dossier S.U.A.P. (SPORTELLO
UNICO per le ATTIVITA' PRODUTTIVE)
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art. 32 L.R. 11.03.2005 n. 12 +
art. 97 L.R. 11.03.2005 n. 12
* * *
D.P.R. 07.09.2010 n. 160
(Regolamento per la semplificazione ed il riordino della disciplina
sullo sportello unico per le attività produttive, ai sensi dell'articolo 38,
comma 3, del decreto-legge 25.06.2008, n. 112, convertito, con
modificazioni, dalla legge 06.08.2008, n. 133)
* * *
art. 38, comma 3, del d.l. 25.06.2008 n. 112 (convertito, con
modificazioni, dalla legge 06.08.2008, n. 133)
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per approfondimenti vedi anche:
www.impresainungiorno.gov.it
<--->
Regione Lombardia <--->
www.suapanorma.it |
anno 2021 |
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URBANISTICA: La
variante urbanistica resta un'eccezione per la realizzazione di un impianto
produttivo.
La variante urbanistica prevista dall'articolo 8 del Dpr 160/2010 per la
realizzazione di un impianto produttivo (sia come nuova costruzione sia come
ampliamento di una già esistente) in zona difforme dello strumento
urbanistico generale o in deroga agli indici resta un'eccezione, che il Suap
deve motivare previa rigorosa istruttoria e verifica dei presupposti
normativi.
Fra questi, l'assenza o insufficienza in base al Prg di aree destinate
all'insediamento di opifici industriali deve essere intesa e qualificata
come "assoluta" e non "relativa", per evitare che l'indisponibilità
contingente e transitoria di aree compatibili con l'insediamento produttivo
valga di per sé a giustificare il ricorso del Comune alla procedura
derogatoria semplificata, scandita dal regolamento governativo per il
funzionamento dello sportello unico per le attività produttive, per
l'approvazione della variante urbanistica.
Dunque, per "inesistenza" di aree produttive per l'allocazione dei relativi
impianti deve intendersi la loro indisponibilità fisica e materiale sul
territorio comunale, per evitare che il procedimento speciale venga invece
trasformato surrettiziamente in una modalità ordinaria di modifica dello
strumento urbanistico generale, in violazione della legge 1150/1942.
L'importante principio è stato fissato dal Consiglio di Stato, Sez. IV, con
la
sentenza 19.10.2021 n. 7027, che ha risolto definitivamente il
contenzioso che ha visto coinvolti, da un lato, un Comune campano ed un
imprenditore che aveva ottenuto dal primo la variante urbanistica per la
realizzazione di un complesso immobiliare da destinare ad attività
produttiva e, dall'altro, un gruppo di cittadini proprietari di aree
limitrofe che avevano impugnato il titolo edilizio invocando il principio
della "vicinitas".
Alla base del ricorso, il corredo motivazionale posto dal Comune a sostegno
dell'approvazione della variante urbanistica e cioè la momentanea
indisponibilità nel Prg di aree destinate agli insediamenti produttivi in
ragione della pendenza di ricorsi giurisdizionali sulle stesse aree fra i
relativi proprietari e il Comune.
Circostanza che non avrebbe reso immediatamente utilizzabili quei suoli
dagli imprenditori interessati.
Il Consiglio di Stato ha censurato la condotta dell'ente sul presupposto
che, trattandosi di procedura derogatoria urbanistica per sua natura
eccezionale, avrebbe dovuto valutare in maniera stringente le condizioni
fissate dall'articolo 8 del dpr 160/2010 e, per l'effetto, non approvare la
richiesta variante atteso che, nella fattispecie, i suoli compatibili erano
indisponibili soltanto momentaneamente ma non in maniera assoluta.
In sostanza, le aree industriali edificabili erano fisicamente esistenti
nello strumento urbanistico generale, ancorché non immediatamente
disponibili, con la conseguenza che la loro assenza non era "assoluta"
ma semplicemente "relativa", circostanza non sufficiente a
giustificare per il Comune la procedura in deroga
(articolo NT+Enti Locali & Edilizia del 30.12.2021). |
EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA:
DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Art. 8 d.P.R. 160/2010 –
Procedura semplificata – Natura eccezionale –
Interpretazione restrittiva – Variante al piano regolatore
generale – Mancanza di aree da destinarsi all’insediamento
degli impianti produttivi – Indisponibilità assoluta.
In ragione della natura eccezionale e
derogatoria della procedura semplificata prevista
dall’articolo 8 del d.P.R. 160/2010, ed al fine di evitare
che tale procedimento possa essere surrettiziamente
trasformato in una modalità “ordinaria” di variazione dello
strumento urbanistico generale, la norma in questione deve
essere interpretata in senso restrittivo, dando alla nozione
di “assenza” un significato “assoluto”, in modo tale da
evitare che mere indisponibilità contingenti e transitorie
di aree –destinate dal p.r.g. ad insediamenti produttivi–
possano valere di per sé a giustificare la scelta dell’ente
comunale di procedere con l’iter semplificato di
approvazione della variante urbanistica (Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza 19.10.2021 n. 7027 - link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: SUAP
e variante urbanistica semplificata.
In linea generale, con riferimento all’interpretazione
dell’art. 8 del d.p.r. n. 160/2010, la Sezione ha già avuto modo di
evidenziare che: “Va sottolineato il carattere eccezionale e derogatorio
della procedura disciplinata dal ricordato art. 5 del D.P.R. 20.10.1998, n.
447 (oggi trasposta nell'art. 8 del D.P.R. n. 160 del 2010), la quale non
può essere surrettiziamente trasformata in una modalità "ordinaria" di
variazione dello strumento urbanistico generale: pertanto, perché a tale
procedura possa legittimamente farsi luogo, occorre che siano
preventivamente accertati in modo oggettivo e rigoroso i presupposti di
fatto richiesti dalla norma, e quindi anche l'assenza nello strumento
urbanistico di aree destinate ad insediamenti produttivi ovvero
l'insufficienza di queste, laddove per "insufficienza" deve intendersi, in
costanza degli standard previsti, una superficie non congrua in ordine
all'insediamento da realizzare”.
Di conseguenza il Comune,
prima di procedere ai sensi del citato articolo 8, deve accertare e
motivatamente attestare che, alla luce dello strumento urbanistico comunale,
non ci siano aree destinate all’insediamento di impianti produttivi, oppure
che le aree individuate dal p.r.g. siano insufficienti con riguardo
all’insediamento da realizzare.
Il problema ermeneutico si sposta quindi sulla nozione
di “assenza” o di “insufficienza” di aree destinate dallo strumento
urbanistico all’insediamento di impianti produttivi.
Sul punto la Sezione osserva che –proprio valorizzando la natura eccezionale
e derogatoria della procedura semplificata prevista dal citato articolo 8,
ed al fine di evitare che tale procedimento possa essere surrettiziamente
trasformato in una modalità "ordinaria" di variazione dello strumento
urbanistico generale– la norma in questione deve essere interpretata in
senso restrittivo, dando alla nozione di “assenza” un significato
“assoluto”, in modo tale da evitare che mere indisponibilità contingenti e
transitorie di aree -destinate dal p.r.g. ad insediamenti produttivi-
possano valere di per sé a giustificare la scelta dell’ente comunale di
procedere con l’iter semplificato di approvazione della variante
urbanistica.
---------------
18.1. In linea generale, con riferimento all’interpretazione dell’art. 8 del
d.p.r. n. 160/2010, la Sezione ha già avuto modo di evidenziare che: “Va
sottolineato il carattere eccezionale e derogatorio della procedura
disciplinata dal ricordato art. 5 del D.P.R. 20.10.1998, n. 447 (oggi
trasposta nell'art. 8 del D.P.R. n. 160 del 2010), la quale non può essere
surrettiziamente trasformata in una modalità "ordinaria" di variazione dello
strumento urbanistico generale: pertanto, perché a tale procedura possa
legittimamente farsi luogo, occorre che siano preventivamente accertati in
modo oggettivo e rigoroso i presupposti di fatto richiesti dalla norma, e
quindi anche l'assenza nello strumento urbanistico di aree destinate ad
insediamenti produttivi ovvero l'insufficienza di queste, laddove per
"insufficienza" deve intendersi, in costanza degli standard previsti, una
superficie non congrua in ordine all'insediamento da realizzare” (Cons.
Stato, sez. IV, sent. n. 5273 del 2020; conforme sez. IV, sent. n. 3921 del
2020).
18.2. Di conseguenza il Comune, prima di procedere ai sensi del citato
articolo 8, avrebbe dovuto accertare e motivatamente attestare che, alla
luce dello strumento urbanistico comunale, non vi fossero aree destinate
all’insediamento di impianti produttivi, oppure che le aree individuate dal
p.r.g. fossero insufficienti con riguardo all’insediamento da realizzare.
18.3. Il problema ermeneutico si sposta quindi sulla nozione di “assenza”
o di “insufficienza” di aree destinate dallo strumento urbanistico
all’insediamento di impianti produttivi.
18.4. Al riguardo il Tar, nella gravata sentenza, ha accolto una
interpretazione estensiva della suddetta nozione di “assenza”, dando
rilievo anche alle fattispecie caratterizzate da un’assenza “relativa”,
contingente e temporanea: “Osserva il Collegio come, ai sensi dell’art. 8
del D.P.R. 07.09.2010, n. 160, per assenza di aree nel PRG destinate
all’insediamento di impianti produttivi, non possa intendersi esclusivamente
l’assenza assoluta, ma debba necessariamente essere considerata anche
l’assenza relativa, ricomprendendovi quei casi in cui esista un’area
deputata in PRG a tale fine, ma quell’area non sia ragionevolmente
utilizzabile per concreti impedimenti di fatto o di diritto, non
plausibilmente rimuovibili in termini di pronta soluzione” (pag. 18
della sentenza di primo grado).
18.5. Sul punto la Sezione, a differenza di quanto argomentato dal Tar,
osserva che –proprio valorizzando la natura eccezionale e derogatoria della
procedura semplificata prevista dal citato articolo 8, ed al fine di evitare
che tale procedimento possa essere surrettiziamente trasformato in una
modalità "ordinaria" di variazione dello strumento urbanistico
generale– la norma in questione deve essere interpretata in senso
restrittivo, dando alla nozione di “assenza” un significato “assoluto”
(per utilizzare la medesima terminologia fatta propria dal Tar), in modo
tale da evitare che mere indisponibilità contingenti e transitorie di aree
-destinate dal p.r.g. ad insediamenti produttivi- possano valere di per sé a
giustificare la scelta dell’ente comunale di procedere con l’iter
semplificato di approvazione della variante urbanistica.
18.6. Nel caso di specie, nonostante il p.r.g. del Comune di San Paolo Bel
Sito contemplasse un’area p.i.p. destinata agli insediamenti produttivi,
nella gravata deliberazione di consiglio comunale n. 4/2014 si legge che il
responsabile del V settore “ha dovuto esprimere parere negativo alla
richiesta di insediamento dell’intervento nell’area PIP, atteso che essa è
oggetto di diversi contenziosi ancora pendenti […]”.
18.7. Come emerso in primo grado e ribadito dal Comune appellato (pag. 14
della memoria depositata il 19.05.2016), l’indisponibilità della menzionata
area p.i.p. non era affatto “assoluta”, ma meramente transitoria e
temporanea, in quanto pendeva, innanzi al Tar per la Campania, sede di
Salerno, un contenzioso tra il Comune ed alcune ditte private con riguardo
all’area in questione (contenzioso nell’ambito del quale non furono
pronunciati provvedimenti cautelari e che è stato successivamente dichiarato
perento nel 2018).
18.8. Per quanto sopra esposto risulta quindi evidente che un tale tipo di
indisponibilità momentanea e contingente dell’area p.i.p. non può essere
affatto qualificata come “assenza” di aree destinate dal p.r.g.
all’insediamento di impianti produttivi ai sensi dell’art. 8 del d.p.r. n.
160/2010, con conseguente illegittimità dell’operato del Comune odierno
appellato, che ha erroneamente approvato la variante al p.r.g. attraverso la
procedura semplificata prevista dalla citata norma, in mancanza dei
necessari presupposti di legge, concedendo poi alla Es. s.r.l. il permesso
di costruire per la realizzazione del complesso edilizio su un’area diversa
da quella destinata dal p.r.g. all’insediamento di impianti produttivi.
18.9. Di conseguenza il primo motivo d’appello deve essere accolto e,
in riforma della sentenza impugnata, devono essere accolti il secondo
ed il terzo motivo del ricorso introduttivo, ribaditi in via derivata
con il ricorso per motivi aggiunti, con conseguente annullamento sia della
deliberazione del consiglio comunale del Comune di San Paolo Bel Sito n. 4
del 19.03.2014, sia del gravato permesso di costruire n. 02/Suap/2014 prot.
n. 2493 del 09.07.2014 rilasciato in favore della Estro s.r.l.
19. Dato l’accoglimento del primo motivo d’appello, con conseguente
annullamento degli atti impugnati in primo grado, in quanto affetti da un
vizio di illegittimità che si situa a monte delle ulteriori censure dedotte,
è possibile assorbire i restanti motivi di gravame.
20. In definitiva l’appello deve essere accolto e, in riforma della sentenza
impugnata, devono essere accolti il ricorso introduttivo ed il ricorso per
motivi aggiunti ai sensi di quanto sopra esposto, con conseguente
annullamento della deliberazione di consiglio comunale n. 4 del 19.03.2014 e
del permesso di costruire n. 2493 del 09.07.2014
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 19.10.2021 n. 7027 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2020 |
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ATTI AMMINISTRATIVI -
EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: Sulla
valutazione del danno da ritardo.
E' condivisibile la giurisprudenza espressa in materia
di risarcimento del danno da ritardo, secondo cui l’espresso riferimento al
“danno ingiusto” –contenuto nell’art. 2-bis l. n. 241 del 1990, così come
nel comma 2 dell’art. 30 c.p.a., secondo cui può essere chiesta la condanna
al risarcimento del danno ingiusto derivante dall’illegittimo esercizio
dell’attività amministrativa o dal “mancato esercizio di quella
obbligatoria”– induce a ritenere che per poter riconoscere la tutela
risarcitoria in tali fattispecie, come in quelle in cui la lesione nasce da
un provvedimento espresso, non possa in alcun caso prescindersi dalla
spettanza di un bene della vita, atteso che è soltanto la lesione di quest’ultimo
che qualifica in termini di ingiustizia il danno derivante tanto dal
provvedimento illegittimo e colpevole dell’amministrazione quanto dalla sua
colpevole inerzia e lo rende risarcibile.
L’ingiustizia del danno e, quindi, la sua risarcibilità per il ritardo
dell’azione amministrativa, pertanto, è configurabile solo ove il
provvedimento favorevole sia stata adottato, sia pure in ritardo,
dall’autorità competente, ovvero avrebbe dovuto essere adottato, sulla base
di un giudizio prognostico effettuabile sia in caso di adozione di un
provvedimento negativo sia in caso di inerzia reiterata, in esito al
procedimento.
---------------
Secondo la giurisprudenza in tema di variante semplificata ex art. 5 del
d.P.R. n. 447 del 1998, l'eventuale esito positivo della conferenza di
servizi non è in alcun modo vincolante per il Consiglio comunale, il quale,
siccome organo titolare della potestà pianificatoria, resta pienamente
padrone della propria autonomia e discrezionalità, potendo discostarsi dalla
proposta di variante e respingerla senza alcun dovere di motivazione
puntuale o "rafforzata", in quanto l'esito della conferenza non comporta il
sorgere di alcun affidamento né di aspettative qualificate in capo al
proponente, essendo la determinazione conclusiva della conferenza
qualificabile come mera "proposta di variante".
Invero, il Consiglio comunale, in seguito alla determinazione conclusiva
della conferenza di servizi, conserva le proprie attribuzioni e valuta
autonomamente se aderire o meno ad essa, dovendo apportare, nell’esercizio
della propria potestà pianificatoria urbanistica, una valutazione globale e
definitiva in termini di governo del territorio, per converso non potendo
essa essere limitata alla sola possibilità di confutare nel merito le
valutazioni tecniche della conferenza.
---------------
12.3. Premesse tali considerazioni, occorre tuttavia rilevare che:
a) in relazione a un periodo di circa cinque mesi, ossia fino
all’adozione della sentenza del Tar Campania – Sezione di Salerno n. 826 del
03.05.2011, avente ad oggetto la delibera di Giunta comunale n. 159/2010,
non è ravvisabile in capo all’Amministrazione comunale l’elemento soggettivo
della colpa, atteso che nel periodo precedente a tale pronuncia residuavano
dubbi in ordine alla natura vincolante o meno del parere della
Soprintendenza, risultando lo stesso variamente interpretabile;
b) nella condotta della società è ravvisabile un contributo causale
nella determinazione del ritardo per un durata complessiva di circa dieci
mesi, non avendo essa prodotto la totalità dei documenti richiesti e
risultando in tal modo preclusa la convocazione della conferenza di sevizi
da parte del Comune; invero, la società produceva tutta la documentazione
richiesta, e necessaria per la convocazione della conferenza dei servizi,
solo in data 24.11.2011, allorquando il d.P.R. n. 160/2010 era già entrato
in vigore;
c) sulla base di un giudizio prognostico vi è assoluta incertezza
in ordine alla spettanza del bene della vita, necessaria per accordare il
risarcimento del danno da ritardo, in quanto:
c.1) è condivisibile la giurisprudenza espressa
dalla Sezione in materia di risarcimento del danno da ritardo, secondo cui
l’espresso riferimento al “danno ingiusto” –contenuto nell’art. 2-bis
l. n. 241 del 1990, così come nel comma 2 dell’art. 30 c.p.a., secondo cui
può essere chiesta la condanna al risarcimento del danno ingiusto derivante
dall’illegittimo esercizio dell’attività amministrativa o dal “mancato
esercizio di quella obbligatoria”– induce a ritenere che per poter
riconoscere la tutela risarcitoria in tali fattispecie, come in quelle in
cui la lesione nasce da un provvedimento espresso, non possa in alcun caso
prescindersi dalla spettanza di un bene della vita, atteso che è soltanto la
lesione di quest’ultimo che qualifica in termini di ingiustizia il danno
derivante tanto dal provvedimento illegittimo e colpevole
dell’amministrazione quanto dalla sua colpevole inerzia e lo rende
risarcibile.
L’ingiustizia del danno e, quindi, la sua risarcibilità per il ritardo
dell’azione amministrativa, pertanto, è configurabile solo ove il
provvedimento favorevole sia stata adottato, sia pure in ritardo,
dall’autorità competente, ovvero avrebbe dovuto essere adottato, sulla base
di un giudizio prognostico effettuabile sia in caso di adozione di un
provvedimento negativo sia in caso di inerzia reiterata, in esito al
procedimento (da ultimo, Cons. Stato, sez. IV, 27.02.2020, n. 1437; cfr. id.,
sez. IV, 02.12.2019, n. 8235; id., sez. IV, 15.07.2019, n. 4951);
c.2) con riferimento al caso di specie, secondo
la giurisprudenza del Consiglio di Stato in tema di variante semplificata ex
art. 5 del d.P.R. n. 447 del 1998 (da ultimo, sez. IV, 01.03.2017, n. 940;
sez. IV, 18.02.2016, n. 650), l'eventuale esito positivo della conferenza di
servizi non è in alcun modo vincolante per il Consiglio comunale, il quale,
siccome organo titolare della potestà pianificatoria, resta pienamente
padrone della propria autonomia e discrezionalità, potendo discostarsi dalla
proposta di variante e respingerla senza alcun dovere di motivazione
puntuale o "rafforzata", in quanto l'esito della conferenza non
comporta il sorgere di alcun affidamento né di aspettative qualificate in
capo al proponente, essendo la determinazione conclusiva della conferenza
qualificabile come mera "proposta di variante" (cfr. Cons. Stato,
sez. VI, 04.11.2013, n. 5292; id., sez. IV, 19.10.2007, n. 5471; id.,
27.06.2007, n. 3772; id., sez. VI, 26.06.2007, n. 3593; id., sez. IV,
14.04.2006, n. 2170); invero, il Consiglio comunale, in seguito alla
determinazione conclusiva della conferenza di servizi, conserva le proprie
attribuzioni e valuta autonomamente se aderire o meno ad essa, dovendo
apportare, nell’esercizio della propria potestà pianificatoria urbanistica,
una valutazione globale e definitiva in termini di governo del territorio,
per converso non potendo essa essere limitata alla sola possibilità di
confutare nel merito le valutazioni tecniche della conferenza
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 22.07.2020 n. 4669 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2019 |
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EDILIZIA PRIVATA: Sulla
procedura di un'istanza col SUAP in variante al P.G.T. vigente.
Ai sensi dell'art. 5
del d.P.R. 20.10.1998 n. 447, “Qualora il progetto presentato sia in
contrasto con lo strumento urbanistico, o comunque richieda una sua
variazione, il responsabile del procedimento rigetta l'istanza.
Tuttavia,
allorché il progetto sia conforme alle norme vigenti in materia ambientale,
sanitaria e di sicurezza del lavoro ma lo strumento urbanistico non
individui aree destinate all'insediamento di impianti produttivi ovvero
queste siano insufficienti in relazione al progetto presentato, il
responsabile del procedimento può, motivatamente convocare una conferenza di
servizi, disciplinata dall'articolo 14 della legge 07.08.1990, n. 241,
come modificato dall'articolo 17 della legge 15.05.1997, n. 127, per le
conseguenti decisioni, dandone contestualmente pubblico avviso.
Alla
conferenza può intervenire qualunque soggetto, portatore di interessi
pubblici o privati, individuali o collettivi nonché i portatori di interessi
diffusi costituiti in associazioni o comitati, cui possa derivare un
pregiudizio dalla realizzazione del progetto dell'impianto industriale.
Qualora l'esito della conferenza di servizi comporti la variazione dello
strumento urbanistico, la determinazione costituisce proposta di variante
sulla quale, tenuto conto delle osservazioni, proposte e opposizioni
formulate dagli aventi titolo ai sensi della legge 17.08.1942, n. 1150,
si pronuncia definitivamente entro sessanta giorni il consiglio comunale.
Non è richiesta l'approvazione della regione, le cui attribuzioni sono fatte
salve dall'articolo 14, comma 3-bis, della legge 07.08.1990, n. 241".
Da ciò discende che la decisione in ordine alla convocazione della
conferenza di servizi impone all’Amministrazione di valutare ex ante, in una
fase originaria, effettuando un’istruttoria appropriata, se sussistano o
meno, secondo lo strumento urbanistico, aree destinate all'insediamento di
impianti produttivi ovvero se queste, ove presenti, debbano ritenersi
insufficienti in relazione al progetto presentato.
Peraltro, la decisione di seguire il modello della conferenza di servizi,
come avvenuto nella fattispecie all’esame, non preclude, ed anzi rafforza,
in considerazione del coinvolgimento di una pluralità di enti, l’esigenza di
istruire approfonditamente il procedimento, al fine di individuare l’area
maggiormente idonea alla realizzazione del progetto edilizio.
---------------
L’esigenza di appropriata istruttoria e motivazione non viene, peraltro,
esclusa dalla preesistente decisione della variante assunta dalla conferenza
di servizi, attesa la natura non vincolante della stessa.
Invero, per
costante giurisprudenza, la proposta di variazione dello strumento
urbanistico assunta dalla conferenza di servizi, da considerare alla stregua
di un atto di impulso del procedimento volto alla variazione urbanistica,
non è vincolante per il Consiglio comunale, che conserva le proprie
attribuzioni e valuta autonomamente se aderirvi.
Invero, secondo i consolidati principi della giurisprudenza:
a) in linea di massima, l'onere di motivazione delle scelte urbanistiche
gravante sulla Pubblica amministrazione in sede di adozione di uno strumento
urbanistico è di carattere generale e risulta soddisfatto con l'indicazione
dei profili generali e dei criteri che sorreggono le scelte effettuate,
senza necessità di una motivazione puntuale e "mirata";
b) tuttavia, le scelte urbanistiche richiedono una motivazione più o meno
puntuale a seconda che si tratti di previsioni interessanti la
pianificazione in generale ovvero un'area determinata, ovvero qualora
incidano su aree specifiche, ledendo legittime aspettative;
c) in tal modo, mentre richiede una motivazione specifica una variante che
interessi aree determinate del PRG, per le quali quest'ultimo prevedeva
diversa destinazione (a maggior ragione in presenza di legittime aspettative
dei privati), non altrettanto può dirsi allorché la destinazione di un'area
muta per effetto della adozione di un nuovo strumento urbanistico generale,
che provveda ad una nuova e complessiva definizione del territorio comunale;
in questa ipotesi, infatti, non è in discussione la destinazione di una
singola area, ma il complessivo disegno di governo del territorio da parte
dell'ente locale, di modo che la motivazione non può riguardare ogni singola
previsione (o zonizzazione), ma deve avere riguardo, secondo criteri di
sufficienza e congruità, al complesso delle scelte effettuate dall'ente con
il nuovo strumento urbanistico.
---------------
8.3. Il Collegio, in considerazione dell’attività concretamente
svolta dall’Amministrazione comunale nel corso dell’illustrato iter procedimentale, ritiene meritevoli di conferma le gravate statuizioni del
primo giudice in ordine alla sussistenza dei vizi di difetto di istruttoria
e di motivazione della determinazione-proposta del 21.05.2004 e della
delibera consiliare n. 19 del 09.08.2004, quest’ultima peraltro affetta
anche da illogicità ed arbitrarietà.
8.4. In primis, va premesso, sul piano normativo, che, ai sensi dell'art. 5
del d.P.R. 20.10.1998 n. 447, “Qualora il progetto presentato sia in
contrasto con lo strumento urbanistico, o comunque richieda una sua
variazione, il responsabile del procedimento rigetta l'istanza.
Tuttavia,
allorché il progetto sia conforme alle norme vigenti in materia ambientale,
sanitaria e di sicurezza del lavoro ma lo strumento urbanistico non
individui aree destinate all'insediamento di impianti produttivi ovvero
queste siano insufficienti in relazione al progetto presentato, il
responsabile del procedimento può, motivatamente convocare una conferenza di
servizi, disciplinata dall'articolo 14 della legge 07.08.1990, n. 241,
come modificato dall'articolo 17 della legge 15.05.1997, n. 127, per le
conseguenti decisioni, dandone contestualmente pubblico avviso.
Alla
conferenza può intervenire qualunque soggetto, portatore di interessi
pubblici o privati, individuali o collettivi nonché i portatori di interessi
diffusi costituiti in associazioni o comitati, cui possa derivare un
pregiudizio dalla realizzazione del progetto dell'impianto industriale.
Qualora l'esito della conferenza di servizi comporti la variazione dello
strumento urbanistico, la determinazione costituisce proposta di variante
sulla quale, tenuto conto delle osservazioni, proposte e opposizioni
formulate dagli aventi titolo ai sensi della legge 17.08.1942, n. 1150,
si pronuncia definitivamente entro sessanta giorni il consiglio comunale.
Non è richiesta l'approvazione della regione, le cui attribuzioni sono fatte
salve dall'articolo 14, comma 3-bis, della legge 07.08.1990, n. 241".
8.4.1. Da ciò discende che la decisione in ordine alla convocazione della
conferenza di servizi impone all’Amministrazione di valutare ex ante, in una
fase originaria, effettuando un’istruttoria appropriata, se sussistano o
meno, secondo lo strumento urbanistico, aree destinate all'insediamento di
impianti produttivi ovvero se queste, ove presenti, debbano ritenersi
insufficienti in relazione al progetto presentato.
Peraltro, la decisione di seguire il modello della conferenza di servizi,
come avvenuto nella fattispecie all’esame, non preclude, ed anzi rafforza,
in considerazione del coinvolgimento di una pluralità di enti, l’esigenza di
istruire approfonditamente il procedimento, al fine di individuare l’area
maggiormente idonea alla realizzazione del progetto edilizio.
8.5. Con riferimento al caso di specie, in aderenza a quanto già osservato
dal primo giudice, va rilevato che, tanto in occasione delle due sedute
della conferenza di servizi quanto in sede di approvazione della variante al
P.R.G., si procedeva, in assenza di un’idonea attività istruttoria, ad
analizzare la sola proposta fondata sulla relazione del Responsabile del
servizio urbanistica (arch. Go.).
8.5.1. Nessuna differente localizzazione veniva infatti proposta, e
conseguentemente esaminata, dalle altre amministrazioni partecipanti alla
conferenza (in primis, Regione e Provincia, dotate di specifica competenza
nella materia urbanistica). In particolare, non depongono in senso contrario
le prescrizioni con cui la Regione Umbria ha imposto la riduzione della
variante proposta della zona di particolare interesse agricolo alla sola
"area di sedime del nuovo edificio e alla strada di accesso al medesimo",
precisando che le altre porzioni di terreno non direttamente investite dalle
previsioni edificatorie rimanessero alla destinazione già impressa.
8.5.2. Così come, in occasione della seduta del Consiglio comunale, ad esito
della quale si adottava l’impugnata variante, non veniva apprestata la
necessaria attenzione alle osservazioni, di segno contrario, avanzate dal
cons. Gi.Em., ritenendole agevolmente superate con la
valorizzazione dell’eccezione proposta dal cons. Br.Pa. circa
l’esistenza di un deposito di gas nell’area alternativa indicata.
Al riguardo, attesa l’inidoneità delle generiche osservazioni del cons. Br. ad escludere in assoluto che l'intervento potesse essere comunque
localizzato nell'area in questione, tenuto conto che la stessa si estende
per oltre diciotto ettari, si ritiene che l'Amministrazione comunale avrebbe
dovuto verificare in concreto la possibilità di allocare l'intervento
nell'area indicata dal cons. Gi..
L’esigenza di appropriata istruttoria e motivazione non viene, peraltro,
esclusa dalla preesistente decisione della variante assunta dalla conferenza
di servizi, attesa la natura non vincolante della stessa.
Invero, per
costante giurisprudenza, la proposta di variazione dello strumento
urbanistico assunta dalla conferenza di servizi, da considerare alla stregua
di un atto di impulso del procedimento volto alla variazione urbanistica,
non è vincolante per il Consiglio comunale, che conserva le proprie
attribuzioni e valuta autonomamente se aderirvi (cfr. Cons. Stato, sez. IV,
01.03.2017, n. 940; cfr. ex multis, id., sez. IV, n. 4151 del 2013).
8.6. L’acclarata assenza di sufficiente attività istruttoria (ed il
conseguente difetto di motivazione degli atti impugnati) non può, peraltro,
essere superata in considerazione della portata della discrezionalità
dell’azione amministrativa nella fattispecie, la quale, attese le
peculiarità della variante in esame, deve peraltro essere ritenuta
decisamente circoscritta.
Invero, diversamente da quanto sostenuto da parte appellante, il Collegio
osserva che, secondo i consolidati principi della giurisprudenza (cfr. Cons.
Stato, sez. IV, 11.10.2017, n. 4707; ex multis, id., sez. IV, 24.10.2018, n. 6063; id., sez. IV, 12.05.2016, n. 1917):
a) in linea di massima, l'onere di motivazione delle scelte urbanistiche
gravante sulla Pubblica amministrazione in sede di adozione di uno strumento
urbanistico è di carattere generale e risulta soddisfatto con l'indicazione
dei profili generali e dei criteri che sorreggono le scelte effettuate,
senza necessità di una motivazione puntuale e "mirata";
b) tuttavia, le scelte urbanistiche richiedono una motivazione più o meno
puntuale a seconda che si tratti di previsioni interessanti la
pianificazione in generale ovvero un'area determinata, ovvero qualora
incidano su aree specifiche, ledendo legittime aspettative;
c) in tal modo, mentre richiede una motivazione specifica una variante che
interessi aree determinate del PRG, per le quali quest'ultimo prevedeva
diversa destinazione (a maggior ragione in presenza di legittime aspettative
dei privati), non altrettanto può dirsi allorché la destinazione di un'area
muta per effetto della adozione di un nuovo strumento urbanistico generale,
che provveda ad una nuova e complessiva definizione del territorio comunale;
in questa ipotesi, infatti, non è in discussione la destinazione di una
singola area, ma il complessivo disegno di governo del territorio da parte
dell'ente locale, di modo che la motivazione non può riguardare ogni singola
previsione (o zonizzazione), ma deve avere riguardo, secondo criteri di
sufficienza e congruità, al complesso delle scelte effettuate dall'ente con
il nuovo strumento urbanistico
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 08.05.2019 n. 2954 - link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Soggetto tenuto al pagamento del contributo straordinario
per concessioni edilizie in deroga in caso di procedimento
SUAP.
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Edilizia - Concessioni in deroga – Contributo
straordinario – Soggetto obbligato - Procedimento SUAP –
Individuazione.
Il contributo straordinario pari
almeno al 50% del maggior valore acquistato dal suolo nel
caso di permesso di costruire rilasciato in deroga al p.r.g.
(art. 16 comma 4, lett. d) ter, T.U. edilizia) va
corrisposto anche in caso di varianti in deroga per attività
produttive, nonostante le norme sul c.d procedimento SUAP
non lo richiamino espressamente (1).
---------------
(1) Ha chiarito la Sezione che: la previsione dell’obbligo di
contribuzione di cui all’art. 16, comma 4, lett. d-ter,
d.P.R. n. 380 del 2001, sebbene –come visto– di carattere
straordinario, presenta nella materia edilizia
un’applicazione generalizzata; del resto, nella disciplina
dell’art. 8, d.P.R. n. 160 del 2010 risulta assente una
espressa previsione in ordine all’esclusione
dell’applicabilità al procedimento Suap del prelievo
contributivo, necessaria al fine di ritenere integrato il
criterio di specialità; così come, la medesima disciplina,
piuttosto che introdurre una normativa derogatoria in
materia di obbligo contributivo, non fa che limitarsi a
disciplinare una modalità particolare per la presentazione
della domanda e per l’espletamento del relativo procedimento
di rilascio del titolo edilizio, con previsioni agevolative
ai fini dell’implementazione e dello sviluppo delle attività
produttive; ad ogni modo, non risulta neppure ipotizzabile
una previsione di esonero totale dal contributo
straordinario, atteso che la riserva di cui al comma 4-bis
dell’art. 16, d.P.R. n. 380 del 2001 (“fatte salve le
diverse disposizioni”), facendo riferimento solo a “quanto
previsto al secondo periodo della lett. d-ter del comma 4”,
riconosce alle legislazioni regionali ed agli strumenti
urbanistici generali comunali un ambito di operatività
limitato ai contenuti indicati in tale disposizione,
individuabili esclusivamente nella percentuale di
ripartizione, nelle modalità di versamento del contributo
perequativo e nelle finalità di utilizzo
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 12.04.2019 n. 2382 -
commento tratto da e link a
www.giustizia-amministrativa.it).
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SENTENZA
1. Con ricorso dinanzi al Tar Veneto (R.G. n.
1330/2017), la società Ga. s.p.a., impugnava, chiedendone
l’annullamento, il provvedimento del Comune di Mirano del
31.07.2017 con il quale il dirigente del Servizio edilizia
privata convenzionata dell’Area 2 comunicava che il rilascio
del permesso di costruire per l’ampliamento di un fabbricato
industriale in viale ... 27 era subordinato al pagamento di
un contributo ai sensi dell’art.
16, comma 4, lett. d-ter), d.P.R. 06.06.2001 n. 380 di
euro 346.828,40.
Chiedeva inoltre disporsi l’accertamento della non debenza
di tale contributo, nonché la condanna al risarcimento del
danno derivato dal ritardo nel rilascio di detto permesso di
costruire.
2. Il Tar Veneto, Sezione II, dopo aver invitato il Comune
-con ordinanza del 16.02.2018- a depositare in giudizio la
perizia di stima del 31.07.2017 con la quale era stato
determinato il maggior valore dell’area ai fini della
applicazione dell’art. 16, comma 4, lett. d-ter), d.P.R. n.
380/2001, ha respinto –con
sentenza 11.04.2018 n. 382- il ricorso ritenendo
che la richiesta del contributo in tal modo calcolato
sarebbe stata giustificata dal fatto che l’intervento
edilizio richiesto comportava una variante urbanistica.
Secondo il Tribunale, in particolare, l’art. 16, comma 4,
lett. d-ter), d.P.R. n. 380/2001 fa riferimento ad ogni
ipotesi di variante urbanistica, quindi anche a quelle
approvate con la procedura dello sportello unico.
6. L’appello è infondato e deve pertanto essere respinto.
7. Con l’unico motivo di appello viene sostanzialmente
riproposta la censura avanzata dalla società nel primo grado
di giudizio, con cui si sostiene che l’intervento edilizio
richiesto ed assentito dal Comune non dovrebbe essere
assoggettato al contributo straordinario perequativo di cui
all’art. 16, comma 4, lett. d-ter), d.P.R. n. 380/2001 in
quanto il titolo che lo assisteva era stato rilasciato ai
sensi del dell’art. 7 d.P.R. 07.09.2010, n. 160, norma
speciale che non prevede la possibilità di procedere alla
richiesta in questione.
In particolare, ad avviso dell’appellante, l’intervento
richiesto sfuggirebbe all’applicazione del d.P.R. n.
380/2001, in quanto il decreto n. 160/2010, avendo un ambito
di applicazione più ristretto rispetto a quello del decreto
n. 380/2001 che disciplina l’attività edilizia in generale,
costituirebbe normativa speciale (e sopravvenuta). Pertanto,
nel caso di specie l’intervento non sarebbe assoggettabile
al pagamento del contributo richiesto, in quanto, il d.P.R.
n. 160/2010, unica normativa applicabile, non prevede alcuna
corresponsione di contributo in sede di rilascio del titolo
abilitante la realizzazione dell’intervento produttivo,
nemmeno ove esso si ponga in variante allo strumento
urbanistico vigente.
7.1. La censura non è meritevole di accoglimento.
7.2. Premettendo una breve ricostruzione dei fatti posti
alla base del provvedimento impugnato, si rammenta che:
i) in data 28.11.2012 la società Ga. s.p.a. presentava al Comune di
Mirano domanda per l’avvio della procedura SUAP (Sportello
Unico per le Attività Produttive), ai sensi degli artt. 7 e
segg. d.P.R. 07.09.2010 n. 160, al fine di ottenere il
provvedimento conclusivo del procedimento unico in variante
allo strumento urbanistico per la realizzazione di un
ampliamento del fabbricato industriale sito in viale Venezia
n. 27 adibito all’attività produttiva svolta dalla stessa;
ii) nella conferenza di servizi decisoria, tenutasi il 27.06.2013 e
conclusasi l’11.07.2013, veniva rilasciato il parere
favorevole alla approvazione del progetto comportante la
variante urbanistica allo strumento urbanistico con annessa
convenzione; variante che, con deliberazione n. 53 del
18.07.2013, veniva approvata dal Consiglio Comunale;
iii) con nota del 30.05.2016 l’Amministrazione comunicava l’avvio
del procedimento di decadenza della variante urbanistica
approvata con la predetta deliberazione del Consiglio
Comunale;
iv) con nota inviata il 21.12.2016 il Comune faceva presente di
ritenere che il rilascio del provvedimento conclusivo del
procedimento unico dovesse essere accompagnato dalla
corresponsione di un contributo straordinario ai sensi
dell’art. 16, comma 4, lett. d-ter), d.P.R. 06.06.2001, n.
380 commisurato all’aumento del valore del terreno;
v) con provvedimento del 31.07.2017 il dirigente del
Servizio edilizia privata convenzionata dell’Area 2 del
Comune di Mirano subordinava il rilascio del permesso di
costruire al pagamento di detto contributo, per un importo
che, in base al maggior valore dell’immobile conseguito
dalla variante urbanistica, ammonta ad euro 346.828,40,
nonché alla sottoscrizione di convenzione urbanistica.
7.3. Ciò considerato, il Collegio rammenta che,
ai sensi
dell’art. 16 (“Contributo per il rilascio del permesso di
costruire”), del d.P.R. n. 380/2001, “Salvo quanto
disposto dall'articolo 17, comma 3, il rilascio del permesso
di costruire comporta la corresponsione di un contributo
commisurato all'incidenza degli oneri di urbanizzazione
nonché al costo di costruzione”.
È pertanto previsto, ai fini del rilascio del titolo, il
pagamento obbligatorio di un contributo, comunemente
ritenuto un corrispettivo di natura non tributaria a titolo
di partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione in
proporzione all’insieme di benefici che la nuova costruzione
consegue ovvero una compartecipazione del privato alla spesa
pubblica occorrente alla realizzazione delle opere di
urbanizzazione (cfr. Cons. Stato, Ad. plen., 30.08.2018, n.
12; Cons. Stato, Sez. IV, 27.02.2018, n. 1187).
Va dato atto, peraltro, che secondo la previsione del quarto
comma del medesimo articolo: “l'incidenza degli oneri di
urbanizzazione primaria e secondaria è stabilita con
deliberazione del consiglio comunale in base alle tabelle
parametriche che la regione definisce per classi di comuni
in relazione: … d-ter) alla valutazione del maggior valore
generato da interventi su aree o immobili in variante
urbanistica, in deroga o con cambio di destinazione d'uso.
Tale maggior valore, calcolato dall'amministrazione
comunale, è suddiviso in misura non inferiore al 50 per
cento tra il comune e la parte privata ed è erogato da
quest'ultima al comune stesso sotto forma di contributo
straordinario, che attesta l'interesse pubblico, in
versamento finanziario, vincolato a specifico centro di
costo per la realizzazione di opere pubbliche e servizi da
realizzare nel contesto in cui ricade l'intervento, cessione
di aree o immobili da destinare a servizi di pubblica
utilità, edilizia residenziale sociale od opere pubbliche”.
Viene in tal modo previsto, più che un criterio di calcolo
degli oneri di urbanizzazione “ordinari”, un
ulteriore onere rapportato all’aumento di valore che le aree
e gli immobili hanno conseguito per effetto di varianti
urbanistiche, deroghe o mutamenti di destinazione d’uso. Si
tratta, pertanto, di un “contributo straordinario”
diverso ed aggiuntivo rispetto agli oneri di urbanizzazione,
che va ad aggiungersi nei casi in cui a monte
dell’intervento vi sia stata una determinata scelta
pianificatoria di natura eccezionale.
Peraltro, con riferimento a quanto previsto dal secondo
periodo della citata lettera d-ter, il comma 4-bis prevede
altresì che “sono fatte salve le diverse disposizioni
delle legislazioni regionali e degli strumenti urbanistici
generali comunali”.
Ai sensi del quinto comma, infine, “Nel caso di mancata
definizione delle tabelle parametriche da parte della
regione e fino alla definizione delle tabelle stesse, i
comuni provvedono, in via provvisoria, con deliberazione del
consiglio comunale, secondo i parametri di cui al comma 4,
fermo restando quanto previsto dal comma 4-bis”.
7.3.1. Parallelamente, occorre considerare che, ai sensi
dell'articolo 38, comma 3, del decreto-legge 25.06.2008, n.
112, convertito, con modificazioni, dalla legge 06.08.2008,
n. 133, è stato adottato il d.P.R. 07.09.2010, n. 160 “regolamento
per la semplificazione ed il riordino della disciplina sullo
sportello unico per le attività produttive” che,
all’art. 8 (rubricato “Raccordi procedimentali con
strumenti urbanistici”), prevede la possibilità per
l'interessato, nei comuni in cui lo strumento urbanistico
non individua aree destinate all'insediamento di impianti
produttivi o individua aree insufficienti (fatta salva
l'applicazione della relativa disciplina regionale), di
richiedere al responsabile del SUAP la convocazione di
apposita conferenza di servizi.
Si prevede altresì che, nel caso in cui l’esito della
conferenza di servizi comporti la variazione dello strumento
urbanistico, ed ove sussista l'assenso della Regione
espresso in quella sede, il verbale viene sottoposto alla
votazione del Consiglio comunale per l’approvazione.
7.4. Alla luce di tale compendio normativo, risulta al
Collegio che il Comune di Mirano abbia fatto corretta
applicazione della richiamata disciplina, dovendo escludersi
che l’art. 8 del d.P.R. n. 160/2010 costituisca norma
speciale derogatoria e pertanto che, essendo quest’ultima
priva di una previsione in merito alla esistenza
dell’obbligo contributivo, sia intenzionalmente diretta ad
impedirne la vigenza. Invero:
a) la previsione dell’obbligo di contribuzione di cui all’art. 16,
comma 4, lett. d-ter, d.P.R. n. 380/01, sebbene –come visto–
di carattere straordinario, presenta nella materia edilizia
un’applicazione generalizzata;
b) del resto, nella disciplina dell’art. 8 del d.P.R. n. 160/2010,
invocata dall’appellante, risulta assente una espressa
previsione in ordine all’esclusione dell’applicabilità al
procedimento Suap del prelievo contributivo, necessaria al
fine di ritenere integrato il criterio di specialità;
c) così come, la medesima disciplina, piuttosto che introdurre una
normativa derogatoria in materia di obbligo contributivo,
non fa che limitarsi a disciplinare una modalità particolare
per la presentazione della domanda e per l’espletamento del
relativo procedimento di rilascio del titolo edilizio, con
previsioni agevolative ai fini dell’implementazione e dello
sviluppo delle attività produttive;
d) ad ogni modo, non risulta neppure ipotizzabile una previsione di
esonero totale dal contributo straordinario, atteso che la
riserva di cui al comma 4-bis dell’art. 16 d.PR. n. 380/2001
(“fatte salve le diverse disposizioni”), facendo
riferimento solo a “quanto previsto al secondo periodo
della lett. d-ter del comma 4”, riconosce alle
legislazioni regionali ed agli strumenti urbanistici
generali comunali un ambito di operatività limitato ai
contenuti indicati in tale disposizione, individuabili
esclusivamente nella percentuale di ripartizione, nelle
modalità di versamento del contributo perequativo e nelle
finalità di utilizzo.
7.5. Deve pertanto concludersi che al rilascio del permesso
di costruire, intervenuto in seguito all’approvazione della
variante urbanistica SUAP, trova applicazione, anche nella
Regione Veneto, l’obbligo di pagamento del contributo
straordinario generato dal maggior valore dell’area. L’art.
16, comma 4, lett. d-ter), d.P.R. n. 380/2001, invero, trova
applicazione indistintamente per tutti i procedimenti che
comportano un maggior valore generato dall’area da
interventi su aree o immobili in variante urbanistica, non
facendo eccezione quello tenuto mediante attivazione del
procedimento SUAP.
7.5.1. Del resto, in questo senso depone anche il tenore
della circolare regionale Veneto n. 1 del 20.01.2015 (“procedure
urbanistiche semplificate di sportello unico per le attività
produttive e disposizioni in materia urbanistica, di
edilizia residenziale pubblica”, in B.U.R. n. 13 del
03.02.2015), esplicativa della l.r. Veneto n. 55/2012 in
materia di SUAP, secondo cui anche in ipotesi di permesso a
costruire rilasciato dal SUAP in variante al PRG su area da
trasformarsi da agricola in destinazione produttiva, occorre
condizionare il rilascio alla sottoscrizione della
convenzione e dell’ottemperanza a tutte le condizioni e
prescrizioni nella stessa fissate, “nonché della corretta
corresponsione del pagamento del contributo di costruzione
ex art. 16 del DPR 380/2001 secondo gli importi e le
modalità fissati dal Comune”.
8. In conclusione, in ragione di quanto esposto, l’appello
deve essere respinto. |
anno 2018 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
OGGETTO: Conferenza di servizi semplificata e asincrona
ex art. 14-bis della legge n. 241/1990 – Assenso implicito –
Sportello unico – Potere di autotutela – Parere (Legali
Associati per Celva,
nota 04.12.2018 - tratto da www.celva.it).
---------------
Allegati alla richiesta di parere:
●
allegato 1 -
allegato 2 -
allegato 3 |
EDILIZIA PRIVATA:
Il comma 4, lett. d-ter),
dell'art. 16 del d.p.r. n. 380 del 2001 fa riferimento ad
ogni ipotesi di variante urbanistica ossia anche alle
varianti approvate con la procedura dello sportello unico (suap).
---------------
... per l'annullamento:
1) del provvedimento 31.07.2017 con il quale il Dirigente del
Servizio Edilizia Privata Convenzionata dell'Area 2 del
Comune di Mirano ha comunicato che il rilascio del permesso
di costruire per l'ampliamento di un fabbricato industriale
in viale ... 27 era subordinato al pagamento di un
contributo ai sensi dell'art. 16, comma 4, lett. d)-ter, DPR
06.06.2001 n. 380 di Euro 346.828,40;
2) accertamento della non debenza del contributo di cui sub. 1) per
il rilascio del permesso di costruire;
3) risarcimento del danno derivato dal ritardo nel rilascio del
permesso di costruire di cui sub. 1).
...
Parte ricorrente ha impugnato il provvedimento che subordina
il rilascio del permesso di costruire al pagamento
dell’importo del contributo di costruzione determinato in
base al maggior valore dell'immobile derivante dalla
variante urbanistica ai sensi dell'art. 16, comma 4, lett.
d-ter), DPR 06.06.2001 n. 380 di Euro 346.828,40.
Il ricorso è infondato, essendo il contributo richiesto in
relazione ad intervento in variante urbanistica. Il comune
di Mirano ha fatto corretta applicazione del quarto comma,
lettera d-ter, dell'art. 16 del d.p.r. n. 380 del 2001 che
fa riferimento ad ogni ipotesi di variante urbanistica ossia
anche alle varianti approvate con la procedura dello
sportello unico, come nel caso di specie. È stato
correttamente richiesto un contributo straordinario nella
misura del 50 per cento dell'aumento di valore dell'area.
Ne consegue anche l'infondatezza della domanda risarcitoria (TAR
Veneto, Sez. II,
sentenza 11.04.2018 n. 382 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2017 |
|
URBANISTICA:
Oggetto: Parere in merito all'ammissibilità della
procedura di variante urbanistica di cui all'art. 8 del
d.P.R. 160/2010 per gli esercizi che svolgono attività di
somministrazione di alimenti e bevande (Regione Lazio,
nota 28.03.2017 n. 158854 di prot.). |
AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA:
Il fresato d’asfalto è da considerarsi
sottoprodotto laddove utilizzato in quantità ragionevoli e
non eccessive quale materiale di continuo impiego per
alimentare un impianto di produzione di asfalto, non
rientrando –quindi– nella classificazione impeditiva del
c.d. piano provinciale dei rifiuti, che può considerare il
fresato d’asfalto come rifiuto solo laddove collocato in
quantità tali da determinare la formazione di una vera e
propria discarica.
---------------
Il parere favorevole di Valutazione Ambientale Strategica
reso dalla conferenza di servizi in sede di adozione del
progetto edilizio di ampliamento edificatorio produttivo con
formazione di impianti di produzione di asfalto e
calcestruzzo in variante al piano urbanistico generale con
la procedura dello Sportello Unico-SUAP, laddove anche
ricognitivo di tutti i pareri ambientali istruttori
favorevoli resi dai vari enti coinvolti nel procedimento
(ASL, ARPA, Vigili del Fuoco etc.) costituisce un vincolo
procedimentale per il consiglio comunale chiamato ad
assumere la delibera finale di approvazione del progetto
stesso, impedendo la possibilità di un legittimo diniego di
approvazione finale.
La Valutazione Ambientale Strategica è fase procedurale
complessa che deve precedere l’approvazione del progetto
edilizio in variante tramite la procedura di Sportello Unico
SUAP, per cui le valutazioni istruttorie che vengono
compiute nella fase istruttoria ed il giudizio ambientale
positivo finale reso dall’autorità competente consumano per
questi aspetti il potere di valutazione discrezionale
assegnato al consiglio comunale, in ciò innovando
radicalmente rispetto alla risalente giurisprudenza che
riteneva permanesse ampia e totale discrezionalità in capo
al Consiglio Comunale per l’approvazione o meno dei
procedimenti di Sportello Unico nella fase finale, questa
giurisprudenza –invero– si riferisce a casistiche relative a
procedimenti anteriori all’entrata in vigore della normativa
in tema di Valutazione Ambientale Strategica, in cui il
giudizio ambientale veniva reso dal Consiglio Comunale solo
nella fase finale del procedimento.
---------------
L’illegittimo ed illecito arresto di un procedimento di
approvazione di un progetto di ampliamento produttivo in
variante al piano regolatore generale motivato solo per
ragioni di tipo politico, ossia per un ripensamento insorto
nell’amministrazione comunale nella fase finale approvativa
in relazione a manifestazioni pubbliche di segno contrario
provenienti da un comitato ambientalista nell’imminenza del
rinnovo elettorale delle cariche comunali, determina
l’annullamento giudiziale dell’atto di diniego e l’obbligo
di risarcimento del danno per l’ingiusto blocco
all’ampliamento dell’attività produttiva.
---------------
Il tecnico comunale estensore –quale autorità competente VAS–
di un motivato parere favorevole ambientale rispetto al
progetto di ampliamento produttivo mediante le procedure di
Sportello Unico SUAP incorre nel vizio di eccesso di potere
per contraddittorietà manifesta laddove sottoscriva solo in
seguito ma a breve distanza temporale nella fase finale del
procedimento, dopo l’adozione del SUAP da parte del
Consiglio Comunale, una relazione esprimente parere negativo
ambientale ed urbanistico rispetto al medesimo intervento
nonché redigendo bozza di delibera di diniego poi
illegittimamente approvata dal Consiglio Comunale.
---------------
Laddove, annullato dal giudice amministrativo, il diniego di
ampliamento produttivo mediante la procedura di Sportello
Unico SUAP sopravvenga una condizione di difficoltà
economica dell’imprenditore proponente, tale da condurlo
alla presentazione di una proposta di concordato
liquidatorio, viene meno il presupposto legale (ossia
l’esistenza di una impresa attiva che necessità di spazi
ulteriori per il ciclo produttivo) che giustifichi il
rilascio del permesso edilizio richiesto tramite la
procedura SUAP, per cui deve essere rigettato il ricorso per
ottemperanza proposto dal liquidatore giudiziale della
società in concordato preventivo.
Pur sopravvenuta la condizione di liquidazione concordataria
dell’impresa che impedisce il rilascio del permesso edilizio
in variante in ottemperanza della sentenza del giudice
amministrativo che abbia annullato il diniego opposto dal
consiglio comunale, l’amministrazione comunale è comunque
tenuta a risarcire all’imprenditore (e nel caso alla
procedura liquidatoria concordataria gestita dal Tribunale
Fallimentare) tutti i danni subiti per diniego ingiustamente
ed illegittimamente provocati.
Il risarcimento dei danni conseguenti ad illegittimo diniego
di approvazione di progetto edilizio in variante al piano
regolatore comunale mediante la procedura SUAP deve
comprendere:
a) il ristoro di tutte le spese vive sopportate, compreso le spese
per progetti e consulenze varie;
b) la differenza di valore immobiliare tra l’area destinata ad uso
produttivo (come sarebbe stato nel caso di approvazione del
SUAP) e l’area rimasta nella destinazione agricola;
c) i mancati utili conseguenti all’illecito impedimento all’avvio
dell’iniziativa imprenditoriale, anche in relazione al
possibile fatturato venuto meno ed agli appalti non
conseguiti, con applicazione –rispetto al totale
determinato- di parametri riduttivi equitativi riferiti alla
c.d. “perdita di chanche” (nel caso l’amministrazione
comunale di Arcore è stata condannata a pagare 600.000,00 €
complessivi al Tribunale Fallimentare di Bergamo).
---------------
... per la riforma della
sentenza 09.04.2015 n. 898 del TAR per la
LOMBARDIA – Sede di MILANO - SEZIONE II, resa tra le parti,
concernente archiviazione di domanda di Suap. Risarcimento
dei danni.
...
1. Con la sentenza n. 898 del 09.04.2015, il Tribunale
Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Seconda),
pronunciando sul ricorso proposto dalla società Do. f.lli
s.a.s. (d’ora in poi Do.) in liquidazione e in concordato
preventivo, dichiarava inammissibile la domanda per ottenere
l’ottemperanza al giudicato formatosi a seguito della
sentenza n. 2182 del 10.08.2012, confermata dal Consiglio di
Stato con sentenza n. 4151 del 21.05.2013, e in parte
dichiarava irricevibile e in parte respingeva la domanda di
annullamento proposta avverso la deliberazione del Consiglio
comunale di Arcore n. 3 del 03.02.2014, e contro il nuovo
Piano di governo del territorio del Comune, approvato con
deliberazione di C.C. n. 18 del 27.05.2013, ed il nuovo
Piano di coordinamento della Provincia di Monza e Brianza,
approvato con deliberazione di C.P. n. 16 del 10.7.2013; il
Tar respingeva, inoltre, la domanda di condanna del Comune
di Arcore al risarcimento dei danni.
1.1. La predetta sentenza esponeva in fatto quanto segue.
“La società Do. f.lli s.a.s., operante nel campo
dell’estrazione di materiali inerti naturali e della
fornitura di calcestruzzi nel settore dei lavori pubblici,
era proprietaria di un impianto di produzione di asfalto e
di produzione di calcestruzzo, sito nel territorio del
Comune di Vimercate. A seguito dell’approvazione del
progetto per la realizzazione dell’Autostrada Pedemontana,
il cui tracciato interseca il predetto impianto, la stessa
società ha dovuto avviare un iter per lo spostamento di
quest’ultimo, acquisendo una nuova area in Comune di Arcore,
destinata a zona agricola.
In data 03.08.2009, ha presentato istanza per la
realizzazione del nuovo insediamento produttivo ed il
Comune, con deliberazione n. 200 del 09.12.2009, valutata
l’assenza di zone adeguate per il complesso produttivo in
base allo strumento urbanistico, ha giudicato procedibile
l’istanza ai sensi dell’art. 5 del DPR n. 447 del 1998, ai
fini della variazione dello strumento urbanistico. Il
progetto veniva sottoposto alla procedura di VAS che, dopo
l’acquisizione dei pareri favorevoli delle autorità
coinvolte in materia ambientale, sanitaria e di sicurezza,
si concludeva con provvedimento favorevole del 14.05.2010
circa la compatibilità ambientale del SUAP a condizione del
rispetto delle prescrizioni ed indicazioni del parere
motivato.
Per l’autorizzazione all’esercizio dell’impianto e
dell’attività, la Provincia Monza e Brianza giudicava non
necessario l’espletamento della procedura di V.I.A.
regionale. Il Sindaco, con nota 11.12.2009, nel comunicare
all’impresa il buon esito della prima conferenza di servizi
per la valutazione strategica ambientale del SUAP, la
invitava a provvedere al versamento in conto anticipazione
degli oneri di urbanizzazione per euro 150.000. La
Conferenza di servizi si concludeva il 25.01.2011 con
valutazione positiva del progetto per la realizzazione del
nuovo insediamento industriale, con varie prescrizioni.
La Provincia di Monza e Brianza, con nota del 27.01.2011,
nel dare atto del parere favorevole espresso dal proprio
rappresentante in sede di conferenza di servizi, segnalava,
tuttavia, sotto il profilo ambientale, l’incompatibilità
dell’attività di trattamento di rifiuti con il Piano
provinciale dei rifiuti e, considerato che il progetto
comprendeva l’attività di fresa d’asfalto, da considerarsi
alla stregua di un rifiuto, diffidava, in quanto titolare
della funzione ambientale, il Comune di Arcore
dall’autorizzare tale attività. Il Comune di Arcore, con
deliberazione n. 35 del 21.07.2011, richiamando il contenuto
della Relazione allegata alla delibera, respingeva
l’istanza.
La società Do. ha impugnato dinanzi a questo TAR l’atto
negativo comunale nonché il parere parzialmente negativo
espresso dalla Provincia Monza e Brianza nella parte in cui
ritiene incompatibile con il PPGR il progetto di impianto
per l’impiego di fresato di asfalto. Il TAR, con sentenza n.
2182 del 10.08.2012, ha accolto il ricorso. La sentenza è
stata confermata dal Consiglio di Stato in sede di giudizio
di appello (sent. n. 4151 del 06.08.2013). La ricorrente, in
data 17.09.2013, ha protocollato una nota con cui ha chiesto
al Comune di Arcore di dare esecuzione alla pronuncia del
TAR, ormai passata in giudicato. L’amministrazione ha dato
riscontro all’istanza con nota del 30.09.2013.
In tale atto, l’Amministrazione comunica che, per dare nuovo
impulso al procedimento di SUAP, sarebbe stato necessario
che la ricorrente avesse provveduto al deposito di un nuovo
atto unilaterale d’obbligo e di una nuova bozza di
convenzione; precisando che, siccome la stessa ricorrente
aveva nel frattempo presentato al Tribunale di Bergamo
istanza per l’ammissione alla procedura di concordato
preventivo, tali atti avrebbero dovuto essere
preventivamente autorizzati dagli organi della procedura. A
questa nota, ha fatto seguito la deliberazione di Consiglio
Comunale n. 3 del 03.02.2014, con cui il Comune di Arcore ha
deciso di archiviare definitivamente la procedura di SUAP
avviata dalla ricorrente….”.
2. Avverso la prefata sentenza la Do. F.lli s.a.s. in
liquidazione ed in concordato preventivo ha proposto appello
dinanzi a questo Consiglio di Stato, chiedendone
l’annullamento e l’integrale riforma.
...
1. Viene alla decisione del Collegio l’ultimo segmento della
causa suindicata che vede opposta l’appellante Do. F.lli
s.a.s. in liquidazione ed in concordato preventivo alle
amministrazioni intimate.
1.1. Preliminarmente il Collegio fa presente che a mente del
combinato disposto degli artt. artt. 91, 92 e 101, co. 1,
c.p.a., farà esclusivo riferimento ai mezzi di gravame posti
a sostegno dei ricorsi in appello, senza tenere conto di
ulteriori censure sviluppate nelle memorie difensive
successivamente depositate, in quanto intempestive,
violative del principio di tassatività dei mezzi di
impugnazione e della natura puramente illustrativa delle
comparse conclusionali (cfr. ex plurimis Cons. Stato
Sez. V, n. 5865 del 2015); del pari, in via preliminare, si
osserva che la causa appare sufficientemente istruita per
cui non appare necessario disporre alcun incombente
istruttorio.
1.2. Come rilevato nella parte in fatto del presente
elaborato, mercé la sentenza non definitiva n. 5158/2015 è
stata esclusa la fondatezza di tutti i primi quattro motivi
di appello diretti a censurare la prefata sentenza del Tar
n. 898/15 nella parte in cui questa aveva dichiarato
inammissibile la domanda per ottenere l’ottemperanza al
giudicato ed aveva dichiarato in parte irricevibile ed in
parte infondata (respingendola) la domanda di annullamento
dei nuovi atti pianificatori medio tempore emessi dalle
amministrazioni intimate.
1.2. La sentenza non definitiva n. 5158/2015 ha invece
parzialmente accolto il quinto motivo di appello, ha
indicato i “versanti” di danno risarcibile,
escludendo immediatamente invece la debenza del risarcimento
richiesto con riguardo ad alcune “voci” di danno, pur
causalmente ricollegabili al “primo” diniego, ed ha
disposto una consulenza tecnica su tale aspetto da
determinarsi.
1.3. Va quindi premesso che costituiscono statuizioni
rigiudicate quelle contenute nella sentenza non definitiva
n. 5158/2015 mediante le quali la Sezione ha perimetrato
quali fossero i profili di danno risarcibili: tutti gli
argomenti critici volti a rimettere in discussione gli
approdi ivi raggiunti (si veda in proposito la prima parte
della memoria depositata in data 13.12.2016 dalla appellante
società Do. f.lli s.a.s.) sono pertanto inammissibili.
1.4. Posto però che entrambe le parti processuali hanno
insistentemente tentato (in ultimo con le memorie depositate
successivamente al deposito della relazione di consulenza
tecnica ed in sede di discussione alla odierna pubblica
udienza) di rimettere in discussione profili contenziosi già
decisi con statuizione rigiudicata, si ritiene in proposito
di specificare che:
a) la più volte citata sentenza non definitiva n. 5158/2015 ha
espressamente affermato che “in tale situazione,
pertanto, permane la illegittimità delle ragioni ostative
poste a base dello stesso e, dunque, la violazione del
legittimo affidamento maturatosi in capo al privato.
I contenuti del giudicato e le argomentazioni poste a
sostegno dello stesso –come sopra diffusamente richiamate–
rivelano, pertanto, in assenza di una rinnovata valutazione
sulle ragioni del primo diniego da parte del soggetto
titolare della potestà pianificatoria, la sussistenza di
profili di responsabilità in capo al Comune”;
a1) consegue da ciò che tutti gli argomenti dell’Amministrazione
comunale tesi a dimostrare che (a cagione della mancata
disponibilità pregressa degli impianti di Vimercate) tale
affidamento non sussistesse, e tutti gli argomenti critici
tesi a dimostrare che giammai l’appellante avrebbe potuto
ottenere il bene della vita e che, pertanto, nessun
risarcimento era dovuto, possono rilevare in punto
(unicamente) di quantificazione dell’importo risarcitorio,
ma non possono incidere sulla attribuibilità del medesimo e
ove a ciò finalizzati devono essere dichiarati
inammissibili;
b) la società Do. F.lli s.a.s. ha eccepito l’integrale
inammissibilità di tali argomenti critici (in quanto “nuovi”
ed impingenti sull’an della realizzabilità
dell’intervento, il che integrava cosa giudicata) ma -nei
limiti prima indicati– la eccezione non è accoglibile in
quanto:
I) è ben vero che il comune avrebbe potuto
prospettare dette “difficoltà realizzative
dell’intervento” –prospettandole quali cause ostative
alla realizzazione del medesimo in sede di rieffusione del
potere- perché, come è noto, la sentenza demolitoria non le
precludeva di ripronunciarsi su tutti gli aspetti della
controversa vicenda una seconda volta (tra le tante, (Cons.
Stato, Sez. IV, 06.10.2014, n. 4987);
II) ciò non ha fatto, e quindi in chiave di
dimostrazione della inassentibilità dell’intervento
edificatorio auspicato dalla società Do. F.lli s.a.s. v’è
una preclusione;
III) pur tuttavia, la detta preclusione non
impedisce al comune comunque di dedurre dette circostanze,
che assumono rilievo in sede (ormai, soltanto) di
quantificazione del risarcimento, laddove esse –in tali
limiti- possono essere liberamente apprezzate dal giudice
(come meglio si vedrà di qui a poco, allorché si chiarirà
che la pretesa della società Do. ha mera consistenza di
chance);
c) quanto alla insistita contestazione da parte del Comune di
Arcore (anche in sede di discussione all’odierna udienza
pubblica) dell’affidamento ingeneratosi sulla società, per
rilevarne la inammissibilità in quanto impingente su una
tematica coperta dal giudicato è sufficiente riportare due
brevi stralci della più volte menzionata sentenza non
definitiva che così ha statuito:” gli argomenti portati a
sostegno della determinazione reiettiva risultano
illegittimi e non sufficienti a fondare il disposto rigetto.
Ciò in considerazione della loro inidoneità a superare le
risultanze del procedimento fino a quel momento svolto
(favorevoli ad una conclusione positiva dello stesso) e
ponendosi, dunque, con le stesse in ingiustificata
contraddizione, con lesione del legittimo e rilevante
affidamento in proposito maturatosi in capo al privato.”;
“ln tale situazione, pertanto, permane la illegittimità
delle ragioni ostative poste a base dello stesso e, dunque,
la violazione del legittimo affidamento maturatosi in capo
al privato.”;
d) di converso, (e con più specifico riferimento agli argomenti
prospettati dalla società Do. F.lli s.a.s. e ribaditi in
sede di discussione all’odierna udienza pubblica) la
medesima sentenza non definitiva n. 5158/2015 ha
espressamente affermato che:
I) “il maggior onere finanziario (maggior
costo) per la realizzazione del complesso produttivo non è
dovuto”;
II) “neppure deve essere risarcito il danno
finanziario per crisi di liquidità connessa ai maggiori
costi di approvvigionamento dell’appalto”;
III) “dagli atti di causa non emerge la prova
della sussistenza di un nesso causale tra tale pretesa voce
di danno, la sottoposizione di Do. a procedura di concordato
preventivo ed il diniego a suo tempo opposto dal Comune di
Arcore;”
d1) consegue da ciò che non sono ammissibili le argomentazioni
della parte privata nella parte in cui tentano di
sollecitare un ulteriore giudizio su tali profili che,
infatti, non verranno dal Collegio esaminati, in quanto
coperti dal giudicato “interno” formatosi.
2. Ciò premesso, la relazione del Ctu nominato ha fornito
partita risposta ai quattro quesiti descritti nella sentenza
non definitiva n. 5158/2015, in particolare evidenziando
che:
a) quanto alle spese sostenute dalla originaria ricorrente (primo
quesito), esse potevano essere così individuate:
I) per le spese ed i costi di procedura, non
recuperabili, è stato quantificato un importo “certo”
pari ad Euro 326.343,55 e presumibile, pari ad Euro
339.021,69 (pag. 24 CTU);
II) per ciò che concerneva l’acquisto del terreno
ove avrebbe dovuto erigersi l’impianto, tenuto presente che
il medesimo fu acquistato per un importo pari ad Euro
298.000//00 e che la servitù in favore del detto fondo fu
acquistata successivamente (nel 2009) per un importo pari ad
Euro 85.000//00 è stato computato il valore attuale, sia
considerandolo agricolo (€ 152.664,00) che edificabile (€
1.1272.200,00) con l’avvertenza che non sussistevano atti
programmatori tali da fare desumere che lo stesso avesse
assunto caratteristica di area edificabile con destinazione
produttiva (pag. 25 dell’elaborato di Ctu); inoltre, il
valore è stato distinto, facendo riferimento sia all’ipotesi
di alienazione con recupero della servitù, che nell’ipotesi
di alienazione senza recupero della servitù (e ciò sia con
riferimento al valore del suolo quale edificabile, che con
riguardo al valore del suolo quale agricolo); il computo
finale contenuto nell’elaborato di verificazione è stato
pertanto pari (nell’ipotesi di terreno agricolo) ad una
minusvalenza di € 230.336,00 (corrispondente ad € 145.336,00
qual diminuzione del fondo, ed € 85.000,00 corrispondenti
alla servitù ove considerata irrecuperabile) ovvero di €
145.336,00 (scomputati € 85.000,00 corrispondenti alla
servitù ove considerata recuperabile); mentre, nell’ipotesi
di terreno considerato edificabile sarebbe stata
riscontrabile una plusvalenza pari ad € 889.200,00 (laddove
il valore di € 85.000,00 corrispondente alla servitù venisse
considerato irrecuperabile) ovvero pari ad € 974.200,00
(laddove il valore di € 85.000,00 corrispondente alla
servitù venisse considerato recuperabile);
b) quanto al secondo quesito -con il quale, in sostanza si chiedeva
di quantificare con riferimento al periodo dal 21.07.2011 al
24.05.2013 (id est: la voce di “danno”
discendente dagli acquisti di asfalto che la originaria
ricorrente era stata costretta a sostenere (rispetto ai
risparmi che ne sarebbero discesi laddove l’impianto fosse
stato autorizzato e la stessa avesse ivi potuto produrre in
proprio l’asfalto) e quella discendente dalla mancata
vendita del surplus di asfalto eventualmente prodotto- la
relazione ha esaminato la questione alle pagg. 25-43
dell’elaborato, pervenendo ad una quantificazione valoriale
pari ad euro 216.900,00, quanto al maggior costo subito per
l’acquisto dell’asfalto che essa era stata costretta ad
effettuare (piuttosto che produrlo in proprio), e pari ad
euro 313.000 quanto ai guadagni che essa avrebbe potuto
ritrarre dalla vendita dell’asfalto: tale dato è stato
calcolato previa sottrazione dell’arco temporale di nove
mesi (quantificato quale arco temporale necessario per
ottenere la variante) e, quindi, calcolando 13 mesi di
attività effettiva;
c) quanto al terzo quesito con il quale, in sostanza si chiedeva di
quantificare con riferimento al periodo dal 21.07.2011 al
24.05.2013, la voce di “danno” (in termini di mancato
guadagno) derivante dalla presumibile vendita di
calcestruzzo prodotto nell’impianto medesimo, la relazione
ha esaminato la questione alle pagg. 43-47 dell’elaborato,
pervenendo ad una determinazione secondo cui il mancato
margine sarebbe ricompreso tra Euro 699.400,00 (e quindi
16,14 € per metro cubo facendo riferimento ad un volume di
attività “normale” per la società Do., pari a 40.000
metri cubi annui) ed Euro 1.213.729,16 (e quindi 17,23 € per
metro cubo facendo riferimento ad un volume di attività “ideale”
per la società Do., pari a 65.000 metri cubi annui);
d) quanto infine al quarto quesito, la relazione del Ctu la
relazione ha esposto i dati raccolti alle pagg. 47-49
dell’elaborato ed ha fatto presente che nel 2009 l’impianto
di Vimercate della Co. srl (e da questa acquistato nel 2006
dalla società Ca. s.r.l.) venne venduto ad una società
libica (l’impianto venne poi smantellato nel 2010), per cui
a partire da tale data di avvenuta cessione, nel 2009
l’appellante non poteva vantare alcun rapporto negoziale
privilegiato con il detto impianto,
2.1. Con nota allegata alla relazione e versata in atti,
l’Ing. Ba. ha proposto una serie di osservazioni alle
conclusioni del C.t.u., in particolare deducendo che:
a) già nell’agosto 2009 (epoca in cui venne depositata l’istanza al
Comune di Arcore) la società appellante non era più
proprietaria degli impianti ubicati in Vimercate (nel 2006
l’azienda Cantù aveva ceduto i rami di azienda per la
produzione del conglomerato bituminoso ed il calcestruzzo
alla Co., come peraltro colto dal C.t.u. al paragrafo 3.2.
della relazione) l’affermazione contenuta al paragrafo
3.1.1., pag 10, della relazione, ove si sosteneva che
l’appellante utilizzava, nel periodo di interesse, impianti
di proprietà in Vimercate, era in contraddizione con il
paragrafo 3.2. della relazione di consulenza tecnica;
b) la tesi esposta a pag. 10 della relazione, secondo la quale il
progetto di Arcore era finalizzato ad una strategia di
integrazione verticale dell’appellante, era apodittica e
sfornita di evidenze probatorie;
c) quanto al paragrafo 4.1. della relazione, non erano documentati
il merito e la congruità delle spese di progettazione
sostenute;
d) quanto al paragrafo 4.2.1. della relazione, la Conferenza di
servizi si tenne il 25.01.2011 ma a quella data il progetto
non era cantierabile: i tempi di realizzazione del progetto,
quindi, erano ben superiori ai sette mesi stimati dalla
relazione di consulenza tecnica;
e) ciò anche considerato che il progetto era sprovvisto di alcune
autorizzazioni indispensabili a realizzare e mettere in
esercizio l’impianto.
3. Ciò premesso, ritiene il Collegio che il punto di
partenza dal quale occorre muovere è quello per cui, -come
accertato nella sentenza parziale regiudicata n. 5158/2015-
“i contenuti del giudicato e le argomentazioni poste a
sostegno dello stesso –come sopra diffusamente richiamate–
rivelano, pertanto, in assenza di una rinnovata valutazione
sulle ragioni del primo diniego da parte del soggetto
titolare della potestà pianificatoria, la sussistenza di
profili di responsabilità in capo al Comune.
La illegittimità dei motivi di reiezione della variante
lasciano, dunque, supporre (ripetesi, in assenza di
rinnovata valutazione su di essi) che il bene della vita
sperato da Do. sarebbe stato conseguito, non ostandovi le
ragioni concretamente espresse nella delibera n. 35/2011, in
ragione della loro illegittimità ed in considerazione delle
risultanze del procedimento SUAP così come fino a quel
momento svoltosi.”.
3.1. Risultano pertanto incontrovertibili due circostanze:
a) l’an della responsabilità del comune;
b) la necessità di pervenire ad una valutazione di tipo equitativo
fondata sul dato probabilistico del “presumibile”
conseguimento da parte dell’appellante del bene della vita
cui essa aspirava.
3.2. Sulla scorta di tale considerazione, è anzitutto
inaccoglibile la pretesa della società Do. di vedersi
liquidati, per intero, i valori determinati nella relazione
di consulenza.
3.3. La impostazione della sentenza non definitiva n.
5158/2015 non è stata questa (argomentando diversamente non
vi sarebbe logica nella minuta ed analitica strutturazione
dei quesiti n. 2 e n. 3 disposta dalla sentenza medesima) e
l’esito della consulenza non consente neppure di ritenere
plausibile la pretesa della società Do..
3.4. Invero, dalla analitica relazione del C.T.U., e dalle
difese del comune, emerge, quale dato incontrovertibile che,
ferma la illegittimità del diniego opposto dal comune (così,
si ripete, la sentenza suddetta: “il Comune di Arcore ha
illegittimamente denegato, con la prima delibera di
Consiglio Comunale n. 35/2011, l’approvazione della variante
urbanistica SUAP richiesta dalla Do.”) comunque il
progetto presentato non era “completo” (nel senso di
munito di tutte le autorizzazioni provenienti da tutti gli
Enti deputati a rilasciarli) e soprattutto le
caratteristiche dell’impianto progettato, e delle opere
ancora da eseguirsi (ed autorizzazioni da conseguire) non
possono indurre a ritenere certa la costruzione del
medesimo.
3.5. Alla stregua delle superiori considerazioni, tenuto
conto del disposto dell’art. 1226 del codice civile,
pacificamente applicabile alla quantificazione risarcitoria
resa dal Giudice amministrativo, tenuto conto che nulla può
imputarsi a parte appellante in termini di concorso colposo
ex art. 1227 c.c. (peraltro il Comune non ha neppure
formulato tale domanda, si veda Cassazione civile, sez. III,
27/07/2015, n. 15750) e considerata la circostanza che
l’impresa che aspirava a realizzare l’impianto è stata posta
in liquidazione non a cagione delle vicissitudini relative
all’impianto per cui è causa, il Collegio ritiene di
ravvisare una chance di realizzazione dell’impianto
(pari alla misura del 50% di probabilità: vedasi Consiglio
di Stato, sez. V, 25/02/2016, n. 762 Consiglio di Stato,
sez. V, 30/06/2015, n. 3249) e tale argomento ricomprende ed
assorbe tutte le considerazioni (ed i dubbi)
dell’amministrazione comunale in ordine alla tempistica di
realizzazione dell’impianto ed all’an della
realizzabilità del medesimo.
3.5.1. Invero sulla circostanza che non era certa la
realizzazione effettiva dell’impianto, non pare potersi
controvertere; si è già chiarito che tali argomenti dedotti
dal comune non possono essere esplorati in chiave preclusiva
della concedibilità del risarcimento; la tesi della società
secondo la quale trattandosi di procedimento demandato alla
valutazione in sede di Suap il Comune ha artatamente
enfatizzato i possibili ostacoli alla realizzabilità
dell’impianto, (sintetizzati nell’ultima pagine delle
osservazioni alla relazione del Ctu redatte dall’Ingegnere
Ba. e datata 20.05.2016) è apoditttica ed indimostrata: tali
elementi concorrono a far quantificare nella misura di una
chance del 50% la posizione della società.
3.6. Quanto ai restanti argomenti critici, una volta
quantificata nei termini di cui sopra la consistenza della
posizione della ditta Do., il Collegio ritiene che nessuna
delle minuziose critiche che investono l’elaborato di Ctu
sia accoglibile, essendo stata in detta sede vagliata dal
Ctu ogni perplessità prospettata dalle contrapposte parti
processuali, e ritenendosi l’approdo raggiunto dal Ctu –che
il Collegio condivide e fa proprio- compito, completo, ed
immune da contraddizioni.
4. Alla stregua delle superiori considerazioni, il Comune
deve essere condannato a corrispondere in favore della
società odierna appellata un risarcimento che coincide con
le somme che via via si elencano:
a) quanto al quesito n. 1:
I) considerato il terreno quale agricolo
(questione, questa sulla quale non residua dubbio alcuno)
una somma pari ad Euro 145.336,00 in considerazione della
circostanza che la servitù acquistata non appare
irrecuperabile in alcun modo: a tale cifra va sommata quella
pari ad Euro 107. 671, 97 (spese non recuperabili) per un
totale di Euro 243.007,97, dato, questo, cui va sommato il
costo di progettazione degli impianti (Euro 211.311,00 cui
vanno sommati Euro 7.360,50 per un parziale pari ad Euro
218.671,50).
4.1. Il Comune, quindi, dovrà versare alla Società la cifra
di Euro 461.679,47.
4.2. A tale somma, va aggiunta una percentuale delle cifre
quantificate dal Ctu in risposta ai quesiti nn. 2 e 3.
4.2.1. Si rammenta, in proposito, che dette cifre erano
state così determinate:
a) quanto al quesito n. 2 (valutazione del Ctu di cui alla pag. 43
dell’elaborato di consulenza tecnica):
I) Euro 216.900,00 a titolo di maggiore costo;
II) Euro 313.300,00 a titolo di mancato guadagno;
b) quanto al quesito n. 3, (valutazione minimale del Ctu di cui
alla pag. 43 dell’elaborato di consulenza tecnica), il
mancato margine era stato quantificato nella misura di €
699.400,00.
4.2.2. Ora, appare evidente che a fronte di una possibilità
realizzativa indicata nel 50% risulti viepiù ipotetica la
effettiva conseguibilità delle somme in ultimo indicate,
posto che su di esse incide innanzitutto un dato incerto,
rappresentato dall’effettivo rispetto della tempistica di
conseguimento delle autorizzazioni, ed altresì un dato se
possibile ancor più aleatorio, rappresentato dalla
sussistenza di una attività produttiva ed a regime
ininterrotta, senza flessioni ascrivibili a guasti,
malfunzionamenti, senza cali di alcun genere della domanda,
di forniture etc.
E’ noto, che per parte della giurisprudenza, addirittura,
non sarebbe mai consentita, alcuna liquidazione del c.d. “interesse
positivo” nell’ipotesi di chance (ex aliis
Consiglio di Stato, sez. VI, 01/02/2013, n. 633).
4.2.3. Ritiene il Collegio che, bilanciate in sede di
valutazione equitativa ex art. 1226 cc tutte queste
circostanze –e tenuto conto anche del fatto che la domanda
originaria della ditta appellante conteneva una non
irrilevante imprecisione in quanto se è vero che la stessa
aveva una qualche disponibilità dell’impianto di Vimercate,
con conseguente possibilità di godere di condizioni
favorevoli, non ne era proprietaria- la percentuale delle
somme indicate in risposta ai quesiti nn. 2 e 3 del Ctu vada
determinata nella misura del 10% dei valori in essi
indicati.
4.2.4. Alla cifra concernente le “spese” ed il
deprezzamento dell’immobile, e pari ad Euro 461.679,47 si
dovranno sommare pertanto le seguenti voci:
- Euro 21.690,00 (il 10% di Euro 216.900,00); Euro 31.300,00
(il 10% di Euro 313.300,00); Euro 69.940,00 (il 10% di Euro
699.400,00) il che conduce ad una somma parziale pari ad
Euro 122.930,00 che, sommata ad Euro 461.679,47 porta alla
cifra finale da liquidare, che è quindi pari ad Euro
584.609,47.
Sul quantum di danno accertato per la perdita di
chance, trattandosi di un debito di valore, spetta anche la
rivalutazione monetaria da calcolarsi sino alla
pubblicazione della presente sentenza. A decorrere da tale
momento, in conseguenza della liquidazione giudiziale, il
debito di valore si trasforma in debito di valuta e spettano
quindi solo gli interessi nella misura legale sino
all'effettivo soddisfo (Consiglio Stato, sez. VI, 23.07.2009
n. 4628).
5. Conclusivamente, in parziale accoglimento dell’appello,
ed in parziale riforma della sentenza appellata, il ricorso
di primo grado deve essere parzialmente accolto, e pertanto
il comune di Arcore deve essere condannato al pagamento in
favore della parte appellante della somma complessiva di
Euro € 584.609,47, oltre ad accessori come sopra indicati.
5.1. Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda
sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli
aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza
al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e
pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante,
tra le tante, per le affermazioni più risalenti, Cassazione
civile, sez. II, 22.03.1995 n. 3260 e, per quelle più
recenti, Cassazione civile, sez. V, 16.05.2012 n. 7663).
5.2. Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati
sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della
decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione
di tipo diverso.
6. Deve procedersi alla liquidazione del compenso
complessivo (onorario e spese) spettante al consulente
tecnico d'ufficio, che ne ha fatto espressa richiesta con
due apposite note, rispettivamente in data 05.09.2016 e
18.01.2017 rimettendone la determinazione all'apprezzamento
del giudice: in particolare, è stata richiesta la
liquidazione di euro 445,00 a titolo di spese, e di Euro
22.200,00 complessivi (ivi calcolando anche l’importo di
Euro 6.000,00 anticipato e posto provvisoriamente posto a
carico dell’appellante nella sentenza non definitiva n. 5158
del 12.11.2015) di cui 14.400,00 in favore dalla CTU prof. Ar., e 7.800,00 in favore del collaboratore di questa,
Prof. Pi..
L’importo residuo da liquidare, quindi, sarebbe pari ad Euro
16.200,00.
6.1. Tenuto conto anche della complessità dell’accertamento
ritiene il Collegio che esso possa essere complessivamente
contenuto (ivi comprese le spese, cioè) nella misura di Euro
ventimila (€ 20.000,00) il che, detratto l’anticipo già
erogato, implica che debbano corrispondersi restanti Euro
14.000,00.
6.2.. L'onorario spettante al consulente tecnico d'ufficio e
le spese da questi sostenute da intendersi comprensivo
dell'anticipo pari a Euro 6.000,00 provvisoriamente posto a
carico dell’appellante nella sentenza non definitiva n. 5158
del 12.11.2015 sono poste definitivamente a carico del
Comune di Arcore.
6.3. La complessità delle questioni trattate e la reciproca,
parziale, soccombenza costituiscono ad avviso della Sezione
ragioni idonee a giustificare tutte le spese del doppio
grado di giudizio, ivi comprese (ad esclusione di quelle
relative alla consulenza tecnica, liquidate come sopra).
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione
Quarta) definitivamente pronunciando sull'appello, come in
epigrafe proposto, richiamata la propria precedente sentenza
non definitiva n. 5158 del 12.11.2015 così provvede:
a) accoglie parzialmente l’appello, ed in parziale riforma della
impugnata sentenza condanna il comune di Arcore appellato a
corrispondere alla appellante società Do. F.lli sas in
liquidazione ed in concordato preventivo la somma di Euro
584.609,47 siccome determinata in motivazione, oltre ad
accessori come determinati in motivazione;
b) liquida in favore del consulente tecnico d'ufficio, Prof.
An.Ma.Ar. l'importo complessivo di Euro 20.000,00
(comprensivo dell'anticipo pari a Euro 6.000,00, fissato
nella sentenza non definitiva n. 5158 del 12.11.2015) di cui
Euro. 19.555,00 a titolo di onorario ed Euro 445,00 a titolo
di spese ponendolo a carico del Comune di Arcore;
c) compensa interamente tra le parti le spese del doppio grado di
giudizio (ad esclusione di quelle concernenti la consulenza
tecnica che restano a carico del comune) (Consiglio di
Stato, Sez. IV,
sentenza 01.03.2017 n. 943 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2016 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Il Collegio è dell’avviso che il modulo
procedimentale prefigurato dall’art. 8 del d.P.R. n.
160/2010 sia strutturalmente analogo -per quanto qui
interessa- a quello a suo tempo previsto dall’abrogato art.
5 del d.P.R. n. 447/1998, sicché può essere utilmente
richiamata per l’uno la giurisprudenza formatasi sull’altro.
La necessità dell’assenso regionale, espressa nella
disposizione dell’art. 8, comma 1, del d.P.R. n. 160/2010,
era infatti implicita in quella dell’art. 5, comma 2, del
d.P.R. n. 447/1998, perché, se non era richiesta
l'approvazione della Regione, le attribuzioni di
quest’ultima erano comunque fatte salve dalla partecipazione
alla conferenza di servizi nei termini previsti
dall'articolo 14, comma 3-bis, della legge 07.08.1990, n.
24, nel testo all’epoca vigente.
Deve dunque dirsi che:
a) benché l’assenso della Regione (o dell’ente delegato, nel caso
di specie la Provincia) sia essenziale al completamento
dell’iter (art. 8, comma 1, del d.P.R. n. 160/2010), la
Regione stessa è solo uno dei soggetti pubblici che prendono
parte alla Conferenza di servizi contemplata dalle
disposizioni ricordate;
b) il parere regionale ha natura di atto endo o infra
procedimentale, la cui efficacia vincolante non incide sulla
natura propria di questo, che -come detto- rimane un atto
interno nell’ambito di un procedimento unico. Solo il parere
contrario, producendo un arresto definitivo che termina
nella sostanza il procedimento, ha un’autonoma efficacia
lesiva, riveste carattere provvedimentale e, in quanto tale,
può essere immediatamente impugnato dal destinatario;
c) l’atto conclusivo del procedimento che si articola nella
Conferenza non ha carattere decisorio ma costituisce una
proposta di variante dello strumento urbanistico
(espressamente l’art. 5, comma 2, del d.P.R. n. 447/1998;
implicitamente l’art. 8, comma 1, del d.P.R. n. 160/2010);
d) secondo entrambi le disposizioni ora citate, la deliberazione
definitiva -nel senso di aderire o no a tale proposta-
spetta al Consiglio comunale;
e) il Comune è dunque la sola Autorità emanante, necessariamente
destinata a essere evocata in giudizio;
f) poiché alla Regione (o alla Provincia) non è attribuito
nell'ambito del procedimento alcun potere decisorio, non è
necessario notificare ad essa la domanda impugnatoria della
deliberazione del Consiglio comunale che approva la variante
del P.R.G. in forma semplificata, e parimenti, essendo un
atto endoprocedimentale l'assenso da essa espresso alla
variante nel corso della Conferenza di servizi, non occorre
neppure che lo stesso venga impugnato.
---------------
Per giurisprudenza costante, la procedura semplificata di
variante urbanistica ha carattere eccezionale e derogatorio
della disciplina generale, sicché non può trovare
applicazione al di fuori delle ipotesi specificamente
previste dalla norma, e i presupposti fattuali, da cui si
assume nascere l’esigenza di tale variante, vanno accertati
con in modo oggettivo con il dovuto rigore.
Secondo la normativa vigente, la variante semplificata può
essere adottata “nei comuni in cui lo strumento urbanistico
non individua aree destinate all'insediamento di impianti
produttivi o individua aree insufficienti, fatta salva
l'applicazione della relativa disciplina regionale” (art. 8
del d.p.r. n. 160/2010, cit.).
---------------
26. Del pari
infondati sono i motivi dell’appello n. 4840/2016.
26.1 Non ha pregio il primo motivo, con il quale il
Comune appellante rinnova un’eccezione di inammissibilità
del ricorso di primo grado, già rigettata dal TAR e fondata
sull’omessa notifica alla Provincia di Perugia dell’atto
introduttivo del giudizio.
26.1.1. Condividendo pienamente le osservazioni del
Tribunale regionale sul punto, il Collegio è dell’avviso che
il modulo procedimentale prefigurato dall’art. 8 del d.P.R.
n. 160/2010 sia strutturalmente analogo -per quanto qui
interessa- a quello a suo tempo previsto dall’abrogato art.
5 del d.P.R. n. 447/1998, sicché può essere utilmente
richiamata per l’uno la giurisprudenza formatasi sull’altro.
26.1.2. La necessità dell’assenso regionale, espressa nella
disposizione dell’art. 8, comma 1, del d.P.R. n. 160/2010,
era infatti implicita in quella dell’art. 5, comma 2, del
d.P.R. n. 447/1998, perché, se non era richiesta
l'approvazione della Regione, le attribuzioni di
quest’ultima erano comunque fatte salve dalla partecipazione
alla conferenza di servizi nei termini previsti
dall'articolo 14, comma 3-bis, della legge 07.08.1990, n.
24, nel testo all’epoca vigente.
26.1.3. Deve dunque dirsi che:
a) benché l’assenso della Regione (o dell’ente delegato, nel caso
di specie la Provincia) sia essenziale al completamento
dell’iter (art. 8, comma 1, del d.P.R. n. 160/2010), la
Regione stessa è solo uno dei soggetti pubblici che prendono
parte alla Conferenza di servizi contemplata dalle
disposizioni ricordate;
b) il parere regionale ha natura di atto endo o infra
procedimentale, la cui efficacia vincolante non incide sulla
natura propria di questo, che -come detto- rimane un atto
interno nell’ambito di un procedimento unico. Solo il parere
contrario, producendo un arresto definitivo che termina
nella sostanza il procedimento, ha un’autonoma efficacia
lesiva, riveste carattere provvedimentale e, in quanto tale,
può essere immediatamente impugnato dal destinatario (per
una problematica analoga -riguardo al ruolo
dell’autorizzazione paesaggistica nel procedimento di
rilascio di un titolo edilizio- Cons. Stato, sez. VI,
12.06.2008, n. 2903; sez. IV, 12.02.2015, n. 738);
c) l’atto conclusivo del procedimento che si articola nella
Conferenza non ha carattere decisorio ma costituisce una
proposta di variante dello strumento urbanistico
(espressamente l’art. 5, comma 2, del d.P.R. n. 447/1998;
implicitamente l’art. 8, comma 1, del d.P.R. n. 160/2010);
d) secondo entrambi le disposizioni ora citate, la deliberazione
definitiva -nel senso di aderire o no a tale proposta-
spetta al Consiglio comunale (Cons. Stato, sez. IV,
10.08.2011, n. 4768; sez. IV, 02.10.2012, n. 5187; sez. V,
11.04.2013, n. 1972; sez. IV, 26.05.2014, n. 2667);
e) il Comune è dunque la sola Autorità emanante, necessariamente
destinata a essere evocata in giudizio;
f) poiché alla Regione (o alla Provincia) non è attribuito
nell'ambito del procedimento alcun potere decisorio, non è
necessario notificare ad essa la domanda impugnatoria della
deliberazione del Consiglio comunale che approva la variante
del P.R.G. in forma semplificata, e parimenti, essendo un
atto endoprocedimentale l'assenso da essa espresso alla
variante nel corso della Conferenza di servizi, non occorre
neppure che lo stesso venga impugnato (Cons. Stato, n. 2667
del 2014, cit.).
26.1.3. Da ciò, appunto, il rigetto dell’eccezione.
26.2. E’ anche infondato il secondo motivo.
26.2.1. Per giurisprudenza costante, la procedura
semplificata di variante urbanistica ha carattere
eccezionale e derogatorio della disciplina generale, sicché
non può trovare applicazione al di fuori delle ipotesi
specificamente previste dalla norma, e i presupposti
fattuali, da cui si assume nascere l’esigenza di tale
variante, vanno accertati con in modo oggettivo con il
dovuto rigore (Cons. Stato, sez. IV, 03.03.2006, n. 1038;
sez. IV, 25.06.2007, n. 3593; sez. IV, 15.07.2011, n. 4308;
sez. IV, 08.01.2016, n. 27).
26.2.2. Secondo la normativa vigente, la variante
semplificata può essere adottata “nei comuni in cui lo
strumento urbanistico non individua aree destinate
all'insediamento di impianti produttivi o individua aree
insufficienti, fatta salva l'applicazione della relativa
disciplina regionale” (art. 8 del d.p.r. n. 160/2010,
cit.).
26.2.3. Nel caso di specie, è noto che il capannone
industriale preesisteva e non è stata data alcuna
convincente spiegazione circa l’effettiva necessità di un
ampliamento degli spazi per l’attività di distribuzione di
energia per i veicoli a trazione elettrica.
26.2.4. Sembra piuttosto doversi dire che il Comune, messo
sull’avviso dall’ordinanza cautelare della Sezione n.
3150/2011 (che, resa in relazione al ricorso n. 4654/2011,
ha accolto la domanda cautelare, ma al solo scopo di
mantenere la res integra, considerando tuttavia
prima facie la sentenza appellata esente dalle censure
proposte), abbia inteso utilizzare la speciale procedura
della variante semplificata per un fine improprio, cioè
quello di sanare un insediamento abusivo.
26.2.5. Sono dunque fondate le censure di violazione di
legge e di eccesso di potere per sviamento dalla funzione
tipica, sicché il secondo motivo dell’appello va parimenti
respinto.
26.3. Tanto premesso, non occorre neppure esaminare il terzo
motivo del gravame, essendo acclarata l’illegittimità del
provvedimento impugnato. Tale motivo, per ragioni di
economia processuale, resta perciò assorbito (Cons. Stato,
ad. plen., 27.04.2015, n. 5)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 20.10.2016 n. 4380 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Oggetto: Richiesta di parere in merito
all'interpretazione dell'art. 8, comma 3, del d.P.R.
160/2010 in tema di esclusione delle procedure afferenti le
strutture di vendita di cui agli artt. 8 e 9 del d.lgs.
114/1998 (Ministero dello Sviluppo Economico,
parere 21.03.2016 n. 78743 di prot.). |
EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: In
relazione al disposto dell’art. 8 del DPR 160/2010, la
variante semplificata resta subordinata dal comune
procedente ad una concreta verifica di inesistenza o di
insufficienza di aree destinate all’insediamento di impianti
produttivi.
Anche di recente il Consiglio di Stato ha ribadito il
carattere eccezionale della procedura, “la quale non può
essere surrettiziamente trasformata in una modalità
“ordinaria” di variazione dello strumento urbanistico
generale: pertanto, perché a tale procedura possa
legittimamente farsi luogo, occorre che siano
preventivamente accertati in modo oggettivo e rigoroso i
presupposti di fatto richiesti dalla norma, e quindi anche
l’assenza nello strumento urbanistico di aree destinate ad
insediamenti produttivi ovvero l’insufficienza di queste,
laddove per “insufficienza” deve intendersi, in costanza
degli standard previsti, una superficie non congrua (e,
quindi, insufficiente) in ordine all’insediamento da
realizzare”.
---------------
Nel merito il ricorso è fondato, in relazione all’assorbente
censura sul grave difetto motivazionale che ha
caratterizzato l’intero corso della procedura di variante
impugnata.
Va in primo luogo puntualizzato che, a fronte della
presentazione in data 16.1.2013 del progetto da parte della
società contro interessata Va.Im., volto “al recupero
funzionale ed alla ristrutturazione edilizia” del
fabbricato da adibire a “farmacia, studi medici e
residenziale in variante al PRG ed al piano
particolareggiato”, il dirigente dell’Area Servizi alla
Città ed al Territorio del comune di Giulianova aveva
espresso in data 08.05.2013 parere negativo per alcuni
profili di contrasto con la strumentazione vigente, generale
ed attuativa.
Ciò nonostante, senza rendere alcun specifico richiamo a
tale parere negativo, il Responsabile del SUAP ha disposto
la convocazione della conferenza di servizi ex art. 8 del
DPR 160/2010, sulla scorta di motivazione generica basata
sul fatto che “l’intervento di cui sopra consentirà la
riqualificazione del tessuto urbano dell’area in oggetto”.
Vale la pena di evidenziare che gli esiti della conferenza
–terminata nell’unica seduta del 03.06.2013- sono riportati
nel sintetico verbale in pari data, con cui si esprime
parere favorevole alla variante urbanistica “sotto il
profilo urbanistico ed edilizio”. Sulla scorta del
parere favorevole acquisito dalla Provincia di Teramo e
dell’autorizzazione paesaggistica rilasciata in data
02.09.2013 dal comune di Giulianova, il consiglio comunale
ha poi dato séguito all’intervento rilevando che “l’attuazione
del progetto come proposto genera a favore di questo ente
una quota di plusvalenza pari ad euro 100.416,00”, così
approvando ai sensi dell’art. 8 del DPR 160/2010 il progetto
per il recupero funzionale e la ristrutturazione edilizia
del fabbricato “polifunzionale” in via Gramsci.
Trattasi di istruttoria e di motivazione del tutto
inadeguata, proprio in relazione al disposto dell’art. 8 del
DPR 160/2010, secondo cui la variante semplificata resta
subordinata dal comune procedente ad una concreta verifica
di inesistenza o di insufficienza di aree destinate
all’insediamento di impianti produttivi.
Anche di recente il Consiglio di Stato (da ultimo VI sez.,
sentenza 08.01.2016 n. 27) ha ribadito il carattere
eccezionale della procedura, “la quale non può essere
surrettiziamente trasformata in una modalità “ordinaria” di
variazione dello strumento urbanistico generale: pertanto,
perché a tale procedura possa legittimamente farsi luogo,
occorre che siano preventivamente accertati in modo
oggettivo e rigoroso i presupposti di fatto richiesti dalla
norma, e quindi anche l’assenza nello strumento urbanistico
di aree destinate ad insediamenti produttivi ovvero
l’insufficienza di queste, laddove per “insufficienza” deve
intendersi, in costanza degli standard previsti, una
superficie non congrua (e, quindi, insufficiente) in ordine
all’insediamento da realizzare (cfr. Cons. Stato, sez. IV,
15.07.2011, nr. 4308; id., 25.06.2007, nr. 3593; id.,
03.03.2006, nr. 1038)”.
Nel caso di specie, nessun cenno istruttorio è stato operato
in ordine alla verifica in concreto sull’esistenza o meno,
in ambito civico, di spazi destinati ad insediamenti
produttivi (il ricorrente si è peraltro anche soffermato sul
punto, specificando –senza avversaria confutazione- gli
ambiti territoriali che a suo dire postulerebbero ampie
disponibilità dello strumento urbanistico in tal senso).
La stessa difesa del comune si è appellata al fatto che,
soprattutto in presenza di strutture già esistenti e
bisognose di ampliamento, gli spazi da reperire sarebbero
quelli all’interno dei luoghi ove preesiste l’insediamento,
risultando inutile riscontrare l’esistenza di spazi in altra
parte del territorio difficilmente utilizzabili, con
improbabili (se non impossibili) traslochi di tutta
l’attività commerciale o professionale in atto.
Ora, in disparte il fatto che qualsiasi margine di
adattabilità della verifica al progetto presentato non può
mai prescindere dallo strumento vigente, il quale non può
essere oggetto di modifiche per adeguarlo alle esigenze del
proponente (cfr. Cons. Stato, sez. IV, nr. 3593/2007), va
anche detto che nella specie non si tratta nemmeno di un
insediamento preesistente. L’immobile in questione era
dismesso dopo un risalente utilizzo ad ufficio fiscale, per
cui l’attività economica programmata (farmacia e studi
medici), che giustifica gli ampliamenti della vecchia
struttura, risulta di nuova istituzione.
Resta pertanto inconferente il richiamo alle difficoltà di
trasloco dell’attività in corso verso siti urbanisticamente
dedicati (di cui il Comune non si è interessato nemmeno di
controllarne estensione e/o vicinanza), dovendosi piuttosto
rilevare la non appropriatezza, logica prima ancora che
giuridica, di un sistema che dovesse consentire al
proprietario di turno di qualsiasi immobile dismesso, ovvero
finora adibito a tutt’altro utilizzo, di poter approntare in
loco “a piacimento” un rilevante insediamento
economico-produttivo, pur in assenza di idoneità urbanistica
dell’area e pur in presenza di zone alternative, altrove
localizzate nello stesso Comune.
Né può condividersi il tentativo delle parti resistenti di
riportare l’iniziativa in questione ad un ampliamento della
farmacia già presente in zona. In realtà tale esercizio –e
l’immobile nel quale viene svolta l’attività- nulla ha
direttamente a che vedere con l’iniziativa edilizio/
urbanistica dell’immobile da ristrutturare e da ampliare.
Che poi il gestore della farmacia abbia deciso (come pare)
di spostarsi presso la nuova struttura polifunzionale poco
cambia al riguardo, trattandosi di una semplice adesione
logistica alla struttura polifunzionale, magari per
intercettare più agevolmente la clientela proveniente dagli
studi medici.
Nel caso di specie, si è visto poi come ad inizio
istruttoria sia stato raccolto un parere negativo reso dal
competente Ufficio del Comune, che aveva registrato un
contrasto del progetto con i vigenti statuti urbanistici
generali ed attuativi. Almeno tale circostanza avrebbe
dovuto sensibilizzare gli organi procedenti verso una
verifica ancor più rigorosa, non solo sull’esistenza o meno
di aree idonee in territorio civico, ma finanche
sull’impatto dell’insediamento nei riguardi dell’equilibrio
urbanistico del Comune; ma di contro, nessuna specifica
argomentazione del SUAP, della conferenza e del consiglio
comunale è intervenuta al riguardo, neppure per chiarire
(almeno) le ragioni in base alle quali tale parere poteva
essere disatteso, essendosi limitato l’Organo consiliare ad
evidenziare solo gli asseriti profitti economici dell’ente
che sarebbero scaturiti con nuovo insediamento.
In buona sostanza è mancato in radice qualsiasi
approfondimento istruttorio e motivazionale. Di tanto si è
avveduto lo stesso patrono del comune che, a proposito della
motivazione evanescente esternata dal consiglio comunale, ha
inteso difendersi affermando che nella specie si sarebbe
trattato di una semplice adesione alla proposta della
conferenza dei servizi, così che vi sarebbe stato una sorta
di rinvio ob relationem alle ragioni che avrebbero
indotto la conferenza stessa al parere positivo sul
progetto. Detta tesi manifesta però tutta la sua debolezza,
di fronte al fatto che, come in precedenza evidenziato,
anche nei lavori (e nel “verbalino”) della conferenza
nessuna motivazione sostanziale risulta rintracciabile.
Né ovviamente le sopravvenute variazioni riduttive del
progetto possono aver in qualche modo alleviato i profili
vizianti sopra evidenziati, atteso che risulta del tutto
indifferente ai fini qui in rilievo il minore ingombro
esterno del fabbricato. Va piuttosto affermata in via
consequenziale l’illegittimità derivata anche degli atti
ampliativi (permesso di costruire ed autorizzazione unica)
rilasciati dal comune sul progetto modificato, e ritualmente
impugnati con motivi aggiunti.
Del tutto generica risulta infine la domanda risarcitoria
avanzata con i motivi aggiunti, domanda di cui va pertanto
disposta la reiezione.
In conclusione, il ricorso ed i motivi aggiunti trovano
accoglimento, per gli assorbenti profili sopra evidenziati,
e per l’effetto si annullano gli atti impugnati
(TAR Abruzzo-L'Aquila,
sentenza 10.03.2016 n. 132 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA:
E'
improprio il ricorso allo strumento
della variante urbanistica semplificata ex art. 5
del d.P.R. nr. 447 del 1998 a cagione
dell’insussistenza del presupposto fattuale
richiesto dalla stessa norma;
Invero, quest’ultima -come è noto- consente la
variante in una approvazione del progetto
dell’insediamento produttivo, laddove l’area
interessata dall’intervento abbia una destinazione
incompatibile con lo stesso, soltanto a condizione
che “lo strumento urbanistico non individui aree
destinate all’insediamento di impianti produttivi
ovvero queste siano insufficienti in relazione al
progetto presentato”.
---------------
Questa Sezione ha sempre sottolineato in modo
rigoroso il carattere eccezionale e derogatorio
della procedura disciplinata dal ricordato art. 5,
la quale non può essere surrettiziamente trasformata
in una modalità “ordinaria” di variazione dello
strumento urbanistico generale: pertanto, perché a
tale procedura possa legittimamente farsi luogo,
occorre che siano preventivamente accertati in modo
oggettivo e rigoroso i presupposti di fatto
richiesti dalla norma, e quindi anche l’assenza
nello strumento urbanistico di aree destinate ad
insediamenti produttivi ovvero l’insufficienza di
queste, laddove per “insufficienza” deve intendersi,
in costanza degli standard previsti, una superficie
non congrua (e, quindi, insufficiente) in ordine
all’insediamento da realizzare.
Più specificamente, si è affermato che, se è vero
che il concetto di sufficienza o insufficienza delle
aree esistenti va verificato “in relazione al
progetto presentato”, il che certamente significa
che esiste un margine di flessibilità e adattabilità
di quest’ultimo, per inserirlo nel contesto
risultante dallo strumento urbanistico, resta fermo,
però, che il parametro di riferimento è costituito
dallo strumento vigente, il quale non può essere
esso oggetto di modifiche per adeguarlo alle
esigenze del proponente.
A tali rilievi, poi, va aggiunto ciò che la logica
suggerisce in relazione all’ipotesi in cui il
progetto abbia a oggetto un insediamento
commerciale, e non produttivo: ipotesi rientrante
nel d.P.R. nr. 447/1998 per effetto dell’art. 1-bis
ivi inserito dal d.P.R. 07.12.2000, nr. 440, ed alla
quale quindi si estende la previsione della variante
semplificata di cui al più volte citato art. 5,
originariamente elaborata per i soli insediamenti
produttivi.
In tali casi, è evidente che il presupposto fattuale
costituito dalla assenza o insufficienza nello
strumento urbanistico di aree a destinazione
specifica e coerente con il progetto va inteso nel
senso della necessità di verificare preventivamente
la disponibilità non soltanto di aree stricto sensu
destinate a insediamenti produttivi (zone D), ma
anche di aree con destinazione commerciale, anche se
non in via esclusiva, quali certamente sono le aree
con destinazione a zona C di espansione.
---------------
Nel caso che qui occupa, il giudizio di
“insufficienza” delle aree esistenti nel P.d.F. è
scaturito non già da una ritenuta insufficienza
delle superfici bensì da un apprezzamento
tecnico-discrezionale dell’impatto che la
realizzazione della struttura avrebbe avuto sulle
diverse e residue destinazioni impresse alle
medesime aree.
Se così stanno le cose, questa Sezione ritiene molto
discutibile che in tal modo possa dirsi integrato il
presupposto normativo de quo, attraverso un quanto
meno opinabile giudizio tecnico che ha portato il
rappresentante del Comune in sede di Conferenza di
servizi a sostenere che nelle aree in questione
avrebbero potuto essere insediati solo esercizi di
vicinato (limitazione, quest’ultima, non presente
nelle disposizioni urbanistiche vigenti e che a sua
volta è discesa dal suindicato apprezzamento
tecnico-discrezionale); è evidente, infatti, che
quella dell’inserimento della struttura commerciale
nell’area in discorso e del suo raccordo con le
altre destinazioni a questa impresse dal P.d.F. era
questione afferente alle modalità esecutive
dell’insediamento, e da affrontare in una alle altre
problematiche connesse al rilascio
dell’autorizzazione unica per l’esercizio
commerciale (così come, ad esempio, quanto al
raccordo con la viabilità esistente, su cui si
tornerà appresso).
L’aver elevato tale problematica a elemento
impeditivo a monte dell’utilizzabilità delle aree in
questione, in modo da integrare il presupposto
normativo per procedere a variante urbanistica su
altra e diversa porzione del territorio comunale,
costituisce chiaro elemento indiziario di sviamento
di potere, inteso a offrire ai proponenti il
progetto la possibilità, non consentita alla stregua
della vigente disciplina urbanistica, di operare su
aree in loro proprietà non compatibili dal punto di
vista urbanistico con l’insediamento de quo.
---------------
Il più volte citato art. 5, d.P.R. nr. 447/1998
impone di tener conto “delle osservazioni proposte e
opposizioni formulate dagli aventi titolo ai sensi
della legge 17.08.1990, n. 1150” (comma 1), e,
quindi, delle osservazioni relative alla proposta di
variante urbanistica ritualmente formulate da chi
sarebbe legittimato a proporle in base alla
legislazione urbanistica.
--------------
In tema di legislazione nazionale e regionale sulla
pianificazione commerciale, condivisibile
giurisprudenza di primo grado ha affermato che il
principio di libertà dell’iniziativa economica
privata contenuto nell’art. 41 Cost. impone di
interpretare la disciplina di cui agli artt. 6 e 8
del decreto legislativo 31.03.1998, nr. 114 (che
sono le norme base della pianificazione regionale e
comunale in subiecta materia) non con criteri
restrittivi, ma in modo da consentirne lo
svolgimento concreto, potendo essa essere limitata
solo per gravi e preminenti motivi di interesse
pubblico: pertanto, non può essere legittimamente
negato l’insediamento di nuove strutture di vendita,
né l’ampliamento di quelle esistenti, ove il diniego
sia motivato unicamente sulla base della mancanza
della fissazione dei criteri inerenti la
programmazione locale.
---------------
... avverso e per l’annullamento e/o la riforma, previa
sospensione dei suoi effetti, della sentenza del TAR della
Campania, Sezione di Salerno, Sezione Seconda, nr. 1838/11
del 16.11.2011, non notificata, che ha respinto il ricorso (nr.
1772/2008) proposto avverso la delibera del Consiglio
Comunale di Montecorvino Rovella nr. 17 del 16.06.2008 (che
ha approvato una variante urbanistica ex art. 5 del d.P.R.
20.10.1998, nr. 447, per l’insediamento di una media
struttura commerciale di vendita), nonché i successivi
motivi aggiunti proposti, tra l’altro, avverso il
provvedimento unico conclusivo del Responsabile del Settore
Tecnico del S.U.A.P. Associato della Comunità Montana “Monti
Piacentini” nr. 2/2010 del 04.03.2010 (che ha rilasciato
il titolo edilizio per la costruzione dell’opificio
commerciale e, nello stesso tempo, l’autorizzazione per
l’apertura della struttura di vendita che dovrà esservi
allocata).
...
7. La Sezione reputa invece fondato, come già anticipato in
fase cautelare, il secondo mezzo, col quale si reitera la
censura relativa all’improprio ricorso allo strumento della
variante urbanistica semplificata ex art. 5 del d.P.R. nr.
447 del 1998, a cagione dell’insussistenza del presupposto
fattuale richiesto dalla stessa norma; quest’ultima, come è
noto, consente la variante in una approvazione del
progetto dell’insediamento produttivo, laddove l’area
interessata dall’intervento abbia una destinazione
incompatibile con lo stesso, soltanto a condizione che “lo
strumento urbanistico non individui aree destinate
all’insediamento di impianti produttivi ovvero queste siano
insufficienti in relazione al progetto presentato”.
7.1. Al riguardo, giova premettere una sintetica
ricostruzione dell’iter procedimentale per la parte che qui
interessa, nel quale le odierne appellanti hanno ritenuto di
cogliere un atteggiamento ondivago e contraddittorio da
parte del Responsabile del Settore Urbanistica del Comune di
Montecorvino Rovella.
Quest’ultimo, dopo avere genericamente attestato, nella fase
iniziale della Conferenza di servizi convocata ai sensi del
precitato art. 5 del d.P.R. nr. 447/1998, la indisponibilità
di aree utili, in occasione dell’ultima seduta della
Conferenza medesima (27.02.2008) produsse un’apposita
nota con la quale, in riscontro a sollecitazioni pervenute
ab externo, precisava che per vero nel vigente assetto
urbanistico –riveniente, come già rilevato, dal P.d.F.
all’epoca in vigore nel territorio comunale– talune aree
astrattamente idonee vi sarebbero state, ma che queste non
erano in concreto sfruttabili per la realizzazione del
progetto di cui alla proposta.
Più specificamente, a quanto era dato evincere dalla detta
nota:
a) esistevano due comparti siti in zona C di espansione, per
un’estensione complessiva di circa mq 80.000, fra le cui
destinazioni vi era anche quella commerciale, ma per questi
doveva ritenersi non possibile la realizzazione di una media
struttura di vendita (quale era quella di cui alla proposta
de qua) siccome incompatibile con la prevalente destinazione
residenziale delle dette aree, sulle quali pertanto
avrebbero potuto essere realizzati soltanto esercizi “di
vicinato”;
b) esisteva, almeno formalmente, anche un’area destinata a
P.I.P. (in località Pianella), ma su di essa vi era innanzi
tutto un problema di salute pubblica, legato alle emissioni
provenienti da un elettrodotto ivi situato, che fin dal 2002
l’A.R.P.A. aveva accertato essere superiori ai minimi
consentiti dalla legislazione regionale, al punto da indurre
il Comune a programmare l’abbandono dell’area in questione,
incaricando i tecnici redattori del nuovo P.R.G. in itinere
di individuare altra area P.I.P.;
c) in ogni caso, sempre con riguardo all’area in località
Pianella, le N.T.A. del P.I.P. (art. 5) consentivano in loco
solo le “attività commerciali all’ingrosso” (e non anche
quelle al dettaglio, quale è quella per cui è causa).
7.2. Così sommariamente ricostruita la motivazione –ritenuta legittima dal primo giudice– che ha nella specie
indotto l’Amministrazione a seguire la strada della variante
semplificata ai sensi del più volte citato art. 5, d.P.R. nr.
447/1998, e acclarato che questa faceva perno non già
sull’assenza, ma sull’insufficienza delle aree a
destinazione commerciale (pure esistenti sul territorio
comunale), è opportuno richiamare, sempre in via
preliminare, alcuni principi desumibili dalla giurisprudenza
in subiecta materia.
In particolare, questa Sezione ha sempre sottolineato in
modo rigoroso il carattere eccezionale e derogatorio della
procedura disciplinata dal ricordato art. 5, la quale non
può essere surrettiziamente trasformata in una modalità
“ordinaria” di variazione dello strumento urbanistico
generale: pertanto, perché a tale procedura possa
legittimamente farsi luogo, occorre che siano
preventivamente accertati in modo oggettivo e rigoroso i
presupposti di fatto richiesti dalla norma, e quindi anche
l’assenza nello strumento urbanistico di aree destinate ad
insediamenti produttivi ovvero l’insufficienza di queste,
laddove per “insufficienza” deve intendersi, in costanza
degli standard previsti, una superficie non congrua (e,
quindi, insufficiente) in ordine all’insediamento da
realizzare (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 15.07.2011, nr.
4308; id., 25.06.2007, nr. 3593; id., 03.03.2006, nr.
1038).
Più specificamente, si è affermato che, se è vero che il
concetto di sufficienza o insufficienza delle aree esistenti
va verificato “in relazione al progetto presentato”, il che
certamente significa che esiste un margine di flessibilità e
adattabilità di quest’ultimo, per inserirlo nel contesto
risultante dallo strumento urbanistico, resta fermo, però,
che il parametro di riferimento è costituito dallo strumento
vigente, il quale non può essere esso oggetto di modifiche
per adeguarlo alle esigenze del proponente (cfr. Cons.
Stato, sez. IV, nr. 3593/2007, cit.).
A tali rilievi, poi, va aggiunto ciò che la logica
suggerisce in relazione all’ipotesi in cui il progetto abbia
a oggetto un insediamento commerciale, e non produttivo:
ipotesi rientrante nel d.P.R. nr. 447/1998 per effetto
dell’art. 1-bis ivi inserito dal d.P.R. 07.12.2000, nr.
440, ed alla quale quindi si estende la previsione della
variante semplificata di cui al più volte citato art. 5,
originariamente elaborata per i soli insediamenti
produttivi.
In tali casi, è evidente che il presupposto fattuale
costituito dalla assenza o insufficienza nello strumento
urbanistico di aree a destinazione specifica e coerente con
il progetto va inteso nel senso della necessità di
verificare preventivamente la disponibilità non soltanto di
aree stricto sensu destinate a insediamenti produttivi (zone
D), ma anche di aree con destinazione commerciale, anche se
non in via esclusiva, quali certamente sono le aree con
destinazione a zona C di espansione.
7.3. Tutto ciò premesso, nel caso che qui occupa il giudizio
di “insufficienza” delle aree esistenti nel P.d.F. è
scaturito non già da una ritenuta insufficienza delle
superfici (ché non risulta contestato da nessuno, né durante
il procedimento amministrativo, né nel presente giudizio,
che la predetta zona C fosse per estensione ampiamente in
grado di accogliere l’insediamento de quo), bensì da un
apprezzamento tecnico-discrezionale dell’impatto che la
realizzazione della struttura avrebbe avuto sulle diverse e
residue destinazioni impresse alle medesime aree.
Se così stanno le cose, questa Sezione ritiene molto
discutibile che in tal modo possa dirsi integrato il
presupposto normativo de quo, attraverso un quanto meno
opinabile giudizio tecnico che ha portato il rappresentante
del Comune in sede di Conferenza di servizi a sostenere che
nelle aree in questione avrebbero potuto essere insediati
solo esercizi di vicinato (limitazione, quest’ultima, non
presente nelle disposizioni urbanistiche vigenti e che a sua
volta è discesa dal suindicato apprezzamento
tecnico-discrezionale); è evidente, infatti, che quella
dell’inserimento della struttura commerciale nell’area in
discorso e del suo raccordo con le altre destinazioni a
questa impresse dal P.d.F. era questione afferente alle
modalità esecutive dell’insediamento, e da affrontare in una
alle altre problematiche connesse al rilascio
dell’autorizzazione unica per l’esercizio commerciale (così
come, ad esempio, quanto al raccordo con la viabilità
esistente, su cui si tornerà appresso).
L’aver elevato tale problematica a elemento impeditivo a
monte dell’utilizzabilità delle aree in questione, in modo
da integrare il presupposto normativo per procedere a
variante urbanistica su altra e diversa porzione del
territorio comunale, costituisce chiaro elemento indiziario
di sviamento di potere, inteso a offrire ai proponenti il
progetto la possibilità, non consentita alla stregua della
vigente disciplina urbanistica, di operare su aree in loro
proprietà non compatibili dal punto di vista urbanistico con
l’insediamento de quo.
...
11. Infondato è anche il motivo con cui ci si duole
dell’omesso esame delle osservazioni pervenute durante la
procedura di variante urbanistica.
Al riguardo, giova premettere che il più volte citato art.
5, d.P.R. nr. 447/1998 impone di tener conto “delle
osservazioni proposte e opposizioni formulate dagli aventi
titolo ai sensi della legge 17.08.1990, n. 1150” (comma
1), e, quindi, delle osservazioni relative alla proposta di
variante urbanistica ritualmente formulate da chi sarebbe
legittimato a proporle in base alla legislazione
urbanistica.
Orbene, non pare a questa Sezione che nella specie sia stata
del tutto omessa la considerazione delle osservazioni
pervenute: innanzi tutto, come già sopra evidenziato, è
proprio sulla scorta delle dette osservazioni che il
Responsabile del Settore Urbanistica del Comune procedette,
superando l’iniziale generica attestazione di insussistenza
di aree a destinazione commerciale, a quel peculiare
“approfondimento” sulle aree esistenti nel P.d.F. e sulla
loro insufficienza (del quale si è vista, per altro
riguardo, l’illegittimità).
Quanto sopra dimostra che le osservazioni pervenute da parte
degli aventi titolo sono state realmente esaminate e prese
in considerazione, non essendo indispensabile, a tal fine,
che nei verbali della Conferenza fosse inserita un’espressa
e specifica motivazione in replica o a confutazione di
ciascun singolo rilievo in esse formulato.
12. Va respinta anche la censura articolata in primo grado
in ordine alla pretesa illegittimità degli atti impugnati a
causa della mancanza della previa pianificazione degli
insediamenti commerciali, non essendosi il Comune di
Montecorvino Rovella ancora dotato del S.I.A.D. previsto
dall’art. 13, comma 1, della già citata l.r. nr. 1 del 2000.
Ed invero, in tema di legislazione nazionale e regionale
sulla pianificazione commerciale, condivisibile
giurisprudenza di primo grado ha affermato che il principio
di libertà dell’iniziativa economica privata contenuto
nell’art. 41 Cost. impone di interpretare la disciplina di
cui agli artt. 6 e 8 del decreto legislativo 31.03.1998, nr. 114 (che sono le norme base della pianificazione
regionale e comunale in subiecta materia), non con criteri
restrittivi, ma in modo da consentirne lo svolgimento
concreto, potendo essa essere limitata solo per gravi e
preminenti motivi di interesse pubblico: pertanto, non può
essere legittimamente negato l’insediamento di nuove
strutture di vendita, né l’ampliamento di quelle esistenti,
ove il diniego sia motivato unicamente sulla base della
mancanza della fissazione dei criteri inerenti la
programmazione locale (Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza 08.01.2016 n. 27 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2015 |
|
EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: OGGETTO: Istanza al SUAP in variante al vigente PGT (Regione Lombardia - Area Affari Istituzionali - Presidenza,
risposta e-mail del 14.12.2015). |
EDILIZIA PRIVATA:
Lo sportello unico per le attività produttive.
DOMANDA:
Si premette che: lo Sportello unico attività produttive (Suap)
del nostro Comune è gestito attualmente dall'ufficio tecnico
comunale; il Servizio Commercio–Polizia Amministrativa è
inserito in un Settore Amministrativo distinto e separato
dallo Sportello unico attività produttive; non è stato
ancora approvato il Regolamento per la disciplina dello
stesso Suap.
Considerato quanto sopra, si chiede, alla luce della vigente
normativa in materia, stante l'attuale organizzazione del
Comune in premessa descritta, al fine di evitare l'emissione
di provvedimenti illegittimi, quale sia il Settore
competente, se il Suap o l'Ufficio Commercio–Polizia
Amministrativa:
1) al rilascio delle autorizzazioni ai sensi della L.R.
Marche 27/2009, "Testo unico sul Commercio", e
all'emissione dei provvedimenti di sospensione, decadenza e
revoca delle suddette autorizzazioni;
2) all'avvio del procedimento per i provvedimenti sopra
citati di sospensione, decadenza e revoca delle suddette
autorizzazioni 2) al rilascio delle autorizzazioni di cui al
Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza e delle
normative regionali in materia di strutture ricettive;
3) all'adozione dei motivati provvedimenti di divieto di
prosecuzione delle attività sopra citate e di rimozione
degli eventuali effetti dannosi delle stesse, di cui
all'art. 19 della L. 241/1990.
RISPOSTA:
L’art. 4 del D.P.R. n. 160/2010, recante il regolamento per
la semplificazione ed il riordino della disciplina sullo
sportello unico per le attività produttive, dispone che le
comunicazioni al richiedente sono trasmesse esclusivamente
dal SUAP; gli altri uffici comunali e le amministrazioni
pubbliche diverse dal comune, che sono interessati al
procedimento, non possono trasmettere al richiedente atti
autorizzatori, nulla osta, pareri o atti di consenso, anche
a contenuto negativo, comunque denominati e sono tenute a
trasmettere immediatamente al SUAP tutte le denunce, le
domande, gli atti e la documentazione ad esse eventualmente
presentati, dandone comunicazione al richiedente.
E’ solo il SUAP che deve adottare il provvedimento
conclusivo entro trenta giorni, mentre presso ciascun
Settore/Servizio dell’Amministrazione Comunale dovrebbe
essere individuato un Referente SUAP che, generalmente,
coincide con il Responsabile del Settore/Servizio, salvo
delega ad altro personale individuato dal Responsabile
stesso, in qualità di responsabile delle fasi
endoprocedimentali di competenza di ciascun Ufficio o
Servizio ovvero di una o più materie collegate allo
Sportello Unico.
Questi referenti interni dovrebbero presidiare le funzioni
autorizzative/abilitative dei Settori che intervengono negli
endoprocedimenti del procedimento unico di competenza del
SUAP e dovrebbero far pervenire le autorizzazioni, pareri o
quant’altro di loro competenza, con relativi atti
presupposti al responsabile del SUAP nei termini previsti.
I provvedimenti di sospensione, di decadenza ecc. sono di
competenza del dirigente/funzionario che adotta anche i
titoli autorizzativi e quindi questo può essere determinato
solo nel regolamento del comune che disciplina l’attività
del SUAP e le competenze assegnate al SUAP e ai
dirigenti/funzionari di ciascun Settore/Servizio
dell’Amministrazione Comunale che interviene nel
procedimento (link a www.ancirisponde.ancitel.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI -
EDILIZIA PRIVATA: La
proposta di variazione della strumento urbanistico assunta
dalla Conferenza dei servizi (nell'ambito di un procedimento
SUAP) non è vincolante per il Consiglio comunale, il quale
deve autonomamente valutare se aderire o meno ad essa,
potendo motivatamente disattendere la proposta stessa.
---------------
Come chiarito dalla Giurisprudenza, l'istituto del preavviso
di rigetto, di cui all'art. 10-bis, l. 07.08.1990 n. 241, ha
lo scopo di far conoscere alle P.A., in contraddittorio
rispetto alle motivazioni da essa assunte in base agli esiti
dell'istruttoria espletata, le ragioni fattuali e giuridiche
dell'interessato che potrebbero contribuire a far assumere
agli organi competenti una diversa determinazione finale
derivante, appunto, dalla ponderazione di tutti gli
interessi in campo; con la conseguente illegittimità del
provvedimento di diniego la cui motivazione sia arricchita
di ragioni giustificative diverse e ulteriori rispetto a
quelle preventivamente sottoposte al contraddittorio
procedimentale attraverso la comunicazione dei motivi
ostativi all'accoglimento dell'istanza del privato.
Infatti, anche se non deve sussistere un rapporto di
identità tra il preavviso di rigetto e la determinazione
conclusiva del procedimento, né una corrispondenza puntuale
e di dettaglio tra il contenuto dei due atti, ben potendo la
pubblica amministrazione ritenere, nel provvedimento finale,
di dover meglio precisare le proprie posizioni giuridiche,
occorre però che il contenuto sostanziale del provvedimento
conclusivo di diniego si inscriva nello schema delineato
dalla comunicazione ex art. 10-bis, l. n. 241 del 1990,
esclusa ogni possibilità di fondare il diniego definitivo su
ragioni del tutto nuove, non enucleabili dalla motivazione
dell'atto endoprocedimentale, dato che altrimenti
l'interessato non potrebbe interloquire con
l'amministrazione anche su detti profili differenziali né
presentare le proprie controdeduzioni prima della
determinazione conclusiva dell'ufficio.
E salvo che il provvedimento finale si discosti dalla
motivazione contenuta nel preavviso solo in funzione
dell'esigenza di replicare alle osservazioni presentate dal
privato, ma non è questo il caso in esame, caratterizzato
dal fatto che il Comune, a seguito del ricevimento delle
controdeduzioni degli interessati, ha abbandonato i profili
di cui al preavviso di rigetto (tranne uno, che verrà
esaminato infra) e fondato il diniego su ragioni del tutto
nuove e diverse.
Né può condividersi la prospettazione del Comune, secondo il
quale ai sensi dell'art. 21-octies della stessa legge non
potrebbe comunque pervenirsi all'annullamento del
provvedimento, il contenuto del quale non sarebbe potuto
essere diverso da quello in concreto adottato.
Contrariamente a quanto sostenuto dal Comune, l’elusione
dell’art. 10-bis, l. n. 241 del 1990, nel caso in questione,
incide sulla validità dell'atto conclusivo del procedimento,
avendo determinato un deficit istruttorio e considerato che
il contenuto del provvedimento in contestazione avrebbe
potuto essere diverso da quello in concreto adottato,
laddove le ricorrenti avessero potuto presentare
osservazioni, come è risultato palese dall’esame sia dei
motivi di ricorso che delle osservazioni contenute nella
consulenza di parte depositata in esito alla verificazione
disposta da questa Sezione, ove le Società ricorrenti hanno
allegato circostanze idonee a confutare le eccezioni del
Comune e che non hanno potuto incolpevolmente sottoporre
all'Amministrazione a tempo debito.
L’art. 10-bis in esame mira, infatti, ad instaurare un
contraddittorio a carattere necessario tra la P.A. e il
cittadino ed assolve anche ad una finalità deflattiva del
contenzioso, evitando che si sposti nel processo ciò che
dovrebbe svolgersi nel procedimento, come di fatto accaduto
nel caso in questione.
---------------
L’art. 5 del D.P.R. 20.10.1998, n. 447 (sostituito
dall’articolo 8 del d.p.r. n. 160 del 2010, nei termini di
cui all’articolo 12 del medesimo d.p.r.) dispone che ove il
progetto sia in contrasto (come nel caso di specie) con lo
strumento urbanistico, ma sia conforme con la normativa
ambientale, sanitaria e di sicurezza del lavoro, il
responsabile del procedimento, in base al disposto degli
artt. 1 e 5 del D.P.R. 20.10.1998 n. 447, recante il
regolamento per la semplificazione dei procedimenti di
localizzazione degli impianti produttivi, possa convocare
una conferenza di servizi per le conseguenti decisioni, che
costituiscono proposta di variante allo strumento
urbanistico e sulle quali si pronuncia il Consiglio
comunale.
La Giurisprudenza ha reiteratamente interpretato tale
normativa nel senso che, nell’ipotesi di ampliamento di un
insediamento produttivo preesistente, la necessità di
variare lo strumento urbanistico deve essere valutata in
relazione al progetto presentato, cioè tenendo conto della
circostanza che trattasi di un progetto di ampliamento di un
insediamento produttivo già operante, sicché l’area da
destinare all’ampliamento della relativa attività non può
essere ricercata altrove, ma deve evidentemente trovarsi in
stabile e diretto collegamento con quella dell’insediamento
principale e da ampliare.
I. Con il primo motivo di ricorso le società ricorrenti
lamentano che, ai sensi dell’articolo 8, comma 1, del d.p.r.
numero 160 del 2010, una volta che la conferenza dei servizi
sia pervenuta alla deliberazione finale, con conseguente
trasmissione della stessa al competente Consiglio Comunale,
non è possibile riaprire la fase istruttoria, che, nella
configurazione della disposizione richiamata (così come
della norma preesistente di cui all’articolo 5 del d.p.r.
numero 447 del 1998), finalizzata alla velocizzazione
dell’iter procedimentale, deve svolgersi all’interno della
conferenza dei servizi.
La censura (sebbene supportata in punto di fatto dalla
considerazione che l’istruttoria è stata riaperta mediante
l’emanazione di un ulteriore parere da parte del competente
ufficio -che aveva già istruito il progetto e si era già
espresso favorevolmente in sede di conferenza dei servizi-
motivato dall’avvenuto avvicendamento delle persone fisiche
titolari degli uffici dell’Ente: si veda il secondo
capoverso del parere numero 1117 del 09.05.2013) non può
essere esaminata, attesa la fondatezza dell’eccezione di
tardività contenuta nelle difese del Comune.
Infatti, la decisione di riaprire l’istruttoria è stata
assunta con la Delibera Commissariale n. 3 del 09.05.2013,
il cui termine impugnatorio di giorni sessanta è scaduto
(non il 30.07.2013, come sostenuto dal Comune, non potendosi
fare decorrere il termine di decadenza dalla mera
pubblicazione dell’atto, essendo l’Amministrazione tenuta
alla notifica individuale, ma da quest’ultima data del
03.06.2013, nella quale la Delibera Commissariale n. 3
risulta pervenuta alle ricorrenti, secondo quanto da queste
ultime affermato nelle controdeduzioni trasmesse il
02.07.2013 al Comune, allegate alla deliberazione numero
52/2013, documento numero 4 della produzione del Comune di
Mascali) il 18.09.2013; sicché, avuto riguardo alla data di
notificazione del ricorso (03-04.12.2013) quest’ultimo è
effettivamente tardivo rispetto l’impugnazione della
Delibera Commissariale n. 3/2013, con la conseguente
inoppugnabilità della decisione di riaprire l’istruttoria.
Per completezza, deve comunque rilevarsi che la proposta di
variazione della strumento urbanistico assunta dalla
Conferenza dei servizi non è vincolante per il Consiglio
comunale, il quale deve autonomamente valutare se aderire o
meno ad essa (cfr. Consiglio di Stato, sentenza 19.10.2007
n. 5471), potendo motivatamente disattendere la proposta
stessa.
II. Il Collegio prende in esame il secondo motivo di
ricorso, con il quale si lamenta l’illegittima divergenza
tra le motivazioni a corredo della deliberazione numero
52/2013 e quelle contenute nel preavviso di rigetto, e ne
ravvisa la fondatezza.
I rilievi di cui al parere numero 1117 del 09.05.2013 erano
i seguenti:
1- insussistenza dei presupposti di cui all’articolo 8,
comma 1, del d.p.r. numero 160 del 2010, in quanto il
programma di fabbricazione del comune di Mascali
individuerebbe sufficienti aree destinate ad insediamenti
produttivi;
2- insussistenza dei presupposti di cui all’articolo 8,
comma 1, del d.p.r. numero 160 del 2010, in quanto lo
stabilimento esistente sarebbe in contrasto con le
previsioni dello strumento urbanistico perché oggetto di
precedenti concessioni edilizie in sanatoria;
3- l’ampliamento richiesto non sarebbe di modeste
dimensioni, raddoppiando la cubatura esistente;
4- l’intervento richiesto verrebbe realizzato in un centro
abitato.
Su tali rilievi si è svolto il contraddittorio con le ditte
istanti, le quali, a seguito della comunicazione del 30
maggio 2013 da parte del Comune, trasmettevano articolate
controdeduzioni, poi allegate all’atto conclusivo del
procedimento.
Quest’ultimo, tuttavia, costituito dalla deliberazione
numero 52/2013, nella motivazione a supporto del diniego di
approvazione del programma ha mantenuto solo la prima delle
argomentazioni di cui al parere 1117/2013, abbandonando le
altre ed introducendo per la prima volta nuove eccezioni:
- l’ampliamento richiesto comporterebbe l’avvio di
un’attività pericolosa per la salute, trattandosi della
produzione di lastre di vetro;
- tale attività non potrebbe essere ubicata in prossimità
del centro abitato;
- le emissioni sonore non rispetterebbero i limiti imposti
dalla normativa sull’inquinamento acustico;
- gli standards urbanistici di cui all’articolo 5 del
decreto ministeriale numero 1444/1968 non sarebbero
rispettati.
Risulta pertanto comprovata la divergenza tra le motivazioni
comunicate alle ditte richiedenti con la nota del
30/05/2013, avente forma e sostanza di preavviso di rigetto,
in quanto volta ad attivare il prescritto (dall’art. 10-bis
L. n. 241/1990) contraddittorio con gli istanti, ed il
provvedimento finale di diniego, che si regge su motivazioni
in buona parte diverse ed introdotte solo nel provvedimento
conclusivo stesso, quindi eludendo la ratio dell’art.
10-bis citato.
Infatti, come chiarito dalla Giurisprudenza, l'istituto del
preavviso di rigetto, di cui all'art. 10-bis, l. 07.08.1990
n. 241, ha lo scopo di far conoscere alle P.A., in
contraddittorio rispetto alle motivazioni da essa assunte in
base agli esiti dell'istruttoria espletata, le ragioni
fattuali e giuridiche dell'interessato che potrebbero
contribuire a far assumere agli organi competenti una
diversa determinazione finale derivante, appunto, dalla
ponderazione di tutti gli interessi in campo (tra le più
recenti TAR Campania, sez. VI Napoli, 10/04/2015 n. 2054);
con la conseguente illegittimità del provvedimento di
diniego la cui motivazione sia arricchita di ragioni
giustificative diverse e ulteriori rispetto a quelle
preventivamente sottoposte al contraddittorio procedimentale
attraverso la comunicazione dei motivi ostativi
all'accoglimento dell'istanza del privato.
Infatti, anche se non deve sussistere un rapporto di
identità tra il preavviso di rigetto e la determinazione
conclusiva del procedimento, né una corrispondenza puntuale
e di dettaglio tra il contenuto dei due atti, ben potendo la
pubblica amministrazione ritenere, nel provvedimento finale,
di dover meglio precisare le proprie posizioni giuridiche,
occorre però che il contenuto sostanziale del provvedimento
conclusivo di diniego si inscriva nello schema delineato
dalla comunicazione ex art. 10-bis, l. n. 241 del 1990,
esclusa ogni possibilità di fondare il diniego definitivo su
ragioni del tutto nuove, non enucleabili dalla motivazione
dell'atto endoprocedimentale, dato che altrimenti
l'interessato non potrebbe interloquire con
l'amministrazione anche su detti profili differenziali né
presentare le proprie controdeduzioni prima della
determinazione conclusiva dell'ufficio (TAR Liguria, sez. I
di Genova, 25/02/2015 n. 232).
E salvo che il provvedimento finale si discosti dalla
motivazione contenuta nel preavviso solo in funzione
dell'esigenza di replicare alle osservazioni presentate dal
privato (TAR Lombardia, sez. IV di Milano, 30/10/2014 n.
2589), ma non è questo il caso in esame, caratterizzato dal
fatto che il Comune, a seguito del ricevimento delle
controdeduzioni degli interessati, ha abbandonato i profili
di cui al preavviso di rigetto (tranne uno, che verrà
esaminato infra) e fondato il diniego su ragioni del tutto
nuove e diverse.
Né può condividersi la prospettazione del Comune, secondo il
quale ai sensi dell'art. 21-octies della stessa legge non
potrebbe comunque pervenirsi all'annullamento del
provvedimento, il contenuto del quale non sarebbe potuto
essere diverso da quello in concreto adottato.
Contrariamente a quanto sostenuto dal Comune, l’elusione
dell’art. 10-bis, l. n. 241 del 1990, nel caso in questione,
incide sulla validità dell'atto conclusivo del procedimento,
avendo determinato un deficit istruttorio e considerato che
il contenuto del provvedimento in contestazione avrebbe
potuto essere diverso da quello in concreto adottato,
laddove le ricorrenti avessero potuto presentare
osservazioni, come è risultato palese dall’esame sia dei
motivi di ricorso che delle osservazioni contenute nella
consulenza di parte depositata in esito alla verificazione
disposta da questa Sezione, ove le Società ricorrenti hanno
allegato circostanze idonee a confutare le eccezioni del
Comune e che non hanno potuto incolpevolmente sottoporre
all'Amministrazione a tempo debito.
L’art. 10-bis in esame mira, infatti, ad instaurare un
contraddittorio a carattere necessario tra la P.A. e il
cittadino ed assolve anche ad una finalità deflattiva del
contenzioso, evitando che si sposti nel processo ciò che
dovrebbe svolgersi nel procedimento, come di fatto accaduto
nel caso in questione.
Infatti, avuto riguardo sia agli esiti della verificazione
che alle ulteriori circostanze addotte dalle Società
ricorrenti in sede di consulenza di parte, va sottolineato
che la contiguità tra il lotto di terreno e gli insediamenti
residenziali previsti nel programma di fabbricazione e già
edificati, rilevata dall’Organismo incaricato della
verificazione, era già stata presa in esame in sede di
conferenza dei servizi e ritenuta non ostativa; e d’altra
parte, appare significativa la circostanza, evincibile dalla
relazione di verificazione, secondo la quale lo stesso
Comune aveva stabilito di destinare l’area interessata
dall’insediamento delle ricorrenti a zona “D” nella proposta
del nuovo piano regolatore generale adottata dal Consiglio
Comunale nel 2007 (avendo, evidentemente, valutato
compatibili insediamenti industriali di qualsiasi tipologia
con la contiguità all’abitato), risultando, sotto tale
profilo, irrilevante la circostanza che la Regione Siciliana
non abbia approvato lo strumento urbanistico in questione.
D’altra parte, la questione circa la natura dell’attività
destinata ad essere svolta nel capannone (se si tratti di
produzione di lastre di vetro, come sostiene il Comune,
ovvero semplicemente di lavorazione di lastre, con la
conseguente ascrivibilità o meno dell’attività tra le
industrie insalubri), addotta quale nuova motivazione
(rispetto il preavviso di rigetto) nell’atto di diniego
impugnato, avrebbe dovuto essere opportunamente approfondita
in sede di contraddittorio con le Società istanti e non
certo nel corso del presente giudizio.
Allo stesso modo, per quanto attiene il rilievo ostativo
ricondotto dal Comune all’impatto acustico ambientale, che
avrebbe violato la normativa di riferimento, la relazione di
verificazione ha consentito di accertare che, al contrario,
i valori indicati nella relazione prodotta dalle ricorrenti
rientrano nei limiti previsti dal D.P.C.M. del 01.03.1991.
Non può, d’altra parte, tenersi conto del parere, espresso
dall’Organismo incaricato della verificazione, circa
l’inattendibilità dei risultati scaturiti dall’elaborazione
dei dati nella relazione in questione: in primo luogo,
perché non si tratta di questione introdotta nella
motivazione dell’atto impugnato; in secondo luogo perché, a
maggior ragione rispetto quanto già sopra precisato, si
tratta di materia nella quale deve essere correttamente
instaurato il contraddittorio con i richiedenti, i quali ben
potrebbero integrare la relazione con gli elementi mancanti
ed indicati dal Verificatore a pagina 15 (lettere a, b e c)
della verificazione.
Al riguardo, infatti, occorre sottolineare che il
verificatore ha espresso i propri dubbi circa
l’attendibilità della relazione unicamente per profili di
incompletezza nella descrizione dell’attività lavorativa
(lett. a), nell’allegazione della mappa acustica elaborata
dal software utilizzato dal tecnico (lett. b) e
nell’indicazione del tipo di software utilizzato (lett. c),
tutte carenze integrabili ed insuscettibili di condurre,
senza previa instaurazione del contraddittorio, al rigetto
dell’istanza.
Quanto, infine, alla questione relativa alla sufficienza
delle aree per standard urbanistici, in esito alla
verificazione è risultato che il progetto prevede aree in
misura più che sufficiente a garantire gli standards di cui
all’articolo 5 del decreto ministeriale numero 1444/1968
(pagina 18 della relazione di verificazione), sebbene
l’Organismo incaricato della verificazione abbia ritenuto
che la localizzazione delle aree non assicuri la possibilità
di un uso pubblico, disconoscendosi, da parte del
Verificatore, che il progetto in questione possa essere
qualificato come un insediamento chiuso ad uso collettivo,
disciplinato dall’articolo 15 della legge regionale numero
71/1978, nel qual caso le aree risulterebbero correttamente
localizzate.
Anche in questo caso, sarebbe stato necessario instaurare il
contraddittorio con gli interessati, consentendo agli stessi
di far valere le argomentazioni trasfuse nella consulenza di
parte, ove è stato dedotto che il progetto soddisfa i
contenuti di un piano di lottizzazione, si compone degli
elaborati necessari per un piano di lottizzazione secondo le
prescrizioni del regolamento edilizio del Comune intimato,
soddisfa quanto l’articolo 9 della legge regionale numero 71
del 1978 richiede quale contenuto necessario dei piani di
lottizzazione, nonché quanto richiede la circolare
dell’Assessorato Regionale Territorio e Ambiente numero 2
del 03.02.1979, ha previsto altresì la convenzione di cui
all’articolo 14 della legge regionale numero 71 del 1978.
D’altra parte, gli istanti hanno altresì elencato gli atti
adottati dalle Amm.ni coinvolte a vario titolo nell’esame
della pratica, atti che hanno assolto alle prescrizioni
relative all’istruttoria del piano di lottizzazione, e hanno
prodotto alcuni precedenti provvedimenti emessi dall’
Assessorato Regionale Territorio e Ambiente su progetti di
impianti produttivi, sia di nuova installazione che per
ampliamenti, nei quali è stato applicato l’articolo 15 della
legge regionale numero 71 del 1978 indipendentemente dal
fatto che il progetto fosse stato presentato come piano di
lottizzazione o meno.
Ora, la questione se il progetto presentato dalle ricorrenti
costituisca o meno (per contenuti, elaborati progettuali,
istruttoria) uno strumento attuativo al quale trovi
applicazione l’articolo 15 della legge regionale numero 71
del 1978 è questione sulla quale sarebbe stato necessario
instaurare il contraddittorio con le imprese richiedenti,
non potendosi spostare tale dibattito nell’odierna sede
giurisdizionale.
Ne consegue l’illegittimità in parte qua dell’atto
impugnato.
III. La terza censura (relativa all’unico motivo a supporto
del diniego impugnato esternato nel preavviso di rigetto e
riprodotto nell’atto finale) è fondata.
Come si rileva dalla delibera impugnata n. 52 del 2013, la
Commissione straordinaria con i poteri del Consiglio
comunale ha ritenuto di non procedere alla variante perché
il P. di F. prevede aree idonee ad allocare insediamenti
produttivi, circostanza questa confermata in sede di
verificazione; secondo le ricorrenti però non si è tenuto
conto della circostanza che le ZTO “D” non consentirebbero
(atteso la relativa ubicazione) l’ampliamento dell’impianto
preesistente, sicché il Comune avrebbe dovuto istruire la
pratica in relazione allo specifico progetto presentato,
pena la vanificazione della ratio dell’articolo 8 del
d.p.r. n. 160 del 2010, che è quella di favorire lo sviluppo
degli investimenti anche mediante l’ampliamento degli
impianti produttivi esistenti.
Il Collegio ritiene corretta la ricostruzione operata dalle
ricorrenti.
L’art. 5 del D.P.R. 20.10.1998, n. 447 (sostituito
dall’articolo 8 del d.p.r. n. 160 del 2010, nei termini di
cui all’articolo 12 del medesimo d.p.r.) dispone che ove il
progetto sia in contrasto (come nel caso di specie) con lo
strumento urbanistico, ma sia conforme con la normativa
ambientale, sanitaria e di sicurezza del lavoro, il
responsabile del procedimento, in base al disposto degli
artt. 1 e 5 del D.P.R. 20.10.1998 n. 447, recante il
regolamento per la semplificazione dei procedimenti di
localizzazione degli impianti produttivi, possa convocare
una conferenza di servizi per le conseguenti decisioni, che
costituiscono proposta di variante allo strumento
urbanistico e sulle quali si pronuncia il Consiglio
comunale.
La Giurisprudenza ha reiteratamente interpretato tale
normativa nel senso che, nell’ipotesi di ampliamento di un
insediamento produttivo preesistente, la necessità di
variare lo strumento urbanistico deve essere valutata in
relazione al progetto presentato, cioè tenendo conto della
circostanza che trattasi di un progetto di ampliamento di un
insediamento produttivo già operante, sicché l’area da
destinare all’ampliamento della relativa attività non può
essere ricercata altrove, ma deve evidentemente trovarsi in
stabile e diretto collegamento con quella dell’insediamento
principale e da ampliare (cfr. TAR Abruzzo, Sezione I di
Pescara, sentenze 07.11.2013 n. 525 e 20.05.2004 n. 453; TAR
Lazio, Sezione I di Latina, 04.11.2013, n. 824; TAR
Lombardia, sez. II di Milano, 28.12.2009 n. 6222; TAR
Veneto, sez. II di Venezia, 11.07.2008 n. 1993).
Ne consegue l’illegittimità (anche in tale parte) della
deliberazione n. 52/2013 impugnata, che dev’essere pertanto
annullata
(TAR Sicilia-Catania, Sez. I,
sentenza
30.07.2015 n. 2103 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2014 |
|
EDILIZIA
PRIVATA:
La scansione procedimentale ex art. 8 DPR
160/2010 prevede che, successivamente alla conferenza di
servizi, si pronunci, nella prima seduta utile, il consiglio
comunale, il quale è comunque titolare di un potere
discrezionale circa l’approvazione o meno del progetto (che
quindi può legittimamente fondare -anche indipendentemente
da precisi divieti ambientali- su valutazioni di ordine
generale, purché razionalmente ed equilibratamente
rapportate, in relazione alla natura ed entità
dell'intervento, all'esigenza di evitare la compromissione
di valori paesaggistici, urbanistici o comunque inerenti la
tutela dell'assetto del territorio).
Nessun potere risulta invece conferito dalla norma al
Responsabile dell’UTC, nella more della decisione del
consiglio comunale, circa la sospensione del procedimento
per ragioni di carattere edilizio o urbanistico che, anche
laddove non esaminate in sede di conferenza di servizi,
potranno pur sempre essere valutate dal consiglio comunale.
Il ricorso è fondato nei termini che seguono.
L’art. 8 D.P.R. 160/2010 tipizza il particolare procedimento
comportante l’approvazione di progetti in variazione di
strumenti urbanistici: “1. Nei comuni in cui lo strumento
urbanistico non individua aree destinate all'insediamento di
impianti produttivi o individua aree insufficienti, fatta
salva l'applicazione della relativa disciplina regionale,
l'interessato può richiedere al responsabile del SUAP la
convocazione della conferenza di servizi di cui agli
articoli da 14 a 14-quinquies della legge 07.08.1990, n.
241, e alle altre normative di settore, in seduta pubblica.
Qualora l'esito della conferenza di servizi comporti la
variazione dello strumento urbanistico, ove sussista
l'assenso della Regione espresso in quella sede, il verbale
è trasmesso al Sindaco ovvero al Presidente del Consiglio
comunale, ove esistente, che lo sottopone alla votazione del
Consiglio nella prima seduta utile. Gli interventi relativi
al progetto, approvato secondo le modalità previste dal
presente comma, sono avviati e conclusi dal richiedente
secondo le modalità previste all'articolo 15 del testo unico
delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di
edilizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica
06.06.2001, n. 380.
2. È facoltà degli interessati chiedere tramite il SUAP
all'ufficio comunale competente per materia di pronunciarsi
entro trenta giorni sulla conformità, allo stato degli atti,
dei progetti preliminari dai medesimi sottoposti al suo
parere con i vigenti strumenti di pianificazione
paesaggistica, territoriale e urbanistica, senza che ciò
pregiudichi la definizione dell'eventuale successivo
procedimento; in caso di pronuncia favorevole il
responsabile del SUAP dispone per il seguito immediato del
procedimento con riduzione della metà dei termini previsti.”
Appare evidente che la scansione procedimentale suindicata
prevede che, successivamente alla conferenza di servizi, si
pronunci, nella prima seduta utile, il consiglio comunale,
il quale è comunque titolare di un potere discrezionale
circa l’approvazione o meno del progetto (che quindi può
legittimamente fondare -anche indipendentemente da precisi
divieti ambientali- su valutazioni di ordine generale,
purché razionalmente ed equilibratamente rapportate, in
relazione alla natura ed entità dell'intervento,
all'esigenza di evitare la compromissione di valori
paesaggistici, urbanistici o comunque inerenti la tutela
dell'assetto del territorio: cfr C.d.S. Sez. IV, sent. n.
1038 del 03.03.2006).
Nessun potere risulta invece conferito dalla norma al
Responsabile dell’UTC, nella more della decisione del
consiglio comunale, circa la sospensione del procedimento
per ragioni di carattere edilizio o urbanistico che, anche
laddove non esaminate in sede di conferenza di servizi,
potranno pur sempre essere valutate dal consiglio comunale.
A ciò aggiungasi che la motivazione addotta dal responsabile
dell’UTC per supportare la disposta sospensione
procedimentale (omessa rimozione di manufatto abusivo), come
già rilevato dalla sezione nell’ordinanza cautelare n.
134/2014, lungi dal costituire ostacolo al procedimento come
tipizzato dall’art. 5 DPR 447/1998 (oggi art. 8 DPR
160/2010), assume rilievo solo sotto il profilo
sanzionatorio, estraneo alla modifica della strumentazione
urbanistica in questione
(TAR Puglia-Lecce, Sez. I,
sentenza 09.10.2014 n. 2451 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
problematica introdotta può sostanziarsi nel seguente
quesito: se un’attività solo parzialmente ricettiva, com’è
incontestatamente quella di “bed and breakfast” integri il
requisito di “impianti produttivi di beni e servizi”
previsto dall’art. 1, DPR n. 447/1998 per l’affidamento
all’unica unica struttura del comune (SUAP) dell'intero
procedimento concernente la realizzazione, ampliamento,
cessazione, riattivazione, localizzazione e rilocalizzazione
di impianti produttivi, ivi incluso il rilascio delle
concessioni o autorizzazioni edilizie (art. 23, D.Lgs. n.
112/1998).
La giurisprudenza di primo grado è orientata in senso
restrittivo: l’effettiva inerenza ad una attività
produttiva, che, per la procedura di SUAP in variante al
piano urbanistico generale, deve emergere con chiarezza
dagli atti, è richiesta da TAR Lombardia (Brescia sez. I,
04.02.2013, n. 126) mentre la necessaria dimostrazione della
diretta strumentalità tra il manufatto da realizzare e le
esigenze di produzione è affermata da TAR Sardegna (Cagliari
sez. II, 05.03.2010, n. 246).
Il Collegio è indotto a preferire l’opzione più restrittiva
sia perché più confacente alla vocazione “produttiva” del
DPR n. 447/1998, sia perché più consona all’esclusione di
qualsiasi utilizzo del territorio in forma residenziale (ivi
compreso quello indiretto o misto che si realizza con il bed
and breakfast) impressa dallo strumento urbanistico locale.
Al di là della frammentazione, la
problematica introdotta può sostanziarsi nel seguente
quesito: se un’attività solo parzialmente ricettiva, com’è incontestatamente quella di “bed and breakfast” integri il
requisito di “impianti produttivi di beni e servizi”
previsto dall’art. 1, DPR n. 447/1998 per l’affidamento
all’unica unica struttura del comune (SUAP) dell'intero
procedimento concernente la realizzazione, ampliamento,
cessazione, riattivazione, localizzazione e rilocalizzazione
di impianti produttivi, ivi incluso il rilascio delle
concessioni o autorizzazioni edilizie (art. 23, D.Lgs. n.
112/1998).
La giurisprudenza di primo grado è orientata in senso
restrittivo: l’effettiva inerenza ad una attività
produttiva, che, per la procedura di SUAP in variante al
piano urbanistico generale, deve emergere con chiarezza
dagli atti, è richiesta da TAR Lombardia (Brescia sez. I,
04.02.2013, n. 126) mentre la necessaria dimostrazione
della diretta strumentalità tra il manufatto da realizzare e
le esigenze di produzione è affermata da TAR Sardegna
(Cagliari sez. II, 05.03.2010, n. 246).
La ragione va, evidentemente, individuata nel rischio
di uno stravolgimento del sistema insito nella deroga alle
procedure ordinarie di pianificazione territoriale, per
l’estensione della competenza dello sportello unico per le
attività produttive anche alle opere edilizie, il cui
ampliamento oltre misura è suscettibile di porre fine alla
fase propriamente produttiva dell’area: dalla “ratio” della
speciale disciplina dello sportello unico di semplificare le
procedure amministrative connesse all’esercizio
dell’attività imprenditoriale discende l’esigenza della
stretta connessione fra quest’ultima e la trasformazione del
territorio.
L’incertezza sui limiti della procedura dello sportello
unico discende probabilmente dall’indeterminatezza delle
semplificazioni iniziate con la L. n. 59/1997, delle quali
l’art. 23, segg. D.Lgs. n. 112/1998 costituisce attuazione
sotto l’aspetto del conferimento (alle regioni e) agli enti
locali di funzioni e compiti amministrativi onde
valorizzarne il ruolo nella gestione territoriale dello
sviluppo economico e delle attività produttive e, al
contempo, nell’offerta alle imprese di strumenti più agili
per avviare e sviluppare le attività produttive evitando
iter amministrativi complessi e con molteplici
interlocutori.
Nell’ambito delle funzioni soggette a trasferimento
l’art. 25, D.Lgs. n. 112/1998 precisa, a proposito
dell'insediamento delle attività produttive, che il
procedimento dev'essere unico e ne demanda la definizione ad
uno o più regolamenti di delegificazione da emanare ex art.
17, co. 2, L. n. 400/1988 e con i criteri dell'art. 20, co.
5, L. n. 59/1997, tra i quali l’uniformità dei procedimenti
del medesimo tipo e l’individuazione delle procedure e delle
responsabilità inerenti alle attività di verifica e
controllo.
In questo quadro normativo, il DPR n. 447/1998 prevede
la procedura “semplificata” per attività relative ad
impianti industriali in senso stretto e per quelle
riguardanti gli esercizi commerciali, artigianali e le
società di servizi, preliminare rispetto alla quale è
l'individuazione delle aree da destinare agli insediamenti
produttivi.
A tal fine, il regolamento prevede che siano
salvaguardate “le eventuali prescrizioni dei piani
territoriali sovracomunali” nell’individuazione da parte dei
comuni “delle aree da destinare all'insediamento di impianti
produttivi” in conformità alle tipologie generali e ai
criteri determinati dalle regioni e che la variante sia
approvata, in caso di contrasto gli strumenti urbanistici
comunali vigenti, tramite procedure individuate dalla legge
regionale, con criteri finalizzati all'adeguamento degli standards urbanistici e diretti ad accelerare l'esame delle
domande di concessione e di autorizzazione edilizia.
Il suesposto quadro normativo induce il Collegio a
preferire l’opzione più restrittiva sia perché più
confacente alla vocazione “produttiva” del DPR n. 447/1998,
sia perché più consona all’esclusione di qualsiasi utilizzo
del territorio in forma residenziale (ivi compreso quello
indiretto o misto che si realizza con il bed and breakfast)
impressa dallo strumento urbanistico locale.
Il motivo in esame va perciò respinto in tutte le sue
possibili implicazioni: l’esigenza che l’attività sia
diretta alla produzione di beni o servizi, ne rende
irrilevante la modalità di esercizio (imprenditoriale o
non): il carattere non esclusivamente produttivo (ma anche
residenziale) del “bed and breakfast” non necessita di
specifica motivazione del divieto ai relativi insediamenti e/o di approfondita relazione tecnica alle clausole impeditive del corrispondente utilizzo (entrambe sub specie
esaustive); l’insufficiente approfondimento
giurisprudenziale della problematica in esame non crea alcun
vincolo nella decisione del presente giudizio
(TAR Umbria,
sentenza 23.07.2014 n. 406 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Imprescindibili per
l'avvio del procedimento attraverso la convocazione della
conferenza di cui al d.P.R. 20.10.1998, n. 447, art. 5, sono
da un lato la conformità del progetto alle norme
vigenti in materia ambientale, sanitaria e della sicurezza
del lavoro; dall'altro l'impossibilità di reperire
nello strumento esistente ulteriori e diverse aree idonee
all'iniziativa produttiva.
Ed ancora, a conclusioni diverse rispetto a quelle sin qui
delineate non può giungersi in relazione al fatto che la
società appellata avesse proposto istanza di variazione
dello strumento urbanistico ai sensi dell’articolo 5 del
d.P.R. 20.10.1998, n. 447 (il cui comma 1, come è noto,
stabilisce che “qualora il progetto presentato sia in
contrasto con lo strumento urbanistico, o comunque richieda
una sua variazione, il responsabile del procedimento rigetta
l'istanza. Tuttavia, allorché il progetto sia conforme alle
norme vigenti in materia ambientale, sanitaria e di
sicurezza del lavoro ma lo strumento urbanistico non
individui aree destinate all'insediamento di impianti
produttivi ovvero queste siano insufficienti in relazione al
progetto presentato, il responsabile del procedimento può,
motivatamente, convocare una conferenza di servizi,
disciplinata dall’articolo 14 della legge 07.08.1990, n. 241
(…), per le conseguenti decisioni, dandone contestualmente
pubblico avviso. Alla conferenza può intervenire qualunque
soggetto, portatore di interessi pubblici o privati,
individuali o collettivi nonché i portatori di interessi
diffusi costituiti in associazioni o comitati, cui possa
derivare un pregiudizio dalla realizzazione del progetto
dell'impianto industriale”).
Al riguardo si osserva in primo luogo che la sola
presentazione di un’istanza finalizzata dalla variazione
dello strumento urbanistico ai sensi del richiamato articolo
5, lungi dal fornire argomenti in favore delle tesi della
società appellata, conferma –piuttosto– il contrasto fra il
progetto presentato e la pertinente disciplina di piano (di
cui, per facta concludentia, si mostrava consapevole
la stessa società appellata nel momento stesso in cui
prendeva l’iniziativa finalizzata a superare il carattere
ostativo di tale contrarietà).
In secondo luogo si osserva che la stessa appellata non ha
fornito elementi persuasivi atti a ritenere l’effettiva
percorribilità dell’iter delineato dal richiamato articolo 5
(e, in particolare, l’insussistenza nell’ambito del
territorio comunale di diverse aree idonee ad ospitare
l’iniziativa proposta in assenza della richiesta modifica di
Piano).
Al riguardo si ritiene di richiamare il condiviso
orientamento secondo cui condizioni imprescindibili per
l'avvio del procedimento attraverso la convocazione della
conferenza di cui al d.P.R. 20.10.1998, n. 447, art. 5, sono
da un lato la conformità del progetto alle norme
vigenti in materia ambientale, sanitaria e della sicurezza
del lavoro; dall'altro l'impossibilità di reperire
nello strumento esistente ulteriori e diverse aree idonee
all'iniziativa produttiva (in tal senso –ex plurimis-:
Cons. Stato, IV, 03.03.2006, n. 1038) (massima
tratta da www.lexambiente.it -
Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 03.06.2014 n. 2842 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Oggetto:
Comune di CHIERI (TO) - Riscontro a nota comunale prot. n.
35182 del 23.10.2013: “Quesito in merito
all’applicabilità delle tempistiche previste per i
procedimenti SUAP in casi di interventi in deroga agli
strumenti urbanistici ai sensi della L. 106/2011”
(Regione Piemonte,
parere
12.02.2014
n. 4028 di prot.). |
anno 2013 |
|
URBANISTICA:
Variante per insediamento di impianti produttivi
– Art. 5 D.P.R. n. 447/1998 – Conferenza di servizi -
Potestà pianificatoria del Comune –Affidamento dell’istante.
La speciale procedura semplificata di cui all’art. 5 del
D.P.R. n. 447/1998 non comporta abdicazione della
istituzionale potestà pianificatoria del Comune, tale da
rendere la proposta della Conferenza di servizi come
obbligatoria, ma lascia integra la possibilità per l’Ente
territoriale di discostarsene, sulla base di valutazioni
urbanistiche (Cons. St. Sez. Vi, n. 2170/2012; n. 4498/2012;
n. 5471/2007).
Tuttavia, quando la stessa amministrazione comunale abbia,
con una seria univoca di atti, considerato procedibile il
ricorso allo strumento dell’approvazione della variante per
l’insediamento di impianti produttivi ex art. 5 cit., e nel
corso del procedimento siano stati espressi i favorevoli
pareri culminati nella proposta di tutte le autorità
pubbliche e dei soggetti interessati, compreso lo stesso
Comune, riuniti in conferenza di servizi, vanno valutate
attentamente, e con particolare pregnanza sul versante
motivazione, le scelte del Comune, richiedendosi,
nell’ambito delle valutazioni urbanistiche, anche una
ponderazione degli opposti interessi, in considerazione
delle aspettative sorte in capo agli istanti e delle
particolari situazioni di affidamento (Consiglio di Stato,
Sez. IV,
sentenza 06.08.2013 n. 4151 - link a
www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L'80% dei comuni tace sui costi al Suap.
Solo il 21% dei comuni del campione (tra accreditati e
«camerali») ha provveduto a pubblicare informazioni sugli
oneri connessi alla presentazione di una pratica al Suap. E
ciò, nonostante ai sensi dell'art. 5 del Cad (Codice
dell'amministrazione digitale) l'obbligo di pubblicazione
per tutti i procedimenti amministrativi della pubblica
amministrazione decorra dal primo giugno di quest'anno e,
con riferimento specifico al Suap, lo stesso obbligo sia
stato già introdotto dall'art. 2 del dm 10.11.2011.
Inoltre, le modalità prevalenti indicate dai comuni
accreditati per la compilazione della pratica sono il
download della modulistica dal sito web del Suap (45%)
oppure soluzioni miste (38%), molto diffuse anche nel Suap
«camerale» (23%). Insomma, la compilazione online delle
comunicazioni non è ancora diffusa, con la conseguenza che
il procedimento avviene tramite Pec.
Sono questi alcuni dei
risultati dell'indagine svolta dalla Direzione generale per
il mercato, la concorrenza, il consumatore, la vigilanza e
la normativa tecnica, Divisione IV, Promozione della
concorrenza del Ministero dello sviluppo economico che è
disponibile online nel sito del Mise.
A distanza di tre anni
dall'entrata in vigore del Suap telematico (dpr 160/2010)
non si può certo dire, comunque, che i risultati siano stati
negativi anche se elementi di criticità sussistono ancora.
Come il fatto che siano pochissimi i comuni che hanno
attivato funzioni online per il pagamento degli oneri
connessi alle pratiche che transitano attraverso lo
sportello E, in parte, questo è dovuto al fatto che solo una
minoranza dei comuni applica diritti di segreteria a questi
adempimenti.
Circostanza questa che, tuttavia, non va vista
negativamente perché soltanto per le pratiche di natura
edilizia è prevista dalla legge la possibilità di imporre
diritti mentre analoga facoltà non è prevista, ad esempio,
per i procedimenti di natura meramente economica, com'è il
caso dell'apertura di un negozio, di un bar o di un centro
estetico.
In sostanza, ciò che l'indagine ha fatto emergere
è che, a tre anni di distanza dall'entrata in vigore del
nuovo Suap, è stato sostanzialmente raggiunto quello che era
considerato l'obiettivo e funzione principale del Suap e la
sua stessa ragion d'essere. Ovvero nella capacità del comune
di assumere un ruolo di coordinamento nei confronti degli
enti terzi in merito ai procedimenti che vanno oltre la sola
competenza comunale. Non è invece stato raggiunto, osserva
il Ministero, l'altro importante obiettivo che era quello di
prevedere modalità standard nell'organizzazione dei servizi,
attraverso livelli minimi condivisi, e facendo perno sulle
tecnologie dell'informazione.
Con la conseguenza che il
disagio avvertito dalle imprese non riguarda tanto
l'informatizzazione del Suap, ma la standardizzazione dei
servizi
(articolo ItaliaOggi del 26.07.2013). |
EDILIZIA PRIVATA:
L’art. 5 del D.P.R. n. 447 del 1998 prevede un'ipotesi
eccezionale di proposta di variante dello strumento
urbanistico e di accelerazione del conseguente procedimento,
finalizzata all'individuazione di aree da destinare
all'insediamento di impianti produttivi: un'individuazione
che presuppone, comunque, la presentazione di un progetto
conforme alle norme vigenti in materia ambientale, sanitaria
e di sicurezza del lavoro e che opera quando lo strumento
urbanistico non individui aree destinate all'insediamento di
impianti produttivi, ovvero tali aree siano insufficienti in
relazione al progetto presentato.
Invero, secondo la consolidata e condivisibile
giurisprudenza, la previsione normativa in esame non
determina alcuna abdicazione del Comune alla sua
istituzionale potestà pianificatoria; all’organo consiliare,
infatti, compete la definitiva valutazione in merito alla
sussistenza dei presupposti idonei a giustificare la deroga
sul piano urbanistico e tale valutazione deve essere
necessariamente svolta in concreto, in relazione, dunque, al
singolo caso esaminato.
E’ opportuno precisare, a tale riguardo, che con
l’espressione aree “insufficienti rispetto al progetto
presentato”, la disposizione in esame intende riferirsi non
solo ai casi nei quali non sia possibile per un’impresa
insediarsi in un determinato Comune perché mancano del tutto
aree a destinazione produttiva ma anche ai casi nei quali la
disciplina urbanistica ed edilizia comunale non consente
quel determinato tipo di insediamento a causa
dell’insufficiente dimensione dell’area o, comunque, della
presenza di parametri, limitazioni, indici che producono un
effetto impeditivo di carattere equivalente, ben potendo
l’insufficienza delle aree essere correlata ad una
inidoneità di tipo qualitativo.
---------------
L’avviso espresso dalle amministrazioni competenti
nell’ambito della speciale conferenza di servizi ai sensi
dell’art. 5 del D.P.R. n. 447 del 1998 ha carattere
meramente endoprocedimentale.
Il secondo comma dell'articolo in parola stabilisce,
infatti, che qualora l'esito della conferenza di servizi
comporti la variazione dello strumento urbanistico, la
determinazione costituisce proposta di variante sulla quale
il Consiglio Comunale è chiamato a pronunciarsi in via
definitiva, tenuto conto delle osservazioni, proposte ed
opposizioni formulate dagli interessati.
Con il primo motivo di ricorso è stata dedotta
l’illegittimità della variante parziale gravata a motivo
della carenza dei presupposti prescritti per l’applicazione
dell’art. 5 del D.P.R. n. 447 del 1998, avendo
l’amministrazione incentrato la propria attività istruttoria
e valutativa sulle specifiche esigenze della società
richiedente, senza considerare adeguatamente la sussistenza
di una carenza reale ed oggettiva di aree da destinare agli
insediamenti produttivi sulla base della strumentazione
urbanistica comunale.
Orbene, è anzitutto opportuno evidenziare che l’art. 5
del D.P.R. n. 447 del 1998 prevede un'ipotesi eccezionale di
proposta di variante dello strumento urbanistico e di
accelerazione del conseguente procedimento, finalizzata
all'individuazione di aree da destinare all'insediamento di
impianti produttivi: un'individuazione che presuppone,
comunque, la presentazione di un progetto conforme alle
norme vigenti in materia ambientale, sanitaria e di
sicurezza del lavoro e che opera quando lo strumento
urbanistico non individui aree destinate all'insediamento di
impianti produttivi, ovvero tali aree siano insufficienti in
relazione al progetto presentato.
Invero, secondo la consolidata e condivisibile
giurisprudenza, (ex multis, Cons. St., sez. IV, 16.04.2012, n. 2170), la previsione normativa in esame non
determina alcuna abdicazione del Comune alla sua
istituzionale potestà pianificatoria; all’organo consiliare,
infatti, compete la definitiva valutazione in merito alla
sussistenza dei presupposti idonei a giustificare la deroga
sul piano urbanistico e tale valutazione deve essere
necessariamente svolta in concreto, in relazione, dunque, al
singolo caso esaminato.
E’ opportuno precisare, a tale riguardo, che con
l’espressione aree “insufficienti rispetto al progetto
presentato”, la disposizione in esame intende riferirsi non
solo ai casi nei quali non sia possibile per un’impresa
insediarsi in un determinato Comune perché mancano del tutto
aree a destinazione produttiva ma anche ai casi nei quali la
disciplina urbanistica ed edilizia comunale non consente
quel determinato tipo di insediamento a causa
dell’insufficiente dimensione dell’area o, comunque, della
presenza di parametri, limitazioni, indici che producono un
effetto impeditivo di carattere equivalente, ben potendo
l’insufficienza delle aree essere correlata ad una
inidoneità di tipo qualitativo.
---------------
Come rilevato
dalla consolidata giurisprudenza, l’avviso espresso dalle
amministrazioni competenti nell’ambito della speciale
conferenza di servizi ai sensi dell’art. 5 del D.P.R. n. 447
del 1998 ha carattere meramente endoprocedimentale; il
secondo comma dell'articolo in parola stabilisce, infatti,
che qualora l'esito della conferenza di servizi comporti la
variazione dello strumento urbanistico, la determinazione
costituisce proposta di variante sulla quale il Consiglio
Comunale è chiamato a pronunciarsi in via definitiva, tenuto
conto delle osservazioni, proposte ed opposizioni formulate
dagli interessati (TAR Puglia, Lecce, sez. I, 22.02.2007, n. 609; id.
08.03.2007, n. 965) (TAR Umbria,
sentenza 02.07.2013 n.
356
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
SEMPLIFICAZIONI/ Le comunicazioni Tares saranno contestuali
al cambio di residenza.
Imprese, un tutor in comune. Il responsabile dello sportello
unico aiuterà gli imprenditori.
Un angelo custode che prenderà per mano le imprese
aiutandole a districarsi nel groviglio della burocrazia.
Il
«tutor d'impresa» è la nuova figura a cui il ddl
semplificazioni (che assieme al decreto legge con le
disposizioni sulla crescita completa il pacchetto sviluppo
del governo Letta) affida il compito di far definitivamente
decollare gli sportelli unici per le attività produttive
istituiti dai comuni.
Sarà infatti il responsabile del Suap a dover assumersi il
compito di assistere gli imprenditori dall'avvio alla
conclusione dei procedimenti, informandole sulla normativa e
sugli adempimenti richiesti.
Qualora il comune non istituisca la figura del tutor
d'impresa, gli imprenditori potranno rivolgersi alla regione
affinché, in collaborazione con gli altri sportelli unici
presenti sul territorio, provveda a fornire assistenza e
informazione. Le best practice in materia serviranno come
modello per gli altri e per questo dovranno essere
pubblicate (a cura dei ministeri della funzione pubblica e
dello sviluppo economico in collaborazione con regioni, Anci,
Unioncamere e associazioni di imprese) sul portale
www.impresainungiorno.it
Tassa rifiuti senza scorciatoie. Per i comuni sarà più
agevole individuare i soggetti passivi Tares, ma anche
coloro che, essendosi trasferiti, non sono più tenuti al
pagamento del tributo. Il ddl semplificazione impone infatti
ai municipi di acquisire all'atto del cambio di residenza
«le dichiarazioni di iscrizione, variazione o cessazione
relative al tributo con riferimento alle unità abitative
coinvolte dalla variazione anagrafica».
Reati ambientali. Il ddl contiene anche la delega al governo
per riformare l'attuale codice dell'ambiente (dlgs
n. 152/2006). Tra i nuovi criteri che orienteranno l'attività
del legislatore c'è la ricognizione e il riassetto dei reati
ambientali. L'obiettivo è depenalizzare gli illeciti contravvenzionali puniti con la sola pena pecuniaria (o con
multa alternativa all'arresto fino a un anno) trasformandoli
in illeciti amministrativi che però dovranno essere puniti
con sanzioni «adeguate, proporzionate, efficaci ed
effettive». Il giro di vite prevede l'aumento fino al triplo
delle ammende, mentre gli attuali illeciti ambientali contravvenzionali, puniti con l'arresto pari o superiore a
due anni, dovranno essere trasformati in delitti.
Trasmissione dati dei comuni. Anche il riordino degli oneri
informativi a carico dei comuni sarà oggetto di delega. La
tempistica sarà molto stretta (120 giorni dall'entrata in
vigore del ddl) e l'iniziativa dovrà essere presa dagli
Affari regionali e da palazzo Vidoni. Dovranno essere
eliminati gli obblighi di comunicazione di dati che sono
accessibili direttamente sui siti web dei comuni.
Richieste al Pra tramite Pec. Le istanze inoltrate dalle
p.a. al Pubblico registro automobilistico (Pra) dovranno
essere inviate tramite posta elettronica certificata o
tramite apposita procedura telematica predisposta dall'Aci.
Dal 01.07.2014 le richieste di aggiornamento degli
archivi del Pra dovranno essere trasmesse solo con modalità
telematica.
Certificati medici di gravidanza, ci pensa il medico. Il
certificato medico di gravidanza attestante la data presunta
del parto e valido ai fini della richiesta di maternità
obbligatoria dovrà essere trasmesso all'Inps direttamente
dal medico del Servizio sanitario nazionale tramite il
canale telematico di trasmissione dei certificati medici.
Analogamente sarà l'ospedale a dover comunicare all'Inps il
certificato di parto (si veda ItaliaOggi del 15/06/2013).
La
norma torna all'interno del «decreto Fare» dopo essere stata
momentaneamente trasferita nel ddl semplificazioni. Il
decreto legge, approvato sabato dal cdm in una formulazione
aperta e ancora suscettibile di modifiche (tra i correttivi
dell'ultim'ora si segnala la proroga della Tobin Tax) sarà
definitivamente licenziato oggi da palazzo Chigi assieme al
ddl
(articolo Italia Oggi del 19.06.2013). |
EDILIZIA PRIVATA:
P. Sciscioli,
Aspetti e profili organizzativi del SUAP alla luce del
D.P.R. 160/2010 (L'ufficio tecnico n. 4/2013). |
EDILIZIA
PRIVATA:
No alla variante urbanistica (mediante procedimento SUAP) se mancano i presupposti di
legge.
Si deve ricordare in linea generale che:
- il potere di pianificazione urbanistica si pone su di un
piano di prevalenza rispetto agli atti di gestione attinenti
la materia commerciale;
- l'art. 6, d.lgs. 31.03.1998 n. 114, è comunque finalizzato
ad assicurare l'integrazione tra la pianificazione
territoriale ed urbanistica e la programmazione commerciale,
in quanto pone la stretta correlazione tra titoli edilizi e
autorizzazioni all'esercizio, nel novero dei criteri di
programmazione riferiti al settore commerciale;
- le prescrizioni e le disposizioni del piano urbanistico
sono sempre prevalenti su quelle del piano commerciale, in
quanto rispondono all'esigenza di assicurare un ordinato
assetto del territorio, e le relative disposizioni possono
legittimamente porre limiti alla libertà di iniziativa
economica.
Ciò premesso, il D.P.R. (oggi abrogato) 20.10.1998 n. 447,
in coerenza con il predetto impianto, all’art. 5 disponeva
tra l’altro che ”Qualora il progetto presentato sia in
contrasto con lo strumento urbanistico, o comunque richieda
una sua variazione, il responsabile del procedimento rigetta
l'istanza.”.
In via subordinata nel caso in cui “…il progetto sia
conforme alle norme vigenti in materia ambientale, sanitaria
e di sicurezza del lavoro …“ ma “…lo strumento urbanistico
non individui aree destinate all'insediamento di impianti
produttivi ovvero queste siano insufficienti in relazione al
progetto presentato, il responsabile del procedimento può,
motivatamente, convocare una conferenza di servizi,
disciplinata dall'articolo 14 della legge 07.08.1990, n.
241".
I predetti presupposti di operatività dell'art. 5 del D.P.R.
n. 447/1998 costituivano condizione minima necessaria,
seppure non sufficiente, per poter consentire la
realizzazione dell'intervento edilizio.
La giurisprudenza ha sempre interpretato in senso rigoroso
l’art. 5 del D.P.R. 20.10.1998, n. 447, sottolineando come
lo strumento “de quo” avesse natura eccezionale e comunque
non poteva costituire in alcun modo uno strumento di
modifica dell'assetto urbanistico azionabile in base alle
soggettive preferenze e convenienze dell'imprenditore.
Pertanto, nei casi in cui invece dovessero risultare
disponibili nel Piano degli insediamenti Produttivi aree per
l’allocazione dell’intervento commerciale, non potevano
ritenersi sussistenti le esigenze promozionali che sono la
ragione logica e giuridica per far luogo all’applicazione
della disciplina derogatoria ex D.P.R. n. 447 cit..
E ciò per assicurare che gli assetti territoriali non
seguano la casualità della proprietà delle aree o le
relative speculazioni in danno delle aree agricole (che sono
notoriamente meno costose di quelle industriali e
commerciali). In tali ambiti non può infatti trascurarsi che
le pressioni degli operatori, motivate da interessi di
natura meramente speculativa, hanno spesso effetti
assolutamente deleteri sul buon andamento e
sull’imparzialità dell’azione delle Amministrazioni
Comunali.
La necessità di rispettare la funzionalità e la coerenza
delle scelte urbanistiche e di pianificazione globale del
territorio ha anche il fine di evitare che una realizzazione
atomistica e dispersa sul territorio delle infrastrutture
urbanistiche faccia ricadere sulla collettività i relativi
ulteriori oneri finanziari.
---------------
Il carattere eccezionale del procedimento di variante dello
strumento urbanistico finalizzato all’individuazione di aree
da destinare all'insediamento di impianti produttivi
presuppone la condizione ineluttabile che lo strumento
urbanistico non individui aree destinate all'insediamento di
impianti produttivi, ovvero tali aree siano spazialmente
insufficienti in relazione al progetto presentato.
Pertanto, costituiscono condizioni imprescindibili per
l'avvio di convocazione della conferenza di cui all’art. 5
del D.P.R. 20.10.1998, n. 447:
- la conformità del progetto alle norme vigenti in materia
ambientale, sanitaria e della sicurezza del lavoro;
- l'impossibilità giuridica, e spaziale, di reperire nello
strumento esistente, aree idonee e sufficienti
all'iniziativa.
Si deve ricordare in
linea generale che:
- il potere di pianificazione urbanistica si pone su di un
piano di prevalenza rispetto agli atti di gestione attinenti
la materia commerciale (cfr. Consiglio Stato sez. V 12.07.2004
n. 5057);
- l'art. 6, d.lgs. 31.03.1998 n. 114, è comunque
finalizzato ad assicurare l'integrazione tra la
pianificazione territoriale ed urbanistica e la
programmazione commerciale, in quanto pone la stretta
correlazione tra titoli edilizi e autorizzazioni
all'esercizio, nel novero dei criteri di programmazione
riferiti al settore commerciale (cfr. Consiglio Stato, sez. IV 08.06.2007 n. 3027);
- le prescrizioni e le disposizioni del piano urbanistico
sono sempre prevalenti su quelle del piano commerciale, in
quanto rispondono all'esigenza di assicurare un ordinato
assetto del territorio, e le relative disposizioni possono
legittimamente porre limiti alla libertà di iniziativa
economica (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI 10.04.2012
n. 2060).
Ciò premesso, il D.P.R. (oggi abrogato) 20.10.1998 n.
447, in coerenza con il predetto impianto, all’art. 5
disponeva tra l’altro che ”Qualora il progetto presentato
sia in contrasto con lo strumento urbanistico, o comunque
richieda una sua variazione, il responsabile del
procedimento rigetta l'istanza.”.
In via subordinata nel caso in cui “…il progetto sia
conforme alle norme vigenti in materia ambientale, sanitaria
e di sicurezza del lavoro …“ ma “…lo strumento urbanistico
non individui aree destinate all'insediamento di impianti
produttivi ovvero queste siano insufficienti in relazione al
progetto presentato, il responsabile del procedimento può,
motivatamente, convocare una conferenza di servizi,
disciplinata dall'articolo 14 della legge 07.08.1990, n.
241".
I predetti presupposti di operatività dell'art. 5 del D.P.R.
n. 447/1998 costituivano condizione minima necessaria,
seppure non sufficiente, per poter consentire la
realizzazione dell'intervento edilizio (cfr. Cons. Stato,
Sez. IV, 19.10.2007 n. 5471).
La giurisprudenza ha sempre interpretato in senso rigoroso
l’art. 5 del D.P.R. 20.10.1998, n. 447, sottolineando
come lo strumento “de quo” avesse natura eccezionale e
comunque non poteva costituire in alcun modo uno strumento
di modifica dell'assetto urbanistico azionabile in base alle
soggettive preferenze e convenienze dell'imprenditore (cfr.
Cons. Stato, Sez. IV, sent. 03.03.2006 n. 1038).
Pertanto, nei casi in cui invece dovessero risultare
disponibili nel Piano degli insediamenti Produttivi aree per
l’allocazione dell’intervento commerciale, non potevano
ritenersi sussistenti le esigenze promozionali che sono la
ragione logica e giuridica per far luogo all’applicazione
della disciplina derogatoria ex D.P.R. n. 447 cit. (cfr.
Cons. Stato, Sez. VI 27.07.2011 n. 4498).
E ciò per assicurare che gli assetti territoriali non
seguano la casualità della proprietà delle aree o le
relative speculazioni in danno delle aree agricole (che sono
notoriamente meno costose di quelle industriali e
commerciali). In tali ambiti non può infatti trascurarsi che
le pressioni degli operatori, motivate da interessi di
natura meramente speculativa, hanno spesso effetti
assolutamente deleteri sul buon andamento e
sull’imparzialità dell’azione delle Amministrazioni
Comunali.
La necessità di rispettare la funzionalità e la coerenza
delle scelte urbanistiche e di pianificazione globale del
territorio ha anche il fine di evitare che una realizzazione
atomistica e dispersa sul territorio delle infrastrutture
urbanistiche faccia ricadere sulla collettività i relativi
ulteriori oneri finanziari.
In tale scia esattamente la Regione ricorda che, ai sensi
del primo dell’art. 12 della Legge Regionale Puglia n.
11/2003 il Comune doveva individuare “… le aree idonee
all'insediamento di strutture commerciali attraverso i
propri strumenti urbanistici, in conformità degli indirizzi
generali di cui all'articolo 3, con particolare con
riferimento al dimensionamento della funzione commerciale
nelle diverse articolazioni previste all'articolo 5”.
Il secondo comma consentiva poi “… L'insediamento di grandi
strutture di vendita e di medie strutture di vendita di tipo
M3 … solo in aree idonee sotto il profilo urbanistico e
oggetto di piani urbanistici attuativi anche al fine di
prevedere le opere di mitigazione ambientale, di
miglioramento dell'accessibilità e/o di riduzione
dell'impatto socio economico, ritenute necessarie”.
Il carattere eccezionale del procedimento di variante dello
strumento urbanistico finalizzato all’individuazione di aree
da destinare all'insediamento di impianti produttivi
presuppone la condizione ineluttabile che lo strumento
urbanistico non individui aree destinate all'insediamento di
impianti produttivi, ovvero tali aree siano spazialmente
insufficienti in relazione al progetto presentato (cfr.
Cons. Stato, sez. IV 04.12.2007 n. 6157; Cons. Sez. IV,
11.04.2007 n. 1644; Consiglio di Stato sez. IV 20.07.2011 n. 4413).
Pertanto, costituiscono condizioni imprescindibili per
l'avvio di convocazione della conferenza di cui all’art. 5
del D.P.R. 20.10.1998, n. 447:
- la conformità del progetto alle norme vigenti in materia
ambientale, sanitaria e della sicurezza del lavoro;
- l'impossibilità giuridica, e spaziale, di reperire nello
strumento esistente, aree idonee e sufficienti
all'iniziativa
(Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza 27.02.2013 n. 1202 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Ai sensi dell'art. 5, d.P.R. 20.10.1998 n. 447,
dovendosi procedere all'introduzione di una variante al
piano regolatore generale necessaria per la realizzazione di
un impianto produttivo, la conferenza di servizi può essere
utilizzata come procedimento urbanistico alternativo solo in
presenza di due presupposti: in primo luogo, la conformità
del progetto alle norme vigenti in materia ambientale,
sanitaria e di sicurezza del lavoro; in secondo luogo, che
lo strumento urbanistico non individui aree destinate
all'insediamento di impianti produttivi ovvero queste siano
insufficienti in relazione al progetto presentato.
---------------
L'indisponibilità di aree posta dall'art. 5 dpr 447/1998
quale primo requisito per l'avvio dell'iter di variante cd.
"semplificata" non dev'essere valutata avendo solo come
unico punto di riferimento l'esistenza -o meno- di terreni
immediatamente utilizzabili, sui quali sia dunque possibile
edificare sulla base del rilascio diretto di un titolo
edilizio ma, invece, esaminando il complesso delle aree
libere aventi una destinazione urbanisticamente compatibile
con l'intervento in oggetto: la normativa in parola,
infatti, di stretta interpretazione per il suo carattere
derogatorio, non prevede in alcun modo che l'eventuale
necessità di una iniziativa pianificatoria di secondo grado,
pubblica o privata, escluda l'idoneità di una zona
all'ubicazione di insediamenti produttivi, consentendo
appunto l'eccezione allo strumento urbanistico soltanto nei
casi in cui lo stesso, in termini generali, non individui
aree destinate all'insediamento di impianti produttivi,
ovvero queste siano insufficienti in relazione al progetto
presentato.
Ai sensi dell'art.
5, d.P.R. 20.10.1998 n. 447, dovendosi procedere
all'introduzione di una variante al piano regolatore
generale necessaria per la realizzazione di un impianto
produttivo, la conferenza di servizi può essere utilizzata
come procedimento urbanistico alternativo solo in presenza
di due presupposti: in primo luogo, la conformità del
progetto alle norme vigenti in materia ambientale, sanitaria
e di sicurezza del lavoro; in secondo luogo, che lo
strumento urbanistico non individui aree destinate
all'insediamento di impianti produttivi ovvero queste siano
insufficienti in relazione al progetto presentato.
Per quanto riguarda il requisito dell’insufficienza delle
aree, la giurisprudenza di questo Tribunale ha precisato “l'indisponibilità
di aree posta dall'art. 5 quale primo requisito per l'avvio
dell'iter di variante cd. "semplificata" non dev'essere
valutata avendo solo come unico punto di riferimento
l'esistenza -o meno- di terreni immediatamente utilizzabili,
sui quali sia dunque possibile edificare sulla base del
rilascio diretto di un titolo edilizio ma, invece,
esaminando il complesso delle aree libere aventi una
destinazione urbanisticamente compatibile con l'intervento
in oggetto: la normativa in parola, infatti, di stretta
interpretazione per il suo carattere derogatorio, non
prevede in alcun modo che l'eventuale necessità di una
iniziativa pianificatoria di secondo grado, pubblica o
privata, escluda l'idoneità di una zona all'ubicazione di
insediamenti produttivi, consentendo appunto l'eccezione
allo strumento urbanistico soltanto nei casi in cui lo
stesso, in termini generali, non individui aree destinate
all'insediamento di impianti produttivi, ovvero queste siano
insufficienti in relazione al progetto presentato" (Tar
Lecce, sez. I, 12.04.2012, n. 620)
(TAR Puglia-Lecce, Sez. I,
sentenza 21.02.2013 n. 398 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Ai sensi dell'articolo 25
del d.lgs. 31.03.1998 n. 112 e del relativo regolamento di
cui al D.P.R. 20.10.1998, n. 447, la domanda di
autorizzazione alle attività produttive presentata
ricomprende tutti gli aspetti urbanistici, edilizi,
ambientali, di sicurezza per la pubblica incolumità, di
igiene dei luoghi di lavoro ecc. ecc.; ed in conseguenza, ai
sensi dell’art. 25 del d.lgs. n 112 cit. la relativa
istruttoria ha per oggetto in particolare i profili
urbanistici, sanitari, della tutela ambientale e della
sicurezza.
L'unica domanda –che può contenere, ove necessario, anche la
richiesta di permesso edilizio– deve specificare tutti gli
elementi che connotano le produzione e deve essere corredata
da autocertificazioni, attestanti la conformità dei progetti
alle prescrizioni urbanistiche, della sicurezza degli
impianti, della tutela sanitaria e della tutela ambientale.
In conseguenza il provvedimento finale deve valutare -ed
autorizzare- tutti gli aspetti specificamente indicati
nell’oggetto dell’istanza.
In linea di principio deve rilevarsi che, contrariamente a quanto apoditticamente affermano le appellanti, ai sensi
dell'articolo 25 del d.lgs. 31.03.1998 n 112 e del
relativo regolamento di cui al D.P.R. 20.10.1998, n.
447, la domanda di autorizzazione alle attività produttive
presentata ricomprende tutti gli aspetti urbanistici,
edilizi, ambientali, di sicurezza per la pubblica
incolumità, di igiene dei luoghi di lavoro ecc. ecc.; ed in
conseguenza, ai sensi dell’art. 25 del d.lgs. n 112 cit. la
relativa istruttoria ha per oggetto in particolare i profili
urbanistici, sanitari, della tutela ambientale e della
sicurezza.
L'unica domanda –che può contenere, ove necessario, anche
la richiesta di permesso edilizio– deve specificare tutti
gli elementi che connotano le produzione e deve essere
corredata da autocertificazioni, attestanti la conformità
dei progetti alle prescrizioni urbanistiche, della sicurezza
degli impianti, della tutela sanitaria e della tutela
ambientale.
In conseguenza il provvedimento finale deve valutare -ed
autorizzare- tutti gli aspetti specificamente indicati
nell’oggetto dell’istanza
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 20.02.2013 n. 1056 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Dal 13/2 servizi integrati sul Suap. La pratica
edilizia allo Sportello unico.
Le pratiche edilizie dal 13 febbraio viaggiano sul Suap, lo
sportello unico delle attività produttive.
Nell'ottica di consolidare l'esperienza del Suap e
diffonderne sempre di più l'impiego, InfoCamere, Cassa
italiana di previdenza e assistenza dei Geometri liberi
professionisti, Groma e Ancitel hanno raggiunto un accordo
per fornire servizi integrati a tutti i professionisti
tecnici: geometri, architetti, periti e ingegneri
all'interno dello sportello unico delle attività produttive.
Il primo importante risultato dell'accordo è l'integrazione
della piattaforma Sipem, la soluzione telematica che
permette la gestione delle pratiche edilizie su internet, e
lo sportello unico delle attività produttive. Il dialogo tra
i due applicativi e cioè Sipem e sportello unico attività
produttive, sviluppati rispettivamente da Groma, Ancitel e
da InfoCamere, consentirà all'utenza professionale la
predisposizione di pratiche di competenza del Suap, che
includano adempimenti in materia di edilizia produttiva. La
base per la sperimentazione di questa nuova soluzione
saranno tutti i 3 mila Comuni, distribuiti su tutto il
territorio nazionale, che operano con le camere di commercio
attraverso uno schema operativo di sportello unico standard.
I lavori di integrazione e sperimentazione si svilupperanno
per tutto il 2013. La cooperazione con Sipem è solo il primo
esempio del programma di «apertura» della piattaforma
camerale verso l'integrazione con front office
specialistici utilizzati da un'utenza professionale.
Dobbiamo ricordare che lo sportello unico dell'edilizia è
debuttato il 12 febbraio. Esso costituisce l'unico punto di
accesso per il privato interessato a tutte le vicende
amministrative riguardanti il titolo abilitativo e
l'intervento edilizio.
Questo è quanto previsto dall'art. 13 del dl 22/06/2012, n.
83 convertito dalla l. 07.08.2012, n.134, che ha introdotto
importanti misure di semplificazione per l'attività edilizia
che hanno riguardato lo sportello unico per l'edilizia (articolo
ItaliaOggi del 14.02.2013). |
EDILIZIA
PRIVATA: Necessità VIA per insediamento turistico-residenziale con procedura semplificata ex DPR
n. 447/1998 in area agricola con ulivi secolari.
E’ legittima la richiesta della valutazione di compatibilità
ambientale (VIA) per insediamento turistico-residenziale con
richiesta di procedura semplificata ex DPR n. 447/1998, visto
che il progetto comporta variazione alle destinazioni del PRG e l’area interessata ad ospitare l’insediamento
produttivo ricade in parte in zona agricola contrassegnata
dalla presenza di una moltitudine di ulivi secolari se non
millenari che tipizza i luoghi nella loro specificità sì da
farne un “unicum” di bellezza e di patrimonio naturale,
rendendo necessariamente del tutto non compatibile con un
tale assetto ambientale del territorio un intervento
edilizio che comporta tra l’altro, proprio in riferimento
alla superficie ulivetata l’espianto e successivo reimpianto
in altro loco di numerose piante di ulivo, con chiaro
pericolo di alterazione dello stato dei luoghi.
L’istituto della VIA è finalizzato alla tutela preventiva
dell’ambiente inteso nella sua più ampia accezione, con
riferimento alle sue varie componenti : il paesaggio, le
risorse naturali, le condizioni di vivibilità degli
abitanti, gli aspetti culturali, alla luce del valore
primario ed assoluto riconosciuto dalla Costituzione al
paesaggio e all’ambiente.
Con riferimento al primo aspetto parte appellante lamenta il
fatto che l’Amministrazione regionale avrebbe
immotivatamente sconfessato l’istruttoria concordata tra
proponente e Regione stessa, tenuto in non cale, in sede di
istruttoria della pratica, gli apporti documentali della
Società Pettolecchia nonché obliterato in pratica la regola
del contraddittorio che pure avrebbe dovuto informare la
valutazione dello studio di impatto ambientale (S.I.A.),
inoltrato dall’appellante.
Orbene, la lettura della parte narrativa del parere di cui
alla determina dirigenziale n. 87/2005 consente agevolmente
di rilevare che la Regione nell’istruire la richiesta di
compatibilità ambientale ha sufficientemente interloquito
con Pettolecchia, dato altresì contezza delle integrazioni
documentali fatte pervenire dalla predetta Società e preso
altresì atto di procedere ad una definizione concordata dei
contenuti del S.I.A ai sensi dell’art. 9 della legge
regionale n. 11/2001.
Da come si è svolto l’iter procedurale, non è dato evincere
insomma che la determinazione di carattere negativo sia
stata assunta, per così dire, “ex abrupto”, mentre
risulta documentato che è stata assicurata alla richiedente
ampia possibilità di contraddittorio e di partecipazione.
E’ altresì evidente che naturalmente sia pure in un rapporto
di interlocuzione e contraddittorio rimane integro il potere
della P.A. in subiecta materia di non essere
obbligata a seguire il soggetto proponente nelle valutazione
e risultanze da questo indicate: un tanto ci introduce nel
campo più strettamente di “merito“ della procedura in
parola,avuto riguardo cioè a quei profili sostanzialistici
(infondatamente ritenuti violati dall’appellante) della
quaestio iuris che impongono qui di richiamare sia pure
in termini di estrema sintesi i principi che governano la
procedura della V.I.A. onde rilevarne natura giuridica del
procedimento e ratio applicativa.
L’istituto in parola è finalizzato alla tutela preventiva
dell’ambiente inteso nella sua più ampia accezione, con
riferimento alle sue varie componenti: il paesaggio, le
risorse naturali, le condizioni di vivibilità degli
abitanti, gli aspetti culturali e al riguardo il Collegio
ritiene di condividere pienamente quanto affermato dalla
giurisprudenza costituzionale ed amministrativa in ordine
alla natura sostanzialmente insindacabile delle scelte
effettuate, giustificandola alla luce del valore primario ed
assoluto riconosciuto dalla Costituzione al paesaggio e
all’ambiente (in tali sensi, Cons. Stato, Sez. V, 12.06.2009
n. 3770; Corte Costituzionale 07.11.2007 n. 367).
Inoltre, è stato altresì sottolineato che l’ambiente rileva
non solo come paesaggio ma anche come assetto del territorio
comprensivo degli aspetti naturalistici, e, in particolare,
di quelli relativi alla protezione oltreché della fauna
anche delle specie vegetazionali (Cons. Stato, Sez. IV,
05.07.2010 n. 4246).
Insomma, nella disciplina della V.I.A. è insita la valenza
del principio fondamentale per cui detta procedura è
preordinata alla salvaguardia dell’habitat nel quale l’uomo
vive e ciò non può non assurgere a valore primario ed
assoluto in quanto espressivo della personalità umana (Cons.
Stato, Sez. VI, 18.03.2008 n. 1109),
E’ stato parimenti affermato che nel rendere il giudizio di
impatto ambientale l’amministrazione esercita una amplissima
discrezionalità tecnica censurabile solo per macroscopici
vizi logici, per errori di fatto o per travisamento dei
presupposti (Cons. Stato, Sez. VI, 19.02.2008 n. 561; idem,
30.01.2004 n. 316), vizi nella specie non rinvenibili
(massima tratta da www.lexambiente.it -
Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 24.01.2013 n. 468 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2012 |
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EDILIZIA
PRIVATA:
La procedura di cui all’art. 5 del DPR 447/1998
(norma che nella Regione Lombardia è integrata dall’art. 97
della legge regionale 12/2005 sul governo del territorio), è
volta a favorire, in maniera semplificata, l’insediamento o
la riorganizzazione di attività produttive, da intendersi in
senso ampio, per cui nelle stesse sono comprese anche quelle
agricole, commerciali, artigiane, turistiche, alberghiere e
finanziarie; in pratica pressoché tutte le attività
d’impresa di cui all’art. 2082 del codice civile.
---------------
La perentorietà del termine di 60 giorni (ex art. 5, comma
2, del DPR 447/1998) non solo non è prevista espressamente
dalla norma, ma neppure sembra rispondere ai principi
dell’ordinamento, in forza dei quali (cfr. l’art. 2 della
legge 241/1990), i termini per la conclusione dei
procedimenti amministrativi sono di regola ordinatori,
soprattutto allorché si tratta di complessi procedimenti che
vedono la partecipazione di una pluralità di soggetti, a
garanzia del contemperamento di tutti gli interessi,
pubblici o privati, coinvolti.
La procedura di cui all’art. 5 del DPR 447/1998 (norma che nella Regione
Lombardia è integrata dall’art. 97 della legge regionale
12/2005 sul governo del territorio), è volta a favorire, in
maniera semplificata, l’insediamento o la riorganizzazione
di attività produttive, da intendersi in senso ampio, per
cui nelle stesse sono comprese anche quelle agricole,
commerciali (come nel caso di specie, trattandosi
dell’insediamento di un ristorante con l’insegna “McDrive”),
artigiane, turistiche, alberghiere e finanziarie; in pratica
pressoché tutte le attività d’impresa di cui all’art. 2082
del codice civile (cfr. art. 1, comma 1-bis del DPR
447/1998; in giurisprudenza si veda TAR Puglia, Lecce, sez.
I, 24.03.2005, n. 1601, che ha ammesso la legittimità della
variante di cui è causa, anche se nella zona esistono
impianti produttivi preesistenti dello stesso genere o di
genere diverso, con evidente favore per l’applicazione del
menzionato art. 5).
---------------
Nel quarto mezzo è
denunciata in primo luogo la presunta violazione dell’art.
5, comma 2, del DPR 447/1998, in quanto il Consiglio
Comunale non si è pronunciato sulla proposta di variante
risultante dalla Conferenza di Servizi entro il termine
previsto dalla citata disposizione normativa (sessanta
giorni), termine che i ricorrenti asseriscono essere
perentorio.
La doglianza non merita condivisione, in quanto la
perentorietà del citato termine di sessanta giorni non solo
non è prevista espressamente dalla norma, ma neppure sembra
rispondere ai principi dell’ordinamento, in forza dei quali
(cfr. l’art. 2 della legge 241/1990), i termini per la
conclusione dei procedimenti amministrativi sono di regola
ordinatori, soprattutto allorché si tratta di complessi
procedimenti che vedono la partecipazione di una pluralità
di soggetti, a garanzia del contemperamento di tutti gli
interessi, pubblici o privati, coinvolti (si consenta di
rinviare, sul punto, alle sentenze del Consiglio di Stato,
sez. IV, 12.06.2012, n. 2264 e del TAR Lombardia, Milano,
sez. I, 13.06.2012, n. 1633 e sez. II, 20.12.2010, n. 7614)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 14.11.2012 n. 2750 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
La disciplina di cui agli artt. 4 e 5 del DPR
20.10.1998 n. 447, volta a favorire ed a semplificare la
realizzazione di impianti produttivi di beni e servizi,
costituisce una procedura di tipo derogatorio, che non vale
ad espropriare l’Ente locale degli ordinari poteri di
assumere le definitive determinazioni al riguardo; e la
proposta di variante positivamente assunta dalla conferenza
dei servizi non è vincolante per il Consiglio comunale.
In particolare, in tale contesto logico-procedimentale, la
proposta della citata conferenza assume in pratica il ruolo
di un atto d’impulso, strumentale alla prosecuzione del
procedimento, in cui il Consiglio comunale può e deve
autonomamente valutare se aderire o meno alla proposta in
questione.
Oggetto di controversia è l’autorizzabilità o meno di una
“struttura ricettiva adibita ad albergo per anziani” in area
classificata agricola che vede contrapposti, da un lato, il
richiedente, “forte” di un parere della conferenza dei
servizi, favorevole alla realizzazione dell’intervento de
quo mediante una variante puntuale ex art. 5 del DPR n. 447
del 20/10/1998, e, dall’altro lato, il Comune di Gagliano
del Capo, contrario al progetto in questione per una serie
di ragioni sostanzialmente coincidenti con una opposta non
compatibilità paesaggistico-urbanistica dell’opera.
La parte privata appellante, con l’articolato mezzo di
gravame, rileva in via prioritaria a carico della contestata
deliberazione consiliare n. 37/2010 l’assenza di una
motivazione che dia adeguata contezza della determinazione
con cui l’Amministrazione si è discostata dal parere della
conferenza dei servizi.
Il dedotto profilo di illegittimità non sussiste.
Nella parte narrativa della delibera n. 37/2010 il Consiglio
comunale ha esplicitato in maniera dettagliata le ragioni
che si frappongono all’approvazione del progetto,
esplicitate specificatamente con riferimento a tre profili
di considerazioni, così riassumibili:
a) l’eccessiva antropizzazione dell’area, con alterazione
delle sue caratteristiche, che sarebbe derivata
dall’approvazione della proposta del sig. Ciardo;
b) l’assenza di adeguate opere di infrastrutturazione
nell’ambito agricolo di che trattasi, contrassegnato da
inadeguata viabilità di accesso;
c) la non configurabilità di un tipologia di insediamento
produttivo giustificante l’applicazione della variante
derogatoria allo strumento urbanistico di cui al DPR
n. 447/1998.
Ebbene, dal punto di vista logico-formale, il suindicato
l’ordito motivazionale contenuto in delibera, per come
articolato, reca una ragionevole spiegazione del perché
l’organo consiliare ha ritenuto di assumere un divisamento
difforme rispetto al parere reso all’esito della conferenza
dei servizi, per cui il dedotto vizio di difetto di
motivazione, inteso come assenza di ragioni giustificative,
non è rilevabile a carico dell’atto de quo, dovendosi
convenire che l’Amministrazione comunale ha “adeguatamente”
adempiuto all’onere di dover dare contezza del perché delle
sua decisione.
Naturalmente occorre pure verificare se le argomentazioni
rese a sostegno del diniego di approvazione resistano o meno
alle critiche di carattere sostanziale portate
dall’appellante in ordine a ciascuna delle ragioni indicate
sub a), b) e c), quanto a valenza e congruità, tali da
legittimare il discostarsi dal parere della più volte citata
conferenza dei servizi.
In ogni modo, non può in primo luogo ritenersi esaustiva ed
assorbente la determinazione della conferenza dei servizi
assunta in via prodromica, dovendosi riconoscere al Comune,
in sede di delibazione di una proposta di variazione allo
strumento urbanistico, come quella approvata con il modulo
procedimentale ex art. 14 legge n. 241/1990, la facoltà di poter
svolgere un’ autonoma, ulteriore valutazione in merito alla
compatibilità a o meno della progettata opera con la
disciplina dell’assetto del territorio.
Come già precisato da questo Consiglio di Stato in consimili
vicende, la disciplina di cui agli artt. 4 e 5 del DPR 20.10.1998 n. 447, volta a favorire ed a semplificare la
realizzazione di impianti produttivi di beni e servizi,
costituisce una procedura di tipo derogatorio, che non vale
ad espropriare l’Ente locale degli ordinari poteri di
assumere le definitive determinazioni al riguardo; e la
proposta di variante positivamente assunta dalla conferenza
dei servizi non è vincolante per il Consiglio comunale (Sez. IV 14.04.2006 n. 2170).
In particolare, in tale contesto logico-procedimentale, la
proposta della citata conferenza assume in pratica il ruolo
di un atto d’impulso, strumentale alla prosecuzione del
procedimento, in cui il Consiglio comunale può e deve
autonomamente valutare se aderire o meno alla proposta in
questione (Sez. IV 07.05.2004 n. 2874).
---------------
Rimangono da esaminare le censure riguardanti la
qualificazione della struttura che si intende realizzare.
Fermo restando che le ragioni di tipo “urbanistico-ambientali”,
nei sensi sopra specificati, sono di per sé idonee a
legittimare l’opposto diniego, parte appellante insiste
nella tesi della natura produttiva dell’insediamento (quindi
della possibilità, sotto tale profilo, della variazione in
deroga ex art. 5 DPR n. 447/1998) in ragione della qualifica di
struttura ricettiva di tipo alberghiero recata dal
progettato intervento.
Ora, al di là del fatto che un albergo per anziani non
rientra tra le tipologie delle strutture ricettive previste
dalla legge regionale n. 11 dell’11/02/1999, recante la
classificazione degli impianti ad uso ricettivo, non può
negarsi la “singolarità” e la “specialità” di un albergo
rivolto esclusivamente ad una determinata fascia di utenti,
quella degli anziani autosufficienti; e riesce veramente
difficile configurare una struttura ricettiva destinata
unicamente a clienti deputati a fruire della struttura in
base all’avanzata età (peraltro non facilmente determinabile
dal punto di vista fisiologico).
Da ciò ben può inferirsi la sussistenza in capo
all’Amministrazione procedente di legittime e giustificate
riserve, come quelle formulate sul punto, che concorrono
anch’esse a considerare non compatibile con l’assetto
territoriale il progettato intervento (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 02.10.2012 n. 5187 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L’esito
positivo della conferenza di servizio
indetta ex DPR 447/1998 produce l’effetto di
esigere dall’amministrazione che intenda
respingere la conseguente variante di PGT
una motivazione puntuale, non
contraddittoria e non esorbitante dagli
stretti limiti funzionali di tale
provvedimento: in tal caso infatti un
eventuale scostamento dai pareri confluiti
nel modulo della conferenza di servizio
richiede una motivazione tanto più
stringente, in presenza di provvedimenti
negativi per le aspettative degli
interessati, quanto più avanzato è lo stato
del procedimento e quanto più definito e
quindi irretrattabile è il carattere delle
decisioni assunte (e delle sottostanti
valutazioni) dall’amministrazione sugli atti
presupposti.
---------------
Scelte diverse e di segno antitetico sono
possibili e del tutto legittime, quando
l’amministrazione debba ancora assumere le
proprie decisioni, nell’esercizio delle
funzioni discrezionali che le appartengono,
ma che non sono tali, o quantomeno implicano
conseguenze giuridiche che non possono
essere trascurate, quando, e nella misura in
cui, l’esercizio del potere discrezionale
non trovi in concreto una legittima e
coerente forma di esplicazione in
sostanziale autotutela, con tutte le
conseguenze che tale modus decidendi può
comportare e che rilevano sia sul piano
caducatorio (dei nuovi provvedimenti
illegittimi) che sul piano risarcitorio.
Ancora
più pertinenti, e quindi meritevoli di
essere integralmente riportate, appaiono le
affermazioni di principio di un precedente
analogo di questa Sezione (cfr. sez. 2^ n.
1120 del 03.05.2011) in tema di procedura SUAP, laddove, esaminando un caso simile di
diniego di approvazione di proposta SUAP già
favorevolmente istruita e assentita in tutte
le fasi del relativo procedimento, il
Collegio ha rilevato: "che l’esito positivo
della conferenza di servizio indetta ex DPR
447/1998 produce l’effetto di esigere
dall’amministrazione che intenda respingere
la conseguente variante di PGT una
motivazione puntuale, non contraddittoria e
non esorbitante dagli stretti limiti
funzionali di tale provvedimento: in tal
caso infatti un eventuale scostamento dai
pareri confluiti nel modulo della conferenza
di servizio richiede una motivazione tanto
più stringente, in presenza di provvedimenti
negativi per le aspettative degli
interessati, quanto più avanzato è lo stato
del procedimento e quanto più definito e
quindi irretrattabile è il carattere delle
decisioni assunte (e delle sottostanti
valutazioni) dall’amministrazione sugli atti
presupposti".
Il che, espresso con concetti
applicabili al caso in esame, significa che
la scelta dell’area di ubicazione
dell’impianto, confermata con l’approvazione
del relativo progetto non può più essere
ritrattata in sede di approvazione della
variante di PRG sulla base di una diversa
valutazione degli stessi presupposti che,
coevamente, anche se con atti diversi sono
stati posti a base dell’approvazione del
progetto e, prima ancora, che sono stati
ribaditi in tutta la lunga e complessa fase
di procedura SUAP, (procedimento di VAS e
conferenza di servizio compresi).
Analoghe considerazioni valgono per tutta
la parte della motivazione con cui
l’amministrazione comunale ha rifiutato
l’approvazione della variante adducendone
l’incompatibilità con la destinazione
agricola dell’area, poiché, anche a
prescindere da quanto appena rilevato in
funzione del principio di affidamento, dai
documenti di causa emerge che rispetto al
momento in cui il progetto fu presentato e
la relativa allocazione ritenuta ammissibile
(e persino caldeggiata) dall’amministrazione
comunale di Arcore, che per la realizzazione
del progetto della ditta Doneda ha richiesto
e percepito un anticipo di 150 mila euro a
titolo di oneri di urbanizzazione, (cfr.
doc. n. 38 e 39 dep. il 19.09.2011 in
allegato al ricorso principale) non ci sono
stati mutamenti di programmazione
urbanistica, intesi come nuove previsioni di PGT, che potessero giustificare un
ripensamento, così motivato, sulla scelta di
allocazione del progetto, né elementi di
fatto sopravvenuti e riferibili
specificamente all’area in questione -al di
là dei nuovi criteri generali di
programmazione dell’uso delle aree agricole
che l’amministrazione invoca e che non sono
applicabili a quell’area già individuata
come unica opzione possibile in ambito
provinciale, tali da poter giustificare
un’incompatibilità sopravvenuta del sito-
che non sia né arbitraria né contraddittoria
rispetto a quanto già deciso dalla stessa
amministrazione con altri distinti atti
dello stesso procedimento.
Non resta quindi, come sostiene parte
ricorrente, che ricondurre, quantomeno per
questi specifici profili, la scelta
dell’amministrazione alla c.d. volontà
politica, peraltro non dissimulata nella
stessa delibera impugnata, di segno diverso
rispetto alla volontà manifestata nel corso
del procedimento SUAP; volontà imputabile,
in termini di ripensamento alla stessa
amministrazione in scadenza, prima, e
all’amministrazione subentrante, poi.
Sennonché, scelte diverse e di segno
antitetico sono possibili e del tutto
legittime, quando l’amministrazione debba
ancora assumere le proprie decisioni,
nell’esercizio delle funzioni discrezionali
che le appartengono, ma che non sono tali, o
quantomeno implicano conseguenze giuridiche
che non possono essere trascurate, quando, e
nella misura in cui, l’esercizio del potere
discrezionale non trovi in concreto una
legittima e coerente forma di esplicazione
in sostanziale autotutela, con tutte le
conseguenze che tale modus decidendi può
comportare e che rilevano sia sul piano
caducatorio (dei nuovi provvedimenti
illegittimi) che sul piano risarcitorio
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 10.08.2012 n. 2182 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
La “variante semplificata” di cui
all'art. 5 del D.P.R. n. 447/1998 è pur sempre uno strumento
derogatorio ed eccezionale, di guisa che essa non solo non è
obbligatoria, nel senso che il Comune può comunque decidere
di esaminare la proposta di variante, seguendo l'iter
normale, ma non fa venir meno, in alcun modo, l'ampia
discrezionalità di cui gode il Comune nell’attività di
pianificazione urbanistica circa “an” e “quomodo” della
prestazione dell'eventuale assenso.
La variante semplificata non può comportare uno
stravolgimento dei principi e delle regole essenziali per la
corretta e razionale gestione del territorio comunale.
Ammettere il contrario, affermando che la procedura in
argomento implichi l’impossibilità per il Comune di svolgere
le indagini ritenute opportune, significherebbe svuotare le
attribuzioni assegnate dalla legge al Consiglio Comunale,
vincolando le decisioni di esso al parere della conferenza
di servizi.
Pertanto, anche quando vi sia un parere favorevole
della conferenza di servizi inteso a favorire e semplificare
la realizzazione di una struttura ricettiva, esso non è da
ritenersi vincolante per il Consiglio Comunale, il quale
autonomamente valuta se aderire o meno alla proposta.
Si consideri, a tal riguardo, che la “variante
semplificata” di cui al citato art. 5 del D.P.R. n.
447/1998, è pur sempre uno strumento derogatorio ed
eccezionale, di guisa che essa non solo non è obbligatoria,
nel senso che il Comune può comunque decidere di esaminare
la proposta di variante, seguendo l'iter normale, ma non fa
venir meno, in alcun modo, l'ampia discrezionalità di cui
gode il Comune nell’attività di pianificazione urbanistica
circa “an” e “quomodo” della prestazione
dell'eventuale assenso.
La variante semplificata non può comportare uno
stravolgimento dei principi e delle regole essenziali per la
corretta e razionale gestione del territorio comunale.
Ammettere il contrario, affermando che la procedura in
argomento implichi l’impossibilità per il Comune di svolgere
le indagini ritenute opportune, significherebbe svuotare le
attribuzioni assegnate dalla legge al Consiglio Comunale,
vincolando le decisioni di esso al parere della conferenza
di servizi (cfr.: TAR Puglia Bari, III, 05-06-2008, n.
1399).
Pertanto, anche quando vi sia –come nel caso di specie- un
parere favorevole della conferenza di servizi inteso a
favorire e semplificare la realizzazione di una struttura
ricettiva, esso non è da ritenersi vincolante per il
Consiglio Comunale, il quale autonomamente valuta se aderire
o meno alla proposta (cfr.: Cons. Stato IV, 14.04.2006 n.
2170).
Anche la circostanza di precedenti deroghe concesse per
analoghi interventi in quella zona appare inconferente e non
integra il profilo della contraddittorietà o della disparità
di trattamento, per almeno quattro ragioni:
1) perché è difficile fare confronti tra interventi simili e
tra aree contigue;
2) perché le precedenti scelte potrebbero essere la
conseguenza di errori da non ripetere;
3) perché ci può essere un limite oltre il quale la presenza
di alberghi o altre strutture simili sulla fascia marina
determini una saturazione;
4) perché le scelte urbanistiche e di governo del territorio
sono altamente discrezionali e insindacabili, se non per
manifesta illogicità (cfr.: Cons. Stato IV, 21.10.2008 n.
5159) (TAR Molise,
sentenza 25.07.2012 n. 374 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Procedura di localizzazione e realizzazione di
impianti produttivi.
Il perfezionamento della procedura prevista dagli artt. 4 e
5 del d.P.R. 20.10.1998, n. 447, relativa alla
localizzazione e alla realizzazione di impianti produttivi,
non produce l'effetto di sanare o comunque di elidere le
violazioni urbanistiche già compiute e sanzionate dall'art.
44 del d.P.R. 06.06.2001, n. 380 (Corte
di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 10.07.2012 n. 27304 - link a
www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Oggetto: d.P.R. n. 160/2010 - Chiarimenti
in merito alle competenze del SUAP
(Presidenza del Consiglio dei Ministri,
Segreteria tecnica dell'Unità per la
semplificazione e la qualità della
regolazione,
nota 19.06.2012 n. 465 di prot.). |
EDILIZIA PRIVATA: Ai
sensi dell’art. 5 DPR 447/1998, sussiste
l’obbligo del Comune di concludere comunque
il procedimento, applicando la disposizione
in esame ove ne sussistano i presupposti
(contrasto del progetto proposto con lo
strumento urbanistico): laddove, perciò, vi
sia detto contrasto, il Comune è tenuto a
valutare l’istanza e, in esito a siffatta
valutazione, a rigettarla motivatamente,
ovvero ad indire la Conferenza di Servizi ex
art. 5, comma 1, cit..
In presenza dei presupposti previsti dal
citato comma 1 (conformità del progetto alla
normativa ambientale, sanitaria ed in tema
di sicurezza sul lavoro; mancanza di aree
con destinazione specifica nello strumento
urbanistico), la P.A. è tenuta a
pronunciarsi espressamente, con atto formale
e motivatamente, sulle ragioni per cui
intenda o meno dare corso all’iter di
approvazione del progetto: infatti, la
discrezionalità della P.A. nell’an e nel
quomodo dell’iter approvativo non implica
che essa possa sottrarsi, ove ne ricorrano i
presupposti, all’obbligo del “clare loqui”,
ossia di provvedere esplicitamente e
motivatamente sulle ragioni del suo
intendimento favorevole o sfavorevole
all’interessato.
A
fortiori si deve, dunque, affermare che
quando
sia stata convocata la Conferenza di Servizi
e quest’ultima abbia assunto le relative
determinazioni, il Comune ha l’obbligo di
pronunciarsi sulle stesse, mediante
deliberazione del Consiglio Comunale, nel
termine di sessanta giorni ex art. 5, comma
2, del d.P.R. n. 447/1998, come del resto si
ricava dalla lettera dell’art. 5, comma 2
cit.: in difetto di tale pronuncia si
realizza, pertanto, un’ipotesi di
silenzio-inadempimento, giustiziabile con il
rito ex artt. 31 e 117 del d.lgs. n.
104/2010.
L’art. 5 del d.P.R. n. 447/1998
(regolamento recante norme di
semplificazione dei procedimenti di
autorizzazione per la realizzazione,
ampliamento, ristrutturazione e
riconversione degli impianti produttivi)
prevede al comma 1 che, qualora il progetto
presentato sia in contrasto con lo strumento
urbanistico o richieda una sua variazione,
il responsabile del procedimento rigetta
l’istanza; tuttavia, se il progetto sia
conforme alle norme in materia ambientale,
sanitaria e di sicurezza del lavoro, ma lo
strumento urbanistico non individui aree
destinate all’insediamento di impianti
produttivi, ovvero queste siano
insufficienti in relazione al progetto
presentato, il responsabile del procedimento
può, motivatamente (e dandone nel contempo
pubblico avviso), convocare una Conferenza
di Servizi ex art. 14 della l. n. 241/1990.
A detta Conferenza possono partecipare i
soggetti, portatori di interessi pubblici o
privati, individuali o collettivi, ed i
portatori di interessi diffusi costituiti in
associazioni o comitati, cui possa derivare
un pregiudizio dalla realizzazione
dell’impianto industriale. Al comma 2 si
prevede poi che, ove l’esito della
Conferenza di Servizi comporti la variazione
dello strumento urbanistico, la relativa
determinazione costituisce proposta di
variante, sulla quale –considerate le
osservazioni, proposte e opposizioni
formulate dagli aventi titolo ai sensi della
l. n. 1105/1942– si pronuncia
definitivamente entro sessanta giorni il
Consiglio Comunale, senza che in proposito
sia richiesta l’approvazione della Regione
(le cui attribuzioni sono fatte salve
dall’art. 14, comma 3-bis, della l. n.
241/1990).
La giurisprudenza (cfr. TAR Sicilia,
Catania, Sez. I, 09.12.2008, n. 2325)
ha affermato che, ai sensi dell’art. 5 cit.,
sussiste l’obbligo del Comune di concludere
comunque il procedimento, applicando la
disposizione in esame ove ne sussistano i
presupposti (contrasto del progetto proposto
con lo strumento urbanistico): laddove,
perciò, vi sia detto contrasto, il Comune è
tenuto a valutare l’istanza e, in esito a
siffatta valutazione, a rigettarla
motivatamente, ovvero ad indire la
Conferenza di Servizi ex art. 5, comma 1, cit..
Ancora di recente, si è osservato che,
in presenza dei presupposti previsti dal
citato comma 1 (conformità del progetto alla
normativa ambientale, sanitaria ed in tema
di sicurezza sul lavoro; mancanza di aree
con destinazione specifica nello strumento
urbanistico), la P.A. è tenuta a
pronunciarsi espressamente, con atto formale
e motivatamente, sulle ragioni per cui
intenda o meno dare corso all’iter di
approvazione del progetto: infatti, la
discrezionalità della P.A. nell’an e nel
quomodo dell’iter approvativo non implica
che essa possa sottrarsi, ove ne ricorrano i
presupposti, all’obbligo del “clare loqui”,
ossia di provvedere esplicitamente e
motivatamente sulle ragioni del suo
intendimento favorevole o sfavorevole
all’interessato (v. TAR Campania, Napoli,
Sez. VIII, 26.10.2011, n. 4942).
A
fortiori si deve, dunque, affermare che
quando –come nella vicenda ora in esame–
sia stata convocata la Conferenza di Servizi
e quest’ultima abbia assunto le relative
determinazioni, il Comune ha l’obbligo di
pronunciarsi sulle stesse, mediante
deliberazione del Consiglio Comunale, nel
termine di sessanta giorni ex art. 5, comma
2, del d.P.R. n. 447/1998, come del resto si
ricava dalla lettera dell’art. 5, comma 2
cit.: in difetto di tale pronuncia si
realizza, pertanto, un’ipotesi di
silenzio-inadempimento, giustiziabile con il
rito ex artt. 31 e 117 del d.lgs. n.
104/2010
(TAR Lazio-Latina,
sentenza 12.06.2012 n. 465 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
proposta di variante dello strumento
urbanistico, formulata ai sensi dell'art. 5,
d.P.R. 20.10.1998 n. 447 dalla conferenza
dei servizi al fine di favorire e
semplificare la realizzazione di una
struttura commerciale in zona tipizzata come
agricola, non è vincolante per il Consiglio
comunale, il quale deve autonomamente
valutare se aderire o meno alla stessa.
---------------
Per risalente quanto condiviso convincimento
della giurisprudenza in punto di potestà
discrezionale che “assiste” l’ente locale
allorché questo si determina all’adozione di
una variante, “i provvedimenti con i quali i
comuni ripartiscono in zone il territorio in
sede di pianificazione urbanistica hanno
natura ampiamente discrezionale e possono
pertanto incidere anche su precedenti
difformi destinazioni delle zone stesse,
sempre che la nuova suddivisione non sia
affetta da errori di fatto o da gravi vizi
di illogicità, irrazionalità o
contraddittorietà. È legittima, pertanto, la
variante dell'originario programma di
fabbricazione con la quale si muta la
classificazione di un'area, da industriale
in agricola, motivata con riferimento
all'appesantimento che la destinazione
industriale avrebbe indotto sulla precaria
viabilità esistente -nella specie il comune,
avendo verificato l'esistenza di gravi
inconvenienti su una strada statale nei
pressi della quale era localizzata l'area in
questione, aveva mutato l'originaria
destinazione industriale tenuto anche conto
che l'area stessa non era stata utilizzata
nel corso di un decennio per ampliamenti
dell'insediamento produttivo-".
Secondo avveduta giurisprudenza il
procedimento disegnato in materia di SUAP
non fa eccezione ai detti principi,
essendosi condivisibilmente rilevato che “il
d.P.R. 20.10.1998 n. 447 esprime un favor
verso la realizzazione, la ristrutturazione
ovvero l'ampliamento degli impianti
industriali ed a tale scopo delinea un
procedimento semplificato -che si risolve in
un procedimento che, attraverso la
conferenza di servizi indetta dal
responsabile del procedimento, porta alla
formazione di una proposta di variante sulla
quale il Consiglio comunale si pronuncia
"definitivamente"- per giungere, con una
variante urbanistica adottata nell'ambito
della conferenza di servizi, alla rapida
realizzazione di tali iniziative, anche
quando esse siano in contrasto con gli
strumenti urbanistici in vigore, purché il
relativo progetto sia conforme alle norme in
materia ambientale, sanitaria e di sicurezza
del lavoro e lo strumento urbanistico non
individui aree destinate all'insediamento di
impianti produttivi ovvero queste siano
insufficienti in relazione al progetto
presentato.”
---------------
A fronte della richiesta del privato di
realizzare ovvero ampliare, ristrutturare o
riconvertire un impianto industriale, l'art.
5, d.P.R. n. 447/1998 non consente di
ipotizzare alcuna abdicazione del Comune
alla sua istituzionale potestà
pianificatoria, sì da rendere l'approvazione
della variante pressoché obbligatoria,
restando al contrario integra per l'organo
consiliare la possibilità di discostarsi
motivatamente dalla determinazione finale
assunta dalla conferenza di servizi. Al
consiglio comunale compete infatti una
valutazione ulteriore, necessaria a
giustificare sul piano urbanistico la
deroga, per il caso singolo, alle regole
poste dallo strumento vigente.
Tutti gli ulteriori argomenti contenuti nel
primo motivo di appello non incidono su tale
considerazione.
Ed invero, non è pertinente il richiamo (già
confutato dalla sentenza impugnata, per il
vero, alle cui argomentazioni l’appellante
non ha opposto alcun decisivo profilo di
critica) al termine di 60 giorni contenuto
nell’art. 5, comma 2, del d.P.R. 20.10.1998 n. 447 (“Qualora il progetto presentato
sia in contrasto con lo strumento
urbanistico, o comunque richieda una sua
variazione, il responsabile del procedimento
rigetta l'istanza. Tuttavia, allorché il
progetto sia conforme alle norme vigenti in
materia ambientale, sanitaria e di sicurezza
del lavoro ma lo strumento urbanistico non
individui aree destinate all'insediamento di
impianti produttivi ovvero queste siano
insufficienti in relazione al progetto
presentato, il responsabile del procedimento
può, motivatamente convocare una conferenza
di servizi, disciplinata dall'articolo 14
della legge 07.08.1990, n. 241, come
modificato dall'articolo 17 della legge 15.05.1997, n. 127, per le conseguenti
decisioni, dandone contestualmente pubblico
avviso. Alla conferenza può intervenire
qualunque soggetto, portatore di interessi
pubblici o privati, individuali o collettivi
nonché i portatori di interessi diffusi
costituiti in associazioni o comitati, cui
possa derivare un pregiudizio dalla
realizzazione del progetto dell'impianto
industriale. Qualora l'esito della
conferenza di servizi comporti la variazione
dello strumento urbanistico, la
determinazione costituisce proposta di
variante sulla quale, tenuto conto delle
osservazioni, proposte e opposizioni
formulate dagli aventi titolo ai sensi della
legge 17.08.1942, n. 1150, si pronuncia
definitivamente entro sessanta giorni il
consiglio comunale. Non è richiesta
l'approvazione della regione, le cui
attribuzioni sono fatte salve dall'articolo
14, comma 3-bis della legge 07.08.1990,
n. 241”).
Posto che la disciplina applicabile ratione
temporis ai fatti di causa fa riferimento
alla conferenza di servizi, infatti, ogni
interrogativo in ordine alla perentorietà –o meno- dei termini previsti nel detto
procedimento di cui al d.P.R. 20.10.1998 n. 447 non assume carattere dirimente,
al più potendosi sostenere che rientrava
nelle valutazioni latamente discrezionali (e
come tali sostanzialmente insindacabili) del
Comune eventualmente tenere conto del detto
parere negativo, sebbene tardivamente
pervenuto (anche in considerazione del fatto
che lo scostamento temporale tra il momento
di chiusura dei lavori della conferenza e
quello in cui pervenne il detto parere era
veramente minimo).
Ma ciò non potrebbe certo connotare di
illegittimità le successive deliberazioni
comunali (delle quali, incidenter tantum, si
rammenta la lata discrezionalità: “la
proposta di variante dello strumento
urbanistico, formulata ai sensi dell'art. 5, d.P.R. 20.10.1998 n. 447 dalla
conferenza dei servizi al fine di favorire e
semplificare la realizzazione di una
struttura commerciale in zona tipizzata come
agricola, non è vincolante per il Consiglio
comunale, il quale deve autonomamente
valutare se aderire o meno alla
stessa.” (Consiglio Stato, sez. IV, 27.06.2007, n. 3772).
Ne discende che la complessiva censura (le
cui ulteriori articolazioni, soffermandosi
sulla natura del procedimento SUAP alla luce
della disciplina vigente nella Regione, non
forniscono elementi per affermare che del
parere della Provincia, seppur tardivamente
espresso, dovesse necessariamente tenersi
conto) deve essere disattesa.
---------------
Neppure persuasive, ad avviso del
Collegio, appaiono le argomentazioni
raggruppate nella terza censura (nel cui
ambito sono stati riproposti gli originari
motivi n. 4 e 5 del ricorso di primo grado),
laddove la Provincia ribadisce la tesi
secondo cui non v’erano le condizioni ed i
presupposti per l’avvio dello speciale
procedimento di cui al d.P.R. 20.10.1998 n. 447 ed in ogni caso
l’amministrazione avrebbe dovuto vagliare
sotto il profilo dell’opportunità la
possibilità di adottare la variante
urbanistica.
La doglianza (come anche, per il vero, i
corrispondenti motivi contenuti nel mezzo di
primo grado) appare formulata in termini
generici e non tiene conto –seppure in
chiave critica- del convincimento del primo
giudice.
Invero si rammenta che per risalente quanto
condiviso convincimento della giurisprudenza
in punto di potestà discrezionale che
“assiste” l’ente locale allorché questo si
determina all’adozione di una variante, “i
provvedimenti con i quali i comuni
ripartiscono in zone il territorio in sede
di pianificazione urbanistica hanno natura
ampiamente discrezionale e possono pertanto
incidere anche su precedenti difformi
destinazioni delle zone stesse, sempre che
la nuova suddivisione non sia affetta da
errori di fatto o da gravi vizi di
illogicità, irrazionalità o
contraddittorietà. È legittima, pertanto, la
variante dell'originario programma di
fabbricazione con la quale si muta la
classificazione di un'area, da industriale
in agricola, motivata con riferimento
all'appesantimento che la destinazione
industriale avrebbe indotto sulla precaria
viabilità esistente -nella specie il
comune, avendo verificato l'esistenza di
gravi inconvenienti su una strada statale
nei pressi della quale era localizzata
l'area in questione, aveva mutato
l'originaria destinazione industriale tenuto
anche conto che l'area stessa non era stata
utilizzata nel corso di un decennio per
ampliamenti dell'insediamento produttivo-.”
(Consiglio Stato, sez. V, 10.06.1989,
n. 375).
Secondo avveduta giurisprudenza il
procedimento disegnato in materia di SUAP
non fa eccezione ai detti principi,
essendosi condivisibilmente rilevato che “il d.P.R. 20.10.1998 n. 447 esprime un
favor verso la realizzazione, la
ristrutturazione ovvero l'ampliamento degli
impianti industriali ed a tale scopo delinea
un procedimento semplificato -che si
risolve in un procedimento che, attraverso
la conferenza di servizi indetta dal
responsabile del procedimento, porta alla
formazione di una proposta di variante sulla
quale il Consiglio comunale si pronuncia
"definitivamente"- per giungere, con una
variante urbanistica adottata nell'ambito
della conferenza di servizi, alla rapida
realizzazione di tali iniziative, anche
quando esse siano in contrasto con gli
strumenti urbanistici in vigore, purché il
relativo progetto sia conforme alle norme in
materia ambientale, sanitaria e di sicurezza
del lavoro e lo strumento urbanistico non
individui aree destinate all'insediamento di
impianti produttivi ovvero queste siano
insufficienti in relazione al progetto
presentato.”
(Consiglio Stato, sez. IV, 11.01.2007, n. 1644).
Nel caso di specie il vaglio circa
l’inesistenza di aree alternative è stato
svolto, e non appare carente sotto il
profilo del vizio del difetto di istruzione;
parimenti la deliberazione sottesa alla
variante non appare connotata da profili di
arbitrarietà ovvero abnormità (fatto salvo
quanto si dirà esaminando il secondo motivo
d’appello): non pare, conclusivamente, che
ci si sia discostati dal procedimento di
deliberazione ordinaria, né che l’adozione
della variante sia stata percepita come
“obbligatoria”, come pare adombrarsi a pag.
22 del ricorso in appello, essendosi invece
il Comune conformato al principio espresso
dalla giurisprudenza di merito, secondo cui
“a fronte della richiesta del privato di
realizzare ovvero ampliare, ristrutturare o
riconvertire un impianto industriale, l'art.
5, d.P.R. n. 447/1998 non consente di
ipotizzare alcuna abdicazione del Comune
alla sua istituzionale potestà
pianificatoria, sì da rendere l'approvazione
della variante pressoché obbligatoria,
restando al contrario integra per l'organo
consiliare la possibilità di discostarsi
motivatamente dalla determinazione finale
assunta dalla conferenza di servizi. Al
consiglio comunale compete infatti una
valutazione ulteriore, necessaria a
giustificare sul piano urbanistico la
deroga, per il caso singolo, alle regole
poste dallo strumento vigente.” (TAR
Lombardia Milano, sez. II, 11.11.2010, n. 7244).
Lo strumento prescelto, quindi, non poteva
essere che quello di cui al sopracitato
d.P.R. n. 447/1998 e non ritiene il Collegio
che, sotto il generico profilo del vizio
deliberativo evidenziato nel motivo di
ricorso in appello le censure siano fondate
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 16.04.2012 n. 2170 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: 1. Avvio della
procedura di S.U.A.P. - Legittimità
dell'attività - Costituisce presupposto -
Utilizzabilità della procedura di S.U.A.P.
per la sanatoria di abusi edilizi - Non
sussiste.
2. Attivazione
della procedura S.U.A.P. - Obbligatorietà -
Non sussiste.
1. La valutazione di accessibilità al
procedimento ex art. 5, D.P.R. n. 447 del
1998 deve muovere da presupposti di piena
legittimità dell'attività e non può, invece,
essere considerata come un procedimento di
sanatoria degli abusi edilizi. La disciplina
dettata dal D.P.R. n. 447 del 1998 è infatti
finalizzata a semplificare i procedimenti di
autorizzazione per la realizzazione,
l'ampliamento, la ristrutturazione e la
riconversione degli impianti produttivi
(cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 14.04.2006, n. 2170).
Tale semplificazione
amministrativa si risolve in un procedimento
che, attraverso la conferenza di servizi
indetta dal responsabile del procedimento,
porta alla formazione di una proposta di
variante sulla quale il Consiglio Comunale
si pronuncia definitivamente.
Detto
strumento ha natura eccezionale: esso non
costituisce un mezzo ordinario volto a
modificare l'assetto urbanistico, né è
attivabile in base alle soggettive
preferenze e convenienze dell'imprenditore
(cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 03.03.2006, n. 1038).
2. Ai sensi dell'art. 5, D.P.R. n. 447 del
1998, l'attivazione del procedimento ivi
disciplinato non consegue obbligatoriamente
ad istanza di parte. La conferenza di
servizi non deve infatti essere sempre e
comunque convocata, qualora il progetto
proposto non contrasti con divieti specifici
ambientali e sanitari, poiché ragionando in
tal modo si giungerebbe a privare il Comune
dei suoi poteri discrezionali di
programmazione e di governo dell'ordinato
sviluppo del territorio.
Deve, pertanto,
escludersi -in via generale- la
configurabilità di un obbligo di attivazione
della procedura S.U.A.P. in capo al
responsabile del procedimento
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 24.02.2012 n.
618 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La disciplina dettata dal D.P.R.
20-10-1998 n. 447 è finalizzata a
semplificare i procedimenti di
autorizzazione per la realizzazione,
l'ampliamento, la ristrutturazione e la
riconversione degli impianti produttivi.
Detta semplificazione amministrativa si
risolve in un procedimento che, attraverso
la conferenza di servizi indetta dal
responsabile del procedimento, porta alla
formazione di una proposta di variante sulla
quale il Consiglio comunale si pronuncia
"definitivamente".
Trattasi, comunque, di uno strumento di
natura eccezionale, che non costituisce in
alcun modo un mezzo ordinario di modifica
dell'assetto urbanistico, azionabile in base
alle soggettive preferenze e convenienze
dell'imprenditore.
A fortiori, deve escludersi che la
suindicata procedura di semplificazione
possa risolversi in uno strumento di
sanatoria di abusi edilizi preesistenti, al
di fuori e, anzi, in violazione, delle norme
eccezionali di disciplina della sanatoria
medesima.
---------------
Ai sensi dell’art. 5 dpr 447/1998, la
conferenza non deve essere sempre e comunque
convocata qualora il progetto proposto non
contrasti con divieti specifici ambientali e
sanitari, poiché ragionando in tal modo si
giunge ad esautorare il comune dei suoi
poteri discrezionali di programmazione e di
governo dell'ordinato sviluppo del
territorio.
Invero, si deve affermare da un lato che la
determinazione comunale di non avviare il
procedimento è di per sé pienamente
consentita dall'ordinamento di settore, il
quale configura l'utilizzo di una procedura
pur sempre derogatoria come meramente
facoltativo da parte dell'ente locale;
dall'altro che, nel merito, tale
determinazione costituisce il frutto
dell'esercizio di un potere discrezionale e
quindi può legittimamente fondare -anche
indipendentemente da precisi divieti
ambientali- su valutazioni di ordine
generale, purché razionalmente ed
equilibratamente rapportate, in relazione
alla natura ed entità dell'intervento,
all'esigenza di evitare la compromissione di
valori paesaggistici, urbanistici o comunque
inerenti la tutela dell'assetto del
territorio.
Deve, pertanto, escludersi –in generale- la
configurabilità di un obbligo di attivazione
della procedura de qua in capo al
responsabile dello S.U.A.P.
La
disciplina dettata dal D.P.R. 20-10-1998 n.
447 è finalizzata a semplificare i
procedimenti di autorizzazione per la
realizzazione, l'ampliamento, la
ristrutturazione e la riconversione degli
impianti produttivi (cfr. Con. Stato, Sez. IV, sent. n. 2170 del 14-04-2006). Detta
semplificazione amministrativa si risolve in
un procedimento che, attraverso la
conferenza di servizi indetta dal
responsabile del procedimento, porta alla
formazione di una proposta di variante sulla
quale il Consiglio comunale si pronuncia
"definitivamente" (cfr. Cons. Stato, Sez. IV,
sent. n. 1644 del 11-04-2007). Trattasi,
comunque, di uno strumento di natura
eccezionale, che non costituisce in alcun
modo un mezzo ordinario di modifica
dell'assetto urbanistico, azionabile in base
alle soggettive preferenze e convenienze
dell'imprenditore (cfr. Cons. Stato, Sez. IV,
sent. n. 1038 del 03-03-2006).
A fortiori, deve escludersi che la
suindicata procedura di semplificazione
possa risolversi in uno strumento di
sanatoria di abusi edilizi preesistenti, al
di fuori e, anzi, in violazione, delle norme
eccezionali di disciplina della sanatoria
medesima.
---------------
Ai sensi
dell’art. 5 dpr 447/1998, l’attivazione del
procedimento ivi disciplinato non consegue
obbligatoriamente all’istanza di parte,
disponendosi al riguardo che:
<<1. Qualora il progetto presentato sia in
contrasto con lo strumento urbanistico, o
comunque richieda una sua variazione, il
responsabile del procedimento rigetta
l'istanza. Tuttavia, allorché il progetto
sia conforme alle norme vigenti in materia
ambientale, sanitaria e di sicurezza del
lavoro ma lo strumento urbanistico non
individui aree destinate all'insediamento di
impianti produttivi ovvero queste siano
insufficienti in relazione al progetto
presentato, il responsabile del procedimento
può, motivatamente, convocare una conferenza
di servizi, disciplinata dall'articolo 14
della legge 07.08.1990, n. 241, come
modificato dall'articolo 17 della legge 15.05.1997, n. 127, per le conseguenti
decisioni, dandone contestualmente pubblico
avviso. Alla conferenza può intervenire
qualunque soggetto, portatore di interessi
pubblici o privati, individuali o collettivi
nonché i portatori di interessi diffusi
costituiti in associazioni o comitati, cui
possa derivare un pregiudizio dalla
realizzazione del progetto dell'impianto
industriale>>.
Consegue da ciò che, pur ispirandosi la
disciplina in rassegna a evidenti criteri di
favore per l'insediamento di attività
produttive, tale ratio economico-sociale non
può essere spinta sino al punto da
sovvertire il ruolo fondamentale che spetta
al comune nell'ambito dell’ordinario
procedimento in materia urbanistica.
Ne
consegue che la conferenza non deve essere
sempre e comunque convocata qualora il
progetto proposto non contrasti con divieti
specifici ambientali e sanitari, poiché
ragionando in tal modo si giunge ad
esautorare il comune dei suoi poteri
discrezionali di programmazione e di governo
dell'ordinato sviluppo del territorio (così,
Consiglio di Stato, sez. IV, 03.03.2006,
n. 1038, per cui: <<si deve affermare da un
lato che la determinazione comunale di non
avviare il procedimento è di per sé
pienamente consentita dall'ordinamento di
settore, il quale configura l'utilizzo di
una procedura pur sempre derogatoria come
meramente facoltativo da parte dell'ente
locale; dall'altro che, nel merito, tale
determinazione costituisce il frutto
dell'esercizio di un potere discrezionale e
quindi può legittimamente fondare -anche
indipendentemente da precisi divieti
ambientali- su valutazioni di ordine
generale, purché razionalmente ed
equilibratamente rapportate, in relazione
alla natura ed entità dell'intervento,
all'esigenza di evitare la compromissione di
valori paesaggistici, urbanistici o comunque
inerenti la tutela dell'assetto del
territorio>>).
Deve, pertanto, escludersi –in generale-
la configurabilità di un obbligo di
attivazione della procedura de qua in capo
al responsabile dello S.U.A.P.
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 24.02.2012 n. 618 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2011 |
|
EDILIZIA PRIVATA: Suap operativi e
informatizzati.
Predisposti appositi collegamenti per gli
sportelli unici. In G.U. il decreto dei
ministeri dello sviluppo economico e della
semplificazione amministrativa.
Facilitazioni per la presentazione
dell'istanza o della Scia; pubblicazione sui
siti internet degli enti e nei portali degli
Suap, tramite appositi collegamenti
informatici, dell'elenco dei pagamenti da
effettuarsi per ciascun procedimento
autorizzatorio, le causali, le modalità di
calcolo degli importi e gli estremi dei
propri conti correnti bancari e postali.
Sono alcune delle novità contenute nel
decreto 10.11.2011 «Misure per
l'attuazione dello Sportello unico per le
attività produttive di cui all'articolo 38,
comma 3-bis del decreto-legge 25.06.2008, n. 112, convertito con modificazioni,
dalla legge 06.08.2008, n. 133»
pubblicato in G.U. del 16 novembre scorso e
che in parte erano state anticipate dalla
circolare interministeriale del 28 settembre
a firma dei responsabili degli uffici
legislativo rispettivamente del ministero
dello sviluppo economico e del ministero
della semplificazione normativa.
Il decreto ha come obiettivo quello di
rendere operativi gli Sportelli unici per le
attività produttive, in attesa della
completa informatizzazione degli uffici
coinvolti nei relativi procedimenti.
Cosa non è funzionato. Il dpr 160/2010
prevedeva due distinti step che sono stati
già superati. Il primo è scaduto lo scorso
29.03.2011 e rendeva obbligatorio l'invio
della Scia esclusivamente con modalità
telematica, ovvero via web se il comune
competente si era organizzato in tal senso
o, in alternativa, mediante pec, la posta
elettronica certificata.
Lo step successivo
era previsto a fine settembre e avrebbe
imposto l'uso esclusivo della telematica
anche per i procedimenti soggetti a domanda.
Peraltro, entro tale data, Anci e
Unioncamere avrebbero dovuto predisporre,
regione per regione, una modulistica
univoca. L'ambizioso progetto non è riuscito
a rispettare la tempistica programmata ed
ecco che, con il decreto pubblicato
mercoledì scorso, sono state stabilite le
norme transitorie.
La soluzione proposta. Innanzitutto è stato
previsto che, in mancanza della modulistica
predisposta dallo Sportello unico per le
attività produttive, si utilizzino gli
strumenti messi a disposizione dal portale
www.impresainungiorno.gov.it per il
territorio di competenza regionale, previa
validazione adottata con provvedimento del
ministero dello sviluppo economico e sentite
le amministrazioni statali e regionali per i
procedimenti di rispettiva competenza.
Pagamenti e agevolazioni. Per quanto
riguarda i pagamenti dei diritti relativi ai
procedimenti, nell'ipotesi in cui il Suap
non disponga dell'autorizzazione che
consente il pagamento dell'imposta di bollo
in modo virtuale, il soggetto interessato
potrà provvedere ad inserire nella domanda i
numeri identificativi delle marche da bollo
utilizzate, nonché ad annullare le stesse,
conservandone gli originali.
Il dpr
attuativo dello Sportello unico, infine,
prevede particolari agevolazioni per i
soggetti che non sono in possesso della pec
e della firma digitale. Questi possono
avvalersi di soggetti terzi, ricorrendo al
potere di rappresentanza previsto dall'art.
38 del dpr 445/2000
(articolo ItaliaOggi del 19.11.2011). |
EDILIZIA PRIVATA: Se lo sportello unico
tarda ecco l'ufficio del governo. Le
disposizioni dello Statuto imprese e della
legge di Stabilità.
Se lo Sportello unico non conclude il
procedimento nei termini prescritti, perché
non è riuscito ad acquisire in tempo i
pareri necessari, subentra l'ufficio locale
del Governo. E per le imprese, d'ora
innanzi, saranno le Camere di commercio a
fornire agli imprenditori le informazioni di
base necessarie ad iniziare una nuova
attività.
Sono queste due delle rilevanti
novità contenute rispettivamente nell'art.
14 della legge di stabilità 2012 (l.
183/2011) e nella legge 180/2011 «Norme per
la tutela della libertà d'impresa. Statuto
delle imprese».
Pubblicate entrambe sulla
G.U. del 14 novembre scorso, la prima
entrerà in vigore l'1 gennaio del prossimo
anno, mentre lo statuto delle imprese è in
vigore dal giorno successivo della sua
pubblicazione. Più in particolare,
l'articolo 14 della legge di stabilità
183/2011, prevede la riduzione degli oneri
amministrativi per imprese e cittadini
disponendo che, «In via sperimentale, fino
al 31.12.2013, sull'intero territorio
nazionale si applica la disciplina delle
zone a burocrazia zero prevista
dall'articolo 43 del decreto legge 31.05.2010, n. 78 (conv. legge 122/2010)».
Il
citato dl aveva previsto un anno fa le zone
a burocrazia zero per le regioni del
Meridione. Con la legge di stabilità si è
previsto ora di estendere a tutto il Paese i
benefici che tale innovazione comporta per
le imprese. Con riferimento agli sportelli
unici per le attività produttive,
comunemente noti ormai come Suap, il comma 5
dell'art. 14, prevede espressamente che «nel
caso di mancato rispetto dei termini dei
procedimenti, di cui all'articolo 7 del
decreto, (ovvero per le attività soggette ad
autorizzazione) da parte degli enti
interessati, l'adozione del provvedimento
conclusivo è rimessa all'ufficio locale del
Governo».
E, quindi, sembrerebbe anche in
carenza dei prescritti pareri. Per quanto
riguarda, invece, lo Statuto delle imprese,
la rilevante novità è collegata al fatto che
alle Camere di commercio viene ora affidato
uno dei compiti che in base all'articolo 4
del dpr 160/2010 di disciplina dello
Sportello unico, era affidato proprio agli Suap. Il comma 3 del suddetto art. 4,
infatti, prevede che Il Suap [_] cura
l'informazione attraverso il portale in
relazione agli adempimenti necessari per lo
svolgimento delle attività per tutti i
procedimenti che abbiano ad oggetto
l'esercizio di attività produttive e di
prestazione di servizi, indicando altresì
quelle per le quali è consentito l'immediato
avvio dell'intervento.
Con lo Statuto delle imprese, e precisamente
con l'art. 9, comma 2, invece, le pubbliche
amministrazioni dovranno garantire
attraverso le camere di commercio, la
pubblicazione e l'aggiornamento delle norme
e dei requisiti minimi per l'esercizio di
ciascuna tipologia di attività d'impresa. A
tal fine, le medesime amministrazioni
dovranno comunicare alle camere di
commercio, entro il 31 dicembre di ogni
anno, l'elenco delle norme e dei requisiti
minimi per l'esercizio di ciascuna tipologia
di attività d'impresa
(articolo ItaliaOggi del 18.11.2011 -
tratto da www.ecostampa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: G.U.
16.11.2011 n. 267 "Misure per
l’attuazione dello sportello unico per le
attività produttive di cui all’articolo 38,
comma 3-bis del decreto-legge 25.06.2008, n.
112, convertito con modificazioni, dalla
legge 06.08.2008, n. 133" (D.M.
10.11.2011). |
EDILIZIA PRIVATA: Istruzioni per bolli e
diritti, ma il Suap parte al ralenti.
Circolare sui pagamenti e sullo sportello
unico attività produttive.
Arrivano le modalità tecniche per i
pagamenti di bolli e diritti relativi ai
procedimenti presentati al Suap, ma lo
sportello unico parte, comunque, al
rallentatore. Insomma, l'01.10.2011
che doveva rappresentare la data della
grande svolta della informatizzazione della
pubblica amministrazione, perché i
procedimenti relativi alle attività
economiche dovevano svolgersi esclusivamente
online, è passato senza particolari
trambusti. Anche perché è intervenuta, nel
frattempo, la
nota 28.09.2011
n. 1431 di prot., a firma congiunta degli uffici
legislativi del ministero dello sviluppo
economico e della presidenza del consiglio
dei ministri, con la quale sono fornite a
tutti gli enti interessati e all'Anci in
primis, le indicazioni operative.
Il rinvio,
del resto, era scontato, anche perché la
legge 12.07.2011 n. 106, di conversione
del dl 70 aveva già anticipato che «Con
decreto del ministro dello sviluppo
economico e del ministro per la
semplificazione normativa, sentito il
ministro per la pubblica amministrazione e
l'innovazione, sono individuate le eventuali
misure che risultino indispensabili per
attuare, sul territorio nazionale, lo
sportello unico e per garantire, nelle more
della sua attuazione, la continuità della
funzione amministrativa, anche attraverso
parziali e limitate deroghe alla relativa
disciplina.»
Per il resto, la circolare
anticipa quelli che saranno i contenuti del
decreto attualmente all'esame della
Conferenza unificata, anche se –è la stessa
circolare a puntualizzarlo– la sua entrata
in vigore non potrà che essere successiva
all'abrogazione del dpr 447/1998 che fino al
30 settembre aveva disciplinato alcune
tipologie di procedimento per i Suap già
operativi. Lo Sportello unico disciplinato
dal dpr 160/2010 che in attuazione delle
disposizioni emanate dal Parlamento a favore
dell'«impresa in un giorno» prevede essere
l'unico interlocutore al quale il prestatore
è tenuto a rivolgersi, stenta, quindi, a
decollare, anche se la suddetta circolare
del 28 settembre scioglie alcune delle più
complesse problematiche relative ai
procedimenti telematici. Tra le diverse
questioni, infatti, che il decreto sarà
chiamato a risolvere, sono i pagamenti.
È
stato previsto che il soggetto interessato
provvede, qualora il Suap non disponga
dell'autorizzazione che consente il
pagamento dell'imposta di bollo in modo
virtuale, a inserire nella domanda i numeri
identificativi delle marche da bollo
utilizzate, nonché ad annullare le stesse,
conservandone gli originali. Il decreto,
inoltre, intende valorizzare l'esperienza
del portale www.impresainungiorno.gov.it che
già oggi contiene tutte le informazioni
relative allo sportello unico, compreso
l'elenco dei Suap che sono stati fino ad ora
accreditati.
È prevista, infatti,
l'individuazione di un metodo condiviso con
le amministrazioni competenti, al fine di
validare la modulistica di riferimento per
ogni procedimento. Tale modulistica sarà
utilizzata, si precisa, da tutti i soggetti
interessati, qualora lo Suap dovesse
risultarne sprovvisto
(articolo ItaliaOggi del 04.10.2011). |
EDILIZIA PRIVATA: Riforma Suap in dirittura
d'arrivo.
Al via dal 30/09/2011 la procedura che accelera
le autorizzazioni. Lo stato dell'arte a un
anno dall'avvio del processo di
informatizzazione degli sportelli unici.
Ancora pochi giorni e la riforma dello
Sportello unico per le attività produttive (Suap)
sarà al completo, almeno su carta. Infatti
il 30 settembre entrerà in vigore il
procedimento unico che prevede una riduzione
dei tempi di rilascio dell'autorizzazione,
con l'utilizzo della conferenza di servizi
che dovrà svolgersi online.
Una procedura
alla quale si farà ricorso laddove non
risulterà possibile accedere alla Scia
(Segnalazione certificata di inizio
attività), già in vigore da fine marzo.
Anche se, a un anno dall'avvio del processo
di informatizzazione delle procedure, molto
resta ancora da fare per rendere operative
le novità introdotte per legge.
Scia all'insegna della semplificazione.
L'istituto attuale dei Suap è regolamentato
dal dpr 07.09.2010, n. 160, che
individua un solo canale tra imprenditore e
amministrazione, con l'obiettivo di
eliminare ripetizioni istruttorie e
documentali. Di conseguenza, le domande, le
dichiarazioni, le segnalazioni e le
comunicazioni concernenti le attività e i
relativi elaborati tecnici e allegati
possono essere presentati esclusivamente in
modalità telematica, allo sportello del
comune competente per il territorio. Così
all'aspirante imprenditore non resta che
autocertificare il possesso dei requisiti
necessari all'avvio dell'attività
imprenditoriale, attraverso il portale impresainungiorno.gov.it, realizzato su
piattaforma da Infocamere.
Tuttavia, se
l'attività è contestuale all'iscrizione al
registro delle imprese, può farlo
direttamente alla Camera di commercio
attraverso il modello Com.unica. Una volta
ricevuta la Scia, lo sportello unico
verifica (sempre con modalità informatica)
la completezza formale della dichiarazione e
dei relativi allegati. In linea con il
principio che ha ispirato questa misura
(«garantire l'impresa in un giorno»),
l'attività oggetto della segnalazione può
essere iniziata dalla data della
presentazione della segnalazione. In caso di
verifica positiva, lo sportello unico
rilascia automaticamente la ricevuta e
trasmette in via telematica la dichiarazione
e i relativi allegati alle amministrazioni e
agli uffici competenti.
Se invece mancano i
requisiti, l'amministrazione ha 60 giorni
dal momento in cui riceve la segnalazione
per disporre il divieto di prosecuzione
dell'attività e l'eventuale rimozione degli
eventuali effetti dannosi o, in alternativa,
può fissare un termine (al massimo di 30
giorni) entro il quale l'interessato ha la
possibilità di uniformarsi alla decisione.
«Trascorso questo termine, l'amministrazione
può intervenire solo in presenza del
pericolo di un danno grave e irreparabile
per il patrimonio artistico e culturale, per
l'ambiente, per la salute, per la sicurezza
pubblica o la difesa nazionale e previo
motivato accertamento dell'impossibilità di
tutelare comunque tali interessi mediante
conformazione dell'attività dei privati alla
normativa vigente», spiega Gianluigi Spagnuolo, già responsabile del Suap di
Oleggio (No) e autore di Suap@norma
(www.suapanorma.it), portale in cui si
confrontano professionisti e funzionari che
utilizzano abitualmente lo strumento di
semplificazione.
In caso di dichiarazioni
sostitutive di certificazione e dell'atto di
notorietà false o mendaci,
l'amministrazione, ferma restando la
responsabilità penale, può sempre e in ogni
tempo adottare i citati provvedimenti di
divieto di prosecuzione dell'attività e di
rimozione degli eventuali effetti dannosi. È
prevista la sanzione penale della reclusione
da uno a tre anni (salvo i casi in cui il
fatto costituisce più grave reato) per
chiunque, nelle dichiarazioni o attestazioni
o asseverazioni che corredano la
segnalazione di inizio attività, dichiara o
attesta falsamente l'esistenza dei requisiti
o dei presupposti.
Il procedimento unico punta sulla
telematica. Nei casi in cui non è possibile
ricorrere alla Scia (si veda la tabella
messa a punto da Suapanorma), le istanze
vanno presentate allo sportello unico, che
ha 30 giorni di tempo (a meno che la
normativa regionale non preveda termini
inferiori) per chiedere eventualmente
all'interessato la documentazione
integrativa.
Trascorso senza azioni questo
termine, la richiesta si intende
correttamente presentata. Verificata la
completezza della documentazione, il Suap
adotta il provvedimento conclusivo entro 30
giorni o indice una conferenza di servizi.
«La conferenza è sempre indetta», precisa Spagnuolo, «nel caso in cui i procedimenti
necessari per acquisire le suddette intese,
nulla osta, concerti o assensi abbiano una
durata superiore ai 90 giorni ovvero nei
casi previsti dalle discipline regionali».
Scaduto questo termine, lo sportello
conclude in ogni caso il procedimento, anche
prescindendo dai pareri non presentati da
parte delle altre amministrazioni. Tutti gli
atti istruttori e i pareri tecnici richiesti
sono comunicati in modalità telematica dagli
organismi competenti al responsabile del Suap. Il provvedimento conclusivo del
procedimento è il titolo unico per la
realizzazione dell'intervento e per lo
svolgimento delle attività richieste.
---------------
Il cantiere non
chiude i battenti.
Anche se la procedura di sportello unico è
formalmente completa, il cantiere resta
aperto. La manovra di ferragosto (legge n.
148/2011) incide sul tema attraverso
l'abrogazione delle restrizioni all'accesso
e all'esercizio delle professioni e delle
attività economiche.
Il testo della norma
stabilisce che «comuni, province, regioni e
stato, entro il 16/09/2012 (un anno dalla
data di entrata in vigore della legge di
conversione del dl138/2011), adeguano i
rispettivi ordinamenti al principio secondo
cui l'iniziativa e l'attività economica
privata sono libere ed è permesso tutto ciò
che non è espressamente vietato dalla
legge». «Una novità», spiega Gianluigi Spagnuolo, responsabile del Suap di Oleggio
(No) e autore di Supa@norma, «che risponde
al principio di libertà dell'iniziativa
economica che ha contraddistinto il
dibattito pre-manovra».
Lo stesso principio è sotteso all'altra
misura prevista dalla legge e che impatta
sui Suap: la liberalizzazione in materia di
segnalazione certificata di inizio attività,
denuncia e dichiarazione di inizio attività.
Il testo recita: «Sono soppresse, entro il
16/09/2012 (un anno dalla data di entrata in
vigore della legge di conversione del dl
138/2011), le disposizioni normative statali
incompatibili con il principio secondo cui
«l'iniziativa e l'attività economica privata
sono libere ed è permesso tutto ciò che non
è espressamente vietato dalla legge», con
conseguente diretta applicazione degli
istituti della segnalazione di inizio di
attività e dell'autocertificazione con
controlli successivi».
«Il disegno complessivo del legislatore»,
conclude l'esperto, «delinea un modello di
rapporti tra amministrazione e impresa
caratterizzato dall'integrazione tra i
diversi momenti di vita dell'attività
economica fin qui rimasti separati, la
liberalizzazione delle attività e la
semplificazione procedurale. Non resta che
sperare in un'adozione su vasta scala di
questi principi»
(articolo ItaliaOggi
Sette del 26.09.2011). |
EDILIZIA PRIVATA: All’evidente
finalità di interesse pubblico di favorire
l’insediamento di impianti produttivi (con
la procedura del SUAP), pur in presenza di
un progetto che sia in contrasto con lo
strumento urbanistico ovvero richieda per la
sua realizzazione una variante al medesimo,
può essere convocata una conferenza di
servizi al fine dell’esame della possibile
adozione di variante al piano regolatore o
ad altro strumento urbanistico di questo
attuativo.
La determinazione della Conferenza di
servizi rappresenta un peculiare atto di
impulso (proposta) dell'autonomo
procedimento (di natura esclusivamente
urbanistica) volto alla variazione del
vigente piano regolatore, rientrante nelle
normali ed esclusive attribuzioni dell'ente
locale, di modo che, qualora l'esito della
Conferenza di servizi sia in qualunque modo
sfavorevole al privato richiedente e dunque
si risolva nel diniego di approvazione del
proposto progetto in variante allo strumento
urbanistico, tale esito assume valore
ostativo alla prosecuzione del procedimento
amministrativo, mancando in tale ipotesi
l'atto d'impulso, strumentale alle
determinazioni di competenza del Consiglio
comunale.
Tuttavia, perché possa farsi luogo alla
indizione della conferenza di servizi, la
stessa norma che prevede tale procedimento
alternativo, subordina la possibilità di
attivarlo alla presenza di due presupposti:
in primo luogo, la conformità del progetto
“alle norme vigenti in materia ambientale,
sanitaria e di sicurezza del lavoro”; in
secondo luogo, che “lo strumento urbanistico
non individui aree destinate
all'insediamento di impianti produttivi
ovvero queste siano insufficienti in
relazione al progetto presentato”. Proprio
perché il ricorso ad un procedimento
urbanistico “alternativo” deve essere
considerato eccezionale, la sussistenza dei
presupposti richiesti dalla norma non può
che essere indefettibile.
- Condizioni imprescindibili per l'avvio del
procedimento attraverso la convocazione
della conferenza sono da un lato la
conformità del progetto alle norme vigenti
in materia ambientale, sanitaria e della
sicurezza del lavoro; dall'altro
l'impossibilità di reperire nello strumento
esistente aree idonee all'iniziativa
produttiva.
È del tutto evidente, infatti, che qualora
risultino disponibili nel Piano altre aree
convenienti per la allocazione
dell'intervento produttivo, vengano meno le
esigenze promozionali alla base della
disciplina derogatoria, la quale dunque ...
ha natura eccezionale e non costituisce in
alcun modo strumento ordinario di modifica
dell'assetto urbanistico, azionabile in base
alle soggettive preferenze e convenienze
dell'imprenditore. In ogni caso, quando
sussistono i detti presupposti
l'Amministrazione ha non l'obbligo, ma la
facoltà, di avviare, sulla scorta di una
congrua motivazione, l'iter semplificato per
l'introduzione della variante.
- In definitiva, fermo il primo dei due
presupposti considerati, perché possa,
dunque, farsi luogo a conferenza dei servizi
occorre l’assenza di individuazione,
nell’ambito degli strumenti di
pianificazione urbanistica dell’ente locale,
di aree destinate ad insediamenti produttivi
ovvero l’insufficienza di queste, in
relazione al tipo di progetto presentato,
laddove per “insufficienza” deve intendersi,
in costanza degli standard previsti, una
superficie non congrua (quindi
insufficiente), in ordine all’insediamento
da realizzare.
L’art. 5 DPR 20.10.1998 n. 447, prevede che:
(comma 1) “Qualora il progetto presentato
sia in contrasto con lo strumento
urbanistico, o comunque richieda una sua
variazione, il responsabile del procedimento
rigetta l'istanza. Tuttavia, allorché il
progetto sia conforme alle norme vigenti in
materia ambientale, sanitaria e di sicurezza
del lavoro ma lo strumento urbanistico non
individui aree destinate all'insediamento di
impianti produttivi ovvero queste siano
insufficienti in relazione al progetto
presentato, il responsabile del procedimento
può, motivatamente convocare una conferenza
di servizi, disciplinata dall'articolo 14
della legge 07.08.1990, n. 241, come
modificato dall'articolo 17 della legge
15.05.1997, n. 127, per le conseguenti
decisioni, dandone contestualmente pubblico
avviso. Alla conferenza può intervenire
qualunque soggetto, portatore di interessi
pubblici o privati, individuali o collettivi
nonché i portatori di interessi diffusi
costituiti in associazioni o comitati, cui
possa derivare un pregiudizio dalla
realizzazione del progetto dell'impianto
industriale”;
(comma 2): “Qualora l'esito della
conferenza di servizi comporti la variazione
dello strumento urbanistico, la
determinazione costituisce proposta di
variante sulla quale, tenuto conto delle
osservazioni, proposte e opposizioni
formulate dagli aventi titolo ai sensi della
legge 17.08.1942, n. 1150, si pronuncia
definitivamente entro sessanta giorni il
consiglio comunale. Non è richiesta
l'approvazione della regione, le cui
attribuzioni sono fatte salve dall'articolo
14, comma 3-bis della legge 07.08.1990, n.
241”.
Dalla lettura della disposizione, si evince
che, all’evidente finalità di interesse
pubblico di favorire l’insediamento di
impianti produttivi, pur in presenza di un
progetto che sia in contrasto con lo
strumento urbanistico ovvero richieda per la
sua realizzazione una variante al medesimo,
può essere convocata una conferenza di
servizi al fine dell’esame della possibile
adozione di variante al piano regolatore o
ad altro strumento urbanistico di questo
attuativo.
Nell'ambito del procedimento così delineato,
la determinazione della Conferenza di
servizi rappresenta un peculiare atto di
impulso (proposta) dell'autonomo
procedimento (di natura esclusivamente
urbanistica) volto alla variazione del
vigente piano regolatore, rientrante nelle
normali ed esclusive attribuzioni dell'ente
locale, di modo che, qualora l'esito della
Conferenza di servizi sia in qualunque modo
sfavorevole al privato richiedente e dunque
si risolva nel diniego di approvazione del
proposto progetto in variante allo strumento
urbanistico, tale esito assume valore
ostativo alla prosecuzione del procedimento
amministrativo, mancando in tale ipotesi
l'atto d'impulso, strumentale alle
determinazioni di competenza del Consiglio
comunale (Cons. Stato, sez. IV, 19.10.2007
n. 5471).
Tuttavia, perché possa farsi luogo alla
indizione della conferenza di servizi, la
stessa norma che prevede tale procedimento
alternativo, subordina la possibilità di
attivarlo alla presenza di due presupposti:
in primo luogo, la conformità del progetto “alle
norme vigenti in materia ambientale,
sanitaria e di sicurezza del lavoro”; in
secondo luogo, che “lo strumento
urbanistico non individui aree destinate
all'insediamento di impianti produttivi
ovvero queste siano insufficienti in
relazione al progetto presentato”.
Proprio perché il ricorso ad un procedimento
urbanistico “alternativo” deve essere
considerato eccezionale, la sussistenza dei
presupposti richiesti dalla norma non può
che essere indefettibile (Cons. Stato, sez.
IV, 04.12.2007 n. 6157).
In particolare, questo Consiglio di Stato
(sez. IV, 03.03.2006 n. 1038), con
considerazioni condivise nella presente
sede, ha avuto modo di affermare che “condizioni
imprescindibili per l'avvio del procedimento
attraverso la convocazione della conferenza
sono da un lato la conformità del progetto
alle norme vigenti in materia ambientale,
sanitaria e della sicurezza del lavoro;
dall'altro l'impossibilità di reperire nello
strumento esistente aree idonee
all'iniziativa produttiva.
È del tutto evidente, infatti, che qualora
risultino disponibili nel Piano altre aree
convenienti per la allocazione
dell'intervento produttivo, vengano meno le
esigenze promozionali alla base della
disciplina derogatoria, la quale dunque ...
ha natura eccezionale e non costituisce in
alcun modo strumento ordinario di modifica
dell'assetto urbanistico, azionabile in base
alle soggettive preferenze e convenienze
dell'imprenditore. In ogni caso, quando
sussistono i detti presupposti
l'Amministrazione ha non l'obbligo, ma la
facoltà, di avviare, sulla scorta di una
congrua motivazione, l'iter semplificato per
l'introduzione della variante”.
Proprio in ragione di detti principi, è
stato considerato legittimo il provvedimento
con il quale si è espresso parere
sfavorevole ad una richiesta di variante ex
art. 5 DPR n. 447/1998 (per la realizzazione
di un complesso alberghiero), motivata con
riferimento ad una sostanziale
inedificabilità dei suoli interessati,
perché già asserviti (Cons. Stato, sez. IV,
19.10.2007 n. 5471).
In definitiva, fermo il primo dei due
presupposti considerati, perché possa,
dunque, farsi luogo a conferenza dei servizi
occorre l’assenza di individuazione,
nell’ambito degli strumenti di
pianificazione urbanistica dell’ente locale,
di aree destinate ad insediamenti produttivi
ovvero l’insufficienza di queste, in
relazione al tipo di progetto presentato,
laddove per “insufficienza” deve
intendersi, in costanza degli standard
previsti, una superficie non congrua (quindi
insufficiente), in ordine all’insediamento
da realizzare.
Nel caso di specie, lo strumento urbanistico (piano di fabbricazione) del
Comune di Maruggio prevede aree da destinare
ad insediamenti produttivi (una è proprio
quella di proprietà dell’appellante).
Non sussiste, dunque, a tutta evidenza, il
presupposto della “assenza” di aree da
destinare ad insediamenti produttivi.
L’attuale appellante lamenta, per un verso,
una sostanziale impossibilità di
sfruttamento delle aree derivante da
eccessiva farraginosità (se non
impossibilità) di redazione del piano di
lottizzazione, stante la presenza di circa
100 proprietari; per altro verso, lamenta la
limitazione alla realizzazione del progetto
derivante dagli indici di dimensionamento
previsti.
Nessuna delle due considerazioni consente di
definire “insufficienti” le aree
destinate ad insediamenti produttivi.
Come afferma condivisibilmente la sentenza
appellata, la richiesta di variante (e,
quindi, di indizione di conferenza di
servizi a tal fine) “non è strumentale
alla creazione ex novo di un’area tipizzata
come turistico-ricettiva, destinata ad
aggiungersi a quelle già individuate dal
piano di fabbricazione con la stessa
vocazione urbanistica”, ma è piuttosto
volta a “modificare le condizioni
costruttive imposte dal PdF”, in modo
quindi non conforne all’art. 5 DPR n.
447/1998.
Ed infatti, la redazione del piano di
lottizzazione, lungi dal dimostrare assenza
o insufficienza delle aree, costituisce una
previsione imposta dall’ente locale nel
legittimo esercizio della propria potestà di
pianificazione del territorio al fine di
consentire la migliore e più razionale
utilizzazione del territorio stesso.
Né il concetto di “insufficienza”
delle aree può essere letto come “insufficienza
di aree immediatamente utilizzabili”, di
modo che ogni limite, anche procedimentale,
determinerebbe appunto tale insufficienza.
Per un verso, tale lettura determinerebbe
che le aree, pur previste dallo strumento
urbanistico come destinate ad insediamenti
produttivi, sarebbero immediatamente
utilizzabili solo se già in proprietà
dell’imprenditore, dovendosi in caso
diverso, identificarne altre in variante,
con ciò sconvolgendo ogni logica di ordinata
pianificazione del territorio
Per altro verso (e con riferimento anche al
caso di specie), la previsione del piano di
lottizzazione non si presenta ex se come impeditiva allo sfruttamento delle aree,
poiché, per un verso, come chiarito anche
dalla sentenza appellata, l’ordinamento
prevede la redazione di ufficio di piani di
lottizzazione in difetto di accordo tra le
parti; per altro verso, l’imprenditore ben
può procedere all’acquisto dei terreni
occorrenti, così eliminando la necessità di
coinvolgere altri proprietari.
Allo stesso modo, la previsione di indici di
dimensionamento, lungi da determinare “insufficienza”
dell’area, costituisce espressione della
potestà di pianificazione del territorio da
parte dell’ente locale.
Alla luce di quanto esposto, perché possa
ritenersi attivabile il procedimento
speciale previsto dall’art. 5 DPR n.
447/1998, la società appellante avrebbe
dovuto dimostrare (ma ciò non è nel caso di
specie) al Comune di Maruggio come le aree
destinate ad insediamenti produttivi, pur
previste dallo strumento urbanistico, e
fermi gli indici prescritti, comunque non
consentissero la realizzazione
dell’insediamento produttivo, come
risultante dal progetto.
In conclusione, difettando i presupposti
previsti dall’art. 5 DPR n. 447/1998 –così
come rilevato dal Comune di Maruggio– non
era legittimamente possibile procedere alla
indizione della richiesta conferenza di
servizi. A fronte di ciò, non era necessario
fornire alcuna particolare motivazione
(essendo quindi infondati tutti i motivi di
ricorso che evidenziano profili di eccesso
di potere per difetto o insufficienza di
motivazione), né residuava alcun margine di
valutazione discrezionale in capo
all’amministrazione, stante l’obiettiva
mancanza dei presupposti richiesti dalla
norma.
Né, infine, l’intervento da realizzare può
essere considerato, per dimensioni e
destinazione, mero ampliamento di un
complesso esistente, in disparte ogni
considerazione circa la supposta non
applicabilità dei presupposti ex art. 5 cit.
ai cassi di ampliamento (Consiglio di Stato,
Sez. IV,
sentenza 15.07.2011 n. 4308 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Sportello
Unico attività produttive. Comuni, obbligo di
telematica.
Commissariamento per chi non si attiva entro
il 30/09/2011.
Acceleratore premuto sullo sportello unico
delle imprese. Se il Comune non provvede a
fornire alle Camere di commercio i dati
necessari affinché lo Sportello unico per le
attività produttive possa essere attivato
dalla Camera di commercio, il Prefetto può
nominare un commissario ad acta.
È questo
quanto hanno proposto le commissioni
permanenti bilancio, tesoro e programmazione
e finanze nel ddl di conversione del decreto
legge Sviluppo (si veda ItaliaOggi di ieri),
entrato in vigore lo scorso 13 maggio (dl
70/2011).
Lo Sportello, comunemente chiamato Suap, formalmente istituito più di dieci
anni fa con il dlgs 112/1998, ma di fatto
mai decollato in quanto non obbligatorio, ha
subito un'accelerazione con il dl 112/2008
che aveva idealmente previsto, con
l'articolo 38, l'«impresa in un giorno» di
cui lo Suap doveva rappresentare il naturale
strumento per la sua realizzazione.
Da
allora, grazie anche al dlgs 59/2010 di
recepimento della direttiva Servizi, la
strada è stata in discesa fino a quando con
il dpr n. 160/2010, pubblicato nella GU del
30.09.2010, (la data di pubblicazione
è importante perché a questa fanno
riferimento i diversi step previsti per la
sua attuazione) sono state dettate le
disposizioni di dettaglio di questo
strumento di semplificazione ed il 29 marzo
avrebbe dovuto, nelle intenzioni del
legislatore, rappresentare la data di
svolta. Ciò in quanto da tale data le Scia,
segnalazione certificata d'inizio attività,
avrebbero dovuto essere trasmesse soltanto
con modalità telematica o ai comuni che
avevano ottenuto l'accreditamento dal
ministero dello sviluppo economico o dalla
Camera di commercio se l'amministrazione
comunale territorialmente competente fosse
rimasta inattiva.
Sta di fatto che pochi
giorni prima della scadenza del 29 marzo
scorso una circolare a firma congiunta dei
responsabili degli uffici legislativi del
ministero della semplificazione e dello
sviluppo economico aveva informato gli enti
interessati che tutto poteva continuare come
prima, nel senso che le Scia potevano
continuare a essere presentate in forma
cartacea. Ciò in quanto gli enti locali
avevano difficoltà a informatizzarsi.
Dalla
lettura dell'articolato normativo che le
commissioni parlamentari hanno licenziato,
emerge ora che il Commissario ad acta
nominato dal Prefetto avrà il compito di
fornire alle camere di commercio gli
elementi necessari all'intervento
sostitutivo, che sarà peraltro limitato,
perché sarà il Comune interessato a
concludere il procedimento relativo
all'esercizio dell'attività di impresa in
quanto non c'è stato trasferimento di
funzione. Di conseguenza, i comuni dovranno
comunque disporre dei requisiti per il
procedimento telematico previsto
espressamente dal Codice
dell'Amministrazione digitale (dlgs
235/2010).
La disposizione che prevede la
nomina del Commissario ad acta perché le
Camere di commercio possano essere messe
nella condizione di operare in sostituzione
dei comuni inadempienti, non lascia spazi di
sorta a ulteriori rinvii, in vista della
prossima scadenza di fine settembre. Da tale
data, infatti, non soltanto le Scia ma anche
tutte le domande relative all'esercizio
dell'attività di impresa dovranno essere
inoltrate telematicamente. Ciò in quanto in
base alla normativa vigente (art. 38 del dl
112/2008), gli Suap devono essere l'unico
punto d'accesso per le pratiche
amministrative relative allo svolgimento
dell'attività imprenditoriale.
In altre parole tutte le comunicazioni,
comprese le Scia, devono transitare
attraverso questo canale telematico ai sensi
dell'art. 5 del dpr 160/2010 e,
successivamente, le richieste di
autorizzazione ai sensi dell'articolo 7 del
medesimo decreto
(articolo ItaliaOggi del 17.06.2011). |
EDILIZIA PRIVATA:
SPORTELLO UNICO PER LE ATTIVITA’
PRODUTTIVE - chiarimenti sui contenuti
presenti nelle disposizioni di cui al DPR
160/2010 e al suo allegato tecnico
(ANCI,
nota
05.05.2011). |
EDILIZIA PRIVATA:
Oggetto: chiarimenti sui contenuti
presenti nelle disposizioni di cui al D.P.R.
n. 160/2010 (SUAP) e al suo allegato tecnico
(Ministero dello Sviluppo Economico, Ufficio
Legislativo, e Ministro della Semplificazione
Normativa, Ufficio Legislativo,
nota 03.05.2011 n. 810
di prot.). |
EDILIZIA PRIVATA:
Procedimento automatico, SCIA e prevenzione
incendi. In vigore le nuove procedure dal
29.03.2011.
Il D.P.R. del 07.09.2010, n. 160 definisce
il “Nuovo Regolamento per la
semplificazione ed il riordino della
disciplina sullo Sportello Unico per le
Attività Produttive (SUAP)” e
sostituisce il DPR n. 447 del 1998 entrando
in vigore in momenti diversi:
- il 29.03.2011 per i capi l, II, III, V e
VI;
- il 30.09.2011 per il capo IV.
Il nuovo Regolamento stabilisce che i Comuni
devono esercitare le funzioni amministrative
in materia di insediamenti produttivi,
affidando l’intero procedimento ad un’unica
struttura, il SUAP, alla quale gli
interessati si rivolgono per
l'autorizzazione finalizzata alla
realizzazione, ristrutturazione e
ampliamento di impianti produttivi di beni e
servizi.
I Comandi dei VV.F., come tutte le
amministrazioni pubbliche diverse dal Comune
che sono interessate dal procedimento, non
possono trasmettere al richiedente nessun
tipo di atto o comunicazione e sono tenute a
trasmettere tutto al SUAP dandone
comunicazione al richiedente.
Il regolamento è stato strutturato sulla
distinzione tra due procedimenti:
1- Procedimento Automatizzato: fondato sulla
SCIA, che entra in vigore il 29.03.2011;
2- Procedimento Ordinario: riguardante gli
atti e i procedimenti ai quali non è
applicabile la SCIA, che entra in vigore il
30.09.2011.
Il Dipartimento dei Vigili del Fuoco ha
ritenuto opportuno emanare la Circolare n.
3791 del 24.03.2011 contenente le modalità
applicative per il Procedimento
Automatizzato.
Dal 29.03.2011 gli interventi relativi a
realizzazione e modifica di impianti
produttivi di beni e servizi e ad attività
di impresa soggetti a SCIA devono essere
presentati al SUAP, esclusivamente per via
telematica e con gli standard previsti dal
DPR 160/2010.
La Circolare individua le attività soggette
al controllo dei Vigili del Fuoco di cui al
D.M. 16/02/1982, per le quali è consentito
il Procedimento Automatizzato (la SCIA). Per
gli interventi di prevenzione incendi non
soggetti a SCIA, che presuppongono un
giudizio tecnico-discrezionale dell’organo
di controllo (ad esempio attività non
normate, attività particolarmente complesse,
procedure secondo l’approccio
ingegneristico, deroghe), continuano ad
utilizzarsi in via transitoria le
disposizioni del D.P.R. 447/1998 e s.m.i.,
sino all’entrata in vigore del Procedimento
Ordinario di cui al Capo IV del regolamento
SUAP, ossia il 30.09.2011.
Relativamente al Procedimento Automatizzato,
il SUAP, al momento della presentazione
della SCIA, dovrà verificare con modalità
informatica la completezza formale della
segnalazione e dei relativi allegati e, in
caso di verifica positiva, rilasciare
automaticamente la ricevuta che autorizza
l’impresa ad iniziare l’attività. Inoltre il
SUAP trasmetterà, sempre per via telematica,
la segnalazione e i relativi allegati alle
Amministrazioni e agli uffici competenti,
quindi anche ai Comandi Provinciali.
Gli standard relativi ai formati dei file,
allegati alle domande di prevenzione incendi
prodotte digitalmente, sono pubblicati nel
sito internet istituzionale dei Vigili del
Fuoco, nella sezione prevenzione incendi
on-line; le estensioni ammesse dei file da
allegare sono:
- JPG;
- PDF;
- DWF.
Le domande di prevenzione incendi redatte in
forma digitale devono pervenire ai Comandi
attraverso il portale “impresainungiorno.gov.it”,
oppure attraverso la PEC del SUAP (link a
www.acca.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Oggetto:
D.P.R. 07.09.2010 n. 160. Sportello unico
attività produttive
(Ministero per la Semplificazione Normativa,
ufficio legislativo, e Ministero dello
Sviluppo Economico, ufficio legislativo,
nota 25.03.2011 n. 571
di prot.). |
EDILIZIA PRIVATA:
Un «visto» per l'antincendio.
La segnalazione certificata di inizio
attività (Scia), che autorizza l'impresa ad
aprire i battenti, sarà presentata, dal 29.03.2011, online: attraverso gli sportelli
telematici comunali (i Suap, 1.759 gli
abilitati sinora, si veda «Il Sole 24 Ore»
di ieri) o attraverso il sistema delle
Camera di commercio.
Il ministero dell'Interno, dipartimento dei
vigili del fuoco, con la
lettera-circolare
24.03.2011 n. 3791 di prot. firmata
dal direttore centrale Fabio Dattilo ha
circoscritto le procedure antincendio che
rientrano nella Scia.
La procedura automatica che abilita
l'impresa, dopo la presentazione del
fascicolo, a iniziare l'attività è
utilizzabile –ribadisce la circolare del
dipartimento dei vigili del fuoco– solo «laddove
la pubblica amministrazione non debba
esprimere alcun apprezzamento
tecnico-discrezionale per il rilascio
dell'atto di assenso comunque denominato,
dovendosi esclusivamente effettuare un mero
accertamento delle sussistenza dei requisiti
predeterminati dalla legge».
Per la prevenzione incendi, dunque, la Scia
non si applica per le attività che non hanno
specifiche regole tecniche (per la
prevenzione) o per le attività che comunque
sono caratterizzate da una particolare
complessità tecnico-gestionale e per le
quali occorre la valutazione diretta dei
rischi, più che la verifica della
rispondenza dell'attività alla normativa.
Sono poi escluse dalla Scia le procedure
relative alla progettazione ingegneristica
antincendio (decreto ministeriale
09.05.2007) e quelle di deroga rispetto alla
normativa di prevenzione (articolo 6 del Dpr
37/1998).
Le attività soggette a Scia sono dunque
elencate nell'allegato alla circolare: gli
elaborati tecnici per le attestazioni dei
professionisti devono essere conformi ai
modelli contenuti nel Dm 04.05.1998 (punto b
dell'allegato I e II). I vigili del fuoco,
ricevuta la documentazione tramite il Suap o
la Camera di commercio, avranno 60 giorni
per i controlli. La circolare mette in
guardia i professionisti dal dichiarare il
falso: la denuncia all'autorità giudiziaria
sarà accompagnata dalla segnalazione
all'Ordine (commento tratto da
www.ilsole24ore.com). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Variante ex art. 5 d.P.R. n.
447/1998 - Diversità da quella urbanistica
ordinaria - Criterio.
2. Variante ex art. 5 d.P.R. n. 447/1998 -
Parere favorevole della conferenza di
servizi - Natura.
1.
La differenza radicale tra la variante di
cui all'art. 5 del d.P.R. n. 447/1998
rispetto alla variante urbanistica ordinaria
riguarda la modalità specifica di
attivazione del procedimento di variazione
dello strumento urbanistico: nel caso
dell'art. 5 la proposta di variazione è
collegata alla presentazione, da parte di un
privato, di un progetto che ottenga il
parere favorevole della conferenza di
servizi, appositamente convocata, mentre
nell'ipotesi ordinaria, la proposta di
variazione dello strumento urbanistico è
affidata all'iniziativa dell'amministrazione
comunale.
2.
Il parere favorevole della conferenza di
servizi in relazione al progetto di cui alla
realizzazione di un nuovo insediamento
produttivo costituisce proposta di variante
sulla quale è chiamato a pronunciarsi (anche
con una eventuale determinazione negativa,
ma in ogni caso adeguatamente motivata) il
Consiglio Comunale, titolare esclusivo del
potere di pianificazione urbanistica.
Presupposto essenziale per la convocazione
della conferenza di servizi volta
all'approvazione di una variante urbanistica
ex art. 5 del d.P.R. n. 447 del 1998 è,
dunque, la verifica, da parte del
responsabile del procedimento, dell'assenza
o dell'insufficienza di aree già destinate
agli insediamenti produttivi nel p.r.g. in
vigore
(massima
tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 24.03.2011 n.
773 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
TAR Lombardia: principi generali
in tema di ampliamenti di attività
produttive in variante al PRG.
Presupposto per la
convocazione della conferenza di servizi
volta all'approvazione di una variante
urbanistica ex art. 5 del d.P.R. n. 447 del
1998 è la verifica, da parte del
responsabile del procedimento, dell'assenza
o dell'insufficienza di aree già destinate
agli insediamenti produttivi nel p.r.g. in
vigore. La disposizione in questione,
infatti, prevede che allorché il progetto
sia conforme alle norme vigenti in materia
ambientale, sanitaria e di sicurezza del
lavoro ma lo strumento urbanistico "non
individui aree destinate all'insediamento di
impianti produttivi ovvero queste siano
insufficienti in relazione al progetto
presentato", il responsabile del
procedimento può, motivatamente, convocare
una conferenza di servizi per l'esame della
domanda.
Ma come deve essere letta la disposizione?
Quali sono, cioè, i suoi margini
interpretativi?
Ignorando l'utilizzo dell'espressione ^ovvero^
-che ha un significato diverso a seconda che
venga utilizzata nel linguaggio normativo
piuttosto che nell'utilizzo comune (v. G.
Acerboni,
Abolire 'ovvero', 2008)-
può essere utile la
sentenza 24.03.2011 n. 773 del
TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, che -chiamato
a pronunciarsi su un diniego opposto da un
Comune in ragione dell'esistenza di aree
inedificate a destinazione produttiva
all'interno del territorio comunale- ha
sancito che:
• tanto il provvedimento con cui si
decide di accedere alla conferenza di
servizi tanto quello di diniego debbono
essere motivati;
• il provvedimento deve essere motivato con
riferimento non alla astratta disponibilità
di aree a destinazione industriale sul
territorio, ma con riferimento alla
tipologia di progetto presentata;
• l'area da destinare all'ampliamento della
relativa attività non può quindi essere
rinvenuta altrove, ma deve trovarsi in
stabile e diretto collegamento con quella
dell'insediamento principale e da ampliare.
Nella fattispecie in questione "il comune
intimato non avrebbe dovuto, quindi,
limitarsi ad affermare la realizzabilità
dell'intervento in presenza di aree
astrattamente (ma non concretamente) idonee
all'insediamento, cioè avrebbe dovuto
valutare se le aree presenti con
destinazione produttiva fossero o meno
utilizzabili in concreto per la
realizzazione del progetto di ampliamento
presentato. Avrebbe, dunque, dovuto fornire
analitica motivazione circa le proprie
determinazioni, anche in considerazione del
fatto che la zona produttiva D1 individuata
dallo strumento urbanistico non era contigua
allo stabilimento della ricorrente, il cui
ampliamento sarebbe, quindi, risultato
impossibile mediante l’utilizzazione di tale
area" (commento tratto da http://studiospallino.blogspot.com
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
DOCUMENTO DELLE REGIONI SULLO STATO DI
ATTUAZIONE DELLA RIFORMA DELLO SPORTELLO
UNICO ATTIVITÀ PRODUTTIVE DI CUI ALL’ART. 38
DEL D.L. N. 112/2008, CONVERTITO IN L. N.
133/2008 E DEL REGOLAMENTO DI CUI AL DPR N.
160/2010 (conferenza delle Regioni e
delle Province Autonome,
nota 24.03.2011). |
EDILIZIA PRIVATA:
OGGETTO: Prevenzione on-line. Domande di
Prevenzione Incendi in forma digitale (SUAP).
Acquisizione di documenti allegati alle
domande di prevenzione
(Ministero dell'Interno, Dipartimento dei
Vigili del Fuoco del Soccorso Pubblico e
della Difesa civile,
nota 21.03.2011 n. 7227 di prot.). |
EDILIZIA PRIVATA:
P. Vignola,
Il procedimento amministrativo
autorizzatorio delle attività economiche: lo
Sportello unico per le attività produttive e
le Agenzie per le imprese - Le principali
novità introdotte dai recenti interventi
riformatori (link a
www.dirittodeiservizipubblici.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Procedura S.U.A.P. in variante ex art. 5 D.P.R. n.
447/1998 - Conferenza di Servizi - Parere
provinciale tardivo - Art. 14-ter, c. 7, L.
n. 241/1990 - Interpretazione ratione
temporis - Silenzio assenso - Sussiste.
2. Procedura S.U.A.P. in variante ex art. 5 D.P.R. n.
447/1998 - Verifica di compatibilità con norme
del P.T.C.P. e P.T.R. - art. 20 L.R. n.
12/2005 - Rete Ecologica Regionale - Non
sussistono norme prevalenti - Legittimità.
1. L'art. 14-ter, c. 7, L. n. 241/1990, pur
nel tenore di cui all'art. 49 D.L.
31.05.2010 n. 78 prima delle modifiche della
L. 30.07.2010 n. 122 di conversione, deve
essere interpretato alla luce della legge di
conversione che, sopprimendo dopo le parole
"in materia di VIA, VAS e AIA" la parola "paesaggistico-territoriale",
ha (letteralmente) chiarito come il sistema
di considerare assenso il silenzio serbato
dall'Amministrazione all'esito dei lavori
della Conferenza di Servizi opera in tutte
le ipotesi con la sola esclusione dei
provvedimenti in materia di VIA, VAS e AIA
in quanto non vi sarebbe ragione per
ammettere alla procedura del
silenzio-assenso il parere ambientale e non
quello paesaggistico, mentre ha una sua
logica escludere da tale meccanismo per le
tre tipologie di pareri di particolare
rilievo indicate nella norma.
Conseguentemente, stante l'assenza in sede
di Conferenza dei Servizi del rappresentante
della Provincia e la trasmissione da parte
di tale Amministrazione di un parere
paesaggistico quando l'attività della
Conferenza di Servizi era conclusa, la
procedura di cui all'art. 5 D.P.R. n.
447/1998 per l'approvazione di un progetto
di impianto produttivo in variante al P.G.T.
non è viziata dalla mancata valutazione del
parere tardivo risultando correttamente
acquisito detto parere mediante il silenzio.
2. Non sussiste violazione dell'art. 5
D.P.R. n. 447/1998, come integrata dall'art.
97 L.R. n. 12/2005, nella parte relativa
alla verifica di compatibilità con le norme
del P.T.C.P. (Piano Territoriale di Governo
del Territorio) e del P.T.R. (Piano
Territoriale Regionale), nell'ipotesi in cui
non sussistono in tali piani di riferimento
norme prevalenti che possano impedire la
variante urbanistica approvata per
realizzare un impianto produttivo; in
particolare la Rete Ecologica Regionale (R.E.R.)
introdotta con il P.T.R. (che contiene
prescrizioni di carattere orientativo per la
programmazione regionale di settore) non
implica alcuna diretta limitazione di
inedificabilità e la stessa non ha carattere
di norma prevalente sulle norme del P.G.T.
ai sensi dell'art. 20 L.R. n. 12/2005 (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 02.03.2011 n.
600 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Se la Provincia non si presenta
alla conferenza dei servizi per uno
"sportello unico" in variante allo strumento
urbanistico si forma il silenzio assenso. Il
medesimo Ente non può, pertanto, impugnare
la decisione finale del Comune che abbia
dato corso all'intervento.
La Provincia di Monza Brianza (da ora
Provincia) impugna gli atti di approvazione
di un progetto in variante al PGT del Comune
di Usmate Velate (da ora Comune), presentato
dalla società odierna controinteressata, che
ha seguito la procedura di cui all’art. 5 DPR
447/1998.
Il Collegio ritiene di poter prescindere
dall’esame delle eccezioni preliminari, in
quanto il ricorso è infondato.
Nel primo motivo parte ricorrente prospetta
una lettura molto suggestiva dell’art.
14-ter, comma 7, L. 241/1990, al fine di poter
fare valere il proprio parere giunto
tardivamente alla conferenza di servizi,
ovvero quando l’attività della stessa era
conclusa.
Questa la tesi difensiva della Provincia:
l’art 14-ter L. 241/1990, a seguito della
modifica operata dall’art. 49, comma 2, lett.
e), del decreto-legge 31.05.2010, n. 78 così
recita “Si considera acquisito l'assenso
dell'amministrazione, ivi comprese quelle
preposte alla tutela della salute e della
pubblica incolumità e alla tutela
ambientale, esclusi i provvedimenti in
materia di VIA, VAS e AIA,
paesaggistico-territoriale il cui
rappresentante, all'esito dei lavori della
conferenza, non abbia espresso
definitivamente la volontà
dell'amministrazione rappresentata.”
Il D.L. è stato convertito con L. 30.07.2010
n. 122, con la seguente modificazione: “dopo
le parole: «pubblica incolumità» sono
inserite le seguenti: «, alla tutela
paesaggistico-territoriale» e dopo le
parole: «in materia di VIA, VAS e AIA,» la
parola: «paesaggistico-territoriale,» è
soppressa”.
Quindi il nuovo testo così recita: “si
considera acquisito l'assenso
dell'amministrazione, ivi comprese quelle
preposte alla tutela della salute e della
pubblica incolumità, alla tutela
paessaggistico-territoriale e alla tutela
ambientale, esclusi i provvedimenti in
materia di VIA, VAS e AIA, il cui
rappresentante, all'esito dei lavori della
conferenza, non abbia espresso
definitivamente la volontà
dell'amministrazione rappresentata.”
Sostiene la ricorrente che alla data di
adozione del provvedimento conclusivo della
conferenza di servizi e del provvedimento di
approvazione del progetto, essendo vigente
il testo del decreto legge, il parere
paesaggistico-territoriale, al pari della
VIA, VAS e AIA, doveva essere acquisito
espressamente e non potesse essere applicato
il sistema del silenzio-assenso in caso di
assenza del rappresentante
dell’Amministrazione competente.
Come già detto in sede cautelare, la tesi
della Provincia non è condivisibile, in
quanto contrasta con l’interpretazione
letterale e sistematica del testo.
Letteralmente vengono indicati i pareri la
cui assenza comporta consenso, con
l’esclusione di tre ipotesi: l’inciso
relativo alle ipotesi di esclusione è
riferito ai tre pareri VIA, AIA e VAS, non
al parere paesaggistico, che si pone invece
sullo stesso piano di quella ambientale.
Non vi sarebbe infatti ragione per ammettere
alla procedura del silenzio-assenso, il
parere ambientale e non quello
paesaggistico; ha invece una sua logica
escludere da tale procedimento tre tipologie
di pareri di particolare rilievo, tutti
attinenti ad aspetti ambientali.
Tale lettura interpretativa è stata
confermata in sede di conversione: il parere
paesaggistico ha la stessa valenza di un
parere ambientale, mentre i tre pareri che
hanno un regime derogatorio, sono
riconducibili alla categoria dei pareri
ambientali.
L’interpretazione fornita dalla difesa
dell’Amministrazione Provinciale ricorrente
dell’art 14-ter della L. 241/1990, alla luce
della legge di conversione, non può quindi
essere condivisa, con la conseguenza che,
stante l’assenza in sede di conferenza di
servizi dei rappresentanti
dell'Amministrazione Provinciale e la
tardività della trasmissione del parere, la
Conferenza di Servizi ha correttamente
ritenuto acquisito detto parere mediante il
silenzio (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 02.03.2011 n. 600 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: In
arrivo la mappatura dei Suap comunali.
Procedura on-line per partecipare al
censimento.
Lavori in corso per il primo censimento dei
Suap comunali. In vista dell'ormai prossima
scadenza del 29.03.2011, sarà presto
possibile disporre di una prima mappatura
dei comuni pronti a rendere possibile
l'avvio di un'attività imprenditoriale
utilizzando una procedura online.
Faranno parte del censimento tutti i comuni
che avranno attestato al ministero dello
sviluppo economico l'istituzione di Suap
conformi ai requisiti stabiliti nelle
recenti normative di riforma del settore.
Per farlo potranno avvantaggiarsi di una
pratica procedura online messa a
disposizione a fine dicembre 2010 su
www.impresainungiorno.gov.it, il portale
realizzato dal Sistema camerale.
È questo il primo servizio interattivo
lanciato sul sito, che rappresenta anche il
Punto Unico di Contatto nazionale (PSC)
previsto dalla Direttiva Servizi. Superato
il termine del 28 gennaio, indicato dal dpr
160 pubblicato il 30.09.2010, gli enti
comunali «ritardatari» che avranno
posto in essere uno Sportello unico per le
attività produttive «a norma»,
potranno comunque ancora inviare
l'attestazione di conformità online per
essere accreditati.
Con l'arrivo della primavera si compierà
infatti una vera e propria «rivoluzione
culturale» nei rapporti tra imprese e
pubblica amministrazione perché, nella
maggior parte dei casi, un'impresa potrà
diventare operativa basandosi
sull'autocertificazione dei requisiti da
parte dell'imprenditore stesso. Un passo
avanti significativo per rimuovere quegli
ostacoli che oggi frenano il «fare
impresa» in Italia. E per rispettare la
tabella di marcia le camere di commercio si
adopereranno al fine di assicurare le
funzioni di front end del Suap per
quei comuni che non abbiano provveduto ad
accreditarsi sul portale.
Da fine marzo, per le attività che
richiedono esclusivamente la Scia, sarà così
possibile su tutto il territorio nazionale
avviare l'impresa collegandosi semplicemente
al portale «impresainungiorno» e
inviando telematicamente la segnalazione di
inizio attività. Le autorità competenti,
entro 60 giorni, potranno operare i
controlli di pertinenza.
Per i procedimenti più complessi per i quali
sarà necessaria l'adozione di un
provvedimento espresso si provvederà,
invece, per via informatica a partire dal
mese di ottobre del 2011.
Si tratta di una sfida importante volta ad
accelerare il processo di modernizzazione
del nostro paese. Ma per assicurare il
successo del nuovo Suap è necessario operare
collateralmente su tre importanti
direttrici. Rendere disponibili a tutte le
imprese gli accessi alla banda larga,
indispensabili per far viaggiare il flusso
delle informazioni; lavorare affinché tutte
le amministrazioni coinvolte (statali,
regionali, locali e centrali) possano
interloquire con le medesime modalità
telematiche con le imprese e i Suap; ridurre
e standardizzare le procedure amministrative
sul territorio.
Una recente indagine del sistema camerale
sugli adempimenti amministrativi a livello
locale richiesti alle imprese ha, infatti,
messo in luce l'esistenza di oltre 5 mila
procedure tutte diverse tra loro. È evidente
che così non può funzionare.
Motivo per cui le camere di commercio hanno
già sottoscritto due importanti intese con
la conferenza delle regioni e delle province
autonome e con l'Associazione dei comuni
d'Italia proprio con l'obiettivo di
armonizzare le azioni in vista
dell'attuazione della riforma del Suap
(articolo ItaliaOggi del 28.01.2011). |
EDILIZIA PRIVATA:
SUAP: il Ministero per la Semplificazione
chiarisce il ruolo delle CCIAA.
Come annunciato, il 30.09.2010 è stato
pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 229
il D.P.R. del 07.09.2010, n. 160 con il
quale viene adottato il Regolamento per la
semplificazione ed il riordino della
disciplina sullo Sportello Unico per le
Attività Produttive (SUAP).
Il Regolamento
abroga il previgente D.P.R. n. 447 del 1998,
il quale cesserà di avere efficacia in due
momenti diversi: 180 giorni per il c.d.
procedimento automatizzato, 1 anno per il
procedimento ordinario (articolo 12, comma
1). Ossia il 28.03.2011 in relazione ai capi
I, II, III, V e VI del Regolamento e il
30.09.2011 in relazione al capo IV.
La
nota esplicativa 12.01.2011 n. 40 di prot.
pubblicata dall'ufficio legislativo del
Ministero per la Semplificazione Normativa
in risposta agli interrogativi del Comune di
Camposampierese (Pd), chiarisce il ruolo
svolto dalle Camere di Commercio in surroga
della funzione da parte dei Comuni, che più
di una perplessità ha sollevato.
Secondo la nota del Ministero la Camera di
Commercio esercita "le funzioni richieste
per l'elaborazione dell'istanza,
comunicandone gli esiti al comune". La
delega alle Camere di Commercio non
comporterebbe "una deroga all'ordinario
riparto delle competenze, in quanto la
titolarità della funzione amministrativa
delegata rimane del comune e del relativo
dirigente responsabile, ovvero, qualora
quest'ultimo non sia stato individuato, del
segretario comunale, ai sensi dell'art. 4,
comma 4 del d.P.R. n. 160 del 2010. Il
Comune, in sintesi, può avvalersi delle
capacità organizzative e tecniche di un
altro ente pubblico, la camera di commercio,
pur preservando le competenze e la
correlativa responsabilità delle attività
compiute dagli uffici di quest'ultima".
I dubbi, ovviamente, permangono, perché
l'istituto dell'avvalimento sotteso
all'affermazione non é richiamato dalla
normativa in questione, che si limita a
trasferire alle CCIAA i compiti di gestione
SUAP in difetto delle amministrazioni locali
(link a http://studiospallino.blogspot.com). |
EDILIZIA PRIVATA: Oggetto:
Competenze delle camere di commercio nel
procedimento SUAP
(Ministero per la Semplificazione Normativa,
nota 12.01.2011 n. 40 di prot.). |
anno 2010 |
|
EDILIZIA PRIVATA: Oggetto:
DPR 07.09.2010 n. 160, art. 4, comma 10 -
SUAP - Attestazione requisiti dei comuni
(Ministero dello Sviluppo Economico,
nota 23.12.2010 n.
196835 di prot.). |
EDILIZIA PRIVATA:
L’autorizzazione per
l’insediamento di impianti produttivi deve
essere preceduta da una valutazione
favorevole del progetto, espressa in sede di
Conferenza di Servizi.
L'art. 5 del DPR 447/1998 introduce un
procedimento semplificato per l’insediamento
di impianti produttivi, conformi alla
normativa vigente in materia ambientale,
sanitaria e di sicurezza del lavoro, che
verranno localizzati e realizzati anche in
variante allo strumento urbanistico vigente,
allorché questo non individui aree per
insediamenti produttivi.
Si tratta di una normativa chiaramente
finalizzata a favorire lo sviluppo economico
e a consentire, perciò, la realizzazione di
nuovi impianti produttivi anche se in
contrasto con lo strumento urbanistico
vigente, quando non vi siano ragioni per
ritenere che il nuovo insediamento possa
cagionare danni all’ambiente circostante e
alla salute pubblica.
Secondo l’orientamento prevalente,
l’autorizzazione a realizzare siffatti
impianti deve essere preceduta da una
valutazione favorevole del progetto,
espressa in sede di Conferenza di Servizi al
termine di una istruttoria che ha ad
oggetto, essenzialmente, il rispetto della
normativa ambientale, sanitaria e
lavoristica. Un’ulteriore valutazione, di
carattere invece eminentemente discrezionale
,viene poi effettuata dal Consiglio
Comunale, al quale spetta la decisione di
approvare o meno la variante necessaria per
conformare lo strumento urbanistico al nuovo
impianto produttivo (così Tar Milano,
27.01.2010, n. 193).
Il compito del Dirigente, antecedente a
quello della Conferenza di servizi, si
esaurisce nel verificare le condizioni di
ammissibilità della domanda, cioè l’assenza
di aree idonee destinate all’insediamento di
impianti produttivi (TAR Puglia-Lecce, Sez.
I,
sentenza 18.11.2010 n. 2672 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Oggetto: SUAP- Sportello Unico per le
attività produttive (ANCI Lombardia,
circolare 16.11.2010
n. 89/2010). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Procedura di
ampliamento e concentrazione delle attività
aziendali - Art. 5 D.P.R. 20.10.1998 n. 447
- Delibera consiliare - Indirizzi - Ambito
applicativo - Illegittimità.
2. Procedura di
ampliamento e concentrazione delle attività
aziendali - Art. 5 D.P.R. 20.10.1998 n. 447
- Diniego di variante urbanistica - Esito
favorevole conferenza di servizi - Non
vincolante - Accessibilità sostenibile -
Edilizia di espansione - Legittimità.
1. E' illegittima la deliberazione
consiliare che, nel formulare indirizzi in
ordine all'applicazione dell'art. 5 del
D.P.R. n. 447/98, circoscriva l'ambito
applicativo della norma ai progetti di
ampliamento di attività produttive
preesistenti, escludendo nuovi insediamenti
(nuove iniziative).
2. Premesso che l'esito favorevole della
conferenza di servizi e la proposta di
variazione dello strumento urbanistico
assunta dalla conferenza non è vincolante
per il Consiglio comunale, che deve
autonomamente valutare se aderire o meno
alla stessa, si deve ritenere legittimo il
diniego di variante urbanistica impugnato,
motivato dalla volontà di non alterare i
connotati del paesaggio agricolo, in quanto
la c.d. accessibilità sostenibile (emersa in
conferenza di servizi) è condizione
necessaria ma non sufficiente, per
l'edilizia di espansione, e non vale a
rendere automaticamente edificabile un'area
agricola, ovvero a determinare in capo al
Comune l'obbligo di assentire la modifica di
destinazione di un'area da agricola in
industriale (massima
tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 11.11.2010 n.
7244 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
C. Rapicavoli,
Lo Sportello Unico per le attività
produttive e le Agenzie per le imprese.
D.P.R. 07.09.2010 n. 160 e D.P.R. 09.07.2010
n. 159 (link a
www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Semplificazione e riordino della
disciplina sullo Sportello Unico per le
Attività Produttive (ai sensi del
D.P.R. 07.09.2010 n. 160) (ANCI,
nota 06.10.2010 n. 79
di prot.). |
EDILIZIA PRIVATA:
G.U. 30.09.2010 n. 229, suppl. ord. n.
227/L, "Regolamento per la
semplificazione ed il riordino della
disciplina sullo sportello unico per le
attività produttive, ai sensi dell’articolo
38, comma 3, del decreto-legge 25.06.2008,
n. 112, convertito, con modificazioni, dalla
legge 06.08.2008, n. 133" (D.P.R.
07.09.2010 n. 160). |
URBANISTICA:
Piano del territorio - Variante
per impianti produttivi - Necessità di
previa relazione del fabbisogno - Piano del
territorio - Variante.
E' illegittima la delibera di adozione di
una variante per insediamenti produttivi per
violazione dell'art. 5 d.p.r. 447/1988 se non
è stata rispettata la sequenza
procedimentale necessaria per autorizzare la
localizzazione di impianti produttivi in
variante al p.r.g. che deve passare
attraverso un provvedimento ricognitivo del
fabbisogno, una relazione del responsabile
del procedimento attestante la insufficienza
delle aree produttive, una relazione
geologica e quindi solo all'esito della
valutazione da parte del Comune della
necessità -per lo sviluppo ordinato della
comunità- di individuare nuove aree
destinate ad attività produttive vista
l'insufficienza di quelle previste in piano (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 01.07.2010 n.
2411 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA: Come
tutti gli strumenti di piano sono approvati
a seguito di ricognizione del fabbisogno
della comunità locale, anche la variante
urbanistica per insediamenti produttivi (di
cui allo sportello unico attività produttive
- SUAP) può essere approvata solo a seguito
di una ricognizione da parte del fabbisogno
di nuovi impianti produttivi ed alla
valutazione del Comune che effettivamente
ritenga che, per l’ordinato sviluppo della
comunità locale, occorrano nuovi impianti
produttivi la cui localizzazione non sia
possibile nel contesto del piano vigente per
insufficienza delle aree a ciò destinate.
La giurisprudenza amministrativa ha ribadito
più volte il proprio diritto ad esercitare
un sindacato sulle scelte di piano proprio
in base alla coerenza della scelta
effettuata (a valle) dal Comune con la
ricognizione (a monte) delle esigenze di
sviluppo della comunità locale che le scelte
di piano puntano a soddisfare, ed ha
affermato l’illegittimità di scelte che
amplino o diminuiscano parametri urbanistici
sulla base di incongrua o insufficiente
ricognizione del relativo fabbisogno.
Una variante per insediamenti produttivi col
S.U.A.P. è sottoposta a procedure
semplificate di approvazione che, però, non
stravolgono le regole dell’urbanistica e
che, anzi, proprio per essere approvata con
modalità semplificate richiede oneri
motivazionali ancora più penetranti laddove,
per esempio, "le ragioni di pubblico
interesse specifico che spingono
l'amministrazione ad adottare un P.I.P.
devono essere adeguatamente specificate con
particolare riferimento alla tipologia di
attività che si intendono insediare con tale
strumento, alle finalità di promozione
dell'attività d'impresa perseguite, ai
benefici economici e sociali particolari che
l'amministrazione si prefigge da tale
strumento. Né tali ragioni ed interessi
pubblici possono ridursi alla semplice
localizzazione di attività economiche ed
all'urbanizzazione primaria e secondaria che
sono finalità perseguibili con gli ordinari
strumenti urbanistici e nell'ambito di una
dialettica ordinaria con i proprietari delle
aree".
E' fondato il
primo motivo di ricorso, in cui si deduce
che la delibera impugnata sarebbe
illegittima per violazione dell’art. 5
d.p.r. 447/1988 in quanto non sarebbe stata
rispettata nel caso in esame la sequenza
procedimentale necessaria per autorizzare la
localizzazione di impianti produttivi in
variante al p.r.g. che doveva passare
attraverso un provvedimento ricognitivo del
fabbisogno, una relazione del responsabile
del procedimento attestante la insufficienza
delle aree produttive, una relazione
geologica.
Le associazioni ricorrenti sostengono, in
definitiva, che la variante per impianti
produttivi in deroga allo strumento di piano
possa essere consentita soltanto previa
ricognizione del fabbisogno di aree
industriali, e quindi soltanto all’esito
della valutazione da parte del Comune della
necessità -per lo sviluppo ordinato della
comunità- di individuare nuove aree
destinate ad attività produttive vista
l’insufficienza di quelle previste in piano.
Il Comune di Palazzago ha seguito una
procedura meno articolata, perché si è
limitata a constatare che nel piano
regolatore non esistessero aree disponibili
per nuove attività produttive ed ha
conseguentemente assentito la variante di
piano con cui si trasformava un’area
agricola in zona industriale, senza porsi il
problema del se vi fosse o meno il
fabbisogno delle nuove attività industriali
che si andranno ad insediare nell’area
oggetto della variante.
La prospettazione delle associazioni
ricorrenti è corretta.
La norma attributiva del potere esercitato
in concreto dall’amministrazione nel caso in
esame è l’art. 5 d.p.r. 447/1998 il cui co. 1
dispone che “qualora il progetto presentato
sia in contrasto con lo strumento
urbanistico, o comunque richieda una sua
variazione, il responsabile del procedimento
rigetta l'istanza. Tuttavia, allorché il
progetto sia conforme alle norme vigenti in
materia ambientale, sanitaria e di sicurezza
del lavoro ma lo strumento urbanistico non
individui aree destinate all'insediamento di
impianti produttivi ovvero queste siano
insufficienti in relazione al progetto
presentato, il responsabile del procedimento
può, motivatamente, convocare una conferenza
di servizi, disciplinata dall'articolo 14 l.
241/1990, come modificato dall'articolo 17 l.
127/1997, per le conseguenti decisioni,
dandone contestualmente pubblico avviso.
Alla conferenza può intervenire qualunque
soggetto, portatore di interessi pubblici o
privati, individuali o collettivi nonché i
portatori di interessi diffusi costituiti in
associazioni o comitati, cui possa derivare
un pregiudizio dalla realizzazione del
progetto dell'impianto industriale”.
L’art. 2, co. 1, stessa legge aveva già
previsto che “la individuazione delle aree
da destinare all'insediamento di impianti
produttivi, in conformità alle tipologie
generali e ai criteri determinati dalle
regioni, anche ai sensi dell'articolo 26
d.lgs. 112/1998, è effettuata dai comuni,
salvaguardando le eventuali prescrizioni dei
piani territoriali sovracomunali (ne
consegue che le aree in esame devono essere
individuate “scegliendole prioritariamente
tra le aree, zone o nuclei già esistenti,
anche se totalmente o parzialmente
dimessi”).
Il combinato di queste due norme consente di
desumere che il procedimento di approvazione
della variante per insediamenti produttivi
non è sottratto ai tradizionali presupposti
che reggono gli strumenti di piano ed alle
esigenze cui sono funzionalizzati gli
stessi, in quanto il d.p.r. 447/1998 si limita
a semplificarne l’approvazione, ma non
stravolge i principi che regolano la
elaborazione della pianificazione comunale.
Da quanto appena esposto consegue che -come
tutti gli strumenti di piano sono approvati
a seguito di ricognizione del fabbisogno
della comunità locale (fabbisogno di nuovi
alloggi, che porta all’individuazione di
nuove aree destinate a residenza o
all’ampliamento degli indici di
edificabilità di quelle già individuate come
tali; fabbisogno di nuovi servizi pubblici
per effetto dell’incremento della
popolazione locale, che porta
all’ampliamento delle aree destinate ad
attrezzature; fabbisogno di nuove aree a
verde per garantire il rispetto degli
standard a fronte dell’aumento di altri
parametri urbanistici)- anche la variante
per insediamenti produttivi può essere
approvata solo a seguito di una ricognizione
da parte del fabbisogno di nuovi impianti
produttivi ed alla valutazione del Comune
che effettivamente ritenga che per
l’ordinato sviluppo della comunità locale
occorrano nuovi impianti produttivi la cui
localizzazione non sia possibile nel
contesto del piano vigente per insufficienza
delle aree a ciò destinate.
La giurisprudenza amministrativa ha
ribadito, infatti, più volte il proprio
diritto ad esercitare un sindacato sulle
scelte di piano proprio in base alla
coerenza della scelta effettuata (a valle)
dal Comune con la ricognizione (a monte)
delle esigenze di sviluppo della comunità
locale che le scelte di piano puntano a
soddisfare, ed ha affermato l’illegittimità
di scelte che amplino o diminuiscano
parametri urbanistici sulla base di
incongrua o insufficiente ricognizione del
relativo fabbisogno (sul punto v. CdS
7338/2006: In sede di controversia riguardante
la legittimità del dimensionamento di un
piano urbanistico il sindacato
giurisdizionale non è limitato alla
valutazione nella sua dimensione globale
della stima del fabbisogno abitativo fatta
dal comune, ma la razionalità e l'esattezza
della previsione può essere verificata sia
con il controllo dell'istruttoria eseguita e
dei dati raccolti, sia con l'analisi della
logica della loro elaborazione successiva ai
fini della fissazione di detto fabbisogno; TAR Sardegna 164/2009:
Nella determinazione
del fabbisogno abitativo, ai fini del
dimensionamento del piano regolatore
generale, il Comune non è tenuto a
considerare esclusivamente l'andamento
demografico che si è avuto nell'ultimo
periodo, potendo invece valutare anche
fenomeni sociali, o economici che di fatto
incidono sulla prevedibile domanda di
alloggi e quindi sull'aumento del traffico
veicolare nella zona; TAR Sicilia,
Catania, II, 1080/2007: Il limite massimo del
70%, previsto dall'art. 3, l. n. 167 del
1962 di estensione delle zone da includere
nei piani di edilizia economica e popolare,
si applica anche al dimensionamento dei
programmi costruttivi in questione e tale
dimensionamento, secondo quanto disposto
dalla giurisprudenza, incontra il duplice
limite della proporzione fra fabbisogno
complessivo calcolato e quota di alloggi
riservata all'intervento pubblico e quello
relativo alla proporzione tra alloggi
progettati e superficie a tal fine
vincolata).
Il principio in esame è stato espresso anche
da questo Tribunale nella pronuncia 85/2005 in
cui si è ritenuta l’illegittimità di una
decisione del pianificatore comunale sul
rilievo che “il potere dell'amministrazione
di modificare le scelte contenute nel
precedente PRG deve essere esercitato con
ragionevolezza e coerenza, per cui nella
fattispecie era indispensabile dare
congruamente conto delle ragioni che
inducevano a prevedere due nuove aree di
espansione non soltanto attraverso un
generale raffronto tra la zona prescelta
dallo strumento urbanistico e le altre zone
potenzialmente utilizzabili ricomprese nel
territorio comunale, ma anche alla luce dei
risultati dell'indagine sul fabbisogno che
non hanno evidenziato un deficit di nuovi
alloggi per uso abitativo”.
Questi principi di diritto, dettati per la
pianificazione comunale che segue le vie
ordinarie, valgono a maggior ragione per la
variante per insediamenti produttivi, che –si è detto– è sottoposta a procedure
semplificate di approvazione, che però non
stravolgono le regole dell’urbanistica, e
che anzi proprio per essere approvata come
modalità semplificate richiede oneri
motivazionali ancora più penetranti, come
rilevato da TAR Lombardia, Milano, II,
sentenza n. 4046 del 10/09/2008, secondo cui
“le ragioni di pubblico interesse specifico
che spingono l'amministrazione ad adottare
un P.I.P. devono essere adeguatamente
specificate con particolare riferimento alla
tipologia di attività che si intendono
insediare con tale strumento, alle finalità
di promozione dell'attività d'impresa
perseguite, ai benefici economici e sociali
particolari che l'amministrazione si
prefigge da tale strumento. Né tali ragioni
ed interessi pubblici possono ridursi alla
semplice localizzazione di attività
economiche ed all'urbanizzazione primaria e
secondaria che sono finalità perseguibili
con gli ordinari strumenti urbanistici e
nell'ambito di una dialettica ordinaria con
i proprietari delle aree”.
Nel caso in esame, pertanto, il Comune di
Palazzago –ricevuta la richiesta del
Consorzio San Sosimo- non doveva limitarsi a
verificare soltanto se vi fossero aree
disponibili nel territorio comunale per
realizzare l’insediamento industriale
richiesto, ma doveva anzitutto verificare se
questo insediamento fosse o meno
proporzionato per le esigenze di sviluppo
della comunità locale (verifica affatto
formale, posto che ben 9 ditte su 10
costituenti il Consorzio non avevano sede a
Palazzago).
Le parti resistenti contestano tenacemente
che questa verifica dovesse essere
effettuata con riferimento alle sole
esigenze della comunità locale, ma questa
opinione non può essere avallata. Come si è
evidenziato sopra, l’ambito di riferimento
della variante P.I.P. ex d.p.r. 447/1998 è
quello comunale, perché gli artt. 2 e 5 del
decreto citato individuano nei Comuni i
soggetti cui è affidata la procedura di
variante.
E’ vero, invece, -ed in questo si viene
incontro alle argomentazioni delle parti
resistenti, pur non aderendovi appieno- che
le esigenze di sviluppo della comunità
locale non sono individuate soltanto sulla
base della sede della società richiedente
l’insediamento (perché possono essere
verificate –a mero titolo di esempio–
anche le prospettive occupazionali
determinate dall’insediamento di nuovi
impianti nel territorio comunale per
diminuire il tasso di disoccupazione, con la
conseguenza che un eventuale pieno impiego
della popolazione residente già acquisito
non legittimerebbe –sotto questo profilo-
ulteriori aumenti del carico industriale,
laddove una situazione di inoccupazione di
manodopera specializzata in un certo settore
industriale potrebbe essere richiamata a
supporto della decisione di favorire
l’insediamento in loco di aziende
provenienti da fuori territorio e
specializzate nello stesso settore).
Ma –comunque si ricostruisca il sistema- nel
caso in esame queste prospettazioni restano
meramente astratte, perché in realtà il
Comune di Palazzago non ha effettuato
proprio nessuna valutazione sul fabbisogno,
talché non si rende necessario scendere nel
dettaglio ad individuare i criteri che
avrebbero potuto in astratto reggere tale
valutazione.
Ne consegue che, in conformità con
l’ordinanza cautelare già resa in corso di
causa, deve essere rilevata la illegittimità
del provvedimento impugnato, che deve
pertanto essere annullato (TAR
Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 01.07.2010 n. 2411 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
Approvazione di variante per
insediamenti produttivi - Procedimento
semplificato - Principi di pianificazione -
Ricognizione del fabbisogno di nuovi
impianti - Insufficienza delle aree
destinate ad impianti produttivi - Artt. 5 e
2 d.P.R. n. 447/1998.
Il combinato disposto degli artt. 5, c. 1 e
2, c. 1, del d.P.R. n. 447/1998 consente di
desumere che il procedimento di approvazione
della variante per insediamenti produttivi
non è sottratto ai tradizionali presupposti
che reggono gli strumenti di piano ed alle
esigenze cui sono funzionalizzati gli
stessi, in quanto il d.p.r. 447/1998 si
limita a semplificarne l’approvazione, ma
non stravolge i principi che regolano la
elaborazione della pianificazione comunale.
Ne consegue che -come tutti gli strumenti di
piano sono approvati a seguito di
ricognizione del fabbisogno della comunità
locale- anche la variante per insediamenti
produttivi può essere approvata solo a
seguito di una ricognizione da parte del
fabbisogno di nuovi impianti produttivi ed
alla valutazione del Comune che
effettivamente ritenga che per l’ordinato
sviluppo della comunità locale occorrano
nuovi impianti produttivi la cui
localizzazione non sia possibile nel
contesto del piano vigente per insufficienza
delle aree a ciò destinate (CdS 7338/2006;
Tar Sardegna 164/2009; Tar Sicilia, Catania,
II, 1080/2007) (TAR Lombardia-Brescia, Sez.
I,
sentenza 01.07.2010 n. 2411 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Impianti produttivi - Procedure
semplificate di cui al DPR 447/1998 -
Conferenza di servizi - Autocertificazioni -
Progetti in variante al PRG - Procedura
differenziata - Esclusione.
La realizzazione di un impianto produttivo
deve essere preceduta da una delle due
procedure semplificate di cui al DPR
447/1998: poiché l’art. 5 del D.P.R.
447/1998 non esplicita alcuna deroga a tale
principio per i casi di progetti in variante
al P.R.G., si deve concludere che, in tali
casi, ottenuta la variante urbanistica
l’interessato deve farsi carico di
compulsare l’ulteriore frazione di
procedimento finalizzata al rilascio del
titolo edilizio, chiedendo procedersi
mediante conferenza di servizi o mediante
autocertificazioni: in ogni caso, solo il
verbale conclusivo della conferenza di
servizi indetta ai sensi dell’art. 4 del
D.P.R. 447/1998 “tiene luogo degli atti
istruttori e dei pareri tecnici comunque
denominati previsti dalle norme vigenti”
(art. 4 comma 5) (TAR Puglia-Bari, Sez. II,
sentenza 18.06.2010 n. 2473 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA: A.
Calabria,
Lo sportello unico per le attività
produttive alla luce del recente recepimento
della direttiva Bolkestein – il difficile
ruolo della giurisprudenza Che cosa cambierà
(link a www.diritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Arriva lo sportello unico a 360°.
CONSIGLIO DEI MINISTRI/ Il regolamento
stabilisce la creazione di in unico soggetto
pubblico. Competenze sull'edilizia in quello
per le attività produttive.
Anche le competenze
dello sportello unico per l'edilizia
passano, salvo diversa disposizione dei
comuni, allo sportello unico per le attività
produttive (Suap). Quest'ultimo diventa
l'unico soggetto pubblico di riferimento sul
territorio per tutti i procedimenti che
abbiano per oggetto l'esercizio di attività
produttive e di prestazione di servizi:
avvio, trasformazione, ristrutturazione,
riconversione, ampliamento, trasferimento,
nonché cessazione e riattivazione delle
attività. Restano esclusi dalla disciplina
gli impianti e le infrastrutture
energetiche, soggette a normativa speciale.
Il Suap comunicherà con i cittadini, ma
anche con le altre p.a. interessate,
esclusivamente in via telematica, mentre il
portale «impresainungiorno» fornirà i
servizi informativi e operativi allo
sportello unico, oltre a contenere un
sistema di pagamento per i diritti, le
imposte e gli oneri relativi ai procedimenti
gestiti dai Suap.
È quanto prevede un
dpr che sarà oggi all'attenzione del
consiglio dei ministri, presieduto
dal presidente del consiglio Silvio
Berlusconi, recante il regolamento per la
semplificazione e il riordino della
disciplina sullo sportello unico per le
attività produttive.
Il provvedimento dà attuazione all'articolo
38, comma 3 del dl n. 112/2008, allineandosi
anche al dettato della «direttiva servizi»,
recepita mediante il dlgs n. 59/2010.
Il Suap, istituito presso i municipi, dovrà
assicurare in maniera omogenea su tutto il
territorio una risposta telematica unica e
tempestiva agli operatori che esercitano
attività produttive o prestazioni di
servizi, sostituendosi quindi agli uffici
comunali e a tutte gli enti pubblici
comunque coinvolti nell'iter amministrativo
(inclusi quelli preposti alla tutela
ambientale, paesaggistica, culturale e di
tutela della salute). Tali enti, dispone
peraltro lo schema di dpr, dovranno
astenersi dal trasmettere alcun documento al
richiedente. Ogni ente locale dovrà
individuare il responsabile del Suap; nelle
more, il ruolo è ricoperto dal segretario
comunale. I municipi potranno esercitare
dette funzioni in forma singola o associata
tra loro, nonché in convenzione con le Cciaa.
Laddove entro 180 giorni dall'entrata in
vigore delle norme i comuni non abbiano
provveduto a costituire lo Sportello unico,
oppure non ne siano in grado per motivi
tecnici, l'esercizio delle funzioni relative
alla gestione del Suap saranno delegate alla
camera di commercio territorialmente
competente.
Previste ulteriori norme, inoltre, per
accelerare la fase di avvio di un'impresa.
Tra queste, la possibilità di presentare
contestualmente la Dia e la comunicazione
unica presso il registro delle imprese, che
provvederà a inoltrare al Suap la
documentazione.
Il provvedimento oggi sul tavolo del governo
prevede poi che la ricevuta telematica
rilasciata dal Suap a seguito di
presentazione della Dia rappresenti il
termine di avvio del procedimento e consenta
anche l'avvio immediato dell'attività nei
casi in cui la Dia si riferisca alle
attività di cui al dlgs n. 59/2010 (sono
esclusi, per esempio, ristoranti, bar, taxi,
nonché i servizi finanziari e assicurativi)
(articolo ItaliaOggi del 10.06.2010, pag.
21). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Art. 25, L.R. n.
12/2005 - Progetti in variante ex art. 5
D.P.R. n. 447/1998 - Approvazione - Può
sempre intervenire, indipendentemente
dall'adeguamento della pianificazione alle
disposizioni in materia commerciale.
2. Art. 5 D.P.R. n.
447/1998 - Termine di trenta giorni entro
cui il Consiglio Comunale deve pronunciarsi
sulla proposta di variante - Carattere
perentorio - Non sussiste.
1. In base all'art. 25 della L.R. n. 12/2005,
i Comuni possano sempre procedere
all'approvazione di progetti in variante di
cui all'art. 5 D.P.R. n. 447/1998.
Il
procedimento di cui al D.P.R. n. 447/1998,
stante la sua natura eccezionale ed acceleratoria, può intervenire
indipendentemente dall'adeguamento della
pianificazione alle disposizioni in materia
commerciale.
2. Il termine di trenta giorni entro cui il
Consiglio Comunale deve pronunciarsi sulla
proposta di variante ex art. 5 D.P.R. n.
447/1998, ha carattere acceleratorio, non
avendo la legge specificato la natura
perentoria dello stesso né avendo previsto
alcuna specifica conseguenza per il suo
eventuale superamento (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 04.05.2010 n.
1221 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sportello unico telematico ai
nastri di partenza. Pronti i regolamenti sul
Suap e le Agenzie per le imprese.
Ai nastri di partenza lo Sportello unico per
le attività produttive telematico a cui si
potrà accedere attraverso camera di
commercio e agenzie private. I regolamenti
attuativi per il Suap e per le Agenzie per
le imprese, dopo il recepimento della
direttiva 2006/123/CE, saranno infatti
approvati a breve dal consiglio dei
ministri.
Diventa così realtà, grazie alla cura
Bolkestein, l'eterna promessa figlia del
dlgs 112/98. Lo sportello unico attività
produttive è stato introdotto nel nostro
ordinamento giuridico, per l'appunto, dal
dlgs 31.03.1998 n.112, che conferiva ai
comuni le funzioni amministrative
concernenti l'insediamento d'attività
produttive e stabiliva che queste dovevano
essere esercitate, singolarmente o in forma
associata, attraverso un'unica struttura ed
un unico procedimento, la disciplina del
quale fu rinviata ad un successivo
regolamento, adottato con il dpr 20.10.1998,
n. 447, che si prepara ora a lasciare campo
libero ai nuovi regolamenti di
delegificazione, allorquando entreranno in
vigore.
Ancor prima, il comune dovrà attestare
l'idoneità del proprio Suap rispetto ai
requisiti di cui all'articolo 38, comma 3,
lett. a), e a-bis). E quindi lo sportello
unico dovrà costituire «l'unico punto di
accesso per il richiedente in relazione a
tutte le vicende amministrative riguardanti
la sua attività produttiva» e dovrà
fornire «una risposta unica e tempestiva in
luogo di tutte le pubbliche amministrazioni
comunque coinvolte nel procedimento». «Attraverso
apposite misure telematiche» dovrà
inoltre essere assicurato «il
collegamento tra le attività relative alla
costituzione dell'impresa e le attività
relative all' attività produttiva».
È questo un passaggio da non sottovalutare,
considerato che da ciò dipenderà la
permanenza in capo al comune del Suap o la
delega (coattiva) dell'esercizio delle
relative funzioni, alla camera di commercio,
competente per territorio. La difficoltà
maggiore non risiede tanto nell'adeguamento
alla seconda prescrizione, dal momento che
potrà essere conseguito anche solo
attraverso la posta elettronica certificata
(Pec), quanto alla prima, tenuto conto del
sovraccarico d'attività da gestire in
modalità Suap. A parte i comuni che non lo
hanno istituito, sono quelli più grandi che
rischiano di essere travolti.
Molti fra questi sono stati sin qui
costretti a far selezione, operando, come
Suap, su una gamma circoscritta d'attività
di produzione di beni e servizi, talora,
magari, non come scelta definitiva, ma in
ragione di una necessaria gradualità verso
quella gestione più completa, che il nuovo
regolamento richiede ora in termini
pressoché immediati. Messo a disposizione
dalle camere di commercio, assurgerà a nodo
fondamentale il sistema telematico Suap,
evoluzione dell'attuale sistema non
telematico, in attuazione agli accordi e
agli obiettivi dell'Agenda di Lisbona del
giugno 2000, con la quale si sanciva
l'impegno di realizzare il progetto c.d. «e-Europe».
Rientreranno necessariamente in questo
circuito anche le agenzie per le imprese,
soggetto privato accreditato che potrà
svolgere funzioni di natura istruttoria e
d'asseverazione. Si tratta di una sorta di
Suap privato, in caso d'interventi per i
quali sia richiesta la Dichiarazione di
inizio attività (Dia) o soggetti a
silenzio-assenso, nello spirito di
un'effettiva sussidiarietà orizzontale. Non
è poco, considerato che il provvedimento di
recepimento della direttiva Bolkestein va ad
ampliare l'ambito della Dia e a ridurre
drasticamente quello dell'autorizzazione
espressa. E le regioni, sul punto, dovranno
fare la loro parte (articolo ItaliaOggi del
10.04.2010, pag. 24). |
EDILIZIA
PRIVATA:
OGGETTO: Sportello unico per le attività produttive -
Rapporti con la normativa urbanistica ed edilizia.
Il Comune fa presente che durante l'esame di un progetto di
trasformazione ed ampliamento di una struttura esistente, in
variante al P.R.G., ai sensi dell'art. 5 del D.P.R.
20.10.1998, n. 447, "è stato accertato che la ditta
proprietaria dell'immobile ha dato in parte corso alle
previsioni costituenti variante" realizzando parte
dell'ampliamento previsto nel progetto.
Il Comune aggiunge che "in merito al progetto di variante
si è espressa preliminarmente la Giunta Comunale ravvisando
un equilibrato rapporto tra l'interesse del privato e lo
interesse pubblico ed un regolato uso del territorio e dando
cosi favorevolmente avvio alla pratica di variante
urbanistica ai sensi dell'art. 5 del DPR 447/1998".
Chiede pertanto "se legittimamente la Conferenza dei
Servizi, possa proseguire le proprie valutazioni in presenza
di ordinanza di sospensione dei lavori che demandi
l’adozione di eventuali provvedimenti repressivi all’esito
della conclusione della stessa e se la Giunta Provinciale
prima ed il Consiglio Comunale poi, legittimamente. in
presenza di abusi edilizi possano approvare la variante con
effetti sananti" (Regione Marche,
parere 24.03.2010 n. 140/2010). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Procedimento Sportello Unico
per le Attività Produttive - Ratio.
2. Procedimento Sportello Unico per le
Attività Produttive - Competenza - Dirigente
- Non convocazione conferenza di servizi -
Illegittimità.
3. Procedimento Sportello Unico per le
Attività Produttive - Mancata individuazione
di aree destinate all'attività produttiva -
Interventi di ampliamento - Necessità - Non
sussiste.
1.
La normativa dello Sportello Unico per le
Attività Produttive è finalizzata a favorire
lo sviluppo economico ed a consentire perciò
la realizzazione di nuovi impianti
produttivi ancorché in contrasto allo
strumento urbanistico vigente, quando non vi
siano ragioni per ritenere che il nuovo
insediamento possa cagionare danni
all'ambiente circostante ed alla salute
pubblica, e che, di contro, esso possa
implicare nuova occupazione nel rispetto dei
diritti dei lavoratori.
2.
Il compito del Dirigente, antecedente a
quello della Conferenza di servizi, si
esaurisce nel verificare le condizioni di
ammissibilità della domanda, cioè l'assenza
di aree idonee destinate all'insediamento di
impianti produttivi.
Il mancato avvio del procedimento da parte
del Dirigente, che ha ritenuto di non
convocare la conferenza di servizi, viola
pertanto l'art. 5 del DPR 447/1998, che
demanda alla Conferenza di servizi il
compito di valutare il progetto, e
approvarlo con contestuale proposta di
variante, da presentare al Consiglio
Comunale.
3.
La mancata individuazione di aree destinate
all'insediamento di impianti urbanistici si
deve ritenere necessaria solo in caso di
insediamenti di nuovi impianti, ma non di
interventi di ampliamento o di
ristrutturazione di attività esistenti, in
quanto verrebbe frustrata la ratio
della norma di favorire lo sviluppo
economico, nel caso di una impresa già
esistente (massima tratta da www.solom.it -
TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 27.01.2010 n. 193 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2009 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Sportello Unico per attività
produttive. Disciplina D.P.R. n. 447/1998.
Vengono posti due interrogativi riguardanti
la disciplina dello Sportello Unico per le
Attività Produttive di cui al D.P.R.
447/1998.
Le questioni poste sono le seguenti:
1. se il responsabile del procedimento SUAP
possa convocare la conferenza di servizi su
richiesta del privato anche qualora non
sussistano “i presupposti di cui al comma
3 dell’art. 4 del D.P.R. n. 447/1998”;
2. se “Nell’ambito della conferenza dei
servizi, qualora l’intervento ricada in
vincolo di tutela paesaggistica, il parere
del servizio urbanistica del comune e il
parere, sempre dello stesso servizio
urbanistica, formulato sulla base del parere
della Commissione locale per il paesaggio
possono sostituire i rispettivi titoli
abilitativi (permesso di costruire e
autorizzazione paesaggistica)”; ovvero,
in altri termini, se ”il Comune può
esimersi dal formare il permesso di
costruire e l’autorizzazione paesaggistica”
(Regione Piemonte,
parere n.
91/2009 - tratto da
www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Ampliamento impianto
produttivo - Art. 5 D.P.R. n. 447/1998 -
Archiviazione procedimento - Inammissibilità
- Omessa notifica alla Regione -
Improcedibilità - Nuova istanza di permesso
di costruire - Non sussiste.
2. Ampliamento impianto produttivo - Art. 5
D.P.R. n. 447/1998 - Archiviazione
procedimento - Carenza di preavviso di
rigetto - Carenza di motivazione - Eccesso
di potere - Illegittimità.
1.
Il ricorso avverso l'archiviazione del
procedimento attivato ai sensi dell'art. 5
D.P.R. n. 447/1998 per l'ampliamento di uno
stabilimento artigianale non è inammissibile
per omessa notifica alla Regione nel caso in
cui il procedimento si sia arrestato ad uno
stadio in cui l'intervento regionale non era
ancora stato richiesto, non essendo neppure
giunto alla determinazione della conferenza
di servizi.
Similmente, lo stesso non è inammissibile
per sopravvenuta carenza di interesse in
conseguenza della presentazione di una nuova
istanza di permesso di costruire (in
alternativa al procedimento attivato) nel
caso in cui tale alternativo titolo
abilitativo non risulta essere ancora stato
rilasciato.
2.
L'archiviazione del procedimento di
ampliamento di uno stabilimento produttivo
risulta illegittimo, non solo per carenza
del preavviso di rigetto di cui all'art.
10-bis L. n. 241/1990 e di una congrua
motivazione ex art. 3 stessa legge, ma
poiché viziato da eccesso di potere nella
parte in cui afferma apoditticamente
l'illegittimità di una delibera comunale
presupposta in quanto ciò contrasta con la
presunzione di legittimità che assiste gli
atti amministrativi fino al loro
annullamento (massima tratta da www.solom.it
- TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 28.12.2009 n. 6222 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Nel
caso di attivazione dello sportello unico
attività produttive, in variante al vigente
P.R.G., il concetto di “insufficienza in
relazione al progetto presentato” rimanda a
una valutazione, per così dire, di tipo
quantitativo da parte della Conferenza e non
di natura qualitativa. In altre parole, la
Conferenza, per dare corso alla proposta di
variante urbanistica deve limitarsi a
verificare la presenza o sufficienza (dal
punto di vista dimensionale) delle aree
destinate all’insediamento degli impianti
nello strumento urbanistico senza entrare
nel merito della concreta fruibilità di
queste aree.
La questione ridotta nella sua essenza, è
se, la procedura di variante semplificata di
cui al citato art. 5 del D.P.R. n. 447 del
1998 possa essere avviata, non solo in caso
di assenza di aree destinate agli
insediamenti produttivi e di aree
insufficienti in relazione al progetto
presentato ma anche nel caso in cui dette
aree siano non disponibili per i più vari
motivi (nel caso di specie per assenza delle
opere di urbanizzazione).
Rileva il Collegio, che la costante
giurisprudenza (ex multis C. d. S.,
sez. IV n. 1038 del 03.03.2006), pur
riconoscendo la volontà del legislatore di
favorire le iniziative economiche, ha
qualificato l’art. 5 del D.P.R. n. 447 del
1998 come disposizione di natura eccezionale
che consente di variare lo strumento
urbanistico “saltando” la procedura
ordinaria al ricorrere di ipotesi
tassativamente previste. La portata
derogatoria dell’istituto rispetto alla
regola del diniego necessitato
all’approvazione di un progetto contrastante
con lo strumento urbanistico rende i
presupposti di cui all’art. 5 di stretta
interpretazione.
In particolare il concetto di “insufficienza
in relazione al progetto presentato”
rimanda a una valutazione, per così dire, di
tipo quantitativo da parte della Conferenza
e non di natura qualitativa. In altre
parole, la Conferenza, per dare corso alla
proposta di variante urbanistica deve
limitarsi a verificare la presenza o
sufficienza (dal punto di vista
dimensionale) delle aree destinate
all’insediamento degli impianti nello
strumento urbanistico senza entrare nel
merito della concreta fruibilità di queste
aree.
Una diversa interpretazione delle norme
de qua consentirebbe di aggirare la
procedura ordinaria di modifica della
pianificazione urbanistica tutte le volte
che le aree destinate agli insediamenti
produttivi siano qualitativamente non
adeguate rispetto al progetto ovvero
presentino problemi specifici che il Comune
ancora non ha risolto.
E’ solo l’impossibilità evidente di reperire
nello strumento urbanistico esistente aree
da destinare all’iniziativa produttiva che
abilita il ricorso alla procedura di
variante semplificata, che, comunque deve
essere sottoposta al vaglio del Consiglio
comunale che decide in piena autonomia se
aderire o meno alla proposta di variante
della Conferenza.
In altre più semplici parole qualora il
P.I.P. sia stato approvato, l’interessato
non può invocare l’applicazione dell’art. 5
per realizzare l’insediamento produttivo in
altra area del Comune ma deve richiedere
allo stesso gli atti concessori che gli
permettano di realizzare l’insediamento
nella aree a ciò destinate dalla
programmazione urbanistica. In caso di
illegittimo diniego potrà ricorrere ai
rimedi ordinari di impugnazione
(TAR Campania-Napoli, Sez. III,
sentenza 10.11.2009 n. 7217 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Procedimento SUAP - Giunta comunale - Incompetenza.
Il
procedimento attivato dinanzi allo Sportello
unico per le attività produttive è regolato
da una normativa di settore che non prevede
l'intervento della giunta, sfornita di
competenza al riguardo (nel caso di specie
il TAR ha annullato la deliberazione della
Giunta comunale con la quale era stata
ritirata la proposta di deliberazione
consiliare deputata all'approvazione della
variante urbanistica ex art. 5 D.P.R.
447/1998) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 11.06.2009 n.
3963). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sportello unico.
La trasmissione della pratica al SUAP,
disposta con l’atto impugnato, non implica
recesso del Comune dalle proprie prerogative
e responsabilità, giacché lo Sportello Unico
non rappresenta un nuovo centro di
competenze, ma, com’è noto, un modulo
organizzativo e procedimentale composito,
una sorta di “procedimento di
procedimenti” nel quale confluiscono gli
atti e gli adempimenti facenti capo a
diverse competenze, e richiesti dalle norme
in vigore perché l'insediamento produttivo
possa legittimamente essere realizzato; in
questo senso, quelli che erano, in
precedenza, autonomi provvedimenti, ciascuno
dei quali veniva adottato sulla base di un
procedimento a sé stante, diventano “atti
istruttori” al fine dell'adozione
dell'unico provvedimento conclusivo, titolo
per la realizzazione dell'intervento
richiesto (TAR Toscana, Sez. II,
sentenza 06.11.2009 n. 1585 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA: In
materia di sportello unico attività
produttive, la possibilità di impiegare la
cd. “variante urbanistica
semplificata”, coinvolge un’ipotesi
connotata da indubbia eccezionalità, “comportando
(la stessa) una consistente deroga al
modello ordinario di approvazione di una
variazione allo strumento urbanistico, in
funzione anticipatoria e sostitutiva delle
capacità previsionali delle esigenze di
sviluppo del territorio, in attuazione
dell’interesse pubblico di assecondare con
prontezza insediamenti produttivi”.
Il D.P.R. 20.10.1998 n. 447 -recante norme
di semplificazione dei procedimenti di
autorizzazione per la realizzazione,
l’ampliamento, la ristrutturazione e la
riconversione di impianti produttivi, per
l’esecuzione di opere interne ai fabbricati,
nonché per la determinazione delle aree
destinate agli insediamenti produttivi-
adottato in base all’articolo 20, comma 8,
della legge 15.03.1997, n. 59, all’articolo
5 “Progetto comportante la variazione di
strumenti urbanistici”, recita:
“1. Qualora il progetto presentato sia in
contrasto con lo strumento urbanistico, o
comunque richieda una sua variazione, il
responsabile del procedimento rigetta
l’istanza. Tuttavia, allorché il progetto
sia conforme alle norme vigenti in materia
ambientale, sanitaria e di sicurezza del
lavoro ma lo strumento urbanistico non
individui aree destinate all'insediamento di
impianti produttivi ovvero queste siano
insufficienti in relazione al progetto
presentato, il responsabile del procedimento
può, motivatamente, convocare una conferenza
di servizi, disciplinata dall’articolo 14
della legge 07.08.1990, n. 241, come
modificato dall’articolo 17 della legge
15.05.1997, n. 127, per le conseguenti
decisioni, dandone contestualmente pubblico
avviso. Alla conferenza può intervenire
qualunque soggetto, portatore di interessi
pubblici o privati, individuali o collettivi
nonché i portatori di interessi diffusi
costituiti in associazioni o comitati, cui
possa derivare un pregiudizio dalla
realizzazione del progetto dell'impianto
industriale.
2. Qualora l’esito della conferenza di
servizi comporti la variazione dello
strumento urbanistico, la determinazione
costituisce proposta di variante sulla
quale, tenuto conto delle osservazioni,
proposte e opposizioni formulate dagli
aventi titolo ai sensi della legge
17.08.1942, n. 1150, si pronuncia
definitivamente entro sessanta giorni il
consiglio comunale. Non è richiesta
l’approvazione della regione, le cui
attribuzioni sono fatte salve dall’articolo
14, comma 3-bis della legge 07.08.1990, n.
241.”.
Dalla riprodotta disposizione si evince:
(a) il divieto di approvare progetti in
contrasto con lo strumento urbanistico;
(b) la possibilità di derogare a siffatto
divieto, purché sussistano le particolari
condizioni di procedibilità richiamate dalla
norma;
(c) l’obbligo di motivazione nell’ipotesi di
avvio del procedimento in deroga;
(d) il valore di proposta di variante allo
strumento urbanistico dell’atto conclusivo
della conferenza di servizi.
Alla misura, vincolativamente connotata di
cui alla lettera (a) si aggiunge quindi, ove
sussista la conformità del progetto alle
norme vigenti in materia ambientale,
sanitaria e di sicurezza del lavoro e sempre
che lo strumento urbanistico non individui
aree destinate all’insediamento di impianti
produttivi ovvero queste siano
insufficienti, la possibilità che il R.U.P.,
motivatamente, avvii la procedura convocando
la conferenza di servizi.
Coerentemente con tali premesse pertanto, la
norma richiede un’espressa motivazione per
attivare il procedimento che, comunque, ha
valenza del tutto derogatoria, stante il suo
presupposto (non conformità allo strumento
urbanistico vigente) ed il suo scopo (una
procedura semplificata per ottenere una
variante allo strumento).
In ultima analisi, la possibilità di
impiegare la cd. “variante urbanistica
semplificata”, coinvolge un’ipotesi
connotata da indubbia eccezionalità, “comportando
(la stessa) una consistente deroga al
modello ordinario di approvazione di una
variazione allo strumento urbanistico, in
funzione anticipatoria e sostitutiva delle
capacità previsionali delle esigenze di
sviluppo del territorio, in attuazione
dell’interesse pubblico di assecondare con
prontezza insediamenti produttivi” (TAR
Puglia Lecce, sez. I, 28.10.2005, n. 4657).
Siffatta connotazione emerge poi con certa
evidenza ove si consideri che l’iter di
approvazione della variante diverge in
maniera significativa da quello ordinario,
tant’è che la determinazione assunta in sede
di conferenza, costituisce proposta di
variante sulla quale appunto si determina
definitivamente il Consiglio comunale
(TAR Lazia-Latina, Sez. I,
sentenza 07.07.2009 n. 644 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Procedimento SUAP - Giunta comunale - Incompetenza.
Il
procedimento attivato dinanzi allo Sportello
unico per le attività produttive è regolato
da una normativa di settore che non prevede
l'intervento della giunta, sfornita di
competenza al riguardo (nel caso di specie
il TAR ha annullato la deliberazione della
Giunta comunale con la quale era stata
ritirata la proposta di deliberazione
consiliare deputata all'approvazione della
variante urbanistica ex art. 5 D.P.R.
447/1998) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 11.06.2009 n.
3963 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il procedimento previsto
dall’art. 5 del d.P.R. 20.10.1998, n. 447
non costituisce <<un comodo strumento per
ovviare ai vincoli della pianificazione
urbanistica>>, ma viene ad integrare un vero
e proprio <<modello del tutto eccezionale e
derogatorio rispetto alle ordinarie modalità
di modifica degli strumenti urbanistici>>
utilizzabile solo quando siano
congiuntamente presenti i tre requisiti,
previsti dalla disposizione citata e
costituiti:
1) dal contrasto sussistente tra il progetto
presentato e lo strumento urbanistico;
2) dalla conformità alle norme vigenti in
materia ambientale, sanitaria e di sicurezza
del lavoro del progetto;
3) dal fatto che lo strumento urbanistico
non individui aree destinate
all'insediamento di impianti produttivi
ovvero queste siano insufficienti in
relazione al progetto presentato.
In accordo con la giurisprudenza
sostanzialmente incontroversa (per la
possibilità di utilizzare il procedimento ex
art. 5 d.P.R. 447 del 1998 solo nell’ipotesi
di insufficienza delle aree destinate ad
impianti produttivi sul territorio comunale;
si vedano, tra le tante: Consiglio Stato,
sez. IV, 04.12.2007, n. 6157; sez. VI,
25.06.2007, n. 3593), la giurisprudenza
della Sezione ha dovuto rilevare più volte
come il procedimento previsto dall’art. 5
del d.P.R. 20.10.1998, n. 447 non
costituisca <<un comodo strumento per
ovviare ai vincoli della pianificazione
urbanistica>>, ma venga ad integrare un
vero e proprio <<modello del tutto
eccezionale e derogatorio rispetto alle
ordinarie modalità di modifica degli
strumenti urbanistici>> (TAR Puglia
Lecce, sez. I, 11.01.2007, n. 28;
29.01.2009, n. 117) utilizzabile solo quando
siano congiuntamente presenti i tre
requisiti, previsti dalla disposizione
citata e costituiti:
1) dal contrasto sussistente tra il progetto
presentato e lo strumento urbanistico;
2) dalla conformità alle norme vigenti in
materia ambientale, sanitaria e di sicurezza
del lavoro del progetto;
3) dal fatto che lo strumento urbanistico
non individui aree destinate
all'insediamento di impianti produttivi
ovvero queste siano insufficienti in
relazione al progetto presentato.
Nella fattispecie concreta, l’aspetto
problematico è proprio costituito dal terzo
requisito, costituito dalla mancanza, nello
strumento urbanistico approvato, di aree che
permettano in concreto l’insediamento del
nuovo intervento produttivo; aspetto che è
totalmente assente dai lavori della
Conferenza di servizi e che non è stato
assolutamente valutato neanche dalla
deliberazione finale del Consiglio comunale.
È quindi di tutta evidenza come il ricorso
al procedimento previsto dall’art. 5 del
d.P.R. 20.10.1998, n. 447 sia stato
utilizzato, nella vicenda che ci occupa,
come un vero e proprio “surrogato”
dell’ordinario procedimento di modifica
della strumentazione urbanistica e non in
conformità alla propria innegabile natura di
strumento eccezionale per procedere
all’insediamento di nuove strutture
produttive, che non trovino concrete
possibilità realizzative nella
strumentazione urbanistica vigente.
A ben guardare, nella vicenda che ci occupa,
il vizio all’origine della procedura non si
esaurisce poi in un semplice difetto di
istruttoria o di motivazione, ma, oltre ad
integrare una evidente violazione delle
linee di indirizzo dettate dalla Giunta
Regionale con la delib. 27.11.2007 n. 2000,
trascende in un più significativo contrasto
con la strumentazione urbanistica vigente
nel Comune di Leverano.
La Sezione si è sostanzialmente già occupata
della problematica con la sentenza
27.06.2007 n. 2593 (relativa al piano per
l’insediamento di medie e grandi strutture
di vendita approvato dal C.C. di Leverano
con la delibera 04.08.2006 n. 28), rilevando
la presenza sul territorio comunale di aree
“E” ed “F” (quindi diverse dalla “D5”
oggetto dell’intervento che ci occupa) già
considerate <<urbanisticamente
compatibili>> all’insediamento di medie
strutture di vendita, senza alcuna necessità
di procedere all’utilizzo del procedimento
richiesto dall’art. 5 del d.P.R. 447 del
1998 (che anzi era irragionevolmente
ritenuto necessario proprio dal piano
annullato dalla Sezione, anche con
riferimento a questo aspetto); siamo,
quindi, in presenza di uno strumento
urbanistico che prevede già, almeno in
astratto, aree destinate all’insediamento di
medie strutture di vendita e che, quindi,
non permette il ricorso al procedimento
previsto dall’art. 5 del d.P.R. 447 del
1998, se non a seguito dell’accertamento
della concreta impossibilità di allocare un
certo intervento nelle aree già disponibili
sul territorio comunale.
Del resto, le argomentazioni sopra
richiamate non trovano un sostanziale
ostacolo nel fatto che si tratti di una
variante limitata all’introduzione della
possibilità di demolire e ricostruire con
diversa sagoma e non di più importanti
deroghe alla strumentazione urbanistica
vigente; come immediatamente percepibile, lo
stesso ricorso al procedimento ex art. 5
d.P.R. 447 del 1998, evidenzia come, in
mancanza della modificazione urbanistica,
l’intervento non sarebbe stato realizzabile;
si tratta, quindi, di una modificazione che
condiziona la stessa realizzazione
dell’intervento e che, proprio, per questo,
non può essere considerata secondaria o
inessenziale (TAR Puglia-Lecce, Sez. I,
sentenza 21.05.2009 n. 1239 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Impianti produttivi.
Il procedimento ex art. 5 d.P.R. 447 del
1998 (in materia di impianti produttivi sul
territorio comunale) non costituisce «un
comodo strumento per ovviare ai vincoli
della pianificazione urbanistica», ma viene
ad integrare un vero e proprio «modello del
tutto eccezionale e derogatorio rispetto
alle ordinarie modalità di modifica degli
strumenti urbanistici» utilizzabile solo
quando siano congiuntamente presenti i tre
requisiti, previsti dalla disposizione
citata e costituiti:
1) dal contrasto sussistente tra il progetto
presentato e lo strumento urbanistico;
2) dalla conformità alle norme vigenti in
materia ambientale, sanitaria e di sicurezza
del lavoro del progetto;
3) dal fatto che lo strumento urbanistico
non individui aree destinate
all'insediamento di impianti produttivi
ovvero queste siano insufficienti in
relazione al progetto presentato (TAR
Puglia-Lecce, Sez. I,
sentenza 21.05.2009 n. 1239 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
M. Lavatelli,
Sportello unico per le attività produttive
(link a www.lavatellilatorraca.it). |
anno 2008 |
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EDILIZIA PRIVATA: In
materia di sportello unico per le attività
produttive, il comune ha la facoltà -e non
l'obbligo- di avviare il procedimento ex
art. 5 del D.P.R. 447 del 1998.
Il d.P.R. 20.10.1998, n. 447, all’art. 5
dispone che “qualora il progetto
presentato sia in contrasto con lo strumento
urbanistico, o comunque richieda una sua
variazione, il responsabile del procedimento
rigetta l’istanza. Tuttavia, allorché il
progetto sia conforme alle norme vigenti in
materia ambientale … ma lo strumento
urbanistico non individui aree destinate
all’insediamento di impianti produttivi
ovvero queste siano insufficienti in
relazione al progetto presentato, il
responsabile del procedimento può,
motivatamente convocare una conferenza di
servizi … per le conseguenti decisioni …
Qualora l’esito della conferenza di servizi
comporti la variazione dello strumento
urbanistico, la determinazione costituisce
proposta di variante”.
La riportata disposizione indica un
procedimento –alternativo rispetto agli
ordinari strumenti di modifica della
pianificazione urbani-stica– preordinato
alla individuazione delle aree da destinare
ad im-pianti produttivi mediante variante
specifica al piano vigente.
Condizione imprescindibile per l’avvio del
procedimento attraverso la convocazione
della conferenza di servizi è (per quanto
qui interessa) la conformità del progetto
alle norme vigenti in maniera ambientale,
che neppure il ricorrente in primo grado ha
dedotto sussistere in maniera completa.
Occorre, inoltre, che sussista
l’impossibilità di reperire nello strumento
urbanistico aree idonee all’iniziativa
produttiva.
E’ evidente, infatti, che, qualora risultino
disponibili nel PRG altre aree utilizzabili
per l’allocazione dell’intervento
produttivo, vengono meno le esigenze
promozionali alla base della disciplina
derogatoria, la quale ha natura eccezionale
e non costituisce in alcun modo strumento
ordinario di modifica dello strumento
urbanistico, azionabile in base alle
soggettive preferenze e convenienze
dell’imprenditore.
In ogni caso, quando sussistono i detti
presupposti, l’Amministrazione ha non
l’obbligo ma la facoltà di avviare, sulla
scorta di congrua motivazione, l’iter
semplificato per l’introduzione della
variante, come si desume da rilievi testuali
(il responsabile può motivatamente) sia da
considerazioni di tipo sistematico. Sotto
tale ultimo profilo è da notare, infatti,
che, pur ispirandosi la vigente normativa ad
evidenti criteri di favore per
l’insediamento di attività produttive, tale
logica economico-sociale non può essere
spinta fino a sovvertire il ruolo
fondamentale che spetta al Comune
nell’ambito del giusto procedimento in
materia urbanistica.
Ne deriva che la conferenza non deve sempre
e comunque essere convocata qualora il
progetto proposto non contrasti con divieti
specifici ambientali e sanitari. Ciò,
potendo costringere il consiglio comunale a
riconsiderare la previsione urbanistica per
una certa zona, inciderebbe in maniera certa
sulla programmazione dei lavori del
consiglio stesso ed in qualche misura
(perché si tratterebbe pur sempre di una
proposta di variante da sottoporre al vaglio
del ripetuto consiglio) nella
discrezionalità del Comune in materia di
programmazione dello sviluppo del
territorio.
Il Collegio ritiene, quindi, che la
determinazione di non avviare il
procedimento è di per sé pienamente
consentita dall’ordinamento di settore, il
quale configura l’utilizzo di una procedura
pur sempre derogatoria come meramente
facoltativo da parte dell’ente locale.
Ritiene, altresì, che tale determinazione
costituisce il frutto dell’esercizio di un
potere discrezionale che il Comune può
legittimamente fondare, anche
indipendentemente da precisi divieti
ambientali, su valutazioni di ordine
generale, purché razionalmente ed
equilibratamente rapportate, in relazione
alla natura ed all’entità dell’intervento,
all’esigenza di evitare la compromissione di
valori paesaggistici, urbanistici o comunque
inerenti alla tutela dell’assetto delle
territorio
(C.G.A.R.S.,
sentenza 15.12.2008 n. 1077 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La proposta di variante dello
strumento urbanistico, formulata dalla
conferenza dei servizi ai sensi dell’art. 5
DPR 447/1998, non è vincolante per il
Consiglio comunale.
La proposta di variante dello strumento
urbanistico formulata ai sensi dell’art. 5
DPR 447/1998 al fine di favorire e
semplificare la realizzazione di una
struttura in zona tipizzata diversamente,
non è vincolante per il Consiglio comunale,
il quale deve valutare autonomamente se
aderire o meno alla stessa (in tal senso, C.
Stato, IV, 27.06.2007, n. 3772).
E’ vero, però, che la particolarità della
fattispecie e dell’andamento del
procedimento amministrativo pur non
determinando in capo all’interessato né
posizioni già favorevoli né tantomeno di
affidamento alla conclusione positiva del
medesimo, pur tuttavia, dal punto di vista
procedimentale, imponeva e impone al
Consiglio Comunale –pur libero nelle sue
determinazioni– un ispessimento del già
generale dovere di adeguata motivazione, che
non può dirsi soddisfatto attraverso una
motivazione che richiama per relationem atti
di indirizzo in sé generici, inoltre non
pienamente pertinenti e non confacenti alla
fattispecie.
In mancanza, altrimenti, viene vulnerato il
senso del dovere di adeguata motivazione,
che è quello di consentire alla parte
privata di poter ripercorrere l’iter
logico-intellettivo seguito dalla
amministrazione ai fini della emanazione
dell’atto di diniego (Consiglio di Stato,
Sez. IV,
sentenza 03.09.2008 n. 4110 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Procedimento ex
art. 5 del D.P.R. n. 447/1998 - Procedimento
ex art. 10-bis della L. n. 241/1990 e succ.
mod. ed int. - Non sussiste.
2. Destinazione
urbanistica della zona - Espressione di
potere discrezionale della P.A. - Sussiste - Sindacabilità da parte del giudice
amministrativo - Limiti.
3. Procedimento ex
art. 5 del D.P.R. n. 447/1998 - Possibilità
del Comune di apportare modificazioni dopo
la conferenza di servizi in sede di
deliberazione consiliare - Sussiste -
Posizione qualificata del privato - Non
sussiste.
1. Il procedimento previsto dall'art. 5 del
D.P.R. n. 447/1998, nella parte che va dalla
proposta di variante allo strumento
urbanistico, effettuata dalla conferenza di
servizi, alla decisione del consiglio
comunale, non può considerarsi un
procedimento ad istanza di parte ai sensi e
per gli effetti dell'art. 10-bis della L. n.
241/1990 e succ. mod. ed int.
2. La destinazione urbanistica fissata per
una determinata zona è frutto di una
valutazione discrezionale della
Amministrazione, insindacabile da parte del
giudice amministrativo se non per vizi
logici e di fatto.
3.
Nel procedimento ex art. 5 del D.P.R. n.
447/1998, il cambiamento nella valutazione
espressa dal Comune tra la conferenza di
servizi e la deliberazione consiliare finale
non è sufficiente a viziare quest'ultima,
infatti dalla conferenza di servizi esce
soltanto una proposta di variante
urbanistica, rispetto alla quale il Comune
può introdurre modificazioni e non vi è in
capo ai privati una posizione qualificata in
grado di condizionare le motivazioni
dell'Amministrazione e di indirizzare la
decisione finale verso un esito certo o
probabile
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 31.07.2008 n.
3125 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA: Variante
urbanistica ex art. 5 DPR n. 447/1998 - Presupposti ex c. 2
- Ricorrenza - Verifica del responsabile del procedimento -
Motivazione.
Il ricorso alla procedure eccezionale e di natura
derogatoria di variante urbanistica ex art. 5 de DPR n.
447/1998 è ammesso solo alle tassative condizioni previste
dal comma 2. La sussistenza di tali presupposti deve essere
verificata dal responsabile del procedimento
antecedentemente alla convocazione della conferenza di
servizi; inoltre deve risultare dalla motivazione della
convocazione della conferenza, in quanto è sulla base di
tutti i requisiti di legge che il responsabile del
procedimento potrà "motivatamente" procedere all’avvio della
procedura di formazione della variante urbanistica prevista
dell’art. 5 del DPR n. 447/1998.
Variante urbanistica ex art. 5 DPR n. 447/1998 -
Concetto di “aree insufficienti rispetto al progetto
presentato - Nozione - Prova - Onere del richiedente.
Con l’espressione aree "insufficienti rispetto al progetto
presentato" contenuta nel comma 2, dell’art. 5, del D.P.R.
n. 447/1998, il regolamento statale intende riferirsi alle
situazioni in cui non sia possibile per un’impresa
insediarsi in un determinato Comune perché mancano del tutto
aree a destinazione produttiva, o perchè queste non
consentono quel determinato tipo di insediamento a causa
della insufficiente dimensione, o comunque per la presenza
di parametri, limitazioni, indici che producono un effetto
impeditivo di carattere equivalente; vi è infine
insufficienza di aree anche nelle ipotesi in cui le aree a
destinazione produttiva siano inidonee da un punto di vista
qualitativo (es. attività che richiedono particolari
infrastrutture; rimessaggio di cantieri navali che
richiedono il facile accesso al mare; la necessità, per il
tipo di attività, della vicinanza di strutture ferroviarie
ecc.). Costituisce onere del richiedente provare
l’inesistenza e la insufficienza di aree libere e
disponibili nel territorio comunale, e la variazione dello
strumento urbanistico proposta in applicazione dell’art. 5
non deve corrispondere a sopravvenute esigenze generali di
carattere urbanistico, bensì a particolari esigenze di
realizzazione, ampliamento, ristrutturazione e riconversione
di impianti produttivi, anche laddove la variante riguardi
una sola area per un singolo impianto, così come è
irrilevante l’esistenza nella zona di impianti preesistenti,
dello stesso genere o di genere diverso (Tar Puglia-Lecce,
sez. I, n. 1601/2005) (TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 11.07.2008 n. 1993 - link a
www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Procedura semplificata di cui al Dpr 447/1998.
L'art. 5 del DPR n. 447/1998, che è norma regolamentare, consente,
all'esito della conferenza di servizi disciplinata dagli art. 14 e ss.
del DPR n. 241/1990, l'approvazione di progetti implicanti una variante
dello strumento urbanistico; la determinazione dirigenziale emessa
all'esito del procedimento implica il rilascio del permesso di
costruire, la cui efficacia è, però. subordinata alla approvazione della
variante da parte del consiglio comunale. mentre non occorre una
successiva approvazione da parte della regione. Si palesa evidente che
la conferenza di servizi di cui al citato art. 5 del DPR n. 447/1998
deve necessariamente concludersi con un provvedimento di accoglimento o
di rigetto della richiesta di approvazione del progetto per la
realizzazione dell'insediamento produttivo, essendo prevista
espressamente la conclusione del procedimento in tali sensi dall'art.
14-ter, comma 6-bis, della predetta L. n. 241/1990, aggiunto dall'art.
10 della L. 11.02.2005 n. 15, il quale stabilisce che: "All'esito dei
lavori della conferenza, e in ogni caso scaduto il termine di cui al
comma 3, l'amministrazione procedente adotta la determinazione motivata
di conclusione del procedimento, valutate le specifiche risultanze della
conferenza e tenendo conto delle posizioni prevalenti espresse in quella
sede."
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza
15.04.2008 n. 15647
- link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Sulla
prevalenza del procedimento sportello unico sulla normativa regionale.
La specifica disciplina sul procedimento previsto dall’art. 5 del d.p.r.
n. 447 del 1998 prevale sulle disposizioni della legge regionale, sulle
modalità di pubblicazione della delibera riguardante la variante del
piano regolatore.
Infatti, il medesimo art. 5 ha disciplinato un procedimento semplificato
volto alla più rapida produzione degli effetti, con una finalità
acceleratoria che non consente la congiunta applicazione delle norme
derogatorie (di cui al d.P.R. n. 447 del 1998) e di quelle
ordinariamente previste dalla legislazione regionale per le varianti
agli strumenti urbanistici.
Del resto, neppure si può ritenere che i termini da rispettare, per
l’adozione di una variante in sede di Conferenza di servizi, in ordine
alle modalità di pubblicazione siano cumulativamente quello di 45
giorni, previsto dalla legge regionale, e quello di 20 giorni, previsto
per la pubblicazione dell’avviso di convocazione della conferenza dei
servizi
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 07.04.2008 n. 1496 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
Variante urbanistica - Conferenza dei servizi - Modifiche - Sono
ammissibili - Aspettativa dei privati - Non sussistenza.
Dalla conferenza di servizi esce soltanto una proposta di variante
urbanistica (art. 5 co. 2 DPR 447/1998), rispetto alla quale i comuni
hanno la possibilità di introdurre variazioni. Non vi è ancora in capo
ai privati una posizione qualificata in grado di condizionare le
motivazioni dell'amministrazione e di indirizzare la decisione finale
verso un esito certo o probabile (massima
tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia,
sentenza 11.02.2008 n. 47
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Competenza
rilascio provvedimento autorizzativo.
Il Comune XXX pone un quesito in ordine alla
procedura prevista dalla normativa in tema
di S.U.A.P. (Sportello Unico per le Attività
Produttive). Segnala, infatti, il Comune di
aver ricevuto dallo S.U.A.P. dell’ente XXX,
a cui è associato, la pratica edilizia
relativa ad un intervento di realizzazione
di un complesso produttivo per attività di
frantumazione e selezione inerti
(Regione Piemonte,
parere n. 25/2008 - link a www.regione.piemonte.it). |
anno 2007 |
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EDILIZIA PRIVATA: 1.
Procedimento SUAP ex art. 4, comma 2 D.P.R.
n. 447/1998 e succ. mod. ed int. - Art.
10-bis della L. n. 241/1990 e succ. mod. ed
int.- Esclusione.
2. Provvedimento di diniego alla
realizzazione di recinzione motivato con
riferimento al fatto che la zona da
recintare è zona vincolata o ricadente in un
P.L.I.S. -Insufficienza della motivazione-
Illegittimità.
1. In sede di procedimento di
sportello unico per le imprese, quanto
previsto dalla prima parte dell'art. 4 ,
comma 2 del D.P.R. n. 447/1998 e succ. mod
ed int. esclude il ricorso all'istituto
previsto dall'art. 10-bis della L. n.
241/1990 e succ. mod. ed int. salva la
possibilità prevista dalla seconda parte del
comma 2 dello stesso articolo 4 di chiedere
la convocazione di una conferenza di servizi
al fine di concordare le condizioni per
ottenere il superamento della pronuncia
negativa.
2. Il provvedimento di diniego alla
realizzazione di una recinzione che essendo
espressione della facoltà/pretesa del
proprietario, non richiede di norma alcuna
giustificazione, è illegittimo se privo di
qualsivoglia specificazione atta ad
identificare la norma conformativa o
preclusiva che renderebbe inammissibile
l'intervento, non potendosi considerare
sufficiente a tal fine il mero riferimento
al fatto che la zona da recintare sia zona
vincolata o ricadente in un P.L.I.S.
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 17.12.2007 n. 6665
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Anche un nuovo distributore di
carburanti può essere realizzato mediante lo sportello unico in variante
al P.R.G..
Gli impianti di carburante, in ragione della
loro natura, sono regolati da disciplina autonoma e differenziata
rispetto a quella concernente i centri commerciali cui eventualmente
possano accedere, sicché in ogni caso l’apertura di un impianto
precedentemente non esistente in un centro commerciale costituisce nuovo
impianto.
Ciò non esclude che si possa per tali
impianti seguire il procedimento semplificato di cui agli artt. 4 e 5
del DPR n. 447/1998 (Regolamento recante norme di semplificazione dei
procedimenti di autorizzazione per la realizzazione, l’ampliamento, la
ristrutturazione e la riconversione di impianti produttivi, per
l’esecuzione di opere interne nonché per la determinazione di aree
destinate agli insediamenti produttivi) in quanto anch’essi rientrano
nell’ambito di applicazione di tale Regolamento. Peraltro, tale
disciplina attiene alla localizzazione degli impianti, restando ferme le
ulteriori disposizioni previste dalla normativa specifica di settore e,
in particolare, dal Piano carburanti del Comune (Consiglio di Stato,
Sez. IV,
sentenza 04.12.2007 n. 6157 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
OGGETTO: Richiesta di parere in merito alla conclusione
di un procedimento amministrativo curato dallo Sportello
unico per le attività produttive.
Il Comune chiede un parere in merito alla conclusione di un
procedimento curato dallo Sportello unico, concernente il
progetto di ampliamento e di riorganizzazione
urbanistico-edilizia del polo produttivo di una ditta, “difforme
con il Piano di Fabbricazione vigente e con il PRG adottato
in adeguamento al P.P.A.R.”.
A tal proposito fa presente che “è stato assunto dal SUAP
verbale d’ufficio conclusivo della conferenza di servizi
avente valore di variante urbanistica”, sul quale “sono
state espletate le procedure della pubblicazione” e “non
sono pervenute osservazioni, proposte e opposizioni dagli
aventi titolo ai sensi della Legge 17.08.1942, n. 1150”
e che occorre “pertanto procedere per la pronuncia
definitiva del Consiglio Comunale”.
Dato che si evince il mancato interesse della ditta
proponente alla conclusione del procedimento amministrativo,
in quanto questa non intende predisporre la convenzione
necessaria per regolamentare i rapporti giuridici ed
economici fra le parti, si chiede se la competenza ad
archiviare il procedimento appartenga alla Responsabile SUAP
o al Consiglio comunale, “dando atto che” lo
Sportello unico "ha già provveduto a concludere il
procedimento con il verbale conclusivo del 03/05/2006 avente
valore di proposta di variante” (Regione Marche,
parere 26.11.2007 n. 72/2007). |
EDILIZIA PRIVATA: Sullo
sportello unico delle attività produttive.
L’art. 5 del D.P.R. 20.10.1998, n. 447, dispone che ove il progetto sia
in contrasto (come è palese nel caso di specie) con lo strumento
urbanistico, ma sia conforme con la normativa ambientale, sanitaria e di
sicurezza del lavoro, il responsabile del procedimento possa convocare
una conferenza di servizi per le conseguenti decisioni, che
costituiscono proposta di variante allo strumento urbanistico e sulle
quali si pronuncia il consiglio comunale.
Ora, questo Tribunale con sentenza
20.05.2004, n. 453, ha già avuto modo di interpretare tale normativa, ed
ha in merito chiarito, per la parte che qui interessa, che nell’ipotesi
di ampliamento di un insediamento produttivo, ove il progetto presentato
sia in contrasto con lo strumento urbanistico o comunque richieda una
sua variazione, il responsabile del procedimento, in base al disposto
degli artt. 1 e 5 del D.P.R. 20.10.1998 n. 447, recante il regolamento
per la semplificazione dei procedimenti di localizzazione degli impianti
produttivi, può convocare una conferenza di servizi per la variazione
dello strumento urbanistico; tale necessità di variare lo strumento
urbanistico non deve però contenere una specifica motivazione in ordine
alla insufficienza di altre aree disponibili nella zona, ma deve essere
valutata in relazione al progetto presentato, cioè tenendo conto della
circostanza che trattasi di un progetto di ampliamento di un
insediamento produttivo già operante, sicché l’area da destinare
all’ampliamento della relativa attività non può essere rinvenuta
altrove, ma deve evidentemente trovarsi in stabile e diretto
collegamento con quella dell’insediamento principale e da ampliare.
Tale D.P.R. 20.10.1998 n. 447 esprime, invero, un “favor” verso la
realizzazione, la ristrutturazione ovvero l'ampliamento degli impianti
industriali ed a tale scopo ha delineato un procedimento semplificato
-che si risolve in un procedimento che, attraverso la conferenza di
servizi indetta dal responsabile del procedimento, porta alla formazione
di una proposta di variante sulla quale il Consiglio comunale si
pronuncia "definitivamente"- per giungere alla rapida realizzazione di
tali iniziative, anche quando esse siano in contrasto con gli strumenti
urbanistici in vigore, purché lo strumento urbanistico non individui
aree destinate all'insediamento di impianti produttivi ovvero queste
siano insufficienti in relazione al progetto presentato (cfr., da
ultimo, Cons. St., sez. IV, 11.01.2007 n. 1644).
Questo Tribunale con sentenza 01.09.2004, n. 772, ha, inoltre, già
chiarito che l’esito della Conferenza dei Servizi che costituisce –ai
sensi del comma 2 dell’art. 5 del D.P.R. 20.10.1998 n. 447– proposta di
variante dello strumento urbanistico su cui è chiamato a pronunciarsi
definitivamente il Consiglio comunale, poiché fa salva la fase
partecipativa, prescrivendo che debba tenersi conto delle osservazioni,
proposte ed opposizioni formulate dagli interessati, deve essere
pubblicato non per trenta giorni, ma per quarantacinque giorni
consecutivi così come prescritto dall’art. 10, comma 1, della l. Regione
Abruzzo 12.04.1983, n. 18.
Mentre è stato ulteriormente chiarito che tale proposta di variazione
della strumento urbanistico assunta dalla Conferenza dei servizi non è
certamente vincolante per il consiglio comunale, il quale deve
autonomamente valutare se aderire o meno a tale proposta (da ultimo,
Cons. St. sez. IV, 19.10.2007 n. 5471), in quanto la determinazione
della Conferenza dei servizi rappresenta un peculiare atto di impulso
(proposta) dell’autonomo procedimento (di natura esclusivamente
urbanistica) volto alla variazione del vigente piano regolatore,
rientrante nelle normali ed esclusive attribuzioni dell’ente locale
In definitiva, la natura e gli effetti della variante al P.R.G. prevista
per la realizzazione di insediamenti produttivi dall’art. 5 del D.P.R.
n. 447/1998, come modificato dal D.P.R. n. 440/2000, sono identici a
quelli della variante urbanistica ordinaria: ambedue sono cioè destinate
ad incidere sull’assetto del territorio, dettando una disciplina nuova e
diversa da quella in vigore. La differenza radicale riguarda la modalità
specifica di inizio del procedimento di variazione dello strumento
urbanistico: nel caso dell’art. 5 citato, la proposta di variazione è
collegata alla presentazione, da parte di un privato, di un progetto che
ottenga il parere favorevole della conferenza dei servizi, appositamente
convocata; nell’ipotesi ordinaria, la proposta di variazione dello
strumento urbanistico è affidata alla iniziativa della Amministrazione
comunale. Nell’ambito di tale procedimento il Consiglio comunale ha,
pertanto, la piena titolarità del potere di valutare la proposta di
variante, esprimendosi con adeguata motivazione (Cons. St, sez. VI,
sentenza 25.06.2007 n. 3593).
Con la predetta sentenza n. 772 questa Sezione ha, inoltre, precisato
che la variazione dello strumento urbanistico che sia stata proposta in
applicazione dell’art. 5 del D.P.R. 20.10.1998, n. 447, non deve
corrispondere a sopravvenute esigenze generali di carattere urbanistico,
bensì a particolari esigenze di realizzazione, ampliamento,
ristrutturazione e riconversione di impianti produttivi, anche laddove
la variante riguardi una sola area per un singolo impianto; né occorre
che la relativa deliberazione di variante di detto strumento si dia
carico di adeguatamente esternare le ragioni che inducano il consiglio
comunale a variare la destinazione dell’area oggetto d’intervento, ben
potendo tali ragioni rinvenirsi nella conforme proposta scaturita dalla
conferenza dei servizi.
In estrema sintesi, deve rilevarsi che, nel disporre la variazione dello
strumento urbanistico in applicazione dell’art. 5 del D.P.R. 20.10.1998,
n. 447, ove si tratti di insediare un nuovo impianto produttivo occorre
verificare se nel Comune vi siano o meno altre aree sufficienti, mentre
ove si tratti di ampliare un impianto produttivo esistente non occorre
tale verifica, in quanto l’ampliamento deve evidentemente trovarsi in
stabile e diretto collegamento con quella dell’insediamento principale
da ampliare. Peraltro -come questa stessa Sezione ha ulteriormente
chiarito con sentenza 04.11.2004, n. 878- la variazione della
destinazione urbanistica dell’area, in quanto atto discrezionale di
specifica competenza del consiglio comunale, deve essere sorretta da una
adeguata motivazione, che può, peraltro, rinvenirsi anche negli atti del
procedimento ed, in particolare, nella conforme proposta scaturita dalla
conferenza dei servizi
(TAR Abruzzo-Pescara,
sentenza 07.11.2007 n. 875 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La variante dello strumento
urbanistico, mediante l'attivazione dello sportello unico per le
attività produttive, non è atto dovuto, ma costituisce, piuttosto,
oggetto di esercizio di poteri discrezionali, che devono comparare
l'interesse alla realizzazione dell'opera (o alla realizzazione
dell’insediamento produttivo) con molteplici altri interessi, quali
quello urbanistico, edilizio, paesistico, ambientale.
Per quel che concerne l’ampiezza delle
prerogative comunali e regionali in sede di valutazione delle proposte
progettuali ex art. 5, d.P.R. 447 del 1998, la consolidata
giurisprudenza amministrativa ha sempre ribadito il principio secondo
cui sia la concessione in deroga, sia la variante dello strumento
urbanistico, non sono atti dovuti, ma costituiscono piuttosto oggetto di
esercizio di poteri discrezionali, che devono comparare l'interesse alla
realizzazione dell'opera (o alla realizzazione dell’insediamento
produttivo) con molteplici altri interessi, quali quello urbanistico,
edilizio, paesistico, ambientale. Ad avviso del TAR, i presupposti per
l’operatività del richiamato art. 5 –vale a dire: a) la sussistenza di
un contrasto tra il progetto presentato e lo strumento urbanistico
vigente; b) l’insussistenza e/o insufficienza di aree a tal fine
individuate; c) la conformità del progetto alle vigenti norme in materia
ambientale, sanitaria e di sicurezza sul lavoro- costituiscono
condizione minima necessaria ma non sufficiente per poter consentire la
realizzazione del richiesto intervento, ferma restando in capo agli
Organi decidenti un’ampia discrezionalità sulla possibilità di prestare
il proprio eventuale assenso.
La
determinazione della conferenza dei servizi, nell’ambito del particolare
procedimento di cui all'art. 5 D.P.R. 20.10.1998, n. 447, rappresenta un
peculiare atto di impulso (proposta) dell’autonomo procedimento (di
natura esclusivamente urbanistica) volto alla variazione del vigente
piano regolatore, rientrante nelle normali ed esclusive attribuzioni
dell’ente locale che, attraverso i suoi uffici indice la conferenza dei
servizi. Come la giurisprudenza della Sezione ha chiarito anche di
recente (cfr. Sez. IV, 30.09.2005, n. 5205; 14.04.2006, n. 2170), da un
lato, tale proposta di variazione dello strumento urbanistico assunta
dalla Conferenza dei servizi non è certamente vincolante per il
Consiglio comunale, il quale deve autonomamente valutare se aderire o
meno alla stessa; dall’altro, qualora l’esito della conferenza dei
servizi sia in qualunque modo sfavorevole al privato richiedente e
dunque si risolva nel diniego di approvazione del proposto progetto in
variante allo strumento urbanistico, tale esito assume valore ostativo
alla prosecuzione del procedimento amministrativo, mancando in tale
ipotesi l’atto d’impulso, strumentale alle determinazioni di competenza
del Consiglio comunale (v. Cons. St., IV, 07.05.2004, n. 2874 ).
Realizzandosi, dunque, l’evenienza da ultimo sopra ipotizzata, la
distinta procedura, di competenza del Consiglio comunale, specificamente
connessa alla prima e destinata alle definitive valutazioni relative
alle conseguenze urbanistiche e di sicurezza pubblica dal progetto in
variante allo strumento urbanistico, neppure viene attivata, mancando
l’atto di iniziativa rappresentato dalla “proposta” approvata dalla
Conferenza dei servizi. Si tratta, all’evidenza, di una procedura di
approvazione di varianti chiaramente derogatoria rispetto a quella
ordinaria contemplata nella normativa vigente, nell’ambito della quale
resta fermo il potere discrezionale delle amministrazioni competenti di
approvare o meno la proposta di variante
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 19.10.2007 n. 5471 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Sulla
convocazione della conferenza dei servizi dello sportello unico.
L’art. 5 del dPR n. 447/1998, non consente di ipotizzare, a fronte della
richiesta del privato di realizzare o ampliare, ristrutturare o
riconvertire un impianto industriale, alcuna abdicazione del Comune
dalla sua istituzionale potestà pianificatoria, sì da rendere
l’approvazione della variante pressoché obbligatoria (C.d.S. sez. IV n.
2170/2006).
Ed invero, il responsabile del procedimento, “può” e non “deve”
convocare la conferenza di servizi mediante la quale si addiviene a
detta adozione (TAR Lombardia-Milano n. 3819 - 26.09.2002).
Devono in ogni caso sussistere le condizioni previste dallo stesso art.
5 citato perché si possa procedere alla Conferenza di servizi tra le
quali v’è senz’altro, per esplicita previsione della norma in esame,
l’assenza di localizzazione degli impianti produttivi nel territorio del
Comune.
L’obiettivo delle innovative disposizioni all’esame è stato quello di
incentivare e facilitare l’attività produttiva in un momento in cui essa
è attraversata da una crisi di competitività, ma non già quello di
sacrificare a tale esigenza anche i “valori” e gli obiettivi della
pianificazione urbanistica vigente
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 27.06.2007 n. 3772 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Sull'ampliamento
di un capannone esistente in variante al P.R.G..
Considerato che la variante urbanistica semplificata, contemplata
dall'art. 5 del dpr 20.10.1998 n. 447, è istituto del tutto eccezionale
e derogatorio, con la conseguente necessità di interpretazione
restrittiva della norma stessa, la possibilità di prescindere,
nell’ipotesi di ampliamento di un preesistente impianto produttivo,
dalla verifica se lo strumento urbanistico generale comunale individui o
meno aree (adeguate) destinate alla tipologia di impianto produttivo da
realizzare, deve essere ragionevolmente limitata (in forza dei consueti
ortodossi canoni ermeneutici) ai soli casi in cui l’impianto principale
da ampliare sia già operante nella medesima tipologia produttiva, e
(quindi) con la preesistenza in loco dei corrispondenti standards
urbanistici speciali, cioè delle aree destinate a servizi di pubblica
utilità in misura rapportata a quella delle aree già destinate alla
peculiare attività produttiva.
In altri termini, alle sole fattispecie nelle quali non si determini
soluzione di continuità nel ciclo produttivo dell’immobile
(TAR Puglia-Lecce, Sez. I,
sentenza 27.06.2007 n. 2594 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Sulla
conferenza dei servizi dello sportello unico per le attività produttive.
Il concetto di inidoneità di un’area, in relazione al progetto
presentato, non coincide però con quello di insufficienza delle aree
destinate all’insediamento dell’impianto produttivo, di cui al comma 1
del DPR n. 447/1998. Il primo implica un accertamento concreto della
realizzabilità di un progetto in una determinata area produttiva, mentre
il secondo richiede una verifica delle aree che lo strumento urbanistico
individua come destinate all’insediamento di impianti produttivi, che,
qualora dovessero risultare insufficienti, legittimano la convocazione
della conferenza dei servizi.
Il responsabile del procedimento deve, quindi, procedere alla
convocazione della conferenza dei servizi dopo avere motivatamente
riscontrato la presenza del secondo presupposto di cui al comma 1
dell’art. 5 del DPR n. 447/1998, il cui accertamento non può essere
fatto con riferimento al progetto presentato (come avvenuto nella
specie), ma assumendo come parametro lo strumento urbanistico e le
relative destinazioni
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 25.06.2007 n. 3593 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Sul
significato dell’espressione aree "insufficienti rispetto al progetto
presentato" contenuta nel comma 2,
dell’art. 5, del D.P.R. n. 447/1998.
L'art. 5 del DPR n. 440/2000 dispone che qualora venga presentato un
progetto per una nuova attività produttiva in contrasto con il piano
regolatore, il responsabile del procedimento è tenuto a rigettare
l’istanza (art. 5, comma 1, D.P.R. n. 447/1998).
L’art. 5, oltre al rigetto, che costituisce l’ipotesi ordinaria, prevede
anche l’ipotesi eccezionale, che consiste nell’avviare le procedure per
la formazione di una variante urbanistica, conseguente all’approvazione
del progetto, con decisione da assumere mediante l’indizione di una
conferenza di servizi.
Questa ipotesi essendo eccezionale e di natura derogatoria alle
procedure ordinarie non ammette applicazioni estensive o analogiche,
richiedendo peraltro una adeguata motivazione.
Pertanto il ricorso a tale procedura è ammesso solo alle tassative
condizioni previste dall’art. 5, comma 2, del D.P.R. n. 447/1998, che
sono le seguenti:
1) il progetto presentato deve essere conforme alle norme ambientali,
sanitarie e di sicurezza del lavoro;
2) lo strumento urbanistico:
A. deve essere caratterizzato dalla mancanza di aree da destinare
all’insediamento di impianti produttivi, con classificazione di zona
idonea al tipo di richiesta presentata;
B. oppure le aree previste dal medesimo strumento urbanistico devono
risultare insufficienti in relazione al progetto presentato;
3) della conferenza deve essere dato pubblico avviso in quanto ogni
soggetto portatore di interessi pubblici, privati o diffusi, cui possa
derivare pregiudizio dalla realizzazione dell’impianto, deve poter
intervenire alla conferenza dei servizi presentando osservazioni che la
conferenza è tenuta a valutare.
La sussistenza di tali presupposti deve essere verificata dal
responsabile del procedimento antecedentemente alla convocazione della
conferenza di servizi; inoltre la sussistenza di tutte queste condizioni
deve altresì risultare dalla motivazione della convocazione della
conferenza, in quanto è sulla base di tutti i requisiti di legge che il
responsabile del procedimento potrà "motivatamente" procedere all’avvio
della procedura di formazione della variante urbanistica prevista
dell’art. 5 del DPR n. 447/1998.
E’ opportuno anche precisare il significato dell’espressione aree
"insufficienti rispetto al progetto presentato" contenuta nel comma 2,
dell’art. 5, del D.P.R. n. 447/1998.
Si ritiene che, con l’espressione anzidetta, il regolamento statale
intenda riferirsi alle situazioni in cui non sia possibile per
un’impresa insediarsi in un determinato Comune perché mancano del tutto
aree a destinazione produttiva, o perché queste non consentono quel
determinato tipo di insediamento a causa della insufficiente dimensione,
o comunque per la presenza di parametri, limitazioni, indici che
producono un effetto impeditivo di carattere equivalente; vi è infine
insufficienza di aree anche nelle ipotesi in cui le aree a destinazione
produttiva siano inidonee da un punto di vista qualitativo (es. attività
che richiedono particolari infrastrutture; rimessaggio di cantieri
navali che richiedono il facile accesso al mare; la necessità, per il
tipo di attività, della vicinanza di strutture ferroviarie ecc.).
Appare evidente che per aree "disponibili", dal punto di vista
urbanistico, ci si debba riferire alla disponibilità effettiva;
rientrano quindi in tale nozione anche le aree contenute in piani
attuativi approvati e realizzati solo parzialmente.
La verifica circa la sussistenza del requisito della insufficienza delle
aree non è necessaria nei soli casi di interventi consistenti
nell’ampliamento, nella cessazione/riattivazione o nella
ristrutturazione dell’attività produttiva.
Occorre anche precisare che nelle ipotesi di riconversione deve essere
adottata una maggiore cautela se il cambio di attività produttiva
comporta anche una radicale modifica rispetto alle attività produttive
preesistenti nell’area, determinando cambiamenti che possono avere
rilevanti ripercussioni sul contesto urbanistico esistente.
In tali casi si rende necessaria una attenta valutazione sull’impatto
che tale attività può determinare sul territorio prima dell’indizione
della conferenza di servizi per la formazione della variante
urbanistica.
Inoltre, poiché il regolamento sullo sportello unico trova la propria
"ratio" nell’esigenza di semplificare e accelerare i procedimenti
amministrativi relativi alle attività produttive, e a tale scopo
introduce procedure speciali che derogano alle procedure ordinarie, è
evidente che l’impatto urbanistico consentito dall’approvazione di
varianti conseguenti alla presentazione di progetti deve essere
circoscritto al solo intervento da realizzare e alla sola durata dello
stesso.
Conseguentemente si determina una nuova zonizzazione oltre che
nell’ipotesi in cui sia approvata una variante ai sensi dell’art. 2 del
D.P.R. n. 447/1998, nella sola ipotesi di intervento consistente nella
realizzazione di un nuovo impianto (intervento indicato al punto 1.2)
che determina una "zonizzazione" del territorio diversa dalla
preesistente limitatamente all’area interessata. Mentre negli altri casi
(ristrutturazione di cui al punto 1.3; ampliamento di cui al punto 1.4;
cessazione/riattivazione di cui al punto 1.5; riconversione di cui al
punto 1.6; opere interne di cui al punto 1.7) non si determina alcuna
nuova zonizzazione, ma si ha variazione del piano regolatore generale
nella misura minima necessaria a consentire l’attuazione dell’intervento
medesimo.
Sul punto la giurisprudenza ha affermato che “Ai fini dell’applicabilità
dell’art. 5 del D.P.R. 20.10.1998, n. 447 (il quale ha la finalità di
favorire gli insediamenti produttivi, consentendo l’adozione di varianti
allo strumento urbanistico dopo aver accertato che, all’interno del
territorio comunale, non esistono altre aree idonee e compatibili con il
progetto proposto) è irrilevante che sia stato avviato il procedimento
di adozione della variante relativo alle zone PIP, con cui sarebbero
state individuate zone di tipo misto, ove non sia stato dimostrato che,
a seguito della conclusione del procedimento di variante, si creino
delle zone idonee per l’insediamento richiesto (nella specie si trattava
della realizzazione di un centro commerciale).
Costituisce inoltre onere del richiedente provare l’inesistenza e la
insufficienza di aree libere e disponibili nel territorio comunale, e la
variazione dello strumento urbanistico proposta in applicazione
dell’art. 5 non deve corrispondere a sopravvenute esigenze generali di
carattere urbanistico, bensì a particolari esigenze di realizzazione,
ampliamento, ristrutturazione e riconversione di impianti produttivi,
anche laddove la variante riguardi una sola area per un singolo
impianto, così come è irrilevante l’esistenza nella zona di impianti
preesistenti, dello stesso genere o di genere diverso.” (Tar Puglia,
sez. Lecce, sez. I, n. 1601/2005)
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 07.02.2007 n. 329 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2006 |
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EDILIZIA PRIVATA: Sulla
convocazione della conferenza dei servizi per l'approvazione di un
progetto in variante al P.R.G..
Condizioni imprescindibili per l’avvio del procedimento attraverso la
convocazione della conferenza sono da un lato la conformità del progetto
alle norme vigenti in materia ambientale, sanitaria e della sicurezza
del lavoro; dall’altro l’impossibilità di reperire nello strumento
esistente aree idonee all’iniziativa produttiva.
E’ del tutto evidente, infatti, che qualora risultino disponibili nel
Piano altre aree convenienti per la allocazione dell’intervento
produttivo, vengano meno le esigenze promozionali alla base della
disciplina derogatoria, la quale dunque –come efficacemente evidenziato
dalla Regione– ha natura eccezionale e non costituisce in alcun modo
strumento ordinario di modifica dell’assetto urbanistico, azionabile in
base alle soggettive preferenze e convenienze dell’imprenditore.
In ogni caso, quando sussistono i detti presupposti l’Amministrazione ha
non l’obbligo, ma la facoltà, di avviare, sulla scorta di una congrua
motivazione, l’iter semplificato per l’introduzione della variante, come
si deduce sia da rilievi testuali (il responsabile può motivatamente)
sia da considerazioni di tipo sistematico.
Sotto il profilo da ultimo richiamato è da osservare infatti che, pur
ispirandosi la disciplina in rassegna a evidenti criteri di favore per
l’insediamento di attività produttive, tale ratio economico-sociale non
può essere spinta –come insegna Corte cost. n. 206 del 2001 la quale ha
in sostanza reintrodotto l’obbligo dell’assenso regionale alla variante,
prima non previsto- sino a sovvertire il ruolo fondamentale che
rispettivamente spetta al comune e alla regione nell’ambito del giusto
procedimento in materia urbanistica.
Ne consegue, a giudizio del Collegio, che la conferenza non deve essere
sempre e comunque convocata qualora il progetto proposto non contrasti
con divieti specifici ambientali e sanitari, poiché –ragionando in tal
modo– il comune finisce per essere espropriato dei suoi poteri
discrezionali di programmazione e di governo dell’ordinato sviluppo del
territorio.
In altri termini, si deve affermare da un lato che la determinazione
comunale di non avviare il procedimento è di per sé pienamente
consentita dall’ordinamento di settore, il quale configura l’utilizzo di
una procedura pur sempre derogatoria come meramente facoltativo da parte
dell’ente locale; dall’altro che, nel merito, tale determinazione
costituisce il frutto dell’esercizio di un potere discrezionale e quindi
può legittimamente fondare –anche indipendentemente da precisi divieti
ambientali- su valutazioni di ordine generale, purché razionalmente ed
equilibratamente rapportate, in relazione alla natura ed entità
dell’intervento, all’esigenza di evitare la compromissione di valori
paesaggistici, urbanistici o comunque inerenti la tutela dell’assetto
del territorio
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 03.03.2006 n. 1038 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2005 |
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EDILIZIA PRIVATA:
La procedura semplificata di variante urbanistica di cui all’art. 5 del dpr
447/1998 è utilizzabile solo per progetti di impianti produttivi la cui
localizzazione pone esclusivamente un problema di conformità urbanistica
alla pianificazione comunale.
Il Collegio ha più volte precisato, nel delimitare l’area di operatività
dello strumento disciplinato dall’art. 5 del dpr 447/1998, che la cd
variante urbanistica semplificata, introdotta nel panorama ordinamentale
con il varo appunto del regolamento 447/1998, è istituto del tutto
eccezionale. Essa comporta, infatti, una consistente deroga al modello
ordinario di approvazione di una variazione allo strumento urbanistico,
in funzione anticipatoria e sostitutiva delle capacità previsionali
delle esigenze di sviluppo del territorio, in attuazione dell’interesse
pubblico di assecondare con prontezza insediamenti produttivi. Detto
istituto persegue coerentemente la finalità di agevolare le dinamiche
imprenditoriali -e tra queste, particolarmente la scelta dei siti ove
svolgere attività di produzione di beni o servizi- in una chiara ottica
di semplificazione, come si evince dalla genesi del regolamento
447/1998. Il regolamento in questione, recante norme in tema di
sportello unico per le attività produttive, introduce una profonda
semplificazione procedimentale tale da ricondurre tutti i procedimenti
settoriali relativi alle autorizzazioni per gli impianti produttivi ad
un unico procedimento con un unico titolare in veste interfacciale per
l’impresa.
Lo strumento derogatorio previsto dall’art. 5 del dpr 447/1998
rappresenta il volano giuridico di realizzazione di impianti produttivi
che non troverebbero agevole collocazione in alcuna pianificazione di
settore proprio in ragione delle dimensioni considerevoli che possono
caratterizzarli. L’ospitabilità di progetti produttivi riposa, pertanto,
proprio sulla possibilità di utilizzare una variante che costituisce, in
questa chiave di lettura del fenomeno, valvola di sicurezza di
iniziative imprenditoriali foriere di sviluppo economico per una
collettività. Tuttavia, la natura del citato art. 5 di norma di carattere
eccezionale, sia sotto il profilo procedimentale (essendo prevista una
approvazione abbreviata o semplificata della variante urbanistica), sia
sul versante della tipologia di insediamenti per mezzo di essa
allocabili in un territorio (circoscritta ad impianti produttivi di beni
e servizi) comporta una interpretazione applicativa ristretta a quanto
espressamente previsto (o ad esso facilmente riconducibile), che non può
estendersi a situazioni ulteriori e diverse da quelle contemplate dal
legislatore.
La procedura semplificata di variante urbanistica di cui all’art. 5 del dpr 447/1998 è utilizzabile solo per progetti di impianti produttivi la
cui localizzazione pone esclusivamente un problema di conformità
urbanistica alla pianificazione comunale, ma non può essere
legittimamente attivata quando la variante risolve non tanto una
questione di conformità urbanistica di un insediamento oggetto di
discipline pianificatorie, quanto piuttosto, principalmente e
direttamente, questioni di pianificazione commerciale ultracomunali (TAR
Puglia-Lecce, Sez. I,
sentenza 28.10.2005 n. 4657 - sentenza link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
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