionalità restringe
l’ambito del sindacato giurisdizionale ai
casi di illogicità manifesta, di errore di
fatto e di difetto di istruttoria e di
motivazione (conf., “ex multis”, in
tema di VIA, Cons, St. nn. 5910/2007,
1462/2005 -che conf. Tar Veneto, n.
3098/2001- e 1/2004).
VIA - RIFIUTI -
Realizzazione ed esercizio di discarica su
area di cava in atto - Condizioni.
La realizzazione e l’esercizio di una
discarica possono essere consentiti
sull’area di una cava, in atto, una volta
esaurita l’attività estrattiva anche solo su
una porzione della cava medesima, sempre che
vi siano le condizioni per organizzare e
svolgere in modo differenziato l’attività di
discarica e quella di cava , al fine di
consentire il regolare svolgimento
dell’attività di trasporto connessa con la
cava e la discarica (cfr. DGRV n. 924/1998 -
direttiva sull’applicazione delle ll. reg.
nn. 44/1982 e 33/1985).
VIA - DPCM 27.09.1988 -
Provvedimento finale - Osservazioni prodotte
nel procedimento - Analitica indicazione
delle ragioni che hanno condotto a
disattenderle - Necessità - Esclusione.
In tema di VIA, la normativa (DPCM
27.09.1988) non impone alla P. A. autrice
del provvedimenti finale di manifestare le
ragioni che l’hanno indotta a disattendere
le osservazioni prodotte nel procedimento,
prescrivendo soltanto che di tali
osservazioni si tenga conto nella fase di
maturazione della scelta finale la quale, a
sua volta, assorbe e riassume tutte le
valutazioni compiute nell’istruttoria (CdS,
VI, n. 129/2006) (TAR Veneto, Sez. III,
sentenza 14.06.2010 n. 2512 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
VIA - Natura - Profili di
discrezionalità amministrativa - Sindacato
del giudice amministrativo - Limiti.
La valutazione d’impatto ambientale, anche
con riferimento alla tutela dei siti di
interesse naturalistico SIC e ZPS, non
costituisce un mero giudizio tecnico,
suscettibile in quanto tale di verificazione
sulla base di oggettivi criteri di
misurazione, ma presenta profili
particolarmente intensi di discrezionalità
amministrativa, sul piano dell’apprezzamento
degli interessi pubblici in rilievo e della
loro ponderazione rispetto all’interesse
all’esecuzione dell’opera, apprezzamento che
è sindacabile dal giudice amministrativo
soltanto in ipotesi di manifesta illogicità
o travisamento dei fatti, nel caso in cui
l’istruttoria sia mancata, o sia stata
svolta in modo inadeguato, e sia perciò
evidente lo sconfinamento del potere
discrezionale riconosciuto
all’Amministrazione (cfr. Cons. Stato, sez.
V, 22.06.2009 n. 4206; Id., sez. V,
21.11.2007 n. 5910; Id., sez. VI, 17.05.2006
n. 2851; Id., sez. IV, 22.07.2005 n. 3917)
(TAR Puglia-Bari, Sez. I,
sentenza 14.05.2010 n. 1897 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
VIA - Progetti di sviluppo di
aree urbane - Sottoposizione a VIA -
Superfici inferiori a 40 ha - Esclusione -
All. B, punto 7, lett. b), d.P.R.
12.04.1996.
Ai sensi dell'all. B), punto 7, lett. b),
del D.P.R. 12.04.1996, devono essere
sottoposti alla valutazione di impatto
ambientale i soli progetti di sviluppo di
aree urbane, nuove o in estensione,
interessanti superfici superiori ai 40 ha,
sicché è correttamente escluso dal
procedimento in questione il progetto
inerente un’area di superficie inferiore
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 05.05.2010 n. 1236
- link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
VIA - Procedimento - Strumento
preventivo di tutela ambientale -
Prescrizioni - Radicale diniego.
Il procedimento di valutazione di impatto
ambientale è, per sua natura e per sua
configurazione normativa, uno strumento
preventivo di tutela dell’ambiente, che si
svolge prima rispetto all’approvazione del
progetto, il quale dovrà essere modificato
secondo le prescrizioni intese ad eliminare
o ridurre l’incidenza negativa per
l’ambiente (cfr. TAR Liguria, Sez. I,
15.06.2006, n. 563) a condizione che ciò sia
possibile e che non si imponga il radicale
diniego di approvazione del progetto.
VIA - Tutela preventiva
dell’interesse pubblico - Profili elevati di
discrezionalità amministrativa - Sindacato
giurisdizionale - Limiti.
La valutazione di impatto ambientale,
giacché finalizzata alla tutela preventiva
dell’interesse pubblico, non si risolve in
un mero giudizio tecnico, ma presenta
profili particolarmente elevati di
discrezionalità amministrativa, che
sottraggono al sindacato giurisdizionale le
scelte della P.A., ove non siano
manifestamente illogiche ed incongrue
(C.d.S., Sez. V, 21.11.2007, n. 5910;
C.d.S., Sez. V, n. 4206/2009; TAR Lazio,
Roma, Sez. I, n. 5403/2007).
VIA - Principio di
precauzione - Mera possibilità,
insuscettibile di esclusione, di alterazioni
negative - Opposizione alla realizzazione di
un’attività - Discrezionalità
amministrativa.
La valutazione di impatto ambientale
comporta una valutazione anticipata
finalizzata, nel quadro del principio
comunitario di precauzione, alla tutela
preventiva dell’interesse pubblico
ambientale.
Ne deriva che, in presenza di una situazione
ambientale connotata da profili di specifica
e documentata sensibilità, anche la semplice
possibilità di un’alterazione negativa va
considerata un ragionevole motivo di
opposizione alla realizzazione di
un’attività: anche alla luce degli ampi
profili di discrezionalità amministrativa
che presenta la valutazione di impatto
ambientale sul piano dell’apprezzamento
degli interessi pubblici, sfugge, pertanto,
al sindacato giurisdizionale la scelta
discrezionale della P.A. di non sottoporre
beni di primario rango costituzionale, qual
è quello dell’integrità ambientale, ad
ulteriori fattori di rischio che, con
riferimento alle peculiarità dell’area,
possono implicare l’eventualità, non
dimostrabile in positivo ma neanche
suscettibile di esclusione, di eventi lesivi
(così C.d.S., Sez. VI, 04.04.2005, n. 1462,
in relazione ad un caso di inquinamento di
una falda acquifera).
DIRITTO DELL’ENERGIA -
VIA - Illegittimità del procedimento di
autorizzazione unica ex art. 12 d.lgs. n.
387/2003 - Illegittimità derivata del
giudizio di compatibilità ambientale -
Esclusione - Autonomia.
L’eventuale illegittimità del procedimento
di autorizzazione unica ex art. 12 del
d.lgs. n. 387/2003, non può dispiegare
alcuna illegittimità derivata sulla
valutazione negativa di compatibilità
ambientale, stante l’autonoma funzione di
quest’ultima (cfr. TAR Liguria, Sez. I, n.
563/2006) (TAR Toscana, Sez. II,
sentenza 20.04.2010 n. 986 - link
a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI -
URBANISTICA:
Oggetto: Procedure di competenza della
Direzione Generale PBAAC in materia di VIA,
VAS e progetti sovraregionali o
trasfrontalieri – Disposizioni per la
presentazione delle istanze e della relativa
documentazione progettuale (Mi.B.A.C.,
circolare 19.03.2010 n. 6). |
LAVORI PUBBLICI:
VIA - Progetto definitivo
sensibilmente diverso da quello preliminare
- Art. 42 d.lgs. n. 152/2006 - Rinnovo
dell’istruttoria - Successivo procedimento
autorizzatorio.
L’art. 42, c. 4 del d.lgs. 03.04.2006, n.
152 impone la rinnovazione dell’istruttoria
ai fini del rilascio della VIA anche nel
caso di progetto definitivo sensibilmente
diverso da quello preliminare; il successivo
procedimento autorizzatorio non può che
svolgersi sullo stesso progetto che la VIA
abbia ottenuto, sicché, nel caso di
variazioni sostanziali del medesimo che
portino ad un progetto “sensibilmente
diverso” deve al riguardo essere
acquisita nuova VIA su quest’ultimo, pena
altrimenti l’elusione del giudizio di
compatibilità ambientale e restando
ovviamente irrilevante l’istruttoria
compiuta sul progetto variato in sede di
conferenza di servizi.(cfr. Cons. St., Sez.
VI, 31.01.2007, n. 370; cfr. altresì Cons.
St., Sez. V, 16.06.2009, n. 3849, laddove è
stata affermata, sia pure in diversa
fattispecie concernente la sottoposizione a
VIA di porzioni di opera, la necessità che
la valutazione ambientale debba riguardare
unitariamente l’opera nel suo complesso allo
scopo di poterne apprezzare i livelli di
qualità finale, pena altrimenti l’elusione
delle finalità perseguite dalla legge
attraverso la stessa VIA) (Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 26.02.2010 n. 1142 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
B.U.R. Lombardia, 5° suppl. straord, al n. 8
del 26.02.2010, "Metodo per
l'espletamento della verifica di
assoggettabilità alla VIA per gli impianti
smaltimento e/o recupero rifiuti"
(deliberazione
G.R. 10.02.2010 n. 11317 - link a www.infopoint.it). |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: B.U.R.
Lombardia, 2° suppl. ord. al n. 5 del
04.02.2010, "Norme in materia di
valutazione di impatto ambientale" (L.R.
02.10.2010 n. 5 - link a www.infopoint.it). |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI:
VIA - AIA - Evoluzione normativa
- Rapporti tra le due procedure.
Nell’impostazione originaria del DPR
12.04.1996 l’impatto ambientale di un’opera
o di un impianto era misurato esclusivamente
attraverso la procedura di VIA (previo esame
dell’assoggettabilità qualora il progetto
non rientrasse nei casi di VIA codificati).
Alla decisione sulla VIA si collegavano poi
le singole autorizzazioni necessarie per la
realizzazione dell’opera o il funzionamento
dell’impianto. Con l’introduzione dell’AIA
tutte queste autorizzazioni sono state
raggruppate in un giudizio complessivo.
Nell’AIA sono tra l’altro confluite (v.
allegato II del Dlgs. 59/2005)
l’autorizzazione alle emissioni in atmosfera
di cui al DPR 203/1988, l’autorizzazione
allo scarico di cui al Dlgs. 152/1999,
l’autorizzazione alla realizzazione e
modifica di impianti di smaltimento o
recupero di rifiuti ex art. 27 del Dlgs.
22/1997, nonché l’autorizzazione
all'esercizio delle operazioni di
smaltimento o recupero di rifiuti ex art. 28
del Dlgs. 22/1997.
Formalmente è rimasta autonoma la procedura
di VIA, che deve precedere il rilascio
dell’AIA e ne condiziona il contenuto (v.
art. 5, comma 12, e art. 7, comma 2, del Dlgs.
59/2005). È però evidente che l’ampiezza
delle valutazioni svolte in relazione
all’AIA si riflette sulla procedura di VIA,
nella quale assumono rilievo necessariamente
anche gli studi effettuati in vista del
rilascio dell’AIA.
L’impatto ambientale di un’opera o di un
impianto non potrebbe infatti essere
compiutamente inquadrato senza prendere in
considerazione gli approfondimenti tecnici
che conducono al rilascio dell’AIA e alla
contestuale formulazione dei limiti relativi
alla produzione di inquinanti (v. art. 7,
commi 3 e 4, del Dlgs. 59/2005).
VIA - AIA - Impugnazione
separata dei relativi atti - Possibilità.
Il fatto che la VIA e l’AIA tendano a
formare un unicum non impedisce
l’impugnazione separata dei relativi atti,
in quanto se il materiale tecnico è comune
rimangono diversi gli effetti giuridici dei
provvedimenti finali. Con la VIA (e con la
valutazione di assoggettabilità) viene
emessa una pronuncia sulla localizzazione
dell’opera o dell’impianto.
Chi si oppone alla localizzazione scelta (o
al giudizio circa l’idoneità dell’area a
sostenere le modifiche strutturali o gli
ampliamenti di opere e impianti già
esistenti) ha interesse a impugnare in modo
autonomo il relativo provvedimento,
ottenendo così anche un effetto inibitorio
sull’AIA.
D’altra parte l’impugnazione degli atti
relativi alla VIA deve comunque essere
seguita dall’impugnazione del rilascio
dell’AIA, perché l’oggetto della VIA è
definito dalle prescrizioni formulate
contestualmente all’AIA, e pertanto è il
provvedimento favorevole su quest’ultima che
stabilisce a quali condizioni l’impatto
ambientale sia accettabile (TAR
Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 22.01.2010 n. 211 - link
a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
B.U.R. Lombardia, 4° suppl. straord. al n. 3
del 21.01.2010
(link a www.infopoint.it):
- "Nuove determinazioni in materia di
attività estrattiva di cava, relativamente
alle procedure per le verifiche di
assoggettabilità a VIA di cave e torbiere,
all'autorizzazione all'esercizio di cave per
opere pubbliche e al funzionamento del
Comitato tecnico consultivo per le attività
estrattive" (deliberazione
G.R. 30.12.2009 n. 10964);
- "Criteri di verifica di
assoggettabilità a Valutazione di Impatto
Ambientale di cave e torbiere" (comunicato
regionale 08.01.2010 n. 2). |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI:
VIA - AREE PROTETTE - Progetti
assoggettati a VIA interessanti P-SIC, SIC o
ZPS - Valutazione di incidenza -
Assorbimento nell’ambito della procedura di
VIA - Art. 5, c. 4 d.P.R. n. 357/1997.
Ai sensi dell’art. 5, c. 4 del d.P.R. n.
357/1997, per i progetti assoggettati a
procedura di valutazione di impatto
ambientale che interessano proposti siti di
importanza comunitaria, siti di importanza
comunitaria e zone speciali di
conservazione, la valutazione di incidenza è
ricompresa nell'ambito della procedura di
V.I.A., che, in tal caso, considera anche
gli effetti diretti ed indiretti dei
progetti sugli habitat e sulle specie per i
quali detti siti e zone sono stati
individuati. (cfr. C.d.S., Sez. VI,
22.11.2006, n. 6831).
VIA - Atti di
autorizzazione o approvazione non preceduti
da VIA - Sanzione della nullità - Art. 4,
ultimo comma, d.lgs. n. 152/2006 -
Disciplina ante e post novella ex d.lgs. n.
3/2008.
Mentre il legislatore del 2006 all’art. 4,
ult. comma del Codice dell’Ambiente, aveva
previsto la più grave sanzione della nullità
degli atti di autorizzazione od approvazione
non preceduti dalla VIA, con l’art. 1, comma
3 del D.Lg.vo 16.01.2008 n. 3, che ha
modificato il citato art. 29 del D. Lg.vo
152/2006, si è tornati all’inquadramento
della violazione di legge in esame nella
generale categoria dell’annullamento (per la
“sola” annullabilità, prima
dell’entrata in vigore del Codice
dell’Ambiente, si era già espresso C.d.S,
Sez. VI, 03.03.2006, n. 1023).
VIA - Procedimento -
Natura - Mezzo preventivo di tutela
ambientale - VIA postuma alla realizzazione
dell’opera - Illegittimità.
Il procedimento di valutazione di impatto
ambientale è per sua natura e configurazione
normativa un mezzo preventivo di tutela
dell'ambiente, che si svolge prima rispetto
all'approvazione del progetto (il quale deve
essere modificato secondo le prescrizioni
intese ad eliminare o ridurre l'incidenza
negativa dell’opera progettata) e
conseguentemente prima della realizzazione
dell’opera (fisiologicamente successiva
all’approvazione del progetto).
La natura ontologicamente preventiva della
V.I.A. è costantemente affermata tanto dalla
giurisprudenza comunitaria (cfr. Corte
Giustizia CE, Sez. II, 03.07.2008, nella
causa C-215/06, nonché Corte Giustizia CE,
Sez. II, 05.07.2007, nella causa C-255/05),
quanto da quella nazionale (TAR Liguria,
Sez. I, 15.06.2006, n. 563; nonché TAR
Puglia-Bari, Sez. I, 10.04.2008, n. 894; TAR
Liguria, Sez. I, 16.02.2008, n. 306; TAR
Lombardia-Brescia, Sez. I, 11.08.2007, n.
726).
Ne consegue che una VIA postuma
all’autorizzazione dell’opera e allo
svolgimento dei lavori deve considerarsi
illegittima, perché adottata in violazione
dei precetti comunitari (dr. 85/337) e
nazionali (artt. 3-ter e 29 del d.lgs. n.
152/2006) improntati al principi di
precauzione e prevenzione dell’azione
ambientale.
VIA - Amministrazione
preposta al giudizio di compatibilità -
Pronuncia successiva alla realizzazione
delle opere - Obbligatorietà - Esclusione.
In linea di principio, l’Amministrazione
preposta al giudizio di compatibilità
ambientale non può considerarsi tenuta ad
esprimere tale giudizio dopo l’inizio delle
opere.
VIA - Giudizio di
compatibilità ambientale negativo -
Interventi o progetti oggetto di verifica -
realizzabilità in funzione di eccezionali
motivi di interesse pubblico - Art. 5, cc. 9
e 10 d.P.R. n. 357/1997 - Art. 1, ult.
comma, D.M. 17/10/2007 - Ponderazione e
giudizio di prevalenza - Soggetti preposti
all’autorizzazione dell’opera.
Anche a fronte di un giudizio di
compatibilità ambientale negativo, gli
interventi o i progetti oggetto di verifica
possono comunque essere “autorizzati”,
laddove ricorrano quei pregnanti ed
eccezionali motivi di interesse pubblico
espressamente indicati dal legislatore (cfr.art.
5, cc. 9 e 10 del d.P.R. n. 357/1997 e art.
1, ultimo comma, D.M. 17/10/2007).
La ponderazione ed il giudizio di prevalenza
degli interessi de quibus
intervengono in un momento successivo al
giudizio negativo di compatibilità
ambientale e gravano sui soggetti preposti
all’autorizzazione dell’opera, soggetti che,
acquisita la previa VIA negativa, sono
chiamati a vagliare ed esternare le
eccezionali e prevalenti ragioni pubbliche
(per come tipizzate dal legislatore) che
eventualmente impongano comunque la
realizzazione dell’intervento (TAR
Sicilia-Palermo, Sez. I,
sentenza 20.01.2010 n. 583 - link
a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI -
URBANISTICA: R.
Greco,
VIA, VAS E AIA: QUESTE SCONOSCIUTE
(link a www.giustizia-amministrativa.it). |
2009 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
VALUTAZIONE IMPATTO AMBIENTALE (V.I.A.)
- Commissione speciale VIA - Richiesta di
integrazione documentale - Termine di trenta
giorni - Natura ordinatoria - Decorso del
termine - Azioni sollecitatorie - Produzione
tardiva - Art. 20 d.lgs. n. 190/2002.
Il termine di 30 giorni, fissato dall’art.
20, secondo e terzo comma, del D.Lgs. 2002,
n. 190, per dare risposta alla richiesta di
integrazione documentale presentata dalla
commissione speciale VIA ha natura
ordinatoria.
E’ vero che la norma recita che decorso il
termine suddetto il parere si intende
negativo; peraltro, avverso
l’interpretazione strettamente letterale,
deve essere rilevato che la norma in
discussione non prescrive affatto che
decorso il suddetto termine l’opera non
possa essere realizzata. Deve quindi essere
affermato che una volta decorso il suddetto
termine chi ha interesse alla realizzazione
dell’opera può porre in essere azioni
sollecitatorie; inoltre, è consentito alla
commissione ammettere una produzione
tardiva.
In base alle stesse considerazioni, anche il
termine di 90 giorni di cui al quarto comma
dello stesso art. 20 deve essere considerato
ordinatorio (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 28.12.2009 n. 8786 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI:
B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 48 del
30.11.2009, "Modalità applicative delle
disposizioni in materia di sanzioni
amministrative per la violazione delle
procedure di Valutazione di Impatto
Ambientale e di verifica di assoggettabilità
(art. 7, l.r. n. 20/1999 e art. 29, comma 4,
d.lgs. n. 152/2006)" (deliberazione
G.R. 18.11.2009 n. 10564 - link a
www.infopoint.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
DIRITTO PROCESSUALE
AMMINISTRATIVO - Legittimazione ad agire -
Localizzazione di un campo nomadi -
Residenti nella zona interessata - Interesse
diretto e immediato - Sussistenza.
I residenti nella zona interessata dalla
localizzazione del campo nomadi ovvero in
aree limitrofe hanno un interesse diretto ed
immediato a dolersi della delibera di
approvazione del progetto per la
realizzazione del nuovo villaggio nomadi che
è, indubbiamente, idonea ad incidere sulle
condizioni di vita e di relazione nella zona
dove hanno la propria residenza.
VIA - Progetto per la
realizzazione di un campo nomadi -
Sottoposizione a V.I.A. - esclusione.
Il progetto esecutivo per la realizzazione
di un campo nomadi , di dimensione limitata
e concernente un’area urbana, non richiede
la valutazione di impatto ambientale.
Campo nomadi - Estensione -
Computo delle strade di accesso e delle
strade interne - Esclusione.
In ordine all’estensione di un campo nomadi,
non vi è ragione di computare nella sua
ampiezza anche le strade di accesso e quelle
previste al suo interno per il collegamento
delle abitazioni: si tratta, infatti, di
opere di urbanizzazione che, ove siano
rispettati i limiti volumetrici per la
edificazione delle unità abitative, possono
essere assunte a carico del Comune senza che
debbano incidere sulle dimensioni
riconosciute al campo in questione
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 04.11.2009 n. 6866 - link a
www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI:
A. Scialò,
Procedura di verifica di assoggettabilità a
VIA: le prime riflessioni del Consiglio di
Stato (link a
www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Ambiente in genere. V.i.a. e
termini di durata della procedura.
I termini
di durata della procedura di Via non possono
essere considerati perentori: essi infatti
non sono assistiti da alcuna espressa
decadenza, né sono previste conseguenze
giuridicamente significative o sanzioni per
la loro decorrenza.
Essi, invece, hanno carattere sollecitatorio
rispetto alla definizione dell’iter
procedimentale, rispondono all’interesse
primario di contenere in tempi ragionevoli e
giustificati le varie fasi delle procedure
autorizzative e, perciò, non possono che
essere stabiliti a favore del solo
proponente (TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez.
I,
sentenza 06.10.2009 n. 1755 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Beni ambientali. Valutazione di
incidenza.
Il tenore delle disposizioni relative alla
disciplina normativa che regola il
procedimento di valutazione d’incidenza
ambientale, costituita dall’art. 5 del
d.p.r. 08.09.1997, n. 357, è univoco
nell’ammettere la possibilità che il
procedimento di valutazione dell’incidenza
si concluda in senso negativo per il
proponente, con un’unica eccezione nel caso
che “il piano o l'intervento debba essere
realizzato per motivi imperativi di
rilevante interesse pubblico, inclusi motivi
di natura sociale ed economica”: solo in
quest’ultima evenienza, che certamente non
si ravvisa nel caso in esame, il legislatore
prevede che il procedimento debba comunque
terminare con l’autorizzazione
dell’intervento proposto (TAR Sardegna, Sez.
II,
sentenza 09.06.2009 n. 921 - link
a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Impianti eolici e v.i.a..
Deve escludersi che dall’assenza di una
preventiva pianificazione territoriale ed
urbanistica possa farsi discendere un
divieto generale di dare corso
all’approvazione e realizzazione di
progetti, come quello dell’impianto eolico
per cui è causa, relativi ad opere
suscettibili di potenziale impatto
sull’ambiente, ovvero un altrettanto
generale obbligo di sottoporre a procedura
di VIA i progetti stessi: nessuna
indicazione in tal senso si trae, infatti,
dalla normativa statale e regionale di rango
primario (TAR Toscana, Sez. II,
sentenza 25.05.2009 n. 888 - link
a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Valutazione di impatto
ambientale.
Non è corretto il frazionamento del progetto
in singole opere che isolatamente
considerate non sarebbero sottoposte a
valutazione di impatto ambientale, quando
per contro, nella loro interezza ed
unitariamente considerate lo sarebbero.
Infatti la normativa comunitaria mira a
sottoporre alla procedura di valutazione di
impatto ambientale i progetti che possono
avere un riflesso rilevante sull’ambiente.
Alcuni progetti, elencati all’allegato I
della direttiva 85/337/CEE, sono
obbligatoriamente sottoposti a tale
valutazione; altri, elencati nell’allegato
II, tra i quali, come ricordato, vi sono gli
impianti industriali per la produzione di
energia elettrica, vapore e acqua calda con
potenza termica inferiore a 300 MW, sono
soggetti a valutazione solo qualora possano
avere un impatto ambientale importante per
la loro natura, le loro dimensioni o la loro
ubicazione (TAR Veneto, Sez. III,
sentenza 22.05.2009 n. 1539 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI:
VALUTAZIONE IMPATTO AMBIENTALE -
Valutazione dell’impatto ambientale di
determinati progetti - Obbligo di rendere
pubblica la motivazione di una decisione di
non sottoporre un progetto ad una
valutazione - Direttiva 85/337/CEE mod.
dalla Dir. 2003/35/CE.
L’art. 4 della direttiva del Consiglio
27.06.1985, 85/337/CEE, concernente la
valutazione dell’impatto ambientale di
determinati progetti pubblici e privati,
come modificata dalla direttiva del
Parlamento europeo e del Consiglio
26.05.2003, 2003/35/CE, deve essere
interpretato nel senso che esso non richiede
che la decisione secondo la quale non è
necessario che un progetto rientrante
nell’allegato II della citata direttiva sia
sottoposto ad una valutazione dell’impatto
ambientale, contenga essa stessa le ragioni
per le quali l’autorità competente ha deciso
che questa non fosse necessaria. Tuttavia,
nell’ipotesi in cui una persona interessata
lo chieda, l’autorità amministrativa
competente ha l’obbligo di comunicarle i
motivi per i quali tale decisione è stata
assunta, ovvero le informazioni e i
documenti pertinenti in risposta alla
richiesta formulata.
VALUTAZIONE IMPATTO
AMBIENTALE - DIRITTO PROCESSUALE EUROPEO -
All. II dir. n. 85/337 e s.m. - Mancata
sottoposizione di un progetto alla VIA -
Motivazione - Obbligo.
Nell’ipotesi in cui la decisione di uno
Stato membro di non sottoporre un progetto
rientrante nell’allegato II della direttiva
85/337, come modificata dalla direttiva
2003/35, ad una valutazione dell’impatto
ambientale, in conformità agli artt. 5 e 10
della citata direttiva, indichi i motivi su
cui essa si basa, tale decisione è
sufficientemente motivata qualora la
motivazione che essa contiene, unitamente
agli elementi che sono già stati portati a
conoscenza degli interessati, ed
eventualmente completati dalle ulteriori
informazioni necessarie che
l’amministrazione nazionale competente è
tenuta a fornire a detti interessati, su
loro richiesta, siano tali da consentire a
questi ultimi di valutare l’opportunità di
presentare un ricorso avverso tale
decisione.
VALUTAZIONE IMPATTO
AMBIENTALE - DIRITTO PROCESSUALE EUROPEO -
Valutazione dei progetti idonei ad avere un
impatto ambientale importante -
Sottoposizione alla VIA - Discrezionalità
per progetti di cui al suo allegato II Dir.
n. 85/337 succ. mod. dalla dir. n. 35/2003 -
Esame specifico della questione - Necessità
- Obbligo di motivazione e comunicazione -
Diritto fondamentale attribuito dal diritto
comunitario - Valutazione dell’opportunità
di presentare ricorso - Sindacato
giurisdizionale.
Ai sensi della direttiva 85/337 (come succ.
mod. dalla direttiva 2003/35), i progetti di
cui al suo allegato II devono essere
assoggettati a valutazione solo qualora
possano avere un impatto ambientale
importante e la direttiva 85/337 conferisce
agli Stati membri, a tal proposito, un
margine discrezionale.
Tuttavia, tale margine discrezionale trova
il proprio limite nell’obbligo di tali
Stati, enunciato all’art. 2, n. 1, della
direttiva 85/337, di sottoporre ad una
simile valutazione i progetti idonei ad
avere un impatto ambientale importante,
segnatamente per la loro natura, le loro
dimensioni o la loro ubicazione (v., in tal
senso, sentenze 24/10/1996, causa C-72/95,
Kraaijeveld, e 23/11/2006, causa C-486/04,
Commissione/Italia). Risulta quindi
inevitabilmente dagli obiettivi della
direttiva 85/337 che le autorità nazionali
competenti, investite di una domanda di
autorizzazione di un progetto rientrante
nell’allegato II di tale direttiva, devono
svolgere un esame specifico della questione
se, tenuto conto dei criteri di cui
all’allegato III della direttiva stessa, si
debba procedere ad una VIA. Inoltre,
l’efficacia del sindacato giurisdizionale,
che deve poter riguardare la legittimità
della motivazione della decisione impugnata,
comporta, in via generale, che il giudice
adito possa richiedere all’autorità
competente la comunicazione di tale
motivazione.
Tuttavia, trattandosi più specificamente di
assicurare la tutela effettiva di un diritto
fondamentale attribuito dal diritto
comunitario, bisogna anche che le persone
interessate possano difendere tale diritto
nelle migliori condizioni possibili e che ad
esse sia riconosciuta la facoltà di
decidere, con piena cognizione di causa, se
sia utile per loro adire il giudice. Ne
deriva che in una tale ipotesi l’autorità
nazionale competente ha l’obbligo di fare
loro conoscere i motivi sui quali è basato
il suo rifiuto, vuoi nella decisione stessa,
vuoi in una comunicazione successiva
effettuata su loro richiesta (v. sentenza
15.10.1987, causa 222/86, Heylens e a.,
Racc. pag. 4097, punto 15). Tale successiva
comunicazione può assumere la forma non solo
di un’enunciazione espressa dei motivi, ma
anche della messa a disposizione di
informazioni e di documenti pertinenti in
risposta alla richiesta formulata.
VALUTAZIONE IMPATTO
AMBIENTALE - DIRITTO PROCESSUALE EUROPEO -
Allegato II, Direttiva 85/337/CEE mod. dalla
Dir. 2003/35/CE - Interpretazione autentica.
L’art. 4 della direttiva 85/337 deve essere
interpretato nel senso che esso non richiede
che la decisione secondo la quale non è
necessario che un progetto rientrante
nell’allegato II della citata direttiva sia
sottoposto ad una VIA contenga essa stessa
le ragioni per le quali l’autorità
competente ha deciso che questa non era
necessaria.
Tuttavia, nell’ipotesi in cui una persona
interessata lo chieda, l’autorità
amministrativa competente ha l’obbligo di
comunicarle i motivi per i quali tale
decisione è stata assunta, ovvero le
informazioni e i documenti pertinenti in
risposta alla richiesta formulata. (Corte di
Giustizia CE, Sez. II,
sentenza 30.04.2009, proc. n. C-75/08
- link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI:
Beni ambientali. V.i.a..
L’art. 2, n. 1, della direttiva del
Consiglio 27.06.1985, 85/337/CEE,
concernente la valutazione dell'impatto
ambientale di determinati progetti pubblici
e privati, come modificata dalla direttiva
del Consiglio 03.03.1997, 97/11/CE, deve
essere interpretato nel senso che esso non
richiede che tutti i progetti destinati ad
avere un notevole impatto ambientale siano
sottoposti alla procedura di valutazione
dell’'impatto ambientale prevista da tale
disciplina di fonte comunitaria, bensì che
devono esserlo solo quelli che sono citati
agli allegati I e II di detta direttiva,
nelle condizioni previste all’art. 4 di
quest'ultima e fatti salvi gli art. 1, n. 4
e 5, e 2 n. 3, della medesima direttiva (TAR
Veneto, Sez. I,
sentenza 09.04.2009 n. 1207 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Valutazione impatto ambientale.
Fin dal loro ingresso nel loro ordinamento,
le procedure di V.I.A. e di screening, pur
inserendosi sempre all’interno del più ampio
procedimento di realizzazione di un opera o
di un intervento, sono state considerate da
dottrina e giurisprudenza prevalenti come
dotate di autonomia, in quanto destinate a
tutelare un interesse specifico (quello alla
tutela dell’ambiente), e ad esprimere al
riguardo, specie in ipotesi di esito
negativo, una valutazione definitiva, già di
per sé potenzialmente lesiva dei valori
ambientali; di conseguenza, gli atti
conclusivi di dette procedure sono stati
ritenuti immediatamente impugnabili dai
soggetti interessati alla protezione di quei
valori (siano essi associazioni di tutela
ambientale ovvero, come nel caso che occupa,
cittadini residenti in loco).
Tali conclusioni appaiono oggi confortate
dalla disciplina generale di cui all’art. 20
del decreto legislativo 03.04.2006 n. 152
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 03.03.2009 n. 1213
- link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI:
Gli atti conclusivi delle
procedure di V.I.A. sono immediatamente
impugnabili dai soggetti interessati alla
protezione dei valori ambientali siano essi
associazioni di tutela ambientale o
cittadini residenti in loco.
La procedura di V.I.A. pur inserendosi
sempre all'interno del più ampio
procedimento di realizzazione di un opera o
di un intervento, è stata considerata da
dottrina e giurisprudenza prevalenti come
dotata di autonomia, in quanto destinata a
tutelare un interesse specifico (quello alla
tutela dell'ambiente), e ad esprimere al
riguardo, specie in ipotesi di esito
negativo, una valutazione definitiva, già di
per sé potenzialmente lesiva dei valori
ambientali; di conseguenza, gli atti
conclusivi delle procedure di valutazione di
impatto ambientale (V.I.A.) sono
immediatamente impugnabili dai soggetti
interessati alla protezione di quei valori
siano essi associazioni di tutela ambientale
ovvero, come nel caso di specie, cittadini
residenti in loco (Consiglio di Stato, Sez.
IV,
sentenza 03.03.2009 n. 1213 -
link a www.dirittodeiservizipubblici.it). |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI:
V.I.A. - Procedure di VIA e
screening - Natura di subprocedimento
autonomo - Immediata impugnabilità - Art. 20
d.lgs. n. 152/2006.
Fin dal loro ingresso nel loro ordinamento,
le procedure di V.I.A. e di screening, pur
inserendosi sempre all’interno del più ampio
procedimento di realizzazione di un opera o
di un intervento, sono state considerate da
dottrina e giurisprudenza prevalenti come
dotate di autonomia, in quanto destinate a
tutelare un interesse specifico (quello alla
tutela dell’ambiente), e ad esprimere al
riguardo, specie in ipotesi di esito
negativo, una valutazione definitiva, già di
per sé potenzialmente lesiva dei valori
ambientali; di conseguenza, gli atti
conclusivi di dette procedure sono stati
ritenuti immediatamente impugnabili dai
soggetti interessati alla protezione di quei
valori (siano essi associazioni di tutela
ambientale ovvero cittadini residenti in
loco). Tali conclusioni appaiono oggi
confortate dalla disciplina generale di cui
all’art. 20 del decreto legislativo
03.04.2006, nr. 152, che configura la stessa
procedura di verifica dell’assoggettabilità
a V.I.A. come vero e proprio subprocedimento
autonomo, caratterizzato da partecipazione
dei soggetti interessati e destinato a
concludersi con un atto avente natura
provvedimentale, soggetto a pubblicazione.
V.I.A. - Screening -
Soggetti residenti nella zona interessata
dall’intervento - Comunicazione di avvio del
procedimento - Art. 24 L.P. Trento n.
23/1992 - Art. 7 L. n. 241/1990 - Necessità
- Esclusione.
L’art. 24 della L. Prov. Trento nr. 23 del
1992, riproducendo a livello locale la
disposizione generale di cui all’art. 7
della legge 07.08.1990, nr. 241, dispone che
la pubblica amministrazione sia tenuta a
notificare la comunicazione di avvio del
procedimento amministrativo “ai soggetti
nei confronti dei quali il provvedimento
finale è destinato a produrre effetti
diretti e a quelli che per legge debbono
intervenirvi”. Tale disposizione è
sempre stata interpretata nel senso di
individuare, quali soggetti legittimati a
ricevere la comunicazione, gli specifici
destinatari dell’azione amministrativa,
siano o meno direttamente contemplati nel
provvedimento finale, nonché i soggetti dei
quali la legge disponga obbligatoriamente la
partecipazione al procedimento stesso.
Sicché non sussiste l’obbligo di
comunicazione dell’avio del procedimento di
screening nei confronti dei residenti nella
zona interessata dall’intervento, come tali
destinati a subirne gli effetti - non
diversamente però dalla collettività
indifferenziata degli abitanti del Comune;
non si tratta, infatti, né di destinatari
specifici del provvedimento emanando né di
soggetti di cui fosse obbligatoria la
consultazione (essendo previsti particolari
meccanismi di informazione e partecipazione
del pubblico interessato).
V.I.A. - Procedura di
screening - Omissione - Vizio di legittimità
- Accertamento giurisdizionale Travolgimento
di tutti gli atti che avrebbero dovuto
essere preceduti dallo screening -
Distinzione tra aspetti urbanistici e
aspetti ambientali - Artificiosità.
Allorché sia accertata la sussistenza di un
vizio di legittimità all’interno dell’iter
di un procedimento amministrativo, questo
investe non solo l’atto che direttamente lo
riguarda, ma anche tutti gli atti successivi
e consequenziali della sequenza
procedimentale, cosicché, in sede di
successiva rinnovazione degli atti, il
procedimento deve riprendere dal momento in
cui si era verificato il vizio accertato.
Con specifico riferimento all’omissione
della necessaria procedura di screening, il
conseguente vizio di legittimità travolge
tutti gli atti del procedimento che
avrebbero dovuto essere preceduti dallo
screening (approvazione del progetto e
conferenza di servizi all’uopo convocata).
Tale travolgimento, peraltro, non può che
essere integrale, non potendosi
artificiosamente scindersi tra aspetti
urbanistici e aspetti ambientali (a parte
l’opinabilità della distinzione e la sicura
interferenza reciproca tra i due profili)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 03.03.2009 n. 1213 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI:
V.I.A. - Approvazione di uno
strumento urbanistico attuativo -
Sottoposizione a V.I.A. - Esclusione.
L’approvazione di uno strumento urbanistico
attuativo, a differenza dell’approvazione di
un progetto di lavori per infrastrutture o
di uno degli interventi contemplati
dall’art. 1 della direttiva 85/337/CEE, non
richiede la verifica preliminare o la
valutazione dell’impatto sull’ambiente
(fattispecie relativa a variante di piano
particolareggiato con inserimento di una
centrale energetica in area già destinata a
verde pubblico) (TAR Marche, Sez. I,
sentenza 03.03.2009 n. 75 - link
a www.ambientediritto.it). |
2008 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Quesito 5 -
Sulla competenza per l'espletamento della
procedura di VIA per opere ricadenti in
territorio comunale ma parte di intervento
interessante ambito territoriale più ampio
(Geometra Orobico n. 3/2008). |
EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA:
Codice dell'Ambiente: come cambiano le
procedure di VAS e VIA (ANCE,
circolare 21.02.2008 n. 6 - link
a www.ediliziaprofessionale.com). |
EDILIZIA PRIVATA: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 24 del 09.06.2008, "Approvazione
dell'elenco e dei formati della documentazione tecnico-amministrativa
che il proponente è tenuto a presentare all'autorità competente a
corredo dell'istanza di Valutazione di Impatto Ambientale regionale o di
verifica di assoggettabilità alla procedura di VIA ai sensi del d.lgs.
152/2006"
(decreto
D.U.O. 22.05.2008 n. 5307
- link a www.infopoint.it). |
2007 |
|
EDILIZIA PRIVATA –
LAVORI PUBBLICI:
VIA - Per insediamenti abitativi - Normativa regionale –
Fattispecie.
Non essendo applicabile al caso di specie la normativa
regionale in materia di grandi insediamenti commerciali
(tale non essendo un insediamento residenziale con albergo),
per decidere dell'assoggettabilità di un intervento edilizio
a VIA occorre guardare alle altre previsioni normative
regionali e non a considerazioni ulteriori sul generico
pregio dell'area interessata, che nella specie
assoggettano a verifica di VIA gli interventi tra i 10 e i
40 ettari che sia all'interno di aree urbane esistenti,
ciò che nella specie, ad un accertamento di fatto dei
luoghi, ricorre, con conseguente legittimità dei successivi
dinieghi di costruire.
---------------
VIA - Mancata verifica di sottoposizione
dell'intervento a VIA - Inidoneità dei documenti presentati
alla valutazione - Richiesta di integrazione documentale
prima di procedere alla VIA - Necessità.
I principi di partecipazione al procedimento
e di leale cooperazione fra P.A. ed amministrati, nonché
quello di economicità, vanno interpretati nel senso che
l'amministrazione, ove nutra dubbi sulla possibilità di
accogliere l'istanza del privato, debba prioritariamente
chiedere a quest'ultimo i chiarimenti che consentirebbero di
evitare un esito negativo, o comunque un esito al quale il
privato non è indifferente (come nel caso in cui gli si
imponga l'obbligo di procedere a VIA).
Se, dunque, non è in questione il merito
della vicenda, ma solo l'idoneità dei documenti presentati a
valutarlo, l'amministrazione dovrà richiedere ulteriore
documentazione prima di valutare se l'incertezza non sia
superabile se non con la compiuta procedura di VIA.
---------------
… per l'annullamento, previa sospensione
dell'efficacia, AVVERSO ORD. DIR. 04.11.2005 n. 187:
SOSPENSIONE LAVORI DI ESECUZIONE OPERE DI URBANIZZAZIONE;
PROVV. DIR. 31.07.2006 n. 21843: DENEGATO PROVVEDIMENTO
AUTORIZZATIVO UNICO ED ATTI CONNESSI.
…
La “La.Im. S.r.l.” [d’ora in avanti, soltanto
“La.”] è proprietaria in Mantova di un appezzamento di
terreno di 334.727 mq, distinto al Catasto di detto Comune
al foglio 40, mappali 22, 38, 40, 42, 43, 44, 112, 114, 124,
135 e 166, sito in prossimità della sponda est del Lago
Inferiore e classificato dal vigente P.R.G. come parte del “Comparto
Strada Cipata 1”, zona C soggetta a piano attuativo
obbligatorio; del comparto in questione fa parte anche altro
terreno contermine, di 23.460 mq, distinto al Catasto
comunale allo stesso foglio 40, mappali 39, 58 e 59 e di
proprietà di un terzo soggetto, certa Co.Im. S.a.s. di
Co.Gi. (per tutti i dati citati, peraltro non controversi in
causa, v. comunque il doc. 13 ricorrente, copia convenzione
urbanistica, ove anche gli esatti estremi dei terreni di cui
consta il comparto).
In particolare, una variante al P.R.G. di
Mantova approvata da ultimo con delibera consiliare
07.09.2004 n. 82 (doc. 7 ricorrente, copia di essa; v. anche
il doc. 4 depositato dal Comune in ossequio all’ordinanza
istruttoria 1-17.01.2007 n. 101 di questo Tribunale, ove un
estratto della cartografia di piano e copia delle N.T.A.
nelle quali è compreso il comparto di cui si tratta; il dato
comunque è sempre non controverso) ha dapprima impresso la
suddetta classificazione al terreno in parola; in attuazione
di tale variante, è stato poi adottato e approvato, con
delibere consiliari 02.12.2004 n. 112 e 10.02.2005 n. 14 (doc.ti
10 e 11 ricorrente, copia di esse), il piano attuativo
previsto dallo strumento generale, integrato il 28.02.2005
dalla relativa convenzione urbanistica conclusa fra il
Comune, la La. e la ricordata Co. S.a.s. (doc. 13 ricorrente
cit., copia convenzione).
A norma del piano attuativo e della
convenzione citati, la La. programma allora un intervento di
superficie complessiva di 308.187 mq, ripartiti in 142.811
mq a destinazione residenziale e terziaria, 109.719 a parco
pubblico, 20.977 a parcheggio pubblico, 28.629 a strade ed
il residuo a rispetto stradale; sulla superficie a ciò
destinata programma poi 184.899 mc di edificazione-
corrispondenti ad una superficie lorda di pavimento di
61.633 mq destinati a residenza e, in piccola parte, ad
albergo- per 1233 abitanti teorici insediabili (per tutto
ciò, v. § 2 della convenzione urbanistica, doc. 13
ricorrente citato).
Per l’intervento descritto, la La. presenta
al Comune la richiesta di provvedimento autorizzativo unico
necessaria a realizzare le opere di urbanizzazione privata
di cui al piano attuativo, richiesta comprensiva di istanza
di autorizzazione paesistica e di denuncia inizio attività (cfr.
nel doc. 16 ricorrente, copia contratto di appalto,
l’allegato C, che comprende le copie delle relative
richieste); a fronte di ciò ottiene il 01.06.2005 la
sostanziale approvazione dell’Ente Parco del Mincio, nel cui
perimetro si trova il terreno interessato e che si limita ad
una breve serie di prescrizioni relative all’illuminazione
stradale (doc. 14 ricorrente, copia parere Ente citato: si
nota che essa occupa una sola facciata di foglio); e
contestualmente il rilascio della autorizzazione paesistica
02.04.2005 n. 74 (doc. 15 ricorrente, copia di essa);
procede allora ad appaltare le opere in questione (doc. 16
ricorrente, cit.).
Peraltro, il 14.11.2005, la La. riceve
notifica dell’ordinanza comunale 187/2005, la quale in
sintesi premette da un lato che l’area oggetto
dell’intervento è soggetta a “vincolo apposto con D.M.
26.05.1970 ‘dichiarazione di notevole interesse pubblico
degli spondali del Lago di Mezzo ed Inferiore’”, a “vincolo
automatico ai sensi dell’art. 142, lettere b) e f), del
d.lgs. 22.01.2004 n. 42” ed è inoltre “compresa all’interno
della perimetrazione del Piano territoriale di coordinamento
del Parco regionale del Mincio”; dall’altro che
l’intervento in corso di realizzazione deve essere
sottoposto in ragione delle sue caratteristiche a verifica
di sottoponibilità a valutazione di impatto ambientale e a
studio di incidenza delle possibili sue conseguenze sul
vicino sito naturalistico di interesse comunitario
denominato “Vallazza”; ciò premesso ordina la “sospensione
dei…lavori in corso presso l’area del Piano di lottizzazione
Strada Cipata n. 1 dalla data di notifica della presente
ordinanza sino all’esito dell’istruttoria…” (doc. 1
ricorrente, copia ordinanza citata).
Consultando gli atti richiamati nella
predetta ordinanza di sospensione, la La. apprende allora in
primo luogo che ad avviso della competente struttura
regionale l’intervento in questione, di superficie superiore
a 10 ha, va ritenuto ai sensi del punto 7.7 della delibera
18.12.2003 n. VII/15701 come “ambito urbano”,
soggetto quindi a verifica di assoggettabilità a v.i.a. “in
quanto il relativo perimetro risulta contiguo, per oltre il
50% della sua estensione, ad aree azzonate dal vigente
P.R.G. come A, B,C, D e servizi a valenza comunale” (cfr.
doc. 2 ricorrente, copia nota 27.10.2005 prot. n. 32149 del
Dirigente della struttura valutazione impatto ambientale
della Regione Lombardia); apprende poi che ad avviso
dell’Ente Parco del Mincio “per l’espressione dei pareri
di competenza è necessario che la documentazione di progetto
venga integrata da uno studio di incidenza…sul sito di
importanza comunitaria Vallazza” (doc. 4 ricorrente,
copia nota 19.10.2005 del Direttore del parco del Mincio).
Avverso tali atti, meglio indicati in
epigrafe, la La. ha proposto il ricorso principale,
articolato in tre censure, riportabili secondo logica ai
seguenti quattro motivi:
…
- con il terzo motivo (pp. 16-27 del
ricorso principale), si deduce la violazione delle norme
concernenti l’assoggettabilità a v.i.a., in particolare del
D.P.R. 12.04.1996, art. 1, comma 6, in relazione
dell’allegato B punto 7.
In proposito, si evidenzia ancora quanto
sopra esposto, ovvero che a monte dell’impugnata sospensione
lavori vi è la nota 27.10.2005 prot. n. 32149 del Dirigente
della struttura valutazione impatto ambientale della Regione
Lombardia (doc. 2 ricorrente cit., copia di essa), secondo
la quale l’intervento in parola è soggetto a verifica di
assoggettabilità a v.i.a. perché “con riferimento
all’allegato B al D.P.R. 12.04.1996, punto 7, lettera b,
l’ambito di intervento di estensione superiore a 10 ha può
essere classificato (ai sensi del punto 7.7 dell’allegato A
alla deliberazione della Giunta regionale della Lombardia
18.12.2003 n. 7/15701 in calce alla presente) come ‘ambito
urbano’ in quanto il relativo perimetro risulta
contiguo, per oltre il 50% della sua estensione, ad aree
azzonate dal vigente P.R.G. come A, B, C, D e servizi a
valenza comunale” (cfr. sempre doc. 2 ricorrente cit.).
Ciò posto, si evidenzia altresì che la citata
delibera della Giunta regionale 18.12.2003 n. 7/15701 (doc.
3 ricorrente, copia di essa) riguarda in realtà i progetti
di centri commerciali e di grandi strutture di vendita, non
quindi gli insediamenti residenziali come quello per cui è
causa.
In tali termini, si deduce l’illegittimità
della nota regionale, e in via derivata dell’ordinanza di
sospensione che la recepisce, sotto due distinti profili. In
primo luogo, si afferma che sarebbe illogico volere
applicare ad un intervento residenziale un criterio dettato
in origine, come si è visto, per il settore commerciale.
In tal senso, si osserva che il concetto di “ambito
urbano” di cui alla delibera 18.12.2003 n. 7/15701
non potrebbe in ogni caso assumere valenza generale,
riferita agli interventi di ogni specie, perché definito in
rapporto alla classificazione dei vari comuni operata dal
Programma per lo sviluppo del settore commerciale, e quindi
all’evidenza valido solo per tali fini, e che comunque la
delibera in parola, ove fosse ritenuta applicabile puramente
e semplicemente anche a fattispecie diverse da quelle
contemplate in modo espresso, sarebbe da ritenere
illegittima per illogicità.
In secondo luogo, si afferma che comunque
nemmeno applicando in via diretta la normativa del D.P.R.
12.04.1996 si potrebbe argomentare la necessità di
assoggettare l’intervento in parola a verifica di
sottoponibilità a v.i.a.
Si osserva infatti in tal senso che a norma
dell’allegato B punto 7 del decreto in parola, un intervento
di costruzione di superficie superiore a 10 ettari, ma
inferiore a 40 ettari come il presente, è soggetto alle
norme sulla v.i.a. solo qualora si configuri come “progetto
di sviluppo urbano all’interno di aree urbane esistenti”.
Tale non sarebbe l’intervento in esame, il
quale si collocherebbe all’esterno dell’area urbana,
configurerebbe un progetto di sviluppo di “aree urbane
nuove o in estensione”, e quindi sarebbe soggetto
alle norme sulla v.i.a. solo ove superasse i 40 ha di
estensione, il che nella specie pacificamente non avviene;
…
10. La questione della necessità o no di
sottoporre l’intervento per il quale è processo a verifica
di assoggettabilità a v.i.a. va allora decisa in base alle
norme, pure richiamate dalla nota regionale 27.10.2005
prot. n. 32149, del D.P.R. 12.04.1996,
che contrariamente a quanto sostenuto in sede
di discussione dal patrocinio del Comune resistente hanno
valore non meramente esemplificativo. In altri termini, un
dato intervento è soggetto o no alla procedura in esame se
rientra o no in una delle previsioni della norma, e non può
invece esservi assoggettato in base a considerazioni
ulteriori sul generico pregio dell’area interessata.
11. Ciò posto, le norme rilevanti per gli
interventi di costruzione come quello in questione sono,
come ricordato in narrativa, quelle dell’allegato B punto 7
del decreto citato, valide per i casi come il presente, in
cui, come ricordato in narrativa, è interessata una zona al
momento non costituita in area protetta.
Le norme in questione distinguono allora fra
progetto di sviluppo situato “all’interno di aree
urbane esistenti”, soggetto a verifica di v.i.a.
sol che superi i 10 ettari di estensione, e progetto di
sviluppo relativo ad “aree urbane nuove o in
estensione”, soggetto invece a verifica di
v.i.a. nel solo caso in cui superi i 40 ettari.
Poiché il progetto
della La., come è incontestato,
supera i 10 ettari, ma è inferiore ai 40, la sua soggezione
alla procedura in parola dipende dalla sua appartenenza alla
prima o alla seconda categoria, che quindi vanno previamente
definite.
12. Occorre partire in proposito dal
concetto di area urbana, che, come correttamente
ricordato dalla difesa della ricorrente (cfr. in part. il
doc. 51 cit. a p. 6), appartiene alla scienza
urbanistica, come tale è dato per presupposto dalla
normativa, e si identifica, per vero anche alla luce del
senso comune, con un’area edificata in modo compatto e
continuo, delimitata da zone agricole, prive di
edificazione, ovvero da interruzioni fisiche naturali od
artificiali: in tal senso si condivide la definizione
generale riportata dall’esperto di parte ricorrente arch.
Pi., nel documento appena citato, che argomenta in modo
coerente e corretto da opere generalmente apprezzate nel
settore, e non è stato contestato sul punto specifico.
13. Accettato il concetto generale di cui
sopra, il Collegio ritiene però di dissentire dalle
conclusioni che lo stesso esperto di parte ritiene di trarne
quanto al caso concreto.
Osservando la tavola 1 a pag. 8 del doc. 51
di parte ricorrente, la quale riproduce la conurbazione di
Mantova, si possono per quanto interessa individuare due
insediamenti: l’uno, contraddistinto con il numero “1” nella
tavola in parola, corrisponde al centro storico di Mantova;
l’altro, entro il quale dovrebbe situarsi il complesso La.,
è contraddistinto con il numero “3” e comprende gli abitati
di Frassino, Lunetta e Virgiliana e il complesso industriale
del petrolchimico.
Secondo l’architetto Pi., gli insediamenti 1
e 3 citati costituirebbero aree urbane distinte, in quanto
fra le due vi sarebbe l’interruzione rappresentata dal corso
del Mincio, che in quel punto forma i laghi Superiore, di
Mezzo ed Inferiore. Ne seguirebbe allora che l’intervento
della La., situato fra il margine dell’insediamento 3 e la
riva dei laghi, dovrebbe integrare un progetto di sviluppo
in espansione di area esistente, appunto l’area urbana 3,
che si andrebbe a sviluppare verso il Mincio (doc. 51
ricorrente, pp. 12 e 13).
14. Il ragionamento appena riferito,
peraltro, sta e cade con la premessa per cui gli
insediamenti 1 e 3 costituirebbero, appunto, aree urbane
distinte, in altre parole con l’effettiva idoneità del corso
del Mincio a fungere da “interruzione” fra le due,
nel senso proprio della definizione proposta.
E’ tale premessa che il Collegio non ritiene
di condividere, osservando come, in base alla stessa tavola
1 citata, oltre che per fatto notorio, gli insediamenti 1 e
3 siano uniti fra loro da due ponti sul Mincio, che fungono
da collegamento agevolmente praticabile, sì che di
interruzione vera e propria fra le due aree non si può
parlare, dato che i cittadini dal corso d’acqua nella loro
quotidiana esperienza possono in sostanza prescindere nei
loro spostamenti di vita sociale e di lavoro.
Ciò corrisponde anche al dato, sempre di
comune esperienza, per cui il centro storico e i quartieri
circostanti di Mantova –ma lo stesso si potrebbe dire per
molte altre città non solo italiane- costituiscono ormai un
tutto unitario, che come tale deve essere apprezzato in
tutti i casi di pianificazione ampiamente intesa.
Ne segue la necessità di considerare
l’intervento della La. come progetto di sviluppo
all’interno di area urbana, soggetto quindi a verifica
di v.i.a. per le ragioni già esposte. Ne segue, secondo
logica, la legittimità dei successivi dinieghi di permesso
di costruire pronunciati dal Comune, in quanto fondati sul
presupposto della necessità di sottoporre l’intervento alla
verifica stessa (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 06.11.2007 n. 1161 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA:
Guida alla professione di ingegnere - La
valutazione di impatto ambientale (VIA) e la
valutazione ambientale strategica (VAS) -
Volume VI (febbraio 2007 -
tratto da www.centrostudicni.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Procedimenti
valutazione impatto ambientale.
Il Comune XXX pone un triplice quesito
attinente all’applicazione della normativa
in materia di procedimenti di valutazione di
impatto ambientale (V.I.A.) (Regione Piemonte,
parere n.
15/2007 - link a
www.regione.piemonte.it). |
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