dossier SAGOMA EDIFICIO |
anno
2018 |
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EDILIZIA PRIVATA:
La “sagoma” dell’edificio s’individua nella
“conformazione planovolumetrica della costruzione e nel suo
perimetro considerato in senso verticale ed orizzontale,
ovvero il contorno che viene ad assumere l’edificio, ivi
comprese le strutture perimetrali con gli aggetti e gli
sporti”.
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Giova rammentare, al riguardo, che la “sagoma”
dell’edificio s’individua (cfr. Consiglio di Stato, Sezione
VI, n. 1564 del 15.03.2013; Cass., sez. III, 23.04.2004, n.
19034) nella “conformazione planovolumetrica della
costruzione e nel suo perimetro considerato in senso
verticale ed orizzontale, ovvero il contorno che viene ad
assumere l’edificio, ivi comprese le strutture perimetrali
con gli aggetti e gli sporti” (TAR Lombardia-Milano,
Sez. IV,
sentenza 16.08.2018 n. 1989 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno
2016 |
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EDILIZIA PRIVATA: Affinché
si determini un mutamento della “sagoma” dell’edificio, è necessario verificare la
conformazione planovolumetrica della costruzione, esaminando
il perimetro della costruzione anche in senso verticale.
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1.8 Ciò premesso per quanto concerne l’eccezione preliminare
è possibile esaminare nel merito il ricorso, anticipando sin
d’ora come quest’ultimo sia da accogliere risultando fondati
il secondo e (in parte) il terzo motivo.
1.9 A tal fine è necessario evidenziare preliminarmente come
l’immobile di cui si tratta ricade in zona sottoposta a
vincolo paesaggistico, in zona omogenea A, sottozona Al,
"area urbana centrale sulla destra del Burlamacca" ed è
contraddistinto dal simbolo 2, caratteristica quest’ultima
che, in applicazione dell’art. 13.3 delle NTA, determina
l’ammissibilità di interventi fino alla ristrutturazione
edilizia con limitazioni e prescrizioni.
2. Risulta accertato (si veda perizia tecnica depositata
dalla ricorrente a pag. 4 e 5) che con il progetto assentito
la struttura in muratura preesistente viene modificata,
realizzando una nuova struttura portante, mutando la sagoma
del fabbricato e realizzando una nuova distribuzione del
volume dell’edificio e, ciò, mediante la sostituzione di
pilastri e travi, con l’incremento dei solai orizzontali
(che passano da due a tre), con sopraelevazione di circa un
metro, il tutto utilizzando la tecnica del “cuci e scuci”,
consistente in una progressiva demolizione e contestuale
ricostruzione, per parti, dell'edificio medesimo.
2.1 Ciò premesso per quanto attiene i presupposti di fatto
risulta evidente che l’intervento di cui si tratta non possa
essere qualificato (come vorrebbe l’Amministrazione
comunale) come una ristrutturazione conservativa di cui
all'art. 135, comma 2, lett. d), della Legge Reg. n.
65/2014, disposizione quest’ultima che presuppone una
trasformazione dell'organismo edilizio che non comporta la
demolizione del medesimo.
2.2 L’esistenza di un intervento suscettibile di determinare
la demolizione dell’edificio preesistente –seppur
utilizzando la tecnica sopra citata- è, peraltro,
desumibile dalla perizia tecnica depositata dalla ricorrente
(documento n. 9 e a pag. 5), laddove si precisa, e nel
paragrafo relativo alle modifiche alla struttura, che “la
precedente struttura portante composta da muratura in pietra
e laterizio viene integralmente sostituita da una nuova
struttura in cemento armato”.
2.2 Ne consegue che proprio sulla base delle caratteristiche
dell’intervento deve ritenersi altrettanto erronea
l’argomentazione contenuta nella scheda istruttoria pratica
dello stesso comune, laddove consente la qualificazione
dell’intervento come “ristrutturazione conservativa” in
ragione della tecnica costruttiva utilizzata, ritenendo che
quest’ultima non determinasse un’effettiva demolizione
dell’edificio.
2.3 Sul punto va rilevato come questo Tribunale ha già avuto
modo di evidenziare (seppur in una diversa fattispecie) che
la tecnica utilizzata non è suscettibile di incidere sulla
tipologia di intervento effettivamente realizzato e, ancor
di più, sulla sua conseguente qualificazione
giuridico-edilizia (TAR Toscana, 23.01.2014, n. 156).
2.4 E’, peraltro, evidente che l’utilizzazione di una
particolare tecnica costruttiva non può incidere sulla
qualificazione dell’intervento che, nel caso di specie,
avrebbe dovuto essere realizzata esaminando il complesso
delle caratteristiche del progetto e delle opere realizzate
e, ancora, la relativa incidenza di queste ultime rispetto
al manufatto originario.
2.5 Se l’intervento non può essere qualificato come
ristrutturazione conservativa, nemmeno è suscettibile di
essere inquadrato nell’ambito della “ristrutturazione
ricostruttiva” di cui all’art. 134, comma 1, lett. h), n. 3
della Legge Regionale n. 65/2014, fattispecie quest’ultima
che presuppone che gli edifici una volta demoliti, devono
essere ricostruiti nel rispetto della sagoma dell'edificio
preesistente.
2.6 Detto presupposto risulta insussistente nel caso di
specie, laddove si consideri come l’intervento preveda un
incremento del numero dei piani, da due a tre, cui si
accompagna l'aumento dell'altezza complessiva (di circa un
metro).
2.7 Si consideri, inoltre, che il mutamento di sagoma,
unitamente al nuovo livello di abitazione, costituiscono dei
dati incontestati, essendo espressamente previsti nella
relazione tecnica allegata all’istanza di permesso di
costruire (si veda pag. 3 della relazione tecnica doc. 2/3
di parte ricorrente), così come sono espressamente ribaditi
nella perizia tecnica (all. n. 9 sempre dei documenti di
parte ricorrente).
2.8 E’, peraltro, noto che affinché si determini un mutamento
della “sagoma” dell’edificio, è necessario verificare la
conformazione planovolumetrica della costruzione, esaminando
il perimetro della costruzione anche in senso verticale (in
questo senso Cons. Stato, Sez. 6^, 15.03.2013, n. 1564;
Corte cost. 23.11.2011, n. 309; Cass. Pen., sez. 3^, 09.10.2008, 38408 e
06.02.2001, n. 9427).
2.9 Deve ritenersi, inoltre, del tutto inconferente il
riferimento contenuto nel permesso di costruire, al fine di
giustificare le modifiche di sagoma, nella parte in cui
l’Amministrazione comunale richiama l'art. 134, comma 1,
lett. g), e l'art. 135, comma 2, lett. d), della Legge Reg.
n. 65/2014, disposizioni che ammettono il rialzamento del
sottotetto al fine di renderlo abitabile.
3. In realtà l’art. 134, comma 1, lett. g), riguarda una
fattispecie del tutto differente che non si vede come possa
riguardare il caso di specie e, ciò, considerando come detta
fattispecie si limita a ritenere necessaria l’emanazione di
un permesso di costruire per quanto concerne le "addizioni
volumetriche", qualificando a detti fini queste ultime.
3.1 Altrettanto erroneo è il riferimento alla disposizione
di cui all'art. 135, comma 2, lett. d), laddove considera
ammissibile il “rialzamento del sottotetto”, disposizione
quest’ultima non applicabile al caso di specie, nell’ambito
del quale è stata realizzata una sopraelevazione che ha
riguardato l'intero edificio (e quindi non solo il
sottotetto), con l’inserimento di un piano ulteriore.
3.2 Va, da ultimo, evidenziato che il permesso di costruire
ora impugnato deve ritenersi contrastante anche con l'art.
12.4.3 delle NTA, laddove detta disposizione ammette che
l’unica modifica alla sagoma originaria, compatibile con gli
edifici contraddistinti dal simbolo 2, sia rappresentata,
solo ed esclusivamente, dal rialzamento del sottotetto,
senza che per questo sia consentito la sopraelevazione
dell’intero edificio.
3.3 Ne consegue che il permesso di costruire, e gli atti ad
esso presupposti, risultano viziati, oltreché per violazione
della normativa edilizia di riferimento, anche per difetto
d'istruttoria, travisamento e carenza di motivazione
(TAR Toscana, Sez. III,
sentenza
21.06.2016 n. 1049 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno
2015 |
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EDILIZIA
PRIVATA: Ristrutturazione
con modifica dei prospetti e necessità di permesso di
costruire.
Anche le recenti modifiche introdotte,
non hanno prodotto novità per quanto riguarda quelle opere
edilizie che comportino modifica dei prospetti. Il concetto
di prospetto, infatti, non va confuso con quello di sagoma.
Per sagoma deve intendersi la conformazione planovolumetrica
della costruzione ed il suo perimetro, considerato in senso
verticale ed orizzontale, così che solo le aperture che non
prevedano superfici sporgenti vanno escluse dalla nozione
stessa di sagoma. La modifica di prospetti attiene alla
facciata dell'edificio, per cui non va confusa e compresa
nel concetto di sagoma, che indica la forma della
costruzione complessivamente intesa, ovvero il contorno che
assume l'edificio.
I prospetti, in altri termini, costituiscono un quid pluris
rispetto alla sagoma, attenendo all'aspetto esterno, e
quindi al profilo estetico-architettonico dell'edificio. La
chiusura di preesistenti finestre e la loro apertura in
altre parti, l'apertura di balconi in luogo di finestre,
così come l'allargamento del portone di ingresso, essendo
relativi al prospetto, non afferiscono al concetto di
sagoma.
Pertanto un intervento di ristrutturazione edilizia, che ha
visto una parziale demolizione e successiva ricostruzione
del manufatto, mantenendo le medesime dimensioni di quello
preesistente (e quindi la sua sagoma), ma comportando lo
spostamento di una finestra dal lato est -dove veniva
chiusa- al lato nord -dove veniva aperta- (e quindi modifica
dei prospetti) necessitava di permesso di costruire, ai
sensi dell'articolo 10, comma 1, lettera c), d.P.R.
06.06.2001, n. 380.
3. Il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 3, comma 1, lett. d)
(modificato dal D.Lgs. n. 301 del 2002), com'è noto,
definisce ristrutturazione edilizia gli interventi rivolti a
trasformare i manufatti attraverso un insieme sistematico di
opere che possono condurre ad un organismo in tutto o in
parte diverso dal precedente.
Tali interventi possono comportare il ripristino o la
sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio e
la eliminazione, la modifica, l'inserimento di nuovi
elementi o impianti (cfr. questa sez. 3, n. 834 del
04.12.2008 dep. il 13.01.2009).
Orbene, va evidenziato che opere come quelle di cui
all'odierno decidere non hanno visto modificato il loro
regime autorizzatorio in virtù dei recenti e plurimi
interventi normativi che pure hanno interessato negli ultimi
mesi la disciplina urbanistica.
Va ricordato, infatti, che dal 21.08.2013 è in vigore la
legge 09.08.2013, n. 98 di conversione del decreto "del
fare" (D.L. 21.06.2013, n. 69), che ha introdotto in
materia numerose novità, quali: 1) l'eliminazione del
vincolo della sagoma come prescrizione necessaria ai fini
dell'inquadramento degli interventi di demolizione e
ricostruzione nella categoria edilizia della
ristrutturazione edilizia; 2) la previsione nell'ambito
della categoria della ristrutturazione edilizia anche degli
interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti,
purché si possa accertarne la preesistente consistenza; 3)
fatti salvi alcuni casi, l'estensione della SCIA agli
interventi di ristrutturazione edilizia nonché delle cd. "varianti
minori" ai permessi di costruire in caso di modifica
della sagoma.
La nuova definizione di ristrutturazione edilizia
semplifica, dunque, le procedure di rilascio del titolo
abilitativo edilizio, poiché consente di effettuare i lavori
con la segnalazione certificata inizio attività anche nei
casi in cui la ristrutturazione edilizia comporti la
modifica la sagoma dell'edificio preesistente, purché
l'intervento non sia sottoposto a vincolo dei beni culturali
e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22.01.2004,
n. 42, e successive modificazioni.
Negli interventi di ristrutturazione edilizia, dunque, il
legislatore pone particolare attenzione sulla consistenza
volumetrica o alla superficie dell'edificio demolito e
consente invece la sua ricostruzione con sagoma diversa
dalla precedente. La modifica di quest'ultima, in altri
termini, con la sola eccezione degli immobili sottoposti a
vincolo dei beni culturali e del paesaggio, non assume più
rilevanza ai fini della individuazione del permesso di
costruire come titolo abilitativo necessario per
l'intervento di ristrutturazione edilizia.
E' poi intervenuto il decreto-legge n. 133 del 12.09.2014
(il cosiddetto "sblocca Italia") convertito con la
legge 11.11.2014, n. 164, recante "Misure urgenti per
l'apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere
pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione
burocratica, l'emergenza del dissesto idrogeologico e per la
ripresa delle attività' produttive", che ha previsto,
tra l'altro, che tra gli interventi di manutenzione
straordinaria, vengono ora ricompresi anche quelli volti al
frazionamento o accorpamento di unità immobiliari con
esecuzione di opere anche se comportanti la variazione delle
superfici delle singole unità immobiliari nonché del carico
urbanistico purché non sia modificata la volumetria
complessiva degli edifici e si mantenga l'originaria
destinazione d'uso.
4. Tuttavia, come si diceva, anche le modifiche introdotte,
non hanno prodotto novità per quanto riguarda quelle opere
edilizie che, come nel caso che ci occupa, comportino
modifica dei prospetti.
Il concetto di prospetto, infatti, non va confuso con quello
di sagoma. Questa Corte di legittimità ha in più occasioni
sottolineato come per sagoma debba intendersi la
conformazione planivolumetrica della costruzione ed il suo
perimetro, considerato in senso verticale ed orizzontale,
così che solo le aperture che non prevedano superfici
sporgenti vanno escluse dalla nozione stessa di sagoma (cfr
questa sez. 3, n. 19034 del 18.3.2004 , Calzoni, rv.
228624).
Coerentemente con quanto afferma sul punto anche la
giurisprudenza amministrativa (cfr. TAR Puglia, Bari, sez.
3, 22.07.2004, n. 3210) la modifica di prospetti attiene
alla facciata dell'edificio, per cui non va confusa e
compresa nel concetto di sagoma, che indica la forma della
costruzione complessivamente intesa, ovvero il contorno che
assume l'edificio.
I prospetti, in altri termini, costituiscono un quid
pluris rispetto alla sagoma, attenendo all'aspetto
esterno, e quindi al profilo estetico-architettonico
dell'edificio.
La chiusura di preesistenti finestre e la loro apertura in
altre parti, l'apertura di balconi in luogo di finestre,
così come l'allargamento del portone di ingresso, essendo
relativi al prospetto, non afferiscono al concetto di
sagoma.
Pertanto un intervento di ristrutturazione edilizia come
quello del 410 caso che ci occupa, che ha visto una parziale
demolizione e successiva ricostruzione del manufatto,
mantenendo le medesime dimensioni di quello preesistente (e
quindi la sua sagoma), ma comportando lo spostamento di una
finestra dal lato est -dove veniva chiusa- al lato nord
-dove veniva aperta- (e quindi modifica dei prospetti)
necessitava di permesso di costruire, ai sensi dell'articolo
10, comma 1, lettera c), d.P.R. 06.06.2001, n. 380
(Corte
di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 20.05.2015 n. 20846 -
tratto da www.lexambiente.it). |
anno
2014 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Concetto di sagoma di un edificio.
Relativamente al concetto di “sagoma” di un edificio, essa è
da intendersi -secondo l’insegnamento giurisprudenziale- come
la conformazione planovolumetrica della costruzione ed il
suo perimetro considerato in senso verticale ed orizzontale,
ovvero il contorno che viene ad assumere l’edificio, ivi
comprese le strutture perimetrali con gli aggetti e gli
sporti.
La nozione di <ristrutturazione edilizia> ci è
fornita dall’art. 3, comma 1, lett. d), del DPR n. 380 del
2001 che, per quel che qui rileva, ricomprende in essa anche
gli interventi “consistenti nella demolizione e
ricostruzione” di fabbricati esistenti, purché la
ricostruzione avvenga “con la stessa volumetria e sagoma”
dell’edificio demolito.
Quello richiamato è il testo dell’art. 3 cit. successivo al
d.lgs. n. 301 del 2002, la sua versione originaria essendo
ancora più restrittiva, giacché rientravano negli interventi
di <ristrutturazione edilizia> solo “quelli
consistenti nella demolizione e successiva fedele
ricostruzione di un fabbricato identico quanto a sagoma,
volumi, area di sedime e caratteristiche dei materiali,
fatte salve le sole innovazioni necessarie per l’adeguamento
alla normativa antisismica”.
In ogni caso, anche nel testo successivo al 2002, rientrano
nella <ristrutturazione edilizia> solo gli interventi
di demolizione e ricostruzione che rispettino il vincolo di
“volume” e “sagoma”. È solo con l’art. 30 del
decreto-legge 21.06.2013, n. 69 che il legislatore ha
espunto dall’art. 3, comma 1, lett. d) del DPR n. 380 del
2001 il riferimento alla “sagoma”, lasciando in
quella norma solo la menzione del vincolo di “volume”,
ma si tratta di normativa non rilevante al fine del presente
giudizio, giacché ai sensi del suo comma 6, le disposizioni
dell’art. 30 cit. si applicano dalla data di entrata in
vigore della legge di conversione del decreto-legge, cioè
dall’entrata in vigore della legge 09.08.2013, n. 98, quindi
successivamente all’emanazione del provvedimento oggetto del
presente giudizio.
D’altra parte, con riferimento al periodo anteriore a
decreto-legge n. 69 del 2013 (o meglio alla sua conversione
in legge), il vincolo della “sagoma” al fine di poter
ricondurre un intervento edilizio di demolizione e
ricostruzione alla <ristrutturazione edilizia> era
del tutto cogente anche per il legislatore regionale, come
ha chiarito la Corte costituzionale nella sentenza
23.11.2011, n. 309, che ha dichiarato illegittima una
previsione della legislazione regionale della Lombardia che
definiva come ristrutturazione edilizia interventi di
demolizione e ricostruzione senza il vincolo della sagoma.
Nella legislazione regionale della Toscana, ai sensi
dell’art. 79, comma 2, lett. d), della legge n. 1 del 2005
si ha <ristrutturazione edilizia> in caso “demolizioni
con fedele ricostruzione degli edifici, intendendo per
fedele ricostruzione quella realizzata con gli stessi
materiali o con materiali analoghi prescritti dagli atti di
cui all’articolo 52 oppure dal regolamento edilizio, nonché
nella stessa collocazione e con lo stesso ingombro
planivolumetrico, fatte salve esclusivamente le innovazioni
necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica”;
ai sensi invece dell’art. 78, comma 1, lett. h), della
stessa legge regionale n. 1 del 2005 si ha <sostituzione
edilizia> in presenza di interventi di “demolizione e
ricostruzione di volumi esistenti non assimilabili alla
ristrutturazione edilizia eseguiti anche con contestuale
incremento volumetrico, diversa articolazione, collocazione
e destinazione d’uso, a condizione che non si determini
modificazione del disegno dei lotti, degli isolati e della
rete stradale e che non si renda necessario alcun intervento
sulle opere di urbanizzazione”.
Dunque la categoria della <sostituzione edilizia>,
estranea alla disciplina statale, ricomprende interventi non
riconducibili alla nozione di <ristrutturazione edilizia>
e che costituiscono, sia nella legislazione statale che in
quella regionale, interventi di nuova edificazione.
Risulta quindi rilevante, alla luce della normativa
applicabile nel presente giudizio, il concetto di “sagoma”,
giacché la sua modificazione comporta, con riferimento agli
interventi di demolizione e ricostruzione, il passaggio
dall’istituto della <ristrutturazione edilizia> a
quello della <sostituzione edilizia>.
Quanto al concetto di “sagoma”, essa è da intendersi,
secondo l’insegnamento giurisprudenziale, come la
conformazione planovolumetrica della costruzione ed il suo
perimetro considerato in senso verticale ed orizzontale,
ovvero il contorno che viene ad assumere l’edificio, ivi
comprese le strutture perimetrali con gli aggetti e gli
sporti (cfr. Cons. Stato, Sez. 6^, 15.03.2013, n. 1564;
Corte cost. 23.11.2011, n. 309; Cass. Pen., sez. 3^,
09.10.2008, 38408 e 06.02.2001, n. 9427).
Avendo riguardo a tale concetto non par dubbio che nella
specie l’edificio progettato e autorizzato con il
provvedimento gravato comporti, rispetto a quello demolito,
una modificazione di sagoma, risultando ciò dagli elaborati
progettuali versati in atti e dagli stessi rilievi delle
parti negli atti di giudizio. In particolare è evidente il
diverso disegno e le diverse caratteristiche che il nuovo
edificio assume rispetto al vecchio se si tiene conto del
passaggio da una copertura tradizionale a falde inclinate ad
una copertura del nuovo edificio con andamento
semicircolare, delle modifiche degli aggetti e dei prospetti
e scale di accesso (ammesse anche dalla controinteressata),
del rialzamento del colmo della copertura di 80 cm misurati
esternamente (ammesso dalla controinteressata).
La diversità di sagoma, con riferimento al primo piano, è
stata accertata anche nella svolta verificazione (pagg. 16 e
19 della relazione finale; il verificatore, con riferimento
al primo piano, afferma che è stato totalmente reimpostato “cambiandone
completamente perimetro e sagoma”), il che conforta le
svolte considerazioni. Ne discende che la “sagoma”
del nuovo progettato edificio, da valutarsi come intervento
unitario, è sicuramente variata, il che esclude la sua
riconducibilità alla <ristrutturazione edilizia> e il
suo qualificarsi come <sostituzione edilizia>, il che
comporta la configurazione dell’intervento stesso come nuova
costruzione e non già come intervento sostanzialmente
conservativo della pregressa edificazione, con le
conseguenze che ne discendono (TAR
Toscana, Sez. III,
sentenza 21.01.2014 n. 156 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno
2013 |
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EDILIZIA PRIVATA: Va
rilevato come l’edificazione dei cinque abbaini in luogo dei
preesistenti lucernai abbia indubbiamente determinato
un’alterazione della sagoma dell’edificio, comportando
altresì un aumento della volumetria.
Stante la rilevanza edilizia delle opere, che hanno
comportato una sopraelevazione ed un incremento dell’altezza
massima relativamente alle diagonali della precedente
copertura, nonché un incremento di volume in rapporto alla
sostituzione di ciascun lucernaio con un abbaino, è indubbio
che ci si trovi di fronte ad un significativo mutamento
della preesistente costruzione, con una parziale costruzione
‘nuova’ in senso tecnico.
Per la giurisprudenza che la Sezione condivide e fa propria,
una sopraelevazione, pur se di ridotte dimensioni, nella
parte in cui determini aumento della volumetria e della
superficie di ingombro, va qualificata come nuova
costruzione.
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La distanza tra gli edifici va calcolata con riferimento ad
ogni punto dei fabbricati e non alle sole parti che si
fronteggiano, sicché nella specie risulta illegittimo l’atto
che ha consentito la creazione di una sopraelevazione, nella
forma di un abbaino, in sostituzione di un preesistente
lucernaio, che ha determinato, per alcune parti del tetto,
una distanza inferiore a quella prevista per le nuove
costruzioni dalle NTA.
Sotto un profilo fattuale, va rilevato
come l’edificazione dei cinque abbaini in luogo dei
preesistenti lucernai abbia indubbiamente determinato
un’alterazione della sagoma dell’edificio, comportando
altresì un aumento della volumetria.
Stante la rilevanza edilizia delle opere, che hanno
comportato una sopraelevazione ed un incremento dell’altezza
massima relativamente alle diagonali della precedente
copertura, nonché un incremento di volume in rapporto alla
sostituzione di ciascun lucernaio con un abbaino, è indubbio
che ci si trovi di fronte ad un significativo mutamento
della preesistente costruzione, con una parziale costruzione
‘nuova’ in senso tecnico.
Per la giurisprudenza che la Sezione condivide e fa propria,
una sopraelevazione, pur se di ridotte dimensioni, nella
parte in cui determini aumento della volumetria e della
superficie di ingombro, va qualificata come nuova
costruzione (Cassazione civile, Sezione terza, 01.10.2009, n. 21059).
Le nuove opere così realizzate, in ragione della loro
rilevanza, non potevano quindi considerarsi sottratte
all’obbligo del rispetto delle distanze minime (5 metri) di
cui all’art. 16 delle NTA del piano regolatore comunale di
Vercelli.
La risalenza dell’edificio (nella sua originaria
consistenza) esclude, evidentemente, che debba richiedersi
‘retroattivamente’ –a seguito delle modifiche apportate–
il rispetto della distanza di cinque metri, oggi prevista
dalle NTA: è ovvio che una disposizione (di per sé
innovativa) sulle distanze non rende contra ius un manufatto
realizzato in precedenza.
Tuttavia, non può ammettersi che le modifiche dell’edificio
comportino una distanza tra i due edifici che sia inferiore
alla misura imposta da una disposizione nel frattempo
entrata in vigore: l’art. 16 si applica senz’altro per la
nuova costruzione che si intenda realizzare su un edificio
preesistente.
Peraltro, la distanza tra gli edifici va calcolata con
riferimento ad ogni punto dei fabbricati e non alle sole
parti che si fronteggiano (Consiglio di Stato Sezione
Quarta, 02.11.2010, n. 7731, e 05.12.2005, n.
6909), sicché nella specie risulta illegittimo l’atto che ha
consentito la creazione di una sopraelevazione, nella forma
di un abbaino, in sostituzione di un preesistente lucernaio,
che ha determinato, per alcune parti del tetto, una distanza
inferiore a quella prevista per le nuove costruzioni dalle NTA
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 11.09.2013 n. 4501 - link a www.giustizia-amministrativa). |
EDILIZIA PRIVATA:
La sagoma, cioè
il perimetro verticale ed orizzontale e/o il contorno che
viene ad assumere l’edificio, è una cosa diversa dai
prospetti, che consistono nelle aperture sulla sagoma del
fabbricato, cioè sulle pareti esterne, senza superfici
sporgenti.
Comunque, va
rilevato che la domanda di SCIA in sanatoria, presentata il
10.08.2012, può essere qualificata come un’istanza di
permesso di costruire in sanatoria ex art. 36 DPR n.
380/2001, per cui possono essere sanate sia la modifica dei
prospetti (precisamente chiusura delle aperture esistenti e
realizzazione di finestre a nastro, ricavate tra le
capriate, e di un ampio portone di accesso), sia la sopra
descritta sostituzione del solaio di copertura.
Al riguardo, va rilevato che per le ristrutturazioni
edilizie modificative dei prospetti (nella specie: chiusura
delle preesistenti finestre e loro apertura in altre parti,
nonché allargamento del portone di ingresso), l’art. 10,
comma 1, lett. c), DPR n. 380/2001 prescrive il permesso di
costruire.
Inoltre, l’art. 3, comma 1, lett. d), DPR n. 380/2001
statuisce che gli interventi di ristrutturazione edilizia,
anche se consistenti nella demolizione e ricostruzione di un
intero immobile, devono essere realizzati “con la stessa
volumetria e sagoma di quello preesistente, fatte salve le
sole innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa
antisismica”.
Ma la sagoma, cioè il perimetro verticale ed orizzontale e/o
il contorno che viene ad assumere l’edificio, è una cosa
diversa dai prospetti, che consistono nelle aperture sulla
sagoma del fabbricato, cioè sulle pareti esterne, senza
superfici sporgenti (cfr. TAR Bari Sez. III Sent. n. 54 del
14.01.2013; TAR Bologna Sez. I Sent. n. 787 del 28.12.2012;
TAR Milano Sez. II Sent. n. 2232 del 05.09.2012; TAR Lecce
Sez. I Sent. n. 232 del 21.01.2003; TAR Basilicata Sent. n.
628 del 17.10.2002; Cass. Pen. Sez. III Sent. n. 8303 del
09.02.2006; CONTRA TAR Napoli Sez. IV Sent. n. 9951 del
21.08.2008; TAR Bari Sez. III Sent. n. 3210 del 22.07.2004,
secondo cui le superfici aggettanti, come per es. i balconi,
non possono essere configurate come modifiche della sagoma)
(TAR Basilicata,
sentenza 21.06.2013 n. 361 - link a
www.giustizia-amministrativa). |
EDILIZIA PRIVATA: La
sagoma di una costruzione concerne il contorno che viene ad
assumere l'edificio ivi comprese le strutture perimetrali
con gli aggetti e gli sporti, sicché solo le aperture che
non prevedano superfici sporgenti rientrano nella nozione di
sagoma e sono sottoposte al regime delle c.d. varianti in
corso d'opera.
Con la sentenza in epigrafe il Gip del tribunale di Cuneo
dichiarò C.M. colpevole del reato di cui all'art. 44, lett. a), d.p.R.
06.06.2001, n.
380, per avere, quale direttore dei lavori, realizzato, in
parziale difformità dalla
DIA, una tettoia a copertura della scala di accesso al piano
seminterrato,
condannandolo alla pena dell'ammenda ritenuta di giustizia.
Osservò il giudice che la tettoia in questione era stata poi
demolita; che
essa aveva alterato la sagoma dell'edificio, e comunque che
violava le NTA del
PRG perché non poteva equipararsi ad una pensilina e quindi
avrebbe dovuto
rispettare la distanza di m. 10 dalla strada vicinale.
L'imputato propone ricorso per cassazione deducendo erronea
applicazione dell'art. 44, lett. a), d.p.R. 06.06.2001,
n. 380, e dell'art. 87
delle NTA. Osserva che la scala di accesso dall'esterno al
piano interrato era già
esistente e che la stessa era contornata da tre muri
perimetrali.
L'intervento era
consistito unicamente nella copertura di questa struttura.
Pertanto non era stata
modificata la sagoma e non erano state violate le distanze
dalla strada vicinale,
perché il preesistente filo di fabbricazione non è stato
variato.
...
Il ricorso è fondato.
Dalla sentenza impugnata risulta:
- che esisteva già una
scala di accesso al
piano interrato situata all'esterno dell'edificio principale
sul lato sud;
- che la
scala era contornata da tre muri perimetrali, ma priva di
copertura;
- che
l'intervento in questione è consistito nell'apporre un tetto
a copertura di questa
struttura muraria già esistente;
- che la sua situazione
anteriore corrisponde a
quella attuale conseguente alla demolizione della struttura
di copertura.
Il giudice ha giustamente ritenuto erronea la tesi del
responsabile
dell'ufficio tecnico comunale, secondo cui l'intervento
andrebbe qualificato
come «ampliamento» sicché mancherebbe la distanza di 10
metri dalla strada
vicinale, come prescritto dall'art. 87, comma 1, lett. J,
delle NTA del comune di
Fossano.
Il giudice, peraltro, ha ritenuto ugualmente configurabile
il reato innanzitutto
perché sarebbe mutata la sagoma dell'edificio, come
risulterebbe anche da
due sentenze di questa Corte. Sennonché, va in primo luogo
rilevato che con il
capo di imputazione non risulta contestato il cambiamento di
sagoma, ma unicamente
la violazione delle distanze dalla strada vicinale.
In
secondo luogo, una
delle due massime citate (Sez. III, 09.02.1998, n. 3849, Maffullo, m. 210647) -dopo aver affermato il principio che «La sagoma di una
costruzione concerne il
contorno che viene ad assumere l'edificio ivi comprese le
strutture perimetrali
con gli aggetti e gli sporti, sicché solo le aperture che
non prevedano superfici
sporgenti rientrano nella nozione di sagoma e sono
sottoposte al regime delle
c.d. varianti in corso d'opera»- si riferisce alla
realizzazione ex novo di una
scala esterna di accesso al primo piano, che pertanto aveva
alterato la sagoma
dell'edificio ed impedito la sanatoria, integrando l'ipotesi
della parziale difformità.
Nella specie, invece, la scala già esisteva, compresi i muri
perimetrali e
l'opera è consistita unicamente nel coprire con un tetto una
struttura muraria già
esistente.
In terzo luogo, la seconda massima citata (Sez.
111, 09.02.2006, n. 8303,
Nardini, m. 233563) ribadisce il principio che «In tema di
disciplina edilizia,
rientrano nel concetto di sagoma di una costruzione tutte le
strutture perimetrali
come gli aggetti e gli sporti, restandone escluse le sole
aperture che non
prevedono superfici sporgenti, soltanto per le quali è
consentita la procedura
della denunzia di inizio attività per varianti in corso
d'opera».
Nella specie,
pertanto, non si comprende come possa ritenersi alterata la
sagoma, dal momento
che dalla sentenza impugnata non risultano realizzati,
rispetto all'edificio
preesistente, nuovi aggetti o sporti o nuove strutture
perimetrali, bensì solo la
copertura di una preesistente struttura.
Del resto, il giudice non insiste sulla (non contestata)
alterazione della sagoma
e sembra fondare la sua decisione unicamente sulla
violazione dell'art.
87, comma 1, lett. j, della NTA del PRG, secondo il quale la
distanza rispetto
alla strada vicinale di almeno 10 metri, va riferita al filo
di fabbricazione, il
quale è dato dal perimetro esterno delle pareti della
costruzione, con esclusione
degli elementi decorativi, dei cornicioni, delle pensiline,
dei balconi e delle altre
analoghe opere, aggettanti per non più di m. 1,50, mentre
sono inclusi nel
perimetro le verande, gli elementi portanti in risalto, gli
spazi porticati, i vani semiaperti di scale e ascensori. Il
giudice ha quindi ritenuto che l'opera in questione,
ai fini del calcolo della distanza della costruzione dal
ciglio stradale, andava
«inclusa nel perimetro esterno, non essendo la stessa
equiparabile a una
semplice "pensilina", posto che poggia su pilastri infissi
nel suolo».
Sennonché, giustamente la difesa osserva che il giudice non
ha considerato
che tale perimetro esterno già preesisteva, dal momento che
i muri esterni della
scala non erano stati oggetto d'intervento, che era
consistito unicamente nella
posa del tetto. Di conseguenza, proprio sulla base della
norma regolamentare richiamata
dal giudice, deve concludersi nel senso che il preesistente
filo di fabbricazione
non fu variato. E del resto, la norma regolamentare citata
include espressamente
nel perimetro esterno «i vani semi-aperti di scale e
ascensori».
Nella specie risulta appunto già esistente un vano chiuso su
tre lati e privo di
copertura, che dunque costituiva vano semiaperto e che
pertanto era incluso nel
perimetro esterno della costruzione. L'opera contestata
consiste appunto nella
realizzazione del tetto di questo vano semiaperto, che non
aggetta certamente
per più di 1,5 m. e che di conseguenza non è computabile ai
fini della distanza.
In conclusione, è chiaro l'errore in cui è incorso il
giudice nel ritenere che
l'intervento sia consistito nella realizzazione di una
tettoia, la quale è un manufatto
composto da una struttura di sostegno (pilastri o muri) e da
un tetto di copertura.
Nel caso in esame, invece, la struttura di sostegno era già
preesistente e
costituiva a tutti gli effetti «perimetro esterno» ai sensi
dell'art. 16 della NTA
del PRG del comune di Fossano. L'apposizione di un tetto
aggettante per meno
di m. 1,50 non ha perciò variato il perimetro esterno e
dunque non ha violato la
distanza di m. 10 dalla adiacente strada vicinale.
Risulta quindi evidente che la violazione contestata con il
capo di imputazione
non sussiste. La sentenza impugnata deve pertanto essere
annullata senza
rinvio perché il fatto non sussiste (Corte di Cassazione,
Sez. III penale,
sentenza 27.03.2013
n. 14417). |
EDILIZIA PRIVATA: La
definizione della “sagoma” di un edificio è la
“conformazione planovolumetrica della costruzione ed il suo
perimetro considerato in senso verticale ed orizzontale,
ovvero il contorno che viene ad assumere l’edificio, ivi
comprese le strutture perimetrali con gli aggetti e gli
sporti”.
La definizione della “sagoma” di un edificio accolta
dal primo giudice, quale “conformazione planovolumetrica
della costruzione ed il suo perimetro considerato in senso
verticale ed orizzontale, ovvero il contorno che viene ad
assumere l’edificio, ivi comprese le strutture perimetrali
con gli aggetti e gli sporti”, è quella consolidata in
giurisprudenza, anche penale (cfr. Cass., III: 09.10.2008,
n. 38408; 06.02.2001, n. 9427), e da ultimo ripresa dalla
Corte costituzionale (sentenza 23.11.2011, n. 309) a
proposito della stessa l.r. Lombardia n. 12 del 2005.
A questi fini rileva la qualificazione dell’intervento che,
con la d.i.a. del 2010, è stato riferito agli articoli 63,
64 e 65 della legge regionale n. 12 del 2005, individuandosi
di conseguenza quale “ristrutturazione edilizia”
(art. 64, comma 2, con rinvio all’art. 27, comma 1, lett. d)
e perciò vincolata in linea di principio alla non
modificazione della sagoma dell’edificio, ai sensi della
normativa regionale e statale [(art. 3, comma 1, lett. d),
d.P.R. 06.06.2001, n. 380)]
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 15.03.2013 n. 1564 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Nozione di sagoma ex d.P.R. 380/2001.
In base alla normativa statale di principio d.P.R. 380/2001,
un intervento di demolizione e ricostruzione che non
rispetti la sagoma dell'edificio preesistente, intesa
quest'ultima come la conformazione planivolumetrica della
costruzione e il suo perimetro considerato in senso
verticale e orizzontale, configura un intervento di nuova
costruzione e non di ristrutturazione edilizia.
La nozione
di sagoma di cui all’art. 3, comma 1, lett. d), del d.P.R. 06.06.2001, n. 380 “Testo unico delle disposizioni
legislative e regolamentari in materia edilizia” definisce
gli "interventi di ristrutturazione edilizia", come “gli
interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi
mediante un insieme sistematico di opere che possono portare
ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal
precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la
sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio,
l'eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi
elementi ed impianti.
Nell'ambito degli interventi di
ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli
consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa
volumetria e sagoma di quello preesistente, fatte salve le
sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa
antisismica”) comprende l’intera conformazione planivolumetrica della costruzione e il suo perimetro
considerato in senso verticale e orizzontale e, con
sequenzialmente, anche il rispetto della pregressa area di
sedime.
La questione centrale da esaminare nella fattispecie in
scrutinio è la riconducibilità dell’intervento proposto
nell’area nozionale degli interventi sull’esistente, e in
particolare della ristrutturazione edilizia, atteso che
l’intervento edilizio de qua, in disparte le considerazioni
sui profili volumetrici, viene realizzato mediante la
demolizione degli edifici preesistenti e la loro
collocazione in una area di sedime diversa, oppure al
contrario in quella di opera di nuova costruzione.
Proprio il tema della rilevanza del concetto di sedime
appare, in effetti, oggetto di discussione nell’ambito della
nozione di ristrutturazione edilizia.
La circolare 07.08.2003 n. 4174 del Ministero delle
infrastrutture e dei trasporti, intitolata “Decreto del
Presidente della Repubblica 06.06.2001, n. 380, come
modificato ed integrato dal decreto legislativo 27.12.2002,
n. 301. Chiarimenti interpretativi in ordine alla inclusione
dell'intervento di demolizione e ricostruzione nella
categoria della ristrutturazione edilizia”, esaminata la
definizione di ristrutturazione edilizia ed evidenziato che
questa non richiama più il concetto di “area di sedime”,
afferma espressamente: “non si ritiene che l'esclusione
di tale riferimento possa consentire la ricostruzione
dell'edificio in altro sito, ovvero posizionarlo all'interno
dello stesso lotto in maniera del tutto discrezionale. La
prima ipotesi è esclusa dal fatto che, comunque, si tratta
di un intervento incluso nelle categorie del recupero, per
cui una localizzazione in altro ambito risulterebbe
palesemente in contrasto con tale obiettivo; quanto alla
seconda ipotesi si ritiene che debbono considerarsi
ammissibili, in sede di ristrutturazione edilizia, solo
modifiche di collocazione rispetto alla precedente area di
sedime, sempreché rientrino nelle varianti non essenziali,
ed a questo fine il riferimento è nelle definizioni
stabilite dalle leggi regionali in attuazione dell'art. 32
del Testo unico. Resta in ogni caso possibile, nel diverso
posizionamento dell'edificio, adeguarsi alle disposizioni
contenute nella strumentazione urbanistica vigente per
quanto attiene allineamenti, distanze e distacchi”.
Rispetto a questa posizione ministeriale, di parziale
apertura almeno alle dislocazioni interne al lotto, si
riscontrano invece posizioni della giurisprudenza orientate
in senso opposto (Consiglio di Stato, sez. VI, 16.12.2008 n.
6214; Consiglio di Stato, sez. V, 15.04.2004 n. 2142, per
l’espressa affermazione che la ristrutturazione edilizia
individua un intervento dove non si assista ad alcun
incremento per i volumi, le sagome e le superfici, salvo una
diversa distribuzione di quelle assentite, né una maggiore o
diversa occupazione delle aree di sedime), evidenziando come
lo spostamento della collocazione del manufatto costituisce
una nuova costruzione e non un intervento sull’esistente.
La lettura in senso restrittivo della nozione di
ristrutturazione urbanistica, così sostenuta, ha ricevuto
poi un avallo autorevolissimo dalla giurisprudenza
costituzionale, dove si legge (Corte Costituzionale,
23.11.2011 n. 309) in maniera assolutamente lineare e
condivisibile che “in base alla normativa statale di
principio, quindi, un intervento di demolizione e
ricostruzione che non rispetti la sagoma dell'edificio
preesistente -intesa quest'ultima come la conformazione
planivolumetrica della costruzione e il suo perimetro
considerato in senso verticale e orizzontale- configura un
intervento di nuova costruzione e non di ristrutturazione
edilizia”.
Pertanto, la nozione di sagoma di cui all’art. 3, comma 1,
lett. d), del d.P.R. 06.06.2001, n. 380 “Testo unico
delle disposizioni legislative e regolamentari in materia
edilizia” (che definisce gli "interventi di
ristrutturazione edilizia", come “gli interventi
rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un
insieme sistematico di opere che possono portare ad un
organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal
precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la
sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio,
l'eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi
elementi ed impianti. Nell'ambito degli interventi di
ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli
consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa
volumetria e sagoma di quello preesistente, fatte salve le
sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa
antisismica”) comprende l’intera conformazione
planivolumetrica della costruzione e il suo perimetro
considerato in senso verticale e orizzontale e, con
sequenzialmente, anche il rispetto della pregressa area di
sedime.
Inoltre, proprio il riferimento alla conformazione
planovolumetrica e alla prevalenza delle definizioni di cui
al testo unico dell’edilizia, elementi contenuti nella
pronuncia della Corte costituzionale sopra citata, consente
di ritenere superate le voci difformi alla lettura
restrittiva qui proposta (tra tutte, Consiglio di Stato,
sez. V, 27.04.2006 n. 2364, in merito alla prevalenza della
normativa tecnica di p.r.g. che consentiva la sostituzione
dell'organismo con altro in parte o in tutto diverso dal
precedente, anche dal punto di vista del sedime).
Non può quindi condividersi la ricostruzione fatta dalla
parte appellata che vede lo spostamento dell’area di sedime
come fatto di minor rilievo dal punto di vista edilizio e
qualificabile come profilo legittimo della ristrutturazione
edilizia. Al contrario, il manufatto qui in esame è da
considerarsi edificio di nuova costruzione, e come tale
soggetto a una disciplina diversa, ben più restrittiva
(massima tratta da www.lexambiente.it -
Consiglio di Stato, Sez, IV,
sentenza 22.01.2013 n. 365
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno
2012 |
|
EDILIZIA
PRIVATA:
Per “sagoma” dell'edificio preesistente deve intendersi <<la
conformazione plano-volumetrica della costruzione e il suo
perimetro considerato in senso verticale e orizzontale>>.
La creazione di balconi e l'apertura di finestre,
modificando il prospetto principale dell'abitazione, non
sono da considerare quale opera di manutenzione
straordinaria e ciò si verifica anche se non venga alterata
la volumetria dell'edificio, perché nuovi balconi e nuove
finestre ne alterano i prospetti ed, in definitiva, la
sagoma.
Appare altresì opportuno
precisare che per “sagoma” dell'edificio preesistente
deve intendersi <<la conformazione plano-volumetrica
della costruzione e il suo perimetro considerato in senso
verticale e orizzontale>> (Corte Costituzionale,
23.11.2011, n. 309; TAR Emilia Romagna, Bologna, sez. I,
29.06.2012, n. 463) ed inoltre che, secondo la
giurisprudenza amministrativa, <<la creazione di balconi
e l'apertura di finestre, modificando il prospetto
principale dell'abitazione, non sono da considerare quale
opera di manutenzione straordinaria e ciò si verifica anche
se non venga alterata la volumetria dell'edificio, perché
nuovi balconi e nuove finestre ne alterano i prospetti ed,
in definitiva, la sagoma>> (cfr. C.d.S., Sez. I,
09.05.2012, n. 380)
(TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 26.10.2012 n. 4288 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA-PRIVATA:
L'edificazione di abbaini sul
tetto, contraddistinti da rilevanti
dimensioni tali da trasformare la struttura
preesistente, con conseguente creazione di
nuovi spazi interni dapprima non
utilizzabili per esigenze abitative,
comporta aumento di volumetria, incidendo
significativamente sulla sagoma
dell'edificio. Del resto, la realizzazione
di tali nuove strutture coperte laddove
prima esse non esistevano, implica una
radicale trasformazione della sagoma del
tetto.
Le opere così realizzate, pertanto, proprio
in virtù della loro rilevanza edilizia, non
possono considerarsi sottratte all'obbligo
generale del rispetto delle distanze. Ed
infatti, gli aumenti della volumetria o
delle superfici occupate, in relazione
all'originaria sagoma di ingombro, anche
qualora siano definiti come
ristrutturazione, sono rilevanti ai fini del
computo delle distanze rispetto agli edifici
contigui, come previste dagli strumenti
urbanistici locali.
---------------
Le distanze tra edifici, anche in relazione
a quanto previsto dal d.m. n. 1444 del 1968,
vanno calcolate con riferimento ad ogni
punto dei fabbricati e non alle sole parti
che si fronteggiano e a tutte le pareti
finestrate e non solo a quella principale,
prescindendo anche dal fatto che esse siano
o meno in posizione parallela.
Nel merito si deve osservare, innanzi tutto,
che l’edificazione dei cinque “abbaini”
sul tetto dell’edificio di proprietà del
controinteressato ha determinato un’evidente
alterazione della sagoma di esso insieme ad
un innegabile avanzamento (nonché
innalzamento) della struttura coperta. Sono
stati, infatti, ricavati cinque spazi chiusi
innestati sulla superficie curva del tetto
con altrettante strutture aventi
pavimentazione piana, che fuoriescono
notevolmente dalla struttura preesistente,
con altezza pari a m. 3,20 (cfr. tavola n.
3/5 del progetto: doc. n. 20 del
controinteressato) tale da poter essere
sfruttata anche per esigenze abitative.
Deve, in proposito, richiamarsi la
giurisprudenza amministrativa dominante,
secondo la quale l’edificazione di abbaini
sul tetto, caratterizzati da rilevanti
dimensioni tali da trasformare la struttura
preesistente, con conseguente creazione di
nuovi spazi interni dapprima non
utilizzabili per esigenze abitative,
comporta aumento di volumetria ed incide
significativamente sulla sagoma
dell’edificio (cfr. ex multis: TAR
Veneto, sez. II, n. 1692 del 2003; Cons.
Stato, sez. V, n. 689 del 1996; TAR
Campania, Napoli, sez. VII, n. 13309 del
2010).
Non può avere rilevanza, in proposito,
quanto eccepiscono in fatto
l’amministrazione resistente e il
controinteressato, ossia che le cinque nuove
strutture non fuoriescono né rispetto al
filo di gronda né rispetto al colmo del
tetto: se ciò è vero, è anche vero però che
sono state realizzate nuove strutture
coperte laddove prima esse non esistevano,
ossia previa occupazione di spazi (sia verso
l’esterno, sia verso l’alto) prima liberi,
con conseguente radicale trasformazione
della sagoma del tetto.
Le opere così realizzate, pertanto, proprio
per effetto della loro rilevanza edilizia,
non potevano non considerarsi sottratte
all’obbligo generale del rispetto delle
distanze: come si precisa in giurisprudenza,
infatti, gli aumenti della volumetria o
delle superfici occupate, in relazione
all’originaria sagoma di ingombro, anche
qualora siano definiti come “ristrutturazione”,
sono rilevanti ai fini del computo delle
distanze rispetto agli edifici contigui,
come previste dagli strumenti urbanistici
locali (cfr., ad es.: Cassaz. civ., sez.
un., n. 21578 del 2011; TAR Lombardia,
Milano, sez. II, n. 7505 del 2010; TAR
Liguria, sez. I, n. 3566 del 2009).
L’assunto, del resto, trova conferma anche
in quelle pronunce giurisprudenziali (come
Cons. Stato, sez. IV, n. 5490 del 2011,
invocata dall’amministrazione resistente)
che, pur ricordando che gli interventi di
ristrutturazione effettuati sopra un
manufatto già esistente non impongono il
rispetto delle distanze minime, evidenziano
però l’inoperatività di tale “principio”
allorché risulti essere stata realizzata “un'opera
difforme da quella preesistente per sagoma,
volume e superficie, anche in termini di
ampliamento e sopraelevazione” (così,
per l’appunto, Cons. Stato n. 5490 del 2011,
cit.), come è avvenuto nel caso oggetto del
presente giudizio.
---------------
Quanto, poi, all’ulteriore circostanza di
fatto (evidenziata dal controinteressato)
che i due edifici “non si fronteggiano e
non vi è pericolo di creazione di
intercapedini nocive”, si deve comunque
osservare che le distanze tra edifici, anche
in relazione a quanto previsto dal d.m. n.
1444 del 1968, vanno calcolate con
riferimento ad ogni punto dei fabbricati e
non alle sole parti che si fronteggiano e a
tutte le pareti finestrate e non solo a
quella principale, prescindendo anche dal
fatto che esse siano o meno in posizione
parallela (cfr., ex multis, Cons.
Stato, sez. IV, n. 7731 del 2010 e n. 6909
del 2005) (TAR Piemonte, Sez. II,
sentenza 05.07.2012 n. 807 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Per il concetto di "sagoma" deve intendersi
la conformazione planovolumetrica della
costruzione ed il suo perimetro considerato
in senso verticale ed orizzontale, ovvero il
contorno che viene ad assumere l’edificio,
ivi comprese le strutture perimetrali con
gli aggetti e gli sporti.
Come chiaramente emerge dalla documentazione
versata in atti e non oggetto di
contestazione fra le parti, l’intervento in
questione concerne la demolizione di
preesistenti fabbricati, con successiva
attività ricostruttiva senza il rispetto
della sagoma (anzi, con parziale traslazione
del sedime).
In siffatte evenienze, stando alla normativa
nazionale, si è in presenza di un intervento
di nuova costruzione, non potendo
l’intervento medesimo rientrare fra quelli
di ristrutturazione edilizia che, stando
alla lettera dell’art. 3, co. 1, lett. d),
del d.P.R. cit., postula l’identità di
sagoma fra l’immobile demolito e quello
ricostruito.
In tal senso, è utile rammentare come,
secondo la giurisprudenza pressoché unanime,
esigenze di interpretazione
logico-sistematica della succitata normativa
inducano a ritenere che la ristrutturazione
edilizia, per essere tale e non finire per
coincidere con la nuova costruzione, debba
conservare le caratteristiche fondamentali
dell'edificio preesistente e la successiva
ricostruzione dell'edificio debba riprodurre
le precedenti linee fondamentali quanto a
sagoma e volumi; diversamente opinando,
infatti, sarebbe sufficiente la preesistenza
di un edificio per definire ristrutturazione
qualsiasi nuova realizzazione eseguita in
luogo o sul luogo di quella preesistente
(cfr. Cons. Stato, sez. IV, 18.03.2008, n.
1177; 08.10.2007, n. 5214; 16.03.2007, n.
1276; 22.05.2006, n. 3006; Cass., sez. III,
26.10.2007).
Il legame con l’edificio preesistente,
quanto a sagoma -intendendosi con tale
concetto “la conformazione
planovolumetrica della costruzione ed il suo
perimetro considerato in senso verticale ed
orizzontale”, ovvero il contorno che
viene ad assumere l’edificio, ivi comprese
le strutture perimetrali con gli aggetti e
gli sporti (cfr. Cass. sez. III, 23.04.2004,
n. 19034)- e a volumetria, costituisce,
quindi, per unanime giurisprudenza, il
criterio distintivo degli interventi di
recupero del patrimonio edilizio esistente
dalle nuove costruzioni
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 25.05.2012 n. 1441 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: E'
del tutto legittimo l’operato comunale che,
ritenendo l’intervento di
demolizione/ricostruzione prospettato
dall’esponente senza il rispetto della
sagoma incompatibile con la definizione di
ristrutturazione fornita dall’art. 3 del
T.U.ED., lo ha inibito, in attesa
dell’imminente decisione della Corte
costituzionale sulla questione di
legittimità costituzionale della normativa
regionale.
Non si ravvisa, al riguardo, alcun vizio di
eccesso di potere in tale determinazione,
posto che la cura degli interessi pubblici
di cui il Comune è portatore passa anche
attraverso la corretta interpretazione del
quadro normativo vigente, in cui assumono
portata preminente le norme costituzionali.
In tale operazione interpretativa, peraltro,
il Comune ha correttamente fatto leva anche
sul precedente giurisprudenziale specifico,
in relazione al quale è stata sollevata la
q.l.c. delle ridette norme regionali.
Né si ravvisa in tale modus operandi alcuna
violazione dell’art. 136 Cost., poiché -al
contrario– l’atteggiamento prudenziale del
Comune ha concorso a garantire la stabilità
delle situazioni giuridiche soggettive
attraverso l’applicazione della norma
costituzionalmente legittima (art. 3 T.U.ED)
in luogo di quella costituzionalmente
illegittima (art. 27 cit.) in relazione al
rapporto giuridico in questione.
Contrariamente a quanto divisato
dall’esponente, infatti, la pronuncia di
incostituzionalità della Corte, intervenuta
dopo pochi mesi dalla presentazione della
d.i.a., avrebbe ben potuto esplicare i suoi
effetti anche in relazione alla vicenda per
cui è causa, inidonea a rivestire i
caratteri del rapporto giuridico esaurito
(s’intendono per “rapporti esauriti” quelli
che, sorti precedentemente alla pronuncia di
incostituzionalità, abbiano dato luogo a
situazioni ormai consolidate ed inderogabili
per effetto del passaggio in giudicato di
decisioni giurisdizionali, della
definitività di provvedimenti amministrativi
divenuti inoppugnabili, del completo
esaurimento degli effetti di atti negoziali,
del decorso dei termini di prescrizione o
decadenza ovvero del compimento di altri
atti o fatti rilevanti sul piano sostanziale
o processuale).
Il provvedimento emanato in applicazione di
una norma dichiarata incostituzionale,
infatti, dà luogo ad una fattispecie di
invalidità "sopravvenuta" o "derivata", che
determina “una situazione di precarietà
dell'atto”, connessa alla precarietà della
stessa norma oggetto dello scrutinio di
costituzionalità, cui consegue la
configurazione di un vizio originario quanto
alla decorrenza, vista la retroazione ex
tunc delle sentenze del giudice delle leggi,
ma sopravvenuto quanto alla sua
riconoscibilità.
In sostanza, in assenza dell’inibitoria qui
gravata, la ricorrente si sarebbe trovata
esposta all’esercizio dei poteri di
autotutela da parte comunale, preordinati
proprio all’eliminazione del titolo
contrastante con la normativa vigente.
Anche se con il perfezionarsi della d.i.a.,
si consolida in capo al privato una
posizione di affidamento meritevole di
protezione, tuttavia, “tale affidamento non
è certamente così forte da escludere
qualsiasi potere di intervento da parte
della p.a., anche perché, altrimenti, per
effetto della d.i.a. si andrebbe a
consolidare una posizione più stabile
rispetto a quella che deriva dal
provvedimento autorizzatorio (il quale,
ricorrendo le condizioni di legge, può
essere appunto rimosso in via di
autotutela)”.
Non può, quindi, ritenersi che il decorso
del termine di 30 giorni ingeneri un
affidamento che prevalga, per ciò solo, su
ogni interesse pubblico alla rimozione del
titolo abilitativo perché, se così fosse,
verrebbe negata in radice ogni possibilità
per l’amministrazione di intervenire in
autotutela.
Con provvedimento del 12.07.2011 il Comune
ha adottato un provvedimento di sostanziale
inibitoria della cit. d.i.a., sul
fondamentale presupposto che l’intervento
progettato dalla Società, in quanto
implicante una modifica della sagoma, non
sarebbe conforme all’art. 3 del d.P.R. n.
380/2001, mentre, quanto alla normativa
regionale (art. 27, co. 1, lett. d, della
legge reg. Lombardia n.12/2005, come
integrato dalla legge reg. n. 7/2010 e art.
103 della legge reg. n. 12/2005), essa
sarebbe attualmente all’esame della Corte
costituzionale, in conseguenza della
sentenza di questo TAR n. 5122, del
07.09.2010, che ha sollevato la relativa
questione di legittimità costituzionale, per
contrasto con il citato art. 3 e, quindi,
con l’art. 117, co. 3, della Costituzione.
...
Il Collegio
ritiene del tutto legittimo l’operato
comunale che, ritenendo l’intervento di
demolizione/ricostruzione prospettato
dall’esponente senza il rispetto della
sagoma incompatibile con la definizione di
ristrutturazione fornita dall’art. 3 del T.U.ED., lo ha inibito, in attesa
dell’imminente decisione della Corte
costituzionale sulla questione di
legittimità costituzionale della normativa
regionale.
Non si ravvisa, al riguardo, alcun vizio di
eccesso di potere in tale determinazione,
posto che la cura degli interessi pubblici
di cui il Comune è portatore passa anche
attraverso la corretta interpretazione del
quadro normativo vigente, in cui assumono
portata preminente le norme costituzionali.
In tale operazione interpretativa, peraltro,
il Comune ha correttamente fatto leva anche
sul precedente giurisprudenziale specifico,
in relazione al quale è stata sollevata la
q.l.c. delle ridette norme regionali.
Si tratta, giova ribadire, di un precedente
tutt’altro che isolato in relazione alla
tematica della riconducibilità degli
interventi di demolizione/ricostruzione
senza il rispetto della sagoma nell’ambito
degli interventi di nuova costruzione
piuttosto che in quelli di ristrutturazione
edilizia (cfr. la giurisprudenza già
richiamata).
Né si ravvisa in tale modus operandi alcuna
violazione dell’art. 136 Cost., poiché -al
contrario– l’atteggiamento prudenziale del
Comune ha concorso a garantire la stabilità
delle situazioni giuridiche soggettive
attraverso l’applicazione della norma
costituzionalmente legittima (art. 3 T.U.ED)
in luogo di quella costituzionalmente
illegittima (art. 27 cit.) in relazione al
rapporto giuridico in questione.
Contrariamente a quanto divisato
dall’esponente, infatti, la pronuncia di
incostituzionalità della Corte, intervenuta
dopo pochi mesi dalla presentazione della
d.i.a., avrebbe ben potuto esplicare i suoi
effetti anche in relazione alla vicenda per
cui è causa, inidonea a rivestire i
caratteri del rapporto giuridico esaurito
(su cui cfr. Consiglio Stato, sez. VI, 09.12.2008, n. 6097; nonché da ultimo
TAR Napoli Campania sez. II, 18.07.2011, n. 3878, secondo il quale s’intendono
per “rapporti esauriti” quelli che, sorti
precedentemente alla pronuncia di
incostituzionalità, abbiano dato luogo a
situazioni ormai consolidate ed inderogabili
per effetto del passaggio in giudicato di
decisioni giurisdizionali, della definitività di provvedimenti amministrativi
divenuti inoppugnabili, del completo
esaurimento degli effetti di atti negoziali,
del decorso dei termini di prescrizione o
decadenza ovvero del compimento di altri
atti o fatti rilevanti sul piano sostanziale
o processuale).
Il provvedimento emanato in applicazione di
una norma dichiarata incostituzionale,
infatti, dà luogo ad una fattispecie di
invalidità "sopravvenuta" o "derivata", che
determina “una situazione di precarietà
dell'atto”, connessa alla precarietà della
stessa norma oggetto dello scrutinio di
costituzionalità, cui consegue la
configurazione di un vizio originario quanto
alla decorrenza, vista la retroazione ex tunc delle sentenze del giudice delle leggi,
ma sopravvenuto quanto alla sua
riconoscibilità (così Consiglio Stato, sez.
IV, 30.11.2010, n. 8363).
In sostanza, in assenza dell’inibitoria qui
gravata, la ricorrente si sarebbe trovata
esposta all’esercizio dei poteri di
autotutela da parte comunale, preordinati
proprio all’eliminazione del titolo
contrastante con la normativa vigente.
Come già più volte affermato dalla
giurisprudenza, anche se con il
perfezionarsi della d.i.a., si consolida in
capo al privato una posizione di affidamento
meritevole di protezione, tuttavia, “tale
affidamento non è certamente così forte da
escludere qualsiasi potere di intervento da
parte della p.a., anche perché, altrimenti,
per effetto della d.i.a. si andrebbe a
consolidare una posizione più stabile
rispetto a quella che deriva dal
provvedimento autorizzatorio (il quale,
ricorrendo le condizioni di legge, può
essere appunto rimosso in via di
autotutela)” (così, ad es. Cons. Stato, VI,
09.02.2009, n. 717).
Non può, quindi, ritenersi che il decorso
del termine di 30 giorni ingeneri un
affidamento che prevalga, per ciò solo, su
ogni interesse pubblico alla rimozione del
titolo abilitativo perché, se così fosse,
verrebbe negata in radice ogni possibilità
per l’amministrazione di intervenire in
autotutela
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 25.05.2012 n. 1441 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno
2011 |
|
EDILIZIA PRIVATA: La
sagoma di una costruzione attiene alla
conformazione planovolumetrica ed al suo
perimetro inteso in senso verticale ed
orizzontale, coincidendo con il contorno che
viene ad assumere l’edificio, ivi comprese
le strutture perimetrali come gli aggetti e
gli sporti.
---------------
Gli interventi di risanamento conservativo
presuppongono la conservazione della
tipologia, forma e struttura e il
mantenimento anche della sagoma
preesistente.
L'intervento di ristrutturazione c.d.
leggera di cui all’art 22, c. 1, t.u.
edilizia, presuppone l’invariabilità di
sagoma, volume e destinazione d’uso.
La documentazione depositata in giudizio
evidenzia il mutamento quantomeno delle
sagome preesistenti, non potendosi
condividere le risultanze di cui alla
perizia depositata dai ricorrenti, poiché
non vi è attinenza tra “orma d’imposta”
dell’edificio, rimasta immutata, e sagoma,
giacché quest’ultima non riguarda
esclusivamente l’area di sedime ma l’intero
profilo del fabbricato, il quale invece
risulta mutato.
Infatti, la sagoma di una costruzione
attiene alla conformazione planovolumetrica
ed al suo perimetro inteso in senso
verticale ed orizzontale, coincidendo con il
contorno che viene ad assumere l’edificio,
ivi comprese le strutture perimetrali come
gli aggetti e gli sporti (ex multis
Cassazione penale, sez. III, 06.02.2001, n.
9427).
Il progetto presentato dai ricorrenti
interviene su due fabbricati diversi
accomunando una porzione di uno con la
totalità dell’altro, generando tra l’altro
la fusione di tre distinte unità abitative e
la realizzazione di nuove aperture esterne,
giusta documentazione allegata alla perizia
tecnica depositata dal Comune.
Ne consegue l’infondatezza della tesi
prospettata da parte ricorrente circa la
riconducibilità nel novero degli interventi
di risanamento conservativo, che per
giurisprudenza consolidata presuppongono la
conservazione della tipologia, forma e
struttura e il mantenimento anche della
sagoma preesistente (Consiglio di Stato, sez
IV, 16.01.2008 n. 2981, id sez V 09.10.2007
n. 5273, TAR Campania Napoli, sez IV,
29.01.2009 n. 505) così come a quello di
ristrutturazione c.d. leggera di cui
all’art. 22, c. 1, t.u. edilizia,
presupponente l’invariabilità di sagoma,
volume e destinazione d’uso (TAR Piemonte
Torino, sez. I, 16.12.2010, n. 4551)
L’intervento realizzato dai ricorrenti va
quindi qualificato quale ristrutturazione
c.d. "pesante", prevista e
disciplinata dall'art. 10, comma 1, lettera
c), del D.P.R. 380/2001 portando comunque
alla realizzazione di un quid novi
comportando modifiche della sagoma, come
tale subordinato a permesso di costruire ai
sensi dell'art. 10, comma 1, D.P.R. 380/2001
e sanzionato in ipotesi di abusività con la
rimozione o la demolizione dell'opera.
E ciò tanto più in un sistema quale quello
pugliese in cui il legislatore regionale, a
differenza di altre Regioni, non ha inteso
ampliare il concetto di ristrutturazione,
non eliminando la sagoma quale vincolo da
rispettare (TAR Lombardia Brescia, sez I,
13.04.2011, n. 552)
(TAR Puglia-Bari, Sez. III,
sentenza 15.12.2011 n. 1889 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Corte
Costituzionale n. 309/2011: nessuna demolizione e
ricostruzione senza rispetto della sagoma.
Nella seduta del 20.01.2010 della Commissione V ^Territorio^
della Lombardia il dott. Umberto Sala, alto funzionario
regionale, ebbe a dichiarare che "da circa un anno sono
intervenute sentenze dal TAR di Milano e di Brescia che
hanno evidenziato un contrasto" la normativa nazionale e
quella lombarda in tema di ristrutturazione, sull’assunto
che la legge dello Stato porrebbe -in punto ricostruzione
con vincolo di sagoma- una norma di principio che le regioni
non potrebbero derogare. "Sarebbe auspicabile che il TAR,
pur continuando ad eccepire, rimettesse la questione alla
Corte Costituzionale", concludeva il dirigente.
Il dott. Sala é stato accontentato. Non solo -come noto- il
TAR ha rimesso alla Corte la questione nel settembre 2010,
ma con
sentenza 23.11.2011 n. 309 questa ha dichiarato
l'incostituzionalità:
1.
dell’art. 27, comma 1, lettera d), ultimo periodo, della
legge della Regione Lombardia 11.03.2005, n. 12 (Legge per
il governo del territorio), nella parte in cui esclude
l’applicabilità del limite della sagoma alle
ristrutturazioni edilizie mediante demolizione e
ricostruzione;
2. dell’art. 103 della legge della Regione Lombardia n. 12
del 2005, nella parte in cui disapplica l’art. 3 del d.P.R.
06.06.2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni
legislative e regolamentari in materia edilizia) (testo A);
3. dell’art. 22 della legge della Regione Lombardia
05.02.2010, n. 7 (Interventi normativi per l’attuazione
della programmazione regionale e di modifica ed integrazione
di disposizioni legislative – Collegato ordinamentale 2010),
confermando la fondatezza della eccezione di illegittimità
costituzionale sollevata dal TAR Lombardia con l'ordinanza
n. 5122 del 7.9.2010 (sul punto, v.
Ristrutturazione edilizia: e alla fine il TAR ha rimesso
alla Corte Costituzionale il rito lombardo),
ossia che non c'é spazio per una definizione di
ristrutturazione edilizia diversa da quella indicata dal
legislatore nazionale nell'articolo 3 del DPR 380/2011.
Sugli esiti della decisione della Corte sui titoli
rilasciati, v. La ristrutturazione edilizia in Lombardia
alla luce della l.r. 7/2010 di interpretazione autentica
dell'art. 27 l.r. 12/2005 pubblicato il 30.06.2010
all'indirizzo
www.studiospallino.it/interventi/ristrutturazione.htm
(link a http://studiospallino.blogspot.com).
< > < > < > < > < > < > < > < >
Sono da ricondursi nell’ambito della
normativa di principio in materia di governo del territorio
le disposizioni legislative riguardanti i titoli abilitativi
per gli interventi edilizi: a fortiori sono principi
fondamentali della materia le disposizioni che definiscono
le categorie di interventi, perché è in conformità a queste
ultime che è disciplinato il regime dei titoli abilitativi,
con riguardo al procedimento e agli oneri, nonché agli abusi
e alle relative sanzioni, anche penali.
L’intero corpus normativo statale in ambito edilizio è
costruito sulla definizione degli interventi, con
particolare riferimento alla distinzione tra le ipotesi di
ristrutturazione urbanistica, di nuova costruzione e di
ristrutturazione edilizia cosiddetta pesante, da un lato, e
le ipotesi di ristrutturazione edilizia cosiddetta leggera e
degli altri interventi (restauro e risanamento conservativo,
manutenzione straordinaria e manutenzione ordinaria),
dall’altro. La definizione delle diverse categorie di
interventi edilizi spetta, dunque, allo Stato.
---------------
In base alla normativa statale di principio, quindi, un
intervento di demolizione e ricostruzione che non rispetti
la sagoma dell’edificio preesistente –intesa quest’ultima
come la conformazione planivolumetrica della costruzione e
il suo perimetro considerato in senso verticale e
orizzontale– configura un intervento di nuova costruzione e
non di ristrutturazione edilizia.
---------------
La linea di distinzione tra le ipotesi di nuova costruzione
e quelle degli altri interventi edilizi non può non essere
dettata in modo uniforme sull’intero territorio nazionale,
la cui «morfologia» identifica il paesaggio, considerato
questo come «la rappresentazione materiale e visibile della
Patria, coi suoi caratteri fisici particolari, con le sue
montagne, le sue foreste, le sue pianure, i suoi fiumi, le
sue rive, con gli aspetti molteplici e vari del suo suolo,
quali si sono formati e son pervenuti a noi attraverso la
lenta successione dei secoli».
Sul territorio, infatti, «vengono a trovarsi di fronte» –tra
gli altri– «due tipi di interessi pubblici diversi: quello
alla conservazione del paesaggio, affidato allo Stato, e
quello alla fruizione del territorio, affidato anche alle
Regioni». Fermo restando che la tutela del paesaggio e
quella del territorio sono necessariamente distinte, rientra
nella competenza legislativa statale stabilire la linea di
distinzione tra le ipotesi di nuova costruzione e quelle
degli altri interventi edilizi.
Se il legislatore regionale potesse definire a propria
discrezione tale linea, la conseguente difformità normativa
che si avrebbe tra le varie Regioni produrrebbe rilevanti
ricadute sul «paesaggio […] della Nazione» (art. 9 Cost.),
inteso come «aspetto del territorio, per i contenuti
ambientali e culturali che contiene, che è di per sé un
valore costituzionale», e sulla sua tutela.
---------------
L’art. 27, comma 1, lettera d), ultimo periodo, della legge
della Regione Lombardia n. 12 del 2005, come interpretato
dall’art. 22 della legge della Regione Lombardia n. 7 del
2010, nel definire come ristrutturazione edilizia interventi
di demolizione e ricostruzione senza il vincolo della
sagoma, è in contrasto con il principio fondamentale
stabilito dall’art. 3, comma 1, lettera d), del d.P.R. n.
380 del 2001, con conseguente violazione dell’art. 117,
terzo comma, Cost., in materia di governo del territorio.
Parimenti lesivo dell’art. 117, terzo comma, Cost., è l’art.
103 della legge della Regione Lombardia n. 12 del 2005,
nella parte in cui, qualificando come «disciplina di
dettaglio» numerose disposizioni legislative statali,
prevede la disapplicazione della legislazione di principio
in materia di governo del territorio dettata dall’art. 3 del
d.P.R. n. 380 del 2001 con riguardo alla definizione delle
categorie di interventi edilizi.
... nel giudizio
di legittimità costituzionale degli artt. 27, comma 1,
lettera d), ultimo periodo, e 103 della legge della Regione
Lombardia 11.03.2005, n. 12 (Legge per il governo del
territorio) e dell’art. 22 della legge della Regione
Lombardia 05.02.2010, n. 7 (Interventi normativi per
l’attuazione della programmazione regionale e di modifica ed
integrazione di disposizioni legislative – Collegato
ordinamentale 2010), promosso dal Tribunale amministrativo
regionale per la Lombardia, Sez. II, nel procedimento
vertente tra C. B. ed altro e il Comune di Besozzo con
ordinanza del 07.09.2010, iscritta al n. 364 del registro
ordinanze 2010 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 49, prima serie speciale, dell’anno 2010.
...
2.
– La questione è fondata.
2.1.
– Questa Corte ha già ricondotto nell’ambito della normativa
di principio in materia di governo del territorio le
disposizioni legislative riguardanti i titoli abilitativi
per gli interventi edilizi (sentenza n. 303 del 2003, punto
11.2 del Considerato in diritto): a fortiori sono
principi fondamentali della materia le disposizioni che
definiscono le categorie di interventi, perché è in
conformità a queste ultime che è disciplinato il regime dei
titoli abilitativi, con riguardo al procedimento e agli
oneri, nonché agli abusi e alle relative sanzioni, anche
penali.
L’intero corpus normativo statale in ambito edilizio
è costruito sulla definizione degli interventi, con
particolare riferimento alla distinzione tra le ipotesi di
ristrutturazione urbanistica, di nuova costruzione e di
ristrutturazione edilizia cosiddetta pesante, da un lato, e
le ipotesi di ristrutturazione edilizia cosiddetta leggera e
degli altri interventi (restauro e risanamento conservativo,
manutenzione straordinaria e manutenzione ordinaria),
dall’altro. La definizione delle diverse categorie di
interventi edilizi spetta, dunque, allo Stato.
2.2.
– Tali categorie sono individuate dall’art. 3 del d.P.R. n.
380 del 2001, collocato nel titolo I della parte I del testo
unico, intitolato «Disposizioni generali». In
particolare, la lettera d) del comma 1 di detto articolo
include, nella definizione di «ristrutturazione edilizia»,
gli interventi di demolizione e ricostruzione con identità
di volumetria e di sagoma rispetto all’edificio
preesistente; la successiva lettera e) classifica come
interventi di «nuova costruzione» quelli di «trasformazione
edilizia e urbanistica del territorio non rientranti nelle
categorie definite alle lettere precedenti».
In base alla normativa statale di principio, quindi, un
intervento di demolizione e ricostruzione che non rispetti
la sagoma dell’edificio preesistente –intesa quest’ultima
come la conformazione planivolumetrica della costruzione e
il suo perimetro considerato in senso verticale e
orizzontale– configura un intervento di nuova costruzione e
non di ristrutturazione edilizia.
A conferma di ciò non sta solo il dato letterale dell’art.
3, comma 1, lettera d), del d.P.R. n. 380 del 2001 –che fa
riferimento alla «stessa volumetria e sagoma»
dell’edificio preesistente e ammette «le sole innovazioni
necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica»–
ma vi è anche la successiva legislazione statale in materia
edilizia. L’art. 5, commi 9 e ss., del decreto-legge
13.05.2011, n. 70 (Semestre Europeo – Prime disposizioni
urgenti per l’economia), convertito, con modificazioni,
nella legge 12.07.2011, n. 106, infatti, nel regolare
interventi di demolizione e ricostruzione con ampliamenti di
volumetria e adeguamenti di sagoma, non ha qualificato tali
interventi come ristrutturazione edilizia, né ha modificato
la disciplina dettata al riguardo dall’art. 3 del d.P.R. n.
380 del 2001.
2.3.
– La linea di distinzione tra le ipotesi di nuova
costruzione e quelle degli altri interventi edilizi,
d’altronde, non può non essere dettata in modo uniforme
sull’intero territorio nazionale, la cui «morfologia»
identifica il paesaggio, considerato questo come «la
rappresentazione materiale e visibile della Patria, coi suoi
caratteri fisici particolari, con le sue montagne, le sue
foreste, le sue pianure, i suoi fiumi, le sue rive, con gli
aspetti molteplici e vari del suo suolo, quali si sono
formati e son pervenuti a noi attraverso la lenta
successione dei secoli» (Relazione illustrativa della
legge 11.06.1922, n. 778 «Per la tutela delle bellezze
naturali e degli immobili di particolare interesse storico»,
Atti parlamentari, Legislatura XXV, Senato del Regno,
Tornata del 25.09.1920).
Sul territorio, infatti, «vengono a trovarsi di fronte»
–tra gli altri– «due tipi di interessi pubblici diversi:
quello alla conservazione del paesaggio, affidato allo
Stato, e quello alla fruizione del territorio, affidato
anche alle Regioni» (sentenza n. 367 del 2007, punto 7.1
del Considerato in diritto). Fermo restando che la tutela
del paesaggio e quella del territorio sono necessariamente
distinte, rientra nella competenza legislativa statale
stabilire la linea di distinzione tra le ipotesi di nuova
costruzione e quelle degli altri interventi edilizi.
Se il legislatore regionale potesse definire a propria
discrezione tale linea, la conseguente difformità normativa
che si avrebbe tra le varie Regioni produrrebbe rilevanti
ricadute sul «paesaggio […] della Nazione» (art. 9
Cost.), inteso come «aspetto del territorio, per i
contenuti ambientali e culturali che contiene, che è di per
sé un valore costituzionale» (sentenza n. 367 del 2007),
e sulla sua tutela.
2.4.
– In conclusione, l’art. 27, comma 1, lettera d), ultimo
periodo, della legge della Regione Lombardia n. 12 del 2005,
come interpretato dall’art. 22 della legge della Regione
Lombardia n. 7 del 2010, nel definire come ristrutturazione
edilizia interventi di demolizione e ricostruzione senza il
vincolo della sagoma, è in contrasto con il principio
fondamentale stabilito dall’art. 3, comma 1, lettera d), del
d.P.R. n. 380 del 2001, con conseguente violazione dell’art.
117, terzo comma, Cost., in materia di governo del
territorio.
Parimenti lesivo dell’art. 117, terzo comma, Cost., è l’art.
103 della legge della Regione Lombardia n. 12 del 2005,
nella parte in cui, qualificando come «disciplina di
dettaglio» numerose disposizioni legislative statali,
prevede la disapplicazione della legislazione di principio
in materia di governo del territorio dettata dall’art. 3 del
d.P.R. n. 380 del 2001 con riguardo alla definizione delle
categorie di interventi edilizi.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l’illegittimità costituzionale
dell’art. 27, comma 1, lettera d), ultimo periodo, della
legge della Regione Lombardia 11.03.2005, n. 12 (Legge per
il governo del territorio), nella parte in cui esclude
l’applicabilità del limite della sagoma alle
ristrutturazioni edilizie mediante demolizione e
ricostruzione;
2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 103
della legge della Regione Lombardia n. 12 del 2005, nella
parte in cui disapplica l’art. 3 del d.P.R. 06.06.2001, n.
380 (Testo unico delle disposizioni legislative e
regolamentari in materia edilizia) (testo A);
3) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 22
della legge della Regione Lombardia 05.02.2010, n. 7
(Interventi normativi per l’attuazione della programmazione
regionale e di modifica ed integrazione di disposizioni
legislative – Collegato ordinamentale 2010)
(Corte Costituzionale,
sentenza 23.11.2011 n. 309). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sagoma di un edificio - Nozione.
Per sagoma di un edificio si deve fare
riferimento alla conformazione
planivolumetrica della costruzione ed al suo
perimetro inteso sia in senso verticale sia
orizzontale (Cass. Sez. 3, n. 8081 del
15/07/1994, Soprani) (Corte di Cassazione,
Sez. III penale,
sentenza 23.06.2011 n. 25191 -
link a www.ambientediritto.it). |
anno
2008 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Sagoma di un edificio - Elementi
di identificazione - Modificazione sagoma -
Conseguenze.
In materia urbanistica, la modificazione
dell’altezza, anche di un vano, di un
edifico comporta una mutamento dell'intera
sagoma. Per sagoma s’identifica il perimetro
dell'immobile inteso sia in senso verticale
sia orizzontale, in quanto concerne il
contorno che l'edificio assume. Inoltre,
anche l'aumento d'altezza del sottotetto può
comportare una modificazione di destinazione
perché suscettibile di trasformare in unità
abitale un vano tecnico non abitabile (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 09.10.2008 n. 38408 -
link
a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Modificazione
sagoma.
La modificazione dell’altezza di ogni vano
di un edifico comporta una modificazione
dell'intera sagoma. Questa invero identifica
il perimetro dell'immobile inteso sia in
senso verticale sia orizzontale, in quanto
concerne il contorno che l'edificio assume.
Inoltre l'aumento d'altezza del sottotetto
può comportare anche una modificazione di
destinazione perché suscettibile di
trasformare in unità abitale un vano tecnico
non abitabile (Corte di Cassazione, Sez. III
penale,
sentenza 09.10.2008 n. 38408 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Permesso di costruire - Chiusura
balcone - Necessità.
La chiusura dei balconi mediante
serramenti, trasforma questi spazi aperti
verso l'esterno in locali chiusi, con cambio
di destinazione, modifica della sagoma ed
aumento della volumetria dell'immobile tali
da richiedere un titolo abilitativo edilizio (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza
20.05.2008 n.
1803
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno
2006 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Varianti in corso d'opera - Non
incidenza sulla sagoma dell'edificio -
Necessità - Concetto di sagoma -
Individuazione.
In tema di disciplina edilizia, rientrano
nel concetto di sagoma di una costruzione
tutte le strutture perimetrali come gli
aggetti e gli sporti, restandone escluse le
sole aperture che non prevedono superfici
sporgenti, soltanto per le quali è
consentita la procedura della denunzia di
inizio attività per varianti in corso
d'opera.
Pertanto, a quanto già previsto nella L. n.
47 del 1985, art. 15 e L. n. 662 del 1999,
art. 2, comma 60, art. 7, lett. g), anche il
D.P.R. n. 380 del 2001, art. 22, comma 2,
continua a prevedere l'assoggettabilità a
DIA unicamente per le varianti che non
incidono sui parametri urbanistici e sulle
volumetrie, che non modificano la
destinazione d'uso e la categoria edilizia,
non alterano la sagoma dell'edificio e non
violano le eventuali prescrizioni contenute
nel permesso di costruire.
Di conseguenza, si è escluso, ad esempio,
che possano rientrare nella categoria delle
c.d. varianti di opera, la realizzazione di
una scala esterna di accesso al primo piano,
di una mensola su entrambi i lati con
riguardo ai solai di calpestio, di
sottotetto del primo piano, di uno sporto al
solaio del sottotetto, (Sez. 3^, Sentenza n.
3849 del 09/02/1998 Rv. 210647) (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 09.03.2006 n. 8303 -
link a www.ambientediritto.it). |
anno
2004 |
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EDILIZIA PRIVATA: La
facciata dell’edificio non va confusa o
compresa nel concetto di sagoma che, invece,
indica la forma della costruzione
complessivamente intesa, ovvero il contorno
che assume l’edificio. Ne consegue che la
previsione di balconi in luogo di finestre,
essendo relativa al prospetto non riguarda
il concetto di sagoma.
I prospetti costituiscono, infatti, un quid
pluris rispetto alla sagoma, attenendo
all’aspetto esterno e, quindi, al profilo
estetico architettonico.
Va osservato
che l’intervento progettato, malgrado lo
svuotamento effettuato all’interno del
fabbricato, risulta rispettoso della
precedente sagoma intesa quale involucro
esterno (contorno del fabbricato), essendo
rispettate le mura perimetrali e l’ingombro
dell’edificio.
La modifica dei prospetti, sui quali si è
incentrata la difesa giudiziale
dell’amministrazione attiene alla facciata
dell’edificio sicché non va confusa o
compresa nel concetto di sagoma che –come
detto- indica la forma della costruzione
complessivamente intesa, ovvero il contorno
che assume l’edificio. Ne consegue che la
previsione di balconi in luogo di finestre,
essendo relativa al prospetto non riguarda
il concetto di sagoma.
I prospetti costituiscono, infatti, un
quid pluris rispetto alla sagoma,
attenendo all’aspetto esterno e, quindi, al
profilo estetico architettonico.
La difformità dei prospetti rispetto
all’esistente non rileva di per sé nella
fattispecie in esame quale delineata dal
legislatore, ma può essere indizio della
modifica dei parametri vincolanti, siano
quelli fissati dalla legge (volumetria e
sagoma), siano quelli rivenienti dalla
disciplina urbanistico –edilizia della zona.
Né potrebbe sostenersi che la omissione del
riferimento ai prospetti nella definizione
legislativa della ristrutturazione ex art. 3,
T.U. 380/2001 sia dovuta a mera
dimenticanza, ovvero che il concetto di
sagoma comprenda anche il prospetto, atteso
che nella diversa fattispecie di
ristrutturazione di cui all’art. 10, TU
380/2001, i prospetti sono menzionati
espressamente e separatamente dalla sagoma
(TAR
Puglia-Bari, Sez. III,
sentenza 22.07.2004 n. 3210 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Costruzione edilizia -
Ristrutturazione edilizia - Area di sedime
originaria - Necessità - Fondamento.
Per sagoma deve intendersi la conformazione
planovolumetrica della costruzione ed il suo
perimetro considerato in senso verticale ed
orizzontale, così che solo le aperture che
non prevedano superfici sporgenti vanno
escluse dalla nozione stessa di sagoma.
In tema di ristrutturazione edilizia, la
necessità della costruzione dell'edificio
demolito nell'area di sedime originaria è un
requisito insito nella nozione stessa di
ristrutturazione, atteso che tale nozione
deve essere oggetto di interpretazione
restrittiva poiché la sua disciplina
costituisce un'eccezione al principio
generale secondo il quale ogni
trasformazione urbanistica ed edilizia del
territorio, che ne comporti una rilevante
modifica nel suo assetto, necessita di
essere assentita con il permesso di
costruire.
Al fine di ricomprendere nell'ambito degli
interventi di ristrutturazione edilizia
quelli consistenti nella demolizione e
ricostruzione di un fabbricato con la stessa
volumetria e sagoma di quello preesistente,
per sagoma deve intendersi la conformazione
planovolumetrica della costruzione ed il suo
perimetro considerato in senso verticale ed
orizzontale, così che solo le aperture che
non prevedano superfici sporgenti vanno
escluse dalla nozione stessa di sagoma.
Gli interventi effettuati su immobili
sottoposti a vincolo paesistico e ambientale
vanno considerati in variazione essenziale
dalla normativa urbanistica e vanno
sanzionati ai sensi dell'art. 20, lett. c),
della legge 28.02.1985 n. 47 (ora sostituito
dall'art. 44, comma primo, lett. c), del
d.P.R. 06.06.2001 n. 380, con riferimento
all'art. 32 stesso testo) (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 23.04.2004 n. 19034 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno
2003 |
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EDILIZIA PRIVATA: Il
concetto di “sagoma”, ai fini della
ristrutturazione edilizia, risulta
interpretato dalla giurisprudenza come
aspetto tridimensionale di un edificio,
quindi comprensivo anche dell’altezza.
Il concetto di
“sagoma”, ai fini della ristrutturazione
edilizia, risulta interpretato dalla
giurisprudenza come aspetto tridimensionale
di un edificio, quindi comprensivo anche
dell’altezza (cfr.: Cons. St., Sez. V, 21.02.1994 n. 112; 24.02.1999 n. 197;
TAR Pescara n. 1182 del 2002 (TAR Abruzzo-Pescara,
sentenza 23.01.2003 n. 197 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
“sagoma” di una costruzione concerne il
contorno che viene ad assumere l’edificio,
ivi comprese le strutture perimetrali con
gli aggetti e gli sporti, sicché solo le
aperture che non prevedono superfici
sporgenti non rientrano nella nozione di
sagoma.
E’ noto che la “sagoma” di una
costruzione concerne il contorno che viene
ad assumere l’edificio, ivi comprese le
strutture perimetrali con gli aggetti e gli
sporti, sicché solo le aperture che non
prevedono superfici sporgenti non rientrano
nella nozione di sagoma (Corte di Cassazione
penale, III Sezione, 09.02.1998 n. 3849)
(TAR Puglia-Lecce, Sez. I,
sentenza 21.01.2003 n. 232 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno
2002 |
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EDILIZIA PRIVATA:
La “sagoma” attiene alla
conformazione planivolumetrica della
costruzione ed al suo perimetro inteso sia
in senso verticale sia orizzontale.
La Corte suprema ha avvertito (cfr., per
tutte, Cass. pen, Sez. III, 27.03.1998, n.
3849) che la “sagoma” attiene alla
conformazione planivolumetrica della
costruzione ed al suo perimetro inteso sia
in senso verticale sia orizzontale.
La sagoma di una costruzione, quindi,
concerne il contorno che viene ad assumere
l'edificio ivi comprese le strutture
perimetrali con gli aggetti e gli sporti,
sicché solo le aperture che non prevedano
superfici sporgenti rientrano nella nozione
di sagoma e sono sottoposte al regime delle
c.d. varianti in corso d'opera
(TAR Basilicata,
sentenza 17.10.2002 n. 628 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
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